commento metrico a xix odi di orazio flacco di metro ... · prefazione i...
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671111 Carmina* . IS£3 Iloratiuc Flaccus, Quintuc. iggf
Con-jnento iietrico a XIX Cdi di Orazio Fiacco dimetro ri epettivanonte diverso, col testo relativo'conforne alle migliori edizioni, pel Dott, EttoreStampini... Torino, Looscher, 1S81-
:d., GO p. 20^- cm.
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Madison Av. and 49th St. New York.
BOUGHT. MAY 6, 1887, FROM THE LIBRARY OF
CHARLES SHORT, M.A.. LL.D
Professor of Latin in Columbia College
18O8 to bis Ueath, 1886.
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COMIMENTC) METRICO
XIX ODI w ORAZIO FIACCO-
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COL TESTO RELATIVO CONFORME ALLE M HJ L 1 O H ] EDIZIONI
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IDott. ETTO:E^E ST A IVCI^» UnTI
Libero Docente di Letteratura latina nella R Università di Torino
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TORINOERMANNO LOESCHER
1881
lìoMA e Fii;t;N/.L jii'osso la stessa Casa.
Opere scoLastiche, edizioni Erinaniio Loescher
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M. Berlini
Curtius Q., Grammatica della lingua greca. 12* edizione originale— e Fumi, Illustrazioni filologico-comparative alla grammatica greca
Schenkl C, Esercizi greci. Parte P ad uso dei ginnasi ....— Esercizi greci Parte 2' ad uso dei licei
— Crestoma/ia di Senofonte, tratta dalla Ciropedia, Anabasi e Memorie SocraticheBoeckel D., Temi greci in correlazione alla grammatica di CurtiusCasa^raude A., Raccolta di esercizi greci ad uso dei Ginnasi e Licei. Parte 1*
Parte IP. Sintassi— Elementi di sintassi greca
Wesener P , Libro elementare di lingua greca secondo la grammatica di Curtius:Corso I. 11 nome ed il verbo in lU
Corso IL Verbi in )Ul e verbi irregolari con un vocabolario ....Soleiio Q. P., Prosa greca. Tratta delle opere di vari scrittori ....Born E., Tavole sinottiche per la coniugazione dei verbi irregolari della lingua grecaMliller e Brunetti, Dizionario manuale della lingua greca i volumi L. 14 — . Legati
V'^olume 1'^ Greco-italiano del prof. MUller. L. 8 — LegaloVolume II® Italiano-greco del prof. Brunetti. L. 6 — »
Erodoto d'Alicarnasso, delle istorie di, volgar. con note di M. Ricci, t.
Senofonte A., Dei detti e fatti memorabili di Socrate, trad. ed illustr. da G.Schultz-Fcrnaciari, Grammatica latina— Esercizi per la grammatica latina .
— Raccolta di temi per esercizio della sintassi latina— Trattato della formazione delle parole e della metrica latina
Barco Ot. B., Esercizio per lo studio della grammatica latina per la 1' classe ginnasialeBaur F., Introduzione scientifica allo studio del greco e del latino, del dott. F. RamorinoSchweizer-Sidler E., Teorica dei suoni e delle forme della lingua latinaMinotto A. S., Trattato della prosodia, delTaccento e della pronuncia nella lingua latinaPezzi D., Grammatica storico comparativa della lingua latinaVanuuccl A., Studi storici e morali sulla letteratura latina. 3' edizione L. 5 — Legato
Monastler A , Gramm. elem. prat della lingua francese sec. il sist. Ahn Corso compi.(Corso I, L. 1,20 — Corso II, L. 1,80 — Corso III, L. 3,50 — Chiave, L. 2).
— Gallicisines, idiotismes et isophonesG-irtin T., Grammatica elem. prat. della lingua inglese, sec. il sist. Ahn. Corso completo
(Corso I, L. 1,20 — Corso II L. 1,20 — Corso III (libro di lettura), L. l.GO).
Detroit L. , Metodo di lettura francese, per articolazione. Parte 1* e 2" lire 1 caduna)Truan H , Letture francesi scelte e graduate ad uso degli istituti d'istruzione secondariaFerrari et Caccia, (ìrand dictionnaire frant^ais-italien et italien-frangais. L. 20 - LegatoLibri di lettura ing-lese: Voi. I. Qoldsmith Oliver, con vocabolario di Isn.ird .
— Voi. II. Shakespeare's Henry IV, con note spiegative di Carlo VianiWessely. Nuovo dizionario portatile inglese-italiano e italiano-ingleseMUller G., Corso pratico di lingua tedesca. Corso completo
(Corso I, L. 2 — Corso II, L. 2,50 — Corso III (libro di lettura), L. 2,50).
Fritfch M., Grammatica della lingua tedesca. 3' edizioneBauxngarten. Le parnasse allemand du XIX' siedeParandero G. G., Storia gen della letterat. tedesca. Voi. I. Dalle origini sino al
Feller T. A.. Dizionario italiano-tedesco e tedesco-italiano ....— Nuovo dizionario portatile italiano-tedesco e tedesco-italiano. 2 voi. L. 4,
Locella G., Nuovo dizionario tascabile italiano-tedesco e tedesco-italiano. L. 2,25Michaelis, Dizionario completo italiano-tedesco e led.-ital. 2 voi. L. 15 — . . »
Va'entini F., Dizionario portatile italiano-tedesco e tedesco-italiano. L. 9 — . »
Weber F. A , Nuovo dizionario italiano-tedesco e tedesco-italiano. L. I0,5it »
Manetta e Rugrhi, Grammatica spagnuola, secondo il sistema Ahn. Corso completoSalva V., Nuevo diccionario frances-espafiol y espanol-frances .... Legalo
MAnffuaFornaciari R.. Grammatica storica della lingua italiana. Pjrte 1* MorfologiaDe Nino A., Errori di lingua italiana che sono più in uso. 2* edizione . . . »
Pizzi I , Ammaestramenti di letteratura per i componimenti in prosa ed in poesia . »
— Antologia epica tratta dalle migliori epopee nazionali ad uso delle scuole . . »
Auerbach B , Racconti rusticani della foresta nera. 2* edizione »
Esempi di scrivere moderno. Letture per le scuole femminili superiori. Parte I* . »
Finzi G., Lezioni di storia della letteratura italiana. Voi. I »
Graf A., Studii drammatici »
— La leggenda del paradiso terrestre »
Rocca li., Di qua e di là. Novelle e racconti . »
Melzi B., Nuovo vocabolario universale della lingua italiana . . . Legalo tela »
Comparetti e D'Ancona Canti e racconti del popolo italiano:
Voi. I. Ferraro. Canti Monferrini »
Voi. II e III. Casetti e Imbriani. Canti delle provincie meridionali. 2 volumi »
Voi. IV. Gianandrea Canti popolari Marchigiani »Voi. V. Ive. Canti popolari Istriani »Voi. VI. Comparetti. Novelline jiopolari italiane. Voi. I »
Voi. VII. Visentini. Fiabe mantovane »
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»
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Legatoal 1750
Legalo
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2331
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COMMENTO METRICO
XIX ODI DI ORAZIO PLACCO
DI METRO RISPETTIVAMENTE DIVERSO
Opere scolastiche, edizioni Eriiìaiino Loescher
JLii9f0ua Gt^cca e trafitta.Curtius Q., Grammatica della lingua greca. 12" edizione originalo . . . . L. 3— e Fumi, Illustrazioni fìlologico-comparative alla grammatica greca ...» 4Schenkl C , Esercizi greci. Parte 1* ad uso dei ginnasi » 2— Esercizi greci Parte 2' ad uso dei licei » 2— Crestomazia di Senofonte, tratta dalla Ciropedia, Anabasi e Memorie Socratiche » 3Boeckel D., Temi greci in correlazione alia grammatica di Curtius . ...» 2Casa^rande A., Raccolta di esercizi greci ad uso dei Ginnasi e Licei. Parte I* . » 3
Parte IP. Sintassi » 3— Elementi di siolassi greca » 1
Wesener P , Libro elementare di lingua greca secondo la grammatica di Curtius:Corso l. lì nome ed il verbo in lU » 1
Corso IL Verbi in ^l e verbi irregolari con un vocabolario » 1
Soledo G, P., Prosa greca. Tratta delle opere di vari scrittori » 1
Born E., Tavole sinottiche per la coniugazione dei verbi irregolari della lingua greca • —Mtiller e Brunetti, Dizionario manuale della lingua greca 2 volumi L. U — . Legali » 16
Volume P Greco-italiano del prof. MUiler. L. 8 — Legato » 9Volume 11° Italiano-greco del prof. Brunetti. L. 6 — » » 7
Erodoto d'Allcarnasso, delle istorie di, volgar. con note di M. Ricci, t, I-III . » 18Senofonte A., Dei detti e fatti memorabili di Socrate, trad. ed illustr. da G. M. Bertini » 3Schultz-Fornaclari, Grammatica latina » 2— Esercizi per la grammatica latina . » 2— Raccolta di temi per esercizio della sintassi latina » 2— Trattato della formazione delle parole e della metrica latina » —
Barco G. B., Esercizio per lo studio della granmiatica latina per la 1* classe ginnasiale » 1
Baur F., Iitiroduzione scientifica allo studio del greco e del latino, del doti. F. Ramorino » 1
Sch'weizer-Sidler £., Teorica dei suoni e delle forme della lingua latina . . » 2Mìnotto A. S., Trattato della prosodia, dell'accento e della pronuncia nella lingua latina • 1
Pezzi D., Grammatica storico comparativa della lingua latina » bVanr^ucci A., Studi storici e morali sulla letteratura latina. 3' edizione L. 5 — Legato » 7
Llonastier A , Gramm. elem. prat della lingua francese sec. il sist. Ahn. Corso compi. L. 8(Corso I, L. 1,20 — Corso II, L. 1,80 — Corso III, L. 3,50 — Chiave, L. 2).
— Gallicismes, idiotismes et isophones » 1
Qirtln T., Grammatica elem. prat. della lingua inglese, sec. il sist. Abn. Corso completo » 4
(Corso I, L. 1,20 — Corso II L. 1,20 — Corso III (libro di lettura), L. l.GO).
Detroit L., Metodo di lettura francese, per articolazione. Parte 1* e 2» lire 1 caduna) » 2Truan H, Letture francesi scelte e graduate ad uso degli istituti d'istruzione secondaria » 4
Ferrari et Caccia. Grand dictionnaire fran(;ais-italien et italien-fran^ais. L. 20 — Legato » 25Libri di lettura ing-lese: Voi. I. Goldsmith Oliver, con vocabolario di Isn.ird . » 1
— Voi. II. Shakespeare's Henry IV, con note spiegative di Carlo Viani . . » 1
Wessely. Nuovo dizionario portatile inglese-italiano e italiano-inglese ...» 2MUlIer G., Corso pratico di lingua tedesca. Corso completo » 7
(Corso I, L. 2 — Corso II, L. 2,50 — Corso III (libro di lettura), L. 2,i>0). \
Fritfch M., Grammatica della lingua tedesca. 3" edizione » 3Baumgarten. Le parnasse allemaud du XIX* siècle ...... Legato » 7Parandero G. G., Storia gen della Ietterai, tedesca. Voi. I. Dalle origini sino al 1750 » 2FeJler T. A.. Dizionario italiano-tedesco e tedesco-italiano » 8— Nuovo dizionario portatile italiano-tedesco e tedesco-italiano. 2 voi. L. 4, Legalo » 4
Locella G., Nuovo dizionario tascabile italiano-tedesco e tedesco-italiano. L. 2,25. » » 3
Michaelis, Dizionario completo italiano-tedesco e ted.-ital. 2 voi. L. 15 — . . » » 17
Va'entini F., Dizionario portatile italiano-tedesco e tedesco-italiano. L. 9 — . » » 10
Weber F. A , Nuovo dizionario italiano-tedesco s tedesco-italiano. L. I0,5i». » » 12
Manetta e Rughi, Grammatica spagnuola, secondo il sistema Ahn. Corso completo » 4
Salva V., Nuevo diccionario frances-ospaBol y espanol-frances .... Legalo » 6
Fornaciari R.. Grammatica storica della lingua italiana. Parte 1* Morfologia .
De Nino A , B^rrori di lingua italiana che sono più in uso. 2* edizione .
Pizzi I , Ammaestramenti ai letteratura per i componimenti in prosa ed io poesia— Antologia epica tratta dalle migliori epopee nazionali ad uso delle scuole .
Auerbach B , Racconti rusticani della foresta nera. 2* edizione
Esempi di scrivere moderno. Letture per le scuole femminili superiori. Parte I'
Finzi G., Lezioni di storia della letteratura italiana. Voi. 1
Graf A., Studi! drammatici— La leggenda del paradiso terrestre
Rocca L., Di qua e di là. Novelle e racconti .
Melzi B., Nuovo vocabolario universale della lingua italiana . . . Legato tela
Ooznparetti e D'Ancona Canti e racconti del popolo italiano:
Voi. I. Ferraro. Canti MonferriniVoi. II e IH. Casetti e Imbriani. Canti delle provincie meridionali. 2 volumiVoi. IV. Gianandrea Carni popolari MarchigianiVoi. V. Ive. Canti popolari Istriani
Voi. VI. Comparetti. Novelline popolari italiane. Voi. I
Voi. VII. Visentini. Fiabe mantovane
2 -1 —1 80\3 501 204 502 -4 —2 -2 -fl —
2 -9 —4 —5 —4 —5 -
COMMENTO METRICO
XIX ODI DI ORAZIO FLACCO
DI METRO RISPETTIVAMENTE DIVERSO
COMMENTO METRICO
XIX ODI DI ORAZIO FIACCO
»1 METRO RISPETTIVAIENTE DIVERSO
COL TESTO RELATIVO CONFORME ALLE MIGLIORI EDIZIONI
PEL
Libero Docente di Letteratura latina nella R. Università di Torino
TORINOERMANNO LOESCHER
1881
Roma e Firenze presso la stessa Casa.
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PROPRI ETX LETTERARIA
GIUSEPPE MULLEU
Torino — V. Bona, Tip. di S. M.
PROFESSORE NELL ATENEO TORINESE
79671
PREFAZIONE
I
Mentre il progresso fatto ne' tempi nostri dagli
studi filologici e linguistici ha dimostrato l'alta ira-
portanza delle discipline metriche, si può dire che
in Italia manchi ancora un libro che, rispetto alla
metrica latina, per non parlar della greca, possa
essere adottato dagli studiosi con probabilità di pro-
fitto. La ragione di questo fatto sta nel metodo
sinora adoperato, metodo che, se è utilissimo m
Germania, dove la metrica classica si studia per
sé seriamente e sarebbe vergogna ad ogni letterato
ignorarla, fra noi è per ora afi^atto inutile o dan-
noso. E per verità, che cosa troviamo noi nei hbri
che escono alla luce destinati dal loro autore a dare
di tali studi quella conoscenza che è reputata indi-
spensabile ad ogni cultore della filologia? Regole
sopra regole, moltissime definizioni e distinziom,
esempi pochissimi, ecco ciò che forma il loro con-
tenuto. Ora io penso che libri di siffatta natura non
possono non solo per veruna guisa soddisfare ai primi
k
viliIX
bisogni, ma, quello che è estremamente dannoso, di-
samorano dalla metrica i discenti, facendola parere
quale un'arida e pedantesca esposizione di precetti,
di leggi e di schemi, quale un garbuglio di formole
e di segni, che non solamente non giovano ad unapiù alta comprensione della poesia classica, ma anzi
disviano la mente dalla considerazione estetica e
critica del testo per tormentarla e soffocarla in unanoiosa materialità di cose.
Quanto sieno falsi cotali giudizi che si emettono,
non già per avere sufficientemente ponderato la na-
tura e le attribuzioni delle discipline metriche, maper non aver trovato nel libro adottato una via fa-
cile, un metodo semplice e chiaro, io l'ho dimostrato
altrove discorrendo dell'importanza della metrica
nello studio della poesia romana (1); né occorre
ch'io qui mi ripeta. Ho invece pensato di tenere un
metodo assolutamente diverso da quello che si è te-
nuto sinora, vale a dire un metodo affatto pratico,
dove, lasciato il minimo posto possibile alla parte
teoretica, la conoscenza della metrica risultasse dalla
copia degli esempi. A raggiungere questo scopo, ho
credulo bene pubblicare una serie di Odi di Oraziodi metro diverso con un commento esclusivamente
metrico. Tale è appunto il libro ch'io presento al
benigno lettore.
(1) La Poesia Homana e la Metrica. Prolusione ad un corso libero coneffetti legali di Letteratura o Metrica latina, letta nella K. Università diTorino. — Torino, E. Loescher, 1881.
\\
Orazio può dirsi che sia tra i più grandi poeti ro-
mani quello che presenta la maggiore varietà di metri;
scegliendo quindi una delle sue Odi (con questo nome
comprendoanche gli Epodi) per ogni metro, ordinando
le scelte in categorie chiare e distinte, commentan-
dole poscia in modo da dare di ciascun metro una
sufficiente notizia, si può, a parer mio, ottenere un
risultato incomparabilmente superiore a quello che
si consegue coi soliti trattati. Nel libro da me com-
posto ad ogni Ode precede una notizia generale del
metro seguito in essa dal poeta, col relativo schema
e con tutte quelle osservazioni e spiegazioni che ho
riconosciuto indispensabili alla precisione e chiarezza
delle idee: al piede poi ho posto un commento a
tutti quei versi che presentassero qualche partico-
larità prosodica, ovvero più o meno si discostassero
dallo schema proposto. Di più, a far sì che nei cul-
tori della filologia latina si formi a poco a poco
l'abitudine di leggere la poesia romana dando spicco
alla quantità e non trascurandola completamente,
come si pratica generalmente nelle nostre scuole,
.ho pensato di non fare cosa sgradita e poco proficua
segnando in ogni verso le sillabe in arsi. E siccome
nel corso del libro si dovettero necessariamente ado-
perare dei termini, di cui il lettore può ignorare il
significato, cosi alla serie delle Odi precede un ca-
pitolo destinato appunto a dare la spiegazione, in
modo breve e facile, dei termini da me adoperati
nel commento e nei cenni premessi ad ogni Ode.
\
Io confido che, fatto in tal guisa, colla massima
diligenza che mi fu possibile, il mio libro debba tor-
nare assai utile a tutti coloro che, persuasi dell'im-
portanza di questi studi, vogliano almeno procac-
ciarsene la conoscenza della parte elementare.
Per questa ragione ho cercato di evitare nel com-
mento e nelle dichiarazioni tutto ciò che potesse in-
tralciare i primi passi dello studioso, rendendo cosi
possibile al mio lavoro l'accesso in tutte quelle scuole
dove s'insegna la lingua e la letteratura latina (1).
Inoltre, quanto al testo, ho avuto cura ch'esso
riuscisse conforme alle migliori edizioni e soddisfa-
cesse alle esigenze deo^li odierni studi critici. Perciò
ho tenuto sott'occhio e consultato con molta dili-
genza le edizioni del Bentley (2), del Ritter (3), del
DiLLENBURGER (4), del Keller (5), del Lehrs (6),
i\
(
il
XI
del MOLLER (1), delNAUCK(2), dello Schutz (3), del
Trezza (4), senza dimenticare altre edizioni, tra le
quali quella del Doering (5) e l'inglese di Girdle-
STONE ed OsBORNE (6). La diligenza, che ho impie-
gato per questo rispetto, risulterà, spero, eziandio
dalla Critica del Testo che va innanzi al mio Com-
]mento.
Benigno lettore, con queste premesse ti domando
congedo. Possa tu farti persuaso di ciò che a mepare incontestabile verità, che cioè la bellezza delle
Odi di Orazio è per non piccola parte riposta nel-
l'insuperabile perfezione della metrica, la quale per-
tanto deve essere saputa da chi non voglia cono-
scere incompiutamente il più grande dei lirici romani.
Ettore Stampini.
(1) a faro il commento mi sono servito, oltre che dei cenni metrici conte-
nuti nelle varie edizioni da me consultate, anche di molti trattati, tra i quali
cito i seguenti: W. Christ, Metrik der Griechen und Bómer, Leipzig, 1879;
L.MtìLLER, Metrik der Griechen und Bòmer, Leipzig, 1880 e De re metrica
poetarum latinorum praeter Plaiitum et Terentium, Lipsiae, MDCCCLXI ;
G. PiNZtìER, Die Versmasse des Q. Horatius Flaccus, Liegnitz, 1833. Hopure avuto sott'occhio gli scritti degli antichi grammatici, tanto latini
quanto greci, ed una quantità di monografie, per le quali vedi il mio studio
Le Odi barbare di G. Carducci e la Metrica latina, 2* ediz. Torino, 1881.
(2) Q. Horatiw Flaccus. Ex Recensione et cum Notis atque Emenda-
tionibus RiCHARoi Bkntleii, Amstelaedami, M.D.CCXXVIII.
(3) Q. Horatius Flaccus. Ad codices saecuìi noni decimique exactum,
commentario critico et exegetico illustratum. Lipsiae, MDCCCLVI.(4) Q. Horatii Flacci opera omnia. Recognovit et commentari is in usum
scholarum instruxit Guil. Dillenbur(;er. Bonnae, MDCCCLXXV.(5) Q. Horatii Carminum libri IIII, Epodon liber, Carmen saeculare. Ile-
censuit Otto Keller. Lipsiae, MDCCCLXIV,(6) Q. Horatius Flaccus. Leipzig, 18G9.
(1) Q. Horatii Flacci carmina. Lipsiae, MDCCCLXXL(2) Des Q. Horatius Flaccus Oden uml Epoden. Leipzig, 1880.
(3) Q. Horatius Flaccus: Oden und Epoden. Berlin, 1880.
(4) Le Odi di Orazio Fiacco pubblicate secondo i migliori testi, con un\ commento. Firenze, 1872.
(5) Quinti Horatii Flacci Carmina. August. Taurinorum, MDCCCXXX.(6) Horace wit notes. London, 1865.
INDICE\ il
CRITICA DEL TESTOPrefazione . . Pag. VII
Critica dei. Testo » 1
Principali nozioni di metrica a dichiarazione dei teRMINI ADOPERATI
nel Commento 8
Composizioni monostiche 18
Metro Asclepiadeo minore (Lib. Ili, 30) 18
Metro Asclepiadeo maggiore (Lib. I, Ili 19
Trimetro Giambico (Epod. XVII) 20
Sistemi distici........ 25
Sistema Giambico (Epod. VII) . . . . 25
» Archilochio (a
) (Lib. IV, 7) . 27
» Archilochio (^
)(Epod. XIII) . 29
» Archilochio (<=
) (Epod. XI) . 31
» Archilochio (^
)(Lib. 1,4). 33
i> Aleniamo (Lib. I, 7) . 35
•> Ipponatteo (Lib. II, 18) 37
^> Pitiambico (»
)(Epod. XIV) . 39
» Pitiambico (^
)(Epod. XVI) . 41
t> Asclepiadeo (»
)(Lib. I, 3) . 44
» Saffico (b
)(Lib. I, 8) .
» 47
Sistema tristico 48
Ionico a minori (Lib. Ili, 12) . 48
Sistemi tetrastici 50
Sistema Asclepiadeo (^
)(Lib. IV, 12) 50
» Asclepiadeo(<=)(Lib. I, 21) . 52
9 Saffico (*) (Carme seco/are) . 54
» Alcaico (Lib. I, 37) 58
ERRATA-CORRIGE
Da pag. 3 a pag. 8 si è più volte scritto Dillemburger per Dillenburger.
LIBRO I.
Ode III, V. 18, 19. — La congettura del Bentley che si
debba leggere rectis oculis, fu a buon diritto respinta dai
critici, perchè senza alcun fondamento di buoni codici e meno
conveniente al concetto oraziano. Il Mìjller si pronunziò
per la comune lezione, ma s'accordò con Bentley adottando
mare turbidum in luogo di mare turgidum, lezione quella
che, quantunque appoggiata da alcuni codici, ha qui mi-
nore efficacia, poiché, scrive il Trezza, un mare che si sol-
leva, a cosi dir, tutto dal suo profondo, ha più terribilità
d'un mare che si fa torbido, e quindi meglio risponde al-
Tintendimento dell' ode. Il Ritter confronta questo passo
con due luoghi di Esiodo: ttóvto(; àTTeipiT0(; oi'b\xaT\ eùujv
(Theog., 109) e iiéXa^oc, oih\xai\ eOov (Id., 131), e con
l'oiòiua eaXd(Jcrn<; di Omero (Inno a Cerere, 14).
Id., V. 36. — In alcuni codici trovasi Perrupitque in vece
di Perrupit. Siffatta lezione piacque ad alcuni per togliere
la licenza dell' ultima sillaba di Perrupit fatta lunga da
Orazio. Se non che Or.\zio, osserva il Ritter, nella cesura
si prese talvolta la libertà di allungare dinanzi al t la sil-
laba, che in origine era lunga, ma fu poi abbreviata per
Stampim, Coìnmenlo metrico.
_0
la natura acuta di quella lettera (Cfr. Odi II, 6, 14 ; 13,
16; III, 16, 26; Sat. I, 5, 90; II, 2, 47; 3, 187). Ancora
nota il Trezza che l'arsi fa la sillaba lunga da sé; e nei
luoghi citati la sillaba sarebbe appunto in arsi ; ma non de-
vesi dimenticare che Orazio allunga una volta tale sillaba
anche in tesi (III, 5, 17) e, quel che è più, tre volte, pure
essendo breve di sua natura la sillaba innanzi al t (Cfr.
Odi III, 24, 5; Sat. I, 4, 82 ; II, 3, 260).
Ode IV, V. 8. — I migliori codici leggono ardens urit:
qualcuno dà invece ardens visit. Il Bentley segui quest'ul-
tima lezione per ischivare una tautologia che egli crede
non degna di Orazio. Ma le ragioni estetiche date dal Trezza
(pag. 61) devono bastare a convincere che la miglior le-
zione è la prima.
Id. V. 16. — Per Ve^^re^iouQfabulaeque Manes che tro-
vasi in questo verso il Meineke sospettò di qualche corruzione
del testo. Ma la parola yhóu/ae qui ha un valore speciale da
confrontare col Palvìs et umbra sumus (Lib. IV, 7, 16) e
più ancora con un luogo di Persio dove mi pare evidente
l'imitazione di Orazio :
Indulge genio, carpamus dulcia! nostrum est
Quod vivis; cinis et manes et fabula fies
(v. 151, 152),
al qual luogo osserva il Kcenig : « fabula de eo, qui in-
teriit atque in sermone tantum vivit; proprie, quod vulgus
sermone frequentat ». Il Mìjller confronta pure questo luogo
colla chiusa di un esametro di Orazio stesso : vertas in
risum et fabula Jias ; a questo luogo egli vorrebbe che
abbia badato Persio, mutando lievemente il significato del
vocabolo. Del resto anche altrove Orazio adoperò in modoanalogo la voce fabula (cf. Fabula quantafui! ad Epod.XI, V. 8). Se non che qui tale parola non importerebbe il
concetto del ridicolo, ma solo di cosa molto trattata nei di-
ìm
ì
'
li
scorsi degli uomini. Ha quindi ragione di porre in dubbio
il DiLLEMBURGER se trovisi qui alcun che di simile a ciò
che leggesi in Gio\^nale (Sat. II, 149 e seg.):
Esse aliquos manes et subterranea regna
Cocytum et Stygio ranas in gurgite nigras,
Atque una transire vadum tot milia cumba,
Nec pueri credunt, nisi qui nondum aere lavantur.
Ode VII, V. 16. — Non credo che si debba leggere nec
ma neque coi migliori codici. Non c'è alcuna ragione di so-
stituire, come fa il Mìjller, la prima forma alla seconda,
quantunque il metro la comporterebbe. Perchè molti poeti
latini dall'età di Augusto in poi, com'egli dice, adopera-
rono raramente o non mai il vocabolo neque (Cfr. De re
met. poet. lat,, pag. 395 e seg.), non c'è ragione di toglierlo
da questo luogo. Tutte le edizioni da me consultate portano
neque, del quale vocabolo ho contato 58 esempi nelle sole
Odi (compresi gli Epodi), seguendo il testo dato dal Ritter.
Ode XXXVII, V. 5. — In tutti i codici si legge antehac
o ante hac. Il Moller per evitare la sinalefe sostituì anthac
che è senza esempio e veramente inutile. Difatto osserva il
Ritter (p. 137) contro I'Orelli, che il vocabolo antehac,
assai frequente nei poeti scenici, non si adoperava mai se
non di due sillabe; che anzi, quando si voleva avere una
voce trisillaba, si usava antidhac. Pertanto Orazio non
fece altro che seguire l'uso comune, il quale, come nota il
Trezza col Corssen, ha la sua ragione in quel fondersi che
s'è fatto dell'accento sul solo avverbio, quando il senso pri-
mitivo del caso s'era già cancellato dal pronome (p. 189).
Id., V. 24. — La congettura del Meineke che a classe
cita reparavit oras si debba sostituire sollicitare paravit
oras, sebbene convenga al senso, come dice il Mìjller
(p. XXII), nonostante è da respingere per rispetto alla me-
trica. In Orazio non ci sarebbe altro verso decasillabo al-
= 4 =
calco simile a quello. I codici poi non danno altra lezioneche la su riferita. Si osservi inoltre che col Ritter, colKeller, col Lehrs, col Dillemburger, col Da<:RLNG, colloScHiJTz e col Nauck, non ho posto il punto fermo dopooras, poiché, come scrive il Dillemburger, le parole cheseguono, ausa ^ fortis, fanno una grave antitesi: cosi il
discorso continua sino alla fine per via di participii e di
aggettivi collocati a guisa di participii (p. 109).
= {) =
LIBRO II.
Ode XVIII, V. 30. — Qui la parola finis è di generefemminile contro l'uso degli scrittori dell' età aurea, che,dice il Ritter, non la usavano di tal genere se non in qxmefinis e qaamfinem per evitare la cacofonia (Cfr. Epod.XVII, 36). Nondimeno non v'è nessuna ragione di leggeresede in luogo di fine, come fanno, fondandosi su pochicodici men buoni e su un passo di Servio , il Meineke eI'Haupt. Quest'errore derivò probabilmente, secondo il
Ritter, da una glossa. Il Peerlkamp congettura lege senzaalcun fondamento.
Id., V. 34. — Il Mìjller appoggiandosi ad un passo di
Lucrezio (IV, 1026) ove trovasi Puri, secondo lui, in luogodi Pueri contro l'opinione del Lachmann (Vedi Comm. etc,
p. 266) sostituisce /)wro apueris per certe ragioni metricheche cosi dichiara (p. XXV) : « Quippe non minus alienumest ab arte Flacci solvi arsin quam anapaestum vel dacty-lum admitti in metris iambicis vel trochaicis praeter sena-rium iambicum ». Ma ben osserva il Trezza che le ragioni
metriche non valgono contro l'autorità dei codici; tanto più
che i poeti e anche Orazio, benché di rado, sciolgono l'arsi.
Perchè non poteva scioglierla questa volta? perchè obbli-
garlo ad una contrazione arcaica ed inelegante? (p. 68).
LIBRO III.
Ode XII. — Il Ritter seguendo il Bentley diede a
quest'ode la disposizione metrica da me seguita. Mi pare
che la dieresi che si trova costantemente, considerando dieci
piedi ionici per volta, dopo il quarto e l'ottavo, la dimo-
strino ragionevole ad evidenza. In tal guisa il ritmo riesce
men duro, secondo l'espressione del Trezza; essendo al tutto
improbabile che quest'ode da Oitvzio venisse composta in
quattro versi di 10 piedi caduno, secondo lo schema pro-
posto dal MOLLER e da altri. Oltre al Bentley, al Ritter,
al Trezza, seguono pure questo schema il Dillemburger,
lo ScHiJTz, il PiNZGER (op. cit., p. 44) e il Christ (op. cit.,
p. 504). 11 Da:RiNG, il Girdlestone ed altri dividono l'ode
in dieci tetrametri. Il Nauck propone un sistema tetrastico.
EPOD I.
VII, V. 11. — In tutti i codici trovasi umquam e cosi
scrisse il Ritter seguito dal Dillemburger, dal Girdle-
stone, dal Keller e dal Nauck. Ma a ragione il Bentley,
il D(ERiNG, il Meineke, I'Haupt, il Lehrs, il Mìjller, lo
ScHiJTZ ed altri, seguendo un'antica edizione, leggono nurn-
quam. Col « numquam nisi in dispar feris », osserva il
Trezza, la struttura è facile e piana, il senso preciso;
mentre coll'altra lezione bisogna contorcere l'uno e l'altro,
come fa il Ritter.
XI, V. 11, 12. — Centrane lucram nil valere candidum
Pauperis ingenium? Il Mìjller col Bentley, col Meineke
e col Ritter crede non doversi porre l'interrogazione dopo
ingenium. Leggasi l'ode e vedasi se non è più efficace l'è-
7 =
spressione interrogativa, che io adotto seguendo il Dillem-
BURGER, il Trezza, lo SchOtz, il Nauck ed il Dcering. Il
GiRDLESTONE non fa uso dell'interrogazione.
Id.^ V. 24. — La maggior parte dei codici ha mollitia (o
mollicia) amor. Il Bentley per evitare, come s' esprime,
quel vasto ed incondito suono A A, ha adottato la lezione
mollitie quale trovasi nei codici Zulicheraiano e Greviano.
Lo seguirono il Dillemburger e lo Schììtz. Ma a ragione il
MiJLLER, il Nauck ed il Trezza scrivono mollitìay poiché,
come osserva il primo, non c'è ragione di evitare tale iato
in un verso asinarteto, tanto più che lo si trova anche al-
trove in <( ossibus et capiti inhumato », tetrametro datti-
lico catalettico in disyllabum, e perciò non asinarteto.
XIII, V. 3. — In tutti i codici leggesi amici. Il Bentley
sostituì amice, ma contro ogni probabilità, che prima Orazio
parla ai commilitoni e poi (v. 6 e seg.) al simposiarco, forse
Pompeo, come congettura il Ritter.
Id., V. 13, 14.— « tellus quam frigida joari?^ Findunt Sca-
mandri flumina ». I codici hanno /jarcf e non tardiy come con-
getturò il Meineke seguito dall'HAUPT, dal Lehrsc dal Mì)ller,
contro ogni codice. E ben nota il Ritter che Oilvzio « par-
vum vocat fluvium, ut contrarium inferatur post proximum
grandi alumno », Or.\zio passando dall'Asia in Tracia col-
l'esercito di Bruto vide certamente lo Scamandro e potè
quindi notare l'esagerazione omerica dell'
'Htpmaxoio m^yck; TroTa^ò^ Pa9u6ivr)<;,
6v EdvGov KaXéouai Geoi, dvbpe^ bè iKdiaavbpov.
{Il XX, 73, 74).
Contro la lezione tardi sta poi anche il fatto attestato
al Ritter dal Welcker, che cioè lo Scamandro sia invece
di celere corso. Pertanto col Bentley, col Ritter, col
Dillemburger, col Keller, col Trezza, collo SchOtz, col
Nauck e col Girdlestone leggo parvi.
XVII, V. 5. — Leggo rejixa con molti codici e col Ritter
il quale avverte che tale struttura è proleptica, « nam de-
vocando refiguntur sidera».
Id., V. 22. — I codici danno reliquit ed ossa. Non trovo
la ragione di sostituire relinquit, trattandosi che Orazio
vuole accennare ad un effetto compiuto anziché compientesi.
I versi che vengono dopo confermano, mi pare, questa
mia opinione. Quanto ad ossa, lezione data dai codici,
non c'è del pari ragione di sostituirvi ora col Bentley, col-
I'Haupt, col MiiLLER e con altri. La lezione ossa ha molto
maggiore efficacia e significazione e va intesa nel senso di
corpo soverchiamente dimagrato. Del resto troviamo in
Plauto : < Ossa atque pellis totus est » (Aulul. Ili, 6, 28),
« ego ossa atque pellis sum » (Capi. I, 2, 30).
Id., V. 50. — Tuusque venter Pactumeius, Cosi i mi-
gliori codici seguiti dal Bentley. Il Ritter attenendosi ad
altri manoscritti scrive partumeius; ma, secondo me, non
riesce a dare una probabile spiegazione di tale vocabolo.
E ben nota il Trezza che l'ironia cominciata nei versi an-
tecedenti vi si continua e non può riferirsi che ad un parto
simulato di Canidia. Il Pactumeius sarebbe appunto il figlio
supposto. Cfr. la parlata a Canidia (Epod. V, 5 e seg.) :
« Per liberos te, si vocata partubus Lucina veris adfuit » etc.
Carm, seCy v. 65. — Alcuni codici invece di arces danno
aras. Questa lezione non è improbabile, poiché Orazio al-
lude contemporaneamente alla casa di Augusto ed al tempio
palatino di Apollo. Cosi scrissero il Keller ed il Lehrs se-
guiti da altri come lo Schììtz ; ma i più, come il Dcering, il
Bentley, il Ritter, il Dillemburger, il Mììller, il Trezza,
il Nauck ed il Girdlestone mantengono la lezione arces. 11
Dillemburger spiega che « arces sunt colles » citando due
passi, di Virgilio [Georg, II, 535) e di Ovidio {Met. XIII,
196); e nota che dall'ignoranza di tale significazione si può
ripetere la scrittura aras.
- o -
I
PRINCIPALI NOZIONI DI METRICA
A DICHIARAZIONE DEI TERMINI ADOPERATI NEL COMMENTO
Dicesi Metrica « la scienza che studia le diverse specie di
versi, il modo onde si formano, i caratteri che li distin-
guono, non che le diflferenti combinazioni che se ne pos-
sono fare ». Si può anche definire « la scienza dei metri »,
intendendo per metro (luéipov, metrum) « una successione
di sillabe lunghe e brevi riunite in versi, sistemi e strofe >.
Vedremo più sotto che si dà il nome di metro anche a
parti speciali di verso : onde, in genere, si può dire che sia
« una successione di sillabe avente un determinato ritmo ».
Ritmo (puOiuó?, numerus) dicesi « un'ordinata continuità
di tempi », ossia consiste nella « successione e nel ritorno
delle diverse durate del suono ».
Non si confonda il metro col ritmo. Quello ha bisogno
(li sillabe lunghe e brevi che ordinatamente si succedano,
e senza di esse non esiste ; mentre il ritmo può anche sus-
sistere senza sillabo lunghe e brevi, mutando non di rado
i tempi, rendendo cioè lungo ciò che è breve e per con-
verso (1). Il metro è qualche cosa di corporeo, il ritmo ha
carattere spirituale : quello consiste nella serie ordinata delle
lunghe e delle brevi;questo nell'ordine dei tempi fra loro,
nel movimento, nella modulazione della serie metrica ; il
,
(1) L'allungamento di una sillaba breve dicesi diastole (biaaxoXi^), Pab-
breviamento di una sillaba lunga sistole (auoxoXn).
= 9 =
metro è sempre limitato da un numero stabilito di sillabe
o di piedi, il ritmo non è circoscritto da numero.
Ogni sillaba nella lingua latina e greca ha una quantità
ossia una certa durata o misura (xpóvo^ o crrmeiov, tempus
o mora). Prendesi per unità di misura « il minimo tempo
necessario per pronunziare una sillaba ». In questo caso la
sillaba è detta breve: se, per pronunziarla, è d'uopo un
tempo doppio, dicesi lunga. Vi è poi un certo numero di
sillabe comuni o ancipiti (Koivaì auXXapai, syllabae com-
munes o ancipites) che possono diventare lunghe o brevi
secondo i casi. Il segno della breve è -, quello della lunga -.
Le ancipiti si segnano ^ o :.
La successione delle brevi e delle lunghe in una mede-
sima parola o nelle parole che si seguono, forma i diversi
piedi: la regolare successione di un certo numero di piedi
di specie determinata forma i differenti versi.
Il piede più breve è di due tempi (bixpovo<;), il più lungo
di otto (ÒKTÓxpovoq).
Si hanno piedi di due, di tre e di quattro sillabe. Ecco
la tabella dei principali :
Disillabi.
'^ - Pirrichio (di due tempi, bixpovoc;).
_ - Trocheo o Coreo (di tre tempi, Tpixpovo^).
- . Giambo (id.).
. _ Spondeo (di quattro tempi, Texpdxpovoc;).
Trisillabi.
w - - Tribraco (di tre tempi, Tpixpovo<;).
- - - Dattilo (di quattro tempi, Terpdxpovoq).
« « - Anapesto (id.).
^ - ^ Anfibraco (id.).
- - - Bacchio (di cinque tempi, TrevTdxpovoO-
- - - Palimbacchio (id.).
= 10 =
_ w _ Anfimacro o Cretico (id.).
Molosso (di sei tempi, éEdxpovo<;).
Tetrasillabi.
W ^ ^^ v^
\^ \^ -^
^/ __ _ w
— — ^ —
Proceleusmatico (di quattro tempi, Tcxpdxpovoq).
Peone primo (di cinque tempi, Trcvxdxpovoc;).
Peone secondo (id.).
Peone terzo (id.).
Peone quarto (id.).
Ionico a minori (di sei tempi, éHdxpovoO-
Ionico a mniori (id.).
Antispasto (id.).
Coriambo (id.).
Diiambo (id.).
Ditrocheo o Dicoreo (id.).
Epitrito primo (di sette tempi, énTdxpovo;).
Epitrito secondo (id.).
Epitrito terzo (id.).
- - - - Epitrito quarto (id.).
_ _ _ _ Dispondeo (di otto tempi, ÒKrdxpovo^).
Si vede da questa tabella come la maggior parte dei
piedi di quattro sillabe non risulta da altro che da doppi
piedi bisillabi.
Ogni piede ha per lo meno mvì elevazione (àpcJK;, arsis)
ed un abbassamento (Gécn?, thesis) del tono, secondo che
è proferito con una maggiore o minore tensione della voce.
L'arsi è sempre lunga, o per lo meno rende lunga la
sillaba in cui si trova, sempre quando non sia sciolta in
due brevi. La tesi è ora breve, ora lunga. Si indica Tarsi
col segno '.
Leggere un verso secondo le arsi e le tesi si dice scandere.
Dicesi ritmo ascendente < quello che procede dalla tesi
airarsi », come avviene nei metri giambici (^ ^ - ^ ecc.);
ritmo discendente « quello che procede dall'arsi alla tesi »,
come nei metri trocaici (- « - w ecc.).
Talvolta una sillaba lunga sostituisce in un piede una
«:1I =
breve, o viceversa: quindi, per es., il giambo - -, ed il
trocheo - - possono diventare spondei - -. Spesso a due
brevi si sostituisce una lunga; perciò, p. e., il dattilo - - -
e l'anapesto -- - possono divenire spondei - -. Cosi pure
una lunga non di rado si risolve in due brevi; e però il
giambo - -, p. e., può cangiarsi in un tribraco ---.
Le sillabe brevi che possono essere sostituite da lunghe
si segnano : ; le lunghe, che si possono sciogliere in due
brevi "_"; due brevi che possono essere sostituite da una
lunga, JZ,
In tutti questi casi il piede che nel verso si pone in
luogo del piede ordinario, prende il ritmo del piede che
sostituisce.
E però da ^ . si ha ^ -, mentre da .. ^ si ha - ^ . Pa-
rimente da ^ >. w risulta ^ -; ma da v. . ^ abbiamo - ^
.
Quando poi due brevi stanno per una lunga, l'arsi si trova
sulla prima breve. Quindi abbiamo : .. >: - da w ^ , ma ^ . .
da - >..
Si noti che in generale i piedi equivalenti, cioè aventi
un maggior numero di tempi, si sostituiscono piuttosto fra
di loro, che non con piedi non equivalenti.
Certi piedi, come il dattilo, il coriambo, il ionico ecc.,
formano da sé un metro. Possiamo pertanto trovare il
ritmo in un solo piede; ma sovente, per certi piedi, non
si riscontra il ritmo che in due di essi uniti insieme. € La
riunione di due piedi dicesi dipodia (òiiTOÒia o a\}lvf\a) e
può chiamarsi anche metro »
.
I versi giambici, trocaici, anapestici si scandono per di-
podie: ecco la ragione per cui, mentre chiamiamo esametro
un verso composto di sei dattili, diciamo trimetro un verso
risultante da sei giambi o trochei, ecc.
Molti versi prendono appunto il nome dal numero dei
metri (piedi o dipodie) che contengono.
Ogni metro o verso dicesi acataletto (àKaraXriKTOV jaérpov)
12 =
«quando abbia l'ultimo piede compiuto >. Tale sarebbe il
seguente dimetro giambico:
erseCatalettico (KaiaXnKTiKÒv lueipov) è « quel metro o v..._
che non ha l'ultimo piede compiuto ». Tale è il seguentetrimetro giambico:
r f / — /
Il metro poi può essere catalettico in sijllabam, « quandodell'ultimo piede avanza una sillaba », come nell' esempiorecato; ovvero catalettico in disyllabuni, < quando nerestan due», come nel tetrametro dattilico:
Dicesi òrachicatalettico, « allorché alla dipodia finalemanca un intiero piede ». Tale è il seguente dimetro trocaico :
Dicesi finalmente ipercatalettico, se alla intiera dipodiafinale tien dietro ancora un mezzo piede, generalmente unasillaba; ma nei versi anapestici, in cui ciascun piede è tri-
sillabo, possono trovarsi anche due sillabe. Ipercatalettico
è quindi il seguente dimetro giambico:
Non si confonda l'appellativo ipercatalettico con iper-
metro. Si chiamano cosi quei metri o versi che lianno unasillaba di piii di quello che debbano avere secondo la loro
natura, sieno catalettici, acatalettici, ipercatalettici ecc. Èun difetto che si schiva facendo terminare quella sillaba in
vocale perchè si elida colla iniziale del verso seguente.
= 13 =
In ogni metro la sillaba finale è indifi*erente o ancipite.
Si indica perciò sempre col segno w o ^.
Chiamasi colon (kiLXov) « quella parte di verso che è
formata di piedi tutti intieri ». Es.: « obiicitur magis »
(' . ^, ^ ^ w) si può dire un colon d'un esametro dattilico.
Chiamasi invece comma (KÓjujua) « una parte di un verso
non avente intiero l'ultimo piede». Es.: «arma virumquecano » (' - w, ' ^ ^, ^) è un comma d'un esametro dat-
tilico.
Usasi però talvolta il vocabolo colon per significare uncomnìa.
Nei versi composti chiamiamo colon o ordine « ciascuna
parte componente diversa». Cosi diciamo che il seguente
metro
>rf>/i ~w\/» —
consta di due ordini o coli, di cui il primo ha natura giam-bica ed il secondo dattilica.
Non è mai permesso lo iato tra la vocale finale di unaparte componente diversa e l'iniziale dell'ordine seguente,
tranne nei versi asinarteti (dauvapiriTa fiéipa), che sono
« quelli in cui l'ultima sillaba del primo colon è ancipite e
non può elidersi dinanzi alla vocale iniziale del secondo colon,
e quindi le due parti non possono congiungersi (o"uvapTàiu)».
Lo schema testé arrecato è appunto di un verso asinarteto.
Quando una parola termina per vocale ed è seguita daun'altra che ha per iniziale pure una vocale, allora le duevocali si pronunziano come se fossero una sola, o la primanon esistesse. Ciò si dice sinalefe (cruvaXoicpri) o elisione.
Si chiama anche sinalefe per apostrophum, per distinguerla
dalla sinalefe per eK0Xiipiv, la quale ha luogo quando, ter-
minando una parola in m preceduta da vocale e venendoleappresso una parola cominciante da vocale, anche se preceduta
-14-
da A, nella pronunzia scompare Vm colla vocale che la pre-
cede.
Esempio di sìnsle^eper apostrophum : « Troiano a Chaone
dixit», che leggesi : « Troian* a Chaone dixit >.
Esempio di sinalefe per eKGXivpiv : « Ast illum ereptae
magno inflammatus amore > che si legge : « Ast ill'ereptae
magno, etc. ».
Nel pronunziare un verso, specialmente se lungo, la voce
ha bisogno di certe pause o riposi. A tale scopo i versi di
più di dieci sillabe hanno in generale una o due cesure
{caesara, io\xx\).
Si chiama cesura < quel taglio che avviene in un piede del
verso, quando con una parte di esso termina una parola e
quindi si fa pausa ». Es.: Il verso
« Arma virumque cano, Trojae qui primus ab oris »
,
indicando con |le cesure, ci mostra il seguente schema:
dove troviamo cinque cesure :
I segni 11 indicano la dieresi (biaipeai^), che ha luogo
allorché la parola finisce col piede.
Distinguiamo anzitutto due specie di cesure : la maschile
e la femminile. Dicesi maschile « quella che si trova dopo
una sillaba in arsi», come la cesura dopo cànò nel verso
su riferito : è femminile invece « quella che sta dopo una sil-
laba in tesi », come dopo virfimqué*
Notiamo poi nei versi la cesura principale e le secon-
darie accessorie. Quella serve ad un riposo maggiore e
deve sempre trovarsi nei versi lunghi ;queste possono anche
non esserci, senza che ne scapiti il ritmo del verso. Nel-
Tesametro dattilico la cesura prende anche nomi speciali
secondo la sua posizione. Abbiamo cioè: 1^ la semiquinaria
= 15 =
pentemimera (TT€v0r||LU|ii€pr|(;), che è la più frequente e sta
dopo Tarsi del terzo piede; 2° Veftemimera o semisette-
naria (é(p0rmiMepr|^) che è anche usata spesso e risiede dopo
l'arsi del quarto piede ed ha per lo più come ausiliaria
un'altra detta semiternaria o tritemimera (Tpiermi)u€pr|(;),
posta dopo la seconda arsi e che non può mai stare da
sola; 3° la tersa trocaica {^o\xx\ Kaià ipirov TpoxaTov) dopo
la prima breve del terzo piede, che fu poco adoperata dai
Romani ; talché dell'esametro si possono tracciare gli schemi
seguenti :
secondo i quali sono rispettivamente composti i versi se-
guenti :
« Pars stupet innuptae|donum exitiale Minervae ^,
« Fando aliquod|si forte tuas
|
pervenit ad aures i»,
€ Praecipitat, suadentque |cadentia sidera somnos *.
Si noti che pentemimeri, tritemimeri, eftemimeri di-
consi anche quelle parti di verso qualsiasi che sieno rispet-
tivamente di cinque, tre, sette mezzi piedi o sillabe.
Nei versi dattilici le due brevi valgono, com'è naturale,
per mezzo piede.
I metri oraziani si possono dividere in due classi princi-
pali : semplici e composti. Sono semplici « quelli che ri-
sultano da una sola specie di piedi ». Tali sono
1° i giambici (ìa^PlKà).
2** i trocaici (TpoxaiKa).
3* i dattilici (òaKTuXiKd).
= 16-
4° i ionici a minori (iiuviKà àirò éXaaaovo^).
Diconsi composti « quelli che constano di diverse specie
di piedi ».
Io li divido in due classi, che comprendono:
1° gli asinarteti {àaxìvà^T^ia), i cui due ordini, siccome
s*è veduto, procedono come due versi distinti.
2° i logaedici (XoTaoiòiKa), e sono quelli che si compon-
gono di un ordine di dattili e di trochei, in modo che alla
serie dattilica tenga dietro la trocaica. Vengono cosi chia-
mati perchè tengono il mezzo tra la parola ordinaria (XÓToq)
ed il canto (àoiòn).
I metri logaedici poi sono puri o misti. Li chiamo puri
se il loro ritmo non è preceduto da altro di genere diverso;
misti nel caso contrario. Le varie specie saranno indicate
nel commento. Qui però fa mestieri notare che in principio
di un ritmo discendente, come, per es., innanzi al dattilico
od al logaedico, si trova talora un altro ritmo risultante da
una due arsi. Questo ritmo si chiama base (Pa(Ti<;) ed ha
natura trocaica. Qualche volta invece di più sillabe se ne
trova una sola, ed allora questo cominciamento del metro
prende più specialmente il nome di anacrusi (àvaKpoucTK;).
Alcuni trattatisti distinguono, nel combinarsi dei versi
fra loro in certi gruppi, il sistema dalla strofe.
Chiamano sistema « l'unione di due o più versi in un'arti-
ficiosa unità di ritmo ». Strofe invece sarebbe € un sistema di
versi ripetuto una o più volte ». Cosi intendendo la cosa, in
Orazio di sistemi avremmo le sole composizioni monostiche
(jLiovócTiixa), quelle cioè che risultano da una serie di versi
sempre uguali. Dove invece si combinano versi di specie dif-
ferente e tale combinazione si ripete più volte, avremmo al-
trettante strofe.
Ma, considerando che le composizioni monostiche non pos-
*»
1
J
i
(
\
t
1
1
1
\
t
i
\
1
»' 1
l
= 17 =
sono per veruna guisa formare un sistema, perchè il sistema
dà Tidea d'un composto risultante da metri diversi acconcia-
mente collegati ; e che le strofe non sono altro che la ripeti-
zione di certi sistemi ; noi adotteremo la seguente divisione
metrica delle Odi di Orazio:
1° Composizioni monostiche,
2° Sistemi (1) distici, tristici, tetrastici (2).
Le composizioni monostiche diconsi anche monocole
(jLiovÓKUjXa luovócTTixa) avendo sempre versi di ugual specie.
I sistemi distici sono tutti dicoli (biKuuXa òicriixa)-
Di sistemi tristici in Orazio non v'ha che il ionico a mi-
nori, che sarebbe dicolo (òikujXov Tpiaiixov).
I sistemi tetrastici sono o dicoli (òiKUiXa Teipóaiixa) o
tricoli (ipiKUjXa Teipacriixa).
È un errore di parecchi critici ammettere sistemi tetror
itici monocoli, che sono evidentemente composizioni mo-
nostiche. Anzi è d'uopo notare che per servire a questa
loro metrica preconcetta il Lachmann, il Meineke, I'Haupt,
il MiJLLER dovettero cancellare chi in una maniera chi
in un'altra come spurii alcuni versi dell'Ode 8^ del Libro IV,
perchè questa non si prestava alla loro ipotesi. Io man-
tengo, dice il Trezza (p. 78), i versi come ce li danno i co-
dici, e lascio stare una dottrina metrica che, per sostenersi,
ha bisogno di cacciare così ruvidamente le mani in Orazio.
(1) Bisogna ricordare che talora in luogo di sistema si usa anche metro.
(2) Si noti che secondo il numero dei versi, di cui si compone un metro
sistema, chiamasi inovóaTixov, biarixov, TpiaTixov, TCTpàffxixov, ecc.,
e secondo il numero dei versi differenti si chiama iliovókudXov, òIkwXov,
TpiKWXoV, T€TpdKUjX0V.
Stampini, Commento metrico.
V
= 18 =
COMPOSIZIONI MONOSTICHE.
(jLiéipa jLiovÓKUjXa jnovócTTixa)
METRO ASCLEPIADEO MINORE
{Lib. m, 30)
L'Ode è composta di versi asclepiadei (»), detti anche asclepiadei mi"
novi. Il loro schema è il seguente:
!
= 19 =
Annorùm seriés et fuga témporùm.
Non omnis moriàr mùltaque pars mei
Vitabit Libitinam: ùsque ego posterà
Cròscam laude recéns, dum Capitòliùm
Scàndet cùm tacita virgine póntiféx.
Dicar, qua violéns òbstrepit Aùfidùs
Et qua paùper aquaé Daùnus agréstiùm
Règnavit populórum, ex humili poténs
Princeps Aéoliùm càrmen ad Italós
Déduxisse modós. Suine supérbiàm
Quaèsitàm meritis et mihi Délphicà
Lauro cinge voléns, Melpomene, comàm.
10
15
~ s.» w 9
risultano cioè da una base, da un coriambo, da un dattilo e da una di-
podia trocaica catalettica. Una dieresi si trova dopo la seconda arsi del co-
riambo, separando così il ritmo coriambico del primo colon dal ritmo lo-
gaedico del secondo, laddove in Alceo è talora trascurata. La base è sempre
spondaica.
^^e^\ monumòntum aere perénniùs
Régalique sitù pyramidum àltiùs,
Quód non imber edàx, non Aquile impoténs
Póssit diruere aùt innumeràbilis
V. 1. — La cesura taglia il vocabolo monumentiim dopo la sillaba men,
contro Fuso più frequente, pel quale la cesura di questo verso deve
ad un tempo essere dieresi. Se non che la sinalefe per IkOXiii/iv della
finale tum con ae di aere corregge il difetto. Al verso 7 (in Libi-
tiIìuim' icsque), e al 12 in {populo
\rum ex) abbiamo due altri
casi simili.
V. 24. — Nota la sinalefe in pyramidum aìtius, Aquila impoténs, diruere
aut Nel verso 4 la cesura o dieresi tien dietro alla congiunzione
aut. Va però osservato che raramente Orazio fa cadere la cesura
in preposizione o congiunzione monosillaba.
METRO ASCLEPIADEO MAGGIORE
(Lib. I, 11)
I versi di cui si compone quest'Ode sono asclepiadei (^ o, come altri
li chiama, asclepiadei maggiori. Differiscono dagli asclepiadei (*) o minori
solo in quanto hanno un coriambo di più. Lo schema è il seguente:
1 ;, :^ _ ^ lU .. ^ lU ^- — '^•
Si scorge pertanto che la cesura cade dopo la sesta e la decima sillaba,
cioè tra i due coriambi e tra il secondo coriambo ed il colon logaedico. In
entrambi i luoghi la cesura è contemporaneamente dieresi. Come nell'ascle-
piadeo C) anche nel (M la cesura non è mai trascurata, siccome avviene
alcuna volta in Alceo, Saffo e Catullo. La base è sempre spondaica.
V. 7.
-
V. 11.
V. 12.
V. 13.
V. 15.
_ Vedi la nota al verso 1. Quanto ad ego ha qui Vo finale breve.
— La sillaba iniziale di agrestium qui è breve.
— Quanto alla cesura ed alla sinalefe vedi la nota al verso 1.
— Italus allunga qui VI iniziale.
— L'i finale di mihi che è ancipite qui si fa breve.
I-i
= 20 =
TU ne quaésieris, scire nefàs, quém mihi, quém tibi
Finem di dederint, Leùconoé, néc Babylóniós
Téntaris numerós. Ut meliùs, quidquid erit, pati !
Seù plurés hieinés seù tribuit lùppiter ùltimàm,
Quaé nunc óppositis débilitàt pùmicibùs mare
TyiThenùm, sapiàs, vina liqiiés et spatió brevi
Spém longàm resecés. Dùm loquimùr, fùgerit invida
Aétas : carpe diém quàm minimum crèdula pòstero.
TRIMETRO GIAMBICO
(Epod XVII)
Il verso è il trimetro giambico acataìetto impuro. Il suo schema è il
seguente :
Vediamo quindi che questo verso consta di tre dipodic giambiche, cia-
scuna delle quali può nel primo piede sostituire una lunga ad una breve;
inoltre, tranne nell'ultima dipodia, ad ogni lunga possonsi sostituire due
brevi. La cesura ordinariamente è posta dopo la terza tesi (to|lai^ irever)-
|ui)Li€pn<;). Ma talvolta la prima sillaba della prima dipodia, che Orazio
adopera spesso lunga, si scioglie in due brevi e colla lunga seguente (che
allora deve conservarsi tale) forma un anapesto, ciò che avviene anche nel
penultimo piede, cosicché lo schema può prendere questa forma:
Talvolta la cesura si trova dopo la quarta tesi (to)liì*) éqperimiucpn^), main questo caso bisogna che si faccia altresì dopo la terza tesi o che vi sia
una dieresi dopo la seconda arsi, secondo lo schema seguente:
,11:
y. 1. — Qui mihi ò pirrichio.
= 21 =
lam iam efficaci dò manùs sciéntiaé,
Suppléx et òro regna per Prosérpinaé,
Per et Diànae non movénda nùminà,
Per àtque libros càrminùm valéntiùm
Refixa caélo dévocàre siderà,
Canidia, pàrce vócibùs tandem sacris,
Citùmque rétro solve, solve tùrbiném.
Movit nepótem Télephùs Neréiùm,
In quém supérbus órdinàrat àgminà
Mysórum et in quem téla acuta tórseràt.
Unxére màtres Iliae àddictùm feris
Alitibus àtque cànibus hómicidam Héctorém,
Postquàm relictis moénibùs rex pròcidit
Heu pérvicàcis ad pedés Achillei.
10
V. 1. — Nota la sinalefe per ^KGXiipiv in iam efficaci. Do è lungo.
V. 6. — La prima arsi ò sciolta nelle due brevi idi di Canidia. La prima
sillaba in sacris ò breve.
V. 7. — La prima sillaba di retro è lunga, la seconda può qui essere tanto
breve quanto lunga, cominciando con essa una dipodia.
V. 10. — Due sorta di sinalefe in questo verso, una 'per ^k6\u|;iv in My-sórum et, un'altra per apostroplium in tela acuta.
V. 11. — Ha luogo la sinalefe tra Iliae e addictum, sebbene la prima pa-
rola termini in dittongo, ciò che fa spesso comportare lo iato. MaOrazio ha n.?i suoi carmi lirici posto ogni studio per ischivarlo, così
che, all'infuori dei metri dattilici, lo [si trova una volta sola nei
giambici [ep. V, 100].
V. 12. — In questo verso Orazio in luogo di un giambo nella terza e
quarta sede ha posto un tribraco, sciogliendo l'arsi in due brevi
(atIque cani
\bus homi
|cidam). Nel primo piede si è del pari
sciolta l'arsi, di modo che invece di uno spondeo sostituito al giambo
abbiamo un dattilo {alitihns, che però non ha il vero ritmo del dat-
tilo L ^ ^ , ma bensì _ ^ ^ ; il che sempre accade nei metri giam-
bici quando si sciolga V arsi dello spondeo _ i. sostituito al
giambo ^ i. Notiamo finalmente la sinalefe per ^KOXivpiv in Jw-
micidam Hectorem.
V. 14. — Achillei è tetrasillabo, come, al v. 16, Ulixei.
22 =
15
20
25
30
Setósa dùris èxuère péllibùs
Laboriósi réraigés Ul ixei
Volènte Circa mèmbra, tùnc mens et sonùs
Relàpsus àtque nótus in vultùs honór.
Dedi satis supérque poénarùm tibi,
Amcàta naùtis mùltum et institóribùs.
Fiigit iuvéntas et verécundùs color
Relìquit ossa pèlle amicta lùrida;
Tuis capillus àlbus èst odóribùs,
NiiUum à labóre me reclinat ótiùm ;
Urgèt dièm nox et diès noctém, neque èst
Levare tenta spiritù praecórdià.
Ergo negcàtum vincor ut credàm misèr,
Sabélla péctiis increpàre carmina
Capùtque Màrsa dissilire nènia.
Quid àmpliùs vis? mare et terra, àrdeó
Quantum neque atro délibùtus Hèrculès
Nessi cruóre, néc Sicàna fèrvida
Viréns in Aètna fiamma: tu, donéc cinis
Iniùriósis àridùs ventis feràr,
V. 19. _ In questo verso la cesura è dopo la quarta tesi, que di supérque,
e perciò dopo il secondo piede satis ha luogo la dieresi, non essen-
doci altra cesura dopo la terza tesi.
V. 20. — Sinalefe per ^KeXiiviv in midtum et.— Lo stesso abbiamo in nuUwn
a al V. 24.
V. 22. — Sinalefe per apostrapJium in pelle amìcta.
Y, 25. — La cesura deve porsi regolarmente dopo nox. Sinalefe per apostro-
plium in neque est.
Y, 27. — Trovasi la cesura dopo vincor, ossia dopo la quarta tesi, ma si
ha contemporaneamente la cesura sussidiaria dopo la terza t^si, ossia
dopo negatum.
V. 30. — Due sinalefe in mare et, e terra ardeo.
V. 33. — Il senso portando la cesura dopo fiamma, ha luogo (ciò che si è
anche notato al v. 27) la cesura pure dopo la terza tesi.
= 23 =
Calés venénis officina Cólchicis.
Quae finis aùt quod me manét stipéndiùm?
Effàre: iùssas cùm fide poenàs luàm,
Paràtus éxpiàre, seù popósceris
Centùm iuvéncos, sive mendaci lyrà
Volès sonàri: tu pudica, tu proba,
Peràmbulàbis astra sidus aùreùm.
Infàmis Hélenae Càstor óffensùs vice
Fratérque magni Càstoris, vieti prece,
Adémpta vati réddidére lumina:
Et tu— potès nam — solve me demèntià,
nèc patèrnis obsolèta sórdibùs,
Nec in sepùlcris paùperùm prudéns anùs
Novéndiàles dissipare pùlverés.
Tibi hóspitàle pèctus et puraè manùs,
Tuùsque vénter Pàctumèius, et tuo
Cruóre rùbros óbstetrix pannós lavit,
Utcùmque fórtis èxsilis puèrpera.
< Quid óbseràtis aùribùs fundis precès?
Non sàxa nùdis sùrdióra nàvitis
Neptùnus alto tùndit hibernùs salò.
Inùltus ut tu riseris Cotyttià
Vulgata, sàcrum liberi Cupidinis,
Et Ésquilini póntiféx venèfici
35
40
45
50
55
V. 36. — Poni la cesura dopo il qiiod.
V. 38. — Essendosi posta la cesura dopo expiare, ossia dopo la quarta
tesi, perchè si verifichi ciò che è prescritto pei trimetri giambici
con simile cesura, bisogna fare una tmesi in expiare e leggere:
paratus ex\\piare,
\seu popósceris.
- Il secondo giambo si è sciolto in un tribraco (Infawus He?enae).
Sinalefe per apostrophum in Tihi hospitaìe.
V. 57. — La prima sillaba di sacrum ò lunga.
V. 42.
V. 49.
I
60
65
70
75
= 24 =
Impune ut Urbem nòmine impleris meo?
Quid próderàt ditàsse Péiignàs anùs,
Velóciùsve miscuisse tóxicùm?
Sed tàrdióra fata té votis manént ;
Ingrata misero vita dùcenda est in hòc,
Novis ut ùsque sùppetàs labóribùs.
Optàt quiétem Péiopis infidi pater,
Egéns benignae Tàntalùs sempér dapis,
Optàt Promètheus óbligàtus àliti,
Optàt supremo collocare Sisyphùs
In mónte sàxum; séd vetànt legés lovis.
Volés modo àltis désilire tùrribùs^
Modo énse pèctus Nóricó reclùderé,
Frustàque vincla gùtturi nectés tuo,
Fastidiósa tristis aégrimónià.
Vectàbor hùmeris tùnc ego inimicis equés,
Meaéque tèrra cédet insoléntiaé.
An quaé movere céreàs imàginés,
Ut ipse nósti cùriósus, et polo
Deripere lùnam vócibùs possim meis.
V. 59. — Sinalefe per apostrophum in Imjyuìie ut ed in nomine impìeris.
V. 60 e 62. — La cesura è, al v. 60, dopo la quarta tesi ; trovi quindi la
dieresi come al verso 19. Al verso 62 il senso richiede la cesura
principale dopo fata e però hai la sussidiaria come al v. 27.
V. 63. — Il secondo giambo s'è sciolto in tribraco (Ingra|ia mise
jro).
Nota anche la sinalefe per apostrophum in ducenda est.
V. 65. — Il terzo giambo, cangiato in spondeo, perchè in principio di di-
podia, ha sciolto la seconda lunga in due brevi ed ha formato un
dattilo (quie\tem Pelo
\pis).
V. 67. — La finale eus di Promètheus forma una sola sillaba come in greco.
V. 70, 71. — Sinalefe per apostrophum in modo aìtis, Modo ense.
V. 74. — Il secondo e quarto giambo sono anche qui sostituiti da un tri-
braco (Vectaòor humerìs ; ego immìci^). Nota anche la sinalefe per
apostrophum tra ego e la parola seguente.
V. 78. — Il primo giambo s'è mutato in dattilo come al v. 65 (Deripe\re).
l25 =
Possim cremàtos óxcitàre mórtuós
Desiderique temperare póculà,
Plorem àrtis in te nil agéntis éxitùm? »
80
SISTEMI DISTICI.
(iLieipa biKUjXa òiaiixcx)
SISTEMA GIAMBICO
{Epod. VII).
La composizione di quest'epodo è la seguente: il primo verso è un tri-
metro ed il secondo un dimetro giambico. Lo schema è il seguente:
Troviamo adunque di nuovo che, nel trimetro giambico, in tutti i piedi,
tranne neirultima dipodia, ad ogni lunga si possono sostituire due brevi;
perciò esso prende il nome di trimetro giambico impuro, come si è già ve-
duto a p. 20. Tuttavia nell'epodo che rechiamo ad esempio ha luogo una sol
volta tale sostituzione. La prima breve di ogni dipodia è qui pure general-
mente fatta lunga. La cesura, come già si sa, ordinariamente si trova dopo la
t/Pt*7i. tesi
Il diraètro giambico poi è sempre puro, cioè non sopporta la sostitu-
zione delle due brevi alla lunga, ed allunga anch'esso di regola la prima
breve di ogni dipodia.
V. 81. — Sinalefe per ènOXiii/iv in Plorem artis.
26-
10
Quo, quo scelésti rùitis ? aùt cur déxteris
Aptàntur énses conditi?
Parùrane càmpis àtque Néptunò super
Fusum est Latini sànguinis?
Non ut supérbas invidaé Kartliàginis
Romànus àrces ùrerét,
Intàctus aùt Britànnus ut descénderét
Sacra caténatùs via,
Sed ut secùndum vota Pàrthorùm sua
Urbs haéc periret déxterà.
Neque hic lupis mos nòe fuit leònibiis
Nurnquàm nisi in dispàr feris.
Furòrne caécus àn rapit vis àcriór
An culpa? Résponsùm date.
V. 1. In luogo di un giambo al principio della seconda dipodia abbiamo un
dattilo (stirici) intorno al quale vedi la nota al v. 12 àeWEjood.
Xyil (Trimetro (/iambico).ì^(i viene quindi una maggiore rapidità,
convenientissima alla natura concitata del principio dell'epodo.
La cesura cade dopo la lunga del dattilo stesso.
V. 3. — La prima dipodia comincia colla breve pa. Lo stesso ha luogo al
V. 7 nella 2'' in Bri; al v. 9 nella 1" in sed; al v. 11 in neque della
1"^ dipodia e in le della 3"; al v. 13 in Fu della prima e cus della 2*;
al V. 15 nel principio di tutte e tre le dipodie in Ta, ra, bus; al v. 17
nella 2* in ba; al v. 18 in sce della 1»; al v. 19 in Ut della 1"; e nel
V. 20 in entrambe le dipodie, in sa e ti. — Siffatta abbondanza di
brevi t> consentanea appunto al carattere veemente e rapido dell'epodo.
V. 4. — Nota la sinalefe per ^rOXihìiv in fusum est.
V. 7. — La cesura trovasi dopo la 4» tesi. Quanto alla breve della seconda
dipodia vedi la nota al verso 3.
V. 11. — Abbiamo sinalefe per apostropUum in Neque /«e. Riguardo alla
prima breve della prima ed ultima dipodia, consulta la nota al v. 3.
V. 12. — Sinalefe per apostrophum in nisi in.
= 27 =
Tacént, et óra pàllor àlbus infìcit
Mentésque pérculsaé stupént.
Sic est: acèrba fata Rómanòs agùnt
Scelùsque fràternaé necis,
Ut immeréntis flùxit in terràm Remi
Sacèr nepótibùs cruór.
15
20
SISTEMA AKCHILOCHIO («)
(Lib. IV, 7)
L'ode si compone comò segue: il primo verso di ogni distico è un esametro
dattilico catalettico in disyllabum, il secondo è un trimetro dattilico catalet-
tico in sylìabam. Lo schema è questo:
w ^ >
Quindi nei quattro primi piedi dell'esametro si può sempre sostituire
una lunga alle due biftvi. Nel quinto piede dell'esametro e in entrambi i
dattili del trimetro catalettico non può farsi una simile sostituzione. La
cesura nell'esametro (vedi anche pp. 14 e 15) si pone generalmente dopo il
quinto semipiede, ossia dopo la terza arsi (tomi^ TT€vermi^epr)<;); talvolta la
si ha dopo la quarta arsi, ossia dopo il settimo semipiede (tohi^ écpOn^i^e-
p^<;), e in questo caso si pone non di rado una cesura accessoria dopo il terzo
semipiede cioè dopo la seconda arsi (to|ii^ TpiGriMi.ueprìc;); allora lo schema
diviene così:
— w w » I-, ^ ^ >
Più rara è la cesura dopo la prima breve del terzo piede (toMn ^arà
TpiTOv Tpoxatov, ossia cesura trocaica), per cui lo schema sarebbe:
= 28 =
In questo casu e evidente che nella terza sede deve sempre trovarsi un
dattilo. Se il quinta dattilo per eccezione è sostituito da uno spondeo, il
verso dicesi spondaico, ma deve di norma conservar dattilo il quarto piede
e finire con una parola tetrasillaba o, ma raramente, trisillaba.
Questo sistema è da alcuni chiamato archiìochio primo.
Diffugére nivés, redeùnt iam gràmina càmpis
Arboribùsque comaé ;
Mùtat tèrra vicès, et décrescéntia ripas
Flùmina praétereùnt;
5 Gràtia cùin Nymphis geminisque soròribus aùdet
Dùcere nuda chorós.
Immortàlia né sperés, monet ànnus et àlmum
Quaé rapit bòra diém.
Frigora mitescùnt Zephyris; ver próterit aéstas
10 Interitùra, simùl
Pómifer aùtumnùs friigòs effùderit, et moxBruma recùrrit inérs.
Dcàmna tamén celerés reparànt caeléstia lùnae ;
Nós, ubi décidimùs
15 Quo pater Aéneàs, quo dives Tùllus et Ancus,
Pùlvis et ùmbra sumùs.
Quis scit an àdiciànt hodiérnae cràstina sùmmae
Tempora di superi?
V. 7. — Leggendo, come deve esser letto, a senso queatu \ei.^u, si vede che la
cesura deve cadere dopo speres, cioè dopo la quarta arsi.
V. 11. — Raramente è ammessa una chiusa monosillaha, specialmente nel-
l'esametro dattilico. Tale chiusa trovasi pure al v. 23.
V. 14. — Ubi è qui pirrichio.
V. 17. — arliciant per adiiciwìt.
= 29 =
Cùncta manùs avidàs fugiént herédis, amico
Quaé dederis animò. 20
Cùm semel óccideris et de te splèndida Minos
Fécerit àrbitrià,
Non, Torquàte, genùs, non té facùndia, non te
Réstituét pietas :
Internis neque enim tenebris Diana pudicum 25
Liberat Hippolytùm,
Néc Lethaéa valét Theseùs abrùmpere caro
Vincula Pirithoó.
SISTEMA ARCHILOCHIO (»>)
{Epod. XITI)"
L'ode ò composta di esametri dattilici catalettici in syllabam e di giambe-
leghi alternati. Lo schema è quindi :
w w f
Deir esametro dattilico si è già discorso trattando del sistema archi-
ìochio (»). Ci resta dunque a dire del giambelego. Come la stessa parola
lo indica, il giambelego consta di due parti essenzialmente distinte, una
giambica a ritmo ascendente, l'altra dattilica a ritmo discendente. La prima
V. 20. — Dederis è anapesto. Vis finale ò spesso allungata in Orazio. E del
pari allungata in óccideris del verso seguente.
V. 25. — Nota la sinalefe per apostrophum in ncque enim. Inoltre si osservi
che la prima sillaba in Diana è fatta lunga contro la regola e l'uso
più comune.
= 30 =
consta di un dimetro giambico acataletto, la seconda di un trimetro datti-
lico catalettico in syìlabam. Si noti poi che la prima parte si mantiene ri-
spetto alla seconda come un metro a se; perciò la sua ultima sillaba è anci-
pite come in fine di verso, e deve aver sempre luogo lo iato tra essa sillaba e
la prima del trimetro dattilico, come si fa da un verso all'altro. Per questa
ragione il giambelego appartiene ai metri asinarteti (Vedi p. 13). Si osservi
tuttavia che Orazio pone ogni cura perchè non si verifichi lo iato, o termi-
nando in consonante l'ordine giambico, o facendo cominciare da consonante
il dattilico, quando il giambico finisca in vocale; cosicché in quest'ode
non abbiamo esempio di iato. Si vede similmente che tra l'ordine giambico
ed il dattilico deve trovarsi una dieresi. Inoltre il trimetro dattilico non
ammette quasi mai la sostituzione dello spondeo al dattilo.
Hórrida témpestàs caelùm contràxit, et imbres
Nivésque déducùnt lovém; nùnc mare, nùnc silvaé
Thréició Aquilóne soiicànt: rapiàmus, amici,
Occàsiónem de die, dùmqiie virént genuà
5 Et decet, òbductà solvàtur frónte senéctus.
Tu vina Torquato move cónsule prèssa meo;
Cétera mitte loqui: deus liaéc fortàsse benigna
Redùcet in sedém vice. Nùnc et Achaémenió
10
Pérfundi nardo iuvat et fide Cylleneà
Levare diris péctorà sóUicitùdinibùs,
V. 2. — Il secondo dattilo è sostituito da uno spondeo, quindi lo schema:
w w ,
V. 3. — Fra i due primi vocaboli Threicio ed Aquilone ha luogo lo iato,
scusabile qui e perchè si tratta di nome proprio, che non di rado lo
ammette, e perchè Vo finale del primo vocabolo è in arsi. La cesura
principale è dopo sonant, cioè dopo la quarta arsi. Ve n'è una sussi-
diaria dopo la seconda arsi, cioè dopo Threicio.
V. 8. — La sillaba finale ce dell'ordine giambico è breve, come pure al v. 10
in ra, al v. 14 in na.
I
- 31 =
Nóbilis ut grandi cecinit Centaùrus alùmno :
« Invicte, mórtalis dea nàte puér Thetidé,
Té manet Àssaraci tellùs, quam frigida parvi
Findùnt Scamàndri flùminà lùbricus et Simois,
Ùnde tibi reditùm certo subtémine Pàrcae
Rupére, néc matér doraùm caérula té revehét.
iUic òmne malùm vino cantùque levato,
Defòrmis aégrimóniaé dùlcibus àlloquiis. »
15
SISTEMA ARCHILOCHIO (^
)
{Epod. XI)
La composizione di quest'epodo risulta dal seguente schema:
i.^, -^w, HI--» w-, C-, w"-
t
Il primo verso è un trimetro (jiamhlco acataletto puro, vale a dire che
non iscioglie mai le arsi. Il secondo è un eleglambo. Questo verso non è che
un giambelego invertito, cioè forma il suo primo colon con un trimetro datti-
Uco catalettico in si/ìlabam ed il secondo con uno dimetro giambico acata-
letto. Ciò che si disse pel giambelego (vedi Epod. prec.) vale altresì per l'ele-
giam^o quanto all'ancipite, allo iato, ecc. Quindi è anch'esso un verso asi-
narteto.
Riguardo alla cesura del trimetro giambico vedi p. 20.
Petti, nihil me sicut ànteà iuvàt
Scribere vérsiculós amóre pércussùm gravi.
V. 15. — Tibi è qui un giambo.
--»
\
= 32 =
• Amóre, qui me praéter ómnes éxpetit
Móllibus in pueris aut in puéllis ùreré.
5 Hic tértiùs Decémber, ex quo destiti
Inachià fureré, silvis honòrem décutit.
Heu me, per Urbem — nàm pudèt tanti mali —Fàbula quanta fui! Conviviórum et paénitét,
In quis amàntem lànguor et siléntiùra
10 Àrguit et lateré petitus imo spiritùs.
« Contràne lùcrum nil valére càndidùm
Paùperis ingeniùm? » querébar àdploràns tibi,
Simùl caléntis inverécundùs deus
Férvidióre mero arcana prómoràt locò.
15 « Quod si mais inaéstuét praecórdiis
Libera bilis, ut haéc ingrata véntis dividàt
Foménta vulnus nil malùra levàntià,
Désinet imparibùs certàre sùbmotùs pudór. »
Ubi haéc sevérus té palàm laudàveràm,
20 lùssus abire domùm ferébar incerto pedé
Ad non amicos heù mihi postés et heù
Limina dura, quibùs lumbós et infregi latùs.
V. 5. — Trovasi qui la cesura dopo la quarta tesi: perciò non avendo luogo
un'altra secondaria dopo la terza, trovasi la dieresi dopo il secondo
piede. Vedi la nota al v. 19 in Trimetro giambico.
V. 6. — Qui il trimetro dattilico finisce in breve (furere), come al v. 10 (la-
teré), e al V. 26 (Consilia).
y, 8. — Osserva la sinalefe per InOXiv^iv in Conviviórum et
V. 11. — In hicrum la prima sillaba è lunga.
y. 14. __ Si osservi lo iato tra mero e arcana. Anche al v. 24 v'ò tra ìnoì-
ìitia ed amor (Vedi la mia Critica del Testo a p. 6).
V. 19. — Sinalefe per apostrophum in Ubi haec. Anche al v. 25 in Unde
expedire.
V. 21. — Mihi qui ò giambo.
- 33 =
Nunc glóriàntis quàmlibét muliérculàm
Vincere mòllitià amor Lycisci me tenét;
Unde éxpedire non amicorùm queànt
Libera Consilia nec cóntuméliaé gravés,
Sed àlius àrdor aùt puéllae càndidaé
Aùt teretis pueri longàm renódantis comàm,
25
SISTEMA ARCHILOCHIO (^)
{Lib. I, 4)
La composizione metrica di quest'ode risulta da un archilochio e da un
trimetro giambico catalettico, giusta lo schema:
r r
I•. W t W « V^
Ciò significa: Che il verso archilochio consta di due parti, cioè di un
tetrametro dattilico acataletto che può sostituire uno spondeo a ciascuno dei
suoi primi tre dattili, e di un dimetro trocaico brachicataletto o, in altri
termini, di una tripodia trocaica acataletta. Si avverta che è falsa l'opinione
che questo verso sia asinarteto, perchè in luogo del quarto dattilo non vi può
mai essere un eretico o amfimacro ( - -) come sarebbe portato dalla natura
ancipite dell'ultima sillaba del colon dattilico, se il verso fosse asinarteto; di
più non è ammesso lo iato. Quindi la natura di questo verso è evidentemente
logaedica. La cesura sta dopo la terza arsi come generalmente nell'esametro
dattilico.
V. 23. — Muìiercuìam si adopera come vocabolo tetrasillabo, mentre in
realtà ha cinque sillabe. Orazio ha fatto la sinizesi in Iter.
V. 27. — Il primo piede invece di un giambo è un tribraco (sed ali|us).
Stampini, Commento metrico. 3
- 34 -
2". Il trimetro giambico catalettico non ammette lo scioglimento del-
l'arsi (in Orazio ciò avviene una sola volta; Odi, II, 18, 34). La cesura è
sempre dopo la terza tesi.
Sólvitur àcris hiéras grata vice véris et Favòni,
Trahùntque siccas raàchinaé carinas,
Ac neque iàm stabulis gaudét pecus aùt aràtor igni,
Nec pràta cànis àlbicànt pruinis.
5 Iàm Cytheréa chorós ducit Venus imminènte luna,
lunctaéque Nymphis Gràtiaé decéntes
Alternò terràm quatiùnt pede, dùm gravés Cyclòpum
Vulcànus àrdens ùrit òfficinas.
Nùnc decet aùt viridi nitidùm caput impedire myrto
10 Aut flòre, térrae quém ferùnt soiùtae;
Nùnc et in ùmbrosis Fauno decet immolare lùcis,
Seu pòscat àgna sive màlit haédo.
Pàllida mòrs aequò pulsàt pede paùperùm tabérnas
Regùmque tùrres. beate Sèsti,
15 Vitae sùmma brevis spem nòs vetat inchoàre lòngam.
lam té premét nox, fàbulaéque Mànes,
Et domus éxilis Plutònia; quo simùl meàris,
Nec regna vini sòrtiére tàlis,
Néc tenerùm Lycidàn miràbere, quo calét iuvéntus
20 Nunc òmnis et mox virginés tepébunt.
V. 1 . — Il terzo piede del tetrametro dattilico è uno spondeo : ciò pure si
verifica in tutti gli altri versi archilochii, fuorché i versi 7 e 9.
V. 5. — Cytheréa è un peone terzo. La terza sillaba è lunga perchè prove-
niente da €1 (K\56ép€ia).
V. 7. — La prima sillaba di Cyclòpum ò breve.
V. 9. — Il tetrametro dattilico è puro, cioè ha dattili tutti e quattro i piedù
= 35 =
SISTEMA ALCMANIO
{Lib. I, 7)
Lo schema metrico di quest'ode è il seguente :
Si vede quindi che il primo verso è un esametro dattilico catalettico in di-
syìlahum, di cui vedi ciò che si disse in Sistema archilochio (») ; e che
il secondo verso è un tetrametro dattilico catalettico in disyUabum. Questo
verso, come si scorge dallo schema, non può sostituire al terzo dattilo uno
spondeo (ciò però avviene in Orazio una volta in Lib. I, 28, 2), precisamente
come il quarto dattilo del tetrametro dattilico acataletto che fa parte del-
Tarchilochio (Vedi Ode prec). La cesura non ha sede fissa, ma per lo più
colla seconda o colla terza arsi termina un vocabolo. Talora si può avere
anche dopo il terzo trocheo.
Laùdabùnt alii claràm Rhodon, aùt Mitylénen,
Aùt Ephesón, bimarisve Corinthi
Moénia, vèl Bacchò Thebàs vel Apòlline Délphos
insignès, aut Thèssala Tèmpe.
Sùnt quibus unum opus èst, intàctae Pàlladis ùrbem 5
Carmine perpetuò celebrare et
Ùndique décerptàm fronti praepònere olivam.
Plùrimus in lunònis honòrem
V. 2. — La cesura, se pure la si voglia notare in un verso così breve, sarebbe
qui dopo la seconda arsi, come al v. 4, 14, 16, 18, 20, 22, 24, 28, 30,
32.
V. 5. — Sinalefe per ^xeXiHiiv in unum opus.
V. 6. — Sinalefe per apostrophum in celebrare et, come in praepònere olivam
del verso seg., in Anio ac al v. 13, in dme et al v. 27. La cesura è
dopo la terza arsi, come nei versi 10, 12, 26.
V. 8. — Cesura dopo il terzo trocheo cioè dopo Junwiis), o, se si vuole anche,
dopo la seconda arsi {in).
=3 36 =
Aptum dicet equie Argós ditésque Mycénas.
10 Me nec tara patiéns Lacedaémon,
Néc tara Làrissaé percùssit campus opimae,
Quàm domus Albuneaé resonàntis
Et praecéps Anio àc Tibùrni lùcus et ùda
Móbilibùs pomària rivis.
15 Àlbus ut óbscuró detérget nubi la caélo
Saépe Notùs, neque pàrturit imbres
Pérpetuós ; sic tu sapiens finire memento
Tristitiàm vitaéque labóres
Mòlli, Plànce, mero, seu té fulgéntia signis
20 Castra tenént, seu densa tenébit
Tiburis ùmbra tui. Teucér Salamina patrémque
Cùm fugerét, tamen ùda Lyaéo
Tempora populea fertùr vinxisse coróna,
Sic tristés afiatus amicos:
25 < Quo nos cùmque ferét meliór fortuna parénte^
Ibimus, ó socii comitésque.
Nil despérandùm Teucro duce et auspice Teucro:
Cértus enim promisit Apòllo
Àmbiguàra tellùre nova Salamina futùram.
30 fortés peiòraque pàssi
Mécum saépe viri, nunc vino péllite cu ras :
Cràs ingéns iteràbimus aéquor »
.
37 =
V. 25. — Osserva la tmesi di quocumque.
V. 29. — Qui la cesura è dopo Tarsi del quarto e del secondo piede. Gli altri
esametri han tutti la cesura dopo la terza arsi.
1^
SISTEMA IPPONATTEO
{Lio. II, 18)
La composizione metrica di quest'ode si conforma al seguente schema:
w * <* >
— > >* ~> W ~1 w,
donde si vede che il primo verso ò un dimetro trocaico catalettico ed il
secondo un trimetro giambico catalettico, di cui si è parlato in Sistema
archihchio (^). La ragione di aver fatto Orazio tutti e due i versi ca-
talettici sta in ciò, che nel passaggio da un verso all'altro, nel recitare, si
schiva la congiunzione di arsi con arsi (nel passaggio dal trimetro giambico
di un distico al dimetro trocaico del seguente) e di tesi con tesi (nel pas-
saggio dal dimetro trocaico al trimetro giambico di ciascun distico).
Non ebùr neque aùreùm
Meà renidet in domò lacùnar,
Non trabés Hyméttiaé
Premùnt colùmnas ùltima recisas
Africa, neque Attali o
Ignòtus héres régiam occupavi,
Néc Lacònicàs mihi
Trahùnt honéstae pùrpuràs cliéntae.
Àt fidés et ingeni
Benigna véna est, paùperémque dives 10
V. 1. — Sinalefe per apostrophum in neque aureum, come al v. 10 in vena
est.
V. 6- — Sinalefe per ^ReXiiyw in regiam occupavi, come al v. 12 in pò-
tentem amicìim, e al v. 37 in Tantalum atque.
15
20
25
30
-38 =
Me petit: nihil suprà
Deós lacésso néc poténtem amicum
Làrgióra flàgitó,
Satis beatUS ùnicis Sabinis.
Trùditùr diés die,
Novaéque pérgunt interire lùnae.
Tu secànda màrmorà
Locàs sub ipsum fùnus, et sepùlcri
Immemór struis domós,
Marisque Bàis óbstrepéntis ùrges
Sùmmovére litorà,
Parùm iocùples continènte ripa.
Quid quod ùsque próxiraós
Revéllis agri términós et ultra
Limités cliéntiùm
Salis avàrus? Péllitùr patérnos
In sinù feréns deós
Et ùxor et vir sórdidòsque nàtos.
Nulla cértiòr tamén
Rapàcis Orci fine destinata
Aula divitém manét
Herùra. Quid ultra téndis? Aéqua téllus
Paùperi reclùditùr
Regùmque pùeris, néc satélles Orci
V. 22. — Locupìes ha lunga la seconda sillaba.
V. 24. — Agri è spondeo.
Y^ 28. — Leggendo questo verso si avverta di porre, come deve porsi re-
golarmente, la cesura dopo vir.
Y
- 39 =
Càllidùm Prométheà
Revéxit auro càptus. Hic supérbura
Tàntalum àtque Tàntali
Genùs coércet, hic levare fùnctum
Paùperém labóribùs
Vocàtus àtque non vocàtus aùdit.
35
40
SISTEMA PITIAMBICO (»)
{Epod. XIV)
Questo sistema si compone di un esatnetro dattilico catalettico in di-
syllahum e di un dimetro giambico acataletto, secondo lo schema seguente:
— »» w f w ~ 1W X > «» W >
» «»
Quanto all'esametro dattilico vedi ciò che se ne è detto in Sistema ar-
chiìochio (•) ;quanto al dimetro giambico vedi in Sistema giambico.
La cesura dell'esametro in quest'ode è sempre dopo la terza arsi.
MóUis inértia cùr tantàm diffùderit imis
Obliviónem sénsibùs,
V 33 — La prima sillaba di recluditur deve qui essere considerata come
'
breve, sebbene possa riguardarsi anche come lunga, perchè la breve
finale di ogni dipodia trocaica può sempre essere sostituita da una
lunga. Ma io osservo che in questo carme Orazio non fa mai tale
sostituzione. .
V. 34. — n secondo giambo si è risolto in un tribraco (Regum !que pu£ I nsj.
V. 1. — Poni la cesura dopo cur.
10
15
Pócula Léthaeós ut si ducéntia sómnosArénte faùce tràxerim.
Càndide Maécenàs, occidis saépe rogando:Deus, deus nam me vetàt
Inceptós, olim proraissum càrmen, iàmbos
Ad ùmbilicum addùceré.
Non alitér Samió dicùnt arsisse Bathyllo
Anàcreónta Téiiim,
Qui persaépe cava testùdine flévit amóremNon élabóratum ad pedém.
Ureris ipse misér: quod si non pùlchrior ignis
Accéndit óbsessam Ilión,
Gaùde sórte tua; me libertina, neque unoContenta, Phryne màceràt.
V. 8. — Sinalefe per fKeXinuv in umbilicum ndducere; lo stesso in élabó-
ratum ad (v. 12) e óbsessam Ilion (v. 14).
V. 10. — Teium è trisillabo.
V. 14. — Ammettendo una cesura in versi così brevi, questo verso dovrebbeleggersi :
Accéndit óbses 1 sani ilión
Cosi pure leggerai i versi 8 e 12:
Ad ùmhilicum ad|diiceré
Non e'iabfjra\tum ad pedém.
41 »
SISTEMA PITIAMBICO (^
)
(Epod. XVI)
Il primo verso di ogni distico è un esametro dattilico catalettico in di-
syllabum, il secondo un trimetro giambico acataletto puro. Lo schema è
dunque :
» w - >
' f — rr
Di entrambi questi versi si è già parlato in Sistema archilochio (') e ar-
chilochio {^).
Altera iàm teritùr bellis civilibus aétas,
Suis et ipsa Róma viribùs ruit:
Quàm neque finitimi valuérunt perdere Màrsi,
Minàcis aùt Etrùsca Pórsenaé manùs,
Aémula néc virtùs Capuaé, nec Spàrtacus àcer 5
Novisque rebus infidélis Allobróx,
Néc fera caéruleà domuit Germania pube
Paréntibùsque abóminàtus Hànnibàl;
Impia pérdemùs devóti sànguinis aétas,
Ferisque rùrsus óccupàbitùr solùm. 10
Bàrbarus heù cinerés insistet victor et Urbem
Equés sonante vérberàbit ùngula,
V. 6. — Allobróx ha la seconda sillaba breve.
V. 8. — Sinalefe per apostrophum tra le due prime parole. Questo verso
manca di cesura: per averla bisogna fare una tmesi e leggere:
Paréntibùsqu* ab\óminàtus Hànnibàl.
42 =
Quaéque carént ventis et sólibus ossa Quirini —Nefàs vidére — dissipàbit insoléns.
15 Fòrte, quid éxpediàt, commùniter aùt raeliór pars
Maìis carére quaéritis labóribùs ;
Nulla sit hàc potiór senténtia: Phócaeórum
Velùt profùgit éxsecràta civitàs
Agros àtque Larés patriós habitàndaque fàna
20 Apris reliquit et rapàcibùs lupis,
Ire pedés quocùmque ferént, quocùmque per ùndas
Notùs vocàbit aùt protérvus Africùs.
Sic placet ? àn meliùs quis habét suadére ? Secùnda
Ratem occupare quid moràmur àlité?
25 Séd iurémus in haéc : siraul imis sàxa renàrint
Vadis levata, né redire sit nefàs;
Neù convèrsa domùm pigeàt dare lintea, quando
Padùs Matina làverit cacùminà,
In mare seù celsùs procùrrerit Apenninus,
30 Novàque mónstra iùnxerit libidine
Mirus amor, iuvet ut tigrés subsidere cérvis,
Adùlterétur et colùmba miluó,
Credula néc ravós timeànt arraénta leònes,
Araétque salsa lévis hircus aéquorà.
V. 17. — Questo verso è spondaico, ma ha un dattilo nella quarta sede.
Tale è anche il v. 29.
V. 19. — Agros ha la prima sillaba lunga. Invece jsafrtbs l'ha breve.
V. 21. — La cesura ò semisettenaria con una sussidiaria semitemaria. Lo
stesso ha luogo nel v. 31. Tutti gli altri esametri sono a cesura
semiquinaria.
V. 24. — Sinalefe per énOXiipiv tra i due primi vocaboli : lo stesso si ha
al V. 62.
= 43 =
Haéc et quaé poterùnt reditùs abscindere dùlces 35
Eàmus ómnis éxsecràta civitàs,
Aùt pars indocili meliór grege ; móUis et éxspes
Inóminàta pérprimàt cubilià.
Vós, quibus èst virtùs, muliébrem tóllite lùctum,
Etrùsca praéter et volate litorà.
Nós manet Òceanùs circùmvagus: àrva, beata
Petàmus àrva divités et insulàs,
Réddit ubi Cererém tellùs inarata quotànnis
Et imputata flóret ùsque vineà,
Gérminat et numquàm falléntis tèrmos olivae,
Suàmque pùlla ficus órnat àrborém,
Mélla cava manànt ex ilice, móntibus àltis
Levis crepante lympha désilit pedé.
Illic iniussaé veniùnt ad mùlctra capéllae,
Refértque tenta gréx amicus uberà;
Néc vespértinùs circùmgemit ùrsus ovile,
Neque mtuméscit alta viperis humus.
Plùraque félicès miràbiraur, ut neque làrgis
Aquósus Eùrus àrva ràdat imbribùs,
Pinguia néc siccis uràntur sémina glaèbis,
Utrùraque rége temperante caélitùm.
Non huc Àrgoó contèndit remigo pinus,
Neque impudica Còlchis intulit pedém;
40
45
50
55
V. 39. — Muliébrem è qui un ionico a minori
V. 43. — Ubi qui è giambo.
V. 52. Sinalefe per apostroplmm tra i due primi vocaboli, come anche al
v. 58.
V. 57. — Argoo è un molosso. ^
60
65
= 44 =
Non huc Sidonii torsérunt córnua naiitae,
Laboriósa néc cohòrs Ui ixei.
Nulla nocént pecori contagia, nùUius astri
Gregem aéstuósa tórret irapoténtià.
lùppiter l'Ha piaé secrévit litora genti,
Ut inquinàvit aere térapus aùreùm,
Aere, dehinc ferrò duràvit saécula, quòrum
Piis secùnda, vate raé, datùr fuga.
SISTEMA ASCLEPIADEO (*)
{Lih. I, 3)
I varii distici che compongono quest'ode constano di un gìiconio e di
un asclepiadeo ("). Lo schema è questo:
, Il
Pertanto il gìiconio si compone di un trocheo, sostituito spesso da uno
spondeo, di un dattilo e di una dipodia trocaica catalettica a ritmo logae-
dico, è cioè simile affatto al secondo ordine dell'asclepiadeo seguente più
una base trocaica o spondaica. Devesi poi notare che su 20 gliconii conte-
V. 59. — Quantunque Sklon al gen. abbia la seconda sillaba lunga, tuttavia
Sidonis, idis e Sidonius, a, wm, possono tanto allungare, quanto
abbreviare la seconda sillaba. Orazio l'adopera breve in questo verso.
V. 60. — Anche qui Ulixei è totrasillabo.
V. 61. — Nullius ò qui un dattilo.
V. 65. — Belline qui è giambo ; talvolta è spondeo.
= 45 =
nuti in quest'ode, 12 terminano il vocabolo colla prima arsi della dipodia
trocaica catalettica, e sono i versi 1, 3, 7, 9, 11, 17, 27, 29, 31, 33, 35,
39. Degli altri i versi 5, 15, 19, 21, 23, 25 e 37 hanno una specie di
cesura dopo il dattilo. H verso 13 ne è privo.
Dell'asclepiadeo (») si è già discorso in Metro asclepiadeo minore.
Sic te diva poténs Cypri,
Sic fratres Helenaé, lùcida siderà,
Vèntorùmque regàt pater
Óbstrictis aliis praéter làpygà,
Nàvis, quaé tibi créditùm ^^
Débos Virgiliùm ; finibus Atticis
Rèddas incolumém, precòr,
Et servés animaé dimidiùm meaé.
illi ròbur et aés tripléx
Circa péctus eràt, qui fragilém truci
Còmmisit pelago ratém
Primus, néc timuit praécipitem Africùm
Décertàntem Aquilònibùs,
Néc tristés Hyadàs, néc rabiém Noti,
Quo non àrbiter Hàdriaé
Màior, tòUere seù pónere vùlt fretà.
Quém mortis timuit gradùm,
Qui siccis oculis mònstra natàntià,
10
15
V. 1. — Cypri ha la prima sillaba breve. La base è spondaica come in
tutti gli altri versi, tanto gliconii quanto asclepiadei.
V. 4. — lapyga è di quattro sillabe.
V. 5. — Tibi è pirrichio.
V 9. — La prima sillaba di triplex ò breve.
V 12. — Sinalefe per eKGXivpiv m praedpitem Africum. Lo stesso abbiamo
al V. 13 in Decertantem Aquilonibm; al v. 19 in turgidum et; al
V. 29 in igtiem aetheria; al v. 38 in caelum ipsum.
;!
\
20
25
30
35
40
= 46 =
Qui vidit mare tiirgidum et
Infamés scopulós, Acroceraùnià?
Néquiquàm deus àbscidit
Prùdens Oceano dissociàbili
Térras, si tamen irapiaè
Non tangénda ratès trànsiliùnt vada.
Aiidax omnia pérpeti
Gens humàna ruit per vetitùm nefàs.
Aùdax lapeti genùs
Ignem fraùde mala géntibus intulit.
Post ignem aétherià domò
Sùbductùm maciòs ót nova fébriùm
Térris incubuit cohórs,
Sémotique priùs tarda necéssitàs
Lèti córripuit gradimi.
Expertùs vacuùm Daòdalus aera
Pénnis non homini datis;
Pérrupit Acherònta Hérculeùs labór.
Nil mortàlibus àrdui èst;
Caèlum ipsùm petimiìs stùltitià, nequé
Per nostrum patimùr scelùs
Iracùnda Jovém pónere fulmina.
= 47
V. 27. — Perchè questo verso corra metricamente è necessario riguardare
lapeti come un coriambo.
V. 36. — La cesura è dopo la terza sillaba di Acherònta, la cui ultima
sillaba non conta perchè resta elisa, venendole dopo il vocabolo Her-
cuìeus. — L'ultima sillaba di Pérrupit è fatta lunga da Orazio,
sebbene la parola che segue abbia per iniziale una vocale (Vedi la
mia Critica del Testo a p. 1 e 2).
V. 37. — Sinalefe per apostrophum in ardui est.
'i
Ail
i
SISTEMA SAFFICO (^
)
{Uh. I, 8)
Il primo verso di ogni distico è un aristofanio, il secondo un saffico
(*>) saffico maggiore. Lo schema è:
— w <* J »» »
W J s.* »— w w • ~ ^ >
Si vede che l'aristofanio è composto di un dattilo e di una dipodia tro-
caica acataletta ed il saffico (^^
) di una dipodia trocaica, d'un coriambo,
di un dattilo e di un'altra dipodia trocaica a ritmo logaedico. Inoltre
si osserva che l'aristofanio e la seconda parte del saffico, quella cioè che
segue il coriambo, sono identici. Quanto poi alla cesura del saffico, essa sta
dopo la terza arsi: dopo il coriambo si trova una dieresi. La prima dipodia
trocaica termina sempre in una lunga in luogo di una breve.
Lydia, die, per ómnes
Té deós orò, Sybarin cùr properès amando
Pèrdere, cùr apricum
Óderit campùm, patiéns pùlveris àtque sólis?
Cùr neque militàris ^
Inter aèqualès equitèt, Gàllica nèc lupàtis
Temperai óra frènis?
Cùr timét flavùm Tiberim tangere ? Cùr olivum
Sanguine viperino
Caùtiùs vitàt, neque iàm livida gèstat àrmis
Bràchia, saépe disco,
Saèpe trans finèm iaculo nóbilis éxpedito?
10
V. 3. — Apricum ha la sillaba iniziale breve: lo stesso dicasi di lacri-
mosa al V. 14.
48 =
Quid latet, ut marinae
Filiùm dicùnt Thetidis sub lacrimósa Tróiae
15 Fùnera, né virilis
Cùltus in caedem et Lyciàs próriperét catérvas?
SISTEMA TRISTICO.
IONICO A MINORI(blKUjXoV TpiCTTlXOV)
{Lib. Ili, 12)
È assai vario, come s'è detto a p. 5, il modo di ordinare il metro di
quest'ode. Chi la ordina in una serie di versi decametri, aventi cioè cia-
scuno dieci ionici a minori, secondo lo schema:
> - «. ~ >• ' Il
chi in quattro strofe di dieci piedi, ordinata ciascuna in quattro versi se-
condo lo schema:
y ^^ ^
ovvero secondo quest'altro:
V. 16. -- Sinalefe per IkGXihjiv in caedem et.
ìès
'1
^}
(
= 49 =
L L L L
L L L L
' ' ' 1 L L IL
chi invece, per non dire di altre maniere, ne fa un sistema tristico divi-
dendo i dieci piedi di ciascuna strofa nel modo seguente :
t t ' L '
Noi adotteremo quest'ultimo schema con cui la strofe resta composta di
due tetrametri e di un dimetro ionico a miliari. Frattanto notiamo che non
è permesso lo iato e neppure la sillaba ancipite in fin di verso; domina
quindi la sinafia, quasi compagine, per cui i vari piedi della strofe si suc-
cedono da un verso all'altro senza ancipite e iato, quasi ne formassero uno
solo. Lo iato e la sillaba ancipite possono però trovarsi nella chiusa di
ogni strofa, cioè nella fine del decimo piede; se non che Orazio evitò e
l'uno e l'altra, così che si potrebbe credere che tutto il carme consti èS
óiLioiwv, cioè di tanti ionici sempre invariati posti l'uno accanto all'altro,
e che si debba recitare senza intervallo sino al fine.
La cesura si può dire che non ha luogo, poiché in generale si trova la
dieresi alla fine di ogni piede. La dieresi dopo il secondo piede nei due
primi versi e dopo il primo nel terzo è più osservata, come un riposo ne-
cessario alla recitazione del verso stesso.
Miseràrum est neque amóri dare lùdùm neque dùlci
Mala vino laverò, aùt éxanimàri metuéntés
Patruaé vérbera linguaé.
V. 1. — Sinalefe per ^KeXiH/iv in Miseràrum est e per apostrophum in
neque amori. Quella trovasi pure al v. 5 in studium aufert; questa
al V. 2 in ìavere aut, al v. 11 in ìacuìari et e al v. 12 tra la prima
e la seconda, e la seconda e la terza parola.
V. 2. — Vi sono solo due dieresi in luogo di tre. Per avere la dieresi media
bisogna fare una tmesi in ex\ammari. La tmesi avrebbe pure luogo
al V. 3 in ver \bera, al v. 8 in Bei \
ìerophonte, e al v. 12 in e^|ci-
2ìere.
V. o. — Patruae ha la prima sillaba breve, mentre la prima di aprum
(v. 12) è fatta lunga.
Stamimni, Commento metrico. ^
10
= 50 =
Tibi quàlùm Cytheréaé puer àlés, libi télàs
Operósaéque Minérvaé studium aùfért, Neobùlé,
Liparéi nitor Hébri^
Simul ùnctós Tiberinis humerós làvit in ùndis,
Eques ipso meliór Béllerophónté, neque pugnò
Neque ségni pede victùs,
Catus idem per apértùm fugiéntéa agitato
Grege cérvòs iaculàri, et celer arto latitàntém
Fruticéto éxcipere àprùm.
SISTEMI TETRASTICI.
(^éipa T€TpaaTixa)
SISTEMA ASCLEPIADEO (•'
)
(biKiuXov)
{Lib. IV, 12)
Ciascuna strofe si compone di tre ascìepiadei (*) e di un gliconio. Lo
schema ò quindi :
*» >
il
. Il ,- Il
-
». w I v )
>. ^ » ^ y
V. 4. — Tibi è qui due volte adoperato come pirrichio.
V. 5. — Due sole dieresi, la media e la terza.
V. 8. — Si noti Ve finale dalla forma greca BeXXepocpóvTTiq in Bellero-
phonte.
51
Nardi pàrviis onyx éliciét cadùm,
Qui nunc Sùlpiciis àccubat hórreis,
Spés donare novàs làrgus amàraqué
Cùrarum éluere éfficàx.
5
Dell'asclepiadeo si è già discorso in Metro asdepiadeo mimre. Quanto
al gliconio, vedi Sistema ascìepiadeo (*). Come nell'asclepiadeo, così nel gli-
conio la base è, tranne rare eccezioni, spondaica.
làm veris comités, quaé mare témperànt,
ìmpellùnt animaé lintea Thràciaé ;
làm nec pràta rigént, néc tiuvii strepùnt
Hibernà nive tùrgidi.
Nidum pónit, Ityn flébilitér geméns,
Infelix avis et Cécropiaé domùs
Aéternum ópprobriùm, quód male bàrbaràs
Régum est ulta libidinés.
Dicunt in tenero gràmine pinguiùm
Cùstodés oviùm carmina fistulà
Délectàntque deùm, cui pecus et nigri
Cólles Àrcadiaé placént.
Àdduxére sitim tempora, Virgili;
Séd pressùm Calibùs dùcere Liberùm
Si gestis, iuvenùm nóbiliùm cliéns,
Nardo vina meréberis.
10
15
20
V. 6. — In Cecropiae la prima sillaba qui è lunga.
V. 7. — Sinalefe per éK0Xiiviv fra le due prime parole. Lo stesso abbiamo
al V. seg. in regum est, e al v. 20 in Curarmi eluere.
V. 11. — In nigri b breve la prima sillaba, come al v. 25 in lucri. Invece è
lunga in Nigrorumque (v. 26).
V. 20. — Sinalefe per apostrophum in eluere efficax. Lo stesso in rfulce est
e desipere in (v. 28).
25
= 52 =
Ad quae si properàs gaùdia, cùm tua
Vélox merce veni : non ego té meis
immuném meditór tingere póculis,
Pièna dives ut in domò.
Vérum póne moràs et studiùm lucri,
Nigrorùmque meraór, dùm licei, igniùm
Misce stùltitiàm censi liis brevém :
Dùlce est désipere in locò.
SISTEMA ASCLEPIADEO ('^
)
(ipiKuuXov)
(Lib. I, 21)
à
Ogni strofe si compone di due ascìepiadei ("), di un ferecrazio e di un
gliconio. Lo schema è il seguente:
w w » «» »
II
« w I- w >
Riguardo airasclepiadeo vedi Metro asclepiadeo mùiore. Del gliconio si
è detto in Sistema asclepiadeo (*) e ( N- Rimane il ferecrazio, il quale deve
essere riguardato come un gliconio colla dipodia trocaica brachicataletta,
in luogo di catalettica, dopo il dattilo, ossia, più semplicemente, con un
solo trocheo in fine. Abbiamo perciò anche nel ferecrazio un ritmo logaedico
preceduto da una base quasi sempre spondaica.
V. 22. — Ego qui è pirrichio.
l
//
3
= 53 =
Dianàm teneraé dicite virginés,
ìntonsùm, pueri, dicite Cynthiùm
Làtonàmque suprèmo
Dilectàm penitùs lovi.
Vós laetàm fluviis et nemorùm coma,
Quaècumque aùt gelido próminet Algido,
Nigris aùt Erymànthi
Silvis aùt viridis Cragi;
Vòs Tempé totidém tóUite laùdibùs
Nàtalèmque, marès, Délon Apóllinis,
insignémque pharètra
Fràternàque humerùm lyrà.
Hic bellùm lacrimósum, hic miseràm famèm
Pèstemque à populo et principe Caèsare in
Pérsas àtque Britànnos
Véstra mótus agét prece.
10
15
V. 1. — Nota la diastole della prima sillaba di Dianam.
V. 3. — La prima sillaba in supremo ò qui breve.
V. 6. - Sinalefe per apostrophum in Quaècumque aut,come al v. 1^ m
Fraternaquc humerum.
V. 7. - La prima sillaba di Nigris qui è lunga, com'è lunga la seconda
siUaba in pharètra (v. 11).• i i?
•
V l:^ — Sinalefe per IkQX^v tra lacrimósum ed hic. Questa smalete ri-
media alla mancanza di dieresi, la quale dovrebbe trovarsi dopo
la terza sillaba di lacrimo\sum.
V 14 — Nota le tre sinalefe per apostrophum di questo verso.
n DiLLENBURGER nella sua edizione di Orazio notò acconciamente a
1) 78 la perfetta rispondenza, verso per verso, vocabolo per vocabolo, della
prima e terza strofa, non che della seconda e della quarta. Eccone la prova:
V. 1. Dianam [tenerae
V. 9. Vos^Temi>e |totidem
V. 2. Intonsum |pueri
V. 10. Natalem |que mares
dicite
tollite
dicite
Delon A
virginés.
laudibus.
Cynthiùm.
poUinis.
= 54 =
SISTEMA SAFFICO (•)
(biKwXov)
(Carme secolare)
I tre primi versi sono saffici (") o minori il quarto è un adonio. Il
saffico (*) consta di una dipodia trocaica, di un dattilo e di un'altra dipodia
trocaica. Ha quindi natura logaedica e non differisce dal saffico ('^
) o
maggiore se non in quanto è privo del coriambo. La cesura ò general-
mente maschile, ed è posta dopo l'arsi del terzo piede, come nel saffico (^ ).
Quando è femminile, si trova dopo la prima breve del dattilo. Quest'ul-
tima cesura, rara nei primi tre libri delle Odi di Orazio (6 esempi nel
primo, 1 nel secondo e nessuno nel terzo), e alquanto più usata nel libro
quarto (22 esempi in tre carmi), ò in questo carme abbastanza frequente,
tanto che su 57 saffici, 19 sono a cesura femminile. Tali sono i versi 1, 14,
15, 18, 19, 35, 39, 43, 51, 53, 54, 55, 58, 59, 61, 62, 70, 73 e 74. Il quarto
piede della prima dipodia è una sola volta breve. — Il quarto verso o adonio
ò un dimetro dattilico catalettico in di^yllahum. Il suo dattilo non può
mai essere sostituito da uno spondeo.
Lo schema pertanto dell'intera strofe ò il seguente:
= 55
«* » I «» «- »
V. 3.
V. 11.
V. 4.
V. 12.
V. 5.
V. 13.
V. 6.
V. 14.
V. 7.
V. 15.
V. 8.
V. 16.
Latonamque |supremo.
Insignemque|
pharetra.
Dilectam|
penitus|
Jovi.
Fraterna |que humerum | 1} ra.
VosIlaetam | fluviis | et |
nemorum
HicIbellum | lacrimo | sum hic
|miseram
Quaecumque | aut|
gelido|
prominet
Pestemque ] a | populo et |principe
NigrisI
aut Erymanthi.
Persas | atque Britannos.
SiivisI
aut viridis | Cragi.
Vestra |motus aget |
prece.
coma.
I
fiimem.
Algido.
Caesare in.
1
^
:)
Quando ha luogo nel saffico la cesura femminile, sostituisci questo schema:
Phoébe silvarùraque poténs Diana,
Lùcidùm caeli decus, ó colèndi
Sémper et culti, date quaé precàmur
Tèmpore sacro,
Quo Sibyllini monuére versus
Virgin és lectàs puerósque càstos
Dis, quibus septém placuére còUes,
Dicere càrmen.
Alme Sòl, currù nitido diém qui
Prómis et celàs aliùsque et idem
Nàsceris, possis niliil urbe RómaVisore màius!
Rite màturòs aperire pàrtus
Lénis, Ilithyia, tuére màtres,
Sive tu Lucina probàs vocàri
Seù Genitàlis :
Diva, pròducàs subolém patrùmque
Prósperés decréta super iugàndis
Féminis prolisque novaé feraci
Légo marita,
Cértus ùndenós deciés per ànnos
Orbis ut cantùs referàtque lùdos
Ter die darò totiésque grata
Nócte frequéntes.
5
10
J5
20
r/
V. 14. — In Uithya Vyi deve considerarsi come una sola sillaba, perchè
proveniente dal dittongo greco ui. — La prima sillaba di maires è
qui lunga, mentre in patrùmque (v. 17) e patriae (v. 42) ò breve. Èparimente breve la seconda in impetret
\
25
80
35
40
45
50
=1 56 -
Vósque véracés cecinisse, Pàrcae,
Quód semel dictum est stabilisque rerum
Términùs servét, bona iàm peràctis
lùngite fata.
Fértilis frugùm pecorisque Téllus
Spiceà donét Cererém coróna;
Niitriànt fetùs et aquaé salùbres
Et lovis aùrae.
Condito mitis placidùsque télo
Sùpplicés audf pueròs, Apòllo;
Siderìim regina bicòrnis, aùdi,
Luna, puéllas:
Róma si vestrum èst opus, Iliaèque
Litus Étruscùm tenuére tùrmae,
lussa pars mutare Larés et ùrbem
Sòspite cùrsu,
Cui per àrdentém sine frauda Tròiam
Càstus Aéneàs patriaé supérstes
Liberùm munivit iter, datùrus
Plùra relictis:
Di, probós morés docili iuvéntae,
Di, senéctuti placidaé quiétem,
Ròmulaé genti date rémque pròlemque
Et decus òmne.
Quaéque vós bobùs veneràtur àlbis
Clàrus Anchisaé Venerisque sànguis,
Impetrét, bellànte priòr, iacéntem
Lénis in hóstem.
V 2G - Sinalefe per ?K0\ivpiv in dictum est Abbiamo del pan tal sma efe
in vestrum est (v. 'M), Alterum in (v. 67), puerorum amtcas (v 71).
V -38 - La sillaba iniziale di Etruscum è usata in questo verso qual lunga.
v' 47. - Il verso è ipermetro.U^ la sillaba finale que rimane elisa per via
dell'jE;* iniziale dell'adonio seguente.
= 57 =
Iàm mari terràque manùs poténtes
Médus Albanàsque timét secùres;
Iàm Scythaé respònsa petùnt supèrbi
Nùper et Indi.
Iàm Fides et Pax et Honós Pudórque
Priscus et neglécta redire Virtus
Aùdet, àpparètque beata pièno
Còpia còrnu.
Aùgur et fulgènte decòrus àrcu
Phoèbus àcceptùsque novèm Camènis,
Qui salutari levat arte fèssos
Còrporis àrtus,
Si Palàtinàs videt aèquus àrces,
Rèmque Ròmanàm Latiùmque fèlix
Alterum in lustrùm meliùsque sèmper
Pròrogat aèvum.
Quaèque Avèntinùm tenet Algidùmque,
Quindecim Diana precès viròrum
Cùrat et votis puerorum amicas
Applicat aùres.
55
60
65
70
V. 57. — Quando nella quarta sede del verso saffico Orazio pone una pa-
rola monosillaba, ha cura di farla seguire da un'altra pure mono-
sillaba, perchè, facondo diversamente, non potrebbe più trovarsi la
cesura dopo la quinta sillaba e dovrebbe ritirarsi dopo la quarta per
evitare la tmesi della parola la cui sillaba iniziale occuperebbe la
quinta sede. Ciò si osserva pure nei versi alcaici endecasillabi. Di
saffici che in Orazio presentino tale particolarità ne ho contato 17.
V. 69. — Quaeque Aventinum; nota la sinalefe per apostrophum.
V. 70. — L'ultima sillaba della prima dipodia trocaica è breve, mentre
in tutti gli altri versi è lunga, come si ò notato di sopra.
58 =
75
Haéc lovém sentire deósque cùnctos
Spém bonàm certàmque domùm repòrto,
Dóctus et Phoebì chorus et Diànae
Dicere laùdes.
SISTEMA ALCAICO
(ipÌKluXov)
{Lib. I, 37).
Lo schema della strofe alcaica è il seguente:
> - » i
I >.' I
^
—\J \J } VrfWJ W»
Vedesi pertanto che i due primi versi sono uguali. Essi chiamansi emhca-
sillabi alcaici e si compongono ciascuno di una dipodia giambica ipercata-
letta, di un dattilo e di una dipodia trocaica catalettica a ritmo logaedico.
L'un colon è separato dall'altro mediante una dieresi, che Orazio nelle Odi
trascura realmente due sole volte. Il primo piede è raramente un giambo,
mentre nella dieresi ò ammesso lo iato e la sillaba breve. Il terzo verso è un
dimeiro giambico ipercataktto senza, cesura determinata: la sua prima sil-
laba ò pure generalmente lunga. Finalmente il quarto verso o decasillabo
alcaico è a ritmo logaedico con due dattili ed una dipodia trocaica acata-
letta. La sua cesura trovasi molto spesso dopo la quarta sillaba.
Così composta la strofe riesce mirabilmente simmetrica ed euritmica. Il
ritmo ascendente del primo verso si arresta dopo la dieresi, dove comincia il
discendente; ritorna colla stessa intensità nel verso seguente e di nuovo è
sopraffatto dal ritmo logaedico discendente del secondo colon, per ritornare
più poderoso nel terzo e perdersi quindi nella chiusa pacata e tranquilla del
quarto verso a ritmo logaedico e però discendente.
I
/
t
\
= 59 =
Tale mirabile struttuia non si riscontra più nello schema che viene da al-
cuni proposto, per cui la prima parte dei due primi versi ed il terzo avreb-
bero natura trocaica, precedendoli un'anacrusi generalmente lunga, a questo
modo:
:, fi >^ »
/ r — r
Così il contrasto tra il ritmo ascendente ed il discendente, da cui risulta la
bellezza e l'energia della strofe, è tolto via, restando da per tutto il solo ritmo
discendente.
Nunc èst bibéndum, nùnc pede liberò
Pulsànda téllus, nùnc Saliàribùs
Ornare pùlvinàr deòrum
Térapus eràt dapibùs, sodàles.
Antehàc nefàs depròmere Caécubùm 5
Cellis avitis, dùm Capitòliò
Regina démentés ruinas
Fùnus et imperiò paràbat
Contaminato cùm grege tùrpiùm
Morbo virórum, quidlibet impoténs 10
Sperare fòrtunàque dùlci
• Ébria. Séd rainuit furòrem
V. 5. — Antehac è qui parola bisillaba: vi è dunque nel corpo della parola
una sinalefe. Del resto nei poeti scenici tale vocabolo è sempre fatto
di due sillabe. Orazio quindi, tenendolo per tale, non introdusse nulla
di nuovo (Vedi la mia Critica del Testo, p. 3). — Notisi inoltre come
la dieresi sia trascurata, ma solo apparentemente, poiché realmente
per via di tmesi cade dopo la prima parte del composto depròmere a
questo modo:
Antehàc nefàs de||prèmere Caécubùm.
La dieresi con tale tmesi trovasi solo altre due volte in Orazio (I,
16,21; II, 17, 21).
V. 8. — Qui la cesura, se vuoisene tener cont », sarebbe dopo la terza sillaba;
come anche al v. 16 e 28. In tutti gli altri trovasi dopo la quarta.
V. 11. — Gli altri versi di ugual natura, tranne questo, hanno una specie
Opere scolastiche, edizioni Ermanno Loescher
15
20
25
30
= 60 =
Vix una sóspes nàvis ab ignibùs,
Mentémque Ij'mphatàm Mareóticó
Redégit in verós timóres
Caésar, ab Italia volàntem
Remis adùrgens, àccipitér velùt
MoUés colùmbas aùt leporém citùs
Venator in campis nivàlis -
Haémoniaé, daret ut caténis
Fatale mónstrum. Quaé generòsiùs
Perire quaérens néc muliébritér
Expàvit énsem néc laténtes
Classe cita reparàvit óras,
Ausa et iacéntem visere régiàm
Vultù seréno, fórtis et àsperàs
Tractare sérpentés, ut àtrum
Córpore cómbiberét venenum,
Deliberata mòrte feróciór;
Saevis Libùrnis scilicet invidéns;
Privata deduci supèrbo
Non humilis muliér triùmpho.
ì-
di cesura dopo la terza arsi e perciò ad un tempo una dieresi. Per
averla anche qui bisognerebbe fare una tmesi e leggere:
Sperare fortuna\
que duìci,
V. 14. — Qui la dieresi è realmente trascurata, ma a bello studio, come os-
serva il RiTTER, volendo Orazio esprimere cosa insolita e nuova con
una forma di verso del pari insolita.
V. 15. — La prima sillaba è breve, come anche al v. 22.
y, 16. — Italia ha la prima sillaba lunga.
V. 25. Sinalefe per apostrophum in Atisa et.
Fine.
V
Scienza deUtt, MLingua,
ivista di filologria e d'istruzione classica dir. dal prof. Comparetti, Muller e Fleccbia.
t T Prezzo ;iDnuaie ......-....•••\ Archivio glottologico diretto da Ascoli. Voi. I, L. 20—. Voi. II, L. 17—. Voi. Ili, L. 20—.
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Voi. IV, L. 18 -. Voi. V, 1», L. 8 -. Voi. VI, 1«, L. 10-. Voi. VII, 1«, L. 7.
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129949994
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L. 12 —) 13 50
13 5012 —12 —10 —12 —10 —10 —10 —
in cartellaL. 18 -
20 —20 —18 —18 -15 —18 —Id-ia -14 —
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10
510
1010
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1
1
251
221
105
20
5 20
44 —11 506 506 5017 507 5012 —6 50
21 —
5 —84-
15
20
25
30
= 60 =
Vix lina sóspes nàvis ab ignibùs,
Mentémque Ivmphatàm Mareóticó
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Remis adùrgens, àccipitér velùt
Mollós colùmbas aiit leporèm citùs
Venator in campis nivàlis
Haémoniaé, daret ut catènis
Fatale mónstriim. Quaé generósiùs
Perire quaérens néc muliébritér
Expàvit énsem néc laténtes
Classe cita reparàvit óras,
Ausa et iacéntem visere régiàm
Vultù seréno, fórtis et àsperàs
Tractàre sérpentós, ut àtrum
Còrpore cómbiberét venenum,
Deliberata mòrte feròciór;
Saevis Libùrnis scilicet invidéns;
Privata deduci supèrbo
Non humilis muliér triùmpho.
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1
///
J\
di cesura dopo la terza arsi e perciò ad un tempo una dieresi. Per
averla anche qui bisognerebbe fare una tmesi e leggere:
Sperare fortumi\
que dùlct.
V. 14. — Qui la dieresi è realmente trascurata, ma a bello studio, come os-
serva il RiTTEu, volendo Orazio esprimere cosa insolita e nuova con
una forma di ver^^o del pari insolita.
V. 15. — La prima sillaba è breve, come anche al v. 22.
V. 16. — Italia ha la prima sillaba lunga.
V. 25. Sinalefe per apostrophum in Ausa et.
Fine.
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Opere scolastiche, edizioni Ermanno Loescher
Scienza delltt MAittftia.
Rivista di filologia e d'istruiione classica dir. dal prof. Coroparetti, MUller e Flecchia.
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LCastelli G., „
gSSFu^"^" l?„Vir?rl'i°a.tsorirfa^Jc'!col^^'L: 2 cùjseuoo I. volu,.e> e 2» competo :
Guhl e Koner, La vita dei Greci e Romani. Con 864 ine. L. 16 — • • •i-eya'O '
Marselli N Gli avvenimenti del 1870-71. Studio politico e militare. 4 ediz. con due carte »
— La scienza della storia. Voi. I. Le fasi del pensiero storico »
— Le origini dell'umanità ^— La natura e l'incivilimento— Le grandi razze dell'umanità
Ottolenghi li., Vita, studi e lettere di Luiffi Ornato »
— La vita e i tempi di Luigi Provana del Sabbione . ' , 'a ' r ',
Ricotti E . Corso di storia moderna. Voi. I. La rivoluzione protestante. L. 6 — Legato »•
Voi. IL Breve stona della Cost. ingl. L. 6 — » »
Tommaseo N., Storia civile nella letteraria. L. 3 — » »
Turbiglio S., Storia d'Italia: Parte W Medio evo *
Parte 2*. Età moderna . . . • ^..'r*Vannucci A., Studi storici e morali sulla letteratura latina. 3" edizione. L. 5 - Legato »
10 —5 —10 —
10 -10 -
— 5015 —19 -18 503 -4 -2 -1 504 —6 -3 -8 —8 -5 -1 —1 507 —
iii'Ofputfln — SlaUsiica.
G., Geografia elementare . . . . .-..•.• • ', * '.
1 L., Nozioni elementari di geografia, con molte incisioni e carte nel testo"_"
Nozioni di geografia matematica per gli Istituii tecnici, con 40 ••"•""'"
BrancaHugues . _ _ ^,.— Nozioni di geografia matematica per gli Istituii tecnici, con 4U incisioni
— Ele.uenii di geografia ad uso delle scuole tecniche, ginn, e norm. 1 voi. completo
Separatamente. Corso 1°: Geografia generale» IP : Geografia dell'Europa . . . • . -^ ' „ ; •
» IIF : Asia, Africa, Australia e Polinesia, America e Terre Polari
— Nomenclatura di geografia generale ' . * j- ' " •
Maury M. F., Geografia fisica del mare e sua meteorologia, con carte, incis. e diagrammi
Mantovani P., Descrizione geologica della Campagna Romana . . . • •
Modelli di carte geografiche coi gradi di latitudine e longitudine, per facilitare l inse-
"nameato della geografia ed agevolare il disegnar carte geografiche :
Fascicolo 1" Le parti delia terra L. 1 — Fase. 4" Italia e paesi liraitrofl L» 2® 1 paesi d'Europa» 3° Europa centrale
Hellwald F. e Straffbrello Q.,Due volumi con molte incisioni L. 40 , • • •
Stieler e Berghaus, Atlante scolasi, per la geogr. poi. e fis., in 47 carte LLo stesso atlante, edizione scelta in 25 carte
edizione
»
L. 1I
» 1 ]
Menke T., Atlante del mondo antico. 4»
Stieler e Menke, legati insienoe in tela inglese
Kiepert H., Atlante antico in 12 carte. 5* edizione.
Spruner K., Atlante storico-geografico, con 22 carte
Sidow E., Atlante oro-idrografico, con 25 carte
Schiaparelli e Mayr, Nuova carta generale del
9 fogli L. 9. — Montata su tela con bastoni e
Carte murali fotolitografiche : ^ ,.fogli
Italia NO 12
Europa *«
Asia » 1*
Africa » »
America settentrionale .... » 9America meridionale .... » 4
Australia e Nuova Zelanda . . » 9
Emisfero orientale » ^
Emisfero occidentale .... » 9
Terra Santa » 4
1 201 _ » 5° Geografia antica
La Terra e l'Uomo, Geografia universale illustrata.
. Legato10 — . Leg.
» 5 — »5 — »
. L. 10 50. Leg.» 5 — »
Regno d'Italia. Scala di 1,920,000 in
verniciata *
montate su tela con bastoni
sciolti
12 —13 5013 5012 —12 —10 —12 —10 —10 —10 -
in cartella e verniciate
L.»
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Ferraris C , Saggi di economia, statistica e scienza dell'amministrazione ... »
Archivio dì statistica, fondato da T. Pateras. Prezzo dei 4 fascicoli form^ il volume »
Mayr G., l-a statistica e la vita sociale, con introduzione^torica del prof. G^B^baivioni »
20
5 20
44 —11 506 506 5017 507 5012 —6 50
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5 —84-5 —
Opere scolastiche, edi/ionì KriììHnno Loesclier
Bertini e Tosrnoli, Libro V e VI di Euclide L. 3 —Betti E . Teorica delle forze newtoniane » 15 —D iddi G. B., Geometria pratica. Tacheometri e Cleps » 3 —D'Ovidio E., Curve di second'ordine » A —Porta F , Goniometria e tri^'onometria piana »ii50Verprer O e Qarbierl Q , La geometria per le scuole tecniche » 1 50
Koehler E. T., Manuale logaritmico-trigonometrico » 4 —Vegra Q., Manuale logaritaiico-trigonometrico »5 —Heis doti. E , Raccolta di esempi e quesiti d'aritmetica ed algebra . . . » 4 —Blaserna P.,'Sul metodo di diri^'ere i palloni aerostatici, con una tavola litografata » 1 —Klia M , Principii di tecnologia meccanica: Lavorazione dt^i metalli e d^i legnami e. 41 t. » 15 —Olivetti A. e Fadda S., La locomotiva e sua costru/ione ed arte di guidarla 1 vul. » 3 —Prontuario dell'ingegnere pubblicato dalla Società « Hiitte » degli ingegneri Moleschott
e Rossi eoa molte incisioni. Opera completa » 10 —Sacken E., Stili di architettura con note ed aggiunte di R. Brayda, eoa 159 incisioni » 3 —
Fi&9€^ft, €^hÌÈièif€M €• Stafff9 l/fliffril**.
Basso Q., Sunti di fisica sperimentale, eoa 19 tavola litografate L. IO —Ferraris G- , Le proprietà cardinali degli strumenti diottrici » 5 —Naccari o Ballati, Minuale di fisica pratica o guida alle ricerche fisiche sperimentali.
Cun incisioni nel testo. L. IO —•.
. .• • • •^«i'<»'*>
» 12 50
Macaluso dott. D., Introduzione alla termodinamica, con incisioni . . . » 5 —Mohn H., Elementi di meteorologia, con 53 tavole litografate >• 12 —Secchi A., Lezioni di fisica terrestre. Un voi. con 9 tav. lit. e incisioni L. 6 — Legato » 7 —Tapparone-Canefri C, Nozioni semplici ed eleinentari di tìsica, chimica e storia natu-
rale. — Anno I, con 111 fig. Coni Fisica. Chimica e Storia naturalo . . . » 1 8<»
— Anno II con 83 f^g. Contenente Botanica, Zoologia, Geologia ed Igiene . » 1 80— Le Materie prime dt-U'industri » e del commercio » 1 —
Fltickisrer F. A., Chimica farmaceutica (in corso di pubblicazione), cad. fascicolo . » 1 50
Schiff U., Introduzione allo studio della chimica » 4 —Sobrero A., Lezioni di chimi< a docimastica » 12 —Wagner B.., Nuovo trattato di chimica industriale del professore A. Cossa e C. Morbelli.
2 volumi con 337 incisioni. L. 18 — Legalo • 20 -
Doelter C, La determinazione dei minerali petroirraficamente più importanti mediante il
microscopio. Guida all'analisi microscopica delle rocce ...» 1 50
Fileti Prof. M , Tavole di Anali.si Chimici qualitativa, 2" ediz. accre.sc. di nuovu tavole >• !i
Landauer I., Analisi al cannello. Introd alle ricerche chimiche qualitative p^r via seci a » 3 od
Purg-otti E , Saggio di un processo sistematico per la ricerca del radicale acido organico
ed inorganico < he nnsi '-asi più comuni può trovarsi salificato in un liquido . . » 1 50
Scacchi A. e Del Lapo M., Qaadri cristall «grafici . . . . » 1 5<)
Sta-^deler e Kolbe, Guida all'analisi chimica qualitativa dei corpi inorganici 2* ediz. " 2 —Tessari N., Compendio di chimica generale ...-.• »0 —Camerano li., (»li insetti, introduzione ilio studio dell'entomologia, con incisioni . » 8 —Giebel Prof. C. G., e Lessona Prof M.. Manuale di zoologia, con 124 incisioni . » 3 —.„ , . e • Il . . j • . 1 Parte l" Regno animale, con ;22 incisioni . • 3 —Pokorny A., Stona illustrata dei tre
) , j>. j^^J^^ vegetale, con 1529 incmioni. . 2 00regni della natura.:
f , 3, yì^ì^qo minerale, con 200 incisioni . . -.^ —— Id. Edizione in un volume L. 7 50 Lsgatu • 9 —
Tavole murali per la storia naturale
„ e Parte 1* Mammiferi. 5 grandi u-gli contenenti 159 fig. colorate L. 20 )Kegno \ ^ g» Uccelli, 5 grandi fogli contenenti 195 fig colorate » 2t> S » oO —animale
( ^ 3, ^nfi^jj^ p^sci, molluschi, insetti, ecc., cun 342 fig. color. » 20 ) ,
Retino vegetale: 5 grandi fogli contenenti 150 figure colorate » 20 — '
Eger L., Il raccoglitore naturalista. Guida pratica per raccogliere, preparare e con»er-
vare i corpi naturali organici e inorganici del Prof. Lessona . • * ' ^ 4.
Jervis G., I tesori sotterranei dell'Italia. Parte 1» Le Alpi L. IO — Parte 2« L'Apennino . 15 — 1^
— Guida alle acque minerali d'Italia coll'indicazione delPe proprieià tìsiche, chimiche e
mediche. Provincie centrali L. 6 — Provincie meridionali L. 10 — . . . » lo
— Dell'oro in natura »4 —
Klencke E , Macrobiotica o l'arte di conservar la salute . . . . .L. 3 —
Laura S., Doveri di madre. L'igiene della giovine famiglia. L. 3,50 . . . .* o —
— Guida igienica pei bagni, ossia doveri dell'uomo verso la sua pelle . . .» 1
—Cardona F., Dell'igiene popolare in Roma »1 —
Schreiber G , Il disegno lineare per le scuole tecniche normali e professionali di C. F.^
Biscarra. con 450 incisioni • •L. 3 oO
Tirone e Macari, Album di disegno topografico contenente 12 tavole litografiche » 4 —— Album di disegno topografico contenente 14 tavole litografiche . .
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« caNoè E.. Manuale di stenografia, secondo il sistema di Gabelsberger, con 26 tav. 5 ed. »
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Tedpschi. L'arte della stenografia. Sua origine, storia ed utilità, con 2 tav. litogr. .* £ —
Alibrandi G , Manuale di Musica ad uso <\".s\ì in^et:iiunti .-1 -"im. . » .< ou
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