brand care magazine 001

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b u s i n e s s t h i n k i n g Brand Care magazine • ISSN: 2036-621 • Anno I numero 1 • giugno-agosto 2009 BUSINESS Governance dei processi TECNOLOGIE E WEB Open source n° 001 COMUNICAZIONE Brand equity 5

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Brand Care magazine è la nuova rivista di marketing, creatività, comunicazione, tecnologie, business, culture e formazione edita dalla società di comunicazione romana Queimada. Il magazine è rivolto a manager, opinion leader e professionisti del tessuto produttivo italiano, oltre che al mondo della formazione e della ricerca, con l'obiettivo principale di connettere in un network autorevole esponenti del mondo accademico e imprenditoriale, attraverso la pubblicazione di articoli, riflessioni e case histories su fenomeni culturali e di business.

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    BUSINESSGovernance dei processi TECNOLOGIE E WEB

    Open source

    n 001

    COMUNICAZIONEBrand equity

    5

  • Brand Care magazine | Numero 001 | giugno-agosto 2009

    EditoreQueimada di Bernabei & Colucci sncvia V. Veneto, 169 - 00187 RomaP. IVA e CF 02249990595

    [ T ] +39 06 4871504[ F ] +39 06 62275519[W] www.brandcareonline.com[@] [email protected][ S ] queimada_skype

    Direttore responsabile:Sergio Brancato

    Policy:I contenuti e le opinioni espresse dagli autori dei singoli contributi e dagli intervistati non coincidono necessa-riamente con quelle di Brand Care magazine. Tutti i marchi registrati citati sono di propriet delle rispettive aziende. Nessuna parte del contenuto di questo magazine pu essere pubbli-cata, fotocopiata, distribuita e diffusa attraverso qualsiasi mezzo - online e offline - senza il consenso scritto di Queimada snc, fatta eccezione per i contenuti in cui vi espressamente indicato un regime di diritto dautore diverso (es: Creative Commons).

    ISSN2036-6213

    Contributors n 001 Diego Altobelli, Alfonso Amendola, Davide Bennato, Giusy Bernabei, Vincenzo Bernabei, Sergio Brancato, Massimo Caiati, Alessandra Colucci, Alessia Cremonini, Susanna DallAra, Niko Demasi, Viviana Gravano, Giulia Grechi, Pierpaolo Panco, Daniele Pittri, Lia Sellitto, Marta Trotta

    Brand Care magazine addicts Alberto Abruzzese, Alfonso Amendola, Davide Bennato, Claudio Biondi, Sergio Brancato, Vanni Codeluppi, Patrizio Di Nicola, Viviana Gravano, Vincenzo Moretti, Marco Pietrosante, Daniele Pittri, Guelfo Tozzi

    Grafica e impaginazione:Dario Drago

    Stampa:Grafica MetellianaVia Gaudio Maiori - Zona industriale84013 Cava de Tirreni

  • SOLOUNADELLETANTEOFFERTEPERVIAGGIARESUITRENI!6!6&ASTED%UROSTAR&AST#ONINUOVIPREZZIPRIMACOMPRIILTUOBIGLIETTOPIGRANDEILRISPARMIO

    SEACQUISTIALMENOUNMESEPRIMADELLAPARTENZAPUOIAVERELOSCONTODEL

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    4UTTELEOFFERTESONOAPOSTI LIMITATISOGGETTEARESTRIZIONIEACQUISTABILI FINOAL,A3UPER ELA3PECIALE PREVEDONOBIGLIETTINOMINATIVISONOVALIDESOLOPERLAACLASSESUALCUNETRATTEECONSPECIFICHELIMITAZIONIPERILRIMBORSOEILCAMBIODELBIGLIETTO,A3UPERDISPONIBILESOLOPERGLIACQUISTIONLINEALCALLCENTERONELLEAGENZIEDIVIAGGIOINMODALIT4ICKETLESS

  • Alessandra ColucciProduct Placement Cos e come si usa

    Daniele Pittri Comunicare lItalian Style

    Niko Demasi Io/Voi o Noi/Tu?Le campagne dellUDC e del PD a confronto

    Vincenzo BernabeiCreativit e rapporto con il cliente

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    EDITORIALE10

    PROFILI

    14MARKETING

    Lettera Aperta in materiadi Product Placement

    24COMUNICAZIONE

    17FOCUS

    Marche fittizie:Il Caso ACME

    Diego AltobelliBrand equity

    Il lambret twist del Quartetto Cetra

    FOCUSIl patrimonio di marca

    e i suoi indicatori

    Cinema e Product PlacementIl parere di Claudio Biondi

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    36CREATIVIT 36

    40Lia Sellitto

    Le opportunit celate dal rifiuto:

    Creatives are Bad 09

    Massimo Caiati MacGyver, A-Team e la creativit:comunicare in tempo di crisi

    FOCUSClassici e Tecnici

    sulladvertising 4445

    46TECNOLOGIE E WEB

    Davide BennatoLintelligenza Open source

    Diego AltobelliIl partito delle libert (digitali)

    46

    Alessia Cremonini Floss community

    e pubblica amministrazione:il caso dellEmilia-Romagna

    49

    50

    Pierpaolo Panco Web e Tv:dai digital video recordera iTunes

    54

    Viviana Gravano La trasmissione dei saperi:

    un puzzle dalle infinitepossibili varianti

    Sergio Brancato

  • HIGHLIGHT Brand Care TrainingFormazione aziendale e professionale

    HIGHLIGHT Soft Strategy

    98

    76CULTURE

    58BUSINESS

    57FOCUSHulu

    Marta Trotta Governance dei processiGestire limprevedibile:istruzioni per luso

    58

    68

    Il consulente un animale strano

    Intervista a Roberto Provenzano70

    75Recensioni Enakapata

    76Giulia Grechi

    ll denaro delinquente

    FOCUSCesare Pietroiusti

    84 Alfonso Amendola Saccheggiate il Louvre!

    Susanna DallAra AgendaPersonaggi in mostra

    88Giusy Bernabei

    Dallinfinitesimo allinfinito

    FOCUSDVR - Digital Video Recorder 55

    FOCUSTiVo 56

    90

    Viviana Gravano La trasmissione dei saperi:

    un puzzle dalle infinitepossibili varianti

    94

    94FORMAZIONE

    76

  • Lidea che ci facciamo di una rivista, specie se nuova, non determinata tanto dalle parole delleditoriale momento rituale di presenta-zione, sorta di sillabario ideologico, discorso sulla cosa quanto dallimpatto delloggetto sui sensi del suo lettore: il suo peso, larmonia delle dimensioni, la grammatura della carta, la grana dellimmagine, la lucentezza o lopacit del colore, lodore della stampa. La capacit

    di evocare immagini del passato o prefigurare quelle del tempo

    in cui velocemente viviamo. Allora questo editoriale vuole sottrarsi il pi pos-sibile alle ripetizioni di rito per consentire al lettore di appropriarsi, senza troppe

    mediazioni, delloggetto che ha tra le mani. Magari fornendo

    solo qualche informazione, una chiave di pi facile accesso allo spazio mol-tiplicato dellimpaginazione, ai suoi contenuti.Non un caso che questa rivista sia stata progettata da due giovani im-prenditori della comunicazione, Ales-sandra Colucci e Vincenzo Bernabei, che continuano a mantenere un rapporto privilegiato con lUniversit. La mission primaria di Brand Care maga-zine infatti creare nuove e origina-li connessioni tra mondi: quello del-luniversit e delle isti-tuzioni preposte alla forma-zione, non soltanto italiano, e quello del business. Mondi che, soprattutto in Italia, hanno il limite di non parlare abbastanza tra loro. Attraverso articoli, inchieste, studi di settore o brevi sag-gi, Brand Care magazine aprir il pro-

    Brand Care magazine: Tra sapere e saper fare

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  • prio spazio a docenti, formatori, professionisti, esperti di settore, con lobiettivo di dar voce al nuovo, alle esperienze proiettate sulle traietto-rie dellinnovazione, al futuro di unimpresa che non pu fare a meno della ricerca. E viceversa,

    com ovvio.Lorizzonte tematico di Brand

    Care magazine comprende la comunicazione, il marketing, la creativit, linnovazione, le tecnologie (con particolare riferimento al web), il busi-

    ness, la formazione, le culture. Lapproccio della rivista intende

    trasformare laccumulo di queste parole in una rete dinamica di interventi, re-

    lazioni, progetti, scambi. Certo, la scelta di dar vita a un prodotto cartaceo in un contesto ormai proiettato verso lutilizzo sempre pi diffuso dei media digitali pu apparire anacronistica, o al-meno in controtendenza. Non cos: uno dei valori portanti di Brand Care magazine, infatti, lalta compatibilit con forme di scrittura web-oriented, del tutto connaturate a una rivista che pu considerarsi lo spin-off di Brand Care on line, il portale di Queimada che da oltre due anni pubblica quotidianamente post e news inerenti luniverso della comuni-cazione e del marketing.Anche dal punto di vista dei target, la filosofia di Brand Care magazine si fonda sulla contaminazione di linguag-gi e tecnologie, ma anche di ruoli e professionalit: il suo obiettivo quello di intercettare, attraverso il bilanciamento tra con-tributi di alto spessore tecnico e articoli di stampo divulgativo, lattenzione e linteresse del middle e top management aziendale, quello dei soggetti impegnati nel mondo della ricer-ca, ma anche la curiosit dei semplici appassio-nati, i cittadini del Duemila, i quali avranno ac-cesso a contenuti piacevoli e attendibili, senza lobbligo di intraprendere impegnativi percorsi di interpretazione. Scoprendo, qualora gi non lo sappiano, quanto sia breve la strada tra il sape-re e il saper fare. Sergio Brancato

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    LI D I E G O A LT O B E L L I Nel 1999 scopre che non sarebbe mai diventato un famoso pianista jazz, che nessun meteorite avrebbe distrutto la Terra e che i Beatles

    non si sarebbero mai pi riuniti. Non parla con chi non pensa che Ritorno al futuro sia il miglior film di tutta la storia del cinema.

    Laureato in Scienze della Comunicazione, scrive racconti e sceneggiature e, dal 2005, il copywriter di Queimada - Brand Care.

    D AV I D E B E N N AT O Insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi (Universit di

    Catania). Studioso dei rapporti tra innovazione e tecnologia, consulente aziendale di formazione, social media e strategie di ricerca

    sociale in ambiente web 2.0. Ricercatore per la Fondazione Einaudi (Roma), co-fondatore e vicepresidente di STS Italia. Scrive su:

    Internet Magazine, tecnoetica.it, processiculturali.it, puntobeta.net.

    V I N C E N Z O B E R N A B E I Laureato in Scienze della Comunicazione (La Sapienza Universit

    di Roma) pubblica la sua tesi dal titolo Cinema: Evasione, strategie di fuga nel pi invasivo dei media con Tilapia.

    Titolare di Queimada Brand Care, dal 2008 si divide tra lufficio e lUniversit di Salerno, dove dottorando di ricerca.

    Ama il cinema, il web e i media in genere. Adora la filosofia.

    A L F O N S O A M E N D O L A Autore di vari libri, insegna allUniversit di Salerno, di Firenze e allAccademia della Comunicazione di Milano. Vice-presidente del Centro Studi Rappresentazioni Linguistiche dellAteneo di Salerno. Opinionista del Corriere del mezzogiorno. Direttore scientifico del BOX di Roma. Cura la rubrica video-performance su NIM.

    Si occupa dei rapporti tra culture davanguardia e culture di massa.

    G I U S Y B E R N A B E I Approda a Viterbo nel 2004 per studiare Storia dellArte allUniversit della Tuscia. La tesi triennale Gli intonaci dipinti della chiesa di San Bonaventura a Monterano le d lopportunit di collaborare con storici dellarte e archeologi. Ama viaggiare, leggere, andare al cinema, ascoltare musica (i Coldplay), guardare serie televisive

    e fare shopping (da vera shopaholic). Adora il flamenco .

    S E R G I O B R A N C AT O Insegna Sociologia della Comunicazione (Universit di Salerno) e Sociologia dellIndustria Culturale (Federico II di Napoli). Si occupa di media, societ e cultura di massa. Ha pubblicato tra gli altri: Fumetti (Datanews); Sociologie dellimmaginario (Carocci); Introduzione alla Sociologia del cinema (Sossella); La citt delle

    luci (Carocci); Senza fine (Liguori), Il secolo del fumetto (Tunu).

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  • M A S S I M O C A I AT I Copywriter dal 2002, prima per DDB Milano e

    Saatchi & Saatchi Roma, ora in Saatchi & Saatchi Ginevra. Rappresentante italiano dei creativi under 28 a Cannes 2007,

    vincitore dellAntenna dArgento al Radiofestival nel 2008 e Bronzo allArt Directors Club Italia nel 2008.

    A L E S S I A C R E M O N I N I Laureata in Scienze della Comunicazione (La Sapienza Universit di

    Roma), collabora a vari progetti del Dipartimento di Sociologia e Comunicazione. Amando web e formazione, si occupa di e-learning, progettazione, creazione di contenuti e open source. Strappata alla

    console, unappassionata di tecnologia, musica, cinema, organizzazio-ni e creazione di nuova conoscenza. Non parente di nessun cantante.

    N I K O D E M A S I Lo sguardo schizzato di Jack che chiama Danny mentre lo insegue nella

    neve uno dei suoi ricordi dinfanzia pi limpidi. Diplomato in progettazione multimediale e laureato in Comunicazione alla Sapienza

    di Roma, la voglia di cucinare nella stessa pentola musica, grafica e video lo fa diventare un motiongrapher.

    Il mistero dei suoni e delle immagini resta il suo passatempo preferito.

    A L E S S A N D R A C O L U C C I Laureata in Scienze della Comunicazione (La Sapienza Universit di Roma) con una tesi sul Product Placement., Oltre a essere titolare di Queimada Brand Care, insegna produzione audiovisiva, comunicazione e marketing in diversi master universitari. Adora il cinema, il design e la pubblicit in qualsiasi sua forma.

    Viaggiare, connettere e organizzare le sue passioni.

    S U S A N N A D A L L A R A Laureata in Lingue nella Societ dellInformazione, parte per lAustralia dove lavora e studia per imparare unaltra lingua oltre al francese. Tornata in Italia lavora per aziende specializzate in organizzazione eventi e diventa responsabile di hostess congressuali, finch decide che arrivato il momento di inviare un curriculum a Queimada

    Brand Care per ricoprire un posto da Project manager.

    D A R I O D R A G O Siciliano, annata 85. Frequenta lIstituto Statale dArte (a Cefal) e lo IED Istituto Europeo di Design (a Roma), laureandosi in Digital Virtual Design. Matura esperienze in diversi settori: dalla grafica al video, dal 3D al web finch, un giorno, non finisce negli uffici di Queimada Brand Care. Ha molte idee tra cui un progetto di appendici di vetro

    su palafitte che vadano a ricoprire le parti mancanti del Colosseo. PR

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    LI V I V I A N A G R AVA N O Storica e curatrice darte contemporanea, insegna allAccademia di Belle Arti di Brera (MI). Coordinatore Culturale di IED Moda Lab (RM),

    l insegna Culture Visive ed coordinatore e docente del Master per Curatore Museale e di Eventi. membro della redazione di ArtO e co-

    fondatrice di Gomorra e Avatar. Ha pubblicato tra gli altri: Paesaggi attivi e Progetti fotografici di confine (Costa&Nolan).

    L I A S E L L I T T O Appassionata di musica, autrice di programmi radiofonici per la

    webradio dellUniversit di Salerno dove si laureata in Comunicazione dImpresa e Pubblica. Collabora con MTN Company in qualit di

    supporto allarea marketing e allufficio stampa. Corrispondente di testate giornalistiche provinciali, iscritta nellElenco dei Pubblicisti

    presso lOrdine dei Giornalisti della Campania.

    D A N I E L E P I T T R I Esperto di comunicazione, si occupa di pubblicit, comunicazione

    strategica, industria culturale e media events. Docente alla Luiss (RM) e alla Federico II (NA), presidente di Labcom srl, editorialista de La

    Repubblica, ha pubblicato tra gli altri: Fabbriche del desiderio (Sossella), La pubblicit in Italia (Laterza); Lintensit e la

    distrazione (Franco Angeli); Democrazia elettronica (Laterza).

    G I U L I A G R E C H I Laureata in Scienze della Comunicazione (La Sapienza, Roma), collabora con la cattedra di Antropologia Culturale del Prof. Canevacci. Dottore di Ricerca in Teoria e Ricerca Sociale, si occupa di studi culturali, visuali e postcoloniali, con focus sulla relazione tra antropologia e arte contemporanea. assistente al coordinamento e docente del

    Master per Curatore Museale e di Eventi (IED, Roma).

    P I E R PA O L O PA N C OLaureato in Scienze della Comunicazione allUniversit di Salerno, ha qui conseguito il titolo di dottore di ricerca con una tesi dal titolo Info-remediation incentrata sulla serialit mediatica. Attualmente collabora con la cattedra di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi del Prof. Sergio Brancato occupandosi

    di consumo dei media e serialit audiovisiva.

    M A R TA T R O T TA Consegue laurea e dottorato di ricerca presso la Facolt di Scienze della Comunicazione (La Sapienza, Roma). Affascinata dal modo in cui le per-sone producono in quei luoghi chiamati organizzazioni, diventa esperta di processi formativi, consulente di formazione finanziata e ricercatrice in tema di Comunicazione pubblica e organizzativa,

    Sociologia dellorganizzazione, della comunicazione e del lavoro.

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    Il product placement fa parte del tie-in cinematografico ed una tecnica di comunicazione com-merciale utilizzata per progettare e realizzare, a fronte di specifici costi e nel rispetto di determinati contratti, la pianificazione del po-sizionamento di un prodotto o di una marca allinterno delle scene di un film: legato tipicamente alla realt cinematografica, trova anche applicazione allinterno di program-mi televisivi di ogni tipo (variet, fiction, cartoni animati), in sof-tware e in forme artistiche diverse dal cinema.Per product placement dunque si intende lopportunit offerta da un film a una impresa (solitamente molto nota e con una posizione di marketing di successo) di far ap-parire il proprio marchio o i propri prodotti allinterno della pellicola pagando alla produzione un cor-rispettivo negoziato e disciplinato per contratto (corrispettivo che regola anche gli ambiti di utilizzo di merchandising e licensing di prodotto), allo scopo di contribuire ad accrescerne la riconoscibili-t presso il target di riferimento del film in questione: attraverso questa pratica le imprese cine-matografiche si propongono come

    veicolo innovativo per le esigenze di riconoscibilit di marchi, prodotti e aziende appartenenti ad altri set-tori, in larga misura riconducibili al consumo di massa.Le modalit di posizionamento che si possono prevedere sono molteplici:

    apparizione del brand e/o del pro-dotto;

    utilizzo proprio o improprio del prodotto;

    citazione di prodotti e/o brand;uso di marche fittizie;posizionamento di interi spot;posizionamento di film in altri film;product placement comparativo.

    Il tie-in una delle risorse di am-pliamento del settore cinemato-grafico che si concretizza nelle pratiche di product placement e di licensing: attraverso linserimento di attivit esterne, regolate da re-lazioni economiche, nel consueto business system cinematografico si determina un ampliamento dei suoi confini, nonch la creazione di ulteriori tipologie di target e la soddisfazione di nuove esigenze.

    PRODUCT PLACEMENT Cos e come si usa

    di Alessandra Colucci

    Per ostacolare la tendenza dei consumatori a eliminare dalla loro memoria in modo automatico le intrusioni pubblicitarie (qualcuno ha calcolato che, ad esempio, un americano medio esposto a 1.600 messaggi pubblicitari al giorno), il marchio viene sempre pi spesso inserito direttamente allinterno degli spettacoli: invece di com-missionare il tradizionale spot cine-televisivo che va in onda prima dellinizio del film, alcune aziende preferiscono fare un accordo di product placement con la produ-zione, che provveder a garantire un certo numero di inquadrature del protagonista alle prese con il loro prodotto o marchio inserito in qualche modo nella scena.

  • 15

    In macchina Vincent e Jules, parlando del lungo viaggio di Vincent in Euro-pa, si trovano a discutere di fast food e diviene palese che Vincent preferisca Mac Donads a Burger King.A Parigi puoi ordinare una birra da Mac Donalds E sai come chiamano un quarto di li-bra con formaggio a Parigi?Non un quarto di libra con formaggio?Hanno il sistema metrico decimale, non sanno cosa cazzo sia un quarto di libra!E come lo chiamano?Royal con formaggio!E come chiamano il Big Mac?Il Big Mac il Big Mac solo che loro lo chiamano Le Big Mac!E come chiamano il Whopper?Non lo so, non sono stato da Burger King!

    Stralcio dai dialoghi di Pulp Fiction

    Come qualsiasi altro strumento di comunicazione, il product place-ment presenta una serie di propri caratteri distintivi che ne determi-nano vantaggi e limiti in relazione allutilizzo.Questa risorsa, chiaro esempio di co-marketing tra imprese di natura diversa, nella prospettiva economi-co-aziendale del settore cinema-tografico, sta assumendo un ruolo rilevante e di importanza crescen-te per pi tipologie di soggetti economici.Per le case di produzione le age-volazioni apportate dal product placement consistono nellotte-nimento di risorse, nel migliora-mento dellimmagine del prodotto audiovisivo agli occhi di alcuni

    segmenti di pubblico (i target degli sponsor), nellincremento del tasso di coerenza e aderenza al contesto extratestuale della loro opera, in una caratterizzazione pi fluida dei personaggi e, infine, nel potenziale aumento del numero degli spet-tatori, teoricamente coinvolti dai prodotti intravisti nei trailers o dalla publicity.Ma a godere dei benefici del pro-duct placement sono anche gli inserzionisti, dato che con lin-serimento del loro marchio o dei loro prodotti allinterno del film ottengono la possibilit di colpire in maniera precisa il proprio tar-get di riferimento, insieme a chiare facilitazioni per quel che riguar-da lesplorazione di nuovi spazi di mercato (anche pi duno nello stesso momento, utilizzando film differenti contemporaneamente). Inoltre le aziende-sponsor possono avvalersi di testimonial di grande impatto sul pubblico senza gli one-ri dei contratti pubblicitari, con la possibilit di attribuire ai prodotti caratteristiche o prestazioni ecce-zionali, di esaltare il proprio brand in un contesto low clutter (la real-t filmica sempre monopolizzata da una sola marca per tipologia di prodotto, a meno che non si appli-chi il cosiddetto product placement comparativo), nonch di procedere attraverso investimenti graduali.

  • 16

    Tutto ci attraverso unesposizione ottimale e con tempi, qualit e costi non paragonabili a quelli relativi ad altre strategie pubblicitarie (lo spot televisivo, ad esempio), eludendo il sovraffollamento. In generale, tutti i soggetti in gioco possono godere di unampia flessibilit.Come ulteriore conseguenza, il product placement rende possibile definire nuove attivit di interrela-zione tra la filiera cinematografica e quella delle imprese inserzioni-ste, come le agenzie pubblicitarie specializzate e le nuove unit pre-poste a questi compiti allinterno di major, agenzie e imprese di largo consumo, che studiano la coerenza tra caratteristiche del film, caratte-ristiche del target e posizionamento del prodotto. Infine, bene sottolineare che il pro-duct placement produce effetti po-sitivi anche sugli spettatori stessi. in una societ completamente costrui-ta sul consumo e sui brand verrebbe percepito come irreale un mondo in cui tutto unbranded, e addirittura senza di esso risulterebbe difficile caratterizzare i profili dei personaggi di un film, le loro azioni e interazioni sociali, lepoca in cui si svolge la tra-ma, ecc. In generale il senso di real-

    t e immedesimazione dipendono anche e, forse, soprattutto dalla ri-proposizione nel film delle modalit di consumo conosciute.Linserimento di prodotti e marche allinterno del film deve comunque essere portato avanti con criterio, altrimenti lazienda committente e limpresa cinematografica incorre-ranno nella e saranno danneg-giate entrambe dalla insofferenza del pubblico che odia essere distol-to dalla trama, odia che il flusso de-gli eventi presenti nella narrazione venga interrotto da posizionamenti ingombranti e gratuiti, odia soprat-tutto che tutto ci avvenga al cine-ma, dove talvolta si va anche per evitare il bombardamento di spot proprio della televisione. Nel caso in cui il product placement non abbia, oltre a una giustificazione economica, anche un legame con lo sviluppo narrativo, sicuramen-te il posizionamento di qualsiasi marca o prodotto risulterebbe fastidioso e provocherebbe intol-leranza da parte del pubblico, un po come se durante la vita reale, nel ben mezzo di un discorso, un ipotetico interlocutore si mettesse a parlare di tuttaltro argomento sen-za nessuna apparente logica.

    Un ritratto esasperato del possi-bile fastidio da bombardamento pubblicitario viene presentato per mezzo di alcune scene in The Truman Show: ogni mattina il protagonista per prima cosa si reca dal giornalaio che ha in bella vi-sta il quotidiano THE ISLAND TIMES e chiede la rivista SHE per la moglie mentre il cliente suc-cessivo richiede CANE CHIC, poi Truman viene immancabilmen-te costretto a una sosta davanti al manifesto del FREE RANGE KAISER CHICKEN da una cop-pia di gemelli interessati a una as-sicurazione e cos via per tutta la giornata; la cosa pi assurda per il malcapitato e ignaro personaggio, nonch la pi divertente e ironi-ca (ma solo in questo caso data la configurazione del film) agli occhi dello spettatore, il fatto che in diverse situazioni alquanto com-plicate e serie la moglie proferisca affermazioni del tipo Ciao Teso-ro, guarda che mi hanno regalato alla cassa lAMICO DELLO CHEF: un solo utensile per sbuc-ciare, grattugiare affettare, non lo devi mai arrotare ed a prova di lavastoviglie, oppure Amore, do-vremmo buttarla quella falciatri-ce. Compriamoci una ELK RO-TARY!, o come in un momento di crisi esistenziale di Truman Te la preparo una bella tazza del nuovo MOCOCOA, con bacche di cacao naturali delle alte pen-dici del monte Nicaragua senza dolcificanti chimici? [] Ho as-saggiato altro cioccolato: questo il migliore!, tanto da farlo reagire in modo quasi violento.

  • 17

    di fondamentale importanza per lo studio dellutilizzo di questo strumento di comunicazione pub-blicitaria il rapporto tra lidentit e limmagine del prodotto/marca posizionato e quelle del film: ne-cessario che film e brand appaiano coerenti tra di loro, che quindi ab-biano gli stessi obiettivi o comunque obiettivi simili in termini di pubblico di riferimento, di stile e tono del messaggio da comunicare, nonch di immagine presupposta.Nella progettazione delle azioni di product placement si dovrebbero considerare le esigenze di tutti i soggetti economici e artistici coin-volti, valutando:

    la coerenza tra il target di riferi-mento del brand e quello del prodot-to audiovisivo;

    il rispetto delle caratteristiche in-trinseche e peculiari di film e brand;

    la visibilit del brand in linea con la corporate image;

    la tipologia, le modalit e la durata del posizionamento stesso (evitando la sovraesposizione);

    lintegrazione narrativa ed esteti-ca del prodotto/marca nella storia;

    linterazione tra prodotto/marca e personaggio;

    la connotazione e la caratterizza-zione del personaggio nellinterazio-ne con il brand, e viceversa;

    il coinvolgimento emotivo dello spettatore;

    il potenziale successo rispetto al mercato e al target di riferimento di audiovisivo e brand;

    il consolidamento e laccresci-mento dei caratteri distintivi della brand identity;

    la possibilit, come detto, di attri-buire qualit iperboliche ai prodotti e ai brand. Questo per rendere gli inserimenti di product placement reale brand entertainment: evoluzione del pro-duct placement. I prodotti, i servizi o i brand divengono protagonisti o

    comprimari della scena del film (o del prodotto audiovisivo in generale) in cui vengono inseriti, conferendo al marchio-sponsor un ruolo attivo.

    Brand entertainment: evoluzione del product placement. I prodotti, i servizi o i brand divengono pro-tagonisti o comprimari della scena del film (o del prodotto audiovi-sivo in generale) in cui vengono inseriti, conferendo al marchio-sponsor un ruolo attivo.

    Le marche fittizie vengono create e inserite nei film quando la parodia talmente evidente da non permet-tere di usare un vero brand, ovvero vengono utilizzate per creare strane campagne pubblicitarie che, in alcuni casi, fanno il ver-so a quelle esistenti (spesso fun-zionando anchesse come posizio-namento delle marche reali: stessi vantaggi!). Il fenomeno del prodotto inventato ha origine con il marchio ACME,

    Marche fittizie: il caso ACME

    fantomatica societ che per anni ha fornito le attrezzature pi assurde e sconclusionate allindustria di Hol-lywood. Partita come XXXX, la mar-ca, che si rivela per la prima volta nei cartoni animati, si diffonde in tutti i generi e compare in moltissimi film, fornendo una palestra per il feno-meno del product placement. La ACME Products Corp, fondata da Marvin Acme, il padrone di Car-toonia che morir schiacciato da una cassaforte in Chi ha incastra-to Roger Rabbit, produce un po di tutto anche se nella maggior parte dei casi i suoi prodotti rimangono pi che altro legati al mondo dei cartoni animati (Se della ACME, scompisciante!, come ammette lo stesso Marvin).Chi ha incastrato Roger Rabbit?, per com strutturato, potrebbe essere considerato una sorta di mega-spot di questa fantomatica azienda dato che, oltre a varie cas-se che riportano questa scritta in bella vista e che sono presenti un po ovunque, tranne rare eccezioni, tutti i prodotti presenti nel film sono marcati ACME, dalle gomme di scorta agli elettrodomestici.

    Nella scena iniziale, il cartone animato con Roger Rabbit e Baby Herman, a parte il forno il cui brand HOTTERNELL (co-munque anchessa marca inven-

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    tata), si possono vedere: ACME deadly mouse poison (veleno per topi), ACME soap (sapone da bucato), ACME chili sauce extra hot (salsa), ACME toastamatic (tostapane), ACME suck-o-lux (aspirapolvere). Nella scena che invece si svolge direttamente allinterno del ma-gazzino della ACME, sono invece riconoscibili molti degli effetti speciali e delle attrezzature creati appunto dalla ACME e da utilizza-re per le scenografie quando si gi-rano i cartoons, tra questi: ACME hole (buchi adesivi), martelli do-tati di un complesso meccanismo a molla che supporta un guan-tone da pugile, scarpe danzanti, strumenti musicali dotati di vita propria, il meccanismo per dare la scossa quando si stringe la mano (larticolo pi venduto!), inchio-

    stro simpatico che scompare per poi riapparire successivamente, ACME curve ball, la schiaccia-sassi, ACME Gulf (colla potentis-sima), casse e cos via.

    In altre circostanze by ACME sono anche: i dischi su cui ha inciso le sue canzoni Eddie in The Rocky horror picture show, il negozio di libri nel quale si reca Philip Marlowe (Humprey Bogart) per cercare di risolvere il mistero de il grande sonno, il furgone che pren-de a prestito lispettore Clouseau nel corso della sua sconclusionata indagine neLa Pantera Rosa colpi-sce ancora, le vele per far navigare un palazzo in Monty Python-il sen-so della vita e cos via, arrivando addirittura ad essere un negozio ne Il sesto senso, linquietante film prodotto dalla Walt Disney. Il fenomeno ACME stato an-

    visibilit ai luoghi e ai prodotti culturali tipici.Quando una produzione si rivolge alle film commission o agli enti locali, ottenendo incentivi e facili-tazioni a fronte della pubblicizza-zione di monumenti, luoghi o ma-nifestazioni culturali, fa una vera e propria operazione di marketing, spesso con positive ricadute sulle risorse economiche e turistiche del territorio e su un patrimonio culturale e ambientale specifico, oltre che sul film. E nessuno, giu-stamente, si scandalizza di ci. Esistono dunque un product pla-cement buono, in cui al posto del prodotto/marca c un pano-rama, una scena di folklore, o un elemento artistico di diverso tipo, e uno cattivo in cui si pub-

    che soggetto a imitazione: nei film a cartoni della Walt Disney, ad esempio, solitamente non si usavano i prodotti ACME ma altre marche completamente inventate, fra le quali la pi famosa rimane la KANINE KRUNCHIES, sponsor del programma preferito dai cuccioli dalmata ne La carica dei 101.Il marchio ACME fa la sua comparsa in decine e decine di film fino agli anni Settanta, ma negli anni Ottanta le apparizioni diminuiscono drasti-camente, forse anche perch i veri brand cominciano a voler comparire comportando un enorme sviluppo del product placement in quel pe-riodo: le marche, ormai, accettano di posizionare il proprio logo su ogni genere di oggetto, anche nel mondo dei cartoni animati, ma ci non vuol dire che lepoca dei brand di fanta-sia si sia conclusa.

    Lettera aperta in materia di product placementEgregi Signori e Gentili Signore,Certamente si possono avere opi-nioni differenti sul product place-ment, ma spesso la costruzione di tali opinioni deriva, a mio parere, da 3 problematiche principali:

    pregiudizi culturali (es. consu-mare merci male!) non conoscenza dellargomen-to (es. il product placement pubblicit subliminale).scarsa professionalit con cui spesso questa modalit di comunicazione di brand e prodotti viene scelta dalle produzioni.

    Sul primo punto faccio notare che mentre i posizionamenti connes-si a brand e prodotti di consumo vengono spesso demonizzati, ci non avviene quando si d

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    2.

    3.

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    blicizzano cellulari, bibite, vestiti? Se s, perch? Che paura abbia-mo delle merci, quando proprio il consumo di esse a far girare leconomia?Forse si dovrebbe riflettere su que-sto, soprattutto quando si parla di valorizzazione del made in Italy (il product placement potrebbe ri-velarsi un giusto strumento in que-sto senso).La scarsa conoscenza dellargo-mento da parte di molti critici, invece, a mio avviso si evince dallo scandaloso, equivoco secondo cui questa modalit di comunicazione sia assimilabile alla pubblicit su-bliminale. La pubblicit subliminale negli audiovisivi tecnicamente con-sisterebbe nellinserire in uno o pi punti della pellicola un fotogramma contenente un particolare stimolo, che locchio non vede, ma lincon-scio riesce ad afferrare e trattene-re: in tale modo si sfrutterebbe la possibilit dello spettatore (ignaro)

    di percepire stimoli visivi o uditivi senza averne consapevolezza e, secondo alcuni studiosi, i mes-saggi percepiti subliminalmente sarebbero in grado di modificare il comportamento del soggetto, condizionandolo nelle sue scelte di consumo.Anche non tenendo conto del fatto che, dal punto di vista della psico-logia cognitiva, la dimostrazione dellefficacia della pubblicit su-bliminale e del suo reale effetto persuasivo ancora lontana dal-lessere confermata, non si deve in ogni caso confondere tale pra-tica con il product placement. Lo stimolo relativo alle immagini in cui viene posizionato un brand pu es-sere percepito consciamente tanto che, una volta notato un marchio, esso viene individuato facilmente, di fatto lo spettatore stesso a de-cidere se quella pubblicit troppo invasiva, dato il contesto, o se invece gradevole.

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    In altri Paesi, primo tra tutti gli USA (ma ultimamente anche i francesi stanno avendo buoni risultati), il prodotto pubblicizzato allinter-no di un film da sempre parte integrante della scena, della se-quenza, della pellicola. Alcuni film di enorme successo, per esempio Cast away o The italian job, non avrebbero avuto alcun senso senza i loro sponsor (servizi postali, palloni, macchine).A volte, oltre a fare confu-sione tra product place-ment e pubblicit sublimi-nale, si arriva a considerare anche la cosiddetta pubbli-cit occulta o clandestina, che per legge viene definita come la presentazione orale o visiva di beni, di servizi, del nome, del marchio o delle at-tivit di un produttore di beni o di un fornitore di servizi in un programma, qualora tale presentazione sia fatta inten-zionalmente dallemittente per perseguire scopi pubblicitari e possa ingannare il pubblico cir-ca la sua natura (si considera intenzionale una presentazione quando fatta dietro compenso o altro pagamento) [Direttiva 89/552/CEE del Consiglio del 3 ottobre 1989, art.1 lettera C].E qui arriviamo al terzo e ultimo punto: la mancanza di profes-sionalit nella gestione della risorsa product placement.Dal 2004, con lemanazione del Decreto Urbani e dei successivi decreti attuativi, ho visto nascere numerose aziende che si propo-nevano come agenzie di product placement senza peraltro avere le minime competenze necessa-rie a riguardo. Tali agenzie han-no iniziato a vendere il proprio database di clienti alle case di produzione audiovisiva, senzal-

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    tro secondo le naturali regole di domanda-offerta del mercato, ma senza darsi un metodo efficace che gli permettesse di andare oltre

    la natura meramente economica dello scambio. In altre parole,

    linserimento di prodotti e marche allinterno di film o altri audiovisivi non pu essere ca-suale, ma deve esse-re sottostare a criteri funzionali alla narra-zione, affinch azien-de e case di produ-zione non incorrano nella dannosa (per loro) insofferenza del pubblico, il quale mal sopporta ci che lo distoglie dalla trama. Lo spettatore, insom-ma, non tollera posi-zionamenti ingom-branti e gratuiti che interrompono il flusso degli eventi narrativi, diventando spottoni caricaturali.In conclusione, il pro-duct placement, oltre alla sua giustificazio-ne economica, deve averne una in termini di coerenza di identit di marca, contestualiz-zazione, sviluppo nar-rativo e coinvolgimento emotivo dello spettatore. In una societ completa-mente costruita sul con-sumo e sui brand, daltra parte, verrebbe percepito come irreale un mondo in cui tutto unbranded, in cui addirittura sareb-be difficile caratterizzare

    i personaggi e le loro azioni. Linserimento di marche e pro-dotti, se ben condotto, consente una maggiore immedesimazione

    nelle vicende del prodotto audio-visivo, immedesimazione che di-pende dal contesto, dalla storia e dal senso di realt che possibile ricavarne. Tutti elementi che si ba-sano anche sul riconoscimento nel film di oggetti di uso quotidiano.Per questi motivi sarebbe oppor-tuno discutere in modo costruttivo delle leggi sul product placement, anzich condannarlo acriticamen-te, e in special modo di regolamen-tazioni che stabiliscano le modalit di attuazione di tale strumento nel rispetto dello svolgimento narrativo degli avvenimenti, e dunque dello spettatore-consumatore.Sarebbe opportuno anche discu-tere di norme che riescano a por-re dei limiti al product placement, senza per metterne in dubbio la bont. Questo anche per evitare che, come spessissimo accade, in assenza di regole si raggiungano dei compromessi informali tra i player di settore. Una soluzione artigianale, allitaliana, inutile per tutti, che ci condanna a notare spiacevolmente linquadratura del-la bottiglia di minerale o del pac-chetto di sigarette messi surretti-ziamente in posa nel bel mezzo di una sequenza chiave.Grazie.Cordialmente,

    Alessandra Colucci

    P.S. Sono sicura che come e pi di tutti gli spettatori/consumatori, anche i minori, soprattutto se si parla di adolescenti, mettano in atto meccanismi selettivi nei con-fronti delle tradizionali modalit di comunicazione e che, se gi non hanno imparato a farlo fruendo le produzioni estere (soprattut-to statunitensi), imparerebbero presto ad applicare tali filtri anche nei confronti del product placement italiano.

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    CINEMA E PRODUCT PLACEMENT Il parere di Claudio Biondi

    di Redazione

    Claudio Biondi docente di Teoria e Tecnica della Produzione Audiovisi-va in vari master universitari.[http://hstrial-cbiondi.homestead.com/index.html]

    Brand Care magazine: Molti so-stengono che un uso pi massic-cio del product placement produr-rebbe effetti negativi alla libert despressione dellautore cinema-tografico. Lei che cosa ne pensa?Claudio Biondi: Prima di tutto cre-do si faccia una grande confusione tra il concetto di product placement e quello di pubblicit occulta, diret-ta o indiretta che sia.Il product placement un espedien-te produttivo, ma anche una risor-sa espressiva basata su un continuo dialogo tra autore e produttore alla ricerca del modo migliore di rappre-sentare i caratteri dei personaggi e le vicende della storia che sintende narrare allargando, allo stesso tem-po, il campo di risorse finanziarie. Il product placement, dunque, oltre a costituire unulteriore evoluzione

    della comunicazione pubblicita-ria, diventa anche una delle ne-cessit della funzione produttiva. La pubblicit occulta consiste in-vece nellinvasivo inserimento di un brand qualunque in una scena qualunque, ai soli fini di far risalta-re la marca voluta.

    BCm: Pu farci un esempio?CB: Se un attore durante una sce-na romantica, per far colpo sulla signora, stappa una bottiglia di Mot Chandon o Dom Perignon, il gesto viene recepito dallo spet-tatore come naturale; se, invece, in un momento qualunque, lo stes-so attore si accende una sigaretta mostrando il pacchetto in primo piano, tale gesto risulta invasivo perch non ha alcun collegamento con lazione e forzato perch po-trebbe benissimo fumare senza far risaltare la marca delle sigarette. Nel primo caso, la scelta della marca di champagne - condivisa dallau-tore - unazione di product placement; nel secondo, si tratta di una forzatura inutile operata solo ai fini economici che diventa pubblicit occulta.

    BCm: Ma il risultato, alme-no per lo spettatore, sembra identico, non le pare?CB: Per niente. Le due cose hanno anche un diverso effetto sullo spet-tatore. Ad esempio, in un certo numero di film un attore italiano usava in-dossare maglioni Missoni indipendentemente dalla

    possibilit che tale indumento potes-se descrivere il personaggio in ma-niera corretta. Il che, a volte, risultava fastidiosamente forzato. Al contrario, in Pretty Woman, la po-sizione psicologica della prostituta che incontra un miliardario descrit-ta proprio dalla nuova facolt che le d il possesso di una carta di credito gold di permettersi tutto il meglio. Meglio che, in quel caso, proprio Gucci, Chanel e Louis Vouitton a cui vengono dedicate delle inquadrature, e sono proprio queste inquadrature che danno lidea dello stato emotivo della protagonista. Dunque il proble-ma non sta nel se introdurre brand nel film, ma nel modo in cui questa introduzione pu avvenire rispettan-done le caratteristiche espressive.

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    BCm: Ad ogni modo, sempre di pubblicit si trattaCB: In un certo senso, s. Ma va considerato che viviamo in un uni-verso in cui limmagine pubblicitaria si segue e cinsegue dappertutto: nelle strade, sui mezzi di trasporto, sul piccolo e grande schermo, nelle pagine di giornali e riviste, su Inter-net o nel ripostiglio dei prodotti per ligiene. Il fascino della comunica-zione - e del cinema, in particolare - sta nel fatto che mette in atto una percezione multipla che si avvicina pi di ogni altra cosa allidea che noi solitamente abbiamo della realt.La pretesa di alcuni moralisti di descrivere un mondo senza ri-ferimenti pubblicitari non solo vana, ma risulta innaturale allo spettatore che vive, invece, nella realt di un mondo completamente branded. Allora, dal momento che impossibile rappresentare un mondo unbranded, sicuramente fondamentale rispettare la dinamica comunicativa trovando la maniera migliore di farlo. Il che significa stu-diare la relazione tra brand e storia fin dalla sceneggiatura in modo che tali elementi risultino perfettamente amalgamati tra loro.

    BCm: Dunque, non si tratta solo di una modalit economica di produzioneCB: Certo che no. Quando il pro-duct placement applicato con ri-gore, linserzione del brand risulta essenziale, come nel caso a tutti noto di Cast Away, ed lunica a giustificare la storia. Se in quel

    film non ci fosse stata la FEDEX, si sarebbe dovuto inventarla. Ma questo non avrebbe portato nessun utile finanziario.

    BCm: Perch, allora, in Italia sem-bra esserci tanta diffidenza?CB: In Italia, e in generale in Europa, sinterpreta il cinema secondo pa-rametri ormai obsoleti, mentre ne-gli U.S.A la situazione differente. In quel mondo nuovo, le possibilit espressive del cinema sono state immediatamente comprese accanto alle sue potenzialit socio-economi-che. Il metodo di produzione ame-ricano basato su questa doppia lettura del sistema cinematografico: da una parte, la libera espressione degli autori e, dallaltra, laltrettanto libera capacit dei produttori di pro-teggere il proprio investimento.Il mondo della comunicazione in-terattivo e complesso e pu essere interpretato e capito solo nella sua globalit. Se si privilegia un solo punto di vista si finisce per svilir-ne il significato e la funzione: non si pu parlare del versante economico cinematografico senza tener conto dellaspetto sociologico, estetico, psicologico, e cos via, cos come privilegiarne solo il versante este-tico, alla fine, lo condanna a una inefficacia espressiva oltre che so-cio-economica.

    BCm: Ma da cosa deriva questa difficolt interpretativa?CB: In parte, ma solo in parte, dal ritardo culturale con cui si interpretato il prodotto comuni-cativo che preferisco, proprio per questo motivo, chiamare artefatto comunicativo.

    BCm: Una definizione?CB: Quel bene frutto di trasforma-zione produttiva in grado di sod-disfare direttamente un bisogno comunicativo da qualunque mo-

    tivazione indotto e qualsiasi sia il supporto a tale scopo utilizzato. Qualcosa, dunque, che alleconomia classica suonato come n carne (prodotto materiale), n pesce (pro-dotto immateriale o servizio), dal momento che le sue caratteristi-che economiche sono miste. cio moltiplicabile e trasportabile, ma anche non trasferibile e utilizzabi-le solo individualmente. Lartefatto comunicativo, dunque, avrebbe avuto bisogno di una lettura a s, capace di individuarne lassoluta eccentricit. Il che non stato. Ci ha comportato una visione asfitti-ca dellintero sistema. E siccome i sistemi produttivi in generale e quello audiovisivo in particolare sono influenzati da fattori (modalit di credito, disciplina giuridica, mo-dalit censorie, ecc.) a loro esterni, la visione che ha informato le leggi che riguardano il cinema, le moda-lit del suo finanziamento, la sua funzione narrativa, ecc., lhanno regolamentato in modo inefficace e inefficiente.

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    di Daniele Pittri

    COMUNICARE LITALIAN STYLELa crisi recessiva attualmente in atto ha evidenziato due aspetti contra-stanti delleconomia italiana e del valore che il prodotto italiano ha. Il primo elemento, positivo, legato al mantenimento di glamour del Made in Italy e quindi alla sua capa-cit di essere trainante sui mercati e fonte di ulteriore sviluppo. Il secondo elemento, negativo, ha a che vedere, invece, con la perdita di vendibilit del prodotto Italia, debolezza con-notata soprattutto dal vistoso calo dellattrattivit turistica del nostro Paese, scivolato in pochi anni dal 1 al 5 posto del range delle mete turistiche, oltre che da una cronica incapacit ad affermarsi sui mercati fuori dai settori tradizionali del Made in Italy (moda, arredamento).Sorgono subito una serie di doman-de. Come mai avviene ci? Da cosa dipende questa frattura fra un esse-

    re (lItalia) e un saper fare (il Made in Italy)? un problema di natura industriale? Di natura culturale? Di natura psicologica? Di natura comu-nicativa? Limpressione di fondo, molto forte, che tutto il mondo percepisca il Made in Italy (quindi i prodotti in-dustriali e artigianali italiani) come unespressione diretta dellItalian Style, quindi come una conseguen-za del patrimonio culturale italiano, un frutto della cultura italiana. Tutto il mondo, tranne gli italiani. Questo significa che, se cos davvero fosse, da un lato molto diffusa allestero la consapevolezza di una assoluta continuit fra la straordinaria storia culturale, artistica, intellettuale ed estetica del nostro Paese e lindustria italiana e quindi di un legame ende-mico fra territorio, storia e prodotti; dallaltro che allinterno del Paese e

    soprattutto nel tessuto imprendito-riale si tenda a sottovalutare questo legame, a non percepirlo e, addi-rittura a volerlo quasi nascondere, ad esclusione di quei settori in cui (per necessit di mercato) impos-sibile non farlo. un po come se gli imprenditori, tranne quelli della

    moda e dellarredamento, dovessero dimostra-

    re a tutti i costi di essere estranei al mondo borghese, figli di una cultu-

    ra della terra e del lavoro, fatta di fatica e

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    sudore opposta a una cultura spe-culativa, del ragionamento e dellin-novazione. Illuminista, industriale.

    E sotto questo pro-filo, il mancato in-nesto fra turismo e Made in Italy asso lu tamente emblematico, so-prattutto alla luce della considerazio-ne (di cui, ancora una volta, qui si ha poca percezione) che il turismo oggi, probabilmen-te, il settore produt-tivo pi innovativo al mondo.E se si provasse a fare un ragiona-mento diverso? Se

    si provasse, a partire proprio da una connessione con il turismo, ad am-pliare il concetto di Made in Italy?

    1) Alcune considerazioni di fondo per definire un ambito di ragio-namento sui concetti di Turismo e Made in Italy.

    Qui da noi vige ancora una cul-tura del turismo antica, fon-damentalmente connessa ad alcuni elementi fintamente og-gettivi, che tuttavia non bastano pi a determinare un prodotto turistico: le bellezze naturali e le meraviglie artistiche e architet-

    a.

    toniche non sono pi condizione sufficiente a determinare la crea-zione del prodotto turistico.Il turismo non pu pi essere considerata unindustria leggera, di soli servizi e utilit, bens deve essere considerata una industria complessa, al contempo mani-fatturiera, terziaria e innovativa, produttrice di beni e di merci, erogatrice di servizi, esploratrice di novit, i cui modelli e processi organizzativi e gestionali, le cui filiere produttive, le cui logiche distributive sono mutuate e con-formate secondo il sistema del-lindustria tradizionale. Ci signi-fica pensare al turismo come ad una serie di prodotti da rinnovare costantemente, da porre sul mercato locale per attrarre e sul mercato esteso per consolidare i fatturati e stabilire un dialogo continuo con i propri pubblici. Ci si reca in una localit perch offre unampia e diversificata scelta di prodotti, beni, merci, servizi (fra cui anche lalbergo) e perch c un sistema di re-lazioni esteso e di stimolazione costante, di cui il merchandising distribuito in tutto il mondo e le merci esportate del Made in Italy coerenti con unidea cen-trale di turismo rappresentano elementi primari (stimolano il ricordo, sviluppano la notoriet).Sul versante industriale, il Made

    b.

    c.

    in Italy soffre unerrata consi-derazione del concetto di lusso, una considerazione antica che associa al lusso altri concetti: esclusivit, artisticit, elitarismo, ricchezza, costo elevato. Lusso, oggi, invece un concetto molto pi ampio, in cui alcuni elementi (elitarismo, costo elevato, ric-chezza) non sono pi necessa-riamente ad esso connessi. Ci significa che un oggetto pu essere lussuoso anche se non costoso, se non elitario. Il Made in Italy non ha ancora compiuto questo scarto.Sempre sul versante industriale, si verificato un ulteriore scarto per cui Made in Italy solo le-gato ad alcuni settori (moda e design, in primis) o in generale (spesso presuntuosamente) ad ambiti creativi, connotando con tale termine una certa artisticit.

    d.

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    Manca invece il concetto ( quan-tomeno debole) di creativit come frutto della capacit umana di produrre in qualunque ambito idee originali. Quindi: lingegneria creativa, la tecnologia creati-va. Nel resto del mondo lo sanno bene, qui da noi lo abbiamo di-menticato. Quindi il Made in Italy non sfiora neppure i settori pi avanzati dellindustria contempo-ranea, in particolare i settori legati a new media e alle new techno-logy. In tal senso, il Made in Italy limitato, autolimitato, e arretrato.Qui ancora debole il concetto di Qualit del luogo. Di che si tratta? Le metropoli e le grandi aree industriali della vecchia Eu-ropa hanno saputo ipotizzare una modalit per rispondere al muta-mento determinato dai processi di globalizzazione, disegnando attorno a due capisaldi antitetici produttivit e creativit una progettualit altamente articolata e a lunga scadenza: la qualit del luogo. E cio: i cambiamenti intervenuti sono tali da non poter pi consentire di vivere in manie-ra dicotomica i due grandi filoni culturali, quello artistico e quel-lo scientifico. Con il concetto di qualit del luogo quei due filoni giungono a una sintesi, perch non agiscono pi sul piano delle applicazioni, sul piano del fare, bens direttamente sui territori,

    e.

    quindi nello spazio della quotidia-nit e della convivenza, sul piano dellessere. Nel volgere di appena un decennio, in giro per il mondo, ma non in Italia, si assistito alla radicale ridefinizione della natura di molte regioni e di moltissime citt, che oggi si configurano come organismi dalla vocazione molteplice: postindustriali, cultu-rali, cablate, ecologiche, globali, a misura duomo (Glasgow, Bristol, Dublino, la Rurh, la Camargue, Goteborg e Praga). Aprendosi allaltro da s, a ci che fino a quel momento non erano stati, questi territori hanno integrato il proprio imprinting (tuttavia senza snaturarlo) e si sono trasformati in qualcosa di profondamente dinamico, vitalizzato da una mol-tiplicazione del centro (non uno, ma parecchi poli di attrazione) e da una pervasivit territoriale del-le attivit, grazie al recupero e al rilancio delle periferie o delle aree

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    disagiate, perch la qualit di un luogo determinata non soltan-to dalle sue parti maggiormente visibili o eccellenti, ma anche da ogni strada, da ogni piazza, da ogni quartiere. Il primo requisito di un territorio per aprirsi a una concezione di qualit di luogo dunque la sua consapevolezza culturale, la capacit di non te-mere le diversit, di non temere di snaturarsi incontrandole, di determinare semmai condizioni e qui sta il secondo requisito - che ne favoriscano laccoglienza. In Italia avviene lesatto contrario: non si innova, si conserva; non si amplia, si concentra. La conse-guenza che anche sul versante turistico si perde competitivit.Limpressione complessiva che si ricava : un ritardo culturale abissale, incapace di liberarsi di vincoli e pregiudizi e allo stesso tempo incapace di immaginare un modo diverso di produrre e quindi di manifestare lItalian Style e incapace di leggere le dinamiche di consumo, di com-prendere i meccanismi che attraggono e che spingono a consumare e vivere prodotti ed esperienze (c qualcuno che si chieda come mai la grigia Rurh riconvertita in area del tempo li-bero riesca ad attrarre ogni anno lo stesso numero di turisti che affollano Capri, Pompei e la co-stiera amalfitana?)

    2) Alcune ipotesi per definire delle ricadute positive dei pro-cessi comunicativi relativamente al Made in Italy e al Turismo.1. Nonostante tutto, il pro-

    dotto del made in Italy e il prodotto del turismo in qualche modo esistono (deboli, fragili, antichi, a rischio). Se

    f.

    vero che (fuorch in Italia) ovun-que li si ritiene conseguenza dellItalian Style, allora vero che esiste una potenzialit di comunicazione forte. Tuttavia vanno radicalmente modificate le logiche di comunicazione.

    2. Sono necessari quantomeno tre passi:

    comprendere che senza conoscenza non c inno-vazione, senza conoscenza non c mercato, senza co-noscenza non c creativit, senza conoscenza non c comunicazione (tutti gli in-dicatori ci dicono che siamo un popolo abbastanza igno-rante: poche lauree; poche letture; poca diversificazione nei consumi culturali. Alcune ricerche ci dicono anche che il nostro indice di creativit sensibilmente pi basso di quello occidentale medio).individuare concetti forti da connettere allItalian Style, che svicolino dal semplice ricorso allelemento creativo, non pi sufficiente a definire una unicit irripetibile.istituire un rappor-to differente con i pubblici e tentare di capire chi com-

    pra made in Italy cosa ricer-ca in esso e chi raggiunge le citt italiane cosa cerca in esse (due elementi colpisco-no: nessuno ha mai profilato i visitatori di Pompei o degli Uffizi o del Colosseo; il set-tore della moda italiano non fa ricerche sui pubblici, sui propri consumatori. Questi comprano perch gli stilisti sono artisti?).

    3. In termini pratici significa:liberare anche i processi co-municativi da gabbie vetuste, che prevedono solo il ricorso a canali tradizionali (fiere, mass media, rete vendita); a modalit linguistiche affidate allinvenzione pubblicitaria evocativa o suggestiva e tutta-via generalista; migliorare la capacit di let-tura dei contesti di mercato nei quali agire, aumentando le ricerche, scovando in giro per il mondo le innovazioni e stu-diandole per poi appropriarse-ne e riproporle anche in chiave

    a.

    b.

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    IL PATRIMONIO DI MARCA E I SUOI INDICATORI

    Il mercato caratterizzato dal-leccesso di offerta, da una forte competitivit in ogni settore, da una sempre pi agguerrita con-correnza e dallalta imitabilit sia dei prodotti che delle stra-tegie di business: in questo pa-norama la marca diviene un vero fattore competitivo critico.Per superare lindifferenza o le difese percettive messe in atto dai potenziali acquirenti diventa necessario per ogni azienda svi-luppare unazione di comunica-zione integrata attraverso me-todologie focalizzate sul brand come elemento fondamentale per ottenere successo: la qualit intrinseca del prodotto/servizio resta la conditio sine qua non per la sua accettazione presso i consu-matori, ma seppur necessaria, non pi condizione sufficiente.La marca comunica una serie di valori a essa associati nel tempo che ne costituiscono il patri-monio (brand equity) quindi non pu funzionare senza un costante

    riferimento alla realt fisicamen-te sperimentata dagli individui, al mondo dei prodotti e delle loro prestazioni: essa costantemente immersa nel contesto sociale, eco-nomico e umano del suo tempo e si mostra particolarmente reattiva ai fenomeni simbolici e sociocultu-rali che attraversano e definiscono tale contesto.Gli strumenti di comunicazione aziendale si pongono lobiettivo di veicolare un messaggio per rende-re nota una certa identit di marca contribuendo a mantenerne e/o a svilupparne le caratteristiche: una stima dellincremento del patrimo-nio di marca dato dalla comunica-zione si pu ottenere attraverso lanalisi di due indicatori quali la notoriet e limmagine di marca.La notoriet di marca, in un mer-cato sempre pi caratterizzato da una tendenziale omogeneit di prodotti, pu risultare il vero fat-tore discriminante di acquisto dato che un indicatore di tipo quantitativo. Tale indicatore varia in rapporto al grado di conoscenza del brand da parte di un definito segmento di domanda, a seconda della capacit di un potenziale ac-quirente di identificare una marca

    comunicativa;imparare a conoscere i pub-blici e a pensare di parlare a individui e non a masse di persone, tutto sommato incolte e ignoranti;sperimentare forme di con-tatto con i pubblici differen-ziate, capaci di usare linguaggi diversi per differenti tipologie di pubblico, capaci di ricorrere a forme nuove e tuttavia gi am-piamente rodate (ad es quelle indicate dai nuovi marketing non convenzionali);estendere e modernizzare il concetto di lusso, ma con-nettere a questo anche altre accezioni in grado di fungere da elementi qualificanti. Pi in generale, si tratta da un lato di liberare il concetto di Made in Italy dallaura di creativit artistica che fino ad ora lo ha connotato e, dal-laltro di considerare di non avere pi esclusivit assoluta del turismo, patrimonio ormai di molti paesi.Infine, assumere il punto di vista che tutti hanno: Made in Italy e Turismo sono con-seguenza del patrimonio cul-turale italiano, un frutto della cultura italiana.

    4. Si tratta di condizioni prelimi-nari per immaginare una rapida convergenza di Made in Italy e Turismo sul medesimo terreno e sul medesimo piano, quantomeno sul versante delle logiche comu-nicative. Tuttavia, va segnalato un rischio forte: se non avviene un rapido cambio di prospettiva sul versante della costruzione del prodotto turistico e Made in Italy, teso a colmare i gap accen-nati sopra, la comunicazione da sola non sar in grado di ferma-re il lento e inesorabile declino di questi due ambiti.

    c.

    d.

    e.

    f.

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    La notoriet di un prodotto pu essere distinta in:

    notoriet-ricordo, per cui il bisogno precede e conduce la marca (ho bisogno di un certo tipo di prodotto, acquisto la marca A) viene misurata come notoriet spontanea (la domanda posta non fa rife-rimento ad alcuna marca); notoriet-riconoscimento, in cui la marca precede e conduce al bisogno (riconosco la mar-ca A e mi rendo conto di aver bisogno di quel tipo di pro-dotto) viene misurata come notoriet indotta o qualificata (viene mostrata una lista di marche e chiesto di evidenziare quelle conosciute).

    in modo sufficientemente detta-gliato da proporla, sceglierla o uti-lizzarla. Tale notoriet pu essere esaminata con riferimento al grado di novit del brand in questione e dei prodotti offerti per il mercato di riferimento.Limmagine di marca un indi-catore qualitativo che sintetizza le connotazioni che un segmen-to di domanda attribuisce alla marca esaminata, quindi pu anche essere ricondotta al grado di differenziazione percepito dai con-sumatori a proposito delle diverse opzioni di offerta comprese in un certo segmento di mercato. Per esempio una marca pu sviluppare connotazioni talmente specifiche da differenziarsi notevolmente dalla concorrenza e posizionarsi in modo molto preciso sul mercato, oppure pu porre in evidenza solo determinate connotazioni caratte-rizzanti in modo da poter essere accettata e scelta da un target pi ampio, con lo scopo di aumentare la propria visibilit.In sintesi: il successo di un pro-dotto si gioca su una serie di valenze che rendono deside-rabile non tanto il prodotto di per s quanto lunione di marca e prodotto.Il patrimonio di marca non al-tro che linsieme di valenze che rappresentano il plusvalore di una determinata offerta azien-dale, lessenza della determina-zione della concorrenza. Questo insieme di valori associato al pro-dotto da parte dei consumatori potenziali deve essere costruito coerentemente al posizionamento della marca sul mercato quindi si deve comporre di valori condivisi dal pubblico al quale si riferisce in modo che sia possibile per lazien-da sfruttare tale vantaggio compe-titivo nei confronti dei concorrenti riuscendo ad estraniarsi dalla pri-ce competition al ribasso.

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    comparsa e per i quali nutrivo una forma di idolatria pura e radicale.Mi si passi il paragone che potreb-be sembrare inopportuno (ma vi assicuro che a unanalisi musicale non lo per niente), da circa un paio di anni sono sempre pi con-vinto che le operazioni musicali post-moderne di Virgilio Savona (e del Quartetto Cetra, of course) sono molto (ma molto) vicine a quelle di un altro geniale e spiri-toso musicista: Frank Zappa, e pri-ma o poi approfondir nel dettaglio

    questo tema cercando di dimostravi la mia tesi. Nel frattem- po non sa-rebbe male per chi lavora nella produ- zione di spot ripassare le regole fonda- mentali della pubblicit e della costru-z i o n e d e l patrimonio di marca con il Lam-

    bret twist, la canzone dei Cetra ideata per promuovere la Lam-bretta in un famoso Carosello dei primi anni 60.

    1. Che inventiamo?I quattro scienziati si interrogano su cosa inventare per semplificare la vita delle persone:Virgilio: Oggi professori, che i nventiamo?

    Felice: Inventiamo lautomobile?Virgilio: Ma lhanno gi inventata!Lucia: E lhanno parcheggiata?Virgilio: No.Lucia: E allora sorvoliamoTata: (indispettito) E allora che in-ventiamo, che inventiamo?

    2. La promessa del QuartettoNon si sa ancora cosa inventeranno i nostri Professori ma veniamo su-bito informati del come sar:Qualcosa che vi faccia strabiliar: un cocktail fatto di genialit, di dinamismo, di eleganza, di poten-za, tutto quello che pu darvi la felicit che potrebbe andar bene anche come definizione tout court del marketing.

    3. Unique Selling PropositionDopo aver elencato i componen-ti del nuovo prodotto - prendiam due ruote e le mettiamo qua e un bel motore che veloce va -, ecco presentata la USP ovvero, come so-stiene Alastair Crompton, quelluni-ca caratteristica del prodotto che nessun altro usa e che pu essere fatta propria, qualcosa di unico al mondo insomma, in grado di rappresentare quel prodotto (e solo quello). E cosa rappresenta, pi di tutto la Lambretta se non il clac-son dalla voce originale?

    di Diego Altobelli

    (www.youtube.com/watch?v=HLBogthhmjQ)

    BRAND EQUITYIl Lambret twist del Quartetto CetraSono sempre stato affascinato dal Quartetto Cetra e, soprattutto da Virgilio Savona (per i pochissimi di voi che non lo sapessero Virgi-lio Savona quello a sinistra con gli occhiali) che considero uno dei pi intelligenti, talentuosi e spiritosi musicisti italiani.Vi basti sapere che quando ero piccolo veneravo il Quartetto Cetra almeno quanto i Beatles, da me considerati, a quellet, come la sin-tesi irraggiungibile di tutto ci che luomo aveva prodotto fino alla loro

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    4. Le caratteristicheSi prosegue poi con un elenco di caratteristiche tecniche del prodot-to: la nuova linea e il freno a disco (novit!) in grado di rendere la Lambretta allo stesso tempo un mezzo sicuro e veloce.

    5. Le promesse della LambrettaInoltre, se non bastasse, eccovi la promessa: la Lambretta vi porter ovunque (in capo al mondo ti por-ter) e per giunta in allegria.

    6. Lambret twistA questo punto giunge il vero col-po di genio dello spot: gli scienziati hanno inventato il prodotto e ne hanno descritto le caratteristiche ma sentono che manca ancora qualcosa e infatti Lucia chiede ai suoi colleghi e dopo la Lambretta che inventiamo?. E la risposta unanime e per niente ovvia: inven-

    tiamo il Lambret twist.I Professori mostrano quindi il nuovo ballo con cui pubblicizzano il prodotto: la musica ci ricorda le novit tecniche attraverso il suono del clacson mentre il bal-lo rappresenta lessenza stessa dellatto pubblicitario: proporre una moda e, insieme, una tipo-logia di utilizzo del mezzo innova-tiva. Insomma, per analizzare con termini sociologici tutto questo si potrebbe parlare dellattualissimo ruolo del consumatore/produttore (o prosumer che dir si voglia) che ri-semantizza gli oggetti del consu-mo rendendoli propri e attribuendo loro significati che nemmeno i produttori avevano mai pensato; si potrebbe giungere cos, a ritro-so, alla concezione della produ-zione del consumo di Michel de Certeau e addirittura a Marx e al ruolo di quello che lui definiva fi-nish del consumatore: una sorta di surplus di valore attribuito dal consumatore alla merce ma fermiamoci un attimo e torniamo al Lambret twist!Una volta presentato, il Lambret twist viene declinato in maniera di-vertente e cos si scopre che il ballo non solo gi famoso ovunque: tra le maracas e le piante di banana, nelle notti indiane ma, con un esemplare ricongiungimento, che addirittura tutti i musicisti dello spot (chitarrista, bat-terista, trombonista e per-sin contrabbassista) ballano gi il Lambret twist.

    7. Invito allacquistoA questo punto, visto che tutti (ma proprio tutti) usano la Lambretta ballando il L a m b r e t twist nelle situazioni

    pi disparate cosa volete che sia tornare a uso pi tradizionale del mezzo?Ecco che allora la Lambretta viene presentata anche per quello che in realt : uno scooter per andare in riva al mare, a lavorare e, al-loccorrenza anche per portare la propria sposa allaltare.Le ristrettezze economiche degli anni 60 che non permettevano a tutti i lavoratori di acquistare an-cora unautomobile vengono tra-sformate in opportunit e punti di forza cos, lessere costretti ad accontentarsi di un mezzo pi economico (e modesto) come la Lambretta, si trasforma in un segno di distinzione sociale con valori del tutto positivi.

    8. Il metodo Gli scienziati in conclusione hanno seguito un metodo: hanno prima studiato un target specifico e com-preso cosa gli mancasse, hanno poi creato un prodotto - la Lambretta - per rispondere alla domanda e infine hanno inventato un diver-tente ballo - il Lambret twist - per promuovere il prodotto.

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    di Niko Demasi

    IO/VOI O NOI/TU? Le campagne dellUDC e del PD a confrontoUn disegno comuneIl manifesto un 4x3; il layout pre-senta una suddivisione verticale in due aree di dimensioni leggermen-te asimmetriche; la parte sinistra, pi ampia, occupata dalla foto in bianco e nero del leader UDC Pier Ferdinando Casini che, sguardo puntato in avanti, sorregge sulle spalle una bambina; nella parte de-stra, su sfondo bianco, troviamo in alto lheadline (Un disegno comu-ne.) mentre in basso c il marchio del partito accompagnato dal pay-off (Lestremo centro.); lheadline presenta un lettering che attraver-so luso del colore rosso evidenzia lacronimo UDC.Casini non guarda in camera, non cerca il contatto con chi osserva il manifesto: il suo sguardo si proietta oltre il nostro punto dosservazio-ne, evidente che si tratta di una visione. Lespressione serena ci dice che una bella visione e allo

    stesso tempo vuole infondere fidu-cia. Limmagine una provocato-ria citazione della fotografia-ico-na del XX secolo di Che Guevara (Guerrillero Heroico) scattata da Alberto Korda.Nel logotipo il peso del nome del leader predominante rispetto al simbolo dello scudo crociato e al nome del partito. In generale limpianto visivo del manifesto fortemente incentrato sulla figura di Casini.Il manifesto ci promette che il partito (rappresentato metonimi-camente dal leader) ha un progetto (la visione del leader), condivisibile dalle persone di buon senso (Un disegno comune.), che quello di farsi carico del futuro del paese (metafora della bambina sulle spal-le del leader) attraverso una risolu-ta attuazione della linea politica del partito stesso (Lestremo centro.).A un primo sguardo superficiale le

    soluzioni visive proposte nellaffis-sione potrebbero suscitare persi-no ilarit: esiste unimmagine pi retorica di quella rappresentata dal binomio politico-bambini? Ep-pureIn realt appare evidente che si tratta di un utilizzo audace e deli-berato del luogo comune: la carica potenzialmente retorica dellim-magine di Casini che tiene in spal-la una bambina contrastata sia dal tono informale della fotografia (persona normale, look informale, set agreste) che ne attenua la pomposit, sia soprattutto dal tono provocatorio del pay-off. Lossimoro (Lestremo centro.) il perno strutturale del messaggio, lelemento che nega una lettura retorica e buonista del mani-festo. Il rimando a un universo semantico estraneo alla tradizione politica centrista, un agire politico legato ai movimenti estremi che 1

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    hanno nella purezza ideologica, nella capacit di perseguire i propri obiettivi in opposizione alle tenden-ze mainstream, nella forte coesio-ne interna, nellattivismo e nellim-pegno i caratteri distintivi.Ecco cos che la promessa annun-ciata dallheadline (Un Disegno Comune.) appare meno vuota e generica: diventa al contrario il motto rivoluzionario (la visione messianica) di un movimento che, guidato dal leader carismatico, porta avanti un progetto politico sorretto dalla forza delle proprie idee e dei propri valori.Casini il novello Che Guevara dellestremo centro? Il disegno comune che persegue la rivolu-zione moderata?

    Pi forti noi, pi forte tuIl manifesto del PD si sviluppa in orizzontale: il formato 6x3; in alto a sinistra, in rosso e in corpo ridotto, troviamo le url del website e della web-tv del partito; al centro della composizione c un gruppo di persone che spinge verso destra e fuori del campo visivo la parola POVERT (il testo in verde ed tronco: la lettera T per met fuori quadro, la completamente); in basso a sinistra una breve frase (Pi

    forti noi, pi forte tu.) funziona sia come headline che come pay-off (in minuscolo, il corpo del carattere di grande dimensione); in basso a de-stra troviamo il logotipo.Le soluzioni visive dellaffissione sono ricercate ed efficaci: unom-bra solo accennata sotto le figure umane, esplicitando i diversi piani dellinquadratura, dona allimmagi-ne profondit e tridimensionalit; in primo piano lheadline/pay-off e il marchio, in secondo piano il grup-po che spinge la parola POVERT (leggermente sfocata), sullo sfondo le url. Abbiamo cos due diversi vet-tori che guidano la lettura del ma-nifesto: da sinistra a destra il primo, dal primo piano allo sfondo e vice-versa lungo la diagonale che collega langolo in alto a sinistra con quello in basso a destra il secondo. Il manifesto mette in scena il target a cui indirizzato il messaggio: rappresentato il segmento di popo-lazione che soffre la povert. Lim-magine a colori, lilluminazione fotorealistica, evitato qualsiasi ef-fetto di drammatizzazione. Vediamo lo stereotipo del povero, unumani-t sopra i cinquanta in abiti abba-stanza dimessi, mentre combatte strenuamente contro la povert. La composizione sembra presen-

    tare somiglianze e suggestioni ac-costabili ad alcuni motivi tipici del realismo socialista, in particolare quando tenta di rappresentare una qualche forma di coscienza di clas-se (i nuovi poveri al posto dei con-tadini e degli operai). Con la rappresentazione grafica della POVERT (il testo si fa im-magine, la tipografia diventa simbo-lo) realizzata una sintesi visiva di un discorso pi ampio e complesso: la povert un grande problema che affligge la parte pi debole della popolazione; per affrontarlo c bisogno dellimpegno solidale di tutti gli attori coinvolti; il voto al PD loccasione per lindividuo di partecipare a questo impegno. La distribuzione degli spazi nel layout sembra rafforzare questa lettura: il vuoto sulla sinistra, in coda al grup-po che spinge, sembra chiamare in causa losservatore e invitarlo ad unirsi allo sforzo collettivo. Il colore verde della parola POVER-T lo stesso che troviamo nel logotipo: lassonanza cromatica tra i due elementi dovrebbe significare il riconoscimento da parte del parti-to del problema sociale e la conse-guente assunzione di responsabilit nel farsene carico; la lettura resta comunque un po ambigua.

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    La fase 2 della campagna proporr una variazione sul tema chiarifica-trice: in una delle nuove affissioni il gruppo che nel primo spingeva fuori campo la POVERT (verde) adesso trascina in campo la GIUSTIZIA (verde) mentre un secondo gruppo spinge verso lesterno di nuovo la POVERT, questa volta di colore grigio. Il colore verde significa sia riconoscimento, assunzione di responsabilit, risposta a un pro-blema sociale sia la promessa di un obiettivo (la GIUSTIZIA) che pu essere raggiunto votando per il Par-tito Democratico. Il grigio al contra-

    rio diventa portatore di negativit: non a caso in unaltra declinazione della fase 2 della campagna ad es-sere spinta fuori dal manifesto sar la parola BERLUSCONI; attraverso lassonanza cromatica (il colore grigio) e la ripetizione/sostituzione si instaura un rapporto (metonimi-co) di causa-effetto tra il governo (il presidente del consiglio) e il proble-ma sociale.Lheadline/pay-off il motore retorico della campagna: se la po-vert un problema sociale e per essere risolto richiede un impegno individuale e collettivo, la risposta

    il tuo voto (limpegno individuale) al Partito Democratico (che avr cos la forza politica di persegui-re il bene comune). Si tratta di un circolo virtuoso: (tu) per aiutare i poveri (noi) devi votare per il PD; se il partito (noi) ha la forza (i voti) necessaria per risolvere il problema allora anche tu avrai dei benefici. La strategia comunicativa di questa campagna segnala una forte inver-sione di tendenza rispetto al PD di Veltroni: il leader scompare, il voto non pi una delega fideistica ma unassunzione di responsabilit in-dividuale e condivisa, protagonista assoluto del messaggio il partito come catalizzatore di istanze sociali. La politica-spettacolo il passa-to, la leadership il partito delle persone.

    Un confrontoLe strategie di persuasione che i due manifesti mettono in campo sono molto differenti e per certi versi opposte.Laffissione dellUDC vuole coin-volgere lo spettatore in modo totalmente emozionale: ci che promette non argomentato e di conseguenza non chiede nes-suna interpretazione razionale; il messaggio presuppone ladesione

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    incondizionata a un sistema di va-lori di cui unica garanzia la figura carismatica del leader; il progetto da realizzare il futuro radioso del paese; lo strumento per realizzarlo la delega attraverso il voto al lea-der; la garanzia di riuscita il leader stesso e la forza della sua visione. Il partito strumento e non fine; la sua esistenza funzionale alla realizzazione della promessa: il di-segno comune. Il terreno sul quale si impegna la campagna dellUDC quello della politica-spettacolo, della personalizzaione della lotta politica, del confronto mediatico in cui a prevalere colui che riesce ad avere un rapporto diretto con la platea degli elettori. Lavversario a cui si vuole andare a far concor-renza sicuramente Berlusconi e il PDL. Sembrerebbe che Casini si sia messo in testa di spodestare il mattatore, o quantomeno di prepa-rarsi per la successioneIl manifesto del Partito Democrati-co chiede tempo a chi lo osserva: limpianto retorico complesso e opera a pi livelli. Il coinvolgimen-to emozionale basso; chiede allo spettatore uno sforzo interpretati-vo, una partecipazione razionale. Ci che viene messo in scena sono i problemi che le persone reali af-frontano nella vita di tutti i giorni. Il manifesto racconta una storia che concede poco alla spettacolarizza-zione: non c un cavaliere senza macchia custode ultimo del desti-no della nazione. Il percorso inter-pretativo che viene proposto mira a convincere linterlocutore che la soluzione dei problemi del singolo individuo passano necessariamen-te dalla soluzione dei problemi collettivi: il voto lo strumento per avviare questo processo, il partito il luogo dove le istanze sociali trovano ascolto e diventano protagoniste. La svolta comunicativa rispetto allera Veltroni appare totale; la

    profonda crisi della leadership del PD innescata dallo scontro fronta-le con Berlusconi ha portato, quasi come conseguenza diretta, a una ridefinizione dellidentit stessa del partito: non vediamo pi un sogget-to politico che guarda al modello anglosassone (una struttura leg-gera organizzata intorno a una lea-dership forte e accentrata) quanto piuttosto un tentativo di recuperare la dimensione popolare dei grandi partiti di massa italiani (DC e PCI) del XX secolo. In questa reinter-pretazione della tradizione i fattori di aggregazione proposti non sono pi legati ai massimi sistemi (co-scienza di classe, religione) quanto piuttosto ai bisogni e alle istanze di nuovi gruppi sociali (richiesta di protezione sociale, sicurezza, ambientalismo).La costruzione dei due manifesti caratterizzata da strategie op-poste e complementari e racconta in modo chiaro e diretto il tipo di

    relazione che si instaura tra i sog-getti coinvolti nella comunicazione: IO/VOI per la campagna dellUDC, NOI/TU per quella del Partito De-mocratico. Nel primo caso il rap-porto tra emittente e destinatario verticale, immediato, emozionale; nel secondo orizzontale, mediato, razionale: da una parte il capo cari-smatico e i suoi adepti, dallaltra il partito delle persone e lindividuo come membro di un gruppo.Due mondi e due visioni a confron-to: da uno a tutti vs da tutti a tutti.

    Nel momento in cui scrivo (man-cano pochi giorni alle elezioni europee) limpegno creativo pro-fuso nella realizzazione delle due campagne si perso nel rumore dellimmondizia dellaffissione abu-siva e del riadattamento selvaggio (segnaliamo tra gli altri il memora-bile Uno Di Casa). Il dubbio sorge spontaneo: che sia tutto un inutile spreco di energie e risorse?

    1 Manifesto UDC disponibile su http://www.pierferdinandocasini.it - public domainGuerrillero Heroico - Source: Museo Che Guevara, Havana Cuba. Data: Photo taken on March 5, 1960, published internationally in 1967. Autore: Alberto Korda - public domain. Disponibile su http://it.wikipedia.org/wiki/File:GuerrilleroHeroico.jpg

    I Manifesti del PD sono disponibili su http://www.partitodemocratico.it - public domain

    Mausoleo di Mao (Realismo socialista). Tratta da Flickr, licenza Creative Commons. Autore: Zingaro. Disponibile su http://www.flickr.com/photos/30208099@N00/1230494101/sizes/l/

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    di Vincenzo Bernabei

    Il rischio una componente costitu-tiva di ogni iniziativa imprenditoria-le: chiunque si impegni a costruire unofferta consapevole di esporsi alle scelte del consumatore, tanto nel B2B quanto nelle attivit al det-taglio. Eppure noi comunicatori lo sappiamo bene alcune categorie rischiano di pi di altre. Perch? Naturalmente quando si compra un prodotto o un servizio si desidera-no delle garanzie. Molte volte tale desiderio inversamente pro-porzionale alla riconoscibilit del

    marchio e allidentit del brand-venditore. Per fare un esempio, se vado al supermercato sar disposto a pagare di pi per una marca di pasta pregiata, o per una bibita da sempre pubblicizzata, poich la garanzia di qualit in quel caso deriva dalla fama del prodotto stes-so, o comunque dal fatto che in pas-sato mi capitato di provarlo alme-no una volta. Se voglio risparmiare, al contrario, in genere rischio di pi sul versante qualitativo, pun-tando comunque a conservare un buon rapporto complessivo quali-t/prezzo o, perch no, sperando di pescare il prodotto-rivelazione ancora poco conosciuto. La stessa cosa avviene, solitamen-te, quando ci si rivolge a un pro-fessionista. Il blasone di un avvo-cato caratterizzato generalmente dallimportanza delle cause vinte; quello di un medico, se non dal nu-mero di persone curate o salvate, dallinsieme delle opinioni positive che nel tempo egli ha saputo inge-nerare nei propri pazienti e nei loro familiari attraverso lesercizio della propria attivit. Infine, se con la mia impresa piccola o grande che sia

    devo cercare un nuovo fornitore per acquistare della merce compir una scelta basandomi su una serie di considerazioni: raccoglier del-le opinioni, condurr una ricerca comparativa sui prezzi, tenter di farmi spedire un piccolo campione da pi aziende nel caso si trattasse di beni materiali dal costo unitario ragionevole. Dopodich, se vorr mettere a si-stema il nuovo tipo di fornitura, se vorr lavorare i prodotti grezzi per trasformarli in prodotti o servizi fi-niti valutandone lo stato, passaggio dopo passaggio, allora sar inevita-bilmente costretto ad acquisire un quantitativo anche minimo di merce pagandola regolarmente. In generale, com naturale che sia, ogni ambito commerciale e ogni settore di business hanno le loro regole, scritte o non scritte, e ogni situazione richiede determinati comportamenti. Il guaio della comunicazione che spesso viene considerata, al pari di altre forme di creativit, unattivit giullaresca, un parente povero nellambito delle attivit di business.

    CREATIVIT E RAPPORTO CON IL CLIENTEEquivoci, rifiuti e strategie non convenzionali

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    Scrivendo per Brand Care on line su una delle scorse edizioni di Creatives are bad! avemmo modo di paragonare il comunicatore agli attori del vecchio cinematografo: di Rodolfo Valentino, di Marlene Die-trich o di Greta Garbo ce nerano pochi: gli altri erano spesso consi-derati proletari della scena, curiosi e a volte malinconici intrattenitori buoni per unamara risata. Un pa-rallelismo senzaltro valido, poich in ambito comunicativo ancora oggi si dividono gli operatori di set-tore in due grossi tronconi: da una parte una cerchia molto limitata di star in grado di dettare le li-nee generali dellofferta (le grandi agenzie, i guru convocati dalle multinazionali o dalle istituzioni

    per la propria bravura, ma anche per la loro capacit di intessere rapporti con i salotti buoni), dal-laltra un enorme esercito di im-prenditori e freelance precari, ai quali evidentemente non sempre si riconosce unadeguata dignit professionale. I motivi per cui non si allestiscono mostre di case o abiti su misura rifiutati, insomma, derivano principalmente da fattori di tipo culturale, tanto pi che nelle medie e grandi aziende il ruolo di responsabile della comunicazione spesso ricoperto da generosi, ma non sempre preparati, stagisti provenienti dai corsi di studi pi disparati, da manager ricollocati, o da figure ibride tuttofare impe-gnate a gestire budget bassissimi che li costringono a contrattare con le agenzie esterne fino al centesi-mo. Anche per questo, oltre che per motivi pi nobili connessi a un processo di raffinamento delle pratiche comunicative, c stato un gran parlare, negli ultimi anni, di marketing non convenzionale. Ormai per gli operatori del settore conoscere e praticare il marketing non convenzionale, vale a dire linsieme delle forme di visibilit e comunicazione di brand non appar-tenenti alla filiera classica, giu-stamente una questione di vita o di morte. Gli spazi tradizionali sono spesso saturi, i loro costi esorbi-tanti, le dinamiche di definizione

    ed evoluzione dei consumi sem-pre pi complesse; quindi il viral marketing, lambient, il guerrilla, il direct, il geolocalizzato, e tutte quelle etichette che per qualcuno sono riconducibili al macroinsieme di marketing postmoderno pos-sono effettivamente rappresentare delle valide alternative di linguag-gio. Eppure anche qui qualcosa non va... Queimada - Brand Care stessa fa un discreto (e, speriamo, giusto) uso di tali tattiche comunicative, ma come professionista che quo-tidianamente incontra dirigenti di societ, clienti, fornitori, amici che lavorano nel medesimo campo, sento lesigenza di chiarire un possibile equivoco.

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    vero che parliamo di tecniche che, oltre a essere pi o meno in-novative, hanno spesso il pregio di abbattere i costi; ma anche vero che su questo molti imprenditori cercano di speculare in maniera impropria. Insomma, c chi usa il non convenzionale per spende-re poco, pretendendo che funzioni sempre e, soprattutto, incolpando comunque i creativi e le agenzie in

    caso di scarso successo. Purtroppo c da dire, ancora una volta, che probabilmente la questione di natura culturale. risaputo che spesso in questo Paese si importano acriticamente dallestero modelli comunicativi che altrove funzionano, sperando che anche qui sortiscano effetti sconvolgenti, ottenendo con il mi-nimo sforzo il massimo risultato. Ci, ad esempio, accadde qualche anno fa con la riforma che intro-dusse il product placement in Italia (il famoso decreto Urbani). Ebbene, anche Queimada, appena nata, fu praticamente subissata da richie-ste di produttori cinematografici che pretendevano di coprire un quarto, o addirittura la met del budget di produzione di una pel-licola attraverso il posizionamento di prodotti e brand. Largomenta-zione classica era: ho un amico americano che ha ottenuto dagli sponsor milioni di euro per un film. La vostra agenzia in grado di ottenere un risultato del gene-re?, trascurando che un film ame-ricano costa mediamente come 100 film italiani, che avremmo dovuto la-vorare su una sceneg-giatura gi completa (cosa che non succede alle agenzie che lavo-rano negli USA, le quali molto spesso concordano con la produzione delle variazioni fun-zionali ai posizionamenti pubbli-citari allinterno dello script), che il richiamo e la fama degli attori a nostra disposizione erano ben di-versi da quelli che di solito hanno a disposizione le produzioni dOl-treoceano. E cos, come non basta unacqua minerale in primo piano, posizionata vicino al piatto del protagonista, per ampliare le risor-se necessarie a produrre un film, cos non basta, in s, un video

    ammiccante su You-tube per vendere un materasso, o un po di street art decontestualizzata per promuovere un videogame. Come spiega benissimo Paolo Iabichino (direttore creativo di OgilvyOne) in un suo intervento su 7th floor di qualche tempo fa, solo quando si produce una vera innovazione Il messaggio diventa potente, con-tagia, si diffonde e, se conviene anche economicamente, solo un incidente, non pu essere il presupposto di partenza. Per indurre allacquisto, spe-cie in alcuni settori, occorrono strategie raffinate; per parlare fuori dal coro servono veri messaggi di rottu-ra, non un finto anti-conformi-smo rivolto

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    a community posticce. Insomma, la gestione di operazioni non con-venzionali, cio che non rien-trano nella filiera classica cui il sistema abituato, richiede a monte una cultura professionale aperta allinnovazione (Maurizio Sala, vicepresidente del Gruppo Armando Testa). Per chiudere, almeno in questa sede, la riflessione sui processi creativi in ambito marketing e co-

    municazione, c da dire, a onor del vero, che neanche il versante creativo e qui veniamo probabilmente ai

    punti pi dolenti esente da colpe e limiti strutturali. Di

    fronte alle scar-se competenze di molti com-

    m i t t e n t i

    fioriscono i freelance che si offro-no di gestire tutto il processo di creazione (e non solo la parte che li riguarderebbe), gli studenti o gli impiegati che arrotondano, i pa-renti, gli amici o i vicini di casa che fanno risparmiare. A ci si aggiunga una ancora troppo evidente inadeguatezza deg