destino e rappresentazione. ii linguaggio tragico nella fenomenologia dello spirito

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Annali del Dipartimento di Filosofía (Nuova Serie), XVI (2010), pp. 55-82 Destino e rappresentazione. II linguaggio trágico nella Fenomenología dello spirito di Hegel ELEONORA CARAMELLI Recent studies have shown that language is a constitutive moment of Hegel's thought. Following this line of thinking, we wish to Ulustrate how language is tied by its duplicity to the constellation of tragedy and in particular to the notion of destiny in Hegel's work of 1807. The paper seeks to interpret the linguistic shape of destiny and the divine that is involved in the transition from tragedy to comedy, in order to read in it a certain prefíguratíon and one possible meaning of the transition from Vorstellung to Darstellung, i.e. the destiny of representation. Keywords: representation/Vorstellung, language, tragedy. 1. IIproblema del linguaggio nella Fenomenologia dello spirito Se si lascia da parte la questione deUa proposizione speculativa', la cui trattazione esula del tutto dai Umiti del presente intervento, ü proble- ma del Unguaggio^ fa la sua esplicita comparsa nel primo capitolo deUa ' Per un approfondímento della questione sí rímanda a W. Marx, Absolute Refiexîon undSprache, Víttorío Klostermann, Stuttgart 1967, a J.P. Surber, Hegel's Speculative Sen- tence, in «Hegel-Studien», Bd. 10,1975, pp. 211-230 e a G. Wohlfahrt, Der speculatîve Satz, de Gruyter, Berlin-New York 1981. Sulla medesima questione, in lingua italiana, si rímanda a G. Chíurazzí, Teorîe delgiudizîo, Aracne, Roma 2005, pp. 62-72. ^ Per quanto concerne la letteratura sui linguaggio in Hegel si rímanda in primo luogo alla studio esaustivo, che prende in considerazione tutto l'arco delle riflessioni che Hegel dedica al linguaggio, da Jena a Berlíno, di Th. Bodammer, Hegels Deutung der Sprache, Meiner, Hamburg 1969; sempre in prospettiva genérale anche D. Cook, Language în the philosophy of Hegel, Mouton, L'Aia 1973. A partiré dal linguaggio nella Fenomenología, per mettere capo ad una interpretazione del cruciale ruolo e senso del linguaggio nella fílosofía hegelíana, sí veda J. Simon, Das Problem der Sprache beî Hegel, Kohlhammer, Stuttgart 1967 e Id., Sprachphilosophosche Aspekte der neueren Philosophigeschichte, in Aspekte und Probleme der Sprachphîlosophîe, hrsg. von J. Simon, Alberg, Freiburgb/München 1974, pp. 31-48. Si veda poi anche il contributo di K. http://www.fupress.com/adf ISSN 0394-5073 (print) ISSN 1824-3770 (online) © 2011 Firenze University Press

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Annali del Dipartimento di Filosofía (Nuova Serie), XVI (2010), pp. 55-82

Destino e rappresentazione. II linguaggio trágico nellaFenomenología dello spirito di Hegel

ELEONORA CARAMELLI

Recent studies have shown that language is a constitutive momentof Hegel's thought. Following this line of thinking, we wish toUlustrate how language is tied by its duplicity to the constellationof tragedy and in particular to the notion of destiny in Hegel'swork of 1807. The paper seeks to interpret the linguistic shapeof destiny and the divine that is involved in the transition fromtragedy to comedy, in order to read in it a certain prefíguratíonand one possible meaning of the transition from Vorstellung toDarstellung, i.e. the destiny of representation.

Keywords: representation/Vorstellung, language, tragedy.

1. IIproblema del linguaggio nella Fenomenologia dello spirito

Se si lascia da parte la questione deUa proposizione speculativa', lacui trattazione esula del tutto dai Umiti del presente intervento, ü proble-ma del Unguaggio^ fa la sua esplicita comparsa nel primo capitolo deUa

' Per un approfondímento della questione sí rímanda a W. Marx, Absolute RefiexîonundSprache, Víttorío Klostermann, Stuttgart 1967, a J.P. Surber, Hegel's Speculative Sen-tence, in «Hegel-Studien», Bd. 10,1975, pp. 211-230 e a G. Wohlfahrt, Der speculatîveSatz, de Gruyter, Berlin-New York 1981. Sulla medesima questione, in lingua italiana, sirímanda a G. Chíurazzí, Teorîe delgiudizîo, Aracne, Roma 2005, pp. 62-72.

^ Per quanto concerne la letteratura sui linguaggio in Hegel si rímanda in primoluogo alla studio esaustivo, che prende in considerazione tutto l'arco delle riflessioniche Hegel dedica al linguaggio, da Jena a Berlíno, di Th. Bodammer, Hegels Deutungder Sprache, Meiner, Hamburg 1969; sempre in prospettiva genérale anche D. Cook,Language în the philosophy of Hegel, Mouton, L'Aia 1973. A partiré dal linguaggio nellaFenomenología, per mettere capo ad una interpretazione del cruciale ruolo e sensodel linguaggio nella fílosofía hegelíana, sí veda J. Simon, Das Problem der Sprache beîHegel, Kohlhammer, Stuttgart 1967 e Id., Sprachphilosophosche Aspekte der neuerenPhilosophigeschichte, in Aspekte und Probleme der Sprachphîlosophîe, hrsg. von J. Simon,Alberg, Freiburgb/München 1974, pp. 31-48. Si veda poi anche il contributo di K.

http://www.fupress.com/adfISSN 0394-5073 (print) ISSN 1824-3770 (online)

© 2011 Firenze University Press

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Fenomenologia dello spirito di Hegel, aU'altezza deUa certezza sensibUe.II sapere che è U primo oggetto del cammino fenomenologico è un sapereimmediato, cioè U sapere deU'immediato: è U sapere deU'oggetto comeessente. Trattandosi di un sapere prediscorsivo, tuttavia, U linguaggio nonpuô non interferiré con queUa certezza, per alterarla e solo cosi verifi-carla: la certezza sensibüe è la figura che viene smascherata e si tradisceproprio perché parla.

Per definiré in prima battuta i Umiti del dominio del linguaggio neUaFenomenologia vale dunque la pena indugiare brevemente su questosmascheramento. DeU'oggetto, infatti, la coscienza dice solo che è. Piùprecisamente, queU'oggetto che è la coscienza lo appeUa come un 'que-sto', di cui essa stessa è ü correlativo in quanto 'questi': un Dieses. A benriflettere, pero, neUa certezza sensibüe c'è già qualcosa di più di quel cheessa dice di sapere: dicendo che 'questo è' ha già messo in gioco moltopiù di quel che sta neUa sua certezza. I due 'questi', infatti, non sonóimmediatamente, ma già di per sé mediati, perché l'io ha la certezza diuna cosa tramite queUa cosa, e la cosa è neUa certezza tramite l'io.

Bisogna dunque prendere in considerazione l'oggetto, e vedere se, di fatto,nella certezza sensibüe esso sia proprio al modo di quell'essenza per cui vienespacciato da quella stessa certezza; bisogna considerare cioè se questo concettodeU'oggetto, cbe ne farebbe l'essenza, corrisponda al modo in cui la presenzadi esso si dà nella certezza sensibüe'.

Nel serratissimo confronto in cui U sapere deUa certezza sensibüeviene a questo punto interrogato socráticamente, la certezza si tradiscerispondendo aUa domanda 'che cos'è ü questo?'. Dato che ü deittico è

Löwith, Hegel und die Sprache, «Neue Rundschau», 76,1965, pp. 278-298; nonché unotra i più recenti contributi dedicati al tema, Hegel and Language, a cura di J.-P. Surber,State University of New York Press, Albany 2006. Per una supervisione bibliográficapiù esaustiva si rimanda a A. Ferrarin, Hegel e il linguaggio. Per una bibliografia sultema, «Teoria», 7, 1987, pp. 139-159; e - per una panorámica più recente - al primocapitolo di M. Campogiani, Hegel e il linguaggio. La città del sole, Napoli 2001.

' L'edizione critica di riferimento delle opere di Hegel è quella dei GesammelteWerke, a cura della Rheinisch-Westfälische Akademie der Wissenschaften e della DeutscheForschungsgemeinschaft, Meiner, Hamburg 1968- (d'ora in poi GW). Per la Fenome-nologia si veda dunque ü t. IX, Phänomenologie des Geistes, a cura di W. Bonsiepen eR. Heede, Meiner, Hamburg 1980, p. 64; per ü riferimento in lingua itaMana si veda laFenomenologia dello spirito, trad. it. e cura di G. Garelli, Einaudi, Torino 2008, p. 71(d'ora in poi FS). Le altre opere hegeÜane sono citate con le seguenti abbreviazioni: ESF =Enciclopedia delle scienzefilosofiche in compendio, in tre tomi a cura di V. Verra e A. Bosi,UTET, Torino 1981-; SL = Scienza della lógica, trad. it. di A. Moni, revisione di C. Cesa(1968), Laterza, Roma-Bari 2008. Ästh, = Ästhetik, a cura di F. Bassenge, Aufbau, Berlin1955; Est. = Estética, trad. it. di N. Merker e N. Vaccaro (1963), Einaudi, Todno 1997.

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l'elemento che defínisce le coordinate spaziali e temporaH di qualcosa inrelazione al parlante, Ü 'questo' si declina come qui e ora. Alia domanda'che cos'è ora' la certezza sensibUe risponderà, se è notte, che è notte,ma, quando si è fatto giorno, 'ora è notte' non è più vero, e anzi quel cheè vero é che 'adesso non è notte', o che 'adesso non è giorno'; l'adesso,rispetto a questo o quel momento li, è una misura negativa, ed è in genéraleun universale che in questa negatività si mantiene: «anche ü sensibUe loenunciamo [sprechen aus] come un universale»"*.

Parlando, non ci esprimiamo affatto secondo quanto intendiamo in questacertezza sensibile. È ü linguaggio, perô, come vediamo, a essere più veritiero: inesso siamo noi stessi a confutare immediatamente ü nostro intendere, e poicbél'universale è ü vero della certezza sensibile, e il linguaggio non esprime chequesto vero, non c'è assolutamente mai la possibUità di dire un essere sensibueper come lo abbiamo in mente'.

Essendo una conoscenza prediscorsiva, la Meynung è inesprimibüe:non esiste un'espressione che possa esserle adeguata. Solo quando essaviene espressa, e perciô stesso alterata, lo statuto del contenuto di coscienzadeUa certezza sensibUe diventa tin sapere deU'oggetto: l'oggetto, da massaopaca, scatola chiusa che era, totalmente altro rispetto aUa coscienza, siaffaccia aUa sua presenza,neUa propria universaUtà, análoga aU'universalitàdeU'io. Il punto è che U Unguaggio parla in termini universali - temáticaquesta che verra trattata da Hegel anche néïi'Enciclopedia. Possiamo bre-vemente richiamarci ad alcune affermazioni tratte da quel luogo al fine didelineare per contrasto ü diverso movimento problemático di cui incedela Fenomenologia e stJ quale qui ci concentreremo noi. Nel compendioenciclopédico il linguaggio è oggetto di trattazione neUa parte dedicataaUa psicología deUo spirito teorético, entro lo spirito soggettivo. L'uni-versaUtà deUa parola, del nome in particolare, è legata qtú aU'universalitàdel pensiero, perché nominare qualcosa è già pensarlo, facendo a menodeU'intuizione sensibUe: «è nel nome che pensiamo»'^. L'universalità pro-pria deUa parola, che richiama ed evoca U pensare, sta in ció per cui laparola costitiüsce di per sé un'emancipazione dal sensibUe; a un secondoHveUo deU'analisi, inoltre, essa promuove, nel genérale movimento unidi-rezionale che procede daUa rappresentazione al concetto, l'emancipazionedaU'elemento rappresentativo^ Nel primo senso la parola si emancipa dal

' GWIX, p. 65; FS, p. 72' Ihid.' GWXX, §462, p. 460; ESF, p. 329.' Per una esposizione più puntúale deU'intero passaggio si rimanda al capitolo

relativo di Bodaminer, Hegels Deutung der Sprache, cit. Per una problematizzazione

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sensibile in quanto parola parlata, cioè segno acústico daUo statuto pecu-Uare. La parola parlata è infatti queU'esistenza che, andando a dissolversinel proprio vibrare sempre più flebile, funziona come segno anche sottoü ríspetto per cui segno non è: il flatus vocis, come il segno, funzionascomparendo. Nel secondo senso, perô, per quanto la sensibilità dñeguineUa perdurante universaHtà del significato, U nome rímane pur sempreuna rappresentazione: «il nome è la Cosa [Sache], quale essa è presente[wie sie vorhanden ist], e ha vigore, nel regno deUa rappresentazione»^.L'elemento rappresentativo ehe affetta il nome è il suo essere, in quantosignificato, una unità di ríferimento astratta e isolata daUe altre. L'ordinedeUa rappresentazione, in tal senso, risente deUe «forme neUe quali l'in-telligenza è intuitiva»', la dimensione deUo spazio e del tempo in cui lecose sono le une accanto aUe altre - dove c'è una cosa non puô esserceneun'altra - e le cose awengono le une dopo le altre - ogni momento 't'esclude gU altrí; il Nebeneinander e il Nacheinander sono le dimensioniche légano le rappresentazioni tra di loro, cioè propriamente l'impensatodel pensare rappresentativo medesimo. La verità dei nomi sarà aUoraneU'insieme del Unguaggio, cioè neUa loro connessione. Quel che rímaneda levare è aUora il coUegamento tra U nome e il proprío significato, cosache awiene in virtù del Gedächtnis, quando la memoria è solo memoría;Tí^'auswendig Lernen, «lo spazio universale dei nomi in quanto tali, cioèdeUe parole príve di senso»'°, il singólo nome è scardinato nel momentostesso in cui il suo concatenamento con gÜ altrí non dipende più dal suosignificato. Paradossalmente, l'operazione meccanica che tiene saldo ilfiuire deUe parole è al contempo la quintessenza del pensiero, ed il pen-siero è ció che tiene uniti i nomi. II passaggio intrínseco daUa inemoríameccanica al pensare è ü momento in cui si estingue ü rímando ogni voltasingólo ad un significato determinato. In questo secondo senso, aUora, èquasi malgré lui che lo spazio delle parole príve di senso, suoni e nient'altroche suoni, promuove il pensare: il sensibile al suo secondo grado, comese bruciasse di autocombustione, è diventato etéreo. II coUegamento trai nomi ha assunto adesso la forma del pensiero, è ü pensiero, che non hapiù un significato neUa misura in cui è il significato. Con la separazionetra nome e significato viene superato l'ultimo residuo rappresentativo

dell'impostazione della questione nel quadro sistemático e la sua differenziazione dallaFenomenologia, si rimanda al primo capitolo di G. Garelli, Lo spirito in figura. II temadell'estético nella "Fenomenologia dello spirito" di Hegel, II Mulino, Bologna 2010. Sulrapporto tra impostazione sistemática e impostazione fenomenologica si veda ancheCook, Language in the philosophy of Hegel, cit., pp. 175-182.

8 G ^ X X , §462, p. 459; E5F, p. 328.' Ivi, §448, p. 444; ESF, p. 300.'» Ivi, §463,p.461;£5f,p.331.

// linguaggio trágico nella Fenomenologia dello spirito di Hegel 59

che ancora recava in sé qualcosa di affíne alia fígurativita deU'immaginee all'ordine del sensibile.

Tornando al primo capitolo della Fenomenologia e al ruólo che vigioca il linguaggio, è vero che anche qui il punto è che il linguaggio parlauniversale, ma si tratta di capire in che senso esso sia «più veritiero» dellaMeynung professata dalla certezza sensibile: dobbiamo chiederci se questacoscienza parli dawero e possa mai dire veramente 'lo'. Questo soggettoridotto ai minimi termini, impermeabile ad ogni esperienza, non è ancoraun lo, e, di fatto, 'lo' non lo dice mai riferendosi a se stesso. II suo 'questoè' è una sorta di balbettio, perché solo 'questo' puó dire e ripetere: lacertezza sensibile non sembra accederé al vero e proprio linguaggio'^ IIpunto è a nostro awiso che il linguaggio defínisce un campo di esperienza.Non casualmente, Hegel conclude dicendo che «la dialettica della certezzasensibile non è altro che la semplice storia [Geschichte] del movimento odell'esperienza che essa fa, e la certezza sensibile è solamente tale storia»'^.Lo statuto della certezza sensibile, per come essa si meynt, è niente, ecosí la prima dialettica legata al linguaggio - ció per cui la coscienza nonpuó dire quel che meynt - è quella che apre questa Geschichte in quantoaccadimento: solo a partiré da qui l'universale e l'individuale entrañoin gioco, e, dacché entraño in gioco, lo fanno nella dimensione dell'ac-cadere e dell'esperienza. La Hnguisticità è qui non tanto o non soltantol'universale rescisso dall'individuale sensibile, quanto la dimensione incui si dà l'accesso deUa coscienza all'esperienza, neU'accadere della qualel'essenza si manifesta. Se il linguaggio non consente di dire «il 'questo'sensibile che si ha in mente», è perché 'questo' non è neanche propria-mente esperibile. AUo stesso titolo, sembra che fín da questo punto sipossa argüiré che, non essendo immediatamente esperibile neanchel'universale, la parola sia il medium in cui esso prende corpo. È in questadirezione che sembra volgere il ruólo del linguaggio nella parte dedicataall'estraniazione dello spirito nel capitolo sesto. Entro la dialettica tra lasostanza e la coscienza, nei termini della quale la coscienza nobile dovràsacrifícarsi alia sostanza, il linguaggio, dice Hegel, «si presenta [tritt auf]nel suo signifícato peculiare»". In un primo senso ció awiene perché quiviene messo a valore l'aspetto immediatamente dileguante della parola.U sacrifício autentico della coscienza è quello in cui essa si esteriorizzapur rimanendo presso di sé, e tale sacrifício è veicolato dal linguaggio,l'elemento in cui l'Io viene preservato, per due motivi tra loro legati. In

" Cfr. Simon, Das Prohlem der Sprache bei Hegel, cit., p. 22, in cui il linguaggioè ciô che «die dialektische Bewegung der "Phänomenologie" in Gang bringt» {ihid.).

'^ GWIX,p.(>&;FS,p.lG." Ivi,p. 276;KS',p. 337.

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primo luogo, nel momento in cui viene enunciato, l'Io particolare comequesto io determinato scompare e ció che si manifesta è la sua univer-salità, che deU'Io è la vera natura e dunque ciô in ctû l'Io permane. Ma,in secondo luogo, la forza di questa permanenza affonda neU'elementosensibüe in ctii ü linguaggio si esprime: la voce come suono. Nel momentoin cui è enunciato, infatti, l'Io viene vernommen, viene cioè percepitoin un modo che è al contempo spirituale. Quando la voce smette dirisuonare, l'esistenza ottenuta daU'io neU'elemento del suono verhallt,düegua, ed è proprio questa la pecuUarità deU'esistenza deU'Io: l'Io esistementre düegua e ü modo in ctii l'Io esiste è questo düeguare. Il significatopecuUare del Unguaggio è dunque legato aUo statuto del suo momentosensibüe. Questo è tuttavia solo un aspetto di ciô per cui ü Unguaggiocompare qui nel suo significato pectiliare. Per trovare l'altro aspetto piùrecóndito è necessario fare attenzione aUe precise parole scelte da Hegelin questa occorrenza: la singolarità per sé essente «tritt in die Existenz»'''nel Unguaggio, ehe è pero «das Daseyn des reinen Selbst als Selbst»".II Unguaggio è dunque una volta Existenz, un'altra volta è Daseyn, cosiehe si puô pensare sia proprio questa duplicità a costituire qui ü suosignificato pectiUare. Per capire la differenza di significato ehe sussistetra i due termini sia lecito mutuare strumentalmente dal senso ehe essiverranno ad assumere neUa Scienza della lógica. Il Daseyn è un termineche ricorre neUa lógica deU'essere, mentre VExistenz compare neUa lógicadeU'essenza e a questo UveUo ne è ü correlato: VExistenz è infatti unadeterminazione deUa riñessione. UExistenz è l'esistenza trasparente, incui Ü fondamento come essenza viene tutto in luce facendosi apparenza(Ü Grund che al contempo si fa Abgrund).

L'esistenza [Existenz] non è qui da prendersi quasi un predicato o quasiuna determinazione dell'essenza, in modo da poter dire con una proposizione:l'essenza esiste, ossia ba esistenza; - ma l'essenza è passata nell'esistenza; questaè la sua assoluta estrinsecazione, al di là della quale l'essenza non è rimasta"".

llDaseyn, per contro, è «bestimmtes Seyn»'^, l'unità sempUce di esseree nuUa che conserva perô entro sé (ü Daseyn è Insichseyn), proprio perchéne è l'unità solo sempUce, tm núcleo di essere non ancora dissodato. È intal senso che ü Daseyn è al contempo Etwas, l'unità positiva essente, ed èdunque come tm involucro, come tina peUe che awolge un cuore di essere.L'immediatezza deU'essere di cui conserva, in via mediata, ü carattere, sta

'" GW'/X,p.276;F5,p.337." Ibid."> GWX7,p.326;i'L,p.541.'' Iví, p. 59; SL, p. 100.

Il linguaggio trágico nella Venomeno\ogia¿e]lo spirito di Hegel 61

proprio in ció per cui quel qualcosa è tin qualcosa, ed in tal senso è unasorta di tinità monadica: differentemente daUe catégorie deU'essenza, chesonó relazione, le catégorie deU'essere non sonó che in relazione. Se üUnguaggio è per un verso solo Ü Daseyn di quel che in esso si esprime, ciósignifica che c'è tina misura in ctû ü linguaggio non esprime Vexprimendum,e questa misura cordsponde a queUa per cui Ü Hnguaggio è linguaggio comeü qualcosa è qualcosa: questa è la misura in cui ü linguaggio è in manierapositiva, ha una trama e una tessitura, una sua pecuUare figura. A differenzadeU'ascesi enciclopédica, in ctii ü carattere dÜeguante deUa parola parlata,cataUzzatore del movimento del pensare e deU'intelaiatura concettuale'^,finirá per ecUssare neUa sua trasparenza la coloritura propda deUa parolain quanto tale, neUa Fenomenologia ü margine rappresentativo-figurativodel linguaggio gioca un ruólo e incarna l'un volto deUa sua dupUcità co-stitutiva. Non sarà un caso se, proprio nel luogo del sesto capitolo in cuiü linguaggio emerge nel suo significato peculiare, cioè la sua dupUcità,Hegel dice che «lo spirito ottiene qui realtà effettiva»''. E non sarà ugual-mente un caso se, ritornando aUa conclusione deUa sezione suUa certezzasensibüe da cui eravamo partiti, ü potere del Hnguaggio di invertiré l'indi-cibüe Meynung viene definito come la sua «natura divina»^". Proprio quelmargine rappresentativo-figurativo, e queUa duplicità, assolveranno unmolo fondamentale neUa sezione stiUa reUgione: Ü Unguaggio, del divino,è propiamente la figura. L'irrompere del Unguaggio definisce dunque uncampo d'esperienza, che si dipana tra quei suoi due versanti che attengonol'uno aU'ordine deUa rappresentazione e l'altro aU'ordine del concetto.Non da tütimo, poiché nel linguaggio si manifesta l'essenza medesima, sipuô concludere che tra quei due versanti, che sono Ü momento estético equeUo speculativo, vive e osciUa anche la vita deUo spirito.

2. Il linguaggio e la figura dello spirito

Potremmo dire che la religione, quale è presentata da Hegel nelcapitolo sette, è la storia di come ü divino è venuto in luce. Proprio

'* SLÜ rapporto tra rappresentazione e concetto si vedano, su prospettive tra loromolto diverse, A. Nuzzo, 'Begriff' und 'Vorstellung', «Hegel-Studien», Bd. 25, 1990 e,di particolare rüievo per quanto concerne ü rapporto tra religione e rappresentazione,P. Ricoeur, Le statut.de la Vorstellung dans la philosophie hégélienne de la religion, inQu'est-ce que Dieu?, a cura di Y. Bonnefoy, Publications des faciütés universitaires Saint-Louis, Bruxelles 1985, pp. 185-206. Sempre con particolare attenzione alla religione, maa partiré dal problema del linguaggio, si veda anche M. Clark, Meaning and language inHegel's philosophy, «Revue philosophique de Louvain», 58,1960, pp. 557-578.^ >' GWIX,p.21(>;FS,p.?>J>l.

2° Ivi, p. 70; Fi', p. 79.

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perché si rende visibüe, la religione è altresí Ü modo in cui la culturaconcepisce la propria relazione con U divino ed in ció prende coscienzadi sé. NeUa misura in cui lo spirito è qui, differentemente daUe fígureprecedenti, autocoscienza, l'opposizione reale di cui era soggetto la co-scienza in quanto tale viene riassunta neUa conoscenza ehe lo spirito hadi sé, neU'elemento deUa rappresentazione, cioè neUa sua stessa figura:divenendo oggetto a sé, l'opposizione reale si riproduce neü'opposi-zione ideale tra quel che lo spirito è e la sua figura. Solo aUa fine di unlunghissimo processo, che è la storia della religione medesima, la suafigura finira per essere perfettamente trasparente a se, U che significache la manifestazione, che aUo spirito è altresí essenziale, almeno fíno aun certo segno ne sarà anche la maschera.

Nella religione, lo spirito in quanto si rappresenta a se stesso è certamentecoscienza, e la realtà effettiva che è racchiusa nella religione è la figura e la vestedella rappresentazione deUo spirito stesso. In questa rappresentazione, perè, nonviene fatta giustizia alla realtà effettiva, che avrebbe il diritto di non ridursi a unaveste, e di essere invece libera esistenza autónoma; [...] Per esprimere appuntotaie spirito, anche la sua figura non dovrebbe essere altro da esso, e lo spiritodovrebbe manifestarsi - ossia dovrebbe essere effettivamente - [erschienen oderwirklieb seyn] cosí com'è nella sua essenza^'.

In tal senso la via rappresentativa deUa conoscenza del divino, lavia religiosa che è la via artistica, si contrappone aUa via concettuale inquanto via deUa perfetta trasparenza. È per questo che la rappresenta-zione del divino è altresí, del divino, U simbolo, la fígura concreta in cuiesso ha U proprio Daseyn ma che al contempo rimanda al divino neUasua verità. Lo spazio in cui la rappresentazione, pur tendendo ad esso,vi si contrappone, è ció in cui si consuma l'ingiustizia necessaria sia neiconfronti del reale, che non dovrebbe essere una veste, sia nei confrontideUo spirito, che è più e meno che fígura, e che tuttavia deve consegnarsiad essa «per manifestarsi cosí com'è neUa sua essenza». Non bisognatuttavia dimenticare che, neUo stesso momento in cui non coincide pie-namente con la sua manifestazione, lo spirito acquisisce verità solo nelmovimento di queUa manifestazione medesima: la reUgione è la «realtàeffettiva esistente [die daseyende Wirklichkeit] di tutto lo spirito», che «ésolamente in quanto movimento di questi suoi lati, che opera differenze eche ritorna entro di sé»^ .̂ Dacché siamo neUa religione, dunque, in cui lospirito è autocoscienza, esso conosce sé come totalità, e come una totalitàche è individúale universale: «lo spirito discende daUa sua universaUtà

X, p. 365; F5, p. 447.Ivi, p. 366; 55, p. 447.

// linguaggio trágico nella Fenomenologia dello spirito di Hegel 63

aUa singolarità, attraverso la determinazione»^^. Questa determinazionenon è nient'altro che la sua figura.

Nella sezione introduttiva del capitolo sette la lunga storia deUareligione viene suddivisa in tre grandi momenti: la reUgione naturale, lareUgione artistica e la reUgione rivelata. Se neUa príma il divino acquisiscela figura di un oggetto immediato, neüa seconda il soggetto si eleva aUaforma del Sé, il quale si riconosce in un oggetto in grado di produrrequeUa forma medesima. Soltanto neUa reUgione rivelata lo spirito giungealia propria figura vera, cioè la figura in cui esso si dà come è in sé e persé, per quanto il margine di carattere figúrale sia ancora ció che separalo spiríto da se stesso: questo margine è precisamente il portato rappre-sentativo. Solo neUa forma del concetto lo spiríto si conosce secondo lospirito: Ü concetto ne è «l'essenza non figurata [ungestaltetes Wesen]»^'*,Tunica che non lo tradisce più.

Nella prima forma della religione naturale lo spirito è in primaistanza soltanto concetto, «la notte deU'essenza» grávida del «misteroCreatore deUa sua stessa nascita»^': è la destinazione fatale deUa sua stes-sa rivelazione. Ma la prima forma in cui lo spirito sa se stesso è queUadeU'oggettività immediata, affine aU'oggetto deUa certezza sensibüe, dicui non si puó dire niente e che rimane sostanzialmente inconoscibüe.Ugualmente, la prima figura deUo spiríto è una figura senza figura {dieGestalt der Gestaltlosigkeit), è «l'essenza luminosa deU'oriente, che con-tiene e ríempie tutto, e che si mantiene neUa sua sostanziaUtà priva diforma»^^. Qui la luce^^ si propaga e palpita senza posa, ülumina le cosesenza alterarle e vi si sofferma senza alterare sé: essa non patisce ancorain sé ü momento deUa differenziazione, la vera e propria soggettività.

" Ibid.; FS p. 447'" Ivi, p. 369; FS, p. 452.'' Ivi, p. 370; FS, 454'' Ibid.'̂ Gli interpreti collegano generalmente ü culto deU'essenza luminosa di cui qui

tratta Hegel alla religione persiana di Zoroastro; ü riferimento alia luce, altresl, sembrarichiamare, Ü che non sarebbe privo di significato, anche la religione di Israele. Se laprova ex post puô avere in tale contesto una qualche cogenza, è proprio tramite il rife-rimento al luminoso che, nelle più tarde lezioni di filosofía della religione, Hegel pensaü divino di Israele: «la luce è la tua veste, che tu indossi» recita rivolgendosi al Signoreü salmo 104 da Hegel richiamato (cfr. Id., Lezioni di filosofia della religione II, trad. it.e c. di R. Garaventa e S. Achella, Guida, Napoli 2009, pp. 60 sgg.). Tra gli interpreti,propendono decisamente per questa ipotesi W. Jaeschke (cfr. Id., Die Vernunft in derReligion, Frommann-holzboog, Stuttgart, pp. 212-214) e H.S. Harris (cfr. Id., Hegel'sPhenomenology of Religion, in Thought and Faith in the Philosophy of Hegel, a cura diJ. Walker, Kluwer, Dordrecht 1991, pp. 88-95); in lingua italiana l'ipotesi è presa inconsiderazione anche da M. Pagano, Hegel. La religione e I'ermeneutica del concetto,Esi, Napoli 1992 (pp. 120-121).

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Quel che intéressa è la signifícativa conclusione che suggeüa il momentoaurorale in cui lo spirito viene in luce come luce. In primo luogo questavita cangiante, «che si limita a sorgere senza tramontare entro se stessa»^^,deve determinarsi come un essere-per-sé: è in tal senso che questo secondoversante non potra coincidere immediatamente con il suo essere-in-sé;affínché la sostanza volga verso una prima forma di soggettività è dunquenecessaria una certa scissione e, a partiré da qui, l'essere oggettivo in cuisi estrinseca lo spirito avrà un signifícato simbólico e la forma del Sé. Insecondo luogo lo spirito passa a sapere se stesso nella forma del Sé, e puósapersi solo in virtù di questa opposizione che gli è nata in seno. Per ilterzo e più importante punto citiamo direttamente Hegel:

La luce pura rifrange la propria semplicità moltiplicandola in tin'infinitàdi forme e si offre in sacrificio all'essere-per-sé, in maniera taie che, nella suasostanza, il singólo venga ad assumere sussistenza '̂.

Se con questo passaggio Hegel preannuncia già l'essere-per-sé cheemerge nella religione artistica, possiamo dire che il percorso stesso dellafígurazione dello spirito, al termine del quale esso si saprà nella formadel Sé, è concepito in quanto sacrifício.

Dopo la religione dei fíori, prendendo le mosse dalla religione deglianimali, nasce la fígura deU'artefíce, il quale prefígura l'arte vera e propria.Con l'artefíce la fígura del divino si fa opera, TEXVT], artifício: um figurache è dinchtfictura. ha figuralitas che progressivamente si esprime neUafattura dell'opera sembra qui riassumere in nuce le plurime valenze delconcetto prima classico e poi propriamente cristiano di figura^°. A partiréda qui l'opéra costituisce il perno di una triangolazione tra l'umano e ildivino in cui si gioca un riconoscimento bilaterale: la misura in cui Tar-tista/produttore si riconosce nella propria opera coincide con la misurain cm essa è figurazione adeguata del divino, quella in cui il divino puôriconoscere se. Il problema, pero, è che ogni opera, neUa sua fatticità,costituisce perció stesso un'alienazione della soggettività che ad essa ha

«̂ GIFIX, p. 371; F5, p. 455.2' Ivi, p. 372; F5, p. 455.'" Si veda per questo il classico saggio di E. Auebarch, Figura, in Id., Studi su

Dante (1964), trad. it. di M.L. De Piri Bonino, FeltrineUi, Milano 2001, pp. 176-240.Non è possibile sviluppare qui la possibile utOità del concetto cristiano di figura per lacomprensione dello statuto e del ruolo della Gestalt religiosa nella Fenomenologia, mavalga la pena notare che non solo la Gestalt è tendenzialmente figura nel senso che ataie termine attribtaiva la classicità latina, materia disegnata, compenetrazione di formae contenuto, nonché fictura come copia sensibile necessariamente faUace, ma anche nelterzo senso storico-religioso, dove la figura è ciô che suscita e prefigura l'incarnazione,trovando in essa il proprio compimento.

Il linguaggio trágico nella Fenomenologia ¿dio spirito di Hegel 65

dato vita: come veniva detto neUa sezione suUa frenologia «l'individuaUtàche si affida agU elementi oggettivi, diventando opera, si espone ad esserealterata»". Nel rapporto che l'agente intrattiene con la propria opera sidà quindi un momento negativo che Topera in quanto cosa positiva non èin grado di incamare in sé e restituiré. II ptmto aUora è che, come ristütadaUa sezione dedicata a autonomia e non autonomia deUa coscienza, «ürapporto negativo verso l'oggetto» deve diventare «forma deU'oggettostesso»'^. Nel momento in cui ü rapporto negativo verso l'oggetto si faforma deU'oggetto medesimo questo restituirá Ü momento negativo delfare coscienziale cosí come ü momento negativo del divino, diventandonefigura adeguata.

II primo lavoratore spirituale, perô, è un Werkmeister che lavora inmaniera istintiva. L'artefice prende in prestito e approfitta deUe formegeometriche naturaU per conferiré loro una inteUigibuità rarefatta eastratta, ma una forma del genere «non è in se stessa ü proprio significa-to, non è Ü Se spirituale»". Anche quando piega e forza ü naturale aUospirituale, mescolando le forme vegetali a queUe umane, l'aspetto esternodeU'opera, più che esprimere lo spirito, ne è una sorta di scorza, non neè che l'involucro, die Hülle: l'aspetto artificiale, künstlich, è ancora em-brionale e perciô non ancora compiutamente künstlerisch. Dipendendoancora deU'elemento naturale esterno, ü negativo deUo spirito è presenteneUa sua figura solo come mancanza dupUce: è ü rapporto negativo tral'in-sé lavorato e ü per-sé del lavoratore spirituale, che neU'opera nonpuô riconoscersi, e il rapporto negativo tra la forma deU'opera e Ü suosignificato, che al momento la trascende.

AU'opera mancano ancora la figura e l'esistenza determinata in cui il Seesiste in quanto Se; a mancarle è ancora questo: l'intrinseca capacita di enun-ciare [aussprechen] O proprio racchiudere un significato interiore; le manca illinguaggio, l'elemento in cui è presente il senso stesso cbe la riempie'''.

" GWIX, 179; FS, p. 218. È da rüevarsi, tuttavia, che solo dopo ü período jenese,a partiré daü'Encíclopedía di Norímberga del 1808, quando ü movente storíco-fOosofícodegli anni precedenti viene soppíantato da quello sistemático cbe preannuncía gíá letre versíoní del compendio enciclopédico, la fínítudíne díventera íl límite costítuívo eínsopprimíbile deU'opera, una sorta di sua malattía originaría (cfr., iví, §§203-206 ínparticolare); dal cbe, negli anni '20 e '30, a rístjltare problemática sarà la stessa coUoca-zíone sistemática dell'arte: per quanto venga concepita come la prima forma in cui lospirito assoluto è oggetto a se stesso, dato ü límite originado che è la sua fínítudíne, essanon dovrebbe poter esprímere che lo spirito fíníto. Cfr., su questo, P. D'Angelo, Hegele l'estetíca, ín Hegel: guîdastorîca e crítica, a cura di P. Rossi, Laterza, Roma-Bari 1992,pp. 120-151, in particolare pp. 142-145.

'2 GW/X,p. 115;Fi'p. 135." Ivi, p. 373; F.S, p. 457.'" GWIX, p. 375; F5', p. 459.

66 Eleonora Caramelli

Finché non parla, infatti, ü senso deU'opera è in balia deUa natura,e ü suo Sé è solo esteriore. Anche quando tutto ü senso deU'opera stanel custodire ü Sé nel proprio interno, come nel caso deUa pietra ñeracon cui Hegel sembra aUudere aUa pietra ñera de La Mecca, o meglioaü'omphalos di Delphi^', l'involucro, ü cui único senso è queílo di «darsegno d'avere un interno», di queU'interno è al contempo la prigione,ü segno la ctii fatticità non ha senso alcuno, «ü guscio inessenziale»'^.II margine simbólico si assottigUa solo quando Topera, plasmata neU'e-lemento del linguaggio, enuncia da sé ü proprio significato, e con ció üproprio interno; nei termini deH'Estetica, sarebbe questa Topera d'arteideale. Se ü linguaggio, inoltre, è al contempo Telemento in cui è presenteü senso stesso che la riempie, dobbiamo intendere che solo nel Unguaggioü rapporto negativo che sta fuori daU'opera ne diventa ü contenuto, ragionper cui «Topera non costituisce per sé Ü tutto effettivamente animato,bensi è un tutto soltanto insieme al suo divenire»".

Procedendo ancora nel percorso deUa reUgione, solo lo spirito artistaè coltii che sa sé neUa propria opera. I tre momenti in ctii è suddivisa lareUgione artistica - Topera d'arte astratta. Topera d'arte vivente e Toperad'arte spirituale - riproducono parzialmente la problemática triangolazio-ne che fa perno suU'opera a partiré daUa statuaria, la pdma opera d'arteastratta in cui lo spirito si spogUa deUe sue vestigia naturali e diventa unasingolarità üluminata daUa coscienza. «L'inquietudine propria deU'in-finita singolarizzazione»'^, tuttavia, non è per questo eliminata, bensirimane esterna all'opera, poiché la statua è pur sempre una cosa finita.Nuovamente, ü momento negativo è dislocato neU'autocoscienza e nelrapporto che essa intrattiene con la propria opera: è TineguagUanza traTautocoscienza deU'artista e Topera da ltii prodotta; essa non gli restitu-isce la sua immagine quando vuole rispecchiarvisi e suscita per giunta ütributo gioioso e dunque equivoco dei molti, i quaU non sanno ü travagliodel suo parto, che rimane cosa morta e non gli accresce la vita. Dopo averprovato a mettere se stesso al posto deUa statua neU'opera d'arte vivente,la corporeità beUa in ctii Tuomo fa festa aU'uomo ma in cui tuttavia lospirito è fuori di sé, Telemento superiore in ctii Topera deve esistere ènuovamente ü Hnguaggio, Túnico elemento in cui Topera diventa figura,per due ordini di ragioni che Hegel enuclea neUa rassegna deUa religioneartistica. La prima è che ü Hnguaggio è Tesistenza in cui la singolarità ègià universaHtà e in ctii ü permanere è sempre un dissolversi, cosí che solo

"L'argomento è sostenuto da Wohlfahrt, Der speculative Satz, cit., pp. 109-110." GWIX, p. 315; FS, p. 459." Ivi, pp. 379-380; Fi', p. 465.'* Ivi, p. 379; Fi', p. 464.

Il linguaggio trágico nella Fenomenologia dello spirito di Hegel 67

in esso l'artista puô riconoscere U momento negativo del proprio fare,trovando queUa comunione che la statua nega al suo autore. La secondaè che solo il Unguaggio è l'elemento in ctii l'interno è uguale all'esterno,essendo quest'tütimo nient'altro che enunciazione del primo: ü linguaggioè «l'elemento perfetto in cui l'interiorità è esteriore quanto l'esterioritàè interiore»'^. La fígura del divino sarà a questo punto espressa nel lin-guaggio deU'opera d'arte spirituale, nei cui tre momenti - épica, tragedia,commedia - si dipana il divenire deU'opera neU'opera d'arte medesima,cosí che U fare artistico possa infíne coincidere con l'autore di quel fare.

Gli spiriti dei popoli che divengono coscienti della figura della propria es-senza in un animale particolare vengono ora a confluiré in un unico spirito, cosígli spiriti beUi particolari, propri di ogni popólo, si unificano in un pantbeon, ilcui elemento e la cui dimora è costituita dal linguaggio''".

Solo U divino che esiste nel linguaggio è un divino divenuto univer-sale. Il fare artistico si eleva daU'opera singóla e cósale aUa rappresenta-zione del divino neUa sua totaHtà: è il mondo tutto intero che neU'epicasi dispiega.

L'esistenza di questa rappresentazione, ü linguaggio, è il primo linguaggio,l'epos come tale, che include il contenuto universale, inteso almeno come com-pletezza del mondo, ancorché non come universalitá del pensiero''^

II cantore épico canta le sue storie per dissolversi in esse, la sua par-ticolarità e la sua personalità non emergono mai nel racconto a filtrarnegiudizi e prospettive. A mediare tra la particolarità del narratore e il divinodi cui racconta U mondo c'è l'eroe, l'individuaUtà universale, cosí che inquesto epos «si presenta [stellt sich dar] in genérale aUa coscienza [...]U rapportarsi del divino aU'umano»''^ Se prima l'artista, neUa fígura deldivino, provava ad oggettivare U proprio fare, adesso è U fare medesimo inquanto rapporto tra umano e divinó a diventare oggetto deUa rappresenta-zione. L'agire deU'individualità eroica, infatti, è U risultato deU'interazionetra U contributo umano e il contributo divino. U problema deU'epicaè perô proprio la rappresentazione deU'azione neUa sua intersezionepuntúale tra U lato ddl'individuale e il lato deUa potenza sostanziale cheanima l'atto. Se l'azione fosse il frutto esclusivo deU'individualità agente, ledeità si rivelerebbero entità superflue, ma se fosse animata esclusivamentedaUe potenze divine si rivelerebbe tremendamente inutüe ü doloroso

" Ivi, p. 388; FS, p. 475"» Ibid."' Ivi, p. 389; FS, p. 476"2 Ivi, p. 390; FS, p. All

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travagUo deU'uomo che sa di dover agire. La narrazione épica scivolainconsapevole sul filo di questo rasoio, attribuendo in maniera casuale lamatrice deü'agire ora aU'ordine deU'umano ora aU'ordine del divino, cuiTindividuaUtà sembra solo cucita addosso. In questo modo si ríproducenuovamente un margine di negatività reale che rimane estraneo aUa con-figurazione deU'opera e al suo principio narrativo; tale margine, tuttavia,si insidia inconsapevolmente neUa narrazione ó come incoerenza internao attraverso Tombra deU'ineluttabüe crepuscolo cui tutti i personaggi, intutte le loro vicende, sono votati senza poter sapere perché.

II Sé universale fluttua sospeso al di sopra di loro e di tutto questo mondodella rappresentazione, alia quale appartiene la totalità del contenuto; esso è comeil vuoto privo di concetto della nécessita; un accadere nei confronti del qualeil comportamento degli dèi è improntato alla mancanza del Sé e aU'afflizione''\

Bisogna vedere come questo margine di negatività compenetri e in-formi di sé la rappresentazione trágica in quanto Unguaggio più elevato:«ü contenuto, che prima era lasciato a se stesso, deve ottenere in sé lacertezza e la salda determinazione del negativo»''''.

In ultima battuta, prima di procederé aU'analisi dd Unguaggio trági-co, dobbiamo pero richiamare quanto Hegel afferma neUa conclusionedeU'introduzione aUa sezione 'B) La religione artistica'. II culmine delpercorso in ctai Topera si rende indipendente, parla da sé e si ía. figura ditutti i momenti deUo spirito, «è la notte in cui la sostanza fu tradita e sifece soggetto»'". Se si tratta di un tradimento è perché sotto le spogUedeUa fedeltà, deU'adeguazione più commisurata, si cela ció per cui Topera,lungi dal veicolare Tunificazione e ü riconoscimento tra lo spirito e la suafigura, trâ Tindividuo e la sua opera, Tindividuo e la sostanza, finirá peressere ü medium che produce la separazione di tutti i fronti: si ricorderàaUora che la separazione è, per un verso, proprio ü portato efíettivo everitiero deUa Vorstellung in quanto tale.

3. La rappresentazione trágica e il destino nella rappresentazione

Se U rapporto tra umano e divino, neU'epica, è mediato daUa figuradeU'eroe neU'orizzonte dispiegato del mondo, ma ü momento negativopartecipa al punto subUme deU'azione solo come contraccolpo non volu-to, ü fulcro deUa tragedia in quanto dramma è l'azione per come essa è inverità, in tutta la sua complessità. La tragedia «riunisce più strettamente

"' Ivi, p. 391; F5, p. 479."" Ivi, p. 392; FS, p. 479."' Ivi, p. 377; Fi, p. 462.

Il linguaggio trágico nella Fenomenologia dello spidto di Hegel 69

i momenti dispersi del mondo deU'essenza e del mondo dell'azione»''^.Nel suo contenuto narrativo «la sostanza del divino si viene disgiungen-do [tritt auseinander] nelle sue fígure secondo la natura del concetto»''^Quel che è da sottolineare, pero, è che l'accento non deve cadere solo sulcontenuto narrativo, ma anche suUo statuto stesso del linguaggio trágico;esso è da coUocarsi nell'interezza del percorso in cui Topera è ció in cuiil divino prende coscienza di sé nel momento in ctii lo fa anche l'umano,percorso nel quale la tragedia è «il linguaggio più elevato»''^. Se persinoil movimento delle fígure del divino «è altrettanto conforme al concettostesso», ció signifíca che lo statuto stesso della tragedia in quanto operaè quel che media tra l'essenza che in essa si dà fígura e il fare artisticoormai equivalente all'agire in genérale. Adesso, fínalmente, nell'opera èpresente «il senso stesso che la riempie», cosí che Topera, riproducendole scissioni della sostanza secondo la natura del concetto, contribuisce acompiere quel senso proprio rappresentandolo.

In primo luogo dobbiamo chiarire in che modo la tragedia riassumein,sé tutti i momenti precedentemente dispersi.

Là dove l'eroe épico è oggetto di un racconto in cui fínisce per esserein baÜa delle vicende che gli occorrono come le fogÜe in balia del vento,dal che deriva la desolata tristezza che gli presagisce una fíne précoce,Teroe trágico è consapevole di se stesso, del proprio diritto e del propriofíne; soprattutto, è egli stesso a parlare in prima persona e ad enunciarsi,cosí che già per questo è lo speculare dello spirito artista che ad esso dàvita: è artista egli stesso. Se Teroe trágico, come Teroe épico, non dispo-ne di una vera e propria interiorità è solo perché la enuncia, e parlandoesterna cosí la propria essenza interiore. Su questa linea vengono quiriprese per altro verso le riflessioni suUa tragedia della sezione dedicataaUo spirito vero, in cui la dialettica deU'etico incorpora quasi letteralmentele vicende de I sette a Tebe, Edipo re e Antigone. Se lí la coscienza etica«è essenzialmente carattere»'*', ció per cui Tindividuo concepisce sé apartiré dall'appartenenza immediata aU'una delle due leggi etiche, ü chefaceva la sua catastrofíca unilateralità'" e il suo minus di individualità, la

"' Ivi, p. 392; FS, p. 479."' Ihid."« Ihid"' Ivi, p. 252; FS, p. 308.'" SuU'unilateraHtà del pathos trágico, incarnato in particolar modo da Antigone, si

veda P. Vinci, LAntigone di Hegel, in Antigone e la filosofia, a cura di P. Montani, Don-zelli, Roma 2001, pp. 31-46, in cui si rileva come il limite di Antigone sia quello di nonriuscire a passare dalla negazione dell'altro al suo riconoscimento, ciô per cui eHa nonsa assumere su di se la differenza in cui è incappata e che nondimeno le è propria, cosíche il suo essere pathos incarna i limiti del Sé greco in genérale. SuUa figura di Antigone

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caratteriaUtà, in quanto consapevolezza autónoma e entmciantesi, cioèin quanto pathos, è vista ora come un plus di universaUtà. In tal senso,inoltre, Teroe trágico ha anche le fattezze di una persona reale, ed in cióriassume su di sé ü momento deU'arte vivente: egU è infatti Tattore, Tuomoeffettivo che indossa la maschera e parla dawero; Teroe trágico è unafigura plástica", una sorta di ideale vivente e parlante, «la figura generatadal concetto [die aus dem Begriff erzeugte Gestalt]»^^, in cui Tinterno èuguale aU'esterno, in cui la particolarità è già universaUtà.

La tragedia in quanto opera d'arte riunisce in se anche gU altri mo-menti in virtù di ctii un'opera è figura, i momenti che abbiamo messovia via in luce nel parágrafo precedente: ció per ctii ü rapporto negativodiventa ü suo contenuto, ció per cui essa ha in sé Ü senso ehe la riempieed è infine Topera insieme al suo divenire. Ricomponendo in sé tuttiquesti momenti, lo statuto di quest'opera è anche la completezza: latragedia rappresenta tutto sotto tutti gli aspetti e i rispetti. In tal senso,se prendiamo ad esempio la diade che si dà tra ü coro e la coscienzaagente, ü rapporto con ü divino viene rappresentato sia nel suo versanteastratto sia nel suo versante reale. Il coro, infatti, si rivolge a e immaginaü divino in una sua figurazione inadeguata e posticcia, mentre Tazione eTinterazione reale con esso viene portata a compimento daU'eroe.

II versante deU'universale astratto sui quale Teroe si stagUa e spicca,ü coro, sa di un sapere rappresentativo Ü cui contenuto è «privo delSé e abbandonato aUa disgregazione [auseinandergelassen]»^^. II coroè ü rappresentante del volgo, ü gemeines Volk ü cui essere gemeinsamè la ristiltante di un aggregato più che l'espressione di una universaUtàfondata e mediata. Questo volgo è dunque come ü positivo morto cherigetta ü negativo e che, per ció stesso, non sa penetrare né tantomenotenere insieme le plurime manifestazioni deUa «variopinta pienezza deUa

nell'opera del 1807 sí veda anche G. Severíno, Antígone nella Fenomenología dí Hegel,ín «Giornale crítico della fílosofía italiana», 1971, pp. 83-100. Una prospettiva síngolaresulla ríflessione che Hegel dedica ad Antígone è queÙa dí H-C. Lucas, Ztoíschen Antígoneund Christiane. Dîe Rolle der Schwester în Hegels Bîographîe und Phîlosophîe, «Hegel-Jahrbuch», 1984/1985, pp. 409-442, mentre suU'ínterpretazíone hegelíana déü'Antígone

• cfr. anche M. Nussbaum, Lafragílíta del bene (1986), trad. it. dí M. Scattola, II Mulino,Bologna 1996, pp. 157 sgg; suU'íncorporamento della vícenda trágica neU'andamentofenomenologíco d'obblígo anche ü rimando a G. Steiner, Le Antígoní (1984), träd. it. díN. Maríní, Garzantí, Müano 1990, pp. 35-42 in particolare.

" Ne]['Estética Hegel dirá infatti che «le fígure tragíche dí Sofocle sono dótate divítaÜta, e possono essere compárate, nella loro plástica conchíusone, aUe ímmagíní dellascultura» (Ästh., p. 254; Est., p. 268).

" GWIX, p. 392; FS, p. 480." Ibîd.

// linguaggio trágico nella Fenomenologia dello spirito di Hegel 11

vita divina»'''. Cantando le lodi deUe divinità come se ognuna fosse solae separata daUe altre, ü coro, anziehe ricomporre nel discorso la poten-za manifestatrice del divino, lascia che quelle immagini scoloriscano e«vadano disperdendosi [laufen auseinander]»^^, aUontanandosi sempredi più le une daUe altre.

II rapporto negativo reale è preparato e messo in scena a partiré daUemoltepHci scissioni che la tragedia rappresenta. Si tratta qtú deUa scissionedeUa sostanza secondo ü contenuto - Ü diritto umano e ü diritto divino - edeUa scissione secondo la forma - ü sapere e ü non sapere. È su questescissioni che era imperniata la dialettica trágica deUa sostanza e deU'indi-viduaHtà etica neUa sezione 'A) Lo spirito vero' del capitolo sesto. Dacchéla sostanza etica si suddivideva in due masse, afferenti Tuna aU'ordinedeU'umano, Taltra aU'ordine del divino - l'ordine del noto e l'ordine deUaVerborgenheit -, la sostanza diventava «un'entità dupHce [das Zwiefacbe]>P^,in cui Ü lato manifesto e visibüe rendeva invisibüe ü lato sottostante ma adesso inscindibümente legato: ogni lato conteneva dunque tutta Teticità, ma,di volta in volta, sempre con una parte interiore, un lato interno, come idue volti di un medesimo corpo, Tuno rivolto aU'esterno, l'altro aU'interno.Essendo gH individtii etici Ü Gegenschein deUa sostanza, ogni individuorifletteva soltanto una faccia, e soltanto una faccia vedeva; nessun individuosapeva la loro inscindibÜe unità, ed è questo ü margine di non sapere chepermea e struttura ogni coscienza etica in quanto taie. Sebbene ü divinofosse per essenza ü reale in quanto nascosto e ignorato, anche coloro cheriflettono Ü lato luminoso di quel che è di pubbHco dominio ignorano tinaparte per struttura, e in questo modo ogni coscienza etica era insieme disapere e non sapere. NeUa trattazione coUocata nel capitolo settimo Hegelci dice che ü Hnguaggio trágico rappresenta anche la scissione del sapere,poiché al sapere e al non sapere conferisce tin rispettivo volto e una fisio-nomia: «l'una individuaHtà riceve la figura del dio che rivela; Taltra queUadeU'Erinni che si mantiene nascosta»". In realtà tra i due termini se ne dàtin terzo, la terza divinità che è Zeus, «la nécessita del rapporto reciprocotra i due lati»'*, ma su questo torneremo più avanti. Ora, cosí esposte tuttele dicotomie in gioco, la tragedia mette in scena quel che aU'epica nonriusciva di raccontare, cioè l'azione neUa sua verità e secondo ü concetto.L'azione trágica dischiude le antitesi, sia queUa deUa sostanza in quantoimmediata, sia queUa deUa coscienza tra sapere e non sapere.

'" Ibid." Ibid.'' Ivi, p. 241; Fi', p. 291." Ivi,.p. 394; FS, p. 484.'« Ibid.

72 Eleonora Caramelli

II diritto deU'eticità [...] sperimenta che il suo sapere è unilaterale, che lasua legge è legge solamente del suo carattere, e sperimenta anche di aver afferratosolamente una delle potenze della sostanza. L'azione stessa è questa inversionedel saputo nel suo contrario, nell'essere, è ü ribaltarsi del diritto del carattere edel sapere nel diritto di ció che è opposto".

Sul signifícato deU'azione etica come azione trágica Hegel si eraconcentrato neUa sezione 'b) L'azione etica, U sapere umano e U saperedivino, la colpa e U destino' deUa parte dedicata aUo spirito vero ctuabbiamo sopra accennato. NeUa misura in cui la sostanza etica comeZwiefache era grávida di lati interni e ineffettivi, l'azione era ció che me-diava e verifícava la sostanza insieme aUa coscienza: stringendosi «in legacon la verità, contro la coscienza», l'azione «esibisce a quest'ultima checosa sia la verità»^°. L'azione rovescia l'interno e ne fa un esterno, rendeeffettivo ció che non lo era del tutto, rende visibUe ció che prima erainvisibUe. L'individuo etico, pur agendo in ossequio a una sola deUe dueleggi, queUa a lui visibUe, reaUzza infatti la sostanza neUa sua interezza: idue lati non erano che l'uno U volto deU'altro. In secondo luogo, agendoe realizzando la scissione deUa sostanza, egU vede queU'unità che primanon sapeva: l'atto che reaHzza la verità deU'etico realizza al contempo laverità deUa coscienza, che era scissa quanto lo era la sostanza. Quel cheHegel sottolinea di questo rapporto nel capitolo settimo è U signifícatodeU'azione in rapporto aUo statuto deUa tragedia in quanto «linguaggiopiù elevato»^^ Se l'azione è ció che rovescia l'ineffettivo in effettivo,i'interno in esterno, l'invisibUe in visibUe, quel che U linguaggio trágicosembra rappresentare, unico fínora a poterlo fare, è proprio Ü modo in cuisi manifesta la sostanza medesima. II ribaltamento operato daU'azione nonè forse anche U modo in cui la divinità si manifesta? Il risultato deU'azionetrágica, ció per cui essa rivolta la sostanza neUa sua immediatezza e portatutto aUo scoperto, è anche ü modo in cui si manifesta U divino, cui Ulinguaggio è essenziale. E proprio nel linguaggio e tramite il Unguaggioche U divino si manifesta. Ció che viene messo in scena nel momento incui si succède è U farsi deUa vita divina.

Questo destino porta a compimento lo spopolarsi del cielo, quella com-mistione tramite cui O fare deU'essenza appare tm fare incoerente, accidéntale,indegno di sé; infatti, aderendo solo superficialmente all'essenza, l'individuaUtà

" Ivi, p. 384; F5, p. 484.'° Ivi, p. 255; F5, p. 312." StaUa coappartenenza di azione e linguaggio cfr. anche Wohlfahrt, Der speculative

Satz, cit., p. 161 e sgg. StjUa struttura deU'agire per come in genérale viene trattata neUaFenomenologia, e non solo, si veda F. Menegoni, Soggetto e struttura dell'agiré in Hegel,Verifiche, Tremo 1993.

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è inessenziale. La cacciata di simili rappresentazioni prive di essenza, che ve-niva sollecitata da alcuni filosofi deU'antichità, incomincia in genérale già dallatragedia, perché in essa la suddivisione della sostanza è dominata dal concetto,per cui l'individualità è essenziale, e le determinazioni sono i caratteri assoluti*^.

L'opera, nelTelemento del linguaggio trágico, esprime e compiein sé ü modo in cui accade la manifestazione del divino, diventandouna sorta di Unguaggio al secondo grado: è questa la ragione per cuineU'opera è presente ü senso stesso che la riempie, ed è Topera insiemeal suo divenire. Più precisamente, se queste due funzioni, insieme aUacompletezza che abbiamo visto prima - ció per cui la tragedia esprímeanche la diade tra la rappresentazione del non sapere del coro e Tidealevivente e parlante deU'eroe - sono le caratteristiche déXa figura, ü lin-guaggio trágico è Xa figura del divino. Questa è la valenza che costituisceÜ fulcro deU'esperienza deUo spettacolo trágico che si dipana dinanziaUo spettatore, e non tanto la paura e la compassione, reazioni che Hegelrelega aU'insipienza del coro, nel cui discorso «esÜe e tranquiUizzante»si cristaUizza la paura per ü destino deUe figurazioni del divino, che Üconcetto «riduce in frantumi»^'. L'importante è dunque che, di fronteaUo spettatore, U cui punto di vista Hegel ha cura di chiamare in causaa più ríprese, si dispiega lo spettacolo dé^a figura del divino; l'elementodel linguaggio trágico riassume in sé tutto ció che, neUe figurazioni e neiUnguaggi precedenti, aU'opera rimaneva esterno: Ü soggetto reale ha difronte a sé una figura compiuta. Ma come fa quest'opera divenuta selb-ständig, poiché non c'è niente che non rifletta entro sé, a tenere insiemetutti questi piani? Quale specchio puó riflettere in tutte le direzioni? IIpunto è che tale riflessione è per Tappunto solo uno spettacolo, è solo unartificio, e c'è anche qualcosa, come subito andremo a vedere, che essanon riflette, qualcosa che ü Unguaggio trágico non dice.

Per capire cosa sia questo punto cieco, che coincide con U puntodi vista deUa rappresentazione, dobbiamo concentrarci sul ruolo che üdestino gioca neUa tragedia. Abbiamo detto che la dupUce scissione intutte le sue forme, tra sapere e non sapere, tra la divinità manifesta e leErinni che attendono in agguato, tra legge umana e legge divina" viene

, p. 396; Fi, p. 485.« Ivi, p. 393; Fi, p. 480." Nella contrapposizione tra le leggi, che sono come due livelli di esistenza di cui

la coscienza non sa l'intima unità, «dal punto di vista dell'agire, alla luce del giorno,v'è soltanto un lato, quello della decisione in genérale; ma quest'ultima, in se, è quelnegativo che contrappone all'agire - che è il sapere - un'alterità che gli è estranea» {GWIX, p. 255; FS, p. 255) - è questo il caso di Edipo, il quale non sa quello che fa. Tuttavia«la coscienza etica è più completa, e la sua colpa è più pura, quando essa conosca già

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realizzata e insieme tolta dall'azione, che porta tutto alio scoperto: «ilmovimento del fare dimostra la loro unità nel reciproco declinare di quelledue potenze e dei caratteri consapevoli di sé»^'. Alia fíne del capitolosesto, chiudendo suU'esito deUa dialettica deU'etico condotta secondoil fílo dello sviluppo trágico, era Tedifício etico tutto a dovere andaré afondo; per quanto i due lati, in virtù deU'agire, giacessero infíne Tunoaccanto aU'altro, essi non potevano più reggere: ogni lato ha infatti paridiritto e pari torto. Quel che viene sottolineato nel capitolo settimo èuna ragione ancor più radicale di questo necessario croUo. U linguaggiotrágico, infatti, non dispone di una fígura, di un'istanza superiore di cuile due potenze possano essere declinazione. «La riconciliazione deU'an-titesi con se stessa è la Lete del mondo infero neUa morte, oppure la Letedel mondo superno»^^. Fntrambe le alternative consistono neU'obUo incui le individualità deUa sostanza dileguano, perché né Tuna né Taltra,per quanto siano entrambe venute in luce, assolvono l'essenza neUa suapienezza. Tanto il mondo che attiene aU'ordine del divino quanto quel-lo che attiene aU'ordine civile deU'umano si rivelano partizioni morte,cosí come morte si mostrano le divinità che si sonó guadagnate paririspettabilità in virtù del decorso trágico. La pari onorabilità - e HegelaUude qui evidentemente aUa conclusione delle Eumenidi — non è che«l'indifférente mancanza di effettività attribuiti del pari ad ApoUo e aUeErinni»^^. U destino, altresî «onnipotente e giusto»^^, è il «destino terribUeche inghiotte tutto neU'abisso della propria semplicità»^', non è che unacoltre ñera che su tùtto si stende senza nuUa salvare. In un altro luogo,neUa dialettica del piacere, Hegel aggitingeva che il destino è «nécessitavuota ed estranea, realtà effettiva morta»™. A questo punto dobbiamoricordare che in realtà le fígurazioni tragiche del divino, oltre ad ApoUo

prima la legge a cui si viene a contrapporre; quando le scambi per violenza e per torto,come un'accidentalità etica, e commetta il delitto scientemente, come fa Antigone» (ivip. 255; FS p. 255). Mediante l'atto, poi, «U compimento deUo spirito visibUe si tramutanel contrario», e la coscienza «sperimenta che U suo supremo diritto è U torto supremo,e che la sua vittoria costituisce, piuttosto, il suo proprio declino» (ivi, p. 258; FS p. 315).Sulla contrapposizione deUe leggi e suUa dinámica trágica in genérale si vedano, in linguaitaliana, C. Ferrini, Legge umana e legge divina nella sezione VIA della Fenomenologiadello spirito, «Giornale di metafisica», 3,1981, pp. 393-405, e G. Pinna, Pathos ed esisten-za. La teoria della tragedia tra romanticismo e idealismo, «Giornale critico deUa fUosofiaitaliana», 1992, pp. 405-421.

"^ Ihid." Ihid'« Ivi, p. 256; F5, p. 313.'̂ Ivi, p. 251; Fi', p. 307.

™ Ivi, p. 200; FS, p. 246.

Il linguaggio trágico nella Fenomenologia dello spirito di Hegel 75

e aUe Erinni, erano tre, la terza essendo Zeus in quanto mediazione tra lealtre due e loro istanza superiore. In chiusa di parágrafo, pero, scopdamoche ü ritomo deUe due potenze in conflitto neUa sempUcità di Zeus nonè che un dtorno «neU'unità immota del destino»^'. U destino, aUora,non è figura di alcunché, ed è ü Umite intrinseco del linguaggio trágicoin quanto figura del divino, ü punto che in esso non puô riflettersi e inesso non puó dirsi, ü che deriva daUo statuto deUa tragedia in quantorappresentazione. Solo ü concetto, infatti, tiene insieme le scissioni deUarappresentazione, mentre ü destino, in quanto cortina che su tutto calae tutto tinifica in questo buio e in questo obUo, è Ttmità deUe parti comeunità estranea. Questa estraneità è precisamente ü margine di negatività,l'ultimo, che la rappresentazione veicola come contraccolpo ma che nonriesce a esprimere, Ttiltima riserva di negativo da ctii Topera dipende mache non puó abbracciare. Questo margine tiltimo, che la rappresenta-zione non puó rappresentare, è Ü margine di separatezza che costituisceÜ portato rappresentativo medesimo'^. Questa riserva di negativo è lapotenza senza volto del destino, in ctii le figure che entraño in scena «nonsi riconoscono, trovandovi pertanto ü proprio declino»^'. Se ü destino nonha volto, pero, è perché un volto non ce lo puó avere; essendo Tunifica-zione di tutti i momenti cui ü linguaggio trágico ha singolarmente datovoce, solo dal punto di vista del concetto questi momenti possono esseretenuti insieme, ed Ü concetto non ha più figura. II destino è ü Umite che üUnguaggio trágico deUa rappresentazione pprta in sé, un Umite che gU èdunque interno ed esterno: ü concetto è ü destino deUa rappresentazionee, se neU'ultima tappa deU'opera d'arte spirituale la commedia supera latragedia, la commedia è ü destino deUa tragedia.

4. La Zweizüngigkeit del linguaggio trágico

Per definiré ulteriormente lo statuto del linguaggio trágico, un filoche abbiamo menzionato ma per ora lasciato in sospeso è ü rapporto che

" Iví, p. 386; FS, p. 485.'̂ In tal senso, come sottolínea GareUí (Lo spírito ín figura, cit., p. 205), «la carenza

spirituale della tragedia è quell'ultedore íntegrazíone con la vita reale che va al dí là dellepassíoní i£ paura e compassione suscítate nello spettatore, e che prelude dí fatto alia stessaautonegazíone del portato rappresentativo proprio dell'arte». Sebbene íl divino si siamanífestato come attività spirituale grazie alia decisiva medíazíone del Hnguaggío, con latragedia l'arte gíunge al proprio límite nella capacita, nei confronti del divino, dí darglífígura: «l'íntegrazíone che sembrava garantíta daU'arte ha fíníto quasi per rinnegare sestessa» (iví, p. 216). Il processo dí razíonalizzazione della coscienza ínnescatosi conducea che lo spirito sí producá nella soggettività consapevole dí sé che íl mondo etico nonconsentiva ancora.

" GWIX, p. 397; FS, p. 486.

76 Eleonora Caramelli

la tragedia intrattiene con lo spettatore, neUa genérale dinámica per cuiTopera funge da mediazione tra quel che rappresenta e l'umano che laguarda. Dobbiamo pensare lo spettatore come un'autocoscienza effettivache, in quanto tale, è differenziata sia daUa sostanza sia dal destino e, neUarappresentazione, viene smembrata e rappresentata da una parte nel coro,che si ritrae con sgomento dinanzi al farsi deUa vita divina, daU'altra neUacoscienza agente. La stessa coscienza agente, pero, è in verità a sua voltascissa tra la maschera deU'eroe e Tattore, cioè ü Sé effettivo che la indos-,sa, rivelandosi cosí infine come «ipocrisia istrionica [eine Hypokrisie]»'''^:Tattore fingit soltanto, e la tragedia è solo una messinscena, è solo unafictura. Il margine di negativo che si insinua daU'esterno, ancora, è ancheü Sé effettivo che la finzione deve nascondere per potere funzionare. Èproprio ü Sé effettivo, infatti, T elemento esteriore aUa rappresentazioneche si nasconde sotto le spogUe del destino senza volto: esso non è statocoito e dunque non viene figurato. «II Sé compare qui solo come attribu-zione dei caratteri, ma non come ü termine medio del movimento»^'. Aben vedere, pero, non ci sembra che ü senso del passaggio sia da intendersisolo in questo modo. Se Tautocoscienza effettiva è stata differenziata siadaUa sostanza che dal destino ed è stata scomposta due volte, la prima tracoro e coscienza agente, la seconda tra maschera e Se effettivo, ció nonsignifica forse proprio che Tautocoscienza è stata rappresentata? Che üHnguaggio trágico la abbia enunciata mediante questa scomposizione èÜ portato inevitabüe deUa figurazione quando questa si attua nei terminidel linguaggio, e queUo deUa reUgione artistica, di cui ü Hnguaggio trá-gico è la forma più elevata, è proprio Vorstellung; come abbiamo dettoin precedenza, il momento rappresentativo del linguaggio è queUo chedivide i termini del movimento che esprime. Nel momento stesso in ctii èstata rappresentata Tautocoscienza effettiva, inoltre, è stata rappresentataanche la sostanza. Se abbiamo trovato che ü linguaggio trágico è daweroÜ più elevato, e che ü margine di negatività da esso veicolato non derivada qualcosa ehe ha mancato di rappresentare, ma è piuttosto conseguenzadel fatto ehe ha rappresentato ed espresso Ü tutto in tutti i suoi momenti- «l'opera insieme al suo divenire» - , aUora ció significa che la sostanzasi trova qui tutta manifesta, e con ció tutta smembrata. In tal senso Ü Hn-guaggio trágico, in quanto Vorstellung più elevata, è anche Telemento inctii si compie ü sacrificio simboHco deUa sostanza, offertasi senza riservee senza resto alla rappresentazione che, scomponendola, la fa a pezzi.

NeUa rappresentazione trágica, inoltre, si dà anche la consapevolezzaimpHcita deUa dupHcità con cui ü divino si manifesta e si awera. Nel

Ibid.Ivi, p. 397; Fi', p. 487.

Il linguaggio trágico nella Fenomenologia dello spirito di Hegel 11

capitolo sesto, infatti, ciô per cui la coscienza «seguendo ü sapere ma-nifesto ne sperimenta l'inganno»^^ è da ascriversi aUa parziale e tuttaviastrutturale cecità deUa coscienza in quanto immediatamente etica; nelcapitolo settimo, invece, Hegel sottolinea che U sapere manifesto, dasoffenbare Wissen, non è tale solo in quanto coincide con la parte visibUedeUa confígurazione etica sostanziale, bensí lo diventa nel momento incui viene svelato dal dio: «proprio coltii che era stato capace di risolverel'enigma deUa Sfinge come pure coliü che s'era attenuto aUa fedeltà fiUale,vengono mandati in rovina da quanto ü dio loro rivela»". È per questoche la coscienza espia «la propria fíducia in un sapere la cui ambigtiità,costituendone la natura, doveva darsi anche per la coscienza, ed esserledi monito»'^. Ci sembra che l'immagine trágica del Unguaggio con cui ildio rivela qualcosa aU'eroe - Hegel pensa qui a Edipo e a Oreste - rive-lando se medesimo, non sia foggiata solo da una mancanza strutturale delsapere coscienziale, ma rimandi aUa modaUtà intrinseca con cui U divinosi manifesta e si dà fígura. In tal senso, ancora una volta, U linguaggiotrágico riflette in se, per quanto simbólicamente e rappresentativamente,queUa che altrimenti è una condizione deUa figuralità medesima ma adessa esterna, di nuovo U negativo che non è in grado di assorbire ma concui esso stesso coincide. Se Hegel puô dire che «questa sacerdotessa, perbocea deUa quale parla U bel dio, non è per nuUa diversa daUe ambiguësoreUe del destino che, con le loro promesse, inducono al delitto, e chenel Unguaggio bifído [zweizüngig] di ció che esse spacciano per sicuroingannano colui che si è fídato del sapere manifesto»^', mettendo cosísuUo stesso piano la Pizia e le streghe di Macbeth, la Zweizüngigkeit deUamanifestazione è da ricondursi a ció per cui essa awiene nel linguaggioe, quando le due cose vanno di pari passo, l'inganno è inevitabUe, anzinecessario. Colui che invece è più puro di Macbeth e più assennato diOreste saprà bene di dover prendere le distanze daUe rivelazioni degUspiriti, sotto le cui spogUe potrebbero celarsi anche i dèmoni, senza conció potersi risolvere a porre mano alia vendetta, ma Amleto è un eroemoderno, ormai aduso al gioco deUe ombre e del concetto^°.

'Mvi, p. 395; F5, p. 484." Ivi, p. 394; FS, p. 482.'« Ivi, pp. 395-396; FS, p. 484." Ivi, p. 394; F5, p. 483.*" Anche solo da quest'accenno aUa figura di Amleto si capisce' che, in questa

pagina di difficüe interpretazione e in genérale nel passaggio tra tragedia e commedia,stiUo sfondo si staglia U problema deUa poesia trágica e del superamento del trágico ingenérale, strettamente legato a quel che Hegel definirá poi «U carattere di passato» deU'artee che condurrà aUa dialettica storica dei generi poetici. Su questo versante d'obbligo Uriferimento a P. Szondi, La poética di Hegel (1974)^ trad. it. di A. Marietti, introduzione

78 Eleonora Caramelli

La Zweizüngigkeit che accomuna la lingua deUa Pizia e queUa deUestreghe non ha pero forse ha che fare con la dupUcità del linguaggio inquanto tale, ció per cui - è la sua componente Daseyn - ü linguaggio èlinguaggio e non queUo che rivela?

L'invasamento della sacerdotessa, la figura inumana delle streghe, la vocedeU'albero, dell'uccello, ü sogno e cosí via, non sono i modi di manifestarsi dellaverità, ma segni che ammoniscono dell'inganno, della non-assennatezza, deUasingolarità e deU'accidentalità*'.

Non si tratta dunque dei modi in cui si manifesta ü vero, ma deimodi in cui si manifesta lo spirito^^ che si sacrifica, simboUcamente, aUae neUa rappresentazione: \afigura che è anch&fictura. In tal senso ü puntoè che proprio in quanto figura essa è fictura, ü che significa altresí chela figuralitas non è qui una valenza estrinseca e contingente. II marginesensibÜe-figurativo, Ü margine rappresentativo, consuma Ü proprio ruoloin quanto tale, essenziale e irreparabüe, neUa vicenda spirituale.

È per questo che ü Unguaggio trágico, che neUa sua dupUcità costi-tuisce Temblema deUo statuto deU'opera mediatríce, tradisce, ma neces-sariamente, la sostanza; proprio nel momento in cui la rappresentazioneè più fedele, «proprio quando pretende di essere qualcosa di giusto»^'essa è la maschera del divino e insieme deU'autocoscienza. Non ultimodei motivi per cui la Vorstellung è la funzione che divide è che proprioTopera, la quale in tutta la sua presenziaUtà doveva fare da medium, è cióche per un verso, essendo Tostensione del divino, ne fa una maschera e losepara daU'umano che la guarda. E non è questo l'ultimo dei significatidi cui ü linguaggio trágico educe: la componente trágica del Unguaggioin quanto tale, che non casualmente veniva definito in un altro luogo«die entfremdende Vermittlung»^'' . Adesso che la sostanza è venutacompletamente in luce neUa luce del linguaggio - ed è qui che si mostra

di G. Garelli, Einaudi, Torino 2007. SuUa tragedia nella Fenomenologia dello spirito enell'evoluzione del pensiero hegeliano in genérale si vedano i paragrafí relativi in C.GentOi, G. Garelli, // trágico, II Mulino, Bologna 2010, pp. 133-143. Sul rapporto tra laconsiderazione del trágico nella Fenomenologia e l'evoluzione sistemática della questionesi veda anche R. Pietercil, De la "Phénoménologie de l'esprit" aux "Leçons d'Estéthique".Continuité et évolution de l'interprétation hégélienne de la tragédie, «Revue philosophiquede Louvain», 36, vol. 77, 1979, pp. 659-677.

8' GW/X, p. 396; Fi, p. 484.*̂ Cfr. anche D. Bremer, Hegel und Aischylos, «Hegel-Studien», Beiheft 27, 1986,

pp. 225-245, in cui la riflessione hegeliana su questo «amphibolisches Doppelwesen»(ivi, p. 232) viene ricondotta all'influenza della Weltanschauung eschüea, incentratasuU'intuizione della duplicità del divino in quanto tale.

» GW'/X, p. 398; Fi, p. 487.** Ivi, p. 277; Fi, p. 338.

Il linguaggio trágico nella Fenomenologia dello spirito di Hegel 79

ció per cui la sostanza si sacrifíca simbólicamente neUa luce deUa suamanifestazione - abbiamo trovato la dimensione deU'estetico: la dupUcitàdel linguaggio sta qui neUa sua dimensione simboUca, in cui rimane unmargine non detto di negatività, il limite per cui ogni fígura è una fínzionee in parte un tradimento. Il margine di negativo che il linguaggio trágicoesprime senza poterlo rappresentare corrisponde al margine di negativoche quel linguaggio è. La dimensione trágica deU'estetico sta proprio neUadupUcità del carattere fígurale del linguaggio, in ctji U negativo si è fattopresenza: è U Daseyn in cui abita il senso, e in cui la coscienza spettatricefa - artisticamente, simboUcamente -l'esperienza del Unguaggio in quantoVorstellung con la sua divina dupUcità.

5. Tragedia, commedia e destino della rappresentazione

Una volta che la rappresentazione deUa sostanza sia stata tesa fínoaUo spasimo, non dobbiamo dimenticare che Topera è anche ció in ctiiTindividuo prende coscienza di sé e la sostanza diventa autocosciente.Se la «commedia ha innanzitutto il lato per cui Tautocoscienza effettivasi presenta come il destino degU dèi»*', il margine di negativo deUa rap-presentazione trágica, ció per cui essa ha il proprio destino in un altro,si sostanzia nel fatto che la commedia è Tautocoscienza deUa tragedia.Riassumendo in sé la distanza che sussisteva tra la coscienza spettatricee la rappresentazione che gU stava dinanzi, la commedia togUe il puntodi vista che stellt vor e con ció anche il Sé rappresentato, cosí che ademergeré è Tautocoscienza effettiva: Tattore in carne ed ossa che è lamedesima cosa di colui che lo guarda e in esso si identifíca.

L'autocoscienza degli eroi deve venire fuori dalla sua maschera, facendosiavanti e presentandosi per come essa si sa, come il destino tanto degli dèi delcoro quanto delle stesse potenze assolute^.

Adesso che si è riflessa entro di sé, Timmagine del divino è U Sémedesimo, cosí che tutti i termini che prima abbiamo visto separati siriuniscono. La forma deU'individualità, quando l'individualità coincidecon la stessa fígurativita, è solo un attributo immaginario del divino, comeuna quaUtà che pretende di essere qualcosa di per sé indipendentementeda quel che la veicola, concepito in quanto essenza. È proprio indossandola maschera, aUora, che la commedia esprime Tironia oggettiva di queUaqualità che pretende di essere qualcosa di autónomo. La pectiliare messa

»' Ivi, p. 397; FS, p. 486.^ Ihid .

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in scena cómica è in tal senso una ironia al secondo grado, che in quantotale corrisponde al dupUce passaggio che essa mette a segno. L'ironiaoggettiva sta in ció per ctii la rappresentazione che doveva manifestare lasostanza ha rovesciato la sostanza medesima, che non è infine nient'altroda quel che la rappresentazione ha portato in luce: la Vorstellung adeguatache al contempo, irónicamente, è Verstellung. «L'ostentata esibizione [dasAufspreitzen^^] deU'essenziaUtà universale», pero, «si tradisce e palesanel Se»**. La rappresentazione, tesa fino aUo spasimo e riflessa in se, sispacca e si tradisce da sola, Ü che costituisce ü duplice tradimento checorrisponde aU'ironia al secondo grado.

L'essenza si mostra imprigionata in una realtà effettiva e lascia cadere lamaschera proprio quando pretende di essere qualcosa di giusto*'.

Questo tradimento di un tradimento - Tattore cómico fa finta difare finta'" - è ü punto di vista deU'ironia che preannuncia queUo deUaDarstellung. Il Sé che spielt mit der Maske sta consapevolmente recitando,cosi ehe, quando si togUe la maschera, rovescia per la seconda volta e iró-nicamente la maschera deUa rappresentazione medesima per presentarsinuovamente «neUa sua nudità e neUa sua dimensione abituale; dimensioneehe esso mostra non différente da queUa del Sé vero e proprio: tantodeU'attore quanto deUo spettatore»^'. Uscendo da queUa parvenza ü Sési manifesta, col che la sostanza si awia a diventare soggetto, e abbiamoin tal senso una sorta di ritorno aUa figura deU'assenza di figura, con ladifferenza che la Gestaltlosigkeit deUa commedia è ü risultato del dissol-versi di tutte le figure precedenti. Questa figura deU'assenza di figura è undissolversi universale, análogo aU'universale dissolversi del linguaggio. Lamisura in ctii la commedia smaschera la figurazione rappresentativa deUasostanza, inoltre, è anche la misura in cui smaschera le rappresentazioni

*' Da notarsi, circa questo vocabolo, come si evince dalla voce sul lessico dei fratelliGrimm (Bd I, Sp. 743), che Ü verbo denotava in origine - ü che sembra sígnifícatívo ínrelazione al rapporto dí cui sopra tra la sostanza e la sua rappresentazione - l'azíone concui, medíante l'aíuto dí astícelle, sí teneva aperto l'animale macellato (da cui poí l'asse:'spalancare', 'allargare', 'spíegare (le alí)', 'gonfíare (le penne)' e da qui la valenza affínea íntumescere nel senso dí superbíre. Sí vedano ín mérito anche le osservazíoni dí H.Schneider, Hegels Theorie der Komik und die Aufiösung der schönen Kunst, «Jahrbuchfür Hegelforschung», vol. I, 1995, pp. 81-110, in cui ü punto è trattato in relazione alproblema del carattere dí passato deÜ'arte.

"» GW/X,p.397;F5,p.487."' Ivi, p. 398; FS, p. 487.'" Lo spunto interpretativo è líberamente tratto da M. Belhaj Kacem, Ironie et vérité.

Nous, Caen 2009, dove il principio è testato nell'analísí delle commedíe dí Marivaux." GWJX, p. 398; F5, p. 487.

Il linguaggio trágico nella Fenomenologia dello spirito di Hegel 81

del pensiero; Tironia cómica è anche la verità deUa rappresentazionetrágica: «ü pensare razionale sottrae l'essenza divina aUa sua figurazioneaccidéntale»^^.

Opponendosi aUa saggezza aconcettuale del coro [...] solleva tutto cióalie semplici idee del bello e del bene. II movimento di questa astrazione è lacoscienza della dialettica cbe tali massime e tali leggi banno in sé, e dunque lacoscienza del dileguare della [loro] validità assoluta'^

«In tal senso la commedia accoglie in sé ü punto di vista deU'ironia

socrática. Dato pero che essa è ironia al secondo grado, «una volta che,secondo la loro essenziaUtà pensata, esse sono divenute i sempHci pensieridel beUo e del bene, queste essenziaHtà sopportano di venire riempitecon qualsivogHa contenuto»'''. Quando i pensieri puri si sonó svuotatie si offrono al pubblico ludibrio, Tironia di Socrate diventa Tironia alquadrato del Socrate di Aristofane, ü quale compie Tironia socrática inquanto sacrüegio. La commedia dice in tal senso Ü ntiUa deUa sostanza, üluogo dmasto vuoto dacché l'essenza si è manifestata; essa dice al contem-po ü düeguare deUa rappresentazione neUa misura in cui quel düeguareriunisce Tinterno e Testerno, l'essenza manifesta e la sua manifestazionemedesima. È in questo senso che Tironia al quadrato esprime ü punto divista del concetto e prefigura la Darstellung, in ctii ü Hnguaggio muoveverso ü suo altro versante, VExistenz trasparente. Dicendo ü düeguaredeUa sostanza viene espresso anche ü düeguare del Sé in quanto singólosé, «che non è la vuotezza del düeguare, ma anzi in questa ntiUità mantienese stesso, è presso di sé, ed è Tunica realtà effettiva»''. Il dissolvimentodestinale del margine rappresentativo cui mette capo la commedia sembraprefigurare ü passaggio aUa Darstellung, cosí che se in quel dissolvimentola coscienza «si trova pienamente a casa propria»'^ è perché, almeno inparte, esso prefigura anche Taccesso aUo speculativo''. Nel passaggio tratragedia e commedia, dunque, la coscienza esperisce estéticamente e antelitteram ü passaggio tra ü piano rappresentativo e ü piano concettualementre neU'elemento del Hnguaggio, tra trágico e cómico - Tuno ü destinodeU'altro - esperisce Tintreccio tra Testetico e lo spectilativo.

« Ivi, p. 398; FS, p. 488.» Ibid.•>" Ibid." Ivi, p. 399; FS, p. 489.5« Ibid." Per una contestualizzazione del rapporto tra filosofia speculativa e tragedia, e ü

ruólo che la riflessione su di essa gioca nel pensare di Hegel, si veda O. Pöggeler, Hegel.L'idea di una fenomenologia dello spirito (1973), trad. it. di A. de Cieri, Guida, Napoli1986, in particolare pp. 127-133.

82 Eleonora Caramelli

Quel che ci domandiamo in ultima battuta è pero se tale intreccio,per come qui si confígura, non sia almeno in parte indissolubUe, non datiltimo per U fatto che awiene nel e tramite ü Unguaggio, che fluisce tral'una e l'altra sponda. Che Ü passaggio daU'uno aU'altro piano sia estética-mente prefígurato ed esperito, inoltre, potrebbe aUudere aU'inesauribUemobüita del piano rappresentativo, che al farsi deUo spirito è risultatoessenziale, cosí come l'arte è risultata essenziale aUa religione. Che Üdestino nel Unguaggio trágico sia anche destino di quel Unguaggio nonsignifíca altresí che è la rappresentazione stessa a fare, non solo e nontanto da trampolino, quanto da ponte al passaggio concettuale? Del resto,ü versante rappresentativo del linguaggio era sí qualcosa che separa e cheentfremdet, ma era anche Vermittlung, cosí che è la rappresentazione inquanto medium mobile a permetterci di - e a costringerci a - vedere ilpassaggio tra tragedia e commedia come un blocco inscindibUe. Se cosífosse, bisognerebbe leggere tale passaggio non solo come un superamentodestinale, ma come un percorso passibüe di essere pensato anche à rebours;solo a passaggio compiuto lo si puó propriamente pensare^^, e proprioper questo esso sembra aUora chiedere di continuare ad essere pensato,affinché U tradimento ricordi di essere tradimento di un tradimento: nongià tradimento duplice e perciô doppiamente infedele.

'* Non da ultimo sembra opportuno rUevare che tutto ü percorso deU'arte spiri-tuale - culminante nel passaggio tra tragedia e commedia - non solo prefigura qualcosache verra soltanto dopo, ma, essendo queUo U percorso in cui vengono assolte tutte lecondizioni affinché lo spirito si dia figura, lo stesso sapere assoluto puô venire pensa-to, ex post, a partiré da queUa chiave di volta. Per queste osservazioni, nel contesto diuna riflessione circa U sapere assoluto, si veda R. Dottori, Che cos'è il sapere assoluto?Osservazioni conclusive sulla Fenomenologia deUo spirito, «II cannocchiale», 3, 2007,pp. 244-282, in particolare pp. 250 e 270.

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