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CROCE – TEOLOGIA DELLA RELIGIONE, TEOLOGIA DELLE RELIGIONI Il corso è incentrato sul dialogo religioso, e più ancora il rapporto tra la fede cattolica e le altre religioni. Dalla Ecclesiam Suam al dibattito degli anni Duemila con la Dominus Iesus. Ecclesiam suam, cap. III Lumen Gentium 13-17 (cap. II) Ad Gentes 2-14 Nostra Aetate Dignitatis Humanae Gaudium et spes – impostazione e nr. 22 Redemptoris Missio (1990), Dialogo e missione (1984), Dialogo e annuncio (1991) Cristianesimo e religioni (1996) Dominus Jesus (2000) V. Croce, La Chiesa e la coscienza della sua missione nel mondo dopo il CVII , Archivio Teologico Torinese 8 (2002), pp. 427-447 Jacques Dupuis, Verso una teologia cristiana del dialogo religioso (Queriniana 1997) Giacomo Canobbio, Nessuna salvezza fuori dalla Chiesa? (Queriniana 2009). Si vedranno le diverse fasi del dibattito, per comprendere quale necessità ci sia della Chiesa per la salvezza degli uomini. La AG sviluppa quanto già detto dalla LG, ma in forma più ariosa. Poi ci sono testi più tecnici: NA – rapporto con l’ebraismo, allargandosi anche alle altre religioni

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Page 1: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE  · Web viewCome deve premunirsi dal pericolo d'un relativismo che intacchi la sua fedeltà dogmatica e morale? Ma come insieme farsi idonea

CROCE – TEOLOGIA DELLA RELIGIONE, TEOLOGIA DELLE RELIGIONI

Il corso è incentrato sul dialogo religioso, e più ancora il rapporto tra la fede cattolica e le altre religioni. Dalla Ecclesiam Suam al dibattito degli anni Duemila con la Dominus Iesus.

Ecclesiam suam, cap. IIILumen Gentium 13-17 (cap. II)Ad Gentes 2-14Nostra AetateDignitatis HumanaeGaudium et spes – impostazione e nr. 22Redemptoris Missio (1990), Dialogo e missione (1984), Dialogo e annuncio (1991)Cristianesimo e religioni (1996)Dominus Jesus (2000)V. Croce, La Chiesa e la coscienza della sua missione nel mondo dopo il CVII, Archivio Teologico Torinese 8 (2002), pp. 427-447Jacques Dupuis, Verso una teologia cristiana del dialogo religioso (Queriniana 1997)

Giacomo Canobbio, Nessuna salvezza fuori dalla Chiesa? (Queriniana 2009).

Si vedranno le diverse fasi del dibattito, per comprendere quale necessità ci sia della Chiesa per la salvezza degli uomini.La AG sviluppa quanto già detto dalla LG, ma in forma più ariosa.Poi ci sono testi più tecnici: NA – rapporto con l’ebraismo, allargandosi anche alle altre religioni

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Che cos’è la religione? È difficile da definire. La religione è un fenomeno che si esplica in tre fenomeni: Il divino che è quanto sta prima o sta sotto, come fondamento della vita nel senso più ampio del termine, e pure sopra, trascendente, oltre (la morte, l’uomo…). Il sentimento religioso è quindi la consapevolezza che c’è un “oltre”.RITO – una pratica che ha uno scopo: propiziare, onorare, ringraziare la divinità. Così Roma si faceva sempre raccontare dai sacerdoti del popolo conquistato quale fossero i riti da continuare a fare per avere il favore degli dei. La preghiera per i romani è “fatigare deos” cioè stancare gli dei per strappare loro favori e grazie. Si riconosce la superiorità della divinità. Il rito ha anche valore apotropaico, per scacciare delle negatività (o procurare negatività ad avversari).CREDENZA – è la prima in ordine logico, che si esprime nella forma del mito che orienta la mia vita a un significato; la forma del dogma è tipica del cattolicesimo. LEGGI/TABU’ – in certe religioni sembra un elemento preponderante. Dicono che cosa fare o – più spesso – non fare (tabù). Riferiti a relazioni, cibo, vestiti, linguaggio. Almeno occorre osservare quello che “non si deve fare”, cioè non infrangere i tabù.

POLITEISMO o MONOTEISMO?Il cattolicesimo dice che prima nasce il monoteismo (verità originaria), poi si corrompe e va recuperato. Si alternano diverse tesi. Per Rudolf Otto (“Il sacro”, 1917) la religione non è un elemento che sta accanto agli altri (come invece sostiene Benedetto Croce: “non possiamo non dirci cristiani”), ma è un aspetto singolare, che vive su se stesso e per se stesso, è un sentimento innato dentro di te, che non può esser fondato, spiegato o giustificato.Altra visione è quella dei maestri del sospetto: il primo è Comte, che parla della legge dei tre stadi (teologico, metafisico, scientifico); poi Marx (“oppio dei popoli” è la religione); Freud (la religione è un insieme di tabù che ripropone l’oppressione dell’autorità paterna); Nietzsche (oscilla tra diverse posizioni, fino a dire che il cristianesimo è la religione dei deboli perché accetta la croce, contro l’idea del super-uomo che è legge a se stesso; in altri luoghi esalta Cristo, sempre però rilevandone l’incompiutezza).

4 tipi di relazione col divino (poli/mono)- Rituale - il divino, attraverso una certa pratica cultuale, mi garantisce dei beni (salute, soldi,

amore)- Mistica - non devi ottenere qualcosa dal divino ma adeguarti al corso cosmico e al divino; la

route dell’est è legata alla mistica, la route dell’ovest invece è legata al potere e all’ottenere quanto desiderato (Th. de Chardin).

- Razionalistica (illuminismo, religione naturale)- La religione della Parola – io non so che cosa è bene per me, e anzitutto sono “uditore della

Parola” (K. Rahner), che mi rivela quanto di mio non ho, né potrei elaborare. In questo ambito rientrano Ebrei, Cristiani, Islam.

1- Enciclica “ECCLESIAM SUAM”, in particolare cap 3 sul dialogo 2- Costituzione dogmatica “LUMEN GENTIUM”: nr. 13-173- Decreto conciliare “AD GENTES”4- Dichiarazione conciliare “NOSTRA AETATE” e decreto “DIGNITAS HUMANAE”

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Enciclica “ECCLESIAM SUAM” (ES)

1) Introduzione generale al documento

1. Tratta del rapporto del cristianesimo con le religioni in generale2. scritta da Paolo VI prima della quarta sessione del concilio, pubblicata 6/8/64 → stile “paolino”3. stile omiletico- esortativo4. scopo: illustrare l'idea di Chiesa che sarà meta del concilio

Chiesa: che cosa dici di te stessa? Chi sei secondo la tua coscienza più vera?→ Ad intra: costituzione essenziale, che viene prima della struttura gerarchica (liturgia e parola)→ Ad extra: in rapporto col mondo

Conclusione: la Chiesa è MISTERO-> è una realtà storica che traduce storicamente il mistero della salvezza-> mistero inteso come soggetto storico, nel senso di popolo di Dio

La Chiesa sente grazie allo Spirito Santo di essere: - mistero di salvezza = luogo in cui si compie la salvezza - soggetto storico, popolo di Dio in cammino=> ES sottolinea che la Chiesa è mandata per l'umanità-> deve stare dentro l'umanità perché l'umanità sia più umana

Questa coscienza di essere* mistero* soggetto storico mandato all'umanità

-> deve impegnare la chiesa *a RINNOVARSI: da quando la chiesa è nata l'uomo tende a ricadere nella vecchiezza del peccato* a COGLIERE I SEGNI DEI TEMPI: cogliere gli aspetti positivi del nostro tempo alla luce del Vangelo (maggiore dignità dei lavoratori, delle donne...)

A proposito di RINNOVAMENTO (=aggiornamento) cfr. discorso inaugurale del CVII:Papa Gv 23 parla dei motivi della convocazione del Concilio->

- per promuovere, non per condannare- la chiesa deve portare avanti se stessa e cosi rinnovare l'umanità- la Chiesa deve realizzare un AGGIORNAMENTO = cogliere i segni dei tempi alla luce del

vangelo in modo da essere più evidente nel suo messaggio.

2) Il DIALOGO (capitolo 3)

Lo stile del dialogo comincia dal vangelo stesso.Gesu usa affermazioni forti a favore della tolleranza: " Chi non è contro di me è con me".Paolo: " Mi sono fatto tutto a tutti..."=> L'impegno del cristiano è quello di annunciare il vangelo in modo pacifico e con spirito di accoglienza.* Il cristiano è NEL mondo, ma non DEL mondo

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* Il cristiano è portatore della PACE di Cristo= pace autentica: "non come ve la dà il mondo" (è la pace della croce, che paga per gli altri)

Su questa base evangelica la chiesa si dedica al dialogo col mondo => distanza rispetto all'atteggiamento precedente (la chiesa proponeva con autorità)<-> Pio XII: insegnante della verità, è intervenuto su tutto (anche sul compito delle ostetriche) => la chiesa non aveva bisogno di dialogo/ confronto => ora: * la chiesa si fa dialogante mettendosi alla pari* necessità di comunicare ascoltando* per convertire il mondo, bisogna ascoltare e parlargli (Paolo VI)

La religione stessa è DIALOGO CON DIOIn un rapporto personale c'è un TU, DIO a cui si domanda amore e attenzione (<=> ANIMISMO: c'è solo da meditare e stare dentro, la divinità non è personale, ma è tutto intorno a me)Così deve essere anche la nostra MISSIONE, caratterizzata dal dialogo => pur essendo " annuncio di verità indiscutibile, di salute necessaria", essa tuttavia non può essere caratterizzata dalla coercizione, bensì dalla persuasioneSebbene: *La verità è indiscutibile, non possiamo metterla in discussione* per arrivare alla salvezza bisogna passare attraverso la chiesa (di salute necessaria)=> bisogna mantenere uno stile di dialogo e rispetto che significa attenzione verso l'altro

Col CVII l'atteggiamento della Chiesa cambia:si passa dall' INCARNAZIONISMO =====> all' ESCATOLOGISMOINCARNAZIONISMO= incarnare il cristianesimo nel mondo, guadagnare il mondo a Cristo (il cristianesimo sotto Pio XII si è sentito in dovere di fare strutture cattoliche: es. partito, scuola...)ESCATOLOGISMO = il regno di Dio è fatto da Dio stesso, sarà sempre parziale, mai definitivo (es. Carlo Carretto: dall' Azione Cattolica ai Piccoli Fratelli di Gesù, dall'impegno al silenzio)

L'atteggiamento del cristiano dovrà sempre essere di correttezza/ stima/ simpatia* esclude la polemica, la condanna aprioristica, la chiacchiera inutile* annuncio non per convertire, ma per capire, per trovare insieme la strada della salvezza verso Gesù Cristo

CARATTERISTICHE del dialogo

1- CHIAREZZA2- MITEZZA3- FIDUCIA4- PRUDENZA

CHIAREZZANon devi contaminare il messaggio per raccogliere il consenso dell'interlocutore.

MITEZZA*Si impara da Gesù, mite e umile di cuore.*"Abbiate in voi gli stessi sentimenti di CG...non fate nulla per vanagloria"*Il mite è l'opposto del prepotente che vuole imporre le sue idee=> stile di Gesù* Il cristiano è convinto che l'autorità della verità è intrinseca alla verità stessa (la mitezza non è per accattivarsi l'interlocutore, poiché la parola stessa ha la sua forza)

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FIDUCIA* Nell'interlocutore: anche lui (perfino l'ateo) può arrivare alla verità* Nella potenza della grazia* Nella parola di Dio

PRUDENZA*Dire le cose in modo corretto e adattarsi alla psicologia dell'interlocutore* Non "dare le perle ai porci" = non svilire la verità

PERICOLI del dialogo

*IRENISMO: pace a tutti i costi*SINCRETISMO: metto insieme tutte le religioni perché penso che in nessuna sia possibile arrivare alla verità

=> entrambe sono forme di SCETTICISMO E NON SONO VERO DIALOGO

L'enciclica sottolinea la supremazia insostituibile della PREDICAZIONE= forza dell'annuncio evangelico con la parola DA PERSONA A PERSONA => dire e spiegare(<=> neanche la stampa e l'immagine hanno questa forza)=> EDUCAZIONE = aver qualcosa da dire a qualcuno

INTERLOCUTORI del dialogoIl Vangelo va annunciato secondo cerchi concentrici, dall'esterno:(ATEI ( CREDENTI IN DIO = le grandi religioni monoteistiche ( FRATELLI SEPARATIATEI* Dovunque è l'uomo, possiamo comunicare con lui* è possibile rivolgersi a qualsiasi ateo* con atteggiamento disinteressato, positivo, partendo addirittura dal punto di vista della negazione di DioL'ateo vive un dramma, non capisce che la rivelazione non è in contrasto con la felicità (cfr. De Lubac, "Il dramma dell'umanesimo ateo)

Il dialogo con l'ateo è difficile, ma va provato:* cercando i motivi del turbamento alla base della sua negazione di Dio* riconducendo a Dio il sogno di giustizia e di progresso (va fatto emergere il bisogno di trascendente)

LE GRANDI RELIGIONI

*La persuasione cristiana è che esista un’unica vera rivelazione (= una fede che assume anche forme religiose)* Si possono accostare le altre religioni con fiducia

FRATELLI SEPARATI* espressione coniata da Papa Gv 23 che abolì la condanna nei cfr. Atenagora (chiusura del CVII)

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ECCLESIAM SUAM – Capitolo III - IL DIALOGO

60. (…) la Chiesa si distingue profondamente dall'ambiente umano, in cui essa pur vive, o a cui essa si avvicina.61. Il Vangelo ci fa avvertire tale distanza e tale distinzione quando ci parla del mondo, dell'umanità cioè avversa al lume della fede e al dono della grazia; dell'umanità, che si esalta in un ingenuo ottimismo credendo bastino a se stessa le proprie forze per dare di sé espressione piena, stabile e benefica (…). Il Vangelo (…) non cede tuttavia né all'illusione della bontà naturale dell'uomo quasi a sé sufficiente e di null'altro bisognoso che d'essere lasciato libero di effondersi arbitrariamente, né alla disperata rassegnazione alla corruzione insanabile dell'umana natura. Il Vangelo è luce, è novità, è energia, è rinascita, è salvezza: “Non vogliate conformarvi a questo mondo; trasformatevi e rinnovatevi invece nella mente (…)” ci ammonisce san Paolo.62. Questa diversità della vita cristiana dalla vita profana deriva ancora dalla realtà e dalla conseguente coscienza della giustificazione prodotta in noi dalla nostra comunicazione col mistero pasquale, con il santo Battesimo innanzitutto (…).

Vivere nel mondo ma non del mondo64. (…) La pedagogia cristiana dovrà ricordare sempre all'alunno dei tempi nostri questa sua privilegiata condizione e questo suo conseguente dovere di vivere nel mondo ma non del mondo, secondo il voto stesso sopra ricordato di Gesù a riguardo dei suoi discepoli: “Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo”. E la Chiesa fa proprio tale voto.65. Ma questa distinzione non è separazione. Anzi non è indifferenza, non è timore, non è disprezzo. Quando la Chiesa si distingue dall'umanità non si oppone ad essa, anzi si congiunge. Come il medico, che, conoscendo le insidie d'una pestilenza, cerca di guardare sé e gli altri da tale infezione, ma nello stesso tempo si consacra alla guarigione di coloro che ne sono colpiti, così la Chiesa (…) amore per chiunque le sia vicino e per chiunque, nel suo sforzo comunicativo universale, le sia possibile avvicinare.

Missione da compiere, annuncio da diffondere66. Se davvero la Chiesa, come dicevamo, ha coscienza di ciò che il Signore vuole ch'ella sia, sorge in lei una singolare pienezza e un bisogno di effusione, con la chiara avvertenza d'una missione che la trascende, d'un annuncio da diffondere. È il dovere dell'evangelizzazione. È il mandato missionario. È l'ufficio apostolico. (…) “Andate, dunque, istruite tutte le genti” è l'estremo mandato di Cristo ai suoi Apostoli. Questi nel nome stesso di Apostoli definiscono la propria indeclinabile missione. Noi daremo a questo interiore impulso di carità, che tende a farsi esteriore dono di carità, il nome, oggi diventato comune, di dialogo.

Il dialogo67. La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio.Paolo VI intende proseguire la linea dei suoi predecessori - Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII – “nel medesimo sforzo di avvicinare il mondo, nel quale la Provvidenza Ci ha destinati a vivere, con ogni riverenza, con ogni premura, con ogni amore, per comprenderlo, per offrirgli i doni di verità e di grazia di cui Cristo Ci ha resi depositari” (71).

La religione dialogo fra Dio e l'uomo72. Ecco, Venerabili Fratelli, l'origine trascendente del dialogo. Essa si trova nell'intenzione stessa di Dio. La religione è di natura sua un rapporto tra Dio e l'uomo. La preghiera esprime a dialogo tale rapporto. La rivelazione, cioè la relazione soprannaturale che Dio stesso ha preso

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l'iniziativa di instaurare con la umanità, può essere raffigurata in un dialogo, nel quale il Verbo di Dio si esprime nell'Incarnazione e quindi nel Vangelo. Il colloquio paterno e santo, interrotto tra Dio e l'uomo a causa del peccato originale, è meravigliosamente ripreso nel corso della storia. (…)

Superiori caratteristiche del colloquio della salvezza75. Il dialogo della salvezza partì dalla carità, dalla bontà divina: Dio ha talmente amato il mondo da dare il suo Figliuolo unigenito: non altro che amore fervente e disinteressato dovrà muovere il nostro.77. Il dialogo della salvezza non obbligò fisicamente alcuno ad accoglierlo; (…). Così la Nostra missione, anche se è annuncio di verità indiscutibile e di salute necessaria, non si presenterà armata di esteriore coercizione, ma solo per le vie legittime dell'umana educazione, dell'interiore persuasione, della comune conversazione offrirà il suo dono di salvezza, sempre nel rispetto della libertà personale e civile.78. Il dialogo della salvezza fu reso possibile a tutti; a tutti senza discriminazione alcuna destinato; il nostro parimenti dev'essere potenzialmente universale, cattolico cioè e capace di annodarsi con ognuno, salvo che l'uomo assolutamente non lo respinga o insinceramente finga di accoglierlo.79. Il dialogo della salvezza ha conosciuto normalmente delle gradualità, degli svolgimenti successivi, (…). Non per questo il nostro dialogo rimanderà al domani ciò che oggi può compiere (…).

Il messaggio cristiano nella circolazione dell'umano discorso80. (…) il rapporto della Chiesa col mondo, senza precludersi altre forme legittime, possa meglio raffigurarsi in un dialogo, e neppure questo in modo univoco, ma adattato all'indole dell'interlocutore e delle circostanze di fatto (altro è infatti il dialogo con un fanciullo ed altro con un adulto; altro con un credente ed altro con un non credente). (…)

Chiarezza mitezza fiducia prudenza83. Il colloquio è perciò un modo d'esercitare la missione apostolica; è un'arte di spirituale comunicazione. Suoi caratteri sono i seguenti. La chiarezza innanzi tutto; il dialogo suppone ed esige comprensibilità, è un travaso di pensiero, è un invito all'esercizio delle superiori facoltà dell'uomo; basterebbe questo suo titolo per classificarlo fra i fenomeni migliori dell'attività e della cultura umana; e basta questa sua iniziale esigenza per sollecitare la nostra premura apostolica a rivedere ogni forma del nostro linguaggio: se comprensibile, se popolare, se eletto. Altro carattere è poi la mitezza, quella che Cristo ci propose d'imparare da Lui stesso: “Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore”; il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l'esempio che propone; non è comando, non è imposizione. È pacifico; evita i modi violenti; è paziente; è generoso. La fiducia, tanto nella virtù della parola propria, quanto nell'attitudine ad accoglierla da parte dell'interlocutore: promuove la confidenza e l'amicizia; intreccia gli spiriti in una mutua adesione ad un Bene, che esclude ogni scopo egoistico.84. La prudenza pedagogica infine, la quale fa grande conto delle condizioni psicologiche e morali di chi ascolta: se bambino, se incolto, se impreparato, se diffidente, se ostile; e si studia di conoscere la sensibilità di lui, e di modificare, ragionevolmente, se stesso e le forme della propria presentazione per non essergli ingrato e incomprensibile.85. Nel dialogo, così condotto, si realizza l'unione della verità con la carità, dell'intelligenza con l'amore.

Dialettica di autentica sapienza86. Nel dialogo si scopre come diverse sono le vie che conducono alla luce della fede, e come sia possibile farle convergere allo stesso fine. Anche se divergenti, possono diventare complementari,

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(…) ci farà scoprire elementi di verità anche nelle opinioni altrui, ci obbligherà ad esprimere con grande lealtà il nostro insegnamento e ci darà merito per la fatica d'averlo esposto all'altrui obiezione, all'altrui lenta assimilazione. Ci farà sapienti, ci farà maestri.

Come avvicinare i fratelli nella interezza della verità90. Fino a quale grado la Chiesa deve uniformarsi alle circostanze storiche e locali in cui svolge la sua missione? Come deve premunirsi dal pericolo d'un relativismo che intacchi la sua fedeltà dogmatica e morale? Ma come insieme farsi idonea a tutti avvicinare per tutti salvare, secondo l'esempio dell'Apostolo: “Mi son fatto tutto a tutti, perché tutti io salvi”? Non si salva il mondo dal di fuori; (…). Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell'uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo. Bisogna farsi fratelli degli uomini nell'atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri. Il clima del dialogo è l'amicizia. Anzi il servizio. (…).91. Ma il pericolo rimane. L'arte dell'apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. (…) L'irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo.

Supremazia insostituibile della predicazione94. (…) la somma importanza che la predicazione cristiana conserva, ed assume oggi maggiormente, nel quadro dell'apostolato cattolico, e cioè, per quanto ora ci riguarda, del dialogo. Nessuna forma di diffusione del pensiero, anche se tecnicamente assurta, con la stampa e con i mezzi audiovisivi, a straordinaria potenza, la sostituisce. Apostolato e predicazione, in un certo senso, si equivalgono (…).

Con chi il dialogo97. (…) la Chiesa cattolica oggi (…) dev'essere pronta a sostenere il dialogo con tutti gli uomini di buona volontà, dentro e fuori l'ambito suo proprio.98. Nessuno è estraneo al suo cuore. Nessuno è indifferente per il suo ministero. Nessuno le è nemico, che non voglia egli stesso esserlo. Non indarno si dice cattolica; non indarno è incaricata di promuovere nel mondo l'unità, l'amore, la pace.99. La Chiesa non ignora (…) i limiti delle sue forze; conosce perfino le proprie umane debolezze, i propri falli; (…). Ma la Chiesa sa d'essere seme, d'essere fermento, d'essere sale e luce del mondo. (…) E allora la Chiesa ha un messaggio per ogni categoria di uomini: lo ha per i bambini, lo ha per la gioventù, lo ha per gli uomini di scienza e di pensiero, lo ha per il mondo del lavoro e per le classi sociali, lo ha per gli artisti, lo ha per i politici e per i governanti. Per i poveri specialmente, per i diseredati, per i sofferenti, perfino per i morenti. Per tutti.

Primo cerchio: tutto ciò che è umano101. Vi è un primo, immenso cerchio, di cui non riusciamo a vedere i confini; essi si confondono con l'orizzonte; cioè riguardano l'umanità in quanto tale, il mondo. Noi misuriamo la distanza che da noi lo tiene lontano; ma non lo sentiamo estraneo. Tutto ciò ch'è umano ci riguarda. (…). Dovunque è l'uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare con lui; (…).

La negazione di Dio: ostacolo al dialogo103. Noi sappiamo però che in questo cerchio sconfinato sono molti, moltissimi purtroppo, che non professano alcuna religione; sappiamo anzi che molti, in diversissime forme, si professano atei. E sappiamo che vi sono alcuni che della loro empietà fanno professione aperta e la sostengono come programma di educazione umana e di condotta politica, nella ingenua ma fatale persuasione

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di liberare l'uomo da concezioni vecchie e false della vita e del mondo, per sostituirvi, dicono, una concezione scientifica e conforme alle esigenze del moderno progresso.104. È questo il fenomeno più grave del nostro tempo. Siamo fermamente convinti che la teoria su cui si fonda la negazione di Dio (…) non è una liberazione, ma un dramma che tenta di spegnere la luce del Dio vivente. (…).105. Sono queste le ragioni che ci obbligano, come hanno obbligato i Nostri Predecessori e con essi quanti hanno a cuore i valori religiosi, a condannare i sistemi ideologici negatori di Dio e oppressori della Chiesa, sistemi spesso identificati in regimi economici, sociali e politici, e tra questi specialmente il comunismo ateo. (…)106. L'ipotesi d'un dialogo si fa assai difficile in tali condizioni, per non dire impossibile (…).

Anche nel silenzio un vigile amore108. Ma se ferma e franca dev'essere l'affermazione e la difesa della religione e dei valori umani ch'essa proclama e sostiene, non è senza pastorale riflessione che noi cerchiamo di cogliere nell'intimo spirito dell'ateo moderno i motivi del suo turbamento e della sua negazione. (…) Li vediamo invasi dall'ansia, pervasa da passionalità e da utopia, ma spesso altresì generosa, d'un sogno di giustizia e di progresso, verso finalità sociali divinizzate, surrogati dell'Assoluto e del Necessario, (…). Li vediamo valersi, talora con ingenuo entusiasmo, d'un ricorso rigoroso alla razionalità umana nell'intento di dare una concezione scientifica dell'universo; (…). Li vediamo anche talvolta mossi da nobili sentimenti, sdegnosi della mediocrità e dell'egoismo di tanti ambienti sociali contemporanei, e abili ad usurpare al nostro Vangelo forme e linguaggio di solidarietà e di compassione umana: non saremo un giorno capaci di ricondurre alle sorgenti, che pur sono cristiane, tali espressioni di valori morali?

Dialogo per la pace110. (…) L'apertura d'un dialogo, come vuol essere il Nostro, disinteressato, obbiettivo, leale, decide per se stessa in favore d'una pace libera ed onesta (…) e non può non estendersi dalle relazioni al vertice delle nazioni a quelle del corpo delle nazioni stesse e alle basi sia sociali, che familiari e individuali, per diffondere in ogni istituzione ed in ogni spirito il senso, il gusto, il dovere della pace.

Secondo cerchio: i credenti in Dio111. Poi intorno a noi vediamo delinearsi un altro cerchio, immenso anche questo, ma da noi meno lontano: è quello degli uomini innanzi tutto che adorano il Dio unico e sommo, quale anche noi adoriamo; alludiamo ai figli, degni del nostro affettuoso rispetto, del popolo ebraico, fedeli alla religione che noi diciamo dell'Antico Testamento; e poi agli adoratori di Dio secondo la concezione della religione monoteistica, di quella musulmana specialmente, meritevoli di ammirazione per quanto nel loro culto di Dio vi è di vero e di buono; e poi ancora i seguaci delle grandi religioni afroasiatiche. (…) noi dobbiamo manifestare la nostra persuasione essere unica la vera religione ed essere quella cristiana, e nutrire speranza che tale sia riconosciuta da tutti i cercatori e adoratori di Dio.112. Ma non vogliamo rifiutare il nostro rispettoso riconoscimento ai valori spirituali e morali delle varie confessioni religiose non cristiane, vogliamo con esse promuovere e difendere gli ideali, che possono essere comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona cultura, della beneficenza sociale e dell'ordine civile. (…).

Terzo cerchio: i Cristiani Fratelli separati113. Ed ecco il cerchio, a Noi più vicino, del mondo che a Cristo s'intitola. In questo campo il dialogo, che ha assunto la qualifica di ecumenico, è già aperto; in alcuni settori è già in fase di iniziale e positivo svolgimento. (…) Noi siamo disposti a studiare come assecondare i legittimi desideri dei Fratelli cristiani, tuttora da noi separati. Nulla tanto ci può essere più ambito che di

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abbracciarli in una perfetta unione di fede e di carità. Ma dobbiamo pur dire che non è in Nostro potere transigere sull'integrità della fede e sulle esigenze della carità. (…)114. Un pensiero, a questo riguardo, Ci affligge (…). Non si dice da alcuni che, se fosse rimosso il primato del Papa, l'unificazione delle Chiese separate con la Chiesa cattolica sarebbe più facile? Vogliamo supplicare i Fratelli separati a considerare la inconsistenza di tale ipotesi; e non già soltanto perché, senza il Papa, la Chiesa cattolica non sarebbe più tale; ma perché, mancando nella Chiesa di Cristo l'ufficio pastorale sommo, efficace e decisivo di Pietro, l'unità si sfascerebbe; (…) primato di servizio, di ministero, di amore. Non è vana retorica quella che al Vicario di Cristo attribuisce il titolo di servo dei servi di Dio.

Auspici e speranze116. (…) Vogliamo implorare il soffio dello Spirito Santo sul «movimento ecumenico»; vogliamo ripetere la Nostra commozione ed il Nostro gaudio per l'incontro pieno di carità e non meno di nuova speranza che abbiamo avuto a Gerusalemme con il Patriarca Atenagora; (…).

Il dialogo nell'interno della Chiesa cattolica118. Questo desiderio d'improntare i rapporti interiori della Chiesa dello spirito proprio d'un dialogo fra membri d'una comunità, di cui la carità è principio costitutivo, non toglie l'esercizio della virtù dell'obbedienza (…).119. Per obbedienza perciò svolta a dialogo intendiamo l'esercizio dell'autorità tutto pervaso dalla coscienza di essere servizio e ministero di verità e di carità; (…).

Oggi più che mai la Chiesa è viva!121. Noi siamo lieti e confortati osservando che un tale dialogo all'interno della Chiesa, e per l'esterno che la circonda, è già in atto: la Chiesa è viva oggi più che mai! Ma a ben considerare sembra che tutto ancora resti da fare; il lavoro comincia oggi e non finisce mai. È questa la legge del nostro pellegrinaggio sulla terra e nel tempo. È questo l'ufficio consueto, Venerabili Fratelli, del nostro ministero, cui oggi tutto stimola a farsi nuovo, vigile, intenso.Dato a Roma, presso San Pietro nella Festa della Trasfigurazione di nostro Signore Gesù Cristo, il 6 agosto dell'anno 1964, secondo del Nostro Pontificato. 

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LUMEN GENTIUM cap13-17

Sviluppa i punti della ES relativi a (1) stile del dialogo e (2) interlocutori a centri concentrici

Siamo nel contesto del II capitolo ÷ chiesa come POPOLO DI DIOPOPOLO eletto, convocato da Dio per vivere come popolo

- sacerdotale: sacerdozio comune ordinato- profetico: chiesa fatta da persone chiamate a capire, annunciare il messaggio evangelico- regale: signoria di servizio, come Gesù

<=> Primo capitolo - chiesa come MISTERO = opera di dio stesso0 è il padre che ha inventato la chiesa come salvezza nella comunione0 è il figlio che l’ha istituita e la coagula nel suo corpo0 è lo Spirito Santo che la convoca e la espande, diffonde, la ringiovanisce

LG si sofferma sull' UNIVERSALITA' della chiesa cattolica = mandata A TUTTILa chiesa è simile alla punta di una piramide al centro di un insieme di cerchi concentrici

Appartengono PIENAMENTE alla chiesa coloro che…1 Battezzati 2 accettano la vera fede e la professano 3 accettano struttura gerarchica Sacramenti (non solo fede interiore) Primato petrino

0 Appartengono quasi pienamente gli ortodossi0 " un po' meno pienamente i protestanti0 Sono orientati alla chiesa i credenti delle grandi religioni monoteistiche

Anche chi è alla ricerca di Dio e si professa ateo può in qualche modo appartenere alla chiesa=÷ quale tipo di desiderio fa sì che una persona possa essere salvata (e dunque appartenga alla chiesa)?Il VOTO IMPLICITO = desiderio implicito di fare tutto ciò che è gradito a Dio, "cercare il bene e il vero"

Vale il principio patristico: FUORI DALLA CHIESA NON C'È SALVEZZA (Cipriano)ma: l'appartenenza si può avere in modo graduale (non solo chi ha FEDE / SACRAMENTI / GERARCHIA)*Chi, conoscendo la chiesa come unica arca di salvezza, la rifiuta: è fuori* Si può essere nella chiesa col corpo (1,2,3) e non col cuore: negando l'amore col peccato (si verrà giudicati più severamente)La Chiesa è struttura di salvezza per tutti, ma questa necessità di appartenenza può essere accolta in vari modi

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LUMEN GENTIUM 13-17

L'unico popolo di Dio è universale13. Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l'intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi (cfr. Gv 11,52). A questo scopo Dio mandò il Figlio suo, (…) mandò lo Spirito del Figlio suo, Signore e vivificatore, il quale per tutta la Chiesa e per tutti e singoli i credenti è principio di associazione e di unità, nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (cfr. At 2,42).In tutte quindi le nazioni della terra è radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo regno non terreno ma celeste. (…) la Chiesa, cioè il popolo di Dio, introducendo questo regno nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che esse hanno di buono e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva. (…) Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l'umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell'unità dello Spirito di lui.In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale e per uno sforzo comune verso la pienezza nell'unità. Ne consegue che il popolo di Dio non solo si raccoglie da diversi popoli, ma nel suo stesso interno si compone di funzioni diverse. Poiché fra i suoi membri c'è diversità sia per ufficio, essendo alcuni impegnati nel sacro ministero per il bene dei loro fratelli, sia per la condizione e modo di vita, dato che molti nello stato religioso, tendendo alla santità per una via più stretta, sono un esempio stimolante per i loro fratelli. Così pure esistono legittimamente in seno alla comunione della Chiesa, le Chiese particolari, con proprie tradizioni, rimanendo però integro il primato della cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità, tutela le varietà legittime e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non pregiudichi l'unità, ma piuttosto la serva. (…)Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini senza eccezione , che la grazia di Dio chiama alla salvezza.

I fedeli cattolici14. Il santo Concilio si rivolge quindi prima di tutto ai fedeli cattolici. Esso, basandosi sulla sacra Scrittura e sulla tradizione, insegna che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza; ora egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Gv 3,5), ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta. Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare. Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo, accettano integralmente la sua organizzazione e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e che inoltre, grazie ai legami costituiti dalla professione di fede, dai sacramenti, dal governo ecclesiastico e dalla comunione, sono uniti, nell'assemblea visibile della Chiesa, con il Cristo che la dirige mediante il sommo Pontefice e i vescovi. Non si salva, però, anche se incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col «corpo», ma non col «cuore». Si ricordino bene tutti i figli della Chiesa che la loro privilegiata condizione non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, non

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solo non si salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati [27].I catecumeni che per impulso dello Spirito Santo desiderano ed espressamente vogliono essere incorporati alla Chiesa, vengono ad essa congiunti da questo stesso desiderio, e la madre Chiesa li avvolge come già suoi con il proprio amore e con le proprie cure.

I cristiani non cattolici e la Chiesa15. La Chiesa sa di essere per più ragioni congiunta con coloro che, essendo battezzati, sono insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede o non conservano l'unità di comunione sotto il successore di Pietro. Ci sono infatti molti che hanno in onore la sacra Scrittura come norma di fede e di vita, manifestano un sincero zelo religioso, credono amorosamente in Dio Padre onnipotente e in Cristo, figlio di Dio e salvatore, sono segnati dal battesimo, col quale vengono congiunti con Cristo, anzi riconoscono e accettano nelle proprie Chiese o comunità ecclesiali anche altri sacramenti. Molti fra loro hanno anche l'episcopato, celebrano la sacra eucaristia e coltivano la devozione alla vergine Madre di Dio. A questo si aggiunge la comunione di preghiere e di altri benefici spirituali; anzi, una certa vera unione nello Spirito Santo, poiché anche in loro egli opera con la sua virtù santificante per mezzo di doni e grazie e ha dato ad alcuni la forza di giungere fino allo spargimento del sangue. Così lo Spirito suscita in tutti i discepoli di Cristo desiderio e attività, affinché tutti, nel modo da Cristo stabilito, pacificamente si uniscano in un solo gregge sotto un solo Pastore. E per ottenere questo la madre Chiesa non cessa di pregare, sperare e operare, esortando i figli a purificarsi e rinnovarsi perché l'immagine di Cristo risplenda più chiara sul volto della Chiesa.

I non cristiani e la Chiesa16. Infine, quanto a quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, anch'essi in vari modi sono ordinati al popolo di Dio. In primo luogo quel popolo al quale furono dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cfr. Rm 9,4-5), popolo molto amato in ragione della elezione, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (cfr. Rm 11,28-29). Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali, professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso che giudicherà gli uomini nel giorno finale. Dio non è neppure lontano dagli altri che cercano il Dio ignoto nelle ombre e sotto le immagini, poiché egli dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa (cfr At 1,7,25-26), e come Salvatore vuole che tutti gli uomini si salvino (cfr. 1 Tm 2,4). Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita. Ma molto spesso gli uomini, ingannati dal maligno, hanno errato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che il Creatore (cfr. Rm 1,21 e 25), oppure, vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale. Perciò la Chiesa per promuovere la gloria di Dio e la salute di tutti costoro, memore del comando del Signore che dice: «Predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15), mette ogni cura nell'incoraggiare e sostenere le missioni.

Carattere missionario della Chiesa17. Come infatti il Figlio è stato mandato dal Padre, così ha mandato egli stesso gli apostoli (cfr. Gv

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20,21) dicendo: «Andate dunque e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto quanto vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20). E questo solenne comando di Cristo di annunziare la verità salvifica, la Chiesa l'ha ricevuto dagli apostoli per proseguirne l'adempimento sino all'ultimo confine della terra (cfr. At 1,8). (…) Predicando il Vangelo, la Chiesa dispone coloro che l'ascoltano a credere e a professare la fede, li dispone al battesimo, li toglie dalla schiavitù dell'errore e li incorpora a Cristo per crescere in lui mediante la carità finché sia raggiunta la pienezza. Procura poi che quanto di buono si trova seminato nel cuore e nella mente degli uomini o nei riti e culture proprie dei popoli, non solo non vada perduto, ma sia purificato, elevato e perfezionato a gloria di Dio, confusione del demonio e felicità dell'uomo. Ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di disseminare, per quanto gli è possibile, la fede (…). Così la Chiesa unisce preghiera e lavoro, affinché il mondo intero in tutto il suo essere sia trasformato in popolo di Dio, corpo mistico di Cristo e tempio dello Spirito Santo, e in Cristo, centro di tutte le cose, sia reso ogni onore e gloria al Creatore e Padre dell'universo.

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AD GENTES – decreto sull’attività missionaria della Chiesa (1965)

Documento ampio, arioso, uno degli ultimi approvati dal CVII.

Nella prima parte tratta (1) dei PRINCIPI della missione e (2) della MODALITÀ della missione (=dialogo)Idea fondamentale: la chiesa è sacramento universale di salvezza (cfr. LG E GS)

FONDAMENTI della dottrina della missione cattolica- La chiesa è missionaria per sua stessa natura- La missione è fondata sulla Trinità (su missioni del Figlio e dello Spirito Santo)- La missione nasce dalla carità di Dio, fonte dell'amore (il padre è amore fontale)- La carità comunicata nello Spirito Santo alla Chiesa è:

A-PRINCIPIO B-CONTENUTO C-METODO D-FINE della missione- stima della persona come dono di Dio- scopo ultimo è la comunione-unità tra le persone (cfr. LG: la chiesa è come un sacramento,

la carità tradotta nella forma della sacramentalità)

Sviluppo dei punti 2-3-4 paralleli alla LG

La chiesa si fonda su (1) amore fontale del Padre, (2) sacrificio del Figlio, (3) azione dello Spirito Santo

La missione si basa sull’ amore fontale del PADRE > mandato di CRISTO > azione interiore dello SPIRITO SANTO.

Il mandato di CRISTO non è solo esterno (comando), ma un modello (egli stesso è stato missione)Il mandato ha sfumature diverse nei 4 evangelisti:

- Mc: annuncio (kerygma)- Mt: discepolato- Lc (Atti): predicazione e perdono dei peccati- Gv: invio Spirito Santo

L'Antico Testamento prepara il vangeloQualsiasi religione può preparare il vangelo mettendo l'attenzione su DioIl fine della missione è stabilire una COMUNICAZIONE INTIMA tra gli uomini

Reale incarnazione del FIGLIO > Gesù NUOVO ADAMO > UMANESIMO cristianoGesu si è fatto vero uomo come modello di umanità -ha assunto natura umana completa ("ha pensato, amato, agito come uomo..." – cfr. GS 22)

La missione del FIGLIO è partecipata a noi che diventiamo FIGLI NEL FIGLIO

LO SPIRITO SANTO è colui che agisce dal di dentro = maestro interiore (vs Gesù maestro esteriore)Lo SS si fa presente a tutti gli uominiÈ lo SS che opera nella chiesa (cfr Atti) => la TESTIMONIANZA è il punto estremo della missione-> parola ("non possiamo tacere")-> carità (mense per i poveri, assistenza alle vedove, santo comunismo)-> testimonianza fino a sofferenza e morte-martirio

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AD GENTES (2-14)

1. Inviata per mandato divino alle genti per essere «sacramento universale di salvezza» la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della sua cattolicità ed all'ordine specifico del suo fondatore, si sforza di portare l'annuncio del Vangelo a tutti gli uomini. Ed infatti gli stessi apostoli, sui quali la Chiesa fu fondata, seguendo l'esempio del Cristo, «predicarono la parola della verità e generarono le Chiese». È pertanto compito dei loro successori perpetuare quest'opera, perché «la parola di Dio corra e sia glorificata» (2 Ts 3,1) ed il regno di Dio sia annunciato e stabilito su tutta quanta la terra.(…) affinché tutto sia restaurato in Cristo e gli uomini costituiscano in lui una sola famiglia ed un solo popolo di Dio.Pertanto questo santo Sinodo (…) desidera esporre i principi dell'attività missionaria (…).

CAPITOLO I - PRINCIPI DOTTRINALI

Il piano divino di salvezza2. La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine.Questo piano scaturisce dall'amore nella sua fonte, cioè dalla carità di Dio Padre. Questi essendo il principio senza principio da cui il Figlio è generato e lo Spirito Santo attraverso il Figlio procede, per la sua immensa e misericordiosa benevolenza liberatrice ci crea ed inoltre per grazia ci chiama a partecipare alla sua vita e alla sua gloria; egli per pura generosità ha effuso e continua ad effondere la sua divina bontà, in modo che, come di tutti è il creatore, così possa essere anche «tutto in tutti» (1 Cor 15,28), procurando insieme la sua gloria e la nostra felicità. Ma piacque a Dio chiamare gli uomini a questa partecipazione della sua stessa vita non tanto in modo individuale e quasi senza alcun legame gli uni con gli altri, ma di riunirli in un popolo, nel quale i suoi figli dispersi si raccogliessero nell'unità.

La missione del Figlio3. Questo piano universale di Dio per la salvezza del genere umano non si attua soltanto in una maniera per così dire segreta nell'animo degli uomini, o mediante quelle iniziative anche religiose, con cui essi variamente cercano Dio, nello sforzo di raggiungerlo magari a tastoni e di trovarlo, quantunque egli non sia lontano da ciascuno di noi (cfr. At 17,27): tali iniziative infatti devono essere illuminate e raddrizzate, anche se per benigna disposizione della divina Provvidenza possono costituire in qualche caso un avviamento pedagogicamente valido verso il vero Dio o una preparazione al Vangelo. Ma Dio, al fine di stabilire la pace, cioè la comunione con sé, e di realizzare tra gli uomini stessi - che sono peccatori - una unione fraterna, decise di entrare in maniera nuova e definitiva nella storia umana, inviando il suo Figlio a noi con un corpo simile al nostro, per sottrarre a suo mezzo gli uomini dal potere delle tenebre e del demonio ed in lui riconciliare a sé il mondo. Colui dunque, per opera del quale aveva creato anche l'universo Dio lo costituì erede di tutte quante le cose, per restaurare tutto in lui.Ed in effetti Cristo Gesù fu inviato nel mondo quale autentico mediatore tra Dio e gli uomini. Poiché è Dio, in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9); nella natura umana, invece, egli è il nuovo Adamo, è riempito di grazia e di verità (cfr. Gv 1,14) ed è costituito capo dell'umanità nuova. Pertanto il Figlio di Dio ha percorso la via di una reale incarnazione per rendere gli uomini partecipi della natura divina; per noi egli si è fatto povero, pur essendo ricco, per arricchire noi con la sua povertà. Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto dei molti, cioè di tutti. I santi Padri affermano costantemente che non fu redento quel che da Cristo non fu assunto. Ora egli assunse la natura umana completa, quale essa esiste in noi, infelici e poveri, ma una natura che in lui è senza

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peccato. (…) Ora tutto quanto il Signore ha una volta predicato o in lui si è compiuto per la salvezza del genere umano, deve essere annunziato e diffuso fino all'estremità della terra, a cominciare da Gerusalemme. In tal modo quanto una volta è stato operato per la salvezza di tutti, si realizza compiutamente in tutti nel corso dei secoli.

La missione dello Spirito Santo4.-Per il raggiungimento di questo scopo, Cristo inviò da parte del Padre lo Spirito Santo, perché compisse dal di dentro la sua opera di salvezza e stimolasse la Chiesa a estendersi. Indubbiamente lo Spirito Santo operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato. Ma fu nel giorno della Pentecoste che esso si effuse sui discepoli, per rimanere con loro in eterno; la Chiesa apparve ufficialmente di fronte alla moltitudine ed ebbe inizio attraverso la predicazione la diffusione del Vangelo in mezzo ai pagani; infine fu prefigurata l'unione dei popoli nell'universalità della fede attraverso la Chiesa della Nuova Alleanza, che in tutte le lingue si esprime e tutte le lingue nell'amore intende e abbraccia, vincendo così la dispersione babelica. (…) E lo stesso Signore Gesù, prima di immolare in assoluta libertà la sua vita per il mondo, organizzò il ministero apostolico e promise l’invio dello Spirito Santo, in modo che entrambi collaborassero, sempre e dovunque, nella realizzazione dell'opera della salvezza (…) infondendo nel cuore dei fedeli quello spirito missionario da cui era stato spinto Gesù stesso. (…).

La missione della Chiesa5. Il Signore Gesù, fin dall'inizio «chiamò presso di sé quelli che voleva e ne costituì dodici che stessero con lui e li mandò a predicare» (Mc 3,13; cfr. Mt 10,1-42) (28). Gli apostoli furono dunque ad un tempo il seme del nuovo Israele e l'origine della sacra gerarchia. In seguito, (…) prima di salire al cielo (30), fondò la sua Chiesa come sacramento di salvezza ed inviò i suoi apostoli nel mondo intero, come egli a sua volta era stato inviato dal Padre e comandò loro: «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che io vi ho comandato» (Mt 28,19-20); «Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; chi invece non crederà, sarà condannato» (Mc16,15). Da qui deriva alla Chiesa l'impegno di diffondere la fede e la salvezza del Cristo (…).Pertanto la missione della Chiesa si esplica attraverso un'azione tale, per cui essa, in adesione all'ordine di Cristo e sotto l'influsso della grazia e della carità dello Spirito Santo , si fa pienamente ed attualmente presente a tutti gli uomini e popoli, per condurli (…) partecipare pienamente al mistero di Cristo.Questa missione continua, sviluppando nel corso della storia la missione del Cristo, inviato appunto a portare la buona novella ai poveri (…). E spesso anche il sangue dei cristiani fu seme fecondo.

L'attività missionaria della Chiesa6. Questo compito, che l'ordine episcopale, a capo del quale si trova il successore di Pietro, deve realizzare con la collaborazione e la preghiera di tutta la Chiesa, è uno ed immutabile in ogni luogo ed in ogni situazione, anche se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo. Le differenze quindi, che pur vanno tenute presenti in questa attività della Chiesa, non nascono dalla natura intrinseca della sua missione, ma solo dalle circostanze in cui la missione stessa si esplica.Tali condizioni dipendono sia dalla Chiesa, sia dai popoli, dai gruppi umani o dagli uomini, a cui la missione è indirizzata. Difatti la Chiesa, pur possedendo in forma piena e totale i mezzi atti alla salvezza, né sempre né subito agisce o può agire in maniera completa: nella sua azione, tendente alla realizzazione del piano divino, essa conosce inizi e gradi; anzi talvolta, dopo inizi felici, deve registrare dolorosamente un regresso, o almeno si viene a trovare in uno stadio di inadeguatezza e di insufficienza. Per quanto riguarda poi gli uomini, i gruppi e i popoli, solo gradatamente essa può

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raggiungerli e conquistarli, assumendoli così nella pienezza cattolica. A qualsiasi condizione o stato devono poi corrispondere atti appropriati e strumenti adeguati.Le iniziative principali con cui i divulgatori del Vangelo, andando nel mondo intero, svolgono il compito di predicarlo e di fondare la Chiesa in mezzo ai popoli ed ai gruppi umani che ancora non credono in Cristo, sono chiamate comunemente «missioni»: esse si realizzano appunto con l'attività missionaria e si svolgono per lo più in determinati territori riconosciuti dalla santa Sede. Fine specifico di questa attività missionaria è la evangelizzazione e la fondazione della Chiesa in seno a quei popoli e gruppi umani in cui ancora non è radicata. Così è necessario che dal seme della parola di Dio si sviluppino Chiese particolari autoctone, fondate dovunque nel mondo in numero sufficiente. Chiese che, ricche di forze proprie e di una propria maturità e fornite adeguatamente di una gerarchia propria, unita al popolo fedele, nonché di mezzi consoni al loro genio per viver bene la vita cristiana, portino il loro contributo a vantaggio di tutta quanta la Chiesa. Il mezzo principale per questa fondazione è la predicazione del Vangelo di Gesù Cristo (…).In questa attività missionaria della Chiesa si verificano a volte condizioni diverse e mescolate le une alle altre: prima c'è l'inizio o la fondazione, poi il nuovo sviluppo o periodo giovanile. Ma, anche terminate queste fasi, non cessa l'azione missionaria della Chiesa: tocca anzi alle Chiese particolari già organizzate continuarla, predicando il Vangelo a tutti quelli che sono ancora al di fuori.(…) È evidente quindi che l'attività missionaria scaturisce direttamente dalla natura stessa della Chiesa essa ne diffonde la fede salvatrice, ne realizza l'unità cattolica diffondendola, si regge sulla sua apostolicità, mette in opera il senso collegiale della sua gerarchia, testimonia infine, diffonde e promuove la sua santità. (…) la divisione dei cristiani è infatti di grave pregiudizio alla santa causa della predicazione del Vangelo a tutti gli uomini ed impedisce a molti di abbracciare la fede. Così la necessità della missione chiama tutti i battezzati a radunarsi in un solo gregge ed a rendere testimonianza in modo unanime a Cristo, loro Signore, di fronte alle nazioni. (…)

La missione prevede un unico compito con diverse modalità-> teologia missionaria: si sviluppa dalla seconda metà 800 a prima metà 900= secolo missionario per eccellenza

Ragioni dell'attività missionaria7. La ragione dell'attività missionaria discende dalla volontà di Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Vi è infatti un solo Dio, ed un solo mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo, uomo anche lui, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,4-6), «e non esiste in nessun altro salvezza» (At 4,12). È dunque necessario che tutti si convertano al Cristo conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa, ed a lui e alla Chiesa, suo corpo, siano incorporati attraverso il battesimo (39). Cristo stesso infatti, «ribadendo espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Mc 16,16; Gv3,5), ha confermato simultaneamente la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano, per così dire, attraverso la porta del battesimo. Per questo non possono salvarsi quegli uomini i quali, pur sapendo che la Chiesa cattolica è stata stabilita da Dio per mezzo di Gesù Cristo come istituzione necessaria, tuttavia rifiutano o di entrare o di rimanere in essa». Benché quindi Dio, attraverso vie che lui solo conosce, possa portare gli uomini che senza loro colpa ignorano il Vangelo a quella fede «senza la quale è impossibile piacergli», è tuttavia compito imprescindibile della Chiesa, ed insieme suo sacrosanto diritto, diffondere il Vangelo; di conseguenza l'attività missionaria conserva in pieno - oggi come sempre - la sua validità e necessità. (…) Grazie a questa attività missionaria, (…) si realizza il piano di Dio, a cui Cristo in spirito di obbedienza e di amore si consacrò per la gloria del Padre che l'aveva mandato che tutto il genere umano costituisca un solo popolo di Dio, si riunisca nell'unico corpo di Cristo, sia edificato in un solo tempio dello Spirito Santo; tutto ciò, mentre favorisce la concordia fraterna, risponde all'intimo

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desiderio di tutti gli uomini. Così finalmente si compie davvero il disegno del Creatore, che creò l'uomo a sua immagine e somiglianza, quando tutti quelli che sono partecipi della natura umana, rigenerati in Cristo per mezzo dello Spirito Santo, riflettendo insieme la gloria di Dio, potranno dire: «Padre nostro».

Necessità della chiesa per la salvezzaNecessita di cristo > chiesa > battesimo => essa è affermata in NT: Mc ("chi crederà e sarà battezzato sarà salvo") -> necessità di fede e battesimoLa necessità della FEDE è assoluta (cfr. Ebrei: "senza fede è impossibile piacere a Dio")La necessità del BATTESIMO è di minor grado: es. Martiri; il battesimo può essere non ricevuto senza colpa

Fede e battesimo dicono la salvezza della chiesa:- la fede fa appello alla chiesa (il vangelo è ricevuto dalla chiesa)- la chiesa trasmette la fede (= trasmette il vangelo)- fede e battesimo sono implicati in successione:La fede che (1) Dio esiste ed (2) è remuneratore (Ebr 11, 6)LA FEDE può essere presente anche dove non c'è la chiesa, né il battesimo

L'attività missionaria nella vita e nella storia8. L'attività missionaria è anche intimamente congiunta con la natura umana e con le sue aspirazioni. Difatti la Chiesa, per il fatto stesso che annuncia loro il Cristo, rivela agli uomini in maniera genuina la verità intorno alla loro condizione e alla loro vocazione integrale, poiché è Cristo il principio e il modello dell'umanità nuova, cioè di quell'umanità permeata di amore fraterno, di sincerità, di spirito di pace, che tutti vivamente desiderano. Cristo e la Chiesa, che a lui con la sua predicazione evangelica rende testimonianza, superano i particolarismi di razza e di nazionalità, sicché a nessuno e in nessun luogo possono apparire estranei. Il Cristo è la verità e la via, che la predicazione evangelica a tutti svela, facendo loro intendere le parole da lui stesso pronunciate: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). E poiché chi non crede è già condannato, è evidente che le parole di Cristo sono insieme parole di condanna e di grazia, di morte e di vita. (…) Ora nessuno di per se stesso e con le sue forze riesce a liberarsi dal peccato e ad elevarsi in alto, nessuno è in grado di affrancarsi dalla sua debolezza, dalla sua solitudine o dalla sua schiavitù, tutti han bisogno del Cristo come di un esempio, di un maestro, di un liberatore, di un salvatore, come di colui che dona la vita. Ed effettivamente nella storia umana, anche dal punto di vista temporale, il Vangelo ha sempre rappresentato un fermento di libertà e di progresso, e si presenta sempre come fermento di fraternità, di umiltà e di pace. Ben a ragione, dunque, Cristo viene esaltato dai fedeli come «l'atteso delle genti ed il loro salvatore».

La missione cristiana raggiunge L'UOMO e aiuta lo sviluppo dell'umanità più vera.Cristo è il principio esemplare dell'umanità nuovaLa missione non è deprimere l'umanità, ma aiutarla (<-> Carducci massone: Gesù è venuto a portare all'uomo sofferenza e tormento inutile)Gesù è necessario a tutti per ESSERE VERI UOMINI: => il vangelo ha portato un fermento di LIBERTA E PROGRESSO, in prospettiva escatologica: una SPERANZA ATTIVALa speranza è alimentata da DESIDERIO (no rassegnazione) e FIDUCIA e da IMPEGNO

La missione si fonda dunque su:DESIDERIO che tutti conoscano GesùFIDUCIA che Dio opera nel mondo (nascosta presenza di dio tra i pagani)IMPEGNO: nelle altre culture ci sono elementi di verità e di grazia che la missione deve 1- riconoscere 2- purificare 3- elevare (portarli al livello di Gesù cristo) => ciò fa parte del dialogo

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Carattere escatologico dell'attività missionaria9. Pertanto, il periodo dell'attività missionaria si colloca tra la prima e la seconda venuta di Cristo, in cui la Chiesa, qual messe, sarà raccolta dai quattro venti nel regno di Dio. Prima appunto della venuta del Signore, il Vangelo deve essere annunziato a tutte le nazioni.L'attività missionaria non è altro che la manifestazione, cioè l'epifania e la realizzazione, del piano divino nel mondo e nella storia: con essa Dio conduce chiaramente a termine la storia della salvezza. Con la parola della predicazione e con la celebrazione dei sacramenti, di cui è centro e vertice la santa eucaristia, essa rende presente il Cristo, autore della salvezza. Purifica dalle scorie del male ogni elemento di verità e di grazia presente e riscontrabile in mezzo ai pagani per una segreta presenza di Dio e lo restituisce al suo autore, cioè a Cristo, che distrugge il regno del demonio e arresta la multiforme malizia del peccato. Perciò ogni elemento di bene presente e riscontrabile nel cuore e nell'anima umana o negli usi e civiltà particolari dei popoli , non solo non va perduto, ma viene sanato, elevato e perfezionato per la gloria di Dio, la confusione del demonio e la felicità dell'uomo. Così l'attività missionaria tende alla sua pienezza escatologica, grazie ad essa, infatti, (…) cresce il corpo mistico fino alla misura dell'età della pienezza di Cristo (…).

CAPITOLO II - L'OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA

Introduzione10. La Chiesa, che da Cristo è stata inviata a rivelare ed a comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini ed a tutti i popoli, comprende che le resta ancora da svolgere un'opera missionaria ingente. Ben due miliardi di uomini infatti - ed il loro numero cresce di giorno in giorno - uniti in grandi raggruppamenti e determinati da vincoli culturali stabili, da tradizioni religiose antiche o da salde relazioni sociali, o non hanno ancora o hanno appena ascoltato il messaggio evangelico. Di essi alcuni seguono una delle grandi religioni, altri restano ancora estranei all'idea stessa di Dio, altri ne negano dichiaratamente l'esistenza, anzi talvolta l'avversano (…).

Art. 1 - La testimonianza cristianaTestimonianza di vita e dialogo11. È necessario che la Chiesa sia presente in questi raggruppamenti umani attraverso i suoi figli, che vivono in mezzo ad essi o ad essi sono inviati. Tutti i cristiani infatti, dovunque vivano, sono tenuti a manifestare con l'esempio della loro vita e con la testimonianza della loro parola l'uomo nuovo, di cui sono stati rivestiti nel battesimo, e la forza dello Spirito Santo, da cui sono stati rinvigoriti nella cresima; sicché gli altri, vedendone le buone opere, glorifichino Dio Padre e comprendano più pienamente il significato genuino della vita umana e l'universale legame di solidarietà degli uomini tra loro.Ma perché essi possano dare utilmente questa testimonianza, debbono stringere rapporti di stima e di amore con questi uomini, riconoscersi come membra di quel gruppo umano in mezzo a cui vivono, e prender parte, attraverso il complesso delle relazioni e degli affari dell'umana esistenza, alla vita culturale e sociale. Così debbono conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che vi si trovano nascosti; (…) debbono conoscere gli uomini in mezzo ai quali vivono ed improntare le relazioni con essi ad un dialogo sincero e comprensivo (…).

Presenza della carità12. La presenza dei cristiani nei gruppi umani deve essere animata da quella carità con la quale Dio ci ha amato: egli vuole appunto che anche noi reciprocamente ci amiamo con la stessa carità. Ed effettivamente la carità cristiana si estende a tutti, senza discriminazioni razziali, sociali o religiose, senza prospettive di guadagno o di gratitudine. (…) così anche la Chiesa attraverso i suoi

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figli si unisce a tutti gli uomini di qualsiasi condizione, ma soprattutto ai poveri ed ai sofferenti, prodigandosi volentieri per loro (…).I fedeli debbono impegnarsi, collaborando con tutti gli altri, alla giusta composizione delle questioni economiche e sociali. Si applichino con particolare cura all'educazione dei fanciulli e dei giovani nei vari ordini di scuole, che vanno considerate non semplicemente come un mezzo privilegiato per la formazione e lo sviluppo della gioventù cristiana, ma insieme come un servizio di primaria importanza per gli uomini e specialmente per le nazioni in via di sviluppo, in ordine all'elevazione della dignità umana ed alla preparazione di condizioni più umane. Portino ancora i cristiani il loro contributo ai tentativi di quei popoli che, lottando contro la fame, l'ignoranza e le malattie, si sforzano per creare migliori condizioni di vita e per stabilire la pace nel mondo (…).La Chiesa tuttavia, non desidera affatto intromettersi nel governo della città terrena. Essa non rivendica a se stessa altra sfera di competenza, se non quella di servire gli uomini amorevolmente e fedelmente, con l'aiuto di Dio. (…) intendono promuovere la loro dignità e la loro unione fraterna, insegnando le verità religiose e morali che Cristo ha illuminato con la sua luce, e così gradualmente aprire una via sempre più perfetta verso il Signore.

Il primo elemento evangelico è la TESTIMONIANZA (cfr papa Francesco: si evangelizza ANCHE parlando)

Art. 2 - La predicazione del Vangelo e la riunione del popolo di DioEvangelizzazione e conversione13. Ovunque Dio apre una porta della parola per parlare del mistero del Cristo (…) Solo così i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo, crederanno e liberamente si convertiranno al Signore (…). Una tale conversione va certo intesa come un inizio: eppure è sufficiente perché l'uomo avverta che, staccato dal peccato, viene introdotto nel mistero dell'amore di Dio, che lo chiama a stringere nel Cristo una relazione personale con lui. Difatti, sotto l'azione della grazia di Dio, il neo-convertito inizia un itinerario spirituale in cui, trovandosi già per la fede in contatto con il mistero della morte e della risurrezione, passa dall'uomo vecchio all'uomo nuovo che in Cristo trova la sua perfezione (…) progressivamente nel tempo del catecumenato (…).La Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo in cui rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni sia distolto dalla fede stessa. Secondo una prassi antichissima nella Chiesa, i motivi della conversione vanno bene esaminati, e, se è necessario, purificati.

Catecumenato e iniziazione cristiana14. Coloro che da Dio, tramite la Chiesa, hanno ricevuto il dono della fede in Cristo, siano ammessi nel corso di cerimonie liturgiche al catecumenato. Questo, lungi dall'essere una semplice esposizione di verità dogmatiche e di norme morali, costituisce una vera scuola di formazione, debitamente estesa nel tempo, alla vita cristiana, in cui appunto i discepoli vengono in contatto con Cristo, loro maestro. Perciò i catecumeni siano convenientemente iniziati al mistero della salvezza ed alla pratica della morale evangelica, e mediante dei riti sacri, da celebrare successivamente, siano introdotti nella vita religiosa, liturgica e caritativa del popolo di Dio.In seguito, liberati grazie ai sacramenti dell'iniziazione cristiana dal potere delle tenebre, morti e sepolti e risorti insieme con il Cristo, ricevono lo Spirito di adozione a figli e celebrano il memoriale della morte e della resurrezione del Signore con tutto il popolo di Dio. (…) Questa iniziazione cristiana nel corso del catecumenato non deve essere soltanto opera dei catechisti o dei sacerdoti, ma di tutta la comunità dei fedeli, soprattutto dei padrini, in modo che i catecumeni avvertano immediatamente di appartenere al popolo di Dio (…).

Art. 3 - La formazione della comunità cristiana (nn. 15-18)La comunità cristiana / Il clero indigeno / Catechisti / Promozione della vita religiosa

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CAPITOLO III - LE CHIESE PARTICOLARI (nn. 19-22)Il progresso delle giovani Chiese / L'attività missionaria delle Chiese particolari / L'apostolato dei laici / Tradizioni particolari nell'unità ecclesiale

CAPITOLO IV - I MISSIONARILa vocazione missionaria23. Benché l'impegno di diffondere la fede ricada su qualsiasi discepolo di Cristo in proporzione alle sue possibilità Cristo Signore chiama sempre dalla moltitudine dei suoi discepoli quelli che egli vuole, per averli con sé e per inviarli a predicare alle genti. Perciò egli, per mezzo dello Spirito Santo, che distribuisce come vuole i suoi carismi per il bene delle anime (115), accende nel cuore dei singoli la vocazione missionaria e nello stesso tempo suscita in seno alla Chiesa quelle istituzioni che si assumono come dovere specifico il compito della evangelizzazione che appartiene a tutta quanta la Chiesa.Difatti sono insigniti di una vocazione speciale coloro che, forniti di naturale attitudine e capaci per qualità ed ingegno, si sentono pronti a intraprendere l'attività missionaria, siano essi autoctoni o stranieri: sacerdoti, religiosi e laici (…).Spiritualità missionaria / Formazione spirituale e morale / Formazione dottrinale e apostolica / Gli istituti missionari (nn. 24-27)

CAPITOLO V - L'ORGANIZZAZIONE DELL'ATTIVITÀ MISSIONARIA (nn. 28-34)Introduzione28. I cristiani, avendo carismi differenti, devono collaborare alla causa del Vangelo, ciascuno secondo le sue possibilità, i suoi mezzi, il suo carisma e il suo ministero. Tutti dunque, coloro che seminano e coloro che mietono, coloro che piantano e coloro che irrigano, devono formare una cosa sola, affinché «tendendo tutti in maniera libera e ordinata allo stesso scopo» indirizzino in piena unanimità le loro forze all'edificazione della Chiesa (…).

Organizzazione generale29. Poiché il compito di annunciare dappertutto nel mondo il Vangelo riguarda primariamente il collegio episcopale, il sinodo dei vescovi, cioè «la commissione permanente dei vescovi per la Chiesa universale», tra gli affari di importanza generale deve seguire con particolare sollecitudine l'attività missionaria, che è il dovere più alto e più sacro della Chiesa. Per tutte le missioni e per tutta l'attività missionaria uno soltanto deve essere il dicastero competente, ossia quello di «Propaganda Fide», cui spetta di regolare e di coordinare in tutto quanto il mondo, sia l'opera missionaria in se stessa, sia la cooperazione missionaria (…).

CAPITOLO VI - LA COOPERAZIONE (35-41)Tutti i fedeli devono cooperare all'apostolato missionario36. Tutti i fedeli, quali membra del Cristo vivente, a cui sono stati incorporati ed assimilati mediante il battesimo, la cresima e l'eucaristia, hanno lo stretto obbligo di cooperare all'espansione e alla dilatazione del suo corpo, sì da portarlo il più presto possibile alla sua pienezza.Pertanto tutti i figli della Chiesa devono avere la viva coscienza della loro responsabilità di fronte al mondo, devono coltivare in se stessi uno spirito veramente cattolico e devono spendere le loro forze nell'opera di evangelizzazione. (…) Una tale testimonianza di vita raggiungerà più facilmente il suo effetto se verrà data insieme con gli altri gruppi cristiani, secondo le norme contenute nel decreto relativo all'ecumenismo.

CONCLUSIONE42. I Padri conciliari, (…) a coloro specialmente che soffrono persecuzioni per il nome di Cristo, e si associano alle loro sofferenze.

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NOSTRA AETATE – Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (1965)

È una dichiarazione molto breveTema: rapporto del cristianesimo con le religioni non cristianeImpegno: promuovere unità nella carità tra uomini

Introduzione1. Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l'interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane. Nel suo dovere di promuovere l'unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino.I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra; hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti finché gli eletti saranno riuniti nella città santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove le genti cammineranno nella sua luce.Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell'uomo: la natura dell'uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l'origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l'ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo.

Le diverse religioni2. Dai tempi più antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una certa sensibilità a quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana, ed anzi talvolta vi riconosce la Divinità suprema o il Padre. Questa sensibilità e questa conoscenza compenetrano la vita in un intimo senso religioso.Quanto alle religioni legate al progresso della cultura, esse si sforzano di rispondere alle stesse questioni con nozioni più raffinate e con un linguaggio più elaborato. Così, nell'induismo gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia; cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza. Nel buddismo, secondo le sue varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di questo mondo mutevole e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema per mezzo dei propri sforzi o con l'aiuto venuto dall'alto. Ugualmente anche le altre religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari modi, l'inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri.La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.Tuttavia essa annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è «via, verità e vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose.

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Essa perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi.

Nelle varie religioni gli uomini cercano risposta all'enigma della condizione umana attraverso:(1) Riti, (2) leggi, (3) credenze

Mentre il cristianesimo è una religione rivelata: non è frutto della ricerca umana, ma è associata a tutte le religioni e cerca dialogo per vivere insieme (la convergenza dottrinale non è al primo posto)Le religioni coltivano il senso del sacro e bisogna cercare in esse elementi positivi (cfr AG)

La religione musulmana3. La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno.Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà.

La religione ebraica4. Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo.La Chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti.Essa confessa che tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo secondo la fede, sono inclusi nella vocazione di questo patriarca e che la salvezza ecclesiale è misteriosamente prefigurata nell'esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù. Per questo non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell'Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l'Antica Alleanza, e che essa stessa si nutre dalla radice dell'ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell'ulivo selvatico che sono i gentili. La Chiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli Ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso. Inoltre la Chiesa ha sempre davanti agli occhi le parole dell'apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua stirpe: «ai quali appartiene l'adozione a figli e la gloria e i patti di alleanza e la legge e il culto e le promesse, ai quali appartengono i Padri e dai quali è nato Cristo secondo la carne» (Rm 9,4-5), figlio di Maria vergine.Essa ricorda anche che dal popolo ebraico sono nati gli apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, e così quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo di Cristo.Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata; gli Ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione (10). Tuttavia secondo l'Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento. Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e «lo serviranno sotto uno stesso giogo» (Sof 3,9).

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Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo.E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo.E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo.La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque. In realtà il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza. Il dovere della Chiesa, nella sua predicazione, è dunque di annunciare la croce di Cristo come segno dell'amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia.

Fraternità universale5. Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio. L'atteggiamento dell'uomo verso Dio Padre e quello dell'uomo verso gli altri uomini suoi fratelli sono talmente connessi che la Scrittura dice: «Chi non ama, non conosce Dio » (1 Gv 4,8).Viene dunque tolto il fondamento a ogni teoria o prassi che introduca tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano.In conseguenza la Chiesa esecra, come contraria alla volontà di Cristo, qualsiasi discriminazione tra gli uomini e persecuzione perpetrata per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione. E quindi il sacro Concilio, seguendo le tracce dei santi apostoli Pietro e Paolo, ardentemente scongiura i cristiani che, «mantenendo tra le genti una condotta impeccabile» (1 Pt 2,12), se è possibile, per quanto da loro dipende, stiano in pace con tutti gli uomini, affinché siano realmente figli del Padre che è nei cieli (…).

Roma, presso San Pietro, 28 ottobre 1965.Io PAOLO Vescovo della Chiesa Cattolica.

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DIGNITATIS HUMANAE – Dichiarazione sulla libertà religiosa (1965).

Il documento procede con metodo invertito rispetto a quello del CV II:- 1a parte, dal numero 1-8: enunciazione di PRINCIPI (sul metodo scolastico del manuale) -> non c'è dimostrazione biblica- poi, 2a parte: si parla di LIBERTA' RELIGIOSA alla luce della rivelazione (come di un diritto legato alla dignità della persona)

PREMESSADato sociologico: cresce la consapevolezza della dignità della personaLibertà, Fraternità, Uguaglianza=> il cristianesimo ha accettato i principi della rivoluzione francese (GS) perché di matrice cristiana - la riv. francese era partita da molti deputati vescovi

PUNTO FONDAMENTALE0 La libertà religiosa è libertà da coazione: nessuno può essere obbligato a seguire una certa religione0 ogni persona ha dovere di cercare la verità, ma non può essere costretta da nessuno (autorità religiosa, politica)0 la libertà è un concetto molto ampio:Punta minima = essere liberi di fare proprie scelte / Punta massima = libertà per farsi servi=> legato al tema della libertà, quello del plagio = bisogna perseguire qualcuno quando ha operato un cambiamento religioso in qualcun altro? In Italia il reato di plagio è stato abolito, in altri paesi es India no: la conversione è considerata sempre frutto di plagio0 La libertà religiosa va favorita e rispettata, entro certi limiti: non quando comporta violenza, fanatismo, uso di droghe

Fondazione biblica della LR: non c'è in AT, ma c'è in NT: è lo stile di Gesù, improntato alla non violenza=> Gesù ha espressioni assolutistiche es. " chi non raccoglie con me disperde" oppure “io sono la via verità e vita”, ma Gesù dice anche "chi non è contro di noi è con noi"Lo stile di Gesù è uno stile di non imposizione che non è in contrasto con l'affermazione della necessità di cristo per la salvezza: il NT è basato sulla convinzione che Gesù è LA via, verità e vita; è una convinzione che nasce dell'apprendimento => una convinzione ragionata (Paolo) => punta sulla forza della parola che passa attraverso la testimonianza (Gesù si propone nella libertà)

PROEMIO1. Nell'età contemporanea gli esseri umani divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone e cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà, mossi dalla coscienza del dovere e non pressati da misure coercitive. Parimenti, gli stessi esseri umani postulano una giuridica delimitazione del potere delle autorità pubbliche, affinché non siano troppo circoscritti i confini alla onesta libertà, tanto delle singole persone, quanto delle associazioni. Questa esigenza di libertà nella convivenza umana riguarda soprattutto i valori dello spirito, e in primo luogo il libero esercizio della religione nella società. (…) Anzitutto, il sacro Concilio professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo trovare salvezza e pervenire alla beatitudine. Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini,

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dicendo agli apostoli: «Andate dunque, istruite tutte le genti battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quello che io vi ho comandato» (Mt 28,19-20). E tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa, e sono tenuti ad aderire alla verità man mano che la conoscono e a rimanerle fedeli.Il sacro Concilio professa pure che questi doveri attingono e vincolano la coscienza degli uomini, e che la verità non si impone che per la forza della verità stessa, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore. E poiché la libertà religiosa, che gli esseri umani esigono nell'adempiere il dovere di onorare Iddio, riguarda l'immunità dalla coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo (…).

I. - ASPETTI GENERALI DELLA LIBERTÀ RELIGIOSAOggetto e fondamento della libertà religiosa2. Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società.A motivo della loro dignità, tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però, gli esseri umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla loro natura, se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo dell'immunità dalla coercizione esterna. Il diritto alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfano l'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito.

Libertà religiosa e rapporto dell'uomo con Dio3. Quanto sopra esposto appare con maggiore chiarezza qualora si consideri che norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con sapienza e amore ordina, dirige e governa l'universo e le vie della comunità umana. E Dio rende partecipe l'essere umano della sua legge, cosicché l'uomo, sotto la sua guida soavemente provvida, possa sempre meglio conoscere l'immutabile verità. Perciò ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa, utilizzando mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza.La verità, però, va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale: e cioè con una ricerca condotta liberamente, con l'aiuto dell'insegnamento o dell'educazione, per mezzo dello scambio e del dialogo con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca, gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta; inoltre, una volta conosciuta la verità, occorre aderirvi fermamente con assenso personale.L'uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività per raggiungere il suo fine che è Dio. Non si deve quindi

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costringerlo ad agire contro la sua coscienza. E non si deve neppure impedirgli di agire in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso. Infatti l'esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti interni volontari e liberi, con i quali l'essere umano si dirige immediatamente verso Dio: e tali atti da un'autorità meramente umana non possono essere né comandati, né proibiti. Però la stessa natura sociale dell'essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa e professi la propria religione in modo comunitario.Si fa quindi ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio per gli esseri umani, quando si nega ad essi il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia.Inoltre gli atti religiosi, con i quali in forma privata e pubblica gli esseri umani con decisione interiore si dirigono a Dio, trascendono per loro natura l'ordine terrestre e temporale delle cose. Quindi la potestà civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente rispettare e favorire la vita religiosa dei cittadini, però evade dal campo della sua competenza se presume di dirigere o di impedire gli atti religiosi.

La libertà dei gruppi religiosi4. La libertà religiosa che compete alle singole persone, compete ovviamente ad esse anche quando agiscono in forma comunitaria. I gruppi religiosi, infatti, sono postulati dalla natura sociale tanto degli esseri umani, quanto della stessa religione.A tali gruppi, pertanto, posto che le giuste esigenze dell'ordine pubblico non siano violate, deve essere riconosciuto il diritto di essere immuni da ogni misura coercitiva nel reggersi secondo norme proprie, nel prestare alla suprema divinità il culto pubblico, nell'aiutare i propri membri ad esercitare la vita religiosa, nel sostenerli con il proprio insegnamento e nel promuovere quelle istituzioni nelle quali i loro membri cooperino gli uni con gli altri ad informare la vita secondo i principi della propria religione.Parimenti ai gruppi religiosi compete il diritto di non essere impediti con leggi o con atti amministrativi del potere civile di scegliere, educare, nominare e trasferire i propri ministri, di comunicare con le autorità e con le comunità religiose che vivono in altre regioni della terra, di costruire edifici religiosi, di acquistare e di godere di beni adeguati.I gruppi religiosi hanno anche il diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede, a voce e per scritto. Però, nel diffondere la fede religiosa e nell'introdurre pratiche religiose, si deve evitare ogni modo di procedere in cui ci siano spinte coercitive o sollecitazioni disoneste o stimoli meno retti, specialmente nei confronti di persone prive di cultura o senza risorse: un tale modo di agire va considerato come abuso del proprio diritto e come lesione del diritto altrui.Inoltre la libertà religiosa comporta pure che i gruppi religiosi non siano impediti di manifestare liberamente la virtù singolare della propria dottrina nell'ordinare la società e nel vivificare ogni umana attività. Infine, nel carattere sociale della natura umana e della stessa religione si fonda il diritto in virtù del quale gli esseri umani, mossi dalla propria convinzione religiosa, possano liberamente riunirsi e dar vita ad associazioni educative, culturali, caritative e sociali.

La libertà religiosa della famiglia5.-Ad ogni famiglia--società che gode di un diritto proprio e primordiale--compete il diritto di ordinare liberamente la propria vita religiosa domestica sotto la direzione dei genitori. A questi spetta il diritto di determinare l'educazione religiosa da impartire ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa. Quindi deve essere dalla potestà civile riconosciuto ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educazione, e per una tale libertà di scelta non debbono essere gravati, né direttamente né indirettamente, da oneri ingiusti. Inoltre i diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche

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che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori, o se viene imposta un'unica forma di educazione dalla quale sia esclusa ogni formazione religiosa.

Cura della libertà religiosa6. Poiché il bene comune della società--che si concreta nell'insieme delle condizioni sociali, grazie alle quali gli uomini possono perseguire il loro perfezionamento più riccamente o con maggiore facilità --consiste soprattutto nella salvaguardia dei diritti della persona umana e nell'adempimento dei rispettivi doveri, adoperarsi positivamente per il diritto alla libertà religiosa spetta tanto ai cittadini quanto ai gruppi sociali, ai poteri civili, alla Chiesa e agli altri gruppi religiosi: a ciascuno nel modo ad esso proprio, tenuto conto del loro specifico dovere verso il bene comune.Tutelare e promuovere gli inviolabili diritti dell'uomo è dovere essenziale di ogni potere civile. Questo deve quindi assicurare a tutti i cittadini, con leggi giuste e con mezzi idonei, l'efficace tutela della libertà religiosa, e creare condizioni propizie allo sviluppo della vita religiosa, cosicché i cittadini siano realmente in grado di esercitare i loro diritti attinenti la religione e adempiere i rispettivi doveri, e la società goda dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua santa volontà.Se, considerate le circostanze peculiari dei popoli nell'ordinamento giuridico di una società viene attribuita ad un determinato gruppo religioso una speciale posizione civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e a tutti i gruppi religiosi venga riconosciuto e sia rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa.Infine il potere civile deve provvedere che l'eguaglianza giuridica dei cittadini, che appartiene essa pure al bene comune della società, per motivi religiosi non sia mai lesa, apertamente o in forma occulta, e che non si facciano fra essi discriminazioni.Da ciò segue che non è permesso al pubblico potere imporre ai cittadini con la violenza o con il timore o con altri mezzi la professione di una religione qualsivoglia oppure la sua negazione, o di impedire che aderiscano ad un gruppo religioso o che se ne allontanino. Tanto più poi si agisce contro la volontà di Dio e i sacri diritti della persona e il diritto delle genti quando si usa, in qualunque modo, la violenza per distruggere o per comprimere la stessa religione o in tutto il genere umano oppure in qualche regione o in un determinato gruppo.

I limiti della libertà religiosa7. Il diritto alla libertà in materia religiosa viene esercitato nella società umana; di conseguenza il suo esercizio è regolato da alcune norme.Nell'esercizio di ogni libertà si deve osservare il principio morale della responsabilità personale e sociale: nell'esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune. Con tutti si è tenuti ad agire secondo giustizia ed umanità.Inoltre, poiché la società civile ha il diritto di proteggersi contro i disordini che si possono verificare sotto pretesto della libertà religiosa, spetta soprattutto al potere civile prestare una tale protezione; ciò però va compiuto non in modo arbitrario o favorendo iniquamente una delle parti, ma secondo norme giuridiche, conformi all'ordine morale obiettivo: norme giuridiche postulate dall'efficace difesa dei diritti e dalla loro pacifica armonizzazione a vantaggio di tutti i cittadini, da una sufficiente tutela di quella autentica pace pubblica che consiste in una vita vissuta in comune sulla base di una onesta giustizia, nonché dalla debita custodia della pubblica moralità. Questi sono elementi che costituiscono la parte fondamentale del bene comune e sono compresi sotto il nome di ordine pubblico. Per il resto nella società va rispettata la norma secondo la quale agli esseri umani va riconosciuta la libertà più ampia possibile, e la loro libertà non deve essere limitata, se non quando e in quanto è necessario.

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Educazione all'esercizio della libertà8. Nella nostra età gli esseri umani, a motivo di molteplici fattori, vivono in un'atmosfera di pressioni e corrono il pericolo di essere privati della facoltà di agire liberamente e responsabilmente. D'altra parte non sembrano pochi quelli che, sotto il pretesto della libertà, respingono ogni dipendenza e apprezzano poco la dovuta obbedienza.Ragione per cui questo Concilio Vaticano esorta tutti, ma soprattutto coloro che sono impegnati in compiti educativi, ad adoperarsi per formare esseri umani i quali, nel pieno riconoscimento dell'ordine morale, sappiano obbedire alla legittima autorità e siano amanti della genuina libertà, esseri umani cioè che siano capaci di emettere giudizi personali nella luce della verità, di svolgere le proprie attività con senso di responsabilità, e che si impegnano a perseguire tutto ciò che è vero e buono, generosamente disposti a collaborare a tale scopo con gli altri.La libertà religiosa, quindi, deve pure essere ordinata e contribuire a che gli esseri umani adempiano con maggiore responsabilità i loro doveri nella vita sociale.

II. - LA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE

La dottrina della libertà religiosa affonda le radici nella Rivelazione9. Quanto questo Concilio Vaticano dichiara sul diritto degli esseri umani alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella dignità della persona, le cui esigenze la ragione umana venne conoscendo sempre più chiaramente attraverso l'esperienza dei secoli. Anzi, una tale dottrina sulla libertà affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata con sacro impegno dai cristiani. Quantunque, infatti, la Rivelazione non affermi esplicitamente il diritto all'immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa, fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà umana degli esseri umani nell'adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e ci insegna lo spirito che i discepoli di una tale Maestro devono assimilare e manifestare in ogni loro azione. Tutto ciò illustra i principi generali sopra cui si fonda la dottrina della presente dichiarazione sulla libertà religiosa. E anzitutto, la libertà religiosa nella società è in piena rispondenza con la libertà propria dell'atto di fede cristiana.

Libertà dell'atto di fede10. Un elemento fondamentale della dottrina cattolica, contenuto nella parola di Dio e costantemente predicato dai Padri, è che gli esseri umani sono tenuti a rispondere a Dio credendo volontariamente; nessuno, quindi, può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti, l'atto di fede è per sua stessa natura un atto volontario, giacché gli essere umani, redenti da Cristo Salvatore e chiamati in Cristo Gesù ad essere figli adottivi, non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il Padre non li trae e se non prestano a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero. È quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani. E perciò un regime di libertà religiosa contribuisce non poco a creare quell'ambiente sociale nel quale gli esseri umani possono essere invitati senza alcuna difficoltà alla fede cristiana, e possono abbracciarla liberamente e professarla con vigore in tutte le manifestazioni della vita.

Modo di agire di Cristo e degli apostoli11. Dio chiama gli esseri umani al suo servizio in spirito e verità; per cui essi sono vincolati in coscienza a rispondere alla loro vocazione, ma non coartati. Egli, infatti, ha riguardo della dignità della persona umana da lui creata, che deve godere di libertà e agire con responsabilità. Ciò è apparso in grado sommo in Cristo Gesù, nel quale Dio ha manifestato se stesso e le sue vie in modo perfetto. Infatti Cristo, che è Maestro e Signore nostro, mite ed umile di cuore ha invitato e attratto i discepoli pazientemente. Certo, ha sostenuto e confermato la sua predicazione con i miracoli per suscitare e confortare la fede negli uditori, ma senza esercitare su di essi alcuna

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coercizione. Ha pure rimproverato l'incredulità degli uditori, lasciando però la punizione a Dio nel giorno del giudizio (16). Mandando gli apostoli nel mondo, disse loro: «Chi avrà creduto e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non avrà creduto sarà condannato» (Mc 16,16). Ma conoscendo che la zizzania è stata seminata con il grano, comandò di lasciarli crescere tutti e due fino alla mietitura che avverrà alla fine del tempo (17). Non volendo essere un messia politico e dominatore con la forza preferì essere chiamato Figlio dell'uomo che viene «per servire e dare la sua vita in redenzione di molti» (Mc 10,45). Si presentò come il perfetto servo di Dio (19) che «non rompe la canna incrinata e non smorza il lucignolo che fuma» (Mt 12,20). Riconobbe la potestà civile e i suoi diritti, comandando di versare il tributo a Cesare, ammonì però chiaramente di rispettare i superiori diritti di Dio: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21). Finalmente ha ultimato la sua rivelazione compiendo nella croce l'opera della redenzione, con cui ha acquistato agli esseri umani la salvezza e la vera libertà. Infatti rese testimonianza alla verità, però non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno non si erige con la spada ma si costituisce ascoltando la verità e rendendo ad essa testimonianza, e cresce in virtù dell'amore con il quale Cristo esaltato in croce trae a sé gli esseri umani.Gli apostoli, istruiti dalla parola e dall'esempio di Cristo, hanno seguito la stessa via. Fin dal primo costituirsi della Chiesa i discepoli di Cristo si sono adoperati per convertire gli esseri umani a confessare Cristo Signore, non però con un'azione coercitiva né con artifizi indegni del Vangelo, ma anzitutto con la forza della parola di Dio, Con coraggio annunziavano a tutti il proposito di Dio salvatore, «il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4); nello stesso tempo, però, avevano riguardo per i deboli, sebbene fossero nell'errore, mostrando in tal modo come «ognuno di noi renderà conto di sé a Dio» (Rm 14,12) (24) e sia tenuto ad obbedire soltanto alla propria coscienza. Come Cristo, gli apostoli hanno sempre cercato di rendere testimonianza alla verità di Dio, arditamente osando dinanzi al popolo e ai principi di «annunziare con fiducia la parola di Dio» (At 4,31). Con ferma fede ritenevano che lo stesso Vangelo fosse realmente la forza di Dio per la salvezza di ogni credente. Sprezzando quindi tutte «le armi carnali» seguendo l'esempio di mansuetudine e di modestia di Cristo, hanno predicato la parola di Dio pienamente fiduciosi nella divina virtù di tale parola del distruggere le forze avverse a Dio e nell'avviare gli esseri umani alla fede e all'ossequio di Cristo, Come il Maestro, così anche gli apostoli hanno riconosciuto la legittima autorità civile: «Non vi è infatti potestà se non da Dio», insegna l'Apostolo, il quale perciò comanda: «Ognuno sia soggetto alle autorità in carica... Chi si oppone alla potestà, resiste all'ordine stabilito da Dio» (Rm 13,1-5). Nello stesso tempo, però, non hanno avuto timore di resistere al pubblico potere che si opponeva alla santa volontà di Dio: «È necessario obbedire a Dio prima che agli uomini» (At 5,29). La stessa via hanno seguito innumerevoli martiri e fedeli attraverso i secoli e in tutta la terra.

La Chiesa segue le tracce di Cristo e degli apostoli12. La Chiesa pertanto, fedele alla verità evangelica, segue la via di Cristo e degli apostoli quando riconosce come rispondente alla dignità dell'uomo e alla rivelazione di Dio il principio della libertà religiosa e la favorisce. Essa ha custodito e tramandato nel decorso dei secoli la dottrina ricevuta da Cristo e dagli apostoli. E quantunque nella vita del popolo di Dio, pellegrinante attraverso le vicissitudini della storia umana, di quando in quando si siano avuti modi di agire meno conformi allo spirito evangelico, anzi ad esso contrari, tuttavia la dottrina della Chiesa, secondo la quale nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la fede, non è mai venuta meno.Il fermento evangelico ha pure lungamente operato nell'animo degli esseri umani e molto ha contribuito perché gli uomini lungo i tempi riconoscessero più largamente e meglio la dignità della propria persona e maturasse la convinzione che la persona nella società deve essere immune da ogni umana coercizione in materia religiosa.

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La libertà della Chiesa13. Fra le cose che appartengono al bene della Chiesa, anzi al bene della stessa città terrena, e che vanno ovunque e sempre conservate e difese da ogni ingiuria, è certamente di altissimo valore la seguente: che la Chiesa nell'agire goda di tanta libertà quanta le è necessaria per provvedere alla salvezza degli esseri umani. È questa, infatti, la libertà sacra, di cui l'unigenito Figlio di Dio ha arricchito la Chiesa acquistata con il suo sangue. Ed è propria della Chiesa, tanto che quanti l'impugnano agiscono contro la volontà di Dio. La libertà della Chiesa è principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e i poteri pubblici e tutto l'ordinamento giuridico della società Civile.Nella società umana e dinanzi a qualsivoglia pubblico potere, la Chiesa rivendica a sé la libertà come autorità spirituale, fondata da Cristo Signore, alla quale per mandato divino incombe l'obbligo di andare nel mondo universo a predicare il Vangelo ad ogni creatura. Parimenti, la Chiesa rivendica a sé la libertà in quanto è una comunità di esseri umani che hanno il diritto di vivere nella società civile secondo i precetti della fede cristiana.Ora, se vige un regime di libertà religiosa non solo proclamato a parole né solo sancito nelle leggi, ma con sincerità tradotto realmente nella vita, in tal caso la Chiesa, di diritto e di fatto, usufruisce di una condizione stabile per l'indipendenza necessaria all'adempimento della sua divina missione: indipendenza nella società, che le autorità ecclesiastiche hanno sempre più vigorosamente rivendicato. Nello stesso tempo i cristiani, come gli altri uomini godono del diritto civile di non essere impediti di vivere secondo la propria coscienza. Vi è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e la libertà religiosa che deve essere riconosciuta come un diritto a tutti gli esseri umani e a tutte le comunità e che deve essere sancita nell'ordinamento giuridico delle società civili.

La missione della Chiesa14. La Chiesa cattolica per obbedire al divino mandato: Istruite tutte le genti (Mt 28,19), è tenuta ad operare instancabilmente «affinché la parola di Dio corra e sia glorificata» (2 Ts 3,1).La Chiesa esorta quindi ardentemente i suoi figli affinché «anzitutto si facciano suppliche, orazioni, voti, ringraziamenti per tutti gli uomini... Ciò infatti è bene e gradito al cospetto del Salvatore e Dio nostro, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 1-4). I cristiani, però, nella formazione della loro coscienza, devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa. Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell'ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana. Inoltre i cristiani, comportandosi sapientemente con coloro che non hanno la fede, s'adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia e con fortezza apostolica, fino all'effusione del sangue, «nello Spirito Santo, con la carità non simulata, con la parola di verità» (2 Cor 6,6-7).Infatti il discepolo ha verso Cristo Maestro il dovere grave di conoscere sempre meglio la verità da lui ricevuta, di annunciarla fedelmente e di difenderla con fierezza, non utilizzando mai mezzi contrari allo spirito evangelico. Nello stesso tempo, però, la carità di Cristo lo spinge a trattare con amore, con prudenza e con pazienza gli esseri umani che sono nell'errore o nell'ignoranza circa la fede. Si deve quindi aver riguardo sia ai doveri verso Cristo, il Verbo vivificante che deve essere annunciato, sia ai diritti della persona umana, sia alla misura secondo la quale Dio attraverso il Cristo distribuisce la sua grazia agli esseri umani che vengono invitati ad accettare e a professare la fede liberamente.

CONCLUSIONE15. Si auspica il raggiungimento del pieno rispetto della libertà religiosa della persona in tutti i regimi e i Paesi del mondo

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GAUDIUM ET SPES – Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (1965)

Esaminiamo i documenti in ordine cronologico, quindi ripetiamo alcune cose che via via si sono approfondite.GS è un documento con genesi complessa. All’inizio del CVII vengono presentate decine di schemi per affrontare ogni tipo di argomento. Paolo VI concentrerà l’attenzione sulla Chiesa: ab intra (cosa dice di sé?) e ad extra (cosa deve fare nel mondo?), sfoltendo il numero degli schemi.Lo “schema 17” – cosiddetto, in assenza di titolo – poi detto “schema 13”, preparati dalle commissioni cardinalizie prima del concilio, diventa una traccia di lavoro sul tema del “rapporto chiesa-mondo”.Venne indicato come “costituzione pastorale”, con un termine che venne letto da alcuni gruppi come deprezzamento rispetto a “dogmatico”, anche perché non dava definizioni ma indicazioni, senza esprimere condanne (“anàtema sit”). È un concilio che propone - piuttosto che disporre – come riannunciare il Vangelo in un mondo che cambia. Prima i concili erano affermativi (definitori) e negativi (negavano errori ed eresie). Nell’intento dei padri conciliari, aveva invece un valore positivo, indicando un insieme di orientamenti teologici (non c’è teologia senza pastorale, né viceversa).La TH è anzitutto Pastorale perché punta alla “salus animarum”: elaborazione dottrinale al fine di ottenere la salvezza. Un’autentica TH non può fare a meno di una natura Pastorale.Allo stesso modo, la P è Teologica: non si possono delineare linee di azione che non esprimano anche un background teologico. Anche B XVI (“la verità è carità”) esprime tale rapporto indissolubile.L’incipit venne cambiato (“Angoscia e lutto” era quello originario, per dire che la Chiesa partecipa delle diverse realtà della vita umana, ma si preferì iniziare dalla gioia e della speranza).Wojtyla e Congar sono i padri che maggiormente vi hanno lavorato.Linguaggio semplice, diretto, ma a volte di difficile interpretazione.

Come la Chiesa si pone quale messaggera di salvezza per tutti gli uomini, aldilà delle differenze religiose, culturali, etc…? Il rapporto chiesa-mondo significa il rapporto tra chiesa e umanità.

Convegno di Firenze (fine 2015): “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, con largo spazio a GS.

SCHEMAIntroduzione: Proemio (1-3) + La condizione dell’uomo nel mondo contemporaneo (4-10)Di valore magistrale come metodo: non partire da verità rivelate ma dalla situazione in atto. La Chiesa fa parte del mondo.La Chiesa non sente a sé estranea alcuna realtà umana, pertanto si interessa del mondo cioè dell’umanità intera, nell’ottica di quel servizio che Gesù stesso ha indicato come statuto dei suoi veri discepoli.I grandi cambiamenti del mondo contemporaneo pongono nuove sfide e angosce che la Chiesa cerca di fare sue scrutando i “segni dei tempi”.

I PARTE - La Chiesa e la vocazione del mondoI – La dignità della persona umana (11-22)II – La comunità degli uomini (23-32)III – L’attività umana nell’universo (33-39)IV – La missione della Chiesa nel mondo contemporaneo (40-45)II PARTE – Alcuni problemi urgenti

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PROEMIO (1-3)1. Intima unione della Chiesa con l'intera famiglia umana.(…) Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.2. A chi si rivolge il Concilio.Per questo il Concilio Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, non esita ora a rivolgere la sua parola non più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini. A tutti vuol esporre come esso intende la presenza e l'azione della Chiesa nel mondo contemporaneo. Il mondo che esso ha presente è perciò quello degli uomini, ossia l'intera famiglia umana (…).3. A servizio dell'uomo.(…) Si tratta di salvare l'uomo, si tratta di edificare l'umana società. È l'uomo dunque, l'uomo considerato nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, l'uomo cuore e coscienza, pensiero e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione.Pertanto il santo Concilio, proclamando la grandezza somma della vocazione dell'uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all'umanità la cooperazione sincera della Chiesa, al fine d'instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione.

LA CONDIZIONE DELL'UOMO NEL MONDO CONTEMPORANEO (4-10)

4. Speranze e angosce.Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. (…) L'umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si estendono all'insieme del globo. (…) Come accade in ogni crisi di crescenza, questa trasformazione reca con sé non lievi difficoltà. (…) Mai il genere umano ebbe a disposizione tante ricchezze, possibilità e potenza economica; e tuttavia una grande parte degli abitanti del globo è ancora tormentata dalla fame e dalla miseria, e intere moltitudini non sanno né leggere né scrivere.Mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà, e intanto sorgono nuove forme di schiavitù sociale e psichica. (…) permangono ancora gravi contrasti politici, sociali, economici, razziali e ideologici, né è venuto meno il pericolo di una guerra capace di annientare ogni cosa. (…) Immersi in così contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei (…) sentono il peso della inquietudine, tormentati tra la speranza e l'angoscia, mentre si interrogano sull'attuale andamento del mondo.Questo sfida l'uomo, anzi lo costringe a darsi una risposta.

5. Profonde mutazioni.(…) sul piano dell'azione si affida alla tecnica, originata da quelle scienze. (…) perseguire ormai la conquista dello spazio ultraterrestre (…) prevedere e controllare il proprio incremento demografico. (…) Ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e a sintesi nuove.

6.--Mutamenti nell’ordine sociale.(…) Si diffonde gradatamente il tipo di società industriale, che (…) trasforma radicalmente concezioni e condizioni secolari di vita sociale. (…) Nuovi e migliori mezzi di comunicazione sociale favoriscono nel modo più largo e più rapido la (…) «socializzazione» (…) senza tuttavia la «personalizzazione».

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7. Mutamenti psicologici, morali e religiosi.Il cambiamento di mentalità e di strutture spesso mette in causa i valori tradizionali, soprattutto tra i giovani: frequentemente impazienti, essi diventano ribelli per l'inquietudine; consci della loro importanza nella vita sociale, desiderano assumere al più presto le loro responsabilità.(…) Anche la vita religiosa, infine, è sotto l'influsso delle nuove situazioni. Da un lato, un più acuto senso critico la purifica da ogni concezione magica nel mondo e dalle sopravvivenze superstiziose ed esige un adesione sempre più personale e attiva alla fede; numerosi sono perciò coloro che giungono a un più vivo senso di Dio. D'altro canto però, moltitudini crescenti praticamente si staccano dalla religione. (…) un tale comportamento viene presentato come esigenza del progresso scientifico o di un nuovo tipo di umanesimo (…).

8. Squilibri nel mondo contemporaneo.Una così rapida evoluzione, spesso disordinatamente realizzata, e la stessa presa di coscienza sempre più acuta delle discrepanze esistenti nel mondo, generano o aumentano contraddizioni e squilibri. (…)

9. Le aspirazioni sempre più universali dell'umanità.(…) I paesi in via di sviluppo o appena giunti all'indipendenza desiderano partecipare ai benefici della civiltà moderna non solo sul piano politico ma anche economico, e liberamente compiere la loro parte nel mondo (…). I popoli attanagliati dalla fame chiamano in causa i popoli più ricchi.Le donne rivendicano, là dove ancora non l'hanno raggiunta, la parità con gli uomini, non solo di diritto, ma anche di fatto. (…) Sotto tutte queste rivendicazioni si cela un'aspirazione più profonda e universale. I singoli e i gruppi organizzati anelano infatti a una vita piena e libera, degna dell'uomo, che metta al proprio servizio tutto quanto il mondo oggi offre loro così abbondantemente (…).

10. Gli interrogativi più profondi del genere umano.(…) Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d'altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. (…) Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società. (…) Con tutto ciò, di fronte all'evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali: cos'è l'uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso? (…) Cosa ci sarà dopo questa vita?Ecco: la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati. Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana.Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli.Così nella luce di Cristo (…) illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo.

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PARTE I - LA CHIESA E LA VOCAZIONE DELL'UOMO (11-22)

CAPITOLO I - LA DIGNITÀ DELLA PERSONA UMANA

12. L'uomo ad immagine di Dio.Credenti e non credenti sono generalmente d'accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo, come a suo centro e a suo vertice.Ma che cos'è l'uomo? Molte opinioni egli ha espresso ed esprime sul proprio conto, opinioni varie ed anche contrarie, secondo le quali spesso o si esalta così da fare di sé una regola assoluta, o si abbassa fino alla disperazione, finendo in tal modo nel dubbio e nell'angoscia.Queste difficoltà la Chiesa le sente profondamente e ad esse può dare una risposta che le viene dall'insegnamento della divina Rivelazione, risposta che descrive la vera condizione dell'uomo, dà una ragione delle sue miserie, ma in cui possono al tempo stesso essere giustamente riconosciute la sua dignità e vocazione.La Bibbia, infatti, insegna che l'uomo è stato creato «ad immagine di Dio» capace di conoscere e di amare il suo Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio.«Che cosa è l'uomo, che tu ti ricordi di lui? o il figlio dell'uomo che tu ti prenda cura di lui? L'hai fatto di poco inferiore agli angeli, l'hai coronato di gloria e di onore, e l'hai costituito sopra le opere delle tue mani. Tutto hai sottoposto ai suoi piedi» (Sal 8,5).Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da principio «uomo e donna li creò» (Gen1,27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone. L'uomo, infatti, per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti. Perciò Iddio, ancora come si legge nella Bibbia, vide «tutte quante le cose che aveva fatte, ed erano buone assai» (Gen1,31).

Noi siamo “ad immagine” di Dio, mentre Gesù è “l’immagine” di Dio, il modello secondo il quale l’uomo è creato “ad immagine” di Dio.Cioè è stato creato (1) capace di conoscere e amare Dio; (2) custode del creato e capace di servirsene, “signore” del creato (e in questo simile a Dio); e infine (3) capace di comunione (uomo + donna), come la Trinità. Infine, sulla base del testo biblico, si può aggiungere (4) capace di auto-dominio, perché erano nudi e non provavano vergogna.

Cristo è l’emblema più vero dell’uomo “ad immagine di Dio”, laddove “ad” indica anche una tensione che invece è assente in Cristo che è perfettamente uomo e uomo perfetto.

13. Il peccato.Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di lui. (…) l'uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono. (…) Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. (…) così che ognuno si sente come incatenato. Ma il Signore stesso è venuto a liberare l'uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell'intimo e scacciando fuori «il principe di questo mondo» (Gv12,31), che lo teneva schiavo del peccato (…).

14. Costituzione dell'uomo.Unità di anima e di corpo, l'uomo (…). Non è lecito dunque disprezzare la vita corporale dell'uomo. (…) è la dignità stessa dell'uomo che postula che egli glorifichi Dio nel proprio corpo e che non permetta che esso si renda schiavo delle perverse inclinazioni del cuore (…).

15. Dignità dell'intelligenza, verità e saggezza.

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16. Dignità della coscienza morale.Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro.L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità (…).

17. Grandezza della libertà.Ma l'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà.I nostri contemporanei stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione. Spesso però la coltivano in modo sbagliato quasi sia lecito tutto quel che piace, compreso il male.La vera libertà, invece, è nell'uomo un segno privilegiato dell'immagine divina. (…) Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna. (…) Questa ordinazione verso Dio, la libertà dell'uomo, realmente ferita dal peccato, non può renderla effettiva in pieno se non mediante l'aiuto della grazia divina (…).

18. Il mistero della morte.In faccia alla morte l'enigma della condizione umana raggiunge il culmine.L'uomo non è tormentato solo dalla sofferenza e dalla decadenza progressiva del corpo, ma anche, ed anzi, più ancora, dal timore di una distruzione definitiva. (…) Il germe dell'eternità che porta in sé, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte. (…) Inoltre la fede cristiana insegna che la morte corporale, dalla quale l'uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato, sarà vinta un giorno, quando l'onnipotenza e la misericordia del Salvatore restituiranno all'uomo la salvezza perduta per sua colpa (…).

19. Forme e radici dell'ateismo.(…) l'ateismo va annoverato fra le realtà più gravi del nostro tempo e va esaminato con diligenza ancor maggiore. Con il termine «ateismo» vengono designati fenomeni assai diversi tra loro.Alcuni atei, infatti, negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l'uomo non possa dir niente di lui; altri poi prendono in esame i problemi relativi a Dio con un metodo tale che questi sembrano non aver senso. Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive, o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta. Alcuni tanto esaltano l'uomo, che la fede in Dio ne risulta quasi snervata, inclini come sono, a quanto sembra, ad affermare l'uomo più che a negare Dio.Altri si creano una tale rappresentazione di Dio che, respingendolo, rifiutano un Dio che non è affatto quello del Vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio: non sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa, né riescono a capire perché dovrebbero interessarsi di religione (…).

20. L'ateismo sistematico.L'ateismo moderno si presenta spesso anche in una forma sistematica, secondo cui, oltre ad altre cause, l'aspirazione all'autonomia dell'uomo viene spinta a un tal punto, da far ostacolo a qualunque dipendenza da Dio. (…) Una tale dottrina può essere favorita da quel senso di potenza che l'odierno progresso tecnico ispira all’uomo (…).

21. Atteggiamento della Chiesa di fronte all'ateismo.La Chiesa (…) Si sforza tuttavia di scoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondono nella mente degli atei (…). Quanto al rimedio all'ateismo, lo si deve attendere sia dall'esposizione adeguata della dottrina della Chiesa, sia dalla purezza della vita di essa e dei suoi membri (…). Ciò

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che contribuisce di più, infine, a rivelare la presenza di Dio, è la carità fraterna dei fedeli che unanimi nello spirito lavorano insieme per la fede del Vangelo (…). La Chiesa sa perfettamente che il suo messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano quando essa difende la dignità della vocazione umana, e così ridona la speranza a quanti ormai non osano più credere alla grandezza del loro destino (…).

22. Cristo, l'uomo nuovo.In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo.Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm5,14) e cioè di Cristo Signore.Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.

Il mistero da svelare (l’uomo) e quello che rivela (il Verbo)

Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è «l'immagine dell'invisibile Iddio» (Col 1,15) è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato.Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime.

Quindi ogni religione deve confrontarsi con Gesù, Maestro Unico, Redentore Unico, Salvatore Unico.L’uomo è rimasto immagine di Dio, tale immagine non è annientata ma deformata: resta però la capacità di dare vita, di prolificare, benché cacciati dall’Eden e privati di immortalità, integrità fisica e morale, amicizia con Dio.

Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo.

Assunta la natura umana, siamo stati tutti assunti in Lui. Gli antichi la consideravano (i Padri) una natura complessiva, dunque l’intera umanità è stata assunta. Se Cristo dunque tocca ogni uomo, c’è una sorta di “fratellanza” nell’umanità che è universalmente estesa a ogni persona (benché figli adottivi di Dio si divenga col Battesimo).

Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato.

Si è fatto veramente uomo (tranne il peccato: è come Adamo prima del peccato originale).

Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio «mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato.

Vive in sé la perfetta alleanza tra Dio e l’uomo e rende dunque possibile anche per noi vivere questa alleanza. Ha messo in gioco se stesso per noi, perché noi potessimo entrare in questa relazione. Ha “aperto la strada”: senza di Lui non si potrebbe arrivare alla meta. E d’altra parte la strada va accolta attivamente, camminandoci sopra. Così si dice pure che ogni uomo è salvato da Cristo (che apre la strada) benché attraverso percorsi religiosi diversi (se non riceve l’annuncio del Vangelo).

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Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve «le primizie dello Spirito» (Rm8,23) per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell'amore.In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della eredità» (Ef 1,14), tutto l'uomo viene interiormente rinnovato, nell'attesa della «redenzione del corpo» (Rm 8,23): «Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi» (Rm8,11).Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza.E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita, perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre!

“Nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia” (San Tommaso): grazia dello Spirito Santo, che chiama a una relazione personale, non anonima né automatica, ma è la vita di Gesù che tramite lo Spirito Santo opera nella persona. Cristo è morto per tutti. E tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza. Dopo le grandi scoperte geografiche, si è distinto un doppio fine: naturale (per ogni uomo) e soprannaturale (la salvezza dei cristiani). Intere civiltà non avevano conosciuto il Vangelo.Credere che Dio esiste e che è remuneratore (Ebr) è un principio che ha tranquillizzato in merito alla salvezza di chi non avesse ricevuto il Battesimo (a differenza di S. Agostino). Il mistero pasquale è la persona di Cristo morto e risorto per noi. Cristo associa ogni uomo a questo mistero di vita e resurrezione.I principi fissati dal nr. 22 sono fondamentali per il dialogo interreligioso.

La novità fu di affermare che la Chiesa poteva ricevere dal mondo, cioè dall’umanità.

CAPITOLO II - LA COMUNITÀ DEGLI UOMINI (23-32)

23. Che cosa intende il Concilio.24. L'indole comunitaria dell'umana vocazione nel piano di Dio.(…) il Signore Gesù, quando prega il Padre perché «tutti siano una cosa sola, come io e tu siamo una cosa sola» (Gv17,21), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nell'amore (…).25. Interdipendenza della persona e della umana società.26. Promuovere il bene comune.Dall'interdipendenza sempre più stretta e piano piano estesa al mondo intero deriva che il bene comune - cioè l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente - oggi vieppiù diventa universale, investendo diritti e doveri che riguardano l'intero genere umano.27. Rispetto della persona umana.28. Il rispetto e l'amore per gli avversari.29. La fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini e la giustizia sociale.Tutti gli uomini, dotati di un'anima razionale e creati ad immagine di Dio, hanno la stessa natura e la medesima origine; tutti, redenti da Cristo godono della stessa vocazione e del medesimo destino divino: è necessario perciò riconoscere più la fondamentale uguaglianza fra tutti (…).

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30. Occorre superare l'etica individualistica.31. Responsabilità e partecipazione.32. Il Verbo incarnato e la solidarietà umana.Nella sua preghiera chiese che tutti i suoi discepoli fossero una «cosa sola». Anzi egli stesso si offrì per tutti fino alla morte, lui il redentore di tutti. «Nessuno ha maggior amore di chi sacrifica la propria vita per i suoi amici» (Gv15,13).Comandò inoltre agli apostoli di annunciare il messaggio evangelico a tutte le genti, perché il genere umano diventasse la famiglia di Dio, nella quale la pienezza della legge fosse l'amore (…).

CAPITOLO III - L'ATTIVITÀ UMANA NELL'UNIVERSO (33-39)

33. Il problema.34. Il valore dell'attività umana.(…) L'uomo infatti, creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra con tutto quanto essa contiene, e di governare il mondo nella giustizia e nella santità, e così pure di riferire a Dio il proprio essere e l'universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose; in modo che, nella subordinazione di tutta la realtà all'uomo, sia glorificato il nome di Dio su tutta la terra. Ciò vale anche per gli ordinari lavori quotidiani (…).35. Norme dell'attività umana.L'uomo vale più per quello che «è» che per quello che «ha».36. La legittima autonomia delle realtà terrene.Se invece con l'espressione «autonomia delle realtà temporali» si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce.37. L'attività umana corrotta dal peccato.38. L'attività umana elevata a perfezione nel mistero pasquale.39. Terra nuova e cielo nuovo.

CAPITOLO IV - MISSIONE DELLA CHIESA NEL MONDO CONTEMPORANEO (40-45)

40. Mutua relazione tra Chiesa e mondo.Tutto quello che abbiamo detto a proposito della dignità della persona umana, della comunità degli uomini, del significato profondo della attività umana, costituisce il fondamento del rapporto tra Chiesa e mondo, come pure la base del dialogo fra loro.

Si riprende quanto detto in precedenza sull’uomo e lo si rapporta alla Chiesa. Si esamina il rapporto della Chiesa verso il mondo ma altresì quanto il mondo può rivelare alla Chiesa stessa.

In questo capitolo, pertanto, presupponendo tutto ciò che il Concilio ha già insegnato circa il mistero della Chiesa, si viene a prendere in considerazione la medesima Chiesa in quanto si trova nel mondo e insieme con esso vive ed agisce.La Chiesa, procedendo dall'amore dell'eterno Padre, fondata nel tempo dal Cristo redentore, radunata nello Spirito Santo, ha una finalità salvifica ed escatologica che non può essere raggiunta pienamente se non nel mondo futuro. Ma essa è già presente qui sulla terra, ed è composta da uomini, i quali appunto sono membri della città terrena chiamati a formare già nella storia dell'umanità la famiglia dei figli di Dio, che deve crescere costantemente fino all'avvento del Signore. Unita in vista dei beni celesti e da essi arricchita, tale famiglia fu da Cristo «costituita e ordinata come società in questo mondo» e fornita di «mezzi capaci di assicurare la sua unione visibile e sociale». Perciò la Chiesa, che è insieme «società visibile e comunità spirituale» cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena; essa è come il fermento e quasi l'anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi

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in famiglia di Dio. Tale compenetrazione di città terrena e città celeste non può certo essere percepita se non con la fede; resta, anzi, il mistero della storia umana, che è turbata dal peccato fino alla piena manifestazione dello splendore dei figli di Dio.Ma la Chiesa, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all'uomo la vita divina; essa diffonde anche in qualche modo sopra tutto il mondo la luce che questa vita divina irradia, e lo fa specialmente per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine della umana società e conferisce al lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato. Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede di poter contribuire molto a umanizzare di più la famiglia degli uomini e la sua storia.Inoltre la Chiesa cattolica volentieri tiene in gran conto il contributo che, per realizzare il medesimo compito, han dato e danno, cooperando insieme, le altre Chiese o comunità ecclesiali.Al tempo stesso essa è persuasa che, per preparare le vie al Vangelo, il mondo può fornirle in vario modo un aiuto prezioso mediante le qualità e l'attività dei singoli o delle società che lo compongono. Allo scopo di promuovere debitamente tale mutuo scambio ed aiuto, nei campi che in qualche modo sono comuni alla Chiesa e al mondo, vengono qui esposti alcuni principi generali.

41. L'aiuto che la Chiesa intende offrire agli individui.L'uomo d'oggi procede sulla strada di un più pieno sviluppo della sua personalità e di una progressiva scoperta e affermazione dei propri diritti. Poiché la Chiesa ha ricevuto la missione di manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine ultimo dell'uomo, essa al tempo stesso svela all'uomo il senso della sua propria esistenza, vale a dire la verità profonda sull'uomo.

Rivoluzione francese, rivoluzione americana, formulazione dell’ONU (1948): tappe diverse del riconoscimento dei diritti dell’uomo.

Essa sa bene che soltanto Dio, al cui servizio è dedita, dà risposta ai più profondi desideri del cuore umano, che mai può essere pienamente saziato dagli elementi terreni.Sa ancora che l'uomo, sollecitato incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto indifferente davanti al problema religioso, come dimostrano non solo l'esperienza dei secoli passati, ma anche molteplici testimonianze dei tempi nostri.L'uomo, infatti, avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, della sua attività e della sua morte. E la Chiesa, con la sua sola presenza nel mondo, gli richiama alla mente questi problemi. Ma soltanto Dio, che ha creato l'uomo a sua immagine e che lo ha redento dal peccato, può offrire a tali problemi una risposta pienamente adeguata; cose che egli fa per mezzo della rivelazione compiuta nel Cristo, Figlio suo, che si è fatto uomo.Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo.Partendo da questa fede, la Chiesa può sottrarre la dignità della natura umana al fluttuare di tutte le opinioni che, per esempio, abbassano troppo il corpo umano, oppure lo esaltano troppo.Nessuna legge umana è in grado di assicurare la dignità personale e la libertà dell'uomo, quanto il Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa.

La Chiesa afferma una verità importante: solo il Vangelo rivela in pieno la dignità umana e la libertà della persona.

Questo Vangelo, infatti, annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù che deriva in ultima analisi dal peccato onora come sacra la dignità della coscienza e la sua libera decisione, ammonisce senza posa a raddoppiare tutti i talenti umani a servizio di Dio e per il bene degli uomini, infine raccomanda tutti alla carità di tutti. Ciò corrisponde alla legge fondamentale della economia cristiana.Benché, infatti, il Dio Salvatore e il Dio Creatore siano sempre lo stesso Dio, e così pure si identifichino il Signore della storia umana e il Signore della storia della salvezza, tuttavia in questo stesso ordine divino la giusta autonomia della creatura, specialmente dell'uomo, lungi dall'essere soppressa, viene piuttosto restituita alla sua dignità e in essa consolidata.Perciò la Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai giorni nostri tali diritti vengono promossi ovunque.

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Questo movimento tuttavia deve essere impregnato dallo spirito del Vangelo e dev'essere protetto contro ogni specie di falsa autonomia. Siamo, infatti, esposti alla tentazione di pensare che i nostri diritti personali sono pienamente salvi solo quando veniamo sciolti da ogni norma di legge divina.Ma per questa strada la dignità della persona umana non si salva e va piuttosto perduta.

La svolta è riconoscere nel Vangelo la vera radice dei diritti umani, andando ben al di là delle condanne espresse ad esempio dal Sillabo (1864) di Pio IX che negava la libertà religiosa, rifiutandola come prodotto della massoneria.Solo con Leone XIII (Rerum Novarum, 1891) si incominciano a considerare gli elementi della realtà sociale della vita umana. Il CVII prosegue su tale linea, affermando che il Vangelo è la fonte del vero umanesimo.

Questo è sufficiente per indicare le coordinate del rapporto tra Chiesa e mondo, definite dalla ricerca delle radici dei diritti umani nel Vangelo di Cristo, perfettamente uomo e uomo perfetto. Si tratta di una relazione di reciprocità: proporre al mondo e ricevere dal mondo.Occorre confrontarsi con l’umanesimo contemporaneo: ispirato ad esempio a Marx, che pure puntava a valorizzare la dignità umana, a partire dalla dimensione lavorativa ed economica.

42. L'aiuto che la Chiesa intende dare alla società umana.(…) Promuovere l'unità corrisponde infatti alla intima missione della Chiesa, la quale è appunto «in Cristo quasi un sacramento, ossia segno e strumento di intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano». Così essa mostra al mondo che una vera unione sociale esteriore discende dalla unione delle menti e dei cuori, ossia da quella fede e da quella carità, con cui la sua unità è stata indissolubilmente fondata nello Spirito Santo.(…) Niente le sta più a cuore che di servire al bene di tutti e di potersi liberamente sviluppare sotto qualsiasi regime che rispetti i diritti fondamentali della persona e della famiglia e riconosca le esigenze del bene comune.43. L'aiuto che la Chiesa intende dare all'attività umana per mezzo dei cristiani.44. L'aiuto che la Chiesa riceve dal mondo contemporaneo.45. Cristo, l'alfa e l'omega.

PARTE II - ALCUNI PROBLEMI PIÙ URGENTI (46-90)

CAPITOLO I - DIGNITÀ DEL MATRIMONIO E DELLA FAMIGLIA E SUA VALORIZZAZIONE47. Matrimonio e famiglia nel mondo d'oggi48. Santità del matrimonio e della famiglia49. L'amore coniugale50. La fecondità del matrimonio51. Accordo dell'amore coniugale col rispetto della vita(…) Infatti Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita: missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l'aborto e l'infanticidio sono delitti abominevoli (…).52. L'impegno di tutti per il bene del matrimonio e della famiglia

CAPITOLO II - LA PROMOZIONE DELLA CULTURA53. Introduzione54. Nuovi stili di vita

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(…) l'industrializzazione, l'urbanesimo e le altre cause che favoriscono la vita collettiva creano nuove forme di cultura (cultura di massa), da cui nascono nuovi modi di pensare, di agire, di impiegare il tempo libero; lo sviluppo dei rapporti fra le varie nazioni e le classi sociali rivela più ampiamente a tutti e a ciascuno i tesori delle diverse forme di cultura, e così poco a poco si prepara una forma di cultura umana più universale, la quale tanto più promuove ed esprime l'unità del genere umano, quanto meglio rispetta le particolarità delle diverse culture.

55. L'uomo artefice della culturaCresce sempre più il numero degli uomini e delle donne di ogni gruppo o nazione che prendono coscienza di essere artefici e promotori della cultura della propria comunità. In tutto il mondo si sviluppa sempre più il senso dell'autonomia e della responsabilità, cosa che è di somma importanza per la maturità spirituale e morale dell'umanità. Ciò appare ancor più chiaramente se teniamo presente l'unificazione del mondo e il compito che ci si impone di costruire un mondo migliore nella verità e nella giustizia. In tal modo siamo testimoni della nascita d'un nuovo umanesimo, in cui l'uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia.

Ottimismo di GS: “cresce sempre più…”. Si parla di un umanesimo nel senso di promozione dell’uomo nella sua ampiezza e globalità. Si tratta di praticare ma ancor prima teorizzare la piena dignità della persona umana, valorizzandone ogni aspetto e dimensione.Responsabilità verso i fratelli (in orizzontale) e la storia (in verticale). Già l’umanesimo del Quattrocento richiamava l’uomo come centro di vita e cultura, ma intendeva l’uomo come essere forte, vincente, “signore” della terra (a livello iconografico: il capitano di ventura, il mercante di città). GS parla invece di responsabilità, sottolineando in modo laico quello che è l’amore per i fratelli.

Il principio teologico che soggiace a GS è: “Cristo è perfettamente uomo e uomo perfetto”. La Chiesa è “esperta in umanità” (Paolo VI) perché ha imparato da Gesù Cristo che è “vero uomo”.

56. Difficoltà e compitiIn qual modo promuovere il dinamismo e l'espansione della nuova cultura senza che si perda la viva fedeltà al patrimonio della tradizione? (…) Come, infine, riconoscere come legittima l'autonomia che la cultura rivendica a se stessa, senza giungere a un umanesimo puramente terrestre, anzi avverso alla religione? (…).57. Fede e cultura58. I molteplici rapporti fra il Vangelo di Cristo e la cultura(…) Fedele alla propria tradizione e nello stesso tempo cosciente dell'universalità della sua missione, può entrare in comunione con le diverse forme di cultura; tale comunione arricchisce tanto la Chiesa stessa quanto le varie culture (…).59. Armonizzazione dei diversi aspetti della cultura60. Il riconoscimento del diritto di ciascuno alla cultura e sua attuazione61. L'educazione ad una cultura integrale62. Accordo fra cultura umana e insegnamento cristiano

CAPITOLO III - VITA ECONOMICO-SOCIALE

63. La vita economica e alcuni aspetti caratteristici contemporanei

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Anche nella vita economico-sociale sono da tenere in massimo rilievo e da promuovere la dignità della persona umana, la sua vocazione integrale e il bene dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale (…).Tuttavia non mancano motivi di preoccupazione. (…) squilibri economici e sociali si avvertono tra l'agricoltura, l'industria e il settore dei servizi, come pure tra le diverse regioni di uno stesso paese. Una contrapposizione, che può mettere in pericolo la pace del mondo intero, si fa ogni giorno più grave tra le nazioni economicamente più progredite e le altre.64. Lo sviluppo economico a servizio dell'uomo65. Lo sviluppo economico sotto il controllo dell'uomo66. Ingenti disparità economico-sociali da far scomparire67. Lavoro, condizione di lavoro e tempo libero68. Partecipazione nell'impresa e nell'indirizzo economico generale; conflitti di lavoro69. I beni della terra e loro destinazione a tutti gli uominiDio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità. Pertanto, quali che siano le forme della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli secondo circostanze diverse e mutevoli, si deve sempre tener conto di questa destinazione universale dei beni (…).70. Investimenti e moneta71. Accesso alla proprietà e dominio privato dei beni; problemi dei latifondi 72. L'attività economico-sociale e il regno di Cristo

CAPITOLO IV - LA VITA DELLA COMUNITÀ POLITICA

73. La vita pubblica contemporanea74. Natura e fine della comunità politica(…) La comunità politica esiste dunque in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova significato e piena giustificazione e che costituisce la base originaria del suo diritto all'esistenza.Il bene comune si concreta nell'insieme di quelle condizioni di vita sociale che consentono e facilitano agli esseri umani, alle famiglie e alle associazioni il conseguimento più pieno della loro perfezione (…).75. Collaborazione di tutti alla vita pubblica76. La comunità politica e la Chiesa(…) La Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana.La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini (…).

CAPITOLO V - LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI

77. Introduzione78. La natura della paceLa pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita a opera della giustizia. È il frutto dell'ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta. Infatti il bene comune del genere umano è regolato, sì, nella sua

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sostanza, dalla legge eterna, ma nelle sue esigenze concrete è soggetto a continue variazioni lungo il corso del tempo; per questo la pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente. Poiché inoltre la volontà umana è labile e ferita per di più dal peccato, l'acquisto della pace esige da ognuno il costante dominio delle passioni e la vigilanza della legittima autorità.79. Il dovere di mitigare l'inumanità della guerra80. La guerra totale81. La corsa agli armamenti82. La condanna assoluta della guerra e l'azione internazionale per evitarla83. Le cause di discordia e i loro rimedi(…) è assolutamente necessario che le istituzioni internazionali sviluppino e consolidino la loro cooperazione e la loro coordinazione e che, senza stancarsi, si stimoli la creazione di organismi idonei a promuovere la pace.84. La comunità delle nazioni e le istituzioni internazionali85. La cooperazione internazionale sul piano economico86. Alcune norme opportune87. La cooperazione internazionale e l'accrescimento demografico88. Il compito dei cristiani nell'aiuto agli altri paesi89. Efficace presenza della Chiesa nella comunità internazionale90. La partecipazione dei cristiani alle istituzioni internazionali

CONCLUSIONE

91. Compiti dei singoli fedeli e delle Chiese particolari92. Il dialogo fra tutti gli uominiLa Chiesa, in forza della missione che ha di illuminare tutto il mondo con il messaggio evangelico e di radunare in un solo Spirito tutti gli uomini di qualunque nazione, razza e civiltà, diventa segno di quella fraternità che permette e rafforza un sincero dialogo.Ciò esige che innanzitutto nella stessa Chiesa promuoviamo la mutua stima, il rispetto e la concordia, riconoscendo ogni legittima diversità, per stabilire un dialogo sempre più fecondo fra tutti coloro che formano l'unico popolo di Dio, che si tratti dei pastori o degli altri fedeli cristiani. Sono più forti infatti le cose che uniscono i fedeli che quelle che li dividono ; ci sia unità nelle cose necessarie, libertà nelle cose dubbie e in tutto carità.Il nostro pensiero si rivolge contemporaneamente ai fratelli e alle loro comunità, che non vivono ancora in piena comunione con noi, ma ai quali siamo uniti nella confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e dal vincolo della carità, memori che l'unità dei cristiani è oggi attesa e desiderata anche da molti che non credono in Cristo (…).Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani (…). Per quanto ci riguarda, il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con la opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora l'autore, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere.Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a una sola e identica vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace.93. Un mondo da costruire e da condurre al suo fine

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REDEMPTORIS MISSIO (1990) di Giovanni Paolo II Lettera ENCICLICA circa la permanente validità del mandato missionario

Studiare i primi 5 capitoli.GPII la scrive dinanzi alla crisi della spinta missionaria della Chiesa: se già in ogni uomo opera la grazia di Dio in maniera invisibile, ci si chiedeva perché si dovesse insistere nell’annunciare il Vangelo a chi già aveva una propria fede e religione.

“Lettera enciclica sulla permanente validità del mandato missionario”: non bisogna cessare di annunciare il Vangelo così come Gesù ha chiesto di fare, poiché (Introduzione) la missione affidata alla Chiesa dal Redentore è “ben lontana dal suo compimento”. Sono passati 25 anni dalla fine del CVII e 15 anni dalla “Evangeli Nuntiandi” di Paolo VI (che ha fissato magistralmente le linee della evangelizzazione).

Teorie Regnocentriche o pneumatocentriche: il messaggio di Gesù dice che il Regno è già qui, presente tra noi, per cui anche animisti e induisti già appartengono al Regno, senza il bisogno di introdurli nella chiesa. Se poi lo Spirito agisce in ogni uomo, non occorre annunciare il Vangelo poiché già in ogni persona opera lo Spirito Santo.Servire l’uomo annunziandogli l’amore di Dio rivelato da Cristo Gesù: questo è il principio fondamentale della missio ad gentes.Il Vangelo va “inculturato”: l’annuncio deve mettere in dialogo il Vangelo con le culture. “Andate ed evangelizzate le culture”, così traduce Paolo VI, intendendo il Vangelo come un messaggio che deve raggiungere le culture prima ancora dei popoli. La gente accetta maestri quando questi sono anche testimoni.

Il mandato missionario di Gesù:

Mc 16, 15-16 “Gesù disse loro: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.  Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”Conta l’annuncio, il kerygma, che viene annunciato come di passaggio tra i popoli, senza doversi curare con ansia anche del risultato in termini di discepolato (chi aderisce, chi no).

Mt 28, 19-20 “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato.”Emerge il “fare discepoli”, curare cioè l’adesione delle genti al Vangelo, con un discepolato dettagliato e approfondito. Non basta annunciare (San Paolo), ma occorre far discepoli.

At 1, 6-9 (Luca) “6 Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?». 7 Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, 8 ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra». 9 Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo”Dopo annuncio e discepolato, ecco la testimonianza.

Gv 20, 19-22 “19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato (…) venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». (…) Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». 22 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; 23 a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».”La missione è anche donare il perdono che il Signore ha messo nelle mani dei suoi apostoli, mediando la ricchezza sacramentale della vita della Chiesa. Quindi il quarto passo è quello della mediazione sacramentale.

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Il contesto della RM è quello della CRISI MISSIONARIA. Negli anni ’50 il mondo era diviso tra Francia e Inghilterra, con qualche possedimento tedesco, italiano, spagnolo. Tale diffusione era anche dovuta alla missione. L’enciclica “Fidei Donum” di Pio XII permise ai sacerdoti diocesani di poter partire missionari senza passare attraverso gli specifici istituti dedicati alla formazione dei sacerdoti missionari. Era un tentativo di non far calare la missione all’estero.

Il CVII in GS22 afferma che Cristo si fa vicino a ogni uomo nel suo mistero pasquale e lo Spirito Santo per vie che solo Dio conosce può raggiungere ogni cuore. Questa idea mette in crisi, se così si può dire, il valore della missione. La “plantatio Ecclesiae” pare andare ben aldilà di quanto occorre per favore la diffusione dello Spirito Santo…

REDEMPTORIS MISSIO“Sulla forza e la ragione della missione cattolica”.

Mentre in precedenza si affermava anzitutto il dovere di salvare un’anima (col Battesimo!), per cui il successo della missione si misurava in numero di battezzati, adesso si parla di servire l’uomo.Si afferma che Cristo è l’unico salvatore e mediatore tra Dio e gli uomini, da ciò scaturisce la necessità della missione, sulla scia del comando divino.Se Cristo è unico mediatore, ciò non significa che non vi siano altre mediazioni partecipate, altri valori che permettono il dialogo tra vangelo e culture diverse.

Un elemento di crisi è la separazione tra Cristo e Logos: il Cristo è Logos incarnato ma non tutto il Logos. Quindi Cristo è solo una incarnazione, un àvatar. E non può pretendere quella definitività (una volta sola e una volta per tutte, Ebr) che le altre incarnazioni non pretendono. Quindi anche Cristo dovrebbe essere solo una incarnazione parziale: ragionamento pericolosissimo per la ortodossia della fede cristiana.

I capitolo – Cristo unico salvatoreII capitolo – il Regno universale. La Chiesa comincia ab Abel, cioè dal primo defunto all’ultimo (nel momento del giudizio universale). Il Regno comprende tutti gli uomini, già ora, e questa idea potrebbe far diminuire la missione. III cap – Lo Spirito Santo protagonista della missioneIV cap – Gli orizzonti della missioneV cap – le vie della missione

II – Universalità del Regno di Dio. Dalla bocca di Gesù deriva l’annuncio del Regno di Dio, un regno che non è temporale bensì riconosce Dio come unica guida della umanità. Dio si impegna nella storia e vuol salvare l’uomo ha una ricaduta antropologica importante, poiché il Regno di Dio comporta non un esproprio ma il regno dell’uomo stesso. Servire è regnare per chi si affida a Cristo. Non siamo solo strumenti della gloria di Dio, ma chiamati a regnare con il Signore, la cui signoria è partecipativa, a favore dell’uomo. Regno che c’è già ma non ancora. E che si realizza in Gesù che è il punto centrale del Regno, in cui esso si realizza. Gesù realizza infatti tutte le beatitudini.

III – Il ruolo dello Spirito Santo. Si riferisce alla Dominum et vivificantem (enciclica assai complessa dello stesso GPII). Lo Spirito Santo è inviato dal Padre tramite il Figlio per universalizzare, attualizzare e compiere l’opera di Gesù. Tutto è opera dello Spirito Santo, anche i momenti più significativi della vita di Gesù e della Chiesa.

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Lo Spirito Santo tocca società e storia, popoli e culture. Lo Spirito “che conosce ogni cosa” (Sap). Nel NT non si parla dello Spirito Santo come operatore dell’opus creationis (AT), ma solo nell’opus redemptionis. Lo Spirito sparge i semi del Verbo (scintille del Logos). La preghiera di Assisi (1986) non era stata promossa da GPII per “pregare insieme”, bensì per essere insieme per pregare, sapendo che ogni forma di preghiera ha un terminus (Dio) diverso e non coincidente. Accanto al regno-centrismo, si sviluppava lo pneumo-centrismo: lo Spirito opera e instaura il regno, raggiungendo ogni uomo, ogni cultura, in ogni religione. Il rischio è stato quello di pensare che allora ogni pratica religiosa fosse equivalente alle altre. Neppure si può affermare che lo Spirito sia alternativo alla Chiesa, per cui viene meno la tentazione di oppure la gerarchia istituzionale al carisma libero.

IV – Il quadro della missione. Si punta sul concetto di nuova evangelizzazione. La prima volta che GPII ne parla è nel giugno 1979, in occasione del primo viaggio del Papa nella sua terra. La TV polacca non voleva far vedere quanti fedeli fossero presenti, ma ci sono foto che testimoniano una folla immensa. In quella occasione parlò di nuova evangelizzazione: non nuova nei contenuti – il Vangelo è quello, sempre – ma nei modi, cioè nella trasmissione. Il mondo cristiano è cambiato. Occorre studiare nuove modalità di annuncio. Anche perché non è detto che i Paesi che si dicono cristiani, siano poi realmente così. Occorrono linguaggi, entusiasmi, modi nuovi, validi soprattutto per chi è lontano. L’antropologia culturale può offrire aiuto per comprendere il contesto di riferimento dell’annuncio.

V – Le vie della missione. Anzitutto (1) la testimonianza, che passa attraverso la presenza stessa. Poi (2) il servizio di promozione sociale: sono gli anni della contestazione sociale, incentrata sul tema della povertà. Il Vangelo comporta anche la promozione umana: dignità, libertà, eguaglianza. Grandi polemiche con le realtà sud-americane (teologia della liberazione). Quindi (3) vita liturgica, preghiera e contemplazione. La vita liturgica stessa – laddove è vista o conosciuta – è missione. Occorre avere fede e pregare per entrare nella missione efficace. Infine (4) il dialogo, quale strumento di intesa e di cammino e (5) annuncio e catechesi. Gli strumenti sono essi in un ordine particolare, partendo da quelli più generali per giungere poi a quelli più specifici. I fondamenti del dialogo: non come compromesso, ma come difesa della identità. Occorrono chiarezza (non nascondere nulla), mitezza (non imporsi), fiducia (nel messaggio e nella parola): come ricorda la Ecclesiam Suam. Centrale è il riconoscere che anche la mia esperienza può essere arricchita o purificata nel dialogo con una posizione diversa, che pure non aggiunge nulla alla fede cristiana.

Dopo il CVII si scatena una battaglia sul rapporto tra evangelizzazione e promozione sociale, riconoscendo che essa non è complementare, bensì essenziale. Non ci può esser annuncio senza promozione umana (che è forma di testimonianza). Nell’America Latina prevaleva il desiderio di coscientizzazione (siamo un popolo sfruttato) e liberazione (dallo sfruttamento), fino alla lotta sociale. Il Papa Francesco non parla mai di diretto impegno politico, bensì di impegno per ogni cristiano. Si tratta di praticare il Vangelo.

DIALOGO E ANNUNCIOL’impegno per l’uomo è essenziale all’annuncio del Vangelo e modalità della testimonianza cristiana. E costituisce anche una condizione per il dialogo.

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REDEMPTORIS MISSIO (1990)

Capitolo I - GESÙ CRISTO UNICO SALVATORE

4. Il compito fondamentale della chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra - ricordavo nella prima Enciclica programmatica - è di dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo.(…) Eppure, anche a causa dei cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove idee teologiche alcuni si chiedono: È ancora attuale la missione tra i non cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo inter-religioso? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana? Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni proposta di conversione? Non ci si può salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la missione?

«Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 6)5. Risalendo alle origini della chiesa, troviamo chiaramente affermato che Cristo è l'unico salvatore (Gv 14,6) di tutti colui che solo è in grado di rivelare Dio e di condurre a Dio. Alle autorità religiose giudaiche che interrogano gli apostoli in merito alla guarigione dello storpio, da lui operata, Pietro risponde: «Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo... in nessun altro c'è salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati». (At 4,10. 12) Questa affermazione, rivolta al sinedrio, ha un valore universale, poiché per tutti - giudei e gentili - la salvezza non può venire che da Gesù Cristo.L'universalità di questa salvezza in Cristo e affermata in tutto il Nuovo Testamento (…). Nel Vangelo di san Giovanni questa universalità salvifica di Cristo comprende gli aspetti della sua missione di grazia, di verità e di rivelazione: «Il Verbo è la luce vera, che illumina ogni uomo». (Gv 1,9) E ancora: «Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato». (Gv 1,18; cf. Mt 11,27). (…) In questa Parola definitiva della sua rivelazione Dio si è fatto conoscere nel modo più pieno: egli ha detto all'umanità chi è. E questa autorivelazione definitiva di Dio è il motivo fondamentale per cui la chiesa è per sua natura missionaria. Essa non può non proclamare il Vangelo, cioè la pienezza della verità che Dio ci ha fatto conoscere intorno a se stesso.Cristo è l'unico mediatore tra Dio e gli uomini: “Uno solo, infatti, è Dio, e uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2,5) (…).

6. È contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo. San Giovanni afferma chiaramente che il Verbo, che «era in principio presso Dio», è lo stesso che «si fece carne»: (Gv 1,2. 14) Gesù è il Verbo incarnato, persona una e indivisibile. Non si può separare Gesù da Cristo, né parlare di un «Gesù della storia», che sarebbe diverso dal «Cristo della fede». (…) Cristo non è altro che Gesù di Nazareth, e questi è il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti. In Cristo «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9) e «dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto». (Gv 1,16) (…).

La fede in Cristo è una proposta alla libertà dell'uomo.7. L'urgenza dell'attività missionaria emerge dalla radicale novità di vita, portata da Cristo e vissuta dai suoi discepoli. Questa nuova vita è dono di Dio, e all'uomo è richiesto di accoglierlo e di svilupparlo, se vuole realizzarsi secondo la sua vocazione integrale in conformità a Cristo. (…) Dio offre all'uomo questa novità di vita. Si può rifiutare Cristo e tutto ciò che egli ha portato nella storia dell'uomo? Certamente si può. L'uomo è libero. L'uomo può dire a Dio: no. L'uomo può dire a Cristo: no. Ma rimane la domanda fondamentale: È lecito farlo? e in nome di che cosa è lecito.

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8. (…) a quanti sono preoccupati di salvare la libertà di coscienza, risponde il Concilio Vaticano II: «La persona umana ha il diritto alla libertà religiosa...Tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione (…) in materia religiosa (…)».L'annunzio e la testimonianza di Cristo, quando son fatti in modo rispettoso delle coscienze, non violano la libertà. La fede esige la libera adesione dell'uomo, ma deve essere proposta, poiché le moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo (…). Per questo la chiesa mantiene il suo slancio missionario e vuole, altresì, intensificarlo nel nostro momento storico (…).

La Chiesa segno e strumento di salvezza9. Prima beneficiaria della salvezza è la Chiesa: (…) posta come sacramento universale di salvezza: «Tutti gli uomini, quindi, sono chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio..., e a essa in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia tutti gli uomini universalmente, chiamati a salvezza dalla grazia di Dio». 17 È necessario tener congiunte queste due verità, cioè la reale possibilità della salvezza in Cristo per tutti gli uomini e la necessità della chiesa in ordine a tale salvezza (…).

La salvezza è offerta a tutti gli uomini10. L'universalità della salvezza non significa che essa è accordata solo a coloro che, in modo esplicito, credono in Cristo e sono entrati nella chiesa. Se è destinata a tutti, la salvezza deve essere messa in concreto a disposizione di tutti. Ma è evidente che, oggi come in passato, molti uomini non hanno la possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del Vangelo, di entrare nella chiesa. Essi vivono in condizioni socio-culturali che non lo permettono, e spesso sono stati educati in altre tradizioni religiose. Per essi la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito santo: essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione. (…) dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale (…).

«Noi non possiamo tacere» (At 4,20)11. Che dire allora delle obiezioni, già ricordate, in merito alla missione ad gentes? Nel rispetto di tutte le credenze e di tutte le sensibilità, dobbiamo anzitutto affermare con semplicità la nostra fede in Cristo, unico salvatore dell'uomo, fede che abbiamo ricevuto come dono dall'alto senza nostro merito. Noi diciamo con Paolo: «Io non mi vergogno del Vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede». (Rm 1,16) I martiri cristiani di tutti i tempi anche del nostro hanno dato e continuano a dare la vita per testimoniare agli uomini questa fede (…). All'interrogativo: perché la missione? noi rispondiamo con la fede e con l'esperienza della chiesa che aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione. In lui, soltanto in lui siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù al potere del peccato e della morte. (…) sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina. (…)Tutti (…) hanno il diritto di conoscere il valore di tale dono e di accedervi. La chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere né conservare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per esser comunicata a tutti gli uomini. Ecco perché la missione, oltre che dal mandato formale del Signore, deriva dall'esigenza profonda della vita di Dio in noi (…).

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CAPITOLO II - IL REGNO DI DIO

12. (…) il Cristo è la rivelazione e l'incarnazione della misericordia del Padre. La salvezza consiste nel credere e accogliere il mistero del Padre e del suo amore che si manifesta e si dona in Gesù mediante lo Spirito (…).

Cristo rende presente il Regno13. Gesù di Nazareth porta a compimento il disegno di Dio. Dopo aver ricevuto lo Spirito santo nel battesimo, egli manifesta la sua vocazione messianica: percorre la Galilea «predicando il Vangelo di Dio e dicendo: "Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo"». (Mc 1,14); (Mt 4,17); (Lc 4,43) La proclamazione e l'instaurazione del regno di Dio sono l'oggetto della sua missione: «È per questo che sono stato inviato». (Lc 4,43) Ma c'è di più: Gesù è lui stesso la «buona novella», come afferma già all'inizio della missione nella sinagoga del suo paese, applicando a sé le parole di Isaia sull'Unto, inviato dallo Spirito del Signore. (Lc 4,14) Essendo la «buona novella», in Cristo c'è identità tra messaggio e messaggero, tra il dire, l'agire e l'essere.(…) La realtà escatologica non è rinviata a una fine remota del mondo, ma si fa vicina e comincia ad attuarsi. Il regno di Dio si avvicina, (Mc 1,15) si prega perché venga, (Mt 6,10) la fede lo scorge già operante nei segni, quali i miracoli, (Mt 11,4) gli esorcismi, (Mt 3,13) l'annunzio della «buona novella» ai poveri. (Lc 4,18) Negli incontri di Gesù con i pagani è chiaro che l'accesso al regno avviene mediante la fede e la conversione (Mc 1,15) e non per semplice appartenenza etnica. Il regno che Gesù inaugura è il regno di Dio: Gesù stesso rivela chi è questo Dio, che chiama col termine familiare di «abbà», Padre. (Mc 14,36) (…) Ogni uomo, perciò, è invitato a «convertirsi» e a «credere» all'amore misericordioso di Dio per lui (…).

Caratteristiche ed esigenze del Regno14. (…) Il regno di Dio è destinato a tutti gli uomini, essendo tutti chiamati a esserne membri. (…) All'inizio dei suo ministero egli proclama di essere stato mandato per annunziare ai poveri il lieto messaggio (…) rivelando così la sua immensa tenerezza verso i bisognosi e i peccatori. (Lc 15,1)La liberazione e la salvezza, portate dal regno di Dio raggiungono la persona umana nelle sue dimensioni sia fisiche che spirituali. Due gesti caratterizzano la missione di Gesù: il guarire e il perdonare. (…) Nella prospettiva di Gesù le guarigioni sono anche segno della salvezza spirituale, cioè della liberazione dal peccato. (…)

15. Il regno mira a trasformare i rapporti tra gli uomini (…) Prima di lasciare i suoi, dà loro un «comandamento nuovo»: «Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato». (Gv 13,34) (…). Perciò, la natura del regno è la comunione di tutti gli esseri umani tra di loro e con Dio. (…) In sintesi, il regno di Dio è la manifestazione e l'attuazione del suo disegno di salvezza in tutta la sua pienezza.

Nel Risorto il Regno si compie ed è proclamato16. Risuscitando Gesù dai morti, Dio ha vinto la morte e in lui ha inaugurato definitivamente il suo regno (…).È sull'annunzio di Gesù Cristo, con cui il regno si identifica, che è incentrata la predicazione della chiesa primitiva. Come allora, oggi bisogna unire l'annunzio del regno di Dio (il contenuto del «kérygma» di Gesù) e la proclamazione dell'evento Gesù Cristo (che è il «kérygma» degli apostoli). I due annunzi si completano e si illuminano a vicenda.

Il Regno in rapporto a Cristo e alla Chiesa17. Oggi si parla molto del regno, ma non sempre in consonanza col sentire ecclesiale. Ci sono, infatti, concezioni della salvezza e della missione che si possono chiamare «antropocentriche» nel senso riduttivo del termine, in quanto sono incentrate sui bisogni terreni dell'uomo. In questa

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visione il regno tende a diventare una realtà del tutto umana e secolarizzata, in cui ciò che conta sono i programmi e le lotte per la liberazione socio-economica, politica e anche culturale, ma in un orizzonte chiuso al trascendente. (…) Il regno di Dio, invece, «non è di questo mondo..., non è di quaggiù». (Gv 18,36) Ci sono, poi, concezioni che di proposito pongono l'accento sul regno e si qualificano come «regno-centriche», le quali danno risalto all'immagine di una chiesa che non pensa a se stessa, ma è tutta occupata a testimoniare e a servire il regno. È una chiesa per gli altri, si dice, come Cristo è l'«uomo per gli altri». Si descrive il compito della chiesa come se debba procedere in una duplice direzione: da un lato, promuovere i cosiddetti «valori del regno», quali la pace, la giustizia, la libertà, la fraternità; dall'altro, favorire il dialogo fra i popoli, le culture, le religioni, affinché in un vicendevole arricchimento aiutino il mondo a rinnovarsi e a camminare sempre più verso il regno. Accanto ad aspetti positivi, queste concezioni ne rivelano spesso di negativi. Anzitutto, passano sotto silenzio Cristo: il regno, di cui parlano, si fonda su un «teocentrismo», perché - dicono - Cristo non può essere compreso da chi non ha la fede cristiana, mentre popoli, culture e religioni diverse si possono ritrovare nell'unica realtà divina, quale che sia il suo nome. Per lo stesso motivo esse privilegiano il mistero della creazione, che si riflette nella diversità delle culture e credenze ma tacciono sul mistero della redenzione. Inoltre, il regno, quale essi lo intendono, finisce con l'emarginare o sottovalutare la chiesa, per reazione a un supposto «ecclesiocentrismo» del passato e perché considerano la chiesa stessa solo un segno, non privo peraltro di ambiguità.

18. Ora, non è questo il regno di Dio, quale conosciamo dalla rivelazione: esso non può essere disgiunto né da Cristo né dalla chiesa. (…) Se si distacca il regno da Gesù, non si ha più il regno di Dio da lui rivelato (…). Parimenti, non si può disgiungere il regno dalla chiesa. Certo, questa non e fine a se stessa, essendo ordinata al regno di Dio, di cui è germe, segno e strumento. Ma, mentre si distingue dal Cristo e dal regno, la chiesa è indissolubilmente unita a entrambi (…).

La Chiesa a servizio del Regno20. La Chiesa è effettivamente e concretamente a servizio del regno. Lo è, anzitutto, con l'annunzio che chiama alla conversione: è, questo, il primo e fondamentale servizio alla venuta del regno nelle singole persone e nella società umana. La salvezza escatologica inizia già ora nella novità di vita in Cristo: «A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome». (Gv 1,12) La chiesa, poi, serve il regno fondando comunità e istituendo chiese particolari e portandole alla maturazione della fede e della carità nell'apertura verso gli altri, nel servizio alla persona e alla società, nella comprensione e stima delle istituzioni umane.» La chiesa, inoltre, serve il regno diffondendo nel mondo i «valori evangelici», che del regno sono espressione e aiutano gli uomini ad accogliere il disegno di Dio. (…) La chiesa è sacramento di salvezza per tutta l'umanità, e la sua azione non si restringe a coloro che ne accettano il messaggio. Essa è forza dinamica nel cammino dell'umanità verso il regno escatologico, è segno e promotrice dei valori evangelici tra gli uomini (…).

CAPITOLO III - LO SPIRITO SANTO PROTAGONISTA DELLA MISSIONE

21. (…) Lo Spirito santo invero è il protagonista di tutta la missione ecclesiale: la sua opera rifulge eminentemente nella missione ad gentes, come appare nella chiesa primitiva per la conversione di Cornelio, (At 10,1) per le decisioni circa i problemi emergenti, (At 15,1) per la scelta dei territori e dei popoli (At 16,6) (…).

L'invio «fino agli estremi confini della terra»22. Tutti gli evangelisti, quando narrano l'incontro del Risorto con gli apostoli, concludono col mandato missionario: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e

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ammaestrate tutte le nazioni... (At 1,8) Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». (Mt 28,18); (Mc 16,15); (Lc 24,46); (Gv 20,21) Questo invio è invio nello Spirito come appare chiaramente nel testo di san Giovanni: Cristo manda i suoi nel mondo come il Padre ha mandato lui e per questo dona loro lo Spirito. A sua volta, Luca collega strettamente la testimonianza che gli apostoli dovranno rendere a Cristo con l'azione dello Spirito, che li metterà in grado di attuare il mandato ricevuto.

23. Le varie forme del «mandato missionario» contengono punti in comune e accenti caratteristici; due elementi però, si ritrovano in tutte le versioni. Anzitutto, la dimensione universale del compito affidato agli apostoli: «Tutte le nazioni»; (Mt 28,19) «in tutto il mondo a ogni creatura»; (Mc 16,15) «tutte le genti»; (Lc 24,47) «fino agli estremi confini della terra». (At 1,8) In secondo luogo, l'assicurazione data loro dal Signore che in questo compito non rimarranno soli, ma riceveranno la forza e i mezzi per svolgere la loro missione. È in ciò la presenza e la potenza dello Spirito e l'assistenza di Gesù: «Essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro». (Mc 16,20) Quanto alle differenze di accento nel mandato, Marco presenta la missione come proclamazione, o kérygma: «Proclamate il Vangelo». (Mc 16,15) Scopo dell'evangelista è di condurre i lettori a ripetere la confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29) e a dire, come il centurione romano dinanzi a Gesù morto in croce: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio». (Mc 15,39) In Matteo l'accento missionario è posto sulla fondazione della chiesa e sul suo insegnamento; (Mt 28,19); (Mt 16,18) in lui, dunque, il mandato evidenzia che la proclamazione del Vangelo dev'essere completata da una specifica catechesi di ordine ecclesiale e sacramentale. In Luca la missione è presentata come testimonianza, (Lc 24,48); (At 1,8) che verte soprattutto sulla risurrezione. (At 1,22) Il missionario è invitato a credere alla potenza trasformatrice del Vangelo e ad annunziare ciò che Luca illustra bene, cioè la conversione all'amore e alla misericordia di Dio, l'esperienza di una liberazione integrale fino alla radice di ogni male, il peccato. Giovanni è il solo a parlare esplicitamente di «mandato» parola che equivale a «missione» collegando direttamente la missione che Gesù affida ai suoi discepoli con quella che egli stesso ha ricevuto dal Padre: «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi». (Gv 20,21) Gesù dice rivolto al Padre: «Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo». (Gv 17,18) Tutto il senso missionario del Vangelo di Giovanni si trova espresso nella «preghiera sacerdotale»: la vita eterna è che «conoscano te, l'unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo». (Gv 17,3) Scopo ultimo della missione è di far partecipare della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio: i discepoli devono vivere l'unità tra loro, rimanendo nel Padre e nel Figlio, perché il mondo conosca e creda (Gv 17,21) È, questo, un significativo testo missionario, il quale fa capire che si è missionari prima di tutto per ciò che si è come chiesa che vive profondamente l'unità nell'amore, prima di esserlo per ciò che si dice o si fa (…).

Lo Spirito guida la missione24. La missione della chiesa, come quella di Gesù, è opera di Dio o - come spesso dice Luca - opera dello Spirito. Dopo la risurrezione e l'ascensione di Gesù gli apostoli vivono un'esperienza forte che li trasforma: la Pentecoste (…). Gli Atti riportano sei sintesi dei «discorsi missionari» che sono rivolti ai giudei agli inizi della chiesa. (At 2,22); (At 3,12); (At 4,9); (At 5,29); (At 10,34); (At 13,16) Questi discorsi-modello, pronunciati da Pietro e da Paolo, annunziano Gesù, invitano a «convertirsi», cioè ad accogliere Gesù nella fede e a lasciarsi trasformare in lui dallo Spirito. (…) Nel primo Concilio, che riunisce a Gerusalemme intorno agli apostoli i membri di diverse chiese, viene presa una decisione riconosciuta come derivante dallo Spirito: non è necessario che il gentile si sottometta alla legge giudaica per diventare cristiano. (At 15,5); (At 11,28) Da quel momento la chiesa apre le sue porte e diventa la casa in cui tutti possono entrare e sentirsi a proprio

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agio, conservando la propria cultura e le proprie tradizioni, purché non siano in contrasto col Vangelo.

25. (…) E lo Spirito che spinge ad andare sempre oltre, non solo in senso geografico, ma anche al di là delle barriere etniche e religiose, per una missione veramente universale.

Lo Spirito rende missionaria tutta la Chiesa26. Lo Spirito spinge il gruppo dei credenti a «fare comunità», a essere chiesa. Dopo il primo annunzio di Pietro il giorno di Pentecoste e le conversioni che ne seguirono, si forma la prima comunità. (At 2,42); (At 4,32) Uno degli scopi centrali della missione, infatti, è di riunire il popolo nell'ascolto del Vangelo, nella comunione fraterna, nella preghiera e nell'eucaristia. Vivere la «comunione fraterna» (koinonìa) significa avere «un cuor solo e un'anima sola» (…).

27. Gli Atti indicano che la missione, indirizzata prima a Israele e poi alle genti, si sviluppa a molteplici livelli. C'è, innanzi tutto, il gruppo dei Dodici che, come un unico corpo guidato da Pietro, proclama la buona novella. C'è, poi, la comunità dei credenti, che. col suo modo di vivere e di operare, rende testimonianza al Signore e converte i pagani. (At 2,46) Ci sono, ancora, gli inviati speciali, destinati ad annunziare il Vangelo (…).

Lo Spirito è presente e operante in ogni tempo e luogo28. Lo Spirito si manifesta in maniera particolare nella chiesa e nei suoi membri; tuttavia, la sua presenza e azione sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo. (…) anzi, «dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale». (…) Lo Spirito, dunque, è all'origine stessa della domanda esistenziale e religiosa dell'uomo (…). È ancora lo Spirito che sparge i «semi del Verbo», presenti nei riti e nelle culture, e li prepara a maturare in Cristo.

29. (…) Il rapporto della chiesa con le altre religioni è dettato da un duplice rispetto: «Rispetto per l'uomo nella sua ricerca di risposte alle domande più profonde della vita e rispetto per l'azione dello Spirito nell'uomo». L'incontro inter-religioso di Assisi, esclusa ogni equivoca interpretazione, ha voluto ribadire la mia convinzione che «ogni autentica preghiera è suscitata dallo Spirito santo, il quale è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo». (…) Quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica e non può non avere riferimento a Cristo (…). Qualsiasi presenza dello Spirito va accolta con stima e gratitudine, ma il discernerla spetta alla chiesa, alla quale Cristo ha dato il suo Spirito per guidarla alla verità tutta intera. (Gv 16,13)

L'attività missionaria è solo agli inizi30. Il nostro tempo, con l'umanità in movimento e in ricerca, esige un rinnovato impulso nell'attività missionaria della chiesa. Gli orizzonti e le possibilità della missione si allargano, e noi cristiani siamo sollecitati al coraggio apostolico, fondato sulla fiducia nello Spirito. (…) Oggi la chiesa deve affrontare altre sfide, proiettandosi verso nuove frontiere sia nella prima missione ad gentes sia nella nuova evangelizzazione di popoli che hanno già ricevuto l'annuncio di Cristo (…).

CAPITOLO IV - GLI IMMENSI ORIZZONTI DELLA MISSIONE AD GENTES

31. Il Signore Gesù inviò i suoi apostoli a tutte le persone, a tutti i popoli e a tutti i luoghi della terra. Negli apostoli la chiesa ricevette una missione universale (…). Anzitutto, c'è l'attività missionaria che chiamiamo missione ad gentes (…) essenziale e mai conclusa.

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Un quadro religioso complesso e in movimento32. Oggi ci si trova di fronte a una situazione religiosa assai diversificata e cangiante: i popoli sono in movimento; realtà sociali e religiose che un tempo erano chiare e definite oggi evolvono in situazioni complesse. Basti pensare ad alcuni fenomeni come l'urbanesimo, le migrazioni di massa, il movimento dei profughi, la scristianizzazione di paesi di antica cristianità, L'influsso emergente del Vangelo e dei suoi valori in paesi a grandissima maggioranza non cristiana, il pullulare di messianismi e di sette religiose. È un rivolgimento di situazioni religiose e sociali, che rende difficile applicare in concreto certe distinzioni e categorie ecclesiali, a cui si era abituati. (…) Di qui il contrasto con aree di antica cristianità, che è necessario rievangelizzare. (…) un respiro nuovo alla stessa attività missionaria, concepita non già come un compito ai margini della chiesa, ma inserito nel cuore della sua vita, quale impegno fondamentale di tutto il popolo di Dio. (…) Dire che tutta la chiesa è missionaria non esclude che esista una specifica missione ad gentes, come dire che tutti i cattolici debbono essere missionari non esclude, anzi richiede che ci siano i «missionari ad gentes e a vita» per vocazione specifica.

La missione ad gentes conserva il suo valore33. Le differenze nell'attività all'interno dell'unica missione della chiesa (…) dalle diverse circostanze in cui essa si svolge. (…) si possono distinguere tre situazioni. Anzitutto, quella a cui si rivolge l'attività missionaria della chiesa: popoli, gruppi umani, contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo Vangelo non sono conosciuti (…). Ci sono, poi, comunità cristiane che hanno adeguate e solide strutture ecclesiali, sono ferventi di fede e di vita (…). Esiste, infine, una situazione intermedia, specie nei paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle chiese più giovani, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede (…). In questo caso c'è bisogno di una «nuova evangelizzazione», o «rievangelizzazione».

34. L'attività missionaria specifica, o missione ad gentes, ha come destinatari «i popoli e i gruppi che ancora non credono in Cristo», «coloro che sono lontani da Cristo», tra i quali la chiesa «non ha ancora messo radici» e la cui cultura non è stata ancora influenzata dal Vangelo (…).

A tutti i popoli, nonostante le difficoltà35. La missione ad gentes (…) sia dal punto di vista numerico per l'aumento demografico, sia dal punto di vista socio-culturale per il sorgere di nuove relazioni, contatti e il variare delle situazioni, sembra destinata ad avere orizzonti ancora più vasti (…).

36. Né mancano le difficoltà interne al popolo di Dio, le quali anzi sono le più dolorose. (…) si manifesta nella stanchezza, nella delusione, nell'accomodamento, nel disinteresse e, soprattutto, nella mancanza di gioia e di speranza. Grandi ostacoli alla missionarietà della chiesa sono anche le divisioni passate e presenti tra i cristiani, la scristianizzazione in paesi cristiani, la diminuzione delle vocazioni all'apostolato, le contro-testimonianze di fedeli e di comunità cristiane che non seguono nella loro vita il modello di Cristo. Ma una delle ragioni più gravi dello scarso interesse per l'impegno missionario è la mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra cristiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo religioso che porta a ritenere che «una religione vale l'altra» (…).

Ambiti della missione "ad gentes"37. La missione ad gentes, in forza del mandato universale di Cristo, non ha confini. Si possono, tuttavia, delineare vari ambiti in cui essa si attua, in modo da avere il quadro reale della situazione.

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a) Ambiti territoriali - (…) il criterio geografico, anche se non molto preciso e sempre provvisorio, vale ancora per indicare le frontiere verso cui deve rivolgersi l'attività missionaria (…)b) Mondi e fenomeni sociali nuovi - Le rapide e profonde trasformazioni che caratterizzano oggi il mondo, in particolare il Sud, influiscono fortemente sul quadro missionario: dove prima c'erano situazioni umane e sociali stabili, oggi tutto è in movimento (…).c) Aree culturali, o aeropaghi moderni – (…) Il primo areopago del tempo moderno è il mondo delle comunicazioni, che sta unificando l'umanità rendendola - come si suol dire - «un villaggio globale». (…) Paolo VI diceva che «la rottura fra il Vangelo e la cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca» (…).

Fedeltà a Cristo e promozione della libertà dell'uomo39. Tutte le forme dell'attività missionaria sono contrassegnate dalla consapevolezza di promuovere la libertà dell'uomo annunciando a lui Gesù Cristo. La chiesa deve essere fedele a Cristo, di cui è il corpo e continua la missione. È necessario che essa «segua la stessa strada seguita da Cristo, la strada della povertà, dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di sé fino alla morte, da cui poi risorgendo uscì vincitore». (…) È da auspicare che l'autentica libertà religiosa sia concessa a tutti in ogni luogo (…). D'altra parte, la chiesa si rivolge all'uomo nel pieno rispetto della sua libertà: la missione non coarta la libertà, ma piuttosto la favorisce. La chiesa propone, non impone nulla: rispetta le persone e le culture, e si ferma davanti al sacrario della coscienza (…).

Rivolgere l'attenzione verso il Sud e l'Oriente40. (…) la sentenza di Tertulliano, secondo cui il Vangelo è stato annunziato in tutta la terra e a tutti i popoli, è ben lontana dalla sua concreta attuazione: la missione ad gentes è ancora agli inizi. Nuovi popoli compaiono sulla scena mondiale e hanno anch'essi il diritto di ricevere l'annunzio della salvezza. La crescita demografica del Sud e dell'Oriente, in paesi non cristiani, fa aumentare di continuo il numero delle persone che ignorano la redenzione di Cristo (…).

CAPITOLO V - LE VIE DELLA MISSIONE

41. (…) La missione è una realtà unitaria, ma complessa e si esplica in vari modi, tra cui alcuni sono di particolare importanza nella presente condizione della chiesa e del mondo.

La prima forma di evangelizzazione è la testimonianza42. L'uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all'esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie. La testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della missione: Cristo, di cui noi continuiamo la missione, è il «testimone» per eccellenza (Ap 1,5); (Ap 3,14) e il modello della testimonianza cristiana. (…) tutti nella chiesa, sforzandosi di imitare il divino Maestro, possono e debbono dare tale testimonianza, che in molti casi è l'unico modo possibile di essere missionari. (…) fa nascere precise domande che orientano a Dio e al Vangelo (…).

43. Il cristianesimo è aperto alla fratellanza universale perché tutti gli uomini sono figli dello stesso Padre e fratelli in Cristo (…).

Il primo annunzio di Cristo Salvatore44. L'annunzio ha la priorità permanente nella missione: la chiesa non può sottrarsi al mandato esplicito di Cristo, non può privare gli uomini della «buona novella» che sono amati e salvati da Dio. «L'evangelizzazione conterrà sempre - come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo - anche una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo... la salvezza è offerta a ogni uomo, come dono di grazia e di misericordia di Dio stesso». (…) L'annunzio ha per oggetto il Cristo crocifisso,

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morto e risorto: in lui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; in lui Dio dona la «vita nuova», divina ed eterna. È questa la «buona novella», che cambia l'uomo e la storia dell'umanità e che tutti i popoli hanno il diritto di conoscere (…).

45. Essendo fatto in unione con l'intera comunità ecclesiale, l'annunzio non è mai un fatto personale. Il missionario è presente e opera in virtù di un mandato ricevuto e, anche se si trova solo, è collegato mediante vincoli invisibili, ma profondi all'attività evangelizzatrice di tutta la chiesa. (…) L'entusiasmo nell'annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa, sicché il missionario non si scoraggia né desiste dalla sua testimonianza, anche quando è chiamato a manifestare la sua fede in un ambiente ostile o indifferente. (…) Come sempre nella storia cristiana, i «martiri», cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino del Vangelo. Anche nella nostra epoca ce ne sono tanti: vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici, a volte eroi sconosciuti che danno la vita per testimoniare la fede. Sono essi gli annunziatori ed i testimoni per eccellenza.

Conversione e battesimo46. L'annunzio della parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè all'adesione piena e sincera a Cristo e al suo Vangelo mediante la fede. La conversione è dono di Dio, opera della Trinità: è lo Spirito che apre le porte dei cuori, affinché gli uomini possano credere al Signore e «confessarlo». (1 Cor 12,3) (…) un processo dinamico e permanente che dura per tutta l'esistenza, esigendo un passaggio continuo dalla «vita secondo la carne» alla «vita secondo lo Spirito» (…).

47. Gli apostoli, mossi dallo Spirito santo, invitavano tutti a cambiare vita, a convertirsi e a ricevere il battesimo. Subito dopo l'evento della Pentecoste, Pietro parla alla folla in modo convincente: «All'udir tutto questo si sentirono come trafiggere il cuore e chiesero a Pietro e agli altri apostoli: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". E Pietro disse: Convertitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito santo"». (At 2,37) E battezzò in quel giorno circa tremila persone. (…) «In verità, in verità ti dico Gesù dice a Nicodemo - se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel regno di Dio». (Gv 3,5) Il battesimo, infatti, ci rigenera alla vita dei fili di Dio, ci unisce a Gesù Cristo, ci unge nello Spirito santo (…).

Formazione di Chiese locali48. La conversione e il battesimo immettono nella chiesa, dove già esiste, o richiedono la costituzione di nuove comunità che confessano Gesù Salvatore e Signore. (…) La missione ad gentes ha questo obiettivo: fondare comunità cristiane, sviluppare chiese fino alla loro completa maturazione. È, questa, una mèta centrale e qualificante dell'attività missionaria, al punto che questa non si può dire esplicata finché non riesce a edificare una nuova chiesa particolare, normalmente funzionante nell'ambiente locale (…).

49. È necessario, anzitutto, cercare di stabilire in ogni luogo comunità cristiane, che siano «segno della presenza divina nel mondo» e crescano fino a divenire chiese. (…) Questa fase della storia ecclesiale, detta plantatio ecclesiae non è terminata, anzi in molti raggruppamenti umani deve ancora iniziare. (…) Solo diventando missionaria la comunità cristiana potrà superare divisioni e tensioni interne e ritrovare la sua unità e il suo vigore di fede. Le forze missionarie, provenienti da altre chiese e paesi, devono operare in comunione con quelle locali per lo sviluppo della comunità cristiana (…).

50. Tale sollecitudine costituirà un motivo e uno stimolo per un rinnovato impegno ecumenico. I legami esistenti tra attività ecumenica e attività missionaria rendono necessario considerare due fattori concomitanti. Da una parte, si deve riconoscere che «la divisione dei cristiani è di grave

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pregiudizio alla santa causa della predicazione del Vangelo a tutti gli uomini e chiude a molti l'accesso alla fede». Il fatto che la buona novella della riconciliazione sia predicata dai cristiani tra loro divisi, ne indebolisce la testimonianza, ed è perciò urgente operare per l'unità dei cristiani, affinché l'attività missionaria possa riuscire più incisiva. Al tempo stesso, non dobbiamo dimenticare che gli stessi sforzi verso l'unità costituiscono di per sé un segno dell'opera di riconciliazione che Dio conduce in mezzo a noi. D'altra parte, è vero che tutti quelli che hanno ricevuto il battesimo in Cristo sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, tra loro. (…) L'espansione di queste sètte costituisce una minaccia per la chiesa cattolica e per tutte le comunità ecclesiali con le quali essa intrattiene un dialogo. Ovunque possibile e secondo le circostanze locali, la risposta dei cristiani potrà essere anch'essa ecumenica.

Le «comunità ecclesiali di base» forza di evangelizzazione51. Un fenomeno in rapida crescita nelle giovani chiese, promosso dai Vescovi e dalle loro Conferenze a volte come scelta prioritaria della pastorale, sono le comunità ecclesiali di base (conosciute anche con altri nomi), le quali stanno dando buona prova come centri di formazione cristiana e di irradiazione missionaria. Si tratta di gruppi di cristiani a livello familiare o di ambiente ristretto, i quali s'incontrano per la preghiera, la lettura della Scrittura, la catechesi, per la condivisione dei problemi umani ed ecclesiali in vista di un impegno comune (…).

Incarnare il Vangelo nelle culture dei popoli52. Svolgendo l'attività missionaria tra le genti, la chiesa incontra varie culture e viene coinvolta nel processo d'inculturazione. È, questa, un'esigenza che ne ha segnato tutto il cammino storico, ma oggi è particolarmente acuta e urgente. Il processo di inserimento della chiesa nelle culture dei popoli richiede tempi lunghi: non si tratta di un puro adattamento esteriore, poiché l'inculturazione «significa l'intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l'integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture». È, dunque, un processo profondo e globale che investe sia il messaggio cristiano, sia la riflessione e la prassi della chiesa. Ma è pure un processo difficile, perché non deve in alcun modo compromettere la specificità e l'integrità della fede cristiana (…).

53. I missionari, provenienti da altre chiese e paesi, devono inserirsi nel mondo socio-culturale di coloro ai quali sono mandati, superando i condizionamenti del proprio ambiente d'origine. Così devono imparare la lingua della regione in cui lavorano, conoscere le espressioni più significative di quella cultura, scoprendone i valori per diretta esperienza (…).

54. In proposito, restano fondamentali alcune indicazioni. L'inculturazione nel suo retto processo dev'essere guidata da due principi: «La compatibilità col Vangelo e la comunione con la chiesa universale» (…)

Il dialogo con i fratelli di altre religioni55. Il dialogo inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della chiesa. (…) Tale missione, infatti, ha per destinatari gli uomini che non conoscono Cristo e il suo Vangelo, e in gran maggioranza appartengono ad altre religioni. Dio chiama a sé tutte le genti in Cristo, volendo loro comunicare la pienezza della sua rivelazione e del suo amore; né manca di rendersi presente in tanti modi non solo ai singoli individui, ma anche ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur contenendo «lacune, insufficienze ed errori». Tutto ciò il Concilio e il successivo Magistero hanno ampiamente sottolineato, mantenendo sempre fermo che la salvezza viene da Cristo e il dialogo non dispensa dell'evangelizzazione. (…) il fatto che i seguaci di altre religioni possano ricevere la grazia di Dio ed essere salvati da Cristo indipendentemente dai mezzi ordinari che egli ha stabilito, non cancella affatto l'appello alla

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fede e al battesimo che Dio vuole per tutti i popoli. (…) la chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza.

56. Il dialogo (…) è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole. Con esso la chiesa intende scoprire i «germi del Verbo», «raggi della verità che illumina tutti gli uomini» (…). Il dialogo si fonda sulla speranza e la carità e porterà frutti nello Spirito. (…) Non ci deve essere nessuna abdicazione né irenismo, ma la testimonianza reciproca per un comune progresso nel cammino di ricerca e di esperienza religiosa e, al tempo stesso, per il superamento di pregiudizi, intolleranze e malintesi. (…)

57. (…) Tutti i fedeli e le comunità cristiane sono chiamati a praticare il dialogo, anche se non nello stesso grado e forma. Per esso è indispensabile l'apporto dei laici che «con l'esempio della loro vita e con la propria azione possono favorire il miglioramento dei rapporti tra seguaci delle diverse religioni» (…). Il dialogo è una via verso il regno e darà sicuramente i suoi frutti, anche se tempi e momenti sono riservati al Padre. (At 1,7)

Promuovere lo sviluppo educando le coscienze58. (…) La Conferenza dei Vescovi latino-americani a Puebla ha affermato che «il miglior servizio al fratello è l'evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente». La missione della chiesa non è di operare direttamente sul piano economico o tecnico o politico o di dare un contributo materiale allo sviluppo, ma consiste essenzialmente nell'offrire ai popoli non un «avere di più», ma un «essere di più», risvegliando le coscienze col Vangelo. (…)

59. Col messaggio evangelico la chiesa offre una forza liberante e fautrice di sviluppo proprio perché porta alla conversione del cuore e della mentalità, fa riconoscere la dignità di ciascuna persona, dispone alla solidarietà, all'impegno al servizio dei fratelli, inserisce l'uomo nel progetto di Dio, che è la costruzione del regno di pace, di giustizia a partire già da questa vita. (…) la nuova evangelizzazione deve, tra l'altro, creare nei ricchi la coscienza che è venuto il momento di farsi realmente fratelli dei poveri nella comune conversione allo sviluppo integrale, aperto all'Assoluto.

La carità fonte e criterio della missione60. «La chiesa nel mondo intero - dissi durante la mia visita in Brasile - vuol essere la chiesa dei poveri. Essa vuol estrarre tutta la verità contenuta nelle beatitudini e soprattutto nella prima: "Beati i poveri in spirito"... Essa vuole insegnare questa verità e vuol metterla in pratica come Gesù, che venne a fare e a insegnare». (…) «i poveri meritano un'attenzione preferenziale, qualunque sia la condizione morale o personale in cui si trovano. (…) È il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui essa deve tendere. Quando si agisce con riguardo alla carità o ispirati dalla carità, nulla è disdicevole e tutto è buono».

CAPITOLO VI - RESPONSABILI E OPERATORI DELLA PASTORALE MISSIONARIAIstituti missionari / Sacerdoti diocesani per la missione universale / Laici e catechisti / La Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (61-76)

CAPITOLO VII - LA COOPERAZIONE ALL'ATTIVITÀ MISSIONARIA (77-86)

CAPITOLO VIII - LA SPIRITUALITÀ MISSIONARIA (87-91)Inviati come Cristo / santità missionaria

CONCLUSIONE

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COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE“Il Cristianesimo e le religioni” (1997)

La nota “Il Cristianesimo e le religioni” (1997) viene pubblicata sotto l’egida di Joseph Ratzinger, all’epoca prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Il tema centrale è chiedersi se le religioni abbiano di per sé un valore salvifico (2), indagando l’affermazione cattolica su Cristo “unico salvatore” dell’umanità (5). Si presentano i presupposti fondamentali, accostando molti dati piuttosto che argomentando. Si argomenta quindi sulla Chiesa, rilevando che su di essa si originano le vere discussioni e divisioni, mentre sulla figura di Gesù più o meno si può trovare una certa convergenza.SCHEMA 

Introduzione I. TEOLOGIA DELLE RELIGIONI ( status quaestionis )

1. OGGETTO, METODO E FINALITÀ 2. LA DISCUSSIONE SUL VALORE SALVIFICO DELLE RELIGIONI 3. LA QUESTIONE DELLA VERITÀ 4. LA QUESTIONE DI DIO 5. IL DIBATTITO CRISTOLOGICO 6. MISSIONE E DIALOGO INTERRELIGIOSO

II. I PRESUPPOSTI TEOLOGICI FONDAMENTALI 1. L'INIZIATIVA DEL PADRE NELLA SALVEZZA 2. L'UNICA MEDIAZIONE DI GESÙ

A) Alcuni temi neotestamentari B) Motivi della tradizione raccolti nel recente magistero della chiesa C) Conclusioni

3. L'UNIVERSALITÀ DELLO SPIRITO SANTO 4. "ECCLESIA, UNIVERSALE SALUTIS SACRAMENTUM"

A) "Extra Ecclesiam nulla salus" B) "Paschali mysterio consociati" C) "Universale salutis sacramentum"

III. ALCUNE CONSEGUENZE PER UNA TEOLOGIA CRISTIANA DELLE RELIGIONI

1. IL VALORE SALVIFICO DELLE RELIGIONI 2. LA QUESTIONE DELLA RIVELAZIONE 3. LA VERITÀ COME PROBLEMA TRA LA TEOLOGIA DELLE RELIGIONI E

LA POSIZIONE PLURALISTICA 4. DIALOGO INTERRELIGIOSO E MISTERO DI SALVEZZA

A) Il senso di Dio B) Il senso dell'uomo

IV. CONCLUSIONE: DIALOGO E MISSIONE DELLA CHIESA

Dopo il CVII, la trattatistica teologica si concentra sulla ecclesiologia, poi si concentra sulla cristologia (senza rispondere alle domande su Gesù, non si può affrontare la questione della Chiesa). Le domande sono più che altro il rapporto tra storia e fede (Gesù e Cristo), affrontando solo in seconda battuta il problema soteriologico. Solo dopo si parla di Dio, e quindi ci si apre al confronto tra le religioni.

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IntroduzioneNota preliminare: Il presente testo è stato approvato in forma specifica, con il voto della Commissione, il 30 settembre 1996, ed è stato poi sottoposto al suo presidente, il card. J. Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale ha dato la sua approvazione per la pubblicazione.

1. La questione delle relazioni tra le religioni va acquistando un'importanza sempre maggiore. Tra i vari fattori che contribuiscono a rendere attuale il problema, c'è in primo luogo la crescente interdipendenza tra le diverse parti del mondo. Essa si manifesta su diversi piani: è sempre più grande il numero delle persone che, nella maggior parte dei paesi, accedono all'informazione; le migrazioni sono tutt'altro che un ricordo del passato; le nuove tecnologie e l'industria moderna hanno prodotto scambi finora sconosciuti tra molti paesi. Indubbiamente questi fattori interessano in modo diverso continenti e nazioni, ma nessuna parte del mondo, almeno in qualche misura, può considerarsene estranea.

2. Tali fattori di comunicazione e di interdipendenza tra i diversi popoli e le diverse culture hanno prodotto una maggiore coscienza della pluralità delle religioni del pianeta, con i pericoli ma insieme con le opportunità che questo comporta. Nonostante la secolarizzazione, tra gli uomini del nostro tempo non è scomparsa la religiosità: sono noti i vari fenomeni in cui questa si manifesta, nonostante la crisi che, in diversa misura, interessa le grandi religioni. L'importanza del fatto religioso nella vita umana e gli incontri sempre più frequenti tra gli uomini e le culture rendono necessario il dialogo interreligioso, in vista dei problemi e dei bisogni che riguardano l'umanità, per chiarire il senso della vita e per promuovere un'azione comune in favore della pace e della giustizia nel mondo. Il cristianesimo non si tiene fuori né può rimanere al margine di tale incontro e del conseguente dialogo tra le religioni. Se queste sono state talvolta, e possono essere ancora, fattori di divisione e di conflitto tra i popoli, è auspicabile che nel mondo attuale appaiano agli occhi di tutti come elementi di pace e di unione. Il cristianesimo deve dare il suo contributo perché questo sia possibile.

3. Perché tale dialogo sia fruttuoso, occorre che il cristianesimo, e in concreto la chiesa cattolica, si impegni a precisare come valuta, dal punto di vista teologico, le religioni. Da questa valutazione dipenderà in grande misura il rapporto dei cristiani con le varie religioni e con i loro seguaci, e il conseguente dialogo che, in diverse forme, si stabilirà con esse. Le riflessioni che seguono hanno come oggetto principale l'elaborazione di alcuni principi teologici che aiutino questa valutazione. Tali principi sono proposti con la chiara consapevolezza che esistono molte questioni ancora aperte, le quali richiedono ulteriori indagini e discussioni. Prima di esporre i principi, riteniamo necessario tracciare le linee fondamentali del dibattito teologico attuale: partendo da questo, si potranno comprendere meglio le proposte che successivamente si formuleranno.

Se negli anni Settanta si va affermando la secolarizzazione, la religione però non è morta, semplicemente è andata attenuandosi la sua manifestazione esteriore. Questo è chiaro in Belgio e Olanda, che nel giro di breve tempo vedono crollare la pratica religiosa. La religione è andata frantumandosi, modificandosi, ma resta. Ed è un fenomeno con il quale il cristianesimo deve fare i conti.

I. TEOLOGIA DELLE RELIGIONI (status quaestionis)I.1. OGGETTO, METODO E FINALITÀ

4.La teologia delle religioni non presenta ancora uno statuto epistemologico ben definito: è questo uno dei motivi determinanti della discussione attuale. Nella teologia cattolica anteriore al Vaticano II si rilevano due linee di pensiero in relazione al problema del valore salvifico delle religioni. Una, rappresentata da 'Jean Daniélou, Henri de Lubac' e altri, ritiene che le religioni si fondino sull'alleanza con Noè, alleanza cosmica che comporta la rivelazione di Dio nella natura e nella coscienza, e che è diversa dall'alleanza con Abramo. In quanto conservano i contenuti di questa alleanza cosmica, le religioni contengono valori positivi, che però, in quanto tali, non hanno valore salvifico. Sono "segnali di attesa" ('pierres d'attente'), ma anche

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"pietre di inciampo" ('pierres d'achoppement'), dovuto al peccato. Essi, da soli, vanno dall'uomo a Dio: soltanto in Cristo e nella sua chiesa raggiungono il loro compimento ultimo e definitivo. L'altra linea, rappresentata da 'Karl Rahner', afferma che l'offerta della grazia, nell'ordine attuale, raggiunge tutti gli uomini e che essi hanno la coscienza certa, non necessariamente riflessa, della sua azione e della sua luce. A motivo della caratteristica di socialità propria dell'essere umano, le religioni, in quanto espressioni sociali della relazione dell'uomo con Dio, aiutano i propri seguaci ad accogliere la grazia di Cristo ( 'fides implicita') necessaria per la salvezza e ad aprirsi all'amore del prossimo che Gesù identifica con l'amore di Dio. In tal senso, esse possono avere valore salvifico, sebbene contengano elementi di ignoranza, di peccato e di perversione.

La religione (Daniélou, de Lubac’) non ha valore salvifico in sé. Rahner parla dei “cristiani anonimi”, di coloro che senza dirsi tali incarnano i valori (sociali?) del cristianesimo. Si direbbe che ogni uomo è buono in sé.

5. Attualmente cresce l'esigenza di una maggiore conoscenza di ciascuna religione, prima di poterne elaborare la relativa teologia. Poiché in ogni tradizione religiosa si incontrano elementi di origine e di portata ben diverse, la riflessione teologica deve limitarsi a considerare fenomeni concreti e ben definiti, per evitare giudizi globali e aprioristici. Così alcuni sostengono una teologia della storia delle religioni; altri prendono in considerazione l'evoluzione storica delle religioni, i rispettivi caratteri specifici, a volte incompatibili tra loro; altri riconoscono l'importanza del materiale fenomenologico e storico, senza negare totalmente il metodo deduttivo; altri rifiutano un riconoscimento positivo globale delle religioni.

6. In un'epoca nella quale si apprezza il dialogo, la comprensione reciproca e la tolleranza, è naturale che vi siano tentativi di elaborare una teologia delle religioni a partire da criteri che siano accettati da tutti, cioè che non siano esclusivi di una determinata tradizione religiosa. Perciò non sempre si distinguono chiaramente le condizioni per il dialogo interreligioso e i presupposti fondamentali di una teologia cristiana delle religioni. Per evitare il dogmatismo si cercano appoggi esterni, che consentano di valutare la verità di una religione; ma gli sforzi compiuti in questa direzione non riescono a convincere. Se la teologia è 'fides quaerens intellectum', non si vede come si possa abbandonare il "principio dogmatico" o condurre una riflessione teologica prescindendo dalle proprie fonti.

Non c’è più un giudizio assolutamente negativo. Ed emerge altresì una maggior consapevolezza del pluralismo religioso che rende necessario un confronto costruttivo e sincero al tempo stesso.

7. Di fronte a tale situazione, una teologia cristiana delle religioni ha davanti a sé diversi compiti. In primo luogo il cristianesimo dovrà impegnarsi a comprendere e valutare se stesso nel contesto di una pluralità di religioni; dovrà riflettere in concreto sulla verità e l'universalità che esso rivendica. In secondo luogo dovrà cercare il senso, la funzione e il valore proprio delle religioni nella totalità della storia della salvezza. Infine la teologia cristiana dovrà studiare ed esaminare le religioni concrete con i loro contenuti ben definiti, che dovranno essere posti a confronto con i contenuti della fede cristiana. Per questo è necessario stabilire criteri che consentano una discussione critica di tale materiale e un'ermeneutica che lo interpreti.

Tre compiti: (1) consapevolezza del pluralismo; (2) valore di una religione nella storia universale della salvezza; (3) studiare e conoscere le diverse religioni. Si prende atto del fatto che il fenomeno della negazione atea non è primitivo, ma seguente alla credenza. Prima si abbraccia una credenza religiosa e solo in un secondo momento si può scegliere di negare esistenza di Dio. L’ateismo è dunque secondario. Il problema fondamentale è la discussione e il dialogo con le religioni (per favorire il quale nasce un apposito segretariato).

I.2. LA DISCUSSIONE SUL VALORE SALVIFICO DELLE RELIGIONI8. La questione di fondo è la seguente: le religioni sono mediazioni di salvezza per i loro seguaci? A questa domanda c'è chi dà una risposta negativa, anzi alcuni dicono che tale impostazione non ha senso; altri danno una risposta affermativa, che a sua volta apre la via ad altre domande: sono mediazioni salvifiche

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autonome, o si realizza in esse la salvezza di Gesù Cristo? Si tratta pertanto di definire lo 'statuto' del cristianesimo e delle religioni come realtà socioculturali in relazione con la salvezza dell'uomo. Tale questione non dev'essere confusa con quella della salvezza dei singoli, cristiani o no: di tale distinzione non sempre si è tenuto il dovuto conto.

Un conto è la salvezza individuale (“Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità” – 1Tim 2, 4).

9. Si è tentato di classificare in vari modi le diverse posizioni teologiche di fronte a questo problema. Vediamo alcune di tali classificazioni: Cristo contro le religioni, nelle religioni, sopra le religioni, con le religioni (universo ecclesiocentrico o cristologia esclusiva; universo cristocentrico o cristologia inclusiva; universo teocentrico con una cristologia normativa; universo teocentrico con una cristologia non normativa). Alcuni teologi adottano la divisione tripartita - 'esclusivismo, inclusivismo, pluralismo' - che si presenta come parallela all'altra: 'ecclesiocentrismo, cristocentrismo, teocentrismo'. Dovendo scegliere una di queste classificazioni per condurre la nostra riflessione, seguiremo quest'ultima, pur completandola con le altre se sarà necessario.

10. L''ecclesiocentrismo' esclusivista, frutto di un determinato sistema teologico o di un'errata comprensione della frase 'extra Ecclesiam nulla salus', non è più difeso dai teologi cattolici, dopo le chiare affermazioni di Pio XII e del concilio Vaticano II sulla possibilità di salvezza per quelli che non appartengono visibilmente alla chiesa (cf., per esempio, Lumen gentium, n. 16; Gaudium et spes, n. 22).

Ci si salva solo se si appartiene alla Chiesa Cattolica tramite il Battesimo.

11. Il 'cristocentrismo' accetta che nelle religioni possa esserci la salvezza, ma nega loro un'autonomia salvifica, a motivo dell'unicità e dell'universalità della salvezza di Gesù Cristo. Questa posizione è senza dubbio la più comune tra i teologi cattolici, pur essendoci differenze tra loro. Essa cerca di conciliare la volontà salvifica universale di Dio con il fatto che ogni uomo si realizza come tale all'interno di una tradizione culturale, che ha nella propria religione la più alta espressione e l'ultimo fondamento.

Senza Cristo non c’è salvezza, ma elementi essenziali (semi del Verbo) si trovano anche al di fuori della Chiesa cattolica.

12. Il 'teocentrismo' vuol essere un superamento del cristocentrismo, un cambiamento di prospettiva, una rivoluzione copernicana. Questa posizione deriva, tra gli altri motivi, da una certa cattiva coscienza dovuta all'unione dell'azione missionaria del passato con la politica coloniale, talvolta anche dimenticando l'eroismo che accompagnò l'azione evangelizzatrice. Esso vuole riconoscere le ricchezze delle religioni e la testimonianza morale dei loro seguaci e, in ultima istanza, intende facilitare l'unione di tutte le religioni in vista di un'azione comune per la pace e la giustizia nel mondo. Possiamo distinguere un teocentrismo nel quale Gesù Cristo, senza essere costitutivo, è considerato normativo della salvezza e un altro nel quale non si riconosce a Gesù Cristo neppure questo valore normativo. Nel primo caso, senza negare che anche altri possano mediare la salvezza, si riconosce in Gesù Cristo il mediatore che meglio la esprime; l'amore di Dio si rivela più chiaramente nella sua persona e nella sua opera, ed è così il paradigma per gli altri mediatori. Tuttavia senza di lui non si rimarrebbe senza salvezza, ma soltanto senza la sua manifestazione più perfetta. Nel secondo caso, Gesù Cristo non è considerato né come costitutivo né come normativo per la salvezza dell'uomo. Dio è trascendente e incomprensibile, quindi non possiamo giudicare i suoi disegni con le nostre categorie umane; come, del resto, non possiamo valutare o mettere a confronto i diversi sistemi religiosi. Il 'soteriocentrismo' radicalizza ancor più la posizione teocentrica, essendo meno interessato alla questione su Gesù Cristo (ortodossia) e più all'impegno effettivo di ogni religione nei confronti dell'umanità che soffre (ortoprassi). In tale prospettiva, il valore delle religioni sta nel promuovere il Regno, la salvezza, il benessere dell'umanità: questa posizione può così essere caratterizzata come pragmatica e immanentistica.

Basta una adesione anche implicita in Dio creatore e salvatore, senza aderire per forza Cristo Verbo di Dio incarnato. Dio è aldilà della comprensione dell’uomo, per cui Cristo non è né costitutivo né

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normativo. Basta fare il bene per salvarsi. Questa idea porta a leggere Mt 25 (giudizio universale) come fondamento della teoria della salvezza in base alla sola ortoprassi: basta agire bene nei cfr del prossimo per esser riconosciuto da Cristo e dunque salvato. Se la salvezza consiste nell’amore, questo può assumere il volto pratico della carità nei confronti dei bisognosi.

I.3. LA QUESTIONE DELLA VERITÀ

13. Soggiacente a tutta questa discussione è il problema della verità delle religioni; ma oggi si nota una tendenza a relegarlo in secondo piano, separandolo dalla riflessione sul valore salvifico. La questione della verità comporta seri problemi di ordine teorico e pratico, tanto che in passato ebbe conseguenze negative nell'incontro tra le religioni. Di qui la tendenza a sminuire o a relativizzare tale problema, affermando che i criteri di verità valgono soltanto per la propria religione. Alcuni introducono una nozione più esistenziale di verità, considerando soltanto la condotta morale corretta della persona, senza dare importanza al fatto che le sue convinzioni religiose possano essere condannate. Si crea così una certa confusione tra "essere nella salvezza" ed "essere nella verità": bisognerebbe piuttosto collocarsi nella prospettiva cristiana della 'salvezza come verità' e dell'essere nella 'verità come salvezza'. Tralasciare il discorso sulla verità conduce a mettere superficialmente sullo stesso piano tutte le religioni, svuotandole in fondo del loro potenziale salvifico. Affermare che tutte sono vere equivale a dichiarare che tutte sono false: sacrificare la questione della verità è incompatibile con la visione cristiana.

Rapporto tra verità e salvezza: pare che sia sufficiente l’ortoprassi e non occorra più la conoscenza della verità. Eppure Gesù dice che la verità ci farà liberi (Gv 8, 32). La questione della verità è ineliminabile e non è separabile dalla prospettiva salvifica. La nostra storia patristica, scolastica, tridentina ci fa vedere che la concettualizzazione è necessaria, non basta la semplice immagine che invece può degenerare in idolatria o devianza.

14. La concezione epistemologica soggiacente alla posizione pluralista utilizza la distinzione di Kant tra 'noumeno' e 'fenomeno'. Dio, o la Realtà ultima, trascendente e inaccessibile all'uomo, potrà essere sperimentato soltanto come fenomeno, espresso con immagini e nozioni culturalmente condizionate; ne segue che rappresentazioni diverse della stessa realtà non si escludono necessariamente tra loro 'a priori'. La questione della verità si relativizza ancor più con l'introduzione del concetto di 'verità mitologica', che non implica adeguamento a una verità, ma semplicemente risveglia nel soggetto una disposizione adeguata all'enunciato. Tuttavia bisogna osservare che espressioni così contrastanti del 'noumeno' finiscono di fatto per dissolverlo, svuotando il senso della verità mitologica. Soggiace pure una concezione che separa radicalmente il Trascendente, il Mistero, l'Assoluto dalle sue rappresentazioni: essendo tutte relative, poiché sono imperfette e inadeguate, esse non possono rivendicare l'esclusività nella questione della verità.

15. La ricerca di un criterio per stabilire la verità di una religione, che per essere accettato dalle altre religioni deve situarsi fuori di essa, è un compito serio per la riflessione teologica. Alcuni teologi evitano termini cristiani per parlare di Dio ('Eternal One, Ultimate Reality, Real') o per designare il comportamento corretto ('Reality-centredness', non 'Self-centredness'). Si nota però che tali espressioni o manifestano una dipendenza da una determinata tradizione (cristiana) o diventano così astratte che non sono più utili. Il ricorso all''humanum' non convince, trattandosi di un criterio meramente fenomenologico, che farebbe dipendere la teologia delle religioni dall'antropologia dominante in un'epoca. Si segnala pure che bisogna considerare come la vera religione quella che riesce meglio sia a conciliare la limitatezza, la provvisorietà e la mutabilità della propria autocomprensione con l'infinito a cui tende, sia a ridurre a unità (forza integrativa) la pluralità di esperienze della realtà e delle concezioni religiose.

I.4. LA QUESTIONE DI DIO

16. La posizione pluralista vuole eliminare dal cristianesimo qualunque pretesa di esclusività o di superiorità rispetto alle altre religioni. Perciò deve affermare che la realtà ultima delle diverse religioni è

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identica e, insieme, deve relativizzare la concezione cristiana di Dio in quello che ha di dogmatico e di vincolante. Così distingue Dio in se stesso, inaccessibile all'uomo, e Dio manifestato nell'esperienza umana. Le immagini di Dio sono costituite dall'esperienza della trascendenza e dal rispettivo contesto socioculturale: non sono Dio, però tendono correttamente verso di lui; questo può dirsi anche delle rappresentazioni non personali della divinità: di conseguenza nessuna di esse può considerarsi esclusiva. Ne segue che tutte le religioni sono relative, non in quanto tendono verso l'Assoluto, ma nelle loro espressioni e nei loro silenzi. Posto che c'è un unico Dio e uno stesso piano di salvezza per tutti gli uomini, le espressioni religiose sono ordinate le une alle altre e sono complementari tra loro. Poiché il Mistero è universalmente attivo e presente, nessuna delle sue manifestazioni può pretendere di essere l'ultima e la definitiva. In tal modo la questione di Dio si trova in intima connessione con quella della rivelazione.

Se tutte le religioni vanno bene, vien da chiedersi quale sia il criterio per “metterle insieme”. Quello che noi cristiani possiamo fare è considerare che Cristo è colui che ci ha rivelato il vero volto di Dio e guardando a Cristo possiamo trovare elementi di corrispondenza nelle altre religioni, senza però pretendere che questo significhi l’equivalenza delle stesse.

17. In rapporto con la stessa questione è il fenomeno della preghiera, che si incontra nelle diverse religioni. In definitiva, è lo stesso destinatario quello che è invocato nelle preghiere dei fedeli sotto diversi nomi? Divinità e potenze religiose, forze personificate della natura, della vita e della società, proiezioni psichiche o mistiche rappresentano tutte la stessa realtà? Non c'è qui un passaggio indebito da un atteggiamento soggettivo a un giudizio oggettivo? Può esserci una preghiera politeista rivolta al vero Dio, in quanto un atto salvifico si può avere anche attraverso una mediazione erronea; ma questo non significa il riconoscimento oggettivo di tale mediazione religiosa come mediazione salvifica, benché questa preghiera autentica sia stata suscitata dallo Spirito Santo (Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Dialogo e annuncio, n. 27).

Ad Assisi nel 1986 GPII convoca i rappresentanti delle diverse religioni non per pregare insieme ma per essere insieme a pregare. Non si deve fare confusione tra le diverse religioni, come se stessero semplicemente usando forme e parole diverse per pregare lo stesso Dio. Benedetto XVI a 20 anni di distanza ripete l’esperienza (2006).

I.5. IL DIBATTITO CRISTOLOGICO

18. Dietro alla problematica teo-logica, che abbiamo ora visto, è stata sempre presente la questione cristo-logica, che adesso affrontiamo. Le due questioni sono intimamente collegate, ma le trattiamo separatamente a causa della complessità del problema. La maggiore difficoltà del cristianesimo si è sempre focalizzata nell'"incarnazione di Dio", che conferisce alla persona e all'azione di Gesù Cristo le caratteristiche di unicità e di universalità in ordine alla salvezza dell'umanità. Ma come può un avvenimento particolare e storico avere una pretesa universale? Come si può avviare un dialogo interreligioso, rispettando tutte le religioni e senza considerarle in partenza come imperfette e inferiori, se riconosciamo in Gesù Cristo, e soltanto in lui, il Salvatore unico e universale dell'umanità? Non si potrebbe concepire la persona e l'azione salvifica di Dio a partire da altri mediatori oltre a Gesù Cristo?

Problema della incarnazione, dell’unione di Dio e l’umanità, dell’aver un figlio senza avere una moglie. Rifiutato da ebraismo e islam. L’induismo parlerebbe di avatar (rivelazioni) successive, senza che una sia definitiva, ma sempre progressive. Ma diverso è dire che Dio si fa uomo! Se Dio si è fatto uomo, allora uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini: Gesù.Per Lessing il problema era che non si poteva operare il “salto” dall’avvenimento particolare alla religione universale. Unico strumento che potesse garantire tali aspirazioni sarebbe stata la ragione, in quanto universale. Rifiuta quindi che una religione determinata, come il cristianesimo, possa essere universalmente valida.

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19. Il problema cristologico è legato essenzialmente a quello del valore salvifico delle religioni, a cui abbiamo già accennato. Ora ci soffermiamo un po' di più sullo studio delle conseguenze cristologiche delle posizioni teocentriche. Una conseguenza è il cosiddetto "teocentrismo salvifico", che accetta un pluralismo di mediazioni salvifiche legittime e vere. All'interno di questa posizione, come già osservammo, un gruppo di teologi attribuisce a Gesù Cristo un valore normativo, in quanto la sua persona e la sua vita rivelano, nel modo più chiaro e decisivo, l'amore di Dio per gli uomini. La maggiore difficoltà di tale concezione è che non offre, né all'interno né all'esterno del cristianesimo, un fondamento di tale normatività che si attribuisce a Gesù.

20. Un altro gruppo di teologi sostiene un teocentrismo salvifico con una cristologia non normativa . Svincolare Cristo da Dio priva il cristianesimo di qualsiasi pretesa universalistica della salvezza (e così diventerebbe possibile il dialogo autentico con le religioni), ma implica la necessità di confrontarsi con la fede della chiesa e in concreto con il dogma di Calcedonia. Questi teologi considerano tale dogma come un'espressione storicamente condizionata dalla filosofia greca, che dev'essere attualizzata perché impedisce il dialogo interreligioso. L'incarnazione sarebbe un'espressione non oggettiva, ma metaforica, poetica, mitologica: essa vuole soltanto significare l'amore di Dio che si incarna in uomini e donne la cui vita riflette l'azione di Dio. Le affermazioni dell'esclusività salvifica di Gesù Cristo possono essere spiegate con il contesto storico-culturale: cultura classica (una sola verità certa e immutabile), mentalità escatologico-apocalittica (profeta finale, rivelazione definitiva) e atteggiamento di una minoranza (linguaggio di sopravvivenza, un unico salvatore).

21. La conseguenza più importante di tale concezione è che Gesù Cristo non può essere considerato l'unico ed esclusivo mediatore. Soltanto per i cristiani egli è la forma umana di Dio, che adeguatamente rende possibile l'incontro dell'uomo con Dio, benché non in modo esclusivo. È 'totus Deus', poiché è l'amore attivo di Dio su questa terra, ma non è 'totum Dei', poiché non esaurisce in sé l'amore di Dio. Potremmo anche dire: 'totum Verbum, sed non totum Verbi'. Il 'Logos', che è più grande di Gesù, può incarnarsi anche nei fondatori di altre religioni.

Alcuni accettano l’incarnazione di Cristo o come con valore normativo oppure come una delle tante. Cristo è più di Gesù (terreno) ma non è (totalmente) Dio, pur essendo (tutto) di Dio.

22. Questa stessa problematica ritorna quando si afferma che Gesù è il Cristo, ma il Cristo è più che Gesù. Questo facilita molto l'universalizzazione dell'azione del 'Logos' nelle religioni; ma i testi neotestamentari non concepiscono il 'Logos' di Dio prescindendo da Gesù. Un altro modo di argomentare in questa stessa linea consiste nell'attribuire allo Spirito Santo l'azione salvifica universale di Dio, che non condurrebbe necessariamente alla fede in Gesù Cristo.

I.6. MISSIONE E DIALOGO INTERRELIGIOSO

23. Le diverse posizioni di fronte alle religioni determinano comprensioni differenziate riguardo all''attività missionaria' della chiesa e al 'dialogo interreligioso'. Se le religioni sono anch'esse vie alla salvezza (posizione pluralista), allora la conversione non è più l'obiettivo primario della missione, in quanto ciò che importa è che ciascuno, animato dalla testimonianza degli altri, viva profondamente la propria fede.

RH: l’attività missionaria pare ridursi a una attività facoltativa, senza che vi sia l’obbligo di svolgerla per il credente.

24. La posizione inclusivista da parte sua non considera più la missione come un impegno per impedire la dannazione dei non evangelizzati (posizione esclusivista). Riconoscendo anche l'azione universale dello Spirito Santo, osserva che essa, nell'economia salvifica voluta da Dio, possiede una dinamica di incarnazione che la porta a esprimersi e ad oggettivarsi: in tal modo la proclamazione della parola conduce a pienezza questa stessa dinamica. Non significa soltanto una tematizzazione della trascendenza, ma la sua maggiore realizzazione, ponendo l'uomo di fronte a una decisione radicale: l'annuncio e l'accettazione esplicita della

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fede fa aumentare le possibilità di salvezza e anche la responsabilità personale. Inoltre la missione si considera oggi come rivolta non soltanto agli individui, ma soprattutto ai popoli e alle culture.

Si accettano le discussioni, ma non l’annuncio teso a far accogliere il Vangelo, poiché la missione non è più impegno del credente.

25. Il dialogo interreligioso si fonda teologicamente sia sulla comune origine di tutti gli esseri umani creati a immagine di Dio, sia sul comune destino che è la pienezza di vita in Dio, sia sull'unico piano divino di salvezza mediante Gesù Cristo, sia sulla presenza attiva dello Spirito divino tra i seguaci di altre tradizioni religiose (Dialogo e annuncio, n. 28). La presenza dello Spinto Santo non si dà allo stesso modo nella tradizione biblica e nelle altre religioni, poiché Gesù Cristo è la pienezza della rivelazione. Tuttavia esperienze e intuizioni, espressioni e comprensioni diverse, provenienti a volte dallo stesso "avvenimento trascendentale", danno grande valore al dialogo interreligioso. Proprio attraverso questo si può svolgere il processo personale di interpretazione e di comprensione dell'azione salvifica di Dio.

26. "Una fede che non si è fatta cultura è una fede che non è stata pienamente recepita, non è stata interamente pensata, non è stata fedelmente vissuta". Queste parole di Giovanni Paolo II in una lettera al cardinale segretario di stato (20 maggio 1982; 'Regno-doc'. 13,1986,386s) precisano l'importanza dell'inculturazione della fede. Si costata che la religione è il cuore di ogni cultura, come istanza di senso ultimo e forza strutturante fondamentale. In tal modo l'inculturazione della fede non può prescindere dall'incontro con le religioni, che dovrebbe realizzarsi soprattutto attraverso il dialogo interreligioso. (1)

 II. I PRESUPPOSTI TEOLOGICI FONDAMENTALI

27. Il precedente 'status quaestionis' ha mostrato come i diversi approcci alla teologia delle religioni e al valore salvifico di queste dipendono in grande misura da quello che si pensa della volontà salvifica universale di Dio Padre, al quale il Nuovo Testamento attribuisce l'iniziativa della salvezza, dell'unica mediazione di Cristo, dell'universalità dell'azione dello Spirito Santo e delle sue relazioni con Gesù, della funzione della chiesa come sacramento universale di salvezza. La risposta alle domande proposte richiede una breve riflessione su tali questioni teologiche fondamentali.

II.1. L'INIZIATIVA DEL PADRE NELLA SALVEZZA

28. Soltanto alla luce del piano divino di salvezza degli uomini, che non conosce frontiere di popoli né di razze, ha un senso affrontare il problema della teologia delle religioni. Il Dio che vuole salvare tutti è il Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Il piano di salvezza in Cristo precede la creazione del mondo (cf. Ef 1,3-10) e si realizza con l'invio di Gesù al mondo, prova dell'amore infinito e della tenerezza che il Padre ha per l'umanità (cf. Gv 3,16-17; 1Gv 4,9-10, ecc.). Questo amore di Dio arriva fino alla "consegna" di Cristo alla morte per la salvezza degli uomini e per la riconciliazione del mondo (cf. Rm 5,8-11; 8,3.32; 2Cor 5,18-19, ecc.). La paternità di Dio, che generalmente nel Nuovo Testamento è messa in relazione con la fede in Gesù, si apre a prospettive più ampie in alcuni passi (cf. Ef 3,14-15; 4,6). Dio è il Dio degli ebrei e dei gentili (cf. Rm 3,29); la salvezza di Dio, che è in Gesù, viene rivolta a tutte le nazioni (cf. Lc 2,30; 3,6; At 28,28).

29. L'iniziativa del Padre nella salvezza è affermata in 1Gv 4,14: "Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo". Dio, "il Padre dal quale tutto proviene" (1Cor 8,6), è l'origine dell'opera di salvezza realizzata da Cristo. Il titolo di "salvatore", con cui Cristo è spesso indicato (cf. Lc 2,11; Gv 4,42; At 5,31, ecc.), è dato innanzitutto a Dio in alcuni passi del Nuovo Testamento (cf. 1Tm 1,1; 2,3; 4,10; Tt 1,3; 2,10; 3,4; Gd 25), senza per questo toglierlo a Cristo (cf. Tt 1,4; 2,13; 3,6). Secondo 1Tm 2,3-4: "Dio, nostro salvatore, (...) vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità". La volontà salvifica non conosce restrizioni, ma è unita al desiderio che gli uomini conoscano la verità, cioè aderiscano alla fede (cf. 1Tm 4,10: Dio "è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono"). Questa volontà di salvezza ha pertanto come conseguenza la necessità dell'annuncio. D'altra parte è legata all'unica mediazione di Cristo (cf. 1Tm 2,5-6), di cui ci occuperemo più avanti.

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30. Dio Padre è anche il termine verso il quale tutto si muove. Il fine ultimo dell'azione di creazione e di salvezza si realizzerà quando ogni cosa sarà sottomessa al Figlio: allora "anche (...) il Figlio sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti" (1Cor 15,28).

31. L'Antico Testamento conosce già alcune prefigurazioni di questa universalità che soltanto in Cristo si rivelerà pienamente. Tutti gli uomini, senza eccezione, sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26s; 9,6); poiché nel Nuovo Testamento l'immagine di Dio è Cristo (2Cor 4,4; Col 1,15), si può pensare a un "ordinamento" di tutti gli uomini verso Cristo. L'alleanza di Dio con Noè abbraccia tutti gli esseri viventi della terra (cf. Gen 9,9.12.17-18). In Abramo "si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gen 12,3; cf. 28,18); questa benedizione per tutti viene anche attraverso i discendenti di Abramo grazie alla sua obbedienza (cf. Gen 22,17-18; 26,4-5; 28,14). Il Dio di Israele è stato riconosciuto come tale da alcuni stranieri (cf. Gs 2; 1Re 10,1-13; 17,17-24; 2Re 5,1-27). Nel secondo e nel terzo Isaia si trovano anche testi che si riferiscono alla salvezza dei popoli nel contesto della salvezza del popolo di Israele (cf. Is 42,1-4; 49,6-8; 66,18-21, ecc.: le offerte dei popoli saranno accettate da Dio come quelle degli israeliti; anche Sal 86; 47,10: "I capi dei popoli si sono raccolti con il popolo del Dio di Abramo"). Si tratta di un'universalità che ha Israele come centro. Anche la Sapienza si rivolge a tutti senza distinzione di popoli o di razze (cf. Pr 1,20-23; 8,2-11; Sap 6,1-10.21, ecc.).

II.2. L'UNICA MEDIAZIONE DI GESÙ

A) Alcuni temi neotestamentari

32. Abbiamo già notato che la volontà salvifica di Dio Padre è unita alla fede in Gesù. Egli è l'unico nel quale si realizza il piano di salvezza: "Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12). Che la salvezza si acquista soltanto con la fede in Gesù è un'affermazione costante nel Nuovo Testamento. Proprio quelli che credono in Cristo sono la vera discendenza di Abramo (cf. Rm 9,6-7; Gal 3,29; Gv 8,31-58; Lc 1,55). La benedizione di tutti in Abramo trova il suo significato nella benedizione di tutti in Cristo.

Testo non facile è quello di Ef 1, 4-6: “Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti”. Non si intende dire che Dio opera e salva comunque in tutti, bensì che è presente in tutti gli uomini e tutti desidera salvare.Ma la semplice presenza di Dio non salva. Né la creazione da sola può condurre a salvezza, poiché c’è il dramma del peccato. Il Vangelo è eterno non perché preesista a Cristo né perché la salvezza sia legata alla semplice creazione, bensì perché varrà per sempre.Cristo media la creazione e anche la redenzione, in modo diverso benché correlati tra loro.

33. Secondo il Vangelo di Matteo, Gesù si è sentito specialmente inviato al popolo di Israele (Mt 15,24; cf. Mt 10,5-6). Queste affermazioni corrispondono alla presentazione propria di Matteo della storia della salvezza: la storia di Israele è orientata al suo compimento in Cristo (cf. Mt 1,22-23; 2,5-6.15.17-18.23) e la perfezione delle promesse divine si realizzerà quando saranno passati il cielo e la terra e tutto sarà compiuto (cf. Mt 5,18). Tale compimento è già iniziato con gli eventi escatologici della morte (cf. Mt 27,51-53) e della risurrezione (cf. Mt 28,2-4) di Cristo. Gesù però non esclude i gentili dalla salvezza: loda la fede di alcuni di loro, che non si trova in Israele (cf. Mt 8,10; Lc 7,9: il centurione; Mt 15,21-28; Mc 7,24-30: la sirofenicia); verranno da oriente e da occidente a sedersi a mensa nel Regno, mentre i figli del Regno saranno cacciati fuori (Mt 8,11-12; Lc 13,18-29 cf. 11,20-24). Gesù risorto dà agli undici discepoli una missione universale (cf. Mt 28,16-20; Mc 16,15-18; At 1,8). La chiesa primitiva dà inizio subito alla missione presso i gentili, per ispirazione divina (At 10,34). In Cristo non c'è differenza tra ebrei e gentili (Gal 4,24; Col 3,11).

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Gesù inviato agli Ebrei, eppure proprio questo popolo è richiamato da Gesù e attaccato nelle sue componenti farisaiche e incredule.

34. In un primo senso, l'universalità dell'opera salvifica di Gesù si fonda sul fatto che il suo messaggio e la sua salvezza sono rivolti a tutti gli uomini e tutti possono accoglierla e riceverla nella fede . Nel Nuovo Testamento però troviamo altri testi che sembrano indicare che il significato di Gesù va oltre e precede in qualche modo l'accoglienza del suo messaggio da parte dei fedeli.

35. Dobbiamo notare anzitutto che ciò che esiste è stato fatto per mezzo di Cristo (cf. 1Cor 8,6; 1,3-10; Eb 1,2). Secondo Col 1,15-20 tutto è stato creato in lui, per mezzo di lui, e tutto si muove verso di lui. Lo stesso testo dimostra che questa causalità di Cristo nella creazione è in relazione con la mediazione salvifica, verso la quale è diretta. Gesù è il primogenito della creazione e il primogenito di coloro che risuscitano dai morti: sembra che nella seconda primogenitura la prima raggiunga il suo pieno significato. La ricapitolazione di tutto in Cristo è l'ultimo disegno di Dio Padre (cf. Ef 1,10). In tale universalità si distingue il ruolo speciale di Cristo nella chiesa: "Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose" (Ef 1,22-23; cf. Col 1,17). Il parallelismo paolino tra Adamo e Cristo (cf. 1Cor 15,20-22.44-49; Rm 5,12-21) sembra rivolto nella stessa direzione. Se esiste una rilevanza universale del primo Adamo, in quanto primo uomo e primo peccatore, pure Cristo deve avere un significato per tutti, anche se non ne sono chiaramente esplicitati i termini. La vocazione di ogni uomo, che ora porta l'immagine dell'Adamo terrestre, è di diventare immagine dell'Adamo celeste.

36. "(La Parola) era la luce vera, quella che illumina ogni uomo venendo in questo mondo" (Gv 1,9) (2). È Gesù in quanto 'Logos' incarnato colui che illumina tutti gli uomini. Il 'Logos' ha già esercitato la mediazione creatrice, non senza riferimento all'incarnazione e alla salvezza future, e per questo Gesù viene tra i suoi, che non lo accolgono (cf. Gv 1,3-4.10-11). Gesù annuncia un culto a Dio in spirito e verità, che va oltre Gerusalemme e il monte Garizim (cf. Gv 4,21-24), riconosciuto dai samaritani che dichiarano: "Questi è veramente il salvatore del mondo" (Gv 4,42).

37. La mediazione unica di Gesù Cristo è messa in relazione con la volontà salvifica universale di Dio in 1Tm 2,5-6: "Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti". L'unicità del mediatore (cf. anche Eb 8,6; 9,15; 12,24) corrisponde all'unicità del Dio che vuole salvare tutti. Il mediatore unico è 'l'uomo' Cristo Gesù; anche qui si tratta del significato universale di Gesù in quanto è il Figlio di Dio incarnato: è il mediatore tra Dio e gli uomini perché è il Figlio fatto uomo che si è consegnato alla morte in riscatto per tutti.

38. Nel discorso di Paolo all'Areopago (At 17,22-31) appare chiaramente che la conversione a Cristo implica una rottura con il passato. Le religioni hanno condotto di fatto gli uomini all'idolatria. Ma insieme sembra che si riconosca l'autenticità di una ricerca filosofica che, se non è giunta alla conoscenza del vero Dio, non era però su una via completamente sbagliata. La ricerca a tentoni di Dio risponde ai disegni della Provvidenza: sembra avere anche aspetti positivi. C'è una relazione con il Dio di Gesù Cristo anche prima della conversione (cf. At 10,34)? Non c'è un atteggiamento di chiusura del Nuovo Testamento verso tutto quello che non proviene da Gesù Cristo; l'apertura si può manifestare anche ai valori religiosi (cf. Fil 4,8).

39. Il Nuovo Testamento ci mostra insieme l'universalità della volontà salvifica di Dio e il vincolo della salvezza con l'opera redentrice di Gesù Cristo, unico mediatore. Gli uomini raggiungono la salvezza in quanto riconoscono e accettano nella fede Gesù il Figlio di Dio. Questo messaggio è diretto a tutti senza eccezione. Alcuni testi però sembrano insinuare che esiste un significato salvifico di Gesù per ogni uomo, che può arrivare anche a quelli che non lo conoscono. Né una limitazione della volontà salvifica di Dio, né l'ammissione di mediazioni parallele a quella di Gesù, né un'attribuzione di questa mediazione universale al 'Logos' eterno non identificato con Gesù risultano compatibili con il messaggio neotestamentario.

B) Motivi della tradizione raccolti nel recente magistero della chiesa

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40. Il significato universale di Cristo è stato espresso in modi diversi nella tradizione della chiesa fin dai tempi più antichi. Scegliamo alcuni temi che hanno trovato eco nei recenti documenti magisteriali, soprattutto nel concilio Vaticano II.

41. I 'semina Verbi'. Fuori dei confini della chiesa visibile, e in concreto nelle diverse religioni, si possono trovare "semi del Verbo"; il motivo si combina spesso con quello della luce che illumina ogni uomo e con quello della preparazione evangelica (Ad gentes, nn. 11 e 15; Lumen gentium, nn. 16-17; Nostra aetate, n. 2; Giovanni Paolo II, lett. enc. Redemptoris missio, n. 56).

L’espressione di Giustino “semina Verbi” si riferiva al mondo greco: rifiutato il politeismo, si valorizzava la filosofia greca che sosteneva il monoteismo e poneva basi di discussione, benché non ancora aperta alla idea di creazione (vs demiurgo cristiano).

42. La teologia dei semi del Verbo inizia con san Giustino. Di fronte al politeismo del mondo greco, Giustino vede nella filosofia un'alleata del cristianesimo, perché ha seguito la ragione; ma ora questa ragione si trova nella sua totalità soltanto in Gesù Cristo, il 'Logos' in persona. Solamente i cristiani lo conoscono nella sua integrità (3). Di questo 'Logos' però è partecipe tutto il genere umano; perciò da sempre c'è stato chi è vissuto in conformità con il 'Logos', e in questo senso ci sono stati "cristiani", pur avendo essi avuto soltanto una conoscenza parziale del 'Logos' seminale (4). C'è molta differenza tra il seme di una cosa e la cosa stessa; ma in ogni modo la presenza parziale e seminale del 'Logos' è dono e grazia di Dio. Il 'Logos' è il seminatore di questi "semi di verità" (5).

43. Per Clemente Alessandrino l'uomo è razionale in quanto partecipa della vera ragione che governa l'universo, il 'Logos', e ha pieno accesso a questa ragione se si converte e segue Gesù, il 'Logos' incarnato (6). Con l'incarnazione il mondo si è riempito dei semi di salvezza (7). Esiste però anche una semina divina dall'inizio dei tempi, che ha fatto sì che varie parti della verità si trovino tra i greci e tra i barbari, specialmente nella filosofia considerata nel suo insieme (8), anche se insieme alla verità non è mancata la zizzania (9).La filosofia ha avuto per i greci una funzione simile a quella della legge per gli ebrei : è stata una preparazione per la pienezza di Cristo (10). C'è però una chiara differenza tra l'azione di Dio in questi filosofi e nell'Antico Testamento. D'altra parte, soltanto in Gesù, luce che illumina ogni uomo, si può contemplare il 'Logos' perfetto, la verità intera: i frammenti di verità appartengono al tutto (11).

Anche sui temi etici la filosofia si presenta come fortemente compatibile o propedeutica rispetto alla religione cristiana. Si accostano Mosé e Platone

44. Giustino e Clemente coincidono nel segnalare che questi frammenti della verità totale conosciuti dai greci provengono, almeno in parte, da Mosè e dai profeti, i quali sono più antichi dei filosofi (12). Da loro, secondo i piani della Provvidenza, hanno "rubato" i greci, che non hanno saputo essere riconoscenti per quello che hanno ricevuto (13). Questa conoscenza della verità non è pertanto senza relazione con la rivelazione storica, che troverà la sua pienezza nell'incarnazione di Gesù.

45. Ireneo non usa direttamente l'idea dei semi del Verbo; però sottolinea fortemente che in tutti i momenti della storia il 'Logos' è stato unito agli uomini e li ha accompagnati, in previsione dell'incarnazione (14): con questa, portando se stesso nel mondo, Gesù vi ha portato tutta la novità. La salvezza è legata pertanto all'apparizione di Gesù, anche se questa era stata già annunciata e i suoi effetti in qualche modo erano stati anticipati (15).

Ireneo parla delle scintille del Verbo, che giungono a incendiare il mondo con la venuta di Cristo nella carne.

46. Il Figlio di Dio si è unito a ogni uomo (cf. Gaudium et spes, n. 22; Redemptoris missio, n. 6, tra molti altri testi). L'idea si ripete spesso nei padri, che si ispirano ad alcuni testi del Nuovo Testamento. Uno di quelli che hanno dato luogo a tale interpretazione è la parabola della pecora smarrita (cf. Mt 18,12-24; Lc

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15,1-7): questa è identificata con il genere umano sviato, che Gesù è venuto a cercare. Assumendo la natura umana, il Figlio ha messo sulle sue spalle l'intera umanità per presentarla al Padre. Così si esprime Gregorio di Nissa: "Questa pecora siamo noi, gli uomini (...), il Salvatore prende sulle spalle la pecora intera, quindi (...), poiché si era perduta tutta intera, tutta intera viene ricondotta. Il pastore la prende sulle sue spalle, cioè nella sua divinità (...). Avendola presa su di sé, ne fa una cosa sola con sé" (16). Anche Gv 1,14, "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi", è stato interpretato in diverse occasioni nel senso di abitare "dentro di noi", cioè nell'intimo di ogni uomo; dallo stare lui in noi si passa facilmente al nostro stare in lui (17). Contenendoci tutti in sé, può riconciliarci tutti con Dio Padre (18). Nella sua umanità glorificata tutti possiamo trovare la risurrezione e il riposo (19).

47. I padri non dimenticano che tale unione degli uomini con il corpo di Cristo si produce soprattutto nel battesimo e nell'eucaristia. L'unione di tutti in Cristo però, grazie alla sua assunzione della nostra natura, costituisce un presupposto oggettivo a partire dal quale il credente cresce nell'unione personale con Gesù. Il significato universale di Cristo si mostra anche per i primi cristiani nel fatto che libera l'uomo dai principi di questo mondo che lo tengono prigioniero come singolo e come popolo (20).

48. 'La dimensione cristologica dell'immagine'. Secondo il concilio Vaticano II, Gesù è l'"uomo perfetto", seguendo il quale l'uomo si fa più uomo (Gaudium et spes, n. 41; cf. 'ivi', nn. 22; 38; 45). Indica pure che soltanto 'in mysterio Verbi incarnati mysterium hominis vere clarescit' (Gaudium et spes, n. 22; 'EV' 1/1385). Tra gli altri fondamenti di tale affermazione si segnala un testo di Tertulliano, secondo il quale plasmando Adamo con il fango della terra Dio pensava già a Cristo che doveva incarnarsi (21). Già Ireneo aveva segnalato che il Verbo, artefice di tutto, aveva prefigurato in Adamo la futura economia dell'umanità di cui egli stesso si sarebbe rivestito (22). Anche se le interpretazioni patristiche dell'immagine sono molto varie, non si può trascurare questa corrente che vede nel Figlio che deve incarnarsi (e morire, e risuscitare) il modello secondo il quale Dio ha fatto il primo uomo. Se il destino dell'uomo è di portare "l'immagine dell'uomo celeste" (1Cor 15,49), non sembra errato pensare che in ogni uomo ci dev'essere una certa disposizione interiore a questo fine.

Nel 1999 Ratzinger con la Dominus Iesus (CDdFede) ribadisce che la salvezza avviene attraverso la Chiesa, per i meriti di Gesù. Chi è al di fuori non incorre in salvezza per il fatto che pratichi altre religioni, ma la salvezza è alla portata di chi è fuori dalla Chiesa solo se questi cerca sinceramente il vero e il bene.La base della DJ – documento di grande peso magisteriale – è la nota che stiamo esaminando sul rapporto tra religioni, cristianesimo e salvezza.

C) Conclusioni

49. a) Gli uomini possono salvarsi soltanto in Gesù, e perciò il cristianesimo ha una chiara pretesa di universalità. Il messaggio cristiano è pertanto diretto a tutti gli uomini e a tutti dev'essere annunciato.b) Alcuni testi del Nuovo Testamento e della tradizione più antica lasciano intravedere un significato universale di Cristo che non si riduce a quello che abbiamo appena ricordato. Con la sua venuta nel mondo Gesù illumina ogni uomo, egli è l'ultimo e definitivo Adamo al quale tutti sono chiamati a conformarsi, ecc. La presenza universale di Gesù appare in forma più elaborata nell'antica dottrina del 'Logos spermatikos'. Ma anche qui si distingue chiaramente tra la piena apparizione del 'Logos' in Gesù e la presenza dei suoi semi in quelli che non lo conoscono. Questa presenza, pur essendo reale, non esclude l'errore né la contraddizione (23). A partire dalla venuta di Gesù nel mondo, e soprattutto a partire dalla sua morte e risurrezione, si comprende il senso ultimo della vicinanza del Verbo a tutti gli uomini. Gesù porta a compimento la storia intera (cf. Gaudium et spes, nn. 10 e 45).c) Se la salvezza è legata all'apparizione storica di Gesù, per nessuno può essere indifferente l'adesione personale a lui nella fede. Soltanto nella chiesa, che è in continuità storica con Gesù, si può vivere pienamente il suo mistero. Di qui la necessità ineludibile dell'annuncio di Cristo da parte della chiesa.d) Altre possibilità di "mediazione" salvifica non possono mai considerarsi separate dall'uomo Gesù, l'unico mediatore. Sarà più difficile determinare come entrano in relazione con Gesù gli uomini che non lo conoscono e le religioni; ma bisogna ricordare le vie misteriose dello Spirito, che dà a tutti la possibilità di essere associati al mistero pasquale (Gaudium et spes, n. 22), e la cui opera non può non riferirsi a Cristo

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(Redemptoris missio, n. 29). Nel contesto dell'azione universale dello Spirito di Cristo si deve porre la questione del valore salvifico delle religioni in quanto tali.e) Essendo Gesù l'unico mediatore, che porta a compimento il disegno salvifico dell'unico Dio Padre, la salvezza è unica ed è la stessa per tutti gli uomini: la piena conformazione a Gesù e la comunione con lui nella partecipazione alla sua filiazione divina. Perciò si deve escludere l'esistenza di economie diverse per quelli che credono in Gesù e per quelli che non credono in lui. Non ci possono essere vie per andare a Dio che non confluiscano nell'unica via che è Cristo (cf. Gv 14,6).

Una teoria diffusa afferma che lo Spirito Santo farebbe delle diverse religioni una strada di per sé efficace di salvezza.Si risponde dicendo che lo Spirito agisce in tutta la creazione. Ma il NT non parla mai della sua azione creatrice, bensì solo salvatrice (opus salutis). Ma la Chiesa nell’inno “Veni creator” recupera le affermazioni dell’AT: “riempi le persone che hai creato con la tua grazia superna”. La teologia dello Spirito Santo si sviluppa sui nomi, che sono simbolici: lo Spirito rimanga al vento, alla atmosfera, all’aria; ma si accosta anche all’acqua (Gesù), al fuoco (Pentecoste), la vita (Gesù; Gv 16: zoo-poiòn: vivificante). Il quarto elemento cosmologico (dopo aria, acqua, fuoco) è la terra, che rimanda all’uomo (fatto di terra) in cui lo Spirito è principio di vita.Gen 1, 2 – “Lo spirito si librava sulle acque”; è lo Spirito che è alito e soffio di vita per l’uomo.Salmo: “Emetti il tuo spirito e tutto è creato; lo togli, e tutto cade nella polvere”Se agisce in tutto e in tutti, agisce in tutte le culture e religioni? Sì, ma come Spirito di Cristo.Lo Spirito guida l’uomo alla salvezza, sostenendo i profeti, i sacerdoti, i re. Quella profetica (“ha parlato per mezzo dei profeti”) è la punta di diamante di una azione salvifica ben più ampia.Anche l’olio è simbolo dello Spirito (unzione di Davide). L’AT si proietta verso il NT parlando dello Spirito che agisce sul Messia (Isaia e i 7 doni), e su tutti (Pietro a Pentecoste cita Gioele). È un dono di interiorità (Ezechiele, Geremia: il cuore nuovo, la conoscenza interiore e la comunione con Dio).Gesù riceve lo spirito per la sua missione e poi lo manda (Gv, Atti) per sostenere la nascita e missione della Chiesa. Ogni concilio adotterà la formula “è parso bene allo Spirito Santo e noi”.Infine, lo Spirito agisce nel singolo credente. Dove dona i suoi frutti (amore, gioia, pace, bontà, pazienza, benevolenza, fedeltà, mitezza, dominio di sé).Tutti gli atti del cristiano sono opera dello Spirito, sempre però in collegamento con il Padre e il Figlio. È una azione collegata e coordinata. Lo Spirito universalizza, attualizza e rende efficace l’azione del Figlio in unione col Padre.

II.3. L'UNIVERSALITÀ DELLO SPIRITO SANTO

50. L'universalità dell'azione salvifica di Cristo non si può comprendere senza l'azione universale dello Spirito Santo. Un primo elemento di tale universalità dell'opera dello Spirito si incontra già nella creazione. L'Antico Testamento ci mostra lo Spirito di Dio sopra le acque (Gen 1,2); e il libro della Sapienza (1,7) segnala che "lo Spirito del Signore riempie l'universo e, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce".

51. Se questo si può dire di tutto l'universo, vale specialmente per l'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, secondo Gen 1,26-27. Dio crea l'uomo per essere presente in lui, per avere in lui la sua dimora; guardare qualcuno con benevolenza, essere unito a lui, vuol dire essere suo amico. Così si può parlare di amicizia originale ('amicitia originalis') dell'uomo con Dio e di Dio con l'uomo (conc. Trid., sess. VI, cap. 7- Denz.-Schönm. 1528- ) come frutto dell'azione dello Spirito. La vita in generale e quella dell'uomo in particolare è messa in relazione più o meno esplicita con lo Spirito di Dio in vari passi dell'Antico Testamento (cf. Sal 104,29-30; Gb 34,14-15; Qo 12,7). Giovanni Paolo II mette in relazione con la comunicazione dello Spirito la creazione dell'uomo a immagine di Dio e nell'amicizia divina (cf. Giovanni Paolo II, lett. enc. Dominum et vivificantem, nn. 12 e 34).

52. La tragedia del peccato consiste nel fatto che, invece della vicinanza tra Dio e l'uomo, viene la distanza. Lo spirito delle tenebre ha presentato Dio come nemico dell'uomo, come minaccia (cf. Gen 3,4-5; Dominum et vivificantem, n. 38). Ma Dio si è avvicinato all'uomo mediante le diverse alleanze di cui ci parla l'Antico

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Testamento. L'immagine e la somiglianza significano fin dall'inizio capacità di relazione personale con Dio e, quindi, capacità di alleanza. Così Dio si è avvicinato gradualmente agli uomini, mediante le diverse alleanze, con Noè (cf. Gen 7,1ss), con Abramo e con Mosè, dei quali Dio si è fatto amico (Gc 2,23; Es 33,11).

Dopo il diluvio, l’arcobaleno suggella un’alleanza cosmologica, legata all’universalità dello Spirito.

53. Nella nuova alleanza Dio si è avvicinato così tanto all'uomo che ha inviato il suo Figlio nel mondo, incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno della vergine Maria . La nuova alleanza, diversamente dalla precedente, non è della lettera ma dello Spirito (2Cor 3,6). È l'alleanza nuova e universale, l'alleanza dell'universalità dello Spirito. L'universalità vuol dire 'versus unum' ("verso uno"). La stessa parola "spirito" vuol dire movimento, e questo include il "verso", la direzione. Lo Spirito è chiamato 'dynamis' (At 1,8), e la 'dynamis' include la possibilità di una direzione. Dalle parole di Gesù sullo Spirito paraclito si deduce che l'"essere verso" si riferisce a Gesù.

54. La stretta connessione tra lo Spirito e Cristo si manifesta nell'unzione di Gesù: Gesù Cristo significa precisamente che Gesù è l'unto di Dio con l'unzione che è lo Spirito: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha unto..." (Lc 4,16; Is 61,1-2). Dio ha unto Gesù "in Spirito Santo e potenza", e così "passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo" (At 10,38). Come dice Ireneo: "Nel nome di Cristo si sottintende colui che unge, colui che è unto e la stessa unzione con cui è unto. Colui che unge è il Padre, l'unto è il Figlio, nello Spirito che è l'unzione. Come dice la Parola per mezzo di Isaia: "Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione" (Is 61,1-2), indicando il Padre che unge, il Figlio unto e l'unzione che è lo Spirito" (24).

Gesù è il Messia, l’operatore in virtù dell’unzione dello Spirito Santo. Per i copti è la terza nascita di Gesù dopo la generazione eterna e l’incarnazione. In qualche modo ogni cristiano è chiamato a esser unto con lo Spirito come il Figlio. Lo Spirito compie ciò che Gesù ha fatto.

55. L'universalità dell'alleanza dello Spirito è pertanto quella dell'alleanza in Gesù. Egli si è offerto al Padre in virtù dello Spirito eterno (Eb 9,14), nel quale è stato unto. Questa unzione si estende al Cristo totale, ai cristiani unti con lo Spirito e alla chiesa. Già Ignazio di Antiochia indicò che Gesù ricevette l'unguento "per infondere incorruttibilità nella sua chiesa" (25). Gesù è stato unto nel Giordano, secondo Ireneo, "perché noi fossimo salvati ricevendo l'abbondanza della sua unzione" (26). Gregorio di Nissa ha espresso questo con un'immagine profonda e bella: "La nozione di unzione suggerisce (...) che non c'è nessuna distinzione tra il Figlio e lo Spirito. Infatti, come tra la superficie del corpo e l'unzione con l'olio né la ragione né i sensi conoscono intermediari, così è immediato il contatto del Figlio con lo Spirito; perciò chi sta per entrare in contatto con il Figlio mediante la fede, deve necessariamente entrare prima in contatto con l'olio. Nessuna parte è priva dello Spirito Santo" (27). Il Cristo totale include in un certo senso ogni uomo, poiché Cristo si è unito a tutti gli uomini (Gaudium et spes, n. 22). Lo stesso Gesù dice: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

56. La chiesa è il luogo privilegiato dell'azione dello Spirito. In essa, corpo di Cristo, lo Spirito suscita i diversi doni per l'utilità comune (cf. 1Cor 12,4-11). È nota l'espressione di Ireneo: "Dov'è lo Spirito del Signore, lì c'è la chiesa; e dov'è la chiesa, c'è lo Spirito del Signore e ogni grazia" (28). E san Giovanni Crisostomo: "Se lo Spirito Santo non fosse presente, non esisterebbe la chiesa; se la chiesa esiste, è un chiaro segno della presenza dello Spirito" (29).

A volte si oppone Ireneo a Tertulliano: “ubi Spiritus, ibi ecclesia”, dando maggior importanza all’azione carismatica dello Spirito. Per Ireneo conta la Chiesa (in cui lo Spirito agisce), mentre per Tertulliano se c’è lo Spirito, lì c’è la Chiesa, anche senza gerarchia, istituzioni, sacramenti… I pentecostali sono una riedizione di questa posizione, laddove si richiede un secondo battesimo (effusione dello Spirito) a chi già lo ha ricevuto.Nella venuta dello Spirito ci sono 120 persone (12x10) oltre agli Undici e alla Madonna.

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57. Alcuni testi del Nuovo Testamento sembrano insinuare la portata universale dell'azione dello Spirito, sempre in relazione con la missione evangelizzatrice della chiesa che deve giungere a tutti gli uomini. Lo Spirito Santo precede e guida la predicazione, è all'origine della missione ai pagani (At 10,19.44-47). Il superamento del peccato di Babele avverrà nello Spirito. Diversamente dal tentativo dei costruttori della torre di Babele, che con i loro sforzi vogliono arrivare al cielo, la dimora di Dio, ora lo Spirito Santo scende dal cielo come un dono e dà la possibilità di parlare tutte le lingue e di ascoltare, ciascuno nella propria lingua, le grandezze di Dio (cf. At 2,1-11). La torre di Babele era uno sforzo per realizzare l'unità senza l'universalità: "Facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra" (Gen 11,4). La Pentecoste fu il dono dell'universalità nell'unità: "Essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi" (At 2,4). Nel dono dello Spirito di Pentecoste si deve vedere anche il compimento dell'alleanza del Sinai (cf. Es 19,1ss), che diventa così universale.

58. Il dono dello Spirito è il dono di Gesù risorto e salito al cielo alla destra del Padre (At 2,32; cf. Gv 14,15.26; 15,26; 16,7; 20,22): questo è un insegnamento costante nel Nuovo Testamento. La stessa risurrezione di Gesù si realizza con l'intervento dello Spirito (cf. Rm 1,4; 8,11). Lo Spirito Santo ci è dato come Spirito di Cristo, Spirito del Figlio (cf. Rm 8,9; Gal 4,6; Fil 1,19; At 16,7). Perciò non si può pensare un'azione universale dello Spirito che non sia in relazione con l'azione universale di Gesù: i padri continuamente lo hanno messo in rilievo (30). Soltanto con l'azione dello Spirito noi uomini possiamo essere resi conformi all'immagine di Gesù risorto, nuovo Adamo, nel quale l'uomo acquista definitivamente la dignità a cui era chiamato fin dalle origini: "E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito" (2Cor 3,18). L'uomo, che è stato creato a immagine di Dio, con la presenza dello Spirito è rinnovato a immagine di Dio (o di Cristo) secondo l'azione dello Spirito. Il Padre è il pittore; il Figlio è il modello secondo il quale l'uomo viene dipinto; lo Spirito Santo è il pennello con il quale viene dipinto l'uomo nella creazione e nella redenzione.

59. Perciò lo Spirito Santo conduce a Cristo. Lo Spirito Santo dirige tutti gli uomini verso Cristo, l'unto; Cristo, a sua volta, li dirige verso il Padre. Nessuno va al Padre se non attraverso Gesù, perché egli è la via (Gv 14,6); però è lo Spirito Santo che guida i discepoli alla verità intera (Gv 16,12-13). La parola "guiderà" ('hodegesei') include la via ('hodos'): quindi lo Spirito guida per la via che è Gesù, il quale conduce al Padre. Perciò nessuno può dire "Gesù è il Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo (1Cor 12,3). E la terminologia del Paraclito usata da Giovanni ci indica che lo Spirito è l'avvocato nel giudizio che cominciò in Gerusalemme e continua nella storia. Lo Spirito paraclito difenderà Gesù dalle accuse che gli sono rivolte nei suoi discepoli (cf. Gv 16,8-11). Lo Spirito Santo è così il testimone di Cristo, e grazie a lui possono esserlo i discepoli: "Egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio" (Gv 15,26-27).

60. Perciò lo Spirito è dono di Gesù e conduce a lui, anche se la via concreta per la quale conduce gli uomini è nota soltanto a Dio. Il Vaticano II lo ha formulato chiaramente: "Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale" (Vaticano II, cost. past. Gaudium et spes sulla chiesa nel mondo contemporaneo, n. 22). Non ha senso affermare un'universalità dell'azione dello Spirito che non si trovi in relazione con il significato di Gesù, il Figlio incarnato, morto e risorto. Invece in virtù dell'opera dello Spirito tutti gli uomini possono entrare in relazione con Gesù, che visse, morì e risuscitò in un luogo e in un tempo concreti. D'altra parte l'azione dello Spirito non si limita alle dimensioni intime e personali dell'uomo, ma si estende anche a quelle sociali: "Questo Spirito è lo stesso che ha operato nell'incarnazione, nella vita, morte e risurrezione di Gesù e opera nella chiesa. Non è, dunque, alternativo a Cristo, né riempie una specie di vuoto, come talvolta si ipotizza esserci tra Cristo e il 'Logos'. Quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e religioni, assume un valore di preparazione evangelica e non può non avere riferimento a Cristo" (Giovanni Paolo II, lett. enc. Redemptoris missio, 7.12.1990, n. 29).

GS 22: il mistero pasquale (Gesù) può esser in contatto con ogni uomo tramite lo Spirito Santo. Lo Spirito pone in relazione con Gesù storico (morto, risorto), sia i singoli sia le realtà sociali.

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Non è una aggiunta, come se al Logos mancasse qualcosa rispetto a Dio! Non aggiunge, ma semplicemente compie e attua quanto fatto da Gesù.

61. L'ambito privilegiato dell'azione dello Spirito è la chiesa, corpo di Cristo; ma tutti i popoli sono chiamati, in vari modi, all'unità del popolo di Dio che lo Spirito promuove: "Questo carattere di universalità che adorna e distingue il popolo di Dio, è dono dello stesso Signore, e con esso la chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l'umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo nell'unità del suo Spirito. (...) Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale, e alla quale in vario modo appartengono e sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini, dalla grazia di Dio chiamati alla salvezza" (Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium sulla chiesa, n. 13). È la stessa universalità dell'azione salvifica di Cristo e dello Spirito che conduce a interrogarsi sulla funzione della chiesa come sacramento universale di salvezza.

Non si tratta di individuare altre realtà di appartenenza. Ma di riconoscere l’universale chiamata alla salvezza.

II.4. "ECCLESIA, UNIVERSALE SALUTIS SACRAMENTUM"

62. Non si può sviluppare una teologia delle religioni senza tener conto della missione salvifica universale della chiesa, attestata dalla Sacra Scrittura e dalla tradizione di fede della chiesa. La valutazione teologica delle religioni fu impedita per molto tempo a causa del principio 'extra Ecclesiam nulla salus', inteso in senso esclusivista. Con la dottrina sulla chiesa come 'sacramento universale di salvezza' o 'sacramento del regno di Dio', la teologia cerca di rispondere alla nuova impostazione del problema. Questo insegnamento, che fu accolto anche dal concilio Vaticano II, si collega con la visione sacramentale della chiesa nel Nuovo Testamento.

Dice in positivo quello che in negativo era “extra ecclesiam nulla salus”. Pio XII nella “Mystici Corporis” usa il corpo di Cristo come quasi definizione della chiesa. Il CVII rifiuta definizioni e preferisce figure, sopra tutte quella del “popolo di Dio”. Senza unione con la Chiesa, non si dava salvezza. Salvo il voto implicito che garantiva un collegamento con essa, come una appartenenza presunta in caso di ignoranza incolpevole. Tesi fondata sulla Mystici Corporis.In GS viene usata anche l’immagine della famiglia: quando tutti diventeranno Figli di Dio (e non lo sono ancora quanti non sono ancora battezzati). Diverso è dire che quanto conta è “sentirsi” figli di Dio. Non basta la coscienza, la fede, ma anche il sacramento (siamo salvati per fidem ed fidei sacramentum).

63. La questione principale non è oggi se gli uomini possano raggiungere la salvezza anche se non appartengono alla chiesa cattolica visibile: questa possibilità è considerata come teologicamente certa. La pluralità delle religioni, di cui i cristiani sono sempre più coscienti, una migliore conoscenza di queste religioni e il necessario dialogo con esse, senza tralasciare in ultimo luogo una più chiara coscienza delle frontiere spaziali e temporali della chiesa, ci pongono la questione se si possa ancora parlare della necessità della chiesa per la salvezza, e se questo principio sia compatibile con la volontà salvifica universale di Dio.

A) "Extra Ecclesiam nulla salus"64. Gesù ha unito l'annuncio del regno di Dio con la sua chiesa. Dopo la morte e la risurrezione di Gesù si ricompose l'unione del popolo di Dio, nel nome di Gesù Cristo. La chiesa degli ebrei e dei gentili fu intesa come un'opera di Dio e come la comunità nella quale si sperimenta l'azione del Signore elevato al cielo e del suo Spirito. Alla fede in Gesù Cristo, mediatore universale della salvezza, si unisce il battesimo nel suo nome, come mediazione per partecipare alla sua morte redentrice, per ricevere il perdono dei peccati e per entrare nella comunità di salvezza (cf. Mc 16,16; Gv 3,5). Perciò il battesimo è paragonato all'arca salvatrice (1Pt 3,20-21). Secondo il Nuovo Testamento la necessità della chiesa per la salvezza si fonda sull'unica mediazione salvifica di Gesù Cristo.

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65. Si parla della necessità della chiesa per la salvezza in due sensi: la necessità dell'appartenenza alla chiesa per quelli che credono in Gesù, e la necessità, per la salvezza, del ministero della chiesa che, per incarico di Dio, dev'essere al servizio della venuta del regno di Dio.

66. Nell'enciclica Mystici corporis Pio XII affronta la questione della relazione con la chiesa di quelli che raggiungono la salvezza fuori della comunione visibile con essa, e dice che questi sono ordinati al corpo mistico di Cristo attraverso un non consapevole anelito e desiderio (Denz 3821). L'opposizione del gesuita americano Leonard Feeney, che insiste nella sua interpretazione esclusivistica della frase 'extra Ecclesiam nulla salus', dà occasione alla lettera del sant'Uffizio all'arcivescovo di Boston dell'8 agosto 1949, la quale respinge l'interpretazione di Feeney e precisa l'insegnamento di Pio XII. La lettera distingue tra la necessità dell'appartenenza alla chiesa per la salvezza ('necessitas praecepti') e la necessità dei mezzi indispensabili per la salvezza ('intrinseca necessitas'). Riguardo a tali mezzi, la chiesa è un aiuto generale per la salvezza (Denz 3867-3869): nel caso di un'ignoranza invincibile, basta il desiderio implicito di appartenere alla chiesa, e questo desiderio è sempre presente quando un uomo aspira a conformare la sua volontà a quella di Dio (Denz 3870). La fede però, nel senso di Eb 11,6, e l'amore sono sempre necessari con necessità intrinseca (Denz 3872).

È il voto implicito per appartenere alla Chiesa come Corpo Mistico. Alcuni doveri sono necessari perché comandati e altri sono invece comandati perché necessari.Non è necessità assoluta. Come invece per la fede: “Senza fede, non si può piacere a Dio”. Senza fede, non c’è affidamento, dunque si ignora Dio. Senza fede, neppure Dio può costringerti a esser suo amico. Così pure è necessaria la carità, almeno come apertura. Idem per la speranza.La necessità del battesimo non è invece assoluta. È necessario perché comandato, ma segue alla fede. È necessità intermedia. Può anche mancare (battesimo di sangue o desiderio) ma non come scelta.Nel “decreto per gli Armeni” (Firenze, 1439) si indica una professio fidei se vogliono diventare cattolici e si dice che extra ecclesiam nulla salus in forma radicale (anche un eretico martirizzato non sarebbe salo: “se anche dessi il mio corpo per esser bruciato…).

67. Il concilio Vaticano II fa sua la frase 'extra Ecclesiam nulla salus', ma con essa si rivolge esplicitamente ai cattolici e ne limita la validità a coloro che conoscono la necessità della chiesa per la salvezza. Il concilio osserva che l'asserto si fonda sulla necessità della fede e del battesimo affermata da Cristo (Lumen gentium, n. 14). In tal modo il concilio si colloca in continuità con l'insegnamento di Pio XII, però mette in rilievo più chiaramente il carattere parenetico originale di questa frase.

68. A differenza di Pio XII, il concilio rinuncia a parlare di 'votum implicitum' e applica il concetto di 'votum' soltanto al desiderio esplicito dei catecumeni di appartenere alla chiesa (Lumen gentium, n. 14). Dei non cristiani si dice che, in modo diverso, sono ordinati al popolo di Dio. Secondo i vari modi in cui la volontà salvifica di Dio abbraccia i non cristiani, il concilio distingue quattro gruppi: in primo luogo gli ebrei; in secondo luogo i musulmani; in terzo luogo quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e non conoscono la chiesa, ma cercano Dio con cuore sincero e si sforzano di compiere la sua volontà conosciuta attraverso la coscienza; in quarto luogo quelli che, senza colpa, non sono ancora giunti a conoscere espressamente Dio, ma ciò nonostante si sforzano di condurre una vita retta (LG n. 16).

69. I doni che Dio offre a tutti gli uomini per condurli alla salvezza si fondano, secondo il concilio, sulla sua volontà salvifica universale (LG, nn. 2.3.16; 'Ad gentes', n. 7). L'affermazione che anche i non cristiani sono ordinati al popolo di Dio si fonda sul fatto che la chiamata universale alla salvezza include la vocazione di tutti gli uomini all'unità cattolica del popolo di Dio (Lumen gentium, n. 13). Il concilio osserva che l'intima relazione delle due vocazioni si fonda sull'unica mediazione di Cristo, che si rende presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la chiesa (LG, n. 14).

70. Così si restituisce alla frase 'extra Ecclesiam nulla salus' il suo senso originale: esortare alla fedeltà i membri della chiesa (31). Questa frase, integrata all'interno di quella più generale 'extra Christum nulla salus', non è più in contraddizione con la chiamata di tutti gli uomini alla salvezza.

B) "Paschali mysterio consociati"

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71. La costituzione dogmatica sulla chiesa LG parla di un "ordinamento" graduale alla chiesa dal punto di vista della chiamata universale alla salvezza, che include la chiamata alla chiesa. Invece la costituzione pastorale Gaudium et spes apre una più ampia prospettiva cristologica, pneumatologica e soteriologica. Quello che si dice dei cristiani vale anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cuore dei quali opera in modo invisibile la grazia. Anche questi, mediante lo Spirito Santo, possono essere associati al mistero pasquale e quindi possono essere assimilati alla morte di Cristo e andare incontro alla risurrezione (GS 22).

72. Quando i non cristiani, giustificati mediante la grazia di Dio, sono associati al mistero pasquale di Gesù Cristo, lo sono pure al mistero del suo corpo, che è la chiesa. Il mistero della chiesa di Cristo è una realtà dinamica nello Spirito Santo. Anche se a questa unione spirituale manca l'espressione visibile dell'appartenenza alla chiesa, i non cristiani giustificati sono inclusi nella chiesa "corpo mistico di Cristo" e "comunità spirituale" (LG, n. 8). In questo senso i padri della chiesa possono dire che i non cristiani giustificati appartengono alla 'ecclesia ab Abel'. Mentre questi sono riuniti nella chiesa universale con il Padre (LG, n. 2), non saranno invece salvati quelli che appartengono soltanto "al corpo" ma non "al cuore" della chiesa, perché non hanno perseverato nell'amore (LG, n. 14).

73. Perciò si può parlare non soltanto di un "ordinamento" alla chiesa dei non cristiani giustificati, ma anche di un loro vincolo col mistero di Cristo e del suo corpo, la chiesa. Non si dovrebbe però parlare di appartenenza e neppure di graduale appartenenza alla chiesa, o di una comunione imperfetta con la chiesa, riservata ai cristiani non cattolici (Unitatis redintegratio, n. 3; LG, n. 15); la chiesa infatti per sua essenza è una realtà complessa, costituita dall'unione visibile e dalla comunione spirituale. Ciò non toglie che i non cristiani che non sono colpevoli di non appartenere alla chiesa entrino nella comunione dei chiamati al regno di Dio praticando l'amore per Dio e per il prossimo; questa comunione si rivelerà come 'Ecclesia universalis' nel compimento del regno di Dio e di Cristo.

C) "Universale salutis sacramentum"74. Quando si partiva dal presupposto che tutti gli uomini venivano a contatto con la chiesa, la necessità di questa per la salvezza era intesa soprattutto come necessità di appartenere a essa. Da quando la chiesa ha preso coscienza della sua condizione di minoranza, sia diacronicamente sia sincronicamente, è venuta in primo piano la necessità della funzione salvifica universale della chiesa. Questa missione universale e questa efficacia sacramentale in ordine alla salvezza hanno trovato espressione teologica nella qualifica della chiesa come sacramento universale di salvezza. Come tale la chiesa è al servizio della venuta del regno di Dio, nell'unione di tutti gli uomini con Dio e nell'unità degli uomini tra loro (LG, n. 1).

75. Dio si è rivelato di fatto come amore non soltanto perché fin d'ora ci fa partecipare al regno di Dio e ai suoi frutti, ma anche perché ci chiama e ci libera per collaborare alla venuta del suo Regno. Così la chiesa è non soltanto segno, ma anche strumento del regno di Dio che irrompe con forza. La chiesa compie la sua missione come sacramento universale con la 'martyria', la 'leiturgia' e la 'diakonia'.

76. Attraverso la 'martyria' del Vangelo della redenzione universale portata a compimento da Gesù Cristo, la chiesa annuncia a tutti gli uomini il mistero pasquale di salvezza che viene offerto loro e del quale già vivono senza saperlo. Come sacramento universale di salvezza, la chiesa è essenzialmente una chiesa missionaria. Infatti Dio, nel suo amore, non soltanto ha chiamato gli uomini a raggiungere la salvezza finale in comunione con lui; ma appartiene alla piena vocazione dell'uomo che la sua salvezza non si realizzi nel servizio delle cose che sono "ombra delle future" (Col 2,17), bensì nella piena conoscenza della verità, nella comunione del popolo di Dio e nell'attiva collaborazione per la venuta del suo Regno, rafforzato dalla sicura speranza nella fedeltà di Dio (Ad gentes, nn. 1-2).

77. Nella 'leiturgia', celebrazione del mistero pasquale, la chiesa compie la sua missione di servizio sacerdotale in rappresentanza di tutta l'umanità. Questa rappresentanza, secondo la volontà di Dio, è efficace per tutti gli uomini e rende presente Cristo, che "Dio trattò da peccato in nostro favore" (2Cor 5,21) e che al nostro posto fu appeso al legno (Gal 3,13) per liberarci dal peccato (LG, n. 10). Infine nella 'diakonia' la chiesa dà testimonianza del dono amorevole di Dio agli uomini e dell'irruzione del Regno di giustizia, di amore e di pace.

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78. Alla missione della chiesa come sacramento universale di salvezza appartiene pure "che ogni germe di bene che si trova nel cuore e nella mente degli uomini, o nei riti e culture propri dei popoli, non solo non vada perduto, ma sia purificato, elevato e perfezionato" (LG, n. 17). Infatti l'azione dello Spirito precede, a volte anche visibilmente, l'attività apostolica della chiesa (Ad gentes, n. 4), e la sua azione si può manifestare pure nella ricerca e nell'inquietudine religiosa degli uomini. Il mistero pasquale, nel quale tutti gli uomini possono essere incorporati nel modo che Dio conosce, è la realtà salvifica che abbraccia tutta l'umanità, che unisce preventivamente la chiesa con i non cristiani a cui si rivolge e ai quali ha sempre il dovere di trasmettere la rivelazione. Nella misura in cui la chiesa riconosce, discerne e fa proprio quanto di vero e di buono lo Spirito Santo ha operato nelle parole e nelle azioni dei non cristiani, diventa sempre più la vera chiesa cattolica, "che parla tutte le lingue e tutte le lingue nell'amore intende e comprende, superando così la dispersione babelica" (Ad gentes, n. 4).79. "Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo di fatto tutti gli uomini e apparendo talora come piccolo gregge, costituisce per tutta l'umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui preso per essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cf. Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo" (LG, n. 9). III. ALCUNE CONSEGUENZE PER UNA TEOLOGIA CRISTIANA DELLE RELIGIONI80. Una volta studiata l'iniziativa salvifica del Padre, la mediazione universale di Cristo, l'universalità del dono dello Spirito Santo, la funzione della chiesa nella salvezza di tutti, abbiamo gli elementi per delineare una teologia delle religioni. Dinanzi alla nuova situazione creata dal pluralismo religioso, si ripropone la domanda sul significato universale di Gesù Cristo anche in relazione con le religioni e sulla funzione che queste possono avere nel disegno di Dio di ricapitolare in Cristo tutte le cose (Ef 1,10). Nulla impedisce che vecchi temi della tradizione siano utilizzati per illuminare le nuove situazioni. Positivamente si deve tener presente il significato universale di Gesù e del suo Spirito e anche della chiesa. Questa infatti annuncia il Vangelo, è al servizio della comunione fra tutti e rappresenta tutta l'umanità mediante il suo servizio sacerdotale nella celebrazione liturgica del mistero pasquale. Negativamente, questa universalità è esclusiva: non c'è un 'Logos' che non sia Gesù e non c'è uno Spirito che non sia lo Spirito di Cristo. In tali coordinate si inscrivono i problemi che ora tratteremo: studieremo alcuni punti già indicati nello 'status quaestionis'.

III.1. IL VALORE SALVIFICO DELLE RELIGIONI81. Oggi non è in discussione la possibilità di salvezza fuori della chiesa di quelli che vivono secondo coscienza. Questa salvezza, come si è visto nella precedente esposizione, non si produce indipendentemente da Cristo e dalla sua chiesa: essa si fonda sulla presenza universale dello Spirito, che non si può separare dal mistero pasquale di Gesù (Gaudium et spes, n. 22; Redemptoris missio, n. 10, ecc.). Alcuni testi del Vaticano II trattano specificamente delle religioni non cristiane: coloro ai quali non è stato ancora annunciato il Vangelo sono in vari modi ordinati al popolo di Dio, e l'appartenenza alle diverse religioni non sembra indifferente agli effetti di questo "ordinamento" (cf.LG, n. 16). Si riconosce che nelle diverse religioni si trovano raggi della verità che illumina ogni uomo ('Nostra aetate', n. 2), semi del Verbo (Ad gentes, n. 11); che per disposizione di Dio si trovano in esse cose buone e vere (Optatam totius, n. 16); che si trovano elementi di verità, di grazia e di bene non soltanto nei cuori degli uomini, ma anche nei riti e nei costumi dei popoli, anche se tutto dev'essere "sanato, elevato e completato" (Vaticano II, decr. Ad gentes sull'attività missionaria della chiesa, n. 9; LG, n. 17). Rimane aperto invece l'interrogativo se le religioni come tali possano avere valore in ordine alla salvezza.

82. L'enciclica Redemptoris missio, seguendo e sviluppando la linea del concilio Vaticano II, ha sottolineato più chiaramente la presenza dello Spirito Santo non soltanto negli uomini di buona volontà presi individualmente, ma anche nella società, nella storia, nei popoli, nelle culture, nelle religioni, sempre con riferimento a Cristo (Redemptoris missio, nn. 28 e 29). Esiste un'azione 'universale' dello Spirito, che non può essere separata né tanto meno confusa con l'azione 'particolare' che lo Spirito svolge nel corpo di Cristo che è la chiesa ('ivi'). Dalla disposizione del cap. III dell'enciclica, intitolato "Lo Spirito Santo come protagonista della missione", sembra dedursi che queste due forme di presenza e di azione dello Spirito derivano dal mistero pasquale: infatti si parla della presenza universale ai nn. 28-29, dopo aver svolto l'idea della missione per impulso dello Spirito Santo (nn. 21-27). Alla fine del n. 28 si afferma chiaramente che è Gesù risorto colui che opera nel cuore degli uomini in virtù del suo Spirito, e che lo stesso Spirito distribuisce i semi del Verbo presenti nei riti e nelle religioni. La differenza tra i due modi di agire dello

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Spirito Santo non può condurre alla loro separazione, come se soltanto il primo fosse in relazione con il mistero di salvezza di Cristo.

83. Si parla di nuovo della presenza dello Spirito e dell'azione di Dio nelle religioni nei numeri 55 e 56 dell'enciclica Redemptoris missio, nel contesto del dialogo con i fratelli di altre religioni. Queste costituiscono una sfida per la chiesa, perché la stimolano a riconoscere i segni della presenza di Cristo e dell'azione dello Spirito. "Dio chiama a sé tutte le genti in Cristo, volendo loro comunicare la pienezza della sua rivelazione e del suo amore; né manca di rendersi presente in tanti modi non solo ai singoli individui, ma anche ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur contenendo lacune, insufficienze ed errori" (Redemptoris missio, n. 55). Anche in questo contesto è indicata la differenza con la presenza di Dio che Cristo porta col suo Vangelo.

84. A motivo di tale esplicito riconoscimento della presenza dello Spirito di Cristo nelle religioni, non si può escludere la possibilità che queste, come tali, esercitino una certa funzione salvifica , aiutino cioè gli uomini a raggiungere il fine ultimo nonostante la loro ambiguità. Nelle religioni viene messo in rilievo esplicitamente il rapporto dell'uomo con l'Assoluto, la sua dimensione trascendente. Sarebbe difficile pensare che abbia valore salvifico quanto lo Spirito Santo opera nel cuore degli uomini presi come individui e non lo abbia quanto lo stesso Spirito opera nelle religioni e nelle culture: il recente magistero non sembra autorizzare una differenza così drastica. D'altra parte, occorre notare che molti testi a cui ci siamo riferiti non parlano soltanto delle religioni, ma insieme a esse nominano anche le culture, la storia dei popoli, ecc.: anche queste possono essere "toccate" da elementi di grazia.

85. Nelle religioni agisce lo stesso Spirito che guida la chiesa; tuttavia la presenza universale dello Spirito non si può equiparare alla sua presenza particolare nella chiesa di Cristo . Anche se non si può escludere il valore salvifico delle religioni, non è detto che in esse 'tutto' sia salvifico: non si può dimenticare la presenza dello spirito del male, l'eredità del peccato, l'imperfezione della risposta umana all'azione di Dio, ecc. (cf. Dialogo e annuncio, nn. 30 e 31). Soltanto la chiesa è il corpo di Cristo, e soltanto in essa è data con tutta la sua intensità la presenza dello Spirito: perciò non può essere affatto indifferente l'appartenenza alla chiesa di Cristo e la piena partecipazione ai doni salvifici che si trovano soltanto in essa (Redemptoris missio, n. 55). Le religioni possono esercitare la funzione di 'praeparatio evangelica', possono preparare i popoli e le culture ad accogliere l'evento salvifico che è già avvenuto; ma la loro funzione non si può paragonare a quella dell'Antico Testamento, che fu la preparazione allo stesso evento di Cristo.

86. La salvezza si ottiene grazie al dono di Dio in Cristo, ma non senza la risposta e l'accettazione umana. Le religioni possono anche aiutare la risposta umana, in quanto spingono l'uomo alla ricerca di Dio, a operare secondo coscienza, a condurre una vita retta (cf. LG, n. 16; cf. anche Giovanni Paolo II, lettera enc. Veritatis splendor, n. 94: il senso morale dei popoli e le tradizioni religiose mettono in rilievo l'azione dello Spirito di Dio). La ricerca del bene è, in ultima analisi, un atteggiamento religioso (Veritatis splendor, nn. 9 e 12). E la risposta umana all'invito divino che si riceve sempre in Cristo e attraverso Cristo (32). Sembra che queste dimensioni oggettive e soggettive, discendenti e ascendenti, debbano comporsi in unità, come si compongono nel mistero di Cristo. Pertanto le religioni possono essere, nei termini indicati, un mezzo che aiuta alla salvezza dei propri seguaci, ma non si possono equiparare alla funzione che la chiesa realizza per la salvezza dei cristiani e di quelli che non lo sono.

87. L'affermazione che possono esistere elementi salvifici nelle religioni non implica, per sé, un giudizio sulla presenza di tali elementi in ognuna delle religioni concrete. D'altra parte, l'amore di Dio e del prossimo, reso possibile in ultima istanza da Gesù unico mediatore, è la sola via per giungere a Dio stesso. Le religioni possono essere portatrici di verità salvifica solo in quanto conducono gli uomini al vero amore. Se è vero che questo si può trovare anche in quelli che non praticano una religione, sembra che il vero amore di Dio debba condurre all'adorazione e alla pratica religiosa in unione con gli altri uomini.

III.2. LA QUESTIONE DELLA RIVELAZIONE88. La specificità e l'irripetibilità della rivelazione divina in Gesù Cristo si fondano sul fatto che soltanto nella sua persona si dà l'autocomunicazione del Dio trino. Perciò, in senso stretto, non si può parlare di rivelazione di Dio, se non in quanto Dio dà se stesso: così Cristo è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione ('Dei Verbum', n. 2). Il concetto teologico di rivelazione non si può confondere con quello

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della fenomenologia religiosa (sono religioni di rivelazione quelle che si considerano fondate su una rivelazione divina). Solamente in Cristo e nel suo Spirito, Dio si è dato completamente agli uomini; quindi soltanto quando questa autocomunicazione si fa conoscere, si dà la rivelazione di Dio in senso pieno. Il dono che Dio fa di se stesso e la sua rivelazione sono due aspetti inseparabili dell'evento di Gesù.

89. Prima della venuta di Cristo, Dio si rivelò in un modo particolare al popolo di Israele come l'unico Dio vivo e vero. In quanto testimonianza di tale rivelazione, i libri dell'Antico Testamento sono parola di Dio e conservano un valore perenne (cf. 'Dei Verbum', n. 14): tuttavia soltanto nel Nuovo Testamento ricevono e manifestano il loro pieno significato i libri dell'Antico (cf. 'Dei Verbum', n. 16). Nel giudaismo però perdura la vera rivelazione divina dell'Antico Testamento. Alcuni elementi della rivelazione biblica sono stati raccolti dall'islam, che li ha interpretati in un contesto diverso.

90. Dio si è fatto conoscere e continua a farsi conoscere dagli uomini in vari modi: attraverso le opere della creazione (cf. Sap 13,5; Rm 1,19-20); attraverso i giudizi della coscienza (cf. Rm 2,14-15), ecc. Dio può illuminare gli uomini per diverse vie. La fedeltà a Dio può dar luogo a una certa conoscenza per connaturalità. Le tradizioni religiose sono state contrassegnate da "molte persone sincere, ispirate dallo Spirito di Dio" ('Dialogo e annuncio', n. 30). L'azione dello Spirito continua a essere percepita in qualche modo dall'essere umano. Se, come insegna la chiesa, nelle religioni si trovano "semi del 'Verbo'" e "raggi della 'verità'", non si possono escludere in esse elementi di una vera conoscenza di Dio, anche se imperfetta (cf. 'Redemptoris missio', n. 55). La dimensione gnoseologica non può essere del tutto assente dove riconosciamo elementi di grazia e di salvezza.

91. Tuttavia, anche se Dio ha potuto illuminare gli uomini in vari modi, non abbiamo mai la garanzia che queste luci siano rettamente accolte e interpretate in chi le riceve; soltanto in Gesù abbiamo la garanzia della piena accoglienza della volontà del Padre. Lo Spirito ha assistito in modo speciale gli apostoli nella testimonianza di Gesù e nella trasmissione del suo messaggio; dalla predicazione apostolica è sorto il Nuovo Testamento, e anche grazie a essa la chiesa ha ricevuto l'Antico. L'ispirazione divina, che la chiesa riconosce agli scritti dell'Antico e del Nuovo Testamento, assicura che in essi è stato raccolto tutto e soltanto quello che Dio voleva fosse scritto.

92. Non tutte le religioni hanno libri sacri. Anche se non si può escludere, nei termini indicati, qualche illuminazione divina nella composizione di tali libri (nelle religioni che li hanno), è più adeguato riservare la qualifica di ispirati ai libri canonici (cf. 'Dei Verbum', n. 11) . La denominazione "parola di Dio" è stata riservata nella tradizione agli scritti dei due Testamenti. La distinzione è chiara anche negli antichi scrittori ecclesiastici che hanno riconosciuto semi del Verbo in alcuni scritti filosofici e religiosi. I libri sacri delle varie religioni, anche quando possano far parte di una preparazione evangelica, non si possono considerare come equivalenti all'Antico Testamento, che costituisce la preparazione immediata alla venuta di Cristo nel mondo.

III.3. LA VERITÀ COME PROBLEMA TRA LA TEOLOGIA DELLE RELIGIONI E LA POSIZIONE PLURALISTICA93. Il dialogo interreligioso non è soltanto un desiderio che nasce dal concilio Vaticano II ed è promosso dall'attuale pontefice: è anche una necessità nella situazione attuale del mondo. Sappiamo che questo dialogo è la preoccupazione centrale della teologia pluralista delle religioni negli ultimi tempi. Per rendere possibile tale dialogo, i rappresentanti di queste teologie pensano che da parte dei cristiani si debba eliminare ogni pretesa di superiorità e di assolutezza, e ritenere che tutte le religioni abbiano lo stesso valore. Pensano che sia una pretesa di superiorità considerare Gesù come salvatore e mediatore unico per tutti gli uomini.

94. La rinuncia a tale pretesa è considerata essenziale perché il dialogo possa essere fruttuoso : questo è senza dubbio il punto più importante con cui dobbiamo confrontarci. Di fronte a queste impostazioni, si deve sottolineare che non è affatto disprezzo o svalutazione quanto afferma la teologia cattolica, che tutto quello che nelle altre religioni è vero e apprezzabile viene da Cristo nello Spirito Santo: questo anzi è il modo migliore che ha il cristianesimo per esprimere il suo apprezzamento verso tali religioni.

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95. Se confrontiamo alcune opinioni teologiche esposte nel cap. I con le concezioni magisteriali attuali e con il loro fondamento nella Scrittura e nella tradizione, che sono stati l'oggetto del cap. II, si costata che alle une e alle altre è comune l'intenzione fondamentale di riconoscere con rispetto e con gratitudine le verità e i valori che si trovano nelle diverse religioni. Tutte cercano il dialogo con esse, senza pregiudizi e senza desideri di polemica.

96. La differenza basilare tra le due impostazioni si trova però nella posizione che adottano dinanzi al problema teologico della verità, e al tempo stesso dinanzi alla fede cristiana. L'insegnamento della chiesa sulla teologia delle religioni muove dal centro della verità della fede cristiana. Tiene conto, da una parte, dell'insegnamento paolino della conoscenza naturale di Dio, e insieme esprime la fiducia nell'azione universale dello Spirito. Vede entrambe le linee fondate sulla tradizione teologica; valorizza il vero, il buono e il bello delle religioni a partire dal fondamento della verità della propria fede, ma non attribuisce in generale una stessa validità alla pretesa di verità delle altre religioni. Questo condurrebbe all'indifferenza, cioè a non prendere sul serio la pretesa di verità tanto propria come altrui.

97. La teologia delle religioni che troviamo nei documenti ufficiali muove dal centro della fede. Quanto al modo di procedere delle teologie pluraliste, e a prescindere dalle diverse opinioni e dai continui cambiamenti che avvengono in esse, si può affermare che, in fondo, hanno una strategia "ecumenica" del dialogo, si preoccupano cioè di una rinnovata unità con le diverse religioni. Questa unità però si può costruire soltanto eliminando aspetti della propria autocomprensione: si vuole ottenere l'unità togliendo valore alle differenze, che sono considerate come una minaccia; si pensa almeno che devono essere eliminate come particolarità o come riduzioni proprie di una cultura specifica.

98. La mutata comprensione della propria fede ha diversi aspetti nella teologia pluralista delle religioni. Indichiamo i più importanti: a) sul piano storico si suggerisce uno schema in tre fasi, che giunge al pluralismo nel suo punto finale: esclusivismo, inclusivismo, pluralismo; qui si presuppone erroneamente che soltanto l'ultima posizione conduca a prestare vera attenzione alle altre religioni e quindi alla pace religiosa; b) sul piano della teoria della conoscenza si riduce la capacità di verità delle affermazioni teologiche (forme di espressione specifiche di una cultura), o si giunge anche a sopprimerle (le affermazioni teologiche sono equiparate a quelle mitologiche); e c) sul piano teologico si cerca la base di unità; la possibilità di riconoscere la pari dignità si paga con la parzialità e la riduzione metodologiche (dall'ecclesiocentrismo al cristocentrismo, e da questo al teocentrismo, mentre si suggerisce un concetto meno determinato di Dio) e con la modificazione o la riduzione dei contenuti specifici della fede, specialmente nella cristologia.

99. In un'epoca segnata dall'idea di un pluralismo di mercato, questa teologia acquista un alto grado di credibilità, ma soltanto finché non si applica coerentemente anche alla posizione dell'interlocutore in tale dialogo. Al riguardo possono darsi tre possibilità: a) che l'interlocutore riconosca la tesi della "pari dignità" storicamente plurale; b) che accetti per la propria religione la tesi della limitazione o della soppressione della capacità di verità di tutte le affermazioni teologiche; c) o modifichi il proprio metodo teologico e il contenuto delle proprie affermazioni di fede, in modo che queste rimangono valide soltanto in relazione ai canoni della propria religiosità: nel momento in cui si verifica una di queste possibilità, termina il dialogo religioso. Effettivamente, non resta altro da fare se non costatare tale pluralità indistinta. Perciò la teologia pluralista, come strategia di dialogo tra le religioni, non solo non si giustifica di fronte alla pretesa di verità della propria religione, ma annulla insieme la pretesa di verità dell'altra parte.

100. Di fronte alla semplificazione storica, epistemologica o teologica del rapporto tra il cristianesimo e le altre religioni nella teologia pluralista, è necessario partire dalla visione differenziata delle religioni, come si trova nella dichiarazione Nostra aetate del concilio Vaticano II. In essa viene descritto quello che le religioni del mondo hanno fondamentalmente in comune, cioè lo sforzo "di superare, in vari modi, l'inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè delle dottrine, dei precetti di vita e dei riti sacri" (Vaticano II, dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane, n. 2), ma senza cancellare le differenze ugualmente fondamentali. Le varie forme del buddhismo indicano all'uomo vie attraverso le quali egli percepisce il senso dell'essere nel riconoscimento dell'insufficienza radicale di questo mondo contingente. Nella ricchezza dei miti dell'induismo, nelle sue esigenze ascetiche e

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nelle sue profonde meditazioni si esprime la ricerca fiduciosa di un rifugio in Dio. Con l'islam la chiesa ha in comune qualcosa di più, poiché riconosce che i suoi seguaci "adorano l'unico Dio (...) creatore del cielo e della terra" (Nostra aetate, n. 3): riconoscendo chiaramente quello che ci separa, non si possono trascurare gli elementi comuni nella storia e nella dottrina. Con l'ebraismo il cristianesimo è unito per la sua origine e per una ricca eredità comune: la storia dell'alleanza con Israele, la confessione di un solo e unico Dio che si rivela in questa storia, la speranza in Dio che viene e nel suo Regno futuro, sono comuni a ebrei e cristiani (cf. Nostra aetate, n. 4).Una teologia cristiana delle religioni dev'essere in grado di esporre teologicamente gli elementi comuni e le differenze tra la propria fede e le convinzioni dei diversi gruppi religiosi. Il concilio colloca tale compito in una tensione: da una parte contempla l'unità del genere umano, fondata su un'origine comune (Nostra aetate, n. 1) e, per questo motivo, ancorata sulla teologia della creazione, "la chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni" (Nostra aetate, n. 2) D'altra parte, però, la stessa chiesa insiste sulla necessità dell'annuncio della verità che è Cristo stesso: "Essa, però, annuncia ed è tenuta ad annunziare incessantemente Cristo che è "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a sé tutte le cose (cf. 2Cor 5,18-19)" (Nostra aetate, n. 2).

101. Ogni dialogo vive sulla pretesa di verità di coloro che vi partecipano. Ma il dialogo tra le religioni si caratterizza inoltre per il fatto di applicare la struttura profonda della cultura di origine di ciascuno alla pretesa di verità di un'altra cultura. È chiaro che tale dialogo è esigente e richiede una speciale sensibilità di fronte all'altra cultura. Negli ultimi decenni si è particolarmente sviluppata questa sensibilità di fronte al contesto culturale tanto delle varie religioni come del cristianesimo e della sua teologia. Basta ricordare le "teologie in contesto" e la crescente importanza del tema dell'inculturazione nel magistero e nella teologia. La Commissione teologica internazionale è già intervenuta su questi temi, perciò qui sembrano necessarie soltanto due indicazioni: 1) Una teologia differenziata delle religioni, che si basa sulla propria pretesa di verità, è la base di qualunque dialogo serio e il presupposto necessario per comprendere la diversità delle posizioni e i loro mezzi culturali di espressione. 2) La contestualità letteraria o socioculturale, ecc. sono mezzi importanti di comprensione, a volte unici, di testi e di situazioni, sono possibile luogo di verità, ma non si identificano con la verità stessa. Con questo si indicano il significato e i limiti della contestualità culturale. Il dialogo interreligioso tratta delle "coincidenze e convergenze" con le altre religioni con cautela e rispetto. A proposito delle "differenze", si deve tener conto che queste non devono annullare le coincidenze e gli elementi di convergenza, e inoltre che il dialogo su tali differenze deve ispirarsi alla propria dottrina e all'etica corrispondente; in altre parole, la forma del dialogo non può invalidare il contenuto della propria fede e della propria etica.

102. La crescente interrelazione delle culture nell'attuale società mondiale e la loro continua compenetrazione nei mezzi di comunicazione fanno sì che la questione della verità delle religioni sia venuta al centro della coscienza quotidiana dell'uomo d'oggi. Le presenti riflessioni considerano alcuni aspetti di tale nuova situazione, senza entrare nella discussione dei contenuti con le diverse religioni. Questa dovrebbe avvenire nella teologia dei diversi luoghi, cioè nei diversi centri di studio che sono in diretto contatto culturale con le altre religioni. Di fronte alla mutata coscienza dell'uomo attuale e alla situazione dei credenti, è chiaro che la discussione con la pretesa di verità delle religioni non può essere un aspetto marginale o parziale della teologia. Il confronto rispettoso con tale pretesa deve avere un ruolo nel centro del lavoro quotidiano della teologia, dev'essere parte integrante di questa. Con esso il cristiano di oggi deve imparare a vivere, nel rispetto per le diverse religioni, una forma della comunione che ha il suo fondamento nell'amore di Dio per gli uomini e che si fonda sul suo rispetto per la libertà dell'uomo . Questo rispetto verso l'"alterità" delle diverse religioni è a sua volta condizionato dalla propria pretesa di verità.

103. L'interesse per la verità dell'altro condivide con l'amore il presupposto strutturale della stima di se stesso. La base di ogni comunicazione, anche del dialogo tra le religioni, è il riconoscimento dell'esigenza di verità. La fede cristiana però ha una propria struttura di verità: le religioni parlano "del" Santo, "di" Dio, "su" di lui, "in sua vece" o "nel suo nome"; soltanto nella religione cristiana è Dio stesso che parla all'uomo con la sua Parola. Solamente questo modo di parlare dà all'uomo la possibilità di essere persona in senso proprio, insieme alla comunione con Dio e con tutti gli uomini. Il Dio in tre persone è il cuore di questa fede: soltanto la fede cristiana vive del Dio uno e trino; dal fondo della sua cultura è sorta la differenziazione sociale che caratterizza la modernità.

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104. All'unica mediazione salvifica di Cristo per tutti gli uomini la posizione pluralista attribuisce una pretesa di superiorità; perciò si chiede che il cristocentrismo teologico, dal quale si deduce necessariamente tale pretesa, sia sostituito da un teocentrismo più accettabile. Di fronte a questo, occorre affermare che la verità della fede non è a nostra disposizione. Di fronte a una strategia di dialogo che chiede una riduzione del dogma cristologico per escludere questa pretesa di superiorità del cristianesimo, scegliamo piuttosto - al fine di escludere una "falsa" pretesa di superiorità - un'applicazione radicale della fede cristologica alla forma di annuncio che le è propria. Ogni forma di evangelizzazione che non corrisponde al messaggio, alla vita, alla morte e risurrezione di Cristo, compromette questo messaggio e, in ultima analisi, Gesù Cristo stesso. La verità come verità è sempre "superiore"; però la verità di Gesù Cristo, con la sua chiara esigenza, è sempre servizio all'uomo; è la verità di colui che dà la vita per gli uomini, per farli entrare definitivamente nell'amore di Dio. Ogni forma di annuncio che cerchi anzitutto e soprattutto di imporsi sugli ascoltatori o di servirsi di loro con i mezzi di una razionalità strumentale o strategica si oppone a Cristo, Vangelo del Padre, e alla dignità dell'uomo di cui egli stesso parla.

III.4. DIALOGO INTERRELIGIOSO E MISTERO DI SALVEZZA105. A partire dal Vaticano II la chiesa cattolica si è coinvolta in modo deciso nel dialogo interreligioso: questo documento è stato elaborato avendo di mira tale dialogo, anche se non è questo il suo tema fondamentale. Lo stato della questione circa il cristianesimo e il suo rapporto con le religioni, i presupposti teologici e le conseguenze che se ne deducono sul valore salvifico delle religioni e la divina rivelazione sono riflessioni destinate a illuminare i cristiani nei loro dialoghi con i fedeli di altre religioni.

106. Tanto se questi dialoghi avvengono tra specialisti, quanto se si svolgono nella vita quotidiana, con le parole o i comportamenti, coinvolgono non soltanto le persone che dialogano, ma anche, in primo luogo, il Dio che professano: il dialogo interreligioso come tale comporta tre partecipanti. Perciò in esso il cristiano è interpellato da due questioni fondamentali, da cui dipende il senso del dialogo stesso: il senso di Dio e il senso dell'uomo.

A) Il senso di Dio107. Nel dialogo interreligioso ognuno dei partecipanti si esprime di fatto secondo un determinato senso di Dio; implicitamente rivolge all'altro la domanda: qual è il tuo Dio? Il cristiano non può ascoltare e comprendere l'altro senza rivolgere a se stesso questa domanda. La teologia cristiana è più che un discorso su Dio: è parlare di Dio con linguaggio umano così come il 'Logos' incarnato lo fa conoscere (cf. Gv 1,18; 17,3). Di qui la necessità di alcuni discernimenti nel dialogo:

108. a) Se si parla della divinità come valore trascendente e assoluto, si tratta di una Realtà impersonale o di un Essere personale?b) La trascendenza di Dio significa che egli è un mito atemporale, oppure che tale trascendenza è compatibile con l'azione divina verso gli uomini nella storia?c) Si conosce Dio soltanto con la ragione, oppure si conosce anche per fede, perché si rivela agli uomini?d) Posto che una "religione" è una certa relazione tra Dio e l'uomo, essa esprime un Dio 'a immagine dell'uomo', oppure implica che l'uomo è 'a immagine di Dio'?e) Se si ammette, come esigenza della ragione, che Dio è unico, che cosa significa professare che è Uno? Un Dio 'monopersonale' può essere accettato dalla ragione; ma soltanto nella sua autorivelazione in Cristo il mistero di Dio può essere accolto per fede come Uni-Trinità consostanziale e indivisibile. Questo discernimento è fondamentale a motivo delle conseguenze che ne derivano per l'antropologia e la sociologia inerenti a ogni religione.f) La religione riconosce alla divinità attributi essenziali come l'onnipotenza, l'onniscienza, la bontà, la giustizia. Per comprendere però la coerenza dottrinale di ciascuna religione e per superare le ambiguità di un linguaggio apparentemente comune, bisogna comprendere l'asse attorno al quale si articolano tali nomi divini. Tale discernimento riguarda specialmente il vocabolario biblico, il cui asse è l'alleanza tra Dio e l'uomo, come si è compiuta in Cristo.g) Si rende necessario un altro discernimento circa il vocabolario specificamente 'teologico', nella misura in cui esso è tributario della cultura di ciascun partecipante al dialogo e della sua filosofia implicita. Occorre pertanto prestare attenzione alla 'peculiarità culturale' delle due parti, anche se condividono entrambe la stessa cultura originaria.

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h) Il mondo contemporaneo sembra preoccuparsi, almeno in teoria, dei diritti umani. Alcuni integralismi, anche tra i cristiani, oppongono a essi i 'diritti di Dio': ma, in questa opposizione, di quale Dio si tratta e, in ultima analisi, di quale uomo?

B) Il senso dell'uomo109. Nel dialogo interreligioso è coinvolta anche un'antropologia implicita, e questo per due motivi principali. Da una parte, il dialogo mette in comunicazione due persone, ognuna delle quali è il soggetto della sua parola e del suo comportamento. D'altra parte, quando dialogano credenti di religioni diverse, ha luogo un evento molto più profondo della comunicazione verbale: un incontro tra esseri umani, ciascuno dei quali si avvia a esso portando il peso della sua condizione umana.110. In un dialogo interreligioso, le parti hanno la stessa concezione della 'persona'? La questione non è teorica, ma interpella gli uni e gli altri. La parte cristiana sa senz'altro che la persona umana è stata creata "a immagine di Dio", cioè con una chiamata costante di Dio essenzialmente relazionale e capace di apertura "all'altro". I partecipanti al dialogo però sono tutti coscienti del mistero della persona umana e di quello di Dio, che è "più in là" di tutto? Anche il cristiano è indotto a porsi la domanda: a partire da dove parla, quando dialoga? dallo scenario del suo personaggio sociale o religioso? dall'alto del suo "superego" o della sua immagine ideale? Posto che egli deve dare testimonianza del suo Signore e Salvatore, in quale "dimora" della sua anima questi si trova? Nel dialogo interreligioso, più che in ogni altra relazione interpersonale, è implicata la relazione di ogni persona con il Dio vivente.

111. Qui appare l'importanza della preghiera nel dialogo interreligioso: "L'uomo è alla ricerca di Dio. (...) Tutte le religioni testimoniano questa essenziale ricerca". Pertanto la preghiera, come relazione viva e personale con Dio, è l'atto stesso della virtù della religione e trova espressione in tutte le religioni. Il cristiano sa che Dio “chiama incessantemente ogni persona al misterioso incontro della preghiera”. Se Dio non può essere meglio conosciuto che quando egli stesso prende l'iniziativa di rivelarsi, la preghiera appare come assolutamente necessaria, perché mette l'uomo in condizione di ricevere la grazia della rivelazione. Così, nella ricerca comune della verità che deve motivare il dialogo interreligioso, "vi è sinergia tra la preghiera e il dialogo. (...) Se da una parte la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne diventa, in forma sempre più matura, il frutto". Nella misura in cui il cristiano vive il dialogo in stato di preghiera, è docile alla mozione dello Spirito che opera nel cuore dei due interlocutori. Allora il dialogo diventa più che uno scambio: diventa incontro.

112. Più in profondità, a livello del non detto, il dialogo interreligioso è effettivamente un 'incontro' tra esseri creati "a immagine di Dio", anche se questa immagine si trova in loro offuscata dal peccato e dalla morte. In altre parole, i cristiani e quelli che non lo sono vivono tutti nella speranza di essere salvati. Per questo motivo ciascuna delle loro religioni si presenta come una 'ricerca di salvezza' e propone vie per giungere a essa. Questo incontro nella comune condizione umana colloca le parti su un piano di parità, molto più vero del loro discorso religioso puramente umano. Tale discorso è già un'interpretazione dell'esperienza e passa per il filtro delle mentalità confessionali. Al contrario, i problemi della maturazione personale, l'esperienza della comunità umana (uomo e donna, famiglia, educazione, ecc.) e tutte le questioni che gravitano attorno al lavoro "per guadagnarsi la vita", lungi dall'essere temi che distraggono dal dialogo religioso, costituiscono il terreno "allo scoperto" per tale dialogo. Allora in questo dialogo diventa chiaro che il "luogo" di Dio è l'uomo.

113. Ebbene, la costante che soggiace a tutti gli altri problemi della condizione umana non è altro che la 'morte'. Sofferenza, peccato, sventura, delusione, incomunicabilità, conflitti, ingiustizie... la morte è costantemente presente dappertutto e in ogni momento come la trama oscura della condizione umana. Certamente l'uomo, incapace di esorcizzare la morte, fa tutto il possibile per non pensare a essa, benché vi risuoni con maggiore intensità la chiamata del Dio vivente. È il segno permanente dell'alterità divina, poiché soltanto chi chiama dal nulla all'essere può dare la vita ai morti. Nessuno può vedere Dio senza passare attraverso la morte, questo luogo ardente dove il Trascendente raggiunge l'abisso della condizione umana. L'unica domanda seria, in quanto esistenziale e ineludibile, senza la quale i discorsi religiosi sono "alibi", è questa: il Dio vivente si fa carico o no della morte dell'uomo? Non mancano le risposte teoriche, però queste non possono evitare lo scandalo che rimane: come può Dio restare nascosto e silenzioso davanti all'innocente ferito e al giusto oppresso? È il grido di Giobbe e di tutta l'umanità. La risposta è "cruciale", ma è al di là di tutte le parole: sulla croce il Verbo è silenzio. Dipendente dal Padre, gli affida il suo spirito.

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Qui tuttavia c'è l'incontro di tutti gli esseri umani: l'uomo è con la sua morte, e Dio si unisce a lui in essa. Soltanto il Dio amore è il vincitore della morte, e solamente con la fede in lui l'uomo è liberato dalla schiavitù della morte. Il roveto ardente della croce è così il luogo nascosto dell'incontro: il cristiano vi contempla "colui che hanno trafitto" e ne riceve "uno spirito di grazia e di consolazione" (Gv 19,37; Zc 12,10). La testimonianza della sua nuova esperienza sarà quella del Cristo risorto, vincitore della morte attraverso la morte. Il dialogo interreligioso riceve allora senso nell'economia della salvezza: non si limita a continuare il messaggio dei profeti e la missione del Precursore, ma si fonda sull'evento della salvezza compiuto da Cristo e tende al secondo avvento del Signore. Il dialogo interreligioso avviene nella chiesa in situazione escatologica. 

IV. CONCLUSIONE: DIALOGO E MISSIONE DELLA CHIESA114. In questa fine del secondo millennio, la chiesa è chiamata a dare testimonianza di Cristo crocifisso e risorto "fino ai confini della terra" (At 1,8), in vasti mondi culturali e religiosi. Il dialogo religioso è connaturale alla vocazione cristiana: si inscrive nel dinamismo della Tradizione viva del mistero della salvezza, di cui la chiesa è sacramento universale; è un atto di tale tradizione.

115. Come dialogo della chiesa, ha la sua fonte, il suo modello e il suo fine nella Trinità santa. Manifesta e attualizza la missione del 'Logos' eterno e dello Spirito Santo nell'economia della salvezza. Per mezzo del Verbo il Padre chiama tutti gli esseri umani dal nulla all'esistenza, ed è il suo Soffio che dà loro la vita. Per mezzo del Figlio, che assume la nostra carne ed è unto dallo Spinto, si rivolge loro come ad amici: "È apparso sulla terra e ha vissuto fra gli uomini", e rivela loro "tutta la via della sapienza" (Bar 3,37-38). Il suo Spirito vivificante fa della chiesa il corpo di Cristo e la invia alle nazioni per annunciare loro la buona notizia della risurrezione.

116. Il Verbo può farci conoscere il Padre, perché ha appreso tutto da lui e ha consentito di apprendere tutto dall'uomo. Così deve avvenire nella chiesa per quelli che vogliono incontrare i loro fratelli e le loro sorelle di altre religioni e dialogare con essi. Non sono i cristiani che sono inviati, ma è la chiesa; non sono le loro idee che presentano, ma Cristo; non è la loro eloquenza che tocca i cuori, ma lo Spirito paraclito. Per essere fedele al "senso della chiesa", il dialogo interreligioso richiede l'umiltà di Cristo e la trasparenza dello Spirito Santo.

117. La pedagogia divina del dialogo non consiste soltanto in parole, ma anche in opere; le parole manifestano la "novità cristiana", quella dell'amore del Padre, di cui le opere danno testimonianza. Operando così, la chiesa si mostra come sacramento del mistero della salvezza. In questo senso il dialogo interreligioso fa parte, secondo i tempi e i momenti fissati dal Padre, della "preparazione evangelica". Infatti la reciproca testimonianza è inerente al dialogo tra persone di religioni diverse. Qui, tuttavia, la testimonianza cristiana non è l'annuncio del Vangelo, ma è già una parte integrante della missione della chiesa, come irradiazione dell'amore diffuso in essa dallo Spirito Santo. Quelli che, nelle diverse forme del dialogo interreligioso, danno testimonianza dell'amore di Cristo salvatore, realizzano, a livello della "preparazione evangelica", l'ardente desiderio dell'apostolo: "Essere un ministro di Gesù Cristo tra i pagani, esercitando l'ufficio sacro ('hierourgounta') del Vangelo di Dio, perché i pagani divengano un'oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo" (Rm 15,16). 

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LA CHIESA E LA COSCIENZA DELLA SUA MISSIONE NEL MONDO DOPO IL CVII

Caritas in veritate ed Evangelii gaudium restano fuori dalla trattazione dell’articolo che risale al 2002.La CV dice che la “missio ecclesiae” è a tutto tondo, deve arrivare anche all’economia e a ogni aspetto della società, poiché la dottrina sociale della Chiesa è come una antropologia declinata al sociale e ne collettivo.La EG afferma poi che la natura della Chiesa stessa è la missionarietà. La Chiesa non è in mezzo tra capitalismo o comunismo L’assemblea di Aparecida (2006) ha centrato l’attenzione sul fatto che la chiesa ha una sua propria missione, che prescinde da comunismo e capitalismo, potendo attingere già dal Vangelo quanto meglio definisce la sua natura e missione.

La missione della chiesa non è solo l’annuncio ma ogni suo agire per fare del mondo un luogo in cui più facilmente camminare verso il regno dei cieli. La GS è il criterio a quo si definisce la missione della chiesa. “Ogni azione” perché la sua missione riguarda tutto l’uomo. È una missio universalis (cap. 4 di GS).La prima parte dell’articolo raccoglie i diversi contenti dalla Pacem in terris cercando di fare sintesi sugli aspetti di annuncio e promozione umana.

Restano le missioni estere, certo, ma emerge la consapevolezza che il mondo cristiano non esiste più. Nel senso che la fede non informa più la vita civile del mondo. Missio contra gentes: opporsi ai pagani vs missio ad gentes: portare un annuncio ai popoli (tipico degli ultimi due secoli).GVXIII con la PiT favorisce la consapevolezza della missio ecclesiae rispetto alla storia del mondo in cui la chiesa può incidere sensibilmente. La Chiesa è responsabile del mondo. Il settore socialità è ancora un settore emarginato, ma presto ci si accorgerà che anche lì la chiesa deve arrivare.PAOLO VI afferma che la Chiesa deve ergersi a paladina della giustizia, denunciando le ingiustizie. Il capitalismo americano lo definirà il papa rosso, tagliando drasticamente il contributo per l’obolo di san Pietro. Ma il papa si limitava a denunciare le storture del capitalismo.

Kueng propone una sorta di etica universale basata più sull’Islam che sul Xsimo. Il quale viene a ridursi a una delle tante religioni. Il papato non sarebbe infallibile per se stesso ma indica una strada che poi la Chiesa deve approvare formalmente: in questo modo K dichiara guerra al primato pontificio. Esonerato dall’insegnamento universitario, si qualifica con “Essere cristiani”, “Dio esiste”, “La vita eterna”, prima di dedicarsi alle grandi religioni: “Cristianesimo e Religioni universali”; “Religioni universali in cammino”. Esprime una ricerca di ecumenismo al di là del cristianesimo, interessandosi addirittura della religiosità cinese. Lavora quindi a un progetto di etica mondiale per la ricerca della pace universale.UNIVERSALISMO della sua ricerca teologica, senza ammettere differenze sostanziali tra il cristianesimo e le altre religioni. Si dichiara teologo della libertà contro l’autoritarismo della chiesa cattolica, il biblicismo protestante e il tradizionalismo ortodosso. Associa criminologia e vaticanologia. Impegna Ratzinger in un lungo e duro confronto teologico, anche quando questi diventa papa.

“Ciò che credo” – centrato sulla idea della vita come esperienza che porterebbe a unificare tutte le religioni. Scrittura scorrevole, diversi argomenti.

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È un atto di fede o libro testimonianza. Anzitutto pone attenzione ai diversi aspetti dell’umanità, tramite le diverse scienze umane e discipline studiate nel corso della sua lunga vita. Afferma anche di aver previsto la crisi della bolla finanziaria del 2009. Si interessa anche di musica e sport. Sogna un ecumenismo delle differenze, aperto a religioni cristiane e non. Una visione onnicomprensiva del mondo che deve aprirsi ai diversi aspetti dell’uomo, coltivando una fede ragionevole (elemento in sé positivo), alimentandola con la positività della vita.Pensa che ci sia una etica originaria che alimenta le diverse visioni della vita e credenze religiose. Attacca l’HV di Paolo VI.Ciò che credo e ciò che la chiesa prescrive di credere divergono radicalmente: è un dissenziente.Propone argomenti non rigorosamente filosofici, ma sociologici, indicando alcune tracce di trascendenza che non hanno evidenza vincolante ma “trasparenza imperativa”. La fiducia in Dio trascende la ragione senza essere irrazionale. Dire di SI’ a Dio significa affidarsi con una fiducia fondata, che si può ritrovare – con ottima rigorosamente pluralistica – in ogni altra religione. Dio è Dio, la definizione trinitaria è un di più.Le altre definizioni dogmatiche sono aggiunte ecclesiastiche snaturanti il messaggio evangelico, tanto che si potrebbe far frutto del richiamo islamico per correggere l’ellenizzazione operata sulla figura di Gesù (ridotto dunque a creatura-profeta, non come emanazione divina). Il Gesù vero è dunque quello storico, e il messaggio è quello dell’amore creativo e responsabile, nulla di più. La resurrezione, pur circondata da leggende, è l’assunzione della vita eterna di Dio, che fa riconoscere in Gesù l’incarnazione della vita nuova proposta a ogni uomo, invitato a vivere come dono, nella forza dello Spirito. Si supera la visione trinitaria. L’amore creativo e di dono, diviene infine la regola aurea “non fare agli altri quello che non vuoi che sia fatto a te”, con un riduzionismo progressivo che pare un limite al suo pensiero. L’ultimo capitolo del libro riprende il progetto di etica mondiale – strumento per camminare insieme – accusando la chiesa cattolica di mantenersi su posizioni conservatrici, di rottura e non di conciliazione universali. Non mira all’unità – le differenze rimangano – ma alla pace ecumenica tra le religioni e la comunità tra le nazioni. E chiude dicendo “Io ci credo”. Matrimonio, proprietà, vita, verità sono punti da rispettare, secondo regole che si fonderebbero sull’essere originate da Dio.In sintesi: inclusivismo in Cristo come norma donata da Dio per giungere a una convergenza salvifica.

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EVANGELII GAUDIUM capitolo IV

INDICELa gioia deL VangeLo

CAPITOLO PRIMO LA TRASFORMAZIONE MISSIONARIA DELLA CHIESA

CAPITOLO SECONDO NELLA CRISI DELL’IMPEGNO COMUNITARIO

CAPITOLO TERZO L’ANNUNCIO DEL VANGELO

CAPITOLO QUARTO LA DIMENSIONE SOCIALE DELL’EVANGELIZZAZIONEI. Le ripercussioni comunitarie e sociali del kerygma [177-185]

Confessione della fede e impegno sociale [178-179] Il Regno che ci chiama [180-181] L’insegnamento della Chiesa sulle questioni sociali [182-185]

II. L’inclusione sociale dei poveri [186-216]Uniti a Dio ascoltiamo un grido [187-192] Fedeltà al Vangelo per non correre invano [193-196] Il posto privilegiato dei poveri nel Popolo di Dio [197-201] Economia e distribuzione delle entrate [202- 208] Avere cura della fragilità [209-216]

III. Il bene comune e la pace sociale [217-237] Il tempo è superiore allo spazio [222-225] L’unità prevale sul conflitto [226-230] La realtà è più importante dell’idea [231-233] Il tutto è superiore alla parte [234-237]

IV. Il dialogo sociale come contributo per la pace [238-258].Il dialogo tra la fede, la ragione e le scienze [242-243] Il dialogo ecumenico [244-246] Le relazioni con l’Ebraismo [247-249] Il dialogo interreligioso [250-254] Il dialogo sociale in un contesto di libertà religiosa [255-258]

CAPITOLO QUINTO EVANGELIZZATORI CON SPIRITO

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EVANGELII GAUDIUM

CAPITOLO QUARTO LA DIMENSIONE SOCIALE DELL’EVANGELIZZAZIONE

176. Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio. (…) Ora vorrei condividere le mie preoccupazioni a proposito della dimensione sociale dell’evangelizzazione precisamente perché, se questa dimensione non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice.

I. Le ripercussioni comunitarie e sociali del kerygma

177. Il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. Il contenuto del primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale il cui centro è la carità.

Confessione della fede e impegno sociale 178. (…) La sua redenzione ha un significato sociale perché Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini. Confessare che lo Spirito Santo agisce in tutti implica riconoscere che Egli cerca di penetrare in ogni situazione umana e in tutti i vincoli sociali (…). Lo stesso mistero della Trinità ci ricorda che siamo stati creati a immagine della comunione divina, per cui non possiamo realizzarci né salvarci da soli. Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana (…). L’accettazione del primo annuncio (…) provoca nella vita della persona (…) una prima e fondamentale reazione: desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri.

179. Questo indissolubile legame tra l’accoglienza dell’annuncio salvifico e un effettivo amore fraterno è (…) un messaggio al quale frequentemente ci abituiamo, lo ripetiamo quasi meccanicamente, senza però assicurarci che abbia una reale incidenza nella nostra vita e nelle nostre comunità. (…) «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Quanto facciamo per gli altri ha una dimensione trascendente: «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi» (Mt 7,2) (…). Ciò che esprimono questi testi è l’assoluta priorità dell’uscita da sé verso il fratello (…). Come la Chiesa è missionaria per natura, così sgorga inevitabilmente da tale natura la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove.

Il Regno che ci chiama 180. Leggendo le Scritture risulta peraltro chiaro che la proposta del Vangelo (…) è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. (…)

181. Il Regno che viene anticipato e cresce tra di noi riguarda tutto e ci ricorda quel principio del discernimento che Paolo VI proponeva in relazione al vero sviluppo: «ogni uomo e tutto l’uomo» (Populorum Progressio 14). (…) dal momento che il Padre desidera che tutti gli uomini si salvino e il suo disegno di salvezza consiste nel ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, sotto un solo Signore, che è Cristo (cfr Ef 1,10). Il mandato è: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15). (…) Il suo mandato della carità abbraccia tutte le dimensioni dell’esistenza, tutte le persone, tutti gli ambienti della convivenza e tutti i popoli. La vera speranza cristiana, che cerca il Regno escatologico, genera sempre storia.

L’insegnamento della Chiesa sulle questioni sociali 182. (…) non possiamo evitare di essere concreti – senza pretendere di entrare in dettagli – perché i grandi principi sociali non rimangano mere indicazioni generali che non interpellano nessuno. (…) I Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e

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che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose «perché possiamo goderne» (1 Tm 6,17) (…).

183. (…) Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. (…) Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore. (…) cercherò di concentrarmi su due grandi questioni che mi sembrano fondamentali in questo momento della storia. (…) Si tratta, in primo luogo, della inclusione sociale dei poveri e, inoltre, della pace e del dialogo sociale.

II. L’inclusione sociale dei poveri

186. Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società.

Uniti a Dio ascoltiamo un grido 187. Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo. (…) «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo … Perciò va’! Io ti mando» (Es 3,7-8.10) (…). Rimanere sordi a quel grido, quando noi siamo gli strumenti di Dio per ascoltare il povero, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dal suo progetto, perché quel povero «griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te» (Dt 15,9). (…) Ritorna sempre la vecchia domanda: «Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?» (1 Gv 3,17). (…)

188. (…) ciò implica sia la collaborazione per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri, sia i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo. La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni.

189. La solidarietà è una reazione spontanea di chi riconosce la funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni come realtà anteriori alla proprietà privata. Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde. (…)

190. A volte si tratta di ascoltare il grido di interi popoli, dei popoli più poveri della terra, (…) bi- sogna ricordare sempre che il pianeta è di tutta l’umanità e per tutta l’umanità, e che il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità. (…) Abbiamo bisogno di crescere in una solidarietà che «deve permettere a tutti i popoli di giungere con le loro forze ad essere artefici del loro destino» (Pop. Pr. 65) (…).

192. Desideriamo però ancora di più, il nostro sogno vola più alto. Non parliamo solamente di assicurare a tutti il cibo, o un «decoroso sostentamento», ma che possano avere «prosperità nei suoi molteplici aspetti». (Mater et Magistra 2). Questo implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune.

Fedeltà al Vangelo per non correre invano 193. (…) Il Vangelo proclama: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). L’Apostolo Giacomo insegna che la misericordia verso gli altri ci permette di uscire trionfanti nel giudizio

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divino: «Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio” (2,12-13). In questo testo, Giacomo si mostra erede della maggiore ricchezza della spiritualità ebraica del post-esilio, che attribuiva alla misericordia uno speciale valore salvifico: «Sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti, perché tu possa godere lunga prosperità» (Dn 4,24). (…) anche il Siracide: «L’acqua spegne il fuoco che divampa, l’elemosina espia i peccati» (3,30). La medesima sintesi appare contenuta nel Nuovo Testamento: «Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati » (1 Pt 4,8).

194. È un messaggio così chiaro, così diretto, così semplice ed eloquente, che nessuna erme- neutica ecclesiale ha il diritto di relativizzarlo. (…) Perché complicare ciò che è così semplice? Gli apparati concettuali esistono per favorire il contatto con la realtà che si vuole spiegare e non per allontanarci da essa. (…) Gesù ci ha indicato questo cammino di riconoscimento dell’altro con le sue parole e con i suoi gesti. Perché oscurare ciò che è così chiaro?

195. Quando san Paolo si recò dagli Apostoli a Gerusalemme per discernere se stava correndo o aveva corso invano (cfr Gal 2,2), il criterio-chiave di autenticità che gli indicarono fu che non si dimenticasse dei poveri (cfr Gal 2,10). (…)

Il posto privilegiato dei poveri nel Popolo di Dio 197. Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, tanto che Egli stesso «si fece povero» (2 Cor 8,9). (…) Il Salvatore è nato in un presepe, tra gli animali, come accadeva per i figli dei più poveri; è stato presentato al Tempio con due piccioni, l’offerta di coloro che non potevano permettersi di pagare un agnello (cfr Lc 2,24; Lv 5,7); è cresciuto in una casa di semplici lavora- tori e ha lavorato con le sue mani per guadagnarsi il pane. Quando iniziò ad annunciare il Regno, lo seguivano folle di diseredati, e così manifestò quello che Egli stesso aveva detto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; perché mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). A quelli che erano gravati dal dolore, oppressi dalla povertà, assicurò che Dio li portava al centro del suo cuore: «Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio» (Lc 6,20); e con essi si identificò: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare», insegnando che la misericordia verso di loro è la chiave del cielo (cfr Mt 25,35s).

198. (…) Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere «gli stessi sentimenti di Gesù» (Fil 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una «forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa» (Sollicitudo rei socialis 42). (…) Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. (…)

199. (…) quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro (…) una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene. (…) questo differenzia l’autentica opzione per i poveri da qualsiasi ideologia, da qualunque intento di utilizzare i poveri al servizio di interessi personali o politici. (…) Non sarebbe, questo stile, la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno?

200. Dal momento che questa Esortazione è rivolta ai membri della Chiesa Cattolica, desidero affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. (…)

201. Nessuno dovrebbe dire che si mantiene lontano dai poveri perché le sue scelte di vita comportano di prestare più attenzione ad altre incombenze. Questa è una scusa frequente negli ambienti accademici, imprenditoriali o professionali, e persino ecclesiali. (…) nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale (…).

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Economia e distribuzione delle entrate 202. La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere (…). Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali.

203. La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero struttu- rare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno (…). Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! (…) dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. (…)

204. Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. (…)

205. (…) La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune. (…) Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! (…)

207. Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti.

208. Se qualcuno si sente offeso dalle mie parole, gli dico che le esprimo con affetto e con la migliore delle intenzioni (…) Mi interessa unicamente fare in modo che quelli che sono schiavi di una mentalità individualista, indifferente ed egoista, possano liberarsi da quelle indegne catene e raggiugano uno stile di vita e di pensiero più umano, più nobile, più fecondo, che dia dignità al loro passaggio su questa terra.

Avere cura della fragilità 210. È indispensabile prestare attenzione per essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente, anche se questo apparentemente non ci porta vantaggi tangibili e immediati: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, ecc. I migranti mi pongono una particolare sfida perché sono Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. (…)

211. Mi ha sempre addolorato la situazione di coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta di persone. Vorrei che si ascoltasse il grido di Dio che chiede a tutti noi: «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9). Dov’è il tuo fratello schiavo? Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità. (…) e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta.

212. Doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti. (…)

213. Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. (…) questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. È un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. (…)

214. Proprio perché è una questione che ha a che fare con la coerenza interna del nostro messaggio sul valore della persona umana, non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione.

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Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. (…)

215. Ci sono altri esseri fragili e indifesi, che molte volte rimangono alla mercé degli interessi economici o di un uso indiscriminato. Mi riferisco all’insieme della creazione. Come esseri umani non siamo dei meri beneficiari, ma custodi delle altre creature. (…)

III. Il bene comune e la pace sociale

217. Abbiamo parlato molto della gioia e dell’amore, ma la Parola di Dio menziona anche il frutto della pace (cfr Gal 5,22).

218. La pace sociale non può essere intesa come irenismo o come una mera assenza di violenza ottenuta mediante l’imposizione di una parte sopra le altre. Sarebbe parimenti una falsa pace (…). La dignità della persona umana e il bene comune stanno al di sopra della tranquillità di alcuni che non vogliono rinunciare ai loro privilegi. (…)

219. La pace «non si riduce ad un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini» (Pop. Pr. 76) (…)

221. Per avanzare in questa costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità, vi sono quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale. (…)

222. (…) I cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro come causa finale che attrae. Da qui emerge un primo principio per progredire nella costruzione di un popolo: il tempo è superiore allo spazio.

Il tempo è superiore allo spazio223. Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone. (…) Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. (…) Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. (…)

225. Questo criterio è molto appropriato anche per l’evangelizzazione, che richiede di tener presente l’orizzonte, di adottare i processi possibili e la strada lunga. (…) La parabola del grano e della zizzania (cfr Mt 13, 24-30) descrive un aspetto importante dell’evangelizzazione, che consiste nel mostrare come il nemico può occupare lo spazio del Regno e causare danno con la zizzania, ma è vinto dalla bontà del grano che si manifesta con il tempo.

L’unità prevale sul conflitto 227. Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse, se ne lavano le mani per poter continuare con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’orizzonte, proiettano sulle istituzioni le proprie confusioni e insoddisfazioni e così l’unità diventa impossibile. Vi è però un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. (…) Per questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto. La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia (…). Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto.

229. Questo criterio evangelico ci ricorda che Cristo ha unificato tutto in Sé: cielo e terra, Dio e uomo, tempo ed eternità, carne e spirito, persona e società. Il segno distintivo di questa unità e riconciliazione di tutto in Sé

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è la pace. Cristo «è la nostra pace» (Ef 2,14). (…) La pace è possibile perché il Signore ha vinto il mondo e la sua permanente conflittualità avendolo « pacificato con il sangue della sua croce » (Col 1,20). (…) il primo ambito in cui siamo chiamati a conquistare questa pacifica- zione nelle differenze è la propria interiorità, la propria vita, sempre minacciata dalla dispersione dialettica. (…)

230. L’annuncio di pace non è quello di una pace negoziata, ma la convinzione che l’unità dello Spirito armonizza tutte le diversità. (…) La diversità è bella quando accetta di entrare costantemente in un processo di riconciliazione, fino a sigillare una specie di patto culturale che faccia emergere una “diversità riconciliata” (…).

La realtà è più importante dell’idea 231. Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà. È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma. Da qui si desume che occorre postulare un terzo principio: la realtà è superiore all’idea. Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza.

232. L’idea – le elaborazioni concettuali – è in funzione del cogliere, comprendere e dirigere la realtà. L’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano o definiscono, ma non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà illuminata dal ragionamento (…).

233. La realtà è superiore all’idea. Questo criterio è legato all’incarnazione della Parola e alla sua messa in pratica: «In questo potete riconoscere lo Spirito di Dio: ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio» (1 Gv 4,2). Il criterio di realtà, di una Parola già incarnata e che sempre cerca di incarnarsi, è essenziale all’evangelizzazione. (…) Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi e gnosticismi che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo.

Il tutto è superiore alla parte 234. Anche tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra. Le due cose unite impediscono di cadere in uno di questi due estremi: l’uno, che i cittadini vivano in un universalismo astratto e globalizzante, passeggeri mimetizzati del vagone di coda, che ammirano i fuochi artificiali del mondo, che è di altri, con la bocca aperta e applausi programmati; l’altro, che diventino un museo folkloristico di eremiti localisti, condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini.

235. Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. Però occorre farlo senza evadere, senza sradicamenti. (…) Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia. (…) Non è né la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili.

236. Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. (…)

237. A noi cristiani questo principio parla anche della totalità o integrità del Vangelo che la Chiesa ci trasmette e ci invia a predicare. (…) La Buona Notizia è la gioia di un Padre che non vuole che si perda nessuno dei suoi piccoli. (…) Il Vangelo possiede un criterio di totalità che gli è intrinseco: non cessa di

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essere Buona Notizia finché non è annunciato a tutti, finché non feconda e risana tutte le dimensioni dell’uomo, e finché non unisce tutti gli uomini nella mensa del Regno. Il tutto è superiore alla parte.

IV. Il dialogo sociale come contributo per la pace

238. L’evangelizzazione implica anche un cammino di dialogo. Per la Chiesa, in questo tempo ci sono in modo particolare tre ambiti di dialogo nei quali deve essere presente, per adempiere un servizio in favore del pieno sviluppo dell’essere umano e perseguire il bene comune: il dialogo con gli Stati, con la società – che comprende il dialogo con le culture e le scienze – e quello con altri credenti che non fanno parte della Chiesa cattolica. (…)

239. La Chiesa proclama «il vangelo della pace» (Ef 6,15) ed è aperta alla collaborazione con tutte le autorità nazionali e internazionali per prendersi cura di questo bene universale tanto grande. (…) È tempo di sapere come progettare, in una cultura che privilegi il dialogo come forma d’incontro, la ricerca di consenso e di accordi, senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni. L’autore principale, il soggetto storico di questo processo, è la gente e la sua cultura, non una classe, una frazione, un gruppo, un’élite. (…) Si tratta di un accordo per vivere insieme, di un patto sociale e culturale.

240. Allo Stato compete la cura e la promozione del bene comune della società. Sulla base dei principi di sussidiarietà e di solidarietà, e con un notevole sforzo di dialogo politico e di creazione del consenso, svolge un ruolo fondamentale, che non può essere delegato, nel perseguire lo sviluppo integrale di tutti. (…)

241. Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa non dispone di soluzioni per tutte le questioni che possono rispondere alla dignità della persona umana e al bene comune. Nel farlo, pro- pone sempre con chiarezza i valori fondamentali dell’esistenza umana, per trasmettere convinzioni che poi possano tradursi in azioni politiche.

Il dialogo tra la fede, la ragione e le scienze 242. Anche il dialogo tra scienza e fede è parte dell’azione evangelizzatrice che favorisce la pace. Lo scientismo e il positivismo si rifiutano di «ammettere come valide forme di conoscenza diverse da quelle proprie delle scienze positive» (FR 88). La Chiesa propone un altro cammino, che esige una sintesi tra un uso responsabile delle metodologie proprie delle scienze empiriche e gli altri saperi come la filosofia, la teologia, e la stessa fede, che eleva l’essere umano fino al mistero che trascende la natura e l’intelligenza umana. La fede non ha paura della ragione; al contrario, la cerca e ha fiducia in essa, perché «la luce della ragione e quella della fede provengono ambedue da Dio» (S. Tommaso, in FR 43) e non possono contraddirsi tra loro. L’evangelizzazione è attenta ai progressi scientifici per illuminarli con la luce della fede e della legge naturale, affinché rispettino sempre la centralità e il valore supremo della persona umana in tutte le fasi della sua esistenza. (…)

243. La Chiesa non pretende di arrestare il mirabile progresso delle scienze. Al contrario, si rallegra e perfino gode riconoscendo l’enorme potenziale che Dio ha dato alla mente umana. (…) Però, in alcune occasioni, alcuni scienziati vanno oltre l’oggetto formale della loro disciplina e si sbilanciano con affermazioni o conclusioni che eccedono il campo propriamente scientifico. In tal caso, non è la ragione ciò che si propone, ma una determinata ideologia, che chiude la strada ad un dialogo autentico, pacifico e fruttuoso.

Il dialogo ecumenico 244. L’impegno ecumenico risponde alla preghiera del Signore Gesù che chiede che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). La credibilità dell’annuncio cristiano sarebbe molto più grande se i cristiani superassero le loro divisioni e la Chiesa realizzasse «la pienezza della cattolicità a lei propria in quei figli che le sono certo uniti col battesimo, ma sono separati dalla sua piena comunione» (UR 4). Dobbiamo sempre ricordare che siamo pellegrini, e che peregriniamo insieme. A tale scopo bisogna affidare il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze, e guardare anzitutto a quello che cerchiamo: la pace nel volto dell’unico Dio. (…)

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245. In questa luce, l’ecumenismo è un apporto all’unità della famiglia umana. (…)

246. Data la gravità della contro-testimonianza della divisione tra cristiani, particolarmente in Asia e Africa, la ricerca di percorsi di unità diventa urgente. I missionari in quei continenti menzionano ripetutamente le critiche, le lamentele e le derisioni che ricevono a causa dello scandalo dei cristiani divisi. Se ci concentriamo sulle convinzioni che ci uniscono e ricordiamo il principio della gerarchia delle verità, potremo camminare speditamente verso forme comuni di annuncio, di servizio e di testimonianza. (…) Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono! E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! (…) Attraverso uno scambio di doni, lo Spirito può condurci sempre di più alla verità e al bene.

Le relazioni con l’Ebraismo 247. Uno sguardo molto speciale si rivolge al popolo ebreo, la cui Alleanza con Dio non è mai stata revocata, perché «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Rm 11,29). La Chiesa, che condivide con l’Ebraismo una parte importante delle Sacre Scritture, considera il popolo dell’Alleanza e la sua fede come una radice sacra della propria identità cristiana (cfr Rm 11,16-18). (…) Crediamo insieme con loro nell’unico Dio che agisce nella storia, e accogliamo con loro la comune Parola rivelata.

249. Dio continua ad operare nel popolo dell’Antica Alleanza e fa nascere tesori di saggezza che scaturiscono dal suo incontro con la Parola divina. Per questo anche la Chiesa si arricchisce quando raccoglie i valori dell’Ebraismo. Sebbene alcune convinzioni cristiane siano inaccettabili per l’Ebraismo, e la Chiesa non possa rinunciare ad annunciare Gesù come Signore e Messia, esiste una ricca complementarietà che ci permette di leggere insieme i testi della Bibbia ebraica e aiutarci vicendevolmente a sviscerare le ricchezze della Parola, come pure di condividere molte convinzioni etiche e la comune preoccupazione per la giustizia e lo sviluppo dei popoli.

Il dialogo interreligioso 250. Un atteggiamento di apertura nella verità e nell’amore deve caratterizzare il dialogo con i credenti delle religioni non cristiane, nonostante i vari ostacoli e le difficoltà, particolarmente i fondamentalismi da ambo le parti. Questo dialogo interreligioso è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose. Questo dialogo è in primo luogo (…) un atteggiamento di apertura verso di loro, condividendo le loro gioie e le loro pene. (…) Un dialogo in cui si cerchi la pace sociale e la giustizia è in sé stesso, al di là dell’aspetto meramente pragmatico, un impegno etico che crea nuove condizioni sociali. Gli sforzi intorno ad un tema specifico possono trasformarsi in un processo in cui, mediante l’ascolto dell’altro, ambo le parti trovano purificazione e arricchimento. Pertanto, anche questi sforzi possono avere il significato di amore per la verità.

251. In questo dialogo, sempre affabile e cordiale, non si deve mai trascurare il vincolo essenziale tra dialogo e annuncio, che porta la Chiesa a mantenere ed intensificare le relazioni con i non cristiani. Un sincretismo conciliante sarebbe in ultima analisi un totalitarismo di quanti pretendono di conciliare prescindendo da valori che li trascendono e di cui non sono padroni. La vera apertura implica il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa, ma aperti «a comprendere quelle dell’altro» e «sapendo che il dialogo può arricchire ognuno». (RM 56). Non ci serve un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi, perché sarebbe un modo di ingannare l’altro e di negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente. L’evangelizzazione e il dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano reciprocamente.

252. In quest’epoca acquista una notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam, oggi particolarmente presenti in molti Paesi di tradizione cristiana dove essi possono celebrare liberamente il loro culto e vivere integrati nella società. Non bisogna mai dimenticare che essi, «professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale». (LG 16). Gli scritti sacri dell’Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani; Gesù Cristo e Maria sono oggetto di profonda venerazione ed è ammirevole vedere come giovani e anziani, donne e uomini dell’Islam sono capaci di dedicare quotidianamente tempo alla preghiera e di partecipare fedelmente ai loro riti religiosi. Al tempo stesso, molti di loro sono profondamente convinti che la loro vita, nella sua totalità, è di

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Dio e per Lui. Riconoscono anche la necessità di rispondere a Dio con un impegno etico e con la misericordia verso i più poveri.

253. (…) Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell’Islam che arrivano nei nostri Paesi, così come speriamo e preghiamo di essere accolti e rispettati nei Paesi di tradizione islamica. Prego, imploro umilmente tali Paesi affinché assicurino libertà ai cristiani affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali! Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza.

254. I non cristiani, per la gratuita iniziativa divina, e fedeli alla loro coscienza, possono vivere «giustificati mediante la grazia di Dio» (Crist. e Rel. 72) e in tal modo «associati al mistero pasquale di Gesù Cri- sto». (ibid.).

Il dialogo sociale in un contesto di libertà religiosa 255. I Padri sinodali hanno ricordato l’importanza del rispetto per la libertà religiosa, considerata come un diritto umano fondamentale. Essa comprende «la libertà di scegliere la religione che si considera vera e di manifestare pubblicamente la propria fede». Un sano pluralismo, che davvero rispetti gli altri ed i valori come tali, non implica una privatizzazione delle religioni, con la pretesa di ridurle al silenzio e all’oscurità della coscienza di ciascuno, o alla marginalità del recinto chiuso delle chiese, delle sinagoghe o delle moschee. Si tratterebbe, in definitiva, di una nuova forma di discriminazione e di autoritarismo. Il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti non deve imporsi in un modo arbitrario che metta a tacere le convinzioni di maggioranze credenti o ignori la ricchezza delle tradizioni religiose. Questo alla lunga fomenterebbe più il risentimento che la tolleranza e la pace.

256. Al momento di interrogarsi circa l’incidenza pubblica della religione, bisogna distinguere diversi modi di viverla. Sia gli intellettuali sia i commenti giornalistici cadono frequentemente in grossolane e poco accademiche generalizzazioni quando parlano dei difetti delle religioni e molte volte non sono in grado di distinguere che non tutti i credenti – né tutte le autorità religiose – sono uguali. (…) Altre volte si disprezzano gli scritti che sono sorti nell’ambito di una convinzione credente, dimenticando che i testi religiosi classici possono offrire un significato destinato a tutte le epoche, posseggono una forza motivante che apre sempre nuovi orizzonti, stimola il pensiero, allarga la mente e la sensibilità. (…). Portano in sé principi profondamente umanistici, che hanno un valore razionale benché siano pervasi di simboli e dottrine religiose.

257. Come credenti ci sentiamo vicini anche a quanti, non riconoscendosi parte di alcuna tra- dizione religiosa, cercano sinceramente la verità, la bontà e la bellezza, che per noi trovano la loro massima espressione e la loro fonte in Dio. Li sentiamo come preziosi alleati nell’impegno per la difesa della dignità umana, nella costruzione di una convivenza pacifica tra i popoli e nella custodia del creato. Uno spazio peculiare è quello dei cosiddetti nuovi Areopaghi, come il “Cortile dei Gentili”, dove «credenti e non credenti possono dialogare sui temi fondamentali dell’etica, dell’arte, e della scienza, e sulla ricerca della trascendenza». Anche questa è una via di pace per il nostro mondo ferito.