eistlich fibro-gide ispirata dalla natura, realizzata da ... · con i migliori clinici al mondo....
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17Speciale RegenerationImplant Tribune Italian Edition - Marzo 2018
SR
www.geistlich.it
1 European Patent Specifi cation – EP 3 055 000 B1.2 Data on fi le. Geistlich Pharma AG, Wolhusen, Switzerland.
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di migliorare la qualità della vita dei
pazienti, Geistlich Biomaterials lan-
cia il suo nuovo prodotto: Geistlich
Fibro-Gide®, l’alternativa ai prelievi
di tessuto connettivo autologo.
Geistlich Fibro-Gide® è una matri-
ce riassorbibile, porosa, in collagene di
origine suina, volumetricamente sta-
bile e specificatamente concepita per
la rigenerazione dei tessuti molli: è sta-
ta interamente sviluppata da Geistlich
Biomaterials in stretta collaborazione
con i migliori clinici al mondo.
Geistlich Fibro-Gide® è stata pro-
gettata come trattamento alterna-
tivo ai prelievi di tessuto autologo,
considerati il gold standard per le
procedure rigenerative tissutali1-3.
Questa matrice in collagene è uti-
lizzata per la rigenerazione dei tes-
suti molli sulla cresta alveolare che
circonda denti naturali e impianti,
e si utilizza come impalcatura som-
mersa dove è necessario aumentare
lo spessore dei tessuti molli. La ma-
trice è disponibile in due formati:
Geistlich Fibro Gide® 15x20x6 mm e
Geistlich Fibro Gide® 20x40x6 mm.
«Geistlich Fibro-Gide® è una delle
migliori innovazioni per l’incremen-
to dello spessore dei tessuti molli».
(Dr. Daniele Cardaropoli, Torino)
«Geistlich Fibro-Gide® può esse-
re usata quando è necessario inspes-
sire i tessuti molli perimplantari”.
(Prof. Leonardo Trombelli, Ferrara)
Geistlich Fibro-Gide® in sintesi• Geistlich Fibro-Gide® supporta la
rigenerazione del tessuto connet-
tivo: studi in vivo hanno mostra-
to un riassorbimento quasi totale
(circa 97%) dopo 26 settimane4.
• La stabilità di volume è fornita
dallo “smart cross-linking” del
collagene4;
• La struttura porosa di Geistlich
Fibro-Gide® supporta l’angioge-
nesi, la formazione di nuovo tes-
suto connettivo e la stabilità del
collagene in situazioni di guari-
gione sommersa1,5;
• Geistlich Fibro-Gide® è disponi-
bile in quantità illimitata e qua-
lità costante4;
• Geistlich Fibro-Gide® può essere
modellata a piacere sia da asciut-
ta, che da bagnata4;
• Geistlich Fibro-Gide® non richie-
de pre-trattamento. Le eccellenti
caratteristiche idrofile portano
a una rapida idratazione con il
sangue del paziente o soluzione
salina sterile4;
• Geistlich Fibro-Gide® non richie-
de un secondo sito chirurgico per
il prelievo di tessuto dal palato1,6-8.
GeIstlIch FIBro-GIDe®
Ispirata dalla natura, realizzata da Geistlich
1. Thoma DS, et al.: J Clin Periodontol 2016; 43(10): 874–85;
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bibliografia
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18 Implant Tribune Italian Edition - Marzo 2018Speciale Regeneration
SR
IntroduzioneL’atrofia del mascellare posteriore
come conseguenza della perdita de-
gli elementi dentali è una condizio-
ne piuttosto frequente nella pratica
clinica. La sua gestione, in previsio-
ne della riabilitazione del paziente
attraverso una protesi supportata da
impianti, richiede un’oculata valu-
tazione dell’anatomia sinusale, non-
ché una scelta razionale della tecnica
chirurgica riabilitativa. L’elaborazio-
ne di un corretto piano di trattamen-
to, infatti, contribuisce alla riduzione
del rischio intra- e post-operatorio,
alla diminuzione della morbilità po-
stoperatoria e, nel lungo termine, al
successo duraturo della riabilitazio-
ne. Una corretta anamnesi, una pia-
nificazione adeguata dell’intervento
e una scelta adeguata della tipolo-
gia di biomateriali e impianti sono
quindi requisiti imprescindibili. Tra
gli approcci chirurgici più frequenti
nella riabilitazione del mascellare
posteriore atrofico, il rialzo di seno1,
è stato oggetto di numerosi studi
ed è oggi considerata una procedu-
ra sicura, efficace e predicibile2-4.
Successivamente all’approccio per
via laterale, proposto da Tatum5, 6 e
Boyne e James7, alcuni autori, tra cui
Summers8 ed altri4, 9-11, hanno propo-
sto l’approccio per via crestale al fine
di ridurre l’invasività ed il rischio
intra- e post-operatorio dell’inter-
vento, nonché il discomfort per il pa-
ziente. A questa alternativa a ridotta
invasività si associa, o si affianca, l’u-
tilizzo di impianti corti (Ø 8-10 mm),
la cui efficacia, sicurezza e riprodu-
cibilità nel trattamento del mascel-
lare posteriore atrofico – sempre nei
limiti di una corretta pianificazione
dell’intervento12, appaiono confer-
mate dalle più recenti revisioni di
letteratura e meta-analisi13, 14. Al ri-
alzo di seno per via crestale posso-
no essere associate tecniche mirate
a sollevare in modo atraumatico la
membrana sinusale prima dell’in-
nesto del sostituto osseo prescelto:
queste tecniche, basate sul clivag-
gio e successivo scollamento della
membrana di Schneider mediante
iniezione di soluzione salina sterile
veicolata da un catetere in silicone,
utilizzano il principio dell’isotropia
della distribuzione della pressione
in un fluido (legge di Pascal) nonché
il fatto che la stessa possa essere fa-
cilmente modulata.
Inoltre, questo tipo di approccio
chirurgico contribuisce alla ridu-
zione della probabilità della lacera-
zione della membrana che potrebbe
conseguire all’inserimento imme-
diato di un biomateriale in forma
solida per via crestale15. L’innesto di
biomateriali in forma semi-fluida
o comunque pastosa può ulterior-
mente favorire il riempimento
omogeneo dello spazio al di sotto
della membrana sinusale, nonché
contribuire a ridurre il rischio di
perforazione della stessa16. Recente-
mente è stata introdotta in commer-
cio una pasta ossea ottenuta misce-
lando granuli corticali e spongiosi
e matrice ossea demineralizzata di
origine equina con un hydrogel po-
limerico riassorbibile che agisce da
carrier17. Il gel contiene inoltre una
modesta quantità di vitamina C che
agisce da modulatore della viscosi-
tà. L’impiego della componente gra-
nulare dell’innesto per l’esecuzione
di interventi di rialzo di seno ma-
scellare è già stata oggetto di studi
che ne hanno dimostrato sicurezza
ed efficacia18-22. La nuova pasta ossea
ha dimostrato, in vitro, di stimo-
lare l’espressione di noti fattori di
crescita modulanti la rigenerazione
ossea e, in vivo in modello animale,
di modulare la riorganizzazione del
tessuto durante la rigenerazione17.
Mentre il suo utilizzo in ambito cli-
nico è documentato nel riempimen-
to di alveoli post estrattivi al fine di
ottenere un’efficace ridge preserva-
tion23, il suo impiego negli interven-
ti di rialzo di seno mascellare non
è ancora, a conoscenza dell’autore,
stato riportato all’attenzione della
comunità clinica. Questo caso ne
descrive l’impiego in un intervento
di rialzo di seno per via crestale ove,
contestualmente all’innesto osseo,
si è proceduto al posizionamento di
impianti corti (< 8 mm).
Materiali e metodiCaso clinicoIl paziente (A/M, 60 anni) presen-
tava una marcata atrofia verticale
a carico dell’arcata superiore destra
in posizione 1.6 e 1.7 (Fig. 1). Un’atten-
ta valutazione del caso portava ad
escludere l’opportunità di eseguire
un intervento di rigenerazione os-
sea guidata (GBR) in senso vertica-
le; il paziente infatti presentava un
fornice quasi totalmente assente,
i piani anatomici completamente
sovvertiti per pregressi interven-
ti chirurgici nel primo quadrante,
una limitata apertura orale e, in
aggiunta, una scarsa compliance.
Al paziente è stato quindi proposto
Rialzo di seno per via crestale con una pasta ossea di nuova generazioneGiacomo Tarquini*
* Libero professionista, Roma, Italia.
Fig. 4 - Gestione dei tessuti molli perimplantari. Al fine di ottenere una gengiva aderente di opportuna ampiezza e spessore, dopo avere posizionato le viti di guari-gione, viene approntato un lembo a scivolamento apicale sotto il quale è innestata una matrice collagenica tridimensionale.
Fig. 2 - Creazione dei tunnel implantari e sollevamento della membrana sinusale. La posizione dei tunnel implantari è marcata sulla cresta vestibolare con l’aiuto di una dima radiografica; successivamente alla preparazione dei tunnel, si procede al sollevamento della membrana sinusale attraverso il sistema idropneumatico.
Fig. 1 - Aspetto clinico e radiografico dell’arcata superiore destra del paziente alla prima visita. La zona corrispondente agli elementi 1.6 e 1.7 presente una grave atrofia ossea verticale.
Fig. 3 - Innesto osseo e posizionamento degli impianti. La pasta ossea viene estrusa dalla siringa direttamente nei tunnel implantari; per favorire il riempimento dello spazio al di sotto della membrana, l’innesto è eseguito mediante apporti consecu-tivi di ridotta entità e, al termine, con l’ausilio di inserti tipo Rotary Plugger. Segue il posizionamento degli impianti e la sutura.
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1995
1998
2000
2004
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2011
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2013
2014
2015 20162017
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un piano di riabilitazione impianto-
protesica basato sull’inserimento di
due impianti in associazione ad una
tecnica idropneumatica di rialzo
del seno mascellare per via crestale
su siti multipli, eseguito attraverso
l’innesto della pasta ossea prece-
dentemente descritta.
Procedura chirurgicaIl paziente è stato sottoposto ad
igiene orale completa una settima-
na prima dell’intervento. Un’ora
prima dell’intervento è iniziata la
profilassi antibiotica (amoxicilli-
na/acido clavulanico, Augmentin,
Glaxo-SmithKline, Verona, Italia, 2 g
1 ora prima della chirurgia e poi 1 g
ogni 12 ore per 6 giorni). Al paziente
sono stati inoltre fatti eseguire degli
sciacqui con clorexidina allo 0,2%
(Corsodyl, Glaxo-SmithKline) da
proseguire per due settimane dopo
l’intervento in ragione di 1 sciacquo
ogni 8 ore. Per la terapia antalgica è
stato prescritto del ketoprofene gra-
nulare 80 mg (Oki, Dompé, L’Aquila,
Italia) da assumersi 1 ora prima del-
la seduta operatoria e da proseguire
secondo necessità, in quantità non
superiore a una bustina ogni otto
ore per sette giorni.
L’area di intervento è stata ane-
stetizzata utilizzando articaina
cloridrato 40 mg con adrenalina
1:100000. Si è proceduto quindi a
sollevare un lembo trapezoidale a
tutto spessore mediante un’incisio-
ne crestale anticipata palatalmente.
Dopo avere posizionato una dima
radiologica, appositamente fabbri-
cata, si è proceduto a marcare i siti
implantari sulla corticale ossea in
corrispondenza dei reperi metallici,
e a preparare i tunnel implantari per
mezzo del sistema “Crestal Approach
Sinus Kit” (BetaPharm, Via Brigata
Berto 10 - 16030 Cogorno - Italia).
Da notare che l’altezza ossea re-
sidua (Residual Bone Height o RBH)
inferiormente al seno mascellare
variava tra i 3,66 mm e i 2,84 mm.
Il clivaggio e sollevamento della
membrana sinusale sono stati ese-
guiti utilizzando l’inserto atrau-
matico dedicato “Hydro Membrane
Lift” (Fig. 2). L’innesto della pasta
ossea (ACT-MLD010, Activabone
Mouldable Paste, Bioteck S.p.A., Vi-
cenza, Italia) è stato eseguito estru-
dendola dalla siringa direttamente
nei tunnel implantari, mediante
apporti consecutivi di piccola en-
tità; l’espansione e la compattazio-
ne del biomateriale all’interno del
sito di innesto sono state ottenute
utilizzando un inserto denomina-
to Rotary Plugger, sempre incluso
nel “Crestal Approach Sinus Kit”
(BetaPharm, Via Brigata Berto 10 -
16030 Cogorno - Italia). Sono stati
quindi posizionati due impianti di
dimensione 4,5 x 7 mm (Shinhung
Luna, BetaPharm, Via Brigata Berto
10 - 16030 Cogorno - Italia), e i lembi
sono stati suturati utilizzando una
sutura non riassorbibile in polie-
stere 4-0 (Ethibond Excel, Ethicon
Italia, Via del Mare, 46, 00040 Po-
mezia, Italia) (Fig. 3). Pur senza sotto-
preparazione e nonostante il ridotto
spessore della cresta residua, è stato
registrato un torque di inserimento
soddisfacente per entrambi gli im-
pianti (45 e 55 Ncm rispettivamen-
te per l’impianto mesiale e distale).
La radiografia endorale di controllo
acquisita al termine della chirurgia
mostrava entrambi gli impianti cir-
condati dal materiale di innesto an-
che in posizione apicale.
La sutura è stata rimossa 10 gior-
ni dopo. A distanza di sei mesi, gli
impianti sono stati scoperti e si è
proceduto alla gestione dei tessuti
molli perimplantari al fine di ot-
tenere una banda di gengiva ade-
rente adeguata sia in ampiezza che
in spessore. A questo fine, oltre a
posizionare le viti di guarigione, è
stato pianificato un lembo a scivo-
lamento apicale (Fig. 4), sotto il qua-
le, per aumentare ulteriormente lo
spessore del tessuto cheratinizzato,
è stata innestata una matrice colla-
genica tridimensionale (BCG-XC50,
Xenomatrix, Bioteck S.p.A., Vicenza,
Italia), già impiegata con successo
per il trattamento delle recessioni
gengivali24. Il lembo è stato quindi
suturato con punti staccati e si è ac-
quisita una ulteriore radiografia en-
dorale di controllo. Per la successiva
riabilitazione protesica il paziente è
stato rinviato al collega che lo ave-
va riferito. Al controllo a 6 mesi la
protesi era funzionale e gli impianti
osteointegrati, senza segno di rias-
sorbimento osseo perimplantare. Il
paziente si dichiarava soddisfatto
del risultato dell’intervento.
Discussione e conclusioniIl caso presentato illustra come la
riabilitazione dei mascellari po-
steriori atrofici richieda un’attenta
pianificazione e scelte razionali in
merito alla tecnica chirurgica da
adottare, alle dimensioni e macro-
morfologia degli impianti da uti-
lizzare e, nel caso di concomitanti
interventi di rigenerazione ossea, ai
materiali da innesto da impiegare.
Nel caso illustrato, nonostante lo
spessore (RBH) estremamente ri-
dotto della cresta ossea residua, è
stato comunque possibile posizio-
nare due impianti osseointegrati
con sufficiente stabilità primaria
iniziale che durante la guarigione
hanno permesso di soddisfare le
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20 Implant Tribune Italian Edition - Marzo 2018Speciale Regeneration
SR
Il CGF è un preparato piastrinico ap-
partenete alla famiglia dei PRF, ov-
vero i preparati piastrinici a matrice
“solida” che concentra in un piccolo
volume costituito da una densa rete
di fibrina, alcuni fattori di crescita,
piastrine e leucociti. Negli anni re-
centi il CGF ha avuto diverse appli-
cazioni sia in modelli sperimentali
animali sia in ambito clinico odon-
toiatrico, chirurgico e ortopedico;
in questa breve trattazione tuttavia
ci focalizzeremo sugli aspetti biolo-
gici del preparato.
Il CGF è ottenuto dal sangue veno-
so periferico attraverso uno specifico
protocollo di preparazione. Tramite
un semplice prelievo venoso, viene
raccolto in una provetta di vetro da
9 ml. Le provette (generalmente 4)
vengono sottoposte a un particolare
protocollo di centrifugazione tra-
mite uno specifico rotore. Dopo la
centrifugazione si osserva una stra-
tificazione del prodotto: uno strato
superiore, che rappresenta la fase
liquida del plasma, denominata pla-
sma povero di piastrine (PPP - Plate-
let Poor Plasma); uno strato inferiore,
costituito principalmente da eritro-
citi (RBC - Red Blood Cells); uno strato
intermedio, denso e gelatinoso, che
rappresenta il CGF vero e proprio e
che grazie alla sua densità può svol-
gere la funzione di scaffold.
Il CGF e l’RBC che è in continu-
ità con esso, vengono facilmente
estratti dalla provetta utilizzando
una pinzetta, o meglio rovesciando
la provetta su un apposito cestello e
quindi separati all’inizio della parte
rossa. Nel CGF così isolato si possono
così riconoscere tre parti: una parte
bianca, di colore giallo paglierino;
una rossa che rappresenta la parte
superiore dell’RBC. Quella bianca
del CGF è costituita da una rete di
fibrina contenente plasma, il quale,
se il preparato viene disteso su una
superficie, tende spontaneamente a
fuoriuscire. La parte rossa del CGF è
costituita principalmente da eritro-
citi. Nell’interfaccia, ritroviamo nu-
merose piastrine e diversi leucociti.
Le piastrine sono le principali re-
sponsabili del rilascio di fattori di cre-
scita. Queste molecole vengono infat-
ti liberate prevalentemente a seguito
dell’attivazione e della conseguente
degranulazione piastrinica. Ne sono
esempi il fattore di crescita derivato
dalle piastrine (PDGF), quello dell’en-
dotelio vascolare (VEGF), il fattore di
crescita insulino-simile (IGF), quello
di crescita trasformante (TGF), il fatto-
re di necrosi tumorale (TNF), quello di
crescita cerebrale (BDNF) e le proteine
morfogenetiche dell’osso (BMP).
Alcuni di essi, come TNF-α e
BDNF, hanno un rilascio rapido e rag-
giungono il massimo accumulo già
dopo un giorno; altri, come VEGF e
BMP-2, ne hanno uno più lento e rag-
giungono il massimo accumulo dopo
6-8 giorni; altri ancora, come PGF-AB,
TGF-β1 e IGF-1 hanno un rilascio ap-
parentemente costante. Questo fatto
è probabilmente dovuto sia una di-
versa quantità di fattori di crescita
presente negli alfa-granuli sia ad un
diverso accumulo di mRNA nelle
piastrine responsabile della sintesi di
crescita fino a oltre 7 giorni dopo l’at-
tivazione. Il rilascio di alcuni fattori
di crescita quali le BMP sembra inol-
tre essere influenzato dalla presenza
contemporanea di biomateriali quali
il fosfato tricalcico.
L’utilizzo del CGF in un sistema
in vitro di colture cellulari umane
ha evidenziato una positiva influen-
za sull’attivazione cellulare atta a
promuovere la proliferazione di fi-
broblasti, osteoblasti e cellule endo-
teliali paragonabili alle condizioni
ottimali di coltura con il medium ad
hoc. Recenti nostri studi evidenzia-
no inoltre un effetto sinergico posi-
tivo del CGF e dell’acido ortosilicico
aggiunto alla coltura cellulare.
Il CGF possiede dimostrate pro-
prietà biologiche in vitro; è tuttavia
un prodotto molto complesso dove
le variabili in gioco sono numero-
se coinvolgendo sia altri aspetti del
preparato oltre alle piastrine, sia per
le sue interazioni con altri biomate-
riali e con molecole esogene.
Luigi Rodella
Concentrate Growth Factors (CGF), un preparato dalle varie applicazioni anche odontoiatriche
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bibliografia
necessità funzionali del paziente,
e ne hanno permesso la riabilita-
zione finale. Il successo di questo
intervento è dovuto, a giudizio
dell’autore, alla combinazione
di più fattori, ovvero, alla scelta
di eseguire il sollevamento della
membrana sinusale per via idrop-
neumatica, all’utilizzo di impianti
che, sebbene di ridotte dimensioni,
hanno permesso l’ottenimento di
un’adeguata stabilità primaria, e
all’impiego di un biomateriale da
innesto osseo ottimale, per carat-
teristiche biologiche e reologiche,
per l’esecuzione del tipo di inter-
vento pianificato. A questo riguar-
do, mentre l’efficacia clinica della
componente granulare contenuta
nella pasta ossea utilizzata è nota
da tempo, come detto in introdu-
zione, l’autore ha potuto apprez-
zarne, nel contesto di questo inter-
vento, la facilità di impiego. Grazie
alla sua consistenza, la pasta ossea
è risultata facilmente estrudibile
all’interno dei siti di innesto, per-
mettendo di conseguire un riempi-
mento soddisfacente dello spazio
al di sotto della membrana, come
dimostrato dalla sequenza tempo-
rale delle radiografie di controllo.
L’innesto di biomateriale per via
crestale attraverso siti adiacenti
può favorire, attraverso la presenza
della pressione idrostatica intrasi-
nusale, la coalescenza del materiale
di innesto25; la consistenza pastosa
del materiale utilizzato in questo
studio potrebbe favorire questo
fenomeno, e potrebbe farne un in-
nesto ideale per la conduzione di
appositi studi al riguardo.
< pagina 19
21Speciale RegenerationImplant Tribune Italian Edition - Marzo 2018
SR
Per anni si sono utilizzate mem-
brane in PTFE (con e senza rinforzo
in titanio) associate a vari tipi di
materiale da innesto con risultati
incoraggianti ma anche con le note
difficoltà in caso di esposizione.
La tendenza si è poi spostata verso
materiali riassorbibili sintetici ma
anche in questo caso con risultati
altalenanti vista la scarsa capacità
di questi materiali di mantenere il
volume. Nell’ultimo decennio è sta-
to introdotto un nuovo materiale
eterologo, la lamina corticale, che
sfrutta la rigidità ma anche l’ela-
sticità dell’osso stesso, ed essendo
collagenata, si integra con l’osso cir-
costante e viene a sua volta gradual-
mente sostituita con osso corticale
neo-formato.
In questo articolo metteremo in
evidenza la capacità di questo bio-
materiale di integrarsi e fornire, in
associazione con particolato osseo
eterologo collagenato, un incremen-
to volumetrico tridimensionale tale
da favorire l’inserzione di impianti
anche in siti particolarmente com-
promessi. La qualità oltre che la
quantità di osso rigenerato coniu-
gate all’uso di appropriati impianti
con superficie e geometria perfor-
mante, consentono poi una efficace
soluzione all’edentulismo e il man-
tenimento dei volumi nel tempo.
IntroduzioneLa ricostruzione dei difetti schele-
trici nel distretto facciale ha sempre
rappresentato una scommessa per la
comunità scientifica internazionale.
Negli anni 60 la scuola di Loma Linda
ed il prof. Boyne avevano a che fare
con soldati rientrati dalle guerre con
lesioni spesso molto significative nel
distretto maxillo facciale1. Solamente
negli anni novanta la scuola svedese
ha introdotto prima il concetto di
rigenerazione tissutale guidata e poi
quello di rigenerazione ossea. Questa
procedura prevedeva l’isolamento
dei diversi gruppi di cellule per favo-
rire la ripopolazione della ferita con le
cellule responsabili della rigenerazio-
ne e veniva effettuato con membra-
ne in PTFE2, 3. Queste membrane per
molti anni sono state l’unica opzione
terapeutica disponibile e nel corso dei
decenni si sono apprezzate le loro doti
positive ma sono emerse anche tutte
le complicazioni legate al loro utiliz-
zo4. La moderna ricerca è indirizzata
verso la semplificazione dei protocol-
li e l’uso di materiali che non richie-
dano particolari capacità chirurgiche.
Senza dubbio un materiale che si sta
affermando per la sua versatilità e
semplicità d’uso è la lamina corticale,
un prodotto di natura eterologa trat-
tato in modo da preservare il collage-
ne e che ha capacità biomimetiche e
di supporto sia per i tessuti duri che
per quelli molli. La lamina è costitu-
ta da osso corticale di origine suina,
ma mantiene tutte le caratteristiche,
elasticità, rigidità bio compatibilità
che potrebbe avere l’osso autologo
corticale pur non richiedendo un ben
più traumatico prelievo dal paziente.
Nell’ultimo decennio la comunità
scientifica ha pubblicato numerosi
articoli sull’argomento e questo rap-
presenta un ennesima testimonianza
della sua efficacia.
Caso clinicoUna paziente di 35 anni si presentò
alla nostra attenzione per risolvere
un edentulismo parziale nella zona
mandibolare inferiore sinistra conse-
guente all’estrazione traumatica degli
elementi 35 e 36 in età scolare (Fig. 1).
La paziente all’esame obbiettivo
dimostrava un ottima igiene orale
con un indice di placca del 7% e un
indice di sanguinamento del 5%.
L’esame clinico della zona trauma-
tizzata evidenziava una lesione di
terza classe di Seibert6 laddove il de-
ficit osseo era caratterizzato da una
deficienza nei tessuti duri e molli
sia in senso orizzontale che in sen-
so verticale. Risultava significativa
anche la scarsa quantità di gengiva
cheratinizzata a ricoprire la cresta
residua, quantificabile in una banda
larga non più di 2 mm (Fig. 2).
Una volta eseguita la terapia cau-
sale atta a rimuovere il biofilm pre-
sente e a preparare la paziente per
l’intervento, si procedette a esegui-
re un esame Cone Beam per appro-
fondire la conoscenza dell’anatomia
locale e procedere con un piano di
trattamento adeguato alla soluzio-
ne di questa problematica.
La sezione panoramica mise in
evidenza la prossimità della cresta
residua con il canale mandibola-
re (Figg. 3-4), e nei tagli sagittali si
poté misurare come in prossimità
delle due zone ove sarebbe stato
interessante inserire gli impianti
(primo premolare e primo molare)
i volumi ossei residui non ne con-
sentivano il posizionamento.
Nel sito ove si voleva posizionare
il primo premolare la distanza tra
la cresta ossea e il tetto del canale
mandibolare era di 5 mm, inoltre
lo spessore della corticale sia ve-
stibolare che linguale era ben rap-
presentato occupando 4 dei 5 mm
disponibili per un eventuale sito
implantare, inoltre il forame men-
toniero si apriva proprio in corri-
spondenza di questo sito creando
un ulteriore limitazione anatomica.
Il sito più posteriore mostrava
un ulteriore restringimento in sen-
so sagittale e questo rendeva la clea-
rance verticale 4 mm mentre anche
in questo caso le corticali vestibola-
re e linguale occupavano la grande
maggioranza dello spazio dispo-
nibile limitando il volume osseo
disponibile a una quantità insuffi-
ciente a ricevere un impianto.
La progettazione chirurgica e
protesica del caso prevedeva un in-
tervento con tentativo di ampliare
la cresta ossea residua sia in senso
orizzontale (almeno a 6/7 mm) che
verticale (3/4 mm) per poter acco-
modare in completa sicurezza im-
pianti della lunghezza di 8.5 mm. In
questo caso si decise di optare per
un materiale che offrisse la possi-
bilità di ricostruire il volume nelle
due dimensioni dello spazio e ri-
chiedesse una sola fase chirurgica,
la lamina corticale7-11 (Figg. 7-11).
La lamina corticale è una mem-
brana semirigida di osso corticale
suino collagenato (Lamina Oste-
oBiol, Tecnoss, Giaveno, Italy) che
offre nello stesso tempo rigidità e
parziale flessibilità, stabilizzandosi
con l’anatomia locale e favorendo
la neoformazione ossa nello spazio
che si viene a creare al di sotto di
essa12 (Figg. 5, 6).
In questo caso dopo aver som-
ministrato alla paziente anestesia
locale con Articaina 1:200.000 i
due lembi vestibolare e linguale
venivano sollevati con scollamen-
to a tutto spessore dopo aver effet-
tuato con lama 15c un incisione a
mezza cresta.
L’anatomia evidenziava quanto
già visto nelle sezioni della CBCT,
cioè una cresta assottigliata e appun-
tita con grave deiescenza vestibolare.
La lamina corticale curva di spessore
di 1 mm e lunghezza di 35 mm venne
estratta dalla sua confezione sterile e
modellata per adattarsi e stabilizzar-
si alla zona interessata. La stessa ven-
ne tagliata e modellata in maniera
tale da ingrandire in spessore e altez-
za la zona interessata ma nel rispetto
dell’anatomia locale, perciò creando
un incisione a “V” nella zona vestibo-
lare che, da una parte consentisse al
nervo alveolare inferiore di emerge-
re, dall’altra di appoggiare la lamina
al gradino creato dal nervo nella sua
emergenza per migliorare la stabilità
della lamina stessa.
Soluzione di una grave atrofia ossea, orizzontale e verticale, mediante la tecnica della lamina corticaleRoberto Rossi DDS MScD*, Marco Perata DDS**
* Studio Privato a Genova** Studio Privato a Savona
< pagina 1
Fig. 1.
Figg. 5-6.
Fig. 6
Fig. 5
Fig. 2.
Fig. 3. Fig. 4. > pagina 22
22 Implant Tribune Italian Edition - Marzo 2018Speciale Regeneration
SR
nota l’ottimo aspetto dei tessuti
peri-implantari con una adeguata
quantità e qualità di gengiva chera-
tinizzata e le susseguenti corone in
metallo ceramica successivamente
cementate su due perni moncone
in titanio fresati in laboratorio.
Nelle foto successive si possono
evidenziare le differenze dalla si-
tuazione iniziale (Fig. 17) a quella
finale, in questo caso una foto di
follow up a 48 mesi dalla finaliz-
zazione del caso (Fig. 18). La rx a
quattro anni dalla finalizzazione
protesica evidenzia una situazione
di perfetta stabilità, una cresta os-
sea ben mineralizzata ed un livello
osseo inalterato dal momento della
consegna del manufatto protesico
definitivo (Fig. 19).
ConclusioniIn questo specifico caso si è dimo-
strato come la lamina corticale rap-
presenti una valida opzione tera-
peutica anche in situazioni cliniche
particolarmente critiche.
Evidenze istologiche e follow
up di oltre 8 anni dimostrano la
stabilità dei risultati ottenuti con
questa tecnica che rappresenta si-
curamente una delle opzioni più
affidabili e predicibili per il pre-
sente e il futuro delle ricostruzioni
ossee complesse.
Sulla cresta ossea deiescente ven-
nero eseguite perforazioni con una
fresa a lancia per stimolare sangui-
namento e compartecipazione delle
cellule del midollo osseo nella colo-
nizzazione dell’innesto osseo (Figg.
7, 8). Come materiale da innesto in
questo caso venne utilizzato osso
autologo raccolto nella parte palata-
le con un grattino, associato a parti-
colato eterologo collagenato Gen-Os
(OsteoBiol, Tecnoss, Giaveno, Italy)
idratato con il coagulo del paziente14.
Questo agglomerato genera una
base sulla quale la lamina corticale
rappresenta il “coperchio” di prote-
zione che favorisce la rigenerazione
ossea, una volta inserita la lamina
in posizione, l’aspetto della nuova
cresta ossea si presenta incrementa-
to fino a 8-9 mm. (Fig. 9).
L’intervento viene completato
con la perfetta chiusura dei lembi
dopo che gli stessi sono stati rila-
sciati grazie a un’incisione orizzon-
tale a livello del muscolo che ne
consente l’allungamento. La passi-
vazione del lembo è un aspetto mol-
to importante di questa procedura
perché deve garantire da una parte
la perfetta chiusura e sigillo al di so-
pra della lamina, dall’altra mante-
nere una leggerissima tensione tale
da mantenere la lamina ferma nella
posizione in cui è stata stabilizzata
all’anatomia locale. Il protocollo
prevede di suturare inizialmente le
due papille mesiali e distali con un
doppio punto, e poi, una volta sta-
bilizzati gli estremi ci si cura di an-
corare la parte centrale della lamina
con una sutura da materassaio oriz-
zontale che ha una doppia funzione:
stabilizzare la lamina schiacciando-
la e facendola aderire intimamente
con la cresta e l’innesto sottostante,
e nel contempo riposizionare i due
lembi in senso coronale.
Questo faciliterà poi la chiusura
finale dei tessuti nella porzione cre-
stale, che potrà avvenire, a seconda
del caso con semplici punti staccati
oppure con una sutura continua
bloccante (Fig. 10).
Nelle figure 11 e 12 si può ben os-
servare la dislocazione tridimensio-
nale dei tessuti e le variazioni volu-
metriche prima e dopo l’intervento.
A sei mesi dall’intervento chirur-
gico la paziente venne sottoposta
ad una nuova CBCT di controllo e
questa evidenziò come i volumi sta-
vano cambiando e l’osso innestato
si stava mineralizzando al di sotto
della lamina corticale, in bianco si
nota la variazione volumetrica ri-
spetto a quella che era la condizione
iniziale (in blu) (Fig. 13).
A dodici mesi dal primo inter-
vento si decise di intervenire per in-
serire nella zona due impianti come
da progetto iniziale, dopo aver ane-
stetizzato la paziente con Articaina
1:200.000 una nuova incisione a
mezza cresta permettè di scosta-
re i lembi vestibolari e linguali per
esporre la nuova cresta ossea ora
con uno spessore di 8 mm nella par-
te posteriore e 6 mm nella porzione
più anteriore. Questo consentì il po-
sizionamento di due impianti a vite
Bredent uno di diametro 4.5 x 8,5
mm di lunghezza (nel sito del mola-
re) e uno di diametro 4 x 8,5 mm di
lunghezza nel sito del secondo pre-
molare13 (Figg. 14, 15).
Nella rx si vedono i due impian-
ti con le viti di guarigione ad inte-
grazione avvenuta. In figura 16 si
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bibliografia
< pagina 21
Figg. 7-10.
Fig. 13.
Fig. 16.
Fig. 11.
Fig. 17.
Fig. 19.
Fig. 14.
Fig. 15.
Fig. 12.
Fig. 18.
Fig. 7
Fig. 9
Fig. 8
Fig. 10