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I ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/2010 1 energia, ambiente e innovazion e editoriale rifiuti rappresentano una delle caratteristiche tipiche della società contemporanea. L’aumento della popolazione e dei consumi ha prodotto una crescita esponenziale dei rifiuti che sono diven- tati uno dei problemi prioritari da risolvere nel perseguimento di uno sviluppo sostenibile. L’Unio- ne Europea già nel 1975, con la direttiva-quadro 75/442/CEE, aveva gettato le basi per una gestio- ne sostenibile dei rifiuti. Tale politica era stata poi aggiornata nel 1991 e, più di recente, con la di- rettiva-quadro 2008/98/CE, che ha posto l’accento innanzitutto sulla prevenzione e, in seconda istanza, sul riuso e il riciclaggio, individuando nella discarica l’opzione residuale. Un ruolo fondamentale nella gestione dei rifiuti è rappresentato dalla tecnologia, sia quella rela- tiva al controllo e gestione del sistema e del territorio, sia quella relativa ai cicli di gestione dei va- ri tipi di rifiuti. In questo campo l’ENEA è impegnata da molti anni, così come altri soggetti pubbli- ci, in attività di ricerca applicata, sviluppata presso i propri centri. In questo numero della rivista presentiamo diversi contributi sul tema dei rifiuti, affrontato dal punto di vista delle politiche europee e nazionali e da quello delle tecnologie. Poiché gli aspetti in gioco sono molteplici, continueremo ad occuparcene anche nel prossimo numero. Un quadro generale delle strategie politiche europee e nazionali e dello sviluppo tecnologico nel settore dei rifiuti, in particolare in Italia, è fornito dall’articolo di apertura di Barni e Coronidi. Il fulcro di una strategia ambientale sostenibile, in tema di rifiuti, sostengono gli autori, consiste nella prevenzione e nell’adeguamento dei sistemi territoriali. Nel secondo articolo, ENEA e Federambiente presentano i risultati dell’indagine relativa agli aspet- ti tecnici degli impianti di trattamento dei rifiuti, con recupero di materia ed energia, contenuti nel rapporto presentato nel maggio scorso. Ne emerge uno sviluppo adeguato, in linea con gli standard tecnologici europei, ma con notevoli ombre per quanto riguarda il Mezzogiorno. De Stefanis affronta la formula dell’efficienza energetica per l’incenerimento. Si tratta di una no- vità della Direttiva 2008/98/CE, che consente di considerare l’esercizio degli impianti di inceneri- mento di rifiuti come recupero e non smaltimento, se le efficienze di recupero sono superiori a dei livelli minimi definiti. Per quanto riguarda i rifiuti urbani, gli obiettivi delle norme nazionali prevedono una quota di raccolta differenziata pari al 65% entro il 2012, a fronte di una quota nazionale attuale pari al 36,6%, con un il 45,5% al Nord, il 22,9% al Centro e il 14,7% nel Sud. Il raggiungimento degli obiettivi comporta la realizzazione di un sistema integrato basato su impianti tecnologicamente avanzati, le cui caratteristiche sono illustrate nell’articolo di Iaboni e Landolfi. La definizione di politiche adeguate di gestione dei rifiuti deve tener conto dell’evoluzione della loro produzione, di cui non è facile tracciare linee certe in quanto dipendente da fattori quali l’andamen- to demografico ed economico e l’evoluzione della normativa. La costruzione di scenari relativi al- la tipologia di rifiuti e all’offerta impiantistica rappresenta tuttavia un esercizio obbligatorio se si vo- gliono effettuare scelte basate su analisi scientifiche valide. Nell’articolo di Musumeci tale analisi è applicata allo studio delle prospettive della produzione e della gestione dei rifiuti in Italia. Il problema del fumo è in genere affrontato dal punto di vista dei danni che arreca alla salute. Molto meno conosciuto è l’aspetto relativo all’inquinamento indoor, agli incendi boschivi, agli in- cidenti stradali, e soprattutto all’impatto ambientale provocato dalle cicche di sigarette. Tre artico- li di Lombardi, Di Cicco, Mangiaracina e Zagà, approfondiscono questi aspetti. Il primo fornisce un quadro degli effetti collaterali sanitari e sociali. Nel secondo viene affrontata la questione del fu- mo nei luoghi di lavoro e si suggeriscono proposte per una vantaggiosa politica aziendale sul fumo. Nel terzo articolo, infine, viene trattato il problema dell’impatto ambientale dei 72 miliardi di cic- che che ogni anno in Italia vengono abbandonate nell’ambiente e che rappresentano dei rifiuti pericolosi, che occorre classificare come tali. Chiudono questo numero la seconda parte dell’articolo sulle tecnologie veicolari del futuro di Di Ma- rio, Mattucci e Ronchetti e uno studio sulle potenzialità autodepurative di una zona umida co- stiera di Pietrelli, Del Piano, Farabegoli e Battisti. Il Direttore Responsabile Flavio Giovanni Conti

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I

ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/2010 1

energia, ambiente e innovazione

editoriale

rifiuti rappresentano una delle caratteristiche tipiche della società contemporanea. L’aumentodella popolazione e dei consumi ha prodotto una crescita esponenziale dei rifiuti che sono diven-tati uno dei problemi prioritari da risolvere nel perseguimento di uno sviluppo sostenibile. L’Unio-ne Europea già nel 1975, con la direttiva-quadro 75/442/CEE, aveva gettato le basi per una gestio-ne sostenibile dei rifiuti. Tale politica era stata poi aggiornata nel 1991 e, più di recente, con la di-rettiva-quadro 2008/98/CE, che ha posto l’accento innanzitutto sulla prevenzione e, in secondaistanza, sul riuso e il riciclaggio, individuando nella discarica l’opzione residuale.Un ruolo fondamentale nella gestione dei rifiuti è rappresentato dalla tecnologia, sia quella rela-tiva al controllo e gestione del sistema e del territorio, sia quella relativa ai cicli di gestione dei va-ri tipi di rifiuti. In questo campo l’ENEA è impegnata da molti anni, così come altri soggetti pubbli-ci, in attività di ricerca applicata, sviluppata presso i propri centri. In questo numero della rivista presentiamo diversi contributi sul tema dei rifiuti, affrontato dalpunto di vista delle politiche europee e nazionali e da quello delle tecnologie. Poiché gli aspettiin gioco sono molteplici, continueremo ad occuparcene anche nel prossimo numero.Un quadro generale delle strategie politiche europee e nazionali e dello sviluppo tecnologico nelsettore dei rifiuti, in particolare in Italia, è fornito dall’articolo di apertura di Barni e Coronidi. Ilfulcro di una strategia ambientale sostenibile, in tema di rifiuti, sostengono gli autori, consistenella prevenzione e nell’adeguamento dei sistemi territoriali. Nel secondo articolo, ENEA e Federambiente presentano i risultati dell’indagine relativa agli aspet-ti tecnici degli impianti di trattamento dei rifiuti, con recupero di materia ed energia, contenutinel rapporto presentato nel maggio scorso. Ne emerge uno sviluppo adeguato, in linea con glistandard tecnologici europei, ma con notevoli ombre per quanto riguarda il Mezzogiorno.De Stefanis affronta la formula dell’efficienza energetica per l’incenerimento. Si tratta di una no-vità della Direttiva 2008/98/CE, che consente di considerare l’esercizio degli impianti di inceneri-mento di rifiuti come recupero e non smaltimento, se le efficienze di recupero sono superiori adei livelli minimi definiti. Per quanto riguarda i rifiuti urbani, gli obiettivi delle norme nazionali prevedono una quota diraccolta differenziata pari al 65% entro il 2012, a fronte di una quota nazionale attuale pari al36,6%, con un il 45,5% al Nord, il 22,9% al Centro e il 14,7% nel Sud. Il raggiungimento degliobiettivi comporta la realizzazione di un sistema integrato basato su impianti tecnologicamenteavanzati, le cui caratteristiche sono illustrate nell’articolo di Iaboni e Landolfi.La definizione di politiche adeguate di gestione dei rifiuti deve tener conto dell’evoluzione della loroproduzione, di cui non è facile tracciare linee certe in quanto dipendente da fattori quali l’andamen-to demografico ed economico e l’evoluzione della normativa. La costruzione di scenari relativi al-la tipologia di rifiuti e all’offerta impiantistica rappresenta tuttavia un esercizio obbligatorio se si vo-gliono effettuare scelte basate su analisi scientifiche valide. Nell’articolo di Musumeci tale analisi èapplicata allo studio delle prospettive della produzione e della gestione dei rifiuti in Italia.Il problema del fumo è in genere affrontato dal punto di vista dei danni che arreca alla salute.Molto meno conosciuto è l’aspetto relativo all’inquinamento indoor, agli incendi boschivi, agli in-cidenti stradali, e soprattutto all’impatto ambientale provocato dalle cicche di sigarette. Tre artico-li di Lombardi, Di Cicco, Mangiaracina e Zagà, approfondiscono questi aspetti. Il primo fornisceun quadro degli effetti collaterali sanitari e sociali. Nel secondo viene affrontata la questione del fu-mo nei luoghi di lavoro e si suggeriscono proposte per una vantaggiosa politica aziendale sul fumo.Nel terzo articolo, infine, viene trattato il problema dell’impatto ambientale dei 72 miliardi di cic-che che ogni anno in Italia vengono abbandonate nell’ambiente e che rappresentano dei rifiutipericolosi, che occorre classificare come tali.Chiudono questo numero la seconda parte dell’articolo sulle tecnologie veicolari del futuro di Di Ma-rio, Mattucci e Ronchetti e uno studio sulle potenzialità autodepurative di una zona umida co-stiera di Pietrelli, Del Piano, Farabegoli e Battisti.

Il Direttore Responsabile Flavio Giovanni Conti

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ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/20102

VERSO UNA GESTIONE SOSTENIBILE DEI RIFIUTI

HEADING TOWARDS A SUSTAINABLE WASTE MANAGEMENT

Ermanno Barni, Maurizio Coronidi

LE TECNICHE DI TRATTAMENTO DEI RIFIUTI URBANI IN ITALIA

MUNICIPAL SOLID WASTE TREATMENT TECHNIQUES IN ITALY

Pasquale De Stefanis, Farnoosh Farmand Ashtiani, Lorenzo M. Cafiero,Roberto Caggiano, Valentina Cipriano, Vito Iaboni, Riccardo Viselli

LA FORMULA DELL’EFFICIENZA ENERGETICA PER L’INCENERIMENTO

THE ENERGY EFFICIENCY FORMULA FOR MUNICIPAL SOLID WASTE INCINERATION

Pasquale De Stefanis

SCENARIO DI UN SISTEMA INTEGRATO DI GESTIONE DEI RIFIUTI URBANICON LA RACCOLTA DIFFERENZIATA AL 65%

A SCENARIO OF AN INTEGRATED MUNICIPAL SOLID WASTE MANAGEMENT WITH A 65% SEPARATE COLLECTION

Vito Iaboni, Pier Giorgio Landolfo

I RIFIUTI NEL FUTURO

THE FUTURE OF MUNICIPAL SOLID WASTE

Fabio Musmeci

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16

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primo piano

L’ALTRA FACCIA DEL TABAGISMO

THE OTHER SIDE OF TABAGISM

Carmine Ciro Lombardi, Giuliana Di Cicco, Giacomo Mangiaracina

42riflettore su

sommario

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ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/2010 3

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segue riflettore suIL FUMO NEI LUOGHI DI LAVORO: PROBLEMI E PROPOSTE PER UNA CORRETTA POLITICA AZIENDALE

SMOKE IN WORKPLACES: PROBLEMS AND PROPOSALS FOR A CORRECTCOMPANY POLICY

Carmine Ciro Lombardi, Giuliana Di Cicco, Giacomo Mangiaracina

IMPATTO AMBIENTALE DELLE CICCHE DI SIGARETTA

THE ENVIRONMENTAL IMPACT OF CIGARETTE STUBS

Carmine Ciro Lombardi, Giuliana Di Cicco, Vincenzo Zagà

LE POSSIBILI TECNOLOGIE VEICOLARI DEL FUTURO: ANALISI DELLE PROSPETTIVE DELLE OPZIONI PIÙ INTERESSANTI

POSSIBLE FUTURE VEHICLE TECHNOLOGIES: PROSPECTS OF THE MOSTINTERESTING PROPULSION OPTIONS

Francesco Di Mario, Antonio Mattucci, Marina Ronchetti

84

studi & ricerchePOTENZIALITÀ AUTODEPURATIVE DI UNA ZONA UMIDA COSTIERA E IPOTESIDI TRATTAMENTO TERZIARIO DEI REFLUI CIVILI

COASTAL WETLAND AS TERTIARY TREATMENT OF WASTEWATER

Loris Pietrelli, Giorgia Del Piano, Geneve Farabegoli, Corrado Battisti

94cronache

DAL MONDO, DALL’ENEA, EVENTI

dal Mondo • Energia da rifiuti organici: un mercato ad alto potenziale 94• Fotovoltaico a concentrazione più economico. Studio californiano 94

dall’ENEA • L’ENEA alla Conferenza internazionale sulle fonti rinnovabili in Giappone 95• Nuove idee per l’adeguamento sismico degli edifici storici 95

Eventi • Fratello Sole Madre Terra: energie rinnovabili, ambiente ed ecosistema 96• Terzo convegno della Rete Italiana sulla metodologia di analisi LCA 96

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Direttore responsabile Flavio Giovanni ContiComitato tecnico-scientificoOsvaldo Aronica, Paola Batistoni, Vincenzo Di Majo, Ste-fano Giammartini, Massimo Maffucci, Emilio SantoroResponsabile editorialeDiana SavelliCoordinamento redazionalePaola MolinasENEA – Lungotevere Thaon di Revel, 76 – 00196 RomaTel. 06-36272907 – e-mail: [email protected] Giuliano GhisuPromozione Paola CrocianelliTraduzioni Carla Costigliola

Progetto graficoBruno Giovannetti

Bimestrale dell’ENEAAnno 56, luglio-agosto 2010Il contenuto degli articoli pubblicati è di esclusiva responsabilità degli autori.La riproduzione di articoli o parte di essi deve essere autorizzata dall’ENEA.

www.enea.it

StampaFabiano Group srl - Regione San Giovanni, 40 - 14053 Canelli (AT)RegistrazioneTribunale Civile di Roma - Numero 148 del 19 aprile 2010 del Registro StampaPubblicitàFabiano Group srl - Regione San Giovanni, 40 - 14053 Canelli (AT)Tel. 0141 827802 - Fax 0141 827830 - e-mail: [email protected] annualeItalia € 21,00 + € 8,00 (spese di spedizione), Estero € 21,00 + € 15,00 (spese di spedizione); una copia € 4,20 - C.C.P. n. 12439121 intestato a Fabiano Group srlTel. 0141 8278234 - Fax 0141 8278300 - e-mail: [email protected]

Finito di stampare nel mese di agosto 2010

Lo staff della rivistaDa sinistra: Stefano Giammartini, Paola Molinas, Osvaldo Aronica, Paola Crocianelli, Massimo Maffucci, GiulianoGhisu, Vincenzo Di Majo, Diana Savelli, Flavio Giovanni Conti, Paola Batistoni, Emilio Santoro, Bruno Giovannetti(foto di Roberta Francescone)

In copertinaDiscarica di Montichiari (foto di Aprica SpA)

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Pier Giorgio LandolfoENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

pag. 24

Ermanno BarniENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

pag. 6

Corrado BattistiProvincia di Roma, Uff. Conservazione Natura

pag. 84

Carmine Ciro LombardiENEA, Unità Tecnica Biologia delle Radiazionie Salute dell’Uomo

pag. 42, 49, 59

Lorenzo M. CafieroENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

pag. 11

Giacomo MangiaracinaUniversità di Roma La Sapienza, Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica e Società Italiana di Tabaccologia (SITAB)

pag. 42, 49

Roberto CaggianoFederambiente

pag. 11

Antonio MattucciENEA, Unità Tecnica Fonti Rinnovabili

pag. 70

Valentina CiprianoFederambiente

pag. 11

Fabio MusmeciENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

pag. 32

Maurizio CoronidiENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

pag. 6

Loris PietrelliENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

pag. 84

Giorgia Del PianoProvincia di Roma, Uff. Conservazione Natura

pag. 84

Pasquale De StefanisENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

pag. 11, 16

Marina RonchettiENEA, Unità di Progetto Ricerca di SistemaElettrico

pag. 70

Giuliana Di CiccoENEA, Centro Ricerche Casaccia

pag. 42, 49, 59

Riccardo ViselliFederambiente

pag. 11

Francesco Di MarioENEA, Unità Tecnica Fonti Rinnovabili

pag. 70

Vincenzo ZagàU.O. Pneumotisiologia Territoriale,Dip. Medico dell’AUSL Bologna

pag. 59

Vito IaboniENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

pag. 11, 24

ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/2010 5

autori

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prim

opia

no Verso una gestione

sostenibile dei rifiutiErmanno BarniMaurizio Coronidi

ENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/20106

riflettore su studi& ricerche

primo piano

La gestione dei rifiuti rivesteun ruolo importante nelladefinizione di una strategiaambientale sostenibile, che sitraduce sostanzialmente in unimpegno alla prevenzione eall’adeguamento dei relativisistemi territoriali. In questoambito, l’ENEA è impegnatasia nelle valutazioni di ciclo e di sistema che nelle attivitàdi ricerca e sviluppo di processie tecnologie per il riciclaggioed il recupero dei rifiuti

Heading Towards a SustainableWaste Management

Waste management plays a significant role in thedefinition of a sustainable environmental strategy, thatdefinitely means a commitment to prevent wasteproduction and to align the waste management systemswith the territory needs. ENEA is strongly involved in the institutional supportrelevant to cycles and systems assessment and in researchand development of processes and technologies for wasterecycling and recovery

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Verso una gestione sostenibile dei rifiuti

Il quadro strategico

La gestione dei rifiuti riveste un importante ruolonella definizione di una strategia ambientale soste-nibile. I modelli di gestione integrata dei rifiuti sipongono come obiettivo non solo la prevenzio-ne e la riduzione dell'impatto ambientale connes-so al ciclo di gestione, ma anche il miglioramentocomplessivo del sistema “uomo-ambiente” ed unuso più sostenibile delle risorse. La riduzione del-la produzione dei rifiuti e della loro pericolositàcostituisce un elemento fondamentale di una po-litica di produzione e consumo sostenibili, ma ur-gono in ogni caso azioni che incoraggino il rici-claggio e il recupero dei rifiuti.La gestione dei rifiuti, al pari di altre grandi te-matiche legate allo sviluppo sostenibile, si è in-fatti venuta configurando, essenzialmente a val-le dalla Conferenza di Rio del ‘92, come un pro-blema di dimensioni planetarie che i singoli pae-si sono chiamati ad affrontare, a partire da unacorretta gestione a livello territoriale locale, nelquadro delle proprie specificità economiche,strutturali, sociali ed ambientali.È da queste considerazioni che l’Unione Euro-pea ha sviluppato, nell’ambito del Sesto Pro-gramma comunitario d’Azione in materia diAmbiente, la linea di azione inerente all’uso so-stenibile delle risorse naturali e alla gestione deirifiuti. L’obiettivo generale di tale linea d’azio-ne è di evitare che il consumo delle risorse, rin-novabili e non, travalichi la capacità di caricodell’ambiente, e di ottenere il disaccoppiamen-to dell’uso delle risorse dalla crescita economicamediante un significativo miglioramento dell’ef-ficienza di utilizzo delle risorse stesse.La Strategia tematica sulla prevenzione e il rici-claggio dei rifiuti, una delle sette strategie te-matiche previste dal Sesto Programma d’Azio-ne, stabilisce gli orientamenti dell’azione del-l’Unione Europea e descrive le misure priorita-rie per migliorare la gestione dei rifiuti. La Stra-

tegia tematica è volta alla riduzione degli im-patti ambientali negativi generati dai rifiuti, dal-la produzione fino allo smaltimento, passandoper il riciclaggio. Tale approccio considera i ri-fiuti non solo come una fonte d’inquinamentoda ridurre, ma anche come una potenziale ri-sorsa da sfruttare.In ambito europeo le “linee guida” per una ge-stione sostenibile dei rifiuti, tracciate dalla di-rettiva-quadro 75/442/CEE (come modificatadalla 91/156/CEE e riscritta dalla 2006/12/CE)e, da ultimo, sostanzialmente confermate dal-la recente direttiva-quadro 2008/98/CE, sonotese ad assicurare un elevato livello di protezio-ne dell’ambiente attraverso l’adozione di unagerarchia di azioni (figura 1) che assegna massi-ma priorità alla prevenzione e si pone come fi-nalità l’attuazione di una strategia di gestionevolta ad incoraggiare il riuso, il riciclaggio deirifiuti come materie prime secondarie ed il lororecupero come fonti di energia. Lo smaltimento,e quindi tipicamente la discarica, si configuracome opzione residuale, da adottarsi per i flus-si di rifiuti che non sono, o non sono ulterior-mente, suscettibili di recupero.

Figura 1Gerarchia di gestione dei rifiutiFonte: ENEA

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ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/20108

La strategia in atto persegue, dunque, la ridu-zione del rifiuto, agendo in tutte le fasi del ci-clo di gestione dei rifiuti. Alla testa della “pira-mide” si trova la prevenzione, ovvero la riduzio-ne alla fonte della produzione di rifiuti e dellaloro pericolosità. Questo obiettivo viene quindiperseguito mediante l’ottimizzazione dei cicliproduttivi, l’applicazione di politiche integratedi prodotto (IPP, Integrated Product Policy), levalutazioni connesse al ciclo di vita (LCA, LifeCycle Assessment), l’introduzione in fase di pro-gettazione dei beni di strumenti di progettazio-ne quali il Design for Disassembly (progettazio-ne finalizzata al disassemblaggio) ed il Designfor Recycling (progettazione finalizzata al rici-claggio).A valle delle politiche di prevenzione la prioritàè data al riuso per la funzione originaria, chequando perseguibile rappresenta la Best Prac-ticable Option (BPO), al riciclo di materia ed alrecupero di energia. Considerato che un rifiu-to deriva da un prodotto che in origine possede-va un elevato valore in termini di energia e ma-teriali impiegati per la produzione, le proble-matiche relative alla gestione dei rifiuti sonostrettamente correlate alla salvaguardia delle ri-sorse.A livello di UE e, in generale, di paesi industria-lizzati ad elevato PIL pro capite, la strategia diazione in materia di gestione dei rifiuti si tradu-ce sostanzialmente in un impegno su due fron-ti tra loro interconnessi:• da un lato, quello della riduzione della quan-

tità e pericolosità dei rifiuti prodotti, che im-plica di fatto – sul lungo periodo – una pro-fonda revisione degli stessi modelli di produ-zione-consumo;

• dall’altro, quello dell’adeguamento dei siste-mi territoriali di gestione dei rifiuti comunqueprodotti, comportante l’introduzione di ciclitecnologici integrati mirati – con riguardo siaai rifiuti urbani che agli speciali – alla massi-mizzazione del riciclaggio e del recupero dimateriali ed energia nonché alla minimizza-

zione del ricorso alla discarica come forma dismaltimento.

A livello nazionale, i principi e gli orientamentiindicati dalla legislazione europea sui rifiuti so-no stati recepiti dal Decreto Legislativo 5 feb-braio 1997, n. 22, noto anche come “DecretoRonchi”, che ha introdotto in Italia la strategia digestione integrata dei rifiuti, sostanzialmenteconfermata dal recente Decreto Legislativo 3aprile 2006, n. 152, il cosiddetto “Codice del-l’ambiente”.Senza entrare nell’analisi delle motivazioni percui, a distanza di oltre dieci anni dall’entrata invigore del “Decreto Ronchi”, sperimentiamo an-cora un’Italia sostanzialmente a due velocità(nella quale, accanto ad esperienze largamen-te consolidate di gestione integrata dei rifiuti,si riscontrano ancora situazioni di dichiarataemergenza), rimane tuttavia chiaro il principioper cui attuare modelli di gestione integrata deirifiuti significa soprattutto cogliere le opportuni-tà di recupero delle risorse, in termini di materia-li e di energia, in essi contenute. In tale otticail riciclaggio e la valorizzazione energetica deirifiuti sono da considerarsi tuttora come tema-tiche prioritarie, che richiedono non solo sceltepolitico-amministrative, ma anche soluzioni tec-nico-economiche sostenibili e non differibili, perconsentire una effettiva chiusura del ciclo inte-grato dei rifiuti.Tanto la prevenzione che la corretta gestionedei rifiuti prodotti si configurano come proble-matiche eminentemente sistemiche, coinvolgen-ti cioè prioritariamente aspetti di politica eco-nomica, industriale, ambientale accanto a quel-li prettamente amministrativi e socio-culturali.Va tuttavia evidenziato come la tecnologia costi-tuisca comunque un elemento centrale e spes-so dirimente nell’approccio e nella risoluzionedei problemi intrinseci della tematica. In parti-colare, se è vero che, con riferimento a vastearee del nostro paese, il problema prioritario ap-pare rappresentato dai ritardi nell’adeguamen-to dei cicli tecnologici di gestione, in prospetti-

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va l’ulteriore sviluppo tecnologico si configuracome fondamentale rispetto al raggiungimen-to degli avanzati obiettivi necessari ad una ri-sposta realmente adeguata sul piano della so-stenibilità.

Lo sviluppo tecnologico in Italiasulla tematica rifiuti

Come per altre grandi tematiche ambientali, lacomplessità delle problematiche connesse allagestione dei rifiuti si traduce nell’estrema diffe-renziazione delle tecnologie in campo.Per semplicità, le potenzialità espresse dal siste-ma Paese possono essere distinte in due macro-categorie:• tecnologie finalizzate al miglioramento del

controllo complessivo del sistema e della go-vernance ambientale del territorio;

• tecnologie finalizzate al miglioramento del-l’efficienza economico-ambientale dei cicli digestione di rifiuti sia urbani che speciali.

Sono ascrivibili alla prima categoria le tecnolo-gie (prevalentemente di tipo metodologico) con-nesse all’analisi dei flussi (come ad esempio l’LCAed il GIS), di monitoraggio delle matrici ambien-tali, di supporto alla pianificazione territoriale (ti-pico esempio è la localizzazione di impianti) o,ancora, di individuazione/caratterizzazione di si-ti abusivi di smaltimento.Si tratta in genere di sviluppi e di applicazionidi metodi, tecniche e tecnologie utilizzate in ori-gine in ambiti tra loro significativamente diffe-renti e mutuate da strutture di ricerca o da set-tori produttivi non direttamente impegnati nel-la problematica rifiuti.La ricchezza e la frammentarietà proprie di que-sta categoria non ne permettono una trattazio-ne organica in questo contesto. Va peraltro evi-denziato come su tale terreno il sistema paesenon presenti particolari specificità rispetto al-l’ambito europeo, anche in riferimento al posi-zionamento ed alle attività di una agenzia conspiccate competenze di ricerca come l’ENEA,

presente su gran parte delle tematiche sopra ri-cordate.Sicuramente più significativa e vicina alla pro-blematiche attuali appare la seconda macroca-tegoria, che è utile articolare ulteriormente in:• tecnologie finalizzate al miglioramento della

gestione dei sistemi di raccolta;• tecnologie di recupero/riciclaggio, comprensi-

ve di quelle relative alla minimizzazione deirifiuti prodotti dall’industria manifatturiera;

• tecnologie (ed impiantistica) di trattamen-to/smaltimento di rifiuti urbani e speciali,comprensive di quelle connesse ai sistemi dicontrollo/monitoraggio degli impianti.

Le tecnologie finalizzate al miglioramento del-la gestione dei sistemi di raccolta, anche a cau-sa del generalmente scarso contenuto tecnico-scientifico, non sono di norma oggetto di at-tenzione da parte della ricerca.In generale, l’attenzione maggiore dell’industriaè rivolta alle tecnologie finalizzate al recupe-ro/riciclaggio ed alla riduzione dei rifiuti nei pro-cessi produttivi, sollecitata e favorita in ciò daesigenze tecnico-economiche di settore e dallaapprofondita conoscenza dei cicli di produzio-ne. Va peraltro considerato che tale tipologiapuò essere – forse più correttamente – ricom-presa nella dizione di “tecnologie pulite”.Per contro le istituzioni scientifiche tendono aprivilegiare, almeno a livello programmatico, laR&S sulle tecnologie di trattamento dei rifiuti,rispondenti ad esigenze specifiche di gestioneterritoriale dei flussi. In realtà, l’attenzione alleproblematiche relative alla gestione dei rifiuti èrelativamente recente e in prima istanza i me-todi e le tecnologie studiate e applicate risulta-no mutuate da altri settori di intervento: unesempio su tutti è rappresentato dalle tecnolo-gie di termoconversione del carbone, che sonostate prima implementate, per esigenze ener-getiche, per la gassificazione delle biomasse equindi applicate al trattamento dei rifiuti.È il caso di evidenziare che trattamenti e tecno-logie finalizzati al recupero/riciclaggio dei pro-

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Verso una gestione sostenibile dei rifiuti

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dotti a fine vita (diventati cioè rifiuti) sono “in-terne” ai sistemi territoriali di gestione, mentrela tipologia precedentemente analizzata (relati-va al recupero/riciclaggio ed alla riduzione deirifiuti nei processi produttivi) si riferisce ai proces-si di riciclaggio propri del sistema produttivo.Con riferimento alle tecnologie di trattamen-to, si può affermare in generale che tanto a li-vello di istituzioni scientifiche che di industria,l’impegno italiano appare complessivamentemodesto rispetto ad altri paesi dell’UE, soprat-tutto a causa della ridotta presenza dell’indu-stria nazionale nel settore dell’impiantistica de-dicata. Si ritiene che tale assenza sia principal-mente riconducibile all’insufficiente sviluppodi un mercato nazionale per gli impianti di trat-tamento, soprattutto complessi, rappresenta-ti tipicamente dagli inceneritori, ma anche da-gli impianti di compostaggio e, paradossalmen-te, dagli stessi impianti di discarica. Probabil-mente, una delle motivazioni principali di que-sto mancato sviluppo è da ricercarsi nell’ele-vato impatto degli impianti di trattamento enella conseguente scarsa accettabilità da partedell’opinione pubblica. In generale quello chesi avverte è lo scollamento tra il mondo dellaricerca, impegnato nello sviluppo di tecnolo-gie di gestione in linea con i principi di svilup-po sostenibile e di compatibilità ambientale,ed il mondo imprenditoriale, scoraggiato adinvestire nell’implementazione industriale del-le soluzioni proposte a causa di un numerotroppo elevato di fattori contingenti (l’opinio-ne pubblica e la conformazione del territorio,fra tutti).

Coerentemente con la sua natura di agenziamultidisciplinare a vocazione spiccatamente tec-nologica, l’ENEA è impegnato sulla tematica rifiu-ti a diversi livelli: sul complesso delle tecnologieconnesse al controllo complessivo del sistemaed alle problematiche di recupero/riciclaggio deirifiuti, attraverso il coinvolgimento delle variestrutture di competenza, e su problematiche siadi sistema che di ricerca e sviluppo, con partico-lare riguardo ai trattamenti end of pipe, con unastruttura tecnica specifica.Il panorama della ricerca in Italia si basa essen-zialmente su un sistema pubblico, rappresenta-to da Enti di ricerca ed Università. Accanto al-l’ENEA, si occupano di rifiuti essenzialmente so-lo CNR ed ISS, enti che possono vantare eleva-te competenze professionali in settori specificio di nicchia, con attività non propriamente strut-turate a livello tecnico e programmatico.Più complessa è la questione relativa alle Uni-versità, dove la numerosità dei gruppi di ricer-ca e le sollecitazioni rispetto ad una tematica diattualità, quale quella dei rifiuti, pongono lecondizioni per un impegno diffuso e assai artico-lato. Va tuttavia sottolineato che sul terreno del-la sperimentazione su impianti pilota o dimo-strativi le attività sono assai limitate e sono svol-te prevalentemente attraverso la partecipazio-ne o la consulenza di singoli ricercatori a pro-grammi di soggetti terzi.In quest’ambito, l’ENEA vanta un ruolo di ec-cellenza, grazie alla sua significativa capacità dicondurre, attraverso le proprie facilities speri-mentali, attività di ricerca applicata su scala si-gnificativa (pilota o superiore).

Ermanno Barni, Maurizio Coronidiprim

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no Le tecniche di

trattamento dei rifiutiurbani in ItaliaPasquale De Stefanis*Farnoosh Farmand Ashtiani**Lorenzo M. Cafiero*Roberto Caggiano**Valentina Cipriano**Vito Iaboni*Riccardo Viselli**

* ENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali** Federambiente

riflettore su studi& ricerche

primo piano

ENEA e Federambiente hannopubblicato un rapporto1

riguardante un’indagineconoscitiva degli aspetti tecnicidi progetto e di eserciziodell’impiantistica ditrattamento dei rifiuti urbani,con riciclo e recupero dimateria ed energia, presentesul territorio nazionale,finalizzata al riciclaggio e alrecupero di materia e dienergia. Ne è emerso un buonlivello di sviluppo, in linea congli standard tecnologiciadottati a livello europeo

Municipal Solid WasteTreatment Tecniques in Italy

This article summarizes the results shown in the ENEA-Federambiente Report1. They refer to survey aimed atdetermining the state of the art of all technical aspectsrelated to the design and management of plants formunicipal solid waste (MSW) treatment. Only thoseplants dedicated to recycling and recovery of material andenergy have been reviewed. The assessment shows a goodtechnical level for almost all plants, in line with the EUstandards

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1. Rapporto sulle tecniche di trattamento dei rifiuti urbani in Italia, maggio 2010.

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ENEA e Federambiente hanno condotto, a caval-lo tra il 2008 e il 2009, un’indagine conoscitiva de-gli aspetti tecnici di progetto e di esercizio dell’im-piantistica di trattamento dei rifiuti urbani2 presen-te sul territorio nazionale.L’obiettivo principale dell’indagine è stato quellodi mettere a disposizione di quanti (istituzioni, ope-ratori, tecnici, amministrazioni, cittadini ecc.) sonocoinvolti o ripongono semplicemente interesse nel-lo specifico settore, una serie di informazioni e da-ti, quanto più esaustivi ed attendibili riguardo allasituazione attuale delle tecniche3 di trattamentodei rifiuti urbani che vengono adottate in Italia,con particolare riguardo a quelle finalizzate al rici-claggio e al recupero di materia ed energia.Seguendo un approccio ormai consolidato in pre-cedenti indagini, focalizzate sul settore specifico delrecupero energetico, anche in questo caso le attivi-tà sono state principalmente indirizzate ad acquisi-re ed analizzare informazioni e dati tecnici di pro-getto e di esercizio caratteristici dell’impiantistica na-zionale di trattamento dei rifiuti urbani. Finalità, que-sta, che esula dagli obiettivi a fronte dei quali l’ISPRApubblica annualmente il “Rapporto Rifiuti”, nei con-fronti del quale il presente rapporto si pone non informa alternativa, bensì complementare.Le informazioni e i dati relativi al parco impiantisti-co nazionale di trattamento dei rifiuti urbani ri-guardano sia le caratteristiche progettuali (capaci-tà di trattamento, apparecchiature e configurazio-ni adottate per le sezioni di pretrattamento, trat-tamento e post-trattamento, i sistemi di controllodelle emissioni ecc.), sia le condizioni operative (ti-pologia e quantitativi dei rifiuti trattati, recuperi ef-fettuati, produzione e gestione dei residui ecc.).Si precisa che le informazioni e i dati relativi allecaratteristiche progettuali sono aggiornati al 31 di-

cembre 2008. I dati operativi (quantitativi di rifiutitrattati, recupero di materia ed energia, produzio-ne e gestione dei residui ecc.) sono invece riferitiall’anno 2007.

Metodologia adottata

L’indagine è stata condotta tramite l’invio, a tuttigli impianti individuati sul territorio nazionale, diappositi questionari integrati, se necessario, conopportune interviste telefoniche e richieste di ul-teriori informazioni e/o chiarimenti. È stato deciso di limitare il campo di indagine agliimpianti aventi capacità di trattamento superiorealle 1.000 t/a. Ciò in considerazione del fatto che,in base alle informazioni ricevute, quelli al di sot-to di tale taglia non risultano rappresentativi delparco impiantistico in quanto, anche se a volte ab-bastanza numerosi, coprono una percentuale mol-to ridotta in termini di capacità di trattamento, ol-tre a risultare di non agevole caratterizzazione acausa delle oggettive difficoltà di reperimento diinformazioni e di dati tecnici.Per quanto riguarda specificatamente gli impianti didigestione anaerobica, sono stati presi in conside-razione solo gli impianti che trattano – in manie-ra esclusiva o come flusso anche non prioritario – ri-fiuti di origine urbana, tralasciando quelli dedica-ti esclusivamente al trattamento di altre tipologiedi rifiuti quali i fanghi, i reflui zootecnici e/o gli scar-ti dell’industria agro-alimentare.Il numero degli impianti oggetto dell’indagine (“im-pianti censiti”), e la loro capacità complessiva ditrattamento, sono riportati nella tabella 1.È da rilevare che la capacità di trattamento com-plessiva, riportata solo a titolo informativo sotto la

Pasquale De Stefanis, Farnoosh Farmand Ashtiani, Lorenzo M. Cafiero, Roberto Caggiano, Valentina Cipriano, Vito Iaboni, Riccardo Viselliprim

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2. È da rilevare che la definizione di “rifiuti urbani” non risulta univocamente individuata a livello europeo, fatto che ren-de molto spesso assai arduo effettuare confronti sui dati di produzione e sulle modalità di gestione in atto nei diver-si Stati membri. Ai fini del presente rapporto, con tale accezione si intendono i rifiuti che provengono da un cir-cuito urbano di raccolta e che comprendono sia quelli di origine domestica, sia quelli che sono ad essi assimilatio meno, così come individuati dallʼart. 184 del decreto legislativo n. 152/2006. A seconda delle modalità di rac-colta, i rifiuti urbani possono essere classificati in due distinte categorie riconducibili a quelli che sono oggetto di rac-colta differenziata (RD) e quelli che non sono oggetto di tale operazione, identificati come rifiuti urbani indifferen-ziati o residui (RUR).

3. In accordo al principio delle Migliori Tecniche Disponibili (Best Available Techniques, BAT), definite sia a livello co-munitario che nazionale, il termine “tecniche” comprende le tecnologie impiegate e le modalità di progettazione, co-struzione, manutenzione, esercizio e dismissione degli impianti.

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voce “totale”, non risulta direttamente correlabilealla produzione di rifiuti urbani in quanto si tratta divoci non omogenee. Alcuni flussi di rifiuti sono sot-toposti a trattamenti successivi “in serie” nello stes-so impianto o nello stesso sito o, nella maggioran-za dei casi, in impianti diversi, per cui le rispettivecapacità di trattamento non sono sommabili. Èquesto, ad esempio, il caso degli impianti di trat-tamento meccanico-biologico (TMB) che produco-no combustibile derivato da rifiuti (CDR) o frazionesecca – che vanno successivamente a recuperoenergetico – o che inviano la frazione secca ad unimpianto che produce CDR4. È inoltre da ricorda-re che negli stessi impianti vengono trattati ancherifiuti speciali, come ad esempio nel caso del recu-pero energetico5.Benché i questionari siano stati inviati a tutti i con-tatti individuati, è stato possibile ottenere solo unarisposta parziale tramite la ricezione degli stessi op-portunamente compilati. Per colmare questa lacuna ed aumentare la rap-presentatività del campione esaminato, si è provve-duto, per le voci più significative (capacità, stato

funzionale, anno di avviamento, sequenza dei trat-tamenti, dati di esercizio del 2007), ad integrarele informazioni e i dati ricevuti con quelli reperibilida fonti bibliografiche. In tale modo è stato pos-sibile acquisire le informazioni e i dati – che sonostati oggetto delle successive elaborazioni – relati-vi ad un numero maggiore di impianti i quali han-no portato a definire l’insieme degli “impianti esa-minati”. Ciò ha permesso di conseguire, rispettoal totale degli impianti censiti, percentuali di co-pertura soddisfacenti, sia in termini di numero diimpianti, sia di capacità di trattamento, che van-no da un minimo di circa il 55% nel caso del com-postaggio fino al 100% per la digestione anaero-bica e i trattamenti termici.Entrando in dettaglio, sono stati raccolti ed ana-lizzati le informazioni ed i dati relativi alle seguen-ti categorie di impianti:• i trattamenti meccanici post RD;• il compostaggio di frazioni selezionate;• i trattamenti meccanico-biologici;• la digestione anaerobica;• i trattamenti termici6.

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Le tecniche di trattamento dei rifiuti urbani in Italia

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Tabella 1 – Impianti di trattamento di rifiuti urbani censiti

Categoria d’impianto N° Capacità di trattamento

Trattamento meccanico post RD 33 n.d. [1]

Compostaggio 195 5.350.685

Trattamenti meccanico-biologici 135 14.539.369

Digestione anaerobica 10 487.000

Trattamenti termici 53 6.667.052

Totale 426 27.044.106 [2]

[1] Dato non disponibile per tutti gli impianti individuati[2] Esclusi gli impianti di trattamento meccanico post RDFonte: elaborazione ENEA sui dati raccolti nel corso dell’indagine

4. In realtà i rifiuti che escono da impianti di trattamento di rifiuti urbani sono classificati, di norma, come rifiuti speciali,per cui non sarebbero, a rigore, definibili come “impianti di trattamento di rifiuti urbani”. Una distinzione in tal sensorisulta praticamente impossibile (si pensi, ad esempio ad impianti di recupero energetico che trattano RUR/CDR oimpianti di TMB che trattano RUR/sovvalli) se non per impianti che trattano unicamente residui da altri trattamentiquali, ad esempio, gli impianti di recupero delle scorie di combustione, non presi in considerazione in questa indagine.

5. Proprio per il caso del recupero energetico, è da sottolineare che la taglia è più correttamente individuata dal carico ter-mico piuttosto che dalla capacità ponderale; questʼultimo valore, specie per impianti di non recente costruzione, puònon rispecchiare l̓ effettiva potenzialità dell̓ impianto, a causa dell̓ incremento subito nel tempo dal potere calorifico in-feriore (PCI) dei rifiuti che comporta, conseguentemente, una riduzione delle effettive quantità di rifiuti trattabili.

6. Essenzialmente costituiti dallʼincenerimento con recupero energetico, fatta eccezione dellʼimpianto di gassificazioneinstallato presso la discarica di Malagrotta (RM), in fase di avviamento nel periodo dellʼindagine.

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Oltre alle tecnologie di trattamento consolidate,che costituiscono l’ossatura dell’impiantistica di set-tore, sono state anche brevemente esaminate al-cune soluzioni alternative. Di queste si è venuti aconoscenza nel corso dell’indagine, sia tramite in-contri con i proponenti, sia a seguito di pressantiiniziative di promozione, alle quali è stata data am-pia eco a livello mediatico. Si è cercato di eviden-ziare le loro potenzialità e i loro limiti, con l’unicointento di fornire un quadro informativo quantopiù chiaro e corretto sul piano tecnico, nei limiti de-terminati dalla quantità e dalla qualità delle infor-mazioni e dei dati di cui si è avuta disponibilità.In particolare, per ciascuna proposta è stata ela-borata una scheda che illustra:• le origini e le finalità;• la descrizione della tecnologia;• il grado di sviluppo raggiunto;• alcune considerazioni tecniche.

Risultati ottenuti

I principali risultati conseguiti possono essere cosìriassunti:• Per quanto riguarda l’analisi dei trattamenti

meccanici post RD, il campione esaminato è ri-sultato piuttosto limitato (33 impianti censiti),a causa delle oggettive difficoltà nell’individua-re questa tipologia di impianti sul territorio. Siritiene tuttavia che esso sia sufficientementerappresentativo per quanto concerne le tecni-che di trattamento adottate le quali risultano,nel complesso, abbastanza standardizzate. Sul-la base dei dati relativi agli impianti esaminati(18) è possibile valutare, nel corso del 2007, unrecupero di materiali avente una resa media su-periore all’85%.

• Al 31 dicembre 2008 sono presenti sul territo-rio nazionale 393 impianti destinati al tratta-mento di rifiuti urbani, finalizzati al recuperodi materia (compostaggio) e di energia (dige-stione anaerobica, incenerimento con recupe-ro energetico), aventi una capacità nominalecomplessiva di oltre 27 Mt/a e che nel corsodell’anno 2007 hanno trattato circa 18 milio-ni di tonnellate di rifiuti. Tale capacità di trat-tamento non può essere direttamente correla-

ta alla produzione totale, in quanto si tratta divoci non omogenee. Infatti, con riferimento aidati di consuntivo del 2007, a fronte di unaproduzione totale di rifiuti urbani pari a 32,55milioni di tonnellate è possibile stimare che ilquantitativo di rifiuti urbani trattati – inclusi gliimpianti di trattamento meccanico post RD –sia stato pari al massimo a 20,66 milioni di ton-nellate (63,5%), per cui almeno 11,89 milioni ditonnellate (36,5%) sono state smaltite diretta-mente in discarica senza subire alcuna formadi trattamento. A questi vanno sommati i quan-titativi di rifiuti pretrattati e i residui di tratta-mento che fanno sì che l’incidenza della disca-rica sia ancora pari al 51,9%.

• Gli impianti di trattamento di frazioni organicheselezionate per la produzione di compost sono195, con una capacità complessiva di trattamen-to pari a circa 5,35 Mt/a e una capacità mediapari a circa 27.000 t/a. Questi impianti sono con-centrati soprattutto nel Nord del paese (122 su195, con una capacità di trattamento pari a cir-ca il 56% del totale), dove sono inoltre caratte-rizzati da una taglia inferiore alla media, segno diuna maggiore distribuzione sul territorio. Sonostati individuati anche 60 impianti di capacitàinferiore alle 1.000 t/a che coprono solo lo 0,8%del totale in termini di capacità di trattamento.Nel corso del 2007, negli impianti di compostag-gio sono stati trattati circa 3,1 milioni di tonnel-late di rifiuti urbani, con una produzione di circa930.000 tonnellate di compost.

• Gli impianti di TMB, ai fini della separazione sec-co-umido nonché della produzione di CDR e difrazione organica stabilizzata (FOS), sono 135,per una capacità complessiva di trattamento pa-ri a circa 14,5 Mt/a e una capacità media pari acirca 108.000 t/a. Detti impianti, contrariamen-te a quelli di compostaggio, risultano abbastan-za ben distribuiti a livello nazionale, con capa-cità di trattamento pressoché equivalente al Norded al Sud e solo lievemente inferiore al Centro.Anche in questo caso si registra al Nord un nu-mero maggiore di impianti (58 su 135) di tagliamediamente inferiore, a conferma di una mag-giore diffusione sul territorio. Nel corso del 2007,negli impianti di TMB sono stati trattati poco più

Pasquale De Stefanis, Farnoosh Farmand Ashtiani, Lorenzo M. Cafiero, Roberto Caggiano, Valentina Cipriano, Vito Iaboni, Riccardo Viselliprim

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di 10 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui circala metà (4,9 milioni di tonnellate trattate in 60impianti) destinate alla produzione di CDR. Laproduzione di quest’ultimo è stata pari a circa1,45 milioni di tonnellate, alla quale vanno as-sociate 1,25 milioni di tonnellate di FOS.

• Gli impianti di digestione anaerobica che tratta-no flussi di rifiuti di origine urbana sono solo 10,corrispondenti a una capacità complessiva ditrattamento pari a 477.000 t/a. Di questi, 7 so-no localizzati nelle Regioni settentrionali e rap-presentano oltre l’80% della capacità comples-siva. Nel corso del 2007, in questo tipo di im-pianti sono stati trattate circa 200.000 tonnel-late di rifiuti che hanno dato luogo alla produ-zione di poco meno di 50.000 tonnellate di dige-stato, oltre a circa 25 GWh di energia elettrica,che costituisce la forma prevalente di recuperoenergetico.

• Gli impianti di trattamento termico sono 53 (dicui 51 operativi e 2 in avviamento nel corso del2009), tutti costituiti da inceneritori, tranne ungassificatore, per una capacità complessiva ditrattamento pari a circa 6,7 Mt/a e una capacitàmedia pari a circa 125.000 t/a. Essi sono con-centrati soprattutto al Nord (29 su 53), con unacapacità di trattamento pari a circa il 66% deltotale. Il recupero energetico viene effettuatonella quasi totalità degli impianti (51 su 53) tra-mite la produzione di energia elettrica, mentrela produzione di energia termica, effettuata nel-l’ambito di uno schema di funzionamento co-generativo, riguarda solo 11 impianti, tutti si-tuati al Nord. Tramite l’esercizio di questi impian-ti sono stati trattati, nel corso del 2007, 4,45milioni di tonnellate di rifiuti, costituiti principal-mente da RUR (59,2%), da flussi da essi deriva-ti (frazione secca, CDR) provenienti da tratta-menti di tipo meccanico-biologico (25,1%) e, inmisura minore, da rifiuti speciali (15,7%). Daltrattamento termico dei rifiuti sono stati prodot-ti nel corso del 2007 circa 2.834 GWh di energiaelettrica e 757 GWh di energia termica, nonchécirca 800.000 tonnellate di scorie – il cui recu-pero ha raggiunto una quota superiore al 50%– e circa 220.000 tonnellate di residui dal trat-tamento dei fumi.

Considerazioni finali

L’esame delle tecniche adottate nelle varie tipologiedi impianti prese in esame ha mostrato un buonlivello di sviluppo, sicuramente in linea con gli in-dirizzi delineati dai BRefs a livello europeo e dallelinee guida a livello nazionale riguardo alla appli-cazione delle BAT, ovvero degli standard tecnologi-ci adottati in altre realtà dell’Unione Europea.Il sistema è da considerarsi sicuramente “maturo”nelle regioni settentrionali, ove si assiste ad una di-stribuzione generalizzata e abbastanza capillaredelle varie tipologie di impianti di trattamento. NelCentro-Sud, invece, appare evidente la carenza diimpiantistica di trattamento di recupero energeticoe, in misura minore, di compostaggio di frazioniselezionate. Oltre a ciò, è da sottolineare che l’im-piantistica presente nel Centro-Sud, anche quandonon penalizzata da una minore capacità comples-siva di trattamento, risulta caratterizzata dalla pre-senza di un numero inferiore di impianti sul territo-rio. Questi sono di taglia mediamente maggiore epresentano inoltre un “fattore di utilizzo” (rappor-to fra quantitativi di rifiuti trattati e capacità di trat-tamento dell’impianto) e una resa in materiali recu-perati (CDR, compost) inferiori rispetto a quelli ri-scontrabili nelle Regioni settentrionali.Sicuramente occorre riflettere sullo sviluppo del-l’impiantistica di TMB finalizzata al trattamento deiRUR, alla luce del fatto che le frazioni in uscita pre-sentano difficoltà di collocazione. Ancora oggi, se-condo le informazioni e i dati raccolti, almeno unapercentuale variabile tra il 15 e il 20% del CDRprodotto viene smaltita in discarica. Discarica checostituisce anche la destinazione principale dellaFOS, per la quale divengono sempre più pressantile richieste di sbocchi alternativi, tra cui la più auspi-cabile risulta paradossalmente essere l’inceneri-mento con recupero energetico.Proprio l’incenerimento con recupero energeticoè la modalità gestionale più carente sotto l’aspettodella dotazione impiantistica, come confermatodall’ancora elevata incidenza della discarica per losmaltimento di rifiuti non recuperabili altrimenti,nei confronti della quale esso si pone come unicaalternativa sostenibile sotto l’aspetto ambientale,così come ribadito dalla direttiva 2008/98/CE.

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no La formula

dell’efficienzaenergetica per l’incenerimentoPasquale De Stefanis

ENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

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riflettore su studi& ricerche

primo piano

Tra le novità introdotte dalladirettiva 2008/98/CE (Direttivaquadro sui rifiuti) di sicurointeresse è la cosiddetta“formula R1” che consente diclassificare l’esercizio degliimpianti di incenerimento dirifiuti urbani come operazionedi recupero e non dismaltimento, qualora leefficienze di recuperoenergetico siano superiori adei livelli minimi prefissati

The Energy Efficiency Formulafor Municipal Solid Waste

Incineration Directive 2008/98/EC has introduced the so-called “R1 formula” allowing to classify the activity of a Municipal Solid Waste Incinerator (MSWI) as wasterecovery instead of disposal, when the level of energyefficiency is higher than the established minimumstandards

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La formula dell’efficienza energetica per l’incenerimento

La direttiva 2008/98/CE (Direttiva quadro sui ri-fiuti) ha introdotto interessanti novità in tema digestione di rifiuti tra le quali di sicuro interessesono quelle riguardanti la netta distinzione tra“rifiuti”, “sottoprodotti” e “materie prime se-condarie”, nonché le nuove definizioni di “rici-claggio” e di “recupero”.In merito a quest’ultimo è da segnalare quantoriportato nell’Allegato II alla direttiva stessa, nelquale vengono descritte le operazioni di recupe-ro da rifiuti. Nel definire le operazioni di tipoR1 (“Utilizzazione principale come combustibi-le o come altro mezzo per produrre energia”)viene infatti precisato che l’incenerimento deirifiuti urbani può essere ascritto a tale catego-ria, anziché a quella di tipo D10 (“Incenerimen-to a terra”), qualora la sua efficienza di recu-pero energetico sia superiore a dei livelli minimi,stabiliti sia per gli impianti nuovi, sia per gli im-pianti in esercizio.Si tratta di una novità di notevole portata, fina-lizzata a dirimere una questione molto contro-versa sulla quale sono stati espressi nel tempopareri molto variegati e spesso contrastanti. Que-stione che oltretutto coinvolge vari aspetti (nor-mativi, autorizzativi, gestionali ed economici) chepossono mettere persino in discussione il fattoche la pratica dell’incenerimento dei rifiuti risul-ti o meno realizzabile.Negli ultimi anni, infatti, motivazioni di caratte-re non solo economico, ma anche di tipo ener-getico-ambientale, hanno fatto sì che la produ-zione di energia da rifiuti si sia sempre più svi-luppata. Tuttavia la pre-vigente normativa, sia alivello europeo che nazionale, pur intendendopromuovere tale forma di recupero, non avevamai definito dei criteri che consentissero di clas-sificare le operazioni di incenerimento di rifiuti

tra quelle di recupero R1, anziché di smaltimen-to D10.

La formula per il calcolodell’efficienza di recupero

Nell’Allegato II della Direttiva 2008/98/CE è ri-portata una formula per il calcolo dei livelli di ef-ficienza di recupero del contenuto energeticodei rifiuti urbani, qualora essi siano destinati al-la produzione di energia elettrica e/o termica.Si tratta in pratica di un bilancio dell’energia iningresso e in uscita dall’impianto, effettuato subase annua.La formula è la seguente:

Emin = (Ep – (Ef + Ei)) / (0,97 x (Ew + Ef))[1]

dove:

Emin = efficienza minima richiesta pari a:

• 0,60 per impianti in esercizio ed autorizzati inaccordo alla normativa comunitaria vigenteprima del 1 gennaio 2009;

• 0,65 per impianti autorizzati dopo il 31 di-cembre 2008.

Ep (GJ/a) = energia prodotta sotto forma elet-trica e termica su base annuale, da calcolarsimoltiplicando l’energia elettrica prodotta per ilfattore 2,6 e l’energia termica per il fattore 1,1.Ef (GJ/a) = energia in ingresso all’impianto de-rivante dal consumo di combustibili tradizionalisu base annua, destinati alla produzione di va-pore.Ew (GJ/a) = energia contenuta nei rifiuti trattatisu base annua, calcolata sulla base del poterecalorifico inferiore (PCI).Ei (GJ/a) = energia importata nell’impianto subase annua, con esclusione di Ew e Ef.

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È inoltre presente un fattore (0,97) che tieneconto delle perdite di energia nel corso del pro-cesso di combustione dei rifiuti, connesse princi-palmente a fenomeni di irraggiamento e al ca-lore disperso con scorie e ceneri.La formula ha validità generale e, in linea di prin-cipio, dovrebbe consentire una verifica puntua-le dell’efficienza di recupero energetico conse-guita in un impianto di incenerimento di rifiutiurbani, in qualsiasi forma esso venga effettua-to, vale a dire tramite la produzione di:• energia elettrica;• energia termica;• energia termica ed elettrica in combinazione

(“cogenerazione”).Va da sé che la tipologia di recupero effettuatodipende solo in forma indiretta dalle caratteri-stiche dell’impianto, mentre risulta fortementeinfluenzata dalle condizioni locali del sito ove es-so verrà a essere installato. In particolare, essasarà condizionata dall’esistenza o meno di unmercato per l’energia termica che (contrariamen-te a quella elettrica che può essere comunqueimmessa sulla rete di distribuzione nazionale) ri-sulta legato alla presenza in loco di utenze in-dustriali e/o civili, quasi sempre caratterizzate dauna forte variabilità temporale della richiesta subase stagionale o addirittura giornaliera.È da sottolineare il fatto che la formula in que-stione stabilisce per la prima volta dei valori mi-nimi per il recupero energetico dall’incenerimen-to di rifiuti, recupero che, seppure sempre pro-mosso dalla normativa in vigore, non era maistato quantificato in precedenza, né a livello eu-ropeo, né a livello nazionale1.Infatti la direttiva 2000/76/CE si è limitata adaffermare (articolo 6, punto 6) che: “Il caloregenerato dai processi di incenerimento o dicoincenerimento è recuperato per quanto pos-

sibile”. Su tale assunto il DLgs 152/2006 all’art.182, comma 4 recita: “Nel rispetto delle pre-scrizioni contenute nel decreto legislativo 11maggio 2005 n. 133, la realizzazione e la ge-stione di nuovi impianti possono essere auto-rizzate solo se il relativo processo di combustio-ne è accompagnato da recupero energetico conuna quota minima di trasformazione del poterecalorifico dei rifiuti in energia utile, calcolata subase annuale, stabilita con apposite norme tec-niche approvate con decreto del Ministro del-l’ambiente e della tutela del territorio di con-certo con il Ministro delle attività produttive, te-nendo conto di eventuali norme tecniche di set-tore esistenti, anche a livello comunitario”. Nor-me tecniche che nella pratica non sono stateperò mai definite.

Il campo di applicazione dellaformula

Una prima considerazione sorge proprio dallalettura del testo della nota che introduce la for-mula: “Gli impianti di incenerimento dei rifiutisolidi urbani sono compresi (nell’operazione R1)solo se la loro efficienza energetica è uguale osuperiore a…”.Per quanto riguarda la definizione di “impiantodi incenerimento”, si può fare riferimento pro-prio alla definizione data dalla normativa, valedire quella riportata nella direttiva 2000/76/CEsull’incenerimento dei rifiuti (ripresa a livello na-zionale dal DLgs 11 maggio 2005 n. 133), chevi identifica “qualsiasi unità e attrezzatura tec-nica fissa o mobile destinata al trattamento ter-mico dei rifiuti con o senza recupero del caloreprodotto dalla combustione. In questa definizio-ne sono inclusi l’incenerimento mediante ossi-dazione dei rifiuti nonché altri procedimenti di

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1. Fatta eccezione per il DM 5 febbraio 1998 che regola le procedure semplificate per il recupero di materia ed ener-gia da rifiuti che prevede (articolo 4) la definizione di livelli minimi di rendimento di conversione per le varie alter-native di recupero energetico (produzione di energia elettrica, termica, cogenerazione). Nel caso di produzionedi energia elettrica è prevista una specifica formula, di natura empirica, che tiene conto della taglia dellʼimpianto.

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trattamento termico, quali, ad esempio, la piro-lisi, la gassificazione o i processi all’arco plasma,sempre che le sostanze risultanti dal trattamen-to siano successivamente incenerite”.È chiaro quindi che la suddetta definizione di in-cenerimento fa riferimento alla sua funzione pri-maria che è quella di convertire delle sostanzecomunque pericolose – o perché putrescibili epotenzialmente patogene (è il caso dei rifiuti ur-bani) o perché rivestono carattere di nocività (è ilcaso di alcuni rifiuti speciali di origine industria-le) – in composti innocui (acqua, anidride car-bonica), ovvero praticamente inerti (“ceneri”).In pratica sono impianti di incenerimento tuttiquelli che hanno come funzione primaria il trat-tamento termico dei rifiuti ai fini del loro smal-timento; per questo scopo essi possono fareuso della combustione diretta come pure di al-tri processi (pirolisi, gassificazione arco-plasma).Il recupero energetico, sempre presente per mo-tivazioni di carattere economico, viene effet-tuato tramite l’impiego di un ciclo termico avapore che sfrutta come fonte energetica il ca-lore generato dalla combustione diretta dei ri-fiuti o dei prodotti grezzi derivati da un tratta-mento termico alternativo. Questo schema direcupero energetico è quello adottato nellastragrande maggioranza degli impianti che fan-no uso di processi diversi dalla combustione di-retta dei rifiuti.Per quanto riguarda invece il riferimento ai “rifiu-ti solidi urbani” la questione risulta un po’ piùcomplessa. È da rilevare innanzitutto che la definizione di“rifiuti (solidi) urbani” non risulta univoca a li-vello europeo, fatto che rende spesso assai ar-duo effettuare confronti sui dati di produzionee sulle modalità di gestione in atto nei diversipaesi. Infatti, mentre a livello nazionale è previ-

sta una specifica categoria (i rifiuti speciali), cheinclude tutti i rifiuti diversi da quelli urbani, taledistinzione non è presente nelle realtà estere,nelle quali molti flussi di rifiuti speciali conflui-scono direttamente nel circuito di quelli urbanie in particolare negli impianti di trattamento ter-mico.Sebbene il riferimento ai rifiuti urbani non troviuna giustificazione sul piano meramente tecnico,appare chiaro che l’applicazione della formuladebba essere circoscritta agli impianti la cui fun-zione primaria è finalizzata al trattamento di ri-fiuti di origine urbana, che costituiscono il set-tore più rappresentativo del recupero energeticosotto l’aspetto quantitativo, tralasciando quindigli impianti, che pur effettuando il recupero ener-getico, hanno come funzione primaria la termo-distruzione di rifiuti speciali e/o pericolosi.

L’applicazione praticadella formula

Senza entrare in una discussione di dettaglio ri-guardo alle tecniche2 finalizzate all’incrementodel recupero energetico, si vuole sottolineare cheè sicuramente da apprezzare il principio di basedella formula che tende a privilegiare gli impian-ti che riescono a conseguire efficienze di recu-pero energetico più elevate.L’effettiva applicazione della formula necessitatuttavia di specificazioni e chiarimenti intesi adevitare interpretazioni soggettive o suoi erroneiimpieghi.In merito occorre ricordare che l’art. 39 della di-rettiva 2008/98/CE prevede specificatamente che“…Se necessario l’applicazione della formulaper gli impianti di incenerimento di cui all’alle-gato II, codice R1, è specificata. È possibile con-siderare le condizioni climatiche locali, ad esem-

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2. In accordo al principio delle migliori tecniche disponibili (Best Available Techniques, BAT), definite a livello co-munitario e nazionale, il termine “tecniche” comprende sia le tecnologie impiegate, sia le modalità di progetta-zione, costruzione, manutenzione, esercizio e dismissione degli impianti.

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pio la rigidità del clima e il bisogno di riscalda-mento nella misura in cui influenzano i quantita-tivi di energia che possono essere tecnicamen-te usati o prodotti sotto forma di energia elet-trica, termica, raffreddamento o vapore…”. Ta-le misura, essendo intesa a modificare elementinon essenziali della direttiva, potrà essere adot-tata tramite la procedura della “comitatologia”.È indubbio che occorre chiarire sia il suo cam-po di applicazione, sia il significato di alcunitermini che compaiono nella sua espressionee che possono avere un’influenza rilevante suivalori calcolabili per l’efficienza minima di re-cupero. A tale scopo è stato costituito presso la Com-missione Europea un gruppo di lavoro ristrettoal quale partecipano esperti e stakeholders delsettore, finalizzato a definire di linee guida perla sua applicazione pratica.Verranno di seguito discussi alcuni aspetti chedovranno essere affrontati e chiariti nell’ambitodei lavori del suddetto gruppo di lavoro in modoche l’applicazione della formula risulti scevra dainterpretazioni e non dia luogo a disparità di trat-tamento per le diverse realtà presenti all’inter-no dell’Unione Europea.

I limiti di batteria per l’applicazionedella formulaUn primo aspetto da considerare è relativo alladefinizione dei limiti di batteria dell’impianto alquale applicare la formula, che non necessaria-mente debbono coincidere con quelli riportatinell’atto autorizzativo.Infatti, oltre all’unità di incenerimento possonoessere presenti sullo stesso sito (ed essere og-getto della stessa autorizzazione) unità di pre-trattamento dei rifiuti e post-trattamento dei re-sidui (scorie, ceneri), oltre ad altri sistemi che ri-guardano il trattamento di altri rifiuti (es.: trat-

tamento di fanghi tramite digestione anaerobica,unità di selezione destinate al riciclaggio ecc.),o la produzione di energia con combustibili tra-dizionali.In linea con il BRef3 sull’incenerimento, i limitidel sistema devono essere ristretti unicamentealle apparecchiature e ai componenti asservitial sistema incenerimento/recupero energetico.In altre parole, ciò equivale a dire che debbo-no essere presi in considerazione il sistema ca-mera di combustione/generatore di vapore, iltrattamento dei fumi, il gruppo turbina/generatore ed eventuali scambiatori per la pro-duzione di energia termica, come pure tuttequelle apparecchiature ausiliarie (pompe, venti-latori, compressori, sistemi di controllo, riscal-damento ecc.) necessarie per un corretto fun-zionamento e che costituiscono le utenze elet-triche/termiche asservite al processo di incene-rimento.

I flussi di energia che costituiscono i fattori della formulaIn accordo ai principi di un bilancio energetico,nel caso in esame Ew, Ef ed Ei costituiscono iflussi di energia in input al sistema. Non così èper il termine Ep, definito come l’“energia an-nua prodotta sotto forma di energia termica oelettrica.” Infatti, secondo l’interpretazione ormai afferma-tasi, che verrà sancita dalle linee guida in corso dielaborazione, Ep individua la produzione lordadell’impianto e quindi non risulta direttamentecorrelata ai limiti di batteria del sistema.Un’applicazione rigorosa del bilancio energeti-co porterebbe a riferire tale termine alla produ-zione netta, vale a dire all’energia effettivamen-te resa disponibile all’esterno, al netto dei consu-mi necessari per il funzionamento dell’impian-to. Di quest’ultimi in effetti non se ne tiene con-

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3. Best available techniques REFerence document on waste incineration, pubblicato dalla Commissione Europeanel luglio del 2006. Riporta le linee guida per lʼapplicazione delle BAT.

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to o, per meglio dire, se ne tiene conto in ma-niera indiretta assumendo che essi costituisca-no una percentuale abbastanza ben definita del-la produzione lorda. Ciò non toglie che, così co-me concepita, la formula metterebbe sullo stes-so piano impianti che, a parità di energia elet-trica prodotta, possono presentare consumi ener-getici molto diversi e quindi rendere effettiva-mente disponibile un surplus netto di energia inun caso molto minore, surplus che costituiscel’effettivo parametro che dà valenza al recupe-ro in termini di risparmio di risorse e di conteni-mento di emissioni.Un’altra voce di cui va chiarito il significato èquella relativa al termine Ei, vale a dire all’ener-gia importata sotto forma di energia elettricae/o termica nonché di eventuali combustibili au-siliari, ad eccezione di quelli che vengono utiliz-zati direttamente nella camera di combustioneche, contribuendo alla produzione di vapore,vanno a costituire il termine Ef.Essendo Ei un termine che si sottrae al numera-tore della formula, esso dovrebbe essere mini-mizzato, cioè l’impianto dovrebbe, per quantopossibile, essere autosufficiente dal punto di vi-sta energetico. Tenuto conto di quanto appenadetto per Ep, questo equivale ad affermare chel’esercizio dell’impianto dovrebbe essere indiriz-zato verso il consumo dell’energia autoprodotta,senza ricorrere al prelievo di energia elettrica e/otermica (anche sotto forma di combustibili), lacui produzione deriva da fonti energetiche pri-marie di origine non rinnovabile. In altri termi-ni, questo equivale a dire che il rispetto delle so-glie minime di efficienza energetica potrebbeanche andare in contrasto con la piena adozionedelle BAT4.

Un aspetto cruciale riguarda la definizione diEw, cioè dell’“energia annua contenuta nei ri-fiuti trattati calcolata in base al potere calorifi-co netto5 dei rifiuti”. Poiché anche questo è untermine che può influenzare notevolmente i va-lori di efficienza minima, dovrà essere specifica-to come valutarlo, vale a dire se in forma indi-retta (attraverso un bilancio di materia ed ener-gia dell’impianto, così come previsto dal BRef)o diretta, tramite determinazioni analitiche pe-riodiche. Quest’ultima via risulta essere moltodispendiosa e oltretutto poco accurata a causadella scarsa rappresentatività del campione, con-seguente alla inevitabile disomogeneità del ma-teriale in esame.Ew dovrà quindi essere determinato tramite unbilancio energetico del sistema forno/generatoredi vapore per il quale l’input è costituito dal ter-mine (Ew + Ef), mentre l’output è costituito daparametri misurati (portata e temperatura vapo-re, portata e temperatura fumi) ovvero stimati(perdite per irraggiamento, contenuto energe-tico delle scorie).

I fattori di equivalenzaIl termine Ep viene testualmente definito comel’“energia annua prodotta sotto forma di ener-gia termica o elettrica. È calcolata moltiplican-do l’energia sotto forma di elettricità per 2,6 el’energia termica prodotta per uso commercia-le per 1,1”.Tali valori, ripresi dal BRef sull’incenerimento deirifiuti, si basano sulle seguenti assunzioni:• l’efficienza media per la produzione di ener-

gia elettrica (principalmente da centrali ter-moelettriche di tipo convenzionale) è paria 38%;

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4. Si pensi, ad esempio, ad un impianto che impiega uno stadio di riduzione SCR posto in coda al sistema ditrattamento dei fumi, per il funzionamento del quale è necessario il preriscaldamento della corrente di fumida trattare, di norma ottenuto tramite lʼimpiego di un combustibile ausiliario (gas naturale). Il relativo apportoenergetico influenza negativamente il valore dellʼefficienza minima di recupero.

5. Il riferimento è sicuramente al potere calorifico inferiore (PCI); è da rilevare che il testo in italiano della direttivarisente negativamente di una non corretta traduzione della definizione inglese net calorific value.

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• l’efficienza media di produzione dell’energiatermica è pari a 91%6.

In pratica ciò equivale a dire che si assume cheun rendimento del 38% di conversione in ener-gia elettrica equivale ad un’efficienza di recupe-ro energetico pari a 1, mentre nel caso di pro-duzione di sola energia termica tale livello di ef-ficienza viene raggiunto per un rendimento ter-mico del 91%.Allo stato attuale i livelli di rendimento lordoper un impianto di incenerimento di rifiuti ur-bani di ultima generazione e di taglia medio-grande destinato alla produzione di sola ener-gia elettrica è dell’ordine del 30-32%, vale adire che i livelli di Emin conseguibili sono del-l’ordine di 0,8-0,85. È facile dimostrare che glistessi livelli di Emin possono essere conseguiticon efficienze di recupero dell’ordine dell’80-85% nel caso di produzione di sola energia ter-mica, valori questi facilmente conseguibili allostato attuale anche in impianti di taglia medio-piccola.Ciò consente di affermare che la migliore con-figurazione di funzionamento possibile è quellache prevede l’assetto cogenerativo (produzionecombinata di energia elettrica e termica), inquanto permette di conseguire, a parità di altrecondizioni, i valori più elevati di Emin. In alternativa è possibile trarre le seguenti conclu-sioni:• gli impianti di taglia medio-piccola dovrebbe-

ro essere localizzati in corrispondenza di areeindustriali e/o urbane ed essere asserviti prin-cipalmente alla produzione di energia termi-ca7 da cedere ad utenze sotto forma di acquacalda, vapore di processo e/o fluido motoreper sistemi di refrigerazione/condizionamentodell’aria;

• gli impianti di taglia medio-grande possonoessere localizzati anche lontano da aree ur-bane e/o industriali in quanto, grazie alla fat-tibilità tecnico-economica dell’adozione disoluzioni tecniche avanzate per la configu-razione del ciclo termico, sono in grado diconseguire elevati livelli di efficienza energe-tica tramite la produzione di sola energiaelettrica, che può essere immessa sulla retenazionale.

Le specificità localiUno dei limiti della formula [1] è insito proprionel fatto che essa è unica e presenta un unicovalore di soglia per tutti i vari Stati membri del-l’Unione Europea. È logico aspettarsi che i paesidel Nord continuino a privilegiare la produzionedi energia termica, quelli dell’Europa centralepotranno adottare l’assetto cogenerativo, men-tre quelli del Sud Europa si assesteranno quasiesclusivamente sulla produzione di energia elet-trica. Questa disparità di condizioni, legata es-senzialmente a motivazioni di tipo geo-climati-co, potrebbe condurre, per assurdo, a favorirela spedizione di rifiuti nei paesi del Nord Euro-pa, nei quali l’incenerimento dei rifiuti urbaniraggiunge più agevolmente lo status di opera-zione di recupero.Un approccio più appropriato alla questione,che dovrà essere sicuramente discusso in sededi comitatologia, sarebbe quello di prevederedei coefficienti correttivi che tengano conto del-le specificità locali o, in alternativa, prevederedue formule distinte da applicarsi rispettivamen-te alla produzione di sola energia elettrica ed aicasi nei quali è presente la produzione di ener-gia termica (in forma esclusiva o in assetto coge-nerativo).

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6. È da sottolineare che questi fattori di equivalenza non costituiscono dei coefficienti prefissati o dei fattori di conver-sione. Essi costituiscono solo una stima dellʼenergia primaria necessaria per la produzione di energia (termicae/o elettrica) in impianti industriali tradizionali.

7. Va da sé che, a livello nazionale, la produzione di energia termica andrebbe quantomeno incentivata al pari diquanto avviene per la produzione di energia elettrica attraverso il meccanismo dei certificati verdi.

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Le procedure di qualifica e controllo Un ulteriore aspetto da chiarire riguarda la stan-dardizzazione di procedure da applicare sia per laqualifica degli impianti, sia per il monitoraggiodel rispetto della classificazione, con particolareriguardo a quella di impianto di tipo R1. A riguardo possono essere fornite solo delle li-nee guida, fermo restando che l’applicazione edil controllo dovrà essere a cura dei singoli Statimembri.In linea generale si può solo affermare che il cal-colo dovrà essere effettuato su base annuale, incondizioni di normale funzionamento, in mododa tenere conto dell’influenza delle variazionistagionali (richiesta di energia termica, tempe-ratura della sorgente fredda ecc.). Per i nuoviimpianti la classificazione dovrà essere effettua-ta in base ai dati di progetto e confermata trami-te prove prestazionali da effettuarsi a valle dellaloro messa in esercizio.Per ottenere la classificazione R1 il gestore del-l’impianto dovrà fornire all’autorità competen-te i dati necessari per il calcolo e i risultati ottenu-ti. Eventuali verifiche dovranno essere effettuatein caso di modifiche sostanziali dell’impianto (ri-strutturazione del generatore di vapore, dellaturbina, del sistema di trattamento dei fumi, mo-difiche a contratti di fornitura di energia a terziecc.) o entro un periodo massimo prefissato (es.:10 anni). La verifica dello status di un impianto sarà a cu-ra dell’autorità competente, che potrà richiede-re i dati necessari al suo calcolo, ovvero disporreanche ispezioni sul campo. In caso di mancato conseguimento di status R1o di sua perdita, sarà facoltà dell’operatore ri-petere il test a seguito di intervenute modificheimpiantistiche, operative o contrattuali.È da ricordare infine che della qualifica dell’im-pianto dovranno anche tenere conto le autori-tà competenti nel caso di trasporti transfrontalie-ri di rifiuti.

Conclusioni

La direttiva 2008/98/CE ha introdotto una for-mula per il calcolo dei livelli minimi di efficienzadegli impianti di incenerimento di rifiuti urbanisulla base dei quali tale forma di gestione puòessere classificata come operazione di recupero(R1) anziché di smaltimento (D10). Tale criterioè finalizzato a superare una questione annosache ha portato all’insorgere di numerose con-troversie che hanno richiesto, a più riprese, un’in-terpretazione in merito da parte della Corte Eu-ropea di Giustizia.È sicuramente da apprezzare il principio di basedella formula che tende a privilegiare gli impian-ti che riescono effettivamente a conseguire ele-vate efficienze di recupero del contenuto ener-getico dei rifiuti, superando i limiti evidenziatida altre proposte fatte in passato che, facendoriferimento alle sole caratteristiche dei rifiuti,erano inficiate dall’arbitrarietà connessa con lafissazione di valori limite per il parametro chia-ve costituito dal potere calorifico inferiore.Va tuttavia rilevato che esistono ancora moltiaspetti da chiarire riguardanti sia la valutazionedi alcuni termini che compaiono nella formula,sia l’influenza di alcuni fattori quali, ad esem-pio, la localizzazione e la taglia dell’impianto;aspetti che potranno e dovranno essere chiaritiall’interno della procedura di comitatologia, co-sì come previsto dall’articolo 39 della direttivastessa.Si può comunque ritenere che, al di là di questiaggiustamenti “tecnici”, il principio introdottopossa costituire un utile strumento ai fini dellaclassificazione degli impianti di incenerimento,in quanto basato su dati tecnici oggettivi, in gra-do di tenere conto sia dello sviluppo tecnologicodel settore, sia dei risvolti positivi sull’ambienteche tale pratica ha in termini di risparmio di ri-sorse e di contenimento delle emissioni di inqui-nanti e di gas serra.

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no Scenario di un sistema

integrato di gestionedei rifiuti urbanicon la raccolta differenziata al 65%

Vito IaboniPier Giorgio Landolfo

ENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

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riflettore su studi& ricerche

primo piano

Il raggiungimento degli obiettividella raccolta differenziata fissatidalla legge 152/2006 e suaevoluzione, rafforzato dallepriorità indicate nella nuovadirettiva quadro sui rifiuti,richiede la realizzazione di unsistema integrato sostenuto datecnologie e impianti chedovranno dare il migliorrisultato ambientalecomplessivo. Lo scenario digestione integrata è statoelaborato in modo che la varietàdelle tecniche di trattamento ela chiusura del ciclo di gestionedei rifiuti siano in pieno accordocon quanto previsto dallanormativa

A Scenario of an IntegratedMunicipal Solid Waste

Management with a 65% Separate Collection

The achievement of the separate collection objectives laiddown in Law no. 152/2006, and the priorities specifiedin the new Waste Framework Directive cannot prescindfrom an integrated system supported by technologies andfacilities that are best environmentally friendly. Anintegrated management scenario has been worked out so

that the various treatment techniques and the closure ofthe waste management cycle are perfectly in line with

the laws and regulations currently in effect

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Scenario di un sistema integrato di gestione dei rifiuti urbani con la raccolta differenziata al 65%

Produzione e gestione dei rifiutiurbani in Italia

In Italia la produzione dei rifiuti urbani (RU) neltriennio 2006-2008, dopo la continua crescitadei precedenti anni, si può considerare stazio-naria e, per la prima volta, nel 2008 si manife-sta una leggera contrazione, come riportato nel-l’ultimo “Rapporto rifiuti urbani” del 2009 elabo-rato dall’ISPRA[1]. Questa tendenza può essereattribuita oltre che alla riduzione dei consumiderivante dal perdurare della negativa congiun-tura economica e agli effetti dell’applicazionedel DLgs n. 4 del 2008, che dà delle limitazioniall’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani,anche all’avvio di politiche di prevenzione in di-verse realtà territoriali. Si stanno sviluppandosempre più sul territorio approcci virtuosi nei si-stemi produttivi, nei modelli di consumo e nel-la gestione dei rifiuti che tendono ad ottimizza-re lo sfruttamento delle risorse ed a ridurre laproduzione di rifiuti urbani.In questo contesto l’utilizzo della discarica, purrappresentando tuttora la forma di smaltimen-to principale, si riduce negli ultimi anni in ma-niera progressiva.Dall’ultimo rapporto rifiuti ISPRA in relazione al-le diverse tipologie di gestione dei RU si rilevanella loro gestione, rispetto ai 32,5 milioni ditonnellate dei rifiuti prodotti nel 2008, la se-guente situazione:• il 49% viene smaltito in discarica;• il 12,7% viene incenerito con recupero ener-

getico;• il 23% viene indirizzato ai trattamenti mecca-

nico-biologici;• il 7%, derivante da frazioni selezionate, è av-

viato al compostaggio;• la percentuale rimanente viene indirizzata ad

altre forme di recupero.I sistemi tecnologicamente maturi e/o innovativifinalizzati al recupero energetico e di materia al-ternativi alla discarica (trattamenti termici e trat-

tamenti di tipo meccanico-biologico) fanno re-gistrare tuttora percentuali di utilizzo contenu-te, sono ancora distribuiti in maniera fortemen-te disomogenea sul territorio nazionale e sonoin stretta correlazione alla presenza di sistemi digestione integrati e ai risultati positivi raggiuntinelle stesse aree dalla raccolta differenziata (RD)e dalla frazione biodegradabile in particolare.Nella figura 1, in relazione alla produzione deiRU, viene rappresentato l’andamento nel tem-po della RD che, come evidenziato, risulta stret-tamente correlata alla riduzione dei quantitati-vi smaltiti in discarica. La RD interessa attual-mente il 30,6% del totale dei RU prodotti a li-vello nazionale (figura 2), ma non riesce ancoraad assumere il ruolo preminente per le modalitàdi trattamento e smaltimento. Dall’analisi della figura 2 si osserva che la RD è ri-spettivamente pari: al Nord al 45,5%, al Centroal 22,9% ed al Sud al 14,7%. Nelle Regioni delNord, dove sono presenti sistemi di gestione inte-grata con impianti a tecnologia complessa, si os-serva che per la RD continua, anche nel 2008, iltrend di crescita, mentre al Centro-Sud per motiviculturali, strutturali e gestionali ancora non riescea decollare, anche se in alcune Regioni è stata rag-giunta una notevole percentuale di RD (Sardegna34,7%, Abruzzo 21,9%, Campania 19,0%). Nonostante questo trend positivo, nel 2008 nonsono stati ancora conseguiti, a livello nazionale,mediamente gli obiettivi indicati dal DLgs 22/97,il cosiddetto “Decreto Ronchi” (raggiunti nel2004 con ritardo solo nel Nord), e siamo ancoralontani da quelli più elevati e di riferimento in-dicati nella legge n. 152 del 2006, diventandosempre più significativo il divario tra Nord e Sud.

Evoluzione della normativa

L’entrata in vigore del Decreto Ronchi, che ha da-to attuazione alle politiche comunitarie sui rifiuti,ha segnato indubbiamente il punto di svolta. Il de-creto per la prima volta ha fissato scadenze e indi-

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Vito Iaboni, Pier Giorgio Landolfo prim

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iano Figura 1

Andamento della produzione, della raccolta differenziata e dello smaltimento in discarica dei rifiutiurbani in ItaliaFonte: elaborazione ENEA da dati APAT ed ISPRA[1]

Figura 2Andamento della raccolta differenziata in ItaliaFonte: elaborazione ENEA da dati APAT ed ISPRA[1]

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cato obiettivi di RD che richiedevano la rimodula-zione di tutto il sistema di gestione e la necessità diattivare in forma estesa le RD non solo alle frazio-ni secche, ma anche alla frazione organica.I principi e gli obiettivi del suddetto decreto nelcorso degli anni sono stati ulteriormente raffor-zati dal DLgs 36/2003 che recepisce la Direttiva31/1999 CE sulle discariche; dal DM 203/03 su-gli “acquisti verdi” della Pubblica Amministrazio-ne; dal DLgs 151/2005 che regola la raccolta e ilriciclo dei rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE) e re-cepisce le direttive 2002/95/CE 2002/96/CE e2003/108/CE; dalla Legge 152/2006 e sua evo-luzione, che introduce i due nuovi obiettivi di RDdel 45% da raggiungere entro il 2008 e del 65%entro il 2012. Tale legge è stata rivisita anche dal-la Legge 296/2006 (art. 1, comma 1008) che ri-modula i tempi e introduce lo strumento del“commissario ad acta” per i Comuni che non rag-giungeranno l’obiettivo di RD alla data indicata.Nuovo impulso alla politica in materia di rifiuti,oggi, scaturisce dalla nuova direttiva quadro suirifiuti (Direttiva 2008/98/CE), che nell’ambito diun uso razionale delle risorse, attribuisce alla pre-venzione il ruolo prioritario del sistema di gestio-ne dei rifiuti. Questa direttiva, con l’approvazio-ne da parte del Consiglio dei Ministri, in data16.4.2010, di un testo del DLgs, ha iniziato ilsuo iter per l’approvazione in Italia (si presuppo-ne nei tempi richiesti dalla CE), che dovrà con-cludersi entro dicembre 2010.I principi fondamentali stabiliti dalla direttiva conla seguente scala di priorità sono:a) prevenzione e riduzione all’origine di quantità

e pericolosità dei rifiuti, a partire dalla proget-tazione di beni e prodotti sulla base dell’ana-lisi del loro ciclo di vita;

b) preparazione per il riutilizzo;c) riciclaggio (recupero di materia, attraverso la

raccolta differenziata e la selezione meccani-ca/chimico/fisica delle frazioni raccolte (orga-nico, cellulosa, vetro, polimeri, metalli, inerti dademolizione, oli usati, elettrodomestici, elettro-nici ed elettrici dismessi, auto a fine vita ecc.);

d) recupero di energia o di altro tipo (recuperodi energia e delle frazioni residuali (scorie), at-traverso trattamenti termici preferibilmente in

schemi di cogenerazione termica ed elettrica,della frazione residuale dei rifiuti urbani, non-ché il recupero delle frazioni residuali derivan-ti dalla combustione);

e) smaltimento finale e messa in sicurezza a lungotermine delle frazioni residuanti dalle fasi prece-denti e loro smaltimento in discarica controllata.

Scenario del sistema integrato digestione dei RU con la RD al 65%

L’esigenza di ottimizzare le ricadute sociali, eco-nomiche ed ambientali della gestione dei RU,comporta la necessità di sviluppare sul territorioun sistema di gestione integrato, supportato datecnologie e impianti, capace di ottimizzare ilrapporto costo/qualità del servizio agli utenti, insintonia con gli obiettivi di RD, riciclo dei mate-riali, del recupero di materia e del trattamentoe smaltimento finale per il rifiuto residuale colmiglior risultato ambientale complessivo. Un tale modello organizzativo va, di conseguen-za, attuato in ambiti caratterizzati dalla presen-za di un congruo numero di utenti, per poter ot-tenere adeguate economie di scala, condizionenecessaria per una maggiore produttività del ser-vizio stesso[2].Immaginando un “naturale” percorso evolutivodei sistemi di gestione rifiuti, è difficile immagi-nare un sistema a bassa tecnologia ed estrema-mente frammentato sul territorio. Riciclo, recupe-ro di materia e recupero energetico, implicanola disponibilità di un certo numero di impiantiche in alcuni casi possono essere gestiti da singo-li soggetti pubblici o privati, altri richiedono laconcorrenza di interessi di una “rete” molto am-pia di soggetti, comprendente il sistema produt-tivo, utilizzatore finale dei materiali recuperati.Inoltre, tutto il discorso sulla ottimizzazione dellaRD deve essere accompagnato, oggi, da un sup-porto tecnico-scientifico che, indipendentementedai probabili problemi di mercato, indichi i possibi-li riutilizzi per qualsiasi frazione negli attuali pro-cessi produttivi in quanto la RD deve coinciderecon il riciclo e/o recupero. È ragionevole presume-re che per alcune frazioni sussistano margini am-pi per realizzare il 100% di riciclo e/o recupero e

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Scenario di un sistema integrato di gestione dei rifiuti urbani con la raccolta differenziata al 65%

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ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/201028

che per altre l’oggettiva non convenienza econo-mico-ambientale si raggiunga a livelli inferiori.Va tuttavia considerato che il concetto di RD inun sistema integrato ha probabilmente una va-lenza tecnica che va al di là di quella di “educa-zione alla trasformazione comportamentale”, inquanto tutto ciò che va nella direzione di ren-dere il processo dei RU, con le loro caratteristi-che intrinseche di omogeneità, simile ad un pro-cesso industriale, facilita comunque le possibili-tà tecniche di riciclo e recupero.Tipicamente, delle frazioni tradizionalmente rac-colte in modo differenziato in ambito urbano,il destino di vetro e metalli è “rigido”; è al con-trario “flessibile” quello del ligneo-cellulosico(riciclo, compostaggio, digestione anaerobica,recupero energetico) ed è problematico quellodella plastica, per la quale il recupero di materiaattuato con metodi fisico-meccanici è alquan-to limitato, al pari del feedstock recycling1.

I trattamenti termici si configurano come alter-nativi all’incenerimento, per la componente pla-stica e dei RU in genere, così come degli scarti odelle eccedenze della componente RD, e permet-tono in generale di superare i problemi connessial grado di purezza del materiale da trattare.Lo scenario del sistema integrato riportato in fi-gura 3 descrive in valori percentuali, rispetto alvalore di produzione dei RU, i percorsi dei flussiprincipali. Il sistema nel considerare i flussi per qualità equantità, le varie tecnologie di raccolta, di valo-rizzazione e di corretto smaltimento, ha comescopo quello di arrivare alla definizione delle me-todologie di gestione.Esso rappresenta l’insieme di strategie, attività etecnologie che hanno come obiettivo finale quel-lo di “risolvere“ il problema dei RU, ed è basatosul principio della chiusura del ciclo di vita dellevarie componenti merceologiche presenti nei RU.

Vito Iaboni, Pier Giorgio Landolfo prim

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iano Figura 3

Sistema integrato con raccolta differenziata al 65%Fonte: elaborazione ENEA

1. Processo termochimico attraverso il quale i legami molecolari dei materiali vengono decomposti producendo sostan-ze gassose e liquide da poter essere utilizzate come combustibili e materia prima nellʼindustria della chimica.

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Gli elementi caratterizzanti del sistema si rifannoalla gerarchia sequenziale, dalla prevenzione al-la discarica, esplorando le potenzialità di riciclo erecupero meccanico, biologico, chimico, termico;garantendo salvaguardia ambientale, ottimizza-zione e sostenibilità economica, nonché accet-tabilità sociale. A partire dalla determinazione del valore in per-centuale della RD (65% al 2012) indicato dallanormativa, nello scenario si è assunto il ricorsoalle seguenti strutture impiantistiche:a) trattamenti meccanico-biologici per la produ-

zione della frazione combustibile (CDR, fra-zione secca, bioessiccato) e la produzione del-la frazione organica stabilizzata;

b) trattamenti termici sulla frazione residuale esulla frazione combustibile;

c) smaltimento in discarica per gli scarti ed i resi-dui di trattamento.

In relazione ad esse e ad una ragionevole previ-sione sulla loro ripartizione futura – a fronte de-gli impianti esistenti e programmati – del flussodi indifferenziato, si assume che:

• il Rifiuto Urbano Residuale (RUR) viene inviatoper 1/3 al recupero energetico e per i restan-ti 2/3 viene trattato negli impianti di selezio-ne meccanico-biologica (MBT), di cui 1/3 per laproduzione di CDR e 1/3 per la produzionedella frazione secca, da inviare entrambi al re-cupero energetico;

• il valore in peso delle ceneri leggere viene rad-doppiato per tenere conto del processo diinertizzazione;

• il 50% delle scorie di combustione viene recu-perato mediante loro riutilizzo in cementificio;

• non vengono conservativamente indicatieventuali flussi significativi di CDR ad impian-ti industriali;

• si valutano nel 20% gli scarti dal sistema RD(valore supportato dai dati CONAI).

Allo scopo di ipotizzare la sua fattibilità rispet-to al sistema nazionale in relazione ai fabbiso-gni impiantistici, prendendo come riferimento laproduzione 2008 dei RU, pari a 32,47 milionidi tonnellate, vengono riportati in figura 4 iquantitativi dei vari flussi costituenti il sistema

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Scenario di un sistema integrato di gestione dei rifiuti urbani con la raccolta differenziata al 65%

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Figura 4Sistema integrato con raccolta differenziata al 65% (Mt)Fonte: elaborazione ENEA

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integrato, espressi in milioni di tonnellate. Sisono inoltre stimati, rispetto alla produzione2008, in relazione ai valori percentuali indicatinello scenario come valore di riferimento, iquantitativi di RUR, CDR e frazione secca datrattare negli impianti di incenerimento con re-cupero energetico in Italia, in quanto su taletecnologia è più completa la disponibilità deidati in termini di capacità di trattamento e diandamento del flusso nel corso degli anni co-me indicato nella tabella 1.

Dall’analisi della tabella 1 si registra che i quan-titativi di rifiuti avviati all’incenerimento con re-cupero energetico sono progressivamente au-mentati nel periodo 2004-2008, passando da4,3 milioni di tonnellate ad oltre 4,6 milioni ditonnellate.Nello scenario sviluppato nella figura 4, che ipo-tizza, con i dati di produzione del 2008, un si-stema integrato con una percentuale di RD al65%, dovrebbero quindi essere avviati all’ince-nerimento con recupero energetico circa 8,5 mi-

Vito Iaboni, Pier Giorgio Landolfo prim

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Tabella 1 – Tipologie e quantitativi di rifiuti trattati negli impianti di termovalorizzazione

Area geografica Anno Rifiuti urbani Frazione secca CDR

kt % kt % kt

Nord 2004 2.208,9 52,3 311,7 7,4 184,0

Centro 177,9 4,2 70,8 1,7 286,0

Sud 361,0 8,5 1,0 0,0 44,2

Totale 2.747,9 65,0 383,4 9,1 514,2

Nord 2005 2.673,6 61,1 188,1

Centro 238,6 5,4 297,7

Sud 300,6 6,9 125,6

Totale 3.212,8 73,4 611,4

Nord 2006 2.814,6 62,5 210,3

Centro 233,3 5,2 280,1

Sud 216,1 4,8 196,6

Totale 3.264,0 72,5 687,1

Nord 2007 2.313,9 52,0 290,9 6,5 234,4

Centro 82,1 1,8 117,4 2,6 263,0

Sud 234,3 5,3 37,3 0,8 172,8

Totale 2.630,4 59,2 445,6 10,0 670,2

Nord 2008 2.554,0 57,4 420,5 9,5 303,3

Centro 143,5 3,2 34,8 0,8 248,6

Sud 21,4 0,5 175,4 3,9 235,6

Totale 2.718,9 61,2 630,6 14,2 787,5

Fonte: elaborazione ENEA su dati ISPRA[1] ed ENEA-Federambiente[3]

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lioni di tonnellate (RUR circa 4,5 milioni di ton-nellate, CDR circa 1,5 milioni di tonnellate e fra-zione secca circa 2,5 milioni di tonnellate) rispet-to ai 4,6 milioni di tonnellate trattati nel 2008.Questo possibile e necessario spazio di “poten-zialità“ di trattamento con la RD al 65% eviden-zia con le dovute cautele che la chiusura del ci-clo di gestione dei rifiuti, in pieno accordo coni principi e la gerarchia indicati dalla normativa,richiede, per l’ottimizzazione del sistema, il pas-saggio ad una ulteriore dimensione “industria-

le” basata su cicli e articolazioni impiantistico-tecnologiche sempre più sinergici.

Bibliografia[1] APAT – ONR ed ISPRA (varie annualità), Rappor-

to Rifiuti.[2] Iaboni V., Landolfo P.G., La raccolta differenzia-

ta in Italia. Rivista Energia Ambiente e Innova-zione (maggio giugno 2008).

[3] ENEA – Federambiente, Rapporto sul recuperoenergetico da rifiuti urbani in Italia (secondaedizione – febbraio 2009).

ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/2010 31

Scenario di un sistema integrato di gestione dei rifiuti urbani con la raccolta differenziata al 65%

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CDR Altri speciali Sanitari Totale

% kt % kt % kt %

4,4 470,2 11,1 3.174,8 75,1

6,8 62,5 1,5 597,1 14,1

1,0 46,7 1,1 453,0 10,7

12,2 579,4 13,7 4.224,8 100

4,3 467,1 10,7 31,6 0,7 3.360,4 76,7

6,8 9,9 0,2 4,9 0,1 551,0 12,6

2,9 37,5 0,9 3,3 0,1 467,0 10,7

14,0 514,6 11,8 39,7 0,9 4.378,5 100

4,7 453,1 10,1 39,6 0,9 3.517,7 78,1

6,2 3,9 0,1 10,8 0,2 528,1 11,7

4,4 42,9 1,0 2,1 0,0 457,7 10,2

15,3 499,9 11,1 52,5 1,2 4.503,5 100

5,3 618,9 13,9 35,0 0,8 3.493,1 78,6

5,9 0,9 0,0 4,0 0,1 467,4 10,5

3,9 36,9 0,8 3,8 0,1 485,1 10,9

15,1 656,7 14,8 42,8 1,0 4.445,7 100

6,8 393,9 8,9 35,0 0,8 3.706,7 80,2

5,6 0,3 0,0 2,7 0,1 429,9 9,3

5,3 52,6 1,2 0,0 0,0 484,9 10,5

17,7 446,7 10,0 37,7 0,8 4.621,5 100

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no I rifiuti nel futuro

Fabio Musmeci

ENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali

ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/201032

riflettore su studi& ricerche

primo piano

La costruzione di uno scenarioche dia un quadro dellaquantità e della tipologia deirifiuti, nonché della lorogestione, rappresenta unimpegno difficile ma ineludibilequando si vogliono prenderedecisioni basate su un’idea delfuturo sostenuta da razionalitàe dati oggettivi. Questo articolopresenta quanto è oggipossibile dire, sulla base dellaletteratura esistente, sul futurodei rifiuti in Italia

The Future of MunicipalSolid Waste

Building a scenario highlighting the quantity and types of waste as well as their management is a difficult butinevitable task when making decisions on a future basedon rationality and objective data. This article reports allthat can be stated on the future of municipal solid wastein Italy based on the existing literature

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ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/2010 33

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ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/2010 33

I rifiuti nel futuro

Quanti e come saranno i rifiuti nel futuro? Comeverranno gestiti? Quali saranno i fattori chiaveche determineranno il futuro in questo settore?Questo articolo tenta di dare una prima risposta aquesti quesiti.La quantità di rifiuti attesi negli anni futuri e lemodalità con cui verranno trattati è di seguito de-nominata “scenario”.La costruzione di uno scenario rappresenta unimpegno difficile ma ineludibile quando si voglio-no prendere decisioni basate su un’idea del futu-ro supportata da razionalità e dati oggettivi, con-dizione questa essenziale per una condivisionecon altri della propria visione e quindi delle azio-ni da intraprendere. Questo articolo presentaquanto è oggi possibile dire, sulla base della lette-ratura esistente, sugli scenari in Italia. Va ricorda-to che, in relazione al Dlgs 152/2006, “l’adozionedi criteri generali per la redazione di piani di setto-re per la riduzione, il riciclaggio, il recupero e l'ot-timizzazione dei flussi di rifiuti” rientra tra le com-petenze dello Stato (art. 195, comma 1 letterae). Purtroppo le norme tecniche e gli indirizzi ope-rativi in materia non sono stati tuttora emanati egli scenari regionali e provinciali, di base per i pia-ni, appaiono costruiti nei modi più disparati.Appare oggi chiaro1 che la produzione e il trat-tamento dei rifiuti nel futuro dipendono forte-mente da:1. evoluzione della normativa;2. andamento demografico;3. andamento dell’economia.Per quanto riguarda l’evoluzione della normati-va si sottolinea come i principi di una corretta ge-stione del ciclo dei rifiuti sono sanciti dall’Unio-ne Europea2, che individua la seguente scala dipriorità:

1. riduzione all’origine di quantità e pericolositàdei rifiuti, a partire dalla ri-progettazione e dal-l’ecodesign delle merci sulla base dell’analisidel loro ciclo di vita;

2. recupero di materia, attraverso la raccolta dif-ferenziata, a scala domestica ed aziendale, e/ola selezione meccanica o chimico-fisica deicomponenti organici, cellulosici, vetrosi, poli-merici, metallici, nonché di inerti da demoli-zione, oli usati, elettrodomestici e materiali elet-tronici ed elettrici dismessi, auto a fine vita;

3. recupero di energia, attraverso anche la com-bustione, possibilmente in schemi di cogene-razione termica ed elettrica, della frazione resi-duale secca ad alto p.c.i. (oltre 3.500 kcal/kg),il più possibile depurata, a monte, da compo-nenti umidi e/o pericolosi;

4. messa in sicurezza a lungo termine delle fra-zioni residuanti dalle fasi precedenti, con ten-denziale marginalizzazione a ruolo residualedell’interramento controllato.

Da notare conseguenti obiettivi di riciclo (non piùdi sola raccolta differenziata) e un più importanteruolo della frazione organica.La frazione organica rappresenta circa il 30% deirifiuti urbani in termini di peso. Considerando pe-rò i costi della raccolta differenziata “porta a por-ta” il peso economico raggiunge circa il 50% del-l’intero costo di raccolta e trattamento nel sistemadi gestione. A livello europeo si sta ancora atten-dendo una eventuale direttiva Biowaste. Si rile-vano contrasti tra Parlamento Europeo (favore-vole al rilascio della Direttiva) e Commissione suuna questione di legislazione concorrente.Particolare importanza rivestono le concessioninormative in favore del compostaggio3, sia perquanto riguarda quello “domestico” (es. sconti

1. Si veda P. Beigl et Al (2008).

2. Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008.

3. La sostanza organica nel suolo, conseguenza del compostaggio, può avere un importante ruolo come sink di car-bonio. per la lotta all̓ effetto serra e la strategia europea per il suolo (lotta alla desertificazione ecc.). Come conseguen-za alla raccolta separata dellʼorganico potrebbero essere riconosciuti contributi analoghi a quelli oggi riconosciuti peraltre frazioni dal CONAI.

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ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/201034

tariffari), sia per quanto riguarda quello industria-le (localizzazione impianti in aree agricole, mar-chi di qualità ecc.).In discarica i processi anaerobici (putrefazione)emettono metano (21 volte CO2) mentre il pro-cesso di compostaggio (aerobico) comporta siaemissione di CO2 e un cospicuo sequestro di Cnel suolo. Alcuni calcoli hanno giustamente sot-tolineato il fatto che un aumento dello 0,15%del carbonio organico nei suoli arabili italiani po-trebbe fissare nel suolo la stessa quantità di car-bonio che ad oggi è rilasciata in atmosfera perl’uso di combustibili fossili in un anno (E. Favoi-no 2007).Importante per il destino della frazione organicasaranno nel futuro le possibilità di:• ottenere il riconoscimento del ruolo del com-

post nel sequestro di carbonio nei suoli e un

conseguente accesso al meccanismo dei certi-ficati verdi;

• sensibilizzare la popolazione al corretto confe-rimento separato delle varie frazioni e in par-ticolare della frazione organica.

A titolo di esempio, oggi sono spesi dai 10 ai 15euro a tonnellata presso gli impianti di compo-staggio per rimuovere, a monte e a valle del pro-cesso, le varie impurezze. Si pensi che su circa3,34 milioni di tonnellate conferite (dato ISPRA2008) agli impianti di compostaggio vengonoprodotte 1,1 milioni di tonnellate di compost ecirca 700.000 tonnellate di scarti di lavorazione(il resto è essenzialmente la perdita della compo-nente dell’acqua). Di questi scarti circa 210.000tonnellate sono plastica. Si confronti questa cifracon quella della raccolta differenziata della pla-stica: 502.000 tonnellate nel 2008 (dati ISPRA).Chi scrive ritiene inoltre che un ruolo importan-te per la configurazione del sistema futuro siaquello legato alla “assimilazione” degli specialiagli urbani, la cui riduzione offrirebbe margini diriduzione4 del flusso degli urbani.Avranno importanza inoltre, secondo chi scrive,l’emanazione (e l’adozione!) di normative atte aridurre l’usa e getta5 o quelle a favore del riuso6.E. Burgin e P. Montanari (2009) citano il caso del-la provincia di Torino che, dopo una prima spe-rimentazione in due Comuni, ha esteso a tuttala Provincia il sostegno per l’acquisto di panno-lini per l’infanzia riutilizzabili7. Da non sottovalu-tare il ruolo delle cosiddette “bioplastiche” che,con un mercato in crescita di circa il 25% annuo,rivestiranno un importante ruolo sostitutivo di-vertendo verso il flusso dell’organico molti rifiuti

Fabio Musmeciprim

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Figura 1Dinamica dei residenti in Italia fino al 2020Fonte: Scenario centrale, ISTAT

4. I rifiuti sono classificati in base al processo che li genera in Urbani e Speciali. Gli Urbani sono gestiti a carico delpubblico mentre gli Speciali, tipicamente monomateriali e facilmente raccolti in modo separato, sono smaltiti a ca-rico dei privati. L̓assimilazione permette la commistione tra i due flussi e lʼentrata degli speciali nel ciclo degli urbani.

5. Per esempio, lʼuso delle sporte in plastica per la spesa doveva, in Italia, essere posto fuori legge dal primo gen-naio 2010; ora il divieto è posticipato al 2011.

6. Si veda la cd legge “Del Buon Samaritano” n. 155, entrata in vigore il 16/07/2003 “Disciplina della Distribuzionedei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale” o i primi tentativi di introduzione di servizi alla spina per alimenta-ri, detersivi, acqua ecc.

7. http://www.provincia.torino.it/ambiente/rifiuti/programmazione/eco_pannolini

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(sporte, stoviglie, pannolini, teli agricoli composta-bili). Diversione che andrà normata e monitorata. Per quanto riguarda gli aspetti demografici, il nu-mero di residenti è tipicamente utilizzato comemoltiplicativo di una produzione procapite. Vi èda sottolineare come anche il cambiamento del-la composizione per età della popolazione e delnumero medio di persone (attualmente in dimi-nuzione) per famiglia influenzi la produzione dirifiuti8. A rendere difficile il lavoro dell’ISTAT èl’ampiezza dei processi migratori del futuro, ma-gari a fronte di cambiamenti climatici, tensionisociali e disastri ambientali. La componente dellapopolazione costituita dai migranti avrà, almenoinizialmente, una produzione procapite inferiore aquella della popolazione italiana. A produzione procapite costante un aumento deiresidenti, come quello previsto dall’ISTAT per l’Ita-lia, porterebbe ad un aumento dei rifiuti nel 2020del 2,6% rispetto a quelli del 2010.Circa l’andamento dell’economia vi è da sottoli-neare come si ritenga che i rifiuti siano conse-guenza del consumo delle famiglie e che questo

dipenda dal reddito disponibile e, in ultima anali-si, dal PIL. L’assunzione di una stretta correlazionelineare tra PIL e produzione di rifiuti viene oggicontestata, in particolare se si intende perseguireun “disaccoppiamento” tra crescita economica econsumi, obiettivo questo delle politiche di “svi-luppo sostenibile”. Sono state inoltre osservatedinamiche di ridistribuzione della ricchezza traNord e Sud, tra ricchi e poveri, che potrebberocambiare la relazione PIL-Rifiuti.Inoltre, l’attuale fase recessiva mostra come possa-no essere fatti errori piuttosto significativi sulla pre-visione di andamento del PIL. A titolo di esempio,a fine 2006 Unioncamere prevedeva per il 2009un aumento del PIL italiano sul 2008 dell’1,6%.La relazione di corredo alla finanziaria 2007 (re-datta alla termine del 2006) prevedeva per il 2009un aumento del PIL dell’1,2%. Aumenti non ve-rificati di fronte al calo del 4,7% osservato nel2009, cioè 3 anni più tardi. In altri termini, un er-rore percentuale di circa il 5% in soli tre anni! Anche adottando modelli di crescita, come quel-li in figura 2, si potrebbe ipotizzare, al crescere

ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/2010 35

I rifiuti nel futuro

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Figura 2Scenari della dinamica del PILFonte: C. Carlo et al.[11]

8. Per esempio, i coefficienti utilizzati (DPR 158/99) sono 0,8 per un componente, 1,8 per due ma 1,95 per tre compo-nenti; in altri termini, una famiglia di tre componenti produce quasi quanto una di due (solo +8% di rifiuti a frontedi una crescita del +50% dei componenti).

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della ricchezza, un effetto di saturazione (o di de-coupling) come quello formalizzato dalle curve diKuznet in cui, a partire da una determinata so-glia di ricchezza, i rifiuti diminuiscono (figura 3).Gli scenari di produzione rifiuti, adottati fino ad

oggi nella pianificazione regionale e provinciale,(F. Musmeci, P.G. Landolfo 2009) si basano su me-todi piuttosto semplici, essenzialmente fondati su:• interpolazione lineare o esponenziale degli ul-

timi n anni (60% del totale);• assunzione di un andamento costante almeno

nella produzione procapite (20% del totale).Solo il restante 20% dei piani prende in conside-razione dinamiche più complesse, come adesempio studi sull’andamento demografico, sud-divisione del territorio in studio in aree omoge-nee ecc.Essendo la pianificazione attiva da oltre dieci anniè possibile oggi stimare l’errore che si commettecon questi scenari, confrontando quanto previstocon quanto effettivamente osservato, per esem-pio con i rapporti rifiuti annuali pubblicati da ISPRA(ex APAT e ANPA). Si osserva, per i piani più re-centi (oltre il 2000), un errore percentuale di cir-ca l’1,3% annuo. Quindi un errore atteso oltre il5% in 5 anni e di circa il 10% in dieci anni. Aven-do chiara quindi l’entità degli errori possibili, si evi-

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Figura 3Esempio curva di KuznetFonte: M. Mazzanti, A. Montini, R. Zoboli[8]

Figura 4Esempio della produzione procapite di rifiuti prevista nella provincia di Bologna9

Fonte: Provincia di Bologna, Piano provinciale 2010

9. La quantità raccolta è minore di quella prodotta per effetto del compostaggio domestico.

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denzia come diversi piani provinciali assumano,anche come conseguenza delle proprie politichedi riduzione rifiuti, una sostanziale stabilità dellaproduzione procapite e della RD (figure 4 e 5).Secondo la pianificazione della provincia di Bolo-gna, l’adesione delle famiglie al compostaggiodomestico dovrebbe essere dell’8,8%.Considerando, in prima approssimazione, il pe-riodo di ammortamento di impianti di una certacomplessità, lo scenario presentato nei piani do-vrebbe essere di almeno 10 anni. Di questo nesono coscienti anche alcune amministrazioni, inquanto nello stesso piano provinciale di Piacen-za è rilevato come la Regione Emilia Romagna ri-chieda, per i piani provinciali, un periodo minimodi 10 anni di scenario. L’orizzonte del 2020 divie-ne quindi un riferimento importante, consideran-do il fatto che corrisponde anche all’anno di rife-rimento per le politiche su effetto serra e risparmioenergetico dell’Unione Europea.

A livello nazionale è da segnalare il libro Il rici-clo Ecoefficente (D. Bianchi 2008), che presen-ta uno scenario nazionale di produzione di rifiu-ti urbani al 2020 stimata intorno a 37,4 milionidi tonnellate, con una crescita di poco meno di 5milioni di tonnellate rispetto al 2005, pari a unincremento del 15%, inferiore a quello previstoper il PIL (viene assunta una crescita del PIL del1,65% annuo10). Complessivamente, su scala nazionale, le stimedi raccolta differenziata, per il lavoro citato, pre-vedono di raggiungere un tasso medio di inter-cettazione del 55%11, equivalente a 20,4 milionidi tonnellate di materiali. Per i materiali derivan-ti da raccolta differenziata si prevede sia il rici-claggio come materiale (prevalente per tutte letipologie ed esclusivo per metalli e vetro) sia ilcompostaggio e la digestione anaerobica (per lafrazione organica), sia, infine, l’uso energetico(per carta in co-combustione con biomasse). Si

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Figura 5Andamento previsto per la percentuale di Raccolta differenziata nella Provinciadi BolognaFonte: Provincia di Bologna, Piano provinciale 2010

10. La crescita assunta per il PIL risulta oggi eccessivamente ottimistica.

11. Inferiore quindi di dieci punti rispetto lʼobiettivo del 65% entro il 2012.

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prevede una media globale di scarti della diffe-renziata pari a circa il 15% del materiale12, de-stinata a valorizzazione energetica. Per la plasti-ca e la carta, però, si assumono anche esportazio-

ni dirette (1 milione di tonnellate per la carta,500.000 per la plastica). Rispetto alla situazione attuale, gli incrementi diriciclo più sensibili alla crescita sono previsti per

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Figura 6Produzione di rifiuti in Italia. Anno 2020 (migliaia di tonnellate)Fonte: D. Bianchi[2,3]

12. Questa cifra appare pessimistica e simile a quella ottenibile con sistemi di raccolta multi-materiale, con sistemidi raccolta come il “porta a porta” essa scende al di sotto del 5%.

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la carta, i metalli e le plastiche, oltre che per lafrazione organica.Al 2020 si prevede una quantità di rifiuti residuipari a 20 milioni di tonnellate, composti da 17milioni di rifiuti indifferenziati e da circa 3 milio-ni di scarti da RD (figura 6). Il sistema di gestionedel rifiuto residuo è fondato, secondo lo studiodi D. Bianchi, su tre criteri: 1. massimizzare i recuperi energetici con sistemi

che consentano di ridurre quanto più possibilele emissioni generate e, in particolare, quelleclimalteranti;

2. ridurre ai minimi tecnici la quantità di rifiuti re-

sidui destinata alla dismissione in discarica, inparticolare le frazioni suscettibili di generareemissioni, soprattutto di biogas;

3. semplificare il ciclo di trattamento, mantenen-do una riserva di flessibilità in funzione dell’an-damento della produzione di rifiuti e dello svi-luppo dei recuperi.

L’ipotesi impiantistica proposta richiede un po-tenziamento della dotazione esistente, in parti-colare per impianti di trattamento termico e perimpianti di digestione anaerobica. L’elevata e già esistente dotazione di impianti ditrattamento meccanico-biologico13 potrà essere

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13. Si noti il segno meno, per gli impianti TMB, in tabella 2.

Tabella 1 – Raccolta differenziata in Italia: scenario al 2020 (migliaia di tonnellate)

Materiale Raccolta % RD Riciclo e Digestione Export Uso ScartiCompostaggio Anaerobica Energetico

Cartaceo 6.281 70 4.281 1.000 1.000 942

Organico 7.589 70 5.692 1.897 1.138

Plastiche 897 20 397 500 135

Metalli 1.308 70 1.308 196

Legno 935 50 935 140

Vetro 2.094 70 2.094 314

Altro 1.271 20 1.271 191

Totale 20.375 55 15.977 1.897 1.500 1.000 3.056

Fonte: D. Bianchi[2]

Tabella 2 – Fabbisogni impiantistici in Italia al 2020 e capacità esistenti (migliaia di tonnellate)

autorizzato 2006 operativo 2006 richiesto al 2020 differenza operativa

compostaggio 5.901.214 3.185.597 5.692.000 2.506.403 79%

digestione anaerobica 360.000 229.000 1.897.000 1.668.000 728%

trattamento meccanico biologico 13.748.861 9.046.509 4.134.000 -4.912.509 -54%

incenerimento 4.505.000 13.760.000 9.255.000 205%

Fonte: D. Bianchi[2]

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iano Figura 7

Andamento storico e scenari per il contributo dell’incenerimento con recupero energetico inItalia (tep)Fonte: C. Carraro et al.[12]

Figura 8Andamento storico e scenari per il contributo dell’uso del biogas da discarica in Italia (tep)Fonte: C. Carraro et al.[12]

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Riferimenti

[1] P. Beigl, S. Lebersorger, S. Salhofer, Modellingmunicipal solid waste generation: A review.Waste Management 28 (2008) 200-214.

[2] D. Bianchi, Il riciclo ecoefficente, Edizioni Am-biente 2008.

[3] D. Bianchi, Nuovi scenari di gestione dei rifiutial 2020, Rifiuti Solidi Vol. XXIII n. 5 settem-bre/ottobre 2009.

[4] E. Burgin, P. Montanari, Produrre meno rifiuti,Edizioni Ambiente, 2009.

[5] Governo Italiano, Documento di programmazioneeconomico-finanziaria 2007-2011, ottobre 2006.

[6] Commissione Europea. http://ec.europa.eu/environment/waste/studies/climate_change.htm

[7] E. Favoino, Le strategie europee sulle biomasse discarto tra riciclaggio e recupero energetico: qualidinamiche alla luce del cambiamento climatico.http://www.a21italy.it/rifiuti21network/gdl/programma_di_lavoro/trento_03_12_07/Favoino.pdf

[8] M. Mazzanti, A. Montini, R. Zoboli: MunicipalWaste Production, Economic Drivers, and ‘New’Waste Policies: EKC Evidence from Italian Regio-nal and Provincial Panel Data, FEEM Nota di la-voro 155.2006.

[9] F. Musmeci, P.G. Landolfo, Analisi degli scenaridi produzione rifiuti nella programmazione re-gionale e provinciale dal 1996 al 2007. Atti Eco-mondo 2009, Rimini 2009.

[10] Provincia Di Bologna, Assessorato Ambiente,Piano Provinciale Gestione Rifiuti, gennaio 2009.

[11] C. Carraro et al., E=mc2 Energia da rifiuti in Ita-lia: potenzialità di generazione e contributo al-le politiche di mitigazione dei cambiamenti cli-matici, Ecocerved UNIONCAMERE, Roma dicem-bre 2009.

[12] UnionCamere, Scenari di sviluppo delle econo-mie locali, ottobre 2006.

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qualificata per la produzione di CDR da co-com-bustione, in cementifici e centrali termoelettrichea carbone esistenti.Se si considera il mix degli input energetici delsettore elettrico, nel periodo considerato da Car-raro (2007-2020), vediamo che questo si modi-

fica in entrambi gli scenari solo marginalmente:il recupero da incenerimento passa dall’1,9% sultotale nel 2007 al 2,1% nel 2020 nello scenarioottimistico e al 2,0% in quello prudenziale; il bio-gas rimane pressoché costante attorno allo 0,6%sul totale in entrambi gli scenari.

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su L’altra faccia

del tabagismoCarmine Ciro Lombardi*Giuliana Di Cicco**Giacomo Mangiaracina***

* ENEA, Unità Tecnica Biologia delle Radiazioni eSalute dell’Uomo

** ENEA, Centro Ricerche Casaccia*** Università di Roma La Sapienza, Dipartimento di

Scienze di Sanità Pubblica e Società Italiana diTabaccologia (SITAB)

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riflettore su studi& ricerche

primo piano

Il tabagismo non esaurisce isuoi effetti solo sulla salute difumatori e non fumatori, mainfluenza anche altri aspettidella vita di tutti i giorni, qualiinquinamento indoor, incidentistradali, incendi boschivi edomestici, impatto ambientaleprovocato dalle cicche immesseindiscriminatamente sulterritorio, che verrannoesaminati e discussi in questocontributo

The Other Side of Tabagism Not only has tabagism negative effects on smokers andnon-smokers’ health, but it also influences other aspects ofeveryday life reported and described in depth in thisarticle: indoor pollution, street accidents, domestic andwoodland fires, environmental impact due to cigarettestubs spread indiscriminately on the territory

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L’altra faccia del tabagismo

Il tabagismo è la principale causa di morte preve-nibile. Il tabacco è l’unico prodotto di libera vendi-ta che uccide da un terzo a metà di quelli che nefanno uso. Le più recenti ricerche hanno inoltre evi-denziato che respirare fumo passivo può causare ilcancro e molte malattie respiratorie e cardiache sianei bambini che negli adulti.Nei paesi industrializzati attualmente il fumo è re-sponsabile dell’85% dei tumori del polmone, del69% delle bronco-pneumopatie cronico-ostrut-tive e del 22% delle malattie cardiache e cere-brovascolari.Nonostante le evidenze, il numero dei fumatori inItalia è ancora elevato e in aumento. Allarmante èanche la crescente diffusione del fenomeno tabagi-smo nei giovani e nelle donne. La legge vieta il fu-mo nei locali chiusi, sia pubblici che privati apertiagli utenti, ma nulla vieta il fumo nelle abitazioni eciò espone familiari (soprattutto i bambini), cono-scenti e amici a respirare aria contaminata da mi-gliaia di sostanze chimiche nocive, tossiche e cance-rogene[1].Secondo l’OMS l’unica soluzione per proteggerecompletamente gli individui dagli effetti del fu-mo passivo è quella di creare ambienti al 100%senza fumo.Sugli effetti del fumo attivo e passivo ci sono moltiriscontri e molte evidenze scientifiche. Queste evi-denze sono state tradotte in scritte di pericolo e av-vertimento. Da tempo, infatti, sui pacchetti di siga-rette troviamo scritte come “il fumo uccide”, “il fu-mo provoca cancro mortale”, “proteggi i bambi-ni: non fare loro respirare il tuo fumo” ecc. Nonostante le avvertenze siano chiare e precise,una parte della popolazione continua ad andaredal tabaccaio a comprare un prodotto pericoloso. Ifumatori non si lasciano certo intimidire, non si spa-ventano, anzi il più delle volte di fronte a questeevidenze reagiscono in modo indignato perché sisentono vittime di un presunto atto di terrorismopsicologico.Il tabagismo però non esaurisce i suoi effetti solosulla salute dei fumatori e dei non fumatori, ma in-fluenza anche atri aspetti della vita di tutti i giorni:inquinamento indoor, incidenti stradali, incendi bo-

schivi e domestici, impatto ambientale provocatodalle cicche immesse indiscriminatamente sul ter-ritorio ecc.Nel presente articolo verranno discussi ed esa-minati gli effetti del tabacco sui bambini, sugliincidenti stradali e sugli incendi domestici e boschivi.

Tabacco e bambini

Secondo l’OMS circa la metà dei bambini di tuttoil mondo viene esposto al fumo ambientale (fumopassivo) prodotto da più di 1,2 miliardi di fumatori.In Italia circa il 22% dei bambini ha una madre fu-matrice e di questi il 52% è esposto a fumo di ta-bacco in casa. Il 49% dei neonati e dei bambini fi-no a 5 anni ha almeno un genitore fumatore e il12% ha entrambi i genitori fumatori.Il fumo materno durante la gravidanza è la principa-le causa di morte improvvisa del lattante (suddeninfant death syndrome, SIDIS) e di altri effetti sullasalute, come il basso peso alla nascita e la ridottafunzionalità respiratoria[2].L’asma, la malattia cronica più comune nei bambi-ni, è più frequente tra i bambini i cui genitori fu-mano. Secondo l’Agenzia per la Protezione Am-bientale della California (EPA) ci sono evidenzeconsolidate del fatto che il fumo passivo è un fat-tore di rischio per l’induzione dell’asma; nei bam-bini esposti il rischio di riacutizzazione dell’asmaaumenta dell’80%[3]. L’esposizione al fumo passi-vo nell’infanzia è anche associata ad otite mediaacuta e cronica[4]. In Italia si calcola che ogni an-no il fumo passivo causi circa 250.000 polmoniti ebronchiti nei bambini sotto i 18 mesi, di cui 15.000vengono ospedalizzati[5]. Nella figura 1 è riportatoun atteggiamento ritenuto normale da un fuma-tore che consuma la sua sigaretta in presenza diun bambino, incurante dei rischi a cui questo vie-ne sottoposto.La legge che vieta il fumo nei luoghi chiusi non ri-guarda le abitazioni private, e quindi in casa si con-tinua a fumare e a contaminare l’aria indoor. È pa-radossale che individui ”rispettosi” delle norme disicurezza nei luoghi di lavoro, quando arrivano tra

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L’impegno a non fumare nei luoghi chiusi, in casa oin vicinanza di altre persone costituisce un puntodi riferimento comportamentale in grado di au-mentare il livello di civiltà del nostro paese.

Tabagismo e incidenti stradali

Ogni giorno in Italia si verificano più di 600 inci-denti stradali, che causano la morte di 15 personee il ferimento di oltre 850. Nel complesso ogni an-no si verificano più di 230.000 incidenti che cau-sano il decesso di circa 5.000 persone e il ferimen-to di circa 325.000.Il 91% degli incidenti stradali è causato dal com-portamento scorretto del conducente alla guida delveicolo. In particolare, il 15% del totale delle causeè rappresentato dalla guida distratta, il 12% dal-l’eccesso di velocità e l’11% dal mancato rispettodella distanza di sicurezza[9].Le cause di distrazione sono molteplici, come ac-cendere e sintonizzare la radio, parlare al telefoni-no, mangiare e bere durante la marcia, consulta-re cartine stradali o il navigatore satellitare. Diversistudi riportano che fumare durante la guida com-porterebbe un rischio di distrazione superiore aquello causato dalla presenza di animali liberi nel-l’abitacolo, o dalla consultazione di cartine e gui-de[10]. Un recente lavoro, basato sull’analisi e mi-surazione dei tempi di distrazione, ha messo in evi-denza che fumare durante la guida costituisce unapratica a rischio equivalente all’utilizzo del telefo-nino cellulare[11]. La distrazione durante la guida è stata valutata uti-lizzando una telecamera digitale che consente divisualizzare il volto dei soggetti, in modo tale dapoter codificare a posteriori la posizione dellosguardo mentre il soggetto è alla guida dell’auto-mobile. La distrazione è stata codificata somman-do i tempi durante i quali il soggetto ruota la te-sta e/o distoglie lo sguardo dalla strada mentre ese-gue ciascuna delle operazioni necessarie per fu-mare una sigaretta con il veicolo in movimento(cercare il pacchetto – prendere la sigaretta – ac-cendere la sigaretta – riporre l’accendino – fumare– spegnere la sigaretta).Lo studio ha messo in evidenza che i tempi medidi distrazione totali di ogni singolo soggetto relati-

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le mura domestiche si dimentichino della legge626/94 e del Testo Unico che tutela la salute e lasicurezza nei luoghi di lavoro, continuando a fu-mare in tutti i luoghi possibili senza tener contodella salute delle persone care. Esistono norme locali che vietano il fumo non so-lo nei luoghi chiusi ma anche in quelli aperti, doveè possibile un assembramento di persone, come lestazioni ferroviarie. Il tabagista è “incapace o re-stio” a prendere in considerazione queste disposizio-ni e continua a fumare incurante del danno che stacausando alle persone vicine.Tra l’altro non è raro neanche imbattersi in ge-nitori che, portando a spasso i bambini con il pas-seggino, si preoccupano dei possibili effetti del-l’inquinamento urbano o del freddo e poi fuma-no tranquillamente vicino al passeggino, o me-glio ancora in faccia ai bambini che portano inbraccio.Ogni anno in Italia avvengono numerosi casi diavvelenamento causati dall’ingestione di sostan-ze chimiche e farmaci non adeguatamente cu-stoditi. Anche le cicche di sigaretta rappresentanoun pericolo per i bambini i quali, spinti dalla lorocuriosità, possono ingerirle, così come altri picco-li oggetti[7].Le cicche di sigaretta contengono moltissime so-stanze chimiche tra cui la nicotina, un potente inset-ticida. Il quantitativo di nicotina contenuto in unacicca può essere pericoloso per la salute dei bam-bini e causare diversi disturbi tra cui nausea e vo-mito. Il contenuto di nicotina presente in poche cic-che, se ingerito da un bambino, può causare de-pressione respiratoria e paralisi[8].

Carmine Ciro Lombardi, Giuliana Di Cicco, Giacomo Mangiaracina riflett

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Figura 1Tipico atteggiamento di un fumatore in casaFonte: immagine tratta da Internet

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apparentemente innocuo di fumare una sigaret-ta al volante crea situazioni di rischio che si pos-sono ripetere più volte al giorno, determinandocondizioni di grande pericolo per la sicurezzastradale, per il conducente e per i terzi trasporta-ti. Nella figura 2 è riportato il tipico atteggia-mento di un automobilista che fuma durante laguida: il volante è tenuto in modo non correttoe in caso di emergenza non permette di esegui-re correttamente e con tempestività i movimen-ti necessari.La problematica del fumo al volante interessa an-che la salute e la sicurezza sul lavoro. Infatti tragli incidenti stradali sono annoverati numerosi ca-si di infortuni lavorativi. Incidenti mortali subiti dailavoratori durante il percorso casa-lavoro e quel-li subiti durante lo svolgimento di attività lavorati-ve che prevedono l’uso di autoveicoli sono rico-nosciuti in Italia come infortuni lavorativi[13].

vi alle diverse fasi sono stati di 11,5 secondi. Taletempo, rapportato alla velocità di 50 km/h, corri-sponde a 159,9 metri percorsi al buio, mentre a120 km/h tale percorso risulta pari a ben 283 metri.I risultati di questi studi dimostrano che fumaredurante la guida rappresenta un rischio rilevanteper la sicurezza stradale, superiore a quello riscon-trato in analoghi test effettuati sull’uso del tele-fonino[11-12].Nella tabella 1 sono riportati, a titolo di confron-to, i tempi di distrazione alla guida dovuti all’abi-tudine di fumare e all’uso del telefonino. È da tener presente che questi test sono effettua-ti su soggetti volontari consapevoli di essere vi-deoregistrati, e che questa situazione induce ne-gli stessi una maggiore attenzione. Nonostanteciò i tempi di distrazione medi per fumare una si-garetta sono risultati misurabili e di entità rilevan-te. Altro dato emerso dallo studio è l’avere consta-tato che 3 soggetti su 10 hanno lasciato il volan-te con entrambe le mani per accendere la siga-retta mentre il veicolo era in movimento[11].Va inoltre considerato che fumare al volante rap-presenta solo uno dei comportamenti che indu-cono disattenzione e distrazione. È possibile chedurante la guida il conducente si dedichi anchead altre azioni, come regolare la sintonia e il vo-lume della radio, guardare fuori dal finestrino,ricevere una telefonata ecc. Queste ultime azio-ni, compiute mentre si fuma una sigaretta, com-portano un ulteriore incremento del rischio didistrazione. Risulta evidente quindi che il gesto

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Figura 2Tipico comportamento di un fumatore alvolanteFonte: immagine tratta da Internet

Tabella 1 – Tempi di distrazione, corrispondenti a metri percorsi al buio,nel caso di uso del telefonino e di fumo durante la guida

Uso radio e telefonino durante la guida Fumare alla guida di un veicolo

Rispondere a una chiamata Tempo di distrazione (sec) 2,1

Metri percorsi a 50 km/h 29

Metri percorsi a 120 km/h 70

Abbassare il volume della radio

Tempo di distrazione (sec) 1,5

Metri percorsi a 50 km/h 21

Metri percorsi a 120 km/h 50

Prendere la sigarettae l’accendino

Tempo di distrazione (sec) 2,9

Metri percorsi a 50 km/h 40,3

Metri percorsi a 120 km/h 96,6

Accendere la sigaretta Tempo di distrazione (sec) 2

Metri percorsi a 50 km/h 27,8

Metri percorsi a 120 km/h 66,6

Fonte: elaborazione degli autori[11]

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giorare il costo delle polizze per chi si accende unasigaretta in macchina.Al fine di migliorare le conoscenze circa le cau-se dell’incidentalità sarebbe opportuno fare del-le modifiche al sistema di raccolta delle informa-zioni sulle modalità con cui si verifica un inciden-te stradale. Attualmente i dati sugli incidenti stradali vengonoraccolti attraverso la compilazione del modello ISTATCTT/INC, denominato “incidenti stradali”, da partedell’autorità che è intervenuta sul luogo del sinistro(Polizia, Carabinieri, Vigili Urbani ecc.).Il modello statistico, abbastanza articolato se com-pilato in modo corretto in ogni sua parte, contie-ne molte informazioni necessarie alla identificazio-ne della localizzazione e della dinamica dell’inci-dente: data e luogo del sinistro, organismo pubbli-co di rilevazione, area di localizzazione dell’inciden-te (centro urbano, strada provinciale, autostradaecc.), dinamica del sinistro, tipo di asfalto, condi-zioni meteo, tipo di veicoli coinvolti, circostanze chehanno dato origine all’incidente e conseguenze al-le persone e ai veicoli.Il modello in oggetto non prevede di raccogliereinformazioni circa le abitudini al fumo dei condu-centi dei veicoli coinvolti nel sinistro. Sarebbe op-portuno inserire nel modello ISTAT anche questotipo di indicatore, al fine di realizzare statistiche piùprecise circa l’incidentalità correlata al fumo du-rante la guida.

Tabagismo e incendi

Effetti collaterali del consumo di tabacco sono de-terminati dalle cicche non spente, buttate o abban-donate in ambiente esterno, in casa o sui luoghi dilavoro. Questi sono rappresentati da incendi bo-schivi e residenziali[15].Nella tabella 2 sono riportati i dati riferiti agli anni

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Secondo l’ACI i comportamenti scorretti e la distra-zione continuano a causare il 90% degli incidenti:i fumatori provocano il 50% in più degli incidentirispetto agli altri guidatori.Questi risultati sono stati confermati al recente sum-mit mondiale sulla sicurezza stradale tenutosi a Mo-sca. Stati Uniti, Gran Bretagna e Messico si sonodimostrati d’accordo nel mettere al bando questotipo di distrazione. Proprio grazie a questo tipo diimpegno da parte del governo, il Messico ha fattoregistrare i migliori risultati tra i paesi sudamerica-ni nella riduzione dell’incidentalità stradale[14].Sarebbe quindi opportuno proibire il fumo al vo-lante, introducendo anche opportune sanzioni inaccordo a quanto avviene per l’uso del telefonino.A tale proposito vale l’esempio del governo di SanMarino, che già dal marzo 2008 ha reso operativoil divieto di fumo al volante. Ovviamente divieti e sanzioni da soli non basta-no, occorre una adeguata campagna di formazio-ne e sensibilizzazione per modificare i comporta-menti e far sì che non fumare al volante diventiun comportamento normale e non un obbligo im-posto dalle norme da rispettare per paura dellesanzioni. La proibizione del fumo in auto come avviene in al-cuni paesi, oltre a ridurre il numero degli incidentipotrebbe avere un’influenza positiva sul numerodelle morti bianche, ossia sul numero di lavoratoriche perdono la vita a causa del lavoro.Recentemente in Italia sono state presentate a li-vello parlamentare alcune proposte per vietare ilfumo al volante, che fino ad oggi, però, non si so-no tramutate in norme.Una ricerca della Brunel University, ha messo in evi-denza che chi fuma al volante guida più veloce-mente e in maniera più frenetica rispetto a chi èesente dal tabagismo. Da qui la proposta di alcu-ne compagnie di assicurazione britanniche di mag-

Carmine Ciro Lombardi, Giuliana Di Cicco, Giacomo Mangiaracina riflett

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Tabella 2 – Numero di incendi boschivi causati da cicche e fiammiferi

Anno Incendi boschivi in Italia dovuti a mozziconi di sigaretta e fiammiferi

2007 6.000

2008 6.331

Fonte: Tabaccologia, 4/2009

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minuto, se il fumatore non aspira in questo lassodi tempo.A rendere possibile l’autospegnimento della siga-retta è la presenza di una carta composta da duestrati di cellulosa trattati con un sale dell’acido al-ginico.L’introduzione in commercio di questo tipo di si-garette negli Stati Uniti è stata per molto tempoostacolata dalle industrie del tabacco, con la giu-stificazione che i consumatori non avrebbero ap-prezzato il prodotto e l’avrebbero anzi trovato inac-cettabile[16].Esse inoltre sostenevano che non esistessero testvalidi per accertare se questo tipo di sigaretta fosserealmente fire-safe e che il fumo prodotto sarebbestato maggiormente tossico. Tutte queste giustifica-zioni sono di scarso valore, in quanto non è sicu-ramente una piccola quantità di acido alginico chemodifica sostanzialmente la tossicologia del fumo.Dall’inizio del 2008 anche i 27 paesi dell’UnioneEuropea, per cercare di limitare i rischi di incendi,hanno dato il loro via libera alla sigaretta che si au-to-spegne. L’uso di questo tipo di sigarette è pre-visto sia obbligatorio a partire dal 2011. Certamen-te ciò contribuirà a ridurre di molto il numero dimorti causate da incendi innescati da sigarette emozziconi, e salverà migliaia di ettari di bosco cheannualmente vanno in cenere per un mozziconedimenticato o buttato via incautamente. Ovviamente ai fini della prevenzione non è suffi-ciente la sola introduzione su mercato di sigarettefire-safe, ma è necessario accompagnare tale pro-dotto da campagne di sensibilizzazione, di infor-mazione e, se necessario, da norme che prevedonosanzioni per chi butta le cicche di sigaretta dalle au-to in corsa o nei boschi.

Conclusioni

Del tabagismo e degli effetti del tabacco si cono-sce molto. Tuttavia le azioni di contrasto al proble-ma non hanno raggiunto soddisfacenti risultati intermini di riduzione dell’incidenza e della prevalen-za del consumo di tabacco. In questo lavoro si sonovoluti evidenziare alcuni effetti meno noti al finedi contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica ei non fumatori a prendere coscienza dei propri dirit-

2007/2008 relativi agli incendi provocati in Italia damozziconi di sigaretta e fiammiferi.In Italia più di 1.000 persone ogni anno muoionoa causa dell’inalazione di fumi e vapori tossici che sisviluppano in seguito ad incendi. Secondo la Na-tional Fire Protection Association, negli USA ognianno quasi 5.000 persone perdono la vita a causadi incendi provocati da fumatori distratti. È abbastanza frequente leggere sui giornali, o sen-tire in televisione, di incendi causati da fumatori chementre fumano si addormentano sul divano oppu-re a letto, con conseguenze spesso nefaste. Il rischio di morte per incendi di strutture abitati-ve causati da sigarette accese o da cicche di siga-retta non spente aumenta con l’età. Un terzo de-gli incendi fatali in casa si verifica a carico di over65enni.Anche la dispersione incontrollata di cicche in am-biente costituisce una pratica pericolosa, perchéqueste contengono tabacco arricchito di sostanzevolatili, ossia una miscela combustibile in grado dicontinuare ad ardere fino a diversi minuti anchesenza aria. Basta un po’ di vento, qualche fogliasecca, un po’ di carta e la miscela si accende. I fu-matori devono pertanto sempre assicurarsi che imozziconi siano spenti prima di gettarli[7].Storicamente i primi divieti di fumare sono stati in-trodotti proprio nei luoghi di lavoro per prevenireincendi ed esplosioni, come ad esempio nell’indu-stria chimica.Da diversi anni le morti causate da incendi di siga-retta vengono inserite, a ragione, nelle statisticheinternazionali di decessi da fumo di tabacco. In Ita-lia sette fumatori su dieci gettano la cicca di siga-retta accesa dall’auto in corsa, a dimostrazione dicome questa pratica sia ritenuta normale[7].Anche negli Stati Uniti le cicche si sigaretta nonspente costituiscono un problema rilevante. Rap-presentano infatti la prima causa di incendi residen-ziali, con una stima di 800 civili morti, 1.660 civiliferiti e più di 575 milioni di dollari di danni a pro-prietà private.Per evitare questo tipo di problema sono allo stu-dio da alcuni anni sigarette che si autospengonopiù velocemente di quelle classiche. Le sigarette inquestione dovranno avere come caratteristica fon-damentale la capacità di spegnersi nell’arco di un

L’altra faccia del tabagismo

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sigarette e dalle cicche. Questo non deve però co-stituire un incentivo per continuare a buttare scri-teriatamente le cicche nell’ambiente. Infatti, que-sto tipo di sigaretta non è sicuro al 100%, ma ri-duce solo i tempi in cui la sigaretta/cicca resta ac-cesa. In presenza di erba secca e vento anche que-sto tipo di sigaretta può provocare incendi.Formare gli individui, i lavoratori e soprattutto i gio-vani al rispetto della propria e dell’altrui salute rap-presenta un’azione importante di prevenzione eun’opportunità per sviluppare cambiamenti dura-turi dei corretti stili di vita che abbiano come finenon solo la salute dell’uomo, ma anche il rispettoe la tutela dell’ambiente.

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ti (diritto di respirare aria pulita, libera da sostanzenocive), ma anche i fumatori dei loro doveri (dove-re di non inquinare l’aria con il loro fumo e l’am-biente con le loro cicche). Questo è particolarmen-te vero in presenza di bambini, soggetti deboli conun apparato respiratorio incompleto.I problemi fumo-correlati hanno un notevole im-patto sociale e sanitario, e vanno affrontati in for-ma multidisciplinare, coinvolgendo diverse com-petenze e adeguate risorse tecnico/scientifiche efinanziarie.L’introduzione sul mercato di sigarette fire-safe co-stituisce sicuramente un punto importante per ri-durre gli incendi domestici e boschivi causati dalle

Carmine Ciro Lombardi, Giuliana Di Cicco, Giacomo Mangiaracina riflett

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su Bibliografia

[1] Ministero della Salute – Dipartimento della Pre-venzione e della Comunicazione. Attività perla prevenzione del tabagismo. Rapporto 2009.

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[5] Garattini S., La Vecchia C. Il fumo in Italia. Pre-venzione, patologie e costi. Milano, EditriceKurtis, 2002.

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www.firesafecigaret-tes.org/assets/files/NISTstandard, pdf.

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su Il fumo nei luoghi

di lavoro: problemie proposte per una correttapolitica aziendaleCarmine Ciro Lombardi*Giuliana Di Cicco**Giacomo Mangiaracina***

* ENEA, Unità Tecnica Biologia delle Radiazioni e Salute dell’Uomo

** ENEA, Centro Ricerche Casaccia*** Università di Roma La Sapienza,

Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica e Società Italiana di Tabaccologia (SITAB)

riflettore su studi& ricerche

primo piano

La componente passiva delfumo presenta unaconcentrazione più elevata dicontaminanti, dovuta ad unacombustione a più bassatemperatura. Nonostante ildivieto imposto dalla Legge 10gennaio 2005, in molti posti dilavoro si continua a fumare. In questo articolo vengonodescritti i fondamenti chehanno portato al divieto difumo nei luoghi di lavoro e ivantaggi che un’azienda ricevedalla messa in atto di unapolitica aziendale sul fumo

Smoke in Workplaces: Problems and Proposals for a

Correct Company PolicyThe passive component of smoke has a highercontaminant concentration due to combustion at lowertemperature. Despite the smoking ban imposed with theLaw 10 January 2005, people keep on smoking inworkplaces. This articles reports the basics that lead to bansmoking in workplaces and the benefits that a companymay receive from implementing a no-smoking policy

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per la salute delle persone che gli stanno accan-to e per l’ambiente. La pericolosità del tabacco èstata confermata da una recente sentenza del-la Corte di Cassazione: “La produzione e la ven-dita di tabacchi lavorati si configura come un’at-tività pericolosa”, in quanto il tabacco contienein sé un potenziale carico nocivo per la salute.Il fumo di sigaretta sprigiona più di 4.000 sostan-ze chimiche diverse sotto forma di gas, vapori eparticelle. Una quota di queste sostanze viene ina-lata dal fumatore, una quota viene assorbita dal fil-tro e una quota viene immessa nell’ambiente e co-stituisce, insieme ai prodotti esalati dal fumatore,quello che comunemente viene chiamato “fumopassivo”[2-3]. Per “fumo passivo” si intende il fumo che vienerespirato da un non fumatore che si trova a stret-to contatto con persone che fumano, o ne con-divide l’ambiente. Il fumo attivo e passivo contie-ne gli stessi prodotti chimici, ma in concentrazio-ne leggermente diversa. La componente passivapresenta una concentrazione più elevata dei con-taminanti, dovuta ad una combustione a più bas-sa temperatura[4]. L’inalazione passiva di fumo di tabacco da parte disoggetti non fumatori è associata a effetti nocivi,proprio come il fumo attivo, anche se con minorilivelli di rischio. Analogamente al fumo attivo è cau-sa di tumore al polmone, aumenta il rischio di di-sturbi respiratori e di infarto del miocardio[5].Il fumo di tabacco nei luoghi di lavoro pone unaserie di problemi per quanto riguarda la salute e lasicurezza dei lavoratori. Per molto tempo, nono-stante l’esistenza di norme e restrizioni (art. 32 del-la Costituzione, DPR 303/56, legge n. 584/75, sen-tenza n. 399/96 della Corte Costituzionale) i lavora-tori non fumatori hanno subito l’esposizione ai pro-dotti derivanti dalla combustione del tabacco. Nel-la figura 1 si riporta una tipica situazione che si po-teva osservare nei ristoranti, bar e luoghi di lavoroprima dell’introduzione della legge Sirchia.Dal punto di vista normativo fino al 2005 (introdu-zione della Legge cosiddetta “Sirchia”) si proteg-geva la salute di chi solo occasionalmente accede-va agli uffici pubblici, rimanendovi per breve tempo,mentre non esisteva analoga protezione per i lavo-

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Il fumo di tabacco, nei paesi industrializzati, rap-presenta sia la più importante fonte di inquina-mento dell’aria degli ambienti confinati, sia laprincipale causa prevenibile di malattia e mor-te. Il programma “Europa senza fumo” costitui-sce una priorità della politica della Commissio-ne delle Comunità Europee nei settori della sani-tà, del lavoro e della ricerca[1]. Il piano si propone di migliorare la qualità del-l’aria negli ambienti interni e in particolare neiluoghi di lavoro, ricorrendo a strumenti giuridicie iniziative di promozione della salute.Il fenomeno tabagismo provoca ogni giorno, inItalia, più decessi di alcool, droghe, incidentistradali, incidenti sul lavoro, omicidi e suicidimessi insieme; sono infatti correlati al fumo at-tivo più di 90.000 decessi/anno, 250 al giorno,10 ogni ora[1].Secondo stime elaborate dalla Società Europea diPneumologia e dalla Fondazione Britannica per laRicerca sul Cancro, il fumo passivo nei luoghi dilavoro nei 25 paesi della UE causa oltre 7.000decessi/anno, mentre l’esposizione domesticacomporta oltre 72.000 decessi/anno. In Italia,secondo recenti stime, abbiamo più di 10.000decessi/anno per fumo passivo[1].Il fumatore, incurante dei rischi e delle eviden-ze sanitarie, va ogni giorno dal tabaccaio a com-prare un prodotto pericoloso per la sua salute,

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Figura 1Fumo attivo e fumo passivo, tipicasituazione prima della Legge SirchiaFonte: foto di proprietà degli autori

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tutto il possibile per migliorare il proprio ambien-te di lavoro e tutelare la salute e la sicurezza deipropri lavoratori.In questo lavoro vengono descritti i fondamentiche hanno portato al divieto di fumo nei luoghi dilavoro e i vantaggi che un’azienda riceve dallamessa in atto di una politica aziendale sul fumo.

Fondamenti giuridici e sanitari del divieto di fumo nei luoghidi lavoro

Esistono prove inconfutabili sul fatto che chi fumasi espone più o meno “coscientemente” al rischiodi morte prematura per cancro polmonare, pato-logie cardiovascolari, respiratorie ecc. Negli Stati Uniti, il biologo Raymond Pearl aveva di-mostrato gli effetti negativi del tabacco già nel1938. Secondo il ricercatore, fumare tabacco ac-corciava la vita proporzionalmente al numero di si-garette fumate quotidianamente. Chi fumava ave-va il 60% in più delle probabilità di morire preco-cemente rispetto a chi non fumava[8-9].Diverse testimonianze sono concordi nell’afferma-re che questi rischi colpiscono anche i non fuma-tori, ossia persone che sono costrette ad inalarein modo non volontario il fumo di sigaretta consu-mato da altri.Nel 1981 un lavoro giapponese, pubblicato sulBritish Medical Journal, basato sul confronto fradue gruppi di donne, le prime sposate con fu-matori e le altre sposate con non fumatori, met-teva in evidenza che il fumo passivo comporta-va un aumento del 26% dei tumori polmonarinel gruppo di donne che avevano convissuto conil coniuge fumatore[10].Negli corso degli anni 80 del secolo scorso sonostati pubblicati diversi studi sugli effetti del fumopassivo, tra cui il Rapporto dell’US National Rese-arch Council e quello dell’US Surgeon General. Tut-ti mettevano in evidenza la pericolosità del fumopassivo, sottolineando che individui che non ave-vano mai fumato presentavano un elevato rischio dicontrarre un tumore al polmone se vivevano in con-tatto con un fumatore[11-12]. Sostanze cancerogene specifiche del tabacco sono

ratori costretti a restare in quei luoghi per l’interagiornata lavorativa.Con l’emanazione della legge 3/2003 (Disposi-zioni ordinamentali in materia di pubblica ammi-nistrazione), art. 51 (Tutela della salute dei nonfumatori), a livello normativo finalmente le cosecominciano a cambiare. Con la Legge Antifu-mo del 10 gennaio 2005, poi, il divieto di fu-mo nei locali chiusi previsto dalla Legge 3/2003entra in vigore: è vietato fumare in tutti gli am-bienti chiusi, nessuno escluso; è possibile fuma-re solo all’interno della propria abitazione e ne-gli ambienti appositamente predisposti e segna-lati come tali[6]. Nonostante il divieto, in molti posti di lavoro si con-tinua a fumare, in virtù di un presunto diritto di li-bertà accampato dai fumatori propensi a continua-re la loro pratica. È importante mettere in evidenza che fumare nonè un diritto, respirare aria pulita è invece un dirittosancito dalla Costituzione e dalle leggi che regola-no la sicurezza e l’igiene sul lavoro[6-7].L’articolo 32 della Costituzione cita: la RepubblicaItaliana tutela la salute come fondamentale dirittodell’individuo. Il sistema giuridico italiano è costi-tuito in forma piramidale, ovvero è contraddistin-to da una precisa gerarchia delle fonti, in forza del-le quali la Costituzione e le leggi costituzionali sonoposte in posizione di supremazia rispetto a tutte lealtre norme giuridiche.In base alla Costituzione i datori di lavoro, re-sponsabili della salute dei lavoratori, fin dal 1948avevano l’obbligo di garantire ai lavoratori sia ildiritto alla salute sia il diritto di respirare aria noncontaminata.Poiché fuma il 23% circa della popolazione, quan-do si parla di diritto è opportuno considerare cheavere a disposizione aria salubre libera da contami-nanti è prioritario rispetto al presunto diritto dei fu-matori di contaminare gli ambienti frequentati dal-le altre persone[3-6]. Non far respirare fumo di sigaretta ai colleghi, agliamici, ai propri familiari, dovrebbe essere consi-derato un atto di civiltà, prima ancora che un ob-bligo imposto dalle leggi a tutela della salute edella sicurezza. Un’azienda ha il dovere di fare

Il fumo nei luoghi di lavoro: problemi e proposte per una corretta politica aziendale

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della frequenza cardiaca, aumento della pressionearteriosa e della concentrazione di ossido di carbo-nio nel sangue, ridotta capacità di utilizzo dell’os-sigeno e ridotta capacità di esercizio fisico. Esposizioni, anche di breve durata, al fumo di ta-bacco, in particolare al microparticolato (“polverisottili”), inducono importanti modificazioni alle cel-lule endoteliali delle arterie coronarie, alterazionidell’aggregabilità piastrinica ed aumento della vi-scosità del sangue, concorrendo a determinare ate-rosclerosi e quadri ischemici in vari distretti circo-latori. Secondo recenti stime, a causa del fumopassivo, in Italia tra i non fumatori ogni anno si re-gistrano 500 decessi per tumore al polmone e ol-tre 2.000 morti per malattie cardiorespiratorie[15].È stato dimostrato che negli ambienti chiusi ovesiano presenti fumatori, vengono rilevati livello diinquinamento da polveri fini e ultrafini (PM10,PM1) di gran lunga superiori a quelli dell’ariaesterna. Uno studio condotto dall’Istituto Tumori di Milanoha messo in evidenza che, quando una sigarettaviene accesa in un ambiente confinato (es. ufficio,ristorante, automobile), la concentrazione dei variinquinanti aumenta in modo considerevole. Il par-ticolato ultrafine (PM2,5-PM1) raggiunge livelli ele-vati, superiori di diversi ordini di grandezza rispet-to ai valori limiti di legge outdoor[16]. I sindaci delle diverse città italiane devono prende-re provvedimenti drastici (blocco del traffico auto-veicolare, restrizioni del riscaldamento domesticoecc.) quando la concentrazione di polveri (PM10)supera i 50 μg/m3. Negli ambienti indoor oggettodello studio (ufficio e ristorante) la concentrazionedi polveri sottili, in relazione al numero di sigarettefumate e ai ricambi di aria, può raggiungere livellimedi di 500-1.000 μg/m3, con punte di 2.000-5.000 μg/m3 [16].La presenza di impianti di aerazione e filtrazioneanche di buona qualità non è in grado di depurarele polveri fini e ultrafini generate dal fumo di sigaret-ta. La separazione fisica del locale non-fumatoricon impianto di aerazione indipendente, invece,sembra essere abbastanza efficace nel preservarel’ambiente dedicato ai non fumatori dall’inquina-mento da fumo passivo.

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state trovate nel sangue e nelle urine di non fuma-tori esposti a fumo passivo. Esiste inoltre una relazio-ne dose/risposta tra il rischio del non fumatore el’entità dell’esposizione (anni di esposizione, nume-ro di sigarette fumate dal convivente fumatore).Il collegio americano di medicina ambientale e oc-cupazionale (ACOEM) fin dal 1993 ha conferma-to la positiva associazione tra esposizione a fumopassivo e sviluppo di patologie come il cancro alpolmone e la leucemia[13].Ad esempio il benzene, noto cancerogeno (indu-ce leucemia), è una delle 4.000 sostanze chimichetrovate nel fumo di tabacco. La convivenza con fu-matori aumenta in modo considerevole l’esposizio-ne a questo contaminante.Nel 1985 un ricercatore americano ha studiato lemodalità con cui diverse centinaia di connazionali incinque diversi stati erano esposti al benzene. Le ri-cerche hanno evidenziato che la concentrazionemedia di benzene che inalavano era tripla rispettoai livelli tipici esterni. Secondo il ricercatore, il 45%dell’esposizione totale della popolazione americanaal benzene era dovuta al fumo (o al fumo passivo),il 36% all’inalazione di vapori di benzina o all’uso diprodotti di largo consumo (colla) e il 16% alle al-tre fonti domestiche (solventi, vernici ecc.). Solo il3% dell’esposizione media individuale era attribui-bile all’inquinamento industriale[13].Diminuire in modo drastico tutte le emissioni indu-striali di benzene ridurrebbe il rischio per la salutedi una frazione poco significativa. Invece, ancheuna modesta riduzione del fumo di sigaretta indo-or ridurrebbe di molto la probabilità di contrarremalattie provocate dal benzene[13].Anche l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sulCancro (IARC), si è interessata della problematicaanalizzando numerosi studi prodotti in vari paesi.Secondo i ricercatori IARC i dati disponibili sonosufficienti per affermare che il fumo passivo è cau-sa di cancro al polmone in soggetti che non han-no mai fumato. Nel 2004, sulla base di tali dati, laIARC ha classificato il fumo passivo come agentecancerogeno di gruppo 1 per l’uomo ed ha inclusotale fattore di rischio tra il gruppo di agenti per cuiesiste una certezza di effetti cancerogeni[14].Gli effetti del fumo passivo includono alterazioni

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punto di vista professionale che trascorrono lamaggior parte della giornata lavorativa in am-bienti confinati.Oltre agli effetti sulla salute, fumare nei luoghidi lavoro comporta diversi altri problemi. Infattiaumenta il rischio infortunistico, aumenta il ri-schio di incendi e danni a macchine e attrezza-ture. Inoltre, le sostanze chimiche presenti nelfumo interferiscono con le altre sostanze chimi-che utilizzate nei luoghi di lavoro modificando-ne l’esposizione[23]. Attualmente, grazie alla Legge Sirchia, la contami-nazione indoor dai prodotti della combustione ditabacco si è sensibilmente ridotta. Molti fumatori però, nonostante i divieti, tendo-no a continuare la loro pratica anche dov’è vieta-to, come nelle scuole, negli uffici, negli ospeda-li, nei luoghi di lavoro ecc. Nella tabella 1 sonoriportati i principali rischi associati al fumo du-rante il lavoro.La concentrazione nell’aria indoor degli inquinan-ti del fumo di tabacco è condizionata da diversifattori quali la ventilazione, i ricambi di aria, l’umi-dità relativa, il numero dei lavoratori fumatori pre-senti. Per valutare l’esposizione al fumo passivoo la presenza di fumatori in ambienti dove è proi-bito fumare possono essere utilizzati opportuniindicatori tra cui le concentrazioni di ossido di car-bonio, di particolato, di acroleina, di ossidi di azo-to, fenolo e nicotina. Le concentrazioni di nicotina riscontrate in uffici incui era permesso fumare arrivavano a circa 6,7μg/m3; in uffici in cui non era permesso di fuma-re erano di 0,2 μg/m3. Nei nigth-club e nelle abi-tazioni civili sono stati registrati rispettivamentelivelli di nicotina paria 58 μg/m3 e 14 μg/m3. Que-sti ultimi valori sono particolarmente elevati se siconsidera che a livello indoor c’è la presenza disoggetti particolarmente suscettibili come i bam-bini, le persone anziane e i malati; la loro presen-za negli ambienti confinati non si limita a pocheore, ma può toccare anche l’intera giornata[4].Per gestire il rischio fumo a livello lavorativo équindi prioritario elaborare politiche aziendali ingrado di trattare questo problema in modo effica-ce ed evitare le controversie[25].

Ricerche a cura dell’Osservatorio Epidemiologicodella Regione Lazio hanno messo in evidenza che,oltre a presentare un maggior rischio di tumore alpolmone e di eventi cardiovascolari acuti, i lavorato-ri esposti a fumo passivo sono più frequentementeaffetti da tosse e bronchiti, si assentano maggior-mente dal lavoro e consumano più farmaci dei lorocolleghi non fumatori[17-18].In uno studio sui ricoveri ospedalieri per infarto delmiocardio effettuato negli Stati Uniti, è stata con-frontata la frequenza dei ricoveri prima dell’appli-cazione della legge locale che bandiva il fumo neibar e ristoranti, con la frequenza dei ricoveri nel pe-riodo in cui il divieto è stato applicato ed, infine,con la frequenza dopo che il divieto fu rimosso[19]. Irisultati hanno evidenziato che, durante il periodo diapplicazione del divieto di fumo, c’era stata una ri-duzione della frequenza dei ricoveri per infarto delmiocardio rispetto a prima, e che dopo l’elimina-zione del divieto la frequenza dei ricoveri era di nuo-vo aumentata[20-21].Una recente ricerca, a cura dell’Istituto Nazionaledi Ricerca sul Cancro di Genova, ha messo in evi-denza che la Legge Sirchia protegge non solo i nonfumatori, ma anche i fumatori. Analizzando la qualità dell’aria e la quantità di so-stanze cancerogene presenti nell’ambiente indoorl’indagine ha evidenziato che una persona che fu-ma 14 sigarette al giorno all’interno di un ambien-te chiuso, è come se ne fumasse ameno 2,6 in piùa causa dell’esposizione a fumo passivo da lei stes-sa indotto[22].

Problematiche poste dal fumo di tabacco nei luoghi di lavoro

L’OMS definisce il tabagismo come una vera epropria malattia cronica invalidante, che obbliga afumare anche in situazioni particolari, come l’in-staurarsi di patologie evidenti, e persino in con-trasto con le leggi. Fino a pochi anni fa gli ambienti di lavoro rap-presentavano un importante luogo di esposizio-ne al fumo passivo. Questo era dovuto all’ele-vato numero di fumatori nella fascia di età com-presa tra 25 e 50 anni, ossia di soggetti attivi dal

Il fumo nei luoghi di lavoro: problemi e proposte per una corretta politica aziendale

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Finalità e scopi di una politicaaziendale sul fumo

Il fumo attivo e passivo è stato classificato co-me un prodotto cancerogeno per l’uomo sia dal-l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente degliStati Uniti (EPA), sia dall’Agenzia Internazionaleper la Ricerca sul Cancro (AIRC). Inoltre, è statoclassificato come agente cancerogeno sul luo-go di lavoro dai governi finlandese e tedesco.Recentemente l’Agenzia per la protezione del-l’ambiente della California ha classificato il fu-mo di tabacco come un “inquinante tossico del-l’aria”[3-14].In base alle norme che tutelano la salute dei la-voratori, per gli agenti cancerogeni, e quindi,per il fumo di tabacco, non esiste nessun livello

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Una politica aziendale sul fumo dovrebbe tene-re sotto controllo l’esposizione a fumo passivosenza colpevolizzare i fumatori. Il proibizioni-smo da solo non basta: parallelamente devonoessere sviluppate idonee azioni di sensibilizza-zione atte a favorire modifiche nel comporta-mento e il rispetto reciproco. È inoltre opportu-no stabilire con precisione i luoghi dove é vie-tato fumare e quelli dove invece è permesso,mettendo anche a disposizione dei fumatori unnumero adeguato di posacenere in cui gettare lecicche in sicurezza. Mettere in atto politiche aziendali sul fumo evitadi dare ai fumatori l’impressione che si sta cer-cando di discriminarli e significa affrontare i di-vieti nella maniera più indolore, sia per i fumato-ri che per i non fumatori[26].

Carmine Ciro Lombardi, Giuliana Di Cicco, Giacomo Mangiaracinariflett

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Tabella 1 – Principali rischi lavorativi associati al fumo

Rischio infortunistico Il numero di incidenti sul lavoro a carico dei fumatori è doppio rispetto a quellodei non fumatori, a causa della diminuzione dell’attenzione, dell’impaccio dellemani e del fumo negli occhi.

Assenteismo e produttività I fumatori si ammalano più frequentemente rispetto ai non fumatori (circa 6giorni di assenza in più anno per ogni malattia). La produttività dei fumatori èinferiore rispetto a quella dei non fumatori.

Rischio incendio ed esplosioni I primi divieti di fumo nei luoghi di lavoro derivano dall’elevato numero di incen-di ed esplosioni a carico delle industrie chimiche causati dall’accensione della si-garetta o dai mozziconi gettati via.

Danni a macchine ed attrezzature Le sostanze chimiche presenti nel fumo sono in grado di danneggiare le partimeccaniche di attrezzature e strumenti di precisione, i contatti elettrici di com-puter, le tastiere, le parti sensibili di supporti magnetici, le lenti, i fotorilevatoridei microscopi ottici ed elettronici ecc. È recente la notizia sul fatto che la Applenon garantisce l’assistenza, laddove rileva la presenza di prodotti correlati al fu-mo di tabacco sulla propria strumentazione.

Rischio di interazione con sostanze tossiche L’esposizione al fumo attivo e passivo, in associazione all’esposizione a polveri,gas o vapori di origine professionale, può comportare effetti di tipo sinergico. Ilfumo, inoltre, rappresenta un vettore fisico per molte sostanze presenti nel luo-go di lavoro, determinando un aumento della frazione respirabile che si depositanei polmoni.

Ipoacusia da rumore e fumo La riduzione della capacità uditiva è un’importante causa di invalidità. Diverse ri-cerche hanno messo in evidenza una associazione positiva tra esposizione a fu-mo di tabacco e perdita della capacità uditiva (proprietà ototossiche).

Rischi riguardanti l’igiene del lavoro L’abitudine al fumo costituisce un fattore di confondimento per il monitoraggioambientale e biologico. Essa interferisce sulla misurazione delle sostanze tossi-che, nocive e cancerogene presenti negli ambienti di lavoro e/o dei loro metabo-liti nei fluidi biologici (sangue, urine).

Fonte: elaborazione degli autori

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produttività. La riduzione dell’impatto del fumo suilavoratori riduce l’assenteismo correlato a numero-se patologie. Inoltre, il controllo del fumo in azien-da riduce i rischi di incendio e le spese per la puliziae rende migliore anche l’immagine dell’azienda[31].È opportuno tener presente che circa il 70% dei la-voratori non fuma, e che questi trascorrono molteore sul posto di lavoro. Quindi migliorarne la salubri-tà e vivibilità significa ridurre l’esposizione e miglio-rare la qualità della vita delle persone. Quanto detto è in accordo con una recente risolu-zione del Consiglio dell’Unione Europea che con-sidera prioritaria la promozione della salute e dellasicurezza sul luogo di lavoro. Secondo la UE, la buona “qualità” nei luoghi di la-voro ha un’importante dimensione sia umana cheeconomica e fornisce un importante contributo al-la crescita sostenibile di una comunità.

Conclusioni

Nonostante le norme, i divieti, i cartelli, in molti luo-ghi di lavoro si continua a fumare. Ciò mette a ri-schio sia la salute che la sicurezza dei lavoratori. Se-condo l’OMS il fumo di tabacco costituisce la prin-cipale sorgente di contaminazione degli ambien-ti confinati non industriali.Negli ambienti chiusi, con scarsi ricambi di aria,la concentrazione dei vari inquinanti (in partico-lare delle polveri) può raggiungere livelli moltopiù elevati di quelli esterni. I prodotti della combustione del tabacco sonopiù pericolosi di quelli emessi da altre sorgenticome i camini di centrali termoelettriche o di in-ceneritori di rifiuti urbani. Questo non dipendedal fatto che la composizione chimica sia diffe-rente, anzi queste sono abbastanza simili, madalle modalità e dai tempi del rilascio. Gli impianti industriali presentano camini moltoalti e quindi i vari inquinanti vengono diluiti e di-spersi su aree molto estese. Il fumo di sigaretta alivello indoor viene invece emesso in ambientichiusi poco ventilati e in presenza di molti utenti.È interesse del datore di lavoro mettere in attoe far rispettare il divieto di fumo, sia per evitaresanzioni, sia per tutelarsi da eventuali rivalse da

espositivo sicuro. La ventilazione, anche se cor-rettamente dimensionata, non è in grado di as-sicurare ambienti salubri.Esistono numerose leggi: DPR 303/56, DLgs626/94 e DLgs 81/08 (Testo Unico sulla Salute eSicurezza sul Lavoro), che mettono in evidenzail ruolo e la responsabilità del datore di lavorocirca la protezione della salute dei lavoratori dalfumo passivo[27]. Anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n.399 del 1996, metteva in evidenza il fatto cheil datore di lavoro è tenuto a proteggere la sa-lute dei dipendenti da tutto ciò che può dan-neggiarla, ivi compreso il fumo passivo[28]. Tutte queste norme sono concordi nell’afferma-re la responsabilità penale del datore di lavoroche non garantisce ai lavoratori ambienti privi disostanze dannose.Dovere del datore di lavoro è quello di adottarenell’esercizio dell’impresa le misure necessarieper tutelare l’integrità fisica dei dipendenti e met-tere a disposizione dei lavoratori aria salubre inquantità sufficiente[29-30]. Una corretta politicaaziendale sul fumo dovrebbe:• favorire, attraverso la formazione e l’informa-

zione, la consapevolezza dei diritti e dei do-veri di tutti i lavoratori, fumatori e non fuma-tori;

• favorire la conoscenza dei rischi per la salutedeterminati dal fumo attivo e passivo;

• definire i diritti dei non fumatori e gli obbli-ghi dei fumatori;

• permettere la creazione e il mantenimento diposti di lavoro salubri e sicuri;

• stabilire dove è permesso fumare;• decidere se allestire locali per fumatori tenen-

do conto che la predisposizione di questi noncostituisce, per il datore di lavoro, un obbligo;

• definire le modalità di sostegno ai fumatoriche intendono smettere di fumare;

• stabilire sanzioni interne per chi non rispetta leregole.

La messa in atto di una politica aziendale sul fumopresenta vantaggi sia per le aziende che per i lavo-ratori. L’ottenimento di ambienti di lavoro senza fu-mo migliora sia l’immagine dell’azienda che la sua

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una possibilità. Tali ambienti devono essere deli-mitati da pareti a tutta altezza sui quattro lati,dotati di porta a chiusura ermetica e provvisti diimpianto di ventilazione forzata proprio. Il costodi un ambiente per fumatori è di circa 40-50.000euro, un impegno finanziario non di poco conto.L’aria proveniente dai locali per fumatori, infatti,non deve essere riciclata, ma espulsa direttamen-te all’esterno. Solamente con la separazione fisi-ca degli ambienti con porte sigillate e con lacreazione di gradienti pressori di almeno 5 Pa-scal tra un ambiente e l’altro, si può evitare cheil fumo si diffonda da un locale all’altro.Le limitazioni e i divieti sono interventi che incido-no in modo profondo sui comportamenti e suglistili di vita dei fumatori: questi infatti molte voltevengono vissuti come restrizioni della libertà.La messa in atto di una politica aziendale sul fu-mo porterebbe alla riduzione del numero di fu-matori, aumenterebbe il numero di quelli chevogliono smettere, ridurrebbe il numero di siga-rette consumate sul lavoro e l’impatto del fumopassivo, migliorerebbe la salubrità, la vivibilità ela qualità della vita nei posti di lavoro.Gli interventi legati alla prevenzione dei rischi dafumo dovrebbero prevedere l’istituzione di ungruppo di lavoro specifico coordinato dai verticiaziendali (datore di lavoro, dirigenti, medicocompetente), i rappresentati del lavoratori del-la sicurezza e i lavoratori stessi.Attraverso la no-smoking policy una determina-ta azienda otterrebbe diversi vantaggi in quantodimostrerebbe di occuparsi attivamente della sa-lute e della sicurezza dei propri dipendenti. Nel-la tabella 2 sono riportati i vantaggi di un am-biente lavorativo senza fumo.La realizzazione di programmi di promozionedella salute non costituisce un obbligo, ma è au-spicabile che questi siano sempre più estesamen-te attuati, in considerazione dei notevoli bene-fici che potrebbero derivarne.Il DLgs 81/08 e s.m.i. prevede che la valutazionedebba riguardare tutti i rischi per la salute e la si-curezza dei lavoratori, ivi compresi quelli riguar-danti gruppi di lavoratori esposti a rischi partico-lari, tra cui rientra anche il fumo passivo.

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parte di tutti coloro che potrebbero aver subitodanni causati dal fumo passivo.La politica aziendale sul fumo dovrebbe porta-re alla elaborazione di un codice di comporta-mento interno, alla promozione di interventi permodificare comportamenti negativi e alla crea-zione e diffusione di una cultura della preven-zione. Per fare tutto ciò è opportuno valutare attraver-so questionari e/o test la situazione reale nel-l’azienda sul problema fumo e sul numero di fu-matori. È importante promuovere corsi di for-mazione per migliorare le competenze e le in-formazioni dei dirigenti, preposti, addetti alla si-curezza, responsabili dei lavoratori della sicurez-za, lavoratori ecc. È opportuno, inoltre, promuo-vere assistenza e offrire facilitazioni ai fumatoriche vogliono smettere. Nella figura 3 è riportato il logo dell’OsservatorioFumo, Alcool e Droga dell’ISS (Telefono verdecontro il fumo 800.554.088). Il servizio è gratui-to e nasce per aiutare coloro che hanno proble-mi legati al fumo. Attraverso il telefono verde èpossibile ricevere informazioni scientifiche, faredomande e risolvere dubbi, ma anche avere in-formazioni su strutture pubbliche o private cheoffrono sostegno a chi vuole smettere.Creare locali per fumatori non è un obbligo ma

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Figura 3Logo dell’Osservatorio Fumo, Alcool eDrogaFonte: Istituto Superiore di Sanità

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L’approccio da seguire è quello di non fare ditale obbligo, un mero adempimento formale,da esibire all’occorrenza agli organi vigilanti,ma di farne un importante occasione di rifles-sione sulla organizzazione del lavoro, finalizza-ta a ridurre il numero dei fumatori e a migliora-re il benessere sul posto di lavoro.

La strada da intraprendere è quella della gestio-ne, attraverso un continuo adattamento orga-nizzativo.Quindi è necessario produrre un documento divalutazione del rischio fumo avente come obiet-tivo sia la stima del rischio sia il progetto perridurlo.

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Tabella 2 – Vantaggi per lavoratori e azienda di una corretta polita aziendale sul fumo

Per i lavoratori Per le aziende

Respirare aria salubre Minor consumo di energia per la ventilazione

Miglioramento della salute Minore assenteismo

Miglioramento delle relazioni lavorative Maggiore produttività

Riduzione dei livelli di stress Riduzione delle controversie sul lavoro

Aumento del livello di soddisfazione Miglioramento del morale aziendale

Miglioramento del benessere personale Sviluppo di un’immagine aziendale positiva

Fonte: elaborazione degli autori

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su Impatto ambientale

delle cicche di sigarettaCarmine Ciro Lombardi*Giuliana Di Cicco**Vincenzo Zagà***

* ENEA, Unità Tecnica Biologia delle Radiazioni eSalute dell’Uomo

** ENEA, Centro Ricerche Casaccia*** U.O. Pneumotisiologia Territoriale, Dip. Medico

dell’AUSL Bologna

riflettore su studi& ricerche

primo piano

Buona parte delle sostanzechimiche prodotte dallacombustione del tabacco restanelle cicche; di conseguenza,con 72 miliardi di sigaretteconsumate ogni anno in Italia,anche il piccolo mozziconediventa un’importante fonte diinquinamento. Da qui nascel’esigenza di classificare lecicche come rifiuto pericolosoper l’ambiente e la necessità diprovvedere ad una lororaccolta differenziata

The Environmental Impact of Cigarette Stubs

Most chemical substances produced by tobacco combustionremain in cigarette stubs. As a consequence, with 72 billion cigarettes consumed each year in Italy, even a little stub becomes an important source of pollution.Hence the need to classify cigarettes stubs as a wasteharmful to the environment and collect them asdifferentiated waste

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la cicca è considerato un comportamento norma-le e da tutti accettato. Questo comportamento èsicuramente una trasgressione rispetto alle nor-me a tutela dell’ambiente. Attualmente il tabagista, grazie alla mancanza dileggi, di opportuni posacenere e di poca consape-volezza circa la pericolosità di tale materiale, si li-bera delle cicche gettandole dove capita, senza al-cuna attenzione e precauzione[4]. Le spiagge, le strade, i marciapiedi, i siti archeolo-gici, i parchi di tutto il mondo sono ricoperti daimozziconi senza che nessuno si curi di questo ti-po di rifiuto. Sette fumatori su dieci, ancora oggi,gettano i loro mozziconi accesi dai finestrini delleauto, a conferma di come questa pratica sia da es-si ritenuta normale. Tale comportamento ha spes-so causato incendi a cespugli e boschi con dannia cose e persone[5]. In questo lavoro viene messo in evidenza il cariconocivo immesso ogni anno con le cicche sul terri-torio italiano. Dai dati ottenuti risulta che tale cari-co è importante. Da qui nasce l’esigenza di classifi-care le cicche di sigaretta come un rifiuto pericolo-so per l’ambiente e la necessità di provvedere aduna loro raccolta differenziata.

Struttura della sigaretta

Le sigarette a prima vista sembrano tutte uguali, inrealtà non è così. Ogni marca, oltre ad usare mi-scele di tabacco proprie, tende a imprimere un gu-sto unico e un sapore caratteristico al proprio pro-dotto. Tale unicità è determinata dalle diverse mo-dalità di trattamento del tabacco e soprattutto dal-l’utilizzo di additivi chimici scelti sulla base dei re-quisiti della non “tossicità alimentare”.All’infuori degli stessi fabbricanti nessuno sa qualiadditivi, e in che percentuale, sono utilizzati perogni marca di sigaretta. La sola cosa nota è chel’additivo deve essere privo di nocività quando vie-ne ingerito e, per quel che ne sappiamo, non è esat-tamente questo l’uso abituale di una sigaretta[6-7]. I diversi additivi utilizzati, attraverso la combustio-ne, sono in grado di produrre decine di agenti chi-mici pericolosi. Gli zuccheri, bruciando, aumenta-no la percentuale di catrame; il caramello producecatecolo, uno dei più pericolosi agenti cancerogeni

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Per inquinamento si intende un’alterazione dell’am-biente, di origine antropica o naturale, che produ-ce disagi, danni o altera in modo significativo le ca-ratteristiche chimico-fisiche dell’acqua, del suolo odell’aria.Ai fini della protezione dell’ambiente particolarmen-te importanti sono le norme che regolano la ge-stione dei rifiuti. I rifiuti sono tutti quegli oggetti,cose o prodotti non più utilizzabili, di cui un utenteha deciso di disfarsi. Al fine di ridurre il loro impat-to sull’ambiente è necessaria una corretta gestio-ne in tutte le fasi: modalità di immissione in am-biente, raccolta, trasporto, trattamento e smalti-mento finale[1].Una moderna politica di gestione dei rifiuti deveprendere in considerazione tutto il ciclo di vita diun determinato bene: dalla produzione fino alla di-smissione. Per evitare lo smaltimento indiscrimina-to dei rifiuti sono previste pene per chiunque ille-gittimamente immetta in ambiente sostanze po-tenzialmente in grado di causare danni. Anche la porzione residua di una sigaretta, dettacicca, rappresenta un seria minaccia per l’ambiente.La combustione per uso voluttuario del tabaccoproduce più di 4.000 sostanze chimiche, molte del-le quali ad azione irritante, nociva, tossica e cance-rogena[2]. Una parte di queste sostanze resta nelle cicche; diconseguenza la porzione di sigaretta non fumatacontiene diversi agenti chimici pericolosi e rappre-senta una seria minaccia per l’ambiente. Anchel’acetato di cellulosa, materiale costitutivo dei filtri,in quanto non biodegradabile, contribuisce alla con-taminazione ambientale[3].Un mozzicone di sigaretta può sembrare una cosapiccola ma, quando si guarda al quadro complessi-vo, alle statistiche (72 miliardi le sigarette consu-mate ogni anno in Italia), il piccolo mozzicone di-venta una importante fonte di inquinamento.Il tabagismo negli ultimi anni è stato affrontatoda molti punti di vista: effetti sulla salute, dipen-denza, fumo passivo, pubblicità occulta, effettisulla riproduzione e sulla fertilità ecc. Molto pocoè stato fatto per la protezione dell’ambiente. Inquesto campo esiste infatti un vuoto sia norma-tivo che culturale. Da quando è stata inventata lasigaretta, ossia da circa 160 anni, gettare in terra

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mo di sigaretta era causa di cancro al polmone. Iltimore di un calo dei consumi portò le multinazio-nali del tabacco alla messa a punto del filtro “mi-gliore”, più filtrante e meno ustionante[12]. Lo strato filtrante, secondo le industrie del tabac-co, doveva servire per ridurre il carico nocivo inala-to dai fumatori. Nel corso degli anni è stato peròevidenziato che questo è vero solo in parte: l’intro-duzione del filtro non solo non ha modificato glieffetti sulla salute, ma ha avuto un impatto negati-vo sul piano comportamentale, in quanto ha illu-so molti fumatori circa il consumo di un prodottomeno pericoloso[13]. Il filtro, infatti, è in grado di rimuovere solo una par-te del carico nocivo sviluppato durante la combu-stione del tabacco. La restante parte è sufficienteper indurre numerose patologie come tumori, ma-lattie respiratorie, infarti, ictus ecc.[14-15]

Il filtro è formato da un cilindretto di fibre di ace-tato di cellulosa tenute insieme da un collante, ilglicerolo triacetato. Attualmente, per aumentarel’efficienza filtrante, al filtro viene aggiunto carboneattivo che possiede la proprietà di catturare (adsor-bire) diverse componenti del fumo, quali gas e va-pori organici. I quantitativi di carbone attivo sono selezionatiin modo da non ostacolare le necessità del fu-matore, ossia da non assorbire in maniera radica-le i composti emessi con la combustione. Lo sco-po è quello di garantire al fumatore la dovutaquantità di quegli agenti che definiscono la spe-cificità organolettica di quel tipo di sigaretta e

presenti nel fumo; la glicerina produce acroleina,sostanza irritante che inibisce l’azione depuratricedelle cilia vibratili a livello bronchiale. La quantificazione di alcune di queste sostanze hafatto registrare elevate concentrazioni di mentoloanche in sigarette non mentolate. Il mentolo è ingrado di rallentare la decomposizione della nicotinae di rendere più piacevole l’inalazione e il transitodel fumo attraverso le vie respiratorie[8].La mancanza di adeguate informazioni nei riguar-di dell’utilizzo di questi additivi, fatti passare perprodotti poco pericolosi, non solo illude i consu-matori e demotiva quei fumatori che hanno in-tenzione di smettere, ma influisce anche sull’inala-zione del fumo e sui tempi di instaurazione delladipendenza[9].Comunque, anche se ogni prodotto è diverso dal-l’altro, le sigarette (figura 1) presentano alcune ca-ratteristiche comuni:• la carta vergata attorno alla colonna di tabacco,• il filtro o zona di filtrazione,• la colonna di tabacco,• gli additivi chimici.Nella sigaretta il tabacco è avvolto nella carta, cheammonta a circa 15 cm2 per ogni sigaretta e rap-presenta il 5% del peso di una sigaretta standard.La carta delle sigarette è costituita da cellulosa,ottenuta a partire dal legno. Durante i processitecnologici di raffinazione alla cellulosa vengonoaggiunti diversi agenti chimici, tra i quali cloro (ele-vato potere sbiancante) e solfato di ammonio (chefacilita la combustione). La carta e i relativi addi-tivi durante la combustione reagiscono con l’os-sigeno dell’aria, dando luogo alla produzione dinumerosi composti chimici ad azione irritante, tos-sica e nociva[10-11].A livello mondiale, fino ai primi anni 50 del secoloscorso si consumavano prevalentemente sigarettesenza filtro. A partire da quegli anni tutte le multi-nazionali del tabacco, per arginare le sempre mag-giori evidenze scientifiche sui danni da fumo, co-minciarono a sperimentare vari dispositivi filtrantiallo scopo di rassicurare il più possibile l’opinionepubblica sulla nocività del fumo di tabacco. La produzione di sigarette con filtro esplose soprat-tutto a partire dal 1964, quando un rapporto a cu-ra della Surgeon General mise in evidenza che il fu-

Impatto ambientale delle cicche di sigaretta

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Figura 1Struttura della sigarettaFonte: immagine tratta da Internet

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ti durante la coltivazione del tabacco, costituiti dapolifosfati di calcio provenienti da terreni di Apatitericchi di uranio[17].

Che cosa contiene una cicca

Il fumo di tabacco, definito come l’agente cance-rogeno più diffuso al mondo, è costituito da un mi-scuglio di oltre 4.000 composti chimici diversi. Inparticolare, il fumo emesso da una sigaretta con-tiene gas, vapori, particelle liquide e solide in pre-valenza di piccolissime dimensioni, di diametro com-preso tra 0,01 e 1 μm[18]. Nella tabella 1 sono riportati i principali agenti chi-mici presenti nel fumo di tabacco espressi inmg/sigaretta[18].Ogni fumatore possiede un proprio modo di fuma-re e consumare una sigaretta. Tutti però alla finedella loro “pratica” buttano via la porzione residuadella sigaretta; molti la gettano via, ancora accesa,con noncuranza, altri la schiacciano sotto le scar-pe. Le cicche rappresentano la porzione residualedella combustione delle sigarette e, a causa delleproprietà filtranti, contengono numerosi compostichimici. Non esistono dati quantitativi esaustivi sulcontenuto di agenti chimici nelle cicche, anche per-ché questo dipende da molti fattori come le mo-

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di fornire la quantità di alcaloidi (nicotina) di cuinecessita per placare la sua voglia di fumare, os-sia la sua dipendenza[16].Poiché, come già detto, il fumo di sigaretta è co-stituito da un insieme di gas, vapori e particelle, èestremamente difficile progettare e costruire un fil-tro efficace per tutta questa tipologia di contami-nanti. Inoltre esso priverebbe la sigaretta del suogusto, degli aromi e delle sostanze chimiche re-sponsabili della dipendenza. Tutto ciò si traduce nelfatto che non esiste, e difficilmente verrà realizzato,un filtro capace di lasciar passare le sostanze far-macologicamente attive e al tempo stesso proteg-gere in modo efficace la salute dei fumatori. Più di 3.000 sostanze chimiche sono state isolatedalla sola processazione non combusta delle fogliedi tabacco. Queste sono non solo costituenti natu-rali della pianta, ma derivano anche dall’assorbi-mento da parte della pianta (foglie e radici) di pro-dotti presenti nel suolo e nell’atmosfera. Tra i variagenti sono stati rilevati molti composti tossici comenitrosamine, sostanze cancerogene derivate dai ni-triti, amine, proteine e alcaloidi presenti natural-mente nelle piante. Sorprendentemente nel tabac-co sono stati riscontrati anche elementi radioattivi,in particolare Po-210 e Pb-210. La loro presenza èda imputare essenzialmente ai fertilizzanti utilizza-

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Tabella 1 – Alcuni agenti chimici emessi durante la combustione di una sigaretta, espressi in mg/sigaretta

Componenti in Concentrazione Componenti in Concentrazione fase gassosa media/sigaretta fase particolata media/sigaretta

Ossido di carbonio 17,0 Polveri totali 40

Toluene 0,15 Nicotina 1,8

Formaldeide 0,09 Fenolo 0,08

Acroleina 0,08 Catecolo 0,23

Acetone 0,18 Idrochinone 0,2

Acido cianidrico 0,45 Acido lattico 0,12

Ammoniaca 0,1 Acido glicocolico 0,08

Ossidi di azoto 0,4 Benzo (a)pirene 0,07

Acido acetico 0,57 Nichel 0,03

Benzene 0,28 Arsenico 0,013

Piridina 0,09 Polonio-210 (pCi) 0,5 pCi

Acetaldeide 0,7 Cadmio 0,002

Fonte: Spiridozzi[18]

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neonato, quali irrequietezza, tachicardia, vomi-to e diarrea. Nei casi più gravi è possibile arrivareanche al blocco respiratorio. Il latte materno con-taminato da nicotina e altri derivati dalla com-bustione del tabacco risulta positivo nei test dimutagenesi.Polonio-210: elemento radioattivo alfa emittente,possiede un elevato potenziale cancerogeno. Ognisigaretta presenta un contenuto di polonio-210 va-riabile a seconda del luogo e delle modalità di col-tivazione del tabacco. La scoperta di questo radio-nuclide risale ai primi anni 60. La presenza di radio-attività alfa è dovuta in parte all’assorbimento di-retto da parte delle radici dei radioelementi presen-ti in terreni ricchi di uranio, e in parte ai fertilizzan-ti polifosfati ricchi di radio[19].Esistono molti studi sulla distribuzione del carico ra-dioattivo da polonio-210 di una sigaretta. Uno diquesti, svolto dalla Società di Tabaccologia in col-laborazione con la Facoltà di Farmacia dell’Univer-sità di Bologna e con l’ENEA, ha messo in evidenzache il fumo di una sigaretta occidentale contieneuna radioattività alfa da polonio-210 di circa75mBq, variamente distribuito tra fumo attivo, fu-mo passivo e cenere[17]. Secondo Parfenov, in media, il 50% del polonio-210 presente nel tabacco è trasferito nel fumo, il35% resta nel mozzicone e il 15% lo si ritrova nel-la cenere. In base alle considerazioni di Parfenov,supponendo che il contenuto medio di Po-210 siapari a 75mBq, abbiamo calcolato la sua distribu-zione nelle diverse frazioni, che risulta così suddi-

dalità con cui il tabagista fuma, gli additivi usati dal-le industrie, la colonna di tabacco residuo ecc.Il filtro delle sigarette presenta una diversa efficien-za in relazione alle caratteristiche chimico-fisichedelle sostanze generate dalla combustione del ta-bacco. Per i vari componenti (gas, vapori, micro par-ticelle) questa quota varia tra il 40 e 60%. Per for-nire un’idea sul possibile carico inquinante apporta-to con le cicche al territorio italiano viene da noiconsiderata una efficienza filtrante del 50%, ossiaipotizziamo che il filtro trattenga la metà di tuttele sostanze emesse durante la combustione.Come detto in precedenza le sostanze chimichepresenti nel fumo sono migliaia. Al fine di inqua-drare il problema e le dimensioni del fenomeno vie-ne focalizzata l’attenzione su alcuni agenti, scelticome rappresentativi della contaminazione ambien-tale. In particolare prenderemo in esame i seguen-ti contaminanti: nicotina, polonio-210, compostiorganici volatili, materiale particellare o condensa-to, gas tossici, acetato di cellulosa, materiale costi-tutivo del filtro. Nicotina: è il più importante fra i principi attivicontenuti nel tabacco. È un alcaloide volatile, fa-cilmente solubile in acqua, responsabile della di-pendenza. È un veleno così potente che 50-60mg sono in grado di indurre effetti letali sull’uo-mo. La ragione per cui la nicotina è presente nel-la pianta del tabacco (figura 2) è da ricercare nel-le sue proprietà insetticide, ossia di difesa dellapianta dai parassiti.Ogni sigaretta contiene in media 10-15 mg di ni-cotina, di cui il 20% passa nel fumo e il 50% vie-ne degradato durante la combustione. In tal ca-so possiamo ipotizzare che nella cicca resti intrap-polata una quota pari a circa 4,5 mg di nicotina.Poiché in Italia si consumano 72 miliardi di siga-rette all’anno, e ogni cicca contiene 4,5 mg di ni-cotina, con le cicche immettiamo in ambiente cir-ca 324 tonnellate di alcaloide. La nicotina, oltre aindurre dipendenza, è una sostanza chimica clas-sificata tossica per gli organismi acquatici e peri-colosa per l’ambiente[3].È presente nel latte materno in quantità diretta-mente proporzionali al tabacco fumato, tantoche un elevato consumo di sigarette da parte del-la nutrice può indurre tutta una serie di disturbi al

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Figura 2Pianta del tabaccoFonte: immagine tratta da Internet

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una sostanza molto tossica per gli organismi ac-quatici. L’acido cianidrico, detto anche acido prus-sico, è uno tra i più potenti veleni che si conosca-no. L’azione tossica è legata al blocco della catenadelle reazioni ossido-riduttive che partecipano altrasporto dell’ossigeno[4].Materiale particolato: ogni sigaretta ne producein media 40 mg. Il particolato include anche la fra-zione denominata “condensato”, la quale contieneuna moltitudine di composti chimici (idrocarburipoliciclici aromatici-IPA, benzopirene, catrame, cro-mo, cadmio e altri metalli ecc.). Il catrame è unagente cancerogeno e il suo potere nocivo derivadall’insieme dei vari componenti[4].Assumendo che il 50% del materiale particellareprodotto dalla combustione di una sigaretta restinella cicca, per ogni cicca gettata immettiamo inambiente 20 mg di particolato. Complessivamentecon le cicche finiscono in ambiente circa 1.440 ton-nellate di materiale particellare contenente centi-naia di composti tossici, nocivi e cancerogeni.L’esposizione a materiale particolato non dà originea una specifica malattia, ma contribuisce ad unavasta gamma di processi biologici multi-causali. Aifini espositivi è utile distinguere due tipologie di ef-fetti dovute a differenti modalità di esposizione,acuta e cronica, sebbene il più delle volte questetendano a sovrapporsi.Gli effetti acuti sono quelli che si manifestano in unbreve arco di tempo (dell’ordine di ore, giorni) a se-guito di un’esposizione intensa. A piccole variazio-ni nella concentrazione di particolato corrispondo-no bruschi incrementi di sintomatologie respiratorie,tosse, bronchiti, infarto al miocardio.Gli effetti cronici si verificano a seguito di espo-sizioni prolungate, mesi o anni. L’esposizionecumulativa riduce lo sviluppo polmonare neibambini, accelera l’invecchiamento delle fun-zioni polmonari negli adulti, sembra accelerareil processo di arteriosclerosi, aumenta la com-parsa di sintomi respiratori a carattere cronico,dando luogo anche ad una maggiore inciden-za del tasso di tumore al polmone, laringe, farin-ge, ecc.[20]

Acetato di cellulosa: componente principale delfiltro, costituisce un rischio per l’ambiente. Questasostanza infatti è fotodegradabile, ma non biode-

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visa: 37,5 mBq nel fumo attivo e passivo, 26,0 mBqnel mozzicone e 11,5 mBq nella cenere[17].Tenendo conto che ogni anno in Italia si produconocirca 72 miliardi di cicche, il carico complessivo an-nuale di radioattività alfa immesso con le cicchenell’ambiente è pari a circa 1.872 milioni di Bq.Esiste quindi un rischio di contaminazione per l’am-biente e per l’uomo. La contaminazione del suolo odelle acque rappresenta un pericolo per le varie co-munità di insetti, batteri ecc. Tutti questi organismipotrebbero essere contaminati da tale radionucli-de, assorbire e/o concentrare la sostanza e subirnegli effetti nocivi. Composti organici volatili (VOC): la combustio-ne del tabacco produce innumerevoli composti chi-mici, tra cui benzene, acetone, formaldeide, tolue-ne, acroleina ecc. Tenuto conto che ogni sigarettaemette circa 50 mg di composti organici volatili, eche di questi il 50% resta nel filtro, ne consegueche con le cicche riversiamo in ambiente cieca 1.800tonnellate di composti organici volatili. I composti organici volatili sono sostanze chimichedi natura diversa, comprendenti idrocarburi, terpe-ni, olefine, alcoli, esteri, chetoni, aldeidi ecc. Molti diquesti sono gli stessi prodotti utilizzati come sol-venti o diluenti in colle, inchiostri, vernici, smacchia-tori, pulitori casalinghi o industriali.La maggior parte dei VOC è irritante per le mu-cose e molti di essi hanno un’azione neurotossi-ca. Alcuni, come il benzene e la formaldeide, sononoti cancerogeni. I composti organici volatili presenti nelle cicche,a causa della loro elevata volatilità, sono facilmen-te dispersibili in atmosfera, dove possono subireun complesso sistema di reazioni fotochimicheindotte dalla luce ultravioletta presente nei raggidel sole, con produzione di ozono e altre sostan-ze ossidanti pericolose per la salute dell’uomo edell’ambiente[4].Ammoniaca e acido cianidrico: durante la com-bustione del tabacco vengono emessi diversi gas,tra i quali anche gas tossici cosi come definiti dalRegio Decreto del 1927. Ogni sigaretta ne emettecirca 0,6 mg, di cui il 50% resta nel filtro. Quindicomplessivamente con le cicche ogni anno river-siamo in ambiente circa 21,6 tonnellate di questigas tossici. L’ammoniaca in soluzione acquosa è

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locali dove, in assenza di posacenere, la cicca vie-ne abbandonata nell’ambiente circostante senzaalcun criterio o precauzione. A dimostrazione diciò, le cicche stanno in cima alla lista della cosid-detta sporcizia urbana.A livello urbano i mozziconi sono di difficile gestio-ne, in quanto rimangono incastrati in tutti gli inter-stizi dove le scope e i mezzi meccanici di spazza-mento non riescono ad arrivare. Almeno il 50% ditutti i rifiuti delle aree urbane sono correlati a pro-dotti del tabacco: cicche, cellophan, carta internadi rivestimento e pacchetti vuoti.Una ricerca svolta tra il 2002 e il 2006 nell’ambitodel programma di ricerca delle Nazioni Unite perl'Ambiente (UNEP), ha evidenziato che le cicche (ta-bella 3) sono nettamente al primo posto nella top-ten dei rifiuti che soffocano il Mediterraneo[21]. Anche per quanto riguarda le spiagge italiane lasituazione non è delle migliori. Una recente cam-pagna dimostrativa promossa da Focus e Legam-biente ha messo in evidenza che in media ognimetro quadrato di sabbia ripulita dai volontaricontiene almeno 2 mozziconi di sigaretta, 2,5tappi di plastica o metallo, una cannuccia e unostecco di gelato[21].Se è vero che in estate la popolazione va in va-canza, è altrettanto vero il fatto che i fumatori nonconoscono ferie ed esercitano la loro pratica per365 giorni l’anno. Rapportando tali dati all’interopatrimonio spiaggistico possiamo ipotizzare chesulle spiagge italiane ogni anno vengano abbando-nati circa 12,4 milioni di cicche, 15,5 milioni ditappi, 6 milioni di cannucce e altrettanti baston-cini di gelato.

gradabile. Di conseguenza le fibre, dopo attaccodegli agenti atmosferici (sole, acqua, variazioni ter-miche), vengono fisicamente sgretolate e dispersenel suolo e nelle acque[3]. Ogni filtro ne contienecirca 170 mg. Considerando il consumo annualedi sigarette in Italia risulta che complessivamentefiniscono in ambiente 12.240 tonnellate di aceta-to di cellulosa.

Impatto ambientale delle cicche

Il carico nocivo di ogni singola cicca è relativamen-te basso, dell’ordine dei mg; ciò che amplifica il pro-blema è l’elevato numero di fumatori. In Italia, se-condo l’indagine DOXA-ISS, il numero dei fumato-ri nel 2009 è stato stimato in circa 13 milioni. Con-siderando un consumo medio di 15 sigarette algiorno pro capite, ogni giorno in Italia vengonoprodotti 195 milioni di cicche, corrispondenti a 72miliardi di cicche all’anno[14]. Poiché non esistono norme che regolano lo smalti-mento di tale rifiuto, la maggior parte di questevengono abbandonate senza alcun criterio e atten-zione in tutti i luoghi possibili. Nella tabella 2 sono riportati i quantitativi di alcu-ne sostanze chimiche pericolose immesse annual-mente in ambiente in Italia con le cicche.È importante tener presente che, dopo il calo ini-ziale conseguente all’entrata in vigore della leggeSirchia, il consumo di tabacco negli ultimi anni ètornato gradualmente ad aumentare, e di conse-guenza sono aumentate anche le cicche.Il divieto di fumo ha costretto i fumatori a cambia-re abitudini: la sigaretta viene consumata fuori dai

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Tabella 2 – Quantitativi di sostanze pericoloseimmesse annualmente nell’ambiente

con le cicche in Italia

Nicotina 324 tonnellate

COV 1.800 tonnellate

Gas tossici 21,6 tonnellate

Catrame e condensato 1.440 tonnellate

Acetato di cellulosa 12.240 tonnellate

Polonio-210 1.872 milioni di Bq

Fonte: Lombardi (et al)[14]

Tabella 3 – Tempo di degradazione dei rifiuti

Tipologia del rifiuto Tempo di degradazione

Mozziconi di sigaretta da 1 a 5 anni

Buste di plastica da 10 a 20 anni

Prodotti in nylon Da 30 a 40 anni

Lattine in alluminio 500 anni

Bottiglie di vetro 1000 anni

Bottiglie di plastica Tempo indefinito

Fonte: Legambiente

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sono responsabili ogni anno della morte di alme-no un milione di pesci e uccelli marini e di circa cen-tomila mammiferi[3]. Nella tabella 3 sono riportati i tempi di degradazio-ne di alcuni rifiuti che normalmente vengono ri-scontrati sulle spiagge e in ambienti urbani.Le cicche di sigaretta possono a tutti gli effetti es-sere considerate un rifiuto tossico che, oltre adentrare con i suoi componenti nella articolata ecomplessa catena alimentare, può essere respon-sabile, se ingerito, di intossicazioni acute. In lette-ratura sono riportati molti casi di avvelenamentoda nicotina nei bambini, in seguito ad ingestionedi sigarette, sigari o di cicche. L’avvelenamentoacuto da nicotina è caratterizzato da una rapidainsorgenza di sintomi che possono essere tantopiù severi quanto maggiore è stata la quantità dinicotina ingerita. Questi avvelenamenti sono piùfrequenti in bambini di età inferiore ai 6 anni chevivono con genitori e parenti che fumano in ca-sa. Si tratta di una fascia di età in cui i bambinitendono ad esplorare attivamente l’ambiente cheli circonda, aumentando così il rischio di ingeriresostanze tossiche[3].

Conclusioni

In questo lavoro abbiamo voluto porre l’attenzio-ne su un problema che all’apparenza sembra di po-co conto e di cui finora sono stati trascurati i possi-bili effetti: l’impatto ambientale e sanitario delle cic-che di sigaretta. Il divieto di fumo negli ambienti chiusi, senza unaadeguata strategia di gestione delle cicche, ha ac-centuato le problematiche legate all’impatto am-bientale del tabagismo. In precedenza una buonaparte delle cicche finivano nei rifiuti urbani ed era-no trattate come un prodotto poco pericoloso.Le cicche di sigaretta, costituiscono a tutti gli effet-ti un rifiuto pericoloso. Va evidenziato che, mentre per quanto riguarda lasalvaguardia della salute dei lavoratori le emissioniindustriali, lo smaltimento dei rifiuti pericolosi, leemissioni degli inceneritori esistono norme, leggi,regolamenti, Testi Unici, anche molto restrittivi, nonesiste nulla, invece, che limiti la dispersione dellecicche nell’ambiente.

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A livello urbano le cose non vanno meglio. Infatti,basta gettare uno sguardo fuori dai negozi, dai bar,dai ristoranti, alle fermate degli autobus, nei par-chi, sui bordi dei marciapiedi, per vedere un auten-tico tappeto di mozziconi gettati alla rinfusa da chiconsuma la propria sigaretta per poi disfarsene sen-za la minima cura.In diverse città italiane negli ultimi tempi sono sta-ti posizionati contenitori di rifiuti che presentanoun apposito alloggiamento per le cicche (figura 3).Purtroppo va annotato che questo tipo di conteni-tore non è sicuramente ergonomico, in quanto lospazio per le cicche è limitato ed è di difficile svuo-tamento e pulizia. Inoltre, la scarsa sensibilizzazioneal problema ambientale fa sì che i cittadini gettinonegli spazi dedicati alle cicche anche altri rifiuti, in-tasandoli, per di più con il rischio di provocare peri-colosi incendi.Le cose non vanno meglio all’estero: anche in Ame-rica e Australia, infatti, le cicche sono ai primi po-sti della classifica dei rifiuti che si trovano nei cen-tri urbani e sulle spiagge.Recenti studi (microtox test) hanno messo in evi-denza la tossicità acuta di estratti acquosi delle cic-che di sigaretta. Le cicche, se non raccolte, resta-no in loco per diverso tempo e possono essere inge-rite da vari animali. Sono state trovate cicche di siga-retta nello stomaco di giovani uccelli, tartarughe ealtre creature marine[3]. Recenti studi dell’US National Oceanic and Atmosfe-ric Administration hanno evidenziato che le cicche

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Figura 3Portarifiuti per cicche invaso da carta ealtre tipologie di rifiutiFonte: foto di proprietà degli autori

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L’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente della Ca-lifornia ha classificato il fumo di tabacco un “inqui-nante tossico” dell’aria. Poiché le cicche contengo-no gli stessi prodotti chimici presenti nel fumo sareb-be opportuno classificare le cicche come un’inqui-nante tossico per l’ambiente[22].I comuni, gli amministratori locali, i datori di lavo-ro dovrebbero, al fine di proteggere l’ambiente,non solo emanare norme comportamentali, ma an-che farsi carico di installare, ove opportuno e il piùdiffusamente possibile, appositi raccoglitori per lecicche[14]. In analogia a quanto previsto per altre tipologie di ri-fiuti (carta, pile, metalli, plastica ecc.), si dovrebbeprovvedere ad approntare una filiera appositamen-te dedicata al problema cicche. I contenitori per le cicche dovrebbero essere stru-menti progettati appositamente per contenere ta-li rifiuti, essere dotati per esempio di bagno a sabbiae di chiusura ermetica. I contenitori dovrebbero es-sere facilmente svuotabili e il materiale raccolto do-vrebbe essere inviato in una discarica per prodottipericolosi oppure trattato in modo apposito.Va ricordato che molti Comuni hanno emanato ob-blighi, per i conduttori di cani, di rimozione degliescrementi dei propri animali a fini di igiene, deco-ro e per non causare disturbo e disagio ai pedoni.Non esistono disposizioni analoghe per le cicche disigaretta che imbrattano i marciapiedi e il suolo, o fi-niscono nelle fogne e nelle acque superficiali conta-minandole. Unica nota positiva riguarda le possibili sanzioni pergli automobilisti che gettano le cicche di sigarettadalle auto in corsa, norme dettate del codice dellastrada legate però solo alla prevenzione degli in-cendi e non alla protezione dell’ambiente.Negli ultimi anni, c’è stato un incremento notevo-le delle vendite del tabacco trinciato (per le siga-rette “fai da te”), le cui vendite sono più che rad-doppiate dal 2004. Questo tipo di tabacco ha uncosto inferiore rispetto alle sigarette ed è quindiparticolarmente appetibile per i giovani consuma-tori. Le sigarette “fai da te” vengono utilizzate me-diante l’applicazione di un piccolo filtro di dimen-sioni ridotte rispetto al filtro di una sigaretta nor-male. Questo nuovo tipo di cicca è più pericoloso diquello standard in quanto, essendo più piccolo, è

Ciò deriva sia da una scarsa informazione scientifica,sia da una bassa percezione della nocività dei moz-ziconi da parte dell’opinione pubblica e dei legislato-ri; infatti da sempre è comunemente accettata datutti la dispersione incontrollata di tale rifiuto. La nicotina contenuta nelle cicche presenta la stes-sa tossicità di molti pesticidi. Recenti studi ne han-no messo in evidenza la tossicità acuta su alcunespecie di microrganismi acquatici. Essa inoltre po-trebbe essere responsabile della riduzione numeri-ca di alcune specie animali utili all’agricoltura co-me le api[3]. Recentemente è stata segnalata dall’European Fo-od Safety Autorità (EFSA), la presenza di nicotinain campioni di funghi selvatici secchi provenienti dadiversi paesi. Da dove provenga e che cosa abbia causato la pre-senza di tale sostanza è tutto da accertare. Potreb-be essere l’uso di pesticidi o una serie di altri fatto-ri, come una contaminazione accidentale durante lalavorazione, oppure una contaminazione prodot-ta da materiali contenenti tabacco gettati in modoindiscriminato in ambiente.L’EFSA considera non sicura la presenza di nicoti-na in funghi freschi fino a 0,5 mg/kg. Gli effetti delconsumo di funghi contaminati includono cefalea,tachicardia e vertigini.Nei paesi europei, l’uso di prodotti che contengo-no nicotina, come gli insetticidi, saranno elimina-ti entro la fine di giugno 2010, ma il loro uso inaltri paesi potrebbe continuare e incrementare ilrischio di contaminazione da nicotina in determi-nati alimenti.

Impatto ambientale delle cicche di sigaretta

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Cicche e alberi in cittàFonte: foto di proprietà degli autori

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bilizzazione e raccolta differenziata dei mozziconidi sigaretta.Ulteriori elementi formativi e informativi sulla peri-colosità delle cicche potrebbero venire da apposi-te scritte che mettano in evidenza i potenziali ef-fetti nocivi indotti dalle cicche sull’ambiente: “lecicche sono pericolose, le cicche inquinano, le cicchecontaminano il suolo le acque, tieni lontano le cic-che dal tuo bambino, la cicca può uccidere tuo fi-glio, butta la cicca negli appositi contenitori”.Il messaggio potrebbe essere ancora più incisivo seaccompagnato da immagini che richiamino i rischiambientali, come ad esempio una tartaruga rove-sciata con una cicca nello stomaco, oppure insettimorti intorno ad una pozza con l’acqua in cui sonopresenti alcune cicche, o un granchio con una cic-ca fra le chele.Campagne informative sulla pericolosità delle cic-che dovrebbero essere condotte nelle scuole, neiluoghi di lavoro al fine di indurre una crescita cultu-rale che deve sempre affiancare le disposizioni san-zionatorie. Sarebbe opportuno che ogni fumatoresi munisse di posacenere portatile e/o tascabile. Formare gli individui, soprattutto i giovani, al rispet-to della propria e altrui salute, rappresenta un im-portante momento di civiltà e un opportunità persviluppare cambiamenti duraturi di stili di vita cheabbiano come fine anche la tutela ambientale.Il problema delle cicche è rilevante e va affron-tato da vari punti di vista, coinvolgendo diversiattori e notevoli risorse finanziarie. Per la loro ge-stione occorre utilizzare tutta una serie di stru-menti e norme. Da molte parti vengono proposte multe per chi get-ta le cicche in terra. Sanzioni e restrizioni da solenon bastano, è necessario mettere a disposizionedei fumatori un numero importante di posacene-re da distribuire il più diffusamente possibile. I Co-muni, le associazioni dei commercianti, i datori dilavoro pubblici e privati, i bar, i ristoranti, i cinema,i negozi, i centri commerciali dovrebbero farsi cari-co di acquisire e mettere a disposizione appositi po-sacenere per le cicche. Sarebbe opportuno orga-nizzare per le cicche una raccolta differenziata comeavviene attualmente per la carta, le pile, il vetro ecc.Le cicche di sigaretta non sono solo brutte da ve-dere in quanto deturpano il decoro urbano, ma

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più facilmente ingeribile da animali e uccelli. Per quanto riguarda il modo di agire dei fumatoriesiste sicuramente un evidente conflitto tra il lorocomportamento e la protezione dell’ambiente, con-flitto reso ancora più evidente dalla mancanza diconsapevolezza circa il potenziale nocivo delle cic-che. A tale proposito è quindi necessario appronta-re campagne informative e formative per indirizza-re il fumatore a comportamenti più idonei e rispet-tosi dell’ambiente.Utile ricordare la recente iniziativa dell’associazio-ne Marevivo “Ma il Mare non vale una cicca” spiag-ge della nostra penisola. L’iniziativa si propone disensibilizzare i fumatori al problema dell’abbando-no selvaggio dei mozziconi sulle spiagge. In alcune nazioni come Stati Uniti e Australia questotipo di sensibilità è molto alta, sia a livello governa-tivo che di opinione pubblica. In America vengonopromosse sistematiche campagne di informazionesul rischio di incendi da cicche di sigaretta[23].In Australia da diversi anni sono in commercio po-sacenere portatili, il cui uso è in grado di ridurre inmodo considerevole l’impatto ambientale delle cic-che di sigaretta. Nella figura 5 è riportato un posa-cenere personale resistente al fuoco, lavabile e quin-di riutilizzabile. Lo Stato di Vittoria (Australia) halanciato dalla fine degli anni 90 campagne di sensi-

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Figura 5Posacenereportatile Fonte:Immaginetratta daInternet

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Su questo problema, nonostante le carenza nor-mative e culturali è possibile fare molto. La suasoluzione è legata intimamente al modo di agi-re dei fumatori. Infatti solo con un comporta-mento consapevole e responsabile di questi sog-getti, è possibile ridurre l’impatto ambientaledelle cicche.

sono anche tossiche. Per ridurre il loro impattosull’ambiente sarebbe auspicabile fare ricorso alprincipio di prevenzione “chi inquina paga”. Laproposta è quella di attuare un piccolo aumentodel costo delle sigarette di pochi centesimi da de-dicare alle attività di raccolta differenziata e smal-timento in sicurezza di tale rifiuto.

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Bibliografia

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su Le possibili tecnologie

veicolari del futuro: analisi delle prospettivedelle opzioni più interessanti

Francesco Di Mario*Antonio Mattucci*Marina Ronchetti**

* ENEA, Unità Tecnica Fonti Rinnovabili** ENEA, Unità di Progetto Ricerca di Sistema Elettrico

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riflettore su studi& ricerche

primo piano

Tra le tecnologie veicolariche si candidano per sostituire

i veicoli convenzionali, i veicolielettrici a batteria e i veicoli aidrogeno a celle a combustibilesembrano avere le cartemigliori. Viene fatta pertantoun’analisi comparativa di pregie difetti delle nuove tecnologiee delle complesse azionirichieste per una loro concretapresa di mercato

Possible Future Vehicle Technologies: Prospects of the Most Interesting

Propulsion OptionsAmong the technologies options available to replaceconventional vehicles, battery electric and hydrogen fuelcell vehicles appear to have the best chances. Therefore acomparative analysis related to such technologies strengthsand weaknesses and the complex actions required for theirmarket take-off has been carried out

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Le possibili tecnologie veicolari del futuro: analisi delle prospettive di mercato delle opzioni più interessanti

Nella prima parte di questo studio[1] sono state de-scritte le tecnologie veicolari che potrebbero so-stituire in un futuro più o meno lontano i veicolia combustione interna (ICE) basati su combusti-bili tradizionali. Si sono considerate in particolare letecnologie elencate nella tabella 1, dove sono sta-ti anche riportati i possibili effetti della loro introdu-zione nel mercato delle autovetture, attraverso lascelta di opportuni indicatori. Le tecnologie presein considerazione prevedono sia veicoli a combu-stione interna con nuovi carburanti (biocombusti-bili, gas naturale, idrogeno), sia veicoli di nuovaconcezione a combustione interna (veicoli ibridinelle diverse tipologie) o utilizzanti nuovi sistemidi propulsione o combustibili (veicoli elettrici a bat-teria e a celle a combustibile con idrogeno).Le indicazioni riportate nella tabella sono di carat-tere qualitativo, ipotizzano uno sviluppo soddisfa-cente delle tecnologie e sono riferite all’acquisto(o alla conversione) dei soli veicoli; ciò vale in par-ticolare per i costi, per i quali politiche di detassa-zione potrebbero consentire risparmi significativiche potrebbero compensare i maggiori esborsi ini-ziali. Ad esempio questa considerazione vale inItalia per i veicoli a gas naturale in cui il costo delcombustibile, a parità di energia erogata, risultanotevolmente inferiore sia alla benzina sia al diesel.Analoghi effetti potrebbero avere sussidi per con-vertire ad esempio un veicolo convenzionale al-l’uso del gas naturale. Occorre però segnalare che gli incentivi, come purela leva fiscale, possono assumere un effetto incenti-vante solo in una fase di prima penetrazione delmercato e fino al momento in cui le nuove tecno-logie abbiano raggiunto una sufficiente competitivi-tà, agendo nella direzione di ridurre i costi e ren-dendo le tecnologie più interessanti per l’utente fina-le. Allorché un mercato di una certa consistenza sa-rà stato raggiunto dovrà evidentemente essere ab-battuta o eliminata ogni forma di incentivo. Infatti ilcontinuare nell’erogazione dei sussidi, accanto al-l’esborso notevole che ne risulterebbe per la collet-tività, che dovrebbe reperire risorse tanto più ingen-ti quanto più numerosi risultano i veicoli che usu-fruiscono di tali benefici, produrrebbe una forte di-

storsione del mercato nei confronti delle opzioni al-ternative, cosa evidentemente non desiderabile; an-che la detassazione dei combustibili dovrebbe es-sere eliminata, per evitare che si creino negli Statisbilanciamenti tra entrate ed uscite, in dipendenzadei minori introiti dovuti alle accise sui carburanti.In mancanza di ciò si renderebbe necessaria l’im-posizione di nuovi tributi, penalizzando presumibil-mente categorie di cittadini diverse da quelle chehanno beneficiato dei vantaggi ed abbassando diconseguenza il livello di equità sociale.La tabella 1 sulle tecnologie alternative è organizza-ta in 3 sezioni che riguardano le prestazioni, gli im-patti ambientali ed energetici e quelli relativi al mer-cato. I confronti hanno come riferimento tempo-rale una data collocabile nei primi anni dopo il2010. Fanno eccezione i veicoli a idrogeno e a bat-teria, le cui valutazioni sono fatte considerando pe-riodi successivi, ovvero allorquando le relative tec-nologie avranno raggiunto un soddisfacente livellodi sviluppo.In alcuni casi le indicazioni riportate preconfiguranoscelte particolari; ad esempio l’indicazione di emis-sione di CO2 per i veicoli a idrogeno non tiene con-to della possibilità che questo possa essere prodot-to da fonti rinnovabili e/o fossili con cattura e se-questro della CO2. In questo caso l’emissione sa-rebbe, infatti, nulla, mentre l’indicazione riportata dàuna valutazione “minore”, perché l’utilizzo di tec-nologie più efficienti permette l’impiego di minoriquantità di fonti fossili e riduce perciò la quantitàdi CO2 emessa. Per avere la possibilità di effettuareuna valutazione comparativa dell’efficienza ener-getica di alcune delle tecnologie ci si può riferire al-la figura 1, dove sono riportati i consumi unitari diautovetture di diversa tipologia, suddivisi nelle dueporzioni della catena energetica Well To Tank (WTT)e Tank To Wheel (TTW)[2]. Come si può notare, icombustibili convenzionali hanno buone rese diconversione dal petrolio, ma consumi per l’interacatena più alti. Per l’idrogeno si ipotizza una pro-duzione da fossili con cattura e sequestro della CO2

(CCS), mentre per i veicoli elettrici si può notare co-me divenga particolarmente importante la ricaricadelle batterie, legata inevitabilmente alla disponi-

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tecnologie veicolari, si sono fatte le seguenti ipote-si: che la produzione dell’elettricità e dell’idrogenoda fonti fossili non sia abbinata a cattura e seque-stro della CO2; che l’inquinamento atmosferico siarilevato solo al punto d’uso; che i veicoli ibridi plug-in abbiano un serbatoio di capacità simile a quelladei veicoli convenzionali; che i veicoli la cui fonteprimaria sia diversa dal petrolio rendano meno cri-tica la sicurezza degli approvvigionamenti. Nella ta-bella deve inoltre essere preso in considerazionecome parametro primario di valutazione il colore,mentre la descrizione all’interno serve solo a carat-terizzare meglio il risultato del confronto. Per quan-to attiene la colonna “Gradimento dell’utente fi-nale” si deve tener presente che essa cerca di sinte-tizzare la disponibilità dello stesso ad acquistare iveicoli basati sulle nuove tecnologie, posto che cisia già un livello sufficiente di infrastrutture e che i

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bilità di energia elettrica. L’ipotesi adottata nel gra-fico è quella di considerare il valore medio del mix diproduzione. Non sono stati considerati nell’isto-gramma né i veicoli a biocarburante, dove si assi-ste ad un’efficienza simile a quella dei corrispon-denti carburanti convenzionali nella porzione TTW,ma un consumo specifico nella catena di produzio-ne alquanto elevato, né i veicoli ibridi plug-in, peri quali non è facile dare valutazioni energetiche per-ché fortemente dipendenti dal loro tipo di impie-go. Infatti, per uno stesso veicolo la ricarica dellebatterie fatta attraverso la rete elettrica comporta,a seconda del tipo di percorrenza, consumi speci-fici che oscillano tra quelli dei veicoli elettrici a bat-teria e quelli dei veicoli convenzionali, non essen-do il motore a combustione interna ottimizzato co-me per alcune tipologie di veicoli ibridi. Nella costruzione della tabella 1, che confronta le

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Fonte: elaborazione ENEA

Tabella 1 – Confronto delle alternative veicolari rispetto a quelle convenzionali (veicoli a benzina e diesel)

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li azioni, come incentivi, vantaggi derivanti dall’usodei nuovi veicoli (accessibilità e sosta in aree riser-vate, esenzioni dai blocchi del traffico ecc.) devo-no essere considerate come necessarie per vincerele remore di una porzione sufficiente di consumato-ri e creare le condizioni per un mercato che si pos-sa sviluppare e successivamente autosostenere an-che allorquando tali provvedimenti saranno in par-te o in toto rimossi.

Prospettive

La riduzione delle riserve degli idrocarburi, gli effet-ti ambientali e la sicurezza degli approvvigionamen-ti, impongono che, soprattutto nell’ambito dei tra-sporti, si adottino soluzioni energetiche diverse. Persemplificare il più possibile un’analisi sulle prospet-tive delle diverse alternative a disposizione ci si puòriferire alle due soluzioni che sembrano dover ca-ratterizzare il mercato dei veicoli nel lungo terminee che sono riconducibili sostanzialmente a: veicolia batteria e veicoli a idrogeno a celle a combusti-bile. Tutte le altre opzioni potranno avere una note-vole importanza nell’affrontare la transizione e faci-litare il successo di una o dell’altra soluzione, madifficilmente potranno divenire una soluzione vin-cente nel lungo termine, sia perché comunque ba-

costi siano sostenibili. Ci si pone quindi in una fa-se di primo avvio del mercato dove l’utente, accan-to a fattori positivi, legati ad esempio alla maggio-re efficienza e sostenibilità ambientale e all’avere adisposizione un veicolo non comune, deve valuta-re elementi di altra natura per scegliere i nuovi vei-coli. Accanto ad elementi di natura più psicologi-ca (ad es. riluttanza ad effettuare scelte troppo inno-vative in mancanza di certezze assolute sulla lorobontà) se ne ritrovano altri, come costi e tempimaggiori per rifornire, stante la minore capillaritàdelle infrastrutture, incertezza sulla possibilità di ri-vendita del veicolo, difficoltà ad effettuare manu-tenzioni, eventuali modifiche dello stile di guidaecc. Questi elementi hanno generalmente un pe-so tanto più importante quanto più innovative so-no le tecnologie specifiche e possono frenare lo svi-luppo del mercato in assenza di azioni esterne. Ta-

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Figura 1Consumi unitari di tecnologie veicolariFonte: elaborazione ENEA da fonti diverse

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in termini di densità di energia, le differenze tra iveicoli convenzionali e quelli a batteria sono di cir-ca due ordini di grandezza e di un ordine di gran-dezza rispetto a quelli a idrogeno, considerando chel’asse verticale è di tipo logaritmico. L’idrogeno ma-nifesta perciò sensibili vantaggi rispetto alle batte-rie, ma rimangono rilevanti in generale i problemidi minore autonomia, rispetto ai combustibili con-venzionali. Ciò comporta quindi ricariche più fre-quenti e di maggior durata, pur considerando che lealte efficienze di conversione dei motori elettrici checaratterizzano sia i veicoli a batteria che quelli a idro-geno a celle a combustibile agiscono in senso mi-gliorativo, richiedendo minor consumo di carburan-te (in termini energetici) a parità di percorso. D’altra parte, anche se al momento le limitazionisopra indicate possono sembrare insuperabili, oc-corre pensare che nuovi paradigmi, sensibilmentediversi da quelli attuali, potrebbero caratterizzarel’acquisto dei veicoli da parte dei consumatori. Alpresente, infatti, sebbene la gran parte degli spo-stamenti sia tipicamente inferiore a 100 km (quin-di realizzabili sia dai veicoli a idrogeno che da quel-li a batteria senza dover rifornire il veicolo), l’acqui-sto di un’autovettura con limitazioni di percorrenza

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sate sull’uso di fonti fossili che sono inevitabilmen-te destinate ad estinguersi (ad es. veicoli a gas natu-rale), sia per la difficoltà di garantire sufficiente di-sponibilità di combustibile che vincoli di varia na-tura tendono a limitare (ad es. biocarburanti). Per-tanto un’analisi comparativa sulle prospettive deiveicoli a batteria e a idrogeno può essere interes-sante, senza che da essa si pretenda di avere com-plete certezze circa i possibili vincitori, essendo an-cora entrambe le tecnologie lontane dai target ri-chiesti per divenire pienamente competitive. La ne-cessità di conseguire miglioramenti tecnologici im-portanti può far sì infatti che si abbiano sviluppi fu-turi al momento non ipotizzabili, ma tali da ribal-tare completamente le previsioni attuali.In figura 2, ottenuta con dati di diverse fonti[3,4], vie-ne riportato un diagramma che dà la posizione siadell’idrogeno che delle batterie rispetto ai carbu-ranti convenzionali (l’area tratteggiata rappresen-ta le prestazioni raggiungibili nel medio termine).Le distanze rimangono notevoli e devono esserecolmate per avere volumi di accumulo più ridotti(asse verticale) e pesi accettabili (asse orizzontale),elementi di fondamentale importanza soprattuttonelle applicazioni veicolari. Occorre considerare che,

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Figura 2Densità di energia di diversi combustibili e di sistemi a batteriaFonte: elaborazione ENEA da fonti diverse

Energia per unità di massa, MJ/kg

Ener

gia

per

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me.

MJ/

L

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siddette smart grids sembra essere un’opzione dicui difficilmente si potrà fare a meno negli anni avenire. Limitandosi ai soli interfacciamenti tra i vei-coli e la rete elettrica si potrebbero rendere disponi-bili nuove funzionalità; in particolare la presenza disistemi intelligenti, oltre che ottimizzare la caricadelle batterie, potrebbe provvedere alla gestionedelle stesse come riserva di energia da utilizzare neimomenti di picco e dare ulteriori gradi di libertà perle società erogatrici di elettricità nella gestione del-la rete elettrica e della domanda e offerta di energia.Una capacità intelligente di ricarica delle batteriepotrebbe assicurare funzioni di accumulo dinami-co dell’energia, regolazione della tensione, dispo-nibilità di potenza anche in situazioni di emergenzaed abbattimento dei picchi e livellamento dei cari-chi[5,6], a condizione di un adeguato potenziamen-to della rete elettrica. Sotto questa ipotesi si potreb-bero altresì creare nuovi rapporti e schemi di affaritra le imprese e gli utenti finali e ciò potrebbe com-portare vantaggi per tutti i soggetti coinvolti. L’idrogeno, che pure potrebbe rappresentare un’al-ternativa per l’accumulo di energia, non avrebbela stessa efficacia sotto questo profilo, perché la suaproduzione, ad esempio in condizione di eccessodi disponibilità delle fonti rinnovabili, sarebbe ca-ratterizzata da una modesta efficienza (l’elettrolisidell’acqua al momento ha rendimenti non supe-riori al 50%) come pure la sua conversione in elet-tricità nei momenti di alta domanda (comunqueminore di quella assicurata dalle batterie), anche sela contemporanea produzione di calore potrebbedar luogo ad efficienze complessive interessanti adesempio nel residenziale. L’accumulo di energia at-traverso l’idrogeno con il suo utilizzo nei veicoli ri-marrebbe invece un’opzione di tutto rilievo e co-munque da perseguire, soprattutto se saranno ot-tenuti significativi incrementi della resa dell’elettro-lisi. I veicoli a idrogeno, a loro volta, non appaionosoddisfacenti per applicazioni relative al trasportomerci, in particolare per i mezzi pesanti, per i qua-li la soluzione preferita continuerà ad essere anco-ra costituita dai motori a combustione interna ali-mentati con carburanti convenzionali o similari, incoerenza con le indicazioni della figura 2. Ovvia-mente, per evitare di ampliare la discussione, si pre-scinde in questo esame dall’ipotesi di considerare

non trova un ampio interesse da parte dell’utente,che invece predilige soluzioni capaci di soddisfaretutte le proprie esigenze (o almeno la gran parte diesse) come nel caso dei veicoli convenzionali. In fu-turo, però, si potrebbero affermare nuovi schemicomportamentali legati più al soddisfacimento del-le funzioni che alla proprietà dei beni. In tal senso ilconcetto di car-sharing, che permette di condivide-re l’uso dei veicoli tra gruppi di persone, potrebbedare un ampio spazio ai veicoli di nuova concezio-ne per affrontare gli spostamenti in ambito urba-no, dove tra l’altro tali veicoli forniscono i miglioririsultati, lasciando ad altre soluzioni il compito dieffettuare percorsi più lunghi.L’elemento successivo da analizzare è la disponibi-lità di infrastrutture per il rifornimento dei veicoli.È chiaro che, rispetto a ciò, la posizione dei veicoli abatteria è teoricamente più favorevole, perché sipotrebbe pensare ad una grossa quota di ricaricheeffettuate nelle abitazioni, prevalentemente nelleore notturne, caratterizzate da minore domandadi energia. Questo contrasterebbe però con l’ipo-tesi di creare un mercato di veicoli condivisi, per iquali sarebbe difficilmente giustificabile l’idea chel’utente divenga l’unico (o quanto meno il preva-lente) possessore del veicolo. Occorrerebbe realiz-zare perciò un numero notevole di punti di ricari-ca, con l’ulteriore aggravante che una quota consi-stente delle ricariche stesse sia effettuata in oraridiversi da quelli notturni e la necessità che la pro-duzione di elettricità e la rete di distribuzione deb-bano essere opportunamente potenziate per sop-portare i nuovi carichi. I costi da sostenere per rea-lizzare gli interventi per tali infrastrutture potrebbe-ro essere alti, e comunque non troppo distanti daquelli ipotizzabili per realizzare i sistemi per il tra-sporto e la distribuzione dell’idrogeno. Si deve pe-rò considerare che l’elemento infrastruttura potreb-be giocare nel tempo a favore dei veicoli elettrici,considerando l’evoluzione attuale della generazio-ne elettrica che prevede in futuro un più ampio ri-corso ad una generazione distribuita, un maggioreutilizzo delle fonti rinnovabili e una più efficiente emirata gestione della rete elettrica, per garantire,oltre il soddisfacimento della domanda, livelli di af-fidabilità e sicurezza sempre più spinti. Il ricorso areti di trasmissione e distribuzione intelligenti, le co-

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re ad un grafico proposto dalla General Motors (fi-gura 3)[7] in cui si fa un quadro sulla possibile evo-luzione temporale nel lungo termine delle tecnolo-gie veicolari. Dalla figura si evince che, da una par-te, diventeranno nel tempo sempre più importan-ti gli obiettivi ambientali e di sicurezza degli ap-

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nuove modalità di trasporto o di sostanziali sposta-menti di quote di trasporto verso altri modi (ad es.ferrovia o nave), che potrebbero avere prospettiveinteressanti nel lungo termine.Andando ad esaminare quali potrebbero essere leprospettive delle diverse tecnologie, ci si può riferi-

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Figura 3Evoluzione delle tecnologie veicolariFonte: General Motors

Figura 4Campi di applicazione delle nuove tecnologie veicolariFonte: EUCAR

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t, le riserve stimate sono pari a circa 13 Mt1. Sup-ponendo un consumo Tank to Wheel pari a 0,15kWh/km di ogni veicolo elettrico e un’autonomiaper lo stesso di 150 km, le batterie dovrebbero es-sere dimensionate per almeno 22,5 kWh, cui corri-spondono 6,7 kg di litio metallico2. Ciò implica che,per una produzione di 1 milione di veicoli/anno, sidebbano destinare 6.700 t di litio alle batterie deiveicoli. Ciò sembrerebbe compatibile con tale de-stinazione d’uso; in realtà, considerando che il mer-cato mondiale delle autovetture si colloca intorno ai60 milioni di veicoli/anno, si comprende bene co-me sia necessario aumentare in modo notevole laproduzione del litio, se si vuole realizzare un mer-cato ampio e non di nicchia. D’altro canto, pur es-sendo le riserve sufficienti per coprire le necessitàdi tale materiale, politiche di recupero del litio dal-le batterie esaurite dovranno essere attuate sia perevitare complessi problemi di smaltimento dei ma-teriali, sia per contenere i costi.Relativamente invece alle necessità di platino perle celle a combustibile, la tecnologia ha fatto passiimportanti per ridurre la quantità di tale metalloper unità di potenza, che al momento si colloca in0,35 g/kW[9]. Ciò impone che per un veicolo a cel-le a combustibile di 80 kW di potenza netta (po-tenza di stack pari a circa 90 kW) siano necessaricirca 32 g di platino che, ad un costo di 1.500 $/on-cia, comportano costi unitari di 19 $/kW, ovvero di1.690 $ per l’intero veicolo, con un’incidenza signi-ficativa sul sovracosto totale. Considerando unaproduzione annuale di 1 milione di autovetture, siavrà una domanda di platino pari a 32 t. Questodato va confrontato con la domanda annua di pla-tino che nel 2009 è stata pari a circa 190 t[10], conuna stima delle riserve pari a 76.000 t. Circa il 42%di platino è stato utilizzato dal settore dell’industriaautomobilistica, che impiega questo metallo neiconvertitori catalitici. Da questo settore oggi il re-cupero annuo è dell’ordine di 22 t.Per il platino valgono le stesse considerazioni fattein precedenza per il litio, nel senso che per un mer-

provvigionamenti (asse verticale), almeno rispettoa quelli economici, e dall’altra (asse orizzontale) al-tri combustibili si aggiungeranno man mano aquelli convenzionali. Nel lungo termine l’orienta-mento sarà comunque rivolto verso l’idrogeno, uti-lizzato nelle celle a combustibile, mentre nel me-dio termine avranno un ruolo molto importantesia i veicoli elettrici che ibridi, avviando di fatto ilprocesso di elettrificazione nel trasporto stradale.Ciò è confermato anche dalla figura 4[6], dove ilraggruppamento dei costruttori europei esprimeil proprio orientamento circa le applicazioni dei vei-coli a batteria (BEV), ad aumentata percorrenza (E-REV o ibridi plug-in) e a celle a combustibile. Si puònotare come l’utilizzo dei veicoli a batteria vada adinteressare un numero minore di categorie di veico-li e possibilità di utilizzo (rispettivamente autovettu-re; aree urbane e regionali) rispetto a quelle reseinvece possibili dai veicoli a idrogeno (autovettu-re, furgoni ed autobus urbani; aree urbane, regio-nali ed autostradali).Sul versante della disponibilità di materiali partico-lari nei quantitativi necessari per garantire un mer-cato di ampie dimensioni, i problemi sono molte-plici, anche perché le soluzioni più interessanti po-trebbero venire soppiantate da nuove possibilitàmesse a disposizione da una forte spinta data allaricerca. Limitandoci ad analizzare ciò che al mo-mento sembra più promettente, le criticità mag-giori potrebbero individuarsi nella disponibilità diquantità sufficienti di:1. litio per le batterie; 2. platino, utilizzato con funzioni di catalizzatore

nelle celle a combustibile. Per il primo punto sono state fatte diverse analisicon indicazioni non sempre coincidenti. Parecchiepreoccupazioni derivano dalle riserve di litio dispo-nibili[8], confrontandole con le necessità prevedibili diproduzione annuale sulla base dell’utilizzo di talemetallo sia nell’elettronica che nei veicoli. Preso ariferimento l’anno 2005, si può indicare che, a fron-te di una produzione annua di poco più di 21.000

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1. In realtà questa cifra, che comprende tutti i giacimenti di litio, deve essere ridotta a poco più di 6 Mt, corrisponden-ti alle riserve che realmente sono a disposizione a costi praticabili.

2. Si assume un impiego di 0,3 kg di Li per kWh.

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Si deve sottolineare che ultimamente la maggioreincidenza sul costo finale non è più dovuta allostack, ma al complesso degli altri dispositivi neces-sari per rendere pienamente funzionale la cella. Conun costo di 30 $/kW, che è l’obiettivo del Depar-tment of Energy (DoE) al 2015[13], si avrebbe unaspesa per il sistema cella di $ 2.700 per un veicoloda 80 kW di potenza netta. Anche in questo caso lemigliori efficienze procurate da tali veicoli potreb-bero più che compensare i costi addizionali duran-te l’utilizzo del veicolo stesso. Occorre notare tuttavia che, mentre nell’ambitodella Commissione Europea è stata lanciata la JointUndertaking sull’idrogeno e le celle a combustibi-le, che è pienamente operativa e contribuirà certa-mente ad un importante sviluppo delle tecnologie,in altre nazioni, in particolare negli Stati Uniti, si staprocedendo ad un ripensamento sulle iniziative del-l’idrogeno, considerate troppo di lungo termine; intal senso i finanziamenti del DoE per l’anno 2010[14]

hanno subito una riduzione (237 M$ contro i 266M$ del 2009), privilegiando le tecnologie che pos-sono contribuire più rapidamente a miglioramenti diefficienza. Se questa tendenza dovesse perduraree soprattutto estendersi ad altre nazioni, si potreb-be verificare un rallentamento dell’innovazione, conil risultato di spostare ancora più in avanti nel tem-po il dispiegamento delle tecnologie dell’idrogenonel trasporto stradale.

Confronto tra veicoli a celle a combustibile ad idrogeno ed elettrici a batteria

Per cercare di dare un quadro più completo per ledue soluzioni veicolari più innovative, ovvero i veico-li a idrogeno a celle a combustibile e quelli elettricia batteria, sembra utile cercare di quantificarne al-cuni aspetti, anche alla luce delle soluzioni che sistanno proponendo al momento. Ovviamenteun’analisi del genere è sempre soggetta ad incer-tezze legate all’evoluzione più o meno rapida delletecnologie e della loro introduzione sul mercato,che potrebbe concorrere ad un notevole abbatti-mento dei costi, rendendole quindi ancora più ap-petibili ai consumatori. Perciò, per cercare di essereil più possibile neutrali, ci si può riferire a modelli

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cato di nicchia le disponibilità di riserve ed i sistemidi produzione attuali sono in grado di coprire l’au-mento di domanda, mentre per un mercato am-pio si entrerebbe subito in difficoltà, a meno di nonriuscire ad abbattere ulteriormente le quantità diplatino per unità di potenza o sostituirlo con altricatalizzatori di maggiore disponibilità e più facilereperimento, adottando al tempo stesso opportu-ne tecniche per aumentarne il recupero al termi-ne del ciclo di vita del veicolo.Sempre per quanto riguarda la disponibilità dei ma-teriali più critici, un cenno va fatto anche agli ele-menti delle terre rare, utilizzati, tra l’altro, per i ma-gneti permanenti dei motori elettrici ad alta effi-cienza, componente essenziale di tutti i sistemi ditrazione elettrica. L’elevata crescita della domandadi questi materiali (>20% all’anno negli ultimi anni),e la loro produzione solo in certe aree geografiche(soprattutto la Cina), potrebbero porre in prospet-tiva seri problemi di disponibilità e di costo deglistessi[11].Passando infine ad analizzare i costi si vede comeancora i livelli desiderati siano distanti da quelli cor-rispondenti allo stato attuale delle tecnologie, siaper i veicoli a batteria che a celle a combustibile.Per i veicoli a batteria, pur in presenza di un effettodi scala che ridurrà i costi di realizzazione, non siavranno riduzioni sensibili per il costo del litio co-me materiale primario, per cui il costo unitario del-le batterie non potrà ridursi a piacere[12]: non si pre-vede possa scendere al di sotto dei 200 $/kWh,considerando che il litio incide per circa 150 $/kWh.Riprendendo l’esempio precedente, il costo dellebatterie si potrebbe attestare perciò tra i 4.500 e5.000 $. In realtà tale maggiore spesa iniziale po-trebbe essere compensata dalla migliore efficienzadei veicoli e da probabili minori costi di gestione(soprattutto se la durata delle batterie sarà suffi-cientemente estesa), per cui sull’intera vita si po-trebbero avere recuperi consistenti che potrebbe-ro anzi più che compensare tale voce.Per i veicoli a celle a combustibile sembra difficilenei prossimi anni riuscire a raggiungere gli obiettivipiù ottimistici[9], anche se le distanze non sembranoessere incolmabili, considerando che gli ultimi datisui costi, sia pure estrapolati su una produzione di500.000 unità/anno, si attestano su circa 60 $/kW.

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simili. D’altra parte ciò rispecchia anche alcune del-le indicazioni che sono state date in precedenza. Inparticolare il veicolo ibrido a celle a combustibileToyota mostra una percorrenza di quasi 800 km,pienamente allineata a quella dei veicoli conven-zionali, una buona velocità, anche se il peso risul-ta essere maggiore di quello di un veicolo conven-zionale della stessa categoria3. L’incremento di pe-so è legato al serbatoio di idrogeno e parzialmente

che stanno per entrare sul mercato ed estenderealcune considerazioni, ove necessario. I veicoli sucui si effettueranno le analisi sono:• Toyota Fuel Cell Hybrid Vehicle (FCHV);• Nissan Leaf electric car.Alcune caratteristiche dei due veicoli sono riporta-te rispettivamente nelle tabelle 2 e 3[15,16].I due veicoli non appaiono completamente equi-valenti, ma appartengono comunque a categorie

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3. Ad esempio la Toyota Avensis ha simili caratteristiche in dimensioni e potenza e un peso di circa 1.400 kg.

Tabella 2 – Caratteristiche del veicolo Toyota FCHV-adv

Veicolo Lunghezza/ampiezza/altezza, m 4,735/1,815/1,685Peso, kg 1.880

Prestazioni Autonomia, km Ciclo Japan 10-15/JC08 830/760US EPA LA4 790

Velocità max, km/h 155Cella a combustibile Tipo PEFC (stack Toyota)

Potenza , kW 90Motore Tipo Magnete permanente

Potenza max, kW 90Coppia max, Nm 260

Combustibile Tipo IdrogenoSistema di accumulo Serbatoio di H2 compr.Pressione serbatoio, MPa 70Capacità serbatoio, L 156

Batteria Tipo Ni-MH

Fonte: Toyota

Tabella 3 – Caratteristiche del veicolo Nissan Leaf

Veicolo Lunghezza/ampiezza/altezza, m 4,445/1,770/1,550Peso, kg 2700

Prestazioni Autonomia, km US LA4 > 160Velocità max, km/h > 140

Motore Tipo Motore elettrico ACPotenza max. kW 80Coppia max , Nm 280

Batteria Tipo Li-ione laminataCapacità, kWh 24Potenza, kW > 90Densità di energia, Wh/kg 140Densità di potenza, kW/kg 2,5Numero di moduli 48Tempo di ricarica Carica rapida DC 50 kW (da 0 a 80%) < 30 min

Ricarica domestica AC 200 V < 8 ore

Fonte: Nissan

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giungere molti altri moduli, con un incremento delpeso che sarebbe impossibile rendere compatibilecon un dimensionamento accettabile del veicolo.Ad esempio per la Nissan Leaf il solo raddoppio del-la percorrenza (320 km) richiederebbe l’inserimen-to di almeno 400 kg di batterie, che probabilmen-te non potrebbero essere alloggiate facilmente nelveicolo senza compromettere altre caratteristichefondamentali, come sicurezza, manovrabilità ecc.Un altro parametro importante da tenere in consi-derazione è ovviamente il costo dei veicoli, cheperò al momento può solo essere stimato pren-dendo a riferimento alcune analisi. In particolare,riferendosi a quanto riportato in letteratura[12], ilcosto addizionale per le batterie al litio di un veico-lo elettrico puro come l’autovettura Nissan Leaf èstimabile in circa 6.500 $, per le sole batterie (ilcosto del sistema di trazione elettrico non vieneconsiderato, essendo analogo a quello dei veicolia celle a combustibile e quindi caratterizzato dacosti simili). Per un veicolo come l’autovettura To-yota FCHV devono essere portati in conto il costosia delle celle che del serbatoio dell’idrogeno. Uti-lizzando i dati della stessa fonte si può assumere,nell’ipotesi conservativa, un costo pari a 76 $/kWche, con un serbatoio capace di contenere circa6,3 kg di idrogeno, comporterà un costo del si-stema di accumulo pari a circa 3.800 $. In defini-tiva il maggiore costo si potrà collocare in circa10.600 $.Risulta evidentemente molto importante fare unconfronto sull’efficienza delle due tipologie di vei-coli, prendendo a riferimento l’intera catena, dal-l’estrazione della fonte primaria fino all’utilizzo delveicolo. L‘esame viene fatto considerando comefonti primarie le fonti fossili (gas naturale e carbo-ne), che consentono di avere le efficienze più al-te, senza considerare il possibile processo di cattu-ra e sequestro della CO2, che richiede energetica-mente una certa quantità di energia e che andreb-be quindi a ridurre di qualche punto percentualel’efficienza complessiva delle catene. Tuttavia, es-sendo tale processo teoricamente applicabile ai

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anche alle batterie, capaci di erogare una potenzadi 21 kW, per permettere l’avviamento del veicolo intutte le condizioni operative previste, fornire unospunto addizionale in fase di accelerazione e recu-perare energia in fase di frenata. Tuttavia, essendogli interventi del pacco batterie destinati a periodidi tempo ridotti, l’energia richiesta è limitata. I dati relativi alle batterie della Toyota FCHV-adv in-dicano che il peso del pacco batterie corrispondea circa 45 kg (100 libbre), per cui, applicando i da-ti che caratterizzano l’energia specifica delle batte-rie a nichel-idruri metallici, pari a 46 Wh/kg, ciò cor-risponde ad un’energia immagazzinata nelle bat-terie pari a poco più di 2 kWh. Come si può vede-re, l’incidenza del pacco batterie sul peso comples-sivo è modesta. Occorre poi considerare che, in di-pendenza del programma adottato per la gestio-ne delle batterie, generalmente non tutta l’energiasarà disponibile per evitare un rapido degrado del-le prestazioni, ma solo una porzione della stessa,che si può stimare nell’ordine del 70%.Per quanto riguarda l’autovettura Nissan Leaf si puòcalcolare il peso del pacco batterie, ipotizzando chele batterie non siano comunque scaricate a menodel 10% dell’energia nominale. Il risultato dà circa190 kg per il peso delle batterie, del tutto confron-tabile con quello di 200 kg indicato dalla casa. Intermine di volumi, assumendo 200 Wh/L per le bat-terie al litio si può calcolare un volume risultantepari a circa 120 L, che può essere distribuito conuna certa facilità nell’autovettura. È evidente chele differenze più marcate si hanno sulla percorren-za, come d’altra parte già descritto in figura 4. Ri-mane valida l’ipotesi iniziale di associare al veicoloelettrico solo applicazioni che non richiedano lunghepercorrenze, come i collegamenti casa-lavoro. Nonsi hanno invece limitazioni per i veicoli a celle a com-bustibile, posto che sia disponibile una rete di stazio-ni di servizio per l’erogazione di idrogeno sufficien-temente ampia. D’altra parte occorre considerareche, per aumentare la percorrenza dei veicoli elettri-ci a batteria al livello di quella dei veicoli conven-zionali o a celle a combustibile, si dovrebbero ag-

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4. La compressione dellʼidrogeno fa sì che esso possa essere trasferito al sito di utilizzo, supposto ad una distanza mi-nore o uguale a 150-200 km, senza la necessità di dover apportare energia a tale fase.

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temente lungo per ricaricare le batterie. Non essen-do facile calcolare le fasi a monte della produzio-ne di elettricità per il mix delle fonti primarie, si èpreso come riferimento il carbone, che ha un’effi-cienza per la produzione di elettricità simile a quel-la del mix. Le differenze sono in ogni caso abba-stanza modeste.Come si può vedere dalla tabella 4 il veicolo a idro-geno ha un’efficienza dell’intera catena pari a circail 31% e si colloca in una posizione intermedia tra leefficienze dei veicoli a batteria; di fatto però la suaefficienza risulta significativamente migliore rispet-to alla produzione di energia elettrica da mix dellefonti primarie in Italia. Ambedue le tipologie di vei-coli (elettrico e a celle a combustibile) danno inol-tre vantaggi rispetto al veicolo a benzina; in partico-lare, il veicolo a celle a combustibile garantisce unaresa energetica maggiore del 50% rispetto a quel-lo convenzionale. Ciò vuol dire che, se si fa riferi-mento per assurdo al solo petrolio e nell’ipotesi dicompleta sostituzione del parco veicolare, il suo uti-lizzo per la produzione di idrogeno e/o elettricitàpotrebbe consentire che il trasporto stradale pos-sa estendere del 50%, a parità di domanda, l’in-tervallo di tempo a disposizione prima che il petro-lio sarà stato completamente consumato. Questosenza contare che altre fonti fossili e rinnovabili po-trebbero essere utilizzate in alternativa. Il risultatoè perciò una riduzione della vulnerabilità del tra-sporto stradale oltre che del miglioramento dellasua sostenibilità.

veicoli sia a celle a combustibile sia elettrici, nonviene ad essere inficiata l’analisi, nel senso di nonmodificare i risultati in termini comparativi. Il con-fronto è riportato nella tabella 4.Per il veicolo a idrogeno si è ipotizzato che la fon-te primaria sia il gas naturale (NG) estratto e tra-sportato attraverso un metanodotto di 4.000km[17], la produzione di idrogeno sia effettuata at-traverso steam reforming in impianto centralizza-to dove l’idrogeno è anche compresso (20-30 bar)per il trasporto ai siti di utilizzo attraverso idroge-nodotti4, l’idrogeno venga ulteriormente compres-so (350-700 bar) per essere accumulato in bombo-le a bordo del veicolo e quindi convertito nelle cel-le a combustibile per la trazione attraverso un mo-tore elettrico (sono stati combinati i rendimentidelle celle e del motore).Per il veicolo a batteria si considerano due casi: elet-tricità prodotta da gas naturale e come mix ener-getico italiano.Nel primo caso la catena del gas naturale è analo-ga a quella del veicolo a idrogeno per la parteestrazione e trasporto; il gas viene utilizzato neicicli combinati per produrre elettricità con alta re-sa (> 54%)[17] che viene trasportata[18] ed utilizza-ta per ricaricare le batterie (voce Distribuzione)[19]

che poi provvederanno a fornire l’energia al moto-re elettrico[20].Nel secondo si considera invece il mix energeticoitaliano[21], perché più rispondente all’efficienza del-l’elettricità che si avrebbe in un periodo sufficien-

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Tabella 4 – Confronto delle efficienze energetiche dei veicoli a celle a combustibile, batteria e a benzina

Veicolo\ Estrazione Trasporto Produzione Trasporto Distribuzione Conversione Totale NoteProcessi fonte fonte combustibile e Trazione

primaria primaria

Idrogeno / 96,15% 88,50% 75,76% 100,00% 81,83% 59,00% 31,12% Produzione H2Celle a da NG con steamcombustibile reforming

centralizzato

Batteria 96,15% 88,50% 54,35% 93,98% 90,09% 85,11% 33,32% Produzione elettricità da NG in ciclicombinati

Batteria 91,41% 92,17% 46,08% 93,98% 90,09% 85,11% 27,98% Mix italiano produzione elettricità

Benzina 97,56% 99,00% 90,91% 97,30% 98,64% 23,26% 19,60%

Fonte: elaborazione ENEA da fonti diverse

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costi dell’energia, sia sull’impatto sull’ecosistema.Ovviamente al momento si è ben lungi dal traguar-do, perché le tecnologie mancano ancora dei re-quisiti di economicità, affidabilità, durata e presta-zione indispensabili per renderle appetibili sul mer-cato alla gran massa degli utenti. Occorre quindiprocedere ancora per lungo tempo con attività di ri-cerca, sviluppo e dimostrazione e che risorse con-sistenti siano destinate al settore in oggetto in mo-do sia di non disperdere i risultati frutto degli in-vestimenti fatti in passato, sia di raggiungere nelpiù breve tempo possibile i traguardi ipotizzati. Evi-dentemente impegni di tale portata e durata pos-sono verificarsi solo in presenza di uno sforzo con-siderevole da parte di tutti i soggetti interessati ecioè costruttori di veicoli, imprese energetiche, isti-tuti di ricerca, fornitori di servizi ecc., e soprattuttoin dipendenza di una forte presa di posizione daparte dei decisori pubblici che non solo devonogarantire l’erogazione di finanziamenti cospicui e dilungo termine, ma anche predisporre una serie diazioni di supporto. Tra queste vanno sicuramentecollocate l’adozione di norme che favoriscano l’in-troduzione di tecnologie ambientalmente benigne(o penalizzino il ricorso a quelle più inquinanti), lasemplificazione delle procedure per la dimostra-zione di veicoli e combustibili innovativi, l’accele-razione dello sviluppo delle norme di sicurezza eper l’omologazione dei nuovi veicoli, la pianifica-zione di nuove figure professionali e la conseguen-te creazione di nuovi corsi di formazione a livellosia universitario che tecnico, l’informazione nei con-fronti dell’utente finale, creando nello stesso tem-po le condizioni necessarie per una scelta medita-ta e consapevole delle nuove tecnologie. In tal sen-so occorre considerare che il cambiamento potràessere reso più facile se il cittadino medio sarà ingrado di dare il giusto valore all’importanza del-l’energia per lo sviluppo della società. Ciò sarà tan-to più importante quanto più il nuovo paradigmadi produzione e gestione dell’energia si avvicineràa soluzioni distribuite a fronte di quelle attuali incui prevalgono quelle centralizzate, come ipotiz-zato nell’ambito delle smart grids. Sotto tali ipote-si l’utente finale dovrà giocare un ruolo di attoreprotagonista nella catena energetica, divenendofrequentemente il produttore (o meglio l’autopro-

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Conclusioni

Nei paragrafi precedenti si è cercato di investigare lapossibile penetrazione delle tecnologie più innova-tive per la trazione, l’idrogeno e le batterie, che im-plicano un cambiamento radicale nella progetta-zione del veicolo e richiedono investimenti di gros-sa entità per realizzare le infrastrutture necessarieper permettere il loro rifornimento.Senza poter dare per certo al momento il succes-so di una o l’altra delle due opzioni, sembra peròche inevitabilmente nel lungo periodo esse rappre-senteranno soluzioni da cui non si potrà prescinde-re, visto che l’orientamento della nostra società ve-de un sempre più marcato utilizzo dell’elettricitànegli usi finali, considerando la relativa facilità ditrasferire tale commodity dal punto di produzione aquello di utilizzo. L’idrogeno potrebbe essere consi-derato un vettore energetico duale, la cui penetra-zione non provocherebbe altresì effetti in contra-sto con questa visione. La funzione dei veicoli po-trebbe ampliarsi notevolmente rispetto a quella tra-dizionale di trasporto di persone, e integrare anchequella di sistema dinamico di accumulo di energia. Tornando infatti alla futura disponibilità di reti elet-triche di trasmissione e distribuzione intelligenti sipuò prevedere che esse potranno creare punti dicontatto tra settori che in passato poco avevano ache fare l’uno con l’altro. In particolare i settori del-la produzione di energia, del residenziale, dell’in-dustria e dei trasporti, grazie alle reti, potranno ave-re strette connessioni e comportarsi, in momentidiversi della giornata, sia come utilizzatori che comefornitori di energia. Ciò sarà possibile solo in pre-senza di alti livelli di automazione, capaci di con-sentire una facile e piena interazione tra l’infrastrut-tura di distribuzione dell’elettricità, le risorse distri-buite e i sistemi di uso finale. In particolare la presen-za di smart grids particolarmente evolute potreb-be provvedere alla gestione delle batterie dei vei-coli elettrici (ma anche presenti nei veicoli a idro-geno) come riserva di energia da utilizzare nei mo-menti di picco e dare gradi di libertà alle societàerogatrici di elettricità nella gestione ottimizzatadella rete elettrica e della domanda e offerta di ener-gia. Ciò consentirebbe ulteriori aumenti di efficien-za energetica del sistema, con effetti positivi sia sui

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duttore) e il gestore dell’energia di cui ha bisogno,e ciò renderà necessario un cambiamento radicaledel modello di sviluppo della nostra società e del-l’assetto energetico conseguente, cosa possibilesolo a fronte di una piena presa di coscienza di tut-te le implicazioni relative all’energia da parte del-la cittadinanza. La realizzazione di questo passo

diventerà quindi la pietra miliare per avviare unprocesso globale che possa permettere di daremaggiore spazio alle nuove tecnologie, capaci difornire vantaggi consistenti in efficienza energeti-ca e salvaguardia ambientale e dare una rispostaefficace alla sete di energia che caratterizza la so-cietà moderna.

Riferimenti

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[2] M. Conte, F. Di Mario, A. Iacobazzi, R. Infusino.A. Mattucci, M. Ronchetti, R. Vellone, Veicoli aidrogeno: stato attuale e prospettive di svilup-po, Energia, Ambiente e Innovazione, n. 1,2003, pag. 33-70.

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[8] Tahil, W., The Trouble with Lithium. Implicationsof Future PHEV Production for Lithium Demand,Meridian International Research, 2006.http://tyler.blogware.com/lithium_shortage.pdf

[9] S. Satyapal, Overview of Hydrogen and Fuel CellActivities, Hydrogen and Fuel Cell Technical Ad-visory Committee Meeting, November 4-5, 2009.http://www.hydrogen.energy.gov/htac_meeting_nov09.html

[10] Johnson Matthey. Platinum today reports,http://www.platinum.matthey.com/

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[12] M.A. Kromer and J.B. Heywood, Electric Power-trains: Opportunities and Challenges in the U.S.Light-Duty Vehicle Fleet. LFEE 2007-03 RP, SloanAutomotive Laboratory Laboratory for Energyand the Environment Massachusetts Instituteof Technology, May 2007. http://web.mit.edu/sloan-autolab/research/beforeh2/files/kromer_electric_powertrains.pdf

[13] U.S. Department of Energy (DoE), Fuel Cell Te-chnologies Program, Multi-Year Research, De-velopment and Demonstration Plan, updatedApril 2009. http://www1.eere.energy.gov/hydrogenandfuelcells/mypp/index.html

[14] R. Farmer, DoE Fuel Cell Technologies: FY 2011Budget Request Briefing, 12 febbraio 2010;http://www.hydrogen.energy.gov/pdfs/2011_ budget_request_briefing.pdf

[15] Toyota Company – Fuel Cell technology.http://www2.toyota.co.jp/en/tech/environment/fchv/

[16] Nissan Leaf electric car: In person, in depth -and U.S. bound, 2010. http://www.autoblog.com/2009/08/01/2010-nissan-leaf-electric-car-in-person-in-depth-and-u-s-b/

[17] EUCAR, CONCAWE and JRC, Well-to-Wheelsanalysis of future automotive fuels and power-trains in the European context. Version 2c,March 2007, 03/2007. http://ies.jrc.ec.europa.eu/WTW

[18] IEA Statistics o Electricity/Heat Data for Italy.http://www.iea.org/stats/electricitydata.asp?COUNTRY_CODE=IT

[19] Electropaedia – Battery and Energy Technolo-gies. http://www.mpoweruk.com/chargers.htm

[20] T. Yokoyama, Progress and Challenges for To-yota’s Fuel Cell Vehicle Development, 2009 ZEVSymposium, Sacramento, California, 21 settem-bre, 2009.

[21] http://www.autorita.energia.it/allegati/docs/dc/08/080220_02.pdf

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Potenzialitàautodepurative di unazona umida costiera e ipotesi di trattamentoterziario dei reflui civili

Loris Pietrelli*Giorgia Del Piano**Geneve Farabegoli**Corrado Battisti***

* ENEA, Unità Tecnica Tecnologie Ambientali** Università di Roma La Sapienza, Dip. Idraulica,

Trasporti e Strade*** Provincia di Roma, Uff. Conservazione Natura

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riflettore su studi& ricerche

primo piano

La palude di Torre Flavia puòessere considerata a tutti glieffetti un sistema ditrattamento terziario dei refluiprovenienti da un vicinoimpianto di trattamento deireflui civili. Il monitoraggiocondotto ed il modellomatematico applicato hannomesso in luce la potenzialitàdella palude. I vantaggisarebbero molteplici in terminidi salvaguardia della risorsaidrica e di mantenimento dellabiodiversità in un’area umidaresiduale

Coastal Wetland as TertiaryTreatment of Wastewater

Applying a field monitoring of parameters such as COD,BOD5 and NH3 and a plug & flow mathematical model,the water balance and the intrinsic nutrient abatementcapacity was evaluated at Torre Flavia wetland. Thestrong water stress, mainly due to the large urbanization,can be avoided using the wetland as tertiary treatment ofthe wastewater treated at the Ladispoli treatment plantthat actually discharge into the sea

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Potenzialità autodepurative di una zona umida costiera e ipotesi di trattamento terziario dei reflui civili

Il problema della carenza della risorsa idrica carat-terizza molte Regioni italiane e il fenomeno sem-bra aggravarsi per le conseguenze dei mutamen-ti climatici. Parallelamente alla carenza idrica per-mangono gravi problemi di eutrofizzazione e d’in-quinamento delle acque superficiali e del mare,con i negativi riflessi d’ordine igienico, ambienta-le ed economico. In questa ottica, la rinnovatasensibilità ai problemi delle risorse idriche sta por-tando allo sviluppo di strategie di risparmio idriconei settori civile, industriale ed agricolo, così co-me di azioni di depurazione e riuso delle acquereflue migliorate, capaci di permettere un recupe-ro di risorse altrimenti perse e fonte di nuova eu-trofizzazione.Le problematiche aperte dall’applicazione dei pianidi tutela, del deflusso minimo vitale e quelli relativialla necessità di tutelare le residue zone umide perla protezione della biodiversità e del paesaggio, sol-lecitano inoltre ad un nuovo approccio integrato disalvaguardia quantitativa e qualitativa delle acque edel territorio.La depurazione delle acque con metodi naturali,come la fitodepurazione ed in particolare la tecnicaa “superficie libera” (FWS), risulta capace di riunirein sé le più ampie possibilità del miglioramento ricer-cato: ricostruzione di zone umide seminaturali dielevata ricchezza biologica e paesaggistica, recu-pero, miglioramento e possibilità di riuso irriguodelle acque reflue depurate, riduzione dell’eutrofiae dell’inquinamento, economica sostituzione o in-tegrazione della depurazione tradizionale per il rag-giungimento dei più elevati standard oggi neces-sari per lo scarico delle acque reflue[1]. In particola-re le attività di restauro e costruzione delle aree umi-de sono enormemente aumentate negli ultimi an-ni, parallelamente alla presa di coscienza che la tec-nologia di depurazione e la prevenzione dell’inqui-namento, da sole, non garantiscono la qualità deicorpi idrici richiesta da sempre crescenti esigenzedi qualità dell’ambiente.Proteggere o restaurare aree umide esistenti signi-fica innanzitutto non prosciugarle, ripristinando le

condizioni per la loro sopravvivenza nel rispettodelle caratteristiche naturali dell’ecosistema. Ciògarantisce la salvaguardia della biodiversità edell’habitat naturale e contribuisce a prevenirele inondazioni, a ricaricare le falde e a depura-re le acque. Significa, inoltre, recuperare areetopograficamente depresse a scarsa resa agrico-la e quindi, in termini economici, aree moltomarginali.I vantaggi delle aree umide ricostruite possonoessere così elencati:• integrano la tecnologia di depurazione con

trattamenti di finissaggio del refluo e con ca-pacità di stoccaggio delle acque di sfioro del-le reti fognarie durante gli eventi di precipita-zione;

• sono particolarmente adatte a trattare l’in-quinamento residuo e diffuso caratterizzatoda carichi variabili in concentrazione e porta-ta e da concentrazioni molto basse degli in-quinanti;

• sono particolarmente adatte a ricostituire lacapacità di auto-depurazione dei corpi idricisuperficiali;

• oltre al vantaggio della rimozione degli inqui-nanti, possono offrire anche molti altri van-taggi quali la ricostituzione dell’habitat natu-rale, la conservazione della biodiversità, il con-trollo delle inondazioni, la ricarica delle falde el’uso ricreativo o didattico dell’area.

Lo spettro delle tipologie di aree umide è mol-to ampio e la tecnologia impiegata per la lorocostruzione, gestione e mantenimento decrescepassando dalle aree umide costruite a quelle ri-costruite ed a quelle naturali, mentre il grado dinaturalità aumenta progressivamente.

La zona umida costiera di “Torre Flavia”

La Palude di Torre Flavia è situata nel litorale tirre-nico a nord di Roma, tra Ladispoli e Campo di Ma-re (figura 1).

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turale “Palude di Torre Flavia” sull’area di 40 ha cheancora oggi la caratterizza[2].Nel tempo si è reso necessario predisporre un ap-porto idrico artificiale, attraverso una Convenzio-ne con il “Consorzio di Bonifica Tevere e Agro Ro-mano”, per una fornitura di 100.000 m3/annui diacqua per uso irriguo. La Palude viene allagata asettembre e in inverno il livello idrico viene mante-nuto costante dalle precipitazioni; infine in esta-te la palude viene lasciata prosciugare con pesan-ti conseguenze su flora e fauna presenti nella zo-na umida e con problemi di salinizzazione dellafalda sottostante la palude, attribuibile alla risalitadel cuneo salino.Il tipo di gestione della risorsa idrica adottato pro-voca, inoltre, un prolungato ristagno delle acquesoprattutto nei mesi estivi, creando così le condi-zioni ottimali per la contaminazione batterica: at-tualmente la zona umida presenta una contamina-zione periodica da parte del Clostridium Botuli-num, una tossina che si sviluppa a temperatureelevate ed in condizioni di anossia, che causa lamoria di numerosi uccelli.All’interno dell’area non risultano presenti scari-chi civili ed eventuali inquinanti possono essereconferiti dal Fosso della Piscina di Torre Flavia (latosud), dai canali di raccolta delle acque piovane edei campi, che possono contenere composti chimi-ci provenienti dal traffico veicolare e dal dilava-mento delle acque da ambienti agricoli e urbani. Non è affatto da escludere la presenza di altre fon-ti di inquinamento anche più pericolose, magaripiù localizzate o irregolari nel tempo[2].Dell’estensione totale attualmente la zona palu-dosa occupa circa 15 ha. ed è caratterizzata dallapresenza imponente del fragmiteto. In particolare la caratterizzazione ha messo in lucela presenza di tre aree schematizzabili in:• fragmiteto: occupa circa il 62% dell’area, ha

un battente idraulico compreso tra 40-60 cm euna densità delle specie superiore a 200 fu-sti/m2;

• zone profonde: sono le zone centrali della pa-lude in cui la vegetazione si dirada e la profon-dità dell’acqua aumenta. Esse occupano circail 24% dell’area, hanno una densità di Phrag-mites australis inferiore a 200 fusti/m2, ma sono

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L’area, estesa su circa 40 ha, si sviluppa parallela-mente alla linea di costa per una lunghezza di cir-ca 1.500 m., una profondità massima verso l’en-troterra di circa 500 m ed un’altitudine compresatra 0 e 3 m slm.In particolare Torre Flavia rappresenta uno degliultimi lembi rimasti delle zone umide che, insie-me alle aree forestali ed arbustive, caratterizza-vano la maremma laziale fino ai primi decennidel secolo scorso e che hanno subito intense tra-sformazioni da parte dell’uomo. La regimenta-zione dei fossi Zambra e Vaccina che alimentava-no la Palude, in particolare, ha causato un enor-me deficit idrico della Palude. La conseguentelottizzazione di alcuni settori a nord dell’attua-le area umida hanno ulteriormente contribuitoa modificare il locale mosaico paesistico.Nel 1995 la palude è stata inserita tra le Oasi di Pro-tezione della Fauna nel Piano Faunistico VenatorioProvinciale e successivamente, con il D. Reg. 613del 14/3/1997, è stato istituito il Monumento na-

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Figura 1Localizzazione e zonizzazione del“Monumento naturale Palude di TorreFlavia”Fonte: Google Earth

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dalla presenza di specie vegetali tipiche delle zoneumide, solitamente radicate ad un substrato di cre-scita o flottanti sulla superficie dell’acqua.Le piante, e soprattutto le comunità microbiche chesi sviluppano all’interno del sistema, sono responsa-bili del sistema depurativo, caratterizzato da un’ele-vata tolleranza alle oscillazioni di carico organicoed idraulico. La vegetazione praticamente fornisce il supporto ele condizioni ottimali per lo sviluppo delle comuni-tà batterica responsabile dei processi di trasforma-zione delle sostanze organiche, in quanto rende di-sponibile, trasportandole attraverso il fusto, quan-tità di ossigeno sufficienti a sostenere il metaboli-smo dei batteri. La Phragmites australis in particola-re è la specie che ha una capacità di trasportare os-sigeno alle radici superiori di altre piante; alcuni au-tori, infatti, segnalano un rilascio di ossigeno cheoscilla tra i 5 e i 45 g/m2d[3].Le funzioni più importanti che le macrofite svol-gono nella fitodepurazione sono proprio legate

presenti specie natanti. La profondità di questezone è di circa 80-100 cm;

• canali: occupano all’incirca il 14% dell’area esono a superficie libera, con una profondità varia-bile dai 100 ai 140 cm.

La possibilità di utilizzare la palude di Torre Flaviacome trattamento terziario nasce proprio dalla pre-senza abbondante della Phragmites australis, unaspecie appartenente alla famiglia delle macrofiteradicate emergenti, comunemente utilizzata negliimpianti di fitodepurazione.

La fitodepurazione

La fitodepurazione è un sistema biologico di trat-tamento delle acque reflue basato sulla ricostruzio-ne di un ecosistema che, grazie alla contestualepresenza di processi fisici, chimici e biologici è ingrado di rimuovere gli inquinanti e restituire all’am-biente un’acqua depurata. Gli impianti che utiliz-zano tale processo depurativo sono caratterizzati

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Figura 2Alcune immagini della Palude di Torre Flavia ai giorni nostri e nel 1940Fonte: ENEA

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fettuate delle campagne di analisi su dei campioniprelevati in vari punti georeferenziati della palude(figura 3).Le analisi sono state effettuate nell’inverno 2009/10,quindi in assenza di concimazioni nei campi limi-trofi. La stagione è risultata particolarmente piovo-sa (+45,5%, comparando i periodi gennaio-mar-zo 2009-2010) e ciò ha inoltre contribuito a diluirei nutrienti. Tuttavia, malgrado questi limiti, tra in-gresso e uscita della palude si è sempre verificatoun abbattimento dei valori dei parametri considera-ti, confermando la capacità autodepurativa intrinse-ca all’ecosistema “palude” (figura 4). La denitrificazione è risultata limitata in quanto sen-sibile alla bassa temperatura, che inibisce la cresci-ta batterica, ed ai tempi di residenza idraulica: que-sto processo, infatti, richiede tempi più lunghi ri-spetto all’abbattimento del BOD5, la cui rimozionenella palude è risultata invece molto elevata.I risultati ottenuti avvalorano l’ipotesi dell’utilizzo diTorre Flavia come sistema di trattamento di fitode-purazione. Successivamente si è proceduto alla mo-dellizzazione impiantistica e matematica della pa-lude, intesa come sistema di trattamento terziariodell’effluente del depuratore comunale di Ladispo-li, distante circa 500 m dalla zona umida, che at-tualmente scarica a circa 450 m dalla costa tramiteuna condotta sottomarina.

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agli effetti fisici di trasferimento dell’ossigeno; inol-tre, sviluppando un apparato radicale fitto e in-trecciato, stabilizzano la superficie del substratogarantendo condizioni ottimali per i fenomeni difiltrazione fisica.Le parti emergenti delle piante assicurano invecela protezione dal vento e mantengono la zona inombra: questo fa diminuire la temperatura dell’ac-qua e la crescita delle alghe. La presenza di vege-tazione aumenta la biodiversità, fornendo il giustohabitat per una vasta gamma di macro e microfau-na ed inoltre non è da sottovalutare l’aspetto pae-saggistico.I processi di rimozione degli inquinanti nella fitode-purazione sono per lo più attribuibili a fenomeni diadsorbimento, degradazione biotica/abiotica, filtra-zione ecc.[4,5]. Malgrado le condizioni meteorologi-che ottimali, purtroppo in Italia gli impianti di fitode-purazione sono ancora poco diffusi, nonostante lanormativa di riferimento (DL 152/06) crei uno spe-cifico legame con questa tipologia impiantistica[6].

La capacità autodepurativadella zona umida di Torre Flavia

Per valutare le capacità autodepurative della zonaumida e per confermare la possibilità di associar-la a un modello di fitodepurazione, sono state ef-

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Figura 3La palude ed il posizionamento dei punti di campionamento Fonte: Google Earth

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gettazione degli impianti è importante mas-simizzare il contatto tra l’acqua da depuraree i vari componenti dell’ecosistema come bio-film, piante, inerti ecc. La rimozione dell’azo-to e i processi di nitrificazione subiscono unariduzione sostanziale quando le temperaturescendono al disotto dei 10 °C;

Il modello di fitodepurazione a flusso libero(FWS: free water surface) utilizzato per la mo-dellizzazione, ricrea le caratteristiche idrauliche,vegetazionali, ambientali ed i processi biologicipropri delle zone umide naturali.In questi sistemi la superficie dell’acqua è espo-sta all’atmosfera ed il suolo, costantemente som-merso, costituisce il supporto per le radici dellepiante (figura 5). La loro costruzione prevede la realizzazione dibacini idrici e/o canalizzazioni (profondità<1 m)aventi il più lungo percorso possibile in relazio-ne alla geometria dell’area a disposizione perfavorire processi utili alla mineralizzazione deinutrienti.In un sistema FWS in genere vicino alla superficiedell’acqua è presente una zona aerobica che ten-de a diventare anaerobica man mano che ci siavvicina al fondo. Il livello di aerazione raggiun-to dipende da diversi fattori, alcuni controllabili(grado di miscelazione, stratificazione della co-lonna d’acqua, canalizzazioni, turbolenza ecc.)altri non controllabili, quali ad esempio la tempe-ratura, la disponibilità e penetrazione della lu-ce, la velocità del vento e la fauna.In realtà, trattandosi di una zona umida natura-le, la schematizzazione in un modello è un’ipo-tesi, seppur suggestiva, molto approssimativa,anche se il modello di fitodepurazione scelto èquello più conservativo.I parametri progettuali necessari per il dimensio-namento di questo tipo di impianti sono:• carico organico in entrata (cin in mg/l),

espresso come BOD5;• portata idraulica media giornaliera in en-

trata (Q, in m3/d): sono i fattori idraulici, in-sieme alle percentuali di rimozione che si vuo-le ottenere, a determinare la geometria e laprofondità dell’impianto di fitodepurazione.Questi fattori evidenziano l’importanza di co-noscere esattamente le caratteristiche del re-fluo in entrata e i relativi carichi di inquinan-ti, per ottenere un valore, anche approssima-to, dei tempi minimi di ritenzione idraulica equindi delle dimensioni dell’impianto;

• tempo di residenza idraulica e rimozionedegli inquinanti (HRT, in giorni): nella pro-

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Figura 4Abbattimenti percentuali degli inquinanti principalinella Palude di Torre FlaviaFonte: ENEA

Figura 5Schema del modello FWS e specie vegetali piùutilizzate Fonte: APAT[5]

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Dove KT = KR · θR(TW-TR) rappresenta la costante ci-

netica di rimozione alla temperatura dell’acquanel bacino, KR è la costante cinetica di rimozionealla temperatura di riferimento (20 °C) e θR è ilcoefficiente di temperatura per la costante cineti-ca. I coefficienti utilizzati sono in tabella 1.Dalle caratteristiche idrauliche evidenziate per lazona umida in esame è possibile stimare il volumeeffettivo del bacino (Vf) mediante l’equazione:Vf = A · h · n = 10.500 m3

e quindi una portata massimo di sfioro (Q) parial rapporto tra il volume e il tempo di svuota-mento della palude t (che assumeremo poi cometempo di residenza idraulico HRT):Q = Vf /t = 15.000 m3/dTrattandosi di un modello a plug-flow questa sa-rà la massima portata ammissibile in ingresso dal-la palude. Essa tra l’altro risulta compatibile conla portata media dell’effluente del depuratore diLadispoli, che ha un valore medio pari a 15.000m3/d, così come emerge dal grafico in figura 6. L’andamento delle portate del depuratore mettein evidenza la tipologia del sistema fognario (ti-po misto) ed il fatto che Ladispoli ormai si caratte-rizza come una zona residenziale anziché turisti-ca (portate minime estive anziché i picchi di por-tata caratteristici di località turistiche).Lo schema generale ipotizzato, con le due va-rianti (riutilizzo irriguo, scarico a mare), è ripor-tato in figura 7.Durante l’elaborazione del modello, l’abbattimen-to dell’ammoniaca è risultato il parametro limitan-te della verifica, in quanto, come detto preceden-temente, è molto sensibile alla temperatura e ne-cessita di tempi di residenza idraulici maggiori ri-

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• profondità delle vasche (h, in metri): la lette-ratura suggerisce come profondità delle vascheun’altezza compresa tra: 0,15-1,0 m. La profon-dità dell’acqua è uno dei principali fattori checondizionano la crescita delle piante in un’areaumida;

• rapporto tra lunghezza e larghezza delle va-sche: la scelta del rapporto tra lunghezza e lar-ghezza è molto importante in fase progettualeper il suo effetto sulla distribuzione del flusso esui cortocircuiti idraulici. Un buon rendimentoidraulico ottenuto tramite una progettazione ot-timale della forma e delle strutture idrauliche fa-vorisce l’efficienza di rimozione delle sostanzeinquinanti;

• area (A, in m2): correlato alla portata ed al caricodi inquinanti;

• porosità (n = 0,7): in un’area umida la vegetazio-ne e i detriti occupano una porzione della colon-na d’acqua, diminuendo così lo spazio disponi-bile per l’acqua stessa. La “porosità n” è definitaproprio come la frazione di volume dell’area umi-da disponibile per il deflusso dell’acqua. La po-rosità di un’area umida risulta difficile da misu-rare accuratamente in campo, in quanto varialungo il piano orizzontale per la composizione ela distribuzione delle specie vegetali, e lungo ladirezione verticale con valori inferiori vicino alfondo dove si accumulano i detriti vegetali. Gene-ralmente per il dimensionamento si assumonovalori medi presi dalla letteratura.

Torre Flavia come impianto di trattamento terziario: verifiche e considerazioni

La verifica dell’abbattimento di BOD5 e dell’azotoammoniacale è stata effettuata utilizzando il mo-dello di Reed et al.[7] associato al sistema FWS. Sul-la base delle esperienze di aree umide ricostruite,esso rappresenta ancora il modello che si è rivelatomigliore per la progettazione di impianti di fitodepu-razione per il trattamento delle acque di scarico. Sitratta di un modello monoparametrico, con unaschematizzazione idraulica plug-flow che utilizza lacinetica del primo ordine secondo l’equazione:cin = cout · e

(KT HRT)

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Tabella 1

Parametro Valore Unità di misuraArea, A 150.000 m2

Profondità, h 1 mPorosità, n 0,7 -

Coeff. cinetici Rimozione Rimozione utilizzati BOD5 NH4TR (°C) 20 20KR (d-1) 0,678 0,2187θR 1,06 1,048

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sente il riutilizzo irriguo dell’acqua, mentre le bassetemperature invernali riducono la denitrificazione. Incondizioni estive, considerando l’elevato abbatti-mento del BOD5, è stata valutata solo l’efficienzadella denitrificazione; in particolare si sono assun-te come concentrazioni di ingresso e uscita rispetti-vamente quelle del decreto 152/06, cioè la concen-trazione dell’effluente del depuratore e quella delDM 93/06, e cioè la concentrazione necessaria per

spetto al caso del BOD5. È stato pertanto necessa-rio ipotizzare due scenari, uno invernale con le con-dizioni rilevate sperimentalmente durante la sta-gione di monitoraggio e con lo scarico del tratta-mento terziario in mare, ed uno estivo, in cui si ècalcolato il tempo di residenza idraulico richiestoper la depurazione dell’effluente per scopi irrigui.Per quanto riguarda le condizioni invernali (figura 8)la rimozione del BOD5 è molto elevata e ciò con-

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Figura 6Portate giornaliere medie, minime e massime. Anno 2009 Fonte: Flavia Acque SpA

Figura 7Schema con trattamento terziario e ipotesi di riutilizzo Fonte: ENEA

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diante un sistema “a diffusione”, per non crearepercorsi preferenziali, dell’acqua trattata dal depu-ratore direttamente nella palude. Una stazione di sollevamento ed una chiusa per laregolazione dei deflussi e dei passaggi interni allapalude per interventi di verifica e manutenzione,completerebbero l’intervento. L’area, attualmente abbastanza compromessa, nericeverebbe numerosi benefici, e ciò andrebbe a

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il riutilizzo irriguo. In questo caso, quindi, si è proce-duto a calcolare il tempo di residenza idraulico ne-cessario al processo, schematizzato in figura 9. In definitiva, verificata la capacità auto depurativadella palude, quello che si verrebbe a creare è unsistema integrato di trattamento-finissaggio-riuti-lizzo dei reflui civili conferiti all’impianto di Ladispo-li. In particolare lo schema, riportato in figura 10,prevede il convogliamento e la distribuzione me-

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Figura 8Rappresentazione del modello in condizioni invernali Fonte: ENEA

Figura 9Rappresentazione del modello in condizioni estive Fonte: ENEA

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che per la contaminazione da parte del botulino.Per quanto riguarda l’effluente del depuratore, es-so subirebbe un affinamento prima dello scarico inmare in inverno con la riduzione dell’impatto am-bientale che attualmente ha sulle acque costiere,in una località che tra l’altro è una delle zone bal-neari più frequentate del litorale romano.Infine ciò comporterebbe grandi vantaggi dal pun-to di vista ambientale, consentendo la sopravviven-za di una delle ultime zone umide costiere rimaste,ed offrirebbe un esempio riproducibile di integra-zione tra depurazione e sistema naturale, nel com-plesso e delicato ciclo delle acque.

determinare un duplice risparmio idrico: la risor-sa del Consorzio che attualmente alimenta la Pa-lude e le acque reflue provenienti dal depurato-re, utilizzabili (in periodo primaverile) in agricoltu-ra. Il livello idrico, attualmente molto variabile perle motivazioni descritte precedentemente, verreb-be mantenuto costante nel corso dell’anno, cre-ando così un ecosistema stabile ed evitando i pro-blemi di salinizzazione della falda già descritti. Inol-tre mantenendo l’alimentazione costante, l’acqua,non più stagnante, subirebbe un’ossigenazionemaggiore e raggiungerebbe temperature menoelevate. Questa potrebbe essere una soluzione an-

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Figura 10Ipotesi di impianto trattamento terziarioFonte: elaborazione ENEA su immagine Google Earth

Bibliografia

[1] Mannini P., Anconelli S., Guidoboni G., Con-fronto tra le capacità fitodepurative di diversisistemi acquatici a flusso superficiale, Atti delconvegno La fitodepurazione: applicazioni eprospettive. Volterra 2003, pp. 217-221.

[2] Battisti C. (a cura di). La palude di Torre Flavia –Biodiversità, gestione, conservazione di un'areaumida del litorale tirrenico. 2006. Provincia diRoma, Gangemi Editore, 496 pp.

[3] Reed S.C., Brown D. S., Constructed wetlanddesign – the first generation, Wat. Env. Res. 64,1992, 776-781.

[4] Pietrelli L., Impianti di fitodepurazione: la ri-sposta verde. Costruire, 246, 2003, 84-89.

[5] APAT, Linee guida per la progettazione e ge-stione di zone umide artificiali per la depura-zione di reflui civili. 2005.

[6] Masi F., Berdonicchio G., Conte G., Garuti G.,Innocenti A., Franco D., Pietrelli L., Pineschi G.,Pucci B., Romagnoli E., Constructed wetlandsfor wastewater treatment in Italy: the state ofthe art and obtained results, Proc. of the IWA7th Int. Conf. on Wetland Systems for WaterPollution Control, Orlando, 2000, 979-985.

[7] Reed S.C., Middlebrooks E.J., Crites R.W., 1998.Natural system for waste management and tre-atment. Mc Graw-Hill Book Company, 6: 164-202.

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dal Mondo

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Energia da rifiutiorganici: un

mercato ad altopotenziale

Il mercato degli impianti adenergia da rifiuti organici inEuropa, riferisce uno studio diFrost & Sullivan, è oggi il piùgrande del mondo; il mercatotedesco da solo rappresenta il76,8% di quello europeo. Lestesse politiche sono in corsodi sviluppo in altri paesi euro-pei, fra cui l’Italia. In Asia, nel Nord e nel SudAmerica il mercato degli im-pianti ad energia da rifiuti or-ganici continua invece ad es-sere sottosviluppato per tre ra-gioni:

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• i governi di queste regioninon hanno ancora introdot-to politiche a supporto delrecupero di energia da rifiu-ti e del biogas;

• la quantità, disponibilità,qualità e la gestione dei ma-teriali di base non sono an-cora appropriati all’investi-mento o per una crescita alungo termine del mercatodegli impianti ad energia darifiuti organici;

• l’industria del biogas, in lar-ga misura tedesca ed euro-pea, non sta mettendo a di-sposizione le risorse necessa-rie allo sviluppo di questimercati.

La situazione sta però cam-biando. Negli Stati Uniti, adesempio, il governo federaleha lanciato un programma(AgSTAR) che incoraggia l’usodelle tecnologie per il recupe-ro del metano e ne consentela riduzione delle emissioni.In India il governo del Punjabsta promuovendo la costru-zione di questi impianti perla fornitura di elettricità alloStato. Il potenziale del mercato èenorme e il ritmo di crescita sa-rà veloce soprattutto in paesiquali Italia, Repubblica Ceca,Brasile, Stati Uniti, Canada, In-dia e Australia. Le imprese cheoperano in questo settore – se-condo Frost & Sullivan – po-trebbero perdere preziose op-portunità non investendo inquesti mercati e devono quin-di cominciare a pianificare unastrategia di espansione inter-nazionale.

Fotovoltaico aconcentrazionepiù economico.Studio californiano

Abbattere i costi del solare fo-tovoltaico è uno dei principaliobiettivi della ricerca sull'ener-gia solare. Per il gruppo di Ja-son Karp della University of Ca-lifornia di San Diego, alla rea-lizzazione di impianti fotovol-taici “economici” potrebbecontribuire in modo decisivouna concezione di design chesappia sfruttare adeguatamen-te la fisica ottica. I ricercatori ca-liforniani hanno infatti ideatoun concentratore che utilizzaun minore numero di celle fo-tovoltaiche, ma con performan-ce invariate o addirittura incre-mentate grazie a una gestionedella luce solare ottimizzata.Il team di Karp ha utilizzatomoduli di lenti individuali col-legati a singole celle, a loro vol-ta allineate e connesse elettri-camente, impiegando miglia-ia di piccole lenti impresse suun foglio e accoppiate a una“guida d'ombra” piatta. Paral-lelamente, gli studiosi stannocercando di sviluppare un pro-cesso di produzione a basso co-sto utilizzando le attuali tecni-che di lavorazione roll-to-rollper la fabbricazione di televi-sori di grandi dimensioni.Il sistema ha come obiettivoprincipale quello di abbatterei costi del fotovoltaico a con-centrazione, offrendo ulterio-ri potenziali vantaggi rispettoai concentratori solari a eleva-ta efficienza, già presenti nellatecnologia fotovoltaica a livel-lo mondiale, che incorporanol’ottica per focalizzare il solecentinaia di volte e fornire ildoppio della potenza dei mo-duli fotovoltaici piani.Fonte: Università di California aSan Diego

dal Mondo

Energia da rifiuti organici: un mercato

ad alto potenziale

Fotovoltaico aconcentrazione più

economico Studio californiano

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L’ENEA alla Conferenza

internazionale sulle fonti

rinnovabili inGiappone

Dal 27 giugno al 2 luglio si èsvolta a Yokohama, in Giappo-ne, la Conferenza internazio-nale Renewable Energy 2010,alla sua terza edizione, incen-trata sulle attività di ricerca esviluppo nel campo delle ener-gie rinnovabili e del risparmioenergetico. L’evento ha registrato più di1.300 esperti da 65 paesi, conpresentazioni orientate per lamassima parte sull’energia so-

lare (19%), l’energia eolica(16%), la biomassa e i biocar-buranti (14,1%).Tali argomenti sono stati af-frontati riunendo rappresen-tanti di tutti i settori coinvol-ti nella supply chain energeti-ca, dalla distribuzione al con-sumo.Lo slot di aree presentate ediscusse nel corso del conve-gno era composto da 12 te-matiche: politica, fotovoltai-co, solare termico, architettu-ra a basso consumo energe-tico, eolico, biomasse, idroge-no e celle a combustibile,energia oceanica e geotermi-ca, sistemi di alimentazioneavanzati, utilizzo del caloreed efficienza energetica, pic-cole centrali idroelettriche edenergia non convenzionale.Il risultato più importante delconvegno è stato il convinci-mento generale che le tecno-logie avanzate e innovativesono necessarie per accelera-re la penetrazione delle ener-gie rinnovabili, riducendoneulteriormente i costi e miglio-randone l'efficienza e l'affi-dabilità.Neeta Sharma, dell’Unità Tec-nica Tecnologie Trisaia, ha pre-sieduto in qualità di chair lasessione sulla tematica “Bio-masse e Biocarburanti” ed hainoltre presentato il contributoEnergy Crops: Potential Futu-re Prospects and Challengesfor Cost Effective and Sustai-nable Production, realizzatoinsieme a Vito Pignatelli e Ro-berto Balducchi. Alla fine della conferenza laDr.ssa Sharma ha ricevuto unattestato nel quale sono statiriportati particolari apprezza-menti per la competenza di-mostrata nel presiedere la ses-sione, per il brillante risultatoottenuto nello svolgimentodell’incarico di chair della ses-sione e per il suo contributo al-la presentazione orale, che è

stata considerata una delle mi-gliori. Il successo della manifestazio-ne ha indotto gli organizzato-ri a convocare la 4. edizione diRenewable Energy a Shangainel 2012. [email protected]

Nuove idee perl'adeguamento

sismico degli edifici storici

Le strutture storiche sono spes-so inadatte a sopportare ter-remoti, anche di bassa intensi-tà, e il loro adeguamento si-smico risulta impossibile a me-no di non ricorrere a interven-ti molto pesanti, che non ri-spetterebbero i requisiti di noninvasività e di reversibilità, con-ditio sine qua non per poterintervenire su opere monu-mentali senza stravolgerne de-finitivamente sia la concezio-ne strutturale sia la memoriastorica.Tale obiettivo è perseguibilesoltanto con tecniche innova-tive, quali l’isolamento sismi-co e la dissipazione di ener-gia, che si basano rispettiva-mente sulla minimizzazionedell’energia all’ingresso e sulmiglioramento della capacitàdi assorbimento dell’energiada parte della struttura, anzi-ché affidarsi alla resistenzadella stessa.Nel corso della giornata distudio dell’11 maggio scorsoa Roma, è stata presentatauna nuova soluzione propo-sta da ENEA e Politecnico diTorino per l’isolamento sismi-co degli edifici esistenti, ba-sata sulla realizzazione di unapiattaforma isolata sotto alpiano di posa delle fondazio-ni, in modo da non richiede-re alcun intervento sull’edifi-cio sovrastante.

dall’ENEA

dall’ENEA

L’ENEA alla Conferenzainternazionale sulle

fonti rinnovabili in Giappone

Nuove idee per l’adeguamento sismico

degli edifici storici

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Eventi

ENERGIA, AMBIENTE E INNOVAZIONE 4/201096

Fratello Sole Madre Terra:

energie rinnovabili, ambiente ed

ecosistema Si rinnova l’appuntamentocon Fratello Sole Madre Ter-ra, la manifestazione dedica-ta all’ambiente e alla sua sal-vaguardia, che da sei annirende la città di Assisi baluar-do internazionale della cultu-ra ecologica. Dal 2005 i fran-cescani conventuali sono im-pegnati ad approfondire le te-matiche ambientali con que-st’iniziativa dal respiro inter-nazionale, capace di unire lacomunità scientifica e sensibi-lizzare il grande pubblico.

cro

nache

Quest’anno il convegno, strut-turato nelle tre sessioni scien-tifica, religiosa e istituzionale,è dedicato al tema delle ener-gie rinnovabili. Sarà approfon-dito il loro impatto sull’ecosi-stema globale e saranno af-frontate le implicazioni su so-cietà, economia e mercato dellavoro. I poli del dibattito, che avràluogo il 16 settembre pressoil Salone Papale del SacroConvento di Assisi, sarannopresieduti, per il fronte scien-tifico, dal Prof. Franco Cota-na, Direttore del Centro di Ri-cerca sulle Biomasse e dall’Ing.Mauro Vignolini, responsabiledell’Unità Tecnica Fonti Rin-novabili dell’ENEA; per la ses-sione religiosa da Mons. Gian-carlo Maria Bregantini CSS,Arcivescovo di Campobasso-Boiano e Presidente Commis-sione Episcopale per i Proble-mi Sociali e il Lavoro, la Giu-stizia e la Pace; per la sessio-ne istituzionale dal Ministrodell'Ambiente Stefania Presti-giacomo, dal Sottosegretariodel Ministero dello SviluppoEconomico con delega al-l’energia Stefano Saglia, dalMinistro del Lavoro MaurizioSacconi e dall’Amministrato-re Delegato delle Ferrovie del-lo Stato Mauro Moretti.Fratello Sole Madre Terra èanche una produzione tele-visiva, che andrà in onda suRaiUno sabato 18 settembre2010. [email protected]

Terzo convegnodella Rete Italianasulla metodologia

di analisi LCA Il terzo convegno scientificodella Rete Italiana LCA (Life Cy-cle Assessment), dal titolo La

metodologia LCA: approccioproattivo per le tecnologie am-bientali, si è tenuto il 22 aprilepresso la Fiera di Padova all’in-terno dell’evento SEP 2010.SEP (Systems for Environmen-tal Projects) è il Salone trienna-le delle tecnologie ambientaliin cui i temi dell’ambiente so-no affrontati con approccio in-ternazionale.Articolato in due sessioni,“Fonti rinnovabili, risparmioenergetico, mobilità sosteni-bile” e “Riciclo, eco-efficienza,ciclo di vita, tracciabilità, cer-tificazione”, una sessione po-ster e il Premio Giovani Ricer-catori, il convegno è stato l’oc-casione per presentare esem-pi e applicazioni della meto-dologia LCA.La prima sessione ha riguarda-to esperienze nel settore dellefonti rinnovabili: eolico, foto-voltaico e biodiesel. Nella seconda sessione gli inter-venti hanno spaziato da studidi LCA a supporto della gestio-ne integrata dei rifiuti, a studisulla raccolta differenziata finoad applicazioni per la proget-tazione di edifici a Zero Car-bon.La partecipazione di giovani haavuto un culmine nella presen-tazione dei tre vincitori del Pre-mio Giovani Ricercatori LCA.Dai lavori del convegno èemerso come la metodologiaLCA stia iniziando ad interes-sare anche le imprese, per lepotenzialità offerte da questostrumento sia in termini di mi-glioramento di prodotti esi-stenti che di sviluppo di nuo-vi prodotti. La LCA si sta affer-mando anche come strumen-to di analisi di sistemi di ge-stione territoriali e di filiera ecome strumento di supportoper le pubbliche amministra-zioni chiamate a valutare l’ef-ficacia di sistemi di gestionedei rifiuti o di politiche ener-getiche.

Eventi

Fratello SoleMadre Terra:

energie rinnovabili, ambiente ed ecosistema

Terzo convegno dellaRete Italiana sulla

metodologia di analisi LCA