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Questo ebook è distribuito sotto una licenza semplice e chiara grazie a Creative Commons. Potete condividerlo liberamente, ma senza scopi commerciali e senza modificarlo. (CC BY-NC-ND 3.0 IT)

Back to the Future44 idee per la nuova normalità

La bellissima illustrazione in copertina è di Francesco Poroli. È nato e vive a Milano. Da qualche anno disegna per riviste, aziende, pubblicità: in pratica, per chiunque glielo chieda. Oltre a questo, è autore (di un libro su Kobe Bryant), direttore artistico (di Illustri Festival) e papà (di Riccardo e Beatrice). In Rete lo trovate, più o meno dappertutto, così: @francescoporoli

Finito di confezionare con amore da Be Unsocial il 12 aprile 2020

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Ritorno al futuro è la storia di Marty McFly, un adolescente che viaggia nel tempo a bordo di una DeLorean modificata. L’ha costruita il suo amico Doc, uno scienziato visionario, e funziona così: se la si fa correre sull’asfalto a 88 miglia orarie, si trasforma in una macchina del tempo.

Al termine del film, Doc lo fa salire sulla DeLorean e gli annuncia che andranno nel futuro. Marty guarda davanti a sé, preoccupato: non c’è abbastanza strada per raggiungere la fatidica soglia delle 88 miglia. Doc sorride, con un movimento dello sterzo solleva l’auto in aria e gli risponde: “Strade? Dove andiamo noi non servono strade!”. E volano via, dritti e leggeri verso il futuro.

A inizio aprile ci siamo chiesti: come sarà il nostro ritorno al futuro, come sarà la nuova normalità? Non lo sappiamo, possiamo solo intuirlo, fare ipotesi, ma una cosa ci è chiara: non sarà come il presente. Le strade che conosciamo, e i mezzi che abbiamo costruito per percorrerle, lì non ci saranno.

Per immaginarle, quelle strade, abbiamo girato la domanda a umanisti, narratori, giornalisti, docenti ed esperti di comunicazione che stimiamo. Il risultato è sotto le vostre dita: 44 idee e chiavi di lettura per prepararci al post Coronavirus.

Grazie autori, per le vostre parole e storie preziose. Grazie Francesco, cuore e mano della copertina. E grazie amici lettori. Questo è il nostro regalo per voi.

Be Unsocial

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06 07 08 09 10 11 12 13

Accettare il caos — Alessandro Garofalo I giorni migliori della nostra vita — Andrea Natella Tutto cambia, niente cambia — Gaia Passamonti Prove di futuro — Paola Borrione È l'ora delle città circolari — Maurizio Carta Benvenuta vulnerabilità — Raffaele Boiano Dichiarazione di indipendenza da internet — Valerio Bassan Post sbronza da celebrity culture — Timothy Small

14 15 16 17 18 19 20

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Conservare la centralità delle parole — Vera Gheno Siamo testimoni del nostro futuro — Lea Iandiorio Più di prima — Hamilton Santià La rosa sentinella — Alberto Albertini Tutto passa — Luca Iaccarino La fisicità dei musei — Valentina Manganaro Educazione alla morte — Davide Sisto

Come gli animali — Flavio Stroppini Rivendicazioni e balconi — Michela Locati Al luna park della tecnologia — Annalisa D’Errico Mens sana — Domitilla Pirro Porte aperte — Jacopo Franchi Un minuto a mezzanotte — Gloria Puppi La narrativa del virus — Alice Siracusano

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Niente sarà più come prima!!1!1! — Paolo Borraccetti Ode all’indipendenza dall’ambito — Mafe De Baggis Virus is punk — Livio Milanesio Che storie scriveremo — Alessio Cuffaro Media virus — Simone Arcagni Convivere con l’incertezza — Bruno Mastroianni Come biglie nell’aria — Leonardo Staglianò E dopo, chissà — Paolo Iabichino

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Il migliore dei momenti — Giuseppe Mazza Il tempo nuovo dei contenuti — Michele Boroni Meno ricchi, più pazienti — Cristiano Carriero Esploratori digitali — Andrea Morbio La stagione 2020 — Agnese Vellar O cambiamo o ci estinguiamo — Alessio Romano Convivo ergo sum — Cristina Cassese

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Un paio di occhiali — Nicole Romanelli Ho scoperto di non essere necessario — Dino Amenduni Cambiare i comportamenti individuali — Alessandro Avataneo Un gradito ritorno alla lentezza — Francesco Gavatorta Il lievito della consapevolezza — Alessandra Chiappori Pensare al futuro sarà un metodo — Enrico Ratto La cartografia diventerà irrinunciabile — Ferdinando Morgana

42 43 44 45 46 47 48 49

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Alessandro Garofalo Fisico, titolare di Garofalo & Idee Associate, si occupa da 30 anni di ideare e sviluppare

nuovi prodotti e servizi. garofalo.it

Vivremo convivendo con la complessità, l’interconnessione, l’imprevedibilità e la volatilità. Tutto ciò ormai farà parte del nostro linguaggio comune. Dovremo imparare a gestire situazioni complicate, caotiche e complesse.

Come?

Non da fragili, cioè quando non tolleriamo le sollecitazioni dell’ambiente, e quindi se sottoposti a uno stress o a traumi, ci sgretoliamo.

Non da robusti, cioè quando siamo in grado di sopportare uno stress o traumi intensi e possiamo continuare a svolgere la nostra funzione.

Ma da antifragili*: miglioriamo quando veniamo sollecitati.

Rassegnamoci a convivere con l'incertezza, facendo scelte di agilità anche emotiva.

*NeologismodiN.N.Taleb

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Accettare il caos

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Andrea Natella È sociologo, pubblicitario, design fiction artist.

Insegna guerriglia marketing allo IED e (forse) alla Scuola Holden.

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Avevamo delegato alle serie televisive la possibilità di immaginare un altro modello di convivenza sociale. I funzionari della realtà spiegavano che ogni alternativa era impraticabile.

Poi, nel giro di pochi giorni, sono arrivate le nuove regole. Una diversa disposizione degli organi interni della società. Era meno doloroso di quanto pensassimo.

Lo spazio si restringeva e il tempo accelerava. Geopolitica, economia, diseguaglianze, spazio esterno e spazio interno, i nostri corpi. Tutto poteva cambiare in ogni direzione. Per questo oggi non possiamo fare a meno di raccontarlo a chi non c'era.

In quelle giornate anguste avevamo tutto il futuro che volevamo. Anche se non è stato un periodo facile, e nonostante quello che è successo dopo, sono stati i giorni migliori della nostra vita.

I giorni migliori della nostra vita

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Gaia Passamonti Umanista, migrante digitale, lettrice

di fantascienza, studia progetti di comunicazione per esseri umani

nella sua agenzia Pensiero visibile.

È come quando in Interstellar Matthew McConaughey deve salire su un’astronave che ruota vorticosamente, e nel momento in cui si allinea con la rotazione questa sembra annullarsi.

La mia sensazione in questi giorni è questa, un ruotare vorticoso in cui le cose essenziali sono ferme. Un cambiare tutto in cui in realtà non cambia niente, non i fondamentali almeno.

Per chi come me umanista lo è da sempre, da sempre non c’è altro modo di fare comunicazione, ma forse nemmeno di vivere, che quello in cui l’essere umano è l’unico riferimento di senso, e da lì tutto il resto segue.

Quello che cambia ora - e spero sarà un cambiamento duraturo - è la rotazione tutto intorno per cui questa evidenza è diventata chiara, e la speranza che chi deve comunicare si lasci guidare in questo mondo nuovo, che è sempre stato lì.

Tutto cambia, niente cambia

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Paola Borrione Head of Research di Fondazione Santagata per

l'Economia della Cultura. Si occupa di economia della cultura e nuove tecnologie.

www.fondazionesantagata.it

Quale ruolo il mondo della cultura riuscirà ad avere nel ricucire il profondo iato che si è creato nella società italiana? Tra chi ha vissuto questa emergenza come una pausa dalla vita frenetica, pur con le difficoltà organizzative legate alla compresenza di lavoro a distanza e cura dei figli o delle persone più fragili, e chi invece ha perso una persona cara senza poterla salutare, chi ha lavorato senza sosta e scarsi mezzi negli ospedali, chi ha vissuto l’emergenza nei territori più colpiti. Abbiamo tutti vissuto realtà differenti, ricomporle sarà necessario e la cultura avrà un ruolo importante in questo.

E dove iniziare per ricostruire un futuro nel mondo culturale? Ritengo che le organizzazioni che hanno obiettivi di largo respiro e valori profondi sapranno rispondere ai cambiamenti con nuovi strumenti, mezzi, canali. Alcune realtà hanno mostrato già nell’emergenza di avere una visione di futuro. A Torino ne sono un esempio, fra tanti, le OGR che ospiteranno una struttura sanitaria temporanea, la sartoria del Teatro Regio che fabbrica mascherine o anche Maiuetical Labs, che ha aperto gratuitamente le proprie piattaforme per la didattica a distanza, per le scuole delle regioni più colpite. Un cambiamento di strade, per raggiungere i propri obiettivi.

Prove di futuro

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Maurizio Carta Professore ordinario di urbanistica all’UniPA.

Dirige l’Augmented City Lab dedicato alle città del futuro prossimo. Il suo ultimo libro è Futuro. Politiche per un diverso presente (Rubbettino).

Dobbiamo cambiare il nostro modo di abitare il pianeta. L’urbanistica postpandemica dovrà ripensare le città come ecosistemi circolari non dissipatori, tornando in omeostasi con il pianeta. Per l’Italia è un recupero della sua migliore tradizione urbana, fatta di città più compatte ma porose, sostenibili ma creative e che dialoghino con rispetto con la natura. Città che vivano come le barriere coralline, dove persone, acqua, cibo, energia, natura cooperino in maniera circolare senza scarti e rifiuti.

Anche i luoghi di vita cambieranno, diventando più ibridi per accogliere la società circolare: case, ospedali, uffici, piazze, parchi, teatri, librerie, musei interpreteranno più ruoli in una nuova e più complessa sceneggiatura urbana. Insomma, dobbiamo entrare nel Neoantropocene!

È l’ora delle città circolari

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Raffaele Boiano CEO di Fifth Beat e docente di UX Design in Politecnico a Milano. È stato mentor di Gaza

Sky Geeks. Ama il rugby e i job title buffi.

È consolatorio pensare al Covid-19 come a una parentesi, piena di parole tecniche e scientifiche, di dati raccolti in maniera difforme e rappresentati nella liturgia quotidiana della curva. Come se fosse possibile distinguere tra sistema tecnologico, scientifico, economico e sociale. E il sociale è tessuto nelle relazioni di affetto o fiducia.

La fiducia è centrata sulla credibilità: competenza (conoscere il dominio in cui si opera), onestà (saper riconoscere un errore) e affidabilità (mantenere le promesse). La credibilità è legata al sapersi mostrare vulnerabili: ti credo se riconosci gli errori e non nascondi i tuoi limiti. Essere credibili e farsi carico di esigenze emergenti sono principi imprescindibili per chi vuole innovare attraverso l’human centered design.

Benvenuta vulnerabilità

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Valerio Bassan Lavora come digital strategist in

ambito media, tra gli altri per Il Sole 24 Ore, Forbes e Vice.

Ha una newsletter, Ellissi.

L’emergenza ci ha insegnato che internet è la nostra safety net: il fluido che permette di collegare le terre emerse delle nostre relazioni, preservando lavoro, affetti, salute fisica e mentale. Arcipelaghi che possono esistere e funzionare solo in relazione tra loro, soprattutto in condizioni estreme.

Ricordiamoci però che tutto questo è impossibile senza un internet libero, plurale, empatico. La nostra presunta ‘dipendenza’ da internet è, in realtà, un’interdipendenza: noi dipendiamo da internet, internet dipende da noi.

La rete è una casa fragile, instabile, che non possiamo dare per scontata. E allora, una volta fuori, ricordiamoci di proteggerla. Costruiamo arene, non piramidi; più sharing network, meno social network; resistiamo a chi prova a incanalare una forza che, per definizione, è fluida.

Perché anche per superare la prossima crisi avremo bisogno di internet.

Dichiarazione di interdipendenza

da internet

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Timothy Small È un direttore creativo, giornalista e film-maker.

Ha diretto, fondato o co-fondato riviste come Esquire, Vice, Prismo, il Tascabile e l’Ultimo Uomo.

Nessuno guarderà più X-Factor, perché nessuno vorrà più parteciparvici. Non esisteranno più concetti come il "lusso" e niente sarà più "aspirational"; non avendo più un lifestyle desiderabile da vendere, spariranno anche gli influencer. I ricchi si vergogneranno di esserlo e le uniche persone famose saranno quelle capaci di farci ridere da un balcone.

Aspetteremo quell’ora di luce del sole dalla finestra della cucina come prima aspettavamo la nuova, imperdibile serie tv.

Ci sarà un boom nel mercato delle pantofole e una crisi nel mercato delle scarpe. Non ce ne fregherà più niente di cosa indossavano le celebrità a una festa in una villa, perché il solo vedere una foto di una villa ci farà venir voglia di raderla al suolo, di sciogliere tutte le statue d’oro al suo interno per ricavarci strumenti utili per la sopravvivenza, come tazze, brocche, accette.

Leggeremo solo poesie.

Post sbronza da celebrity culture

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Vera Gheno Sociolinguista e traduttrice, dopo vent’anni

alla Crusca oggi è con Zanichelli. Insegna all’Università di Firenze e alla LUMSA a Roma.

Di punto in bianco ci siamo ritrovati a comunicare quasi solo in forma mediata. Le parole denudate, private dell’ausilio di corpo, voce, espressioni, gestualità sono diventate più pesanti. Siamo stati costretti a confrontarci con la loro fraintendibilità, incontrollabilità e longevità. Oggi tutti, non solo i “professionisti della parola”, devono prestare più attenzione alle parole: da come le usiamo dipende molto più di prima. Ci abbiamo messo tanto ad arrivare a questa consapevolezza che sarebbe un peccato perderla a fine emergenza. Quando la comunicazione riconquisterà il dominio dei nostri corpi, auspico che rimanga in tutti noi la coscienza dell’importanza dell’uso consapevole delle parole; non giuste a priori, ma in base al contesto, agli interlocutori e alle nostre intenzioni.

Conservare la centralità delle parole

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Lea Iandiorio È una project manager. Si occupa

di povertà educativa e promozione della lettura. Ha fondato exlibris20.it.

È vicepresidente di Rete al femminile.

Se non ci fossero persone ricoverate e bollettini quotidiani su morti e nuovi contagiati, sembrerebbe di vivere un’enorme prova generale di quello che potrebbe essere la nostra vita (riduzione dell’inquinamento, tecnologia digitale al servizio dell’educazione, maker che producono beni essenziali con stampanti 3D, sviluppo dell’economia di quartiere, lavoro flessibile). Per quanto si possa essere visionari non è possibile sapere come andrà la “prima” quando il sipario si alzerà. Ognuno di noi può però provare a essere autore o testimone di un esperimento riuscito in questa prova generale. Io ad esempio penso che sia possibile la costruzione di reti territoriali che mettano insieme il mondo profit e non profit per affrontare i reali bisogni della comunità; oppure che il nostro Paese possa mettere tra le priorità il contrasto alla povertà educativa investendo nello sviluppo delle competenze trasversali.

Siamo testimoni del nostro futuro

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Hamilton Santià È scrittore e giornalista. Scrive di cultura e

politica su Esquire e cheFare, collabora come consulente di comunicazione con varie aziende.

Il mondo della cultura uscirà devastato da questa pandemia. Chissà fino a quando non ci si sentirà sicuri di affrontare eventi con migliaia di persone. Questi giorni hanno però fatto emergere la forza inedita della comunità. Sembra ci sia più attenzione e cura, si sia ritrovata una sincera spinta alla solidarietà (supportando progetti e generando tantissimi contenuti di qualità). Ci siamo ricordati che c’è un modo di fare diverso dall’egolatria social e forse abbiamo capito meglio di molti programmi politici cosa voglia dire “cultura diffusa”. Usciti da qui dovremo prendere questo urgente bisogno di comunità e renderlo ‘fisico’ nelle strade delle nostre città, sommergendole di cultura più di prima: non accontentandosi di risultati facili ma cercando di raccontare la tensione al futuro senza preoccuparsi di ‘costruirlo’ a tutti i costi.

Più di prima

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Quanti incontri, riunioni e viaggi di lavoro potevamo risparmiarci? La Lombardia, con tre aeroporti e 48 milioni di passeggeri, e le aziende che esportano, è stata la "rosa sentinella" dell'Italia, quella che si mette alla testa di un filare nei vitigni, la prima a essere colpita dai parassiti. Torneremo a pensare le aziende e il mondo come facevano i nostri nonni: un ecosistema che include il territorio, le risorse e le persone. Anziché rendimenti e fatturati "a due cifre percentuale", derivati sintetici e scommesse, avremo rese conseguenze di sacrificio e lavoro.

E quanti viaggi di piacere senza una vera trasformazione? Tanti Remo e Augusta del film Le vacanze Intelligenti. Anni fa mi ero vantato di una "gita" a Londra in giornata, una mostra di Lucian Freud e un caffè alla Tate Modern. Un viaggio costato pochi euro. A me. E al pianeta terra? Capriccio, vanità. Hybris direbbero i Greci, il peccato più nefasto, contro gli Dei, la natura. Infatti: siamo stati puniti da un pipistrello al quale avevamo sottratto spazio. Il vampiro non è un essere chimerico. Siamo noi uomini.

Alberto Albertini Laureato in filologia moderna, manager in

un’azienda quotata, giornalista, docente universitario, direttore artistico del festival Rinascimento Culturale,

è in libreria con La classe avversa (Hacca).

La rosa sentinella

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Luca Iaccarino Viaggia, mangia e scrive per La Repubblica

ed è food editor di EDT.

Passerà.

E torneremo a viaggiare, far festa, andare ai concerti, baciarci, condividere la tavola (quasi) come prima. So che passerà perché c’è già successo. Allora il nemico invisibile era il terrorismo. Ricordate dopo l’11 settembre. Dopo Madrid. Dopo Londra. Dopo il Bataclan.

Tutte le volte all’inizio è stato panico. Poi paralisi. Poi regole.

Quindi l’esistenza che riparte con nuove consuetudini, prima lentamente, poi accelera, quindi raggiunge una nuova normalità. Ci siamo abituati ai metal detector e alle code agli eventi, ma siamo tornati a ballare e tifare. Succederà anche questa volta. Quella con il distanziamento sociale non è vita.

E la vita trova sempre una via.

Tutto passa

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Valentina Manganaro È storica dell’arte e docente alla Scuola Holden.

Il suo progetto @parlar_figurato mira a comunicare l’arte in modo efficace.

valentinamanganaro.com

La chiusura dei nostri musei, che appariva come un duro colpo (al cuore e) alla cultura, si è rivelata una grande occasione di rinascita. Riscattandosi dal pregiudizio di luoghi stantii, i musei si sono riscoperti sui social come spazi di intrattenimento e gioco attraverso focus, challenge, quiz, web series e lab didattici. Questo grazie a chi di solito sta dietro le quinte museali. Ecco la grande rivoluzione: gli addetti ai lavori non sono più distanti, ma hanno messo la faccia e la loro professionalità in primo piano (letteralmente) per noi. Alla riapertura i musei avranno un volto nuovo, più umano, diventeranno luoghi familiari, dove si andrà a incontrare amici in carne e ossa, che in un momento difficile si sono spesi per la nostra serenità quotidiana. E questo non può essere che un fantastico inizio.

La fisicità dei musei

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Davide Sisto È un tanatologo e un assegnista di ricerca in

Filosofia all’Università di Torino. Ha introdotto in Italia il tema della Digital Death.

Il mondo post-Coronavirus necessiterà di una capillare diffusione della Death Education nello spazio pubblico, di modo da imparare a rapportarci con maggiore razionalità alla consapevolezza della nostra fragilità esistenziale. In particolare, sarà opportuno comprendere l’utilità delle tecnologie digitali per affrontare qualsivoglia situazione emergenziale che implichi la mancanza dei corpi. Dotare gli ospedali di un numero sostanzioso di tablet significa permettere ai malati di avere i propri cari sempre con sé. Capire l’importanza dei riti funebri in streaming significa sopperire alle assenze fisiche obbligate tramite soluzioni tecnologiche che limitino l’angoscia derivante dal rito non celebrato. Le identità digitali arrivano dove quelle fisiche non possono andare: capirlo, quando è in gioco la morte, è divenuto fondamentale.

Educazione alla morte

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Flavio Stroppini Ha pubblicato in prosa e poesia.

Autore e regista teatrale e della fiction radiofonica per la Radio Svizzera.

flaviostroppini.com

La quarantena non ci ha reso uomini migliori. Ci siamo adeguati, come fanno gli animali. Mezza umanità chiusa in casa. Le autostrade utilizzate dai cervi. Le tartarughe marine sono tornate a nidificare indisturbate in spiaggia. Le trote si beano dell’assenza della pesca intensiva. Le lepri si riprendono i parchi. C’è chi l’ha chiamata resilienza e chi ha cercato colpevoli. Conoscevamo un mondo fatto di pretese di oggettività. Domande come slogan, risposte pronte e conclusive. Niente spazio per l’incertezza.

Oggi è chiara l’inutilità delle frontiere. Siamo consapevoli di non essere padroni del mondo. Siamo manichei, avremo il mondo che scegliamo. In Portogallo, per garantire le cure, hanno concesso il permesso di soggiorno agli immigrati che ne hanno fatto richiesta. È un futuro.

Come gli animali

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Michela Locati 33 anni, creative strategist e attivista, co-founder

di TAC, Training Academy for Changemakers.

Quando ho visto i balconi ornarsi di arcobaleni irregolari e pieni di ditate mi sono commossa. Ora penso che dovremmo accompagnarli con un desiderio di riscatto: è il momento di smettere di applaudire i medici e iniziare a fischiare chi non li sta tutelando, per incapacità di cambiamento. Perché in altri paesi la mortalità è più bassa e le conseguenze economiche saranno minori? Perché alcuni gestiscono meglio le cose? Non è scritto che debba essere così.

Attivisti comunicatori e innovatori sono chiamati a ispirare i nuovi canti delle 18, ora che ci sono molte più voci nell’aria. Siamo tutti nella stessa tempesta e abbiamo i nostri balconi da cui chiedere e proporre soluzioni, che non ci portino a dover scegliere tra stare male ora e stare male dopo.

Andrà tutto bene se lo faremo andare bene.

Rivendicazioni e balconi

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Annalisa D’Errico Giornalista, comunicatrice istituzionale e autrice

di Figli Virtuali. Percorso educativo alla tutela e alla complicità nella famiglia digitale (Erickson).

Questo maledetto virus che è piombato tra noi è come uno specchio. Di quelli che sembrano deformarci, di quelli con cui giocavamo al luna park. Specchiandoci rivediamo un'immagine di noi distorta, polarizzata. Siamo sempre noi? Il nostro modo di essere, lavorare, comunicare, scrivere, leggere è cambiato? Ci riconosciamo ancora negli atti che compiamo?

L'aver espanso - nelle nostre vite - l'uso di tecnologia a livelli fino a oggi impensabili (in un lasso di tempo così fulmineo) se da un lato può apparire consolatorio perché simula atti già compiuti, dall'altro disorienta. Soprattutto chi allo specchio non si era osservato davvero neanche prima. Occorrerà elaborare questa esperienza. Dovremo ripercorrerla, per ritrovarci sia come individui che nelle relazioni. Quello che faremo dipenderà dall'immagine che lo specchio avrà restituito a ognuno di noi.

Al luna park della tecnologia

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Domitilla Pirro Pubblicista, dirige Fronte del Borgo alla Scuola Holden.

Con Francesco Gallo fa Merende Selvagge. Con effequ ha pubblicato Chilografia.

domitillapirro.com

C. è una suora. Ha un sorriso che le converte, è il caso di dirlo, la faccia in pasta di pane. Dirige una primaria bloccata dal Coronacoso, come tutto, e non sa come supportare gli studenti caduti nel digital divide. Ma ci prova.

S. fa il medico. È diventata sindacalista da poco: qualcuno doveva pur frapporsi tra i colleghi sfruttati come pedine d’emergenza e l’assenza di DPI.

G. insegna alle medie. Testimonia la dispercezione della didattica a distanza tra i colleghi e ipotizza un crossover sanità-istruzione: «Servirebbe un giuramento di Ippocrate anche per il corpo docenti italiano: Giuro di non rinnegare mai il diritto ad apprendere, di mettermi in gioco con passione, di perseguire la conoscenza con ogni modalità, di ricordarmi di rappresentare un’Istituzione».

Non so come sarà il dopo: so che se ci sarà lo dovremo a loro tre, le videoalunne migliori che potessi augurarmi.

Mens sana

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Jacopo Franchi 32 anni, milanese d’adozione, lavora come

content manager freelance. È autore del blog Umanesimo digitale e del saggio

Solitudini Connesse.

Sara è un’operaia, madre single di due bambine. Essendo in cassa integrazione, si dedica a tempo pieno alle figlie durante la quarantena. Insieme fanno i compiti e ripassano la lezione del giorno. Talvolta, Sara resta nella camera di una delle due figlie durante la videolezione: ascolta gli insegnanti, valuta il loro metodo di lavoro, insieme alle bambine ne subisce la superficialità o ne ammira la passione.

Per la prima volta, da quando sono nate, Sara ha avuto la possibilità di entrare dentro quelle aule e farsi un’idea del modo in cui le sue bambine vengono educate. Può così prepararsi per affrontare su un piano di parità i prossimi colloqui, mettendo a confronto le lezioni che ha ascoltato “di nascosto” con i resoconti delle figlie. Non rinuncerà facilmente a questa opportunità, neppure dopo che quelle porte torneranno a chiudersi dietro di loro.

Porte aperte

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Gloria Puppi Esperta di Design Fiction,

sceneggiatrice e script consultant, con una fede incrollabile nell’umanità since 1985.

Per Nassim Nicholas Taleb, il padre del “cigno nero” (un evento inaspettato con un forte impatto mondiale) il Coronavirus è “un drenaggio che porterà solo del bene”.

In questo caos silenzioso la fazione degli altruisti visionari, sconosciuti e silenti fino a questo momento, prenderà il comando sulla fazione unilaterale per costruire finalmente un mondo nuovo: paradigmi rivoluzionari, rinnovati modelli di mercato, stili di vita più attenti all’ambiente e agli animali e soprattutto più vicini alla vera essenza dell’uomo. Basta competizione esasperata, corsa al petrolio, al prezzo più basso, basta sfruttamento delle risorse, alla bellezza mercificata, agli standard sinora imposti.

Il Capodanno è arrivato. Il minuto a mezzanotte è il travolgente climax del nostro mondo. Ricostruiamo.

Un minuto a mezzanotte

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Alice Siracusano Ex Google, Yoox e Samsung, è oggi AD di LUZ,

agenzia di content marketing e B Corp che diffonde storie dal valore sociale.

Sostenibilità non è “essere brave persone” ma evolverci preservando tutte le risorse. L’abbiamo capito perché abbiamo davanti agli occhi le implicazioni del comportamento opposto. “Se fossimo stati a casa avremmo meno infetti”, “se non avessimo tagliato le spese sanitarie avremmo più letti”, “se le aziende non avessero fatto tanto affidamento sulla Cina…” Il virus è stato più furbo di noi. La sua comunicazione è efficace perché oltre ad avere una forte portata emozionale, ci rende protagonisti e ha implicazioni concrete.

Impariamo la lezione! Nel racconto della sostenibilità, dobbiamo dar voce agli effetti più che alle cause: l’impresa che ha agito in modo etico dev’essere solo un pretesto narrativo, dobbiamo invertire l’obiettivo e porre l’accento sulle ricadute nella vita delle persone…

La narrativa del virus

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Giuseppe Mazza Founder Tita. Premi: Adci, Cannes,

Eurobest, NYF, Epica. Comunicatore dell'anno 2019. Docente Iulm, Holden, Its.

Il Venerdì, Radio Popolare, Doppiozero.

Qualcuno ha scritto "non aspettatevi troppo dalla fine del mondo". Prendiamola come un'utile avvertenza: l'uomo non cambia la sua radice profonda, nel bene e nel male. Perciò anche la comunicazione, che è un evento essenzialmente umano, non cambia le sue ragioni. Tanto più che una pandemia, come abbiamo imparato, è una condizione estrema. E rende estremo tutto. Chi era egoista, accaparra. Chi era altruista, si fa in quattro per gli altri. Chi non aveva niente da dire, perde la voce. Chi parlava quando serve, diventa oracolare. Chi era conformista e non ha mai firmato una campagna degna di nota, inventerà nuova fuffa e nuove norme. Ma chi viveva di idee e del proprio coraggio, vivrà magari il migliore dei momenti. Sarà interessante. Estremamente.

Il migliore dei momenti

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Michele Boroni Si occupa di contenuti e comunicazione per

brand, persone e progetti editoriali. Scrive di marketing, cultura pop,

media, design e tecnologia.

Una delle tante cose che ci stanno trasformando e che credo rimarrà a lungo, anche quando torneremo alla (nuova) normalità, riguarda il nostro mutato rapporto col tempo. Questa avrà un effetto su tutti noi, sulla nostra vita e sul nostro lavoro, specialmente per chi si occupa di contenuti, per i brand o per l’editoria. Tra i mille effetti strani e distopici del post-Covid questo mi sembra il più rassicurante.

Tutto fino a l'altro ieri stava viaggiando a un ritmo troppo veloce: i contenuti dovevano essere virali, i tempi di lettura sempre più corti, la soglia di attenzione più breve, anche le scadenze erano strettissime. Il risultato forse è che domani, dopo questa scossa, tutta questa fugacità e bisogno di tempestività diminuirà e si darà più spazio a contenuti di ampio respiro e di lungo periodo, magari anche più “utili” e di “qualità”.

Il tempo nuovo dei contenuti

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Cristiano Carriero Fondatore de La Content, scrive per 433 e SenzaFiltro. Docente al CPO di Urbino,

curatore della collana marketing di Hoepli.

Se non usciremo da questa situazione più consapevoli e pazienti allora sarà stato vano. Forse questa rivoluzione ci aiuterà a ridare valore ai contenuti. Ci muoveremo meno, ma non perché non sia fortissima già da oggi la voglia di partecipare a eventi, fiere e convegni ma perché avremo imparato che le videochiamate non sono un surrogato di un incontro dal vivo. Accetteremo di poter lavorare anche da casa, di poter far entrare i capi e i clienti nella nostra dimensione più privata. Di non dover nascondere un bambino che piange, di non dover rendere tutto necessariamente artefatto.

Impareremo ad aspettare tempi migliori. Avremo migliorato il nostro inglese, imparato l’importanza dello sport, avremo letto qualche libro in più. Saremo un po’ meno ricchi, ma molto più pazienti. E forse avremo imparato a pesare meglio le parole. Non dimentichiamocelo quando tutto questo, speriamo presto, sarà passato.

Meno ricchi, più pazienti

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Andrea Morbio È un antropologo e autore del radio

documentario Il ritorno del vendicatore trasmesso da Rai Radio Tre.

Collabora con Centrale Fies.

Viaggeremo di più ma il viaggio avrà una dimensione diversa. Durante la quarantena siamo andati in piazza, a 200 metri da casa, questo piccolo spostamento ci è apparso come un grande viaggio. Abbiamo guardato la lunetta del portale della chiesa sconsacrata… e mentre facevamo la fila fuori dal fornaio, abbiamo notato il cortile interno della casa accanto.

Sopra il portone verde, formato da lunghe assi orizzontali, il nostro sguardo è stato catturato da un balconcino in ferro battuto, di quelli che andavano di moda qualche secolo fa.

E poi ci siamo chiesti: ma chi è che abita in questa casa? La domanda è rimasta senza risposta. Quella casa non l’avevamo mai vista prima. Eppure era lì. Probabilmente da secoli.

Prevedo che nel periodo post-pandemia la nostra capacità di percepire i dettagli sarà molto più acuta di prima. Diventerà importante capire quali dettagli esplorare e quali no.

Esploratori digitali

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Agnese Vellar Si sveglia ogni giorno con l’obiettivo di

innovare, anche quanto fa marketing per CWS Digital Solution, perché anche lì la

mission è fare digital transformation.

Stiamo vivendo in una stagione di Black Mirror con il concept ribaltato, in cui il digitale non è la causa della distopia ma l’àncora di salvezza. In questa stagione una maestra entra in aula. Ci sono banchi, ma non bambini. Accende lo smartphone, registra la lezione sul congiuntivo e la mette pubblica su YouTube, perché non sa dei video privati. Alla fine quel video lo vedono in tanti, e tutti imparano a usare i verbi corretti. Fine.

La morale è che è dovuta arrivare una pandemia per avvicinare l’Italia al digitale. Perché le abitudini sono difficili da cambiare: ci vuole un po’ di visione o uno shock senza pari. Lo shock alla fine ci è toccato, quindi rimane solo una cosa da sanare: il gap di chi non ha un computer per guardare la lezione.

La stagione 2020

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Alessio Romano Insegna scrittura creativa.

Tra gli altri ha pubblicato per Bompiani i romanzi Paradise for All e Solo sigari quando è festa.

Non so se l’umanità imparerà qualcosa da questa pandemia una volta debellata.

Non so se la gente tornerà ai propri vizi quando potrà uscire di nuovo di casa, abbracciarsi, baciarsi e radunarsi (non so nemmeno se la gente tornerà a uscire di casa, abbracciarsi, baciarsi o radunarsi).

Non so nemmeno se io tornerò a tenere disordinati casa e desktop; se smetterò di allenarmi, cucinare sano o se riprenderò tutti i kg persi.

Non so se continuerò a fare la differenziata così scrupolosamente, cercando di non sprecare mai energia o acqua.

Non so, insomma, se quel piccolo e solitario monaco zen che sono faticosamente riuscito a diventare sparirà insieme al virus.

Ma una cosa la so: se l’umanità continuerà a tirare dritto come prima, il suo destino è l’estinzione.

O cambiamo o ci estinguiamo

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Cristina Cassese Antropologa culturale, appassionata di storie in tutte le forme. Responsabile della sezione

Cultura di artwave.it, realizza progetti in ambito educativo e formativo.

Pandemie, nella storia dell’umanità, ce ne sono state molte: tuttavia, mai era accaduto che un numero così grande di esseri umani fosse consapevole di vivere un evento del genere insieme a milioni di sconosciuti. Assistiamo così al paradosso dell’isolamento: più ci distanziamo fisicamente, più aumenta la nostra consapevolezza dell’irrinunciabile vicinanza sociale. Impariamo a stare con noi stessi, con i nostri familiari e coinquilini; l’orizzonte si amplia ancora un po’ quando usciamo sui balconi e incontriamo i vicini, quando al supermercato ci imbattiamo negli abitanti del nostro quartiere. Attraverso i dispositivi di telecomunicazione istantanea che abbiamo inventato negli ultimi due secoli, entriamo in relazione con decine, centinaia, forse anche migliaia di persone, sperimentando nuove possibilità d’interazione collettiva. Sappiamo che l’emergenza finirà ma altresì che questo virus non scomparirà del tutto. Riscopriamo, dunque, che la convivenza non è solo un valore ma una profonda necessità.

Convivo ergo sum

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Come sarà il nostro mondo nel post Coronavirus?

Preferisco immaginare con i sentimenti piuttosto che con le idee. E i miei sentimenti in questo momento solo simili a quelli di Eugenia, la protagonista del racconto Un paio d’occhiali di Anna Maria Ortese. Questi giorni quieti sono per me delle lenti che d’un tratto definiscono i limiti delle cose. Come per Eugenia, con questi nuovi occhiali, vedo la realtà come se fosse la prima volta. E questa realtà non è un granché. Mi gira tutto, ma vedo in questo stordimento una grande occasione perché credo che siano proprio limiti a rendere la creatività necessaria. So anche, però, che la maggior parte di noi preferirà fare come Eugenia, e non appena sarà possibile getterà questo nuovo paio di occhiali nel primo tombino. Io invece credo che li terrò, mi è difficile tornare nella nebbia di una realtà rarefatta. Anche perché, detto tra noi, a me questi occhiali stanno proprio una bomba.

Nicole Romanelli È una creativa, ideatrice di Solo In Cartolina e

fondatrice dei Creative Fighters. Oggi lavora da Latte Creative e insegna allo IED e allo IAAD.

Un paio di occhiali

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Dino Amenduni Di Bari, classe 1984, è socio,

comunicatore politico e pianificatore strategico dell'agenzia di Proforma.

Partiamo da un presupposto: con tutta probabilità troveremo un mondo alla fine della pandemia. Forse sarà diverso, forse il concetto di 'normalità' sarà rivisto, ma un mo(n)do esisterà ancora. E se esisterà ancora non sarà merito mio ma dei medici, degli infermieri, degli scienziati, dei cassieri del supermercato, dei camionisti, degli addetti alla logistica, degli agricoltori, dei braccianti, dei macellai; dei politici, persino. Il mio contributo alla salvezza dell'umanità sarà più misurabile col talento nel distanziarmi socialmente dagli altri che attraverso lo sforzo professionale ed intellettuale. Sto scoprendo, ancora una volta, che il mondo andrà avanti anche senza di me. Ed è, tutto sommato, una sensazione liberatoria.

Ho scoperto di non essere

necessario

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Alessandro Avataneo Regista, cura progetti culturali per aziende e istituzioni in vari Paesi e insegna storytelling

alla Scuola Holden di Torino.

Questa pandemia non è la prova più difficile che ci attende. Per la prima volta nella storia dovremo affrontare una tempesta perfetta: la peggiore crisi economica globale mai vista, la deriva autoritaria delle democrazie e l’emergenza climatica che sta bruciando il pianeta. La natura ci presenta il conto, perché dal punto di vista della Terra il virus siamo noi.

Tuttavia, abbiamo un’ultima occasione per imparare che l’umanità è una, che economia e politica devono essere al servizio delle persone e non viceversa. Chi ci sta tenendo in vita sono medici e infermieri, contadini, corrieri e netturbini. Nell’emergenza, scienziati e umanisti hanno di nuovo voce.

Il futuro dipenderà da come cambieremo i nostri comportamenti individuali: nei consumi, alle urne, nell’attenzione verso gli altri, nel modo di lavorare, spostarci e assumerci responsabilità all’interno delle nostre comunità.

Cambiare i comportamenti

individuali

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Francesco Gavatorta È consulente strategico, esperto

di storytelling management, giornalista pubblicista.

Credo che la parola migliore per descrivere cosa ci attenda sia decelerazione. Probabile che ci riapproprieremo di spazi in cui anche la tecnologia verrà ridimensionata.

Torneremo a essere più reali, valorizzando l’esperienza reale: il distanziamento sociale ci porterà ad apprezzare la naturalità sensoriale, a discapito di quelle capacità "espanse" che il digitale ci sembrava aver garantito. Sarà il trionfo della narrazione, senza però nominarla neanche una volta.

Tutto questo ci riporterà anche a un uso più ponderato delle parole. Si è sdoganato un uso irresponsabile del linguaggio: il dover descrivere una situazione nuova che non era nota, cominciare ad avere paura, ci obbligherà a pensare in modo diverso. Rallentare ci porterà a doverci confrontare con il limite che comporta l'esasperare i toni: ci obbligherà a ritornare alla tangibilità del nostro discorso, al legame indissolubile fra significante e significato.

Un gradito ritorno alla lentezza

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Alessandra Chiappori Giornalista e autrice di Torino di carta, scrive

per giornali, per la radio e per diletto; è dottore di ricerca in semiotica.

acontrainte.it

Qualcosa si fa strada nel mondo dell’informazione: la presa di coscienza che titoli gridati, acchiappaclick spietato, visibilità a qualunque costo sono veleni, pericoli per tutti.

Nasce una task force ufficiale per arginare la diffusione di notizie false e una cascata di commenti social boccia chi loda i propri numeri, cresciuti prosperando sull’emergenza sanitaria a suon di titoli roboanti e narrazioni che hanno puntato su paura e angoscia invece che su verità dei fatti e impegno deontologico.

Hanno fatto notizia bozze di decreti e mix tossici di opinioni e dati complessi male interpretati, mentre l’onda travolgeva i pilastri economici dell’informazione, le pubblicità, affondando parte del sistema. Cosa ci salverà, domani, se non la lievitante consapevolezza che la qualità paga?

Il lievito della consapevolezza

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Enrico Ratto 39 anni, è giornalista e imprenditore.

Quando scrive, lo fa di fotografia, architettura e società. Quando lavora in azienda,

si occupa di ecommerce.

Quando hai un gruppo di collaboratori, il più grande ostacolo che incontri ogni giorno è lo status quo.

Per anni, il mio lavoro è stato trovare una chiave di lettura plausibile che mi permettesse di far comprendere determinate decisioni: facciamo così, penso sia meglio per il futuro.

Quel futuro, di solito, impiega del tempo per arrivare. Questa volta ci siamo trovati catapultati nel futuro da un momento all’altro.

So benissimo che avremmo tutti potuto metterci in modalità di attesa. Ma attendere, se ci pensate bene, non significa che questo: aspettare che il futuro arrivi. Possiamo abituarci ad attendere in modo attivo.

Pensare al futuro, vivere con una differita di cinque anni rispetto al presente, penso sia un metodo di lavoro, e di vita, che dovremmo fare nostro. Perché tutto il resto, è un dettaglio pratico che si affronta, anzi, che si risolve.

Pensare al futuro sarà un metodo

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Ferdinando Morgana Si occupa di educational management, ha

pubblicato racconti per Feltrinelli, Rizzoli e su riviste tra cui Granta. È l’ideatore di Cartografia

Letteraria, suo più recente progetto narrativo.

Nel 1602, Padre Marco Ricci, missionario gesuita e cartografo, realizzò per l’Imperatore Ming Wanli la Carta geografica completa di tutti i regni del mondo, il più antico mappamondo cinese nello stile delle mappe europee. Un anno prima, Ricci era stato uno dei primi occidentali a entrare a Pechino, portava con sé atlanti dell'Occidente ignoti agli orientali, dove l’Europa era al centro. I cinesi ricambiarono con mappe altrettanto sconosciute agli occidentali, in cui al centro c’era la Cina. Una delle prime carte complete del mondo era nata dalla fusione di due prospettive opposte e da informazioni complementari.

Allo stesso modo, nell’immediato futuro – teso tra necessità di distanziamento sociale e desiderio di raggiungere chi e cosa conosciamo, mitigato dalla possibilità di tracciamento digitale – le mappe saranno uno strumento irrinunciabile, e la cartografia occuperà una rilevanza finora inedita. E questa azione cartografica sarà tanto più fruttuosa quanto riusciremo a fondere le nostre mappe – emotive, topografiche, letterarie, cognitive. Mappe spesso opposte ma complementari.

La cartografia diventerà

irrinunciabile

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Paolo Borraccetti Studi di comunicazione a Bologna e di cinema negli Stati Uniti, è autore, produttore e regista.

paoloborraccetti.com

- Anche il Mossad è in quarantena! Non mi torna la cosa… - Quindi loro non possono essere stati. - Sicuramente c’è un altro livello. - La Cia? Han tirato giù le torri. - Ma se hanno lasciato indizi ovunque, figuriamoci se son capaci di bloccare in casa quattro miliardi di persone. Sveglia! - Vero. Di sicuro qualcuno sa e non ce lo vuole dire. - Il Vaticano? - No, pure le chiese sono chiuse, come le case. - C’è dietro l’Europa? Sono sicuro che ci stanno nascondendo qualcosa. - Ma se praticamente non esiste più? - O la Monsanto, che guardacaso ha la Bayer, ora può fare gli anti-virali… - Ma perché proprio adesso? Così non stanno vendendo gli altri loro prodotti. - Azz… - È la natura, allora. - Dici? - Temo di sì. - E ora di cosa parliamo? - Mi metto a studiare un’altra lingua. - All’Università della vita? Non è chiusa pure quella? - …

Niente sarà più come prima!!1!1!

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Mafe De Baggis Lavora per liberare le energie delle aziende e

delle persone usando le storie per mettere ordine nel loro modo di

comunicare e di raccontarsi.

Idrogeno e ossigeno, insieme, diventano acqua. Acqua e farina, pane. Pane e burro, insieme, sono buoni. Magari con un pizzico di sale e pepe.

La nostra vita è tanto più ricca quanto è varia e variabile. Vale sempre, tranne che quando usiamo il cervello. Per lavoro. Pagati per farlo.

Nel lavoro viviamo in recinti costruiti da noi. Informatici con informatici, medici con medici, comunicatori con comunicatori, politici con politici. Viviamo tutti senza sale, che è lo sguardo, diverso, dell’altro. Dell’altro intelligente, o almeno interessante, beninteso.

Siamo tutti pane senza burro, protetti da muri sempre più alti, muri confusi con la competenza, muri che rinchiudono noi per primi.

Usciremo vivi e sani da qui solo costruendo ponti. Metaforici e non, perché la distanza che serve per sconfiggere un virus non è sociale, è fisica. Sei pronto a spaziare?

Ode all’indipendenza

dall’ambito

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Livio Milanesio Si occupa di comunicazione e di narrare storie.

Autore di Strategia di comunicazione digitale e di alcuni romanzi. Almeno fino a oggi.

“Ok so punk is a mindset – and the fact is it never really leaves you.” The Guardian

1977, mentre la regina Elisabetta II festeggia il Silver Jubilee un gruppetto scalcagnato di sudditi raggiunge i vertici delle classifiche musicali con un pezzo che doveva intitolarsi No Future. I grandi movimenti umani sono esaltati dalle contraddizioni. La monarchia millenaria e un cantante figlio di immigrati irlandesi della working class convivono con risultati imprevedibili.

2020, mentre armeggiamo con una democrazia vecchia di duemila anni, nazionalismi, sovranismi, consumismi e vuote convenzioni ecco che esplode il virus, uno schiaffo biologico punk che spariglia le carte.

Ciò che resterà è imprevedibile. Anzi resterà la consapevolezza che il mondo, la vita sono in imprevedibili, dove un giorno sei una Regina e lo stesso giorno diventi un disgraziato di nome Rotten che spacca tutto.

Virus is punk

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Alessio Cuffaro È autore de La distrazione di Dio (Autori Riuniti).

Di prossima uscita Nessuna ragione al mondo per Elliot edizioni. Co-founder della casa editrice Autori Riuniti

e socio della factory creativa Eggers 2.0

Non riusciamo a leggere. Siamo angosciati e ipervigili, certo, ma non è solo questo. A rendere difficile l’ingaggio con le pagine di un libro è la disparità di forze narrative in campo. Leggiamo perché siamo alla ricerca del disordine, di nuovi mondi squadernati che mettano alla prova i personaggi dei romanzi. È questo che ci rende difficile leggere: il conflitto che stiamo vivendo con la pandemia è fuori scala rispetto a quello che qualsiasi narrazione saprà mai mettere in campo. Non conosciamo la prossima pagina della nostra vita, e questo rende la realtà molto più intensa, terribile e imprevedibile di qualsiasi narrazione. Il vero diventa per una volta più avvincente del verosimile, seppure nella maniera più tragica possibile. Questo potrebbe portarci a pensare che i libri che scriveremo e leggeremo dopo la pandemia non potranno che parlare di pandemia, ma anche questo è falso. Archiviato l’incubo, avremo bisogno di tornare alle narrazioni di sempre, che qualcuno torni a mettere alla prova quei personaggi, e farci vedere tramite la loro reazione agli eventi narrativi la natura intrinseca dell’essere umano, la sua fragilità, la sua bellezza, il suo ostinato rimanere in piedi dopo la bufera.

Che storie scriveremo

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Simone Arcagni È professore all’Università di Palermo.

È studioso, consulente, curatore e giornalista nel campo dei nuovi media e delle nuove tecnologie.

Circa 10 anni prima dell’avvento dei social network, Douglas Rushkoff paragona i media digitali ai virus. La metafora biologica serve a mostrare un andamento di questi strumenti che presentano una logica nuova… aperti all’uso degli utenti, mobili, ubiqui. Il problema può essere la poca famigliarità degli utenti all’uso. Ecco, partiamo da qui. Il virus ha imposto un ripensamento dei media digitali: virtuale, ubiquo, connesso, interattivo non sono più termini antagonisti di un modo tradizionale di comunicare. Ci siamo accorti che:

(1) sono alla base del nostro sistema di comunicazione e quindi di cultura, informazione e partecipazione democratica; e (2) vanno sviluppati appropriatamente.

Questa è la sfida che ci aspetta, umanistica e scientifica allo stesso tempo. Uso e sviluppo consapevole dei mezzi significa un piano mediale per il servizio pubblico, un impianto normativo serio ed educazione digitale per affrontare l’epoca del virus (che è quella in cui viviamo e che questo virus ha solo messo in luce nella sua più terribile evidenza).

Media virus

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Bruno Mastroianni Filosofo e social media manager. Si occupa di discussioni, conflitti e comunicazione di crisi.

Ha teorizzato La disputa felice (Cesati).

L’impossibilità di un controllo completo sulla realtà è la lezione che ci sta impartendo questa pandemia. Finché eravamo distratti dall’ordinario – al massimo toccati dai racconti delle tragedie di altri, lontani – potevamo evitare un rapporto sistematico con l’incertezza. Ora che ci è piombata dentro casa, è iniziata una sorta di convivenza. L’incontro quotidiano con i nostri limiti sarà la forma che avrà la nostra vita nel prossimo futuro. Un mondo dalle poche risposte certe e quindi profondamente bisognoso di buone domande.

Sapremo poco sul “come fare” e dovremo tornare a porci la questione sul “chi essere”. E questo ri-conoscerci nello scenario in cambiamento ci costringerà, come in una disputa con noi stessi, a perdere alcuni pezzi (e sarà doloroso), ma proprio in quella perdita ne scopriremo di nuovi e inaspettati. Sarà questo “perdere per guadagnare” – accettare i limiti invece di temerli – a mostrarci le risorse autentiche per abitare il mondo incerto che ci aspetta.

Convivere con l’incertezza

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Leonardo Staglianò Ha scritto un film, due spettacoli teatrali e

vari racconti. Insegna drammaturgia alla Scuola Holden e lavora come story editor per il cinema.

Se penso ai giorni che stiamo vivendo, e a quelli che verranno, mi viene in mente una fionda. Noi siamo le biglie, la quarantena l’elastico. Contro la nostra volontà, siamo stati afferrati e messi in posizione di tiro, e un giorno verremo lanciati.

Stiamo prendendo una lunghissima rincorsa, e poiché lo spazio fisico è ridotto, arretriamo in quello, invisibile, delle nostre emozioni. Ci guardiamo dentro, e nel farlo non diventiamo diversi, bensì più uguali a noi stessi: gli ottimisti rafforzano la speranza, i cinici la sfiducia, i folli la pazzia.

Quando usciremo, fenderemo l’aria come biglie, e la parabola non la decideremo noi: sarà quella che la nostra natura ci sta imponendo. Saremo più rapidi nelle scelte, ma anche meno tolleranti; più netti, e quindi meno inclini al compromesso. Saremo più noi stessi, qualunque cosa significhi.

Come biglie nell’aria

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Paolo Iabichino Docente, papà e scrittore. E direttore creativo da

una vita, tra pubblicità, narrazione e strategia. In rete è Iabicus.

Sono stanco di rispondere a “come sarà il nostro mondo dopo il Coronavirus”. Al massimo voglio scrivere di com’era il nostro mondo prima, posso inanellare parole su come sia il mondo durante questa salvifica quarantena, ma come sarà dopo, no, basta.

Sì, ho scritto salvifica. Perché ci ha ridato un’idea di tempo che avevamo perso di vista, ci ha restituito l’idea del contatto fisico che avevamo dato per scontato e relegato alle convenevoli smancerie da happy hour. Ci ha ridato le telefonate, la cucina, i puzzle, i vicini di casa, i negozianti di quartiere, gli sguardi dentro le riunioni, i vecchi, la solidarietà e un sacco di altre cose. Le avevamo anche prima, semplicemente le avevamo dimenticate.

E dopo, chissà.

E dopo, chissà

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Be Unsocial è una rivista di antropologia digitale nata per mappare i territori della Rete, i comportamenti di noi esseri umani con la

tecnologia e i linguaggi che usiamo nelle relazioni sociali.

www.beunsocial.it - [email protected]

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