book ragni 2013

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C H I S I A M O

WHO WE ARE

I Ragni della Grignetta sono uno dei più prestigiosi gruppi alpinistici del panorama internazionalee hanno alle spalle una storia di 67 anni, fatta di scalate ai massimi livelli sulle montagne di tuttoil mondo. Pur nei cambiamenti che la società e l’alpinismo hanno visto dalla fondazione del gruppoad oggi, il confronto (a volte tutt’altro che pacifico…) e il legame con la propria storia sono ancoral’impronta distintiva nell’attività dei Ragni. Molti degli alpinisti che hanno fatto grande il Gruppooggi non ci sono più - nel 2013 sono scomparsi anche Giulio Bartesaghi, uno dei fondatori dei Ragni,Cesare Giudici e Annibale Zucchi, due fra i più forti scalatori italiani degli anni ‘50 e ’60 - ma laloro eredità continua a vivere nell’attività di tutti coloro che, con orgoglio e deferenza, indossano ilmaglione rosso con il simbolo del ragno a sette zampe. Per un alpinista quello dei Ragni è un maglio-ne a volte pesante da portare, perché carico di tanta storia e tante aspettative. Ma questo maglioneè anche uno stimolo costante ad inseguire con tenacia i nostri sogni e le nostre ambizioni, perché ciricorda da dove veniamo e dove possiamo arrivare…

1958 - Il ragno Carlo Mauri sulla vetta del Gasherbrum IV

The group “Ragni della Grignetta” is one of the most prestigiousclimbing team in the international scene and has a history of 67years, made up of top level mountain ascents all over the world.Even though there have been changes through society and themountaineering world since the foundation of the group, itscontinuing dialogue (sometimes anything but peaceful...) andthe connection to its history are still the distinctive imprint intheir activity.Unfortunately, many of the climbers who have made the historyof our group have left us. Recently, in 2013 the team has also lost Giulio Bartesaghi, one of its founders, as well as Cesare Giudici and AnnibaleZucchi, two of the best Italian climbers in the 50s and 60s - but their legacy lives on in the activity of all those who proudly wear the red swea-ter with the symbol of the seven-legged spider. Witnessing so much history and so many expectations this sweater can be and certainly is a bur-den to carry for a climber. But this same sweater is also a constant spur to tenaciously pursue our dreams and our ambitions, as it reminds uswhere we came from and where we can get…

www.ragnilecco.com

1964 - Campeggio dei Ragni

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10Notti Magiche Patagonia 2013: l'ultimo capitolo della sfida alla parete Ovest della Torre EggerPatagonia 2013: the last chapter of the challenge to the West Face of Torre Egger (Matteo della Bordella)

20Free Rider All Free In libera sulla mitica via dei fratelli Huber su El Cap e non solo...Free ascent on the legendary route of the Huber brothers on El Cap and more... (Matteo della Bordella)

26Perdidos en el Mundo Viaggio on the road e on the rocks fra le grandi pareti del Sud AmericaTrip on the road and on the rocks among the great walls of South America (Simone Pedeferri)

32Baston la Baffe Alpinismo e fastidi sulla via dei fratelli Zambetti alla repulsiva parete nord dello ScheideggwetterhornOn brothers Zambetti route to the harsh North wall of the Scheideggwetterhorn (Fabio Palma)

36Letzte ausfahrt Titlis Una parete da sogno e una via con tiri degni dei capolavori del Wenden, firmata dal fuoriclasse Stephan GlowaczStephan Glowacz's creation on a dream wall. This route has pitches worthy of Wenden masterpieces. (Matteo della Bordella)

40AlexAnna Un'altra grande libera seguendo la rotta tracciata da Rolando Larcher fra le placche della Sud della MarmoladaAnother great free ascent that follows Rolando Larcher footsteps among the slabs of the South of Marmolada (Matteo della Bordella)

44La Grigna dei Ragni Il ritorno dei maglioni rossi sulla "Castagna Alta" e sulla Via dei Ragni al Torrione Magnaghi CentraleThe return of the red sweaters on the "Castagna Alta” route and on the Ragni Route towards the Torrione Magnaghi Centrale(Matteo Piccardi e Gerardo Re Depaolini)

50Nove giorni con Mister Yosemite Dal granito della Valle al calcare Doc delle Alpi: Tommy Caldwell in compagnia dei Ragni alla scoperta del Wenden e del RatikonFrom the granite of the Valley to the best Alpine limestone: Tommy Caldwell with the Ragni di Lecco discover Wenden and Ratikon climbing areas. (Tommy Caldwell)

54W Dulfer L'ultima salita d'estate sulla difficile via aperta nel 2000 da Rolando Larcher alla Cima Ghez in Valle d'AmbiezThe last ascent of the summer on the difficult route opened in 2000 by Rolando Larcher at the Cima Ghez in Valle d'Ambiez (Paolo Spreafico)

56Mello non-stop: 24 ore di granito Una maratona verticale in Val Masino, più di 2500 metri di scalata, dal Risveglio di Kundalini fino alla cima del Picco Luigi AmedeoA vertical marathon in Val Masino: more than 2500 meters of climbing, from the Risveglio di Kundalini to the summit of Luigi Amedeo Peak (Davide Spini)

58Ibicus Matteo Della Bordella e la libera dell'ultimo tiro "irrisolto" sulla via dei Remy al Dom in WendenMatteo Della Bordella and the free ascent of the last "unsolved" pitch of Remy’s route on the Dom in Wenden (Fabio Palma)

60Fessure marittime e placche melliche Due prime salite fra il Corno Stella e la Val Masino per Giovanni Ongaro e Stéphanie FrigiéreTwo first ascents between the Corno Stella and Val Masino for Giovanni Ongaro and Stéphanie Frigiere ( Giovanni Ongaro)

62Prigionieri dei sogni Ripetizione all-free del difficile e ingaggioso itinerario di Adriano Selva e Andrea Spandri al Pizzo d'EghenAll-free repetition of the difficult and tricky route of Adriano Selva and Andrea Spandri at the Pizzo d'Eghen ( Matteo Piccardi)

66La Pietra del Sud Alla scoperta delle falesie di Palinuro, una delle nuove perle della scalata in CampaniaDiscovering the cliffs of Palinuro, one of the new climbing pearls in Campania (Fabio Palma)

68Val Masino, i cantieri dell'alta difficoltà Simone Pedeferri e la cronaca di un anno di realizzazioni fra le "pareti di casa"Simone Pedeferri and the report of a year of ascents among his domestic walls (Simone Pedeferri)

70Make a Wish l'ultima e più dura linea possibile nella falesia della Grotta di MandelloThe last high and hardest possible line of the Grotta di Mandello cliff (Luca Passini)

72Bouldering in Marocco Viaggio alla ricerca del "passaggio perfetto" fra le magnifiche montagne del Nord AfricaJourney in search of the "perfect move" among the magnificent mountains of North Africa (Andrea Pavan)

76Appigli da gara Una stagione da record per i ragazzi e le ragazze della Squadra Giovanile dei Ragni, ai primi posti nelle competizioni nazionali ed europeeA record-breaking season for boys and girls of the Youth Team of the Ragni ranking the first positions in national and European competitions (Serafino Ripamonti)

7861° Corso Ragni La scuola di roccia dei maglioni rossi vista da un allievo The Ragni climbing course from a junior's view point (Giovanni Colombo)

80Academy La prima edizione dell'accademia dell'alpinismo dei Ragni di Lecco The first edition of Ragni di Lecco's “Mountaineering Academy”

84Lifestyle

SOMMARIO

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N O T T I M A G I C H E

Il 2 marzo del 2013 Matteo Della Bordella e Luca Schiera hanno chiuso il match che lostesso Teo e il Berna (Matteo Bernasconi) avevano aperto nell’inverno del 2010/2011 e chehanno combattuto caparbiamente negli anni successivi, arrivando ad un soffio dalla fine:quella della scalata - visto che il tentativo del 2011/2012 si è arrestato ad una trentina dimetri dal Colle Lux - e pure quella degli scalatori, visto che proprio all’ultimo tiro di queltentativo i due si sono ritrovati a spenzolare nel vuoto, appesi soltanto ad un provvidenzialefriendino…Già quei due anni di tentativi hanno fatto una storia, con un senso abbastanza compiuto dameritarsi un nome, o forse un titolo, come il capitolo di un libro: “Die another day”.Nel 2013, per uno di quei misteriosi intrecci di destini che governano le vicende della vitae dell’alpinismo nell’estremo sud dell’America Latina (cosas patagonicas le chiamano...), il Berna ha dovuto rinunciare per una manciata di giorni a partecipare all’ultimo, quantoimprobabile, tentativo di una stagione nella quale sembrava che la Egger non avesse laminima intenzione di lasciarsi avvicinare e che, invece, si è concluso sul fungo di ghiacciodella cima.A Luca, compagno dei due Matteo in questa ultima spedizione e al suo stupore di fronte aicieli stellati dell’Emisfero Australe, l’onere e l’onore di aver dato il titolo al capitolo finaledel libro: “Notti magiche”.L’itinerario aperto da Matteo Bernasconi, Matteo della Bordella e Luca Schiera sulla ovestdella Egger è sicuramente una gran via (a majour route, come l’ha definita la prestigiosarivista internazionale Climb Magazine, ma è soprattutto una storia in perfetto stile ragnesco,che riecheggia quelle con cui si sono scritte le pagine più belle della vita del nostroGruppo: una meta decisamente ambiziosa e “rognosa”, una determinazione che si nutredelle delusioni per divenire sempre più affilata e tenace ad ogni nuovo tentativo e una vittoria strappata all'ultimo secondo dell'ultimo round, come al Torre nel '74, al Murallon o al Sarmiento.Sarà, ma alla fine, al di là delle mode e delle epoche dell'alpinismo, al di là della volontà e della consapevolezza degli stessi protagonisti, salta sempre fuori un filo rosso che in qualche misterioso modo dà la forma e la sostanza a tutte le imprese alpinistiche che portano la firma dei Ragni.L'alpinismo di gruppo è morto. Viva l'alpinismo di gruppo!

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Dopo i tentativi effettuati da me e Matteo Bernasconi negliinverni 2010-2011 e 2011-2012, la nostra salita del 2013

alla parete Ovest della Torre Egger inizia mercoledì 20Febbraio, quando in una giornata splendida di sole, LucaSchiera ed io percorriamo il lungo avvicinamento che daChalten, attraverso il passo Marconi conduce fino al Circo de losAltares e quindi al Filo Rosso, uno sperone di roccia che scendelungo il ghiacciaio sottostante il Cerro Torre e la Torre Egger,dove già gli anni passati facevamo il nostro campo base.In verità già la decisione di provare a fare un’ultimo tentativoalla Egger è stata combatutta e incerta fino all’ultimo. Io, Luca eMatteo Bernasconi eravamo partiti il 19 gennaio dall’Italia ilnostro rientro era fissato per il 23 febbraio. Le previsioni meteodegli ultimi ipotetici giorni di permanenza continuavano a cam-biare, ma in generale non erano super ottimistiche, anche selasciavano comunque la possibilità dell’arrivo di un periodo di bel

tempo. Così dopo diverse incertezze io e Luca Schiera decidiamodi prolungare il nostro soggiorno fino al 1 marzo, MatteoBernasconi invece fa una scelta diversa e decide di rientrare inItalia e tenere fede agli impegni lavorativi presi in precedenza.Dopo 11 ore di cammino Luca ed io giungiamo al Filo Rosso,dove incontriamo diverse cordate che hanno appena salito lavia dei Ragni al Cerro Torre. Le previsioni meteo per venerdì 21febbraio sono buone, ma poi è previsto l’arrivo di una pertur-bazione per sabato. Decidiamo quindi di sfruttare la giornata divenerdì per capire come effettuare l’avvicinamento alla parete,una cosa che aveva dato parecchi problemi e grattacapi a me eBerna l’anno passato. Scartiamo subito la possibilità di passaredal ghiacciaio sottostante la Ovest della Egger; quindi risaliamola prima parte della via dei Ragni al Torre, dopodichè deviamoin traversata a sinistra. Troviamo un buon sistema di cenge unpo’ esposte, ed attrezzando una calata di 60 metri riusciamo a

raggiungere il ghiacciaio in prossimità della base dello zoccoloda dove parte la nostra via alla Egger.Il pomeriggio torniamo alla nostra tenda e come da previsioneil giorno successivo piove in modo continuo per diverse ore, perfortuna però la perturbazione arriva da Est, il che significa chenon c’è praticamente vento.Sabato chiediamo con il telefono satellitare al nostro amicoDeza le nuove previsioni. Purtroppo non paiono delle migliori:dopo un miglioramento previsto per domenica pomeriggio elunedì è in arrivo un’altra perturbazione per martedì e merco-ledì. Poi pare che la pressione si debba rialzare ed arrivare ilbel tempo… Tuttavia l’esperienza mi ha insegnato a diffidaredelle previsioni oltre i 3 giorni in Patagonia.“Beh ormai siamo qui e tanto vale aspettare un po’ e vederecome evolve la situazione”. Concordiamo io e Luca. Così inizia-no le giornate di attesa in tenda che quest’anno, personalmen-

te, erano proprio l’unica cosa che, dopo le esperienze degli annipassati volevo evitare. Chiediamo quotidianamente alle 16 lenuove previsioni e giorno dopo giorno l’arrivo dell’alta pressio-ne previsto tra mercoledì e giovedì sembra essere confermato.Lunedì 25 febbraio, prendiamo la nostra decisione. Ancora unavolta noi ci vogliamo credere, a costo di ricevere l’ennesimabeffa (ormai una più o una meno…) così spostiamo ancora ladata del nostro volo a sabato 9 marzo.La decisione si rivelerà giusta, e la pazienza e l’attesa in tendadei giorni successivi verranno ampiamente ripagate.Mercoledì 27 Febbraio dopo la pioggia battente del mattino, ilcielo si apre e il nostro meterologo ci conferma 4 giorni di beltempo.Mercoledì pomeriggio mi aspetta una decisione difficile: attac-care la parete il giorno successivo o aspettare un giorno che sipulisca dalla neve e dal ghiaccio?

Da un lato penso che teoricamente visto che la perturbazionearrivava da Est e non c’è stato vento forte dovrebbe esserci inparete per lo più neve e non ghiaccio, d’altra parte mi tornanoin mente le scariche di quando l’anno scorso ero in parete conMatteo Bernasconi e mi vengono i brividi. Chiedo un parere aLuca, che però alla sua prima volta in Patagonia ed alla Eggerovviamente non può essere di grande aiuto. Guardo e riguar-do la parete per circa un’ora ed alla fine la decisione è presa,conscio di tutte le responsabilità che ne conseguono: la paretesembra pulita e domani si attacca la via!Giovedì 28 Febbraio Luca ed io partiamo dal Filo Rosso in dire-zione della Egger. La tattica è sulla carta semplice e lineare: iosalirò da capocordata, conoscendo la via dai tentativi preceden-ti, Luca mi seguirà con le jumar.Dopo aver ripercorso l’avvicinamento ispezionato ormai 6 gior-ni prima, siamo in 3 ore e mezza alla base dello zoccolo.

T O R R E E G G E R P R I M A S A L I T A D E L L A P A R E T E O V E S TTESTO MATTEO DELLA BORDELLA / FOTO DI MATTEO DELLA BORDELLA, MATTEO BERNASCONI, LUCA SCHIERA

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Scaliamo lo zoccolo ed il nevaio senza particolari problemi, lafatica più grande è data dai pesi dei sacconi che contengonooltre al materiale per aprire su roccia, quello per scalare sughiaccio e il necessario per sopravvivere 4 giorni in parete.Le prime due corde fisse che avevamo lasciato sulla nostra viamancano e i tiri sono da ri-scalare, dopodichè incontriamo uncentinaio di metri di corde fisse in buono stato che ci apprestia-mo a risalire.Arriviamo alle 13 all’inizio del grande diedro e con cautelacontinuo a risalire le corde fisse, sapendo che queste potreb-bero essere in cattivo stato. Arrivo in cima alla prima cordafissa del diedro, e mi accorgo che è attaccata solo per 3 tre-foli che sfregano direttamente su uno spigolo vivo…Parto per la risalita successiva; la corda sembra in buonostato, ma quando meno me lo aspetto di colpo la calza sirompe ed io scivolo indietro per 2-3 metri finchè le jumar sibloccano nuovamente più in basso! Un altro bello spavento,considerando che mi trovavo ad una quindicina di metri dallasosta e non avevo ancora messo alcun friend…Continuiamo poi la nostra salita, tra risalita di fisse e qualchetratto in arrampicata e giungiamo sotto gli strampiombi. Sonole 16 e ci fermiamo ad un terrazino per sciogliere della neve,è la nostra ultima possibilità per farlo perché da lì in poi laparete inizia a strapiombare fino al colle e in assenza di ventola parete resta completamente riparata da neve e pioggia.Alle 17 ripartiamo, le fisse dei due tiri successivi sono sopren-dentemente in ottimo stato e le risaliamo.Poi però iniziamo le brutte soprese: sugli ultimi 4 tiri apertil’anno scorso il vento ha completamente ridotto a brandelli lecorde che avevamo lasciato, ed ora siamo costretti a riscalar-li. Il vero problema è che sono tutti tiri impegnativi, per lo piùstrapiombanti. Arrampico i primi due, ma poi la luce inizia a

calare e noi dobbiamo trovare un posto dove passare la notte.Non sapendo bene cosa fare vedo un punto di parete di circa2 metri per 3 leggermente appoggiato, o meglio, inclinato acirca 40° direi. Su qualsiasi altra parete non lo considerereimai un posto bivacco, ma appeso in questo vuoto, tutto cam-bia prospettiva e soprattutto non abbiamo altra scelta: o scen-diamo di 300-400 metri oppure passiamo la notte qui. Saràuna lunga notte appesi agli imbraghi, con i piedi che scarica-no in una staffa o nel saccone ed il sedere appoggiato su unaplacca che continua a scivolare verso il basso!“Notti Magiche” dice Luca. Battezziamo questa placca l’ HotelEgger.Il giorno successivo la temperatura è piuttosto rigida, ed ulte-riormente abbassata dal vento, che seppur non sia forte, quelgiorno si fa sentire. Con grande fatica inizio a scalare il tirosuccessivo, in artificiale e ben bardato di vestiti. Giunto circaa metà mi aspetta un tratto su muro verticale a tacche chel’anno scorso al pomeriggio con il sole avevo affrontato inlibera. Penso un attimo a cosa fare ed esamino la situazione:guardo il colle alla mia sinistra e vedo, come avevo già nota-to, che è nettamente più pulito dell’anno scorso; in più davan-ti a me parte una fessura diagonale che va in direzioneappunto del colle. L’anno precedente io e Berna avevamoscartato l’opzione di uscire da questa parte per via di grandimacchie di neve pensili al colle…macchie che quest’anno sisono ridotte in modo esponenzionale!Urlo quindi a Luca: “cambio linea!” e seguo la fessura versosinistra.Luca risale ed io riparto aprendo due tiri nuovi per lo più infessura fin sotto il colle.Sono le 13.30 quando mi preparo per l’ultimo tiro chedovrebbe portarmi al colle tra Punta Herron e Torre Egger.

Capisco subito che non sarà un tiro facile, ma per lo menoadesso fa un po’ più caldo e c’è meno vento. Il tiro strapiom-ba, ma pare ci siano delle tacche. Non sono capace di fareartificiale serio, perciò parto dalla sosta nell’unico vero modoche conosco, ovvero arrampicando in libera. Inizio a salire, ladifficoltà non è elevata, ma nemmeno facile, magari 6c o 7a(non saprei proprio), mi accorgo però che non ho possibilitàdi proteggermi, la roccia è un po’ friabile e alcuni passi chefaccio sono “senza ritorno”, proseguo verso l’alto nella spe-ranza di trovare un piazzamento per un friend. Arrivo ad unadecina di metri da un possibile punto di sosta ma non trovonulla. Dopo un po’ di panico, mantenendo la calma vedo lapossibilità di mettere il camalot 4 un po’ aperto in una fessu-ra mooooolto friabile. Non senza patemi mi ci appendo e inuna decina di minuti pianto a mano lo spit della salvezza.Penso che vedendo dalla sosta lo spit, adesso questa sezionenon sia poi così difficile perché sai che quando arrivi lì lomoschettoni, ma per quanto mi riguarda… mi sono decisa-mente ingaggiato!!! Vado avanti qualche metro e faccio unbat-hook, pianto poi un altro spit e finalmente raggiungo unsistema di fessure che conduce dritto al colle.Sono ormai le 16 passate quando Luca mi raggiunge in sostaal Colle tra la Herron e la Egger.La stanchezza inizia a farsi sentire, dobbiamo fare acqua eappena sopra il colle sembra si possa scavare nella neve unposto da bivacco per lo meno decente!Alle 18 finiamo di prepare il necessario per bivaccare e deci-do di scalare e fissare le corde sui 90 metri successivi finosotto al fungo, prima del traverso.Dopo aver passato un giorno e una notte sempre appesi suterreno strapiombante non mi sembra vero di poter procede-re spedito sulle lame leggermente appoggiate della via

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Huber-Snarf ed alle 18.40 siamo nuovamente entrambi albivacco.In realtà una volta giunti al colle avevamo anche valutato lapossibilità di aprire una linea indipendente fino in cima, maci siamo subito accorti che la cosa mancava di logica e sareb-be stata una forzatura… Secondo noi, quando arrivi al colletra la Herron e la Egger per andare in cima alla Torre Eggerla via di salita è quella (5 metri più a destra o 5 più a sinistrama sali di lì) non hai tante alternative.Sabato 2 marzo, dopo un bivacco un po’ più clemente, risalia-mo le corde fissate il giorno precedente. Ci aspetta il traversoverso sinistra per affrontare il fungo dove è meno ripido.Beh, il traverso per me si rivela decisamente impegnativo: tuttal’acqua che si scioglieva dal fungo il giorno prima si era trasfor-mata in verglas e nonostante la parete fosse al sole sin dalleprime ore del mattino, le placche erano ancora ghiacciate.Comunque in un modo o nell’altro, spiccozzando il verglas viadalla roccia, riesco ad arrivare al fungo e piantare una vite.Chiedo a Luca se vuole salire lui da primo il primo tiro delfungo, e lui accetta volentieri. Luca arriva in sosta e mi recu-pera ed io parto per l’ultimo e facile tiro che porta in cima.Sono le 11.20 di sabato 2 marzo quando io e Luca Schieramettiamo i piedi sulla cima della Torre Egger. Siamo i primi adessere arrivati fino a qui salendo dalla parete Ovest. È ilmomento che avevo tanto sognato e desiderato per 3 lunghianni.Ma siamo entrambi consapevoli di essere solo a metà dellanostra salita, ci aspetta infatti un discesa lunga e la stanchez-za inizia a farsi sentire. Dopo qualche foto di rito iniziamo ledoppie.Durante la discesa stacchiamo e recuperiamo tutte le corde fisselasciate in parete.

Alle 17 arriviamo all’inizio del grande diedro. Io sono esausto,ho i brividi dalla stanchezza e sono disidratato. Propongo aLuca di fermarci qui un'altra notte e completare la discesa ilgiorno successivo. E proprio mentre discutiamo sul da farsi…nonostante fino a quel momento non fossero arrivate grossescariche, sentiamo un boato enorme e ci ripariamo sotto unpiccolo tetto. Un pezzo di neve mista ghiaccio di dimesioni diuna moto si schianta proprio dove avremmo dovuto scendere.Devo dire che rispetto all’anno scorso questo è stato un singo-lo episodio isolato, ma appunto….ne basta uno. È un chiarosegnale per fermarsi a bivaccare e passa un’altra “nottemagica” appollaiati su una cengia spiovente.Domenica 3 marzo completiamo la discesa ed alle 16 rientria-mo alla nostra tenda, recuperando tutte le fisse che avevamoportato in parete e depositandole al Filo Rosso, da cui, conl’aiuto di alcuni portatori le riporteremo a Chalten; due cordedoppie ci restano incastrate durante la discesa e non riuscia-mo a recuperarle.Lunedì 4 marzo, di buon ora rientriamo a Chalten, passandodal passo Marconi; il tempo sta chiaramente cambiando, lapressione è in picchiata e facciamo giusto in tempo a scende-re dal Marconi che inizia a piovere e tirare vento. Quando sidice “un tempismo perfetto”.Decidiamo insieme di chiamare la via “Notti Magiche”, unnome che ricorda gli scomodi bivacchi in parete, ma che altempo stesso ricorda la magia di queste notti patagoniche. Ilcambiamento del nome della via deriva dal cambio dellalinea di salita effettuato quest’anno; “Die another day” reste-rà il nome della variante da terminare secondo la linea segui-ta da me e Matteo Bernasconi l’anno passato, ma si trattaappunto di una vera propria linea indipendente per 4 tiri.Questa è stata la salita che sicuramente mi ha dato maggiore

soddisfazione da quando scalo. Ci sono voluti 3 anni e 150giorni di permanenza in Patagonia per completare questavia, ma sono contento di averci creduto fino in fondo!Con Luca Schiera è stata un’intesa perfetta. Sembra incredibi-le ma mai una discussione o un momento di disaccordo. Salireuna parete come la Ovest della Egger alla prima volta inPatagonia è sbalorditivo, qui è tutto diverso che sulle Alpi eadattarsi e capire come funzionano le cose posso garantireche non è facile, mi auguro sia la prima di altre grandi salitee spedizioni insieme!Ci tengo a ricordare che questa via è stata un grande succes-so di gruppo. Senza il supporto e la fiducia del gruppo Ragnied in particolare dei membri del consiglio non saremmoandati lontano. Grazie a tutti i Ragni di Lecco, ed in modo par-ticolare a Gian Felice Rocca, grazie ai miei sponsor in partico-lare Adidas, Kong, Df Sport Specialist ma anche Matt e LaSportiva. Grazie a tutti quelli che ci hanno supportato edhanno creduto in noi!L'unico mio rammarico è non aver avuto Matteo Bernasconi incima al nostro fianco, sicuramente una buona parte del meri-to di questa salita è suo; e dopo tutto quello che ci è capitatoinsieme gli anni passati e il rapporto che si è creato, sia io chelui ci avremmo tenuto tantissimo a raggiungere la vetta dellaEgger insieme.

Torre Egger – Parete Ovest prima salita assolutaM. Della Bordella & M. Bernasconi (2010-2011 & 2011-2012)fino a 30 metri dal Colle LuxM. Della Bordella & L. Schiera (28-2/ 1,2,3-3-2013)fino in cima alla Torre Egger1000m (30 L) 7a, A2, WI 4

In rosso la linea di “Die another day”In verde la linea di “Notti Magiche”

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Technical description of the routeThe overall length of the route is 1000m, with 800m of new ter-rain and the last 200m in common with the route “Huber-Schnarf”.“Notti magiche” climbs what we’ve assessed as the most logicalline to get to the top of Torre Egger from the West face. After climbing three easy pitches (V max) and overcoming thesnow field at the base of the wall (60 degrees) the route followsa previous attempt from Cavallaro and Salvaterra (1996) for300m (mainly slabs up to 6c). Then the wall gets steeper andthe route continues straight up on the right side of the obviousbig dihedral; after 2 pitches on the right (6c and A1, maybe freeclimbable at around 7b/7b+ if not icy or wet) it goes into thedihedral itself for 5 pitches (6c and A1, a few icy sections) untila tricky tension traverse (1 bolt) which leads to a scary longpitch on chossy black rock (mostly climbed on aid, A2).Afterwards there are two brilliant crack climbing pitches, main-ly free climbed, but with a few restings (probably properly freeclimbable with a difficulty around 7a+/b). Eventually, once gotto a belay under a small roof, the route climbs out right (A1)and then straight up for 10 meters. This is the point where the two lines split up: the 2012 attempt“die another day” goes straight up, climbs a face around 6cand in the following pitch takes the direct way on the impres-sive roof/overhang, which is overcome with aid climbing on atiny seam (A2); the line stops 10 meters above the roof into anoverhanging corner. On the other hand, the 2013 line “nottimagiche”, traverses left, following a logical system of cracks.After two steep but easy pitches around 6c, the last pitch, whichleads directly to the col, heads right, climbing a face with deli-cate rock (7a, 2 bolts) and then reaching a system of cracksthat goes until the col where “notti magiche” joins the Huber-Schnarf.In total we placed 6 bolts on the route (3 at the belays and 3on the pitches), but another 8 bolts have been placed bySalvaterra and Cavallaro in the first part (all at the belays).All the belays are equipped with pegs, nuts or bolts and the rec-ommended descent is rapping down the route (as we did), afew pegs and nut can be found also along the pitches.The face is basically always rock climbing, mostly free climbingwith some aid sections, but ice gear is needed for climbing thefinal snow mushroom (crampons, axes, 6-8 ice screws and 1snow picket).A poor bivy place can be found at the base of the big dihedral,then until the Col no proper bivy spots have been found; the

name “Hotel Egger” ironically refers to our semi-hanging bivy.For opening the route we employed fixed ropes, which finallyhave all been brought back to Chalten.The suggested period for climbing this route is the latePatagonian season, because in the early season the continuousfall of ice and debris from the top can make the route poten-tially dangerous, while late in the season the wall can morelikely be much drier.

Brief history of the routeThree years ago, at a round table in Lecco, the West face ofTorre Egger was presented to me and Matteo Bernasconi“Berna” as possibly the last big wall of Patagonia stillunclimbed. Mario Conti (one of the legendary “four of theTorre”, which firstly ascended Cerro Torre in 1974 from theWest face) and Carlo Aldè (who summited Cerro Murallon in1984 with Casimiro Ferrari and Paolo Vitali) showed us the afew photos of the Egger West face and provided us little descrip-tion of what we could have found. This little information wasenough to me and Berna to tackle the challenge of opening thefirst route on this immaculate wall. With no experience ofPatagonia, that day I had no idea of what had expected me inthe future, nevertheless I was super psyched for starting thisnew adventure.During the winter 2010-2011 and 2011-2012 Berna and I,tried our best to succeed on this wall. We had to face situationswhich were for us somehow extreme, such as my fall on abelay which left both of us hanging on a single cam or the hugefall of ice and debris from the summit mushrooms that forcedus to take some objective risks. We learned a lot aboutPatagonia, its mountains and its unpredictable weather and wealso learned a lot about opening a new route on a big wall insuch a remote place like this. We arrived at a high point just 30meters below the col which divides Punta Herron from TorreEgger (known as “Giongo- Di Donà” col or col Lux) and thendecided to retreat due to the previously mentioned fall on thebelay.Really little was missing to complete our route but still we hadto go back in 2013 to properly finish our job. We thought ofopening our team to a third person, in order to be lighter andsafer on the wall. Hence, the first name who came to our mindswas the one of Luca Schiera, 22; a talented youngster fromLecco at his first extra-European experience.The 2013 trip starts under the best omen, we get to Chaltenand immediately climb Cerro Standhardt by the route“Festerville”, that was a good way to test our rope party andgain some training for the big objective Egger. But after that,all the “suerte” flew away and we got more than 3 weeks ofchangeable and mostly bad weather. Thus 35 days after thebegin of the trip, “Berna” has to go back to Italy to respect hisjob commitments, as originally planned, whereas Luca and Idecide to give it a last try.Wednesday 20th of February we head to Circo the los Altaresand then to Filo Rosso where we pitch our tent and settle asmall base camp. The weather forecast is definitely “not thebest” for those days, but once again, we keep our fingerscrossed for the arrival of the high pressure. We wait for 7 days,with changeable weather, for the right conditions to climb onthe wall, then finally Thursday 28th February we call our”meteo-man” with our satellite phone and he preannouncesfour days of good weather. It’s time to start our push!The first day on the wall we partly re-climb and partly jug on

the old fixed ropes left from the previous year (where theywere still in a decent condition) and we get to a point two pitch-es down the high point reached with Berna in 2012; there wespend a night bivying hanging on our harnesses with the feeton the haul bags. A truly “magic night” as Luca will call it!The following day, Friday 1st March we open 4 new pitches upto Col Giongo-Di Donà or Col Lux, following a different linefrom the one attempted last year. The decision of changing theline is due to the fact that unlike the year before, this year thewall is pretty clean from snow and ice and under the col, theterrain looks easier rather than the impressive overhangswhich we climbed in 2012. After a last, thrilling pitch, which Iopen with a mixed of free climbing (up to 7a) and aid climb-ing (A1) we arrive at the col at 4pm. We melt some snow, pre-pare the bivy and finally take a little rest.Saturday 2nd March is the summit day. We think of opening anindependent line to the top but, retaining it forced and non-sense, we follow the existent route Huber-Schnarf and at 11.20and we stand on the summit of Torre Egger. It is the momentI’ve desired and dreamt for three long years. But we’re awarethat a long and complicate descent is expecting us. I keeprepeating to myself that I must be calm and safe in order notto make any mistake; mistakes here can be paid dearly.Sunday 3rd March we finally complete the descent and at 3.30we’re back to our tent at Filo Rosso, we manage to bring downall the fixed ropes we used, although we get to the tent hyper-loaded and tired.We call the route “Notti Magiche” (magical nights) a namewhich ironically remembers the uncomfortable bivys but at thesame time recalls the magical Patagonian nights. The 2012attempt which stops 30 meters below the col, is truly and inde-pendent line, waiting to be finished and will remain with theoriginal name of “Die another day”.I want to remember that this route is the result of a big teameffort and thus a team success. Firstly a great part of merit for this route goes to MatteoBernasconi, since in 2012 we opened together the majority ofthe pitches and even though he wasn’t present on the sum-mit, the route wouldn’t had been possible without him; he isfor me a great friend and partner with whom I shared reallyintense moments; we learned a lot from each other duringthese three years. An important mention goes also to LucaSchiera, at his first time in Patagonia!However our team goes beyond Berna, Luca and I andinvolves the whole Ragni group. Without the support and thetrust of Ragni di Lecco nothing of this would have been possi-ble.I want to thank all the Ragni and in particular the membersof the council and Gian Felice Rocca; I also would like to thankall my sponsors, particularly Adidas, Kong and Df SportSpecialist but also Matt and La Sportiva. Finally thanks toeverybody supported and believed into us.My only regret is having reached the summit without MatteoBernasconi, both of us would have dreamt of sharing the finalsuccess together.

First ascent of Torre Egger from the West faceM. Della Bordella & M. Bernasconi (2010-2011 & 2011-2012)until 30m from Col LuxM. Della Bordella & L. Schiera (28-2/ 1,2,3-3-2013) to the topof Torre Egger1000m (30 L) 7a, A2, WI 4

TORRE EGGER WEST FACENOTTI MAGICHE BY MATTEO DELLA BORDELLA

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Yosemite mi passava già per la testa da un po' di anni... Nonda moltissimo in realtà, più o meno da quando avevo sco-

perto con Cadarese questa cosa per me nuova chiamata arram-picata in fessura, diciamo quindi da circa 4 anni, il viaggio nellamitica Valle veniva sempre rimandato per qualche motivo.‘Sto Yosemite me lo hanno sempre venduto come un postotosto, severo e come la patria della scalata in fessura. Mi ricor-do 6-7 anni fa che un mio socio, molto bravo a scalare sullepareti nostrane mi sconsigliava in ogni modo di andare aYosemite, diceva che le fessure erano durissime e che lui in unmese non aveva fatto altro che tirare friend…Mi ricordo quando a Cadarese io avevo gradato una fessura 7aed un altro mio amico mi aveva detto che a Yosemite era almassimo 6a (beh aveva ragione lui…).Yosemite è l'esaltazione della scalata in fessura. Se nelle Alpisul 90% dei tiri di fessura, anche senza una tecnica sopraffina,puoi compensare in altri modi e inventarti magari una bella"dulfer" per salire, a Yosemite no. Se non sai scalare in fessuranon sali. Non ti muovi. E senza sconti, a partire anche dal 5.9(che sarebbe in pratica il quinto grado!!!) o anche meno. Perquesto dico che fare un po' di esperienza prima di avventurar-si nella Valle è sicuramente stato utile. Non avere la tecnicaappropriata per scalare una fessura, fare sforzi immani persalire pochi centimentri e vederli vanificati poco dopo può esse-re piuttosto frustrante - come ho anche avuto modo di verifica-re di persona.Alcuni dalle nostre parti associano il mio nome alla falesia diCadarese e al trad. Beh "thanks god we have Cadarese" alme-no, ma comunque vi posso garantire che Cadarese è un'intro-duzione moooolto morbida a quello che potrete trovare aYosemite.Ed è così che dopo tanto rimandare arriva il momento buono:io e David Bacci siamo pronti e a fine settembre 2012 si parteper 38 giorni di full immersion di granito e fessure.Obiettivo dichiarato del viaggio: salire la parete di El Capitan,1000 metri di granito, tutta in libera! La logica mi suggerisce ditentare per quella che viene considerata la via più facile, ovve-ro Free Rider. Oltre a questo voglio fare il più possibile espe-rienza di scalata in fessura e su big wall, per una volta in unposto nuovo e con tante vie da fare vorrei prediligere la quan-tità...Free Rider è fondamentalmente una variante della celebreSalathè, aperta dai fratelli Huber nel 1998, questa via evita laheadwall (tiri più duri) della Salathè con un traverso verso sini-stra, seguendo poi un sistema di fessure molto logico. Comeanticipato è la via più facile per percorrere in libera El Capitan,con una difficoltà massima di 7c. Fossimo sulle Alpi, i numeriassociati ai singoli tiri, mi suggerirebbero che avrei delle chan-ce di salire tutta la via a-vista. Ma so bene di non trovarmi agiocare in casa, infatti l'ipotesi non la prendo praticamentenemmeno in considerazione. D'altronde se nessuno fino adoggi, nemmeno tra i migliori al mondo ha ancora salito la pare-te del Capitan completamente a vista un motivo ci sarà... Anzi,per quanto mi riguarda, la vera domanda è se riuscirò a salirela via in libera o meno...Free Rider è famosa per i tanti tiri che, a dispetto del gradorelativamente basso, richiedono una tecnica di fessura perfetta,tanta resistenza fisica e potenza esposiva per i passaggi più dif-ficili. Insomma, posso dire senza dubbio, che a dispetto delgrado tecnico non elevatissimo si tratta di una grande salita. Edinfatti, prima della mia partenza, in Italia, sono in molti a pen-

F R E E R I D E R A L L F R E ETESTO MATTEO DELLA BORDELLA / FOTO DI PIETRO BAGNARA

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sare che la via sia troppo dura per me, considerando che è laprima volta che mi reco a Yosemite. Un buon amico addirit-tura scommette una pizza e 5 birre sul fatto che non sarò ingrado di fare Free Rider in libera!Arriviamo nella Valle l'ultimo giorno di settembre, il clima èdecisamente desertico, le temperature sono quantomai alte edi giorno al sole sulla roccia ci puoi cuocere le uova - uovache stavolta non faranno parte della dieta della vacanza,visto l'inatteso cambio di dieta del mio compare!!! (adessosolo hamburger e patatine).Ci scaldiamo salendo il Rostrum, passiamo una giornata aTuolumne Meadows per sfuggire al caldo e ancora un paio digiornate a far monotiri in bassa valle.Non appena le temperature accennano ad abbassarsi siamopronti per scalare su El Capitan, circa una settimana dopo ilnostro arrivo in valle.

I primi tentativi su Free Rider si rivelano senza successo pervari motivi. Il primo è senza dubbio la quantità di gente pre-sente sulla via, alla quale non sono assolutamente abituato;ripensando a quanta gente ho trovato su tutte le vie di piùtiri che ho fatto sulle Alpi negli ultimi due anni mi vengonoin mente solo due cordate... Nessuna nel 2012 peraltro! Quiinvece non è raro dover attendere il proprio turno prima dipartire su un tiro o di doversi trovare a superare cordate piùlente, o cosa ancora peggiore di doversi trovare davanti cor-date che pur essendo decisamente più lente non ti lascianosuperare o ancora vedere gente che fissa i tiri della via escala con la mini traction, passandoti sotto, sopra, in mezzo,mentre tu sei lì che stai cercando di scalare, magari daprimo. Insomma, diciamo che non è mancato qualche momen-to "di sclero", come quando, dopo essere scesi dalla via perchéuna cordata non ci lasciava superare, ho gettato le scarpette

direttamente nel fiume! Quel giorno mi sono ripromesso dimandare a quel paese la via e scalare su cose meno frequen-tate.Il secondo motivo di fallimento è stata fondamentalmente laancor poca dimestichezza con le off-width. Un tiro come laMonster Offwidth, anche se dato solo 6b+, non è un tiro dovehai una seconda possibilità (se non sei ben abituato al tipo discalata). Sono 55 metri di fessura larga come il camalot nr.6,perfettamente verticale. Per chi sale con la giusta tecnica, sem-plicemente un 6b+ un po' faticoso e raglioso, ma se sbagliqualcosa ed inizi a tirare come un pazzo il tiro si trasforma inun'odissea!Un po' come è capitato a me la prima volta, dove dopo esserearrivato a circa metà tiro o poco più, mi sono appeso per sfini-mento e trascinato fino alla fine in qualche modo.E così ci siamo presi 5 giorni di pausa, abbiamo salito la classi-

ca Astroman, fatto un po' di pratica con le off-width e ci siamorilassati un po' in falesia, il giorno prima della salita poi siamoandati a San Francisco a prendere il nostro amico fotografoPietro Bagnara. Beh Pietro (in arte “Pepe”) ci ha portato fortu-na, non so se il suo cattivo alito o il fatto che non ci lavavamoda un po’ di giorni ha tenuto le altre cordate lontane da noiquesta volta!Tornati su Free Rider stavolta tutto va per il verso giusto.Programmiamo di salire la via in 3 giorni, per avere un po' dimargine di tempo per riprovare qualche tiro in libera, ma alle17.30 del secondo giorno siamo già in cima alla via. Saliamo lavia per lo più a comando alternato, salgo però da primo tutti itiri più duri di 5.12 e la maggior parte dei 5.11. I tiri chiave delFree Blast e l'Hollow Flake mi sembrano un po' meno scontro-si dell'ultima volta, la Monster Offwidth questa volta non mi daparticolari problemi, anche se la sale da primo David e ci ritro-

viamo alle 18 sull'incredibile bivacco di El Cap Spire! Il giornodopo tutto fila ancora di più per il verso giusto, dopo aver liqui-dato il Teflon Corner (tiro sulla carta più duro della via), salgoal primo tentativo mettendo le protezioni i due tiri dell'EnduroCorner, assolutamente non facili, ed anche il traverso. I tiri fina-li sono fisici ed impegnativi ma non presentano particolari pro-blemi.Quasi nessuna cordata sulla via questa volta. O meglio due cor-date che gentilmente ci hanno fatto passare e un'altra cordataveloce che tentava Capitan e Half Dome in libera in 24 ore cheovviamente abbiamo fatto passare noi...Una grande differenza rispetto alle volte precedenti.Dopo Free Rider arriva un po' di brutto tempo, ne approfittia-mo per un po' di riposo e per farci un giro per la California, sca-lando a Jailhouse con Pepe. Dopo aver fatto le foto su FreeRider e riaccompagnato Pepe all'aeroporto di San Francisco

siamo pronti per il rush finale: ci restano ancora 7 giorni pienidi scalata ed il tempo e le condizioni sembrano perfette!Il primo obiettivo è l'Half Dome. Obiettivo che cambia ancoraprima di iniziare l'avvicinamento. Guarda caso perchè trovia-mo una cordata inglese che ci dice che anche loro sono direttisulla stessa via e ci sono già altre 3 cordate alla base (!).Poco male, abbiamo un piano B (che probabilmente è più figodel piano A), ovvero il Mount Watkins!Il Mount Watkins è, per quel che ne so io, la big wall più selvag-gia e meno frequentata di Yosemite. L'avvicinamento a piedinon è lungo, solo un paio di ore abbondanti, ma forse il fattoche non sia visibile dalla strada o dai campeggi attira meno sca-latori di El Capitan e Half Dome. Partiti a mezzogiorno arrivia-mo verso le 15 alla base della via, dopo aver salito anche lozoccolo, abbiamo il tempo di scalare già il primo tiro, primadi preparci ad un comodo bivacco.

*‘Sto Yosemite me lo hanno sempre venduto come un posto tosto, severo e come la patria della scalata in fessura...

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The story is simple: two Italian guys, thrown into granite ofYosemite, with the big dream of free climbing El Capitan! The 30th of September my mate David Bacci and I got into thevalley with the highest expectations of super steep and engagingbig wall crack climbing! The first sight of the enormous wall of ElCapitan certainly didn’t disappoint us. I’m quite used to big wallclimbing in the Alps but still I had never seen before such a steepand compact wall so vertical and overhanging for all its height.Well, climbing El Capitan has been a personal dream since manyyears, I believe it’s such a common dreams among big wallclimbers. In truth not since too many years, the desire was born,more or less, when I discovered something new for me, known as“crack climbing” in Cadarese (Italy), but during the last 4 years Ikept postponing a trip to the legendary Yosemite valley for somereason or another. I reckon it was probably a good thing that I did-n't come here immediately.... also because, in my dream I notonly wanted to climb El Capitan, I also wanted to free climb it fromstart to finish!When we first got into the valley it was really hot, but we weresuper siked! We spent a few days cragging and trying to get usedto the rock and to the climbing and as soon as the temperaturegot a bit lower we took off for El Cap. Considering it was our firsttime there and considering that cracks rated 6c or 7a already feltpretty hard, we set our goal on the classic and easiest way to freeclimb El Cap, the route “Free rider”. Free rider is basically a vari-ation of the more famous Salathè route, opened in 1998 byAlexander and Thomas Huber, which avoids the headwall of theSalathè with a logical system of cracks on its left.The 5th of October we begin our first attempt on the route, weplan to spend 3 days on the wall. We’re at the base of the routethat it is still dark and we wait a few minutes for the first light tostart…So I start preparing the haul bag, taping my hands andclipping all the cams and the rest of the gear to my harness, whenI notice that something is missing…

The rope! Oh my god, we forgot the rope in the car! Ohno…luckily the car is close so that David runs back and takethem.First time it happens something like that to me and we discoveredthe rule “forgetting the rope in the car ? bad omen”, and in factmy mind was burned and when we got to the hard pitches of thefree blast for some reason I was climbing really badly and wedecided to rappel down and come back the following day!So, after this false start the next day we’re back there and I imme-diately notice that things are going much better. In fact, this timewithout forgetting anything, I can easily hike up on the very sameslabs where the day before my legs were shaking and we climbswapped leading quite quickly the first 13th pitches until the“Hollow flake”. There I spend a few time to understand what Ihave to do for free climbing that part: in the end I find the wayfor doing the crazy 30 meters downclimb and then going backup for about 40 or 50 meters to the belay (you can avoid thiswith a pendulum but it’s not free climbing anymore then). Whilethe downclimb rated 5.11d was not too hard the upclimb ratedonly 5.8 and unprotectable was definitely scary!It’s 4 o’clock when we reach the hollow flake ledge but we decideto stop there, since there are already a few rope parties on thefollowing pitch and no other good bivy spots for another 5-6pitches.The next day, we wake up with the first light and reach quitequickly the infamous Monster Offwidth. We wait a while for ourturn on the crack and when it’s free I start. The initial and, on thechart, hardest part of the pitch is an 11d traverse to reach thecrack, which goes free with no problem, but as soon as I get intothe crack my troubles start. This pitch is basically a 20 or 25 cmwide crack which goes up perfectly straight for 50 meters, with afew resting point. I discover soon that a good technique here isfundamental and that any mistake can result in a heinous effort.I start struggling my way up on the crack, but I soon realize that

I’m doing something wrong despite I cannot understand what.After maybe half an hour of fight and pain I get to a bit morethan a half of the pitch and give up! I’m just exhausted, my bodyis exhausted and my hearth is beating so fast that I just leavemyself hanging on the #6 cam.The real problem is that I’ve spent so much energy here that I’mcompletely out of the game for the rest of the day. Due to thisand to some other people in front of us we climb just another 4pitches until the boulder problem and we decide to spend thenight bivying on El Cap spire, where we meet the humble andstrong British climbers Dan McManus and Calum Musket.I wake up the third day on the wall that I feel as if somebody hasbroken my bones during the night, I feel the pain within somemuscles I didn’t even know I had. We quickly realize that we’veno chance of getting to the top of the route free climbing every-thing this time, so now the new plan is to try to study the remain-ing pitches for another push later in the trip. We get to the boul-der pitch, the hardest of the route. It is rated 5.13a and it feelsvery hard to me, especially that final last move, I don’t reallyknow how to do it. David discovered a very scenic and unusualsolution: a four point sidewards dyno!! He’s having a lot of funin trying it and he finally manage to get it…As for me, I’m so discouraged because the dyno feels just impos-sible and after a while I decide to give a look to the alternativeto the boulder pitch, the infamous slick “Teflon corner”. A shortcorner with both sides totally blank which has to be climbed all instemming with the palms of the hands. Luckily this one felt mucheasier to me than the boulder pitch and after 10 minutes of studyI’m able to link it all together on toprope. Knowing that I canclimb up on this variation I feel much relieved!On that day we climb another two pitches and then we decide torappel down to the ground, we’ve run out of water and food andwe’re so exhausted from the previous day as well. Too bad thatwe couldn’t reach the summit, but we knew that climbing on El

Cap was going to be tough… Therefore after a rest day, wedecide to hike up to the top of El Cap and rap down into the routeto the point we previously reached, and then climb up to the top.So we do. And respecting our plan at 9 a.m. we’re again at thebase of the Enduro Corner, two stamina pitches rated 12.b eachthat can be linked together to a single 60 meters 12.d.It didn’t really surprise me that both the single pitches felt veryhard for the grade. In the Alps I usually onsight that difficulty orin any case climb it pretty easily, but in this part of the world Ilearned that it is so different! The grade conversion table simplydoesn’t work…So I try to look for some beta, despite this cor-ner with a crack inside looks always the same, and it’s so easy tofind yourself always with hands and feet in different places. Aftera brief study we decide to move on, since there are some otherrope parties aid climbing on the route and some other peopleworking on the same route on solo with mini-traction…quite abig mess!In late afternoon we reach again the top of El Cap, but the resultof the day is not very satisfying: we couldn’t really study well thepitches, and just by climbing them once they were also feelingpretty tough! All of them…but we hoped that the bad feelingwas maybe due to the heat of the day and to a bit of fatigue ofthe previous days.Eventually we decide to take a proper rest period (two days) andstart for a serious second attempt ground up. As usual we’re atthe start of the Salathè still in the dark, but this time there areanother two people ready to start that got there just a few min-utes before us…Ok, no problem, let’s see how they do on the first pitch, I say toDavid.Unfortunately we realize that they are not trying to beat anyspeed record, and after 30 minutes of aid climbing one of themfinally gets to the first belay, 30 meters above the ground. Seeinghow things are going we communicate them our plans and ask ifwe can pass…None of them really answer my question, so afteranother 40 minutes of waiting, I tell them that I am going to linkthe first two pitches so that I can overcome without too much dis-turb and time waste.Well, the leader, who was hauling the bags when he heard my

intentions, without saying anything, suddenly just left the bagshalf way and start climbing self belayed on the following pitch, inorder to not let me pass…It was definitely a clear message forus and since we didn’t want to discuss anymore or wait in line for-ever, the only solution we had was to bail down and try againanother time! Epic fail.That day I was overwhelmed by the rage, I was so pissed that Iwanted to go back home and don’t climb on El Capitan anymore.Fortunately David managed to keep control of the situation andof myself. He wisely suggested that we needed to take a breakfrom El Capitan. So we spent four days chilling in the valley, resting and practic-ing our crack technique, especially in wide cracks. I accepted that,what happened last time was only due to bad luck and I remem-bered to myself that I was already so lucky since I was in this fan-tastic place, with a good friend and I was doing exactly what Iwanted to do. It took a while but after a few days the rage dis-appeared and I remembered that climbing is just cool and thatlife is good. Eventually we went to pick up our friend and pho-tographer Pepe in San Francisco.Now, with Pepe’s support we were feeling ready again for anoth-er try!Not thinking to the last time, our tactic is still simple andunchanged: climb the Free Rider in three days, redpointing everypitch. This time, Pepe, brings us some luck (or maybe he had justeaten garlic): we get to the start and nobody is there, we don’tfind any other rope party on the Free Blast, so that the first 13pitches flow really well in about 3 hours. The first obstacle in mymind is the hollow flake, but this time the offwidth part feelsmuch better, thanks also to some appropriate climbing shoes forcrack climbing, the mythic TC Pros! Everything goes so smoothand eventually a couple of hours before the sunset we get to oneof the biggest challenges of the route: the Monster Offwidth. Thistime David wants to lead it, this time we know what is expectingus, this time I wear the right shoes, this time I think I know whatI’ve to do with my feet. Still everything looks so scary. We takea proper rest and drink some water, the sun is quite low in thesky now and there is a fresh breeze, conditions are perfect! Davidtakes off. Little by little he goes up, apparently without much

effort, only in the last part I see him suffering a bit…but anoth-er 5 minutes and he’s at the top! Great job David!!It’s my turn. 1 stay calm. 2 Breathe. 3 Remember how to useyour feet. These things are all what is in my mind. After this, Idon’t know whether I took 2 minutes or 2 hours, but I somehowfound myself at the belay just before it was getting dark.Yeahhhh! A super comfy bivy at the spire is waiting for us…With the highest hopes the following day we start climbing still inthe dark. The plan is to get to the Teflon Corner with the shadeand, after an hour, so we do. With the cool temperature, and agood trust in smearing the sole of my shoes I don’t take too muchtime to climb the slick Teflon corner.Then the last real filter: the enduro corner. As we get to this partof the route in the sun, another rope party trying to link up infree climbing El Capitan and Half Dome in a day, is giving up itsattempt just in front of us, saying that the temperature is too hotfor free climbing. That’s definitely a bad omen. But neverthelessDavid and I are super siked and at the moment I’m feeling soconfident that I really want to try.Thus I start on the first pitch, remembering really little since lasttime, a mixture of jamming, pulling and trust in the friction of thefeet is probably the best beta here. I can successfully free climbwith some good effort both the first and the second pitch on thecorner separately at my first try, placing all the gear. Strangelythis is the moment when I feel myself stronger than any otherinstant in this trip! Good omen…Free climbing the rest of the route then is just a little more thana formality. And even though we start to feel the tiredness, wereach the top of El Capitan before 5pm!We enjoy a perfect sunset at the top of El Cap, and a dinner infront of the fire, with plenty of food and water, since we took oneday less than the three which were originally planned.Another goal is achieved and another personal dream is realized!The pleasant feeling of satisfaction stays with me for the wholetrip…Just the time to get down from El Capitan and celebrate alittle with my friend Tommy Caldwell and we’re back on the rock.We spend the rest of our time repeating the most classic routes allover the valley…Yosemite is a special place and I’m alreadylooking forward to going back!

FREE RIDER ALL FREE BY MATTEO DELLA BORDELLA

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Non si vede nessuno in giro, nessuna strada, l'ambiente qui èdavvero così naturale e così diverso rispetto al resto dellavalle di Yosemite.Programmiamo di salire la via (20 tiri) in 2 giorni con bivac-co in parete, ma ancora una volta alla sera del primo giornosiamo in cima. Le cose da ricordare di questa salita, oltre auna natura stupenda sono:- la roccia iper scivolosa: ancora più scivolosa di El Capitan!Completamente levigata dai ghiacciai e tavolta quasi"vetrata".- il traverso dove - se avete presente un famoso trailer suinternet - a Honnold scivola un piede e poi riesce comunquead agganciare lo spit con la daisy chain. Decisamente unpasso "danger", per me anche con la corda e un friend 2 metri

più in basso, non voglio immaginare senza niente!- Gli incredibili tiri finali in fessura da mano-pugno, perfetta-mente continui e verticali.Fatto il Watkins ci mancherebbe la vera classica di Yosemite,la big wall più famosa del mondo, ovvero il Nose!Nonostante qui a Yosemite tutti abbiano sta fissa del "Nose ina day" e ci suggeriscano di salire la via in un giorno, noi vistele giornate corte, decidiamo che vogliamo scalare solo duran-te il giorno e non di notte e programmiamo la via in 2 giornicon un bivacco in parete.Dopo aver salito la via posso confermare che il Nose meritasenza dubbio tutta la sua fama e la sua popolarità: è una sali-ta eccezionale, che segue un sistema di diverse fessure lungopraticamente tutti i 1000 metri di El Cap. La maggior parte

della via è su difficoltà contenute, 5.9, 5.10 o 5.11 ed è moltoscalabile in libera. Ci sono tantissime fessure da mano e tiridove devi praticamente nuotare, incastrando una manodavanti all'altra per decine e decine di metri. Capisco ancheperfettamente il perché dei record di velocità su questa via.Se anche a me dicessero che devo provare a salire una via invelocità sceglierei il Nose. L'arrampicata è così rettilinea edintuitiva, inoltre in tutti i punti tecnicamente troppo difficili c'èlo spit o si può comunque salire in artif...Nonostante la via sia molto scalabile e noi abbiamo provatoa scalare in libera il più possibile, i due tiri del Great Roof edel Changing Corners sembrano allucinanti! Beh, io non honemmeno provato a fare i passi in libera, però, se con tuttala gente che è passata di lì, solo Tommy Caldwell e Lynn Hill

hanno salito la via in libera, beh ancora una volta... un moti-vo ci sarà! E qui, una volta in cima al Nose, pensiamo già che la nostravacanza sia finita e ci avviamo con tranquillità giù da El Cap,con la mente già verso San francisco e poi l'Italia. Siamo giàoltre metà discesa quando incontriamo Tommy Caldwell eJonathan Siegrist che con un amico salgono sullo stesso sen-tiero. Ci dicono che stanno andando a fare il "porch swing"che lì per lì mi viene venduto come una "specie di pendolo"dalla cima di El Capitan. Io e David non è che morissimo dallavoglia di ritornare fino su là, “Però beh dai, alla fine nonabbiamo nulla da fare, cosa vuoi che sia un'oretta e mezzaa piedi in salita?!?” Poi "anche ‘sto Porch swing cosa vuoi chesia - penso tra me e me - sarà il solito pendolo".

Torniamo quindi in cima a El Cap, dove Tommy e Jonathanallestiscono tutto il sistema. Il primo a partire è Jonathan.Mi sporgo sul bordo del Capitan per vedere in cosa consistedavvero questa cosa e mi sale un gigantesco groppo in gola."Neanche con una pistola puntata alla tempia io faccio ‘stoPorch swing!" esclamo. Altro che pendolo. Sono 55 metri dicaduta libera nel vuoto, legato a due corde!!! Una "sdange-rata" vera e propria.In pratica il sistema funziona in questo modo. Si legano i capidelle due corde a una sosta in cima a El Cap. Il malcapitatoche si deve lanciare si lega alle altre estremità delle corde. Cisi sposta di una quindicina di metri di lato lungo il bordodella parete. E ci si cala con un grigri lungo uno spezzone dicorda per circa 5 metri. Finché lo spezzone finisce e si preci-

pita nel vuoto... Per 55 metri appunto, ovvero quasi tutta lalunghezza delle corde.A vedere Jonathan poi Ian e poi David mi tremano le gambeal solo pensiero! Però poi, sono lì solo in quel momento, èun'occasione unica e mi convinco che devo provare.Mentre mi sto calando dalla corda ripeto 100 volte "chi melo ha fatto fare" prima di convincermi ad aprire la leva delgrigri per scivolare lungo quell'ultimo metro e a prendere ilvolo!!! Vi posso assicurare che è tutto molto più emozionanteed adrenalinico di come io ve lo abbia raccontato a parole.Così si conclude per davvero la nostra vacanza.La mente viaggia già verso altre vie su El Capitan per unritorno e su un Porch swing molto più lungo...(Questa seconda affermazione è assolutamente falsa!+!!)

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P E R D I D O S E N E L M U N D OTESTO SIMONE PEDEFERRI / FOTO DI MIRKO MASÈ, LORENZO LANFRANCHI, SIMONE PEDEFERRI

Capitolo primo: Ritorno al CochamòTornare dopo dieci anni nella Valle di Cochamò mi inquietavaparecchio, perché in quei luoghi avevo vissuto uno deimomenti più belli del mio gironzolare per le pareti delmondo. L’idea di rovinare per qualche motivo quel ricordo midava fastidio…Una volta arrivati in valle i cambiamenti si mostrarono subitoin tutta la loro evidenza: numerosi turisti camminavano nellavalle, il campeggio era diventato molto grande e super affol-lato e un rifugio con tutte le comodità (birra!) rendeva illuogo più addomesticato. Il contrasto con il luogo selvaggioche avevo lasciato dieci anni prima mi creò subito un po’ dinervosismo… probabilmente però è giusto anche così!La nostra idea, fin dall'inizio, era di aprire una via nuovanella valle Anfiteatro sulla parete Walvalun.

Daniel, il climber americano che gestisce il camping e il rifu-gio, ci disse subito che il sentiero di accesso era stato miglio-rato e quindi l'avvicinamento ora risultava molto più veloce.In queste condizioni, pensai, su una parete del genere tutte lelinee possibili saranno ormai state addomesticate… c’era ilrischio che il nostro programma potesse mutare radicalmente!Il 31 di gennaio portiamo un po’ scettici il materiale alla basee scopriamo che in verità la parete Walvalun, la più bella dellavalle, non era stata superata se non lungo la via classica.Osserviamo la parete e troviamo una via veramente immagi-nifica, da sognatori! Scendiamo a valle per poi risalire con ilsecondo carico. Dal 2 al 6 gennaio saliamo questa parete, prima gironzolan-do tra placche incredibili e lame verticali, poi arrivando aduna cengia perfetta, dove trascorriamo 2 bivacchi in parete.

La seconda parte prosegue su un pilastro di color rosso chefarebbe invidia al Gran Capucin. In 5 giorni, in perfetto stile,apriamo la via e la liberiamo contemporaneamente quandoi tiri non vengono saliti a vista. Tutti e 5 giochiamo e ci diver-tiamo in parete ed e stato fantastico arrivare tutti insieme incima a questo monolite, in un puro divertimento sudameri-cano scanzonati e felici.Penso che questa linea sia veramente eccezionale, una gran-de bigwall in libera, non avrei mai pensato di realizzare unavia cosi bella di quasi 900 metri per 23 tiri che arrivano finoal 7b+.Discendiamo la valle sotto un acqua torrenziale. Ma ormainon importa, perché il sogno di scalare in libera una grandeparete si è realizzato pienamente e il mio ricordo delCochamò è salvo!

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Capitolo secondo: perdidos en la PampaDopo quattro giorni di acqua ininterrotta e pessime previsioniper quelli a venire, decidemmo di abbandonare la valle delCochamò, tornare a Puort Mont per salutare Pala che rientra-va a casa.Eravamo partiti per la seconda parte del viaggio con destina-zione Piedra Parada, non più in Cile, ma in Argentina, dove,con tutta la mia motivazione, sognavo di salire questo mono-lite immerso nella pampa argentina. La foto che avevo vistodi questa roccia su di una rivista era troppo affascinanti peruno scalatore randagio! Dovevo salirla!Arrivammo nella notte, dopo aver investito una lepre cheaveva danneggiato il muso della nostra macchina, suscitandoun cattivo presagio… Al mattino la sagoma della PiedraParada era davanti a noi: il posto era uno dei più magici cheavessi mai visto e tutto ciò accese in tutti una voglia irrefrena-bile di scalare.La via su cui volevo salire era chiara fin dall'inizio: Cocholateprofundo, una linea impegnativa, che arriva fino all’8a pernove tiri (7c,8a,7a+,7c+,7a,6b,7c,6a,4) in 240 metri.La relazione era tranquillizzante: riportava “via ben protettae molto strapiombante”. Ma ora che mi trovavo aggrappato a100 metri dal suolo, sull'ennesimo blocco instabile, la miadeterminazione cominciava a vacillare… Zaffa, che miaccompagnava (e avrebbe preferito essere altrove...), miguardava un po’ sconsolato, perché il masso era proprio sopradi lui anche questa volta…In effetti tutto mi aspettavo tranne una via con qualità così"pessime": i primi due tiri potevano essere accettabili, anchese la chiodatura "bizzarra" non aiutava, ma dal secondo tirola roccia era veramente ballerina e friabile. La mia gioia nelvedere la Piedra Parada da lontano non mi aveva fatto por-tare nemmeno il casco, tutto ciò aumentava il cattivo pre-sagio…Dopo una dura lotta arrivammo (meno male!) al settimo tiro,la ciliegina della via: un tiro veramente aereo e spettacolareche ripaga un po’ gli spaventi presi sotto.Credo che nel complesso la via in sé, anche se l'ho scalatacompletamente in libera, non sia stata una grande esperien-za e un’immensa gioia, ma quello che cercavo l'ho trovatougualmente: un monolite stupendo dall'altra parte delmondo, in un luogo magico e remoto, dove condividere suuna cengia un momento fantastico con Zaffa e ritrovarsi aridere perché nessun sasso ci ha colpito, godendoci il panora-ma da quell'altezza e la gioia nel mio compagno, prima per-plesso e ora felice di trovarsi su quel piccolo balcone sospeso.Questo probabilmente è stato il vero senso e il ricordo di quel-la salita. Nei giorni successivi abbiamo scalato nel canonBuitrera, un luogo unico nel suo genere, con roccia vulcanicae diversi settori nel suo interno. Sono stati giorni di arrampi-cata stupenda, scalando vie di qualità eccezionale fino all'8a+e qualche progetto.Le conclusioni di un’avventura non sono mai facili da tirare eil sapore di un’esperienza come questa necessita di tempoper essere compresa. Abbiamo viaggiato per 35 giorni in SudAmerica tra le pareti, salendo una bigwall fantastica per unanuova via, tutta in libera, per poi spostarci di 800 km e sali-re la Piedra Parada, uno dei monoliti più belli che io abbiamai visto. Poi ancora scalate nel canon Buitrera su strutturemagiche e una arrampicata veloce a Bariloche, il tutto condi-to da momenti unici con i miei compagni ( Mirko, Pala,Mattia, Zaffa o Saffa come lo chiamano gli argentini chesignifica "l'ho scampata").Credo che il mio modo di vivere il verticale in questo viaggiosi sia arricchito. Visitare posti nuovi e farsi trasportare dallesensazioni e dalla spontaneità, come faceva Paul Priciard, èsempre stato il mio modo preferito di vivere queste avventu-re e il risultato sono state tante vie difficili ed emozionanti inun lungo viaggio on the road. Di più non potevo sperare!

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First chapter: Back to CochamoTI was quite worried to go back to Cochamò after 10 years, I hadspent a fantastic time looking around for cliffs and I was afraidof somehow ruining these great memories. Just as our Alps andEl chalten also Cochamo had undergone some changes. Many tourist were hiking in the valley, the camping was muchbigger and super crowded and a rifugio with all sorts of com-modities (beer) made this place more domesticated.This made me quite upset remembering the pristine wildernessof the place, but probably it’s also right like that.From the start, our idea was to open a new line in AmphitheaterValley on the Walvalun wall.However, Daniel, the American climber that manages the barand rifugio, tells us that the approach trail had been improvedand that it took much less to get to the wall. This got me worriet that on such a wall all the possible lines hadbeen climbed and that our plans could be derailed.A little skeptically, on the 31st of January we brought all thegear for opening at the base of the wall. Luckily we found outthat the Walvalun wall, the most beautiful of the valley, hadbeen climbed only by the classical route.While scooping the wall from the base, we found a great look-ing line, a dreamer’s line. We immediately got to the wall withall our gear.It took us from the 2nd to the 6th of January to open the route,on the first part we wandered on incredible slabs and verticalflakes. We reached a perfect ledge where we spent 2 nights.After the ledge we continued into the second part with a red pil-lar that would envy the Gran Capucin. In 5 days, in perfect style,we open the route and when the pitches were not opened onsightwe redpoint them. All five of us played and had fun on the wall and it was fantas-tic to reach the summit of this route all together in perfect easy-going South American style, happy and unburdened. I think that this line is truly incredible, a great free climbing big-wall, I had never thought to be able to freeclimb such a niceroute of almost 900 meters for 23 pitches up to 7b+. We calledit Pendidos En El Mundo.We got out of the valley under a torrential rainstorm but it did-n’t matter because the dream of free climbing a bigwall is oursand the memory of Cochamò is safe.

PERDIDOS EN EL MUNDO BY SIMONE PEDEFERRI

Second chapter: Perdidos en la pampaAfter four days of uninterrupted raining and the unfavorableweather forecast, we decided to leave Cochamò valley. We wentback to Puort Mont in order to say goodbye to Pala who wasreturning home. From Puort Mont we continued with two moredays of travelling. We continued into the second part on our journey, we left Chilefor Argentina, this time headed towards Pietra Parada. I wasrealIy motivated to climb this amazing monolith in the middle ofthe Argentinian pampas. The pictures that I had seen on a mag-azine were too fascinating for a vagabond climber like myself!I had to climb it! We arrived late at night, after an accident with a hare whichdamaged the front of the car which we thought it would be a badomen for the next days. However, in the morning, we saw theoutline of Pietra Parada in front of us. It was one of the mostmagical places that I had ever seen, which gave me an unstop-pable desire to climb. It was clear from the start that the route that I wanted to climbwas Cocholate Profunda, a route up to 8a with nine pitches(7c,8a,7a+,7c+,7a,6b,7c,6a,4) in 240 meters.The guidebook stated that the route was well protected and veryoverhanging! But now that I’m holding an unstable block 100meters above the ground my determination starts to waver…Zaffa, who is my climbing partner (and now wants to run away),looks at me disheartened because the block is right above himthis time.Actually I hadn’t expected a route with such bad rock quality:the first two pitches could be considered acceptable, even if thebolting was quite odd , but from the second pitch onwards therock was really unstable and crumbly. I did not even take myhelmet from the joy of seeing Pietra Parada from far.After a hard fight, thankfully, we reached the seventh pitchwhich was a one of the top pitches of the route, an incrediblyairy and spectacular pitch that repaid a little the fear that hadcost us the first part of the route. I believe that the route, even if I climbed it completely free, had-n’t been a great experience and a great joy, but I found what Iwas looking for anyway: a fantastic monolith on the other sideof the world, in a magical and remote place. On the ledge meand Zaffa shared some great moments, laughing from the factthat we had been spared by falling rock, enjoying the view fromthat height, and the happiness in seeing my partner first puzzledand then happy to be on that suspended balcony. This was prob-ably the true meaning and memory of that climb. During the following days we climbed in the Canon Buitrera, aunique place in its category, with volcanic rock and several sec-tors. We spend some great climbing days on routes of exception-al quality up to 8a+ and some projects. It’s hard to draw a conclusion from this adventure, and the tasteof experiences like this needs time to be fully understood. Wetravelled for 35 days in South America, among cliffs, free climb-ing a fantastic bigwall in the Cochamò valley. We travelled800kms to climb Pietra Parada, one of the most beautifulmonoliths that I’ve ever seen. We continued in Canon Buitreraon magical structures and made a quick climbing stop inBariloche. During this trip I shared some great and uniquemoments with my companions. ( Mirk, Pala, Mattia, Zaffa orSaffa how Argentinians called him and means “I survived”).I believe that my way of living the vertical in this trip wasmade richer by visiting places and letting myself be carried byfeelings and spontaneity, just like Paul Pritchard. This hasalways been my favorite way to live these adventures and hasresulted in many hard and exciting routes. I couldn’t haveasked for more!

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B A S T O N L A B A F F ETESTO FABIO PALMA / FOTO DI FABIO PALMA, MATTEO DELLA BORDELLA

Ore 8.20, arriva il pullman. L'inglese e la sua compagnaspagnola ci hanno appena detto che andranno a fare la

classica, un bivacco previsto e ritorno di 4 o più ore per il ghiac-ciaio sommitale. Poiché fissiamo le loro calzature un po' trop-po interrogativamente, l'inglese ci fa: “Oh sì, abbiamo questa(mostra una piccozza...) e un paio di ramponi, ne monteremouno a testa e l'altro saltellerà...”. Matteo tira su il sacco e...voilà, si rompe lo spallaccio. Panico, parolacce, concitazione,nodo improvvisato allo spallaccio , salita trafelata sul pullman.Mi guardo le mani ed esclamo, le corde! Mi giro ad occhi spa-lancati e l'inglese, con le nostre corde in mano, sorride. Ce leha raccolte lui ed un fatto è chiaro e lampante: entrambi pen-siamo che l'altro stia andando a farsi male...È noto che il nome di un oggetto ne influenza la fortuna media-tica, e Scheideggwetterhorn... beh, volete mettere Eiger eCivetta? Pareti Nord in tutti e tre i casi, ma quando superi ledieci lettere dovresti avere almeno un suono gentile per affa-scinare storici e salitori.Eppure, su questo mostro, Max Niedermann aprì nel 1954 unavia che qualunque storico dovrebbe inserire nelle Top aperturedi roccia europee del '900, affermazione che le mere cifre(VI+ A3 in due giorni) giustificano abbondantemente, ma chela visione diretta della parete legittima definitivamente. LoScheide-etc non è che mostri proprio linee logiche, come si dicein gergo alpinistico. In parecchi tratti va su dritto e impennatoe azzardarne un'apertura in quella data... very very compli-ments.Ci sono altre due linee agghiaccianti, sul nostro mostro: la viadei giapponesi (Takio e Kato, 1971. V+ A3. Si infila in postiallucinanti...) e la tortuosa e irripetuta via dei fratelli Coubal,1989, 53 lunghezze, 7a+ max dichiarato, nome: Trikolora.Auguri ai primi ripetitori...Baston la Baffe, invece, di lunghezze ne ha 34, e devo dire chel'ho approcciata poco professionalmente. 35 minuti di avvici-namento, due bivacchi previsti giudicati comodi e molto pano-ramici, tratti di roccia sontuosa alternati a collegamenti che,guardando la relazione, mi dicevo, ok, questi si fanno in 10minuti tra tutti e due. Lo zero termico, poi, croce e delizia esti-va di ogni appassionato, recitava tra 4000 e 3800, ed essen-do la quota finale 3200... va beh: piumino e Guscio proshellper il bivacco e qualche assicurazione in alto, niente di che. Lavera sfida, mi dicevo, è fare in libera qualche tiro in alto dimo-strando resistenza e autocontrollo, neanche poi così tanto, midicevo, visto che l'unica via che avevamo ripetuto io e Matteodei fratelli Zambetti, al Wenden, aveva sciorinato un 6b sca-broso e il resto normale amministrazione.Non sapevo molte cose, però, ed eccone una lista stringata edautoesplicativa:1) Lo Scheideggwetterhorn ha sì tre muri meravigliosi da farinvidia al 99% delle falesie del pianeta, ma anche una serie diparti di roccia immonda che definire pericolosa anche con chio-do o spit alle ascelle non rende neppure tanto bene2) I fratelli, forse influenzati per la lunghissima apertura (8anni...), probabilmente entrati in un viziosissimo circolo adre-nalinico, si sono esaltati, e non poco, con run-out e “vai e incro-cia le dita” proprio su quelle lunghezze marce e pericolose chesolo a vederle, credetemi, facevano accapponare la pelle. Robache in doppia ho più volte pensato: Dio non farmi crollareaddosso quella roba.3) Zero termico: e perché non ho riflettuto sulle foto del sitodei fratellini, sempre e comunque imbacuccati manco fossero

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8.20 am, the bus stops. The British and his Spanish partner justtold us they’re going to climb the classic route, one bivy on thewall and the descent passing through the glacier after havingreached the summit. Since we’re staring at their shoes, the Britsays, oh yes, we’ve got this one (showing an ice axe..) and apair of light crampons, we’re going to put one each, hoppingwith the other foot…Matteo lifts the haul bag and…voilà,the shoulder lace brakes. Panic, yelling, screaming and animprovised knot to the lace just in time to jump on the bus. Ilook into my hands and say: the ropes! I turn around and theBritish smiles at me with our ropes in his hands. He took themfrom the ground and it’s glaring the fact that we both think thesame: they have no idea of what they’re going to do…It is well known that the name of an object directly influencesits fortune among the media, and Scheideggwetterhorn...Come on son! How can you compare itwith Eiger and Civetta? All of them are huge North Faces, butwhen the name goes beyond 10 letters you should have atleast a gentle sound to catch the attention of climbers andmountaineers.Anyway on this Monster, Max Niedermann, in 1954 opened aroute which every historian should put in the top first ascenton the rock of the Twentieth Century, a statement largely con-firmed by the mere numbers (VI+ UIAA and A3 in 2 days), buttotally justified with a direct sight of the wall. TheScheideggwetterhorn, doesn’t offer many logical lines, as thealpinists love to say. In several parts it goes up straight andsteep, and opening a new route in those years was definitelya great hazard…hats off.There are another two frightening lines on our Monster: theJapanese route (Takio e Kato, 1971. V+ A3) and the windingand unrepeated route from the Coubal brothers, 1989, 53pitches, 7a+ max, name: Trikolora. Good luck to the firstrepeaters…

Baston la Baffe, however, has 34 pitches and I admit I took itnot very seriously. A 35 minutes approach and two plannedbivys, comfortable and scenic in my mind, parts with anamazing perfect rock and other easier parts, that lookinginto the topo I was thinking “ok we’ll take max 10 minutesto get over these…”. Finally the temperature, a mixedblessing for all the alpinists, the 0 degrees temperatureshould have been somewhere between the 4000 and the3800 meters; and being the final altitude of the route 3200meters, that let me thought that a light dawn jacket and theGore Tex Pro-shell would have been enough for the bivy. Thereal challenge, I was thinking, is to free climb some of theupper pitches, a proof of physical resistance and self-control,but not that much, I was expecting, since the only routeopened by the Zambetti brothers that we had repeated, inWenden, had a quite nasty 6b while the rest was nothingmore than the normal routine.I wasn’t aware of several things and here is a brief and self-explanatory summary:1) Scheideggwetterhorn has three awesome, stunningwalls, better than the 99% of the sport climbing crags on thisplanet, but it also has many parts of loose and chossy rock,that claiming them dangerous also with a peg or a bolt at theheight of the shoulders, doesn’t really describes the situa-tion.2) The Brothers (Zambetti), maybe influenced by the long-lasting opening saga (8 years…), probably entered in avicious adrenalinic circle, got hyper-psyched and climbedmany run-outs, where you’ve to keep your fingers crossed,right on that chossy and dangerous pitches, where I wasfrightened just by their sight.3) Zero degree temperature: why didn’t I ponder on thephotos which were on Zambetti’s website, always wrapped intheir duvets like they were on Ben Nevis? And why I didn’t

know that the route had already been repeated by SebastienRater and Dimitry Munoz, a pair of super-strong climberswith great experience in winter, who in the route-book at thetop wrote, very cold?4) The bivy: the strategy we planned was right, we get thefirst day to the 18th pitch, skipping the “official” 12th pitchbivy, there’s a ledge, there will be some room for bivy…inthis way the second day we don’t begin with the hard stuffand warm-up properly and…everything correct, a part forthe word “ledge” or “room for bivy”. Frankly speaking, Ikept on saying that on some international flight you cansleep even worse (a part for the temperature…)In short, 72 hours of passion altogether, 60 of them spentwith the dawn jacket and the pro-shell glued on my body,with a cold I had never experienced while climbing before,especially at the end of the second day; and the mocking sun(which theoretically should have come around 3pm) whocame only for a few instants at the top when we took thesummit photo…a real fight, while in my mind, with the fewblood left was rumbling the statement of the Zambetti broth-ers, “great challenge for a champion able to free climb thewhole route in one day”.Well, maybe David Lama, perhaps with a few more Celsiusdegrees. Who knows…I only congratulate with Matteo fortwo of the hardest pitches climbed onsight, a brilliant andengaging 7b+ and the mythic “Fissure Baston”, 60 meters at7b that you can’t imagine, a fight against the cold, placingthe gear and with the crux soaking wet. Congratulations tohim and, of course, to the above mentioned Zambetti broth-ers: opening on a big wall like this, in this style, it’s a matterof passion and heart but also of strong mind. Super hats off.During the descent, while waiting for the bus, I stared themonster and thought about many still virgin super lines, butnever ever, I told myself, we could try to open up there…

BASTON LA BAFFE BY FABIO PALMA

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sul Ben Nevis? E perché non si sapeva che la via era già stataripetuta da Sebastien Rater e Dimitry Munoz, due fortissimi eper giunta esperti anche di invernali, che nel libro firma hannoanche scritto, “molto freddo”?4) Bivacco: giusta la strategia adottata, arriviamo il primogiorno a L18, saltando il bivacco ufficiale di L12, c'è una cen-gia, uno spiazzo ci sarà... così il secondo giorno non partiamosubito con difficoltà elevate, ci scaldiamo meglio e... tutto oquasi giusto, tranne la parola spiazzo. Per essere chiari, conti-nuavo a ripetermi che comunque nei voli intercontinentali sidorme anche peggio (temperatura a parte...).Insomma, 72 ore di passione complessive, 60 delle quali tra-scorse con piumino e guscio stretti e benedetti, con un freddomai provato, in scalata, soprattutto alla fine del secondo gior-no, e il beffardissimo sole (sulla carta presente dalle 15...)arrivato solo e solamente durante la foto finale, in cima... una

vera e propria lotta, mentre in testa, col poco sangue che cir-colava fra i pensieri, mi rimbombava l'affermazione degliZambetti, “grande sfida per un fuoriclasse capace di salire inRP in giornata”.Boh, forse David Lama, magari con qualche grado in più.Chissà... io mi limito a complimentarmi con Matteo per duelunghezze difficili salite onsight, un 7b+ stupendo e psicologi-co e la fessura baston, 60 metri di 7b che non potete avereidea, storia di lotta col freddo, col posizionamento friend, colchiave freddo e bagnato. Complimenti a lui e ovviamente aigià più volte citati Zambetti: aprire su una parete così, nellostile che hanno dimostrato, è questione di tanto cuore e tantatesta. Stra-giù il cappello. In discesa e aspettando il pulman diritorno guardavo il mostro e pensavo alle molte super lineeapribili, e mai e poi mai mi sono detto, potremmo provareper di là...

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L E T Z T E A U S F A H R T T I T L I STESTO MATTEO DELLA BORDELLA / FOTO DI MATTEO DELLA BORDELLA, DAVID BACCI

Tra me e il Titlis è stato amore a prima vista. In 15 anni diattività alpinistica qualche parete sull'arco alpino l'ho vista

e pensavo di essere stato già anche in tanti posti belli, ma ilTitlis, il suo spigolo Est... Wow! È stata una di quelle sorpreseche ti lasciano a bocca aperta.È incredibile come sei a due passi dal Engelberg e dal Wenden,eppure qui l'ambiente è così alpino e selvaggio e per un atti-mo hai la sensazione di essere fuori dal mondo. In fondo arri-vare all'attacco della via è poco più di una passeggiata di salu-te, ma forse è anche la vicinanza del bivacco Grassen a ren-dere questo posto a me così gradito.Al bivacco non manca nulla e non ho mai trovato nessuno. Èun po' la baita in montagna che non ho mai avuto! Arrivi, tisistemi con calma, accendi il fuoco per la stufa, sciogli la neveper l'acqua, fai da mangiare, paghi la tariffa del bivacco (eheh...) e, se hai i soldi, per 25 franchi ti scoli anche una buonabottiglia di vino (purtroppo non è stato il nostro caso). Il tuttocon l'affilato spigolo Est del Titlis lì di fronte che ti guarda eche si infiamma di rosso alle prime luci dell'alba - e questa èpoesia ragazzi... :-)E guarda caso in un posto così speciale c'è una via aperta daun'alpinista che è per me da anni modello e fonte di ispirazio-ne, per quello che ha fatto e che continua a fare, e per la suafilosofia di andare per montagne: Stephan Glowacz.Stephan Glowacz nel 2004 ha aperto con M. Dorflleitner, sullaparete Est del Tilis la via "Letzte ausfahrt Titlis". Dopo le ripe-tizioni lo stesso anno ad opera delle cordate Ueli Steck + InesPapert e Matthias Trottmann + Pascal Siegrist, di questa viapersonalmente non ne ho sentito più parlare molto. Nel 2006è stata tentata da Adriano Carnati e Paolo Spreafico che nehanno percorsa più di metà prima di scendere.Ai primi di luglio dello scorso anno io e Luca Schiera ci mettia-mo in marcia da Engelberg e in circa 3 ore raggiungiamo ilGrassen Biwak, l'ambiente è grandioso e la camminata è ripi-da e piacevole. La parete è molto bagnata dalle nevicate deigiorni precedenti, ma noi siamo fiduciosi che la via di Glowacz,essendo molto vicina al filo dello spigolo, sarà asciutta. Lanostra fiducia è ripagata e il giorno successivo di buon’oraattacchiamo la via. Beh, la roccia, come dire, non è esatta-mente quella del vicino Wenden e soprattutto sui primi tiri nonmancano i tratti lozzi. Arriviamo in breve al tiro duro dellavia. Parto. Dopo un inizio un po' esposto ma non durissimo siinizia a fare sul serio. Il tiro mi sembra un bel bastone e perdoun bel po' ti tempo a studiare i movimenti. Mi pare comunqueduro e decido di non riprovarlo da primo, la via è ancoralunga e ci tengo ad arrivare in cima. Recupero Luca in sosta ementre lui si riposa un po' mi faccio calare e riprovo lasequenza chiave da secondo. Con mia sorpresa riesco a conca-tenarla... Dannazione! Forse avrei potuto fare il tiro anche daprimo, ma forse ho fatto bene così: la via è ancora lunga.Continuiamo per i tiri successivi, e qui inizia la parte con la roc-cia più bella della via, una serie di tiri di 40-50 metri di 7a e7b, decisamente alpini. Delle lunghezze fantastiche, tutteassolutamente impegnative da scalare a vista, tiri tipo quellidi Dingo al Wenden, per fare un paragone di continuità e chio-datura. Arriviamo in cima alle 5 di sera, e super soddisfattidella salita iniziamo una serie di doppie. Pernottiamo alGrassen Biwak prima di scendere il giorno successivo.Era chiaro, ovvio, limpido che su una via come questa volessitornare. Volevo tornare anche solo per l'ambiente grandiosoe per quei tiri finali tutti da scalare. Ma era altrettanto chiaro

che volevo tornare perché sentivo di poter salire questa viatutta in libera.E così la settimana successiva si riforma un team piuttosto con-solidato: David Bacci non ci mette molto a farsi convincere dallamia proposta Titlis e in un baleno ci ritroviamo nuovamente alGrassen Biwak. Ci svegliamo giovedì 26 luglio con una giorna-ta perfetta: cielo limpido e temperatura alta. Parto a scalarealle 7 di mattina a 2800 metri in pantaloncini corti e magliet-ta, scaldato dalle prime luci del sole che colpiscono direttamen-te la parete. Le sensazioni sono buone, mi sento bello fresco eriposato; arriviamo subito al tiro chiave. Temo di essere ancoraun po' freddo per il tentativo buono, ma comunque parto fidu-cioso. Passo il runout iniziale, continuo, una presa verticale misi sbriciola in mano poco dopo averla tirata - per fortuna che ilpasso l'ho fatto, penso io - arrivo al riposo e aggancio cordino,carrucola e secchiello allo spit alla ricerca della massima legge-rezza. Parto per il chiave, ci sono condizioni perfette: caldo eventilato e mi sembra che quelle tacche verticali siano incollatealle mie mani. A metà delle sequenza chiave inizio a sentire laghisa, un po' di incertezza, un movimento che non ricordobenissimo, per un attimo mi sento giù, ma mi riprendo, ancoradue tacche e agguanto la zanca rovescia che segna la fine delladifficoltà!Il resto della via potrebbe sembrare "ordinaria amministrazio-ne", ma occorre sempre fare attenzione su ‘sti tiri: la roccia, leprotezioni… Insomma per me una via "non è mai finita fin-ché... è finita!". Devo dire che stavolta il resto della via me losono proprio goduto: la seconda volta che fai i tiri è molto menostressante della prima e poi questa scalata aerea mai troppofacile e mai troppo difficile è davvero piacevole, su queste plac-che hai davvero "libertà di movimento" come dice l'amicoDade.Alle 15 siamo in cima ed abbiamo il tempo di salire fino allafine vera e propria del pilastro, goderci qualche raggio di solee l'ambiente spettacolare, prima di gettare le doppie e iniziarela lunga discesa questa volta verso casa.

Scheda tecnica:Letzte Ausfahrt TitlisS. Glowacz, M. Dorfleitner, 20048a+ (7b obbl.)13L 500 metriSalita in libera il 26-07-2012 da Matteo Della Bordella

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Between me and the Titlis it has been love at first sight. In 15 years of intense alpinistic activity I think I've seen manybeautiful spots, but the Titlis and its East edge...Wow! That wasa really nice and unexpected surprise. It's incredible to be so close to Engelberg and to Wendestock,but at the same time in such an alpine and wild environment;in this place you feel the sensation of being out of the world andyou can breathe the adventure. In the end the approach is justnothing more than a healthy walk, but maybe it's the nearGrassen Bivy which also makes this place so pleasant to me.In the bivy there's everything. It is basically the house in themountains that I've never had! You get there, light the fire-place, melt the snow to make water, cook the food, pay the feeof the hut and maybe also drink a bottle of red wine. Andeverything with the sharp Titlis East edge staring at you andlightens in red at the sunrise...And, exactly in this special place, there's a route opened by analpinist which since many years is for me a model and a sourceof inspiration, for what he's done, and for what he's still doingand especially for his "by fair means" philosophy. StephanGlowacz.After a first check on the route with Luca Schiera, where Iquickly studied the hard pitch before we fought our way to thetop, it was so clear to me that I wanted to come back. I wouldlike to go back only just for the awesome scenery and forthose final and airy pitches. But it was also clear that I wouldlike to go back because I wanted to free climb the whole route.So, I didn't take too much to convince David Bacci to come withme and in a while we're back to the Grassen bivy. We wake upthe 26th of July with a perfect day: clear sky and high temper-ature. I start climbing at 7 am at 2800 msl with shorts and t-shirt, warmed by the first rays of light which directly hit thewall. The feeling is good, I feel fresh and well rested, we get tothe crux pitch very quickly. I'm afraid of being still not warm

enough for a good attempt, but anyway I start climbing confi-dently. I go through the initial runout and keep going, asidepull crumbles into my hand while I'm pulling it - luckily Igot through the move, I think - I get to a good rest and hangtrail line, pulley and ATC there, in search of the maximumlightness. I go for the crux, the conditions are just perfect:warm and windy, it feels like those crimps are stuck in myhands. In the middle of the crux I start to feel the pump, somehesitation, a move which I cannot remember so well, for awhile I feel like I will fall, but I recover, another two crimps andfinally I get to the undercling which marks the end of the dif-ficult part!The rest of the route could be labeled as "ordinary administra-tion", but that would not be the truth! You always have to becareful on these routes and then "a route is never over....untilit's over!". I've to say that this time I really enjoyed the rest ofthe route: the second time you climb those long pitches is muchless stressful than the first, and then this airy climbing, nevertoo easy but never too hard is really pleasant, on these verticalslabs you really have "freedom of movement" as the friendDade says.At 3 pm we're at the end of the route, we have the time to goup until the real end of the pillar, relax for some minutes in thesun and enjoy the superb landscape, before abseiling down andstart the long descent home.

Technical info:Titlis East Edge (about 3200 msl)Letzte Ausfahrt TitlisS. Glowacz, M. Dorfleitner, 20048a+ (7b obbl.)13L 500 metersFree climbed with no falls or restings all on lead by Matteo DellaBordella the 26-07-2012

LETZTE AUSFAHRT TITLIS BY MATTEO DELLA BORDELLA

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A L E X A N N ATESTO MATTEO DELLA BORDELLA / FOTO DI MATTEO DELLA BORDELLA, GIACOMO NERI

Negli ultimi giorni del mese di agosto 2012 Matteo Della Bordella, accompagnato daGiacomo Neri, ha siglato la prima ripetizione di AlexAnna sulla Punta Penia in Marmolada.La via, aperta in più riprese da Rolando Larcher, raggiunge la vetta di punta Penia dopo800 metri di arrampicata su roccia a lunghi tratti fantastica, a buchi svasi in puro stileMarmolada e corre parallela alla “Larcher Vigiani”, tracciata nell’anno 2000 da RolandoLarcher e Roberto Vigiani. AlexAnna, a differenza della sua vicina, presenta una chiodaturapiù rarefatta, tant’è che su tutto il suo sviluppo, escludendo le soste, si contano solamente11 spit e 12 chiodi. Va da sé che è necessaria un’ottima capacità di utilizzo delle protezionimobili, anche su difficoltà elevate. Matteo ha salito la Via in due giorni bivaccando a metàparete ed è riuscito a salirla in libera. Il tiro più difficile vale 8a+ ed è stato superato RP alsecondo giro, così come alcuni tiri superiori che, pur essendo più facili come difficoltàhanno caratteristiche più "alpinistiche". Va sottolineata la scelta adottata da Matteo che hatrasportato un saccone contenente l’acqua ed il materiale per il bivacco: tale strategia risultamolto dispendiosa (soprattutto per i primi 10 tiri che si sviluppano su una parete abbastanzaarticolata ed appoggiata) tuttavia è stata ben ripagata dallo stile pulito con cui è stata portata a termine la salita.

Marmolada, parete Sud-Ovest. 750 metri, 11 spit e 12 chio-di (soste escluse). Rolando Larcher 2007-2010. Basta

questo per lasciar intendere che si tratti di una gran via.Dopo una “pausa riflessiva” nell’estate del 2011, passata pra-ticamente sempre in Svizzera, è tempo di tornare su quella cheforse per me è la più bella parete delle Alpi: la Marmolada.Alcuni dei miei più cari ricordi sono legati a questa parete comequando in occasione del mio ventunesimo compleanno, salii ingiornata e a vista la Via Attraverso il Pesce con mio padreFabio. Un vero e proprio sogno realizzato, per me e per miopadre, e indubbiamente uno dei ricordi più belli della mia vita.Ma non solo il Pesce, anche Fram, Fantasia, Tempi modernifurono per un verso o per l’altro grandi avventure, esperienzeche ti restano dentro.E adesso, agosto 2012, sono qui al bivacco Dal Bianco, conGiacomo Neri, in arte “Jacky”, pronto per l’ennesima grandeavventura. Dai numeri e dalle parole di Rolando, AlexAnna sipresenta come la via che sto cercando: in perfetto stile“Marmolada”, espressione che chi ha scalato su questa paretepuò capire cosa significhi.Immaginando l’impegno complessivo della via decidiamo diaffrontare la salita in due giorni, lo stesso Rolando mi disse che“in cengia ci stanno anche le tende degli scout” quindi perchésprecare questa bella occasione di passare una notte sotto lestelle?

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I primi 4 tiri della via sono facili e sappiamo che recuperareil saccone sarà un compito dispendioso. Tuttavia con qualchetrucchetto ci ritroviamo all’inizio vero e proprio di AlexAnnasenza aver speso troppe energie.Per Jacky è la prima volta in Marmolada, anzi la prima inDolomiti, anzi la prima su una big-wall, anzi la prima suroccia non solidissima dove occorre anche piazzare le prote-zioni. Apprezzo molto il fatto che mi abbia lasciato andareda primo su tutti i tiri dicendomi “Questa è la tua via!”, cosache da buon amico ho avuto modo di ricambiare qualche

giorno più tardi nella nostra vacanza. Le lunghezze fino allacengia di AlexAnna sono già impegnative e richiedonobuona esperienza nel piazzare le protezioni, ma come bel-lezza non sono nulla di speciale e sono il riscaldamento perla parte alta. Così a metà pomeriggio del primo giorno arri-viamo al tiro chiave: un 8a+ con una sezione iniziale diffi-cile, seguita da un faticoso traverso sotto un tetto e un’usci-ta più facile.Al primo giro non mi do molte chances di salire il tiro in libe-ra, ma dopo un “riposante pisolino” appeso all’imbrago

riparto e con mio grande stupore supero la sezione difficileindenne. Purtroppo non ho ben studiato il successivo traver-so sotto il tetto, ma ancora una volta grazie a qualche prov-videnziale incastro e ai friend lasciati posizionati dal giroprecedente ne vengo fuori con grande cattiveria. Arrivo insosta con un misto di stupore ed esaltazione per un risulta-to del tutto inaspettato!Dopo un caldo bivacco, per metà notte fuori dal sacco apelo, il giorno successivo ci aspetta il cuore della via. Miaccorgo subito che partire con due serie di friends attaccate

su un 7c ben impegnativo non è un buon riscaldamento! Madopo aver studiato i passaggi chiave del tiro e aver lasciatoin sosta buona parte del peso, il secondo giro per salire inlibera il tiro qui è poco più di una formalità. Ma signori chetiro! Dire entusiasmante è riduttivo, sequenza di buchi ebuchetti su roccia grigia che sembra fatta apposta per scala-re. Se avete in mente le foto di Rolando della via non vi saràdifficile credermi.La strada verso la salita in libera della via sembra spianataed io ormai ci credo. Almeno finché non arrivo in vista di un

corto 7b+, spittato dall’aria innocua. Dopo aver fallitoanche qui il tentativo a vista, cerco la soluzione per salire inlibera il tiro. Soluzione che non arriva. E continua a nonarrivare anche dopo un buon 15 minuti di studio.A un certo punto mi lascio andare all’arrabbiatura: non ciposso credere di non riuscire a fare la via per un 7b+! Poiritrovo la calma e la concentrazione. Provo a ripartire dallasosta, e con la forza della disperazione in un modo o nell’al-tro ne vengo ancora fuori non so ancora bene come. 7csenza discussione secondo me!

Grazie a Dio il 7b+ successivo è un’altra musica. Visto il pre-cedente non provo nemmeno la salita a vista, ma al secon-do giro è una passeggiata di salute. 7b secondo me. Altridue tiri e arriviamo in cima, io e Jacky. AlexAnna è allenostre spalle. Una via 100% nel mio stile, un successo bel-lissimo proprio perché inaspettato. Beh, che non ha certopotuto eguagliare l’emozione di quando salii il Pesce, mache certo ci è andato vicino. Sono le vie come questa che mi fanno sentire una personafortunata, che mi fanno sentire bene. I like.

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L A G R I G N A D E I R A G N ITESTO MATTEO PICCARDI, GERRI RE DEPAOLINI / FOTO RIKY FELDERER

Due vie simbolo della Grignetta. Due pagine importantinella storia dei Ragni, forse un po’ dimenticate e impolverate come gli appigli che da tanti anni nessunoè più tornato a tirare… Ma essere un Gruppo vuol direanche questo: tracciare delle strade che non si sa doveporteranno e da chi saranno percorse in futuro, eppureessere certi che qualcuno ci sarà. Qualcuno con lavoglia di capire, mettersi nei panni dei “vecchi” conle idee, le tecniche e l’allenamento di oggi e vederecosa ne salta fuori…

Castagna Alta Via dei Ragni

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jkCastagna alta freeNascosta tra le pieghe della roccia, la Castagna Alta è unadelle vie simbolo della Grignetta.Aperta da una cordata d'eccezione, dell' alpinismo lecchesedegli anni cinquanta: Luigi Castagna, Giovanni Ratti e AntonioCastelnuovo.Quante volte salendo la normale ai Magnaghi l'occhio venivaattratto inspiegabilmente dalla sinuosa e affascinante fessurastrapiombante ...troppe!!! Impossibile rimanere indifferentidavanti ad una linea così evidente e al tempo stesso cosìsegreta. Da quindici anni il mio amico Gerardo Re Depaoliniculla il sogno della libera... parte nel '95 piantando qualchespit a mano ma poi abbandona il progetto.Quest' anno sull'onda dell'entusiasmo, spinto forse un po'anche dal "giovinastro" ritorna sui suoi passi e dopo una pre-ventiva sistemazione della via, cambiando alcuni chiodi ormaibuoni per attaccarci i salami a stagionare (forse), realizza ilsuo sogno e libera in nemmeno una manciata di tenatativiforse il tiro più fotogenico delle Grigne!La storiella continua...Il "giovinastro" festeggia a suon di birre la libera dell'Amico,ma non vuole lasciarsi sfuggire l'occasione di ripetere magaria vista la via e così mentre ancora festeggia il sogno realizza-to di Gerri, lo convince ad accompagnarlo il giorno dopo a pro-vare.Magicamente e con una botta di culo senza precedenti,imbrocca l'ermetica sezione chiave...quando i giochi sembra-no ormai fatti, un inggannevole appiglio rovescio si smateria-lizza sotto la mano destra... rispedendo al mittente il sognodell' on-sight.Bestemmiando come un turco, il giovine si deve accontentaredi regolare i conti al secondo giro...Grande tiro e super linea!!! Bravissimo Gerri!!!I ragazzi del '50 hanno visto lungo... e questo è semplicemen-te un piccolo omaggio alla loro capacità di spingersi così in là.Una via di tre lunghezze forse può apparire un po' demodé,anzi sicuramente lo è, ma per noi è stata una bella sfida, unmotivo per sognare, un bel motore per realizzare il sogno!

Matteo Piccardi

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Via dei Ragni - In ogni caso, nessun rimorsoLuglio 2002. Con Franco salgo in Grignetta al TorrioneMagnaghi Centrale con l’intenzione di tentare la via dei Ragni edeventualmente risistemarla (abbiamo con noi chiodi, trapano efix) per lui si tratta dell’annuale “fioretto” ( i miei “amici” dico-no che sono un po’ pesante e vado preso a piccole dosi…) ed ioper sfotterlo gli rimarco che questa è un’occasione per lui diimparare qualcosa. Tant’è che alla fine ci ritroviamo alla parten-za della via. Vecchi chiodi a espansione rotti e i primi chiodi a 5/6m da terra ci inducono a usare subito il trapano. Alla fine del tiro(sosta 1 con 2 fix) ne avrò messi 8 in tutto su 25 metri, senzaperò togliere nulla dei vecchi chiodi (almeno 10 dei quali aespansione): così c’è possibilità per tutti. La nebbia e la bassatemperatura ci inducono a mollare il colpo, mentre le presumibi-li alte difficoltà del tiro già attrezzato mi terranno lontano permolti anni a venire…Agosto 2012. Il Pota, alias Matteo Piccardi, mi chiede di provareinsieme la via per tentare di liberarla ed io dico sì immediata-mente. Il solo pensiero di riuscire a ripeterla mi stimola di bruttoe così sabato 11 agosto, carichi come bestie e sotto un sole cal-dissimo, ritorniamo nell’antro alla base del primo tiro. ParteMatteo e subito capisce che non sarà facile. Bisogna pulire tuttigli appigli e disgaggiare quelli mobili. La sua intenzione è quelladi non usare i fix per proteggere la scalata così riesco a mettereuno strano chiodo a punta a circa 3 m da terra nell’unica sezio-ne priva di chiodi. Colleghiamo opportunamente vari chiodi traloro e lasciamo il tutto. Parto io per il 2°tiro; per metà è giàattrezzato ed in più sul muro iniziale fisso 2 ottimi chiodi pensan-do alla libera. La seconda metà è da attrezzare. La sistemo almeglio ma non riesco a fare una sosta che mi soddisfi.Mi faccio calare su chiodi precari, sistemiamo il tiro, lo proviamoe decidiamo di ritornare l’indomani con il trapano per mettere ifix almeno alle soste. In discesa “il provocatore” mi suggerisceche dovrei togliere i fix anzi, addirittura spaccarli. Inizia unalunga discussione; gli dico che non lo farò perché non cambiereb-be nulla, se lui non li usa è perché non ne ha bisogno e i vecchichiodi gli danno sufficienti garanzie. Se ora li tolgo, forse passa-ti altri 50 anni bisognerà comunque sostituire i vecchi e ormaicentenari chiodi originari, tanto vale lasciare i miei.POTA: “Così può ripeterla chiunque…”.IO: “Fottitene, scala per te stesso come meglio credi!”.POTA: “Non è la stessa cosa scalare su vecchi chiodi o su fix!”.IO: “Se domini il grado cambia poco, soprattutto se prepari benela via; e poi alle soste abbiamo intenzione di usarli”.POTA: “Cazzo, c’ho ragione io!”.IO: “Ti preoccupi troppo dell’opinione altrui, a me non interessa,così la via non è snaturata ed io li lascerò al loro posto”.Giunto a casa e dopo lunga riflessione gli telefono dicendogli chepotremmo svitare le piastrine, così il mio lavoro non sarebbecompromesso; basterà menzionare nella relazione la necessitàper chi vuole proteggersi con i fix di portare con se 8 piastrinediametro 8 più chiave e dadi relativi.Domenica 12 agosto ritrovo, avvicinamento, primi due tiri, sostadue a fix. Oggi dobbiamo stare attenti a non far cadere sassi per-

ché la normale al TMC è frequentata assai. Parto per il terzo tirocarico come un’ asino e riesco a sistemarlo per benino con un solovolo (su un mio chiodo appena messo), S3 su due fix.Per spaventare i classiconi buttiamo nel vuoto le bottiglie di pla-stica dell’acqua ormai vuote che però fanno rumore come sestesse cadendo qualcosa di grosso, facendoli sobbalzare dallospavento. Poi le abbiamo raccattate.Il Pota sale il tiro da secondo provandolo in libera (ben più faci-le dei due precedenti) e giunto in sosta sentenzia: “Sarà 6c”. Iodi rimando: “Ma va a da via l’cu!”.Sul quarto tiro concordiamo, 20 metri facili di III grado (solo iprimi 3 metri sono di V) . Discesa in doppia sulla via con vari pen-doloni da parte mia che porto in spalla il saccone (nessun riguar-do per gli anziani!) e cena al rifugio Porta.Sono veramente contento per questa ripetizione; la linea è logi-ca e bellissima e la roccia tutto sommato buona. Il Pota non haalcun dubbio sulla sua futura riuscita in libera; io si per quel chemi riguarda.Torniamo il giovedì successivo ma l’uscita del primo tiro è bagna-ta. Matteo fa due tentativi poi tocca a me e riesco con grandemaestria a rompere con i piedi un appiglio chiave all’uscita deltiro; ora è più duro, per me durissimo. Al terzo giro il Pota quasilo stampa cadendo al penultimo appiglio (l’occhio di destra).Ritorneremo.Siamo d’accordo per mercoledì 29 alle ore 9:15 al Bione. Sto peruscire di casa quando il Pota mi telefona dicendomi che non puòvenire perché è “blindato” in casa. Mi girano i coglioni.Gli dico che doveva avvisarmi prima, che mi sono tenuto liberidue giorni per lui e che ora non troverò nessuno all’ultimo istan-te per scalare. Così disfo lo zaino, lo rifaccio e vado a scalareautoassicurato una facile via di IV° grado al torrione Magnaghisettentrionale (tanto per rispolverare la tecnica di autoassicura-zione), con relativo pesante saccone, tanto per far riposare lemie vecchie ginocchia.Sono circa le 15 quando in discesa scorgo due persone che pro-vano la nostra via. “Cazzo ma quelli sono il Pota e l’Ale!”.Confesso che in un primo momento ci sono rimasto un po’ male,ma con gli anni mi sono abituato a dare la giusta importanza allecose. Avrei voluto essere io lì con lui a salire la via che mi ha fatto tantofaticare e sognare, ma mi accontento di vedergliela salire in libe-ra magistralmente. Al termine del terzo tiro, compresa la reite-razione della cazzata già sparata sul grado del tiro, (“Su questotiro, del grado sono sicuro, è 6c ”) inizio a scendere. Li attende-rò al Porta per scendere insieme.Appena arrivano gli affibbio due begli amichevoli calci nel culo,gli dico che me ne deve due di vie, e so già quali!!Poi l’imbarazzo si stempera e svanisce nei brindisi e nell’imporsisopra ad ogni altra cosa della nostra amicizia, che per me signi-fica prima di tutto dire sempre quello che penso.POTA: “Ho pensato che sia più giusto lasciare tutto com’è ora, edognuno faccia come gli pare”GERRI: “ Sono d’accordo amico mio”.

Gerri Re Depaolini

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Tommy Caldwell, ovvero Mister Yosemite, come lodefinisce il nostro Matteo Della Bordella, la scorsa

estate ha lasciato le pareti granitiche della Valle californiana per dedicarsi ad un tour nei luoghi sacridella scalata alpina su calcare, accompagnato dallostesso Matteo, David Bacci e Luca Schiera. Anche perun fuoriclasse come Tommy l’incontro con lo stile el’etica delle vie del Ratikon e del Wenden non è statocerto privo di sorprese e di qualche apprensione…Ecco il suo personale resoconto di questa intensa maratona verticale

N O V E G I O R N I C O N M I S T E R Y O S E M I T E

I GIORNI EUROPEI DI TOMMY CALDWELLGiorno 1 - Val Bavona, Supercyrill, con David Bacci - Giàsalita in libera da Giovanni Quirici, David Lama, Matteo DellaBordella, Barbara Zangerl, Ines Papert). Tommy sale a vistail tiro chiave ( 8a+, secondo Tommy però a Yosemite sareb-be 7c), come già fece Lama, ma al secondo giro il 7b+ e il7c+Giorno 2 - Rätikon, Acacia, con Matteo Della Bordella -Entrambi salgono in libera la storica via di M. Scheel, maisalita a vista ( in realtà Manolo fu sfortunato, gli si ruppeuna presa sul tiro più semplice di 6c...) Tommy sale al secon-do giro due lunghezze, Matteo al secondo giro l'ultimo tirodi 7c+Giorno 3 - Voralpsee, falesiaGiorno 4 - Claro, falesiaGiorno 5 - riposoGiorno 6 - Engelberg, falesia.Giorno 7 - Titlis parete Nord, Land ohne Herren, con MatteoDella Bordella - Entrambi a vista, dieci tiri fino al 7cGiorno 8 - Wenden. Portami Via, con Luca Schiera –Tommyscala la via a vista tranne L5, dove Tommy si perde ma, sem-pre a vista (!), apre una variante di 30 metri, su 45 del tirooriginale di 7c+, valutandola di 7bGiorno 9 - Wenden, La Svizzera, con Matteo Della Bordella -Tommy sale a vista tutta la via tranne un 7c+, che sale al terzogiro, mentre Matteo sale flash questa lunghezza ma cade sudue lunghezze sotto.

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Sono stato bambino negli anni ’80: a sette anni adoravo unpaio di fuseaux tigrati rosa e non vedevo l’ora che mi cre-

scesse il ciuffo di capelli tipico di quegli anni. L’arrampicata spor-tiva con i suoi spit si stava facendo strada rapidamente anche inColorado, dove vivevo allora. Mentre gli europei spittavano pare-ti sempre più ripide esplorando veri e propri stili ginnici inediti, gliarrampicatori americani stavano passando letteralmente dimoda.La vecchia scuola considerava gli spit come una profanazionedella roccia, erano sinonimo di debolezza. Arrampicarsi dovevaessere pericoloso: se scali sugli spit sei una di quelle femminucceche indossano pantaloni elasticizzati, uno sfigato nemmenodegno di chiamarsi “arrampicatore”. “L’arrampicata sportiva nonè niente”, dicevano.È proprio così, l’arrampicata sportiva è un modo sicuro di scala-re! Mi ripetevo questa frase nella testa mentre guardavo la cordascendere giù dritta per una decina di metri e poi incurvarsi versolo spit più vicino… 15 metri sotto di me! Guardavo in alto…nessuna presa in vista e non potevo neppure piazzare almeno unnut. “Se cadessi qui mi aspetterebbe un volo di circa 30 metri chemi lascerebbe appeso 10 metri sotto la sosta. Ma sarebbe unacaduta nel vuoto. Dovrei cavarmela… in teoria” pensavo.Cominciavo a rendermi conto... Il Wendenstock nel sud dellaSvizzera poteva anche essere una parete per l’arrampicata spor-tiva, ma non aveva nulla da invidiare alle grandi pareti di rocciache avevo scalato fino a quel momento. In quale altro posto tipuoi ritrovare a scalare un 7b strapiombante a 15/30 metrisopra l’ultima protezione? I grandi voli qui sono all’ordine delgiorno e ogni spit che raggiungi sembra essere un dono del cielo.La roccia marcia di un 6a del Black Canyon in Colorado non ènulla in confronto a questo. Mi dicevo: “Vorrei tanto vedereLeonard Coyne scalare il Wendenstock!”. Qui le pareti sono ripi-de, lisce, con scarsissimi appigli e su molte vie gli apritori non sisono neppure preoccupati di piantare gli spit, a meno che le dif-ficoltà non fossero almeno sul 7b. In più gli spit sono stati messisalendo dal basso.Ho ascoltato racconti terribili delle prime ascensioni da uno deimiei compagni di arrampicata, Fabio Palma. L’uso locale è di sca-lare queste pareti con qualche skyhook, una corda sottile di ser-vizio e una fede incrollabile di trovare un modo per potersi fer-mare con entrambe le mani libere. Quando si arriva in un puntodove ti puoi fermare o dove riesci a piazzare uno skyhook, recu-peri il trapano e pianti uno spit.Fabio crede che gli spit dovrebbero essere posizionati “solo sestrettamente necessari”… un po’ soggettivo come criterio.Quindi, su queste vie, un tiro da 50 metri con 5 spit non è consi-derata roba piccante. Vie da 10 o 20 tiri possono richiedere anniper essere aperte. Ho sentito storie di caviglie rotte e schienespezzate, di gente che si è calata su uno skyhook non potendopiù recuperare il trapano incastrato sullo spit più in basso. A que-sti ragazzi l’adrenalina piace davvero tanto, ed è per questo cheho voluto provare di persona. Mi sono unito ad un simpatico sca-latore italiano di nome Matteo Della Bordella. Non vedevamol’ora di scalare in Wendenstock, ma le condizioni meteo ci aveva-no costretto a ripiegare sul Ratikon… Non male come secondascelta! Il Ratikon è stato uno dei primi luoghi dove si è sperimen-tata l’etica della salita dal basso con il minimo uso di spit. Le viesono alte dai 300 ai 450 metri e la roccia è perfetta. Abbiamopreso confidenza con il posto scalando Acacia, una via moltofamosa, ma che deve ancora essere scalata a vista e dove hoaffrontato il 7c più duro della mia vita. Per fare 7 lunghezze ci

sono volute più di otto ore. Ho dovuto liberare alcuni tiri duran-te la discesa e abbiamo toccato terra appena prima del tempo-rale.Dopo alcuni giorni sotto la pioggia, abbiamo raggiunto ilWendenstock ma, visto che era coperto di neve, abbiamo ripie-gato sulla cittadina di Engelberg (letteralmente la montagna del-l’angelo) ed abbiamo scalato in una falesia “a cinque stelle” pro-prio accanto ad un campo da golf.Il giorno dopo ci siamo ingaggiati su una via di 7c da 12 tiri, “Landohne Herren” (letteralmente “La terra senza uomini”), che sitrova sul versante nord del Titlis. Dato che il tempo era stato belloper due giorni, decidemmo che eravamo nelle condizioni idealiper il Wendenstock. Con solo due giorni a disposizione, stavoandando finalmente verso la parete per cui ero venuto.Penso che qualcosa sia andato perso nella traduzione: forse avreidovuto cogliere un avvertimento in quello che Fabio mi dicevaconsigliandomi “Portami via”… Mentre scalavo quindici metrisopra l’ultima protezione su difficoltà di 7b ero quasi certo che lasua intenzione fosse di farmi ammazzare. Questa volta mi erounito ad un altro scalatore italiano, Luca Schiera, per 10 ore fila-te di arrampicata massacrante. Gli spit erano talmente distantil’uno dall’altro e indecifrabili che, sul tiro di 7c+ non li ho visti emi sono trovato a scalare una variante piazzando tutti i friendsche mi ero portato e, a detta di Fabio, il primo nut delWendenstock. Sono riuscito a scalare la via senza cadere (graziea Dio!). Per scendere ci siamo calati in doppia e, non appena inostri piedi hanno toccato terra, Luca si è inginocchiato e habaciato il suolo.Una volta tornati al campo ho scoperto che Matteo e Fabio nonerano mai riusciti a scalare la via in libera. Matteo si era fattodiversi voli di oltre 15 metri, in uno dei quali si era procurato unabrutta botta alla schiena e alla caviglia. Solo Ueli Steck e il suocompagno Simon Anthamatten erano riusciti a completare lalibera. Mi sentivo un po’ preso in giro, ma ero sicuro che nonl’avessero fatto apposta. Mi ero affezionato ai miei amici italianie all’energia che sprigionava in loro l’avventura.L’ultimo giorno, Matteo ed io abbiamo scalato una via di 8a+chiamata “La Svizzera”, senza dubbio una delle vie su calcare piùbelle che abbia mai visto, nonché, in assoluto, una delle miemigliori prestazioni. A quel punto mi ero ormai abituato all’ideadi scalare a centinaia di metri al di sopra dell’ultima protezioneed avevo iniziato a rilassarmi un po’. Sono riuscito a salire a vistail tiro chiave di 8a+ così come alcuni tiri di 7c+ con protezionidistanti. All’ultimo tiro la fatica ha preso il sopravvento e sonocaduto. Nel tentativo successivo sono caduto ancora. Degli ultiminove giorni otto il avevo passati scalando e cominciavo a sentir-ne il peso. Dopo essermi riposato per una ventina di minuti sonoriuscito a fare il tiro pulito. Abbiamo raggiunto la cima e siamo scesi appena prima che siscatenasse un altro temporale.Quella sera Matteo mi ha accompagnato alla stazione ed io hopreso il primo treno per fare ritorno a Zurigo ed incontrare Becca.Sul treno sono andato al bagno e, per la prima volta dopo unasettimana, mi sono guardato allo specchio. Mi ha fatto un po’impressione vedere il viso tirato e le costole in vista. Avevo paga-to caro questi giorni di arrampicata multipitch e lunghi avvicina-menti, ma mi sentivo estremamente soddisfatto e felice. Giornigrandiosi in montagna e nuovi amici mi mettono sempre di buonumore. Da allora sogno di trascorrere un’intera estate inSvizzera. Questo viaggio è stato solo un assaggio, e non vedol’ora di rifarlo.

L ’ A R R A M P I C A T A S P O R T I V A N O N È N I E N T E … O P P U R E N O ?TESTO TOMMY CALDWELL (TRADUZIONE DI ELENA PASTORINO) / FOTO DI TOMMY CALDWELL, MATTEO DELLA BORDELLA, LUCA SCHIERA

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SPORT CLIMBING IS NEITHER....OR IS IT? BY TOMMY CALDWELL

I was a child of the 80’s. When I was seven years old I loved apair of purple tiger striped spandex and dreamed of growing amullet. Sport climbing was just hitting the scene. In my homestate of Colorado bolt wars raged. The new school ethos was thatAmerican climbers were falling behind. Europeans bolted steepfaces and therefore found newer gymnastic style of climbingmaking them better. The old school thought bolts were a dese-cration of rock, a show of weakness. Climbing should be dan-gerous. If you are climbing above a bolt you are one of thosespandex wearing, sport climbing pussies. And you shouldn’thave the right to call yourself a climber. “Sport climbing is nei-ther,” they would say.Yeah, sport climbing is the safe type of climbing… right. That iswhat I was telling myself as I looked down and saw my ropehanging free for thirty feet then gently arcing towards my lastbolt more than 40 feet away. I looked up… no more bolts insight and no possible place for gear either. If I fall here I amlooking at a 100-foot fall that will leave me hanging 40 feetbelow my belayer. But it’s a free fall. I should be allright…maybe. It was beginning to sink in. The Wendenstock insouthern Switzerland may be a crag of “sport climbs”, but its asreal deal as any pure rock I have climbed. Where else is it thenorm to climb overhanging 5.12 rock 30 to 50 feet above yourlast point of protection? Huge falls are standard and every boltyou come across feels like a gift straight from God. Five ten choss in the Black Canyon has nothing on the this place.

I thought to myself: “I would love to see Leonard Coyne climb inthe Wendenstock”. Here the walls are sheer, blank and steep,and on many routes the first ascensionists don’t even bother toput in bolts unless the climbing is 5.12. On top of that, the routesare bolted ground up.I had listened to harrowing tales of first ascents from one of myclimbing partners for the trip, Fabio Palma. The local ethic is toventure up these faces with a few sky hooks, a tail line, and astrong faith that you will find a way to stop hands free. Whenyou get to a stance or a hook placement you haul up a drill andplace a bolt. Fabio believes that bolts should be placed “onlywhen absolutely necessary” which is a very objective thing. Soon these routes if a 50 meter pitch has five bolts it’s pretty weaksauce. Ten to twenty pitch routes can take years to bolt. I heardstories of broken ankles and broken backs, lowering from skyhooks when the drill failed to come free from the last bolt. Theseguys really love to be scared. I had to try it for myself. I part-nered up with an easygoing young Italian climber namedMatteo Della Bordella. We were most excited to climb in theWendenstock, but weather forced us to go the the Ratikon. Nota bad second choice. The Ratikon was an early proving groundof this ground up, minimally bolted ethic. The routes are 1000to 1500 feet tall and the rock is perfect. We warmed up byclimbing the most sandbag 7c route I have ever done in my life;a route called Acatia that, despite being very famous, has yet tobe on-sighted. Seven pitches took us more than eight hours. I

had to redpoint a few of the pitches on our way down and wetouched ground just as a thunderstorm hit. After a few days of cragging in the rain we drove to theWendenstock and found the cliffs topped with snow. We droveon to the town of Engelberg and climbed at a five star crag rightoff of a golf course. The next day we headed up to another 12pitch 7c route called “Land ohne herren” located on the northwall of Titilus. The weather had been sunny for a few days so wedecided that Wendenstock would be back in condition. With onlytwo days left I finally got to visit the crag I came for in the firstplace.I think something was lost in translation. I vaguely rememberhearing some kind of warning from Fabio when he recommend-ed Portami Via. When I was 50 feet run out on bad rock pulling5.12 moves I was pretty sure he was trying to kill me. This timeI had teamed up with another Italian climber named LucaSchiera for ten straight hours of death crimping. Bolts were sofar apart and elusive that on one 7c+ pitch I never did find themand ended up climbing a variation by placing every cam Ibrought and (according to Fabio) the first nut ever placed inWendenstock. I managed to climb the route without falling(thank God). To get down we rappelled the route and as soon asour feet hit dirt Luca immediately dropped to his knees andkissed the ground. When we got back to the camp I learned thatMatteo and Fabio never did manage to send this one. Matteotook many 50 foot falls in which he broke his ankle and back.

Only Uli Steck and partner Simon Amthamatton had manageda complete ascent. On one hand I felt a little sandbagged, but Iam sure it was unintentional. I had grown to love my new Italianfriends and the energy that adventure breathes into there lives. On out last day Matteo and I climbed a 8a+ route called LaSvizzera which was without a doubt one of the best limestoneroutes I have seen, as well as one of my better on-sight attemptsto date. By this time I was getting more used to the idea ofclimbing miles above my last protection and was able to relax alittle. I managed to on-sight through the crux 8a+ pitch as wellas a few sporty 7c+ pitches. On the last hard pitch fatigue caughtup with me and I fell. On my next attempt I fell again. Eightdays of climbing out of the last nine were starting to catch upwith me. I rested twenty minutes and managed to climb throughthe moves. We sprinted to the top and rapped just as anotherstorm rolled in. That night Matteo dropped me off at a train station and I rodethe train back to Zurich to meet Becca. I walked into the trainbathroom and looked in the mirror for the first time in a week.I was a little shocked to see sunken cheeks and protruding ribs.Many days of multi pitch climbing with big approaches hadtaken their toll. But I felt deeply satisfied and content. Big daysin the mountains with new friends puts a smile on my face everytime. I have been dreaming of moving to Switzerland for a sum-mer ever since. This trip was just a taste and I can’t wait to goback.

Libro di vetta: i complimenti di Steck e Anthamatten agli apritori di “Portami via”

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Le previsioni del tempo sono categoriche: bello stabile ezeroterma a 4500 metri, coi tempi che corrono un’occa-

sione più unica che rara… assolutamente da sfruttare e nelmigliore dei modi!“Fabio, che facciamo?” Le idee sono diverse, a centinaia dichilometri l’una dall’altra, ma il concetto è lo stesso: paretenord, neanche un raggio di sole ed alta quota. Scorrendopassiamo in rassegna Raetikon nord, Eiger e… Ambiez,Cima Ghez… Optiamo per quest ultima!Innanzitutto le previsioni sono assolutamente azzeccate,saliamo il sabato per “tastare” i primi tre tiri di “VivaDulfer” e alla fine del primo “sessantone” di 7b+ mi trovoin un lago di sudore…La perlustrazione prosegue sul secondo, stesso caldo, anchese in maglietta va un po’ meglio, ma soprattutto stessa lun-ghezza: è una delle caratteristiche salienti di questa via, ben5 lunghezze su 7 sono di 55-60 metri e per giunta con ilduro sul finale! Capisco subito che se l’indomani voglio sca-lare la via completamente in libera non saranno ammessierrori sui primi 3 tiri. Una seconda chance sarà molto impro-babile nell’economia della salita…Dopo avere dato un’occhiata al terzo tiro - che Fabio sale avista - decidiamo di scendere e lasciare il resto al giornodopo, sperando che la parte superiore non aggiunga ulterio-re sale alla salita (ovviamente non sarà così…).Siamo di ritorno al "Cacciatore" giusto per cena e dopo averpassato mezzoretta con Andrea e Gianguido, reduci ancheloro da un’intensa e “soddisfacente” giornata di arrampica-ta, ci prepariamo per la domenica, sperando di poter recu-perare le giuste energie al fine di completare il nostro pro-getto.Dopo un avvicinamento di un’oretta si parte subito sulprimo tiro che entra abbastanza bene anche se la roccia atratti un po’ “difficile” e la rigidità mattutina vanno gestitecon attenzione, proprio come sul secondo tiro, il cuore dellavia, un diedro di 55 metri con il duro sul finale: una “dulfe-rata” (appunto!) su fessure svase e piedi minimi… Qualcheripensamento, un po’ di improvvisazione e sono in sosta:bello!!!Capisco che il più è fatto, ma la concentrazione non puòcalare e, infatti, dopo aver salito anche il terzo tiro, ho ilmio bel da fare con il 7b successivo, che presenta un passoassai ostico e per di più obbligato al primo spit. Alla fine rie-sco a che riesco a superare anche questo, ma con non pocafatica, anche perché le braccia cominciano a farsi sentire!La parete da qui si abbatte, ma manteniamo sempre alto illivello d’attenzione, perché quando le difficoltà scendono glispit si diradano…Siamo in cima verso le sei di sera, sotto di noi un altro,ennesimo Viaggione targato Rolando Larcher: bello, impe-gnativo e di assoluta soddisfazione.Un grosso ringraziamento a Fabio, che mi è stato compagnoper questo Week End “en plein gaz”…

W D U L F E RTESTO PAOLO SPREAFICO / FOTO DI PAOLO SPREAFICO, FABIO PALMA

Sabato 18 e domenica 19 agosto, quando la caldissima estatedolomitica 2012 era ormai agli sgoccioli, Paolo Spreafico eFabio Palma hanno effettuato la prima ripetizione di “VivaDulfer”, una via di 350 metri aperta nel 2000 da RolandoLarcher sulla Cima Ghez in Val d’Ambiez, nel Gruppo delleDolomiti di Brenta, con difficoltà fino al 7c+ e obbligatorio di7b. Ecco la testimonianza di quell’intenso weekend nelricordo di Paolo

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M E L L O N O N - S T O P : 2 4 O R E D I G R A N I T OTESTO DAVIDE SPINI / FOTO DI DAVIDE SPINI, SIMONE PEDEFERRI

Durante il mese di luglio 2012 Simone Pedeferri e Davide Spini sono riusciti in unodei concatenamenti più importanti della storia della Val Masino, salendo in poco menodi 24 ore diverse vie tra Val di Mello e alta Val Masino. La corsa comincia poco dopolo scoccare della mezzanotte dal parcheggio della Valle e finisce dopo che l’orologio hacompiuto due giri completi all’intaglio di uscita della Taldo Nusdeo al Picco LuigiAmedeo, in mezzo tanti metri di roccia, tanti piccoli passi, tanti metri di dislivello e ununico sogno immaginato e raggiunto in due…

“Il risveglio di Kundalini”, “Luna nascente”, “Piedi di piombo”,“Oceano irrazionale”, “Magic line”, “Nusdeo-Taldo”. Nomi di

vie che in gioventù mi fecero spaventare e furono il banco di provadel mio istinto di sopravvivenza, ora, senza apparente nesso logi-co, sono buttate lì una in fila all’altra, con la giusta dose d’arrogan-za: “Kundalini” dura due soli tiri e lo stesso vale per “Luna”…“Piedi di Piombo” invece, è decisamente meno divertente delleprecedenti. Gli appoggi sono minuscoli e le prese inesistenti, cosìl’arrampicata è un po’ più macchinosa e meno fluida…Sono passate da poco le 6 quando Simone parte per “Oceano irra-zionale”. In un solo lungo e bagnatissimo tiro arriva a far sostanella tromba. Dopo un attimo lo raggiungo e continuo, giocandocon la fessura bagnata arrivo alla cengia da cui parte la facilerampa della seconda parte. In un paio d’ore siamo in vetta alPrecipizio, poi una bella scarpinata tra ripidi pascoli e placchettebagnate ci conduce in cima alla Val Livincina.Discesa da brivido verso la Val Qualido tra erba verticale, sassiinstabili e chiodi di discutibile tenuta. La parete del Qualido è gigan-te e bellissima!Sulle interminabili placche di “Magic line” l’arrampicata è forzata-mente più lenta, un po’ per l’assenza di appigli, un po’ per tutte le

ore trascorse “passeggiando” per monti. Finalmente la paretespiana e poi finisce. Seguiamo la cresta che riporta al canale didiscesa di poche ore prima, disarrampichiamo su terreno più faci-le ma esposto, soliti chiodi, solita doppia e solito brivido.Camminando verso il Rifugio Allievi sento che la galoppata sta perfinire e sono felice. L’adrenalina mi pulsa dentro, la fatica non esi-ste, le gambe girano, la mente è pronta…Vorrei mettermi a cor-rere!Il tepore del rifugio, un panino, qualche borraccia di sali minerali,un po’ chiacchiere con gli amici e un caffè abbondante ci portanovia un po’ di tempo, ma ci tengono lontani dall’aria gelida che cir-conda l’Allievi. Con il freddo già dentro di noi usciamo e ci incam-miniamo verso la classica, difficile e grandiosa “Nusdeo-Taldo”.I primi tiri li fa Simone, poi mi annuncia di non riuscire più a indos-sare le scarpette e si mette quelle da ginnastica. Ora conduco io,determinato ad arrivar in cima prima delle fatidiche 24 ore. Il “die-dro nero”, penultimo tiro per la fine di tutto, mi mette a duraprova. I piedi hanno perso sensibilità, il freddo è costante e le ener-gie mentali stanno per finire. Tiro friend, chiodi e parolacce, pro-teggo molto, ma arrivo in sosta in un tempo ragionevole. Ultimotraverso, fine del sottovento e sosta sullo spigolo. Il vento mi schiaf-

feggia e inizio a tremare. Quando Simo arriva è mezzanotte esono già pronto per calarmi lungo lo “Spigolo sud”.Dopo 23h 50 min dalla partenza tutto sembra finito, ma il peggiodeve ancora venire. Un abbraccio fulmineo e si scende, fa un fred-do porco. Tremo e scendo. Cerco la prossima sosta, ma la cordafinisce sempre anzitempo. Quindi doppia su un fix senza perdertempo in inutili eroismi. Il vento ci maltratta e ci stanca, mentre lacorda sembra accorciarsi sempre più. Noi tremiamo e scendiamo,visto che non possiamo fare altro. Finalmente si intravedono ipascoli. Ultima doppia su spuntone. TERRA. Grazie!La discesa è un vero “trip da droghe sintetiche”. Vista la carenzadi sonno tutto è surreale, senza tempo e senza spazio… e senzafine! Ci addormentiamo tre volte e ci incavoliamo perché il sentie-ro non finisce mai. Poi, inaspettatamente, arriva l’alba che ci ripor-ta alla realtà. Così gli ultimi chilometri verso casa sono tranquilli epiacevoli, così il pensiero può vagare verso progetti futuri…

23h50’ nei numeri:2,5 km di scalata67 tiricirca 2000 m di dislivello in slita

MELLO NON STOP: 24 HOURS ON GRANIT BY DAVIDE SPINI

“Il risveglio di Kundalini”, “Luna nascente”, “Piedi di piombo”,“Oceano irrazionale”, “Magic line”, “Nusdeo-Taldo”. Multi-pitchesthat remind me of my childhood when attempting to climb thoseroutes scared me and resulted to be a real fight for survival; now,maybe due to the passing of time or just thanks to a growing expe-rience, all those names are put next to each other without anxietyor fear but just mixed up in a slightly snotty way. “Kundalini” and “Luna” last just 2 pitches. On the contrary “Piedidi Piombo” is definitely less fun than the previous ones. Footholdsare tiny, holds and crimps invisible and, as a consequence, climbingis slower and less natural.6 a.m. arrives and Simone begins “Oceano irrazionale”. He rea-ches the belay station in the well after a never-ending wet pitch.Then it’s my turn and I start playing with the wet crack till the ledgefrom which the second section starts. In two hours we’re at the topof the Precipizio and we hiked to the Val Livincina through steepgrazes and slippery slabs. On the never-ending slabs of “Magicline” climbing is slower due to the absence of holds and the fact ofhave already hiked more than 1000 mt of elevation. Half theroute we meet 2 friends of us, Andrea and Zaffo, that give us foodand the necessary support to push us towards our goal. Eventuallythe wall flattens and then ends. We follow the ridge that brings usback to the descent couloir, easy but exposed sections, same pitons,same rap and same shiver. We hike to the Allievi Hut and I feel

good thinking that the “happy ending” is close. I’m psyched, I’mnot tired and my mind is focused on the last step… Around the hut the air is cooler and a violent gusty north wind fore-shadows a “very cool” last round! The warmth of the hut, a san-dwich, a booster dose of mineral supplements, a large coffee andsome chatting with friends and it’s time to go out in the freezingair. We approach the hard and amazing “Nusdeo-Taldo”. Thatlegendary route opened in the 1959 is located on the south-eastern wall of the Picco Luigi Amedeo following a logic and pumpyline. Simone leads the first pitches but at a certain point he takesoff his slippers and decides to wear his trabs, definitely more com-fortable and warm. So it’s my turn to lead, and I’m now hell-benton reaching our goal before the 24 hours end. I’m focused, don’t want to let my body yield to cold and with myheadlamp I finally manage to come out from the chimney of thecave. We’re on time, now it’s up to us. The “diedro nero”, last butone pitch, hardly tests me. My feet have lost all feeling, it’s constan-tly chilly and our strength starts to waver. I pull cams, pitons, putlots of protections and eventually I clip the belay. Last traverse, belay on the edge, wind starts blowing in stronggusts and I tremble. When Simone arrives it is midnight and I’malready ready to rap along the “Spigolo sud”. After 23h 50 minthe finish line seems definitely crossed but actually it’s not true, theworst is yet to come. Just a hug and it’s time to go down, we’re

freezing there.We have a 60mt rope, raps are very short and thewind hits our body without a truce. I tremble but I cannot give up.I try to find out another belay station but the rope finishes. So wedecide to rap on a fix. Wind still slaps our faces, we’re tired…Eventually we see grazes in front of us. Last rap. ALIVE. Thanksgod! We hike slowly, make a big effort just to stand up… a realacid trip! I’d like to close my eyes, the Val di Mello seems to be anuncatchable oasis and Simo’s knees do not want to support himanymore. We walk without feeling our bodies and the passing oftime and we fall asleep 3 times. Every step lasts a century, everystair is the same as the previous one and we feel like we’re notmoving. Reality has faded and we feel like we’re in a videogameplaying a party trick with the King of time. After a long while wereach the bottom of the valley and dawn embraces us again. Lightawakes us and we feel alive again. Eventually the sensation ofbeing “high” slowly disappears and the world regains its currentshape. Last kilometres back home are quiet…it has been a trulyfast rich experience and the mind immediately starts wanderingabout mad future projects…

23h50’ in numbers:2,5 km climbing67 pitchesalmost 2000 m of positive height gain

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I B I C U S , P R I M A L I B E R A I N T E G R A L ETESTO FABIO PALMA / FOTO DI ALBERTO LOCATELLI

Martedì 28 Agosto 2012 Matteo Della Bordella è riuscitonella libera di Ibicus, una via dei fratelli Remy in

Wenden. Ibicus è stata aperta negli anni '90 dagli inesauri-bili fratelli svizzeri e si sviluppa per dieci tiri sul Dom, unimponente scudo calcareo a fianco del pilastro Excaliburcaratterizzato da un'assoluta verticalità e, neanche a dirlo,da una roccia pressoché perfetta, che fino a poco fa presen-tava un tiro (il quinto) non ancora liberato.Matteo, dopo un assaggio alcuni anni fa, è tornato con l’idea dirisolvere questa lunghezza che consiste in un traverso versodestra su parete verticale con appigli veramente minimi e, poi-ché non esiste un riposo naturale tra la fine del tiro preceden-te (valutato 7b+) e l’inizio del traverso, ha pensato di linkarli.Dopo due visite per mettere a punto le sequenze ha preso alvolo l’occasione che gli si è presentata di tornare sulla via ilgiorno in cui erano in programma le riprese per il documenta-rio sul Wenden e non se l’è lasciata sfuggire, riuscendo a con-catenare i due tiri in questione senza mai appendersi.In virtù delle esperienze precedenti e delle vie che ha salitonell’ultimo periodo, Matteo propende per assegnare a questotiro una valutazione di 8b.Il resto della via, seppur impegnativo, si mantiene su difficol-tà più abbordabili, che tuttavia non hanno permesso a Matteoe a David Bacci, suo compagno di cordata, di rilassarsi troppo,anche perché le previsioni davano la possibilità di rovescipomeridiani, che puntualmente si sono verificati, ma che nonhanno impedito loro di terminare la salita.

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Quasi tradPunta innominata 2270 m – gruppo del Corno Stella, Val diGesso, Cuneo.La via è giusto a destra di “Supercalifragilistichespiralidoso”,roccia ottima, logica linea in fessura salita in puro stile trad,lasciati un fix del 10 alle soste e uno sul quarto tiro passag-gio crux in placca obbl. 6b +. Doppie consigliate su via“Manuela”.

Easy riderIl Pizzo Vicima 2648 m, è il monte con la perete più alta eappariscente della costiera nordest della valle di Predarossa,su questa parete vi sono diversi itinerari molto belli e inte-ressanti, grazie all’ottima qualità della roccia e a una chio-datura delle vie in stile moderno.Accesso:dal parcheggio di Predarossa si segue il sentiero cheporta al rifugio Ponti, alla seconda piana si incontra sullasinistra la deviazione per il passo Romilla, seguire questa esalire per una mezzora, quando il sentiero fa un lungo tra-verso verso sinistra e in piano, abbandonarlo e puntareverso l’evidente parete del pizzo Vicima.Ore 1.40 dal par-cheggio. La via è giusto 50 m a destra di “Lillo’s melody”.Discesa in doppia sulla via.

F E S S U R E M A R I T T I M E E P L A C C H E M E L L I C H ETESTO GIOVANNI ONGARO / FOTO DI GIOVANNI ONGARO, STÉPHANIE FRIGIÈRE

Giovanni Ongaro, Guida Alpina, fa parte del Gruppo Ragni dal 2003 ed ha alle spalle unalunghissima attività, distinguendosi in particolar modo nelle spedizioni extraeuropee, tra lequali spiccano la Patagonia, con alcune ripetizioni di prestigio e l‘assalto al Cerro Piergiorgio,il Cile con l’apertura di “Nunca mas marisco” ed il Mali.Sulle Alpi ha aperto e ovviamente ripetuto moltissimi itinerari di elevata difficoltà e nell’estate del 2012 ha continuato nella sua opera di esplorazione aprendone due nuovi insieme a Stéphanie Frigière.Il primo, “Easy Rider”, si trova nel Gruppo del Masino, sul Pizzo Vicima, riprende un tentativo del 2003 di Pavan e Bernasconi e percorre un sistema di placche per uno sviluppodi circa 250 metri ed arrampicata molto tecnica su bella roccia granitica con protezione a spitda integrare in diversi tratti.“Quasi Trad” si trova invece sulla Punta Innominata, nel Gruppo del Corno Stella, nelle AlpiMarittime, e dal nome si intuisce che per affrontare questa salita è necessaria una certadimestichezza con il posizionamento delle protezioni veloci tant’è che sono presenti, sostecomprese, soli 9 spit ed un chiodo su tutta la sua lunghezza. La Via è fisica e tecnica allostesso tempo svolgendosi in particolar modo su fessure da proteggere ed ha richiesto aGiovanni e Stéphanie due giorni per essere salita.

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P R I G I O N I E R I D E I S O G N ITESTO MATTEO PICCARDI / FOTO DI MATTEO PICCARDI, ADRIANO SELVA

Oggi era in programma! Cascasse il mondo! Con Adry eraun po' che ne parlavo, anche se non abbiamo avuto

tante occasioni di vederci in questi ultimi anni e l'ultimavolta che ci siamo legati ad una corda è stato il 24 agosto2003... da allora non abbiamo più scalato insieme.Adriano ha continuato la sua impressionante progressione,ed è diventato uno dei più forti scalatori lecchesi e non solo,io ho smesso di arrampicare per quattro lunghissimi anni...Le nostre strade si sono separate fino all'altro giorno (19luglio 2012 - ndr) quando forti dell' amicizia, che a prescin-dere dal tempo che scorre, ci lega, siamo tornati a scalareinsieme.L'obbiettivo era ambiziosissimo per me: ripetere la via"Prigionieri dei Sogni" al Pizzo d'Eghen, aperta da Adrianocon un socio d'eccezione, Andrea Spandri nel 2005 e libe-rata sempre dall' Adry nello stesso anno.Dopo la RP di Adriano nessuno è più passato in libera suquesto vertiginoso pilastro (non che ci fosse mai stata lacoda all'attacco), ad esclusione di un tentativo del 2006, poil'oblio... e ti credo, il marchio della premiata dittaSelva/Spandri è garanzia di altissimo livello in arrampicatae grande distanza tra le protezioni. Ad aggiungere pepe altutto, l'avvicinamento quanto meno misterioso e "l'ambien-te Eghen"…Sono reduce da una scammellata lavorativa in quota, misento un po' marcio e a onor del vero anche un poco tesoper questa supervia, ma tant'è il dado ormai è tratto - siusa dire no? - alle 5:00 ci vediamo al Bione e partiamo indirezione Valsassina.Adry guida tranquillo e mi dice ghignando che oggi lui faràda cliente ( è guida alpina pure lui ). Già mi preoccupo apalla... un “cliente” come Adriano è uno esigentissimo!Prima sosta al bar di Michele a Introbio per il rituale caffè.Proseguiamo fino al parcheggio prescelto, Adrianoski pian-ta l'auto in bello stile, scendiamo e come due indemoniatipartiamo su per la strada che poi porta al sentiero dell'Eghen.Passiamo le successive due orette a parlare di cazzateimmani, non siamo cambiati di una virgola, tutto comeprima, tutto ok.Dopo un po' di giriingiro e mezzacosta seguendo tracce diselvatici e dei loro nemici, arriviamo precisi all' attaccodello zoccolo (se andavo con qualcun'altro ero ancora là avagare nel bosco).Il tanto temuto zoccolo dell' Eghen fila via che è una mera-viglia, addomesticato qua e là da qualche corda fissa.Mangiamo comodamente sulla cengia erbosa alla base dellaparete, ci raccontiamo ancora qualche puttanata di dimen-sioni colossali giusto per stemperare un po' la mia tensione- che non è poca - e da bravi guidoni facciamo l'ultimopezzo di avvicinamento a Prigionieri in conserva, assicuran-doci vicendevolmente."Bon adesso è tutta tua" così Adry mi fa capire che è calatala bandiera verde e non c'è più spazio per le cazzate...Mi lego, infilo le scarpette, oggi ho portato quelle dellegrandi occasioni... passo le corde al master e... abbiamoperso il reverso! Puttanapanicopaura! Adriano torna alpunto di partenza sulla cengia, cerca disperatamente doveimmagina possa essergli sfuggito ‘sto aggeggio, ma niente!E mò? No problem! Adri mi assicura alla "moda antica",mezzo barcaiolo e via andare!

Si parte! Linko primo e secondo tiro 6b e 6c buoni per scal-darsi e prendere le misure, sul tratto di 6c mi rimane inmano un appiglio e ops che si decolla! Va beh il mezzovadaddio!Mi faccio calare in sosta e riparto questa volta senza intop-pi!Adry mi raggiunge, ci facciamo quattro risate e ricomincioa scalare, qui la difficoltà cambia marcia, questo è il primotiro di 7b e a detta di Adrianoski abbastanza obbligato... Mipreparo a riempire i pantaloni e invece tutto sembra anda-re benone… ma grazie ad un altro appiglio bastardoriprendo il volo e vai! Mi calo in sosta, riparto e liquidoanche questa lunghezza.Siamo sotto al tiro chiave di 7c+, parto e provo a vista maal secondo fix mi areno su di una pinza sporca e svasa,provo il tiro fino in sosta e, a parte l'uscita in catena, tuttova alla grande; tribulo un po' a trovare la methode ma poiscovo un paio di presette a sinistra e, con un gioco di piedi,risolvo il passaggio.Il tiro è lungo 45 m quindi dalla sosta superiore devo fareuna doppia fin da Adriano, preparo il tutto a modino e poimi calo, pulendo gli appigli e segnando un paio di appoggia scanso di equivoci...e calandomi mi dimentico che stiamoscalando con due mezze, cosi ripasso i rinvii in tutte e duele corde... della mia mega cazzata ce ne accorgiamo soloquando è il momento di recuperare la gialla!!!Adry con grande spirito di sacrificio risale le corde e le libe-ra dai rinvii... Non ho parole tra tutt'e due abbiamo mezzoneurone funzionante!Bon! Superato anche questo piccolissimo intoppo, son dinuovo legato e pronto per partire sul tiro.Questa volta il boulder iniziale lo supero senza problemi, eproseguo a balla fino al traverso dove c'è il chiave del tiro;decontraggo e vado deciso senza problemi.Mi ritrovo ad un buon riposo che precede la sosta, ho chia-ra in testa tutta la sequenza da eseguire, qua c'è un giro dipiedi da non sbagliare altrimenti sono fritto... è che quandoprendo l'appiglio che prima mi pareva buono, come un ful-mine a ciel sereno mi monta una ghisa atroce nell'avam-braccio... noooo!Sto sui piedi un po' per miracolo, un po' per disperazione,respiro, decontraggo il braccio e la testa, cerco di riprende-re il controllo della situazione. Riprovo. Niente, sono anco-ra ghiso... decontraggo ancora in equilibrio instabile, per unistante, una frazione di secondo, penso all'ultima protezio-ne, sufficientemente lontana, ma poi ritorno in me e al mioproblema dell'avambraccio ghiso: non posso cadere!Ritrovo la concentrazione e quel briciolo di energia che mipermettono di fare il movimento ed agguantare l'appigliorisolutore e da lì moschettonare la sosta!Un urlo liberatorio scappa a me ma anche all' Adry che dasotto ha vissuto tutte le emozioni in presa diretta! Ce l'hofatta!!!Adry mi raggiunge in sosta, guardandolo scalare questo tiromi rendo conto del suo grandissimo livello tecnico, e riman-go affascinato dalla sua capacità di vedere, intuire e soprat-tutto salire una linea come questa.Pacche su pacche, beviamo qualcosa e mangiucchiamocome due ebeti quel che ci capita in mano, ma la salita èancora lunga e i tiri a venire son solo "più facili" sulla carta;6c da meditare, 7a+ duro, 7b, 6c, e infine 7b spaccacavi-

glie... Galvanizzato dalla scalata, mi lancio all' inseguimen-to del nostro sogno, ancora un attimo di antenne dritte inuscita del tiro di 6c con roccia delicatuccia e fix lunghetto.Poi è un susseguirsi di passi obbligati bastardi, placche daurlo, e fix lunghi da cacarsi in braga; infilo tutti i tiri a vistacompreso l'ultimo che è un bel bastone chiodato decisamen-te lunghetto...Alle 17.09 sbuchiamo all'ultima sosta in cima al pilastrodell' Eghen, io incredulo ed euforico, Adry felicissimo eorgoglioso del suo capolavoro!Sotto ai nostri piedi un sogno cullato per anni, dentro di noiuna giornata dal sapore unico ed inconfondibile, una gior-nata in cui abbiamo vissuto, sognato, lottato, ma soprattut-to una giornata vissuta all'insegna del bene più grande, vis-suta all' insegna della nostra amicizia.E poi via, giù in doppia per questa vertigine di 300 m, Adrycon il freno moschettone io con un altro aggeggio... alle 18siamo con i piedi in cengia, ritorniamo agli zaini per poiscendere lo zoccolo.Sto risalendo l'ultimo tratto quando all' improvviso l'occhioviene attratto da un qualcosa di verde in mezzo all'erba,ma di un verde metallico: il reverso!!!A conclusione di una giornata perfetta telefoniamo allenostre rispettive mogli e le invitiamo a cena... e soprattuttoa bere!

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L A P I E T R A D E L S U DTESTO FABIO PALMA / FOTO DI PIETRO BAGNARA

Mani sulla roccia e piedi sulla spiaggia. È così che si cominciano a scalare i tironi infinitidella Molpa, una delle più affascinanti falesie di Palinuro, a due passi (contati) dal mare.Dietro la nascita di questo spettacolare nuovo spot di arrampicata nel cuore del Mediterraneoc’è anche lo zampino dei Ragni, che hanno contribuito al lavoro di chiodatura dei local mettendo a disposizione numerosi fix, soste, materiale vario e forza lavoro.

Nove e mezzo di sera, o giù di lì. Sulla spiaggia della Molpac'è un sacco di gente, è quasi buio e chiaramente i pochi che

ancora sono attaccati alle vie si stanno pentendo e arrancanofaticosamente verso le catene, spesso lontane perché fra i tantipregi della falesia c'è quello della lunghezza delle vie, diciamodai 25 metri in su.Poi, ecco che l'idea del vulcanico Amedeo Polito si realizza.Dall'altra parte del golfo, dodici videoproiettori al plasma siaccendono e... oltre duecento metri di falesia, la spiaggia equant'altro si illuminano a giorno. Per tutta una notte.Siamo a Palinuro da sei giorni, tre passati a chiodare, altri trea scalare. Vedo Luca che guarda il tutto e so già che sta pen-sando a due cose: 1) Che da queste parti con le iniziativehanno da insegnare a parecchi; 2) che la scelta di venire quipiuttosto che al Melloblocco, flagellato dal maltempo, è stataassolutamente vincente.Luca, lo so, è intimamente perplesso da questo tour cheabbiamo chiamato la Pietra del sud, un'idea che ho lanciatoal consiglio dei Ragni circa un anno fa e per la quale abbia-mo destinato oltre mille spit-placchette e ottanta soste.Costiera Amalfitana, Parco delle Gravine in Puglia, Siracusa,Palinuro. Non è solo questione di potenziale, con Positanofuori concorso e Siracusa comunque ad alto livello, ma tuttociò che ruota intorno a questi posti, assolutamente fra i piùbelli del Mediterraneo (molto, molto più belli di Kalymnos,per paesaggi e cultura) e con la gente che si dimostra apertae gentilissima.A Palinuro ci siamo venuti in cinque ai primi di marzo, con loscopo di fare qualche foto e un video. Avevamo mandato ilmateriale ad Oreste Bottiglieri, gran chiodatore dellaCampania, ed eravamo in contatto con Amedeo Polito, veroDeus ex machina della zona, che come tutti gli entusiastiaveva avuto un'idea assolutamente da fuori di testa: farcapire a tutta la cittadina di Palinuro, internazionalmentenota per mare, cibo, Eneide e nient'altro, che l'arrampicataè cosa bella e buona e pure eventualmente fonte di sviluppoturistico.Ora, non mettetevi a ridere, ma piuttosto nei panni di giova-ni e non giovani che manco hanno sentito la storica frase“arrampicano a mani nude”, e che fin dalla culla sono statiabituati a considerare la zona come posto fighissimo per duemesi all'anno ( luglio ed agosto, gran pienone) e sostanzial-mente da tirare avanti per il resto dell'anno. Pensateci, e

immaginateli scorgere sulla spiaggia della Molpa mille, dicomille, persone che ruotano intorno a 'sta cosa strana.In molti posti del Nord, anche sede di raduni, l'accoglienzariservata ai climber è a dir poco da tolleranza al limite. Qui,ben sotto Eboli, dove pure Cristo si fermò, a momenti ci hannomesso su un piedistallo...E l'arrampicata? Qualità delle vie e cose così?Superlativa, assolutamente. La Molpa ha una roccia lavoratis-sima con canne anche sul verticale e buchi e prese dove nonte l'aspetti. Chioderanno almeno altri venti tiri, nei prossimimesi, ma quello che c'è già è da palati fini: ci sono dei 6b edei 6c che rifai dieci volte senza annoiarti, tiri sotto il 6a perprincipianti, e tre punti di domanda da 8 solido, probabilmen-te più duri di Respect, 8a/8a+ da assoluta antologia. Tuttorigorosamente esposto a Sud e quindi buono da Ottobre adAprile, con l'inverno come stagione ideale. Un quarto d'oraall'interno, invece, (con avvicinamento simile alla Molpa,ovvero dai 5 ai dieci minuti max...), sta nascendo il Bauso.Esposto a nord e con aprile-maggio e settembre-ottobre mesiideali. Falesia da palati fini e decisamente di alto livello, dovepenso che l'8 solidissimo non dovrebbe mancare. Attualmenteci sono dieci tiri, fra cui l'immaginifica Core a Core, 8a+ libe-rato da Luca e da lui definito “tra i più bei cinque tiri mai sca-lati”. Considerando che la roccia la tocca da diversi lustri... IlBauso ha un grande strapiombo a canne, una parete stra-piombante dai 10 ai 30 gradi a canne, e una parte di placcarognosissima (buchi sul liscio, o li azzecchi o sei finito). Falesiache, secondo il nostro modestissimo parere, dovrebbe diven-tare un cult italico. Per il resto, abbiamo visto un'evidenteparete che ricorda la sud di S. Leger, e altri settori sparsi fraPalinuto e Camerota. Ce n'è, insomma, per far diventare ilposto a livello di San Vito come numero di tiri, con qualitàspesso altissima. Non vi dico nulla sul cibo. Non è il caso. Sesiete tirati e ligi ad una sacrosanta dieta sportiva, forse è megliovenire qui in periodo di resting mentale e fisico. Sappiate che ilCilento lotta con Sicilia e resto della Campania per il titolo dimiglior cucina mediterranea ( e quindi del mondo, ma qui entrail mio gusto personale...), e francamente non approfittarne èroba da cuori durissimi.La Eso Es Palinuro è l'associazione che sta seguendo le chioda-ture e sta promuovendo la nuova area con grande dedizione ecapacità, anche attraverso l’organizzazione di eventi come ilPalinuro ClimBrave Festival.

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V A L M A S I N O : I C A N T I E R I D E L L ’ A L T A D I F F I C O L T ÀTESTO SIMONE PEDEFERRI / FOTO DI RIKY FELDERER

Fra una spedizione e l’altra Simone Pedeferri continua a macinare tiri e boulder sempre ai massimi livelli. Quello che segue è un riassunto delle sue realizzazioni in falesia e sui blocchi degli ultimi 12 mesi. Un carnet nel quale spiccano tiri da 8c e oltre in zona SassoRemenno e alla super strapiombante Grotta del Ferro.

Primavera 2012 - Ci sono dei momenti in cui l'amicizia tiporta a vivere delle situazioni molto intense. Quelle situazio-ni possono darti la carica per realizzare progetti inaspetta-ti. Intanto il buon stato di forma ottenuto con la tracciaturadel Melloblocco 2012 mi fa risolvere al secondo giro Darkmoon, un 8b+ di Cevio mentre prima, in Valbrona avevosalito Boulder Line 8b+, una via dell'amico Neno (DanieleTavola - ndr). Erano anni che volevo salirla perché ricorda-vo quando Neno l'aveva attrezzata e aveva cominciato aprovarla, una linea per i tempi molto avanti che univa ilboulder alla corda. Poi al Remenno con Isma puliamo unsuo progetto e mi da la possibilità di liberarlo, un vero rega-lo da un amico. La prua è una delle più belle linee del Sassoche si assesta sull’8b+, ma la cosa più bella che mi è capi-tata sono state le sicure a Sergej mentre tentava la Valle deisogni, una via nata dall'unione di Mirò e Vibrazioni squili-brate. Sono anni che quel ragazzino bielorusso, ormaidiventato un grande scalatore, mi stimola a migliorare.Abbiamo condiviso giorni favolosi sulla roccia e duri allena-menti e quei ricordi fanno parte della mia memoria vertica-le, che cerco insaziabilmente di alimentare. Il giorno in cui Sergej ha chiuso la via ero dalla parte oppo-sta della corda, veramente felice di averlo tenuto su un tirocosì duro, come se quello fosse un po’ anche un mio risul-tato, ed ero super orgoglioso di quello che aveva fatto.Forse è stato questo momento a darmi la mentalità giustaper ripetere questa via, la felicità di Sergej sceso dalla Valledei sogni è stata la motivazione che mi ha portato a ripe-terla, il mio caro amico ha proposto 8c+/9a per questa via!

Autunno 2012 - La sosta è il punto di arrivo di una via maa volte può rappresentare il punto di partenza per un nuovoprogetto. Sei debole, Green day e Dream of love terminano inpunti molto logici però non ero arrivato alla fine della voltadella Grotta del Ferro e quei pochi metri che mi mancavano misembravano molto duri, bagnati e sporchi. Ero certo che queltratto di grotta non sarebbe venuto mai in condizione… Dueanni dopo ho dovuto ricredermi: grazie ad una stagione parti-colarmente secca e calda anche quella zona era asciutta e dalmuschio spazzolato sono comparse delle prese che hanno crea-to un boulder di 12 movimenti molto bello e impegnativo, cheporta alla fine del soffitto. Ho collegato tutto con Dream of loveottenendo una via di 80 movimenti dal nome Peace and Loveche e' sicuramente uno spettacolare viaggio orizzontale attor-no all’8c. Successivamente , sono riuscito a concatenare laparte bassa di Zanca Bianca e con un nuovo link quella alta diJava, per una via più compressa rispetto ai lunghissimi viag-gioni del Ferro ma pur sempre attorno ai 40 movimenti.“Demenzia de resistenzia” è il nome e 8b/c il grado”.

Inverno 2012 e primavera 2013 - La spedizione verso ilCile e le big wall del Cochamò e del Canyon della Pampasargentina era il mio obiettivo più importante per la stagioneinvernale. Quindi, per partire in forma, mi sono dedicato adalcune sedute di blocchi e di vie esplosive.Con questo obiettivo, per riprendermi dall'infortunio e prepa-rarmi alla spedizione, dopo qualche seduta di allenamento asecco, riprendo sulla roccia e riesco a salire in zona Val Masinotre traversate di 8a di cui due prime salite (La dieta dell'impe-

ratore e One), poi risolvo Transkog 8a/8a+, un tetto di diecimovimenti. In visita a Cresciano vengo a capo di un 8a in plac-ca vicino alla Boule e poi La Proue 8b (di quest'ultima sonoveramente molto felice!).Passando ai tiri boulderosi, al Centro polifunzionale a Filorerachiodo due vie nuove: Buon presagio 8a/8a+ e One day 8a+e poi risolvo Zan Zan, una via molto bella di 8b+. Tutte questevie hanno la caratteristica di essere molto intense e di nonsuperare i sedici movimenti ed essere naturali.Al ritorno dalla spedizione la felicità è al massimo: in Cile, infat-ti, ero riuscito a realizzare più obiettivi di quelli che avevo spe-rato! Forte di questa motivazione mi rimetto subito all'operacon la tracciatura del Melloblocco. C'era un bel po' di durolavoro da fare per la sistemazione delle aree con la sentieristi-ca, per la creazione delle basi e la pulizia dei massi, ma spera-vo di godere di buone giornate arrampicatorie per sfogarmisulle nuove linee che avevamo appena creato.In verità il tempo orribile e la stagione che ritardava hannoreso questa preparazione molto più pepata del previsto e legiornate per risolvere i problemi si sono ridotte drasticamente.Nonostante tutto, tra uno scroscio e l'altro, mi sono tolto alcu-ne soddisfazioni, creando 120 linee nuove con i miei amici,alcune davvero da cinque stelle come ToyBoy 8a/8a+ in zonascivolo e Trudy, un 8a in zona Climb for life.Subito dopo il Mello sono venuto a capo dell'ultimo problemache mi era sfuggito: Vibrasound 8a/8a+, una linea molto par-ticolare, che Ghisolfi aveva risolto durante il Melloblocco.Ma ora, dopo tutti questi sassi, non ne posso più... e il miosguardo è già sulle pareti!"

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M A K E A W I S HTESTO LUCA PASSINI / FOTO DI RIKY FELDERER

Nella primavera 2012 Luca Passini è riuscito a salire un suo progetto chiodato qualcheanno fa nella Grotta di Mandello, la sua falesia di casa. "Make a wish" ha impegnatoLuca per parecchio tempo e alla fine ne è uscito uno dei tiri più duri della falesia,completamente naturale e che forse rappresenta l'ultima linea a disposizione... Ma come dice Luca..."In grotta c'è sempre qualcosa da fare..."

Quando ebbi la fortuna di conoscere Norbi (Norberto Riva)e Ballera (Marco Ballerini) non avevo ancora ben capito

tante cose, mi ero appena affacciato al mondo dell'arrampi-cata, ne avevo già vissuto diverse sfaccettature, ma la realtàdei monotiri in falesia mi era quasi completamente ignota.Fino ad allora avevo scalato al massimo su vie di 6c (tirandoi chiodi), quel giorno andammo in Valgrande, rimasi esterre-fatto nel vedere come salivano queste linee di 8a /8a+, chesolo a pronunciare il grado, mi si impastava la bocca. Mifecero persino provare a salire, arrancavo su questi appigli,bricolati su una parete liscia, altrimenti impraticabile per glistandard di allora e forse anche di oggi, senza capire benecosa stessi facendo.Qualche giorno dopo il maltempo ci portò alla Grotta diMandello, nuovo spot del momento ancora in fase di chioda-tura, non esistevano le palestre, c'era per lo più qualche"muro casalingo", ma la mentalità non si era ancora totalmen-te aperta a questa geniale evoluzione, per cui nei week end,se pioveva, si saliva anche con l'ombrello, per scalare su que-sta struttura strapiombante che dava riparo dall'acqua.Viste le capacità limitate, il mio obiettivo era ridotto a rag-giungere la fascia mediana della falesia sulle vie più dure,tipo fare metà 8b equivale a un 7c, cose che a pensarci ades-so mi fanno alquanto riflettere. Già allora il grado non era lapriorità, l'importante era scalare, scalare tanto e in ogni con-dizione metereologica, e farlo con gli amici, quelli a cui nondevi chiedere niente, quelli nei cui occhi leggi esattamente ituoi pensieri e le tue motivazioni.Il tempo poi ha fatto la storia, la mia storia, quella è diven-tata un po' la mia seconda casa, un giocattolo a pochi minu-ti d'auto dalla prima, dove andarci anche con solo qualcheora ritagliata agli impegni quotidiani.Dopo aver ripetuto le vie di Stefano Alippi cercavo di imma-ginare qualcosa di nuovo, per dare stimolo alle mie aspetta-tive, il boulder si era ormai affermato da qualche anno,l'evoluzione tattile e mentale del climber moderno si era for-temente indirizzata verso gli appigli naturali ed io volevocercare di seguire questa strada, senza però stravolgerequello che era stato fatto negli anni precedenti, o mettere indubbio le scelte che erano state fatte, figlie delle idee di queitempi.Pertanto, se dovevano nascere dei nuovi itinerari, lo avreb-bero fatto sì, ma solo se la natura ne avesse già tracciatoun'identità nascosta, di difficile interpretazione, che aspetta-va solo di essere scoperta.All'inizio cercai di capire se si potessero concatenare le sezio-ni più dure delle vie, non solamente alla ricerca di un grado,

ma cercando di seguire delle linee logiche, come il bordo ditutta la grotta.E il gioco fu di nuovo eccitante, cercare di sfruttare gli appi-gli naturali, su quell'inclinazione, per passare da una viaall'altra. Capii che ne avrei avuto per un po' di tempo.Poi intravidi la possibilità di chiodare una variante diretta a"Francesca", 5 spit in forte strapiombo su appigli piccoli, avolte piatti e anche un po' strani. Purtroppo aveva un picco-lo difetto, mancava una presa, così migliorai una tacca, tor-nai a provarlo e mi accorsi che non arrivavo a prenderla. Chesfigato! Lo abbandonai, inutile perderci la testa. L'annodopo, durante una nuova ricognizione, togliendo le ragnate-le, trovai un sistema per passare senza l'appiglio migliorato;ricordo ancora con quale felicità lo tappai di resina, e conquanta rapidità ne venni a capo.E adesso? Non mi restava che lei.Nella parte destra della falesia, dove la grotta volge al suotermine, dove la roccia sembra meno bella e invitante, c'eraancora una via da salire, l'avevo chiodata senza troppa con-vinzione in una grigia giornata primaverile nell'ormai lonta-no 2006. Un diedro strapiombante e obliquo, appigli maldi-sposti, a volte troppo svasi, a volte troppo dolorosi. Ce n'èvoluto di tempo solo per venire a capo di quelle insolitesequenze. Si facevano tutti i singoli, ma concatenarli?Ogni anno qualche sporadico tentativo, appeso qualche orasolo per ricordare gli spostamenti dei piedi, gli intermedi, ilgiro delle mani e poi sul più bello l'arrivo del caldo, la per-dita d'aderenza, il livello non all'altezza della situazione.Quest'anno no, l'alta pressione l'ha fatta veramente dapadrone e l'inverno non è mai arrivato (o meglio è arrivatoad Aprile), l'aderenza è stata a dir poco ottima per quasi 2mesi, eppure, malgrado fin da subito avessi fatto i miglioritentativi di sempre, era sempre lì rognosa come un caneaddestrato a respingermi. Ogni qualvolta miglioravo di unmovimento, immancabilmente mi spegnevo al successivo,rendendo vane le mie ambizioni e i miei presupposti: seprendo quella presa lì sono fuori. Non volevo crederci, cade-re lì? In continuità diventava tutto sempre più difficile.Le nuvole grigio scuro in cielo, e le previsioni di pioggia, nonauspicavano certo una giornata memorabile dal punto divista arrampicatorio.Mentre salivo il sentiero che portava alla grotta, pensai checomunque, indipendentemente dalla meteo e dall'umido, acui non ero abituato da tempo, avrei scalato, e ciò mi resesubito felice. Memore di questo e della giornata di scalata delgiorno precedente, che non mi aveva certamente lasciatomuscolarmente incolume, mi ero portato solo uno spezzonedi corda, giusto per riprovare la prima metà della via, quel-la più dura, quella più aleatoria.Ma, come spesso accade, è quando meno te lo aspetti, cheriesci a concretizzare i desideri a cui tieni e per cui hai spesotanto tempo e tante energie. L'obbiettivo raggiunto è l'anel-lo mancante che va a chiudere finalmente il cerchio. Al suointerno le emozioni e i ricordi di questa fetta di vita.Il problema, alla fine, è stato scendere con quei venti metriscarsi di corda!

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Il massiccio del SirouaPartiamo io e Daniele “Neno” Tavola del Gruppo Ragni conaltri tre nostri amici: Andrea Merisio, Marco “Papa”Gualtierie Garcia Frigo. L’obiettivo del nostro viaggio è l’esplorazionedi un’ampia area di blocchi e torrioni posta circa a 200 Kma sud di Marrakech, nell’altopiano del massiccio dello JebelSiroua, ad una quota di 2350 m. Diciamo innanzitutto che la zona è già stata in parte visitatada scalatori spagnoli, inglesi e francesi. Tuttavia viste le gran-di potenzialità del sito, ci sono ancora enormi possibilità perliberare nuovi passaggi e innumerevoli tiri da scalare con lacorda.In base alle informazioni disponibili abbiamo stabilito che ilperiodo migliore per andarci è il mese di aprile, inoltre l’an-nata è stata particolarmente scarsa di neve quindi dovrem-mo trovare condizioni perfette.Atterrati a Mararkech, dopo aver dormito la prima sera pres-so il villaggio di Tamdakht, dove siamo anche riusciti a sca-lare su un bel masso di calcare, partiamo alla volta dellaregione di Amassine dove si trova la nostra meta.La strada 6801 sale lenta e con la quota il paesaggio cambiagradualmente da desertico ad alpino; i pascoli verdi e le fio-riture fanno venire in mente più la Svizzera che l’Africa!Però siamo in Marocco e le piste sterrate non sempre sonocome quelle della Konfederazione. Infatti poco prima digiungere al passo Touggoukine a quota 2519 m., pratica-mente arrivati a destinazione, la strada si interrompe nelvuoto. A causa di un franamento compiamo un’ampia devia-zione e lì il nostro mezzo 4x4 si inchioda in una zona palu-dosa. Dopo qualche ora riusciamo a sbloccare il mezzo conun trattore che è rimasto impantanato il giorno prima e chea sua volta è stato tirato fuori dal fango da tre moto daenduro che passavano per caso di lì. Finalmente arriviamoalla zona di blocchi dove ci attendono la nostra guida ed ilcuoco. Il luogo è magnifico e viene installato il campo. Qui ilverde dei prati contrasta col rosso della pietra ed il blu delcielo e poi i blocchi sono ovunque! Nel tardo pomeriggiocominciamo a scalare passaggi esistenti e a pulire nuovelinee. Garcia libera “Mr Cumino”, una placca strapiombantea liste molto ditosa mentre “Papa” e Andrea provano un bel-lissimo tetto su roccia lavorata: siamo gasati per i giorni suc-cessivi. Dulcis in fundo: le nostre guide sono molto simpati-che e cucinano veramente bene, cosa volere di più? Che lameteo rimanga perfetta come il primo giorno.La mattina successiva ci svegliamo con folate di vento gelidoche strappano i picchetti delle tende peggio ancorate, il cielosi copre gradualmente e in tarda mattinata comincia a pio-vigginare con il vento che aumenta di intensità e le rafficheche cominciano a piegare le nostre tende. Però siamo tran-quilli e facciamo un’abbondante colazione a base di cremaalle nocciole locale, la mitica “Sergio” e di una specie di frit-tatina che chiamiamo “crepes millebuchi”.Per oggi abbiamo capito che dovremo riposare tutti nellagrande tenda mensa. Infatti Habdul, la nostra guida, ci haassicurato che nel massiccio del Siroua il brutto tempo duranon più di una giornata. Perfetto! Sorseggiando thè allamenta la pioggia si trasforma in neve e le temperature siabbassano fin sotto lo zero permettendo la creazione di sim-patici candelotti di ghiaccio sui teli delle tende e sui bordi deiblocchi che avremmo dovuto salire il giorno successivo. La neve e violente raffiche di vento ci cullano tutta la notte

e per i due giorni successivi. L’unico posto asciutto dove staree dove riposare è la tenda mensa. In due giorni non ci restache mangiare, giocare a carte e fantasticare sui nuovi massiche avremmo trovato e scalato. Il terzo giorno, visti i 30cmdi neve caduti e visto che non sembra smettere, conveniamoche al posto dei pads sarebbe stato meglio portare piccozzae ramponi. Dopo un rapido scambio di opinioni prendiamo ladecisione di andarcene via e passiamo al piano B: fuga dalcampo con i muli! Infatti le piste sterrate sono ricoperte dallaneve che si sarebbe sciolta del tutto solo dopo alcuni giorni.Inoltre se anche avesse smesso di nevicare il giorno successi-vo, la neve caduta non avrebbe permesso di scalare peralmeno i successivi 3/4 giorni. Sotto una debole nevicata, facciamo venire dei pastori aprenderci con i muli dallo sperduto villaggio di Amassine,posto a circa 8 Km dal campo.Caricati i muli, dopo 4 ore di cammino raggiungiamoAmassine dove una jeep ci attende per riportarci aMarrakech.

TouflihtLa sfortuna a questo punto termina improvvisamente: lungola N9 che dal Passo Tizi N’Tichka giunge a Marrakech, notia-mo dei blocchi di arenaria immersi nella pineta a monte dellastrada. Scesi dalla jeep, dopo una rapida occhiata capiamoche la qualità della roccia è davvero alta e sui massi dopouna veloce pulizia sarebbero nati passaggi nuovi di zecca esicuramente molto belli. Qui siamo i primi; infatti sui sassinon troviamo nessun segno di magnesite o prese spazzolatee ripulite. Una volta arrivati a Marrakech ci prendiamocomunque una giornata di pausa per valutare il da farsi e neapprofittiamo per visitare il caratteristico suk che si affacciasulla piazza Djemaa el Fna. Qui passiamo delle simpaticheore di delirio cercando di contrattare il prezzo con dei veriprofessionisti. Nel suk tutto, il clima, le voci, i colori, gli odori,le botteghe, ti spinge ad una sola cosa: spendere tutti i dir-ham che hai in tasca! Comunque gli affari li fanno loro; allafine ce ne andiamo via soddisfatti ma provati da contratta-zioni che durano anche più di mezz’ora…Piano C: noleggiamo una vettura per gli ultimi tre giorni e incirca due ore da Marrakech arriviamo a Toufliht, la nostranuova meta. I massi si trovano circa 1 Km a sud della locali-tà di Toufliht, esposti a nord a circa 1350m immersi in unapineta che regala ombra durante tutta la giornata. Dopo lesolite operazione di pulizia riusciamo a pulire quasi ventipassaggi e a liberarne una decina. Subito notiamo due grossi massi dove nascono i primi pas-saggi: “Aziz”, un traverso su tacche con difficile girata su die-dro, in seguito puliamo ”Spigolo champignon” un simpaticospigolo su tacche verticali. I nuovi passaggi nascono veloce-mente: “La compagnia del peto”, “Lo spaccapolsi”, “Vietatocadere”, “Marocchio” e i difficili “Il cuoco” e “Lo schiavo”,liberati da Marco. Alcuni problemi rimangono dei progetti,sicuramente fattibili ma che non siamo riusciti a salire acausa del tempo limitato, altri sono davvero duri!Durante la scalata spesso ci fanno compagnia dei bambinidel vicino villaggio che passano la giornata a guardarci eprobabilmente a chiedersi quanto siamo matti per venire dacosì lontano e pulire delle rocce alte pochi metri con unaspazzola di ferro e poi magari senza neanche riuscire a salir-le… Il simpatico Aziz in particolare ci tiene compagnia per

B O U L D E R I N G I N M A R O C C OTESTO E FOTO DI ANDREA PAVAN

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lungo tempo, dimostrandosi interessato ed aiutandoci anchenella pulizia dei massi! Tornando alla roccia, l’arenaria è soli-dissima: solida come quella di Parigi, rossa come quella diAlbarracin. I passaggi molto vari: spigoli, strapiombi e tacche,compressioni e placche. Le potenzialità del sito non sonoenormi ma abbiamo stimato circa un centinaio di passaggiancora da pulire a monte della strada, tutti sempre di ottimaqualità. Se poi si aumenta il raggio d’azione ai boschi posti avalle della carrozzabile il potenziale aumenta ma bisognereb-be andare a verificare.

SCHEDA TECNICA Jebel SirouaL’altopiano del Siruoa separa la catena dell’ Atlante da quelladell’ anti-Atlante. E’ posto circa 50 Km a sud del Toubkal, la cimapiù alta del Marocco e del Nord Africa. Marrakech, che si trovapiù a nord, è distante circa 250 Km. I massi sorgono alla basedi ampi valloni ad una quota che varia da 2500 m a 2200 m.Vista l’altezza durante i mesi invernali è molto probabile che cisia neve e quindi non riuscire nemmeno ad arrivarci con i mezzi.Durante le stagioni nella norma, la neve si scioglie entro metàmarzo ma nevicate fuori stagione sono possibili anche in segui-

to. Da preferire comunque la primavera sia per la vegetazionerigogliosa e dei prati fioriti ma soprattutto per la presenza diacqua da fusione che serve per la cucina e tutti i fabbisogni delcampo. Per scalare nel Siroua è consigliabile affidarsi adun’agenzia di viaggio locale che si occupa della logistica e chepossa procurare tutto il necessario per l’allestimento del camponell’area di scalata. Bisogna considerare che fino a tutto aprile ivillaggi presenti nelle vicinanze sono disabitati, bisogna essereautosufficienti in tutto e per tutto. Vi è comunque campo per itelefoni cellulari. Per arrivale nel massiccio del Siroua, una volta

giunti a Marrakech dirigersi a sud lungo la P31; circa 23 Kmprima di giungere ad Ouarzazate prendere la P32 e giunti adAnezal girare a destra i direzione di Tamallakout. Superato il vil-laggio di Tachakouch la strada diventa sterrata ed è necessarioun mezzo fuoristrada, meglio se con argano per disincagliare ilmezzo. Superare la deviazione per il villaggio di Amassine (innu-merevoli blocchi presenti) e imboccando una strada in terra bat-tuta (si vede chiaramente il sito di scalata) che scende versodestra si giunge all’area blocchi principale, posta poco prima delvillaggio di Aziwane.

SCHEDA TECNICA TouflihtIl sito di arrampicata è posto lungo il versante settentrionaledella catena dell’Atlante circa 80 Km a sud di Marrakech lungola P31.I massi sorgono ad una quota di circa 1350 m, in zona abba-stanza ombrosa e relativamente umida. Il periodo miglioreva da ottobre ad aprile. In caso di precipitazioni meglioattendere un giorno prima di recarsi a scalare. Per pulirenuove linee necessaria una spazzola per rimuovere muschioe licheni.

Per dormire e mangiare sono presenti alberghetti e Gitesd’Etape lungo la strada che porta a Marrakech (P31). Vi ècampo per i telefoni cellulari.

Un ringraziamento particolare al Gruppo Ragni del CAI Leccoche ha tra i primi promosso il bouldering esplorativo e ha resopossibile intraprendere questo stimolante anche se non moltofortunato viaggio.Un ringraziamento anche a Adidas e Skylotec per il supporto tec-nico fornito.

BOULDERING IN MOROCCO BY ANDREA PAVAN

Siroua MassifDaniele Tavola and I, members of the group “Ragni di Lecco”head to Morocco, with three other friends: Andrea Merisio,Marco “Papa” Gualtieri and Garcia Frigo. The goal of our tripis to explore a wide bouldering area, situated about 200kmsouth of Marrakech, in the plateau of the Jebel Siroua mas-sif, at an altitude of 2350 meters above the sea level.Firstly let’s say that the area had already been visited bySpanish, British and French climbers. However, given thegreat potential of the area, there are still huge possibility ofopening new passages and several pitches to climb with therope.Basing on the available information we retained April thebest month to go there, in addition to this, the winter hasbeen very poor of snow, thus we should have found perfectconditions.Once landed in Marrakech, after having slept a first night inthe Tamdakht village, where we found also a nice limestoneboulder to climb, we leave for the Amassine region.The route 6801 goes up slowly and the landscape graduallyswitched from desert to alpine; the green grass pasture andthe blossoms recall in our mind Switzerland rather than

Africa! We’re in Morocco anyway, and the dirt roads, notalways are the same as the ones in the Swiss confederation.In fact just before getting to Touggoukine pass (2519 msl),basically almost arrived to our destination, the road brakesoff in the void. Due to a landslide we make a wide detour,and our four wheels drive jeep gets stuck in a swamp. Aftera few hours we succeed in rescuing our vehicle with a trac-tor, which got stuck the day before and has been rescued outof the mud by three Enduro motorcycles that were random-ly passing by.Eventually we arrive at the bouldering area where our localguide and the cook are waiting for us. The place is wonder-ful and we set our base camp. Here the green of the grassencounters the red of the stone and the blue of the sky, andthen there are boulders everywhere! Late in the afternoonwe begin to climb existent problems and clean new lines.Garcia opens “Mr Cumino”, a slightly overhanging crimpywall; meanwhile “Papa” and Andrea try a fantastic roof witha perfect sculpted rock: we’re psyched for the upcomingdays. Dulcis in fundo: our guides are really friendly and cookreally well, what else do we want? …We want that the wea-ther stays perfect like the first day…

The following morning we wake up with freezing gusts ofwind, which rip the pickets of the badly pitched tents, the skygradually covers with clouds and late in the morning it startsto rain, with the wind rising and the gusts that begin to bendour tents.However we’re relaxed and we have a big breakfast withlocal peanut cream, the mythic “Sergio” and some kind ofomelette similar to the French crepes…In any case it’s clear that today we’ve to rest in the big kit-chen tent. In fact, our guide Habdul, guaranteed that badweather in the Siroua massif only lasts one day. Perfect!While sipping mint blended tea the rain turns into snow andthe temperature drops below zero, allowing us to play withice candles which are forming on our tents and on the boul-ders we should have climbed the following day.The snow and the strong gusts of wind stay with us duringthe whole night and for the next two days. In these two dayswe can’t do anything but eat, play cards and dream aboutnew boulders which we would have found and climbed. Thethird day, given the 30cm of fallen fresh snow and given thefact that it doesn’t look to stop, we agree that crampons andice axes would have been much useful rather than crash

pads. After a quick exchange of ideas we take the decisionof going away and try our plan B: escape from the basecamp on the back of the mules! The dirt roads are all cove-red with snow which would have melted only after a fewdays. Moreover even if it had stopped snowing the followingday, the snow already fallen wouldn’t have allowed us toclimb at least for 3-4 days.Under a feeble snow, we let the shepherds and their mulescome from the small village of Amassine and pick us up.Once loaded the mules, after a four hours hike, we arrive toAmassine, where a jeep is waiting to bring us back inMarrakech.

TouflihtSuddenly the bad luck comes to its end: during the route N9,that from Tizi N’Tichka pass leads to Marrakech, we noticesome sandstone boulders in the middle of a pinewood abovethe road. Got off the jeep, after a quick look, we understandthat the quality of the rock is really high and on these boul-ders, after a quick cleaning, there would be born some brandnew problems, really beautiful for sure. We’re the first in thisplace; as a matter of fact we found neither any evidence of

cleaned or brushed holds, nor signs of chalk. Once inMarrakech, anyway, we take a day off to decide what to doand we visit the characteristic “Suk” which faces the Djemaael Fna square. Here we spend some funny and delirioushours in bargaining with true specialists of the job. In theSuk, the atmosphere, the voices, the colors, the smell, theshops, everything pushes you to do one single action: spendall the Dirham you’ve in your pockets! However they makethe good deals; in the end we leave satisfied, but tired afterhours of bargaining…Plan C: we rent a car for the last 3 days and in about 2 hoursfrom Marrakech we arrive in Toufliht, our new destination.The boulders are about 1 Km south of the village, northfacing, at an altitude of about 1350 slm, immersed in a pine-wood which keeps them in the shade all day long. After theusual cleaning routine, we manage to clean almost 20 pro-blems and climb about 10 of them.We immediately note two big boulders, where we open thefirst problems: “Aziz”, a traverse on crimps with a hardmove to get into a dihedral, afterwards we clean “Spigolochampignon” a funny edge on vertical sidepulls. The newproblems are born quickly: “La compagnia del peto”, “Lo

spaccapolsi”, “Vietato cadere”, “Marocchio” and the hard “Ilcuoco” and “Lo schiavo” climbed by Marco.Some of the problems remain projects, for sure doable, butthat we couldn’t climb due to the limited amount of time,some others are really hard!While climbing, often we’re with the children of the nearbyvillage, which spend their day staring at us and probablywondering how crazy we are for coming from so far awayand clean some rocks a few meters tall with an iron brush,and then maybe without even managing to climbthem…The funny Aziz, in particular, stays with us for along time, showing interest and helping us in cleaning theboulders!Back to the rock, this sandstone is super-solid: as solid as theone in Paris, as red as the one in Albarracin. The problemsare really varied: edges, overhangs and crimps, compres-sions, slabs. The potential of the area is not huge but weestimated around a hundred problems still to be cleanedabove the road, all of them high quality boulders.Well, if we extend the range of action to the woods belowthe road the potential increases, but it would be better tocheck first.

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Fra i protagonisti delle cronache del Gruppo Ragni 2013 cisono ovviamente anche loro, le ragazze e i ragazzi della

squadra giovanile dei maglioni rossi, che nei primi sei mesi diquest’anno si sono fatti valere con realizzazioni di primissimolivello tanto in ambito nazionale che internazionale.Prima ancora dei risultati agonistici però è indispensabile, inparticolare quando si parla di sport giovanile, mettere in risal-to quello che alla fine è il successo più grande: i nostri “ragnet-ti” sono sempre più una squadra affiatata, fatta di giovani egiovanissimi che condividono una grandissima passione, allaquale si dedicano anche con dedizione e spirito di sacrificio,ma soprattutto, con grande divertimento!Se poi andiamo a vedere le migliori prestazioni nel nostro pal-mares, il primo nome che incontriamo è quello di StefanoCarnati (categoria Under 16) che in questo inizio di stagioneha dominato le gare di Coppa Europa giovanile nella speciali-tà Boulder (oro a Sofia e argento a Grindenwald) ed ha vintoil Campionato Europeo di Edimburgo.L’altro atleta della squadra dei ragni a far capolino nelle clas-sifiche europee (sempre per la categoria Under 16) è SimoneTentori, quinto nel Boulder a Sofia e 11esimo a Grindenwald:davvero non male per un ragazzo al suo primissimo esordionelle gare di livello internazionale!Il diritto di gareggiare in Europa Stefano e Simone se lo sonoguadagnato con i risultati ottenuti nelle finali nazionali di Arcodi Trento (rispettivamente 1° e 2° nel Boulder e 2° e 7° nelLead) dove anche gli altri atleti dei Ragni hanno saputo dimo-strare la loro preparazione.Fra le ragazze il primo risultato di spicco è quello di Anna Aldé(categoria U12) che ha condotto una gara da manuale nellaspecialità Boulder, che le è valsa il titolo di vicecampionessanazionale e una meritatissima medaglia di bronzo nella com-binata.Ottimo anche il risultato di Alice Tavola (categoria U14), che,con un po' di rammarico, arriva alle soglie del podio nella spe-cialità Speed, ma sappiamo che avrà ancora tantissime altreopportunità per rifarsi del dispiacere e togliersi molte altresoddisfazioni!Nella specialità Lead la migliore delle Ragnette è stata MariaBallerini (categoria U14). Anche per lei l'appuntamento diArco lascia un po' di amaro in bocca: c'è mancato davvero unsoffio per essere inclusa fra le sette ragazze della finale, maun 8° posto in una competizione nazionale è un risultato di cuiandare assolutamente orgogliosi!

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A P P I G L I D A G A R ATESTO DI SERAFINO RIPAMONTI / FOTO ARCHIVIO RAGNI DI LECCO

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6 1 ° C O R S O R A G N ITESTO GIOVANNI COLOMBO / FOTO DI ANTO SUPER

Si è concluso anche il 61esimo corso roccia dei Ragni di Lecco, un'ennesima esperienza di alpinismo e di vita per il Gruppo, gli istruttori e gli allievi che quest’anno si sono legatialle nostre corde. Fare una semplice cronaca delle varie uscite non renderebbe giustizia al vero significato di questa avventura, meglio lasciare la parola ai veri protagonisti, perquesto diamo volentieri spazio al messaggio che ci è stato inviato da Giovanni, uno degli allievi del corso.

Ciao Silvano (Silvano Arrigoni – ndr) e ciao a tutti gli altriistruttori della scuola dei Ragni. Avrei voluto, di persona,

ringraziarti e farti conoscere le mie impressioni su questaesperienza appena terminata, ma purtroppo non potrò par-tecipare alla cena conclusiva per impegni lavorativi.Dato che non so se ci saranno altre occasioni di fare duechiacchiere, ho pensato di mandarti uno dei miei famosimessaggi con i quali ti ho assillato per più di un mese. Ilcorso di roccia è stata una esperienza tanto emozionante ecoinvolgente quanto istruttiva e completa.La vostra capacità di spiegare, al tempo stesso, con serietà eprofessionalità ma anche con serenità e allegria è fuori dalcomune.Ognuno degli istruttori, tutti molto diversi tra loro nel mododi essere e di avvicinarsi agli allievi, ha saputo regalare “unqualcosina in più” (vuoi un aneddoto, una spiegazione par-ticolareggiata, una nozione geografica, una indicazione ali-mentare, un trucco di arrampicata, un consiglio sulla messain sicurezza, un proverbio in dialetto, ecc.), che va adaggiungersi alle interessanti sedute teoriche e alle provepratiche.Perché, in effetti, la scuola che proponete non è la solitalezione da seguire seduti in silenzio, prendendo appunti, per

poi mettere in pratica quanto appreso.... o meglio... anchequello, ma soprattutto è vivere la montagna al fianco dipersone che la conoscono e la amano da anni e che sonopronte a trasmettere tutta la loro passione.Tutto questo senza che nessuno ti faccia sentire un estraneo oun incapace, con la pazienza e la disponibilità che fatico aricordare di aver trovato nelle scuole da me frequentate, nonsvilendo l'arrampicata in un semplice gesto atletico/tecnicoma elevandola a stile di vita.Mi avete preso, un insicuro bradipo quarantenne di un quin-tale che passa le giornate lavorando al computer e non sape-va infilarsi un imbrago, ed in meno di un mese siete riusciti afarmi arrivare in cima sul torrione Magnaghi...sconvolgente!Mi è piaciuta molto anche la vostra scelta di farci provare ivari tipi di arrampicata, in aderenza o parete, e addiritturadi farci assaggiare diversi tipi di roccia portandoci in Val diMello per provare il granito tanto diverso dal calcare che cicirconda.... e se penso ai nodi che all'inizio parevano impos-sibili ed ora li faccio in parete con una mano sola!Scherzi a parte ti (e vi) mando i miei sinceri ringraziamentiperché, per merito vostro, ho avvicinato aspetti della monta-gna che mai mi sarei sognato di apprezzare.

Un allievo entusiasta

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A C A D E M YFOTO DI MATTEO PICCARDI, PAOLO GRISA, MICHELE TAPPARELLO

Un sogno a lungo cullato è finalmente diventato realtà. Quest’anno si è svolta la prima edizione dell’Academy dei Ragni, un progetto che ha avuto il supporto del Cai Lecco, il rico-noscimento della CNSASA ed è nato all’insegna della continuità generazionale, con l’obiettivo di trasmettere ai giovani scalatori di talento il know how alpinistico di cui ilGruppo e i suoi elementi di spicco sono depositari.Sette sono gli allievi di questa edizione d’esordio: il più piccolo di loro ha solo 15 anni, mentre il più "vecchio" ne conta 25 anni. I nomi sono quelli di Riccardo Fumagalli, LucaGianola, Paolo Grisa, Marco Maggioni, Michele Tapparello, Elisa Villa e Simone Tentori (chefa anche parte della squadra giovanile di arrampicata sportiva dei Ragni).Da gennaio a giugno i “magnifici sette” si sono messi alla prova sui terreni più diversi: dallecascate di ghiaccio alla scalata trad sulle fessure della Valle dell’Orco, dalle vie di misto delBianco ai liscioni del Wenden, sempre affiancati dai membri dei maglioni rossi.Una delle ultime uscite dell’Academy ha visto Marco Maggioni, Paolo Grisa e MicheleTapparello in azione sul calcare del Ratikon, accanto a Fabio Palma, Matteo Piccardi, LucaPassini e Paolo Spreafico. Tutti insieme fino alla base delle pareti, poi vecchietti da una partee giovinastri dall'altra! Alla cordata degli allievi si è unito anche Dimitri, giovane climber di 25 anni, da poco uscitodal corso roccia dei Ragni. Il suo racconto di quell’esperienza in parete è probabilmente lamigliore testimonianza dello spirito che anima il progetto Academy.

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Sul Ratikon avevo letto grandi imprese di grandi fenomeni,avevo cercato foto e relazioni per capire se dopo un corso

base avrei potuto buttarmi in quel mare di roccia che tutti defi-nivano magnifica.La conclusione delle mie ricerche è stata: scenario sicuramenteda favola, ma decisamente severo e fuori dalla mia portata,ovviamente visto che non ho mai salito una via normale daprimo neanche in Grignetta. Mi ero ripromesso che durante le vacanze sarei comunqueandato a dare un'occhiata dal basso in Ratikon, come inWenden.Quando durante la cena di fine corso mi è stato chiesto, doma-ni vieni in Ratikon? La mia risposta non poteva essere altro che SÌ: ogni lasciata èpersa e queste occasioni non capitano due volte.Decisamente eccitato per quello che mi aspettava (in realtà noncosì consapevole) cerco di prendere sonno.Ritrovo ore 6.00, mi presento a quel ragazzo, Marco, che poidiventerà il mio capo cordata, arriva Fabio l'artefice di tutto, cisi trova con gli altri componenti del gruppo e si parte.Arrivati al posteggio sotto le pareti, il commento che mi sonotenuto per me, è stata una sonora imprecazione.La faccio breve, decidono la via da salire e si parte. Marco scalamolto bene e con una calma disarmante tutti i primi tiri, io conlo zaino cerco di dare il massimo e di essere veloce per non per-dere contatto con Paolo e Tappa che ci precedono.Avevo scalato solo una volta con lo zaino e avevo giurato di nonfarlo mai più, ma alla fine questa scelta si è rivelata corretta: èpiacevole a volte avere delle comodità. Tutto tranquillo, la sca-lata è fantastica, la roccia superba, ambiente decisamente moti-vante.Arrivati tutti alla sosta del tiro più duro, prima del traverso,Paolo e Tappa ci dicono che non vanno avanti, sono le 19.30,ancora tre tiri non semplicissimi, discesa incerta, ore di lucepoche e in quattro siamo lenti. Marco dimostra grande caratte-re e continua, io lo seguo decisamente più teso: quando annun-cia il suo arrivo alla sosta dell'ultimo tratto difficile, tiro un gros-so sospiro di sollievo. Ultimo tiro, scalato velocemente, Marcopraticamente mi tira in sosta, fine della salita, ma siamo a metàstrada. Gli faccio i complimenti.La discesa si rivela un po’ macchinosa, forse troppo, noto cheanche Marco accusa un po’ la tensione, tirare le corde è fatico-so a questo punto, siamo stanchi. Commetto un grave errore,perdo il discensore. Calma... mezzo barcaiolo e giù più in fretta che si può.Arriviamo a terra, ci aspettano Tappa e Paolo. Mi accendo unasigaretta, corriamo fuori dallo zoccolo, è praticamente buio einizia a piovere, troviamo gli altri ragazzi che ci aspettano.Sono distrutto ma felice, per me è stata un'avventura esaltan-te!!!Sono super motivato per proseguire! Grazie a tutti per questaesperienza.

Dimitri

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PhotographersPietro Bagnara (www.pietrobagnara.com)Riky Felderer (www.rikyfelderer.com)Alberto Locatelli

GraphicsStefano Roffo ([email protected])

English revisionMatteo Della Bordella, David Bacci

EditingSerafino Ripamonti

[email protected]

Guarda i video dei Ragni su Vimeo:

Finito di stampare nel mese di luglio 2013presso E.S.A. Trend – Via Lussemburgo 6, Gallarate (Va) Ph

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