culturaoltre magazine n.2

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C C u u l l t t u u r r a a O O l l t t r r e e Rivista rilasciata sotto licenza Creative Commons ®, distribuita esclusivamente in formato digitale MAGAZINE Aperiodico di cultura, editoria e viaggi Anno I, n. 2 Ottobre 2012 Inquietudine, dal metafisico all’individuale Che sia tristezza e insoddisfazione, trepidazione e dinamismo, definirla è riduttivo a pag. 5 Quattro chiacchiere con i “piccoli” editori La nuova rubrica a pag. 9 In viaggio fra Grecia e Croazia Alla scoperta di unicità a pag. 19 La passione di illustrare Secondo Vincenzo Cortese a pag. 22

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Ottobre 2012

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MAGAZINE

Aperiodico di cultura, editoria e viaggi Anno I, n. 2 – Ottobre 2012

Inquietudine, dal metafisico all’individuale

Che sia tristezza e insoddisfazione, trepidazione e dinamismo,

definirla è riduttivo a pag. 5

Quattro chiacchiere con i “piccoli” editori La nuova rubrica a pag. 9

In viaggio fra Grecia e Croazia Alla scoperta di unicità a pag. 19

La passione di illustrare Secondo Vincenzo Cortese a pag. 22

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L’editoriale

Inquietudine

Riflessioni sul bene e il male

Quattro chiacchiere con i “piccoli” editori

I tagli alla cultura

Fortuna, il buco delle vite

Giuseppe Botti, una vita per l’Egitto

In viaggio fra Grecia e Croazia

La passione di illustrare secondo Cortese

Intervista a Matteo Amodeo

CulturaOltre Magazine Anno I, n. 2 – Ottobre 2012

"CulturaOltre Magazine" non rappresenta una testata

giornalistica in quanto viene pubblicato senza alcuna

periodicità. Non può pertanto considerarsi prodotto e-

ditoriale ai sensi della legge n.62 del 7.03.2001. Tutto

il materiale viene rilasciato in formato digitale sotto

licenza Creative Commons "Attribuzione - Non commer-

ciale - Non opere derivate 3.0 Italia".

a pag. 4

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Redazione Giada Bertini, Anita Borriello, Ilaria Militello, Alessandra Paoloni [email protected] Direttore responsabile Damiano Oberoffer [email protected] Vicedirettore Teresa di Gaetano [email protected] La rivista è disponibile su Issuu all’indirizzo http://issuu.com/culturaoltre-magazine Scaricabile gratuitamente in formato .pdf dal sito www.culturaoltre.altervista.org

INDICE

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Viviamo in un eterno presente, giovani o me-no. Ce lo diciamo spesso. Di futuro si parla a stento, quasi fosse una battaglia già persa in partenza. Mentre sentiamo dal Ministro del Lavoro le parole di “rimprovero” verso i giovani, troppo spesso legati all’idea di voler affrontare solo il lavoro perfetto per cui hanno studiato fatico-samente, e dal Ministero dell’Istruzione si al-za la proposta di incrementare le ore di lezio-ne settimanali agli insegnanti da diciotto a ventiquattro, non può che sorgerci un dubbio legittimo: e se avessero ragione i tecnici? E se effettivamente in questi anni una grossa fetta di italiani avesse vissuto sulle spalle d’altri per semplice “piacere personale”? Alla base della risposta va messa in primis la consapevolezza che di errori, tutti, ne abbia-mo fatti in questi anni, e in molti campi. Er-rore è stato sottovalutare, ad esempio, l’importanza di possedere una scuola di quali-tà con programmi e metodi didattici – nonché insegnanti – all’altezza delle sfide dell’avvenire, di uno stretto rapporto delle stesse istituzioni scolastiche con il vero setto-re produttivo del Paese, l’utilità del fare e promuovere cultura nel senso generale del termine. Per cultura intendo anche la “cultura del la-voro”, troppo spesso tenuta in secondo piano, ma di vitale importanza per la crescita della società, non solo dell’economia. Il lavoro è di-gnità, il lavoro è libertà. La frase “quello fa un bel lavoro, non fa niente” è nota a molti con-nazionali, e va assolutamente superata. Andate nelle scuole superiori e chiedete agli studenti cosa vorranno fare terminati gli stu-di: il cinquanta per cento di loro vi risponderà con un bellissimo «Non so» o «Magari andrò all’università… ». Spero di sbagliarmi, anche se lavorando in una scuola penso di riuscire a percepire questo fatto quotidianamente. Poca voglia di fare, scarsi interessi, troppi sogni ir-realizzabili, di successo facile. E’ brutto dire questo, ma dobbiamo essere schietti, non possiamo più permetterci di rac-contare frottole, di fingere di non vedere il generale degrado.

Dall’altra parte – e per fortuna – ci sono tanti ragazzi impegnati, seri, sinceramente interes-sati, che fanno salire la percentuale di moti-vazione comune, di speranza in un possibile futuro migliore. Ma come, allora, aiutare veramente tutti que-sti giovani a realizzarsi? Qualcuno direbbe “con la rottamazione”, in-vece no, non può essere così semplice. E’ tempo che le persone oneste si riprendano l’Italia e che tornino a parlare di progetti, prospettive, obiettivi da raggiungere, anche e soprattutto per i nostri ragazzi e per quelli che verranno. Che ripartano dall’istruzione, dalla cultura, dal paesaggio, dall’accesso al la-voro. Dobbiamo ricaricarci, in qualche modo. Una crisi da un punto di vista, potrebbe anche fare bene, se si guarda al quantitativo di riflessioni che fa scaturire.

Damiano Oberoffer

[email protected]

L’EDITORIALE

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di Giada Bertini

Non è un’innovazione cominciare un discorso con qualche citazione, ma, d’altra parte, le ci-tazioni non finiranno mai di essere un effica-ce modo per ricavare il fulcro di ciò che vo-gliamo dire. “A chi mi domanda la ragione dei miei viaggi, solitamente rispondo che so bene quel che fuggo, ma non quello che cerco”. Questo richiamo a Michel de Montaigne rac-conta, appunto, quello che può essere il senso dell’inquietudine, potente energia che fa di-ventare gli uomini folli, oppure eroi, e che su-bisce anche il giovane Rob, personaggio del romanzo “Inquietudine” di Otto de Kat, la cui scelta di partire, imbarcandosi su una nave destinata a Cape Town, non deriva da ciò che può incontrare nel corso del viaggio ma piut-tosto da quello che lascia, scam-biando l’agio di una promettente vita borghese in Olanda con la libertà di un’esistenza priva di confini prestabiliti. Ma lo spirito itinerante è solo una delle infini-te dimensioni in cui dimora l’insanabile angoscia che si ma-nifesta senza discriminare luoghi, situazioni o stati d’animo, e che ci costringe a guardarci come fossimo serbatoi esterni di noi stessi per condurre una lucida analisi. A volte ci sen-tiamo incompleti, manchevoli, senza saperne il motivo, come fossimo alla ricerca di qualco-sa, senza tuttavia sapere cosa. E’ l’inquietudine, insita nella natura umana, un moto che, a livello conscio o inconscio, coin-volge testa, cuore e stomaco. Secondo il signi-ficato etimologico: “non quieto”, “che non si appaga mai”… In altre parole?

Energia! E come tale, tensione verso qualcosa che metafisicamente è oggettivamente inco-noscibile, umanamente e soggettivamente possiamo provare a comprendere, e magari colmare. Capita che l’inquietudine si accumuli, esplo-dendo in grandi cambiamenti, che sia incon-trollabile, portando al tormento, che invecchi senza avere spazio, rendendo frustrati, perché è difficile trovare un equilibrio fra un sano senso di insoddisfazione, da appagare giorno per giorno, e l’ossessione. Forse il trucco è farne una filosofia di vita da usare come ispi-razione costante, ma anche in questo caso è propedeutica una certa capacità di controllo. Se l’astratto concetto collettivamente condivi-so di “inquietudine” sembra essere arcano e

incomprensibile, qualcosa, in-vece, possiamo paradossal-mente imparare dal momento in cui si manifesta: in accezio-ne generale sembra non avere soluzione, ma rapportata a ciò che ci turba possiamo indivi-duarne le cause, o per lo meno

opinare a riguardo. Se la ignoriamo condanna alla tristezza, in questo caso non sinonimo ma diretta conseguenza, se la ascoltiamo si svela, se la accompagniamo possiamo sfruttarla e farne il nostro carburante, evitando di vivere nella prospettiva del futuro con il rischio di perdere il presente. Assecondiamola, per ca-pire dove vuole condurci, e proviamo a diven-tare il mezzo consapevole per tramutarla in salvezza anzi che distruzione, in un fine lieto anzi che amaro. E’ ciclica, poiché passano pe-riodi dove

INQUIETUDINE, DAL METAFISICO ALL’INDIVIDUALE Che sia tristezza e insoddisfazione o trepidazione e dinamismo, definirla è riduttivo: per conoscerla l’inquietudine va vissuta

“A chi mi domanda la ragione dei miei viaggi, solitamente rispondo che so bene quel che fuggo, ma

non quello che cerco”. Michel de Montaigne

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di Damiano Oberoffer Il bene come convenienza L’uomo, fin dall’antichità, ha sempre sfruttato il proprio intelletto per facilitarsi l’esistenza. Uccidere un mammut con le proprie mani era indubbiamente difficile, perciò occorreva un sistema più semplice ed efficace. Detto fatto, lavorando un pezzo di pietra fino a farlo di-ventare triangolare, realizzò un utensile che serviva per molte cose: tagliare, lavorare, ma-cinare e cacciare; tutto per istinto di soprav-vivenza. Col passare degli anni, l’ingegno ha permesso la creazione di opere idrauliche e architettoniche incredibili, come, per esem-pio, gli acquedotti romani o le piramidi di Gi-za, nonché la scoperta di nuove terre, attra-verso la costruzione di possenti navi, fino ad arrivare alla famosa Prima Rivoluzione Indu-striale, originatasi in Inghilterra nella secon-da metà del 1700, caratterizzata soprattutto dall’introduzione della macchina a vapore di James Watt. Non passò neanche un secolo, che già si giunse alla Seconda Rivoluzione In-dustriale, con l’avvento dell’elettricità, di nuove scoperte nel campo della chimica e del petrolio. Infine, dal 1970 ha avuto inizio l’era

non si fa viva; può essere benefica se incita alla produttività, deleteria se cristallizza la fi-ducia. Il punto sta nel capire che ci sono diffe-renze individuali: ci sono persone inclini all’avventura, alla fama, allo sforzo, altre che non desiderano altro che tranquillità, anche se comune a tutti è la ricerca nel riconosci-mento delle cause, per quanto nascoste e pro-fonde. Fa meno paura, l’inquietudine, se sappiamo che vivendola possiamo affrontarla? Un pri-mo passo è darle una dimensione, variabile nel tempo e nella forma, e non dimenticare che la prima forma di vittoria è la reazione. Oggi ho scelto “Sand” di Max Melvin, domani non lo so.

dell’informatica, che da allora continua a mu-tare profondamente i nostri modi di lavorare, socializzare, spingendoci verso un futuro “schiavo” delle macchine, nel senso buono e cattivo del termine. Esaminando anche solo queste piccole ma importanti citazioni storiche, quindi, è possi-bile notare come tutti i progressi umani ab-biano avuto come fine ultimo, la semplifica-zione dei modi di vivere e il risparmio di tempo e di energie personali, delegando in molti casi responsabilità e operatività a un cervello elettronico. Questo dato ha i suoi pro e i suoi contro, chiaramente, perché da un la-to ha permesso di portare avanti progetti e produzioni che fino ad allora parevano inim-maginabili (i robot che vengono immersi a profondità mai raggiunte o le sonde inviate nello spazio), facilitando la vita e non solo, dall’altro conduce a un indebolimento delle facoltà intellettive e fisiche della persona. Un esempio significativo e, se ci pensiamo, terro-rizzante di come il computer si stia sostituen-do al cervello umano, risiede nell’uso della calcolatrice per risolvere delle banali somme, facendo sì che l’intelletto, dopo un certo lasso di tempo, non sia più in grado di lavorare da solo.

RIFLESSIONI SUL BENE E IL MALE Seconda parte dell’analisi storico-filosofica

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Ora giunge però spontaneo un quesito: è più facile fare del bene o del male? Chiunque potrebbe pensare che sarebbe me-glio rubare un diamante costosissimo anziché comprarlo, oppure pagare un cameriere extra in nero piuttosto che in regola. Si fa prima a copiare ad un esame anziché

studiare; ci si impiega molto meno tempo a corrompere un politico per avere precedenze su alcuni appalti, anziché seguire la procedu-ra corretta. Fare del male, in poche parole, è più semplice e rapido. La posizione del bene e del male A chi non è mai capitato di desiderare dei cambiamenti in ambito familiare, lavorativo, sociale, religioso o politico, in base alla pro-pria idea di bene o di male? La società consumistica moderna è sempre alla ricerca di soddisfare i propri piaceri per-sonali e il proprio status, succube di uno sfre-nato individualismo, che lei stessa ha contri-buito a creare. Certo, esporsi con idee, progetti e parole in prima persona contro ciò che si reputa male è sempre difficile e a volte rischioso. Proporre un emendamento a un disegno di legge, ad esempio, può essere criticato sia dal-la parte avversa che dalla propria, ma se alla base vi è un dialogo costruttivo e una sicurez-za di fondo su ciò che si sta trattando, è pos-sibile estrapolare un risultato positivo anche solo per metà.

Il problema che bisogna risolvere alcune volte prima di contrapporre la propria idea, è quel-lo di misurarsi con se stessi: «Visto che la maggioranza la pensa diversamente, la mia opinione di cambiamento è corretta?» Se non si hanno dei punti fermi su cui fare affida-mento e un carattere abbastanza forte da so-

stenere le proprie convinzioni, anche in presenza di numerose resistenze e tentazioni, si rischia di crollare in un abisso di dubbi, i quali potrebbero fre-nare o confondere la tesi sostenuta. Se ora immaginassimo di entrare per un momento nella mente della contro-parte, troveremmo la medesima situa-zione, ovvero una ferma posizione, con l’unica variante di bloccare il cambia-mento proposto. Come si vince, allora, una battaglia? Si potrebbe rispondere: quando una fazione prevale sull’altra. Ma in che modo? Semplicemente quando una parte cede. Sul cedimento, però, il discorso si am-plia maggiormente, portandoci a di-stinguere un cedere volontario da uno involontario. Il primo caso avviene se una delle due parti è debole (la resa di un esercito in guerra, causata da infe-

riorità numerica, eccessivo dispendio di de-naro e vite umane); il secondo avviene perché una parte ha prevalso sull’altra senza aver provocato un’ufficiale bandiera bianca, ma sfruttando altre variabili (in una partita di calcio, l’attaccante riesce a fare goal perché la difesa e il portiere hanno ceduto involonta-riamente, errando, o perché nello schiera-mento c’erano delle lacune). Il cedimento è, in parole povere, uno sbaglio che provoca la vincita dell’altro, senza che quest’ultimo sia necessariamente il più forte. Si pensi a Benito Mussolini, salito al potere pur essendo in mi-noranza nel Paese, non per sua forza, ma per-ché il re cedette alla Marcia su Roma. Il famoso scienziato inglese Charles Darwin, nella sua teoria, sosteneva appunto che il de-bole, in natura, perisce. Ma il forte è sempre forte? No, può diventare debole se cede a qualcosa di nuovo o a cui non è preparato. Pensiamo al tallone d’Achille… Ogni essere umano ha una missione, sono in molti a sostenerlo. Ovviamente l’uomo, animale munito di intel-letto per definizione, potrà e dovrà avere più tipi di missioni di qualsiasi altro animale, a causa proprio del suo essere intelligente. C’è

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chi è indifferente e cerca di migliorare solo la propria esistenza; chi segue o ricopia gli altri; chi si adatta a ogni situazione; chi pensa, pro-getta, fa. Tornando all’affermazione sopracitata di uo-mo, questi è alla continua ricerca di un’esauriente definizione di bene e male: an-che la storia ce lo insegna. Tutto ciò implica, come già detto in preceden-za, una contestazione, sia in lato positivo che negativo. Il migliorare lo stato delle cose è senza ombra di dubbio il modo più sensato di fare del bene, senza incappare in conseguenze errate. Tanto per fare un esempio, quando è stata inventata l’automobile, si pensava più al suo utilizzo come rapido mezzo di trasporto, che alle conseguenze ambientali che poteva

provocare, come il di-spendio di energia per la sua pro-duzione o lo sfrutta-mento di

materie prime per il suo fun-zionamen-

to. Ora, pa-re che si stia ten-

tando di rimediare al danno dell’inquinamento con l’uso di carburanti al-ternativi e materiali di riciclo. Classica dimo-strazione, questa, del riposizionamento nel tempo del bene e del male nella scala sociale, come pure la faccenda degli omosessuali, vi-sta più negativamente in passato rispetto al giorno d’oggi, tanto da diventare un pretesto per maltrattamenti e genocidi. I più grandi mutamenti nella storia dell’umanità da sempre sono quelli graduali, ma con idee di base radicali. Nel caso citato, è chiaro che il cambiamento è avvenuto in modo graduale. Ma un cambia-mento radicale esce solitamente con più faci-lità da una sola persona, prima che da una massa. Si pensi, in questo senso, al cecchino che sparò a Martin Luther King, il 4 aprile 1968. Certo, fu un cambiamento negativo, ma dimostra quanto detto finora. Ci sono casi nel passato, in cui il bene ha sfi-dato il male, partendo tuttavia da una netta minoranza (sempre lasciando al lettore la fa-coltà di decidere quale sia il vero bene e il ve-

ro male). Normalmente noi, con il termine minoranza, intendiamo un gruppo o comun-que una parte di quantità o consistenza infe-riore rispetto a quella opposta, con meno pos-sibilità di successo.

Il forte vince sul debole. Ma Gandhi era parti-to da solo nella sua lotta non violenta contro l’Inghilterra e aveva fatto da solo lo sciopero della fame. Soltanto in seguito, aveva raccolto dei proseliti. Pertanto la vittoria del bene sul male è tutta una questione di tempo, volontà, numeri e idee. Sul piano matematico Abbiamo visto, in questo breve excursus, che in definitiva il bene è qualcosa di interessan-te, utile, necessario, ma nel frattempo molto difficile da attuare. Tornando al ragionamento sulle percentuali del bene e del male stimate dal mio amico, mi è sorta una riflessione: tralasciando il fatto che fare del male è indubbiamente più facile, occorre tenere presente un altro aspetto, a mio av-viso, molto più importante, che potrebbe mettere le generazioni fu-ture di fronte a pa-recchi ostacoli nel-la risoluzione dei problemi che affliggono il mondo. Poniamo il tutto sul piano matematico: con-siderando il bene (chiamiamolo X) come una variabile indipendente e il male (Y) come va-riabile dipendente, possiamo concludere che Y vive grazie ad X e non potrebbe esistere senza di esso. Pertanto, senza il bene non può esistere il male.

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Il 10 gennaio 2011 a Correggio (RE), nasce, dalla passione di Argenta Brozi la Butterfly Edizioni. La seconda casa più “giovane” in I-talia che punta a valorizzare le opere di emer-genti. Innovativa e dinamica, sostiene lo scrit-tore nei lungo lavoro per far nascere un libro, dalla pubblicazione alla promozione. La loro strategia di mercato è usare prezzi ragionevoli per invogliare i lettori ad acquistare i propri libri, va-lorizzando i loro autori. Crede molto nel rapporto alla pari, per farsi che si sentano a proprio agio, af-finché il lavoro di squadra sia un successo. La frase del loro sito, “da soli si va veloci, ma insieme si arriva lontano”, ti fa capire che esigono il meglio per i loro autori. La casa editrice e ben strutturata. Molti sono i collaboratori che s’impegnano e ha ben 16 collane per soddisfare ogni esigenza di lettura. Queste le collane: “Sussur-ri” (storie d'’amore, rosa storici), “Destini” (storie vere), “Tracce” (ro-manzi che trattano di problematiche sociali), “Eclissi” (noir, gialli), “Labirinti” (thriller, horror), “Top Secret” (fantasy), “Tabu” (storie aggressive, forti, particolari), “Coccinelle” (Romanzi brevi), “Granelli” (raccolte di rac-conti), “Oblio” (saggi sull’'aldilà, su Dio, la re-ligione), “Caramelle” (fiabe, favole), “Gemme” (raccolte di poesie), Passi d'artista, (biografie romanzate di artisti di ogni genere), "Happy" (storie divertenti, comiche), "Raggi di sole" (romanzi scritti da giovani scrittori dai 24 anni in giù), Pop corn book (sceneggiature ci-nematografiche), Ali di fuoco (storici e avven-tura). La casa pubblica senza chiedere compenso all’autore. Valuta la nuove proposte con un sistema molto innovativo. I tempi di valuta-zione sono brevi. Il loro impegno c’è e si vede, promovendo il tuo libro e dandoti la possibi-

lità di partecipare a eventi, presentazioni e fiere. Per loro prima che un lavoro questa è una passione e come si legge dal loro sito “Quando si crede così tanto in un progetto, le difficoltà sono più facili da superare e But-terfly Edizioni ha appena spiccato il volo ed è sempre pronta ad aprire le ali di questa gran-de passione. Il libro per noi e' come un gioiel-

lo...” Per ogni scrittore il proprio libro è come un gioiello e se anche per la casa editri-ce lo è, allora l’autore non può che esserne felice. Come lo è Teresa di Gaeta-no, autrice del libro Senza di te. Sono stati disponibili e sempre cordiali nei miei confronti. Ben organizzati e sempre pronti a rispon-dere alle mie domande. All’intervista che ho fatto alla giovane direttrice, tra-spare subito la passione che mette nel suo lavoro. Argeta Brozi è la giovane direttrice di Butterfly Edi-zioni. Conosciamola.

Salve, grazie per aver accettato l’intervista. Per iniziare a rompere il ghiaccio, ci parli un po’ di lei. Chi è Argeta Brozi?

Ciao Ilaria, e grazie per l'invito. Sono un'amante della scrittura e della lettura, mi piace viaggiare con la fantasia, sognare e mi piace la coerenza. Mi piace dire le cose e poi farle... altrimenti preferisco stare zitta. Mi ritengo una persona molto alla mano, nel senso che potrei parlare con persone di tutte le età senza pormi limiti, credo che ognuno possa arricchirci e che, nello stesso modo, anch'io nel mio piccolo possa dare qualcosa agli altri. Mi ritengo una persona spiritosa, sempre pronta a sdrammatizzare, ma a essere seria quando serve, senza per questo assumere i toni della “padrona/capo”, quale

QUATTRO CHIACCHIERE CON I “PICCOLI” EDITORI

Rubrica a cura di Ilaria Militello

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in realtà sono nel mio lavoro. Mi piace mettermi alla stessa altezza delle altre persone... anche se a volte, ammetto che è parecchio difficile, perché non tutti più alti di me! No, a parte gli scherzi, è sempre il messaggio che ho voluto dare agli altri, io posso diventare qualsiasi cosa, essere un editore o quant'altro, ma sono prima di tutto Argeta, per cui le persone non devono sentirsi in soggezione quando parlano con me. È così anche con i miei autori: per me loro sono persone, prima che i miei autori, e mi piacerebbe che per loro fossi più una persona che un editore.

Come è venuta l’idea della casa editrice?

Sono da sempre appassionata di libri, penso che questo momento sarebbe arrivato comunque prima o poi. Diciamo che è arrivato prima. Attualmente infatti sono la seconda casa editrice più giovane d'Italia. A gennaio compio 2 anni di attività, ancora non posso crederci quanto siano volati questi mesi... è proprio vero che quando fai qualcosa che ti piace il tempo vola!

Com’è la concorrenza nel mondo dell’editoria?

Se dico “concorrenza spietata” non rendo comunque l'idea... facciamo una concorrenza spietata moltiplicata per 3! Non si tratta solo di una concorrenza di numeri (infatti in Italia ci sono tantissimi editori, poco meno di 10mila, per non parlare di quanti scrittori e lettori ci siano in realtà... sono numeri che fanno un certo effetto!), ma anche di una concorrenza di metodi di lavoro...

Ha uno staff molto ricco. Quali sono i criteri con cui valuta un suo nuovo collaboratore?

Beh innanzitutto deve essere una persona che “a pelle” mi piace, penso che un ambiente lavorativo tranquillo, dove nessuno si sente inferiore o superiore agli altri, dove non ci sono problemi di sorta sia sempre meglio che prendere collaboratori a caso... Poi successivamente valuto chi è più adatto a una cosa rispetto ad un'altra. La mia azienda sta crescendo ed è normale che cresca anche il numero di collaboratori. Sono molto aperta ai nuovi collaboratori, prendo persone anche alla prima esperienza, se hanno voglia di imparare un mestiere nuovo come l'editoria, mi piace dare una possibilità a tutti in questo senso, anche ai più giovani, sono contraria

infatti a quelle aziende che scrivono in grande “cercasi apprendisti con esperienza”: come facciamo noi giovani di oggi a fare esperienza se tutti ci vogliono già esperti in tutto? Non ha senso... è una cosa che ho provato sulla mia pelle e non lo auguro a nessuno.

E i criteri per la valutazione dei romanzi?

Scegliere un romanzo è una cosa davvero difficile. Non bisogna basarsi infatti solo sui propri gusti personali, ma bisogna saper cogliere cosa vuole un determinato pubblico. Un romanzo deve saper essere scorrevole, incisivo, deve saper colpire ed emozionare. Non deve avere una storia banale e non deve essere ripetitiva.

Qual è il suo progetto?

Ho diversi progetti, ma in primo piano ovviamente c'è il desiderio di far crescere la Butterfly Edizioni.

È una scrittrice? Lettrice?

Entrambe le cose. Sono nata prima come lettrice, non amavo la lettura, ma mia madre è riuscita a farmela apprezzare, senza di lei, ora non sarei la persona che sono e non farei quello che faccio. Ho iniziato a divorare libri come caramelle all'età di 8 anni, mi ricordo che alle elementari avevano messo una biblioteca in classe e i maestri dicevano che potevamo leggere i libri quando volevamo e io ne avevo letti troppi in poco tempo per la mia giovane età e i maestri pensavano che non li avevo letti. E io ricordo un giorno in particolare, dove sfidai tutti dicendo: “Prendete un libro a caso di quelli che ho letto, fatemi delle domande sul libro e io vi saprò rispondere!”. Poi a 9 anni scoprì la magia della scrittura: le parole potevano emozionare. E per me non c'è cosa più bella che riuscire ad emozionare qualcuno! Così ho semplicemente iniziato a scrivere... prima solo poesie, poi racconti e infine romanzi.

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Quelli che ho pubblicato con la Butterfly Edizioni sono: Tentazioni e Al di là di te.

Quali generi la colpiscono di più? E quali proprio non le piacciono?

Cerco di leggere un po' di tutto, non mi pongo limiti. Poi è ovvio che ognuno ha i suoi gusti e ci sono cose che piacciono di più e cose che piacciono meno, ma ho scoperto – proprio leggendo un po' di tutto – che non è un genere in sé a non piacermi, in realtà è la storia che conta: com'è stata scritta, cosa trasmette. Se mi colpisce, può piacermi anche

un genere che non è il “mio”. I generi che mi piacciono di più sono: le storie drammatiche, le storie vere, i romanzi d'amore e i thriller.

Come mai la scelta di una casa free? I guadagni sono nettamente inferiori a quelli di una casa che chiede contributi.

Io ho meno di due anni di attività e per il momento non potrei nemmeno parlare di guadagni, perché le spese sono tante (con la crisi poi non ne parliamo... si sono alzati i prezzi di molte cose...), mentre i prezzi dei nostri libri sono al di sotto della media (abbiamo libri dai 16 euro in giù...) e anche quelli dei servizi letterari. A riguardo, l'ho specificato più volte: non esistono editori che pubblicano tutto totalmente free. Il discorso e lungo è complesso, bisogna contare che molti editori hanno un secondo lavoro per mantenersi, perché per poter vivere di questo è davvero faticoso, soprattutto se la maggior parte dei libri vengono pubblicati gratuitamente (come nel mio caso); molti

editori effettuano servizi letterari proprio per questo: perché le entrate sono poche e riuscire a mantenere aperta un'attività come questa non è per niente facile, soprattutto in Italia, che è agli ultimi posti per i libri letti e anche per quelli acquistati. Esistono molti editori e ancor più scrittori, il mercato è piuttosto saturo, la concorrenza è spietata e in molti casi neppure leale... in libreria non a caso ci sono solo i soliti nomi noti. Mi chiedi come faccio ad andare avanti? Ti rispondo che il motore di tutto è l'amore e la passione che ho per i libri. Ho lavorato gratuitamente per 4 anni per altri editori, è quasi da due anni che lavoro gratis per me. Non so, forse è semplicemente pazzia o forse spero un giorno che tutto vada bene e che posso guadagnarmi da vivere, senza chiedere l'aiuto dei miei. Sono una sognatrice e mi piace affidarmi ai sogni, credere nella loro forza.

Felice del successo che la sua casa ha? Avete una buona distribuzione e molti sono i libri pubblicati.

Devo dire che sì, mi sono sorpresa della fiducia che ci stanno dando scrittori e lettori, non avrei immaginato che sarei diventata “grande” così presto. Dico questo perché nel giro di 2 anni saranno circa 23 i libri pubblicati (praticamente almeno 1 libro al mese) e se vado avanti così credo che le cose andranno bene. Avere tanti libri significa arricchire il catalogo e di conseguenza farci conoscere a un pubblico più vasto, perché riusciamo ad accontentare lettori di diverso genere. Inoltre i libri hanno tutti un prezzo piccolissimo, spesso facciamo sconti, agevolazioni e questo senz'altro è d'aiuto in un momento come questo ai nostri lettori. Quasi tutti i nostri libri sono andati in ristampa almeno una volta e questa è una ulteriore conferma della qualità dei nostri libri. In questi mesi ci sono arrivati diversi apprezzamenti, non solo da lettori e scrittori, ma anche da altri editori, da giornalisti e semplici curiosi. Questo non può fare altro che rendermi felice, significa che stiamo facendo un buon lavoro e che la gente ne è consapevole.

Che consigli darebbe a uno scrittore emergente?

Di leggere tanto, di non porsi limiti nella lettura, perché ogni libro ci insegna qualcosa. Di essere umili, di non pensare tutti di aver scritto il romanzo più bello del secolo e che, quando occorre, bisogna correggersi,

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migliorarsi. E ultima cosa – non meno importante – è che non bisogna mai arrendersi, quando si crede veramente a qualcosa.

Pubblicizzi la sua casa. Perché un lettore o uno scrittore dovrebbe sceglierla per acquistare o pubblicare?

Vi consiglio la Butterfly Edizioni perché non è una semplice casa editrice, è una famiglia che si sta allargando sempre di più, fatto di persone prima ancora che di scrittori, e queste vanno rispettate. Scegliere la Butterfly Edizioni significa scegliere qualcuno di cui puoi fidarti e affidarti, seguiamo lo scrittore passo dopo passo, ci siamo sempre, lavorativamente e amichevolmente parlando.

Il lettore è la nostra ciliegina sulla torta: qualcosa di unico, che non può mancare. È la persona che fa andare avanti la nostra attività, per questo gli offriamo il meglio: libri come gioielli, di cui andare fieri e mostrare, belle copertine e belle storie, a un prezzo piccolissimo.

Come svolge le sue giornate? È totalmente presa dal suo lavoro?

Le mie giornate non sono mai uguali, però di certo sono molto presa dal mio lavoro. Spesso rinuncio a uscire con gli amici o ad andare al parco con mio nipote, per esempio, e questo perché anch'io – come scrittrice – mi aspetterei che un editore facesse bene il suo lavoro e per fare bene qualcosa occorre tempo e pazienza. Non voglio essere una di quelle persone che arrivano ad un certo punto della vita e che dicono “ma forse se avessi fatto di più...”, io lo voglio fare adesso.

Vuole aggiungere qualcosa sulla sua casa o su di lei che non ho chiesto?

Intanto vorrei ringraziarti per avermi donato un po' del tuo tempo e uno spazio per parlare della mia passione e farla conoscere al pubblico; e poi vorrei semplicemente aggiungere un ringraziamento per tutte quelle persone che non hanno creduto in me e che ora si sono dovute ricredere. Credete sempre in voi e fate quello che più amate, senza farvi influenzare da nessuno, come ho fatto io. Se credete in un sogno, dovete custodirlo, perché i sogni sono il motore del mondo.

La politica è come un morto che afferra il vivo dell'Italia, ha scritto Galli della Loggia («Corriere della Sera», 16 ottobre). Da vent'anni ci siamo allontanati dalla nostra storia, recente e anche lontana, vegetando in un presente che non ricorda e non progetta, privo di visione. Questa morte si materializza anche nel corpo del Paese, con frane e terremoti, monumenti che crollano e il volto della Patria - il paesaggio - sfigurato, mancando ogni argine al cemento (il ministro dell'Agricoltura ha proposto un'ottima legge al riguardo: è prevista una corsia preferenziale?). Nei tagli sempre più orizzontali e pesanti l'articolo 9 della Costituzione mai vale per creare quell'eccezione culturale in cui consiste la natura storica della Penisola, epicentro di pensieri e di opere di valore universale per due millenni e mezzo. Questa nostra modernità è caduta prima nel vuoto di un'ignoranza elogiata e poi nel pieno, ma troppo esile, di uno specialismo autorevole ma privo di una prospettiva oltre l'economia. La causa sta forse in un'idea sbagliata di progresso. Intanto di male in peggio per il ministero dei Beni culturali. Sono scomparsi i Comitati tecnico-scientifici, per risparmiare 10.000 euro di missioni. L'anno prossimo rischiamo di avere fondi ulteriormente dimezzati: solo 86 milioni realmente disponibili per mantenere il patrimonio di storia e d'arte della nazione (i tagli cadono per intero sui Beni culturali, per risparmiare lo spettacolo). Una trentina di dirigenti rischiano di scomparire (nonostante il rapporto 1 a 150), per cui le pratiche paesaggistiche non potranno essere più evase (con organico inadeguato il silenzio-assenso diventa pericolosissimo). Neppure sono in vista i vantaggi fiscali più volte richiesti. A questo punto la spesa rappresentata dal ministero appare inutile: tanto varrebbe eliminarlo. Lo smarrimento da questo punto di vista è completo.

Tratto da “Corriere della Sera” 19/10/2012

I TAGLI ALLA CULTURA

CHE CANCELLANO LA STORIA

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Ricordo perfettamente la notte in cui Fortuna è venuta a cercarmi per chiedermi di essere raccontata, per me non è facile parlarne perché è da qualche mese che l'ho imprigionata per sempre sulla carta e l’ ho lasciata andare per essere amata o odiata dai lettori e ne sento ancora una terribile nostalgia, le ho regalato quasi cinque anni della mia vita durante i quali non l'ho abbandonata mai, nemmeno a Natale e Pasqua quando avrei dovuto comprensibilmente rivolgere tutte le mie attenzioni alla famiglia e agli amici. La verità è che da quando è entrata nella mia testa, in una lontana e afosissima notte di

luglio del 2007, non ho più potuto fare a meno di lei, anche se non sono mai stata molto tenera nei suoi confronti perché le ho regalato tre nomi diversi, tre vite completamente diverse l'una dalle altre e tanti, forse, troppi dolori. Lei che ho punito facendola venire al mondo con una grave malformazione alla colonna vertebrale, la spina bifida, che in Italia colpisce 1 neonato su 1.300, ma di cui si parla sempre troppo poco perché i media hanno cose apparentemente più importanti da proporre al pubblico, e le ho regalato i capelli rossi come il fuoco dell'inferno e un nome bruttissimo che nel corso della storia nessuno riesce mai a pronunciare per intero: J. - che nomignolo detestabile! - eppure sulla bocca di nonna Umberta Prima suona così dolce e melodioso. Umberta è una donna formidabile, ha un fiuto speciale per gli affari e non si è mai fatta mancare niente nella vita, soprattutto tanti uomini giovani e attraenti, suscitando il disprezzo della Chiesa e delle pie donne del paese, ma quando ha conosciuto la sua fragile nipotina è cambiata. Ha finalmente mostrato il suo lato più tenero e materno. Quante volte l'arzilla vecchietta si è seduta accanto a me mentre scrivevo e mi ha severamente rimproverata, perché secondo il suo parere stavo scrivendo una storia troppo triste per la sua piccola J. L'ha fatto in modo particolare quando a un certo punto della storia ho deciso di farla morire, inchiodata in un letto senza poter più né muoversi né parlare e la ragazzina è rimasta da sola con una madre come Anita, una bellissima ex ballerina classica dagli occhi cristallini e un corpo sinuoso che non ha mai accettato di aver partorito una figlia storpia, che fa persino fatica a sopportare la sua presenza. Povera J. senza la nonna accanto a sé ha la sensazione di non esistere più, così un lampo di follia scuote la sua mente e la porta a trascinare la sua adolescenza nell'inferno dell'anoressia prima e della bulimia poi. E' una vita maledetta, deve mettere la parola fine. Ormai è ora, perché quasi senza accorgersene ha già trent'anni ma non ha mai

FORTUNA, IL BUCO DELLE VITE Jolanda Buccella racconta la storia del suo libro d’esordio

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vissuto veramente. L'unica soluzione è fuggire di casa, allontanarsi per sempre da quello sperduto paesello in cui tutti l'hanno sempre guardata con pietà e disprezzo, per il suo strano modo di camminare. Prende un treno per Roma, sperando che nella Capitale possa trovare un briciolo di quella felicità che pensa di meritare ma si sbaglia, perché l'unica cosa che la città ha da offrirle è un nuovo nome e una seconda vita più disgraziata della prima. J. Rizzutelli diventa Piccoletta la barbona ed è così umiliante andare in giro per strada, stendere la mano e chiedere l'elemosina per mangiare, ma non può farne a meno perché lo stomaco brontola, magari sono giorni che è completamente vuoto. Per strada Piccoletta conosce l’indifferenza della gente ma anche la disumanità a cui può portare una vita di stenti e privazioni, Benny l’uomo che l’ha traghettata nella sua seconda vita, una notte di Natale abusa spudoratamente del suo povero corpo ancora vergine. A questo punto la donna è convinta di non avere più scampo, se persino l’uomo che ha considerato a lungo come un padre buono e generoso è stato capace di farle del male, allora non può fidarsi più di nessuno ed è meglio morire. Tenta più volte di suicidarsi gettandosi nelle gelide e putride acque del Tevere, ma il destino ha in serbo per lei una nuova vita ancora e l’opportunità di farle capire che il mondo è fatto anche di persone buone e generose che offrono il loro aiuto agli altri senza pretendere nulla in cambio. Persone meravigliose come il dottor Nadir Murekatete, un affascinante medico ruandese che conosce a fondo la sofferenza umana, perché l’ha sperimentata sulla sua pelle sin da ragazzino nel suo Paese lacerato dall’odio insensato tra gli hutu e i tutsi. Nadir aiuta Piccoletta in tutti i modi possibili, la sprona ad abbandonare la strada e a riconquistare un posto nella società, ma la donna è stanca di inventarsi nuove vite fino a quando un terribile incendio fa bruciare il suo rifugio e morire gli amici che hanno condiviso con lei la fame e la disperazione. Muore anche

Benny, nonostante lei abbia cercato di aiutarlo a salvarsi. Piccoletta trascorre quasi un mese immersa in un sonno riparatore a casa di Nadir, nel suo letto, mentre lui fa di tutto pur di riportarla alla vita. E’ così tenace che alla fine lei si lascia convincere e riapre gli occhi per darsi l’ennesima opportunità. E’

complicato ricominciare, è molto complicato riconquistare la dignità perduta. Ha vissuto quasi dieci anni per strada e persino guardarsi allo specchio e scoprirsi molto diversa dalla ragazza di una volta è un dolore lacerante ma c’è Nadir accanto a lei che l’aiuta a rialzarsi, ogni volta che il dolore la fa inciampare e cadere nel pessimismo più esasperato. Così ecco che, passo dopo passo, comincia a sbocciare Fortuna una donna forte e determinata che non ha proprio niente a che fare con le donne del passato. Fortuna scoprirà il conforto di vivere in una casa accogliente, la soddisfazione di avere un lavoro a cui

dedicarsi tutti i giorni e l’emozione unica e indescrivibile di un amore sincero, per la gioia di nonna Umberta che mi ha tormentata fino a quando non ho deciso di accontentarla e creare il personaggio di Nadir che assomiglia così tanto all’uomo tenero e premuroso che tutte le donne vorrebbero avere accanto a sé. Per amore di Nadir, Fortuna decide persino di lasciare l’Italia per seguirlo in Ruanda a pochi giorni dall’inizio del genocidio dei tutsi dell’aprile del 1994 e sarà proprio nel continente africano che si svolgerà la parte più significativa della terza vita della donna. Fortuna, il buco delle vite è il mio primo romanzo e a differenza di molti altri aspiranti scrittori credo di essere stata molto fortunata, perché sono riuscita a trovare un editore, Carlo Santi della Ciesse edizioni di Padova, che ha subito creduto nel mio lavoro e lo ha pubblicato senza chiedermi alcun tipo di contributo, lo ringrazio dal profondo del cuore per questa grande opportunità che mi ha dato, così come ringrazio teneramente la mia maestra delle elementari, la signorina Lucia che ora mi guarda dal cielo, per avermi

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SSEEII UUNN AAUUTTOORREE EESSOORRDDIIEENNTTEE?? VVUUOOII FFAARRTTII CCOONNOOSSCCEERREE NNEELL VVAASSTTOO MMOONNDDOO DDII IINNTTEERRNNEETT??

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trasmesso l’amore per la scrittura. Spero che questo sia soltanto l’inizio del mio sogno, perché scrivere per me è la cosa più importante, mi da una forza e un’energia che non riesce a regalarmi nessun’altra cosa. Lo so che la strada di un autore emergente è in salita e che non si arriva subito al grande successo, ma sono anche consapevole che quando alla base c’è una profonda passione, allora quasi niente è impossibile. Il 2 luglio Fortuna ha fatto il suo esordio in libreria e attualmente è al quinto posto nella top ten della Ciesse, spero che i lettori possano continuare a volerle bene e a ricevere

almeno la metà delle emozioni che ho ricevuto io portandola alla luce. Ora sto cominciando a pensare al mio secondo romanzo, ho lasciato la scrittura per un paio di mesi perché avevo bisogno di staccarmi definitivamente da Fortuna e ritrovare un po’ di energie, credo che sia arrivato il momento di tornare a scrivere, ne sento fortemente la necessità e il desiderio, mi auguro soltanto che la mia indomita fantasia riesca ancora a creare qualcosa di buono e che mi renda orgogliosa come hanno fatto la mia fragile donnina e la sua straordinaria nonna.

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di Marco Botti

Dall’unione di Bartolomeo e Maria Gorini, al-le nove di sera del 3 novembre 1889, a Van-zone (Nord Piemonte) nasce Giuseppe, o me-glio: Carlo, Giuseppe, Gabriele, Maria. In conseguenza alla nascita dei numerosi figli (i coniugi Botti avranno ben 10 pargoli), il pic-colo cresce con i non-ni paterni, nella fra-zione di Roletto, dalla quale si può ammirare la maestosa parete Est del Monte Rosa. Egli si trova a far tesoro della cultura monta-nara con la quale è destinato a convivere, apprendendo da essa la sopportazione alla fatica e ai sacrifici che la montagna richiede.

Nell’ottobre del 1899, presso l’Istituto Sale-siano di “San Lorenzo” di Novara, Giuseppe risulta iscritto alle scuole elementari come convittore. In seguito, egli frequenta il Ginna-sio inferiore “Cesare Balbo” a Torino e poi il Collegio “Mellerio-Rosmini” di Domodossola, per il Ginnasio superiore, dal 1906 al 1909.

Iscrittosi all’Università di Torino nella facoltà di Lettere e Filosofia, il 17 dicembre del 1913 ottiene la laurea a pieni voti e l’anno successi-vo il Diploma di Magistero nella sezione di Fi-lologia Classica. Nel frattempo diviene un ap-prezzato corrispondente dell’Opera del Vocabolario dei dialetti della Svizzera italia-na, sotto la guida del famoso linguista Carlo Salvioni, studiando e redigendo centinaia di schede inerenti il dialetto di Vanzone (che an-cora oggi costituiscono un riferimento per gli studiosi che proseguono la stesura del Voca-bolario, nel Centro Etnografico e Dialettologi-co di Bellinzona).

Inizia quasi subito a insegnare materie lette-rarie nei licei torinesi (entra di ruolo nel 1920), affiancando l’attività di docente allo studio del cristianesimo delle origini. Dal 1914, i suoi contributi vengono pubblicati su riviste scientifiche specializzate. In quegli stessi anni, in pieno periodo bellico, per gli sviluppi della terribile Influenza Spagnola, muore la sua amata Giuseppina Riccadonna, con la quale stava progettando un futuro co-mune. Il drammatico evento segnerà indele-bilmente l’animo del giovane Giuseppe, fa-cendolo immergere totalmente nel campo dello studio. E’ proprio in quei frangenti, in-fatti, che egli comincia a frequentare il Museo Egizio di Torino e ad approssimarsi, tramite gli insegnamenti dello Schiaparelli, a quella scienza tanto ostica quanto affascinante quale è l’Egittologia. Sotto la guida dell’illustre biel-lese, si occupa dell’ordinamento dei papiri to-rinesi della Collezione Drovetti (è sua una parte del lavoro di ricomposizione e riscoper-ta di alcuni frammenti del celebre “Papiro Regio” o “Canone Reale”, il papiro più famoso conservato dal museo torinese, con la lista dei Faraoni sino alla XVII dinastia), pubblicando i suoi primi contributi tramite i Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Le pro-messe dello Schiaparelli gli danno da intende-re che lo avrebbe presto nominato suo assi-stente all’Università, per prepararlo come successore alla direzione del Museo Egizio: le cose purtroppo non andranno così. Nel 1928,

GIUSEPPE BOTTI, UNA VITA PER I PAPIRI DELL’ANTICO EGITTO

La passione, la dedizione e il lavoro del primo demotista italiano

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con la morte del Maestro, viene incaricato dal Ministero, alla guida del museo torinese, Giu-lio Farina, che si dimostra subito avverso alla presenza del Botti – avendo una formazione ed un’ideologia completamente opposte alle sue –. Lo stesso anno, ad attenuare lo scon-forto per la perdita del mentore, si presenta la pubblicazione del prestigioso Il Giornale del-la necropoli di Tebe, scritto in collaborazione con Thomas Eric Peet (un’opera ancora oggi presa come riferimento dagli storici interes-sati alla narrazione dei processi per i furti nel-le tombe e per l’organizzazione delle squadre degli operai tebani nella XXI e XXII dinastia). Tramite tale lavoro, recensito favorevolmente dalle più affermate riviste scientifiche euro-pee, il suo nome viene conosciuto ben oltre i confini nazionali.

Omonimo del fondatore del Museo Greco-Romano di Alessandria d’Egitto (1853-1903), pure lui egittologo, il nostro ossolano, con il procedere delle sue pubblicazioni, per distin-guerlo dal primo, venne chiamato dal-la maggior parte degli studiosi “Giuseppe Bot-ti Secondo”.

Nel settembre del 1932, a seguito della sco-perta dell’archeologo Carlo Anti, presso il sito

di Tebtynis, di una notevole mole di papiri ge-roglifici, ieratici e demotici, egli viene esone-rato dall’insegnamento e comandato presso la Sezione Egizia del Museo Archeologico di Fi-renze, al fine di riordinarne la collezione non-ché studiare e ricomporre i frammenti dei papiri da poco venuti alla luce.

Negli anni accademici '32-'33, '33-'34 e anche nel 1939, sempre su esonero del Ministero e grazie ad un contributo di 3.000 lire da parte della Fondazione Volta, riesce a prendere par-te ai corsi di demotico tenuti dal Lexa all’Università Carlo IV di Praga.

Nel 1939, all’uscita del brevissimo ma signifi-cativo studio su Il papiro demotico n° 1120 del Museo Civico di Pavia, egli viene definito, a tutti gli effetti, come il primo demotista nel-la storia dell’Egittologia italiana (per la diffi-coltà estrema nella comprensione del demoti-co – scrittura presentatasi nel periodo tardo: un’evoluzione della scrittura ieratica, a sua volta evolutasi dal geroglifico -, erano, in quegli anni, in sei al mondo gli studiosi in grado di tradurlo).

Nel 1941, con la pubblicazione di Testi demo-tici (comprendente la traduzione dei papiri e ostraka demotici presenti nei Musei di Bolo-gna, Firenze e Napoli), la sua fama si rinsalda in ambito scientifico. Nel 1942, presso l’Università degli Studi di Firenze, ottiene la libera docenza in Egittologia. L’attività di pubblicazione, soprattutto per ciò che con-cerne la traduzione e lo studio di testi e pezzi inediti (soprattutto su papiro), prosegue su riviste specializzate italiane ed estere. E’ pure invitato a lavorare al riordinamento di diverse collezioni egizie conservate nei musei di Cor-tona, Parma e, il più prestigioso, del Muse-o Gregoriano Egizio del Vaticano (quest’ultimo in collaborazione con lo studio-so di storia romana Pietro Romanelli), pub-blicandone i rispettivi cataloghi.

Sul finire degli anni ’40 inizia una lunga col-laborazione con il demotista Aksel Volten, dell’Università di Copenhagen, troncata pur-troppo dalla morte del danese nel 1963 (il lo-ro tanto atteso volume sui nuovi frammenti del Romanzo del Faraone Petubastis rimane inedito; saranno poi pubblicati alcuni stralci dalla prof.ssa Edda Bresciani, ovviamente a nome Volten-Botti, nell’ormai celebre ope-

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ra Letteratura e poesia dell’antico Egitto, edita da Einaudi).

Nel dicembre del 1955, vince il primo concor-so italiano - indetto dall’Università di Milano - per una Cattedra di ruolo di Egittologia (al secondo posto arriva nientemeno che il prof. Sergio Donadoni, oggi considerato il decano della nostra Egittologia). Il 1° febbraio del 1956, è chiamato ad occupare la Cattedra ap-pena costituita presso l’Università “La Sa-pienza” di Roma. In quegli anni, pubblica numerosi volumi di grande importanza; tra questi, è doveroso ricordare La glorificazione di Sobk e del Fayyum in un papiro ieratico da Tebtynis, che tratta la traduzione e lo stu-dio di uno dei papiri scoperti da Carlo Anti, forse il più bello e significativo, inerente l’adorazione del dio coccodrillo Sobek nella regione del Fayyum. Quest’opera è considera-ta un “classico” dagli studiosi contemporanei che si occupano della storia e dell’archeologia di quest’oasi tanto ricca delle tracce di antichi insediamenti umani.

Un decennio dopo, quando i suoi contributi superano ormai la settantina, esce L’Archivio demotico da Deir El-Medineh, una tra le sue opere più importanti, che apre le pubblica-zioni del Catalogo (generale) del Museo Egi-zio di Torino. Il volume è stato pubblicato an-che grazie all’ingente contributo del CNR di 25.000.000 di vecchie Lire.

Malgrado i numerosi impegni accademici ed il prestigio suscitato a livello internazionale, egli dimostra un attaccamento profondo al suo paese natio e a quello di origine della fa-miglia: Vanzone in Valle Anzasca e Romezza-no di Bedonia, sugli Appennini parmensi (frazione da cui proveniva il nonno paterno). Questo autentico amore, lo farà tornare rigo-rosamente ogni anno nelle due incantevoli lo-calità montane, per trascorrere le ferie estive e le festività principali (nella casa di Roletto, ad insaputa degli abitanti vanzonesi, sono stati ospitati i più grandi studiosi presenti nel panorama dell’Egittologia mondiale di quegli anni: da Aksel Volten a Jaroslav Černý, da Silvio Curto ad un giovanissimo Alessandro Roccati, suo allievo, il quale trascorse diversi giorni a Roletto per ultimare la sua tesi sul-le Biografie egiziane).

Dedicatosi per tutta la vita allo studio dell’antico Egitto, Giuseppe, nella terra dei

Faraoni non ci mise mai neppure piede. Anzi, alla frequente domanda sulle motivazioni di questa sua mancata diretta esperienza, egli replicava, con una punta di ironia: «Perché, forse gli astronomi vanno sulle stelle?» Dopo alcuni mesi di declino – aveva già accusato nel corso della primavera un affaticamento dovuto a scompensi cardiaci e difficoltà respi-ratorie – il 27 dicembre del 1968, presso l’Ospedale di Santa Maria Nova a Firenze, Giuseppe termina la sua esistenza terrena (sarà poi seppellito nel cimitero di Vanzone, nella tomba della famiglia dei cugini Bozzo, a lui molto devoti).

Con la sua scomparsa, restano inediti diversi lavori ancora in corso, tra i quali lo studio e traduzione di tutti i testi demotici presenti nei Musei Vaticani, che egli aveva intenzione di pubblicare sotto il titolo Testi demotici II.

Dal Monte Rosa alla Terra dei Faraoni Marco Botti, Tangram Edizioni Scientifiche

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di Loretta Oberoffer

Considerata oggi lo zimbello d’Europa, e simbolo di una crisi economica inarrestabile, la Grecia non può che essere elevata da tutti a grande culla della nostra civiltà. Percorrendo un viaggio ipotetico in nave, vi-sitiamo parte delle meravigliose terre d’Egeo fino alla Croazia, desiderosi di scoprire (o ri-scoprire) una vita diversa… Giorno uno, Venezia Salpiamo in perfetto orario sulla tabella di marcia un tempo splendido temperatura ot-timale. La città dei Dogi è stupenda e dall'alto della nave sembra ancora più delicata e sor-prendente. Piazza San Marco è piena di gente che ci guarda passare. La navigazione attra-verso il canale della Giudecca fa rimanere senza fiato. Dirigiamo la prua verso la Grecia.

Giorno due, Katakolon-Olimpia Arriviamo in porto con il sole e la curiosità di vedere il paese di Katakolon e gli scavi dell'antica Olimpia è davvero grande. In circa 40 minuti siamo a Olimpia col suo paesaggio collinare ai piedi delle colline di Kronion. Qui furono disputate le prime Olimpiadi della sto-ria. Alla fine del XIX secolo i tedeschi riportarono alla luce l'area sacra, che racchiude nella cinta di mura un imponente complesso di monu-menti tra cui i templi di Giove ed Era, il gin-nasio, la palestra e lo stadio. Molto bello da vedere e di alto interesse culturale è il Museo Archeologico dove si trova la famosa statua dell’Hermes di Prassitele. Lasciata Olimpia, visitiamo Katakolon, tipico paesino greco affacciato sul mare con le sue viuzze piene di negozi di artigianato locale.

IN VIAGGIO FRA GRECIA E CROAZIA Alla scoperta di arte, usi e costumi di terre antiche e ricche di storia

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Olimpia, colonnato Giorno tre, Santorini La mattina presto raggiungiamo Santorini e la nostra nave attracca in rada, circondata dalla "caldera", tipica formazione rocciosa che attornia interamente l'isola. Dalla nave stu-pendo è vedere il villaggio di Oia, arroccato davanti a noi. Questo paese ha piazze lastrica-te di marmo sulle quali si affacciano tipiche casette color ocra dai tetti azzurri fatti a cupo-la. Da Oia si possono ammirare le isole vicine di Folegrandos e Sikinos, come pure il famoso vulcano ormai spento. Tante poi le escursioni da fare sull'isola: visita di tutte le chiese orto-dosse, gita in jeep 4×4, visita al sito archeolo-gico di Akrofiri, considerato uno dei dieci più importanti al mondo dove si può ammirare la "Pompei preistorica dell’Egeo”, città con ce-ramiche, arredamenti e affreschi, risalente a quasi trentacinque secoli fa. Da non dimenticare che Santorini è anche mare! Bellissime sono le spiagge di Animou-noli e Armeni. Lasciamo infine l’isola a malincuore, ma sap-piamo che il giorno dopo saremo in un altro stupendo luogo. Giorno quattro, Rodi Da Rodi si può godere di una stupenda visio-ne panoramica che spazia su tutto il territorio circostante. Nel punto più alto della città me-dievale sorge il castello, il Palazzo del Gran Maestro, imponente fortezza dagli interni sontuosi e dal cortile decorato con statue ro-

mane. Nel castello vi sono bellissimi mosai-ci, anch'essi di epoca romana. A Rodi vi è anche la strada dei Cavalieri, ripida e stretta, dalla caratteristica pavi-mentazione a ciottoli. Questa via è fiancheg-giata da prestigiosi "alberghi" in cui erano ospitati un tempo i Cavalieri dell’Ordine e ancora oggi la via e-mana un'aura di nobil-tà e di inaccessibilità. Interessante e curioso è il giro in trenino per le vie del luogo…

L'isola di Rodi offre anche di visitare Lindos, di fascino medievale con vicoli acciottolati e tipiche abitazioni bianche e cubiche. Visibile è poi l'Acropoli a strapiombo sul mare, dove si può ammirare il tempio della dea Atena. Ultimo, ma non per questo meno importante, è il sito di Kamiros, un'altra “piccola Pompei” con meravigliosi atri di antiche abitazioni, templi, altari e basamenti di statue. Giorno cinque, navigazione Lasciamo la Grecia e un po' ci dispiace, anche se l'indomani ci potremmo godere la Croazia. Giorno sei, Dubrovnik Città fortificata cinta d'antiche mura, la “miti-ca Ragusa”, presenta una strada principale nel centro storico dalla quale si snodano viuz-ze e luoghi di elevato interesse culturale e re-ligioso, tra cui il monastero dei francescani, il cui chiostro è sede della farmacia più antica d'Europa ancora in attività e il monastero dei domenicani, con una imperdibile collezione

Castello di Rodi

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di quadri del Rina-scimento. La chiesa di San Biagio è situata nel-la piazza principale ed è in architettura barocca. Quella esi-stente è la seconda a essere stata edifi-cata in quel punto: la prima, quella romanica, fu di-strutta da un incen-dio all'inizio del XVIII secolo. Molto carine sono le bancarelle per i turisti in cerca di qualche souvenir… Giorno sette, Venezia Eccoci di ritorno nella laguna. Questo viaggio ci ha lasciato un gran bel ricordo e tanta vo-glia di ritornare. Tutto splendido e indimenti-cabile. Alla prossima avventura!

In alto a destra, veduta di Dubrovnik

Sotto, Venezia, Piazza San Marco

A sinistra in alto, chiostro del monastero dei francescani di Dubrovnik. In basso, chiesa di San Biagio

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di Vincenzo Cortese

Nasco a Napoli il 7 agosto del 1972. Sin dalla più tenera età due mie grandi passioni sono state la scultura e il disegno. Ogni materiale era buono per trasformarlo in qualcos'altro, così i cartoni dei rotoli da cucina si tramuta-vano in torri e castelli, le molliche di pane, opportunamente modellate, nei protagonisti di storie fantastiche. Quindi, come è facile in-tuire, anche la fantasia è stata mia fedele compagna sin da allora. L'inclinazione per l'illustrazione, tuttavia è giunta un po' più in là nel tempo, quando ini-ziai a concretizzare le storie che immaginavo sulla carta sottoforma di racconti e, successi-vamente, di veri e propri romanzi. Il primo di questi fu "ANUIR Il Segreto di Ha-lamon" un Fantasy pubblicato da Giraldi Edi-tore, in cui cercai di contaminare l'immagina-rio celtico con la Mitologia Classica. Ho sempre prediletto la letteratura Fantasy e la lettura degli scritti di Tolkien ha poi fatto di-vampare un vero e proprio incendio nel mio immaginario fantastico, per cui il passo per scrivere una vera e propria storia è stato piut-tosto breve. Scrivere, corredando di schizzi e illustrazioni

ciò che scrivevo, di-vennero due esigen-ze inscindibili di quel processo crea-tivo che diede vita a molte altre storie, tra cui alcune favole ispirate a altrettante leggende partenopee e, dopo un po', an-che a racconti di ca-rattere storico. An-che la storia rappresenta infatti un'altra mia grande passione che mi ha fatto scoprire anche un'ulteriore realtà, quella del modelli-smo. Anche in que-

sto caso il passo è stato breve, per il fatto che da bambino adoravo allestire presepi realiz-zando tutto a mano di sana pianta, dalla sce-na ai piccoli pastori. Creare paesaggi in mi-niatura siano essi fantasy o storici, renderli il più possibile realistici, rappresentava una sfi-da stimolante e quando ci riuscivo la soddisfazione era immensa. Dopo l'uscita della trilogia di Peter Jackson su "Il Si-gnore degli Anelli" quest'altra mia in-clinazione si è concentrata sulla realizzazione di diorami che ripro-ducessero in qual-che maniera le scene del film... risultato? Ben presto mi sono ritrovato la casa invasa da piccoli frammenti della Terra di Mezzo, personaggi compresi grazie alle splendide miniature della Games Workshop. Ciò ha creato l'esigenza di custo-dire, in qualche modo, i miei "Diorami Tol-kieniani", infine sono stato costretto ad archi-viarli in casse di legno accuratamente custodite e catalogate in un ripostiglio, in at-tesa di riportarle alla luce in occasione di mo-stre o eventi. Il mio più grande desiderio, tut-tavia, sarebbe quello di vederli esposti definitivamente in un museo a tema... sareb-be davvero fantastico.

LA PASSIONE DI ILLUSTRARE SECONDO VINCENZO CORTESE L’autore napoletano parla della sua arte

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Ritornando all'argomento illustrazione da cui questa parentesi, bisogna aggiungere che, quando il mio primo romanzo fu pubblicato, avvertivo comunque una mancanza, qualcosa che potesse raccontare agli eventuali lettori qualcosa in più su ciò che avrebbero letto, aiutandoli nella scelta o meno di acquistare il libro. Nacquero così i primi booktrailers, dei veri e propri corti in cui, montando opportu-namente le mie illustrazioni e corredando il tutto con le musiche più adatte, cercavo di ot-tenere qualcosa di piacevole e intrigante. I primi tentativi furono piuttosto deludenti, almeno per me, poi pian piano cercai di pro-gredire inserendo anche delle elementari a-nimazioni. A proposito di Booktrailers, mi piacerebbe concludere questo mio breve contributo con un piccolo aneddoto relativo a un'occasione che colsi al volo per verificare l'efficacia di queste mie contaminazioni tra illustrazione, animazione e letteratura. Quest'ultima giunse quando la casa editrice PIEMME organizzò un concorso in cui i partecipanti avrebbero dovuto realizzare dei booktrailers per altret-tanti romanzi della serie Piemme Freeway. La mia scelta, trai vari testi messi a disposizione,

cadde quasi immediatamente e piuttosto na-turalmente su un libro di un'autrice fantasy italiana, "La Scacchiera Nera" di Miki Monti-celli. Il mio primo passo fu quello di documentarmi procurarmi il libro poi contattai direttamente lei, l'autrice, la quale si è rivelata sin da subito una persona disponibilissima e molto piace-vole. Le chiesi di parlarmi del romanzo e dei personaggi. Avevo raccolto a quel punto ma-teriale sufficiente per mettermi al lavoro e la "Cortese Production" mise in moto la mac-china. I primi a vedere la luce furono gli scac-chi e la scacchiera, che scolpii a mano ispi-randomi agli scacchi di Lewis, così come li aveva immaginati la stessa Monticelli. Fu poi la volta delle illustrazioni che realizzai con una piccola tavoletta grafica, ma a prendermi più tempo sono state le animazioni che ho montato con la classica tecnica dei foto-grammi successivi. Le mani che si vedono nelle prime scene sono le mie e quelle di mia moglie Stefania, che si prestò assecondando questa mia follia. Il prodotto finale è stato un booktrailer per il quale non mi sono certo as-sicurato il primo premio ma sono riuscito a vincere un piccolo e-reader, in palio con altri premi al Concorso, cui sono particolarmente affezionato, ma la mia più grande soddisfa-zione mi è giunta dai fans della "trilogia mon-ticelliana" che hanno particolarmente apprez-zato il booktrailer. Attualmente collaboro con il portale culturale "Talento nella Storia" occupandomi della ve-ste grafica, contribuendo anche con articoli e brevi racconti. A luglio sarà pubblicato da E-dizioni Il Ciliegio il mio ultimo romanzo: si tratta di uno storico intitolato "Corsa a Le-vante", un'altra sfida che sicuramente racco-glierò.

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di Teresa di Gaetano

Ciao Matteo e benvenuto nel mio picco-lo spazio. Parliamo subito del tuo nuo-vo libro che è uscito proprio in questi mesi e cioè “Colorando l’infinito” (edi-zioni Nulla Die). Quella che attira subi-to è la copertina realizzata dalla bra-vissima Nadia Rita Puccio nella quale ti ritrae pensieroso, o meglio, raccolto. Ce ne vuoi parlare brevemente... com’è nata l’idea, ad esempio, e come mai questa scelta per rappresentare la tua raccolta poetica? Anzitutto voglio ringraziarti, Teresa, per a-vermi dato per la possibilità di essere intervi-stato. L'idea della copertina è naturalmente frutto della preziosissima Nadia, la quale mi ha scattato una fotografia e poi ha sviluppato tutto il progetto. Non ci eravamo messi d'ac-cordo quel giorno sulla scelta della maglia da indossare e lei ha cambiato un po' i motivi rappresentati nella t-shirt, aggiungendo una N. e una P. che stanno per Nadia Puccio. De-vo dire che sono molto contento di questa nuova copertina, è davvero molto bella, sono tanto fortunato ad aver conosciuto un'artista davvero unica, oltre che un'amica speciale. “Colorando l’infinito”... come mai la scelta di questo titolo? E a chi hai deci-so di dedicarlo questa volta? Perché? Il titolo, come per l'opera d'esordio, è anche titolo di una poesia contenuta all'interno della raccolta. È stato difficile scegliere come inti-tolare questo libro, perché le idee erano tante e molto diverse, così mi sono fatto aiutare dall'editore. In principio doveva chiamarsi 'L'altra metà di me stesso'; Nadia aveva già pensato ad una copertina con un mio ritratto in bianco e nero spezzato a metà, ma quest'i-

dea è stata accantonata. “Colorando l'infinito” ha in sé anche un ri-chiamo al sommo poeta, Leopardi, che adoro in modo particolare, per la sua bellezza inte-riore, per la sua 'filosofia', per il suo modo di descrivere la realtà, nel quale spesso mi sono rispecchiato. Questa silloge è dedicata 'al mio magnifico Lorenzo', che oltre ad essere un af-fetto molto importante, è fonte inesauribile di risate, conforto e dolcezza. Sono contento di aver dedicato a lui quest'opera, perché lui ai miei occhi è un mondo sommerso di pensieri fragili, bellezza, vita... Quali tematiche affronti principalmen-te in questa tua nuova raccolta di poe-sie? Le tematiche sono parecchio differenti da quelle della prima raccolta. In questo nuovo

INTERVISTA A MATTEO AMODEO

Autore di Colorando l’infinito

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lavoro, infatti, v'è in interesse maggiore all'e-sistenzialismo, che già si intravedeva nella prima. Tema ricorrente è l'amore, ma ormai marginale, scritto quasi sottovoce. Ho voluto inserire poesie che si avvicinassero quasi alla filosofia. Vi sono riflessioni sulla finitezza dell'essere umano; sulla vita e sulla morte, rappresentati da donna e uomo; vi è anche un omaggio al contrario ad un poeta della latini-tà: Catullo. Ho composto una poesia ripren-dendo il suo più celebre componimento, Odi et amo, scrivendo gli stessi versi, ma con la negazione. 'Non odio. Non amo. Ti chiederai come sia possibile. Non lo so e mi tormento'. Un elemento che ricorre ancora una volta è il blu: questo colore mi ha sempre affascinato parecchio, per me è una condizione dell'ani-ma, ha una bellezza che emoziona, mi fa pen-sare alla notte, all'amore, al cielo bagnato dal mare. Un altro tema che ho voluto trattare è l'astra-zione dell'uomo e la sua tensione verso l'infi-nito. In più di un componimento, ho cercato di descrivere il bisogno da parte dell'essere umano di rendere infiniti i propri pensieri, i sentimenti, di superarsi, ma inevitabilmente non ci riesce, rimane ancorato alla sua minu-tezza, al suo essere orribilmente piccolo e in-sulso. “Repertorio dell’anima”, la poesia che apre la tua raccolta. Parliamone. Chi o cosa te l’hanno ispirata? Di che cosa parla? È una poesia fortemente surreale. Descrive, nelle due strofe di cui è composta, in qualche modo una storia d'amore, ma non nel consue-to modo in cui le descrivo nelle altre liriche. Si fa riferimento ad un tempo molto lontano, il duemilaventidue; v'è la proiezione dei pen-sieri più stravaganti come calcoli errati e im-possibili (due più due fa cinque), un verso fa riferimento al furto delle sette vite dei gatti, si parla di metafisica, abbracci neuronali... C'è tanto di me in questa poesia: il desiderio di vincere la realtà attraverso la fantasia; l'astra-zione dolcissima del pensiero; il vagare con la mente fra muti colori e parti sulla luna; i colo-ri che rendono più leggero l'animo umano;

l'intenzione di sanare i conflitti fra una mente razionale e l'irrazionalità del cuore, dei sen-timenti; il dualismo fra la dolcezza intima di un amore e il suo carattere difficile, pieno di una tristezza dovuta a bugie e inganni, a 'se-greti che volano come pietre'; infine vi è l'in-tenzione di correre lontani dalle solide radici di questo tempo e questo spazio per toccare in silenzio nuovi mondi, nuove luci, nuovi pen-sieri che non appartengono al presente, alla vita vissuta nel quotidiano, ma a tutto ciò che è straordinario, eccelso, silenziosamente cela-to. Altra poesia che spicca è “Senza meta-fore” dove parli di una tua dolorosa de-lusione d’amore. Ma c’è oltre il dolore una luce di speranza nei tuoi versi? Ci-ta un verso, ad esempio. No, in questa poesia non v'è alcun filo di spe-ranza. É un componimento assolutamente autobiografico in cui racconto l'esperienza dell'abbandono da me provata. È stato diffici-le scrivere questa poesia, perché ho dovuto cercare all'interno di me stesso le sensazioni provate in un momento da dimenticare. Ma la poesia è questo: ricordare la tristezza che vuoi gettare via, mettere su carta pensieri che vor-resti cacciare altrove, spingerti laddove non c'è un confine fra la verità e te stesso, dunque devi fare i conti con la vita e la sua inequivo-cabile durezza e i suoi atroci dolori. 'Senza metafore' è una poesia dedicata ad una per-sona che ha preso tanto dal mio cuore, e mi ha lasciato senza nulla, mi ha portato via per-sino l'illusione di essere importante, mi ha fatto sognare e poi cadere giù nella realtà, senza filtri, senza farmi danzare neanche un po' fra le dolcezze dell'amore. Il verso che amo di più è questo: “Il modo per risolvere l'amore è dimenticare. Ma io non l'ho fatto.” E con queste parole, il mio intento è stato quello di rivolgermi a tutti gli amanti, che cercano disperatamente di andare avanti do-po un amore fallito, ma non vi riescono. Co-me me non ce la fanno. Quell'oblio tanto ago-gnato non è concesso a chi ama, la memoria continuerà a perseguitarci nelle notti di soli-tudine, tuttavia poi il tempo trascorre e i sor-

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risi condivisi insieme alla persona amata, non sono più ragione di pianto, ma di malinconico ricordo velato. Un’altra poesia davvero molto bella è “Tornavi sempre, andavi via sempre”. Ce ne vuoi parlare? Questa poesia, fra quelle contenute all'interno della raccolta, la amo molto. È ispirata ad una persona che per anni è stata davvero impor-tante. Ho cercato di descrivere in pochi versi la bellezza di un rapporto che comprendeva dolcezza e odio, amore e follia. Sia io che lei eravamo persone che si attraevano, ma al tempo stesso si respingevano, e ci facevamo tanto male, ma posso affermare che ne è valsa la pena. Certi rapporti, d'amore o d'amicizia che siano, è bene viverli, senza porsi troppi interrogativi sul futuro, sul momento in cui finiranno, sulla consistenza che queste rela-zioni hanno per noi. La persona di cui parlo, mi ha voluto davvero molto bene, ma era un affetto instabile, infatti lei 'tornava sempre, ma andava via sempre', non potevo affidarmi alle sue parole, a quella vicinanza di cuori che spesso, quando ne avevo più bisogno, mi ve-niva negata. Non rimpiango nulla e sono con-tento che attraverso la poesia, possa essere riuscito a celebrare la bellezza di un rapporto intenso e significativo. Quale figura retorica ami usare di più nelle tue poesie? Perché? Non c'è una figura retorica che amo utilizzare più delle altre nelle mie poesie. Io mi abban-dono al flusso di pensieri e sensazioni che mi passano nella mente, senza pensare eccessi-vamente allo stile che il più delle volte può rendere tutto più artificioso. In maniera asso-lutamente naturale, la maggior parte delle volte uso la cosiddetta 'costruzione ad anello' ovvero comincio la poesia parlando di un te-ma particolare e poi la concludo riprendendo il tema iniziale. Io credo che la poesia debba essere anzitutto emozione, libertà di sentimento che viene fuori e che dall'anima del poeta giunge fino al lettore, e lo cambia, lo rende diverso, lo riem-pie. Senza l'emotività, la poesia sarebbe uno

sterile esercizio di parole, magari belle, ma fondamentalmente vuote. Il tuo precedente libro, che ricordiamo è “E i mari e le poesie” edito dalla Nulla die, è arrivato finalista a un prestigioso premio letterario (Premio Camaiore). Come ti sei sentito quando il tuo libro ha raggiunto un simile traguardo? Rac-contaci un po’ come è nata l’idea di par-tecipare a questo concorso e tutte le emozioni ad esso legate. Sì, è stato davvero un buon risultato, asso-lutamente inaspetta-to. La casa editrice mi ha fatto conoscere questo premio lette-rario, e così, insieme, abbiamo deciso di parteciparvi. Ed è andata benissimo. Sono stato felice quando l'ho saputo e assolutamente incre-dulo del fatto che una raccolta acerba come la mia opera d'esordio sia stata letta e apprezzata da alcuni critici. Questo comunque è solo l'inizio, è stato un bel traguardo, ma ancora mi aspet-ta tanta strada da percorrere. Progetti per il futuro. Vuoi lasciarci con qualche anticipazione? Ho da poco terminato la stesura di un roman-zo e spero che vedrà la luce, poiché ci tengo moltissimo, l'ho scritto con tutta la passione che avevo. Sto lavorando a diversi progetti e la scrittura è sempre fra le mie priorità. Ad ogni modo, entro fine anno dovrebbe uscire la terza silloge, dal titolo 'Le stanze dell'anima' e avrà una bella novità rispetto alle prime due: sarà divisa in capitoli che trattano ciascuno un tema diverso; e poi è più corposa rispetto alle opere precedenti, contiene infatti più di cento componimenti…

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