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M a n u a l i d i s c i e n z e p s i c o s o c i a l i educatori sanamente imperfetti ma non troppo! Itinerari formativi in chiave adleriana per l’empowerment di genitori ed insegnanti Istituto “Alfred Adler” di Napoli a cura di Cosimo Varriale Valeria Limongelli Rosaura Orlando SP15 Estratto della pubblicazione

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educatorisanamenteimperfettima non troppo!Itinerari formativi in chiaveadleriana per l’empowermentdi genitori ed insegnanti

Istituto “Alfred Adler” di Napoli

a cura diCosimo VarrialeValeria LimongelliRosaura Orlando

SP15

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Manuali discienze psicosocialiManuali discienze psicosociali

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Copyright © 2006 Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli

Serie - Febbraio 2006

Azienda certificata dal 2003 con sistema qualità ISO 14001: 2004

Contributi di:C. De Lucia, G. Esposito, G. Lamagna, E. Lamberti, E. Ruggiero, M. G. Scalzi(Commissione ricerca dell’Istituto “A. Adler” di Napoli)

Copertina: Gianfranco de Angelis

Il catalogo è consultabile sul sito Internet: www.ellissi.it

Stampa: Officina Grafica IrideVia Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)

Tutti i diritti riservati – Vietata la riproduzione anche parziale

© è un marchio della ESSELIBRI S.p.A.ellissi

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L’Istituto «Alfred Adler» di Napoli.* è un’associazione di specialisti inscienze dell’uomo che non ha fini di lucro e che ispira il suo agire ai principietici e psicologici formulati da Alfred Adler e dai suoi continuatori. È nato nel1998 per iniziativa del prof. Cosimo Varriale e di un gruppo di suoi collabo-ratori con lo scopo di promuovere la conoscenza e lo sviluppo della Psicolo-gia individuale comparata attraverso la ricerca e la formazione, agite in unaduttile cornice psicodinamica e cognitivo-costruttivistica. Secondo la miglioretradizione adleriana, inoltre, l’Istituto è impegnato nella comunità per lo svi-luppo in senso democratico della società civile e a favore dei soggetti menoabbienti, psicologicamente e socialmente più a rischio.In questi anni la sua attività si è caratterizzata per l’effettuazione di nume-rose consulenze per enti pubblici e privati sui temi del disagio psicologicoe sociale nella prospettiva dell’empowerment; per la realizzazione diun’intensa attività di ricerca e sperimentazione i cui risultati sono statipubblicati e presentati in vari convegni e congressi nazionali; per la pro-mozione di una cospicua attività culturale e formativa interna (convegni,seminari, workshop, master ecc.) in psicologia di comunità e dell’educa-zione orientata in senso emancipativo e preventivo. Al riguardo vale ricor-dare che l’Istituto, sin dalla sua nascita, è anche ente convenzionato conl’Università degli Studi di Napoli («Suor Orsola Benincasa») per il tirociniodegli allievi della Facoltà di Scienze della Formazione. Esso, infine, da di-

* L’Istituto ha sede in un edificio storico della Napoli antica e proletaria (il convento dei Padri missio-nari vincenziani), nel «Rione Sanità». Un territorio, questo, com’è noto, in cui le contraddizioni individualie sociali della città e del Mezzogiorno appaiono in tutta la loro complessità e crudezza. L’indirizzo dell’Isti-tuto è: Via Supportico Lopez n° 8 (una traversa di Via Vergini); per il sito web si veda più avanti la notaa piè pagina della Presentazione, p. 11. Il numero telefonico della segreteria è: 3286505353.

IL CONTESTO ASSOCIATIVOIN CUI NASCE IL VOLUME

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versi anni svolge una significativa attività di volontariato nell’ambito delcounseling psicologico per adolescenti e famiglie a rischio del quartiere incui opera (sportello d’ascolto, gruppi di incontro e riflessione, cineforumecc.) ed è membro dell’Associazione di volontariato per il supporto socia-le territoriale «Rete Sanità» di Napoli.

Alfred Adler nacque a Penzing, un villaggio non lontano da Vienna, il 7febbraio 1870. Gli ambienti in cui visse l’infanzia furono caratterizzati da unacerta apertura culturale e da scarsi pregiudizi, anche verso l’ebraismo: la reli-gione dei suoi genitori. Secondo di quattro fratelli e due sorelle, ebbe un’in-fanzia segnata da diversi malanni fisici (asma, rachitismo, spasmi della glotti-de); cosa che, tuttavia, non gli impedì di vivere e godere dell’amicizia e delgioco di strada con gruppi di coetanei di diverse classi sociali. Entrambe leesperienze segnarono fortemente sia il suo stile di vita sia il suo sistema etico-politico e psicologico. Uscito dal liceo, frequentò la facoltà di medicina e pre-se parte alle riunioni di alcuni circoli socialisti e culturali della capitale. Quiconobbe l’attivista per i diritti femminili e sua futura moglie Raissa Timofeev-na Epstein. Conseguita la laurea, iniziò l’attività come medico generico in unquartiere popolare di Vienna. Sul finire dell’Ottocento pubblicò diversi lavoridi medicina sociale che già contenevano alcuni dei temi più caratterizzanti ilsuo futuro modello teorico-prassico. Nel 1902 conobbe Freud e iniziò unacollaborazione che lo portò a diventare, nel 1910, presidente della Societàpsicoanalitica viennese e condirettore della rivista ufficiale del sodalizio. Perinsanabili contrasti teorici e caratteriali, nel 1911, ruppe definitivamente conFreud. Alla caduta della monarchia austro-ungarica, su incarico del governosocialista viennese, nel corso dei primi anni Venti, progettò e realizzò una se-rie di strutture consultoriali per bambini con problemi e di attività di forma-zione per genitori e insegnanti, tipiche della moderna psicologia di comunità,dirette alla prevenzione del disagio psicologico. Nel 1933, con l’avvento delnazismo, fu costretto a trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti, dove ven-ne chiamato ad insegnare psicologia medica alla Columbia University e al Me-dical College di Long Island. Morì per un infarto ad Aberdeen, in Scozia, il28 maggio 1937, nel corso di un tour europeo di conferenze dirette a propa-gandare le sue teorie e sperimentazioni di campo.

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Gli autori del volume:

Cosimo Varriale: psicologo, docente di Psicologia di comunità nell’Universi-tà degli Studi di Napoli, è Presidente dell’Istituto «A. Adler» di Napoli e Vicepre-sidente dell’Associazione Forum di Psicologia Adleriana (AFPA) di Pavia.

Valeria Limongelli: psicopedagogista, insegnante di ruolo e counselor pro-fessionale, collabora alle attività della Cattedra di Psicologia di comunità del-l’Università degli Studi di Napoli («Suor Orsola Benincasa») ed è membro delConsiglio Direttivo dell’Istituto «A. Adler» di Napoli.

Rosaura Orlando: psicopedagogista, insegnante di ruolo e counselor profes-sionale, collabora alle attività della Cattedra di Psicologia di comunità dell’Uni-versità degli Studi di Napoli («Suor Orsola Benincasa») ed membro del ConsiglioDirettivo dell’Istituto «A. Adler» di Napoli.

Carmela De Lucia, Giuseppina Esposito, Giovanni Lamagna, EmiliaLamberti, Ester Ruggiero, Maria Grazia Scalzi sono tutti insegnanti,counselor professionali e membri dell’Istituto «A. Adler» di Napoli.

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Presentazione 9

Presentazione

Te lo dico subito. Ci sono cose di me che non ti piaceranno. Eci faranno fare la lotta, senza giocare. Ma ti leggerò Alda Merinila sera prima di addormentarti e prima di parlarti dell’esistenzadi Dio ti farò ascoltare Keith Jarrett. Così ti farai un’idea dasolo.

Caliceti G., Mozzi G., È da tanto che volevo dirti. I ge- nitori italiani scrivono ai loro figli

Nelle società «fluide», ricche di promesse e di insicurezze, «sottoposte alla co-stante erosione del senso di comunità» (Bauman, 2005), ad ogni eclatante fattodi cronaca che ha come protagonisti minori e/o famiglie «dissestate», è ormaidiventato rituale sottolineare le difficoltà crescenti che gli educatori incontranonel trattamento delle problematiche di figli e allievi. A ben guardare, tuttavia,l’Italia — al di là delle infinite trasmissioni televisive e radiofoniche, del proflu-vio di articoli e libri che «coprono» l’evento di cronaca, che «battono il ferroquando è caldo» — è ancora ben lontana dal dotarsi di un’attività formativa pergli educatori più sistematica e capace di essere al passo con i tempi e con lacomplessità delle problematiche in gioco. Non è un caso, ad esempio, se è solonegli ultimi 10-15 anni che — a seguito del DPR 309/1990 per la prevenzionedelle tossicodipendenze (Mariani, 2001; Varriale, 2005), la cui vita si trascinaormai sempre più stancamente — si è fatta un po’ più ricca la letteratura e leesperienze di campo italiane concernenti la formazione dei genitori (cfr. sultema la Bibliografia ragionata a fine volume).D’altro canto c’è pure da considerare che negli ultimi anni va delineandosi unanuova professionalità docente permeata di competenze psicologiche non piùlimitate alla conoscenza dei tratti caratterizzanti le diverse fasi evolutive deglialunni, bensì estese a quell’insieme di capacità tecnico-metodologiche (ad esem-

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10 Presentazione

pio, la gestione dinamica di un gruppo, il trattamento delle problematiche emo-tivo-affettive, individuali e plurali) proprie della psicologia delle organizzazioni edi comunità. Basti pensare alla polivalenza della figura dell’insegnate-tutor cui èrichiesto di curare i rapporti all’interno del team docente e con le famiglie degliallievi o, ancor più, agli insegnanti impegnati nel ruolo di «funzione strumenta-le», quotidianamente alle prese con i problemi relativi alla formazione e al be-nessere dei colleghi e degli allievi all’interno di una gestione efficiente ed effica-ce del sistema organizzativo scuola.È sulla scorta di tali considerazioni che agli autori di questo volume, facendoleva anche su personali esperienze consulenziali fatte nel settore, è parso utilefornire un contributo operativo a quegli specialisti che, in una prospettiva diempowerment, di emancipazione, prevenzione e promozione del benessere,tipica della psicologia di comunità e della tradizione teorico-prassica adleriana(Varriale, 2000, 2002, 2005), sono chiamati a dotare i cosiddetti «profani»(genitori, insegnanti, operatori sociali ecc.) dei saperi e delle competenze perrendere efficace il lavoro di caring sui soggetti in età evolutiva.Come si vedrà, il volume — cui sottende un solido e coerente frame-workteoretico, al quale si farà solo un breve cenno — non ha intenzioni esaustive,ma si propone come agile guida, come sintetico e orientativo paradigma ope-rativo nel settore formativo. I lettori interessati ad un approfondimento dellenumerose e vaste problematiche qui trattate, possono utilmente consultare leopere citate sia nei riferimenti bibliografici che chiudono i singoli capitoli sianella bibliografia ragionata posta a fine volume.Vale, inoltre, sottolineare che questo contributo è frutto di un lungo a travaglia-to lavoro collettivo dei membri della Commissione ricerca dell’Istituto «AlfredAdler» di Napoli; è frutto della fedeltà ad un’idea: lavorare ad un progetto con-diviso di crescita professionale e parallelamente contribuire allo sviluppo del-l’adleriano Sentimento sociale, in una dimensione gruppale di laboratorio coo-perativo ed emotivamente compartecipativo. Anche una scommessa intellet-tuale, dunque, non semplice da vincere, in assenza di corposi incentivi econo-mici, di carriera e quant’altro; uno sforzo individuale e collettivo di psicologi ededucatori, di padri e madri, con differenti percorsi esistenziali e formativi, convariegate competenze nel counseling psico-sociale, educativo e di comunità,ma accomunati dalla determinazione di offrire nell’epoca delle passioni tristi(Benasayag, Schmit, 2004) una concreta testimonianza di impegno psico-so-

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Presentazione 11

ciale, di «cultura del positivo» (Varriale, 2002) a partire dal comune back-groundvaloriale e prassico: quello offerto dallo statuto dell’Istituto «A. Adler» di Napolie dal Manifesto dell’Associazione Forum di Psicologia Adleriana (AFPA) di Pa-via (1).Naturalmente, come frequentemente accade per i lavori a più mani, anchequesto volume sconta una qualche discontinuità stilistica e contenutistica; di-scontinuità che, tuttavia, sembra nulla togliere al valore sia dei contributi in essoraccolti sia della significativa testimonianza di «militanza» adleriana offerta dagliautori. A questi ultimi va il ringraziamento personale di chi scrive e di tutti i socidell’Istituto «A. Adler» di Napoli.

Prof. Cosimo VarrialePresidente dell’Istituto «Alfred Adler» di Napoli

Bibliografia

BAUMAN Z. (2005), Il sonno della ragione, intervista a cura di R. Staglianò, in «Il Venerdì diRepubblica», n. 907, 5.8.2005, pp. 25-29.

BENASAYAG M., SCHMIT G. (2004), L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano.

CALICETI G., MOZZI G. (2002), È da tanto che volevo dirti. I genitori italiani scrivono ai lorofigli, Einaudi, Torino.

MARIANI U. (2001), Educazione alla salute nella scuola, Erickson, Trento.

VARRIALE C. (2000), Competenze d’aiuto nel counseling, Lionello Giordano, Cosenza.

VARRIALE C. (2002), Cervello, emozioni, prosocialità, Liguori, Napoli.

VARRIALE C. (2005), Alfred Adler psicologo di comunità, Guerini, Milano.

(1) Al riguardo cfr. i siti web: www.istitutoadler.3000.it oppure www.genie.it/utenti/istitutoadler ewww.afpa.it.

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Part

e I

Una cornice concettuale per la forma-zione dell’educatore efficace: il model-lo psicodinamico e di comunità di Al-fred Adler

Estratto della pubblicazione

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Una cornice concettuale per la formazione dell’educatore efficace 15

Capi

tolo

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La teoria e la prassi di campo di Al-fred Adler: le radici antiche della lo-gica emancipante e preventiva in psi-cologia di comunità

di Cosimo Varriale

L’interesse sociale non ha un obiettivo fisso. Piut-tosto si può dire che è volto alla creazione di unaspeciale attitudine alla vita e che consiste in undesiderio di collaborare in qualche modo con ilprossimo e di essere sempre e in tutti i modi al-l’altezza della situazione.

Non va dimenticato che il sentimento di inferiori-tà consiste in un’errata valutazione di se stessi.L’inferiorità può esistere solo nell’immaginazio-ne dell’individuo quando questi si paragona aglialtri. Il sentimento di inferiorità è del tutto indi-pendente dal valore dell’individuo poiché quandoquesti si paragona agli altri, attribuisce ad essiqualità fittizie.

R. Dreikurs, Lineamenti della psicologia diAdler.

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16 Capitolo 1

In un mio recentissimo volume (Varriale, 2005a), fra l’altro, ho inteso dare ilgiusto rilievo alle anticipatrici e coraggiose applicazioni psicosociali realizzatedal fondatore della Psicologia individuale nella «Vienna rossa» dell’inizio delsecolo scorso, di solito piuttosto trascurate dalla storiografia psicologica. L’atti-vità di formazione di genitori, insegnanti, operatori sociali al fine di trasformarliin «moltiplicatori di benessere», l’istituzione di oltre venti consultori per la pre-venzione del disagio giovanile, le prime esperienze di lavoro dinamico di grup-po, la scuola superiore sperimentale pubblica ispirata ai principi etici e psicope-dagogici dell’individualpsicologia e altre iniziative di Adler e dei suoi collabora-tori contribuirono significativamente a trasformare la capitale austriaca posta-sburgica in un laboratorio di sperimentazioni avanzate che attirò l’attenzionedegli specialisti di scienze umane di tutto il mondo.Anche per quanto verrà detto nelle pagine del presente lavoro — pubblicate,peraltro, per iniziativa di un Istituto di ricerca e formazione che porta il suonome — mi sembra importante ricordare preliminarmente l’attualità dell’operadi uno dei «maestri leggendari della psicoanalisi» (Hillman, 1984) che non fusoltanto un grande clinico e il primo eretico della dottrina freudiana, ma ancheun appassionato socialista e umanista che dedicò una parte significativa del suolavoro di studioso e di medico-psicologo alla prevenzione delle malattie profes-sionali e del disagio psichico, all’epoca assai frequenti fra i lavoratori apparte-nenti all’emergente proletariato industriale e alla piccola borghesia artigianaleurbana. Come ha notato Stanley Longford (1995), Adler è stato molto più dello«scopritore» del complesso di inferiorità, molto più del «litigioso» antagonista diFreud. Due banalizzazioni, queste, che non di rado si leggono anche nella lette-ratura scientifica più accreditata. Egli è stato l’ideatore di originali costrutti teo-rici e di innovative prassi di campo che, nel loro insieme, rappresentano unavera e propria «rivoluzione copernicana», una profonda rottura nel paradigmadelle scienze umane del suo tempo (Kuhn, 1978), molto prima che si impones-sero le moderne concettualizzazioni cognitivo-costruttivistiche. Adler è stato ilprimo psicologo clinico che ha centrato la ricerca e la prassi sull’interfaccia trala sfera personale e quella collettiva, tra la sfera psicologica e quella sociale. Èstato fra i primi studiosi che, come direbbe Jerome Bruner (1992), ha tentato didefinire il significato come concetto centrale della psicologia, proponendo unmodello di sviluppo della mente aperto ai contributi sia delle scienze naturali siadi quelle umanistiche e sociali (Varriale, 2000a, 2002, 2005a, 2005b).

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Una cornice concettuale per la formazione dell’educatore efficace 17

Fu Adler che per primo mise in campo quella tipica Weltanschauung cheLevine e Perkins (1987) considerano propria degli psicologi di comunità. Fu lostudioso viennese, insomma, che per primo operazionalizzò quell’insieme dicredenze che pongono particolare attenzione alle condizioni di vita della perso-na e che richiedono perciò concezioni teoriche alquanto diverse rispetto a quel-le impiegate per comprendere un singolo individuo, in quanto basate su unitàdi analisi più ampie. «Si tratta di una prospettiva che si rivolge più alla preven-zione che al trattamento, che enfatizza il rafforzamento delle competenze del-l’attore sociale più che l’eliminazione del deficit, che si focalizza sull’interazio-ne tra persone e ambienti: questi cambiamenti concettuali hanno condotto aprestare maggiore attenzione alle determinanti ambientali del comportamento,mostrando la possibilità e l’opportunità di interventi a diversi livelli, da quelloindividuale a quello di gruppo, istituzionale, di comunità e sociale» (Zani, 1996,pp. 41-42).Per dare maggiore spessore alla tesi qui adombrata, in questo primo paragrafoeffettuerò una più accurata analisi dei punti di convergenza fra i concetti basicidegli psicologi adleriani e i principali costrutti che si stagliano sullo sfondo degliinterventi di comunità. Più in particolare considererò la significativa somiglian-za esistente tra i moderni concetti di empowerment, di sviluppo sociale e dicommunity care, di auto e mutuo-aiuto, di «senso di comunità» e quelli adleria-ni di processo di incoraggiamento, di «anima del gruppo», di sentimento sociale(cooperativo ed emotivamente compartecipativo). Naturalmente, voglio precisare subito che sono consapevole dei limiti e deirischi connessi all’operazione comparativa che mi appresto a fare: le concet-tualizzazioni adleriane sono parte di un coerente e ampio sistema di pensie-ro, peraltro con una forte componente clinico-psicoterapeutica; di fatto, i co-strutti individualpsicologici andrebbero sempre considerati alla luce della natu-ra etica, psicodinamica, unitaria, oltre che socio-teleo-analitica, del modellopersonologico ideato dallo psicologo viennese. Senza contare che i concetticaratterizzanti la moderna psicologia di comunità, come si vedrà, pur muo-vendo in una cornice condivisa di valori e di intenzionalità storico-sociali eman-cipanti e democratiche a favore degli strati della popolazione meno protette edei soggetti a maggiore rischio psicologico, rispetto ai costrutti adleriani, sem-brano possedere connotazioni più asistematiche e più empirico-applicative.Tuttavia, nonostante i rischi di forzature che tale operazione comparativa può

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18 Capitolo 1

comportare, ritiengo che «il gioco valga la candela» e che ci siano sufficientielementi per «dare a Cesare quel che è di Cesare»; per sostenere, cioè, la tesiche qui si intende argomentare: i programmi adleriani di lavoro nel socialesono stati i precursori più affini ai moderni orientamenti psicologici non «ri-parativi», in particolare ai programmi di Psicologia della salute e di Psicologiadi comunità.E ciò anche per ricordare agli stessi adleriani, in particolare a quelli italiani (dasempre molto concentrati su questioni di teoria dell’insorgenza psicopatologicae di teoria della tecnica psicoterapeutica e soltanto da poco un po’ più apertiagli sviluppi della ricerca di base e applicata in altri settori delle scienze umanee sociali), che esiste un vasto campo d’indagine in cui gli appartenenti allascuola individualpsicologica possono andare a testa alta e continuare a svilup-pare il lavoro iniziato dal loro caposcuola, anche facendo tesoro dei più recenticontributi in settori non di stretta pertinenza clinica. Al riguardo, non sembrieccessivo ribadire ancora una volta, con le parole di Heinz e Rowena Ansba-cher, che «tutta la psicologia individuale è una psicologia sociale, in quanto nonsolo pone l’accento sul valore e sulla natura sociale dell’uomo, ma si interessaanche alle applicazioni pratiche della teoria psicologica alla società. In Adler,l’interesse per questi problemi precedette di fatto il suo pensiero psicologico;già dal tempo in cui era studente, egli si appassionò a tali tematiche desideran-do contribuire al miglioramento sociale e questo certamente influenzò la suapsicologia. Adler stesso diceva: un sistema psicologico non è scindibile dallafilosofia di vita di chi lo formula» (1997, p. 504).E veniamo ai costrutti che si intendono comparare. Come è stato già osserva-to, quello di empowerment è senz’altro uno dei concetti più caratterizzanti ecomplessi della psicologia di comunità. Esso deve la sua originaria formulazio-ne a J. Rappaport (1977), uno dei moderni padri fondatori di questa disciplina.Sintetizzando molto, con tale termine — pressoché intraducibile con una solaparola in lingua italiana (forse, in qualche misura, il termine «impoteramento»potrebbe rendere l’idea) — gli autori tendono a riferirsi a quel processo diacquisizione di potere, inteso come capacità di intervenire attivamente sullapropria esperienza esistenziale. Un potere che riguarda sostanzialmente la ca-pacità di fronteggiamento degli stressor, mettendo in campo risorse e compe-tenze atte a dare risposte adeguate a quegli eventi problematici che possonopresentarsi nella vita degli individui.

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Una cornice concettuale per la formazione dell’educatore efficace 19

In effetti, quello di empowerment, è un tipico concetto «multilivello» (Zani,1996), che rinvia ad un livello individuale (o psicologico) e ad un livello socialee di comunità. L’empowerment appare così il frutto del concorrere del sensodi padronanza e di controllo raggiunto dal soggetto (livello psicologico) e dellerisorse/opportunità fornite dall’ambiente in cui il soggetto vive (livello sociale edi comunità). In tale prospettiva, l’azione dello psicologo di comunità consistefondamentalmente nell’evitare il più possibile la delega all’esperto, favorendola partecipazione consapevole dei soggetti alla vita della comunità e stimolandoin questi lo sviluppo delle competenze di fronteggiamento.Non è questa la sede per un’esauriente analisi delle implicazioni teorico-appli-cative emerse dalla ricerca su tale costrutto, si rinvia nel merito alla letteraturaspecialistica esistente (al riguardo cfr. bibliografia in Varriale, 2005). Bastano,tuttavia, questi pochi cenni per rendersi facilmente conto di quanto il concettoe la prassi adleriana di «incoraggiamento» e di «formazione dei profani» si muo-vessero nella stessa direzione di chi, come i destinatari di questo volume, oggilavora all’empowerment; di chi lavora, cioè, all’incremento delle competenzedi coping; del potere di controllo della vita dei soggetti a rischio in una prospet-tiva di prevenzione e promozione del benessere.Per quanto riguarda l’approccio al genitore, ad esempio, a proposito di inco-raggiamento e di educazione dei profani, Adler, nel 1930, in Psicologia del-l’educazione, notava: «Dobbiamo sempre aver presente il fatto che i genitorinon devono essere ritenuti responsabili di tutti i difetti del loro bambino. Inol-tre, noi sappiamo che non sono dei pedagogisti esperti e la loro condottaeducativa è basata molto spesso solo sulla tradizione. Non si dovrebbe mairimproverarli, nemmeno quando vi sono dei motivi evidenti, perché con essi siriesce a fare cose molto più utili stabilendo un patto di collaborazione, persua-dendoli a cambiare atteggiamento e a impegnarsi assieme a noi secondo lenostre strategie. Non è di alcuna utilità sottolineare gli errori che hanno com-messo in passato, mentre è invece necessario che si adoperino affinché possa-no assumere una nuova strategia educativa».Con riferimento poi al lavoro dell’insegnante, Adler, nel 1929, in La psicolo-gia individuale nella scuola, prefigurando alcune idee che sono alla base dellemoderne strategie di educazione socio-affettiva (Varriale, 2002, 2005a, 2005b),rilevava: «La scuola, collocata tra famiglia e comunità, può svolgere un ruolomolto utile nella correzione degli errori dello stile di vita formatosi sotto l’in-

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20 Capitolo 1

fluenza educativa familiare. Essa, inoltre, ha il compito di favorire l’adattamen-to del bambino in modo tale che egli, in futuro, possa avere un suo ruoloindividuale armonizzato all’orchestra della società».In questa luce, nota ancora Adler nel 1929, nel volume Science of living: «Ilcompito principale dell’educatore, potremmo dire il suo unico compito, è quel-lo di evitare che un bambino si scoraggi a scuola e che quanti vi arrivino giàscoraggiati ritrovino la fiducia in se stessi con l’aiuto dell’insegnante e dellaclasse stessa. Queste sono conoscenze possedute da ogni educatore e, del re-sto, solo i bambini che guardano al futuro con speranza e gioia possono essereeducati. (…) Stabilire relazioni amichevoli con fanciulli che hanno perso il co-raggio e riuscire loro simpatici è condizione essenziale, anche se non sufficien-te. Il rapporto amichevole, una volta instaurato, deve servire a infondere corag-gio e far compiere progressivi miglioramenti. Ciò può essere raggiunto soloaiutando i ragazzi a divenire più autonomi e conducendoli, con vari espedienti,ad acquisire fiducia nelle loro capacità psicofisiche».Fra i vari «espedienti» che Adler escogitò e poi suggerì agli insegnanti che in-contrava nel corso delle conferenze e dei personali interventi nelle scuole, pia-ce qui ricordare una metodica di discussione guidata del gruppo classe che hastraordinari punti di convergenza con la tecnica del Circle time; una discussio-ne in cerchio, quest’ultima, condotta dall’insegnante (che si limita semplice-mente a far osservare le regole procedurali) e a cui prendono parte tutti glialunni della classe, oggi molto impiegata negli interventi di comunità per l’em-powerment e l’educazione socio-affettiva nei setting scolastici (Varriale, 1996,2000a, 2002, 2005a).Il Circle time — che trova vasto impiego anche nella cornice della didatticaconversazionale e del laboratorio autobiografico («narrazione del sé»), puntan-do a realizzare nell’alunno lo «star bene» (sia con se stesso che con gli altri) e il«piacere del conoscere» (Limongelli, 2003) — è considerato, insomma, unostrumento operativo molto utile alla costruzione della classe come «comunitàeducante». In proposito, ecco cosa, fra l’altro, suggeriva Adler sin dal 1920 inPrassi e teoria della psicologia individuale: «Quando in una classe compareun problema, l’insegnante può invitare i bambini a parlarne limitando il suointervento a dirigere la discussione e preoccupandosi che essa si sviluppi libera-mente per dare a ogni alunno la possibilità di esprimersi senza impedimenti. Siinizia con l’esame delle cause del problema che è comparso, poniamo la pigri-

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zia, cercando di giungere ad alcune conclusioni. Il bambino pigro, pur nonsapendo che si sta parlando di lui, imparerà egualmente molto da questo mododi procedere».Tutto questo, tanto per rimarcare la straordinaria modernità del pensiero delfondatore della Psicologia individuale, era pensato e agito da Adler come fun-zionale all’educazione del sentimento sociale e alla costruzione della classe come«comunità solidale». Lo psicologo viennese, infatti, già nel 1931, in Cosa lavita dovrebbe significare per voi, osservava che «la classe, analogamente allafamiglia, dovrebbe costituire un’unità in cui ogni membro sia una parte ugualedel tutto. Se i fanciulli vengono educati in questo modo, allora ci sarà veramen-te un reciproco interesse tra loro e trarranno piacere dalla cooperazione. Hovisto molti bambini-problema che hanno cambiato radicalmente il proprio at-teggiamento in risposta all’interesse e alla cooperazione dei loro compagni.Posso, a questo riguardo, riferire un caso particolare. Un fanciullo provenivada una casa in cui aveva maturato il convincimento che tutti gli fossero ostili esi aspettava di trovare la stessa situazione anche a scuola. L’interesse per lostudio era scarso e si applicava poco, per questo, quando i suoi genitori nevennero a conoscenza, lo punirono. Più avanti incontrò un insegnante checomprese la situazione di difficoltà in cui si trovava, spiegò ai compagni comeegli li credesse suoi nemici e si procurò il loro aiuto con il quale riuscì a dimo-strargli l’infondatezza dei propri convincimenti. In seguito a questo, la condottadel ragazzo cambiò completamente e il rendimento scolastico crebbe oltre ogniaspettativa».Anche nella scuola superiore sperimentale, funzionante secondo i principi indi-vidualpsicologici e attivata da Adler e dai suoi collaboratori a Vienna nel 1932,vennero applicate metodologie e tecniche di gruppo dirette a facilitare nellaclasse l’educazione alla vita sociale e a prevenire il disagio migliorando l’autosti-ma degli allievi in difficoltà. Metodologie e tecniche, queste, che si avvicinanomoltissimo a quelle procedure di insegnamento/apprendimento definite «amediazione sociale» o «solidaristiche», oggi sempre più frequentemente impie-gate nell’ambito dei programmi di educazione all’empatia e alla prosocialità: ilpeer tutoring, il cooperative learning, il peer counseling (Varriale, 2000a,2002). Come, infatti, ebbe a notare Ferdinand Birnbaum — un importantepsicopedagogista viennese che all’epoca collaborava con Adler — «l’esperien-za comunitaria che gli allievi facevano nella nostra scuola sperimentale, era il

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risultato dello sforzo dell’insegnante di trasformare la classe da indistinto aggre-gato a gruppo coesivo e solidale. Il raggiungimento di questo obiettivo erafacilitato dal gioco, dalle gite e da diverse altre attività di gruppo. L’amministra-zione comunitaria era una forma di autogoverno e la discussione collettiva sioccupava dei problemi della vita del singolo alunno che possono essere portatiassai vicino a una felice soluzione. Qui ci troviamo, fondamentalmente, di fron-te agli stessi processi mentali che crearono parte del successo dei consultori diorientamento infantile. Il bambino, l’adolescente impara ad osservare i suoifallimenti non come una questione privata, ma attraverso e con gli occhi deglialtri, come una questione pubblica. Così, in molti casi, riusciamo ad aiutare ilsoggetto ad abbandonare il suo modo abitudinario di vedere, dominato da una‘appercezione prevenuta’ e scoraggiante, e ad orientarlo verso una posizionepiù oggettiva e più ottimistica» (in Ansbacher, Ansbacher, 1997, p. 453).Inoltre, nota ancora Birnbaum, «nella comunità di mutuo soccorso, i fanciullicon difficoltà nel lavoro scolastico vengono aiutati e assistiti da coloro che sonoin grado di farlo. I ragazzi che hanno recentemente superato un certo compor-tamento-problema aiutano i compagni che non si sono ancora liberati dellestesse difficoltà. Nell’apprendimento, poi, l’insegnante non è il centro del pro-cesso educativo, ma piuttosto l’organizzatore e il leader del lavoro individuale edi gruppo» (ivi). Al riguardo, vale sottolineare di sfuggita che tali orientamenti,oltre ad essere in linea con le logiche degli attuali interventi per l’empower-ment scolastico (Putton, 1999; Francescato, Tomai, Mebane, 2004), anticipa-no di molti anni quella che sarà una delle metodiche di gruppo più impiegate inpsicologia di comunità: l’auto e il mutuo aiuto.Non meno significativi, in termini di interventi per l’empowerment scolasticoe sociale, appaiono, infine, i contributi di Rudolf Dreikurs. Questo autore èstato uno dei più importanti collaboratori e continuatori dell’opera di AlfredAdler in campo clinico e in campo psicosociale (Varriale, 1989, 2000b), oc-cupandosi, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, negli USA, anche di counse-ling di comunità, di formazione dei profani e delle metodologie e tecnicheper realizzare in modo efficace Il processo di incoraggiamento (Dinkmeyer,Dreikurs, 1974). Dalle sue riflessioni e applicazioni (cfr. anche Dreikurs,1961, 1969; Dreikurs, Cassel, 1972) — che precedono di diversi anni quelliorientati in senso umanistico di Thomas Gordon (1991, 1994) e quelli diHerbert Franta (1985, 1988; Franta, Colasanti, 1991) — deriveranno i suc-

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cessivi programmi adleriani per genitori efficaci (STEP) e per insegnanti effi-caci (STET) (Dinkmeyer, Mckey, 1989).Mi pare utile, pertanto, soffermarsi brevemente sul contributo che questo auto-re ha fornito relativamente alle tematiche in esame. In particolare, secondo lateoria dell’incoraggiamento che Dreikurs sviluppa, ogni intervento educativopresenta, nella sua fase iniziale, il problema di superare l’apatia, l’indolenza chela maggior parte dei bambini mostra. Apatia ed indolenza che risultano insupe-rabili se l’allievo ha l’impressione di sentirsi schiacciato dal compito che loaspetta. Soprattutto i bambini hanno bisogno di sentire che «ne vale la pena»,che sono sostenuti da un sentimento di sicurezza; sentimento il cui sviluppopuò essere favorito adottando nei loro confronti atteggiamenti del tipo: «tu seila persona che può farlo», «è sempre bene tentare e sbagliare non è peccato»,«sono soddisfatto dei tentativi ragionevolmente buoni che hai fatto e sono fidu-cioso nelle tue capacità», «ti accetto così come sei perché tu possa piacere a testesso», ecc.; garantendo ai bambini, con equità e stabilità, diritti e doveri.In fase applicativa, poi, l’Autore ha indicato agli educatori (e ha insegnato agestire con i figli e con gli alunni) i nove basilari principi adleriani dell’incorag-giamento: 1) stimolare il bambino così com’è; 2) dimostrare fiducia nel bambi-no in modo tale che egli possa averne in se stesso; 3) credere nelle capacità delbambino; 4) conquistarsi la sua confidenza e al tempo stesso formarlo al rispet-to di se stesso; 5) riconoscere un lavoro ben fatto ed elogiare gli sforzi compiuti;6) fare uso del gruppo per facilitare ed incrementare la maturazione del bambi-no; 7) integrare il gruppo in modo che il bambino sia sicuro della sua posizioneall’interno; 8) aiutare il bambino a sviluppare le sue capacità seguendolo pro-gressivamente anche da un punto di vista psicologico in modo tale da permet-tergli risultati positivi; 9) riconoscere e mettere a fuoco le sue doti e le suerisorse, utilizzare gli interessi del bambino per accrescere la sua istruzione (Dink-meyer, Dreikurs, 1974).Una seconda tipologia di strategie adottate dalla moderna psicologia di comu-nità che trova un qualche riscontro nelle idee e nella prassi di Adler e degliadleriani può essere raccolta sotto i concetti di «sviluppo di comunità» (Com-munity Development, CD) e di community care. Senza entrare nel dettaglio,mi basta qui ricordare che lo sviluppo di comunità «indica un programma diapprocci, metodologie e tecniche che coniugano l’assistenza dall’esterno conlo sforzo e l’autodeterminazione localmente organizzati. Coinvolge i cittadini

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come persone e come gruppi, le istituzioni, gli attori leader politici e burocrati-ci. Ricorre alla partecipazione della gente e all’iniziativa delle collettività comestrumento principale per il cambiamento. Nelle strategie di CD intervengonodiversi fattori e una pluralità di valori sottostanti che ne fanno cogliere i fonda-menti scientifici e culturali che, al contempo, ne orientano la prassi» (Lavanco,Novara, 2002, p. 37).I fattori determinanti di questi programmi sono di tipo educativo (in quantorivolti all’ampliamento della consapevolezza circa il ruolo che ogni persona puòricoprire come risorsa); operativo (in quanto è cruciale individuare bisogni erisorse per orientarle al cambiamento auspicato); valutativo (in quanto è sem-pre necessario monitorare l’efficacia delle azioni in funzione delle finalità perse-guite), democratico (in quanto si tratta di programmi diretti a promuovere almassimo la partecipazione di individui e gruppi della comunità), politico-socia-le (in quanto diretti a promuovere l’unione e la cooperazione delle forze localiin vista di un accrescimento dell’influenza politica dal basso).I programmi di sviluppo di comunità si muovono inoltre in una prospettiva dicommunity care (di «una comunità che si prende cura»), intesa, quest’ultima,come un modello teorico ed operativo il cui obiettivo è quello di garantire «stru-menti cognitivi, affettivi, materiali indistintamente a tutti, perché la stessa co-munità possa far fronte in modo più autonomo e autoregolato ai problemi cuile persone e i gruppi possono andare incontro» (Lavanco, Novara, 2002, p.84; cfr. anche Folgheraiter, Donati 1991). Appare evidente che un tale orien-tamento — occupandosi di welfare, di stato sociale, di promozione del benes-sere non come «graziosa donazione del sovrano», ma come frutto della pressio-ne delle forze sociali e politiche democratiche — finisce per sottolineare il ruolocentrale che assume l’approccio di comunità centrato sulle scienze sociali, sullemetodologie formative emancipanti e di impegno civile, sulle finalità preventi-ve piuttosto che curative.Ho già ricordato in apertura quanto Adler, da fervente socialista democratico,fosse interessato alle problematiche di medicina del lavoro e allo sviluppo diun sistema sociale che fornisse ai cittadini, particolarmente a quelli economi-camente più svantaggiati, una rete di servizi di assistenza in campo sanitario,educativo, lavorativo. Egli giunse a prefigurare — nel suo Manuale per la sa-lute dei sarti e in alcuni scritti prepsicoanalitici, pubblicati fra la fine dell’Ot-tocento e l’inizio del Novecento dal quotidiano socialdemocratico di Vienna

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