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MENSILE 282 - 2012 - 6.50 282 Spedizione in A.P. - 45% - art. 2, comma 20/B - legge 662/96. Contiene I.P. Filiale di Torino - n.ro 5/12 Vivalda Editori, Torino.

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The Italian Magazine of Mountain - since 1985

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Il Cobat è al servizio di ogni Gestore di Rifugioper la raccolta delle batterie al piombo esauste.

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Il CoBAt raccoglie e ricicla ogni anno in Italia

oltre 15.000.000 di batterie esauste. ovunque vi sia necessità,

gli incaricati del Cobat provvedono al ritiro delle batterie che,

se abbandonate, provocherebbero seri danni ambientali.

Nell’anno internazionale delle montagne il Cobat

ha effettuato due recuperi d’eccezione operando

in ambienti e in condizioni particolarmente severe.

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Si discute di futuro dell’alpinismo. Si discute di futuro della montagna.Solo apparentemente legati.Nella realtà l’uno è separato dall’altro.Li accomuna l’incognita, ritornello che, invece, raccoglie universi diconsuetudinaria attualità.Il futuro è l’interrogativo che si pongono le persone delle cittàdell’Emilia Romagna squassata dal terremoto che, una volta di più, haindicato la fragilità del nostro Paese, indicando subliminalmente - maneanche tanto - quali siano i veri investimenti di cui l’Italia necessita:messa in sicurezza idrogeologica e antisismica, per salvaguardarepatrimonio ambientale, paesaggistico e storico culturale.Altro che Ponte sullo Stretto e galleria per il TAV sotto le Alpi Cozie!Sono nato in montagna, in Valle di Susa.Ho avuto l’opportunità, negli anni in cui sono stato lontano da ALP, dioccuparmi della montagna come amministratore e continuo a farlo. Chi ha affrontato il tema del futuro dell’alpinismo, ha sancito lanecessità di preservare un terreno di gioco che è ambiente di vitanaturale ma anche sociale.In questi anni mi sono preoccupato e occupato soprattutto di questidue.La domanda finale è sempre questa: c’è un futuro per le nostre terrealte?Interrogativo sempre più angosciante.Perché riflette l’atteggiamento dell’umanità nei confronti del futurodel mondo, a quarant’anni dal monito che venne lanciato dal Club diRoma. Su suo incarico il rapporto redatto, dal Massachusset Instituteof Technology, “I limiti della crescita”, diede indicazioni precise. Tutte,

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MMM RIPA, PARTICOLARE

editoriale

di VALTER GIULIANO

sinora, inopinatamente inascoltate. Come quelle per uno svilupposostenibile, nate vent’anni fa dalla Conferenza mondiale sull’ambientedi Rio de Janeiro.Sulla base delle conoscenze condivise a livello planetario da quegliincontri, oggi sappiamo che anche l’Umanità sta accumulando undebito, sempre meno esigibile, nei confronti delle risorse disponibili.Lo spread ambientale cresce e, a differenza di quello sancito daimercati e dall’economia - scienza sociale retta da leggi opinabili chedipendono dall’organizzazione politica e sociale - la risposta dovràseguire le regole delle leggi naturali, pure e ferree. E non ci saràdenaro che lo potrà sanare.Torniamo alla montagna, dove le differenze tra territori sono sempremeno tollerabili. C’è bisogno di ridisegnare una montagna solidale che non dispensiprivilegi ormai intollerabili a fronte di emergenze al limite dellasopravvivenza.Le caste intoccabili sono giustamente al centro del mirino di chichiede più solidarietà ed equità. Vale anche per le nostre terre alte, che aspettano di ricevere rispostecredibili.Infine un’ultima domanda: chi frequenta le alte quote per passione,per sport, per turismo, sarebbe disposto a pagare una tassa sullamontagna, come si prospetta per le città d’arte?Applicata per i centri oltre una certa quota, potrebbe essere unasoluzione per aiutare a ripianare gli scompensi di cui soffre il territoriomontano.Fornitore di risorse indispensabili, per salvaguardare le quali chiedeinvestimenti.

G. C

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ESIO

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01 ALP 282 Edito.qxp 21-06-2012 16:07 Pagina 1

1 / editorialedi Valter Giuliano

news6 / Melloblocco 2012BOULDER TRIBÙ

di Marco Destefanis

11 / Trento filmfestivalSESSANT'ANNI FESTEGGIATI IN SALUTE

di Ugo Vallantri

14 / forum alpinismoLE NUOVE RAGIONI DELL'ALPINISMO

di Barbara Goio e Camilla Visca

20 / iniziativeALPINE DATA MAPALP POWDER PHOTOCONTEST

24 / libriTRE GRANDI CLASSICI INDISPENSABILI

di Ugo Vallantri

27 / libri segnalazioni

30 / i classici di Alp-fotografiaALPINISMO EROICODI GABRIELE BOCCALATTE E NINÌ PIETRASANTA

di Giuseppe Garimoldi

34 / arrampicataPure Vertical

di Maurizio ‘Manolo’ Zanolla

42 / intervistaDAVIDE CARRARI, VERTICALMENTEDÉMODÉ

di Giulio Caresio

46 / SCHEDA GIALLA

50 / musei della montagnaMessner Mountain MuseumL'EREDITÀ DELLA MONTAGNA - 6a PUNTATA RIPA

di Valter Giuliano

60 / arrampicataFinaleLA VAL CORNEI: NEVER SAY NEVER

di Christian Roccati

68 / SCHEDA GIALLA

70 / escursionismo La Valle CrosiaTERRA DI ASTRONOMI, DI SCRITTORI E ANCHE DI ALPINISTI

di Alessandro Lasagno

75 / SCHEDA GIALLA

76 / una splendida giornataIL DEBUTTOa cura di Paolo Campagnoli

78 / ritratti di Alp THIS WILL DESTROY YOU: EDMONDO DEAMICIS

di Daniela Zangrando

80 / roboclimberRoberto ZanniniL'ARRAMPICATORE E IL SUO REPLICANTE

di Luciano Santin

82 / alpinismoBhagirathiSOFFICI BIANCHE EMOZIONIdi Daniele Nardi

94 / vetrina

Manolo su Roby Present (foto P. Calzà)

sommario 282ANNO 2012

> IN COPERTINAMaurizio ‘Manolo’ Zanollasu Roby Present(foto P. Calzà)

Sisifo felice

«La bellezza non è l’obiettivo degli sportdi competizione, ma lo sport di alto livello è uno degli ambiti in cui la bellezza umana ha le maggiori probabilità di esprimersi […] la potremmo chiamare bellezza cinetica. La sua forza e il suo fascino sono universali».

David Foster WallaceFederer as religious experience, New York Times20 agosto 2006

[email protected]

02 ALP 282 Somma.qxp 26-06-2012 12:22 Pagina 2

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all in? monte civetta, italia - ore 18:27Ecco il momento che rende indimenticabile una scalata. Chimera Verticale (7c): Flo e Jakob superano il punto più critico giusto in tempo per affrontare il resto della scalata. Condividi anche tu la tua avventura per vincere un’esperienza terrex™.

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NEWS BOULDERTRIBÙ

LO SLOVENO KLEMENBECAN SUPERA LA PANCIADI SALL ON ME

A SINISTRA DALL’ALTOCRASHPAD IN SPALLA SIPARTE ALLA RICERCA DI UNMASSO DA SALIRE,SLACKLINE IN NOTTURNA,ROBERTA LONGO SALE LADAMA DEL SOLE

06 ALP 282 new.qxp 21-06-2012 11:23 Pagina 6

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boulderNEWS

di MARCO DESTEFANIS

MELLOBLOCCO2012

W S

A questa nona edizione dell’oramai più celebre appuntamento per boul-deristi si sono preiscritti in 2700: arrivano da tutta Europa insieme adalcuni degli scalatori più forti in circolazione. Ondra, Sharma, Di

Giulian, Coxsey, Zangerl, Stöhr, Caminati, Moroni, Gullsten, Calibani, Fischhu-ber, Puigblanque, Becan e tanti altri. Una lista di nomi impressionante. Poi il

meteo si mette di traverso e la pioggia flagella i sas-si e i prati per due giorni interi. Non si bagnano sol-tanto le uscite dei sassi, l’acqua permea la roccia ecola anche sotto agli strapiombi. Si rimane bloccatiper due giorni su quattro, quelli del week-end.Chiedo a Simone Pedeferri (tracciatore storico deiblocchi di gara) se non è un po’ deluso di non avervisto scalatori all’opera sulle sue creazioni. «In par-te sì, indubbiamente è stata un’edizione eccezional-mente piovosa». Da scalatore capisce bene la fru-strazione di persone venute da tanto lontano che ri-mangono inoperose a ciondolare al Centro Polifun-zionale. Ma la sua è una visione più ampia di cui ilMelloblocco come evento è solo una piccola parte. Da quasi un decennio, anno dopo anno, “dipinge”un nuovo settore di gara e, anche se le grosse areesono già state esplorate, a sentir lui rimangono an-cora molti singoli massi da sfruttare. Il suo lavoro comincia quando vede una linea di sca-lata e in questo - confessa - è parecchio bravo. Dopo

anni di esperienza intuisce dove una lama si romperà lasciando spazio a una pre-sa, quando ancora il masso non è pronto e dove anche i suoi collaboratori stenta-no a vedere un passaggio. Poi viene la pulitura. Con l’aiuto di una squadra di dieci persone regola il sotto-bosco, elimina il muschio dal sasso, le tacchette e le scaglie friabili, spiana la ba-se dei massi e traccia i sentieri. Il regalo di quest’anno è stato la pulitura dell’areaBregolana, lungo la strada che porta ai Bagni (altro settore già sfruttato, eppuresempre da scoprire, vista la spessa coltre di muschio che copre rapidamente ognisasso). Vicino al campeggio e più su, dove cominciano i tornanti, sono stati rea-lizzati ben 10 blocchi di gara e un’infinità di passaggi di tutti i gradi.

TRA PIOGGIA E BIRRA VERSOIL DECENNALE DELL’APPUNTAMENTOIN VAL DI MELLO

PEDEFERRI SEGNA LA PARTENZA SU UN BLOCCO DI GARA

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NEWSboulder

IN SENSO ORARIO UN SACCHETTO PORTA-MAGNESITE,

YULIA ABRAMCHUK (RUSSIA) SCALA QUARZO LIQUIDO,

IMPRONTE DI MAGNESITE,SCENE DALLA GRANDE FESTA

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NEWSboulder

Ma anche chi non ha potuto scalare e neppure vedere all’opera itanti big presenti non è scappato alla ricerca di una falesiaasciutta. Perché il Melloblocco ormai non è più soltanto un’oc-casione per scalare, è un appuntamento fisso che si ripete annodopo anno e come tutti gli eventi ha sviluppato i suoi riti, le sueabitudini. Al Mello funziona così, si resta per celebrare una fe-sta. Per scalare ci sarà tempo, un altro fine settimana, così comeper godere della pace e del silenzio dei monti. Adesso non im-porta trovarsi uno attaccato all’altro con le tende che occupanoogni metro quadro disponibile (possibilmente senza rubarlo alpascolo, onde non litigare con i proprietari dei terreni). Non im-porta avere i piedi bagnati o pigiarsi nei furgoni navetta che sal-gono e scendono le valli pieni di persone e crash pad (e qui vor-rei che chi non lo ha mai fatto provasse a inserire un paio di que-gli affari nel bagagliaio della propria auto, poi ne riparliamo!).

A DESTRA LA NOVARESE IRENE BARIANI (TERZA IN CLASSIFICA FINALE) SCALA MELLOSPIGOLO,

QUI SOTTO SI APPROFITTA DEI MATERASSINI PER UN MOMENTO DI RIPOSO

E LA SCRITTA "MELLOBLOCCO" PROIETTATA COME SEGNALE LUMINOSO SULLE PARETI DI ROCCIA

06 ALP 282 new.qxp 21-06-2012 11:23 Pagina 9

La tribù che si è spostata in valle non ha voglia di fare i baga-gli. Si ripara sotto i sassi che avrebbe dovuto scalare, accende unfuoco, tenta ugualmente un passaggio. Ci si dà alla griglia, aipizzoccheri, alla birra. Alla sera ci sono i concerti e le feste.Con un po’ di esitazione chiedo a Simone cosa ne pensa di un’i-potesi che ho sentito circolare sabato e domenica, durante igiorni della frustrazione. «Pensi che avrebbe senso preparare ipassaggi di gara in modo da poterli rapidamente coprire con untelo impermeabile all’occorrenza?». «Mmm, forse sì, perlome-no permetterebbe a chi ha fatto tanta strada di fare qualcosa». In fondo la manifestazione è cresciuta moltissimo e anche l’ar-rampicata è cambiata: il bouldering è un settore in crescita ed è

anche grazie agli sponsor che tanti atleti titolati vengono porta-ti in valle. «Per ogni cento boulderisti ci saranno al massimo 10rocciatori che vengono a ripetere le vie lunghe. E anche se ilmio interesse principale è rivolto alle vie di montagna, mi pia-ce quello che la manifestazione mi permette di fare. Quando siscalano i blocchi, invece di scavarli nelle cave, si ridà valore alterritorio, si salva la natura della valle».L’anno prossimo il Melloblocco compirà 10 anni. Simone miconfida di avere già alcune idee in proposito, ma per ora ri-mangono top secret. Noi speriamo nel sole, la festa in ogni ca-so ci sarà.

NEWSboulder

IL GECO TATUATO È ANIMALE D’ISPIRAZIONE PER UNARRAMPICATORE

A DESTRA IN PARTENZA SU LA DAMA DEL SOLE

IN BASSO CONCENTRAZIONE AL MASSIMO PER TENERE LE PICCOLE TACCHETTE DI QUARZO LIQUIDO

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Equello che all’origine poteva sembrare un canzonatorioparagone per stigmatizzare l’effetto passerella che, si os-

servava criticamente, tendeva a prevalere sui contenuti, oggisuona come complimento per la capacità di raggiungere unequilibrio tra l’uno e gli altri.In sessanta edizioni ha raccontato intere epoche, con le storiedei loro protagonisti, siano essi eroi o semplici appassionati de-gli spazi vitali dell’alta quota, della natura selvaggia, della soli-tudine estrema. Ha testimoniato tendenze, filosofie, pensieri,evoluzioni tecniche e sociali, mutazioni ambientali e ideali, tradissacrazioni e rispetto, innovazioni e memoria. Sfogliandonel’album sorge spontanea la sceneggiatura di un nuovo film ca-pace di raccontare un mondo, il nostro, percorso da romantichepassioni, accese tensioni, dolorose tragedie e straordinari tra-guardi. In fondo null’altro che la storia di una umanità che per stradediverse insegue, con speranza e tenacia, il senso della vita, e cheper farlo sceglie universi diversi, a volte solo apparentementedistanti.Anche questa edizione, al di là del concorso cinematograficoche ogni anno non può far altro che registrare la vitalità, più omeno vispa, del settore, ha saputo offrire spunti di un certo in-teresse.Ma cominciamo con le notizie sul concorso, la vera ragione diesistere del Festival. Alla serata del Teatro Sociale, conclusa con un claudicante re-cital teatrale dedicato a Dino Buzzati, sono stati premiati, conle Genziane, film mediamente di qualità discreta. Ne diamo conto nel box. Data la notizia, ci permettiamo un commento. Riguarda un ti-tolo sul quale ci soffermiamo in un’altra sezione della rivista(cfr. Pure Vertical). Parliamo di Verticalmente démodé, protagonista Manolo. In questo caso non sono però solo il personaggio e l’impresa afare notizia; è il linguaggio cinematografico complessivo che fala differenza, per la scrittura narrativa originale ben trasferitanelle immagini.

Compleannofesteggiato in salute

E veniamo ai gustosi contorni, tra cui scegliamo due momentiparticolari: la serata di venerdì 4 maggio, condotta da ReinholdMessner sul tema “Sessant’anni di alpinismo, sessant’anni diFilmfestival”, ha visto chiamati sul palco quelli che secondo ilre degli Ottomila sono stati i nomi simbolo, rappresentativi del-l’alpinismo degli ultimi decenni. Come tutte le scelte, criticabile; ma sicuramente autorevole. Ecco le prime scelte di Messner:

NEWSTrento filmfestival

di UGO VALLANTRI

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DA SESSANT’ANNI TRENTOÈ LA CANNES DELLA MONTAGNA

IL REGISTA RUSSOVICTOR KOSSAKOWSKI

SOTTO UN’IMMAGINEDI ¡VIVAN LASANTIPODAS!,VINCITORE DELLAGENZIANA D’ORO(FOTO ARCH. TRENTOFILMFESTIVAL)

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Anni Cinquanta: Rolly Marchi, arzillo novantunenne, che salesul palco e abbraccia volentieri Catherine Destivelle, per rap-presentare un decennio che nelle parole di Messner è stato se-gnato dai personaggi di Cesare Maestri e Joe Brown, presenti invideo.Parole commosse per Walter Bonatti, ed ecco Armando Aste inrappresentanza degli anni Sessanta: nel ‘62 è lui a guidare laprima italiana alla Nord dell’Eiger.Per gli anni Settanta la scelta ricade sull’austriaco AlbertPrecht, capace di passare dall’alpinismo delle staffe e degli scar-poni alla libera, inanellando oltre mille prime salite.Grandes Jorasses, Eiger e Cervino: il primo concatenamento in24 ore, nel luglio del 1985 e in 40 ore e 54 minuti in invernalenel marzo di due anni dopo sono valsi a Christophe Profit la

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NEWSTrento filmfestival

nomina a simbolo degli anni Ottanta.Sul gradino più alto per gli anni Novanta sale la prima donna,Catherine Destivelle, capace di salire in invernale la Nord del-l’Eiger e di aprire nel giugno del 1991 una nuova via in solita-ria sul Petit Dru.Per l’anno del Millennio, Messner chiama sul palco il tedescoAlexander Huber, che si presenta con filmati da brivido men-tre danza, sulla verticale, in libera e in solitaria.Per il decennio appena trascorso che si apre al futuro, non è piùsolo una presentazione: si tratta della “benedizione” del valdo-stano Hervé Barmasse e di Simone Moro, rappresentato sulpalco dal fedele compagno di cordata Denis Urubko.Ancora Reinhold Messner a dirigere l’orchestra nella puntataextraterritoriale, che ha concluso la manifestazione nel “suo”

Genziane agli antipodi

TUTTI I PREMIATI DEL 60°FILMFESTIVALImmagini straordinarie e un’ideaingegnosa: rappresentare la vitaagli “antipodi” del pianeta. È stata questa originale abbinata,tradotta su un piano artistico inmodo impeccabile, a convincere lagiuria internazionale, incaricata diassegnare ad assegnare tra le 26opere selezionate per il concorsointernazionale, con giudiziounanime a ¡Vivan Las Antipodas!,diretto dal regista russo VictorKossakowski, la Genziana d’OroGran Premio Città di Trento del

60° TrentoFilmfestival. Una festa nel segno del grandecinema (e soprattutto di qualità)quella per i sessant’anni della“madre” di tutti i festival dimontagna al mondo, ma anchedel grande alpinismo riunito aTrento (e anche a Bolzano) perdare voce e visibilità ai protagonistidelle generazioni e delle scuoleche si sono succedute in questisessant’anni, da Aste ad AdamOndra, per capirci. Ritornando ai premiati, siconferma tra i documentaristi piùsensibili e talentuosi la giovaneMarianne Chaud: con La nuitnomade girato tra le tribù nomadidel Ladak, si è aggiudicata la suaterza Genziana d’oro, cioè ilPremio della Città di Bolzano per il

miglior film di esplorazioneavventura. La Genziana d’oro del Club AlpinoItaliano al miglior film di alpinismoritorna invece in Italia grazie alregista Davide Carrari (l’abbiamointervistato, vedi pag 42) e al suoVerticalmente démodé, unraffinato bianconero per fissare ilgesto dell’arrampicata nella suaespressione più alta, quella“creativa” di Manolo. Le tre Genziane d’argento sonoandate a La vie au loin di MarcWeymuller per il migliorcontributo tecnico artistico; a Lavoie Bonatti di Bruno Peyronnet,quale miglior mediometraggio«capace di collegare attraversouna corda sottile l’eroica epocadell’alpinismo e le sfide affrontate

dagli scalatori contemporanei(concatenare le più belle vie diBonatti nel gruppo del Bianco,NdR), offrendo una prova evidenteche lo spirito di Bonatti èfondamentale per raggiungere lavetta»; a Cold di Anson Fogelcome miglior cortometraggiocapace di mostrare la verasofferenza e la sopravvivenzadurante una ascensione invernaledi un Ottomila. Serate alpinistiche con il tuttoesaurito (5000 presenze), incontrisempre affollati, proiezionipomeridiane e serali da sold out(spettatori alle proiezioniincrementati del 20 per cento). Un traguardo così importante nonpoteva essere festeggiato in modomigliore. M.B.

MESSNER CON GLI OTTO RAPPRESENTANTIDELL’ALPINISMO DEGLI ULTIMI DECENNI:DA SINISTRA,CHRISTOPHE PROFIT,ALBERT PRECHT,ARMANDO ASTE,ALEX HUBER,CATHERINE DESTIVELLE,ROLLY MARCHI,LO STESSO MESSNER,HERVÉ BARMASSE,DENIS URUBKO (FOTO ARCH. TRENTO FILMFESTIVAL / D. PANATO)

NELLA PAGINA A FIANCO, IN ALTO LA LOCANDINA DEL FILMVERTICALMENTE DÉMODÉ

SOTTO DA SINISTRA,HERVÉ BARMASSE CON ADAM ONDRA E REINHOLD MESSNER (FOTO ARCH. TRENTO FILMFESTIVAL / D. LIRA)

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NEWSTrento filmfestival

castello di Firmian, sede del nucleo principale del MessnerMountain Museum. Per il forum internazionale “Quo climbis?”, organizzato in colla-borazione con l’IMS di Bressanone all’insegna della parola d’ordi-ne «Discutendo proveremo a salvare l’alpinismo», ha chiamato araccolta, per un confronto, “alpinisti di prima classe”.Ma ne parliamo a parte, in uno spazio che dà conto dei pensie-ri e delle tendenze dei nuovi protagonisti dell’alpinismo e del-l’arrampicata.Ci basti qui osservare che, certo non per colpa sua, il ricono-sciuto carisma di cui gode non solo l’atleta, ma il pensatore, hafinito con il pesare sul tavolo dei relatori imponendosi e di fat-to riducendo a comprimari consenzienti gli alpinisti chiamati aesprimere il loro pensiero.

La presenza di ALPOSTANA È VIVA, VIVA OSTANASono stati molti i visitatori dellamostra “Viva Ostana, Ostana Viva”,che si è tenuta nel foyer dell’audito-rium Santa Chiara, durante l’ultimaedizione del Film Festival di Trento,organizzata dal Comune di Ostanacon ALP, a cura di Sergio Beccio. Soprattutto giornalisti e addetti ailavori, dal momento che le fotofacevano da cornice ai tavolidell’ufficio stampa e dei monitor perla visione delle opere in concorso.Le immagini, raggruppate in 34pannelli, riproducono le tappefondamentali di un paese già familiareagli appassionati di cinema dimontagna: Ostana, il Comunesoggetto del film di Giorgio Diritti Il vento fa il suo giro, che ha riscossoun lungo quanto insperato successonelle sale di tutt’Italia.Grazie all’intraprendenza degliamministratori locali e alla coralecollaborazione della popolazione, ilpaese di Ostana in pochi anni ècambiato e ancora sta cambiando. Sono state avviate e completate molteristrutturazioni assolutamenterispettose della tipologia architettonicalocale e, inoltre, un programmafinanziato da Enti pubblici hapermesso l’inserimento operativo dinuove attività che torneranno arendere viva una realtà colpitaduramente dallo spopolamento apartire dagli anni ‘60.In tempi in cui si propone di chiuderei Comuni di montagna, ci troviamoservita su un piatto d’argento unadecisa smentita alla teoria che nonconviene investire in aree marginali,pregiudizialmente ritenute senzasperanze. Qui c’è stato qualcosa in più dellasperanza. Ci sono stati investitori che hannomesso in piedi nuove attività, prezzi

delle case in aumento, idee perl’insediamento di nuove formeproduttive, come quella di GiorgioDiritti stesso, che vi insedierà unascuola di cinema di montagna. Ma la soddisfazione maggiore, quellache fa emozionare il sindacoGiacomo Lombardo quando ne parlain pubblico, sta nell’aumentograduale della popolazione: è tornatolo scuolabus, ci sono di nuovobambini in paese!Intanto la mostra ha avuto un primorisultato concreto: Luca Gadenz, ilsindaco di Sagron Mis, Comunetrentino ai confini col Veneto, ha vistoin Ostana un caso simile al suo, unasituazione di contrattacco alla teoriadella chiusura. È già salito a Ostana in occasione delrecente Premio Ostana. Scritture inlingua madre, premio letterariodestinato agli autori nelle lingueminoritarie: magari si scoprirà chedarsi da fare rende, anche inmontagna. Unire le forze, far sentirela propria voce insieme, dimostrareche gli sprechi sono altrove. Affollata la conferenza stampa dipresentazione della mostra che si ètrasformata, anche per questemotivazioni, in una sorta di momentoseminariale con una riflessione che havisto protagonisti al tavolo, moderatidal direttore di ALP Valter Giuliano, ilsindaco di Ostana GiacomoLombardo, quello di Vallarsa, nonchéprofessore di economia montanaGeremia Gios, i registi Giorgio Diritti eFredo Valla, l’editore Giorgio Vivalda eil past president del CAI AnnibaleSalsa. Dopo il saluto del Presidentedel Filmfestival, Roberto De Martin, il“caso Ostana” è stato letto in tutte lesue sfaccettature: dal recuperodell’orgoglio culturale, al rilancioeconomico; dalle nuove opportunitàinsediative al ridisegno urbanistico, alricorso a fonti energetiche rinnovabili. Una pianificazione programmata neltempo con attenzione e sempre inchiave di sostenibilità. �

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Alla ricerca dei ValoriDurevoli dell’alpinismo

Note su un convegno/conversazione di fine ottobre con

famosi alpinisti, tra frammenti di intimità e architetture

filosofiche (a casa di Heinz Grill, con Maurizio Giordani,

Marco Furlan, Ivo Rabanser, Giovanni Groaz,

Roberto dall’O, Paolo Gorini e Michele Ghelli del

Gruppo Monodito di Ferrara)

Cosa resta, dopo? È forse la domanda che si pongono tuttiall’inizio di una nuova e inafferrabile storia d’amore, o

anche mentre si deve decidere se accettare un lavoro di cui si saancora poco. È invece un problema che raramente interessa gli alpinisti, tut-ti tesi verso la vetta e verso sempre nuove e stimolanti impre-se, più difficili, più lontane. È quindi raro che si senta, forte, il desiderio di fermarsi,aspettare un attimo e domandarsi quali sono “I valori dure-voli dell’alpinismo”, il nucleo che è alla base di tutto e di cui si

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NEWSforum alpinismo

Le nuove ragioni dell’alpinismoTRA VALORI DUREVOLI E NECESSITÀ DI SALVAGUARDARNEI TERRITORI DI ESERCIZIO

di BARBARA GOIO e CAMILLA VISCA

Alpinisti e arrampicatorisentono sempre piùfortemente la necessità di interrogarsi sul futuro dellaloro attività e su quali spazifisici e mentali rimangano a chi continua a fare di paretie alte quote il terrenoprivilegiato per esplorazione,avventura, gioco,conoscenza...La “chiamata” di Messner e una precedente riunione più “intimista”, fornisconoelementi preziosi per cercaredi fare il punto.

SOPRA REINHOLDMESSNER A COLLOQUIO CON IVO RABANSER (FOTO I. RABANSER)

A FIANCO MAURIZIOGIORDANI (FOTO ARCH. GIORDANI)

NELLA PAGINA A FIANCOUN MOMENTODELL'INCONTRO FRAROCCIATORI, A TENNO (FOTO B. GOIO)

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sente la responsabilità di passare il testimone: per questo ha as-sunto particolare significato un incontro tra rocciatori ospitatoa Tenno nella casa di uno tra gli scalatori più determinati e in-sieme più spirituali che ci siano in giro, Heinz Grill. È accaduto così che in una splendida sera di fine ottobre, nellafortezza a toni pastello incastrata nel cuore storico dell’anticoborgo di pietra di Tenno, a picco sul Lago di Garda e a pochichilometri dalla “valle della luce”, la Valle del Sarca dove ilclimber tedesco ha aperto un ampio ventaglio di vie, si sonoconfrontati alcuni fortissimi alpinisti dei nostri giorni: c’eranoMaurizio Giordani con la sua passione per la Marmolada, lastorica cordata di Marco Furlan e Ivo Rabanser, l’ineccepibileGiovanni Groaz che si è inoltrato in una sorta di lectio magi-stralis sulle virtù aristoteliche; e ancora l’entusiasmo individua-listico di Roberto dall’O e la passione travolgente di Paolo Go-rini e Michele Ghelli del Gruppo Monodito di Ferrara; e infineil padrone di casa che, come si conviene, ha voluto restare unpo’ nell’ombra, quasi che la sua presenza servisse soprattutto acreare le condizioni ideali per un simposio pacato ed esplorati-vo. «Dovete immaginare - ha detto la coordinatrice dell’incon-tro Johanna Blumel - di avere una parete davanti a voi, e ognu-no può scegliere il percorso che più gli aggrada, scelto in basealla propria conoscenza e indole». E così è stato: e un poco ci si è stupiti tutti nel vedere uominifatti e finiti, con milioni di metri di dislivello nelle gambe e unamarea di esperienze estreme sulle spalle, commuoversi per lapoesia di un figlio, condividere profondità teoretiche o espri-mere in maniera così calda e limpida il senso di amicizia pro-fonda che lega un compagno di cordata. Alla fine la risposta alla domanda su cosa resta dopo, è una emolteplice: permangono dei valori intimi e condivisi che colle-gano come in una rete invisibile tutti quelli che vanno per mon-ti; e quali essi siano dipende soprattutto da ciò che si ha vissutoperché, come è stato più volte ribadito, l’alpinista è fondamen-talmente un individualista, spesso egoista, più volte prigioniero

di un rapporto quasi esclusivo di profondo amore e devozioneper la Montagna. E resta, sempre, un legame arcano tra la pro-pria anima e il mondo delle vette, non importa quanto siano al-te e difficili da raggiungere.Erano circa 150 le persone, alpinisti, appassionati e anche sem-plici curiosi, che affollavano la grande stanza a volte nella casasenza spigoli di Heinz Grill, luogo d’armonia e riposo volutacon tenacia da uno che ha aperto moltissime vie, apprezzate so-prattutto per la linea pulita e armoniosa. Ed ecco, che dai di-versi interventi è risultato come il fattore estetico sia senza dub-bio uno dei valori durevoli di cui tenere conto, la bellezza in-trinseca delle montagne e lo stile con cui si traccia una via. «Sela grande emozione, la gioia pura, con cui si conquista una vet-ta - ha spiegato Giordani - è destinata a svanire nel tempo, a re-stare confinata nel mondo dei ricordi, è la via stessa che resta eche può essere considerata come una sorta di opera d’arte». Ese il tempo del successo dell’impresa alpinistica resta “un mo-mento eccezionale”, quando si pensa al fluire del tempo, va ri-cordato come «ciò che resta non è l’emozione con cui un’operad’arte è stata concepita, ma l’opera stessa», tanto che «bisognasaper leggere le tracce scolpite nella roccia e nella storia dell’al-pinismo».Anche per Groaz uno dei Valori Durevoli è senza dubbio la fe-licità nell’ammirare le montagne, quella “contemplazione” dicui si fa interprete anche Dante («Perché non sali il dilettosomonte ch’è principio e cagion di tutta gioia?», Inferno, Canto I)e di cui l’essere umano ha un desiderio irrefrenabile. Ma l’alpi-nista trentino non si ferma qui e, dopo aver illustrato il signifi-cato delle sette virtù etiche (liberalità, magnanimità, mansuetu-dine, franchezza, coraggio, temperanza e soprattutto giustizia)e le cinque virtù dianoetiche (arte, saggezza, sapienza, scienzae intelletto) secondo la puntuale logica aristotelica, traccia unparallelismo tra queste e la storia dell’alpinismo. E così se aiprimordi, ai tempi delle prime conquiste del Monte Bianco, amuovere gli esploratori era l’amore per la scienza e per la con-templazione-arte romantica, nella seconda metà dell’Ottocento,con la nascita del Cai e l’istituzione delle prime guide alpine,hanno prevalso la predilezione per la giustizia e la liberalità. Nel Novecento, invece, hanno trovato spazio prima il coraggiodi chi ha voluto osare in condizioni sempre più difficili e l’intel-letto degli scalatori orgogliosi della propria patria, e più tardi lascienza di esploratori curiosi di sondare i propri limiti e la tem-peranza di chi non vuole rischiare inutilmente la propria vita.E adesso? «Prevalgono mansuetudine, intesa come serenità d’a-nimo - conclude Groaz - e ancora temperanza. Senza dimenti-care la contemplazione, che tuttavia andrebbe accompagnata al-la liberalità, intesa come l’atto con cui una parte arricchisce l’al-

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lude cresciuto all’ombra del Cadore, a sottolineare che «lamontagna non è assassina, mai» e che se ci sono insegnamentida trasmettere, valori da evidenziare, tra questi non possonomancare «gratitudine, prudenza, gioia, entusiasmo, tradizione,rispetto per l’ambiente». L’intervento di Heinz Grill era atteso con curiosità. «In un momento storico in cui quasi tutte le montagne sonostate scalate - ha spiegato - fare il punto su cosa sia durevole èuna domanda importante per l’alpinismo». Il rocciatore haquindi fatto ricorso alla mentalità analitica tedesca: «Va fattauna distinzione - ha spiegato - tra sensazione ed emozione.Mentre quest’ultima (Emotion) è potente ma è destinata a sva-nire, la sensazione (Empfindung) ci mette in contatto con la no-stra anima e fa da guida: l’emozione sono le onde del mare,mentre la sensazione è l’acqua profonda». Secondo Grill, i roc-ciatori sono degli individualisti che sulle pareti riescono a ma-turare. «E, dopo, hanno più amore per la vita».Per una volta dunque sono stati messi da parte orgogli e riven-dicazioni di casta per cercare un terreno comune di dialogo,con la consapevolezza che, davanti alla montagna, quello cheresta è l’essere umano, in tutta la sua semplice complessità. Unico appunto agli organizzatori, forse, la mancanza di inter-locutori donne: ma, si sa, sull’interrogare se stessi l’altra metàdel cielo è diversi tiri sempre più avanti.

Barbara Goio �

tra senza aspettare nulla in cambio, solo per piacere personale,senza fini di lucro. Questo spezzerebbe una volta per tutte lamaligna spirale degli sponsor, delle polemiche e dei veleni». Il silenzio che aveva accompagnato la lunga dissertazione, è sta-to così interrotto da un commosso ed eloquente applauso.L’amicizia, prima di tutto. Questo in estrema sintesi il messaggio di Marco Furlan e IvoRabanser, in cordata a parlare, come sulle vie di montagna. PerFurlan i valori che lasciano il segno possono essere tecnici, am-bientali, culturali, ma quelli che a lui importano sono soprat-tutto quelli umani. E sulla stessa linea si articola anche il ragionamento di Raban-ser, con un pizzico di cinismo in più: «L’alpinismo - ha soste-nuto il grande scalatore gardenese - è egoista e inutile, un’atti-vità che si fa a pancia piena». E negli ultimi tempi è stato “estre-mizzato”. Ma ciononostante offre l’opportunità di «provarel’orgoglio di lasciare una traccia». Infine, è luogo di rapportiumani, di storie condivise, e qui forse più che altrove vale unvecchio detto di Epicuro secondo il quale «non abbiamo biso-gno dell’aiuto degli amici, ma della certezza del loro aiuto».Squisitamente individualistica l’esperienza invece di Dall’O,che ha più volte ribadito come il suo rapporto con la montagnasia simile a quello con una «amata che mi respinge sempre». Equesto, ha precisato il climber, gli piace perché è qualcosa di in-finito. «Solo andando in montagna - ha spiegato - ho capito mestesso: una volta fuori dalle difficoltà, scopro cose di me che nonconoscevo. Per esempio, io sono sicuro di essere ateo, eppure inmontagna mi è capitato di parlare con Dio». Quanto ai rischi,alla morte, ai pericoli, non c’è problema: «Quello che la monta-gna mi dà è di gran lunga superiore al valore della mia vita».Anche Ghelli ha parlato di un “debito” nei confronti dell’alpi-nismo, ma lui preferisce saldarlo trasmettendo il proprio amo-re e passione alle giovani generazioni, al figlio di dieci anni cheproprio nella zona del Sassolungo ha scritto una bellissima poe-sia: le parole del ragazzino proiettate sul muro di casa Grillhanno profondamente emozionato i molti presenti. Sempre da Ferrara, la città più lontana da ogni montagna, vie-ne Paolo Gorini, chirurgo e appassionato di alpinismo. Quelloche resta è semplicità assoluta: «Vi propongo - ha esordito - ildialogo tra due ragazzi, Eliana e Marco (lei figlia del gestore Col-dai, lui alpinista dei Ragni di Lecco, entrambi scomparsi in Pata-gonia NdA): “Perché vai in montagna? E tu, perché respiri?”Ecco il valore dell’alpinismo». Ci tiene, Gorini, alpinista di pa-

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HEINZ GRILL (FOTO ARCH. GRILL)NELLA PAGINA A FIANCO IL TAVOLO

DEI RELATORI (FOTO ARCH. GIVA)

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pinisti interessati, registrandosi presso la segreteria del festival,possono partecipare e dire la propria opinione». Firmato Rein-hold Messner.E quando c’è di mezzo lui, state pur sicuri che non si rischianobanalità.Aggiungete la presenza, al tavolo dei relatori, di Hervè Bar-masse, Hans Peter Eisendle, Alexander Huber, Robert Jasper,Heinz Mariacher, Roger Schäll, Denis Urubko: e si può pregu-stare un menù davvero appetitoso.La premessa di Reinhold arriva subito al cuore del problema.La montagna, da sempre luogo di avventura, rischio e speri-mentazione dell’impossibile, terreno di prova che consente ilconfronto con se stessi, con i propri limiti, per provare emozio-ni uniche, rischia di essere banalizzata. E con ciò cancellare,tutte insieme, queste possibilità. Qual è l’alpinismo corretto? Chi deciderà chi ha diritto di fareparte dell’élite degli alpinisti? Come si può salvare la monta-gna? Chi ha questa responsabilità?«Oggi dobbiamo distinguere tra consumo ed esperienza. L’al-pinismo inizia dove il turismo finisce, ma oggi il turismo va si-no alla vetta dell’Everest. Dunque bisogna far capire - e i gior-nalisti devono aiutarci nel far assumere consapevolezza di ciò -che non si può certo vietare di acquistare un pacchetto turisticoche ha come meta la vetta del tetto del mondo; ma questo non

Quo CLIMBis?Discutendo proveremo a salvare l’alpinismo

L’appello per la chiamata a raccolta di alcuni tra i più bei no-mi dell’alpinismo, era piuttosto stimolante: «Ogni anno

noi scalatori dovremmo avere un’occasione per incontrarci eparlare del futuro dell’alpinismo, che è divenuto da tempoun’attività globale. Abbiamo pensato di riunirci in una sorta dicampo base a Castel Firmiano il giorno dopo il Filmfestival diTrento, il più internazionale dei festival legati al mondo dellamontagna e dell’avventura. Domenica 6 maggio discuteremo di dove sta andando l’alpini-smo durante il forum intitolato “Quo CLIMBis?” Un avveni-mento che per la prima volta lega in cordata, una bella cordata,il mio museo della montagna, Messner Mountain Museum, ilFilmfestival di Trento e l’Ims di Bressanone, una manifestazio-ne che negli ultimi anni ha promosso discussioni sui temi piùattuali della montagna.All’incontro parteciperanno alpinisti di prima classe. Con loro discuteremo, parleremo di come provare a salvarel’alpinismo. Se lasciamo che l’alpinismo diventi puro sport, la montagna nonpotrà più essere un luogo che offre valori agli uomini. Coltivandola pura attività dell’arrampicare miglioriamo le nostre prestazio-ni sportive e agonistiche, ma non comprendiamo quanto, nel con-frontarci con gli spazi selvaggi, la natura umana possa dare.La discussione è aperta e libera, non ci sono divieti e tutti gli al-

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avrà mai significato di esperienza perchè ilmeccanismo prevede, a fronte della tariffacorrisposta, una totale cessione di responsa-bilità che non sta più a chi sale, ma all’or-ganizzazione cui ci si affida totalmente».L’ultimo secolo è stato una corsa alla tra-sformazione delle aree montane in territo-rio per il turismo con l’obiettivo di incre-mentare i pernottamenti in quota. Ciò hasignificato rendere accessibile la montagnaa tutti creando infrastrutture, accoglienzae sicurezza. La contaminazione e l’inqui-namento dei luoghi selvaggi ne è stata laprincipale e deleteria conseguenza che neha minato l’integrità. «Non esiste alpinismo corretto o sbagliato- ha sottolineato Reinhold Messner - e que-sta non è una discussione sulle tecniche al-

pinistiche o su una volontà egoistica di questa élite di preserva-re il proprio spazio d’avventura. Questa è una questione di va-lori che riguarda tutti. Gli input devono venire dai protagoni-sti della montagna, come club alpini e alpinisti stessi, ma so-prattutto dai media».Quale spazio per l’alpinismo se il turismo sta impossessandosidi tutti gli spazi?Innanzitutto mantenendo spazi di libertà, in modo che anche legenerazioni future possano ancora fare esperienza. Andare do-ve non c’è nessun altro come ha fatto Hervé Barmasse per ilquale: «Ci sono ancora spazi di avventura sulle Alpi, come hodimostrato nella mia salita in solitaria al Cervino. Una via lun-go la quale non ci sarebbe stata alcuna possibilità di soccorso,nonostante a meno di un chilometro da me ci fossero le piste dasci. Bisogna fare ogni sforzo per trovare nuove idee che ci fac-ciano fare passi in avanti verso l’invenzione di un nuovo futu-ro. L’uomo ha bisogno dell’impossibile per sentirsi vivo!». Oppure «andare alla ricerca di forme alpinistiche in cui si vadaoltre la prestazione sportiva per trovare quello spirito artisticoche consenta di fare qualcosa di unico e irripetibile com’è, ap-punto, il gesto artistico, che ci permette di esprimere al massi-mo la nostra creatività individuale», ha sostenuto il kazako De-nis Urubko.

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REINHOLD MESSNER (FOTOARCH. GIVA)

A SINISTRA, DALL'ALTOROBERT JASPER,DENIS URUBKO,HANS PETER EISENDLE,HEINZ MARIACHER,ALBERT PRECHT,HERVÉ BARMASSE (FOTO ARCH. GIVA)

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La risposta del Forum sulla necessità di fermare la corsa alla“montagna accessibile per tutti” non trova voci discordanti e ladiscussione, avviata con l’intervento del qualificato pubblicopresente in sala non mette in dubbio l’unanime volontà, mapermette di precisarne i contorni e di approfondire aspetti spe-cifici. Emerge, con forza, l’impegno per la tutela dell’ambiente natu-rale delle alte quote e il senso di responsabilità nei confrontidelle sorti del Pianeta.Jacopo Merizzi, storico protagonista del “Nuovo Mattino” del-la Val di Mello, ad esempio, ha sostenuto con convinzione che:«L’alpinismo come qualsiasi altra attività umana ha bisogno dirigenerarsi. Non conta solo l’alpinismo in sé, quanto gli spaziselvaggi, come luoghi d’immaginazione e di libertà per tutti.

Per informazioni contattare il G.A.L.

Valli di Lanzo Ceronda

e Casternone tel. 0123-52.16.36

o consultare il sito

www.gal-vallilanzocerondacasternone.it.

Le palestre di arrampicata accessibili e fruibili da persone in difficoltà

Il Gruppo di Azione Locale (G.A.L.) Valli di Lanzo Ceronda e Casternone ha realizzato una serie di azioni e interventi sul territorio che consentono alle persone in difficoltà e con esigenze specifiche di poter praticare alcuni sport e attività all'aperto, sia in estate che in inverno.

Tra questi, si segnalano i due siti di arrampicata outdoor su roccia naturale di BALME e CANTOIRA, dove sono stati attrezzati in totale ventisette itinerari

di arrampicata facilitati, idonei per tutti (persone in difficoltà, bambini, ma anche persone anziane che vogliono provare ad arrampicare).

Gli itinerari sono stati realizzati dalla Scuola Guida Alpine Valli di Lanzo, che organizza corsi e prove di arrampicata per tutti.

Le palestre di arrampicata accessibili e fruibili da persone in difficoltà

CANTOIRABALME

CANTOIRABALME

FOTO GIANNI CASTAGNERI

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Va salvaguardato l’humus che ha fatto nascere l’alpinismo, lasua essenza: l’esplorazione di aree selvagge e inaccessibili. Vasalvaguardata, come una specie rara in via di estinzione, la na-tura primordiale. È il motivo per cui abbiamo lottato con tuttele forze affinché la Val di Mello fosse riconosciuta Riserva Na-turale... ». Assecondato in questa filosofia di base da alcuni interventi dirappresentanti dei Club alpini di Sudamerica e Asia.A chiusura volgono le parole di Hans Peter Eisendle e Rein-hold Messner: «La montagna va lasciata selvaggia. Sarà la na-tura a decidere chi farà parte dell’elite e la paura mostrerà a tut-ti i propri limiti. Solo così il futuro dell’alpinismo e delle mon-tagne potrà essere garantito».

Camilla Visca �

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ALP POWDERPHOTOCONTESTTHE BEST FREERIDE REPORTAGE OF 2011

ALP in collaborazione con la community di Skiforum(www.skiforum.it) ha organizzato il 1° contest on-line per gli amantidella neve fresca (“gli skifosi”). Dedicato ai freerider - fotografi nonprofessionisti, ha premiato, a insindacabile giudizio della Redazionedi ALP e della community di Skiforum, il miglior reportage in nevefresca del 2011.

Il vincitore dell’abbonamento annuale ad ALP è: Nik85+, NicolòMiana con il reportage Non so (Nuvolau 15 maggio 2011).

«Quando siamo partiti da Venezia diluviava! Al Passo Falzarego nonera meglio, le nuvole erano basse e non davano speranza dimiglioramento. Abbiamo iniziato a “pellare” verso le 17.00. Il climaera freddo, con forti raffiche di vento. Arrivati in cima,improvvisamente, ha iniziato ad aprirsi un po' il cielo. Il resto è statocolore e magia dolomitica».

ACTION #01 DELL’ALP DESIGN LAB

Èpartita la raccolta dei tracciati GPS per costruire una mappavisuale a fine 2012 degli spostamenti dei lettori di ALP.

Sii protagonista anche tu, condividi i file .gpx o .kml delle tueescursioni, gite, ascensioni, discese in sci, ecc… su:

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Come fare?Semplicissimo:1. Scarica l’APP gps (le trovi qui >www.alpmagazine.it/app-mania) che preferisci sul tuosmartphone oppure utilizza direttamente il tuo GPS portatile.2. Segui le istruzioni del software e traccia i tuoispostamenti tramite cellulare o GPS.3. Inviaci il tuo file in formato .gpx o .kml compliandola breve form su nostro sito che trovi all’indirizzo quisopra segnalato.

Perché?La massiccia diffusione di smartphones, dispositiviportatili e di applet dedicate al self-tracking starendendo sempre più facile acquisire, monitorare,visualizzare e rendere pubblici i nostri dati. Non fannoeccezione le applicazioni di posizionamento GPS che cipermettono di tracciare i nostri spostamenti e divisualizzarne e compararne i dati dando significato aglistessi. Si aggiunge inoltre al valore dei dati dei singoli, già diper se importanti per ciascuno di noi, la possibilità diraccogliere dati collettivi che diventano mappe sensibilidi comportamenti collettivi, in grado di descrivere esvelare come una comunità, in questo caso la nostra,agisce, utilizza e vive un territorio.

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ALPine DATA MAP

NEWSiniziative

SEGUONO IN CLASSIFICA:

2 Irebec, Iacopo Rebecchi, Fassani & C, Powder Tour 2011, CANADA;

3 Rbodini, Riccardo Bodini, La prima Arlberg non si scorda mai, AUSTRIA;

4 e.frapporti, Emmanuele Frapporti, Natale in 3Vallées, FRANCIA;

5 TexasRanger, Giorgio Larin, Boom boom pow is in da house, Park City Utah, USA

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www.sapori-italia.it

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CAZZANIGA GIOVANNIVia Segantini 107, Arco (TN)ATHESIA BUCHLauben 41, BolzanoCAPPELLIPiazza Vittoria 41, BolzanoFELTRACCO Viale Dolomiti di Brenta 35, Madonna di Campiglio (TN)LA RIVISTERIAVia San Vigilio 23, TrentoLIBRERIA ANCORAVia Santa Croce 35, TrentoLIBRERIA DISERTORIVia Diaz 11, TrentoLIBRERIA VIAGGERIAVia San Viglilio 20, Trento

VENETO

PALAZZO ROBERTI LIBRERIAVia Jacopo da Ponte 34, Bassano del Grappa (VI) LIBRERIA CAMPEDELPiazza dei Martiri 27/d, Belluno TARANTOLA ALESSANDROVia Roma 27/4, BellunoLIBRERIA CANOVA CONEGLIANOVia Cavour 6/b, Conegliano (TV)LA COOPERATIVA DI CORTINACorso Italia 40, Cortina d’Ampezzo (BL)SOVILLAPiazza Franceschi 11, Cortina d’Ampezzo (BL) AGORA’ LIBRERIA EDITRICEVia Garibaldi 8, Feltre (BL)LIBRERIA WALTER PILOTTOVia Tezze 18, Feltre (BL)LA FELTRINELLI LIBRI E MUSICAPiazza XXVII Ottobre 1Mestre (VE)LIBRERIA RIVIERAVia Gramsci 57, Mira (VE)LA FELTRINELLI LIBRERIEVia San Francesco 7, PadovaPANGEAVia S.Martino e Solferino

106, PadovaPROGETTO LIBRERIAVia Marzolo 28, PadovaLIBRERIA CANOVA TREVISOVia Calmaggiore 31, TrevisoTARANTOLA ALESSANDROVia S.Margherita 28/32, TrevisoDE FRANCESCHIVia Manzoni 7, Valdagno (VI)LIBRERIA COMBONIANAGalleria Mazzini, Verona LIBRERIA GROSSO, GHELFI & BARBATOVia Mazzini 21, VeronaGULLIVER LIBRI PER VIAGGIAREVia Stella 16/b, VeronaLIBRERIA GALLACorso Palladio 11, VicenzaCENTRO BIBLIOTECHE LOVATVia Newton 13, Villorba (TV)

FRIULI

CARTOLIBRERIA ANTONINIVia Mazzini 16, GoriziaLIBRERIA EDITR. GORIZIANAC.so Giuseppe Verdi 67, Gorizia AL SEGNOVicolo del Forno 2, PordenoneZUZZI LILIANA

Via Roma 7, Tarvisio (Udine)TRANSALPINA LIBRERIA INTERNAZIONALE EDITRICEVia di Torre Bianca 27/a, TriesteFRIULIVia dei Rizzani 1/3, UdineFRIULIBRISVia Piave 27, UdineLIBRERIA MODERNA UDINESEVia Cavour 13, UdineTARANTOLAVia Vittorio Veneto 20, Udine

LIGURIA

LIBRERIA LA ZAFRAVia Vitt.Veneto 32 Chiavari (GE)ASSOLIBROVia Jacopo Varagine 13/r GenovaLA FELTRINELLI LIBRI E MUSICAVia Ceccardi 16, GenovaLIBRERIA FINISTERREP.zza Truogoli di S.Brigida 25,GenovaASSOLIBROVia Bonfante 42, ImperiaLIBRERIA RICCIVia D. Chiodo 107, La SpeziaLIBRERIA KM2Passo Assereto 5, Recco (GE)

LIBRERIA ECONOMICAVia Pia 86/R, Savona

EMILIA

LIBR. COOP AMBASCIATORIVia Orefici 19, BolognaLA FELTRINELLI LIBRERIEPiazza Ravegnana 1, BolognaNUOVA LIBRERIA ACCURSIOVia Oberdan 29/3, BolognaLIBRERIA IRNERIOVia Irnerio 27, BolognaPIETRO FIACCADORIVia al Duomo 8/a, ParmaLIBRERIA DELL’ARCOVia Emilia Santo Stefano 3/b, Reggio Emilia

TOSCANA

LA NUOVA VELAVia Garibaldi 49, Viareggio (LU)GAIA SCIENZAVia di Franco 12, LivornoLA FELTRINELLI LIBRERIEVia de’ Cerretani 30/32r, FirenzeMEL BOOKVia de’ Cerretani 16r, Firenze STELLA ALPINAVia F. Corridoni 14B/r, FirenzeLA FELTRINELLI LIBRERIECorso Italia 50, Pisa

UMBRIA

LA FELTRINELLI LIBRERIECorso Vannucci 78/82, PerugiaCALZETTI e MARIUCCIVia della Valtiera 229/L, Ponte San Giovanni (PG)

MARCHE

RINASCITAPiazza Roma 7, Ascoli Piceno

LAZIOLA FELTRINELLI LIBRI E MUSICALargo Torre Argentina 11, RomaLA FELTRINELLI LIBRI E MUSICAPiazza Colonna 31/35, RomaLA FELTRINELLI LIBRI E MUSICAVia Appia Nuova 427, RomaLIBRERIA CIVILIBROVia dell’Oceano Pacifico 83, RomaLIBRERIA DEL VIAGGIATORE Via del Pellegrino 78, Roma LIBRERIA TERMINIAtrio Stazione Termini, RomaPEAK BOOK Via Arco dei Banchi 3/a, Roma

ABRUZZOLIBRERIA COLACCHIVia Enrico Fermi 1, L’Aquila

LIBRERIA COOPMONDOVÌ (CN)

Shopping Center “Mondovicino”, tel. 0174 330836

[email protected]

Massimo Maia e i suoi validi collaboratori gestiscono dal 2007 la libreria all’interno del centro commerciale Mondovicino, con 30.000 titoli a catalogo. L’offerta ampia e differenziata ha fatto sì che la Libreria diventasse un punto di rife-rimento per tutto il territorio. Viene prestata molta attenzione all’editoria locale, ma tutti i settori, dall’arte alle scienze, dalla filosofia alla narrativa di genere, dal reparto ragazzi al tempo libero, dal settore turismo alla storia, sono particolar-mente seguiti e ricchi di spunti. Un’interessante sezione, frequentemente aggiornata e fruibile, è dedicata al tema montagna nelle sue varie declinazioni: guide e cartine escursionistiche, manuali di sci alpinismo e arrampicata, saggisti-ca, abbondante scelta di narrativa di montagna.

LIBRERIA HOEPLIMILANO

via Hoepli 5,tel. 02 864871www.hoepli.it

La Grande Libreria Internazionale Hoepli è un tra le più grandi librerie in Italia e in Europa. Fondata nel 1870 da Ulrico Hoepli, ospita oltre 100.000 libri e migliaia di DVD, distribuiti in uno spazio espositivo di 6 piani e conta oltre 40 librai specializzati e dalla grande esperienza. Grande cura viene riservata, tradizionalmente, al reparto dedicato ai libri sulla montagna, situa-to al primo piano della libreria. Numerose sono anche le pubblicazione di Hoepli editore dedi-cate al tema della montagna e dell’alpinismo.Hoepli.it è il servizio internet della Casa Editrice Libraria Ulrico Hoepli. Il sito, si caratterizza per la facilità di ricerca, la disponibilità immediata dei libri e la semplicità e sicurezza delle transazioni.

LIBRERIA LA MONTAGNATORINO

via Sacchi 28 Bis, tel. 011 5620024

www.librerialamontagna.it

Marianna Leone e Maurizio Bovo, titolari della libreria La Montagna dal 1983, sono il punto di riferimento per l’editoria di montagna italiana e straniera, dedicando la loro costante attenzione alle novità editoriali che raramente trovano spazio nelle librerie generaliste. Il locale, aperto nel 1974 non lontano dalla stazione ferroviaria di Porta Nuova a Torino, ospita sovente presen-tazioni di libri di alpinisti e specialisti del settore. Una parte delle attività è inoltre rivolta alla stesura delle segnalazioni delle novità editoriali sulle principali riviste del settore, come il nostro mensile Alp, fatto che testimonia la loro lunga e sicura competenza in materia.

L’IPPOGRIFO BOOK STORE

Corso Nizza 1, Cuneo

COOP LIBRI MONDOVI

Mondovicino Shopping Center

Svincolo Autostrada

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LIBRERIA LAZZARELLI

Via Fratelli Rosselli 45, Novara

SEGNAVIAVia Provinciale Sampeyre

70, Piasco (CN)

IL CAVALLO A DONDOLO

Via Saluzzo 53, Pinerolo (TO)

LA FELTRINELLI LIBRERIE

Piazza Duomo (Via Ugo Foscolo 1/3), Milano

LA FELTRINELLI LIBRI E MUSICA

Piazza Piemonte 2, Milano

LIBRERIA DEL CORSO

Corso Buenos Aires 39, Milano

LIBRERIA DELLO SPORT

Via Carducci 9, Milano

www.libreriadellosport.itLIBRERIA INTERN. HOEPLI

Via Hoepli 5, Milano

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a cura di RENATA GERMANET

Dalla storia del Monte Bianco la verità, finalmente svelata, della prima salita e il diariodella donna che per prima fece l’impresa. Tutto sulla corsa al Cervino, e non solo, dalle pagine del grande inglese.

libri

NEWS

T re titoli classici che non possono mancare nella bibliotecadi ogni appassionato di montagna. La Vivalda Editori li

ripropone in edizioni aggiornate arricchite dal commento di ri-conosciuti storici dell’alpinismo come Roberto Mantovani ePietro Crivellaro.Ma andiamo con ordine.

LA VERA STORIA DEL MONTE BIANCO

La prima novità proposta dalla Vivalda è un’opera classica chepiù classica non si può.Un best seller di fine Settecento, quando uscì sia nella formacompleta che consta di ben quattro volumi (Neuchâtel 1779-1786, da cui sono tratte alcune tavole originali che arricchisco-no il volume), sia in più edizioni ridotte, una sorta di “conden-sati” come quelli proposti tra gli anni Sessanta e Settanta del se-colo scorso da Selezione del Reader’s Digest. A Paolo Brogi, saggista e scrittore, si deve questa oculata ver-sione di brani scelti, tratti dai Voyages dans les Alpes, per la pri-ma volta stampati da Savelli nel 1981. In questo caso però il valore aggiunto del volume è rappresen-tato dalla rivelatrice postfazione di Pietro Crivellaro che, riper-correndo l’intera vicenda, ne traccia una nuova ricostruzioneche porta alla luce la verità storica. Vengono così ridefiniti i ruoli e i meriti della prima salita al Tet-

Tre grandi classici indispensabili

282 / PAG. 24

Henriette d’AngevilleLa mia scalata al Monte Bianco1838

prefazione di Pietro Crivellaro,traduzione di Sergio AtzeniVivalda Editori, collana I Licheni n. 44176 pp. (+16 tavole fuori testo in bianco e nero) 16,00 €

Edward WhymperLa salita del Cervino

presentazione di Roberto MantovaniVivalda Editori, collana I Licheni n. 66400 pp.(con illustrazioni in bianco e nero)22,00 €

Horace Benedict de Saussure La scoperta del Monte Bianco

Traduzione e presentazione di Paolo Brogipostfazione di Pietro CrivellaroVivalda Editori, collana I Licheni n. 104256 pp. (+16 tavole fuori testo inbianco e nero) 20,00 €

24 ALP 282 libri.qxp 20-06-2012 14:49 Pagina 24

to delle Alpi e si riconsegna tutto l’onore e il giusto valore, per ciòche conquistò sul campo, a Michel Gabriel Paccard. Ma svariatevicende, che nel libro sono puntualmente rivelate e che non pos-siamo qui anticipare, hanno impedito che il medico di Chamonixpotesse rivendicare a buon diritto il riconoscimento del suo ruoloprima di morire in un misterioso incidente.Sta di fatto che Pietro Crivellaro, vestiti i panni di un Montalba-no trasferito dal mare della Sicilia ai ghiacciai delle montagne val-dostane, tra la leggenda di Balmat e la relazione perduta di Paccardci porta a capire come i documenti, indagati sia pure a distanza dicosì tanti anni, siano in grado di restituirci la verità.Ma torniamo ai Voyages dans les Alpes, proposti qui in versione go-dibile da un vasto pubblico: sono il frutto di un meticoloso e acu-to lavoro di considerazioni legato alle esplorazioni del noto spon-sor, ante litteram, della prima ascensione al Monte Bianco. A par-tire dal 1760, il ventenne ginevrino Horace Benedict de Saussure(1740-1799), naturalista, professore di filosofia naturale, esplorainstancabilmente, con l’aiuto di guide locali (la potente lobby del-la Compagnia delle guide), entrambi i versanti del Monte Bianco,animato da una grande passione sia per la scienza che per l’av-ventura in sé.Dal Montenvert al Crammont, le sue osservazioni e i suoi tenta-tivi porranno le basi per la prima salita sul “gigante” delle Alpi,nel 1786, ad opera di Paccard e Balmat; cima sulla quale – terzo inordine cronologico – riuscirà lui stesso a salire, lasciandoci il reso-conto toccante della sua irripetibile esperienza.

LA FIDANZATA DEL MONTE BIANCO

Sullo stesso terreno di gioco, ecco il primo diario di ascensione diuna nobildonna francese di 44 anni, colta e indipen-

dente, anch’essa frequentatrice dei salotti gine-vrini: Henriette d’Angeville.

Siamo nell’estate del 1838. La donna piùemancipata del tempo, la scrittrice GeorgeSand, considera già avventuroso spingersisino al pittoresco villaggio di Chamonix. Henriette, invece, non si accontenta di fre-

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NEWS

quentare gli splendidi paesaggi alpini, vuole raggiungere le vetteimponenti che li sovrastano e decide di scalare il Monte Bianco,impresa allora rara e rischiosa. Ordina alla sarta di fiducia uno speciale vestito imbottito, ingag-gia una squadra di guide e portatori e parte decisa alla volta del-la vetta, conquistandosi così un posto esclusivo tra i pionieri del-l’alpinismo. Prima di lei l’unica donna a toccare la vetta era stata, nel 1808, lamontanara Marie Paradis, condotta in vetta dalle amiche guide diChamonix.Vent’anni dopo l’impresa, la contessa d’Angeville riordinò i suoiappunti e ne ricavò un dettagliato resoconto, venato di humor, incui brillano le idee e le emozioni di un’avventura tutta femmini-le e anticonformista. Inoltre affidò i suoi schizzi ai più abili pitto-ri ginevrini che realizzarono una cinquantina di disegni e acque-relli per illustrare l’opera. Il libro però non vide mai la luce. Ri-emerso qualche tempo fa, fu pubblicato solo nel 1987 da Arthaude tradotto dalla nostra casa editrice nel 1989 con la preziosa tra-duzione affidata alla penna di un grande scrittore, Serzio Atzeni,prematuramente scomparso.

SUCCESSO E TRAGEDIA

Poco più in là, ecco imporsi l’inconfondibile sagoma del Cervino,la Gran Becca. Anche in questo caso risaliamo la Storia sino alle origini.L’opera di Whymper è sicuramente un classico fondamentale.Dopo un secolo e mezzo, probabilmente il libro di montagna piùbello e importante. Vi si narra, in modo avvincente, la storia emblematica e dram-matica della scalata che gettò le basi dell’alpinismo moderno. L’inglese Edward Whymper (1840-1911) approda sulle Alpi, ap-pena ventenne, come disegnatore e incisore per conto dell’editore

LA VERSIONE UFFICIALE: DE SAUSSURE AL PASSAGGIO DI UN CREPACCIOA LATO PARTICOLARE DELLA VERSIONE “CENSURATA” PERCHÉ SEDUTO IN POSIZIONEPOCO DIGNITOSA (VOYAGE DE M. DE SAUSSURE AU MONT BLANC 1787– INCISIONE DI CHRETIEN DE MECHEL)

HENRIETTED’ANGEVILLEMENTRE SUPERAUN DIFFICILEPASSAGGIOAIUTATA DALLE GUIDETRONCHET E DESPLAN(DISEGNO DIJULES HÉBERT)

IL MODO CORRETTO DI USARE LA CORDA.HENRIETTE D’ANGEVILLE (MINIATURA DI HENRY RATH, 1830)

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Piergiorgio VidiAlpinismoTutti i consigli per affrontarein sicurezza l’arrampicata suroccia e ghiaccioHoepli edizioni, Milano2012240 pp. con foto e schizzi acol., 24,90 €

Ultimo nato – con l’autore-vole presentazione di Cesa-

re Maestri – della collana di ma-nuali Hoepli dedicata alla mon-tagna, è uno strumento utile atutti i frequentatori delle vette.Per chi già pratica l’alpinismopuò costituire uno stimolo aperfezionare le proprie cono-scenze facendo tesoro dell’espe-rienza consolidata di un profes-sionista come Piergiorgio Vidi,guida alpina dal 1988, dal 1997istruttore dei corsi di formazio-ne per guide alpine e poi istrut-tore nazionale del Soccorso Al-pino, che dal 2007 dirige laScuola nazionale Tecnici delSoccorso Alpino Italiano. Con-temporaneamente, aiuta il prin-cipiante ad acquisire solide basiteoriche e pratiche, offrendotutte le indicazioni per conosce-re meglio l’attrezzatura, le ma-novre di corda e le tecniche dibase della progressione su roc-cia, neve e ghiaccio. Completa-no l’opera 17 proposte di ascen-sioni classiche, dal Monviso alJôf Fuart. R.G.

Massimo MarcheggianiTu non conosci TizianoLa vita e l’alpinismo diTiziano CantalamessaSocietà Editrice Ricerche,Folignano 2011184 pp. con foto in b.n.,16,00 €

Subito colpisce il titolo: tunon conosci Tiziano, bang!

Come un fucilata, certo unaprovocazione. No, non lo cono-sco: quasi ti scusi. E, immedia-tamente dopo, ti viene da chie-derti: forse dovrei? Un po’ per-plesso, noti il suo sguardo az-zurro in copertina, e non puoifare a meno di cominciare a leg-gere. E non smetti più, fino allafine. È la storia di un uomosemplice, prima studente, poianche operaio, infine contadinoe guida alpina. Un appassionatodi montagna, uno dei più gran-di alpinisti che il Centro Italiaabbia mai avuto, ma ben radica-to nel quotidiano, e che forsetraeva forza e talento propriodalla sua normalità.Se in così tanti si sono presi labriga di ricordarlo in questo li-bro, Tiziano Cantalamessa do-veva davvero essere una di quel-le persone speciali che hanno ilcompito di illuminare un trattodel nostro cammino e di toccarenel profondo tutti quelli che glisi avvicinano, prima con la pre-senza, poi con l’assenza. R.G.

di fiducia dell’Alpine Club (fondato nel 1857), William Long-man. Subito si appassiona alla pratica del nascente alpinismo na-scente, e comincia la sua esplorazione salendo cime prestigiosissi-me come la Barre des Ecrins in Delfinato, il Mont Dolent, l’Ai-guille Verte, le Grandes Jorasses nel gruppo del Monte Bianco.Ma il problema alpinistico dell’epoca è rappresentato dal Cervino. Con la Gran Becca, Whymper intraprende una lotta destinata adurare quattro lunghi anni.L’assedio a quella vetta, apparentemente inespugnabile, iniziadalla difficile cresta affacciata sul Breuil; e qui comincia anche la

sfida e il controverso rapporto con la guida valdo-stana Jean-Antoine Carrel.

Poi giungerà la vittoria inattesa dalla facilecresta svizzera con la guida Michel Croz diChamonix e l’immediata, orgogliosa replicadi Carrel, sostenuto dal nostro Club Alpino

appena fondato da Quintino Sella. Ma la vittoria sportiva è destinata a tramutarsi in

dramma lungo la discesa: l’incidente costa quattro vite umane e lacapovolge in tragedia. Si scatena la polemica con i dubbi sulla corda spezzata, il proces-so; ci si interroga sulla liceità del nuovo sport.Whymper ne esce segnato per il resto della vita, anche se si dedi-cherà ancora a esplorazioni, allora all’avanguardia, in Groenlan-dia, sulle Montagne Rocciose canadesi e sulle Ande dove nel 1880,con il valdostano Carrel, salì per primo il Chimborazo. Oltre aimportanti libri con il resoconto delle sue avventure, pubblicò leprime fortunate guide di Zermatt e di Chamonix.Il volume - non tragga in inganno il titolo - racconta di tutti i ten-tativi di salita al Cervino, ma anche quello che potremmo oggi de-finire l’allenamento e l’acclimatamento di Whymper sulle mon-tagne che abbiamo prima citato.Esso inoltre è arricchito da disegni dell’edizione originale e xilo-grafie di autori anglosassoni di rara preziosità.La presentazione e l’inquadramento storico sono dovuti alla pen-na autorevole e scorrevole di Roberto Mantovani, storico dell’al-pinismo tra i più apprezzati. UGO VALLANTRI

NEWSlibri

IL CERVINO DALLA SOMMITÀ DEL PASSO DEL THÉODULE

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24 ALP 282 libri.qxp 20-06-2012 14:49 Pagina 26

NEWSlibri

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ALPINISMO EARRAMPICATAGianni Predan, RinaldoSartore, Piantonetto eValsoera. Edito in proprio,Montalto Dora (To) 2012.76 pp. con foto a col.,12,00 €Arrampicate classiche emoderne sul granito delGran Paradiso.

Alberto Paleari,Arrampicare,camminare, conoscere ilMottarone.Monte Rosa edizioni,Gignese (Vb) 2012. 160pp. con foto e schizzi a col.,22,00 €Aggiornata guida diarrampicata.

Andrea Pavan, MelloBoulder. Versante Sud,Milano 2012. 575 pp. confoto a col., 35,00 €Blocchi in Valtellina,Valchiavenna, Val Masino,Val di Mello e Val Malenco.

Tomas Segura Pretel, JorgeFerrando Monterde, DavidMoreno Gimeno, BoulderAlbarracin. Desnivel,Madrid 2012. 302 pp. confoto e schizzi a col.,24,00 €Olte 1600 blocchi nel piùgrande sito boulderd’Europa. Testo inspagnolo, inglese, tedescoe francese.

AA.VV., Donde escalaren Espana. Desnivel,Madrid 2012. 266 pp. confoto a col., 20,00 €900 siti di arrampicatasportiva, classica, boulder eartificiale in Spagna.Testo in spagnolo.

AA.VV., Escalades alSalvatge oest de

Catalunya. EdicionsSupercrack, Lleida 2011,147 pp. con foto e schizzi acol., 25,00 €Oltre 630 vie diarrampicata sportiva nellaCatalogna occidentale.Testo in spagnolo, catalano,inglese e francese.

Adrian Berry, FranceLanguedoc - Roussillon.Rockfax, Nottingham 2011,376 pp. con foto e schizzi acol., 34,00 €Arrampicata sportiva nelleregioni francesi delLanguedoc e Roussillon,falesie delle Gorges duTarn, Gorge de laJonte,Claret, Seynes,Russan, Orgon. Testo ininglese.

Bertrand Maurin, ThierrySouchard, Grandes voiesde Corse. Edito in proprio,Aiaccio 2011, 263 pp. confoto a col., 25,00 €Una selezione di 80 vielunghe in tutta la Corsica.Testo in francese e inglese.

Ozturk Kayikci, A RockClimbing Guide toAntalya.Edito in proprio, Antalya2011, 208 pp. con foto acol., 37,00 €Quarta edizione aggiornatadella guida di arrampicatasportiva per la zona diAntalya in Turchia. Testo inturco e inglese.

Stefano Santomaso,Moiazza roccia tra lucee mistero. Ideamontagna, Teolo (Pd)2011, 381 pp. con foto eschizzi b.n. e a col.,25,50 €163 itinerari alpinistici distampo classico condifficoltà dal 4° al 9°.

Stéphane Maire,Alpinisme en Suisse.Glénat, Grenoble 2011,95 pp. con foto e schizzi a col., 15,00 €30 salite classiche inSvizzera. Testo in francese.

François Burnier, DominiquePotard, Sites d’escaladede la Vallée deChamonix. Vamos,Servoz 2011,279 pp. con foto e carteb.n. e a col., 24,00 €Tutte le falesie dei dintornidi Chamonix.

ESCURSIONISMOAndrea Parodi,Roberto Pockaj,Andrea Costa,Nel cuore delle AlpiLiguri.Andrea Parodi editore,Cogoleto (Ge) 2012.271 pp. con foto e carte a col., 20,00 €118 itinerari escursionisticidalla Val Tanaro alla ValVermenagna nei gruppimontuosi del Marguareis edel Mongioie.

Carlo A. Mattio,Passeggiate nelle vallicuneesi.Blu edizioni, Torino 2012.247 pp. con foto e carte acol., 16,00 €54 itinerari per tutti, daicamminatori alle primearmi alle famiglie conbambini.

Paolo Bonetti, PaoloLazzarin, Dolomitisentieri dedicati.Edizioni Versante Sud,Milano 2012. 207 pp.con foto e carte b.n. e a col., 27,50 €45 escursioni dalle Dolomitidi Brenta alla CrestaCarnica.

Gianfranco BracciGea - Grande escursioneappenninicaTamari Montagna Edizioni,Padova 2011160 pp. con foto a col. conatlante cartografico a col.,29,50 €

Si snoda per 425 km, lungo ilcrinale tra Toscana, Emilia

e Romagna, il lunghissimo sen-tiero della Gea, ideato da Braccie dal compianto Alfonso Bieto-lini, percorribile in 22-27 tappe;inaugurato nel giugno 1984, ègià stato percorso da migliaia ditrekker provenienti da ogniparte del mondo.La nuova edizione della guidariporta tutti gli aggiornamenti:il percorso – che ha subito alcu-ne modifiche – è infatti stato ri-tracciato, risistemato e ridise-gnato uniformando l’intero tra-gitto con segnavia orizzontalibianco-rossi internazionali econ pali e cartelli indicatori inlegno.Quasi tutta la Gea è percorribi-le in mountain bike, a volte convarianti rispetto al percorso apiedi, accuratamente descritte.Completano il libro alcuneschede dedicate ad aspetti dellacultura contadina appenninica,poesie e citazioni.Notevole l’atlante cartograficodell’intero percorso, suddivisoin fogli in scala 1:20.000. R.G.

Enrico PelosPasseggiate a Levante45 itinerari nelle provincedi Genova e La SpeziaBlu edizioni, Torino 2011192 pp. con foto e carte col., 16,00 €

Seguito ideale di Passeggiatea Ponente, dedicata alle

province di Imperia e Savona,questa nuova guida curata dalfotografo e pubblicista EnricoPelos propone 45 itinerari dalui stesso percorsi nel Genove-se e nello Spezzino, scelti se-condo criteri di bellezza del-l’ambiente, particolarità delpaesaggio, testimonianze distoria antica e recente, valoreartistico e tradizioni del terri-torio.Da Varazze a Bocca di Magra,le splendide fotografie dell’au-tore, con le chiarissime carte diSara Chiantore, accompagna-no l’efficace descrizione di iti-nerari famosi e meno noti,semplici passeggiate per tuttied escursioni un po’ più impe-gnative, ma adatte a tutte lestagioni. Disseminati lungol’intera guida, brevi excursusstorico-culturali attirano l’at-tenzione del lettore/cammina-tore facendogli assaporare letracce della storia nei luoghiche sta attraversando. Accatti-vante e funzionale. R.G.

24 ALP 282 libri.qxp 20-06-2012 14:49 Pagina 27

Simone MoroLa voce del ghiaccioGli Ottomila in inverno: il mio sogno quasiimpossibileRizzoli, Milano 2012281 pp., 18,00 €

Sul Nanga, questo libro èstato la mia vera vetta» ci

ha confessato Simone qualchemese fa. E ancora siamo incre-duli che sia riuscito a scriverlo,se non tutto, almeno in granparte durante la spedizione diquest’anno al Nanga Parbat. Seil meteo ha ostacolato Simone eil suo compagno Denis Urub-ko nella conquista di un nuovoOttomila in invernale, non hainvece impedito che nascessequesto libro, lassù tra il freddoe l’aria rarefatta che si respiratra le righe di molte sue pagine.

Forse proprio perché scritto inspedizione, riesce a trasmette-re così vivide tante sfumaturee sensazioni delle sfide che Si-mone ha saputo raccoglierenel corso della sua carriera. A 44 anni e con 44 spedizionialle spalle, Moro ci guida conautenticità all’interno del suomondo, fatto di sogni al limitedelle possibilità umane: af-frontare le vette più alte delglobo nella stagione più dura eostile. Una lettura avventurosae piacevole che scorre, piena diumanità, e si rivolge non soloagli appassionati di montagna,ma a un pubblico molto piùvasto che voglia comprendereed emozionarsi davanti alleimprese e alle motivazioni diun alpinista, sicuramente tra ipiù straordinari del nostrotempo.

Lo stile di scrittura è semplice,spigliato e diretto, quello a cuichiunque conosca Simone èabituato e legato: quello di unalpinista eccezionale con gradidoti di comunicatore.Inframmezzato da brevi pagi-ne di cronaca su ciò che sta ac-cadendo nella spedizioneNanga Parbat 2012 mentrel’autore scrive, il racconto at-tacca con la salita dell’Aconca-gua, la più alta cima delle dueAmeriche: era il 1993.Si prosegue nel nome del com-pagno di cordata e amico fra-terno Anatolij Bukreev con lasua drammatica scomparsanel corso della spedizione sul-l’Annapurna del 1997. Si assiste alla nascita dell’ami-cizia con Denis tra Snow Leo-pard e Marble Wall, che ap-proderà nell’intesa perfettache oggi ben conosciamo. Poiancora la storia del doppiotentativo sul Shisha Panama el’esperienza provante sulBroad Peak, per comprendereil segreto e il valore della ri-nuncia. Ultime tappe il successo sulMakalu e l’eccezionale con-quista nel 2011 del Gasher-brum II: «l’impresa... quasiimpossibile».

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NEWSlibri

DIVERSI MOMENTI DELLA SPEDIZIONE

INVERNALE DI SIMONE MORO

AL NARGA PARBAT,DURANTE LA QUALE

È STATO SCRITTO IN GRAN PARTE

IL LIBRO LA VOCE DEL GHIACCIO.

(FOTO ARCH. THE NORTH FACE® /

M.ZANGA)

«

Un percorso lungo, ricco diesperienze, riflessioni e sfuma-ture per capire un alpinismoautentico, lontano dai record edalle medaglie, il cui concettochiave è l’esplorazione di limi-ti interni ed esterni dell’uomo.

L.O.

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bili per un primo approccio(quota, esposizione, bellezza,chiodatura, affollamento, co-modità, parcheggio, segnaletelefonico, ecc.), sono imme-diatamente individuabili gra-zie a divertenti icone esplicati-ve, a cui si aggiungono coordi-nate Gps, numero, difficoltà elunghezza delle vie, descritteuna per una. Accanto a bellefotografie e schizzi esplicativi,non mancano i riferimenti sto-rici su chiodatura, aperturadelle vie e primi salitori, ma sipuò dire che l’intera guida siaun omaggio a tutte quelle per-sone che negli ultimi quaran-t’anni hanno contribuito acreare e a mantenere vivo ilmito di Finale. R.G.

Marco TomassiniFinale ClimbingEdizioni Versante Sud,Milano 2011560 pp. con foto e schizzia col., 35,00 €

Il Finalese è un territorioparticolare, di grande fasci-

no e bellezza. Sulle sue bian-che rocche calcaree che spun-tano dal verde corrono un’infi-nità di vie: per il momento sene contano circa 2700 (secondoalcuni sono di più) suddivise inoltre 160 falesie, ma sono incontinuo aumento. Fin dal1968, anno in cui a Finalecomparvero i primi climber,che allora non si chiamavanocerto così e calzavano ancorapesanti scarponi, generazionidi scalatori si sono succedutesu queste rocce, uniche in tuttoil territorio della Liguria diponente, scoprendo nuovi siti,aprendo e chiodando nuovevie, pulendo sentieri. Tantoche molti di loro, presi dallamalattia, si sono trasferiti sulposto, formando una piccola eattiva comunità di appassiona-ti. Questa bella e ricca guida,che ha richiesto due anni di la-voro, illustra con precisione130 falesie dell’ampio com-prensorio, a cui se ne aggiun-gono 4 nel sito di Capo Noli:tutte le indicazioni indispensa-

Corrado Conca, I sentieridei vulcani. EdizioniSegnavia, Sassari 2012.135 pp. con foto e carte acol., 15,00 €17 itinerari escursionistici inSardegna tra i vulcanismidel Logudoro.

Di Taylor, Tony Howard,Walks, Treks, Climbsand Caves in Al AyounJordan. VertebrateGraphics, Londra 2011,104 pp. con foto e carte acol., 18,00 €20 itinerari escursionistici,10 settori di arrampicata e3 grotte nella Giordaniasettentrionale. Testo ininglese.

NEWSlibri

Segnalazioni librarie a cura della LIBRERIA LA MONTAGNAVIA SACCHI 28 BIS / 10128 TORINO - TEL. E FAX 011 [email protected] /www.librerialamontagna.it

LETTERATURAFranco Giovannini,Montagne e diavoletti:che fine ha fattol’alpinismo? EdizioniMare Verticale, Grancona(Vi) 2012. 205 pp.,15,00 €Un atto di accusasull’alpinismo moderno,sull’ansia di avventuradegli sportivi d’oggi, unalpinismo tante voltedegenerato dalla ricercadell’estremo, del successo,del record a tutti i costi.

Fosco Maraini, Dren-Giong. Corbaccio, Milano2012. 448 pp. con fotob.n., 22,00 €Il primo libro di FoscoMaraini e i ricordi dei suoiamici nel centenario dellanascita del più grandeviaggiatore italiano.

Andrea Gennari Daneri,Mangart. Pareti eMontagne edizioni, Parma2012. 354 pp., 16,50 €Romanzo ambientato sullaparete del Mangart.

FOTOGRAFICIAlessandro Gogna,Alessandra Raggio,Maestri delle altezze.Società Guide Champoluc-Ayas, Ayas (Ao) 2012. 127pp. con foto b.n. e a col.,35,00 €La storia delle guide alpinedi Ayas.

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Gli album fotografi ci hanno il peso e la forza del ricor-do, sono diari fatti di immagini e come nei diari la

loro lettura ci riporta indietro nel tempo. Un ritorno che, con la precisione della fotografi a, solleva il velo tessuto da-gli anni e obbliga ad accettare, senza discutere, circostanze dimenticate. Situazioni che talvolta, nella prospettiva di ciò che seguì, offrono interpretazioni nuove su questioni al tempo ignote e oggi, senza la testimonianza delle im-magini, ci rimarrebbero oscure. In altre parole gli album proiettano la cronaca nella prospettiva della Storia. Sfogliando la ricchissima raccolta fotografi ca ordinata da Gabriele Boccalatte e da Ninì Pietrasanta, due personag-

gi di spicco legati fra loro dalla corda da montagna prima di unir-si per la vita, si è catturati dalla sensazione di aver superato, con un balzo acrobatico, gli ottant’an-ni di distacco che ci separano dalle vicende di quel tempo e di essere materialmente davanti agli avve-nimenti nel loro svolgimento. È l’assieme e la continuità di que-ste immagini che ci permettono un tuffo emozionante negli anni del cosiddetto Alpinismo eroico. L’aggettivo, oggi considerato con suffi cienza, è in sintonia con la re-torica dei tempi ed ebbe la sua consacrazione con il volume po-stumo di Emilio Comici. Di fatto il decennio millenovecentotrenta segnò, con particolare riferimento alle Alpi Occidentali, il rinnovo della tecnica d’arrampicata. In quegl’anni le scarpette dalla suola di panno sostituirono e

ingentilirono nei momenti cruciali l’opera dei pesanti scarponi chiodati, permettendo un cambiamento radica-le nella tecnica alpinistica e una razionalizzazione dei movimenti di progressione sino a quel momento scono-sciuta. Con la nuova attrezzatura, arrampicare perse la brutalità del contatto diretto e divenne un elegante eser-cizio ginnico; è quello che osserviamo nella fotografi a scattata il 12 luglio del 1935 da Ninì Pietrasanta, dove un Gabriele Boccalatte in scarpette d’arrampicata va all’at-tacco della fessura che caratterizza l’inizio della celebre direttissima, aperta quel giorno, sulla parete est dell’Ai-guille de la Brenva. Tutte le testimonianze concordano nell’affermare che Boccalatte arrampicava con uno stile particolarmente ag-graziato e secondo Gian Piero Motti, Boccalatte si avvici-na all’alpinismo: «con un vivissimo senso estetico dell’ar-rampicata (…) che sempre ebbe la prevalenza sui fattori di lotta, di vittoria e di competizione con se stessi». Gli album sono una conferma di questo giudizio.Le fotografi e della raccolta investono i luoghi: scorci ver-tiginosi della parete nord delle Grandes Jorasses ripresi nel corso del tentativo del 1935, o momenti simbolici: Ninì all’attacco della guglia dei Periades, scalata per la prima volta quel 19 agosto del 1932 e battezzata in suo onore: Pointe Ninì 3455 m. La maggioranza degli scatti presenti sono opera di Boc-calatte o di Ninì, ma non sono poche quelle scattate da compagni di cordata come Gervasutti, Rivero, Cicogna, Bonacossa, Corti, Ceresa, Bozzoli, Steger, Brunner e al-tri, più raramente acquisite da fotografi professionisti per il soggetto o la qualità della ripresa.Nel caleidoscopio delle immagini sono molte quelle che varrebbero una citazione, soprattutto per la Storia, ma anche per la loro bellezza: una cresta di neve sottile come la lama d’un rasoio; un camino che invita all’arrampica-ta; la ripresa d’un passaggio famoso; lo scrimolo roccioso

a cura di

GIUSEPPE GARIMOLDI

i classici di fotografi a

“ALPINISMO EROICO”NEGLI ALBUM FOTOGRAFICI

DI GABRIELE BOCCALATTE E NINÌ PIETRASANTA

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QUI SOPRA IMMAGINI

DELL’ASCENSIONE AL PIC ADOLPHE

IN ALTO A SINISTRA CHABOD E NINÌ

FOTOGRAFATI DA GERVASUTTI

A DESTRACHABOD SULLA

TRAVERSATA

IN BASSO E A DESTRA BOCCALATTE SULLA

PARETE NORD FOTOGRAFATO DA NINÌ

PIETRASANTA

NELLA PAGINA A FIANCO

IL PIC ADOLPHE

(FOTO G. GERVASUTTI E N. PIETRASANTA, 1935)

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IN ALTO

DUE IMMAGINI DI GERVASUTTI SULLA

TRAVERSATA

IN BASSO A DESTRA BOCCALATTE IN VETTA

AL PIC ADOLPHE,

A SINISTRA NINÌ IN DISCESA

DALLA VETTA

NELLA PAGINA A FIANCO BOCCALATTE

IN CORDA DOPPIAFOTOGRAFATO

DA GERVASUTTI

(FOTO G. GERVASUTTI E N. PIETRASANTA, 1935)

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d’una cima, tanto smilza da doverla stringere fra le gi-nocchia a cavalcioni, o tanto ampia da potersi distendere con la faccia al sole. Ogni immagine una storia, un ten-tativo, una salita riuscita, una giornata con il sangue che formicola e i muscoli che fremono per il contatto con la montagna. Siamo di fronte a una folla di fatti e di sugge-stioni che chiedono spazio, la fortuna di una miniera, meglio, di una cava a cielo aperto che chiede solo di esse-re sfruttata, di raccontare la storia di quel decennio basi-lare per l’alpinismo, i mitici anni Trenta.I limiti che incombono vogliono una esemplifi cazione; seguiremo allora una sequenza incrociata di fotografi e scattate alternativamente da Giusto Gervasutti e da Ninì Pietrasanta. Una sequenza in cui prevale la cura punti-gliosa di registrare le vicende della prima ascensione del Pic Adolphe. Il picco è un satellite del Tacul e a detta di Renato Cha-bod, «è piccolo e molto in gamba», proprio come s’addi-ce a Adolphe Rey1 a cui è dedicato. Chabod e Boccalatte lo hanno adocchiato nel 1929 e da allora non lo hanno mai perso di vista, i tentativi si sono susseguiti con la partecipazione di Gervasutti, da sud e da sud-ovest, ma sempre invano sino al 1935. «Quest’anno - scrive Gerva-sutti - in considerazione delle speciali condizioni dei ver-santi nord, riprendiamo in esame la originale via già studiata da Renato, che consiste nel discendere a corda doppia fra il Pic Adolphe e il Petit Capucin e poi tentare di raggiungere una successione di fessure con una pro-blematica traversata».È il 16 luglio, Ninì Pietrasanta, Gabriele Boccalatte, Giusto Gervasutti e Renato Chabod, lasciano il Rifugio Torino alle sette e alle otto e trenta sono al colletto fra il Petit Capucin e il Picco agognato. Dalla relazione tecni-ca di Boccalatte: «si prosegue per il facile tratto iniziale della cresta ovest fi no a quando un salto liscio ne impe-disce l’avanzata (fotografi a 1). Si piega leggermente a sinistra e con una breve corda doppia di 15 metri si rag-giunge un grosso masso staccato dalla parete». Da questo punto ha inizio la traversata sulla parete nord del Picco e nello scorcio, dall’alto al basso, della fotografi a II vedia-mo: in secondo piano Ninì seduta sul masso staccato e sulla media distanza, Chabod impegnato nella prima parte della traversata. Nell’immagine che segue (III), Chabod prosegue lungo l’altalenante percorso del siste-ma di fessure e notiamo in primo piano la doppia corda che lo lega a Gervasutti, autore della fotografi a. Nelle due immagini successive (IV e V), Ninì riprende Bocca-latte, che chiude la cordata, alle prese con il capriccioso percorso delle fessure, mentre la VI e la VII, mostrano Gervasutti sul tratto fi nale della traversata. Oltre, la roc-cia più articolata permetterà di salire direttamente alla cresta est del Picco. A coronamento dell’ascensione la

fotografi a VIII mostra Boccalatte sulla cima aguzza con alle spalle lo slancio del Grand Capucin. Terminata la salita e divisa in due la lunga cordata, ecco Ninì assicu-rata da Boccalatte (IX) che inizia la discesa. Le calate in corda doppia si susseguono lungo la parete sud e fra que-ste Boccalatte ne ricorda: «una bellissima di 43 metri per rocce verticali e strapiombanti, lungo la parete adiacente il camino», fotografi a X, dove è lo stesso Boccalatte a godere la calata.Negli album il ventaglio delle immagini si allarga sino al fatale luglio del 1938, quando Boccalatte e Piolti vengo-no ritrovati esanimi ai piedi della parete sud dell’Aiguil-le de Triolet, ma noi, fedeli alla premessa chiudiamo con le parole di Gervasutti al ritorno dal Pic Adolphe: «Al rifugio Torino festeggiamo allegramente la piacevole vittoria bevendo alla salute del piccolo grande Adolphe. Al quale con deferenza dedichiamo la salita».

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI1. Adolphe Rey è la grande guida di Courmayeur che fra le sue imprese conta la prima ascensione del Grand Capucin.

LE CITAZIONI SONO TRATTE DA:Gian Piero Motti, La storia dell’alpinismo, Vivalda, Torino, 1994.

Renato Chabod, La cima di Entrelor, Zanichelli, Bologna, 1969.

Giusto Gervasutti, Scalate nelle Alpi, Il Verdone, Torino, 1945; Vivalda Editori, I Licheni n. 72, 2005.

Gabriele Boccalatte, Piccole e grandi ore alpine, s.e. Milano 1939; Vivalda Editori, I Licheni n. 2, 1992.

Si ringrazia Lorenzo Boccalatte per aver messo a disposizione le immagini.

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di MAURIZIO MANOLO ZANOLLA

Isolati e quasi nascosti, ecco i nuovi gioielli da arrampicare del MAGO

Ormai il presente cambia sempre più rapidamente, alcune volte anche violentemente e si allontana, con quello che ha o non ha raccontato e sparisce, cancellato da una superfi cialità disarmante, senza lasciare traccia di

memoria. Anche molti luoghi subiscono la stessa fi ne e, quelli che resistono, sono catalogati ostili o troppo inutili per essere consumati e omologati.

PURE VERTICAL

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BAULE

Prima di incontrare l’alpinismo,

le montagne erano solo linee senza nome

che separavano la terra dal cielo,

dove un bambino cercava l’immaginario

dormire del sole.

La prima volta che ho sfi orato il Baule credo di non averlo nemmeno visto, ero troppo distratto da quel mondo attorno, e una lastra alta poco più di trenta metri, liscia come l’asfalto, non poteva certo contenere tutti quei sogni che portavo nello zaino.Quando sono inciampato nell’arrampicata sportiva questo luogo è diventato un rifugio per quella libera, una barca sospesa, come un disegno di Moebius, per veleggiare “in direzione ostinata e contraria”, di bolina, fra rughe e appoggi appena disegnati dal tempo. Mi ricorda molto la “Polstjerna” una bella e solida barca norvegese, sulla quale, per un periodo, ho navigato nei fi ordi Vichinghi. Questa leggenda di legno, dopo anni di sfi de fra le onde gelide dell’Artico, ha salvato molte vite e ospitato a bordo anche il re. Adesso, ormai vecchia, è ancorata e protetta con tutte le sue storie, sotto una campana di vetro nella baia di Tromsø.

Il Baule non entrerà mai in una campana di vetro, non ha salvato nessuno e non ha mai ospitato nessun re. È protetto solo da un miliardo di stelle e qualche volta da una nuvola, ma soprattutto da un’ora e mezzo di cammino, e questo, ormai, sembra anche più effi cace. Le sue vie, sono ancora libere e belle, come lo sono stati per me quei momenti, quando inseguivo ancora gli appigli più piccoli e taglienti del mondo, e gli appoggi erano ancora qualcosa da prendere in considerazione.È una piccola fetta di calcare chiaro che non ha nulla a che vedere con le grandi pareti e nemmeno con le moderne falesie. È incastonata, in un angolo dimenticato e selvatico, al riparo dai forti venti del nord, aperta solo alla brezza rassicurante che arriva da quel mare lontano che a volte si riesce anche a vedere. Un giardino, nascosto fra i prati dove sono nato e le montagne dove sono vissuto, che come pochi altri, senza muoversi, mi ha portato lontano.Eppure, le sue linee verticali e démodé come un modo di vestire sono state testimoni dei sogni, delle paure, delle speranze, degli errori e delle illusioni di un’intera generazione.Forse è anche per questo che un giorno, mentre scalavo sui ridicoli appigli di Eternit (che solo qualche anno prima non riuscivo nemmeno a vedere), per la prima volta ho lasciato accesa una vecchia telecamera a fermare e documentare un momento che sembra già preistoria. Dal quale è nata l’idea di un fi lm (Verticalmente Démodé, NdR) un piccolo racconto in bianco e nero, semplicemente per non dimenticarlo.

QUI A DESTRA MANOLO SU OSTERIA

TACI CAVALLO 8A (FOTO C. ZORZI)

NELLA PAGINA A FRONTE SUGLI APPIGLI

INVISIBILI DI ETERNIT 9A (FOTO C. ZORZI)

E IN BASSO DURANTE LE RIPRESE DI

VERTICALMENTE DÉMODÉ

(FOTO M. PUATO)

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STRAMONIORoby Present è l’ultima di una decina di vie che ho aperto e liberato in una nuova falesia della Val Noana che ho chiamato Stramonio, come una delle sue vie. La sua grigia geometria, rotta solo da qualche fi ammata di giallo, sembra sospesa fra il cielo e il torrente, ed è anche un po’ nascosta da ripidi boschi di faggio. Ha un aspetto severo e si addolcisce solo d’autunno, quando fi nalmente quegli alberi s’impastano di colori che non ti fanno partire. Un muro alto più o meno 70 m che, in uno spazio poco più largo di 15, ospita il concentrato di diffi coltà più elevato della valle. La sua inclinazione è piuttosto invitante, ma quel dolore che appare quasi immediatamente agli avambracci, suggerisce una certa prudenza. Ho dedicato questa via a una persona che si chiamava Roberto Bassi. Siamo stati amici e a vent’anni, abbiamo incendiato insieme quel mondo che oggi è diventato Arco e quello che c’è attorno.E, amici... lo si può essere solo in un modo. Poi siamo diventati grandi e lontani e quando forse, era ritornato il momento di ritrovarci, Lui se n’è andato, incendiando da solo un’alba a tutto volume. Ci sarebbero molte cose da raccontare del nostro viaggio insieme, ma non ne ho ancora voglia.Questa via è stata un percorso lungo e sofferto: per me, non rimarrà mai, solo un nome scritto su un pezzo di ceramica.È bella! Credo ti piacerebbe, ed è per te, Roby.

MANOLO SU ROBY PRESENT (FOTO P. CALZÀ)

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ROBERTO BASSI

Stile, passione, genio e improvvisazione, è stato un personaggio chiave con Manolo, Mariacher, Luisa Iovane, ecc... nel rivoluzionare e segnare l’evoluzione dell’arrampicata in falesia e in parete negli anni ‘80 (scoprendo e rivelando tra molti siti, le potenzialità di Arco). Scomparve prematuramente nel 1994 in un incidente d’auto.

MANOLO SU ROBY PRESENT (FOTO P. CALZÀ)

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SOPRA MANOLO IN BILICO 8B/C SU BILICO (FOTO C.

ZORZI)A SINISTRA LA CIMA

D’OLTRO E LE REGADE IN VAL CANALI (FOTO M.

ZANOLLA)QUI A DESTRA IL TAGLIO

NETTO DEL BILICO E SULLO SFONDO LA CIMA D’OLTRO

(FOTO M. ZANOLLA)

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BILICO È un grande blocco di pietra, un pezzo perso o quello che rimane di una montagna più grande. Sembra un meteorite, in bilico, in cima a un ghiaione quasi verticale. Da lassù, con la sua faccia squadrata e completamente liscia abbraccia l’intera vallata e rifl ette tutto quello che gli arriva addosso. La sera, quando il sole si abbassa, il suo colore giallo s’infi amma di arancione e due righe nere sembrano piangergli sul viso. Questa miscela suggestiva di colori in precario equilibrio sul mondo, è stata sicuramente la principale motivazione per salire a conoscerlo.È davvero strano e destabilizzante scalare su questa faccia leggermente inclinata sul vuoto. I suoi appigli tutti eguali e tutti diversi, sembrano continuamente muoversi. Si aggrovigliano, ti confondono e intanto, la gravità ti riporta all’inizio.La prima volta che ho raggiunto la cima e cautamente mi sono affacciato su quel bordo inquietante, sono stato colpito da qualcosa di strano che affi orava dalla scorza di un mugo.Subito ho pensato a una cicatrice causata da una pietra errante, o da qualche animale ma, guardando meglio, ho scoperto una vecchia indecifrabile incisione, storpiata dalla crescita.Incuriosito l’ho portata a casa dove, lentamente, da quella specie di geroglifi co è affi orato un nome. Adesso nelle sere d’inverno quel pezzo di legno leggero e profumato lo usiamo per spaccare le noci e ogni volta mi chiedo chi mai sarà stato a inciderlo, su quel ciglio. ■

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uscito un fi lm su di te se non l’emozionante sequenza pubblicitaria di Marco Preti degli anni ’80, e la prima cosa che facciamo è un cortometraggio su una via di 30 m. Mi sembra una cazzata».Manolo però mi ha lavorato ai fi anchi: «Guarda che è una via importante per me, la più diffi cile che ho fatto». «Sai il luogo è splendido, da un parte si vede il mare, dall’altra le montagne e il paese dove son nato»...Forse il mio primo pensiero

Come è venuto alla luce questo fi lm?È nato da chiacchiere, bevute e sogni fatti con Manolo, con cui ci conosciamo da tanti anni. Gli dicevo da tempo: «potremmo fare una di quelle robe lì, dove ci si muove e c’è anche la musica, dai!». Ma alla fi ne non si riusciva a concretizzare nulla.Penso Manolo abbia fatto un lungo percorso interiore per arrivare alla decisione. Dopo il silenzio assoluto e dal completo isolamento, ha iniziato a scrivere e farlo anche bene. Allora ho pensato e gli ho

Dopo 30 anni di assenza dal video Manolo torna in un cortometraggio intimo e intenso che rivela il suo mondo dell’arrampicata oggi. Poco più di quindici

minuti, fotografi a esemplare in bianco e nero, montaggio e sonoro curatissimi per mettere in luce i tratti di un percorso umano e sportivo di inestimabile valore. Un corto davvero da non perdere. Noi per leggerne il dietro le quinte e carpirne ogni

sfaccettatura abbiamo intervistato il regista Davide Carrari.

detto «bravo Mago, sono contento che ti stai aprendo un po’». E lui ovviamente sul momento ha negato. Poi però pian piano si è convinto che fare un fi lm non è un gesto di vanità (un suo grande timore era di apparire semplicemente vanitoso), ma di comunicazione.L’esigenza alla fi ne è venuta da lui. Un giorno mi ha confessato: «voglio fare un corto su Eternit». Al che ho replicato: «a me sembra una cosa sbagliata. Non è mai

MA

URI

ZIO

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OLÒ

INTERVISTAA DAVIDE CARRARI

di Giulio CARESIOdisegni di MANOLO

SOPRA A SINISTRA MANOLO CON IL REGISTA DAVIDE CARRARI (FOTO M. PUATO) IN QUESTE PAGINE IMMAGINI DAL FILM, IN BIANCO E NERO,

E FOTO DI SCENA, A COLORI (FOTO M. PUATO)

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del tipo «la solita scimmia che fa il solito muro» era stato un po’ troppo superfi ciale, così ho maturato la decisione anch’io: «ok, si fa!»

Un monotiro di 30 metri da un lato e un cortometraggio dall’altro. Due condensati per raccontare uno come Manolo è una bella sfi da di sintesi... L’intenzione era proprio raccontare l’uomo Manolo, che è complesso, non superfi ciale,

che pretende tantissimo da sé e così dagli altri, che mette in tutto sempre il massimo impegno. Del resto è ciò che l’ha portato a fare quello che fa all’età che ha. Un fatto, questo, che mi ha incuriosito molto. Il massimo della prestazione in molti sport per quasi tutti gli atleti arriva tra i 20 e 30 anni, diffi cilmente più in là. Lui ne ha 52 e

Abbiamo girato tutto in digitale, in gran parte con una fotocamera refl ex, un bel vantaggio perché fi nalmente è possibile realizzare video con qualità fotografi ca e con l’occhio a cui sono abituato. Con una telecamera per esempio hai tutto sempre a fuoco: staccare i piani è impossibile. Ho avuto anche la conferma che il bianco e nero lascia molto più liberi di percepire contenuti e forme, in una parola, la sostanza delle cose. A quanto pare ha funzionato: nessuno ha detto, che mi risulti, “sarebbe stato bello colorato”.

Una serie di elementi che dialogano ciascuno con la sua identità, forse è questa la chiave di Verticalmente démodé?Sai meglio di me che un fi lm è sempre frutto di un lavoro corale. È un’alchimia che poteva funzionare o meno. C’è stata anche un po’ di “lotta collaborativa” tra me e Maurizio: la sua pressione ha giovato da un lato, e il mio non spiegarmi troppo ha reso molto più fl uido il suo lavoro. È accaduto molto naturalmente, con collaborazione e complicità. Non ho mai detto, «mettiti così, o cosà», «fai questo o quello», ecc... È stato volutamente fatto tutto insieme, ma ognuno si è occupato della sua parte con spontaneità. Credo che questo abbia generato gli equilibri di cui parli: sul piano narrativo, tra roccia, natura e Maurizio, su quello tecnico tra immagini, narrazione e sonoro. Grande collaborazione e buona elasticità da parte di tutti: ognuno ha avuto il suo spazio

senza prevaricare quello degli altri. Sarebbe stato facile, per esempio, sentir dire: “il fi lm è bello perché c’è Manolo”. Ma sono felice che non sia accaduto.

Eternit è stata salita da Maurizio per la prima volta nel 2009. Quando sono state fatte le riprese?Il fi lmato di quella prima salita rimane un documento, una testimonianza chiave e lo vedete scorrere nella parte fi nale e durante i titoli di coda. Volevo e mi sembrava giusto che ci fosse, perché probabilmente è stato la scintilla da cui è nato questo cortometraggio.Noi abbiamo realizzato una ricostruzione della salita. Siamo stati molto rapidi nelle riprese: appena quattro giorni, ma poi abbiamo lavorato a lungo in post-produzione.

E si vede. Sonoro e montaggio hanno un ruolo importante, vuoi dirci il tuo punto di vista?Desideravo assolutamente l’atmosfera reale e il suono in presa diretta, per cui ho trovato Enrico Montrosset in grado di “prelevarlo” in parete. Fonici volanti ce ne sono pochi in giro!In partenza non doveva fare null’altro, poi ho scoperto la sua capacità di lavorare con suoni e musica. Enrico mi ha fatto alcune proposte e ci abbiamo lavorato su fi no ad

realizza la sua via più diffi cile, com’è possibile?È sicuramente un segnale forte di come pratica e intende la scalata, ma anche dell’uomo che è e del percorso che ha fatto. In attesa di una ripetizione di Eternit, l’unica cosa che manca, forse, nella dimensione sportiva, è un riscontro con altri atleti. È un po’ il prezzo da pagare per l’isolamento, sua indole naturale, che è stata forse esasperata dall’invidia di chi gli ha voluto e ne ha parlato male.La sfi da del corto? Non sta a me giudicare se sia riuscita, ma è stato bello raccoglierla e mi pare che il fi lm sia piaciuto.

Un po’ tutte le scelte sono pure e decise, la prima che salta all’occhio a tutti è il bianco e nero...Per me più che una scelta è

un’abitudine: sono trent’anni che faccio immagini per il mio godimento e “vengono” sempre in bianco e nero.Questo fi lm è stato sviluppato in totale libertà, senza alcun condizionamento: abbiamo fatto tutti quello che volevamo fare. Ognuno ha messo a disposizione e inserito gli aspetti cui teneva: io naturalmente la mia fotografi a, o meglio quella che sono riuscito a fare. Neanche sono così soddisfatto: lavorare con le immagini in movimento è comunque differente.C

HIC

CO

DA

VID

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CRI

STIN

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Ho saputo da poco che una cosa simile (il fi lm ha vinto Genziana d’Oro, Premo “Città di Imola” e Premio “Mario Bello”, Ndr) era successa una sola volta nella storia del Festival, negli anni ’80 con Cumbre di Fulvio Mariani. Siamo andati molto oltre le aspettative.

Un’ultima curiosità, che forse dovrebbe stare all’inizio, il titolo da dove arriva?Maurizio ha preparato alcuni testi per la coda del corto. Nel suo scritto compariva questa affermazione-invenzione del “verticalmente démodé”. A me è piaciuta molto e gli ho spedito il fi le del primo premontato con quel nome. Da lì è stato dato per scontato da tutti che fosse il titolo del fi lm, senza più pensarci o discuterlo. Fin quando io alla fi ne non ho chiesto: «ma siamo sicuri?», e Maurizio mi ha risposto stupito «perché, non va?». «No, no, è che abbiamo messo in dubbio ogni cosa e mi pareva strano non porre almeno la questione».

arrivare alla versione defi nitiva, che credo sia effi cace. Mi interessava molto ci fosse una buona tensione perché ritengo che i fi lm di arrampicata tendano a essere noiosi.In tal senso il montaggio ha avuto un ruolo chiave: tanti cambi di inquadratura, tanti punti di vista e un buon equilibrio sulla continuità dei movimenti, che ci sono praticamente tutti.Desideravo far vivere la dimensione grazie a cui quell’uomo sta attaccato alla parete, passando dalla macro alla visione normale. Mattia (Marceca, NdR) è stato bravissimo a realizzare un montaggio che ha tiro, ritmo e passa da un registro all’altro senza essere invadente o fastidioso.

E la farfalla che si posa sul braccio di Maurizio?C’era, è andata lì e ha fatto il suo lavoro. Mi attribuisco il merito di averla cercata, di aver avuto la prontezza di fare le riprese e, con un po’ di mestiere, aver trovato il modo di inserirle nel fi lm. Così come quelle dell’aquila. Mi sarebbe piaciuto comparissero anche i camosci, così belli e numerosi in quelle valli. Ma non è accaduto e come dicevo: nessuna forzatura.

Tre premi a Trento, un segno davvero forte...Non me l’aspettavo. Quando ci hanno accennato al premio, abbiamo pensato tutti alla Genziana d’Argento per il miglior corto. In realtà invece ci è stato riconosciuto molto di più.

MA

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ZIET

TOM

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«Questa via l’ho chiamata come quella miscela

di cemento e amianto che arrivava dalla Svizzera,

ma diversamente dalla cioccolata, anche se

non la mangiavi, faceva davvero molto male.

Ci sono molte cose che non vediamo,

ma anche molte che non vogliamo vedere e mi sembrava giusto

ricordarlo. [...]

È semplicemente la via sportiva più diffi cile

che io ho scalato. Ma anche se è verticalmente démodé, questa inclinazione invitante nasconde qualcosa

che può far male. Forse anche per questo l’ho chiamata Eternit».

Maurizio Manolo Zanolla

34 ALP 282 Baule.indd 4534 ALP 282 Baule.indd 45 26/06/12 11.1926/06/12 11.19

schedaGIALLAa cura di

MAURIZIO “MANOLO” ZANOLLA

e GIULIO CARESIO

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INDIRIZZI UTILIVal Canali / Tonadico• Malga Canali (1307 m) loc. Val Canali

tel. +39 0439 64491, cell. +39 368 7413582

• Albergo Cant del Gal, loc. Val Canali 1

tel. +39 0439 62997, fax. +39 0439 765539

[email protected]

• Baita La Ritonda, loc. Val Canali 2

tel. +39 0439 762223, fax. +39 0439 762223,

[email protected]

• Camping Castelpietra, loc. Catelpietra

tel./fax. +39 0439 62426, [email protected],

www.castelpietra.it

Val Noana• Rifugio Boz (1718 m)

tel. +39 0439 64448 gestore Daniele Castellaz

Queste splendide e selvagge Dolomiti, che da

Feltre si diramano verso nord, non sono solo le

montagne magiche di Buzzati, ma anche quelle

che hanno dati i natali e visto crescere il Mago.

È qui che Manolo ha fatto i suoi primi passi in

verticale ed è in queste valli che oggi è tornato a

esplorare e tracciare linee e progetti,

riscoprendone pareti e strapiombi in una nuova

luce. Grandi foreste di abete rosso, imponenti

pareti di bianca dolomia, curiose formazioni

geologiche, falesie verticali di porfido scuro, forre

e torrenti impetuosi: un insieme ricchissimo e

suggestivo di natura, in gran parte protetta dal

Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi e dal

Parco Naturale Paneveggio - Pale di San Martino.

Un universo che offre infinite interessanti

escursioni e ascensioni alpinistiche, ma anche

occasioni di arrampicata fuori dal comune.

Lasciamoci guidare allora dall’esperienza e la

bravura di Manolo alla scoperta di questi suoi

tesori verticali: tre falesie di monotiri davvero

molto impegnativi. Dal grande masso monolitico

del Baule che si affaccia sulla Val Canali, alla

falesia di Stramonio in Val Noana, al Baule che

già guarda verso Feltre e il mare. In questi ultimi

due siti ogni via è segnata alla base da una

targhetta in ceramica con il nome, che permette

facilmente di reperirne l’attacco. Un piccolo

particolare che però la dice lunga sull’attenzione

e la dedizione con cui queste linee sono state

concepite e lavorate.

IN FALESIA TRA FELTRE E SAN MARTINO

(tel. +39 0439 302306, cell. +39 348

7248949)

• Rifugio Fonteghi (1100 m)

tel. +39 0439 67043, fax. +39 0439 725266

gestore Franca Gobber (cell. +39 348

8744685), [email protected],

www.rifugiofonteghi.com

• Camping Calavise, loc. Pezze, Imèr di

Primiero, tel. +39 0439 67468,

[email protected],

www.campingcalavise.it

INFO• Parco Naturale Paneveggio - Pale di SanMartino www.parcopan.org

• Parco Nazionale Dolomiti Bellunesiwww.dolomitipark.it

Bilico, Stramonio e Baule Alla scoperta di 3 siti fuori dal comune per cimentarsi su monotiri molto impegnativi, immersi negli splendidi scenari tra le Dolomiti Bellunesi e le Pale di San Martino.

MANOLO DURANTE LE RIPRESE DEL FILM VERTICALMENTE DEMODÉ (FOTO M. PUATO)

Gli schemi con le tracciature sono un’anticipazioneda una guida cui Manolo sta lavorando e che

dovrebbe essere disponibile per l’estate.

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ABILICOArea: Val Canali, Trentino

Quota: 1800 m circa

Versante: sud

Avvicinamento: 1h circa

Difficoltà: da 7c/8a a 9a?

Chiodatura: a spit

Attrezzatura: corda 50 m

Periodo: primavera, estate e

autunno

Punti d’appoggio: Malga

Canali, Albergo e Ristorante

Cant del Gal, Albergo Ristorante

Ritonda, Campeggio Castelpietra

(a 3 Km dal parcheggio)

Si lascia la macchina nel parcheggioin Val Canali, lo stesso che si utiliz-za per raggiungere il Rifugio Trevi-so. Dopo circa 100 metri si prendeuna traccia di sentiero a sinistra e sicosteggia il muro di pietra a secco,che delimita il grande prato dellamalga. Alla fine si imbocca la vallet-ta e si risale nel bosco, fino a sbu-care davanti al disordinato ghiaioneche scende proprio dalla falesia (se-guite gli ometti).Da qui, si continua per una tracciaogni tanto marcata da segni eometti, fino alla base del grandeblocco di pietra: 50 minuti circa dalparcheggio. La falesia, per quanto

piccola, è inserita inun ambiente aspro e alpi-no e se ne consiglia l’approcciosolo a scalatori esperti. Rientra nelParco Naturale Paneveggio - Pale diS. Martino.

Le vie da sinistra a destra1. Progetto Manolo 9a?2. El Junca 7c/8a3. Oidualca 8a/b4. In Bilico 8b/c5. Progetto Manolo 8b+?

BSTRAMONIO Area: Val Noana, Trentino

Quota: 800 m

Versante: sud

Avvicinamento: 10 min

Difficoltà: da 7b a 9a

Chiodatura: a spit resinati

Attrezzatura: corda 70 m

Periodo: dalla primavera

all’autunno

Punti d’appoggio: Rifugio Boz,

Rifugio Fonteghi, Campeggio

Calavise (all’inizio della Val

Noana)

Dai paesi di Imèr o Mez-

zano, si imbocca laVal Noana, dopo

aver superatouna lungagalleria e,subito dopo

un ponte, si trovaun ottimo parcheggio.

È possibile parcheggiare an-che più avanti, ma è piùcomplicato girarsi.Proseguite per la stradacirca 200 m e poi dove iltorrente si strozza fra

due sassi vicini, (proprio sotto alpiccolo parcheggio), si scende e losi oltrepassa. Tracce e segni d’indi-cazione. Poi si segue una ripida macomoda traccia e in 10 minuti si

arriva alla base della falesia. L’ulti-mo breve tratto per raggiungere ilterrazzo, da cui partono le vie, è at-trezzato con una corda. Ci sono anche alcuni gradini di fer-ro, su cui bisogna fare molta atten-zione. La falesia è consigliata esclu-sivamente a persone esperte, nonsolo per le difficoltà che offre, masoprattutto per la sua ubicazione.

Le vie più belleRoby Present 9a (n.7), Cacciatori dipiste 8a+ (n.4), Nicoboldo 8b(n.3), Eroi fragili 8c (n.6), Stramo-nio 8c/+ (n.8) e poi, come vedetedalla schema qui sotto, ci sono unpaio di 7b non facilissimi per riscal-darsi.

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schedaGialla

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CBAULE Area: Val Noana, Trentino / Val

Canzoi, Veneto

Quota: 1800 m

Versante: est sud-est

Avvicinamento: 1h 30’

Difficoltà: da 6b a 9a

Chiodatura: a spit resinati

Attrezzatura: corda 60 m

Periodo: tarda primavera, estate

e autunno

Punti d’appoggio: gli stessi

di Stramonio

Il percorso più breve per raggiun-gere la falesia è partire dai paesi diImer, o Mezzano e imboccare la ValNoana, fino alla fine, dove si trovail parcheggio per il Rifugio Boz.Il rifugio è raggiungibile a piedi incirca 1 h 30’ e può essere ancheun ottimo appoggio alla falesia,distando solo 40 minuti da que-st’ultima.È anche possibile raggiungere lafalesia direttamente, senza passa-re per il rifugio. In questo caso,quando la strada forestale fini-sce, si prosegue sempreper il sentiero segnato,che porta al rifu-gio, ma poco do-po aver attra-versato il gre-to del tor-rente si

abbandonano le indicazioni e sisegue una marcata traccia sulladestra che, uscendo dal bosco,

sbocca su pascoli prativi. Si tagliaverso est, fino a incrociare il sentie-ro che arriva dal rifugio. Lo si se-

gue e, pocoprima del

Passo Fi-nestra, lo

si abbando-na verso sini-

stra per segui-re una tracciafino a valicare lacresta (circa 20minuti dalla fine

della strada fore-stale). Da qui, anco-

ra a sinistra per unsentiero esposto e con

prudenza in 10 minuti si ar-riva alla base della falesia. È

possibile anche l’approccio dallaVal Canzoi, ma con tempi di per-correnza più lunghi (2h 30’).Il Baule si trova nel Parco Naziona-le delle Dolomiti Bellunesi.

Le vie più belle Il ballo del gallo forcello 7b (n.15),Baule volante 7c (n.4), Osteria taci-cavallo 8a (n.3), Aquila grassa 8a(n.10), O ce l’hai o ne hai bisogno8b (n.12), Appigli ridicoli 8c+(n.14), Eternit 9a (n.13).Per riscaldarsi: L’orso Boz 6b (n.7) eVolpe rotonda 7a (n.5).

MANOLO ALLA RICERCA DEGLI “APPIGLI RIDICOLI” DI ETERNIT 9A SUL BAULE (FOTO C. ZORZI) IN BASSO LA VELA DI ROCCIA LISCIA E VERTICALE DEL BAULE (FOTO MANOLO)

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“GRIVEL È ORGOGLIOSA E FELICE DI AIUTARE IL PIANETAÈ ORGOGLIOSA E FELICE DI AIUTARE IL PIANETAÈ ORGOGLIOSA E FELICE DI AIUTARE IL PIANETAÈ ORGOGLIOSA E FELICE DI AIUTARE IL PIANETAÈ ORGOGLIOSA E FELICE DI AIUTARE IL PIANETAUTILIZZANDO L’ENERGIA DEL SOLE”

La copertura della fabbrica è di circa 7000metri quadrati ed i pannelli coprono una superfi cie equivalente a quella di un campo da calcio regolamentare

L’impianto è in grado di generare 516 kWp

La produzione di energia giornaliera può coprire il consumo di 194 famiglie

Ogni giorno viene evitata l’emissione di 806Kg di CO2 nell’atmosfera che è pari all’inquinamentoprodotto da una automobile che ha percorso 5.800 Kilometri

Durante il suo ciclo vitale, stimato in 25 anni, l’impianto produrrà 12.000.000kWh, questo datocopre il fabbisogno energetico di una famiglia per 4.200 anni

Ogni anno l’impianto eviterà l’utilizzo di 1.173 barili di petrolio.

GRIVEL.COM

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L’EREDITÀ DELLE MONTAGNE

6° PUNTATA

testo di VALTER GIULIANOfoto ARCH. ALP

Messner Mountain Museum

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RIPA

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IL CORTILE INTERNO DEL CASTELLO DI BRUNICO CON LA TORRE CIRCOLARE E LA SUA SPLENDIDA MERIDIANASOTTO UNA DELLE PORTE CHE SI APRONO SIMBOLICAMENTE SULLE VENTUN POPOLAZIONI DELLE MONTAGNE DEL MONDO

NELLE DUE PAGINE PRECEDENTI L’INGRESSO ALBERATO CHE CONDUCE ALLA SOMMITÀ DELLA COLLINA DEL CASTELLO CON L’INSEGNA DEL MMM CHE PRESENTA IMMAGINI DEI CINQUE MUSEI

A FIANCO, IN ALTO IL CORTILE INTERNO CON UNA SCULTURA SULLO SFONDO DELLA FACCIATA CON I MEDAGLIONI STORICI

AL CENTRO L’INGRESSO DEL MUSEO CON IL TENDONE A FESTA DEL TIBET, SOTTO ALCUNE STATUETTE FETICCIO AFRICANE

Il Castello di Brunico, fatto erigere da Bruno von Kirchberg sulla collina meridionale del noto centro della Val Pusteria,

sembra voler accentuare il suo aspetto magico, velato e accer-chiato dalla leggera nebbia mattutina che si insinua nella valle.Ai suoi piedi la città brulica già, divisa tra le normali attività, l’arrivo dei turisti e la presenza del mercato. Passiamo sotto il ponte sospeso per arrivare al posteggio più vicino all’ingresso che a quest’ora non è ancora del tutto oc-cupato.Il luogo si affaccia a balcone sulla città vescovile, incorniciato da alberi imponenti che cominciano a colorarsi delle tinte autunnali; è perfettamente in sintonia con le altre localizza-zioni del sistema dei Messner Mountain Museum. Qui dal luglio del 2011 è visitabile l’ultima tessera del com-plesso mosaico attraverso cui il forte scalatore sudtirolese ha voluto raccontare il suo rapporto con le montagne.In ognuna delle situazioni il valore paesaggistico, fortemente ricercato e sommato al valore culturale del progetto, lo rende unico nel suo genere. Com’è unica l’accoglienza condensata nel giovane sorriso di Caroline, che fornisce subito preziosi consigli per avere dal percorso museale la massima soddisfazione.«Questo museo rappresenta l’ultimo capitolo del progetto di Reinhold. Ha voluto far conoscere e raccontare ventidue po-poli delle montagne attraverso le loro visioni del mondo, le abitazioni, le religioni, gli oggetti artistici o per meglio dire di artigianato artistico».Il nuovo Messner Mountain Museum porta il nome “Ripa”. In lingua tibetana “ri” sta per montagna e “pa” per uomo, dunque uomo di montagna in ossequio al tema prescelto che è proprio quello dei popoli delle montagne del pianeta. Un museo interattivo che in prospettiva sarà luogo di scam-bio e di incontro tra culture diverse, tra la popolazione au-toctona e i diversi popoli provenienti da altre montagne. «Vorrei portare qui ogni anno rappresentanti delle popola-zioni alpine del Pianeta non per esibirle, ma per farle incon-trare con i popoli montanari delle nostre Alpi».Appena entrati dal portale tardo gotico a schiena d’asino, datato 1584, sulla sinistra compare l’esile silhouette di una statua femminile cui segue poco oltre, in una delle rientran-ze del cortile, l’accoglienza che arriva dalla statua del Buddha a guardia della quale vigilano due leoni delle nevi tibetani.Superata la biglietteria si lascia sulla destra l’originario posto di guardia, in cui è rappresentata la struttura abitativa del Tirolo alpino, per scendere verso l’ingresso a tutto vetro del museo, da cui parte il percorso espositivo.«Ho dovuto insistere molto con la Soprintendenza per avere questa possibilità di accesso che permette di utilizzare anche gli ambienti affascinanti delle cantine storiche – sottolinea Reinhold – ma alla fi ne mi è stato permesso».

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Il tema è quello delle popolazioni nomadi, una suggestione immediatamente trasmessa dalle orme di uomini e animali impresse nel pavimento in cemento, mentre a parete un’in-stallazione mostra l’orma della suola di uno scarpone su un ghiacciaio che nelle profondità, ahimè, rivela un misto di rifi uti non biodegradabili simbolo della moderna società dei consumi.Nella tipologia che Messner ha scelto per la sua rete museale, i solleciti a rifl ettere su ciò che sta davanti agli occhi del visi-tatore giunge sia da installazioni e opere artistiche di questo tipo sia dalla selezione attenta di frasi immaginifi che che scorrono durante la visita accompagnando il visitatore a ogni passo.Anche in questo caso le lasciamo in una sequenza senza commenti.Ogni inizio contiene una magia / Dobbiamo attraversare spazi e spazi / senza fermare in alcun dossi il piede / lo spirito universa-le non vuol legarc i/ ma su di grado in grado sollevarci. / Appena ci avveziamo ad una sede / rischiamo d’infi acchire nell’ignavia; / sol chi è disposto a muoversi e partire / vince la consuetudine inceppante

Hermann Hesse

Nulla fu più costante del cambiamentoRobert Macfarlane

Verrà il giorno, in cui l’unico lascito che sorreggerà le stirpi, sarà quello tessuto con le proprie mani – un abbozzo della loro terra e leggenda – , laddove ogni fi lo simbolizzerà il colore della pro-pria stirpe

Ziba Arshi

Poi è Reinhold a darci la sua personale visione, sotto il titolo “Da dove”: La mia infanzia tra i contadini di montagna in Sudtirolo e tante spedizioni hanno acuito il mio sguardo sulla forza di sopravvivenza delle cultura di montagna e destato la mia curiosità.Ci ha raccontato così questa esposizione: «Tutto si basa sul fatto che ho vissuto da montanaro nelle Dolomiti, poi duran-te le spedizioni sono andato sempre dalle genti di montagna del luogo che mi hanno accompagnato sino ai campi base. Il

discorso che ho voluto affrontare si sviluppa con percorsi che illustrano via via tutte le popolazioni dal Caucaso (forse la più bella casa che abbiamo acquisito), all’Asia, al Sud Ame-rica (una sezione è stata riservata agli Inca, popolo che non esiste più) con stanze dove sono ricostruiti i modi di vivere a cominciare dalle architetture, comprese le stanze del vescovo rimaste intatte e che mi hanno offerto lo spunto per affron-tare anche in questa sede il tema delle religioni, dunque la cattolica che qui fu ed è di casa, ma anche le esperienze dei musulmani, dei buddhisti, dei lamaisti. All’inizio mostro le abitazioni dei vari popoli rappresentati poi, mano a mano che si va avanti, questo diventa superfl uo, pleonastico; dunque la stanza non vuole più dare conto dell’intera abitazione, rimane solo la porta che serve simbo-licamente ad avvertire il visitatore che sta per entrare in un’altra esperienza culturale. Resta tutto quello che serve per vivere e così mostro il cuore della casa di un popolo con tutti gli utensili che gli sono ne-cessari». Lungo il percorso “La porta che apre alla cultura”, ecco la spiegazione di questa scelta: Le porte raccontano storie di miti, segreti e paure degli individui dietro alle porte. Esse sono testi-moni del loro orgoglio, della loro arte artigianale e della loro ospitalità. Le porte aprono alla cultura di qualunque popolo di montagna.Nel MMM Ripa si aprono le porte di oltre 20 culture di montagna insediate in tutti e cinque i continenti. Dietro a queste porte si ritrova fra il profano quel mondo ani-mato, cui le genti di montagna (Ripa) hanno dato forma alla pietra, al legno e all’argilla.Accade, in realtà, esattamente per ventuno po-poli delle montagne del mondo e i materiali esposti, utensili e oggetti di artigianato che tal-volta si confondono con la vera arte, servono a comprendere le diverse religioni e le varie visioni del mondo; ovviamente alcuni testi scritti aiutano a capire meglio differenze e analogie.Vale la pena soffermarsi ancora sulle istruzioni per l’uso, prima di intraprendere la salita dei vari piani sino a giungere all’apice della torre che offre un panorama

DALLA COLLEZIONE MESSNER, SCULTURA-FONTANA, UNA DIVINITÀ E LA GRANDE STATUA DEL BUDDHA PROTETTA DAI LEONI TIBETANI SOTTO UNA FIGURA ZOOMORFA IN LEGNO COLORATO PROVENIENTE DALLE MONTAGNE AFRICANE

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mozzafi ato sulla città e sul territorio circostante.Si parla spesso oggi del carattere genuino delle cultura di

montagna - si legge sul cartello “Proiezione di un mondo ideale” -, della sua autenticità e delle sue tradizioni. Dalle

lontane aree urbane gli ambientalisti e i protezionisti mettono in guardia contro la svendita delle montagne. Ma loro stessi usano questo paesaggio culturale come fondale su cui proiettare la loro concezione di mondo

ideale. Il “ritorno alla natura” nella “terra natia” viene paragonato alla vita prima della Rivoluzione Industriale.

Ai loro occhi le regioni montuose devono rimanere “vere”, “genuine”, “come ai vecchi tempi”. Le regioni montuose come musei, però, non possono sopravvivere. La cultura di monta-gna può essere sviluppata in maniera slegata dal presente, ma tenendosi solo aggrappata al passato diventa sterile.

Ora siamo pronti a partire lungo i “Sentieri”: Cacciatori e raccoglitori seguirono il passo della selvaggina fi n sulle monta-gne. La transumanza utilizzò quei percorsi così tracciati e ancor oggi gli alpinisti seguono i sentieri dei pastori.

Questa la prima scritta che introduce il percorso. Poi in que-sto piano interrato incontriamo subito il tendone a festa del

Tibet e la sensibilizzazione ai destini di quella terra e quel popolo: Non solo i pastori nomadi con i loro yak, ma tutti i Tibetani erano una volta migranti alla ricerca dell’orizzon-te. Sull’altopiano, dove le montagne paiono sfi orare il cielo,

il richiamo dell’estate li spingeva fuori da città e villaggi, lad-dove il silenzio e le distese erano infi nite. In tendoni decorati a festa cantavano, festeggiavano, mangiavano. La vita era festa, ospitalità, compassione e la loro cultura era semplicemente ovvia.

Oggi le sorti del Tibet si decidono a Pechino, e la regione inneva-ta un tempo schermata dalle montagne dell’Himalaya rischia di perdere la sua anima.Poi via via, a seguire, le tende dei nomadi dell’Anatolia e del-la Mongolia con disegni e decorazioni simboliche. Per uno come Reinhold che si è sempre dichiarato “moderno seminomade”, il tema non poteva che prendere avvio proprio dalle popolazioni nomadi della montagne che ancora per-mangono nei territori del Tibet, del Medio Oriente e della Mongolia dove l’antica pratica degli spostamenti con gli ani-mali per seguire le aree di pascolo è tuttora praticata.In simbolica continuità con le tradizionali abitazioni di que-ste popolazioni, ecco le tende delle spedizioni alpinistiche con tutto l’occorrente per abitarle episodicamente: capi di abbi-gliamento, vettovaglie attrezzature alpinistiche.Alle pareti opere provenienti dalla collezione Messner tra cui un’alpenstock dell’Ottocento impiegato nella spedizione all’Everest del 1924 della Sporthaus Schuster München e una vetrina con oggetti della Collezione Hermann Köllensberg del 1954 donati da Silvia Beate Junker; in sottofondo l’eco della sua voce che preannuncia l’incontro con il video di in-troduzione all’ultimo capitolo del suo museo.Sulla sinistra si aprono le sale dedicate all’Africa, ai deserti, al Wadi Rum.I racconti più antichi dell’uomo sono immortalati su roccia. Si tratta d’immagini che evocano scene di caccia e morte, ricordi di paura e terrore, vita sociale e visioni. Sono anche nozioni acquisite:basta un attimo, per scalfi re o estinguere la vita di un essere umano! E nemmeno in montagna consola la prospettiva di una vita sotto altre sembianze. (R.M)Un ingresso nel semibuio, atmosfera imbibita di magia, sti-mola la curiosità e invita alla scoperta che si rivela con un’in-quietante processione di feticci e statuette rituali appoggiate al pavimento e nelle nicchie a parete. É l’accesso al misterioso mondo degli abitanti delle montagne del continente africano e dell’Oceania: l’incontro con masche-re dell’etnia Fang tra Camerun, Gabon e Guinea Equatoria-le; i Damara del massiccio montuoso del Brandberg in Nami-bia; i Masai dell’Africa orientale; i Tuareg delle montagne dell’Air; i Bamun con la loro Memorial Stone in una grande cantina sorretta da un trave che porta la data del 1699. Sino alla suggestiva rappresentazione della grotta del Wadi Rum della Giordania e dei focolari dei beduini, che chiudono questo ramo della visita. Ripercorse a ritroso le sale, si gua-dagnano le scale - lungo le quali fanno bella mostra di sè due opere di Peter Fellin della serie The inner mountains datate intorno al 1980 - che portano nello splendido cortile interno che si può anche raggiungere direttamente dall’e-sterno attraverso un’enorme porta tonda con lo stemma del vescovo Andreas von Spaur retto da due leoni. Sul lato destro una scalinata esterna in muro conduce al Pa-las, con a lato lo stemma del vescovo Christoph

ABITAZIONI DEI NUOVI NOMADI: LA TENDA DEL

CAMPO BASE DELLA SPEDIZIONE DI HERMANN

KÖLLENSBERGER AL BROAD PEAK DEL 1954

UNA DELLE SCULTURE FETICCIO DEI POPOLI

AFRICANI DELLE MONTAGNE

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UNA MODERNA THANGKA REALIZZATA CON METODI TRADIZIONALI CHE RICHIEDONO ALMENO QUATTRO GIORNI DI LAVORO MANUALE

A CONFRONTO LA TENDA DI UNA SPEDIZIONE HIMALAYANA (IN PRIMO PIANO UNA COLLEZIONE DI PICCOZZE STORICHE) CON LA TRADIZIONALE YURTA, ABITAZIONE MONGOLA DI CUI, SOPRA, SI PUÒ AMMIRARE L’INTERNO ARREDATO(FOTO ARCH. MMM)

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von Schroffenstein e la data 1519; sul cortile si affacciano gli ingressi per il resto del percorso nonché il locale di ristoro. L’ingresso alle sale dedicate all’Euro-pa è ubicato sotto la balconata. Il primo ambiente che si incontra in questa sezione è una bellissima stalla tradizionale con arredi in legno e pre-senza di caldaie. Uomo e animale vivevano un tempo a contatto molto più stretto rispetto a quanto accada oggi. Si conoscevano, vi-vevano l’uno per o contro l’altro, for-mavano delle unità, delle simbiosi. Ora come allora gli animali hanno un im-patto profondo sulla vita degli uomini, e l’uomo svolge un ruolo decisivo nell’e-sistenza degli animali. Non solo nel Caucaso, ma ovunque tra le montagne l’umanità era un tempo strettamente

legata al mondo animale. Divinità, uomini e animali interagi-vano, nei rituali e nelle cerimonie, e determinavano il proprio reciproco destino.Si racconta, per cominciare, la realtà caucasica per poi passa-re alla casa walser, comunità germanofona insediatasi nelle Alpi del Monte Rosa: il lit-clos (armadio letto), le scarpe chiodate per il ghiaccio, la stufa in pietra ollare, il tagliapane. A fi anco, l’interno della casa sudtirolese per conoscere anche

la realtà più vicina, in compagnia di alcune frasi che stimo-lano approfondimenti.“Conoscenza”. Nel suo insieme la cultura di montagna è terra natia: la conoscenza della natura delle montagne, dei luoghi, degli antenati, delle loro strategie di sopravvivenza. La responsa-bilità per tutto ciò assicura la sostenibilità.E ancora, “La madrepatria degli alpigiani”. Le Alpi non de-vono diventare la periferia dei dinamici agglomerati urbani eu-ropei, la seconda patria degli abitanti delle pianure, il luogo in cui i cittadini trascorrono il loro tempo libero, da dove prelevano la loro acqua potabile, dove abitano nei fi ne settimana e tran-quillizzano la loro coscienza, sostenendo l’istituzione di sempre nuove zone protette. Le Alpi, in primo luogo, non appartengono all’Alpenverein, che già in passato si era prefi ssato il compito di rendere le montagne ovunque sicure e accessibili. Il ruolo delle Alpi non è quello di garantire ai cittadini gli spazi alternativi per quei desideri, che nelle metropoli non possono essere soddisfatti.Nella sala seguente l’approfondimento è rivolto alla Bulga-ria: dai Monti Rodopi M.Gerlach, 2.655 m), nel Sud ovest del paese, i Pomacchi; dai Tatra (RysY, 2,499 m), ai confi ni tra Polonia e Slovacchia, i Gorali che parlano la lingua slava arcaica “podhale”. Attraverso la torre circolare una scala a chiocciola conduce alle stanze dei piani superiori. Al primo piano la scelta è tra Asia e America.Alle sale dedicate all’Oriente, che presentano le popolazioni dell’Himalaya, dell’Hindukush, del Karakorum (Hunza) e del Transhimalaya, si accede con una porta appartenente al-la cultura Naga.

IL POSTO DI GUARDIA ALLESTITO COME

TRADIZIONALE ABITAZIONE SUDTIROLESE AL CUI INTERNO REINHOLD

MESSNER POSA PER LA FOTOGRAFIA

(FOTO ARCH. MMM)

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Sulle pareti il tema dell’acqua e della sua preziosità nelle cul-ture ed economie agricole di montagna è ben rappresentata dal tronco scavato a mano per la conduzione idrica che ac-compagna il visitatore lungo la rampa in discesa.Alla parete di fronte due splendide porte in legno istoriate e una suggestiva serie di maschere provenienti dalla Kohistan Valley del Pakistan. La popolazione Naga, 32 tribù, 3,5 milioni di persone, abita il territorio del Monte Saramati (3,840 m), all’estremo confi -ne Nord orientale dell’India, mentre i Tharu, di cui sono esposte alcune interessanti porte e orci per il cibo, sono inse-diati nel Sud est del Nepal alle pendici dell’Himalaya lungo il confi ne con l’India. La sala dedicata alle popolazioni In-dios delle Ande permette di completare il quadro esploran-do così anche il continente americano.L’ultima stanza di questo piano, dedicata alle architetture, vede riuniti i modellini delle abitazioni dei popoli delle mon-tagne mirabilmente realizzati da Giuseppe Toscani con esempi dall’Himalaya alle Ande sino a quelle del Sud Tirolo riportate qui da Monte Rite. A parete una pregevole carta geografi ca proveniente dal Pasang Norbu Khumjung.Nelle sale originarie del castello, alcuni oggetti di rilievo tra cui una bella stufa di ceramica verde e un costume locale di fi ne Ottocento fi nemente cesellato.Resta da conquistare il terzo piano. La salita verso l’alto por-ta con sè, anche in questo caso l’opportunità di soffermarsi sulle religioni e sul rapporto tra il bisogno di Dio e le mon-tagne. Lo stimolo alla rifl essione è affi dato, tra l’altro, alle parole di Friedrich Hölderlin: Vicino/E diffi cile da afferrare è il Dio./Ma dov’è pericolo, cresce/Anche il salvifi co./ Nell’oscuro abitano/Le aquile, ed impavidi se ne vanno/ Oltre l’abisso i fi gli delle Alpi/Su fragili ponti./E, poiché d’intorno s’affollano/Le vette del tempo...La cristianità è di casa, con le splendide stanze vescovili: sog-giorno, biblioteca, camera da letto.Nel soggiorno degno di nota l’importante soffi tto a cassetto-ni con lo stemma dei conti/vescovi Von Spaur e un pavimen-to ornato con intagli di legno (la data 1900 e le lettere A e S per il vescovo Simon Aichner). Assai belle sono anche le stufe di stucco, una in ogni stanza, ornate con lo stemma del Principe vescovo: due quadranti opposti con àncora e freccia e i rimanenti, in alto con l’agnel-lo aureolato con croce astile e in basso con l’aquila di San Venceslao. I muri sono affrescati con pitture in uno stile molto raro per la zona; ad eccezione di un quadro, che raffi gura la città di Bressanone, tutti gli altri sono paesaggi di pura fantasia.Nella biblioteca troneggia la teca che conserva un prezioso incunabolo opera di Nicolai De Cusa (Nicolò Cusano) illu-stre matematico, astronomo, teologo, fi losofo, Principe ve-scovo di Bressanone tra il 1450 e il 1464 anno della sua morte. Il piano è completato dalle rappresentazioni dell’Islam, dell’induismo e del lamaismo, quest’ultimo così commentato da un pensiero di Claude Lévi-Strauss: Verso il buddhismo provo una certa affi nità: da un lato, perché il buddhismo non

conosce un Dio personale, dall’altro, perché esso ammette che, nell’assenza di senso, nel senza-senso, sia racchiusa l’ultima veri-tà. Una fede di questo tipo la posso senz’altro accettare.Altre due sale sono rispettivamente dedicate a una raccolta di armi dei popoli delle montagne e a una rifl essione sulla scomparsa civiltà Inca.Gli scavi archeologici ci rivelano che nelle Ande gli Inca erano saliti quasi fi no a 7.000 m d’altitudine sul livello del mare. Forse per avvicinarsi al divino Sole?Questi primi scalatori d’alta quota ci lasciarono innumerevoli mummie sulle loro vette, tante quanti gli enigmi che li circonda-no, la la loro cultura è andata distrutta con la Conquista Spa-gnola. Quel che resta, sono reliquie di una cultura di montagna inconfondibile, persa per sempre.Di fronte all’area ristoro, inquadrata da due fontanelle fi ne-mente cesellate, resta da visitare la sezione dedicata al turi-smo nella aree di montagna che prevede la salita alla torre quadrata in cima alla quale sarà possibile godere di una sor-prendente vista panoramica sulla città e sui suoi dintorni. Alla base una delle salette è dedicata all’esposizione tempo-ranea di tanka tibetane, gioielli e monili, vestiti, strumenti musicali, calzari decorati, serrature, quella adiacente invece ospita cristalli e vasi colorati, pubblicazioni turistiche.Il turismo e l’eredità culturale stonano fra loro, quando questa eredità è trasformata in un prodotto a sé stante, ridotto infi ne a merce di scambio.L’eredità culturale non è più, quindi, un elemento portante della società che il turista viene a visitare, ma uno stereotipo o mera rappresentazione teatrale. (Kurt Luger)Alle pareti opere pittoriche datate tra i primi anni dell’Otto-cento e il Novecento di Heinrich Heinhein, Gustav Jahn, Thomas Ender, Carl Ludwig, Albin Eggerlienz, Rudolph von Alt Zugenschieben, Benedetto Feltrin, Rudolph Carl Huber, Hernst Plaz, Joseph Prayeri, raffi guranti scenari vari provenienti da territori montani.La torre, attrezzata con scala a rampe e piani di framezzo in legno, non manca di rivelare altre ricchezze come una scritta in legno Tscharten Rambuk del 1924, due pannelli tibetani raffi guranti Milarepa e Mahakala del 1880, un bassorilievo in legno “Buddha’s Enlightement” del 1830 e tankhe più re-centi (2005 – 2009) ma sempre di pregevole fattura.Nell’ultimo tratto di salita verso la porta che spalanca il pa-norama mozzafi ato sulla città ci accompagnano le gustose rappresentazioni delle spedizioni himalayane affi date alla poesia dei dipinti, dal tratto naiff, dello sherpa Gyalzen Nor-bu e del pittore locale Tripten Lama. Le ore sono trascorse con la stessa leggerezza che di solito accompagna le nostre camminate in quota. Ma la lunga escursione nel mondo dei popoli alpini è stata altrettanto faticosa.Vale una birra nella bellissima sala affrescata del bar dove ritroviamo Caroline.Ci diamo appuntamento tra poco al bookshop, il tempo di soffermarci ancora un poco nella sala proiezioni, situata nel-la destra entrando nella torre.

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È ancora la compagnia di Reinhold che dal video aggiunge nuovi elementi per meglio capire i popoli delle montagne. Quando arriviamo all’appuntamento Caroline è già andata via: «Domani parte per un viaggio in Nepal», ci informa la sua collega Maria.A me e a Giulio non resta che portare via qualche ricordo del viaggio virtuale appena percorso: qualche oggetto e le colon-ne sonore di alcuni degli ambienti in cui ci siamo intrufolati, in punta di piedi, per cercare di capire qualcosa di più dell’u-manità che popola le terre alte del pianeta.

IL BELLISSIMO SALONE ORIGINARIO MIRABILMENTE RESTAURATO CHE OSPITA LA

CAFFETTERIA

AL CENTRO UNA DELLE NUMEROSE OPERE ARTISTICHE

OSPITATE NELLE SALE DEL MUSEO CI ACCOGLIE SUBITO

ALL’INGRESSO

SOTTO IL PREZIOSO INCUNABOLO QUATTRO-CENTESCO DEL PRINCIPE

VESCOVO NICCOLÒ CUSANO

Alla fi ne del viaggioPer concludere questo nostro viaggio, in cui vi abbiamo ac-compagnati alla scoperta dell’ ultima dimensione del pianeta Messner ecco ancora alcune considerazioni affi date diretta-mente alla sua voce.«Serviranno ancora un sei mesi, un anno, per perfezionare tutte le sinergie possibili tra i vari nuclei museali. Resta inol-tre da risolvere, in alcune situazioni, un migliore avvicina-mento a piedi e qualche problema di parcheggio, ma li risol-veremo.Poi mi potrò ritirare affi dando il sistema dei MMM a un direttore che vorrei giovane, per introdurre, così, nuove idee. Allora sarò libero di cominciare la mia settima vita. I gatti, dicono, hanno sette vite: perché io no?Se poi avrò la forza e l’energia per ripartire da zero, ancora una volta, per far crescere da una visione un fatto di concre-to non lo so ancora. Ma è la prima volta che ho fi nito qualco-sa che lascia una traccia concreta. Perché quando sono tornato dai quattordici Ottomila avevo un bellissimo ricordo, accompagnato da bellissime esperienze e sensazioni, ma di concreto non c’era nulla. Lentamente, dall’età di cinquant’anni in poi, ho compreso che nella mia vita avevo avuto la grande fortuna di vivere la vita, avendo a disposizione i mezzi, il tempo, l’entusiasmo e il il know how per frequentare i confi ni della Terra, dove gli altri non posso-no andare perché hanno una famiglia, una casa di cui magari pagare il mutuo, un lavoro che non può essere abbandonato. Forse le stesse cose che ho fatto io persone più abili di me non lo hanno potuto fare. Allora mi è sorto il desiderio di condividere con tutte gli umani, di tutto il mondo, le mie esperienze. Tra le svariate forme di comunicazione che ho praticato con-sidero la rete dei MMM la maniera migliore per condividere tutto quello che so della montagna e tutto ciò che è stato vissuto sulle montagne. Perchè la storia dell’alpinismo è la somma di tutte le avven-ture che la montagna rende possibili. Non posso certo rac-contarle tutte. Anche nei musei sono costretto a scegliere esempi, volendo comunque esprimere tutto ciò che è può essere vissuto sulle montagne, specialmente quando si porta-no al limite le possibilità. Il valore vero che la frequentazione delle montagne può da-re è sicuramente un bagaglio enorme di esperienza. Un’altra considerazione mi piace esprimere al termine di questa mia sesta vita.Ognuna delle strutture che formano il mio circuito museale ha una posizione straordinaria e in sintonia con gli argo-menti affrontati: Solda sotto il ghiacciaio; Rite, forse il posto più forte, a balcone sulle Dolomiti; Firmian sulla collina che domina Bolzano; Juval all’apice di un sistema agricolo che è rinato. Anche a Brunico ho avuto la fortuna di scegliere bene, al cen-tro di un territorio ancora abitato da un popolo montanaro.E non abbiamo costruito nulla di nuovo se non a Solda dove però è tutto nascosto dentro la collina della casa sherpa». ■

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con l’interessante mostra temporanea con dipinti e proiezioni video, anche attraverso numerosi appuntamenti estivi con fi lm, concerti, serate culinarie, letture e conferenze.Ne saranno interpreti principali quattro rappresentanti del popolo Sherpa che soggiorneranno al castello durante l’estate. Illustreranno di persona la loro vita quotidiana, le loro feste e antiche tradizioni religiose, il loro artigianato e la loro economia turistica. Fedele alla sua missione, il museo intende in questo modo stimolare uno scambio interculturale e anche una rifl essione sulla nostra cultura alpina.

Info Utili

Il popolo Sherpa al Messner Mountain Museum Ripa MMM RIPAI popoli delle montagneCastello di BrunicoVicolo del Castello, 2 39031 Brunico (Bz)tel. +39 0474 410220fax +39 0474 410525

[email protected]

Come arrivareIn auto dall’autostrada A22 Modena-Brennero si esce a Bressanone - Val Pusteria, si seguono le indicazioni per la Val Pusteria immettendosi sulla SS49 in direzione di Brunico / Bruneck e poi verso Brunico centro, da cui si incontrano le indicazioni per il Castello di Brunico, dove ha sede il museo. Provenendo da est, si imbocca l’A27 Venezia-Belluno che si percorre fi no al termine, si prosegue sulla SS51 di Alemagna per la Val Cadore fi no a Dobbiaco / Toblach, da cui si svolta a sinistra sulla SS49 verso Brunico centro.In treno da Trento, Bolzano e Vipiteno / Sterzing (per chi arriva da nord) si arriva fi no a Fortezza, da cui si prosegue per Brunico: dalla stazione ci si dirige a piedi verso il centro storico e il Castello di Brunico (20 min).In aereo collegamenti con l’aeroporto di Bolzano.

Orario di apertura 2012Il MMM Ripa è aperto dal 13 maggio al I° novembre 2012 e dall’8 dicembre al 24 marzo 2013, 25 e 26 dicembre chiuso ore 10 - 18; ultimo ingresso ore 17martedì chiuso

Tariffe 2012Adulti 8,00 €; bambini (6-14 anni) 3,00 €; studenti e anziani (oltre i 65 anni) 6,00 €; gruppi (minimo 15 persone) 6,00 € a persona; carta famiglia 18,00 €

Il Museum Ripa nel Castello di Brunico ha riaperto le sue sale al pubblico lo scorso 13 maggio con una mostra e una rassegna dedicate al popolo nepalese degli Sherpa. È così possibile avvicinarsi all’affascinante storia e alla cultura di una popolazione il cui nome è oggi riduttivamente associato, nel linguaggio comune, alla fi gura dei portatori e delle guide d’alta quota dell’Himalaya. Attività che effettivamente svolgono caricandosi sulle spalle, da più di cento anni, i pesanti bagagli degli alpinisti di tutto il mondo. Abili imprenditori e guide alpine, gestiscono oggi il turismo in Nepal fi n sulla cima del Monte Everest. La loro storia ha radici antiche: cinque secoli fa migrarono dalla regione

di Dege in Kham nel Tibet orientale, e dopo un lungo esodo che li spinse a superare l’alto passo himalajano di Nangpa La (circa 6000 m), si stabilirono nell’odierno territorio delle valli di Solu e Khumbu, ai piedi del versante sud occidentale del Monte Everest. L’uomo dell’Est (shar = oriente; pa = uomo, gente) ha portato con sé e conservato la propria lingua (dialetto tibetano), la propria cultura e religione (lamaismo) e vive oggi di agricoltura, commercio e turismo. Il programma che consentirà di conoscere la loro vita quotidiana tra turismo, tradizioni e alpinismo, si svilupperà oltre che

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testo di

CHRISTIAN ROCCATI

Finale... non muore

mai. C’è tanto da dire

e nulla da aggiungere.

Quando sei in cima

ai Tre Frati e guardi

il Paretone

di Pianarella,

senti la brezza

che mischia la neve

delle Alpi con il sale

del mare, e capisci

che sei in un posto

unico al mondo.

I boschi di carpini

e faggi ondeggiano

lievemente e le pareti

grigie e bianche, silenti,

ospitano puntini colorati

che appaiono

sospesi qua e là.

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Finale

la Val Cornei: never say never

CHRISTIAN ROCCATI SU ARSURA (FOTO C. FALCONE)NELLA PAGINA A FIANCO IL PROFILO DEL CORDONBLEU (FOTO E ARTWORK C. FALCONE)

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sie, con etica e umiltà. È il caso dell’Outdoor Liguria, un’asso-ciazione con cui collabora da cinque lustri un gruppo di amici che sta riqualifi cando sentieri per biker ed escursionisti, tracce per arrampicatori, e ovviamen-te pareti. Sono circa 450 le vie di scalata aperte o richiodate in tutto il Levante ligure e, a esse, si sono aggiunte nel tempo mol-tissime linee – intorno alle 150 – nell’area fi nalese, scelte proprio nella Val Cornei. Del resto fu proprio il citato Andrea Gallo ad affermare che «se non hai visto Cornei, non hai visto Finale».Questa piccola comba fu scoper-ta negli anni ‘80 dal quasi leg-gendario Fulvio Balbi. In essa tra il 2008 e il 2011 è stato fatto un restyling etico, che continua tuttora grazie al gruppo capi-tanato dal chiodatore e climber Fabio Pierpaoli da Moneglia. Di grande aiuto il contributo costante del tuttofare Walter Le-onardi (autore del portale www.arrampicate.it che illustra ogni passo in avanti quasi in tempo reale e propone iniziative dedi-cate), e il sapere unito all’arte fo-tografi ca del bravo Felice Bram-billa, soprannominato “Per un pugno di spit”.Pensando a questo grande la-voro, il primo sito che mi salta in mente è la Gola dei Briganti, individuata storicamente da Ful-vio Balbi e Diego Nesi, in un am-biente in piena wilderness che nel tempo fu parzialmente abbando-nato. Nel 2005 vi fu la valorizza-zione della fascia bassa da parte di Marco Tomassini e la sua as-sociazione Tothemass; tre anni più tardi arrivò l’associazione Outdoor Liguria, che si applicò alla fascia superiore con ben 4 settori risistemati – dai livelli più semplici a quelli più diffi cili – e 16 tiri nuovi, oltre che con l’ot-

La Liguria è una terra davvero particolare, celata nei valloncelli e nel carattere dei suoi abitanti, alcuni di essi molto più morige-rati nelle parole che nel portafo-glio, come invece la tradizione li vorrebbe tutti. Rispecchiano nel temperamento la sensibilità mi-steriosa della propria geografi a. Finale nello stesso modo appare come un borgo medievale ma-gnifi co a pochi minuti dai lidi, eppure nasconde – soltanto nel-le immediate vicinanze – circa 3000 vie di scalata. Queste linee non sono chiare e visibili, ma come eremi appaiono tra i cri-nali, a macchia di leopardo. Un passo dopo l’altro, sui sentieri scorgi placche, tetti, pance e pi-lastri, che svaniscono e riappaio-no, a ogni più piccolo capriccio morfologico di Madre Terra. Il popolo degli scalatori pensa che Finale sia conosciuta prin-cipalmente per il suo stile du-rissimo, i suoi gradi compressi, e le personalità che la vivono... ma questa non è tutta la verità. Mentre il numero degli itinera-ri cresce costantemente, la gui-da tradizionale e completa di Andrea Gallo è oramai alla sua versione 8.0... e i tanti frequen-tatori crescono esponenzialmen-te, i piccoli e grandi apritori e chiodatori, anch’essi silenziosi, continuano umilmente il loro lavoro per la comunità, senza far troppo rumore. Quest’anno per-sino il GISM, il Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, ha scelto Finale come sede del proprio convegno annuale italiano.Se in fondo questo territorio racchiude in sé l’archetipo della regione, potremmo dire che la Val Cornei è in se stessa lo ste-reotipo di queste combe. Finale non muore mai... grazie a soliti noti che continuano da decen-ni a chiodare e richiodare fale-

CRISTIAN “HAWK” FALCONE SUI TETTI DI DESTRA (FOTO C. ROCCATI, ARTWORK C. FALCONE)

NELLA PAGINA A FIANCO, L’ESTETICO SETTORE DI DESTRA AL CORDONBLEU. IN ALTO CRISTIAN “HAWK” FALCONE (FOTO C. ROCCATI), IN BASSO CHRISTIAN ROCCATI SU TURISTI FAI DA TE (A SINISTRA), E SU POLLASTRO E PATATINA (A DESTRA, FOTO C. FALCONE)

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timizzazione e l’allungamento delle altre linee preesistenti. Fu poi la volta della vicina Fa-lesia della Goletta, che vide il lavoro sistematico del gruppo, interessato alle pareti ingurgi-tate dalla macchia. Era stata chiodata nel 2000 dall’attivis-simo Marco Zambarino, ma le belle linee si erano poi perse nella foresta. Nella primavera del 2008 l’Outdoor Liguria ha dato il via alla ristrutturazione, sempre con l’aggiunta di linee nuove e la creazione di una base fruibile anche dalle fami-glie, area che diventa fonda-mentale nel caso in cui si debba ricorrere all’elisoccorso. Dal fortuito incontro tra Pier-paoli e il celebre “Gerry” For-naro nacque l’idea di un re-styling anche della Falesia del-la Placconata, settore sinistro. Nel maggio del 2008 partirono i lavori, che anche in questo caso furono sia di richiodatura sia di apertura di nuove linee, accanto agli itinerari storici dei Cravasards (gli appassionati dei massi di Cravasco, NdR) di

CHRISTIAN ROCCATI ATTACCA GLI STRAPIOMBI

DI SINISTRA DEL GURU... OGNI EROSIONE UNA

SCOMMESSA (FOTO F. BRAMBILLA)

NELLA PAGINA A FIANCO VALENTINA “NANÀ”

ROCCATI SI LIBERA SUL DIEDRO ALLE

CINQUE DELLA SERA, E ALLE 17 SPUNTA IL SOLE!

(FOTO C. ROCCATI)

Mauro Carena. Tra le vie nuo-ve sono apparsi anche dei tiri di grado 3... quasi una rivoluzio-ne per Finale! L’associazione proseguì il suo viaggio operando in un’altra fra le gemme di Fulbio Bal-bi, la Falesia del Guru. Per quest’operazione vi fu la proli-fi ca collaborazione con i clim-ber Luca Fida, Stefano Donde-ro e Giovanni Piaggio. Subito dopo, la Outdoor Liguria si dedicò alla vicina Falesia della Tranquillità, anche in questo caso inserendo nuove linee. Entrambi questi siti sono ca-ratterizzati da un ampio spa-zio alla base, sia per le famiglie che vogliano passare una bella giornata, non solo appesi... sia nell’ottica della sicurezza. Se il Guru è caratterizzato da una magnifi ca roccia rossa a colate su uno strapiombo a 45° e una parte laterale in placca sui gri-gioni, la Tranquillità è il regno del calcare compatto e aderen-te, pur con morfologie diversi-fi cate. Si parte dal grado 3 con Scala per galline zoppe e si sale

nelle diffi coltà, di lettera in let-tera, di grado in grado!Il lavoro successivo fu espleta-to alla Falesia dell’Invidia, con una piccola puntata ai settori limitrofi di altre falesie, per al-cuni singoli tiri. Circa 20 anni fa Fabio “Bigo” Pierpaoli lo Shaolin, Andrea “Punta” Co-staguta il Visir e Ivano Costa, si erano dedicati all’apertura di queste dure vie di scalata. L’associazione, proprio in col-laborazione con Costaguta, ha riqualifi cato anche questo sito, che oggi presenta corti muri ipertecnici e davvero diffi cili. Tra le linee nuove sono nati sti-moli per i più bravi con vie fi no all’8b. Se possiamo dire che il resto dei settori a cui la Outdo-or Liguria si dedica sia molto “democratico”, qui c’è invece pane per i denti dei più bravi-ni. Tra l’altro il Visir, con il suo gruppo, si è per l’occasione de-dicato all’apertura di una serie di boulder limitrofi alla falesia, dove si può «scalare a nastro», per usare una sua espressione!Le sorprese però non sono fi -

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nite. Finale non muore mai, ri-cordo! Mentre io ero occupato con le mie varie vie lunghe, di arrampicata moderna e trad, alla parete nord della Rocca di Perti, insieme al grande Ernesto Dot-ta, e l’associazione allargava an-cora la Gola dei Briganti, è nata una nuova collaborazione.La Outdoor Liguria si è dedi-cata infatti al restyling del Cor-donbleu, che prende il nome dal gruppo di torinesi che scoprì l’area. Il lavoro è stato effettuato questa volta insieme all’attivissi-mo e già citato Marco Tomassi-ni, a sua volta impegnato in ben tre guide relative al territorio di Finale. Questa falesia, che con-tiene circa 60 linee, è in pratica la continuazione della Placconata del settore sinistro. Il “cantiere” è tuttora attivo e ha già dato ri-sultati. Vi sono ben tre settori già operativi su cui è possibile scala-re dal 5b al 6b+/6c. Sono inoltre nate una serie di vie nuove che partono dal grado 4. Come sem-pre, l’associazione mira a creare pareti per il popolo medio degli scalatori, soprattutto puntando

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ai gradi più bassi. Attualmente sono fruibili tre porzioni della falesia, di note-voli dimensioni. C’è il settore di destra, magnifi co e caratte-rizzato da una serie di placche articolate, con svasi e pancette e un pilastro centrale che taglia in due la falesia, con uno splendido diedro rosso. Al centro, celato dal bosco gradevole, si trova il settore Ceralacca, denominato così per via della resina rossa di qualità che vi è stata utilizzata. È la porzione dedicata ai prin-cipianti, davvero molto utile per chi voglia mettere le mani su un calcare così vergine da pungere le dita! Infi ne, c’è il più vasto settore Arsura, che prende – in parte – il nome di una via dalla curiosissima morfologia. Scopri-rete di che parlo sul posto... La riqualifi cazione proseguirà poi a sinistra con le vie tuttora in lavorazione, dato che a tutti gli effetti la falesia è stata chiodata soltanto per metà. L’associazio-ne ha chiesto un contributo alla comunità degli arrampicatori per riuscire a fronteggiare i costi enormi che in tutti questi anni sono sempre stati sostenuti con l’autofi nanziamento. L’appello è stato diffuso in rete e fa riferi-mento al citato sito www.arram-picate.it. Purtroppo per ora non c’è stata una risposta signifi cati-va, solo qualche timido singolo caso. L’idea dell’associazione è molto semplice: le amministra-zioni dovrebbero fornire i ma-teriali, in modo che i chiodatori possano operare al meglio e nel rispetto dell’ecocompatibilità.Il lavoro non retribuito dei vari apritori di vie innesca un fl usso di turismo verde, che porta ener-gie nelle vallate amministrate da quegli stessi enti.

Il problema è che alla fi ne le spese rimangono sempre sulle spalle dei soliti noti che da più di 25 anni chiodano i vari siti pagando di tasca propria, cer-cando sempre di migliorarli, nel rispetto dell’ambiente e della storia dei luoghi. Negli ultimi vent’anni, infatti, la Outdoor Liguria ha provato ad aprire vie in autofi nanziamento nelle vallate depresse, per deconge-stionare quelle più conosciute e stimolare un po’ l’economia di quelle abbandonate. Nonostante i buoni propositi e le tante ini-ziative – serate, articoli e mol-to altro – non si è ottenuta una risposta adeguata... Pare che gli arrampicatori siano disposti a pagare per la birra post scalata, ma non a dare, a chi gli ha rega-lato le vie su cui arrampica, an-che soltanto un euro ogni cinque o sei settimane di scalate, che sarebbe semplicemente utilizza-to per chiodare altre vie... e solo per pagare i materiali! Va da sé che gasolio, autostrada, pernot-tamenti, materiali personali e migliaia di ore di lavoro restano e resteranno sempre a carico del chiodatore. Nonostante tutto, l’associazione continua nella sua “missione”, e non è la sola. Marco Tomassini, ad esempio, nell’ultimo suo la-voro al Bric Grigio, ha iniziato a preparare la parete con soste utili al recupero da parte del soc-corso alpino e speleologico, un caso unico nel fi nalese e proba-bilmente davvero raro in Italia. Quest’operazione è in linea sia con le fi nalità dell’associazione, sia con gli intenti dello stesso CNSAS, che in Liguria è estre-mamente attivo e sta diventando sempre più un punto di riferi-mento per molti. ■

BBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBBRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGGAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAANNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTTIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIISIMEONE “DISGAGGIO”

DUSSONI MORDE LE BELLE VIE

DELLA GOLA ALTA (FOTO C. ROCCATI)

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IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIINNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDDIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

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CHRISTIAN ROCCATI ALL’INVIDIA... DOVE LE BASTONATE ARRIVANO PER TUTTI! (FOTO W. “ARRAMPICATE.IT” LEONARDI) E, A SINISTRA, SUI TETTI DELLA TRANQUILLITÀ CON LA SUGGESTIVA CHIESA DI ORCO SULLO SFONDO (FOTO F. BRAMBILLA)

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schedaGIALLAa cura di

CHRISTIAN ROCCATI

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discesa a sinistra nel bosco per circa 10 minuti,

nettissima, sino ad arrivare in falesia.

I SETTORII primi settori che si incontrano sono quelli

tuttora in lavorazione. Una volta raggiunti,

si deve proseguire a mezzacosta sotto

le pareti sino al primo settore riqualificato,

Arsura, evidente perché oltre a essere

l’unico chiodato con resinati nuovi,

ha un ampio spiazzo alla base.

Per giungere agli altri settori si deve proseguire

a piedi nel bosco, sempre a mezzacosta. Dopo

circa 15 m si incontra un settore nuovo,

Ceralacca: lampante la denominazione,

dovuta alla resina rossa.

Continuando si giunge quindi al Settore di destra, l’ultimo del comprensorio.

Al termine e a metà dei siti ci sono due aree

ripulite adibite a toilette, ben segnalate con

vernice verde: in tutte le falesie Outdoor Liguria,

prima di piantare il primo chiodo,

si riqualifica l’area adibita a WC...

per evitare che la natura sia sporcata

da fazzoletti o da altri oggetti non graditi.

Questa regola finora ha funzionato molto bene!

LE VIEI gradi dei nuovi tiri sono da ritenersi indicativi,

in quanto soltanto le ripetizioni potranno

assestare la valutazioni soggettive, frutto del

molteplice passaggio dei climber.

Le gradazioni dei tiri storici sono invece riferite

alla più classica “scala finalese” adottata anche

nelle altre falesie richiodate o aperte da

L’ACCESSODall’A10 Genova-Ventimiglia si esce al casello di

Orco Feglino, da cui si scende sino alla strada

principale della vallata. Allo stop si svolta a

sinistra verso Orco-Feglino e a un bivio presso lo

storico bar La Scaletta si continua diritto sotto il

ponte autostradale. L’asfaltata diventa una

piacevole strada di montagna, tra crinali

verdeggianti e cataste di legna. Si prosegue per

circa 3 km fino a un secondo bivio a cui si

prende a sinistra in salita, trascurando la strada

a destra in discesa che lungo la valle di Cornei

conduce a Finale. Si giunge quindi al colle

presso cui si trova la chiesa di Orco. Si

parcheggia a sinistra negli spiazzi. A destra c’è

una fontana di acqua potabile, della quale fare

un uso parsimonioso e da non lasciare aperta.

L’AVVICINAMENTODal parcheggio, con alle spalle il borghetto, si

attraversa la strada in direzione del crinale,

lasciando a destra la fontana e il monumento, e

si procede in salita. Si oltrepassa il cimitero a

destra, e si continua diritto guadagnando una

bella sterrata in falsopiano, caratterizzata da

qualche sentierino qua e là, da trascurare. Si

continua senza deviazioni per circa 400 m,

osservando le svariate diramazioni secondarie

sulla destra in discesa, tra cui una caratteristica

– da ignorare – che parte da un piccolo slargo e

una seconda poco più avanti, l’unica segnalata

da un ometto di pietre.

Si imbocca questo sentiero sulla destra in

discesa, disarrampicando un microsaltino di

circa due metri, di II grado. La traccia piega in

I NUOVI SETTORI DELLA VAL CORNEI

Outdoor Liguria o in collaborazione con altri

soggetti, come riportato nell’articolo.

Questi settori hanno un’alternanza cromatica

magnifica derivata dal carsismo delle pareti. La

famosa Pietra del Finale è un calcare molto

lavorato dall’erosione dell’acqua che garantisce

per questo una serie di concrezioni davvero

incredibili. Nel finalese oltre ai rinomati e ormai

famosi buchi, vi sono “architetture”

conseguenti quali clessidre e karren, o campi

carreggiati. In questo specifico settore si

possono notare i classici grigioni, le placche

compatte che prendono il nome dalla loro

colorazione, facilmente riconoscibili. I piccoli

antri sono invece evidenti per via della tinta

arancione vivo e acceso. Le pareti

inframmezzate da geostrutture varie, spesso

articolate e meno “monotone” degli scudi

grigi, sono invece di colore bianco.

In questi settori si trovano morfologie pronte

ad accogliere ogni tipo di scalata, dall’aderenza

allo strapiombo, su linee corte o di media

lunghezza.

IL WEB• www.arrampicate.it il sito con le ultime

novità del Finalese ma non solo

• www.ideeverticali.it è il sito dell’omonima

casa editrice, che fornisce notizie e

aggiornamenti sulle pareti

• www.rockstore.it dallo storico negozio di

Finalborgo, nato negli anni ‘80 dalla passione

di free climber protagonisti dell’evoluzione

dell’arrampicata nel Finalese, tutte le novità

della zona

Inesauribile Finale Le più recenti proposte sulla magnifica Pietra del Finalearricchiscono ulteriormente la già variegata offerta di itinerari “facili” di questo storico centro di scalata, soprattutto per climber già contagiati dal mal di roccia...

68 ALP282 FinaleY.qxp 21-06-2012 15:45 Pagina 68

AvvertenzeL’arrampicata e l’alpinismo sono di-scipline potenzialmente pericoloseche ognuno pratica a proprio ri-schio e pericolo, assumendosene laresponsabilità. Le relazioni qui ri-portate sono compilate precisa-mente e sono da riferire alle condi-zioni al momento della valutazione. Prima di ogni salita è fondamenta-le che lo scalatore valuti al mo-mento le condizioni dei tracciati eaffronti la salita solo se esperto epreparato e in possesso delle co-noscenze e facoltà necessarie.

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L’ESTETICO CALCAREBIANCO DELLA

GOLA DEI BRIGANTI(FOTO W. LEONARDI)

• www.finalebythomas.com il sito

di Marco Tommasini, autore della guida

di arrampicata a Finale

• www.comunefinaleligure.com del

Comune di Finale Ligure, con le informazioni

utili al visitatore

• www.visitfinaleligure.it è il sito dell’ufficio

turistico di Finale, che ha una sede anche a

Finalborgo, vicino alle falesie

PER DORMIREFinale Ligure è una località marina con

un’ottima e variegata offerta turistica:

sul sito dell’ufficio turistico e del Comune si

può trovare l’elenco di alberghi, B&B,

agriturismi e campeggi.

Segnaliamo in particolare l’agriturismo

Il bandito e la principessa, tel.+39 019

6994407, +39 348 2790154,

www.ilbanditoelaprincipessa.it, a Orco Feglino,

gestito da due veterani dell’arrampicata locale

LE GUIDE• Andrea Gallo, Finale 8.0, rock climbing a

Finale Ligure, Ed. Idee Verticali,

Finale Ligure 2012

• Marco Tomassini, Finale Climbing,

Ed. Versante Sud, Milano 2011

• Marco Tomassini, Finale... non solo mare,

ospitalità, storia, natura e sport nell’entroterra

finalese, Ed. Le Mani-Microart’s, Recco (Ge)

2010

LE CARTE• IGC 1:50.000 f. 15 Albenga Alassio Savona

• Kompass 1:50.000 f. 642 Costa ligure Finale

Ligure Savona

01 Volente o volante 6b, 20 m02 Trimo non farti toccare 6b+,

10 m (ancora da richiodare)03 Free joint 5c, 15 m04 Giovani e ribelli 5c, 15 m05 Modello base 6a+, 15 m06 Aldo Avanzini 6a+, 15 m

07 Affittansi scale 6b+/6c, 15 m08 La storia infinita 6b, 15 m09 Art of noise 6a+ ,15 m10 Il gruppo T.N.T. 6a, 18 m11 È ora di basta 6a, 16 m12 Arsura vaginale 6a+, 16 m

13 Astratta 5c, 15 m14 Charme 5b, 15 m15 Relax 5b, 15 m16 Minimo sindacale passo di 4b,

poi 3b, 15 m

17 Senza Nome 5a, 15 m18 Senza Nome 6a, 15 m19 Arriva la Tatina 5b, 15 m20 Marcolino a canestro 5c, 15 m21 Senza Nome 6a, 15 m22 Senza Nome 6a, 15 m

23 Innominata 6b, 18 m24 Turisti fai da te 6b+, 16 m25 Pollastro e patatina 6b+, 16 m26 Buon compleanno 6b+, 16 m27 Pinzimonio 6a+, 15 m

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testo e foto di

ALESSANDRO LASAGNO

Mille suggestioni provengono

da questa valle ricca

di sentieri che, dai monti

al mare e viceversa,

sanno regalare chi li percorre

la sensazione semplice

e unica dell’aria,

della luce che illumina

i borghi storici, del profumo

del mare misto a quello

della montagna,

degli ulivi e dei vigneti.

IN ALTO DA PERINALDO SI SCORGE UN TRATTO DEL CONTRAFFORTE CHE SI DIRAMA DAL MONTE GRAI A SUD OVEST, A CUI FANNO DA SFONDO IL BALCONE DI MARTA (A SINISTRA) E LE ALPI LIGURI (A DESTRA)

NELLA PAGINA A FIANCO IL MONTE SANTA CROCE VISTO DAI PRESSI DEL COLLE APROSIO

TERRA DI ASTRONOMI, DI SCRITTORI E ANCHE DI ALPINISTI

La VALLE CROSIA (o Valle del Crosia) è uno degli ultimi bacini del Ponente ligure, a circa 15 chilome-

tri dalla vicina Francia. Geografi camente si può dire che nasca dal Monte Caggio – al cui piede setten-

trionale si trovano i colli Termini di Perinaldo e Termini di Baiardo, che fanno comunicare la Valle del

Crosia con la Valle di San Romolo – la sua cima più elevata che si trova sul lungo contrafforte sud-est

che s’origina dal Monte Grai, che a sua volta fa capo alla costiera sud del Monte Saccarello, la più alta

montagna della Liguria, proprio sullo spartiacque alpino.

Come molte vallate liguri, si può ben affer-mare che abbia “i piedi nel mare e la testa in montagna”. Poco frequentata dal punto di vista escur-sionistico, offre tuttavia, una serie di itine-rari che si possono effettuare durante l’in-tero anno: particolarmente indicato è il periodo che va dalla metà di settembre alla fi ne di maggio. Non è una valle particolar-mente lunga, al contrario dell’attigua Val Nervia, e le sue “mulattiere di mare” ben si sposerebbero con Creuza de ma, la famosa canzone di Fabrizio De Andrè. Ma questa zona è, soprattutto, lo scenario vissuto e raccontato dallo scrittore

Francesco Biamonti, nato proprio qui, a San Biagio della Cima nel 1928, dove si è spento nel 2001, lasciando incompleto il suo ultimo romanzo, Il silenzio, pubblicato postumo nel 2003. Nei suoi quattro ro-manzi, nati nella casa-laboratorio di San Biagio, dove sempre ha risieduto dopo aver un po’ girovagato da giovane in Spa-gna e, particolarmente nel sud della Fran-cia, lo scrittore ligure è magistralmente ri-uscito a evocare le suggestioni di questa terra che saprà regalare al visitatore la sen-sazione semplice e unica dell’aria, della luce, del profumo del mare misto a quello dei monti, degli ulivi e dei vigneti.

Pointe de Lugo1929 m

Castello Balcone di Marta

1960 m

Balcone di Marta2123 m

Toraggio1973 m

Pietravecchia2038 m

Carmo Ciaberta1765 m

M. Corma1597 m

M. Saccarello2200 m

M. Frontè2153 m

M. Grai2012 m

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a Genova e insegnato astrono-mia a Bologna, dove aveva co-struito la meridiana della Basi-lica di San Petronio; dal 1669, divenuto ormai celebre in tutta Europa, fu chiamato da Luigi XIV a dirigere l’Osservatorio astronomico di Parigi, dove si sposò dando il via a una dina-stia di astronomi. Tra le sue numerose scoperte ricordiamo quella di quattro satelliti di Saturno e la divisio-ne degli “anelli” del pianeta, che oggi porta il suo nome (Di-visione di Cassini); tornato nel 1696 per l’ultima volta nella natia Perinaldo, morì a Parigi nel 1712. Fino ad allora il Sena-to di Bologna, città che aveva “conquistato” e che mai si era completamente rassegnata alla sua partenza, gli mantenne li-bera la cattedra di Astronomia. Recentemente, nel 1997, la NASA gli ha intitolato la sonda spaziale Cassini-Huygens che, nel 2004, ha raggiunto Saturno, cominciando a inviare verso la Terra numerose preziose im-magini del pianeta che più di

tutti aveva affascinato il grande scienziato.Giacomo Filippo Maraldi (Pe-rinaldo 1665 - Parigi 1729), ni-pote di Cassini, fu un suo va-lente collaboratore, distinguen-dosi nello studio di Marte – di cui scoprì le calotte polari –, del Sole e della Luna, confermando la divisione degli anelli di Sa-turno scoperta dal suo illustre maestro. Gian Domenico Maraldi, anche lui nato a Perinaldo, nel 1709 divenne membro dell’Accade-mia delle Scienze francese; sco-prì e studiò varie stelle, alcune nebulose e fece ritorno nel suo paese natale nel 1772, dove si spense nel 1788. Alla sua me-moria è stato intitolato, dal 1935, un cratere lunare. In questa terra di astronomi e scrittori, proponiamo un’escur-sione che si sviluppa quasi sem-pre in prossimità della panora-mica dorsale Crosia-Nervia, cercando in qualche maniera di “ricalcare” lo spirito delle rela-zioni del grande alpinista-scrit-tore ligure Bartolomeo

Biamonti aveva esordito in let-teratura solo nel 1983, a 55 anni, con L’angelo di Avrigue, pubbli-cato per conto di Einaudi e pre-sentato con entusiasmo da Italo Calvino, uno dei suoi più grandi ammiratori (che nella vicina Val Nervia ambientò Il Barone ram-pante). Proprio in questo suo primo ro-manzo (aveva già scritto un pri-mo lavoro mai pubblicato, Col-po di grazia, e alcuni saggi dedi-cati alla pittura di cui era un grande appassionato, come di cinema francese e di musica classica, in particolare di quella sinfonica) i personaggi di Bia-monti si muovono tra i carruggi e le mulattiere che risalivano i fi anchi della Collina della Cro-vairola, la montagna che sovra-sta il suo paese natale con un formidabile appicco, conosciuta un tempo anche come “A Pila du Crou” (Collina dei Corvi). Oggi questa panoramica cima – solo 358 metri, ma che super-bo panorama – sulle carte geo-grafi che e sui moderni testi è riportata come Santa Croce, a

seguito della volontà di un reli-gioso di San Biagio di far erige-re sulla sua cima, nella seconda decade dell’Ottocento, l’omoni-ma cappella oggi sconsacrata e, purtroppo, lasciata da molti an-ni al degrado. Quando si parla della Val Cro-sia, naturalmente, si parla an-che di Perinaldo, la nostra me-ta, magnifi co villaggio di pietra abbarbicato alla sua testata, da cui si ha una spettacolare vedu-ta sui contrafforti delle Alpi Liguri, in particolare sul grup-po Toraggio-Pietravecchia-Grai, alle cui spalle s’impone il Balcone di Marta (rilievo, quest’ultimo, compreso nel ter-ritorio francese della Val Roya). Se San Biagio è legata a doppio fi lo a Francesco Biamonti, Peri-naldo può vantare invece di aver dato i natali – nel Seicento e nel Settecento – a due impor-tanti famiglie di astronomi e matematici: i Cassini e i Maral-di. La fi gura più illustre di que-sti scienziati è senza dubbio quella di Gian Domenico Cas-sini (1625). Egli aveva studiato

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A NORD DELL’ABITATO DI SAN BIAGIO

DELLA CIMA SI TROVA IL SANTUARIO

DELL’ADDOLORATA, XVIII° SEC.

NELLA PAGINA A FIANCO PERINALDO VISTO

DA SUD-OVEST; SULLO SFONDO

IL MONTE BIGNONE

Asquasciati, che nei primi del Novecento divulgò con appassio-nanti scritti molte sue ascensioni ed escursioni nelle Alpi Liguri e Marittime, pubblicando tra le sue opere Contrafforti e Alpi Liguri, edito dal CAI di Imperia nel 1924. Nelle Alpi Marittime, sulla dentellata cresta che dal Colle Est del Monte Clapier sale alla sommità dell’omonima monta-gna (Monte Clapier 3045 m) gli è stata dedicata una vetta (Cima Asquasciati 3034 m) che si po-trebbe, a tutti gli effetti, conside-rare il primo e più meridionale Tremila di tutto l’arco alpino.

> A Vallecrosia, ai limiti occidenta-li del paese, dai pressi della chiesetta di San Rocco si imbocca la via Santa Croce che s’innalza sui primi declivi del versante orientale della Val Ner-via. La stradetta, in alcuni tratti abba-stanza ripida, raggiunge un cancello (120 m) che, se chiuso (ricordiamo al visitatore il massimo rispetto dei luo-ghi attraversati e che in questo tratto non è consentito uscire dalla stradi-na), deve essere aggirato sulla destra per proseguire poi per un breve trat-to a ponente. Raggiunto un traliccio della linea elettrica (143 m) il cammi-no volge a levante, entrando in vista del versante meridionale del Monte Santa Croce e raggiungendo, al cul-mine della regolare salita, la dorsale Nervia-Crosia (188 m), all’altezza di una cisterna per la raccolta dell’ac-qua. Seguitando in piano a setten-trione, su fondo naturale (qualche bella veduta sulla lontana Perinaldo e la sottostante Vallecrosia Alta) si per-viene in breve a un tornante a sini-stra (altra vasca per l’acqua) dove si origina un non troppo evidente sen-tierino (da seguire verso nord) che s’arrampica su un pendio, tra roccet-te e radici scoperte dei pochi pini che lo popolano.Raggiunto un poggio (Colle Aprosio 237 m, 0.45 ore da Vallecrosia), otti-mo punto d’osservazione sull’incom-bente Monte Santa Croce, ci si ab-bassa per pochi metri fi ancheggian-do sulla destra dei ruderi in pietra, dominando con grande effetto il sottostante viadotto autostradale “Vallecrosia”. Guardando in direzione sud-est, sul fi anco sinistro del torrente Crosia (o Verbone, NdR), si possono scorgere

dei vagoni ferroviari; non si tratta di una stazione, bensì del “Museo della Canzone Italiana e della Riproduzio-ne sonora” creato nella seconda me-tà del Novecento dal geniale ristora-tore Erio Tripodi (1938-2005), e ospi-tato all’interno dei succitati vagoni – del tipo “Centoporte” – risalenti al 1927 e agganciati alla locomotiva “Cirilla” del 1904. Il sentiero, ora più evidente, prende quindi quota tra la macchia mediter-ranea puntando in direzione della sommità del Monte Santa Croce, af-fi ancando la condotta dell’acqua, poi antiche terrazze, raggiungendo infi -ne la sommità di questo panoramico rilievo (358 m, 0.25 ore), caratteriz-zato, oltre che dalla sconsacrata omonima cappella ormai in rovina, da due grandi cisterne dell’acque-dotto. Da quassù si domina magnifi -camente il litorale compreso tra Bor-dighera e i rilievi francesi dell’Esterel, i contigui bacini del Nervia e del Cro-sia incorniciati da numerosi contraf-forti delle Alpi Marittime e Liguri che da ponente (Cima Longoira 1151 m – Grammondo 378 m – Tron 1339 m) a settentrione (Balcone di Marta 2123 m – Toraggio 1973 m – Pietra-vecchia 2034 m – Grai 2012 m – Sac-carello 2200 m) a nord-est e levante (Frontè 2153 m – Ceppo 1627 m – Bignone 1299 m – Caggio 1090 m) ne caratterizzano l’orizzonte. Ac-quattati sul fondovalle, o abbarbicati su pendii e dorsali, si riconoscono anche i borghi di Dolceacqua, Peri-naldo, Soldano, San Biagio della Ci-ma, Seborga, e i sottostanti abitati di Vallecrosia Alta e Camporosso. Si abbandona il Monte Santa Croce seguendo la pista sterrata che si ab-bassa a sud-ovest (splendidi esem-plari di pini a ombrello), poi a setten-trione, perdendo ulteriormente quo-ta, con belle e dettagliate vedute su Camporosso.Aggirando il fi anco occidentale del Monte Santa Croce si procede poi su un tratto cementato, tra vari coltivi dove, dall’inizio di gennaio, spicca il giallo delle mimose.Toccata una diramazione (212 m) si procede a destra, in piano, su fondo naturale, accanto a varie serre, tra-scurando un successivo bivio (211 m) che si abbassa a sinistra verso Cam-porosso, per guadagnare quindi i pressi della chiesetta dell’Annunziata (217 m, 0.15 ore), nuovamente sulla dorsale, dove converge da destra una stradetta che arriva da San Bia-gio della Cima (100 m), raggiungibile da chi lo desideri in 0. 20 ore.

SAN BIAGIO DELLA CIMA

San Biagio della Cima, (bus per Vallecrosia/Ventimiglia e Perinaldo) sorge sul fi anco destro orografi co della Val Crosia. Piuttosto noto per la sua varietà di rose, San Biagio fece parte dalla fi ne del Seicento al 1797 della “Magnifi ca Comunità degli Otto Luoghi”, una piccola fi orente repubblica che, grazie al protettorato di Genova, si opporrà con successo per un secolo alle angherie dei conti di Ventimiglia. Da visitare i suoi carruggi e la singolare piazzetta dove si affaccia la parrocchiale dei Santi Sebastiano e Fabiano (del 1497, rifatta nel 1777 da Andrea Notari – al suo interno è custodita una statua lignea raffi gurante San Sebastiano, attribuibile al famoso scultore genovese Anton Maria Maragliano). Poco distante sorge l’oratorio dell’Assunta, mentre a nord dell’abitato si trova il Santuario dell’Addolorata (“Nostra Signora dei Dolori”) risalente al XVIII° sec; dalla stradetta che vi passa accanto parte (al termine del tratto asfaltato), verso sinistra, un sentiero che, ceduto poi il posto a un tracciato cementato, si innalza sulla displuviale Crosia/Nervia, intersecando l’itinerario a quota 300.

Procedendo sulla panoramica stradi-na a settentrione, dapprima in mo-derata salita, con nuove belle “in-quadrature” su Camporosso, dopo alcuni modesti saliscendi si incrocia il tracciato cementato (300 m, 0.30 ore) che arriva da San Biagio, in cor-rispondenza di una sella e nei pressi di una condotta per l’acqua. Vinta una breve salita, il cammino, ora su fondo naturale, pianeggia tra belle ginestre e vigneti, sfi lando poco do-po sul fi anco orientale del Monte Bellavista (383 m) dove campeggia-no alcune strutture dell’acquedotto, lasciando a destra un cammino se-condario che si abbassa su Soldano. Seguitando sempre a nord (lato Cro-sia) si passa sotto la linea dell’elettro-dotto, in presenza di altri vigneti dalle cui uve si ricava il famoso Ros-sese, una peculiarità di questo tratto dell’estremo Ponente ligure. Dopo una breve salita, ritornati sulla dorsa-le si giunge in seguito all’agreste pia-noro di Cian dei Morti (355 m, 0.25 ore da quota 300), lasciando poco prima una diramazione che divalla sul versante Nervia.Attraversato il magnifi co altopiano caratterizzato da vigneti, si lascia al suo limite settentrionale una stradi-na con cui, volendo, in 0.40 ore è possibile giungere a Soldano (80 m, bus per Perinaldo e Vallecrosia/Venti-miglia), attraverso il vallone del rio Fulavin.

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Procedendo (nord) per questa stra-detta, dapprima in salita per una ra-da pineta, si taglia il fi anco occiden-tale della Cima Gian Domenico (454 m), per seguitare in piano tra vari coltivi di eucalipto e mimosa (non mancano mai, naturalmente, gli uli-vi...), con belle vedute a nord-ovest sui monti Abelliotto (901 m) e Abel-lio (1016 m), separati dall’omonima Bassa d’Abellio (752 m).Lasciato a sinistra un tracciato che proviene dalla Val Nervia si giunge quindi a un’ampia sella (411 m), do-ve convergono quattro sterrati. Da questo incrocio si procede in salita, sul ramo principale (qualche “inqua-dratura” su Perinaldo), doppiando un tornante per continuare rivolti sempre a settentrione, già entro i confi ni della località Gasco, che si attraversa in piano (varie proprietà), per affrontare poi una breve salita per il panoramico crinale, tra nuovi magnifi ci vigneti ricavati su scoscesi pendii, raggiungendo un bivio (470 m, 0.30 ore – all’altezza di una ci-sterna per l’acqua) che si abbassa sulla Val Nervia (possibilità di arrivare

a Dolceacqua in circa 1.10 ore).Restando ancora sullo spartiacque per alcuni minuti, con belle vedute a ponente sulla sottostante chiesa di San Gregorio e sul più lontano San-tuario della Madonna Addolorata, si supera una breve rampa (indicazioni per Casa Bahr) in direzione del Mon-te Rebuffao che si erge a nord, per volgere quindi sul versante Crosia sull’ampia pista a fondo naturale che contorna la testata del rio Beragna, tributario del torrente Crosia (o Ver-bone), dove solo alcune terrazze so-no tuttora coltivate. Continuando a nord-est, ignorando una diramazione a sinistra verso “Rochin”, si procede in moderata salita proprio in direzione dell’ele-gante boschiva piramide del lontano Monte Caggio.Costeggiati i resti di un edifi cio in pietra (535 m, 0.30 ore) si ritorna in vista della scenografi ca e ben più vi-cina Perinaldo, incorniciata dai rilievi che, più o meno distanti, dal Torag-gio si susseguono verso levante sino al succitato Monte Caggio.Oltrepassato il successivo tornante,

procedendo piacevolmente sempre su fondo naturale, si sfi la nei pressi di una casupola in pietra (a destra) e, superata una breve salita, si raggiun-ge un importante bivio (555 m, 0.15 ore). Si imbocca la diramazione verso sinistra (sud-est), che dopo pochi mi-nuti volge a destra (nord-ovest), gua-dagnando la vicina dorsale: giunti nei pressi di due ulivi (580 m), al ter-mine di un breve tratto cementato si prende il sentierino a sinistra che cul-mina sulla sommità del Monte Re-buffao (599 m).Dal panoramico rilievo, seguendo una traccia poco evidente (nord) che serpeggia sulla displuviale, o proce-dendo a settentrione sul più comodo versante Nervia si raggiunge una sot-tostante sella, da cui si sale alla cima del Monte Alpicella (615 m, 0.20 ore da quota 555), caratterizzata dai re-sti di una torre circolare, un tempo usata per le segnalazioni “a corno” dagli antichi abitanti di questi luoghi.La piccola cima, dominata dal Monte Toraggio e quanto mai affascinante, è uno straordinario belvedere su Pe-rinaldo e sulle valli circostanti, incor-niciate dai contrafforti delle Alpi Li-guri. Ritornati al bivio a quota 555 (0.15 ore), si segue lo sterrato che si distende a nord in moderata discesa, tra varie terrazze dove predomina l’ulivo; doppiato un tornante si con-torna il vallonetto del rio Figareo, poi la località Alpicella (530 m, 0.15 ore), per intersecare, infi ne, la stretta rota-bile che mette in comunicazione

Perinaldo con Dolceacqua attraverso la regione Morghe.Seguendola a destra in discesa, con continue spettacolari vedute sull’or-mai prossima Perinaldo, si va in se-guito a incrociare, proprio sulla dor-sale, in località San Michele Bana (481 m) la carrozzabile che sale dalla Val Crosia e si abbassa su Apricale; dopo averla attraversata si imbocca un tracciato che, lasciando a destra la chiesetta di San Michele, prosegue in salita risalendo la ripida omonima via pedonale con cui si perviene a Perinaldo (572 m, 0.35 ore dalla lo-calità Alpicella – bus per Vallecrosia e Ventimiglia), l’antica Podium Rinaldi, dove nei pressi della parrocchiale di San Nicola di Bari (di origini quattro-centesche e rifatta nel Settecento) e dell’ex loggia comunale termina l’e-scursione: dal vicino Belvedere Chia-nea si gode di un’indimenticabile panorama sulle Alpi Liguri e i loro contrafforti. Il paese degli astronomi possiede tre musei, che si trovano nella parte orientale del borgo, vici-no alla chiesa di Sant’Antonio: uno, con annesso piccolo osservatorio astronomico, è dedicato alla famiglia Cassini, il secondo “napoleonico” e il terzo, infi ne, “entomologico”. Da Perinaldo si può rientrare a Valle-crosia in bus ma, nella bella stagione, approfi ttando delle molte ore di luce, ci si può godere il ritorno lungo il percorso di salita, riassaporando pie-namente profumi e colori di questa terra così particolare.

IL SANTUARIO DELLA MADONNA DEL CARMINE, NEI PRESSI DI SOLDANO.A DESTRA IL LITORALE COMPRESO TRA VENTIMIGLIA E BORDIGHERA

VISTO DAI DINTORNI DELLA COLLINA DELLE MAULE

NELLA PAGINA A FRONTE SUGGESTIVO TRAMONTO INVERNALE DA PERINALDO; A DESTRA IL PROFILO DEL MONTE SANTA CROCE

SOLDANO

Conosciuto un tempo come Castrum Soldani, tipico esempio di borgo ligure, è impreziosito dalla bella parrocchiale di San Giovanni Battista, che ospita un pregevole polittico cinquecentesco dedicato al santo, opera di Andrea della Cella di Finale. Sulla stessa piazzetta si affaccia altresì l’oratorio settecentesco di San Giovanni Evangelista. Incastonato tra le case in pietra dell’abitato si trova, curiosamente, il campanile della primitiva parrocchiale.

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schedaGIALLA a cura di

ALESSANDRO LASAGNO

LE GUIDE• Euro Montagna, Lorenzo Montaldo, Alpi

Liguri, Guida dei Monti d’Italia, ed. CAI-TCI Milano 1981• Enzo Bernardini, Villaggi di pietra, Blu Edizioni, Peveragno (Cn) 2002 (esaurito)• Alessandro Lasagno, 25 itinerari

escursionistici nella Provincia di Imperia e

nell’alta Val Roya, Atene Edizioni, Arma di Taggia 2003• Alessandro Lasagno, Escursioni nelle valli

intemelie, Atene Edizioni, Arma di Taggia 2007 (esaurito)• Cinzia Pezzani, Sergio Grillo, A piedi in

Liguria, vol. 2, Iter edizioni, Subiaco (Rm) 1999

INFODislivello in salita: 900 mTempo di percorrenza: 5 oreDiffi coltà: T/ESegnavia: non segnalato, ma evidentePeriodo consigliato: percorribile tutto l’anno, ideale da settembre a maggioNote: l’itinerario descritto si sviluppa quasi interamente in prossimità della dorsale occidentale della Val Crosia (Im), nel Ponente ligure, dove corre lo spartiacque Crosia/Nervia, entro il territorio dei Comuni di Vallecrosia, San Biagio della Cima, Soldano, Perinaldo, Camporosso e Dolceacqua.La valle è percorsa dal torrente Crosia (o Verbone) che sfocia nel Mar Ligure all’altezza dell’abitato di Vallecrosia.

L’ACCESSOIn auto Vallecrosia è raggiungibile da Genova (circa 150 km) attraverso la via Aurelia oppure l’autostrada A10 uscendo ai caselli di Bordighera o Ventimiglia. Da Cuneo, sulla SS20 del Colle di Tenda si arriva a Ventimiglia, da cui in 3 km si raggiunge Vallecrosia. In treno sulla linea ferroviaria Genova-Ventimiglia, scendendo alle stazioni di Bordighera oppure di Ventimiglia, entrambe a soli 2 km dal centro cittadino.

GLI INDIRIZZI UTILI• Comune di Vallecrosia www.vallecrosia.com • Comune di San Biagio della Cima www.comunedisanbiagio.com

• Comune di Soldano www.comunesoldano.it

• Comune di Perinaldo www.perinaldo.org

• Comune di Camporosso www.camporosso.it

• Comune di Dolceacqua www.dolceacqua.it

• Osservatorio astronomico di Perinaldo www.astroperinaldo.it

• Francesco Biamonti, il sito uffi ciale www.francescobiamonti.it

CAMMINANDO DAL MARE AI MONTI

• Museo della canzone e della riproduzione sonora www.museodellacanzone.it• CAI Ventimiglia, via Roma 63, tel. +39 0184 35774, www.caiventimiglia.it• CAI Bordighera, corso Europa 40, tel. +39 0184 262797, www.caibordighera.it

PER DORMIRERiportiamo alcuni siti che contengono varie possibilità di alloggio presso hotel, pensioni, agriturismi e Bed&Breakfast dei Comuni toccati dall’itinerario:• www.visitrivieradeifi ori.it

• www.turismoinliguria.it

• www.paesionline.it

• www.bed-and-breakfast.it

• www.ventimiglia.biz

• www.campingvallecrosia.com

LE CARTE• IGC 1:50.000 f. 14 San Remo Imperia Monte Carlo

• Kompass 1:50.000 f. 640 Nice/Nizza Monaco Sanremo

• Blu Edizioni: 1:50.000 La provincia di Imperia

• Multigraphic 1:25.000 f. 112 Alpi Marittime e Liguri

Valle Crosia Proponiamo una facile escursione lungo sentieri che, partendo da Vallecrosia e lasciandosi il mare alle spalle, si inerpicano sulle colline tra serre e vigneti, sviluppandosi quasi sempre in prossimità della panoramica dorsale Crosia-Nervia, con lo sguardo rivolto ai primi contrafforti delle Alpi Liguri.

T = Turistico / E = Escursionisti / EE = Escursionisti Esperti / EEA = Escursionisti Esperti con Attrezzatura

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a cura di

PAOLO CAMPAGNOLI

unasplendidagiornataAVVENTURE & DISAVVENTURE DEI LETTORI DI ALP

Certo questa non è la gara per debuttare in una sky

race!», è l’ammonimento con cui inizia la nostra domenica 31 luglio. Sono le quattro e un quarto di notte, stiamo facendo colazione nell’albergo di Ceresole Reale e nessuno di noi osa dichiarare di essere alla prima esperienza. Due veterani pluripremiati della manifestazione snocciolano aneddoti su asperità e durezze della gara. Ascoltiamo un po’ assonnati, un po’ intimoriti da

tanta sapienza, e ci limitiamo ad annuire compiacenti.Gli esperti skyrunner mi aiutano a sciogliere un dubbio. I bastoncini possono far scaricare la pressione sulle gambe del 20% almeno, «purché usati bene, però, devi avere già esperienza con lo scialpinismo». Stavolta annuisco con più sincerità. Alle cinque eccoci stivati dentro il pulmino che da Ceresole ci condurrà alla partenza della gara, il Lago di Teleccio, quota

1900. La stradina è impervia, sospesa nel vuoto, di quelle in cui ti ripeti come un mantra «ma cosa vuoi che succeda, chissà quante volte l’avrà fatta il conducente». Invece il conducente non l’ha mai percorsa prima, ma per fortuna lo scopriamo solo all’ultimo tornante.Così, alle sei, in qualche modo mettiamo i piedi a terra. Gli skyrunner arrivano a frotte e si addensano nella zona di partenza. Mi colpisce la quantità di donne. È l’alba, lo sguardo vola in alto cercando segnali di conforto dal meteo, che arrivano solo in parte. Molte nubi, forse troppe.Compaiono Giuliano e Alessandro, che hanno pernottato in tenda vicino al lago. Sono arrivati da Torino alle undici di sera, sotto il diluvio, e non hanno quasi chiuso occhio. Noi che abbiamo dormito per ben quattro ore ci sentiamo improvvisamente riposati. L’atmosfera è surreale: circa duecento “corridori del cielo”, in abbigliamento “stratecnico”, vagano nella semioscurità cercando di contrastare il gelo. Buona parte cerca rifugio nell’unico edifi co presente, la casa-uffi cio dei guardiani della diga, dove si offrono caffè e tè bollenti. Il calore delle

bevande scioglie le lingue. Le dispute vertono tutte sulla durezza della gara. Le opzioni sono due: è tra le più dure di sky race o è la più dura in assoluto. Più o meno come chiedersi se sia più forte Pelé o Maradona…Finalmente è l’ora, l’organizzatore ci illustra il percorso, mette su una musichetta con le cornamuse e alle sette si parte! Costeggiamo il lago in piano, poi attacchiamo la prima salita che conduce al Colle dei Becchi, 4 km con mille metri di dislivello. Non si può correre, il sentiero è ripidissimo e sempre più tecnico, l’ambiente è lunare, severo, molto suggestivo. Un buon quarto d’ora se ne va alla prima rampa, l’ingorgo che si crea ci costringe a stare fermi per molti minuti. La seconda parte della salita è quasi tutta su roccette e bisogna arrampicarsi. Dopo un pendio nevoso raggiungiamo la cima, a quasi 3000 metri. Era il tratto più temuto, il primo “cancello”, con il tempo limite più complicato da rispettare, due ore, in parecchi non ce la faranno.Un tè caldo, uno sguardo al panorama in parte limitato dai nuvoloni, e siamo pronti per la discesa dei Becchi, quella mitica

CORRENDO LUNGO I SENTIERI DEL GRAN PARADISO

DA UN RACCONTO DI ALESSIO PETRELLI, TORINO

INVIATE LE VOSTRE STORIEa: [email protected]

«

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L’ITINERARIO

NOME: Roc Sky Race

PARTENZA: Lago di Teleccio, Locana (To)

ARRIVO: Ceresole Reale (To)

DISLIVELLO: 2000 m in salita, 2400 m in discesa

SVILUPPO: 27 km

CARTA: IGC 1:50.000 f. 3 Parco nazionale del Gran Paradiso

IL MASSICCIO DEL GRAN PARADISO

A DESTRA LA SUGGESTIVA PARTENZA DALLA DIGA DEL LAGO DI TELECCIO

IN BASSO IL TRATTO PIÙ IMPEGNATIVO

NELLA PAGINA A FIANCO CONTROLLO AL PRIMO CANCELLO: IN MOLTI NON RIUSCIRANNO A SUPERARLO NEL TEMPO MASSIMO PREVISTO(FOTO P. RUISI / GRUPPO ORCHI)

di cui sentiamo parlare da giorni, temuta e rispettata per le diffi coltà tecniche previste. È un pendio di grossi massi, che bisogna scendere sempre concentrati, un po’ saltellando e un po’ arrampicandosi. Mi diverto molto a salire e scendere su queste rocce, anche se inquietanti macchie rosse rendono l’atmosfera severa. A un tratto le gocce si fanno più fi tte, un roccione è completamente coperto di sangue, davanti a me un runner ferito alle braccia viene soccorso con fasciature di fortuna, in attesa di essere recuperato dall’elicottero.Saltellando tra le rocce, scivolando sui pendii nevosi, entro in un vallone a 2400 metri di quota. Solo allora la traccia si fa sentiero e si può accennare una timida corsetta. Le distanze tra gli atleti ora sono dilatate, così mi ritrovo solo, in un ambiente fantastico: radure erbose, torrenti, laghetti, macchie bianche di fi oriture estive e un camoscio che salta via tra le rocce. L’idea di libertà trova una sua declinazione reale. L’illusione dura solo un paio di chilometri, poi il sentiero torna a essere roccioso, preannunciando la seconda ardua salita verso la Bocchetta del Ges, a quasi 2700 metri.

Riprendo a camminare cercando di sfruttare le leve dei bastoncini, scavalco il secondo colle e poi giù per una discesa ripidissima, con piccole rocce mobili pericolose per se stessi e per chi si trova più a valle. Il percorso è sempre ben segnalato e presidiato da volontari nei punti strategici. Con tutti un saluto e una battuta. Procedo sempre a una quota abbondantemente sopra i 2000 e con fatica, ma anche con piacere, arrivo al “cancello” della vecchia casa di caccia dei Savoia. Dopo 17 km di gara la stanchezza comincia a farsi sentire. Un gipeto enorme volteggia sopra le nostre teste leccandosi i baffi : forse dovrei

preoccuparmi…Da lì un lunghissimo traverso dove riesco a correre a tratti e a superare qualche atleta. Al termine un “cancello”, il ristoro successivo, i concorrenti della “ultra” dirottati verso l’ennesima salita. Il mio sguardo li osserva con cinico autocompiacimento per non doverla affrontare. Noi della gara “breve” andiamo a sinistra, in discesa. Ancora pietre e saliscendi fi no a un colle basso, poi l’imbocco del bosco dove il sentiero consente di iniziare a correre verso valle con regolarità.Si incontrano trekker in gita domenicale, più giù abitanti ed escursionisti, tutti prodighi di saluti e complimenti. Ancora

qualche chilometro ed ecco Ceresole Reale, la diga, poi fi nalmente l’arrivo, con un’accoglienza calorosa e anche qualche intervista. Un’atmosfera bellissima, ben diversa dalla freddezza di molte gare su strada. Do uno sguardo al cronometro, giusto per rendermi conto di quanto tempo, tanto tempo, sia stato necessario: il GPS segna 31 km, quasi 4 più dei 27 annunciati.Dopo pochi minuti arrivano Paola e Fabrizio, corro ad abbracciarli. Il nostro pensiero va a Giuliano e Alessandro impegnati nel percorso lungo, che arriveranno dopo molte ore. Un’eccellente polentata suggella questa mia prima, memorabile, Roc Sky Race. ■

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RITRATTI di alpinisti

Quando seppe di aver

del tempo per salire al

Giomein, fece fatica a

contenere la gioia.

O belle montagne protettrici

ed amiche! Sarebbe presto

salito lì, fi no ad un palmo dal

Cervino. Sarebbe stato difeso

da queste presenze, protetto

da ogni forza ostile.

Avrebbe fi nalmente ritrovato

un’ispirazione sana e benefi ca.

Si sarebbe persino rasserenato.

I dolori, gli affanni delle

moltitudini, la vita travagliata,

le anime affl itte, la fatica e

l’afa, non avrebbero nemmeno

osato seguirlo.

Un periodo completamente

separato dal mondo dunque.

Era quello che ci voleva.

Guardandolo dall’alto, magari,

sarebbe anche stato possibile

rinfrancarne un senso.

Quanto poi alla potenza

devastante della montagna,

non ci aveva mai creduto.

Favoleggiamenti letterari.

Non vedeva l’ora di partire.

Aveva salutato le cime con

un così grave rammarico

la stagione precedente!

Ed era bello tornare, era come

un riconoscersi.

Poter stare lì di nuovo.

Era il suo unico pensiero.

Scorse con la memoria

il paesaggio che avrebbe

di lì a poco rivisto.

Che infl uenza esercitava sulle

sue capacità creative?

di DANIELA ZANGRANDO

THIS WILL DESTROY YOU / 3

Nessuna forse, ma non aveva

particolari facoltà creative.

In fondo probabilmente non

c’era nemmeno un vero e

proprio paesaggio.

C’era solo il Cervino.

Ottundeva tutto il resto.

Occupava una così gran

porzione di cielo da diventare

il cielo stesso.

Appena arrivato, avrebbe

iniziato a scrutarlo come

un’enorme viso imperturbabile,

sarebbe andato in

continuazione alla ricerca dei

suoi occhi, senza mai trovarli,

l’avrebbe interrogato per capire

se sperare, se temere, se…

Inutile poi stare a pensare

come avrebbe passato il

tempo. Severo si rispondeva:

«Come sempre. Venti ore

al giorno nella mia camera,

a lavorare ad un libro sullo

studio della lingua, e a un

monte di altre cose».

Eventualmente qualche

momento poteva essere

dedicato a guardare le persone.

Donne con il viso bruciato

dal sole, mulattieri, alpinisti,

la mula Lisa, inglesi di

passaggio, la ragazza della

posta. La materia prima non

sarebbe di certo mancata.

Unico fattore non considerato,

il fi glio Ugo. Arrivò infatti un

giorno, con l’intenzione di fare

delle ascensioni.

Una in particolare, con una

tirata di dodici ore, senza

nemmeno la sosta di una notte

alla capanna.

Tirata di dodici ore?!

Lo stomaco gli si contorse.

Era ora di lavorare però.

Animo e mano alla penna.

Sarà stanco?

La cima è coperta!

Potrebbe smarrire le guide.

Ah no, ecco che rasserena.

Ora il sole lo scalderà, tutto

sarà come nei pronostici più

cortesi.

Ma tu, sfi nge, dì qualcosa!

Non farmi penare!

Non posso perdere anche lui,

non posso! Dov’è?

Sospeso sull’abisso? Ferito?

Gigante sinistro, anche tu ti

sgretolerai sasso per sasso,

scheggia per scheggia! ■

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Edmondo De Amicis

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Nella nostra esplorazione del futuro (Alp oro n. 280) abbiamo fatto un

incontro particolare che vi vogliamo raccontare.

Roberto Zannini ha fatto del suo sport preferito il proprio lavoro

e della roccia l’ambiente in cui abitualmente si svolge.

Ma ci ha messo, insieme

alla passione, anche fantasia

e innovazione.

Ne sono nati i suoi racconti

di fantascienza ma, soprattutto,

Roboclimber,

un aiutante che arriva

dove nessun può.

Una parete rocciosa poco fuori l’abitato di La Saxe, in Val d’Aosta: seicento metri a piombo, di dubbia consistenza. Il cantiere di disgaggio è diretto da Roberto Zannini, alpinista e grande appassionato di fantascienza, ideatore di Roboclimber, un macchinario teleguidato capace di risalire e mettere

in sicurezza i versanti instabili. Roboclimber ha fi gliato poi un immaginario automa scalatore, presente in Barili on the rock, antologia di racconti d’arrampicata ambientati in un futuro abbastanza prossimo. Il libro, recentemente uscito per i tipi della teramana Demian, si apre con un’entusiastica prefazione di Heinz Mariacher.Cinquantadue anni, viso un po’ sgherro e sorriso facile sotto due spioventi baffi da peon, Roberto è il fratello maggiore di Andrea Zannini, già direttore della scuola

di alpinismo di Mestre, coautore della GMI del Sella e Sassolungo, presidente della Commissione nazionale CAI per le pubblicazioni. Vive tra Bassano del Grappa e Primolano, quando non è in giro per il mondo – specie in Sudamerica – per curare gli interventi del “Consorzio triveneto rocciatori”.In questa intervista racconta del suo lavoro e della sua ormai quasi esaurita attività in montagna: «Per l’età, ma anche perché se stai una settimana appeso ai chiodi per lavoro, la domenica hai voglia di fare altro. Ormai ho passato il testimone a mio fi glio Piero». Nonché di una visione dell’alpinismo dalla quale discendono intriganti storie di science fi ction, che gli hanno fruttato anche un recente secondo premio per gli inediti al concorso nazionale “Leggimontagna”.

Innanzitutto le credenziali alpinistiche, che precedono quelle letterarie. Se Mariacher fi rma il tuo libro, signifi ca che qualche quarto di nobiltà te lo riconosce.«Le motivazioni potrebbero anche essere altre. Perché è grazie a me che Heinz ha conosciuto Luisa Iovane, nella primavera del ’78. Eravamo andati in Sella in quattro, e dormivamo alla casa cantoniera Orsaroles. Lei si era fi ssata con la Schubert al Piz Ciavazes, pronta a fare da capocordata; io, pur titubante, alla fi ne avevo acconsentito. Poi, sotto le pareti,

testo e foto di LUCIANO SANTINL’arrampicatore e il suo replicante

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ROBERTO ZANNINI SUL ROBOCLIMBER.IN ALTO IL MACCHINARIO ALLA BASE DELLA PARETE

NELLA PAGINA A FIANCO, IN ALTO ROBERTO ZANNINI OGGI E AL CENTRO NEI PRIMI ANNI SETTANTA. IN BASSO DA SINISTRA PIERLUIGI BINI, LUCIO LAZZARO E LO STESSO ZANNINI NEL 1978

Ovvero?«I bug eyed monsters, la conquista dello spazio, le macchine del tempo, hanno fatto il loro tempo. E anche il cyberpunk si è abbastanza esaurito. Personalmente ho trovato in William Gibson, l’autore di Neuromante dei riferimenti convincenti: la non specifi cazione dell’esatto periodo temporale in cui viene ambientata la narrazione e l’introduzione di ipotesi tecnologiche e scientifi che accurate in un quadro sociale plausibile. Cose che ho provato ad applicare alla fantascienza».

Usando anche diversi registri tematici. Per esercizio stilistico o per trovare quello del più congeniale a te?«Volevo provarci con generi diversi. In un racconto affi ora una vena fantastica, un altro è orwelliano, un altro puro thriller. Quello che dà il titolo al libro rappresenta un omaggio a Lovecraft. Tra gli inediti, poi, c’è anche un giallo, ispirato a Angel heart, il fi lm di Parker».

Lo scenario più convincente tra quelli da te ricostruiti parla, ahimè, di un alpinismo divorato dai media e dalla mercifi cazione, preda delle scommesse sportive e di quanto ne consegue...«Ho paura che sia la strada che abbiamo imboccato. Non sono titolato a dar giudizi, ma dalla mia posizione marginale mi pare che sia in atto una crisi causata da due elementi. Il primo è il naturale esaurirsi delle cose nuove. Si è provato a fare tutto, e l’ultimo grande picco di interesse che è stato l’introduzione delle tecniche di free climbing in quota. Adesso sopravvive bene solo l’arrampicata sportiva, che però è un’attività da palestra. Il secondo elemento è che l’alpinismo oggi è diventato uno sport “utile”».

Dici “sport”.«Uso il termine perché è la defi nizione corrente, quella di Wikipedia. Non credo lo sia, se non altro perché lo sport presuppone delle regole che l’alpinismo fortunatamente non ha, se non quella di tornare a valle sani e salvi. Comunque, dicevo, ormai è un mondo attorno al quale girano abbastanza interessi da

soffocarlo. Dovrebbe ritrovare la sua gratuità, la sua inutilità».

Mariacher si defi nisce un “vecchio nostalgico”. Come te.«Probabilmente lo sono. In Dolomitica, parlo di una gara che prevede il concatenamento di via dell’Ideale, Fachiri, Furchetta e Philip Flamm, quattro grandi classiche. E dico che salirle in quel contesto equivale a profanarle».

Veniamo a Roboclimber, protagonista nella tua realtà lavorativa e nei tuoi racconti...«Beh, nei racconti c’è un discendente molto evoluto, un esapode con notevoli capacità di snodo, mentre il Roboclimber reale - un bestione da quattro tonnellate, ancora a livello di prototipo - è soltanto un gran risalitore di corde. Ne ho avuto l’idea e ho depositato alcuni brevetti, poi, per la realizzazione, si è costituito un consorzio in cui sono entrati l’Università di Genova, il Consejo superior de investigationes cientifi cas e alcune aziende private. Abbiamo avuto un fi nanziamento europeo, ora ne attendiamo un altro per avviare la produzione in serie». ■

abbiamo visto una coppia di austriaci, uno dei quali era appunto Mariacher: velocissimi, facevano una via in salita, scendevano slegati per la del Torso, poi ne attaccavano un’altra. “Io andrei con quei due” ha detto Luisa. E lì è cominciato tutto, con qualche sollievo personale, perché per l’epoca e per le mie capacità la Schubert era una via impegnativa».

I tuoi modelli, o riferimenti alpinistici, quali sono stati?«Direi più di ogni altro Lorenzo Massarotto, una fi gura leggendaria, non valorizzata quanto avrebbe meritato. Ho avuto la fortuna di arrampicare con lui, e perfi no di lavorarci assieme: negli anni ’80, in Calabria, ci siamo trovati insieme in un cantiere di disgaggi. C’erano anche Almo Giambisi e Roberto Bassi, un altro grande dimenticato».

A proposito, nei tuoi racconti c’è un Almo Parisi. Casualità?«No, in effetti ci ho inserito dei personaggi che si rifanno a persone conosciute. Il più caratterizzato è il bulgaro Blagoj, un tipo straordinario, che ha lavorato per Giovanni Groaz. Su di lui non ho dovuto fare nessun lavoro: stava lì e io l’ho messo sulla carta senza neppure cambiargli il nome».

Sospetto che tu ti sia rivolto all’alpinismo del futuro perché sul passato è stato scritto quanto basta, mentre il presente si avvita in rincorse d’enfasi che restituiscono sempre lo stesso libro. È così?«La letteratura di montagna ha un peccato originale ben noto: si è sempre rivolta agli addetti ai lavori, non ha saputo aprirsi. Le cronache di Livanos, per esempio, sono ben scritte, e, per un alpinista, assolutamente affascinanti. Ma possono realmente interessare un lettore che non ha mai scalato? C’è stata qualche eccezione, come Frison-Roche. Conservo ancora il suo Primo in cordata, edizione Garzanti, che per me è stato un bildungsroman. Va detto che anche la sf (science fi ction, NdR) ha i suoi problemi».

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testo e foto di

DANIELE NARDI

Daniele Nardi racconta passaggi cruciali di una salita tutta speciale sui giganti dell’India,

lungo quella via Il seme della follia che ha ricevuto il Premio Paolo Consiglio del CAI.

Due settimane di attesa, pioggia, nebbia e freddo. Lo Shivling troneggia sopra di noi, mentre di fronte al campo base di Nandavan, in mezzo alla valle del

ghiacciaio di Gangotri, prende spazio il Kedar Dome con la sua prorompente parete rocciosa. Nell’altra valle invece, quella alle spalle del campo base, sorge

nascosto il Satopanth una vetta di oltre 7000 m, invece sopra le nostre teste appena visibili ci sono i Bhagirathi, il nostro bersaglio.

Soffi ci bianche emozioni sul Bhagirathi

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DANIELE SU UN TRATTO DI NEVE E MISTO, L1 SECONDA SEZIONE (FOTO R. DELLE MONACHE) NELLA PAGINA A FRONTE DANIELE IN AZIONE SU L7 TERZA SEZIONE DOPO IL PRIMO BIVACCO IN PARETE

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l’ennesimo barile di roba per la big wall, la via Impossible star sullo sperone di sinistro della parete ovest del Bhagirathi III. Nebbia e pioggia costanti lasciano che la parete si riveli per una ventina di minuti, quanto basta per capire che per salire su roccia è ancora troppo presto. Ma eccola, bianca, esile, delicata, si rivela come un po’ come un fantasma una linea sottile al centro tra il Bhagirathi III e il IV.Nulla da fare, mi piace la roccia ma non sarò mai un puro rocciatore. Sono un ghiacciatore, un mistarolo e quando vedo linee così parte dentro di me un conto alla rovescia. Anche Roby si illumina. È deciso, fi ntantoché la parete e il tempo non si sistemano, proveremo una salita fulminea su quella linea. Una salita che può essere suddivisa in quattro sezioni più o meno simmetriche per lunghezza, ma molto differenti tra loro per tecnicità. La prima è un pendio di 300 m tra i 50 ed 55 gradi. La seconda si impenna con alcune pance intorno agli 80 gradi, ma con una media di 70/75 gradi, su neve dura che poggia su una parete monolitica di granito. La terza sezione è quella più dura e più verticale. La quarta è costituita da una serie di pendii sommitali con una pendenza media di 65/70 gradi per 250 m circa che escono sulla cresta che collega i Bhagirathi III e IV.

TINTINNII E SCINTILLE NEL BUIO

Eccoci alla base della terza sezione, la più impegnativa. Si potrebbe decidere di affrontarla a sinistra dove una sorta di linea a mezza luna sfi ora il bordo della parete e supera il risalto. Ma guardando con attenzione si nota che è sulla traiettoria di caduta massi e viene letteralmente bombardata. Inoltre la neve è solo appoggiata, soffi ce e non ghiacciata per davvero... anche se la pendenza non è eccessiva e quindi la progressione spedita. Oppure si potrebbe affrontare la pancia granitica semi-scoperta esattamente al centro, dove sembrano correre alcune esili linee di neve. Il che vorrebbe dire ritrovarsi nella roulette russa delle slavine che cadono proprio lì. Non solo, dovremmo essere sicuri di realizzare tiri di 60 metri senza mettere nulla, perché il granito pare liscio e senza fessure e la neve di certo non terrebbe in posizione una vite da ghiaccio. Da sotto tuttavia tutto questo non era proprio visibile. Forse, a malapena, intuibile. Noi scegliamo la parte della parete più strapiombante, più protetta dalle slavine, con una linea di ghiaccio che si incastra in mezzo a diedri e fessure. Dobbiamo comunque attendere l’ora giusta affi nché il Dio del freddo renda la neve salda alla parete. Dopo un paio d’ore di sosta al primo bivacco a 5725 m, appena l’aria rinfresca si parte. Impiego tre ore per un solo maledetto tiro. Due tratti strapiombanti di misto che mi richiedono l’artifi ciale.

TRE MINUTI IN NEVE FRESCA

«Robyyyyy stai bene?» non sento rumori né risposte, tutto tace. Quando sento la corda

tirare, non è uno strattone violento, ma quasi dolce e un po’ nervoso. Immagino la sua stanchezza perché la sento anche sulla mia pelle. Siamo legati alla stessa corda da più di 40 ore, con due bivacchi sulle spalle. Il primo, piuttosto agiato, al Campo 1 a circa 4900 m. L’altro in uno stralcio di 1 metro quadro e mezzo ricavato nel ghiaccio che ha una pendenza di 60 gradi, poco prima del terzo quarto di parete, quello più tosto.Ora vogliamo uscire da questo inferno e lottiamo con tutto quello che ci rimane. Ce l’abbiamo quasi fatta, quando una slavina che dura tre minuti esatti ci investe ancora una volta. Il mio compagno di cordata è lassù, lo sento aggrappato alla vita e sprigiona quella stessa forza sulle piccozze serrate nella neve soffi ce.È contraddittorio pensare di essere aggrappati a un soffi ce manto bianco, ma in questo caso è la nostra unica salvezza. Se Roby potesse credo pianterebbe le picche direttamente all’inferno pur di rimanere attaccato a quel nulla. Sul casco riporta una scritta che ha ricavato tagliando magistralmente con le forbici due “Mo” dagli adesivi di Radio Monte Carlo. MoMo. Sta per Simone, che ha due anni e mezzo e lo sta aspettando a casa. Ogni sera parla pochi minuti con lui: da pochi giorni ha cominciato l’asilo. Le emozioni sono a cascata, su ogni piatto della bilancia ogni volta che sei qui in Himalaya posi qualcosa. Il problema è far si che i piatti siano in equilibrio. Roberto sul caschetto non ha solo MoMo, ha tutta una serie di sponsor appiccicati e poi 20 m di corda lasca sotto i piedi su una pendenza tra i 60 ed i 70 gradi. Neve ed ghiaccio si alternano, ma qui dove ci troviamo gli accumuli di neve dei giorni scorsi e di oggi stesso hanno la meglio. Ecco che ricomincia a salire e io tiro un sospiro di sollievo. Cerco di scrollarmi di dosso la tonnellata di farina che mi ricopre, controllo la sosta e sembra tutto a posto. Mentre venivo travolto dalla cascata bianca avevo la telecamera Philips in mano: l’unico pensiero è stato riprendere ciò che accadeva, pensando «almeno se vengo scaraventato a valle qualcuno un giorno, ritrovandola in mezzo al mucchio di ossa putrefatte, potrà capire quanto mi sento stronzo in questo momento, in quale casino ci siamo fi ccati?».

UNA SOTTILE LINEA BIANCA

Siamo stati in attesa al campo base per ben due settimane in cui a entrambi prudevano le mani. Nonostante il prato accogliente, prosciutto, pecorino e una buona partita a pallone, non ce la facevamo più ad attendere. Avevamo già fatto un giro al Campo 1 a portare

NELLA PAGINA A FRONTE IN ALTO DANIELE CERCA L’USCITA (LA TROVERÀ A SINISTRA) SU L8 TERZA SEZIONE, UN TIRO DIFFICILE SUPERATO IN ARTIFICIALESOTTO MENTRE ROBERTO FA SOSTA A L10, DANIELE SALE L’UNICO TRATTO DI GHIACCIO BUONO (FOTO R. DELLE MONACHE)

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Un masso da un quintale, sollevato dalle camme di un friend piazzate orizzontali, fa fi nta di venirsene giù. Lo fermo appena in tempo perché non ammazzi Roby di sotto in sosta. Riesco con delicatezza a rimontare il masso e a issarmi un po’ più su, sfruttando una fessura sul lato destro del diedro. Ma a questo punto dovevo decidere cosa fare.Esco a sinistra facendo dei numeri da circo per scavallare uno spigolo su neve marcia? Oppure tiro dritto per il dietro e poi rimonto a sinistra da sopra? Vada per la seconda. Riesco quasi a uscire dopo una lotta forsennata di tre ore. Con le punte dei ramponi in una fettuccia faccio per alzarmi ancora una volta lungo la fessurina che taglia il diedro. Metto un chiodo a lama dove si strozza. Mi isso. Collego un rinvio dall’imbrago al chiodo a lama. Diretto, così da essere più stabile e alleggerire il lavoro di Roby. Faccio attenzione a farlo lavorare in rotazione e mi preparo a piantare un’altra lama vicino al bordo superiore del diedro. Stile alpino

IN ALTO UN TRATTO LUNGO IL GIRONE DANTESCO DELLA

DISCESA

QUI SOPRA DANIELE AL PRIMO BIVACCO (5745 M) AL TERMINE DELLA SECONDA SEZIONE (FOTO R. DELLE MONACHE)

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slavina di tre interminabili minuti con cui abbiamo iniziato questo racconto. Si fa notte e Roby caricandosi sulle spalle lo zaino più pesante comincia a tracciare in mezzo a quella follia. Quando ci incrociamo all’ultima vera sosta, capiamo che non si può pensare di bivaccare sul pendio. Bisogna uscirne, contro le slavine, contro il nulla e contro la notte. Decidere la direzione non è facile. Siamo costretti a superare paretine di roccia nascoste dalla neve, a salire dentro i canaletti di scolo delle slavine, perché altrove è praticamente impossibile avanzare. La neve è troppo profonda e la pendenza esagerata. I canali, terreno un po’ più compatto, costringono la nostra traiettoria verso destra. Passo avanti e traccio fi no a pochi metri dalla cresta, quando, in uno sprazzo di visibilità che nebbia, nuvole, neve e notte ci concedono, vedo in basso sulla sinistra il colle che avremmo dovuto raggiungere sotto il Bhagirathi IV. Siamo decisamente più in alto, come era prevedibile. Nuoto letteralmente nella neve, scavando con tutte le forze. Mi viene da vomitare e mi chiedo che cosa il mio stomaco voglia buttar fuori, visto che le provviste sono fi nite da tempo. In realtà non le abbiamo neanche portate, per non correre il rischio di doverle mangiare. Di colpo mancano tre metri alla cresta. Sono i più devastanti della mia vita. Infi lo tutte le braccia nella neve per ancorarmi, spingo sui tricipiti e cerco di sollevarmi. Premo la neve con le ginocchia per compattarla e farmi spazio. Sono in equilibrio precario. Ogni venti centimetri mi fermo a prendere fi ato, ma la cresta è troppo vicina per lasciarsi andare. Il desiderio è forte, fanculo tutto e mi butto di sotto, così la faccio fi nita. Ma che modo è questo di lottare per la vita? Non doveva essere un sogno? Ancora un po’ e… riesco a sedermi a cavalcioni sulla cresta. Urlo subito a Roby «sono fuori, sono fuori». Uno schiaffo di vento e per poco non torno giù di mille metri. Aiuto Roby tirando la corda, visto che ha sulle spalle un dinosauro. Ci vuol poco a capire che di notte non si può continuare così, la cresta è troppo pericolosa in queste condizioni. Sono le 22,00: abbiamo bisogno di dormire e bere qualcosa. Solo allora, mentre faccio pochi metri di cresta a cavalcioni come fanno i bambini con i poni a dondolo, mi rendo conto che non sento più le dita delle mani. «Dobbiamo bivaccare», «va bene». Mi porto sul lato est della cornice, tiro fuori la pala e cominciamo a scavare. Siamo esausti ma è l’unica cosa da fare. Otteniamo tre buchetti: uno per il materiale, uno per Roby e uno per me. Roby continua a sentire un’immaginaria musica rock: continua a chiedermi di spegnere l’iPod che mi ha prestato. Continuo a pensare

signifi ca poco materiale. Non posso scegliere fra un migliaio di chiodi, o di friend, o di dadi. Abbiamo con noi a malapena una mezza serie abbondante di friend, 9 chiodi di cui la metà già fi niti in parete, una scelta di dadi medio piccoli e la mia fortunata serie di dadini e friendini che ho sempre con me... posso affermare di amarli e quando si torcono nelle fessure soffro con loro! In questa salita ne ho dovuti lasciar due in parete e uno mi ha salvato la pelle. Ho appena fi nito di martellare quella lama sul bordo e sto per incastrarla con un moschettone alla vita quando sento quel ti-ttiiingg che mai avrei voluto sentire. Sono le otto di sera: il chiodo a lama a cui sono attaccato con l’imbrago salta via, lasciandomi volteggiare nel vuoto. Mancavano pochi centimetri per agganciare quel moschettone, ero completamente issato e lui fa ti-ttiiinggg. È buio intorno a me e non ho riferimenti. Vedo la scintilla del chiodo che esce dalla fessura. Unica domanda: andrò a schiantarmi sulla cengetta di sotto? Quella che in salita era lo strapiombo dove ho lasciato l’altro dado in alluminio con la fettuccia in dynema blu che mi ha fornito Salewa. Sento l’aria scorrermi intorno. Poi altre scintille, di vari colori, bianche, rosse, blu. Ed eccomi sospeso a mezz’aria, dall’unica corda gialla cui sono davvero legato e che mi ha fermato dolcemente. Già perché due mezze corde sono troppe per una via in velocità e allora ne abbiamo portata una sola, con un cordino in dynema di servizio. «Però queste corde da sole tengono anche i botti! Chissà quante ne sono saltate lassù di protezioni?». In realtà il dado posizionato nella fessura aveva tenuto alla perfezione. Quel dado tanto amato che ormai mi accompagnava dappertutto, aveva tenuto: «porco demonio sei stato fantastico!». Una trentina di metri più in basso una voce «ti sei fatto male?», «no, niente, solo i ramponi hanno grattato i denti», «ho visto scintille dappertutto...».L’idea di continuare non mi dispiace, ma sono troppo stanco e non bevo nulla da stamattina. Decido di risalire per fi ssare la corda e scendere in doppia. Accarezzo il mio dado, faccio un paio di asole. Bestemmio per slegare il nodo in vita stretto a morte dal volo e in piena notte senza luce frontale riesco a metter su discensore e freno: «ehi Roby, ma questo come si insegna in un corso?».

CRESTA E ULTIMO BIVACCO

La quarta sezione come anticipato è costituita da pendii di pendenza media 65/70 gradi che escono sulla cresta tra i due Bhagirathi. Non una semplice cresta, ma una lama di coltello carica della neve dei giorni scorsi, soffi ce e cattiva, che unisce i 6454 m del Bhagirathi III ai 6200 m del Bhagirathi IV. Proprio sui pendii che portano in cresta, ci ha colto la

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che abbia le allucinazioni, ma gli rispondo che l’ho appena fatto. In fondo anche io sogno a occhi aperti un bel pollo alla brace e le fettuccine ai carciofi della mamma. È vero, sono un pessimo cuoco, per fortuna in questa spedizione c’era Roby che invece è piuttosto bravo. Comunque il menu della serata si riduce a un pacchetto di cracker a testa, una barretta energetica a metà e acqua e zucchero! L’altimetro segna 6178 m. La notte è dura e breve: il ghiaccio non ha permesso di scavare molto e la situazione è precaria. Non riesco a togliere gli scarponi per far respirare i piedi, un fatto che mi costerà una bella bollita agli alluci. Con la mattina arriva la consapevolezza che mani e piedi non hanno gradito il freddo. I guanti sono completamente ghiacciati e anche se li riscaldiamo sul fornelletto rimangono bagnati. Non possiamo usare le moffole su questo terreno, troppo tecnico per affi darci a una presa poco precisa. Ci muoviamo appena arriva il sole, che si fa desiderare giocando a nascondino tra le nuvole e negandoci gran parte del suo desiderato calore.

NON RESTA CHE SCENDERE

Il nostro piano è tentare di traversare tutta la cresta e raggiungere la vetta del Bhagirathi IV, da dove sembra facile guadagnare un pendio di neve, per poi scendere sulla dorsale. Bastano pochi metri per rendersi conto che continuare signifi cherebbe suicidarsi. La neve è troppa e troppo soffi ce. Al primo risalto roccioso da aggirare non abbiamo più dubbi: dobbiamo toglierci da questo posto. Prepariamo una doppia e ci buttiamo lungo la parete est, un insieme di risalti verticali e di sfasciume a noi completamente sconosciuto. Ricomincia a nevicare e le manovre non sono semplici. Un pezzo alla volta progrediamo in diagonale verso un nevaio poco più in basso, ma sulla stessa linea che avremmo raggiunto passando per il Bhagirathi IV. Purgatorio Dantesco passato. Quando fi nalmente poso i piedi su un terreno più solido e meno verticale tiro un sospiro di sollievo, ma lo stomaco brontola, la nebbia è fi tta e bassa e non abbiamo nessun punto di riferimento tra sassi, morene e ghiacci completamente ignoti. Continuiamo a vedere tende ovunque, a sentire musica rock e gente che ci chiama. Una tenda sembra più reale delle altre: forse è quella degli olandesi al Satopanth. Corro e urlo. Ma non è altro che l’ennesimo inganno di un sasso e della mente.Rassegnati al fatto di allucinare, continuiamo a circumnavigare la montagna cercando di non scendere troppo in basso. Controlliamo l’altimetro, facciamo il

punto gps e poi l’idea: proviamo a spedirlo a Claudio in Italia. Riceve, controlla la posizione e dopo un’ora richiama e mi dice che siamo sulla strada giusta. Porco demonio tecnologico! Nel frattempo fi nalmente abbiamo riconosciuto la valletta che ci porterà al campo base di Nandavan. Ma si fa di nuovo notte. Io vorrei bivaccare, ma Roby insiste che è meglio arrivare al campo base. Ogni volta che ci fermiamo per riposare ci si chiudono gli occhi.Avanziamo con coraggio e testa perché di tutto il resto è rimasto veramente ben poco. Ginocchia dolenti, mani gonfi e e alluci dei piedi che hanno perso la sensibilità da un pezzo. Poi, di lontano due luci: Liaison Officer (nell’esercito sarebbe l’uffi ciale di collegamento NdR). Ha visto le nostre frontali e ci viene incontro. Ci abbraccia come se avesse rivisto il fantasma della nonna. La radio non funzionava e l’abbiamo lasciata al campo 1, ma avevamo detto che saremmo ridiscesi al massimo a pranzo del giorno dopo.Sono passati 4 giorni.

IN TENDA VERSO IL DOMANIEccoci al campo base. Primo, via gli scarponi. Poi si beve e si mangia qualcosa, anche se lo stomaco è chiuso. Indi svengo letteralmente. Roby mi prende per i piedi, vorrebbe il telefono, ma io non sento più nulla. Verso le 2 però le mani cominciano a svegliarsi e con loro anch’io per il forte dolore.Chiamo a bassa voce il mio compagno, scopro che anche lui non dorme. Ci ritroviamo in tenda mensa a leccarci le ferite e chiamiamo Mimmo, il nostro amico medico, che ci mette in cura a distanza.Poi un fi ume di parole. Non se ne parla di andare a dormire. L’alpinismo, fi losofi a ed emozioni. Un fl ash bianco: tre minuti sotto una slavina… Abbiamo esagerato? Ci siamo divertiti un sacco e riteniamo di esserci sempre sentiti all’altezza della situazione. Però, senza l’esperienza e l’abitudine all’aria degli 8000 m, quest’avventura sarebbe forse risultata ingestibile. Dobbiamo festeggiare: dopo dieci anni, io e Roberto abbiamo realizzato una nuova spedizione insieme. In fondo il giorno della partenza non avevamo aspettative, sembrava più una vacanza che altro. Eppure è proprio così che a volte nascono le cose più belle. Una grande salita, forse la più bella degli ultimi anni, anzi certamente la più bella: un’esperienza straordinaria. Quello che più mi ha colpito è la tranquillità con cui abbiamo preso ogni decisione. Seduto all’ombra dell’albero della follia, sento di essere un po’ più saggio... o forse semplicemente pronto per un’altra avventura. La luce si rispegne alle 5 di mattina e questa volta è sonno vero.

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ROBERTO DELLE MONACHE IN AZIONE SU L6 SECONDA SEZIONE PRIMA DEL BIVACCO B1 (SOPRA A SINISTRA) SU L11 PARTE BASSA DEL SECONDO TRATTO DIFFICILE DELLA TERZA SEZIONE (QUI SOPRA) E SULLO STRAPIOMBO L11 DELLA TERZA SEZIONE, POCO PRIMA DELLA SLAVINA (A SINISTRA)

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Info Utilia cura di Daniele Nardi

L’India dei Bhagirathi

Il Bhagirathi è un imponente massiccio con 3 vette princi-pali BI (6856 m), BII (6512 m) e BIII (6454 m) che si trova nel Garhwal, regione montuosa costituita da una porzione della catena himalayana che sconfi na in India. Il Garhwal si colloca nel nord-est dell’Ut-tarakhand, stato federale in-diano (divenuto autonomo nel 2000 dopo anni di lotte) che confi na a nord-est con il Tibet e ad est con il Nepal.

ARRIVAREDall’Italia abbiamo volato di-rettamente su New Delhi (da Fiumicino) dove si sbrigano le pratiche burocratiche dei per-messi per entrare in Utta-rakhand, che si può raggiun-gere in treno, tramite autobus pubblico o mezzo privato. Le necessità di una spedizione alpinistica ci hanno spinto a prenotare un pulmino privato tramite agenzia che ha per-messo di trasportare con faci-lità tutto il materiale e le per-sone (due alpinisti e una vi-deo-reporter più lo staff in-diano del campo base).

BUROCRAZIAQuestione molto delicata: non sono ammesse né radio, né telefoni satellitari e il lun-go incontro presso l’Indian Mountaineering Federation (IMF) richiede qualche ora e qualche mezza verità. Un lungo documento va com-pilato in tutti i dettagli, speci-ficando ogni genere di at-trezzatura che si porta spedi-zione e a quale scopo verrà utilizzata. Vietati, se non a pagamento, cavalletti di grande formato, nonché tele-camere e macchine fotografi -

misticismo”. Da qui con una tappa di po-che ore si raggiunge Chirba-sa, da cui decidiamo di prose-guire verso Bhojbasa (3790 m). Decidiamo di completare il trekking in soli due giorni, ma prenderci un giorno di ri-poso in più a Gangotri che è un luogo curioso e, con i suoi 3140 m, ci aiuta ad acclima-tarci. Nei market ci sono deci-ne e decine di bottiglie di tutte le fogge: serviranno ai pellegrini degli Yatra, i sen-tieri del pellegrinaggio, per portare via con sé un po’ del-la sacra acqua del fi ume Bha-girathi. Affl uente del Gange, il torrente omonimo della montagna che andremo a scalare sorge dal Ghiacciaio Gangotri. Sul nostro percorso incontriamo tantissimi pelle-grini che volgono il loro pas-so verso Gaumukh, ritenuta la principale delle tre sorgen-ti del Gange. Una sosta in questo luogo sacro ci infon-de le energie per salire sul ghiacciaio e arrivare a Nan-davan. Intorno a noi ci sono le montagne della storia alpi-nistica, Lo Shivling deidicato al Dio Shiva, i Bhagirathi, il Kedar Dome, il Thalay Sagar, il Satopanth, il Kedarnath e tante altre. Anche il campo base diventa una sorte di luogo sacro per noi alpinisti.

ponti che ci permette di rag-giungere l’altra sponda del fiume. Il giorno seguente arriviamo a Uttarkashi dove acquistiamo le ultime verdu-re e ci prepariamo per l’avvi-cinamento a Gangotri. A tratti la strada è interrotta da frane e smottamenti. Sia-mo fortunati perché, dopo soste al più di poche ore, riu-sciamo comunque a prose-guire. In quei momenti tutta-via l’attesa sembra infi nita: alcune esplosioni per liberare la strada, ruspe che lavorano alacremente e sistemano alla meglio la strada perché tutti possano proseguire verso la loro destinazione. Gangotri è villaggio di partenza del trekking in direzione di Nan-davan, l’area dove posizione-remo il campo base. Gangotri è considerato un luogo sacro e di culto dove gli Ashram dei Sadhu più fa-mosi hanno trovato posto e dove sono stati aperti dei ve-ri e proprio “supermarket del

che professionali.

METEOIl clima dell’ Uttarakhand ri-sente dell’infl uenza dei mon-soni. Per quanto riguarda il Garhwal il periodo sconsi-gliato è tra luglio e agosto, ma anche nelle prime due settimane di settembre le piogge posso creare proble-mi. Realtà che abbiamo pro-vato sulla nostra pelle. Per i trekking il periodo con-sigliato è aprile-maggio, l’e-state locale, oppure settem-bre-ottobre, più vicini all’in-verno. Noi abbiamo scelto il mese di settembre, che è sta-to molto piovoso, soprattut-to nelle prime due settima-ne, ma anche in parte soleg-giato: con il passare dei gior-ni il meteo è sempre miglio-rato. Molte tra le migliori scalate in Garhwal sono state compiute nei mesi di mag-gio, settembre e ottobre, comprese quelle di Marko Prezelj ai Bhagirathi e di Conrad Anker alla Shark’s Finn sul Meru Peak.

IL NOSTRO VIAGGIODa New Delhi attraversiamo in più tappe i distretti di Ha-ridwar e Rishikesh, fi no ad arrivare a Uttrakashi. Il viag-gio può essere diviso in tap-pe a seconda delle esigenze turistiche. Noi decidiamo di fermarci a Rishikesh per ve-dere la Aarti, una manifesta-zione religiosa, e visitare gli Ashram dove i Beatles rise-dettero nel 1968. Un luogo che diventa incantevole al calar della sera: il Gange im-petuoso con il suo vorticare incute timore mentre lo at-traversiamo su uno dei due

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LE TRE VIE APERTE SUL BHAGIRATHI NEL 2009 DA MARKO PREZELJ, ROK BLAGUS E LUKA LINDIC. AL CENTRO LA SALITA DI 1000 M, COMPLETATA IN GIORNATA E QUOTATA D+, SULLA SINISTRA DEL VERSANTE OVEST DEL BHAGIRATHI IV (6193 M). A SINISTRA LA LINEA LUNGO LA PARETE SUD OVEST DEL BHAGIRATHI III (6454 M) TRA IL PILASTRO DEGLI SCOZZESI (1982) E LA VIA DEI CECHI (1993): 1300 M DI ED (6B, M5, WI5) PORTATI A TERMINE CON UN BIVACCO. A DESTRA, IN UN CRESCENDO DI DIFFICOLTÀ IL DURISSIMO ITINERARIO SUL BHAGIRATHI II (6512 M): 1300 M DI ED+/ABO (6B+, M8, WI6+) (FOTO M. PREZELJ)SOTTO DUE PUNTI DI VISTA DELLA LINEA IL SEME DELLA FOLLIA DI DANIELE E ROBERTO: 1250 M ED (A2+, M6/M7, WI5+). A DESTRA MARKO PREZELJ (FOTO M. FERRIGATO)

Un ringraziamento per il sostegno al Centro Preparatorio Olimpico del CONI CPO di Formia (Direttore Nicola Perrone, Antonio Abbruzzese, Alessio Di Florio, Manuela Vellecco) e un grazie ad Antonietta Martino campionessa olimpica per i suoi consigli.

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Com’è nata la vostra passione per l’alpinismo?DN > Ricordo due momenti che hanno fatto scattare la scintilla: una conferenza di Lacedelli e Compagnoni e una dimostrazione del soccorso alpino. Perché camminare in montagna, quando loro potevano scalare? Mi pareva più divertente, così ho deciso di provare a partire dalle montagne vicino a casa (l’Appennino, NdR). Ho cominciato con mezzi rudimentali, senza dir nulla a nessuno e correndo non pochi rischi: non conoscevo nodi e imbraghi, improvvisavo guardando le foto su Alp.

MP > È la curiosità che mi ha portato all’alpinismo. Andavo spesso in montagna con mio padre e un giorno siamo dovuti tornare sui nostri passi per la nebbia: non eravamo sicuri del percorso. Ma ho sentito alcuni alpinisti procedere molto più in alto: erano più esperti di noi. Lì ho capito che per divertirmi davvero in montagna avrei dovuto imparare, far mie tante competenze differenti. Diventare una guida alpina è stata la più logica evoluzione di questo desiderio.

Sono davvero in pochi a essersi avventurati sui Bhagirati, oltre a Daniele Nardi dell’Alpine Extreme Team di Salewa,

non si può dimenticare la spedizione del 2009 di uno degli alpinisti più forti del mondo, lo sloveno Marko Prezelj. Classe 1965, laureato in ingegneria chimica e

guida alpina, è l’unico ad aver vinto due Piolet d’Or, quello d’esordio nel 1992 con Andrej Štremfelj

per la nuova via aperta in stile alpino sul Kangchenjunga South (8476 m)

e il secondo nel 2007con Boris Loren?i?,

per la prima salita del pilone nord-ovest

del Chomo Lhari (7326 m)

Abbiamo approfi ttato dell’occasione per porre a

entrambi, in parallelo, qualche breve domanda.

Due parole sull’esperienza Bhagirathi?DN > Fantastica. Già alla partenza ne sentivamo l’energia nell’aria. Un’intesa perfetta con il mio compagno di cordata. Nessuno si è mai tirato indietro quando serviva qualcosa. È un po’ come quando ti accorgi lentamente della forza nella marea, arriva semplicemente ed è dirompente. Ed è quest’energia che ci ha permesso di superare i due momenti diffi cili della caduta e della slavina che racconto su questo numero di Alp.

MP > La spedizione Bhagirathi è stata una classica esperienza “onsight”. Saremmo dovuti andare altrove (al Rimo nel Karakorum pakistano, NdR), ma abbiamo dovuto cambiare programma tre settimane prima della partenza perché ci hanno negato il visto. Non avevamo grandi aspettative ed è stata questa la chiave per un approccio rilassato. La prima settimana al campo base, il che davvero azzerò le aspettative. Stiamo stati costretti a scoprire la montagna step by step e ha funzionato perfettamente.

DANIELE NARDI ITALIA 1976

DN

INTERVISTA

QUI SOPRA IL TRATTO DI AVVICINAMENTO ALLA VIA DI NARDI E DELLE MONACHE

NELLA PAGINA A FRONTE MARKO PREZELJ FOTOGRAFA I COMPAGNI DI CORDATA SUL PENDIO DEL BHAGIRATHI II NELLA SPEDIZIONE DEL 2009 (FOTO M. PREZELJ)

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93PAG. / 282

Quanto conta lo stile? DN > Per me lo stile è tutto, ma questo non signifi ca che io sia categorico. Ho scalato 8000 per vie normali e usando corde fi sse. Ho scalato vie nuove in puro stile alpino. Prima mi piaceva il gioco dell’aria sottilissima e scoprire me stesso in quell’ambiente estremo. Oggi mi diverte di più scalare su vie inesplorate e quindi scoprire un altro mondo. La natura è avventura dentro e fuori, dobbiamo solo trovare quella che ci piace di più. Cerco e, prima o poi, trovo.

MP > In alpinismo lo stile è tutto. Senza stile non possiamo scalare nulla. Le esperienze ricche richiedono stile semplice: un fatto noto ben prima che qualcuno iniziasse a scalare montagne.

Sogni nel cassetto da svelare? DN > Due, grandi e senza segreti: una via nuova sul Kangchenjunga e il Masherbrum (anche noto come K1, NdR) sul lato del ghiacciaio Baltoro. Ma non si può mai sapere, ci sono così

MARKO PRAZELJSLOVENIA

1965 MP

tante montagne nel mondo che, da un lato, non vale la pena farsi il sangue amaro per una scalata andata male o per un’idea tua realizzata da altri, dall’altro, ogni situazione è anche un’opportunità. Nel 2010 in Charakusa Valley volevamo scalare una parete del K7 west, un big wall. Quando siamo arrivati due Russi la stavano scalando già da una settimana, ci siamo guardati intorno e abbiamo aperto una nuova via sul Farol West. L’anno scorso volevo andare sul Saser Kangri II: è stato scalato da Richey-Swenson-Fredrick che hanno vinto il Piolet D’Or, così ho cambiato programma e abbiamo aperto Il seme della follia sui Bhagirathi.

MP > Non ho particolari sogni segreti. Ho così tante idee e progetti che sarei felice se fossi capace di realizzarne anche solo una piccola parte. Questa vita eterna è breve, e interessante.

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Progettata per resistere a qualsiasi condizione atmosferica, questa linea è perfetta per le salite più estreme, ma anche per gli appassionati di outdoor che vogliono affrontare il cattivo tempo senza rischi. Ecco le tre proposte, robuste e resistenti alle abrasioni, grazie al tessuto in nylon doppio ristop e duplice rivestimento in poliuretano. Waterproof Duffel è un capiente borsone ermetico per il trasporto con fango o pioggia. Le cuciture saldate con tecnologia a radiofrequenza e le cerniere impermeabili Tizip® WaterSeal danno protezione totale contro l’umidità. Ideale per il trasporto comodo e sicuro dell’attrezzatura, ha maniglie imbottite,

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JACK WOLFSKINAll Terrain Hi Texapore WomenCalzatura ideale per lunghi trekking su terreni diffi cili e con ogni condizione atmosferica. Tomaia in pelle scamosciata e tessuto robusto, impermeabile e traspirante grazie alla membrana in Texapore O3. Fodera in poliestere traspirante e ad asciugatura rapida. Il collarino alto sostiene la caviglia conferendo stabilità alla camminata. Suola Vibram® Mountain Trek robusta e leggera, con ottima ammortizzazione e grip eccellente.Peso: 1140 g (per paio mis. 6)www.jack-wolfskin.com

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Direttore responsabile Giorgio Vivalda

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RubricheVeronica Balocco (spedizioni)

Paolo Campagnoli (splendida giornata)Maurizio De Matteis

Marziano Di Maio (montagna viva)Giuseppe Garimoldi

(i classici di Alp - fotografia)Renata Germanet (libri)

Paolo Gugliermina (dr Alp)Daniele Jalla (i classici di Alp)

Hanno collaborato a questo numero:

Arch. BoccalatteArch. Giordani

Arch. Messner Mountain Museum

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ALP maggio 2012

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ALP 282

Arch. Trento FilmfestivalFelice Brambilla

Giampaolo CalzàDavide Carrari

Roberto Delle MonacheMarco Destefanis

Cristian FalconeManuel Ferrigato

Barbara GoioAlessandro Lasagno

Walter LeonardiDaniele Lira

Daniele NardiLuigi Ocaserio

Dino PanatoAlessio PetrelliMarko Prezelj

Maurizio PuatoChristian Roccati

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Daniela ZangrandoRoberto Zannini

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96 ALP 282 Abbonamento.qxp 20-06-2012 15:07 Pagina 96

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Horace Benedict de SaussureLA SCOPERTA

DEL MONTE BIANCO1760: deciso a calcolare l’altitudine del Monte Bianco, il naturalista svizzero Horace Benedict de Saussurre, promette una ricompensa a chi per primo troverà la via per raggiungere la cima. L’8 agosto 1786 Jacques Balmat e Michel Gabriel Paccard di Chamonix riescono ad individuare la via e raggiungere la vetta più alta d’Europa: è la nascita dell’alpinismo.

Edward WymperLA SALITA

DEL CERVINO1865: dopo anni di tentativi, l’inglese Edward Whimper partito da Zermatt individua lungo la cresta dell’Hörnli la via per raggiungere la vetta del Cervino.Un’impresa ardua e combattuta, resa ancor più avvicente dalla competizione con il valdostano Jean Antoine Carrel impegnato nelle stesse ore a raggiungere la cima per la via italiana.

Henriette d’AngevilleLA MIA SCALATA

AL MONTE BIANCO1838: una nobildonna francese colta e indipendente, Henriette d’Angeville, decide di raggiungere la vetta più alta d’Europa contro il parere delle amiche inorridite. Ordina alla sarta uno speciale vestito imbottito, ingaggia una squadra di portatori e diventa per tutti la “fi danzata del Monte Bianco”. Un diario d’ascensione, venato di humor, in cui brillano idee e emozioni al femminile.

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