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Page 1: 2003-11-08 JFK

LA REPUBBLICA 37SABATO 8 NOVEMBRE 2003

DIARIOdi

QUARANT’ANNI FA L’ASSASSINIO DI KENNEDY

SEBBENE il termi-ne “Camelot” già si

usasse quando John F. Kennedy era invita - alludeva al musical preferito del

presidente, al suo ritratto idealizzato di Re Artù,e ai Kennedy visti come metafora di una corteregale - con il passare del tempo ha evocato unperiodo altrettanto distante: una specie di pa-radiso perduto della politica americana. Ma og-gi un abisso ci separa da quel mondo che pre-cedette la caduta. Scorrono alcune istantanee:la violenta morte di Kennedy, la guerra del Viet-nam, le proteste per i diritti civili violati, l’assas-sinio di Martin Luther King, quello di Bob Ken-nedy, l’uccisione dei pacifisti, Nixon e il Water-gate, e infine il graduale e inesorabile abbando-no dei programmi sociali. Naturalmente, l’ideadi una Camelot simile a un Paradiso Perdutosottende a un quadro eccessivamente roseodel nostro passato. Razzismo e povertà furonoallora problemi più gravi di quanto lo siano og-gi. Ma qualcosa di fondamentale si è perso. Al-l’epoca di Kennedy la grande maggioranza de-gli americani credeva nei suoi gover-nanti. Oggi la fiducia se ne è andata e conessa si sono perse le grandi visioni peruna società più giusta. Camelot è finita.

CAMELOT.

JFK

La leggenda diquest’uomo nacque

il giorno della sua morteEra il 22 novembre

del 1963

Da allora le generazionidi tutto il mondo

si sono passate la suaimmagine come

fosse un racconto epico

Ha ormai quasi l’età dell’uomo che hasostituito ma a lui è concesso il mira-colo che agli umani è negato, più

passa il tempo e più ringiovanisce. Nacquealle 12 e 30 del 22 novembre 1963 in una stra-dina insignificante di Dallas chiamata ElmStreet, partorito da una levatrice assassinache eliminò un essere umano perché al suoposto potesse nascere quel «mito Kennedy»che da allora le generazioni si trasmettonocome una chanson epica nella quale cia-scuno canta la propria verità immaginaria.

Aveva 46 anni, JFK quando fu ucciso (neavrebbe dunque 86 oggi) ed era soltanto unPresidente americano con appena 1.035giorni di governo alle spalle e davanti unarielezione difficile. Neppure i suoi amici o iproduttori del primo presidente made forand by TV, fatto dalla televisione e per la te-levisione, avrebbero potuto immaginareche dopo quarant’anni la loro creaturaavrebbe potuto generare una colata inter-minabile di rivelazioni e di rimpianti che hauna matrice comune: il sospetto che non ful’assassinio di un uomo, ma fu l’esecuzionepubblica del progressismo americano checon lui doveva finire e finì, nella «capitaledell’odio» sudista e di destra, come la chia-mava lo stesso Kennedy che morì pronun-ciando queste ultime parole vedendo gli ap-

plausi dei passanti: «Nonposso proprio dire cheoggi Dallas mi odi». Poigli spari.

C’è una genesi politi-ca, nella storia del «mitodei Kennedy», alimenta-ta dal fatto che, dopo dilui, la «sinistra» america-na non ha più prodotto

un Presidente, lasciando il campo al mode-ratismo di destra e di centro. La stessa Jac-queline Kennedy la accreditò, confessandoil timore che suo marito si aspettasse di es-sere ucciso dagli oppositori politici: «Nonha avuto neppure la soddisfazione di esse-re ammazzato per i diritti civili». Questa, è laversione alla Oliver Stone del mito, la chia-ve ideologica per spiegarne la tenacia. Ma èsolo una parte.

Una ricerca via Internet restituisce28.144 titoli di libri in commercio su John F.Kennedy e 1.699 soltanto sul suo assassinio.Un lettore diligente che volesse sapere tut-to dovrebbe leggersi un libro al giorno perottantuno anni e arriverebbe alla fine dellapropria vita senza conoscere una verità or-mai inconoscibile, perché la «verità vera»(ammesso che ci sia) ucciderebbe il mito equesto noi tutti fingiamo di volere, ma nonvogliamo. Tra quei 30 mila libri ci sono stu-di serissimi, come il recente La truffa Za-pruder (settembre 2003) scritto dal profes-sore James Fetzer dell’Università del Min-nesota con l’aiuto di specialisti di cinema-tografia. Dimostra le falsificazioni compiu-te su quei 27 secondi di film amatoriale gi-rate da Abraham Zapruder, che sono la steledi Rosetta del complottismo, sui quali sifonda la leggenda del «secondo sparatore».Ma per un libro serio o per un magnifico do-cumentario televisivo che la rete Abc si pre-para a mandare in onda il 21 novembre do-

po due anni di ricerche accuratissime e con-clude senza alcun dubbio che Oswald agì dasolo, arriva in libreria La Mafia Francese as-sassinò JFK, firmato da Seymour e O’Leary,e vende. Mancavano soltanto la Mano Nerae i Corsi, tra Cosa Nostra, Cia, Kgb, Castro,Ufo (ci sono pure quelli), mercanti d’armi,militari golpisti, nella fila dei candidati al“vero” assassino.

Ogni rifiuto di una verità insopportabil-mente banale, che un folle solo o un gruppodi fanatici assassini, da Gavrilo Prinzip aBresci a Mohammed Atta, possa cambiarela storia, ha la propria radice in convinzionipolitiche indimostrabili e perciò eterne,che Kennedy volesse ritirarsi dal Vietnam,che intendesse accordarsi con Krusciov perridurre gli arsenali, che volesse demolirel’apartheid nel Sud. O che l’11 settembre siastato fatto dalla Cia e dal Mossad.

Forse, ma non basta l’estinguersi con luidella sinistra liberal come forza politica ri-levante, ridotta oggi al dinosauro Ted Ken-nedy, a spiegare tutto. Se il mito politico diun presidente «rivoluzionario» regge è per-ché coincide con le immagini e i simboli.Già da vivo Jack, come era chiamato dagliamici, era largamente un prodotto dellapropaganda, della sua corte, la «Camelot»costruita attorno a un ben strano re Artù chefrugava stagiste nei guardaroba della CasaBianca e inghiottiva pil-lole a manciate per i pro-pri malanni, mentre laregina Jacqueline cerca-va consolazione conAgnelli e Onassis a Capri.I primi estensori dellachanson des Kennedy de-scrivevano una famigliachic e vecchio-europea,quando “europeo” era ancora un compli-mento (JFK è stato l’ultimo vero presidenteprodotto dalla Costa Atlantica, dunque an-cora rivolta verso di noi). Ingaggiavano de-signers, esibivano fratelli fascinosamentedentoni con ciuffi scompigliati dal ventodell’Atlantico mentre si passavano la pallasulla spiaggia o veleggiavano avvolti nei lo-ro caldi maglioni di lana irlandese. Costrui-vano un passato a memoria futura come segià sapessero che l’uomo sarebbe stato uc-ciso e avrebbe dovuto vivere soltanto inquell’album.

Fu il primo reality show — e c’è tanto ditrash anche in questa leggenda kennedya-na — che neppure le critiche hanno mai po-tuto dissuadere il pubblico dal guardare. Daquando l’uomo è scomparso, migliaia didettagli sordidi sono emersi, ma le pietredella lapidazione non lo colpiscono più, alcontrario rafforzano la muraglia del mito. E’il fenomeno di isteria transgenerazionaleche abbiamo visto con la principessa Dianad’Inghilterra, o dopo l’11 settembre, perchéDallas fu per i giovani del 1963 quello cheGround Zero sarà per i giovani del 2001 e peri loro figli, il segnalibro della propria vitapersonale, e chi vuol demolire Jack attaccatutti noi. La risposta più semplice alla do-manda del «perché il mito?» è dunque la so-lita, perché ne abbiamo bisogno e ogni leg-genda è migliore del presente.

Il mito che ha vintoil tempo

VITTORIO ZUCCONI

ALEXANDER STILLE

QUASI 30 MILALIBRI SONOSTATI SCRITTISU DI LUI

L’ABC PREPARAUN GRANDEDOCUMENTARIOSULLA SUA VITA

Washington

Page 2: 2003-11-08 JFK

38 LA REPUBBLICA SABATO 8 NOVEMBRE 2003D I A R I O

LE TAPPE

IL MATRIMONIO

Entra in politica nel 1946. Sette annidopo, l’elezione al Senatoe il matrimonio con Jacqueline. Nel 1960si candida per le presidenziali

LA FAMIGLIA

Nasce a Brookline (Boston) nel 1917 dauna ricca famiglia d’origine irlandese.Laureato ad Harvard nel 1940, tre annipiù tardi da ufficiale partecipa alla guerra

“DECISION”

Gli appunti del Presidente sui quaderniconservati alla Kennedy Library di Boston. Quisopra, la parola “decision” , più volte annotatadurante un incontro nel periodo della crisi di Cuba

I LIBRI

ARTHUR

SCHLESINGER

I mille giorni diJohn F.

Kennedy(1966),

Rizzoli 1992

MICHAEL

BESCHLOSS

Guerra fredda.Kennedy e

KrusciovMondadori

1991

DAVID

HALBERSTAM

The Best andthe Brightest

RandomHouse 1972

NOAM

CHOMSKY

Alla corte di reArtù: il mito

Kennedy,Eleuthera

1994

SEYMOUR

HERSH

The dark sideof Camelot

Little, Brown1997

RICHARD

REEVES

PresidentKennedyProfile of

powerSimon&Schuster

JIM

GARRISON

JFK. Sulletracce degli

assassini,Sperling &

Kupfer 1991

NORMAN

MAILER

Il racconto diOswald,

Bompiani1995

MANUEL

VASQUEZ

MONTALBAN

Hoammazzato

J. F. Kennedy(1970),

Feltrinelli 2001

JOHN K.

GALBRAITH

Facce note.Quasi

un’autobiografia, Rizzoli

2000

nedy non ebbe esitazioni a re-spingere le raccomandazionidei militari.

Il 1963 fu anche l’anno in cuila rivoluzione per i diritti civiliraggiunse il culmine. La spintadei neri americani a rivendicarei propri diritti costituzionali po-se Kennedy di fronte ad una du-ra sfida interna. I Kennedy (Ro-bert in qualità di responsabileper l’applicazione delle leggi eper le decisioni giudiziarie) era-no in linea di principio a favore

dei diritti civili, ma la reputava-no un’istanza collocabile nelmedio periodo, per il momentonon sostenibile politicamente.Poi nella primavera del 1963 latelevisione mostrò agli ameri-cani bianchi il ringhio dei cani eil vibrare degli idranti brutal-mente usati a Birmingham, Ala-bama per disperdere i corteinon violenti guidati da MartinLuther King Jr. L’America bian-ca ne fu sconvolta e i diritti civilidivennero infine un’opzione

QUELLO STRANO IDEALISTACHE CAMBIÒ LA NOSTRA STORIA

IL MITO/ CHE COSA RAPPRESENTÒ PER LA SUA GENERAZIONE E LE SUCCESSIVE

ARTHUR M. SCHLESINGER JR.

‘‘

,,

Aveva un’intelligenzafredda e un fascinostraordinario, sapevatoccare le cordeprofonde del popolo

(segue dalla prima pagina)

EGLI rappresentava la ge-nerazione che combatté laseconda guerra mondiale,

una generazione avvezza a mo-derare gli entusiasmi, a disde-gnare la pomposità, insofferen-te rispetto alle pose e al bigotti-smo del passato, pronta ad ac-cettare la complessità del pre-sente con disinvoltura, apertamentalmente verso le incertez-ze del futuro.

Così iniziò la grande avventu-ra della presidenza. Si rivelò ma-teria di leggenda, il vigoroso gio-vane presidente che attraversacome un lampo le nostre vite il-luminando il cielo, poi, un gior-no a Dallas quarant’anni fa, l’e-roe trucidato, una vita che untragico fato deruba della suapiena realizzazione. Il drammadella vita e della morte di JohnKennedy tocca corde profondeprimordiali.

Il suo fu untrionfo di stile, e icritici hanno so-stenuto che nonfu nulla di più, cheKennedy era affa-scinante ma su-perficiale, piùpreoccupato del-l’immagine chedei risultati, cheparlava tanto maconcludeva pocoe che amava il ri-schio, sia nella vi-ta privata che inquella pubblica.Ma i nastri recen-temente pubbli-cati relativi allacrisi dei missili aCuba, alla richie-sta di giustizia ealla lotta per i di-ritti civili hannocapovolto l’opi-nione dei revisio-nisti. I nastri dellaCasa Bianca di-mostrano che lapresidenza Ken-nedy non fu unmero trionfo di stile ma ancheun trionfo sostanziale. Essi for-niscono materiale storico grez-zo, disadorno, intonso. Mostra-no Kennedy alle prese con lamassima crisi internazionaledegli anni Sessanta — l’evitarela guerra nucleare nel mondo —e la massima crisi nazionale —la rivendicazione della giustiziarazziale negli Usa.

La crisi dei missili non fu soloil momento di massimo perico-lo nella guerra fredda. Fu il mo-mento di massimo pericolo intutta la storia dell’umanità. Maiin precedenza due potenze an-tagoniste furono in possessodelle risorse tecniche per far sal-tare il pianeta. Kennedy era riso-luto a rimuovere i missili nu-cleari da Cuba ed era risoluto afarlo in via pacifica. Lo statomaggiore americano sostenevacon forza la tesi di eliminare imissili effettuando attacchi ae-rei a sorpresa, seguiti da un’in-vasione. Sappiamo oggi che leforze sovietiche di stanza a Cu-ba erano dotate di testate nu-cleari tattiche ed erano autoriz-zate a farne uso per respingereun’invasione. Se l’invasioneavesse avuto luogo e i russi aves-sero utilizzato armi nuclearicontro i soldati americani diosolo sa come sarebbe andato afinire il conflitto. Ma John Ken-

politica.Nell’estate del 1963 il presi-

dente Kennedy si pose a capodella crociata per la giustiziarazziale. Fu il primo presidentea dichiarare i diritti razziali «Unprincipio morale...antico quan-to le scritture... e chiaro quantola costituzione americana».

Il fatto che quarant’anni dopol’eredità di Kennedy susciti tan-to interesse è sintomo che, conla mote di JFK, il mondo ha per-so qualcosa di vitale. Forse adandar persa è stata la visione de-gli Usa come repubblica uma-na, razionale, democratica, checollabora con gli altri paesi, conl’Onu e le istituzioni internazio-nali per promuovere la demo-crazia, i diritti umani e la pace. Ilpresidente Kennedy disse nel1961: «Dobbiamo affrontare ildato di fatto che gli Usa non so-no né onnipotenti né onni-scienti... che rappresentiamosolo il 6% della popolazionemondiale... che non possiamoimporre il nostro volere sul re-stante 94% dell’umanità... chenon possiamo raddrizzare ognitorto o metter riparo ad ogni av-versità e che quindi non ci puòessere una soluzione americanaa tutti i problemi del mondo». Lagrande forza della democraziasta proprio nella sua capacità diautocorregersi. L’America diWilson e di Roosevelt, l’Americadi Kennedy, un giorno tornerà.

(Traduzione di Emilia Benghi)

Era un eroe di cui l’Americaaveva bisogno, un eroechiave per il suo tempo, unuomo con una personalità chelasciava immaginarecontraddizioni e mistericapaci di toccare i circuitidell’inconscio Superman comes to thesupermarket (1960)

NORMAN MAILER

Jack Kennedy venne fattofuori al momento ottimale perassicurarne la santità. Lemenzogne continuano avorticare attorno alla suafiamma eterna. È giunto ilmomento di rimuovere la suaurna American TabloidMondadori 1995

JAMES ELLROY

L’America ha pianto stasera, non solo peril suo giovane presidente defunto, ma perse stessa. Il dolore è stato generale perchéin qualche modo la parte peggiore dellanazione ha prevalso sulla migliore. Sottoaccusa non è solo il sicario, perché unqualcosa di insito nella nazione stessa,una vena di pazzia e violenza, ha distruttoil più alto simbolo della legge e dell’ordine.(…)

C’è un risvolto ironico in questa morte,perché il presidente ha dedicato la suabreve amministrazione quasi interamen-te a vari tentativi di porre freno proprio aquesta vena di violenza insita nel caratte-re americano. Quando gli storici riusci-ranno nell’impresa di dare un giudizio suitre anni del suo mandato è molto probabi-le che a colpirli saranno proprio gli sforziprofusi per frenare coloro che avevano in-tenzioni più violente nella guerra freddaoltreoceano e nella lotta razziale in patria.

Oggi il presidente era in Texas a cercaredi placare la politica violenta di quello sta-to. La scorsa settimana era in Florida a cer-

care di placare gli imprenditori invitando-li a credere che la sua non era una linea po-litica ostile alle imprese. E dal principio al-la fine della sua amministrazione ha cer-cato di smorzare la violenza degli estremi-sti di destra. Il destino ha voluto però chegiungesse alla Casa Bianca in un periododi violento cambiamento, in cui tutte lenazioni e le istituzioni si ritrovavano sra-dicate dal passato. Suo tema centrale erala necessità di adeguarsi al cambiamentoe ciò lo ha posto in conflitto con chi alcambiamento si opponeva.

Così, mentre corrispondeva alla sua in-dole evitare il conflitto violento, puntare alcompromesso, mediare e pacificare, i suoiprogrammi in campo fiscale, a favore del-l’uguaglianza razziale, per l’assistenza sa-nitaria, per Cuba, causarono tutti profon-de fratture nel paese. E persino ove le suepolitiche di mediazione ottennero il mag-gior successo – nei rapporti con l’UnioneSovietica – egli fu oggetto di aspra con-danna. (…)

Consola comunque il fatto che seppur

QUANDO L’AMERICASCOPRÌ LE LACRIME

COME IL NEW YORK TIMES DIEDE LA NOTIZIA IL GIORNO DOPO

John e Bob Kennedy. In alto e a destra, il simbolo della presidenza Usa disegnato da JFK

JAMES RESTON

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LA REPUBBLICA 39SABATO 8 NOVEMBRE 2003 D I A R I O

L’UCCISIONE A DALLAS

Il 22 novembre del 1963 viene ucciso aDallas: ha 46 anni. Il 25, i funerali in formasolenne: il figlio John rende omaggio alferetro con il saluto militare

LA CASA BIANCA

Nel 1961 diventa presidente degli StatiUniti. Dopo un incontro teso con Kruscev,fronteggia la crisi di Cuba. Nel giugno del’63 comincia la distensione

VIETNAM

Altra parola ossessivamente annotata sui suoi quadernidurante un incontro della NationalSecurity il 18 aprile del 1962

THIRTEEN

DAYS

Missili nuclearia Cuba: JFK, eBob Kennedysi dividono traKrusciov e iservizi segretirussi Regia diRogerDonaldson(2000)

DUE

SCONOCIUTI

UN DESTINO

Casalinga ekennedianiaalla morte delpresidenteLurene mollatutto perandare aifunerali. DiJonathanKaplan (1993)

RUBY, IL

TERZO

UOMO A

DALLAS

Biografiaambigua diJack Rubyl’uomo cheuccise JohnKennedy. DiJohnMackenzie(1992)

JFK UN

CASO

ANCORA

APERTO

Un procuratoredistrettuale diNew Orleansindaga perconto suosull’omicidioKennedy. DiOliver Stone(1991)

CIAO

AMERICA

Tre amici inattesa di partireper il Vietnamuno èossessionatodal delittoKennedy . DiBrian De Palma(1968)

PT 109

La storia delgiovaneKennedydurante lasecondaguerramondialeufficiale dimarina nelPacifico. DiLeslieH.Martinson(1964)

I FILM

Egli era consapevole che lavanità è forse il sentimentoumano più forte, quello a cui siè più vicini quando si è sullacima scivolosa… E’ stata piùforte la morte di JFK che la suavita

The Holy Family(1967)

GORE VIDAL

In quasi tutte le fotografielui brilla, nel vero sensodella parola. Dovremmocredere che sia l’eroe delnostro tempo. Si è maivisto un uomo con unasimile fretta di diventaregrande? LibraEinaudi 2000

DON DE LILLO

non gli sia stato concesso tempo di porta-re a termine nulla e neppure di realizzarele proprie potenzialità, egli non ha lascia-to il paese in uno stato di crisi o di perico-lo né negli affari interni né esteri. Su tutti icontinenti è stato stabilito un ragionevoleequilibrio di potere. Lo stato di tregua inCorea, Stretto di Taiwan, Vietnam e Berli-no è quantomeno più tollerabile rispetto aquando egli assunse l’incarico. L’Europa el’America Latina nutrivano sempre piùdubbi sulla sua leadership, ma se sono sta-te in grado di permettersi linee di azioneindipendenti fuori dall’alleanza è stato ingran parte grazie ad un certo migliora-mento nei rapporti con l’Unione Sovieti-ca ottenuto dal presidente Kennedy. (…)

Il presidente Kennedy esercitava persi-no sui suoi avversari politici un fascino

umano straordinario ed è signi-ficativo che, a differenza di tan-ti presidenti del passato, adamarlo e rispettarlo maggior-mente fossero proprio coloroche lo conoscevano meglio. Eraun razionalista e un intellettua-

le, che ha dato dimostrazione nella cam-pagna del 1960 e nella crisi di Cuba del-l’anno scorso di saper dare il meglio di sénelle situazioni difficili. Senza dubbio sa-rebbe stato rieletto, come la maggioranzadei presidenti al primo mandato, e il sotti-le dualismo del suo carattere avrebbe avu-to più tempo per realizzare il suo sogno.

Ma se ne’è andato, a 46 anni, prima diaver raggiunto l’età in cui la maggioranzadei presidenti ha iniziato la grande avven-tura. Nel suo libro Profiles in Courage tut-ti i suoi eroi affrontano l’ardua alternativadi cedere all’opinione pubblica o di sfidar-la e diventare martiri. Aveva sperato di evi-tare questo amaro dilemma, ma ha finitocomunque per essere un martire e staserala nazione è triste , per lui e per se stessa.

(Traduzione di Emilia Benghi)

La sequenza del momentoin cui John Kennedy vienecolpito a Dallas durante ilcorteo presidenziale.Accanto a lui, Jacquelinecerca di soccorrere ilmarito

IL PRESIDENTE CHE INTUÌL’ENORME FORZA DELLA TV

IL TALENTO/ GRANDE COMUNICATORE SCONFISSE NIXON IN UN DIBATTITO

DAVID HALBERSTAM

oratoria e la bella presenza hannofinito per giocare un ruolo fonda-mentale nel suo successo.

«Kennedy intuì per primo ilruolo della televisione nella poli-tica moderna, ed utilizzò a pieno,e con grande intelligenza, le suepotenzialità. La vittoria nel dibat-tito televisivo con Richard Nixon,che gli assicurò la presidenza peruna manciata di voti, è dovuta so-prattutto ad un fatto di immagine.

«Non è pensabile comprenderela sua personalità senza rifarsi co-

stantemente a quello che hannosignificato la sua famiglia, la reli-gione, e, non ultimo, il suo ceto so-ciale. Kennedy viveva nello stessotempo le frustrazioni di un pre-giudizio anticattolico molto dif-fuso tra i Wasp, e i privilegi che gliderivavano dall’aristocrazia cuiapparteneva. Sin da piccolo hafrequentato le scuole giuste, i clubesclusivi, e poi Harvard, dove hacontinuato a vivere i vantaggi e lefrustrazioni di questa situazione.

«Tutto ciò lo ha reso assoluta-

‘‘

,,

Governò negli stessianni del pontificatodi Papa Giovanni e trai due c’è un rapportoda approfondire

«LA CARATTERISTICApiù significativa ed af-fascinante del presi-

dente deve essere rintracciatanella sua modernità. John Fitzge-rald Kennedy era un politico conun autentico senso del passato edella tradizione, che aveva com-preso tuttavia che il mondo stavacambiando irreversibilmente.

«Il suo approccio inedito allapolitica, gestito con innata abilitàdi comunicatore, trovava in que-gli anni un contraltare in perso-naggi del suo staff di diversissimospessore e personalità, come quelgalantuomo di Schlesinger maanche l’inquietante McNamara,che poi continuò a mantenere ilproprio ruolo anche con l’ammi-nistrazione Johnson. Ciò che ren-deva Kennedy diverso, e soprat-tutto moderno, era la curiositàche riusciva a divenire cultura, lagrande attenzione per il linguag-gio e l’immagine, ed una nuova in-terpretazione, estremamente at-tuale per i suoi tempi, del classicomito americano della frontiera.

«La questione più spesso postaè se l’attenzione all’immagine e allinguaggio abbia finito per coprir-ne “eventuali” limiti e difetti. In-nanzitutto eliminerei il termine“eventuale”: Kennedy è stato unpersonaggio importante ma con-troverso, che non si può glorifica-re in maniera uniforme. La sua èuna presidenza incompiuta, du-rante la quale sono stati commes-si anche gravi errori politici. Dettoquesto, è evidente che l’abilità

mente unico tra i presidenti ame-ricani, contribuendone ad ingi-gantirne il mito. L’analisi del suobackground culturale e religiosoci deve far riflettere anche sul suocelebre clan: rispetto agli altrimembri della sua grande fami-glia, John era certamente il piùraffinato, e quello dotato istinti-vamente di maggior talento poli-tico. Tra i Kennedy era per moltiversi il meno legato ad alcuni ele-menti fondamentali della culturairlandese. Aveva ad esempio unaconcezione della famiglia fondatasul rispetto dell’autonomia, e unlegame con l’istituzione famiglia-re meno estremo, specie se si pen-sa al fratello Bob e ai suoi undici fi-gli.

«Ma un quadro generale dellasua matrice culturale non può es-sere completo se non si ricordache gli anni della presidenza Ken-nedy coincidono con quelli delpapato di Giovanni XXIII. Io noncredo che sia stato ancora analiz-

zato a sufficienza ilrapporto tra questidue personaggi inrelazione al legrandi novità diquel pontificato.

«Quanto a unodei momenti piùoscuri della presi-denza Kennedy —mi riferisco allaguerra in Vietnam— credo di aver di-mostrato sin da al-lora cosa pensavodi quella guerra inuna serie di artico-li con i quali vinsi ilpremio Pulitzer.Tuttavia sono con-vinto che Kennedynon avrebbe la-sciato in sospesoun situazione cosìcritica nel corsodella campagnaelettorale che sta-va per iniziare. Lacandidatura diBarry Goldwaterche si andava pro-filando gli avrebbe

dato facile gioco per una sceltanella direzione della fine del coin-volgimento militare. Si è moltochiacchierato su questo cambia-mento di strategia, sul quale cer-tamente Kennedy rifletteva e so-no state formulate anche fanta-siose ipotesi di complotto, peròmai dimostrate.

«Come cronista e storico che hastudiato il personaggio posso dir-le solo che Kennedy sapeva guida-re le proprie scelte con grandesenso di realismo politico. Daquesto punto di vista c’è da riflet-tere molto riguardo ai politici checostantemente si rifanno a Ken-nedy nel tentativo di imitarnel’approccio politico, e la speranzadi reinterpretarne il carisma. Tracoloro che si sono affacciati piùrecentemente alla ribalta è evi-dente che Clinton lo ha studiatocon attenzione, ma con esiti deci-samente alterni.

«Si vedono in giro molti aspi-ranti, ma nessun erede: il mondoè completamente diverso, a co-minciare dalla debolezza dei de-mocratici e dalla loro totale man-canza di ispirazione. Molti dei te-mi di allora, come ad esempio iconflitti razziali, hanno oggi fatto-ri nuovi e impensabili, e in un pe-riodo postmoderno un presiden-te moderno non ha alcun senso».

(Testo raccolto da AntonioMonda)

Il presidente guarda se stesso in televisione

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40 LA REPUBBLICA SABATO 8 NOVEMBRE 2003C U L T U R A

LA CLASSE

John Kennedy era abituato aindossare con la stessanoncuranza il tight,il frac (come quello che portanella foto, insieme al fratelloBob) con il cilindro, il dinnerjacket con il farfallino nero

IL CLAN

KENNEDY

DALLE CRAVATTE CHE FECERO MODA AGLI ABITI INDOSSATI CON NATURALEZZA

Fu la televisione a far vincerele elezioni presidenziali delnovembre ‘61 a John Fitge-

rald Kennedy: nei dibattiti tra luie il rivale Nixon, che era il candi-dato favorito, chi li aveva ascolta-ti alla radio preferiva Nixon, chi liaveva visti in televisione sceglie-va Kennedy, e allafine lo votò la mag-gioranza, sia pureper un minimoscarto, 49,75% con-tro 49,55%. Ken-nedy aveva 44 anni,e la nazione nonaveva mai avuto unpresidente così gio-vane; era attraentecome un attore, sa-peva dire con forzae dolcezza frasisemplici e memo-rabili, era molto ric-co, era cattolico, difamiglia irlandese,si era già schierato,da senatore, controla discriminazionerazziale ottenendola scarcerazione diMartin LutherKing.

Aveva una bellamoglie trentennedal sorriso incante-vole, due piccini di4 e un anno. Era uneroe romantico etravolgente, e an-che l’Europa, con isuoi leader canuti ocalvi, i De Gaulle e iGronchi, i Macmil-lan e i Krusciov, nerimase folgorata.Dopo la sua tragicamorte ci hanno rac-contato il lato oscu-ro suo e della sua famiglia, ma neimille giorni del suo regno, fu per ilmondo l’immagine magica, lu-minosa e rassicurante dell’Ame-rica giovane, generosa e forte, nelmomento più drammatico dellaguerra fredda e della minacciaatomica. In privato e in pubblicoJFK aveva quasi sempre vicino lamoglie, la bella signora più giova-ne di lui di 12 anni, e qualunquefossero i loro rapporti, incantava-no sempre per la complicità dasposi con cui, sorridendosi, sfio-randosi, parlandosi, toglievanoogni ufficialità anche agli incon-tri di Stato. Jacqueline Bouvier,sposata nel 1953, non divenne latipica moglie del presidente, de-dita a vegliare gli ammalati e con-solare gli orfani: il suo compito fudi rappresentare accanto al mari-to, il sogno americano di bellezzae felicità.

Abituato sin da ragazzo ai gran-di eventi della formale aristocra-

zia americana deldenaro, lui sapevaportare con lastessa noncuran-za il tight, il frac colcilindro, il dinnerjacket con il farfal-lino nero, alle cenecon il marziale DeGaulle, alle feste in

onore dello Shah di Persia e dellamoglie Farah Diba, all’incontrocon la giovane regina Elisabettad’Inghilterra. Ma poi nelle occa-sioni che contavano, a Vienna o aParigi o nella sala ovale della CasaBianca, indossava completi leg-

geri quasi sempre scuri o gessati,spesso spiegazzati: mai un dop-piopetto, mai fotografato col cap-pello (che talvolta teneva in ma-no) in testa, spesso in maniche dicamicia ma con cravatta, nelleriunioni di lavoro informali. Sem-pre con la giacca abbottonata, lapunta di un fazzoletto bianco neltaschino, non sempre le famosecravatte strette, bruttine, che di-vennero di moda anche in Euro-pa. La sua era una eleganza pocoamericana, leggermente trasan-data, morbida, quasi preArmani,portata con squisita timidezza enaturalezza, e nessuno si accor-geva che quel suo corpo scattan-te era in realtà sofferente per ma-li di schiena indicibili peggiorati

da una azione di guerra, e per quelmorbo di Addison che lo aveva re-so fragile sin dall’infanzia.

Così lo descrive, nel suo bel li-bro di memorie, Palinsesto, (FaziEditore) Gore Vidal, imparentatovagamente con Jacqueline per-ché le loro rispettive madri aveva-no sposato lo stesso miliardario:«Kennedy sembra più vecchio ri-spetto alle fotografie. Ha una fi-gura snella e giovanile, ma il visoè pesantemente segnato dall’età.Sul labbro ci sono quelle sottilirughe verticali tipiche di un’etàpiù avanzata. Di solito ha un’ab-bronzatura da sole, mentre i ca-pelli sono, come direbbe una ro-manziera, ‘castani’: con un ac-cenno al grigio. Gli occhi sono

stranissimi. Sono di un azzurroopaco, tenebroso. . .dannoun’impressione di piattezza,mentre le lunghe ciglia biondeproteggono le espressioni a piaci-mento. Le dita tozze da ragazzotendono a tamburellare nervosa-mente sui tavoli, sulle tazze e sui

bicchieri. E’ vestitoin modo impecca-bile: anche se qual-che pelo bianco delpetto gli esce dalcolletto».

Spettava a Jac-queline, abbigliataesclusivamente daOleg Cassini, (unasola volta, durantela presidenza, lotradì con una toilet-te da sera di Given-chy con la scusa difar piacere a DeGaulle durante unavisita ufficiale inFrancia), onorarela moda america-na. Divennero cele-bri i cappottini dalcollo scostato, gliabiti diritti senzamaniche col filo diperle, il cappello atamburello sullanuca, i guanti da se-ra sino all’ascella, icolori pastello, unaeleganza moltofemminile, lussuo-samente semplice.Ma era la massicciainvasione di foto-grafie sulla vita pri-vata della famiglio-la presidenzialeche incantava lagente: nella lorobella villa di Hyan-

nis Port, sulla spiaggia, sul loroyacht o sul dinghy dei bambini,immagini di felicità familiare edomestica: Jacqueline molto mo-derna in pantaloni e maglietta efoulard in testa, oppure incintadel terzo bambino che vivrà solotre giorni dell’agosto ‘63, tre mesiprima di Dallas; JFK che esce dal-l’acqua in boxer da bagno, chegioca a tennis a piedi nudi, oppu-re in perfetta tenuta da barca omentre legge il giornale con un si-garo in bocca: gesti affettuosi e fe-lici coi bambini biondi e bellissi-mi, giochi con coi cani o con la fol-la privilegiata di venti altri picco-li Kennedy, figli delle sorelle Eu-nice, Patricia, Jean e dei fratelliRobert e Edward.

Una folla magnifica di bambi-ni, l’idea di un futuro meraviglio-so, che per alcuni di loro è diven-tato tragedia, per altri, come Ma-ria Shriver, figlia di Eunice, è di-ventato Schwarzenegger. Belli ecolti, Jacqueline,laureata in lettera-tura con studi a Pa-rigi, fotografa egiornalista, JohnFitgerald laureatoad Harvard, vinci-tore di un premioPulitzer per il sag-gio ‘Profiles inCourage’, divoratore di libri, riu-scirono a convincere il mondoche non contavano solo la politi-ca e il fasto presidenziale, ma cheanche la cultura era molto gla-mour, dal momento che loro duel’amavano.

NATALIA ASPESI

STILE INFORMALE

Il presidente tiene per mano ilfiglio John Jr. Kennedy introdusse alla CasaBianca uno stile informale:niente doppiopetti o cappelli,vestiti sportivi, spezzati,giacca sbottonata

GUERRA IN MARINA

John Fitzgerald Kennedy sullamotosilurante Pt 109 da luicomandata durante la guerra.Venne affondata nel 1943 e Jfkvenne decorato. “Non hoscelto di essere un eroe: mihanno colato a picco”.

LE DONNE

Il presidente Kennedyesercitava grande fascinosulle donne e gli sono stateattribuite molte amanti.Tra queste anche celebri attrici come Marilyn Monroe, Kim Novak e Angie Dickinson

SEMPRE INSIEME

Jacqueline non era la tipicamoglie del presidente dedita avegliare malati e consolareorfani: il suo compito fu dirappresentare, accanto almarito, il sogno americano dibellezza e felicità

CON JOHN JOHN

Il presidente aveva due figli:Carolin di quattro anni e JohnJohn, di un anno, che quiabbraccia festosamente (fotoin alto) e che moriràtragicamente nel luglio 1999 inun incidente aereo

Sapeva portare con la stessanoncuranza il tight, il fraccol cilindro, il dinner jacketcol farfallino nero

JFK aveva sempre accanto la bellamoglie. Comunque fossero i lororapporti, incantavano tutti per laloro complicità e la confidenza

Era un personaggio travolgentee anche l’Europa, con i suoi leader canuti ecalvi, i De Gaulle e i Gronchi, i Macmillan

e i Krusciov, ne rimase folgorata

I CONTRIBUTI

ARTHUR M. Schlesinger Jr., ex consigliere del presidenteKennedy, è considerato uno dei massimi storici americani.Tra le sue opere, la più accreditata biografia del presidente,I mille giorni di John Fitzgerald Kennedy, e la monumentaleautobiografia Il mio secolo americano.Ricordi d’una vita(Riz-zoli).

David Halberstam, giornalista e autore di numerosi saggi,si distinse - all’epoca della guerra in Vietnam - per una seriedi reportage assai critici verso il presidente. I suoi articoli sulNew York Times fecero infuriare il presidente, che ne chiesela testa all’editore, senza ottenerla.

James Reston (1909-1995) è stato uno dei più famosi gior-nalisti americani, anche se scozzese di nascita. Premio Pu-litzer, inviato e corrispondente dall’estero, commentatorepolitico molto influente e infine direttore del New York Times.

JFK

Il futuro presidente, sui cui ilpadre aveva riposto tutte lesue ambizioni politiche

BOB, IL COLLABORATORE

Bob, nato nel 1925, sempre afianco del fratello. Anche lui fuucciso, nel 1968

JOSEPH, IL PATRIARCA

Joseph Kennedy (1888-1969)e la moglie Rose ebbero novefigli

JOE JR.

Il più grande dei fratelli, morìin guerra nel 1944 all’età diventinove anni

TED, IL SENATORE

Edward Kennedy, nato nel1932, è l’ultimo dei fratellimaschi del clan.

La famiglia Kennedy èstata un clan, unadinastia politica, dallefondamentali radicicattolico-irlandesi

BELLO, COLTO E FOTOGENICOLO STILE DI UN EROE ROMANTICO

Page 5: 2003-11-08 JFK

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Fondatore Eugenio Scalfari Direttore Ezio Mauro

Anno 28 - Numero 263 € 1,20 in Italia (con il 5° cd “AFRO BAHIA” € 8,10) sabato 8 novembre 2003

■INTERNET

www.repubblica.it A B

Lo sconcerto della Commissione per le frasi del premier in difesa di Putin: “La posizione europea non cambia”

La Ue sconfessa Berlusconi“Solo opinioni personali sulla Cecenia”. Scontro con Prodi

Kennedyil presidente

che si trasformòin mito

INuna fredda giornata di gen-naio quarantadue anni faJohn Fitzgerald Kennedy,

eletto presidente, ma non anco-ra in carica, giunse a Cambrid-ge, Massachusetts, per assisteread una riunione del Comitatodegli Ispettori di Harward. Do-po, si insediò a casa mia e tenneuna serie di colloqui per asse-gnare gli incarichi in seno allanuova amministrazione. Tra uncolloquio e l’altro, il presidenteeletto mi invitò a far parte deisuoi assistenti particolari allaCasa Bianca.

Risposi che pochi storiciavrebbero saputo resistere difronte all’opportunità di vederfare la storia di prima mano.«Non so bene», aggiunsi «checosa farò come suo assistenteparticolare, ma se pensa chepossa essere d’aiuto, mi farebbemolto piacere venire a Wa-shington». Al che il presidente-eletto disse: «Neanch’io so beneche cosa farò da presidente»,poi dopo una pausa, con perfet-to tempismo aggiunse: «Ma so-no certo che alla Casa Bianca cisarà da fare a sufficienza per te-nerci entrambi occupati».

Iniziò così l’esperienza piùesaltante della mia vita. JFK ave-va 43 anni quando assunse l’in-carico, il più giovane presidenteamericano della storia, nonchéil primo nato nel ventesimo se-colo e, ovviamente, il primo pre-sidente cattolico. Le immaginitelevisive ci hanno conservato ilpersonaggio dal fascino straor-dinario, l’intelligenza fredda,analitica, l’arguzia fulminea,autoironica (alla domanda co-me fosse diventato un eroe diguerra rispose «Fu involontario.Affondarono la mia imbarca-zione»), l’obiettività e l’ironianella visione di se stesso e dellastoria.

SEGUE A PAGINA 34ASPESI, HALBERSTAM

STILLE e ZUCCONIALLE PAGINE 33, 34, 35 e 36

BRUXELLES – È scontro tra laCommissione europea e Berlu-sconi, presidente di turno dellaUe. Dopo la difesa della posizionedel presidente russo Putin sullaCecenia e sulla vicenda Yukos, alpremier sono giunte critiche dal-l’esecutivo guidato da Prodi e dal-l’Europarlamento. Il portavocedel presidente della Commissioneha affermato che Bruxelles «noncondivide il punto di vista del pre-mier Berlusconi, né sull’affareYukos né sulla situazione presen-te o passata in Cecenia. Quelle delpresidente del Consiglio le defini-rei opinioni personali». Da Roma ègiunta la replica del sottosegreta-rio alla presidenza del Consiglio,Bonaiuti. «Chi non era d’accordopoteva parlare subito. Se la Com-missione e Prodi avevano qualco-sa da dire in contrasto con Berlu-sconi potevano farlo liberamen-te». Il portavoce del presidentedella Commissione ha rispostoche «il problema in questione» erain effetti stato sollevato «durante ilvertice» sia dallo stesso Prodi chedal commissario Ue alle relazioniesterne, Chris Patten. Sul proble-ma ceceno Bruxelles «continua adavere con le autorità russe gli stes-si problemi riscontrati in passato»,ha inoltre spiegato il portavoce.

ALLE PAGINE 2, 3 e 5

DIARIO

ARTHUR M. SCHLESINGER JR.

Fini, Follini e Berlusconi

ALLE PAGINE 6 e 7

John Fitzgerald Kennedy

Tensione nel Polo dopo l’aut aut di Bossi

No di Udc e Analla fiducia

sulle riforme

Andreotti dovrebbedifendere Violante

FRANCESCO MERLO

PER amor proprio Giulio Andreot-ti dovrebbe difendere LucianoViolante. Dovrebbe farlo per se

stesso, dovrebbe vedersi in quello co-me in uno specchio, riconoscere in luiil suo migliore autore. Se infatti cia-scuno di noi impiega una vita a cerca-re il proprio autore, “l’altro” che possadare una sostanza al nulla che siamo,ebbene Andreotti finalmente lo ha tro-vato.

SEGUE A PAGINA 15

IL CASO

Il premier: niente rimpastoma aumenterò i ministri

Abbattuto un altro elicottero: sei vittime. Una forza speciale per prendere Saddam

Iraq, i morti Usa superano quelli del ’91

L’America ignoròi rischi del dopoguerra

CARLO DE BENEDETTI

IL vicesegretario alla Difesa ameri-cano, Paul Wolfowitz, ora dice che«nessuno poteva prevedere il li-

vello di resistenza incontrato e il caosdopo l’occupazione dell’Iraq». Non èvero. Non solo lo si poteva prevedere.Ma lo si era previsto. E non in un cen-tro studi della vecchia e “stanca” Eu-ropa, ma all’interno della stessa am-ministrazione americana. Già nellaprimavera del 2002 il Dipartimentodi Stato guidato da Colin Powell ave-va avviato una ponderosa indagineper considerare ogni possibile svi-luppo nell’Iraq del dopo Saddam.

SEGUE A PAGINA 15

LE IDEE

Militare Usa a Bagdad ALLE PAGINE 10 e 11

La fuga dei cervelli: clamorosa protesta dei giovani scienziati in attesa di un’assunzione

Ricerca, la rivolta dei 1700Vincono il concorso ma non lavorano: “Via dall’Italia”

ROMA — Sono 1.700 e minac-ciano di lasciare l’Italia per an-dare a far ricerca all’estero, doveavrebbero finalmente un con-tratto duraturo e retribuzioneadeguata. Sono i “giovani cer-velli” che da un paio d’anni la-vorano con paghe da colf nelleuniversità e negli istituti di ricer-ca. Hanno vinto concorsi perposti di ruolo, ma anche que-st’anno il governo ha bloccato leloro assunzioni. Ora lancianol’ultimo appello: dateci ciò checi spetta o accettiamo le offertedei laboratori esteri. «Ci dispia-ce, non vorremmo andarcene,ma non abbiamo scelta». In pe-ricolo migliaia di progetti di ri-cerca.

DI GIORGIO A PAGINA 18

Per i film comprati all’esterochieste altre indagini su Mediaset

“Appropriazioneindebita”

nuove accuseal Cavaliere

PIERFRANCESCO FEDRIZZIA PAGINA 17

PASSAPAROLA

Quattro mesi di spettacoli dedicati al potere del petrolio. A partire da Pasolini

L’oro nero di NapoliCURZIO MALTESE

IN MOLTE religioni il nome diDio è proibito. Il dio dell’eco-nomia, della politica, della

società dei consumi, in una pa-rola il Petrolio, è il grande inno-minato negli anni delle guerrein Medio Oriente, il moventenascosto della sacra rappresen-tazione del Bene in lotta col Ma-le. “Petrolio” è anche il titolodell’ultimo romanzo di PierPaolo Pasolini, il gigantesco af-fresco cui ha lavorato dal ’73 al’75, prima di essere ucciso.

SEGUE A PAGINA 46

Grasso sulle talpe: in guerra si fucilavano

“Chi ha traditoha messo a rischiola vita dei giudici

antimafia”FRANCESCO VIVIANO

A PAGINA 21

“Oramai occupano tutti gli spazi”

Teocoli attacca:“Costanzo

Ricci e Guardìvia dalla tv”ANNA BANDETTINI

A PAGINA 45

Oggi il 5° Cd Brasil“I cantautori”

CON REPUBBLICA

L’Enciclopedialunedì l’11° volume

L’11°volumedell’operaa richiestaa soli 12,90euro in più

Il 5° cddella seriea richiestaa soli 6,90euro in più

In 200mila con la Fiom. Polemica con Cisl e Uil

Roma, sfilano le tute blu

DE GENNARO A PAGINA 9