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1 Prima edizione E-book: Dicembre 2011 ISBN: 9788863696837-PDF Narcissus Self-publishing DRM Free (Watermark) Data di pubblicazione:14/02/2012 Questo eboo

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Prima edizione E-book: Dicembre 2011 ISBN: 9788863696837-PDF

Narcissus Self-publishing DRM Free (Watermark)

Data di pubblicazione:14/02/2012

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INDICE DEI CONTENUTI

Prefazione

CAPITOLO 1

Primi passi: dall’italiano all’inglese pag. 8

senza soffrire troppo

Perché questo testo?

L’inglese: come, perché e soprattutto... perché no?

Imparare una nuova lingua:

metodologie, contesto generale e punti di riferimento

Che inglese vogliamo imparare?

Alcuni riferimenti internazionali:

il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (CEFR)

e gli esami Trinity GESE

La storia insegna:

l’albero genealogico dell’inglese

L’A, B, C…

Cerchiamo di capire meglio con cosa abbiamo a che fare

Prima di proseguire oltre...

un piccolo glossario di termini utili!

CAPITOLO 2

Fuoco alle polveri! pag. 37

I pronomi soggetto

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Il verbo

Il Simple Present: significato

Morfologia: la strada del verbo essere

Aggettivi di nazionalità

Question words

Aggettivi possessivi

Personal information

Numeri cardinali

Greetings – Forme di saluto

There is / there are

Colours

Da non dimenticare…

Tips (consigli)

CAPITOLO 3

Parole, parole, parole… pag. 100

e qualche nuovo verbo!

Le parole che non vi ho detto…

I sostantivi

Le maiuscole

Il plurale

Sostantivi numerabili e non numerabili

Sostantivi collettivi

Gli aggettivi (e simili…)

Posizione degli aggettivi/attributi di un nome

Nomi composti

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L’ordine degli attributi

Elementi determinativi

Gli articoli

THE (il, lo, la, i, gli, le)

A / AN (un, uno, una)

I dimostrativi (this/that/these/those)

Simple Present dei verbi diversi da essere

Daily routine: vocabolario

Il modo imperativo dei verbi

TRINITY GESE GRADE 1

Quello che serve per passare l’esame pag. 138

L’esame: come e perchè

Animali

Parti del viso e del corpo

Capi d’abbigliamento

Oggetti di uso comune nell’ambiente che ci circonda

Come si svolgerà l’esame

Siti utili

Ringraziamenti

L’autrice

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Prefazione

Forza e coraggio!

Sebbene sia ormai di moda, molti pensano che imparare una lingua straniera in

realtà equivalga ad una vera impresa... ma posso garantire che non è poi così dura e la

maggior parte delle volte il gioco vale la candela. Per essere sicuri di partire col piede

giusto e tenere alto il morale ci sono alcune considerazioni che ci conviene fare prima di

accettare la sfida. In primo luogo è dimostrato che conoscere più di una lingua oltre alla

propria lingua madre (dialetti compresi) facilita l’apprendimento. Se abbiamo già faticato

per imparare una lingua seconda, la prossima volta che ci troveremo a dover imparare un

linguaggio sarà tutta in discesa! E diciamocelo, chi di noi non mastica qualche parola di

dialetto? Chi non ha studiacchiato i rudimenti dell’inglese o del francese a scuola? Per

capirci, prendiamo l’esempio di un’auto e di un qualsiasi ciclomotore a marce. Chi ha già

guidato in strada la propria vespa farà meno fatica ad abituarsi all’auto, perché i

meccanismi e le strategie di base sono simili. Chi non ha mai nemmeno guidato una

bicicletta o uno scooter sarà invece alle prese con una realtà completamente nuova: dovrà

imparare il codice della strada, imparare a valutare gli spazi e le velocità dei mezzi in

movimento, infine dovrà prendere confidenza con il traffico e con un voluminoso mezzo di

trasporto. Forse non ci sembrerà di fare meno fatica, perché la sfida è comunque

impegnativa e apparentemente nuova, ma perfino i nostri dialetti in realtà ci danno una

marcia in più!

Nonostante tanti possano già godere di questo vantaggio linguistico, è comunque

necessario applicarsi per ottenere buoni risultati. Imparare una lingua è un po’ come

avvicinarsi ad un nuovo sport o ad un nuovo gioco di carte. Ogni pratica ha le sue regole;

sebbene due giochi possano sembrare simili, come per esempio la pallavolo e la pallamano,

oppure possano utilizzare le medesime carte, come il ramino ed il bridge, le regole da

seguire per vincere la partita sono differenti. Chi pretende di giocare una partita di pallavolo

applicando le regole della pallamano non potrà mai vincere. Allo stesso modo non ci si può

avvicinare all’inglese seguendo le regole dell’italiano, sebbene l’alfabeto sia più o meno lo

stesso e tante parole siano simili (immaginate di dover imparare il russo, che ha addirittura

un alfabeto completamente diverso!). In realtà è meglio pensare all’inglese come ad un

nuovo gioco di cui non si conoscono le regole. Solo in questo modo, senza lasciarci

influenzare troppo dalla nostra prima lingua, potremo diventare dei buoni giocatori ed

ottenere risultati soddisfacenti. Non dimentichiamo poi che i migliori giocatori sono

generalmente coloro che hanno molta esperienza e quindi si allenano spesso, facendo

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quanta più pratica possibile. E' molto importante coltivare la propria determinazione ed

esporsi il più possibile all’inglese! Leggere, ascoltare, completare esercizi... tutto questo è

fondamentale.

Al giorno d’oggi è piuttosto facile trovare materiale per fare pratica: la tv a

pagamento offre innumerevoli canali e programmi che possono essere visti in lingua

originale, internet è una fonte inesauribile di file video, audio e di esercitazioni; le librerie,

infine, sono piene zeppe di testi propedeutici. In questo panorama variopinto gli insegnanti

fungono da guida, indicando la direzione da seguire ed aiutando gli studenti a scegliere il

materiale più appropriato per il proprio livello. Questa grande varietà di stimoli è una vera

ricchezza! Fortunatamente stiamo parlando di apprendere una lingua e le lingue sono fatte

per descrivere ogni aspetto della vita, sia a livello umano che sociale. Questo significa che

con ogni probabilità qualcuno ha prodotto materiale in lingua inglese che riguarda proprio il

campo di studio che ci è più congeniale. Se la nostra passione è il calcio allora sarà molto

più facile e stimolante cercare di leggere un articolo sportivo piuttosto che un trattato di

grammatica. E allora perché non tentare di leggerlo in inglese? All’inizio può essere

impegnativo, perché quando ci si misura con le basi di una lingua gli strumenti a

disposizione sono limitati e così anche gli argomenti che si possono affrontare. Eppure un

margine di scelta c’è sempre, anche quando si è solo agli inizi... basta non perdersi

d’animo. Per l’inglese poi, una lingua parlata e insegnata da tantissime persone, c’è una

grande abbondanza di materiale semplificato e adatto ad ogni livello.

Questa missione linguistica, quindi, non è affatto impossibile! Non è nemmeno una

passeggiata, ma ci sono tanti fattori che giocano a nostro favore. Basta un poco d’interesse,

impegno e buona volontà per ottenere ottimi risultati. Insomma, se siete pronti a mettervi (o

rimettervi) in gioco, vi aspetto nelle prossime pagine… Cominceremo con un capitolo

discorsivo che ci farà riflettere sul nostro trascorso scolastico e linguistico, affrontando le

problematiche che potremmo avere già incontrato o che forse incontreremo in futuro.

Qualche riferimento normativo, alcune considerazioni riguardo alle metodologie

d’apprendimento più diffuse e poi via verso l’inglese, partendo dallo spelling e

dall’alfabeto. Con i capitoli successivi ci addentreremo sempre più nella grammatica/lingua

anglosassone, grazie a spiegazioni approfondite e semplici esercizi di comunicazione

completi di analisi e soluzioni. Niente paura: non sarà una traversata difficile e non

perderemo mai di vista la luce in fondo al tunnel, ossia il nostro scopo principale:

cominciare seriamente a capirci qualcosa!

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Perchè questo testo?

Il desiderio di scrivere per insegnare mi è venuto in seguito al confronto con tanti

studenti, di diverse età. Come insegnante, il mio cuore va a tutti coloro che hanno sempre

faticato con l’inglese, spesso per ragioni che non dipendono interamente da loro. Per alcuni

tornare a studiare è un pensiero sconsolante, perché i tempi della scuola sono ormai lontani.

Per altri semplicemente non si presenta l’occasione giusta. In effetti c’è una vasta categoria

di persone là fuori che vorrebbe sapere un po’ d’inglese, magari tenta qualche approccio

alla materia e poi lascia perdere. Non è mai il momento opportuno, oppure non ci si sente

sufficientemente motivati per dedicare tempo e soldi ad un progetto apparentemente

impegnativo. Tra coloro che tentano ci sono molte persone che s’incagliano alle prime fasi

dell’apprendimento, perdendo motivazione e compromettendo le proprie possibilità di

riuscita. Vi sentite tirati in causa? Ebbene, come si fa a raggiungervi tutti e realizzare il

vostro potenziale? In realtà basta poco. Un buon paio di scarpe, uno zaino pieno di

provviste e sarete, anzi saremo pronti per affrontare il cammino senza rischiare di

scoraggiarci. Una volta rotto il ghiaccio sarà tutto più facile; per scegliere con entusiasmo

una scuola, un gruppo e un percorso basta raggiungere la riva anglosassone e toccare terra.

Compiuto il primo, lungo passo sarete sicuramente in grado di trovare la vostra strada…. la

chiave di volta infatti è la comprensione, che nell’apprendimento linguistico precede

sempre la produzione: quando vi renderete conto di capire sarete già a metà dell’opera.

Basteranno infatti tempo e costanza per riuscire ad utilizzare in prima persona tutte le

espressioni che sarete già in grado di comprendere e riconoscere!

La mia intenzione è proprio quella di fornire uno strumento di facile consultazione

per tutti coloro che vorrebbero compiere quel primo passo, colmando il vuoto che li separa

dal comprendere, imparare ed apprezzare l’inglese. Mi rivolgo quindi a tutti voi, che siete

rimasti a guardare dall’altra sponda, e vi offro un passaggio amichevole al di là della

Manica. Non ho la bacchetta magica e non sono un’enciclopedia vivente, quindi non posso

garantirvi una riuscita perfetta... ma posso condividere quello che so ed il frutto delle mie

esperienze in classe, nella ferma convinzione che a qualcosa serviranno di certo. In effetti

insegnare è un bellissimo mestiere, quasi una missione, e se le cose vanno per il verso

giusto chi impara di più è spesso l’insegnante. La parte più interessante dell’intero processo

è proprio lo studente, maestro inconsapevole e prezioso. Giovane o maturo, estremamente

competente o appena agli inizi, lo studente è sempre un mondo da scoprire. Bisogna capire

quanto e cosa sa, fino a che punto è cosciente delle proprie capacità o competenze acquisite

e soprattutto cosa pensa dell’inglese. Queste domande sono importanti; nell’affrontare un Questo ebook appartiene a\nGiuseppe Ferrari CLI_20120040024011

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percorso di studio autonomo come quello che ci aspetta conoscersi bene è di grande aiuto,

soprattutto per imparare a lavorare al meglio con se stessi. Per alcuni è tutto semplice e

divertente, per altri esattamente il contrario. Un insegnante poco azzeccato, una classe

appesantita dalla presenza di studenti con abilità troppo diverse, una piccola difficoltà

iniziale mai guarita… basta poco per metterci i bastoni tra le ruote. Ognuno reagisce alle

situazioni spiacevoli a seconda della propria personalità: alcuni vivono l’ostacolo come una

sfida e si applicano duramente, altri si chiudono in se stessi o cedono le armi, sentenziando

di non essere portati per le lingue o addirittura di averle odiate fin dal principio. E voi, che

studenti siete? Come avete reagito all’inglese finora?

In realtà imparare una lingua straniera è un percorso di crescita e di apertura

mentale, uno slancio verso nuove forme e nuovi modi di pensare. Questa bella frase è molto

più concreta di quanto sembra: pensare in inglese, parlare inglese, attiva dei percorsi

neuronali nell’area linguistica del cervello che sono completamente diversi da quelli

tipicamente italiani! E’ come se il nostro cervello fosse un bosco di ramificazioni neuronali

ed ogni lingua disegnasse nuovi sentieri al suo interno. In un certo senso l’inglese ci porta

quindi ad esplorare nuove prospettive e a sondare noi stessi. Sembra una banalità e quelli

tra voi che hanno rinunciato all’apprendimento (o che lottano anno dopo anno

accontentandosi della sufficienza) inarcheranno a questo punto le sopracciglia, pensando di

aver già sentito questa bella favola, che non si è mai tradotta in realtà. Ebbene, io e questo

testo siamo qui per rendervi l’inglese facilmente accessibile, offrendo una rampa di lancio

verso nuove prospettive; spero sarò in grado di convincere tutti voi, a volte scettici e

sfiduciati, a fare un tentativo… a concedere alle lingue straniere, e in particolare all’inglese,

un’altra chance.

Prima di entrare nel vivo ci tengo a precisare che questo libro non ha nessuna

pretesa di onniscenza. Il frutto delle mie riflessioni ed esperienze vuole essere condiviso

con un po’ di leggerezza, senza per forza essere esaustivo, definitivo e soprattutto

scientifico. Ho spesso generalizzato di proposito, ripetendo varie volte alcuni concetti, nel

tentativo di semplificare la vita ai non addetti ai lavori che non hanno ancora avuto

occasione di fare amicizia con l’inglese. Qualche competenza è stata messa in campo (a

volte entrando nel dettaglio, per cercare di essere precisi) ma i contenuti del libro si basano

sulle mie conoscenze, che sono e mi auguro saranno sempre in continuo miglioramento. Io

stessa in realtà sono uno studente ed intendo continuare ad esserlo per lungo tempo. Sono

qui per condividere il mio bagaglio, ma là fuori ci sono molte persone più ricche di me e

sarei ben felice di ricevere appunti, correzioni e precisazioni in merito ad ogni aspetto del

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testo che necessitasse revisione o suscitasse un dibattito. Infine, ci tengo a dirvi che il libro

è stato pensato come una lunga progressione didattica, che procede gradualmente verso

argomenti sempre più complessi e completi. Potete seguire il percorso che ho pensato per

voi oppure muovervi liberamente tra le pagine, saltando le parti che non vi interessano e gli

eventuali argomenti che conoscete già!

L’inglese: come, perchè e soprattutto... perchè no?

Il succo di tutto quello che c’è da sapere sull’inglese è che pare sia ormai parlato da

circa un miliardo di persone nel mondo. Lo parlano in tanti, lo capiscono in tanti, può

salvarci da un disastro in terra straniera oppure rendere le nostre ferie indimenticabili. Al

giorno d’oggi l’inglese è capire cosa succede anche quando non si ha a che fare con il

mondo che si conosce, venire assunti più facilmente, poter studiare o lavorare anche

all’estero e soprattutto conoscere cose, persone e culture nuove. Non male, che ne dite?

Secondo molti esperti (e anche a parer mio) l’inglese dovrebbe essere imparato

soprattutto per usarlo, per parlarlo e per farsi capire. Una volta fuori dalla classe, che sia

una classe serale per adulti o una classe di scuola superiore, cosa serve agli studenti?

Conoscere a memoria tutte le eccezioni di una regola? Sapere cos’è un gerundio? Non

tanto, no. Quello che serve è poter avere una conversazione, di lavoro o piacere, poter

prenotare un hotel per le vacanze, capire cosa mangiare e dove trovare una banca o un

ufficio postale quando ci si reca all’estero. Come molti insegnanti credo fermamente nella

precisione e nell’accuratezza grammaticale, perché più a fondo si conosce una lingua,

meglio ci si esprime. Con una solida competenza grammaticale le possibilità, siano esse

lavorative o di altro genere, aumentano proporzionalmente. La grammatica non è sorpassata

né inutile, anzi… dico solo che bisognerebbe concentrarsi sulla grammatica come aiuto per

imparare a parlare e capire la lingua, non come fine ultimo dello studio. Non aboliamo la

grammatica: rimettiamola solo al suo posto!

Purtroppo, almeno da questo punto di vista, l’Italia sembra aiutarci poco. Il nostro

sistema educativo non pare granché studiato per incoraggiare gli studenti a portare le lingue

straniere nella loro vita quotidiana, a vederle più come un dono e un vantaggio piuttosto che

come un peso inutile. Io stessa, appena diplomata, mi sono ritrovata negli Stati Uniti a

tentare una conversazione con alcuni studenti stranieri (turchi e indiani) e mi sono

vergognata di me stessa. Questi ragazzi erano più giovani di me e parlavano l’inglese che

avevano imparato nel loro paese (neanche all’università, ma alla scuola superiore!). Tra noi

studenti italiani e questi ragazzi c’era un vero abisso. Non è un ricordo piacevole. Non dico

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che fossero perfetti, ma esprimevano i propri pensieri in un tempo più che accettabile per

mantenere viva la conversazione, non erano mai a corto di parole e capivano bene tutto

quello che veniva detto, anche quando erano alle prese con accenti molto diversi. Al di là

delle classiche frasi standard, che comunque dicevo con timidezza per via della mia

pronuncia (in cui avevo perso ogni fiducia appena sbarcata dall’aereo), la mia capacità di

comunicare s’incagliava nella ricerca delle parole giuste, nel dubbio che fossero o meno

corrette, nella scelta di un tempo verbale che non fosse atrocemente fuori luogo… per ogni

mia frase, incerta e ridotta all’osso, loro ne avevano pronunciate dieci. Che potevo fare?

Sommergerli di casi, definizioni grammaticali, spiegazioni ed eccezioni? Erano le uniche

cose che forse conoscevo meglio di loro. Eppure sono stata fortunata, ho sempre avuto

buoni insegnanti ed ottimi voti! Quello che mi è successo in realtà succede a tanti. Penso sia

dovuto al fatto che chi ha studiato inglese a scuola si è spesso trovato ad imparare dosi

massicce di grammatica, ripetuta in italiano da insegnanti italiani, magari con pronunce per

larga parte Italian-friendly. Abbiamo letto tanti testi, senza capirci un gran che, per poi

imparare a memoria qualche frase per l’interrogazione. Conosciamo per filo e per segno le

parole del libro di grammatica, che ci descrivono con profusione di dettagli quando si usa il

Present Perfect, ma ci occorrono almeno dieci minuti per decidere di usarlo in

conversazione.

Insomma, il sistema educativo italiano in tante occasioni non ci favorisce, e questo

ve lo concedo. E’ però doveroso aggiungere che molti istituti ed insegnanti offrono una

formazione di elevata qualità; numerose scuole pubbliche e private si adoperano per creare

un’offerta che sia all’avanguardia ed incentrata sulla comunicazione. In questi ultimi anni

qualche tentativo di revisione del sistema scolastico nazionale è stato effettuato, sebbene

alcuni provvedimenti siano discutibili. Col tempo vedremo che cosa ci porteranno le recenti

riforme in campo educativo volute dal governo… speriamo che si rivelino un aiuto, anche

se è ormai tardi per chi è già uscito dalla scuola dell’obbligo oppure sta per uscirne.

Qualunque sia la situazione, le condizioni più o meno spiacevoli in cui versa il nostro

ambiente educativo non sono una valida scusa. L’Italia ha molti problemi, come tanti altri

paesi, ma questo non deve impedirci di fare il meglio che possiamo, per noi stessi.

Imparare una nuova lingua:

metodologie, contesto generale e punti di riferimento

Eccoci qui, pronti a gettare un salvagente a quegli studenti italiani, rigorosamente

principianti assoluti o quasi, che hanno deciso di tuffarsi in acque straniere. In realtà

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esistono molte strade per raggiungere chi è alle prime armi. Per coinvolgere questi studenti,

arricchiti da un variopinto background di esperienze sociali e scolastiche tipicamente

italiane, occorre prenderli rispettosamente per mano e condurli il più serenamente possibile

nel magico mondo della lingua inglese. Tantissimi linguisti, studiosi ed insegnanti si sono

applicati per formulare, analizzare e codificare metodologie efficaci, alcune anche molto

diverse tra loro. Negli anni si sono modificati ed evoluti anche gli obiettivi da raggiungere.

In questo senso l’Unione Europea ha fatto grandi cose, cercando di unificarci tutti nel

perseguire obiettivi linguistici comuni e che siano i migliori possibile. Ormai sono tutti

d’accordo nel dire che lo studente va compreso e rispettato, aiutato a formarsi in modo

autonomo e costruttivo; la motivazione e l’interesse sono fondamentali e bisogna

assolutamente insegnare agli studenti di lingua straniera ad usare la nuova lingua per

comunicare.

Come già anticipato non credo che la maggior parte dei veri principianti italiani (o

almeno la maggior parte degli studenti principianti che ho conosciuto, soprattutto quelli già

sottoposti a qualche anno di scuola superiore) traggano immediati benefici da metodi

marcatamente grammaticali, che si concentrano principalmente sulle strutture della lingua

tralasciando in genere la gentile arte della conversazione. Allo stesso tempo, non credo

nemmeno che molti di questi studenti siano del tutto pronti per il puro approccio

comunicativo. Questo ottimo metodo (o meglio gamma di metodi) varia a seconda delle

scuole di pensiero; in genere prevede lezioni con insegnanti madrelingua o bilingui che

spiegano relativamente poca grammatica e invece chiacchierano quasi esclusivamente in

inglese. Con l’aiuto di vignette, dialoghi ed esercitazioni interattive, questi insegnanti

introducono in effetti intere frasi ed espressioni che servono in molte situazioni quotidiane.

Nelle scuole private si tende a preferire e caldeggiare questo approccio, che è molto

simile all’apprendimento spontaneo che si verificherebbe se avessimo l’opportunità di

vivere in un paese di lingua straniera (in via ufficiosa questo approccio viene quindi

contrapposto a quello tendenzialmente grammaticale che si preferisce nella scuola

pubblica). Anche nei casi in cui l’approccio comunicativo è un poco più concentrato sulla

grammatica, avvicinandosi quindi a ciò che conosciamo dai tempi della scuola dell’obbligo,

si tratta in realtà di una metodologia fruttuosa e divertente per chi qualcosa sa già. Il vero

principiante, quello che voleva partire dall’Abc o che si porta dietro lacune fin dalle scuole

medie, rischia di sentirsi inadeguato e cedere le armi.

Penso che questo succeda per varie ragioni. In primo luogo, il metodo comunicativo

è divertente e attuale, ma mette un sacco di carne al fuoco. Per poter comunicare fin da

subito è preferibile che le frasi siano semplici, ma dovrebbero comunque essere intere e

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corrette! Ciò significa che un principiante assoluto (o quasi) si ritrova di colpo a gestire

nomi, pronomi, aggettivi, verbi, avverbi, ausiliari, ecc… (ossia la maggior parte degli

elementi grammaticali che compongono una lingua, tutti insieme appassionatamente!). Il

povero studente rischia di restare spiazzato e fatica a gestire ed interiorizzare tutti questi

contenuti; quando finalmente gli pare di aver capito qualcosa si rende conto che

l’insegnante è già passato all’unità successiva. Questo, ne converrete, è deprimente!

Diverso sarebbe avere l’occasione di vivere in terra straniera, dove l’esperienza quotidiana

è totale e l’immersione linguistica è obbligata, continua, necessaria ed associata a situazioni

concrete (che aiutano moltissimo ad incidere termini ed espressioni nella memoria…).

Ne consegue che un aspetto da non sottovalutare è la quantità di cose nuove che

un principiante si trova ad affrontare. Il livello principianti è in effetti un gradino che

pare essere molto più alto e difficoltoso dei successivi. Questo è rispecchiato anche nel

contenuto di tutti quegli esami che vengono sostenuti per ottenere certificazioni di

competenza della lingua inglese. Da quando l’Unione Europea ha stabilito una scala

unitaria che classifica i vari livelli di padronanza delle lingue straniere, il programma dei

corsi d’inglese per principianti è più o meno standard per tutti e comprende una lunga lista

di cose. Il programma A1, che costituisce appunto il primo livello, consente allo studente

che lo padroneggia di cavarsela in tante situazioni, ma proprio per questo prevede tutta la

fase d’iniziale introduzione alla nuova lingua e a molti degli elementi fondamentali che

formano ogni frase. Per intenderci, imparare a scrivere richiede molto più tempo e fatica di

quanto sia poi necessario per imparare a scrivere una poesia piuttosto che un tema. Con

l’inglese è la stessa cosa: imparare ad orientarsi e prendere confidenza con le parti e le

regole di una seconda lingua è più impegnativo di quanto non sia aggiungere parole o

elementi nuovi quando si hanno già solide basi. Al termine del livello A1 le cose

cominciano infatti ad avere più senso, anche perché le lingue tendono ad essere coerenti: le

regole che valgono a livello base continuano spesso a valere anche a livelli più alti.

Purtroppo in molti casi lo scoglio del livello A1 può essere fatale. Come abbiamo

già detto, il maggior numero di abbandoni e rinunce si verifica proprio agli inizi del

percorso di apprendimento. Un gruppo di principianti adulti è in genere uno dei gruppi più

eterogenei che si possa avere… principianti assoluti, che non hanno mai visto una parola

d’inglese, vengono necessariamente raggruppati con altri principianti che hanno magari

studiato inglese alle scuole medie o superiori ma sostengono di non ricordare gran che. La

differenza tra questi studenti tende ad emergere piuttosto in fretta e le cose si complicano.

Chi non sa nulla deve iniziare da capo, mentre chi pensa di aver dimenticato inizia a

ricordare ed allunga le distanze… Nella scuola pubblica a volte è anche peggio. Non si può

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certo pensare che ogni nuovo insegnante, prima alle scuole medie, poi alle scuole superiori,

inizi il proprio percorso educativo da zero. Se i ragazzi vengono promossi al ciclo

successivo occorre dare per scontato che qualche abilità l’abbiano acquisita. Purtroppo in

tanti casi le cose non stanno esattamente così ed i ragazzi si portano dietro lacune che non

riescono a colmare, demoralizzandosi e concludendo di non essere portati o di odiare

l’inglese. Non dimentichiamo infine che studiare lingue nella scuola pubblica italiana

significa generalmente studiare grammatica, analisi logica, analisi del periodo… il nostro

approccio alle lingue straniere non è molto comunicativo (e in tanti casi neanche molto

divertente)!

Tutto questo ha numerose conseguenze sullo studente. Tanto per cominciare ci

abituiamo a pensare/imparare in un certo modo, che per comodità chiameremo analitico-

grammaticale. Ognuno di noi è passato, in qualche grado e misura, attraverso la scuola

pubblica. In quegli anni eravamo (o siamo, se siete ancora alle prese con interrogazioni e

compiti in classe) terreno fertile, predisposti all’apprendimento, anche se magari ci sembra

o sembrava tutto il contrario. Gli anni della prima infanzia e dell’adolescenza sono i

migliori per imparare e ci sono delle prove scientifiche che lo dimostrano… insomma,

quando si è giovani si è al massimo delle proprie capacità di apprendimento e qualcosa si

impara sempre, anche se non si vuole. In questi anni così sensibili la nostra organizzazione

mentale, almeno dal punto di vista linguistico, è stata lentamente ma inesorabilmente

impostata sulla seguente modalità: ricevo informazioni dettagliate, imparo a memoria le

informazioni, comprendo il significato di queste informazioni e le inserisco in una banca

dati più o meno organizzata che andrà poco a poco a costituire la mia conoscenza.

E’ chiaro che mica tutti sono portati per questo metodo così preciso e sistematico…

alcune persone sono dei veri e propri computer e sviluppano un’efficientissima catena di

montaggio, ottenendo alla fine una conoscenza molto vasta, precisa e sempre a

disposizione. Per questo la preparazione degli studenti italiani è spesso apprezzata

all’estero: molti di noi imparano ad incamerare moltissime informazioni, ad organizzarle in

modo coerente e a reperirle in fretta e con efficienza. Tanti complimenti a tutti questi

studenti! Ma che dire di coloro che non sono organizzatori nati? Molti altri purtroppo si

perdono per strada. L’accumulo d’informazioni, invece di essere fluido e organizzato, nel

corso del tempo diventa sempre più caotico, confuso, casuale. Ci si distrae, non si hanno

forti motivazioni allo studio, si è pigri, si trova di meglio da fare oppure, semplicemente,

per quanto ci si provi non ci si riesce proprio. La differenza tra lo studente computer e lo

studente caotico è la stessa che intercorre tra un archivio perfettamente organizzato ed un

vecchio magazzino polveroso, dove le scatole sono state riposte alla rinfusa per anni e i topi

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mangiucchiano allegramente le etichette.

Che siate o meno un computer umano, la maggior parte di noi ha comunque

ricevuto questa impronta di stampo organizzativo e analitico. Siamo abituati a cercare di

analizzare in profondità piccole porzioni e poi comporle in un insieme complesso, un poco

alla volta. Il metodo comunicativo invece, in tutte le sue varianti, prevede principalmente

un approccio olistico, ossia totale. Invece di partire dalla definizione di articolo e nome per

poi passare a tutte le forme ed i tempi del verbo, il metodo comunicativo ci mette a

confronto con intere frasi, dicendoci quando si usano, cosa vogliono dire e lasciando a noi il

compito di assorbire inconsciamente le nozioni grammaticali che sono alla base della

lingua. Nel complesso, l’approccio comunicativo è decisamente valido, frizzante e molto

stimolante… dobbiamo solo abituarci alla novità! Questo testo si pone a metà tra i due

approcci che abbiamo discusso finora, partendo dalla grammatica per poi approdare, con

calma e nel dettaglio, alle sue applicazioni pratiche. Quando saremo a nostro agio con

l’inglese e avremo un’idea di come funzionano le cose potremo godere appieno della più

moderna offerta formativa rivolta agli adulti e soprattutto della flessibilità e naturalezza del

metodo comunicativo, che è decisamente stimolante. Alcuni di noi prenderanno il via in

breve tempo, mentre altri apprezzeranno la ricorrenza di certe spiegazioni e la mia tendenza

a non lasciare quasi nulla all’immaginazione. Comunque sia, utilizzate queste pagine al

meglio, adattandole al vostro personale stile e ritmo d’apprendimento!

In generale ci conviene comunque ricordare che ci sono degli accorgimenti sempre

validi che possono semplificarci il percorso, indipendentemente dal metodo, dall’approccio

o dall’insegnante che scegliamo. Pensiamo per un attimo alle questioni sollevate in questa

sezione. Uno studente giovane sarà pure biologicamente predisposto ad apprendere (e

certamente impara con più facilità di un adulto) ma l’adulto ha maggiore esperienza,

consapevolezza e capacità critiche! Sulla lunga distanza, un apprendente adulto che

applichi con serietà le proprie abilità cognitive alla materia otterrà risultati di gran lunga

migliori rispetto ad un giovane poco motivato. Lo studente adulto può quindi imparare

benissimo, a patto che applichi al meglio le proprie capacità critiche, cognitive e soprattutto

metacognitive. Per sfruttare appieno le potenzialità dello studio autonomo occorre essere

consapevoli dei propri pregi, limiti e delle proprie caratteristiche dominanti. Analizzare

criticamente le proprie capacità e attitudini, controllare con attenzione il proprio processo di

apprendimento… queste attività metacognitive sono alla base del successo.

Ne consegue che è decisamente meglio riflettere prima di lanciarsi a capofitto: che

tipo di studenti siamo? Quali e quante conseguenze hanno avuto le nostre eventuali

esperienze precedenti con l’inglese? Quale approccio fa davvero per noi? Quale metodo

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può aiutarci a superare le difficoltà iniziali e mantenere viva la motivazione? Quanto tempo

abbiamo a disposizione e quante energie potremo dedicare al nostro progetto linguistico?

Cercando di essere realisti ed obiettivi possiamo informarci e scegliere per il meglio,

evitando di prendere impegni a scatola chiusa ed assumendo il controllo del nostro processo

d’apprendimento. Se non siamo adulti che vogliono imparare l’inglese ma siamo invece

giovani adolescenti alle prese con la scuola dell’obbligo possiamo comunque scegliere tra

varie alternative, trovando un buon insegnante che ci dia ripetizioni private, lavorando con

alcuni compagni oppure scegliendo testi per approfondire e studiare in autonomia. In ogni

caso, la cosa migliore da fare è sfruttare al meglio tutto il tempo che decidiamo di investire

nell’inglese, ottimizzando gli sforzi. Una breve lettura critica e consapevole, a cui

dedichiamo tutta la nostra attenzione, sarà sempre più utile di qualche ora di esercizi fatti

contro voglia e con scarsa concentrazione. Per aiutarci in questo frangente conviene quindi

scegliere materiale che ci interessi: armiamoci di tanta pazienza e cerchiamo in tutti i modi

di rendere piacevole l’apprendimento.

Che inglese vogliamo imparare?

Alcuni riferimenti internazionali:

il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (CEFR)

e gli esami Trinity GESE

Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per la conoscenza delle lingue è stato

voluto dal Consiglio d’Europa e sviluppato negli anni ‘80 e ‘90. Questo documento

contiene una classificazione costituita da 6 livelli di competenza linguistica, che vanno da

un livello base (A1) ad un livello molto avanzato (C2, grosso modo equivalente alla

competenza di un madrelingua). Il Quadro Comune, che viene sempre più frequentemente

citato ed utilizzato in Europa, fornisce delle indicazioni generali in merito ai risultati

raggiunti e da raggiungere nello studio delle lingue straniere. In sostanza, l’Europa ha

voluto farci presente che la lingua e cultura di ognuno dei suoi popoli e delle sue nazioni

sono significative e degne di attenzione; la più grande ricchezza dell’Europa è proprio la

sua multiculturalità ed è importante imparare altre lingue per allargare i propri orizzonti e

facilitare la comunicazione/comprensione reciproca tra cittadini di nazioni diverse, che

peraltro devono imparare a considerarsi cittadini europei. Per questa ragione si è deciso che

avere delle indicazioni e dei livelli linguistici che fossero uguali per tutti avrebbe facilitato

l’insegnamento e la comunicazione, rendendo possibile una maggior

internazionalizzazione: in questo modo le abilità linguistiche acquisite in un paese possono

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essere riconosciute anche in altre nazioni (tanto il metro di valutazione è sempre lo stesso!).

Ed eccoci quindi alle prese con questa classificazione, che potete trovare un po’ ovunque,

soprattutto su internet, in molte versioni e lingue diverse. Vi riporto parte della tabella che

l’Unione Europea propone perché ognuno di noi possa auto-valutare le proprie competenze

linguistiche e riportarle poi all’interno dell’Europass (ossia un formato di Curriculum Vitae

che viene teoricamente riconosciuto in tutta Europa). Qui sotto vediamo la descrizione delle

abilità di livello A1, mentre la tabella completa si trova a questo link:

http://europass.cedefop.europa.eu/LanguageSelfAssessmentGrid/it.

LIVELLO A1

COMPRENSIONE PARLATO

Ascolto Lettura Interazione Produzione orale

Produzione scritta

Riesco a riconoscere parole che mi sono familiari ed espressioni molto semplici riferite a me stesso, alla mia famiglia e al mio ambiente, purché le persone parlino lentamente e chiaramente.

Riesco a capire i nomi e le persone che mi sono familiari e frasi molto semplici, per esempio quelle di annunci, cartelloni, cataloghi.

Riesco a interagire in modo semplice se l’interlocutore é disposto a ripetere o a riformulare più lentamente certe cose e mi aiuta a formulare ciò che cerco di dire. Riesco a porre e rispondere a domande semplici su argomenti molto familiari o che riguardano bisogni immediati.

Riesco a usare espressioni e frasi semplici per descrivere il luogo dove abito e la gente che conosco.

Riesco a scrivere una breve e semplice cartolina, ad esempio per mandare i saluti delle vacanze. Riesco a compilare moduli con dati personali scrivendo per esempio il mio nome, la nazionalità e l’indirizzo sulla scheda di registrazione di un albergo.

In seguito a questa evoluzione programmatica ogni nazione ha pensato che toccasse

a lei e alle sue scuole, università e/o istituti di formazione determinare nello specifico i

contenuti da imparare ad ogni livello per la sua o le sue lingue… così in ogni paese una

serie di scuole si sono date un gran da fare per decidere i contenuti che devono essere

imparati per ogni livello di competenza, per creare degli esami significativi e per diventare

le prime e più famose istituzioni a rilasciare certificati linguistici secondo le linee guida

europee. In Spagna, per esempio, abbiamo l’Istituto Cervantes, che rilascia importanti

certificati che si chiamano DELE (Diploma di Spagnolo come Lingua Straniera). In Italia

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abbiamo le certificazioni di italiano come lingua straniera CELI, rilasciate dall’Università

per Stranieri di Perugia, CILS, rilasciate dall’Università per Stranieri di Siena e PLIDA,

rilasciate dalla Società Dante Alighieri. Nel Regno Unito poi, visto che si tratta dell’inglese,

ci sono molti enti importanti che rilasciano una varietà di certificazioni, enti come il British

Council, l’Università di Cambridge ed il Trinity College.

Prendiamo per esempio i programmi degli esami GESE che vengono organizzati dal

Trinity College (http://www.trinitycollege.it/esami/gese.php). Il Trinity College nasce a

Londra nel 1870 e oggi rilascia le proprie certificazioni in più di 60 nazioni. Gli esami

GESE sono incentrati su contenuti generici, non trattano argomenti eccessivamente

specializzati ma hanno un programma linguistico ben definito; sono costituiti da colloqui

orali che diventano sempre più lunghi e complessi man mano che si avanza di livello. Per

varie ragioni questo formato d’esame si presta ad essere sostenuto da più o meno chiunque,

dai bambini agli adulti, dagli studenti di scuola superiore a quelli della scuola primaria.

Tanto per cominciare si tratta di esami orali, una simpatica chiacchierata con un

esaminatore madrelingua inglese. L’oralità, come abbiamo visto, è uno degli aspetti meno

coltivati in Italia e quindi gli esami GESE incontrano proprio le nostre esigenze. A livello di

contenuti e struttura i GESE sono inoltre esami pratici, con una buona attinenza al mondo

reale. Il fatto poi che il Trinity College offra esami progressivi per ogni livello del Quadro

Comune Europeo facilita l’inserimento in un percorso scolastico e soprattutto motiva gli

studenti a tenere duro, proponendo una serie di obiettivi parziali facilmente raggiungibili.

Insomma, quel che sta capitando è che sempre più scuole statali offrono ai propri studenti

(di ogni età) la possibilità di sostenere questi esami, anche perché non c’è bisogno di fare

chilometri per trovare un centro abilitato: i GESE possono facilmente essere sostenuti nella

propria scuola o in scuole della propria città.

Ci sono tantissime certificazioni di competenza linguistica che potremmo scegliere

come riferimento, ma i GESE sembrano fare particolarmente al caso nostro, soprattutto

perchè sono rivolti a tutti, giovani e maturi, studenti e lavoratori! Prendiamo quindi una

decisione: per questo nostro approccio all’inglese ci limiteremo ad affrontare i livelli A1.1 e

A1.2, i primi passi codificati per noi dall’Unione Europea, basandoci sui programmi e sulle

indicazioni previste dai primi due esami GESE offerti dal Trinity College, i GESE Grade 1

e 2 (che insieme equivalgono appunto al completamento del livello A1). Questo volume si

concentra in particolare sul programma del GESE Grade 1. Ne riprende tutti i contenuti in

modo da consentire un’adeguata preparazione all’esame e allo stesso tempo arricchisce ed

approfondisce quanto basta per rispondere alle esigenze pratiche d’imparare l’inglese per

comunicare, avvicinarsi alla mentalità analitico-grammaticale tipica di tante generazioni di

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studenti italiani e preparare il terreno ad esperienze d’apprendimento più comunicative! Il

secondo volume si occuperà invece del programma della certificazione GESE Grade 2.

Ecco qua entrambi i programmi d’esame, tratti direttamente dal sito web del Trinity College

(http://www.trinitycollege.it/esami/pdf/syllabusgese1013-it.pdf).

Grade 1 (di nostro interesse in questo primo volume!)

Articolazione

Durata complessiva: 5 minuti

L’esame si articola in una fase che consiste in una conversazione con l’esaminatore (fino a

5 minuti).

Risultati attesi

Durante l’esame il candidato deve dimostrare le seguenti abilità comunicative e soddisfare i

requisiti linguistici sotto elencati.

Abilità comunicative

- Scambiare saluti con l’esaminatore

- Dimostrare di comprendere istruzioni semplici mediante azioni appropriate

- Fornire risposte molto brevi a semplici domande e a richieste di informazioni

Requisiti linguistici

Funzioni linguistiche

- Scambiare saluti

- Fornire informazioni personali, es. nome, età

- Individuare e dire i nomi degli elementi lessicali sotto elencati

- Accomiatarsi

Grammatica

Il candidato deve dimostrare l’abilità di comprendere:

- Imperativi relativi ad azioni comuni, es. go, come, show, point, give, touch, stand up

- Domande con what? how many? how old?

- Dimostrativi this, that, these, those

Il candidato deve dimostrare l’abilità di comprendere e usare:

- Il present simple tense del verbo to be

- Sostantivi comuni al singolare e al plurale (regolari e irregolari), es. shoe/shoes, foot/feet

- Aggettivi semplici, es. small, tall, green

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- Determinanti a, the, my, your, his, her

- Pronomi I, you, he, she, it, they

Lessico

Il candidato deve dimostrare l’abilità di comprendere ed utilizzare

il lessico relativo a:

- Informazioni personali

- Ambiente circostante, compresi oggetti di uso scolastico

- Parti principali del viso e del corpo

- Animali comuni (domestici, della fattoria e selvatici)

- Numeri cardinali fino a 20

- Colori

- Capi di abbigliamento comuni

- Le funzioni linguistiche sopra elencate

Fonologia

- Pronuncia corretta di parole comuni relative alle aree lessicali sopra elencate

Grade 2

A1 CEFR

Articolazione

Durata complessiva: 6 minuti

L’esame si articola in una fase che consiste in una conversazione con l’esaminatore (fino a

6 minuti).

Risultati attesi

Durante l’esame, in aggiunta agli elementi elencati nel grade precedente, il candidato deve

dimostrare le seguenti abilità comunicative e soddisfare i requisiti linguistici sotto elencati.

Abilità comunicative

- Comprendere domande, richieste ed affermazioni brevi e semplici

- Rispondere con azioni appropriate e risposte brevi affermative e negative

- Partecipare alla conversazione utilizzando espressioni memorizzate e frasi brevi

- Usare una gamma elementare di parole e locuzioni semplici relative a dati e situazioni

personali

- Chiedere informazioni personali molto semplici, es. su ciò che si possiede

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Requisiti linguistici

Funzioni linguistiche

- Indicare la posizione di persone ed oggetti

- Descrivere in modo molto semplice persone, animali, oggetti e luoghi

- Esprimere fatti semplici

- Fornire informazioni su ciò che si possiede

- Fare domande molto semplici su dati personali

Grammatica

Il candidato deve dimostrare l’abilità di comprendere:

- Domande al simple present

- Domande con who? when?

- Domande al present continuous

- Determinanti some, any

Il candidato deve dimostrare l’abilità di comprendere e usare:

- Il simple present

- There is/are and has/have got/have you got? Do you have?

- Pronomi e avverbi interrogativi, es. where? how?

- Preposizioni di luogo in, on, under, between, next to

- Determinanti their, its

- Pronomi possessivi mine, yours, his, hers

- Risposte del tipo yes/no a domande al present continuous

Lessico

Il candidato deve dimostrare l’abilità di comprendere ed utilizzare

il lessico relativo a:

- Stanze della casa

- Oggetti della casa

- Famiglia e amici

- Animali domestici

- Ciò che si possiede

- Giorni della settimana e mesi dell’anno

- Numeri cardinali fino a 50

- Le funzioni linguistiche sopra elencate

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Fonologia

- Pronuncia corretta delle parole appartenenti alle aree lessicali sopra elencate

- Tipologie elementari di intonazione per domande semplici

- Contrazioni, es. I’ve, I’m, he’s

Le abilità comunicative e i requisiti linguistici del grade 2 corrispondono al livello A1 del

QCER (CEFR).

Adesso abbiamo proprio tutto quello che ci serve. Infatti ci siamo posti tante

domande, abbiamo individuato un approccio all’insegnamento, abbiamo stabilito il livello

linguistico con cui ci confronteremo e abbiamo pure deciso a quale programma ed

eventuale certificazione fare riferimento... al termine di questo piccolo corso potreste

decidere di tentare l’esame GESE Grade 1! La sezione conclusiva di questo testo è dedicata

all’esame e a come prepararsi per ottenere un buon voto, sebbene sia comunque

consigliabile rivolgersi a professionisti per consolidare di persona le nostre abilità orali.

In ogni caso, il fine ultimo di tutto questo lavoro rimane quello di compiere un

primo vero passo in un nuovo ambiente linguistico, senza pregiudizi e paure, con la mente

aperta. Questo testo è come una guida turistica: lo scopo è quello di trasmettere ciò che

occorre per visitare in sicurezza un mondo nuovo, godendo delle sue attrattive in modo

spontaneo. Purtroppo un libro può fare relativamente poco per rafforzare significativamente

abilità come la conversazione e l’ascolto. Inoltre, un libro non può fornirvi risposte

fortemente personalizzate, correggere i vostri errori in diretta e darvi più di qualche

semplice feedback… ma non disperate. Là fuori ci sono ottimi materiali interattivi e tante

scuole ed insegnanti che non aspettano altro che qualche studente motivato, con solide

fondamenta e tanta voglia di portare l’inglese nella propria vita vissuta.

In generale vorrei infatti consigliarvi di affrontare sia le parti teoriche che le parti

pratiche di questo testo in buona compagnia. Non che da soli i risultati siano peggiori, anzi.

E' piuttosto una questione di divertimento, motivazione e praticità. Immaginate di seguire

questo piccolo corso qualche ora alla volta, quando avete tempo, magari dopo una

simpatica cenetta tra amici, comodamente seduti sul divano. Oppure nelle pause di studio,

con qualche compagno di classe che come noi farebbe meglio a consolidare le proprie basi.

Ragionare insieme sulle spiegazioni, confrontarsi e fare qualche esercitazione in coppia o in

gruppo rende il lavoro più divertente e anche più facile; a volte i nostri compagni di studio

hanno una visione diversa dalla nostra e questo può farci riflettere, approfondendo la nostra

comprensione. Ricordate: il lavoro in gruppo ha tantissimi vantaggi! Ma adesso basta con

questi discorsi generici: è giunto il momento di mettere un po’ di carne al fuoco…

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La storia insegna: l’albero genealogico dell’inglese

Vediamo di chiarirci un poco le idee riguardo alla lingua che abbiamo deciso

d’imparare, ripercorrendone rapidamente la storia e lo sviluppo. Il passato risponde a molti

quesiti... pensiamo a questa sezione come ad una carta d’identità, una specie di

presentazione.

L’inglese è ufficialmente nato in Gran Bretagna. All’inizio dei tempi le isole

britanniche erano abitate da popolazioni celtiche; immaginiamo quindi druidi, querce, scudi

in legno, magia e astronomia, una religione fortemente legata alle forze della natura e

grandi clan familiari in cui la donna aveva esattamente gli stessi diritti e possibilità

dell’uomo. Affascinante, no? Ma il tempo dei druidi era destinato a finire. I primi ad

arrivare sulla scena celtica ed importare una lingua ed una cultura straniere (assumendo il

controllo, ossia istituendo una dominazione) furono i Romani. Linguisticamente i Romani

portarono il Latino, di cui resta traccia nel nome di luoghi e città. Dopo una lunga

permanenza (con tutte le sue conseguenze), l’impero Romano allentò il controllo sulle isole

e molti soldati Romani se ne andarono, lasciando l’attuale Gran Bretagna in balia di una

nuova ondata d’invasori, ossia le tribù Anglosassoni che provenivano dal nord ovest

Europeo.

Alcuni ritengono che la leggenda di Re Artù e di Merlino sia nata in questo periodo

di passaggio, quando i Romani rimasti dovettero riorganizzarsi e si unirono ai Celti per

difendersi dai conquistatori stranieri (Artù sarebbe quindi un personaggio realmente

esistito, un condottiero che difese la Cornovaglia dai Sassoni). Tante cose tuttavia non sono

chiare… può essere che tra queste tribù d’invasori vi fossero gli Angli, i Sassoni e gli Juti,

che potrebbero anche essere stati la stessa tribù, semplicemente stanziatasi in posti diversi e

perciò chiamata con vari nomi. Alcuni studiosi pensano che sia stata un’invasione

sanguinosa, mentre altri ipotizzano che le popolazioni native (i Britanni di origine celtica,

precedentemente mescolatisi ai Romani) possano aver giocato un ruolo attivo nell’arrivo di

questi nuovi popoli. Comunque sia, la lingua parlata dagli invasori Anglosassoni è la base

del moderno inglese. Le lingue di origine celtica, come il gaelico, sono sopravvissute solo

in certe zone (Irlanda, Galles, Scozia e Cornovaglia).

A questo punto della storia quindi, intorno al 400-500 DC (dopo la venuta di Cristo)

l’inglese cominciò effettivamente il suo viaggio, che l’ha portato ad essere una delle lingue

più parlate al mondo. Era un inglese ancora in fasce, parlato da popolazioni Cristiane

(Sant’Agostino arrivò poco dopo la venuta degli Anglosassoni e li convertì tutti). Ecco però

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che nel nono secolo DC cominciarono pure le invasioni vichinghe, provenienti dalla

Norvegia, dalla Danimarca e dalla Svezia. Dobbiamo immaginare la situazione: i Britanni

(discendenti di Celti e Romani) e gli Anglosassoni convivevano in questi territori già da

diverse centinaia di anni. Gli Anglosassoni cristiani non pensavano certo a se stessi come a

degli invasori… queste isole erano diventate a tutti gli effetti la loro casa, il loro territorio;

il loro sangue si era da tempo mescolato con quello celtico e romano. Conseguentemente,

questa gente difese le proprie terre dall’invasione dei vichinghi scandinavi, che erano

pagani, in un susseguirsi di guerre e battaglie sanguinose che durò un paio di secoli.

In tutto questo tempo molti vichinghi si stabilirono nelle isole britanniche. Mentre le

guerre proseguivano, con numerosi re vichinghi ed anglosassoni che si alternavano al

potere, la gente comune conviveva e le influenze linguistiche si facevano sentire. Un chiaro

segnale di tutte queste stratificazioni linguistiche è nuovamente evidente nella

modificazione dei nomi geografici… i nomi di luoghi, abitati ed occupati da persone che

parlavano lingue diverse, si modificarono di conseguenza. Infatti le invasioni vichinghe,

compiute da diversi popoli scandinavi in diverse zone, hanno portato a numerose differenze

linguistiche tra il nord e il sud dell’Inghilterra, differenze che sono ancora molto evidenti

nei dialetti locali. Dopo i Romani, gli Anglosassoni ed i Vichinghi (tutti avevano ormai

vissuto in queste terre per lungo tempo e avevano lottato per averle) nel 1066 arrivarono i

Normanni, che erano francesi. Erano pochi rispetto al numero complessivo degli abitanti

delle isole britanniche, ma le conquistarono lo stesso ed occuparono tutte le posizioni di

prestigio, facendo del francese la lingua della classe dominante. Teniamo presente che

l’inglese (di base anglosassone) è una lingua germanica, mentre il latino ed il francese

(come l’italiano e lo spagnolo) sono lingue romanze: sia il lessico (le parole) che la struttura

portante delle lingue germaniche sono sostanzialmente diversi da quelli delle lingue

romanze.

Storicamente, la lingua inglese si è quindi sviluppata alla maniera di un essere

umano, ricevendo diversi contributi: la base anglosassone è stata arricchita dal latino dei

missionari cristiani, dalle lingue scandinave portate dai Vichinghi ed infine dal francese.

L’infanzia dell’inglese è il periodo dell’Old English, l’inglese alle prime armi e più lontano

nel tempo, che va dall’arrivo degli Anglosassoni all’arrivo dei Normanni. Con i Normanni

comincia il periodo del Middle English, l’inglese di mezzo, adolescente, che si protrae

indicativamente fino al momento in cui fu introdotta e si diffuse la stampa, attorno al 1500.

Da quel momento in poi si parla di Modern English, l’inglese maggiorenne, che a sua volta

si divide in Early Modern English (fino al 1750 circa), un giovane adulto, e Late Modern

English, che invece è l’inglese nella piena maturità. Per intenderci, l’inglese di Romeo e

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Giulietta (Shakespeare) è già inglese moderno, sebbene fosse da poco entrato nell’epoca

della sua effettiva maturità.

Questa breve cronistoria della vita dell’inglese ci aiuterà a contestualizzare certe

informazioni che verrà spontaneo fornire nel corso delle spiegazioni che seguiranno. Per

esempio, una delle prime cose che gli studenti in genere si chiedono è: perché questa lingua

si scrive in un modo e si pronuncia in un altro? Perché le regole di pronuncia sono così

varie e confuse? Questo è uno dei primi scogli da superare, un fattore che può rendere

l’inglese antipatico. Noi italiani parliamo una lingua che si legge come si scrive, perché

questi inglesi no? Ebbene, la colpa è dei nostri antenati cristiani. Infatti l’Old English,

l’inglese antico, era grosso modo scritto come si pronunciava, alla maniera dell’italiano. E

poi, cos’è successo? Poi sono arrivati i missionari, insieme a Sant’Agostino, che hanno

convertito le popolazioni delle isole britanniche al Cristianesimo.

A quel tempo la gente comune, la maggior parte del popolo delle isole, non sapeva

scrivere, proprio come nel resto del continente. Il grosso della popolazione lottava ogni

giorno per mangiare e sopravvivere; chiaramente non c’era un sistema educativo che

rendesse l’istruzione obbligatoria per tutti. Gli abitanti delle isole avevano però un loro

alfabeto e un loro modo di scrivere, che era profondamente legato alla loro cultura,

religione e tradizione: questi popoli infatti utilizzavano le rune. Tuttavia, quando arrivarono

i cristiani la nuova religione prese piede e con essa anche una maggior alfabetizzazione

(proprio grazie ai missionari, che diffusero anche la pratica della scrittura). Con il

diffondersi del Cristianesimo si diffuse anche il latino come lingua letteraria e le rune poco

a poco scomparvero. Non dimentichiamo che nel medioevo europeo gli unici che avevano

abbastanza tempo per dedicarsi alla cultura, per tenere vive le conoscenze e le grandi

tradizioni scritte del passato, erano gli esponenti della Chiesa. I monasteri possedevano

terre e ricchezze, ed è lì che i monaci potevano custodire e ricopiare i manoscritti del

passato.

Più la nuova religione prendeva piede più si diffondeva anche l’alfabeto latino. Il

povero e soppiantato alfabeto runico aveva rune per rappresentare la maggior parte dei

suoni della sua lingua, proprio come l’italiano. E l’alfabeto latino, invece? Questo alfabeto,

l’alfabeto di un’altra lingua, comprende 26 lettere (infatti include anche J, K, W, X e Y, che

si aggiungono alle attuali 21 lettere dell’alfabeto italiano). Quindi a disposizione c’erano

solo 26 lettere, eppure in inglese ci sono più di 40 suoni diversi. Come si possono scrivere

40 suoni con sole 26 lettere?! Inoltre, l’inglese ha circa 20 suoni vocalici e ci sono solo 5

vocali latine da utilizzare per iscritto. Ecco perché facciamo così fatica! Per noi una “o”

oppure una “a” non hanno numerose pronunce, mentre in inglese sì, e non c’è nessun segno

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scritto che ci aiuti a capire quale dei tanti suoni possibili dobbiamo utilizzare. Cerchiamo

quindi di essere comprensivi. La corretta ortografia è un problema ben più grosso per i

madrelingua inglesi di quanto l’ortografia italiana non lo sia per noi: fanno fatica anche

loro! Ecco perché nei paesi di lingua inglese sono così diffuse le gare di spelling (in cui i

ragazzi si sfidano a ricordare con precisione come si scrivono parole sempre più

complesse). Questa situazione spiega anche perché molti di noi sappiano cos’è lo spelling

(una parola inglese ormai usata anche in italiano) pur masticando poco English. La povera

lingua inglese è come un piede di taglia 44 infilato a forza in una scarpa di misura 36, una

scarpa che è pure completamente inadatta al clima, al terreno e alla temperatura delle isole

britanniche.

Oltre alla rinomata questione dello spelling, che tanto ci fa penare, c’è un altro

fattore interessante… in inglese le parole di origine latina o francese tendono ad essere

considerate ricercate e formali, mentre le parole di radice anglosassone (quelle che per noi

risultano più astruse e incomprensibili) vengono considerate comuni ed informali. E certo!

La gente normale parlava l’anglosassone, mentre i ricchi monaci amanuensi e la classe

dominante francese usavano un lessico di derivazione latina! Per noi è una specie di

fregatura… potremmo parlare inglese scegliendo parole latineggianti che comprendiamo

bene, ma risulteremmo poco colloquiali e ci prenderebbero per topi da biblioteca. Se invece

vogliamo attenerci al detto “parla come mangi” dovremo fare fatica ed imparare numerose

parole di origine anglosassone, che per noi sono completamente nuove.

Questa sezione e tutte le informazioni linguistico-filologiche che seguiranno sono tratte dal

testo History of English di Jonathan Culpeper (Second Edition, Language Workbooks,

Routledge 2005), professore presso il Dipartimento di Linguistica e Lingua Inglese

all’Università di Lancaster nel Regno Unito.

L’ A, B, C

Cerchiamo di capire meglio con cosa abbiamo a che fare…

Siccome abbiamo appena parlato di spelling, vediamo in breve di cosa si tratta.

Come potete immaginare, il povero piedone anglosassone (la lingua inglese) una volta

infilato in una scarpa troppo piccola (l’alfabeto latino) ha un poco lottato, rifiutandosi di

cedere alla nuova, dolorosa condizione. Quindi all’inizio alcuni suoni troppo diversi dalle

lettere latine che c’erano a disposizione continuarono ad essere scritti con la propria runa e

poco alla volta, quando anche le ultime rune sparirono, questi strani suoni iniziarono ad

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essere indicati con gruppi di lettere invece che con una lettera sola. Ma come si fa a sapere

come si pronunciano questi gruppi di lettere? A noi sembrano appunto solo due normali

lettere una accanto all’altra. Per risolvere questo problema è stato creato l’alfabeto

fonetico, ossia l’alfabeto dei suoni. Questo alfabeto non si usa per scrivere normalmente,

anzi, si usa per spiegare alla gente cosa deve fare con la bocca, la lingua e i denti per

emettere ogni suono nel modo giusto. Infatti ogni suono è stato associato ad un simbolo

(indicato tra due barrette di questo tipo / per evitare confusione) che dovrebbe farci venire

in mente come pronunciare bene il suono corrispondente. Non dimenticate che anche

l’italiano, che a noi sembra così elementare da pronunciare, per uno straniero che non

conosce i nostri suoni diventa molto difficile (infatti uno straniero che parla o cerca di

parlare italiano è facilmente riconoscibile per moltissimi di noi, perché spesso non riesce ad

imitare bene i suoni della nostra lingua)! Se non ci fosse l’alfabeto fonetico a spiegare al

povero straniero che in italiano “gn” corrisponde a ɲ (la parola “gnu” in alfabeto fonetico si

scrive /ɲu/) come farebbe lui a saperlo? Tant’è che in inglese il gruppo “gn” si pronuncia

separato, prima “g” poi “n”! E’ evidente che certe corrispondenze che a noi sembrano

scontate non lo sono affatto.

La famosa coppia di lettere “th”, per esempio, che in alfabeto fonetico (l’alfabeto

dei suoni) spesso si rappresenta θ, non si pronuncia né “t”, né “f” e nemmeno “d”, ma nella

maggior parte dei casi occorre appoggiare la punta della lingua tra i denti e produrre una via

di mezzo tra tutti questi suoni/lettere che sia anche sibilante, in una maniera che per noi

italiani è a dir poco aliena! E’ chiaro che il famigerato “th”, questa meraviglia di

complessità, all’inizio si tenne la sua runa… con che lettera latina avrebbero mai potuto

scriverlo? Nel corso del tempo però si è cominciato a scriverlo come un gruppetto di due

lettere, il “th” appunto. Peccato che “th” sia stato scelto (non per cattiveria, ma per forza)

anche per rappresentare un altro suono, lo ð, e quindi ci ritroviamo ogni volta ad un bivio: o

conosciamo bene la parola che abbiamo davanti e sappiamo come pronunciare quel

particolare “th” oppure dobbiamo andare sul dizionario a vedere la trascrizione fonetica

della parola stessa. Fortunatamente ogni dizionario ha una tabella che riporta tutto

l’alfabeto fonetico e ci da indicazioni su come pronunciare ognuno dei suoi simboli…

Vediamo un piccolo esempio:

La parola Hello e la parola Hi corrispondono a due modi per dire “ciao”. Uno studente

italiano alle prime armi sarebbe tentato di pronunciare Hi come “i”, e diciamocelo, perché

mai dovrebbe pensare che la pronuncia è diversa? In italiano la lettera “h” a inizio di parola

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non si pronuncia proprio e la “i” si legge, appunto, “i”. Invece Hi si pronuncia /haɪ/, con la

“h” aspirata, che si sente bene, e con una lettera “i” che corrisponde a ben due dei nostri

suoni vocalici, sia la “a” che la “i”. Se si controllano nella legenda dell’alfabeto fonetico i

simboli /h/, /a/ e /ɪ/ si capisce subito che le cose stanno così. Ne consegue che l’alfabeto e

le trascrizioni fonetiche sono nostre amiche e anche se sembrano complicate non lo sono

affatto! Le trascrizioni fonetiche sono anche le migliori amiche dei ragazzini americani che

fanno gare di spelling…

Adesso che sappiamo come aiutarci per migliorare la pronuncia (e soprattutto siamo

consapevoli del fatto che l’inglese segue regole di pronuncia ben diverse da quelle italiane),

vediamo brevemente l’alfabeto inglese, corredato di trascrizione fonetica per pronunciare

correttamente ogni lettera. Tuttavia, siccome non siamo ancora dei professionisti, non

siamo necessariamente tenuti ad utilizzare sempre l’alfabeto fonetico. Infatti c’è un piccolo

accorgimento che possiamo adottare per ricordarci le pronunce… invece di imparare ogni

simbolo dell’alfabeto fonetico possiamo semplicemente sfruttare il più possibile quello che

conosciamo già, ossia l’italiano. Potremmo infatti prendere appunti su come si leggono le

parole semplicemente scrivendole così come le sentiamo. Per esempio, se dovessi segnarmi

la pronuncia corretta di Hi mi limiterei a scrivere “ai”, magari con una nuvoletta davanti

alla “a” che mi ricordi che devo aspirare la “h”, oppure con una piccola “h” tra parentesi,

così: (h)ai. Se dovessi scrivere la pronuncia della parola spelling la riscriverei esattamente

uguale, perché questo termine si legge grosso modo come si scrive. Prendiamo un altro

esempio: la città di Napoli in inglese si scrive Naples, ma si pronuncia “Neipols”. Per

comodità chiamiamo questo semplice sistema annotazione italianizzata; è un piccolo aiuto

fai da te e quindi riporterò un esempio di questa annotazione accanto ad ogni lettera

dell’alfabeto, subito dopo aver scritto anche la trascrizione fonetica ufficiale.

A /eɪ/ annotazione italianizzata: ei B /biː/ annotazione italianizzata: bii C /siː/ annotazione italianizzata: sii D /diː/ annotazione italianizzata: dii E /iː/ annotazione italianizzata: ii F /ɛf/ annotazione italianizzata: ef G /dʒiː/ annotazione italianizzata: gi H /eɪtʃ/ oppure /heɪtʃ/ annotazione italianizzata: (h)eic [con la c di Cina, non (h)eich/(h)eik]

I /aɪ/ annotazione italianizzata: ai J /dʒeɪ/ oppure /dʒaɪ/ annotazione italianizzata: gei K /keɪ/ annotazione italianizzata: chei

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L /ɛl/ annotazione italianizzata: él M /ɛm/ annotazione italianizzata: ém N /ɛn/ annotazione italianizzata: én O /oʊ/ annotazione italianizzata: ou P /piː/ annotazione italianizzata: pii Q /kjuː/ annotazione italianizzata: chiu R /ɑr/ annotazione italianizzata: aar S /ɛs/ annotazione italianizzata: és T /tiː/ annotazione italianizzata: tii U /juː/ annotazione italianizzata: iu V /viː/ annotazione italianizzata: vii W /ˈdʌbəljuː/ annotazione italianizzata: dabol iu X /ɛks/ annotazione italianizzata: ecs Y /waɪ/ annotazione italianizzata: uai Z /zɛd/ oppure /ziː/ annotazione italianizzata: z(s)ed oppure z(s)ii Dopo aver letto questo alfabeto ci sono due cose che potrebbero venirci subito in

mente: è bello sapere l’alfabeto, ma cosa me ne faccio? In italiano lo usano praticamente

solo i bambini delle elementari! E anche… perché alcune lettere hanno due trascrizioni

fonetiche?

Partiamo dal punto 1. L’alfabeto inglese serve tantissimo, fin da subito! Se per

esempio andassimo all’estero e dovessimo registrarci in un hotel potremmo dover fare lo

spelling del nostro nome, perché il nostro nome straniero potrebbe essere frainteso. Lo

stesso potrebbe succedere al telefono, oppure sarebbe utile capire bene uno spelling se

fossimo noi a dover annotare i nomi stranieri di una persona o di un luogo che non ci sono

per niente familiari. Per fare pratica e consolidare questa abilità basta scegliere qualche

parola o nome inglese ed esercitarsi a farne lo spelling. Se siamo in coppia possiamo fare

qualche spelling a turno e cercare di scrivere i termini computati a voce alta dal

compagno… all’inizio potrebbe essere divertente, potremmo finire per dire o scrivere l’otto

per il diciotto, ma poco alla volta diventeremmo sempre più bravi.

Passiamo ora al punto 2. Perché certe lettere hanno più di una trascrizione fonetica?

Vuol forse dire che persino le lettere possono essere pronunciate in più di una maniera?

Ebbene si. La questione è molto ampia: parte dalle singole lettere e si allarga a parole, frasi

e addirittura regole grammaticali. Al di là dei diversi accenti, dialetti e delle variazioni

regionali (che ha anche l’italiano), l’inglese viene parlato come prima lingua in numerosi

paesi, anche molto distanti tra loro (pensiamo agli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Australia, il

Canada e la Nuova Zelanda). In questi paesi e anche nelle diverse regioni che li

compongono, si parlano versioni della lingua inglese più o meno diverse tra loro sia

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grammaticalmente che come pronuncia e accento. E’ come se l’Italia avesse avuto successo

nelle sue imprese coloniali e adesso nel mondo ci fossero, ipotizziamo, almeno altre due

nazioni diverse dalla nostra madre patria dove i cittadini parlano italiano come lingua

ufficiale. Molto probabilmente li capiremmo e riusciremmo a comunicare con loro, ma

sicuramente il loro italiano si sarebbe evoluto in modo diverso dal nostro, con regole,

pronunce e accenti differenti. Questo italiano diverso sarebbe forse meno importante del

nostro? Meno ufficiale? Direi proprio di no. Solo perché l’italiano è nato qui in Italia non

vuol dire che un altro italiano, che avrebbe potuto svilupparsi altrove, non avrebbe dovuto

essere considerato una lingua a tutti gli effetti.

Prendiamo l’esempio dell’inglese britannico e dell’inglese americano. L’inglese è

certamente nato in Inghilterra, e questo è un fatto significativo, ma ad un certo punto si è

anche trasferito al di là dell’Oceano insieme ad un gruppo di coloni, dando origine ad una

nuova nazione e ad una lingua alternativa che si è per lungo tempo sviluppata su un binario

del tutto diverso da quello del ceppo originario. Nello sviluppo delle lingue il fatto che certe

forme, parole e accenti siano percepite come “prestigiose”, più “pure” o “migliori” ha

sempre giocato un ruolo molto importante. Siccome l’inglese è nato in Inghilterra, tante

volte gli studenti italiani richiedono di poter imparare “il vero inglese”, intendendo l’inglese

britannico e dimostrando così una limitata comprensione del panorama linguistico a cui si

stanno avvicinando. Questa concezione un po’ imprecisa è piuttosto diffusa; in genere è

dovuta ad una percezione generale, un cliché o pregiudizio che sembra partire proprio dai

britannici: a detta di molti l’inglese americano è troppo semplificato e grossolano negli

accenti e nella pronuncia. Quante volte avete sentito dire: “L’accento americano è

incomprensibile e poco elegante, sembra che parlino con la bocca piena di fagioli”?

Tanto per cominciare bisogna sapere che l’inglese americano si è limitato a

mantenere molte delle caratteristiche che l’inglese britannico aveva ai tempi in cui i coloni

si trasferirono in America. Eh già! Alcuni britannici potranno anche pensare che la loro

versione dell’inglese sia la migliore di tutte, ma gli americani non fanno altro che parlare

una lingua che possiede alcune delle caratteristiche che l’inglese britannico aveva nel 1600,

quando i padri pellegrini lo esportarono in America (ossia tardo Middle English e primo

Modern English). La cosa simpatica è che queste stesse caratteristiche sono proprio tra

quelle che molti britannici citano per giustificare la presunta “superiorità” del loro inglese!

Quello che stanno facendo in realtà è contestare una forma antica e non più in uso della loro

stessa lingua, non certo una sua versione corrotta e troppo semplificata.

Questo ci fa capire quanto sia importante avere un’idea chiara di come stanno

realmente le cose. L’inglese americano ha ricevuto influenze diverse dal suo progenitore

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europeo e si è sviluppato in autonomia per più di 400 anni… direi che ha acquisito il diritto

di essere considerato una lingua a tutti gli effetti, degna di essere chiamata tale. E quando

una lingua raggiunge questo status, si procede in genere a stabilirne uno standard di

riferimento. Il modello linguistico per l’italiano è detto Italiano Standard, il modello per

l’inglese britannico è detto Standard Written English per lo scritto e RP (Received

Pronunciation) per l’oralità, mentre per l’inglese americano si parla di GA (General

American English). Teniamo presente che questi modelli sono molto applicati nello scritto,

soprattutto quando si parla di scritti accademici, ufficiali e di alto registro, mentre nel

parlato gli accenti modello, neutri e senza connotazioni regionali, sono quasi introvabili.

L’italiano standard è infatti quello insegnato a chi lavora in Tv o a teatro, mentre l’RP

corrisponde alla pronuncia della regina d’Inghilterra. C’è davvero poca gente che parla in

questo modo nella propria vita quotidiana, quindi non preoccupiamocene troppo. E’ bene

sapere che questi modelli esistono, ma se andassimo in giro parlandoli e scrivendoli la

maggior parte della gente ci guarderebbe come se fossimo un poco matti.

In definitiva la cosa migliore da fare è decidere quale inglese apprendere, a seconda

delle nostre esigenze e preferenze, e cercare di restare fedeli a questa idea. Al livello a cui ci

troviamo ora, ossia al principio, questa scelta non è ancora di fondamentale importanza,

perché le due lingue inglesi più popolari (britannico e americano) condividono

numerosissime caratteristiche, soprattutto quando si parla di conoscenze di base. In realtà

chi di voi va ancora a scuola non ha molta scelta… l’insegnante, a seconda delle sue

preferenze e capacità, ha già deciso per voi, almeno finché non sarete del tutto autonomi.

Per quanto riguarda la pronuncia ed il vocabolario resta comunque interessante vedere le

differenze, prenderne atto ed eventualmente tenere presente che ci conviene essere coerenti

nelle nostre scelte, soprattutto in vista di un futuro in cui diventeremo sempre più bravi. Per

tornare al punto di partenza… ricordate la lettera Z dell’alfabeto? Abbiamo visto che ha due

diverse pronunce. Ebbene, una è britannica (/zɛd/) mentre l’altra è americana (/ziː/)!

Nonostante tutte le precisazioni che abbiamo appena fatto, più che altro per essere

un poco più informati sull’argomento, non dovremmo in realtà fissarci troppo con l’assoluta

purezza di una o dell’altra varietà d’inglese da noi prescelta… il nostro scopo è comunicare

efficacemente in maniera generalmente corretta e ci sono talmente tante varianti

dell’inglese nel mondo che una pronuncia un poco imprecisa o magari lievemente

incoerente con il resto del discorso è solamente una piccola goccia nel mare, una goccia di

cui non dobbiamo preoccuparci più di tanto. Infatti, imparare bene uno degli “inglesi”

parlati nel mondo non è una garanzia di universalità… ci saranno comunque tanti altri

“inglesi” che faremo molta fatica a capire e che ci metteranno in difficoltà, almeno finché

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non li avremo interiorizzati ben bene. Per intenderci, non dovremo scoraggiarci se la nostra

competenza in inglese britannico sembrerà aiutarci relativamente poco quando incontriamo

un americano per la prima volta; è perfettamente normale e succede spesso anche ai

madrelingua.

Infine, cerchiamo di non essere troppo severi nei nostri giudizi. Gli “inglesi” del

mondo, come tutte le altre lingue, sono sempre in cambiamento. I linguisti hanno

dimostrato che ci sono delle tendenze generali che guidano in qualche modo il continuo

cambiamento di tutte le lingue. Per esempio, è normale che tante forme che appartengono al

parlato (come parole di recente invenzione, termini colloquiali, parole prese in prestito da

altre lingue) entrino pian piano a far parte della lingua standard che viene accettata e

descritta ufficialmente nei dizionari. Non si tratta di contaminazione, ma di evoluzione! La

perdita del congiuntivo in italiano, per esempio, non è necessariamente un segno di

decadenza ma piuttosto un chiaro esempio di una forte tendenza che tutte le lingue hanno:

la tendenza alla semplificazione. La gente, senza cui le lingue non esisterebbero, preferisce

sempre soluzioni che siano il più regolari, coerenti e meno faticose possibile. Questo

processo coinvolge anche l’inglese… pensate che una volta questa lingua aveva i casi,

come il latino ed il tedesco! Al giorno d’oggi è una lingua diffusissima, con tante varianti e

una grammatica decisamente poco complessa (almeno rispetto a tante altre lingue,

compresa la nostra). Per quanto l’inglese possa sembrarci difficile, ricordiamoci che la

grammatica della nostra lingua madre è decisamente molto più complicata, piena di

eccezioni, e spesso si rivela un vero incubo per il povero straniero che cerca di imparare a

parlarla ad un buon livello. Nel complesso, adesso sappiamo un poco meglio con che cosa

abbiamo a che fare, ma sappiamo anche che non sarà il caso di preoccuparsi troppo se ci

scappa una parola pronunciata all’americana in un discorso fatto in inglese britannico o una

parola in inglese colloquiale in un discorso tendenzialmente formale.

Prima di proseguire oltre... un piccolo glossario di termini utili!

Siccome stiamo per affrontare un viaggio che prevede una certa dose di grammatica

(senza paura, cercheremo di renderla il più simpatica e comprensibile possibile), sarà

meglio rispolverare alcuni concetti di cui non si può proprio fare a meno. Partiamo dalle

varie categorie di parole che possiamo incontrare:

Nome – Un nome può essere comune (casa, sasso, sedia…) oppure proprio (Roma, Elisa,

Germania…) ed indica una cosa, animale o persona. Un nome può anche indicare una cosa

non concreta, come per esempio tristezza, amore, filosofia.

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Articolo – E’ una particella che viene messa davanti al nome quando serve e ci da qualche

piccola informazione in più… gli articoli sono di vari tipi, ma quelli che c’interessano in

questa sede sono quelli indeterminativi, partitivi e determinativi. Gli

indeterminativi/indefiniti si usano quando il nome che li segue non è determinato da nulla,

nel senso che è probabilmente la prima volta che lo introduciamo nel discorso. Gli

indeterminativi accompagnano un nome qualsiasi, che indica una cosa non ben precisata

(es. un cane, una bambina). Questo discorso funziona bene per il singolare, quando si parla

di una sola cosa o persona, ma si è mai sentita un’espressione tipo uni bambini? Quando si

parla di nomi vaghi e indeterminati al plurale allora si usano gli articoli partitivi, che

individuano una parte, un gruppetto vago. Ecco allora che abbiamo, per esempio, dei cani,

delle bambine (nel senso di alcuni cani/qualche cane, alcune bambine/qualche bambina). Se

poi vogliamo indicare una quantità non precisa al singolare allora possiamo dire del pane,

della farina (i partitivi esistono anche al singolare!). Infine, ci sono gli articoli

determinativi/definiti. Questi articoli individuano qualcosa con precisione, lo determinano

ben bene e la loro presenza ci informa che la cosa o persona di cui stiamo parlando non è

una qualsiasi, anzi è in genere già stata introdotta nel discorso in una fase precedente. I

determinativi vanno bene sia al singolare che al plurale: il cane (un cane preciso), la

bambina (magari quella di cui ho già parlato anche prima), i cani, le bambine.

Pronome – E’ una piccola parolina generica che sostituisce il nome quando questo avrebbe

dovuto essere ripetuto troppe volte di seguito. Infatti non è sempre necessario riproporre il

nome che c’interessa; se per esempio abbiamo già detto di cosa parliamo e non vogliamo

ripeterci nelle frasi successive possiamo utilizzare, appunto, un pro-nome (che prende il

posto del nome e svolge la sua stessa funzione!). Ecco un piccolo esempio: Luisa (nome) è

una ragazza simpatica. Lei (uso il pronome lei invece di ripetere Luisa) racconta ottime

barzellette.

Aggettivo – L’aggettivo è una piccola aggiunta. E’ una parola che si associa sempre ad un

nome e ci informa di una delle caratteristiche possedute dal nome stesso. E’ un poco come

un vestito… senza l’essere umano (il nome) a cui appoggiarsi, il vestito (l’aggettivo) non

potrebbe certo andarsene in giro da solo! Ogni nome può mettersi tutti i vestiti che vuole, e

sarà anche vero che l’abito non fa il monaco, ma gli aggettivi possono fornirci molte

informazioni sul nome a cui si riferiscono. Ci sono tante diverse categorie di aggettivi e tra

queste ci sono gli aggettivi qualificativi (che qualificano, che esprimono una qualità) come

bello, simpatico e verde, gli aggettivi dimostrativi (che dimostrano, mostrano, indicano

qualcosa) come questo e quello, gli aggettivi possessivi (che indicano a chi appartiene il

nome a cui si riferiscono) come mio, tuo, nostro e infine quelli indefiniti (che indicano una

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quantità indefinita, non precisa) come alcuni, qualche.

Preposizioni – Le preposizioni sono brevi parole che forniscono un’introduzione per

qualcos’altro e vengono poste prima (pre-poste!) di termini più significativi. Vediamo

qualche esempio: Da dove vieni? Vengo da Milano (vengo Milano, senza da in mezzo, non

avrebbe avuto molto senso, anche se avremmo capito lo stesso... Milano è il concetto più

importante). Dove vai? A casa / Verso casa.

Congiunzioni – Sono parole che uniscono, congiungono. Sono come la calce che tiene

uniti i mattoni, come le giunture di un macchinario. Ce ne sono di tanti tipi, a seconda del

tipo di legame che stabiliscono tra le frasi e parti del discorso. Ecco qualche esempio: La

Tv è accesa ma nessuno la sta guardando. Mia madre legge il giornale e mio padre dorme

sul divano. Sebbene lei mi sia simpatica, non credo che la inviterò.

Verbo – Il verbo è una parola che esprime un’azione, come essere, correre, mangiare… Sia

in inglese che in italiano il verbo si modifica per spiegarci meglio quando e come l’azione

si verifica. Avremo quindi un verbo coniugato al passato se l’azione si è svolta nel passato,

al presente se si è svolta nel presente e così via.

Avverbio – L’avverbio è una parola che modifica un poco il significato del verbo. Da solo

l’avverbio non può fare nulla, infatti è sempre accoppiato ad un verbo. Potremmo dire che

l’avverbio è un accessorio del verbo, come dire un bel paio di occhiali, orecchini o una

sciarpa. E’ un discorso simile a quello fatto per il nome e l’aggettivo: senza verbo,

l’avverbio non ha senso (al nome aggiungo l’aggettivo, al verbo accosto l’av-verbio).

Vediamo qualche esempio:

mangiare (verbo) piano (in che modo mangio? Mangio piano); mangiare lentamente;

correre rapidamente (avrei potuto anche correre piano… vediamo che l’avverbio può fare

una bella differenza!).

Passiamo ora alle parti che compongono una frase. A livello logico, la frase è

costituita da un soggetto, un predicato verbale, eventualmente un complemento oggetto ed

altri complementi di diversa natura. Ecco una breve spiegazione di questi termini:

Soggetto – Si tratta della cosa o persona che è al centro dell’attenzione. L’intera frase parla

principalmente di lui/lei, è la star incontestata. Che compia o subisca l’azione principale

espressa dalla frase non è importante, tanto sempre di lui/lei si parla!

Predicato verbale – Il predicato verbale (da “predicare”, cioè dire/affermare qualcosa) è

l’azione compiuta dal soggetto, oppure l’azione che associamo al soggetto. In genere il

predicato verbale coincide pressappoco con il verbo. Perché si parli di “frase” è necessario

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che ci siano sia un soggetto che un predicato/verbo; infatti queste componenti sono

fondamentali e solo in rari e particolari casi possono essere omesse e sottintese. In inglese

soggetto e predicato sono chiaramente presenti nella frase nel 99,9% dei casi; è proprio

obbligatorio che ci siano!

Ecco invece gli altri elementi della frase (o proposizione, come viene anche

chiamata quando si parla sul serio di grammatica), che sono certamente importanti ma non

necessari per l’esistenza della frase stessa:

Complemento oggetto – E’ un completamento della frase (come dice il nome stesso,

“complemento”, “complementare”, che completa…). E’ il più importante tra i

completamenti possibili perché risponde alla domanda “Chi? Che cosa?”. Questo

complemento non è sempre presente, perché alle volte il verbo non ci permette di porci

queste due piccole domandine. Se per esempio la frase a cui siamo interessati fosse: Lei è

un’insegnante, avremmo lei come SOGGETTO, è come PREDICATO e poi ci

chiederemmo “Che cosa è lei?”. La risposta sarebbe appunto il COMPLEMENTO

OGGETTO, ossia un’insegnante. Se invece la frase fosse: Mia sorella va a casa, avremmo

mia sorella come SOGGETTO e va a casa come PREDICATO. La domanda “Chi o che

cosa?” al seguito del verbo andare (va) non ha proprio senso! Chi o che cosa potrebbe

andare la mia povera sorella? Il verbo andare non va d’accordo con i complementi oggetti,

infatti preferisce reggere la domanda “Dove?” piuttosto che la domanda “Chi? Che cosa?”

(e “dove” è la domanda che indica un altro tipo di complemento, non certo il complemento

oggetto...).

Altri complementi – Esistono infatti altri completamenti della frase che vengono inseriti a

seconda delle esigenze. Questi complementi rispondono a domande di varia natura come

“Di che materiale è?”, “Quando”, “Di chi?”, “Dove?”, “A causa di chi/che cosa?” ecc…

Tutte le lingue tendono ad organizzare questi importanti elementi in un determinato

ordine, che è l’ordine che preferiscono. L’italiano, come l’inglese, preferisce piazzare per

primo il soggetto, poi il verbo ed infine l’oggetto (i complementi). Questo ordine viene

quindi chiamato SVO (soggetto-verbo-oggetto). In italiano l’ordine è un po’ più flessibile

che in inglese, ma in inglese è davvero raro trovare questi tre macroelementi (soggetto,

verbo e oggetto) in una sequenza diversa. Ciò significa che spesso e volentieri SVO sarà

per noi una specie di mappa; non dovremo litigare troppo con sconosciute parole inglesi

perché almeno sapremo già in che ordine si trovano le parti della frase. Insomma, sapremo

cosa aspettarci.

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Le componenti della frase di cui abbiamo appena parlato (soggetto, predicato

verbale e complementi) sono una specie di grossi contenitori. Sono come delle scatole, che

possono contenere ben più di una parola; un soggetto, per esempio, al suo interno potrebbe

contenere un articolo, un nome e qualche aggettivo. La cosa strana è che a volte la scatola

del soggetto contiene un’intera frase! Infatti una volta che si è capito come costruire una

frase si sale al livello superiore e si scopre che le lingue sono come una matrioska russa. La

frase principale, la più importante, è la bambola più grande, che contiene tutte le altre. Se la

apriamo per analizzarla potremmo trovare altre frasette al suo interno, frasi a tutti gli effetti,

anche loro con almeno un soggetto e un verbo. Queste frasi più piccole, che sono contenute

in quella principale, sono dette subordinate, perché sono meno importanti, di ordine

inferiore. Vediamo qualche semplice esempio:

[La bambina bionda] Soggetto [sta mangiando] Verbo [una mela] Oggetto

Fin qui tutto ok. Ma guardiamo la seguente:

[La bella bambina bionda che ti ho presentato prima] Soggetto [sta mangiando] Verbo [una

mela] Oggetto

Accidenti, però… dentro alla scatola del soggetto c’è un’altra piccola frase, una

subordinata!

Infatti abbiamo: (che) [io] Soggetto sottinteso [ti (a te)] Complemento [ho presentato prima] Verbo

La grammatica in realtà è molto più estesa, precisa e dettagliata di così. Tuttavia a

noi può bastare avere un’idea generale di come funzionano le cose, anche perché nel corso

di questo libro avremo modo di applicare molte di queste semplici nozioni in modo da

capire meglio la lingua inglese. Adesso, armati fino ai denti, siamo davvero pronti a

cominciare…

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CCAAPPII TTOOLL OO 22

FFuuooccoo aall llee ppoollvveerr ii !!

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I PRONOMI SOGGETTO (Subject pronouns)

Ricordando tutte le cose che abbiamo detto nel capitolo precedente, il primo

mattoncino che ci serve per costruire una frase inglese è proprio un soggetto, ossia un nome

o un pronome che ci indichi la cosa/persona di cui vogliamo parlare oppure la persona che

compie/subisce l’azione espressa dal verbo. Come abbiamo visto, la scatola del soggetto

può essere riempita con tante parole diverse ed anche intere frasi ma agli inizi, quando le

frasi sono ancora semplici, la scatola spesso contiene solo dei nomi propri (come Luisa),

oppure nomi comuni (il cane, la nonna, la scuola).

Esempio: Luisa è una ragazza simpatica. Lei racconta ottime barzellette.

Ecco qui due belle frasi. La prima ha Luisa come soggetto, mentre la seconda invece di

Luisa ha lei.

Luisa è una ragazza simpatica. (Lei – invece di ripetere Luisa) racconta ottime barzellette.

In questa frase Lei è un pronome soggetto. In italiano questi pronomi sono spesso superflui

e non vengono espressi (infatti in italiano avremmo probabilmente detto: Luisa è una

ragazza simpatica. Racconta ottime barzellette. Avremmo quindi costruito la seconda frase

senza mettere lei, lasciando il soggetto sottinteso). Questo è possibile perché i verbi italiani

hanno una forma diversa per ognuna delle sei persone che individuano tutte le possibili

categorie di soggetti (io, tu, egli, noi, voi, essi), mentre le forme dei verbi inglesi tendono

ad essere quasi tutte uguali! Se non specificassimo il soggetto non potremmo quasi mai

capire di che cosa parla una frase inglese, perché il verbo inglese non ci da indicazioni al

riguardo.

Ecco una tabella riassuntiva dei pronomi soggetto inglesi:

I IO 1° PERSONA SINGOLARE you TU 2° PERSONA SINGOLARE he - uomo EGLI/LUI she - donna ELLA/LEI 3° PERSONA SINGOLARE it - oggetto/animale ESSO we NOI 1° PERSONA PLURALE you VOI 2° PERSONA PLURALE LORO they ESSI 3° PERSONA PLURALE ESSE

Tra i pronomi inglesi e quelli italiani possiamo subito notare due differenze importanti:

- La 3° persona singolare inglese si divide in tre categorie precise, come per l’italiano, ma

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la terza persona plurale non si divide affatto. Per descrivere un gruppo di ballerine l’italiano

utilizzerebbe il pronome “esse”, ma l’inglese utilizza il pronome “they” sia che si tratti di

uomini, donne, cose o animali.

- La 2° persona singolare e la 2° persona plurale sono uguali. E’ quindi impossibile usare i

pronomi per creare delle forme di cortesia come invece si fa in italiano con la forma del

“Voi”. Se poi ci venisse in mente di dare a qualcuno del “Lei” usando “She” (oppure “He”)

la persona inglese con cui parliamo comincerebbe a sforzarsi di capire chi è questa donna o

uomo misterioso di cui ci siamo improvvisamente messi a parlare. Per rivolgersi

direttamente a qualcuno l’unica possibilità in inglese è infatti “You”! Per essere cortesi e

dimostrare rispetto si possono specificare i titoli che appartengono alla persona con cui o di

cui si parla. Se ci si rivolge ad un professore universitario, per esempio, è opportuno

chiamarlo “Professor Smith” oppure “Dr. Smith”. Per gli uomini si tende ad utilizzare Mr. e

Mrs. (una donna sposata) / Miss (una signorina) / Ms. (nel caso non sia possibile sapere se

la donna in questione è sposata o no) per le donne. Se ci trovassimo a parlare con il

presidente degli Stati Uniti ci rivolgeremmo a lui chiamandolo “Mr. President”, ma

useremmo comunque il pronome “You” e le forme verbali corrispondenti.

INOLTRE, COME ABBIAMO DETTO, IL SOGGETTO DELLA FRASE INGLESE VA

SEMPRE SPECIFICATO!

Ecco il perché:

I AM IO SONO I LOVE IO AMO YOU ARE TU SEI YOU LOVE TU AMI HE/SHE/IT IS

EGLI/ELLA/ESSO E’

HE/SHE/IT LOVES

EGLI/ELLA/ESSO AMA

WE ARE NOI SIAMO WE LOVE NOI AMIAMO YOU ARE VOI SIETE YOU LOVE VOI AMATE THEY ARE ESSI SONO THEY LOVE ESSI AMANO Se non specificassimo il pronome soggetto, come faremmo a capire di chi si parla? Il verbo

“are” si usa per i due “You”, “We” e “They” ed il verbo “love” (proprio come tutti gli altri

verbi con significati diversi da essere) si usa per i due “You”, “I”, “We” e “They”. In

italiano invece i verbi sono più difficili da imparare (amo, ami, ama, amiamo, amate,

amano) perché sono tutti diversi, ma per questa stessa ragione si può anche evitare di

specificare il soggetto.

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IL VERBO

Tante porte per tanti significati…

Adesso che abbiamo una serie di facili soggetti da utilizzare passiamo al verbo. Il

sistema verbale inglese è diverso da quello italiano sotto molti punti di vista. Tra i due

sistemi ci sono anche delle similitudini, ma il modo migliore per capire e ricordare i tempi

verbali inglesi è quello di non cercare di collegarli ai verbi italiani. Quello che sappiamo dei

tempi verbali dell’italiano è certamente una buona indicazione, ma purtroppo la logica

inglese è sostanzialmente diversa dalla nostra. Immaginiamo che l’italiano sia

un’automobile e l’inglese una barca. Sono entrambi mezzi di trasporto a motore, ma i

principi che li regolano sono differenti, così come i gesti necessari per condurli

correttamente. Imparare ad utilizzare il sistema verbale inglese è come prendere la patente

nautica dopo aver già conseguito quella di circolazione. Cerchiamo di tenere la mente

aperta a nuove possibilità e non illudiamoci: le regole del codice della strada non sempre

valgono in mare aperto.

Visualizziamo il processo di comunicazione come un percorso. Davanti a noi si

aprono molte porte, le porte che conducono ai tempi verbali. Ogni porta ci introduce ad un

significato diverso e per esprimere quel particolare significato dobbiamo necessariamente

scegliere la porta giusta e quindi anche le forme grammaticali che essa nasconde. Le forme

grammaticali ed il preciso significato che ogni porta esprime sono due facce della stessa

medaglia; per esprimere un determinato significato occorrono proprio quelle forme

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grammaticali e quelle determinate forme grammaticali indicano unicamente quel preciso

significato. La prima porta che varcheremo è la porta del SIMPLE PRESENT…

IL SIMPLE PRESENT

Il Simple Present è un tempo della famiglia dei Simple. In generale è il

tempo della costanza e dell’assenza di cambiamento.

SIGNIFICATO

Si sceglie di aprire questa porta quando:

1) Si vuole parlare di abitudini, routine, azioni ripetute nel corso del tempo più o meno

frequentemente (HABITS AND REPEATED ACTIONS). Osserviamo questa linea del

tempo, che comprende passato, presente e futuro: le crocette nere rappresentano azioni che

si ripetono con continuità, come per esempio il sorgere del sole ogni mattina.

2) Si vuole descrivere qualcosa che si ha ragione di pensare non subirà alcun

cambiamento (DESCRIPTIONS, UNCHANGING SITUATIONS).

3) Si vuole parlare di verità generali, ossia di cose che sono sempre uguali a se stesse e

tendono a non cambiare (GENERAL TRUTHS). Per rappresentare una cosa che si

verifica sempre, che è sempre in quel modo nel corso del tempo, tracciamo una linea

continua e parallela alla linea del tempo. Per intenderci: se vogliamo dire che “i gatti

miagolano e non sanno parlare” useremo il Simple Present perché questa frase descrive una

situazione che è sempre stata tale e probabilmente sempre lo sarà.

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Adesso dobbiamo fare un poco d’esercizio!

1) Associamo ad ogni frase una delle tre categorie descritte nella

spiegazione precedente (a, b o c).

In futuro saremo tutti in grado di tradurre queste semplici frasi ma

chi lo desidera può già fare un tentativo…

Esempio: Vado a scuola ogni giorno - a (abitudine!)

1) La mia casa è molto grande ____________________________________________

2) Non guardo mai film dell’orrore _______________________________________

3) Gli asini non volano _________________________________________________

4) L’Italia è una penisola _______________________________________________

5) I gatti odiano l’acqua ________________________________________________

6) Nel mio salotto ci sono due poltrone ____________________________________

7) Non ceno mai prima delle otto _________________________________________

8) Sono spesso in ritardo _______________________________________________

9) Vado al cinema due volte a settimana ___________________________________

2) Nella lista che segue indichiamo quali frasi possono o non possono essere espresse

usando il Simple Present.

Esempio: Domani sera vado al cinema con alcuni amici. SI NO Perché? Perché si parla

di quello che avverrà domani, e domani è già futuro! Questa non è una descrizione riferita a

qualcosa di stabile, né una verità generale né un’azione ripetuta e costante…

1) Non mangio carne. SI NO Perché?

2) Mio nonno è nato in Argentina. SI NO Perché?

3) Dono il sangue tutti gli anni. SI NO Perché?

4) Si sta facendo tardi. Adesso preparo la cena. SI NO Perché?

5) – Cosa fai? – Studio matematica. SI NO Perché?

6) Vivo in una grande casa sul fiume. SI NO Perché?

7) Ora vivo qui, ma tra due mesi faccio trasloco. SI NO Perché?

8) Non ci penso quasi mai. SI NO Perché?

9) Mi sveglio sempre tardi. SI NO Perché?

10) Se mi dici cosa devo comprare vado subito al negozio. SI NO Perché?

11) Al martedì vado in palestra, mentre al giovedì ho il corso di cucina. SI NO Perché?

12) Mi sposo a Settembre del prossimo anno. SI NO Perché?

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13) Vado in ferie tre volte l’anno. SI NO Perché?

14) Ho già il biglietto. Parto il 5 di Agosto. SI NO Perché?

15) Si vive una volta sola. SI NO Perché?

16) Ho 25 anni e lavoro in una ditta come impiegata. SI NO Perché?

17) Mia madre è un’ottima cuoca. SI NO Perché?

18) Mi alzo alle 7 e faccio una doccia. Poi mi fermo al bar per un caffè e vado al lavoro.

SI NO Perché?

19) Domani mi alzo alle 7 per fare una doccia. SI NO Perché?

Soluzioni:

Esercizio 1

Esempio: a. Stiamo parlando di un’azione abitudinaria.

1) b. Stiamo descrivendo una casa.

2) a/b. Stiamo spiegando che una certa azione non si verifica mai (e quindi stiamo

illustrando una nostra abitudine) e stiamo anche descrivendo i nostri gusti.

3) c. Stiamo illustrando una verità generale.

4) b/c. Stiamo descrivendo l’Italia e anche illustrando una cosa che si suppone sarà sempre

vera.

5) b/c. Stiamo descrivendo i gatti e al tempo stesso illustrando una verità generale.

6) b. Stiamo descrivendo il nostro salotto, che si suppone non cambi ogni giorno!

7) a. Stiamo descrivendo una nostra abitudine, parlando di qualcosa che evitiamo

ripetutamente di fare.

8) a/b. Stiamo descrivendo una nostra abitudine e anche una nostra caratteristica.

9) a. Stiamo descrivendo una nostra abitudine.

Esercizio 2

1) si. Stiamo descrivendo una nostra abitudine e anche i nostri gusti.

2) no. Stiamo parlando di un anno preciso nel passato, quando nacque il nonno, non certo di

abitudini o di cose che si verificano con continuità e sempre uguali a se stesse.

3) si. Una cosa che si verifica tutti gli anni è certamente un’abitudine, un’azione ripetuta.

4) no. Come potrebbe questa concatenazione di azioni essere un’abitudine? E’ un caso

preciso, legato al momento presente: ora si sta facendo tardi, quindi tra un attimo preparerò

la cena (nel futuro). Questa situazione è temporanea, legata al momento contingente, e

quindi non può essere espressa usando il tempo del non cambiamento, della continuità.

5) no. Questo scambio di battute riguarda il momento presente! Tra 5 minuti potrei smettere

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di studiare matematica e fare invece qualcos’altro, quindi anche in questo caso non

possiamo usare il tempo del non cambiamento.

6) si. Sto descrivendo una parte della mia vita che si spera non sia destinata a cambiare a

breve termine.

7) no. In questo caso il fatto che io viva in questo posto è chiaramente solo temporaneo!

Questa sistemazione cambierà presto (con un’azione singola che si verificherà nel futuro) e

non è certo la sistemazione che considero definitiva e destinata a non cambiare.

8) si. Stiamo descrivendo un’abitudine, ossia una cosa che evitiamo sempre di fare.

9) si. Stiamo descrivendo una nostra abitudine.

10) no. Nel dire “vado subito al negozio” sto in realtà dicendo che tra poco ci andrò (azione

singola nel futuro, non certo ripetuta!).

11) si. Stiamo descrivendo una routine settimanale.

12) no. Sposarsi non è in genere considerata un’azione abitudinaria… in teoria succede solo

una volta nella vita! Tra l’altro, in questo caso si parla proprio di un momento singolo nel

futuro in cui questa azione si verificherà.

13) si. Stiamo descrivendo una nostra abitudine, un’azione che viene compiuta con una

certa frequenza e continuità.

14) no. Ancora una volta stiamo parlando di un’azione singola che si verificherà nel futuro.

15) si. Detti e proverbi, come tanti altri esempi di saggezza popolare, di solito vengono

espressi con il Simple Present perché intendono illustrare delle verità generali.

16) si. Stiamo descrivendo una persona e soprattutto il suo lavoro (che in genere è una parte

importante della routine settimanale di tutti noi).

17) si. Stiamo illustrando una caratteristica della mamma. Avremmo anche potuto dire che

lei cucina molto bene, descrivendo un’abilità che lei possiede.

18) si. Stiamo illustrando una routine quotidiana.

19) no. Stiamo parlando di un’azione che si verificherà domani, nel futuro, e certamente

non in modo continuativo e abitudinario.

Analizzando l’esercizio numero 2 possiamo notare che in molti casi l’italiano usa un

tempo presente, anche se in realtà l’azione di cui si parla si verificherà nel futuro. Questo

fatto non deve trarci in inganno e spingerci ad usare il Simple Present ogni volta che

pensiamo ad una frase italiana che contiene un tempo presente! Nello scegliere il Present

Simple stiamo applicando un ragionamento che non ha nulla a che vedere con il modo in

cui l’italiano utilizza il tempo Indicativo Presente (es: io vado, tu scrivi, egli mangia). Per

utilizzare correttamente questo tempo verbale inglese dobbiamo dimenticare

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momentaneamente l’italiano, analizzare l’azione espressa dalla frase e chiederci: “Questa

azione è ripetuta, abitudinaria? Esprime una caratteristica che qualcuno o qualcosa possiede

in modo più o meno permanente e non destinato a cambiare? Descrive cose non temporanee

e/o sempre vere?” Se la risposta a una o più di queste domande è sì, allora possiamo aprire

la porta del Simple Present e scegliere le precise forme grammaticali che si nascondono

dietro questa porta. In questo modo le persone che leggono o ascoltano quello che abbiamo

da dire capiranno perfettamente il significato che abbiamo voluto esprimere, senza

fraintendimenti.

MORFOLOGIA

Una volta che si è deciso di varcare questa soglia (per esprimere i significati sopra

descritti) ci si trova di fronte ad un bivio: da una parte abbiamo il verbo TO BE (verbo

essere) e dall’altra ALL OTHER VERBS (tutti gli altri verbi).

Se il verbo che si vuole utilizzare è il verbo essere occorre seguire una strada, mentre per

qualsiasi altro verbo occorre seguire l’altra.

Analizziamo ora la strada del verbo essere, TO BE*.

* TO BE. BE è l’infinito del verbo essere e TO è la preposizione che lo precede per indicare

appunto che il verbo è all’infinito. L’italiano utilizza le desinenze -ARE, -ERE, -IRE (es:

mangiare/bere/dormire) ma l’inglese si limita ad aggiungere il TO davanti alla forma base

del verbo. Esempio: TO BE = ESSERE; TO LOVE = AMARE.

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+ Forma affermativa

Forme estese Forme contratte Regole

I AM [em] IO SONO

I’M

YOU ARE [ar] TU SEI

YOU’RE

HE IS [is] LUI/EGLI E’

HE’S

SHE IS LEI/ELLA E’

SHE’S

IT IS ESSA/ESSO E’

IT’S

WE ARE NOI SIAMO

WE’RE

YOU ARE VOI SIETE

YOU’RE

THEY ARE LORO/ESSI/ESSE SONO

THEY’RE

CONTRAZIONE: Come possiamo vedere ognuna di queste voci ha la sua forma contratta, che è usata praticamente sempre nel parlato (a meno che non sia un discorso molto ufficiale) e solo nelle forme colloquiali di comunicazione scritta. Nello scritto infatti le abbreviazioni e contrazioni non sono ben viste. Come abbiamo realizzato queste contrazioni? Semplicemente unendo le due parole (soggetto e verbo) con l’aiuto di un piccolo apostrofo, che mettiamo nel punto in cui togliamo una vocale (l’apostrofo serve per ricordarci che la vocale c’era). Tra le due lettere vicine (quella finale appartenente al soggetto e la vocale iniziale del verbo) noi togliamo quella del verbo, lasciando ben chiaro il soggetto.

? Forma interrogativa

Forma affermativa

Forma interrogativa Regole

I AM AM I? IO SONO?

YOU ARE ARE YOU…?

HE IS IS HE…? LUI E’?

SHE IS IS SHE…?

IT IS IS IT…? ESSO E’?

WE ARE ARE WE…?

YOU ARE ARE YOU…?

THEY ARE ARE THEY…?

LA FORMA INTERROGATIVA SI CREA invertendo la posizione del soggetto e del verbo. Spesso in italiano ci limitiamo ad indicare che la frase appena pronunciata è una domanda sfruttando l’intonazione della voce, ma in inglese l’intonazione ed il punto interrogativo non sono affatto sufficienti! Per formulare una domanda OCCORRE FARE QUESTA INVERSIONE.

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- Forma negativa

Forma affermativa

Forma negativa Possibili forme contratte

Traduzione

I AM I AM NOT I’m not IO NON SONO

YOU ARE YOU ARE NOT You aren’t / You’re not

TU NON SEI

HE IS HE IS NOT He isn’t / He’s not

LUI NON E’

SHE IS SHE IS NOT She isn’t / She’s not

LEI NON E’

IT IS IT IS NOT It isn’t / It’s not ESSO NON E’

WE ARE WE ARE NOT We aren’t / We’re not

NOI NON SIAMO

YOU ARE YOU ARE NOT You aren’t / You’re not

VOI NON SIETE

THEY ARE THEY ARE NOT They aren’t / They’re not

ESSI NON SONO

Partendo dalla forma affermativa, vediamo che la FORMA NEGATIVA si crea

semplicemente aggiungendo la negazione NOT (ossia non) subito dopo il verbo. In pratica

si aggiunge NOT al termine della forma affermativa.

POSSIBILI CONTRAZIONI:

Evitando sempre di menomare l’importantissimo soggetto, adesso abbiamo due parole con

cui giocare (il verbo e NOT)! Possiamo unire soggetto e verbo (come già visto), lasciando

stare il NOT, oppure possiamo unire verbo e NOT, lasciando stare il soggetto. Se decidiamo

per questa seconda soluzione dobbiamo unire il verbo al NOT mettendo un apostrofo al

posto della O di NOT, visto che in questo caso è lei la vocale scelta per andarsene.

Attenzione: I AMN’T non esiste, non si può fare!

Probabilmente perché le due consonanti M e N vicine sono davvero orribili da

pronunciare…

Vediamo ora le pronunce (molto semplificate), utilizzando la nostra annotazione

italianizzata:

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I AM NOT - [ai em not] I’M NOT - [aim not] YOU AREN’T - [iu àrent] YOU ARE NOT - [iu ar not] YOU’RE NOT - [iòr not] HE ISN’T - [hi ìsent] HE IS NOT - [hi is not] HE’S NOT - [his not] SHE ISN’T - [sci ìsent] SHE IS NOT - [sci is not] SHE’S NOT - [scis not] IT ISN’T - [it ìsent] IT IS NOT - [it is not] IT’S NOT - [its not] WE AREN’T - [ui àrent] WE ARE NOT - [ui ar not] WE’RE NOT - [uiir not] YOU AREN’T - [iu àrent] YOU ARE NOT - [iu ar not] YOU’RE NOT - [iòr not] THEY AREN’T - [dei àrent] THEY ARE NOT - [dei ar not] THEY’RE NOT - [dèir not]

Non dimentichiamo che abbiamo a disposizione anche l’alfabeto fonetico per comprendere

bene come si pronunciano le parole. Il dizionario riporta una tabella che spiega i suoni della

lingua, associandoli ai simboli fonetici, ed ogni termine è accompagnato dalla sua

trascrizione fonetica.

Torniamo ora al discorso verbale. Tenendo conto delle regole che abbiamo visto finora, che

continuano a valere, perché non proviamo a completare la seguente tabella in autonomia?

Partiamo dalla forma negativa e cerchiamo di creare la forma interrogativa negativa con

tutte le sue possibili contrazioni.

Per capirci: un esempio di forma interrogativa negativa potrebbe essere il seguente…

“Ma tu non sei la cugina di Marco?” Questa frase ci fa capire che la forma interrogativa-

negativa, anche se sembra una stranezza, in realtà è usata comunemente.

?- Forma interrogativa negativa

Forma negativa

Forma interrogativa negativa

Forme contratte Traduzione

I am not Am I not…? Non si può fare!! Io non sono…?

You are not Are you not…? Aren’t you? Tu non sei…?

He is not Lui non è…?

She is not Lei non è…?

It is not Esso non è…?

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We are not Noi non siamo…?

You are not Voi non siete…?

They are not Essi non sono…? Soluzioni

Forma negativa

Forma interrogativa negativa

Forme contratte Traduzione

I am not Am I not…? Non si può fare!!* AREN’T I?

Io non sono…?

You are not Are you not…? Aren’t you…? Tu non sei…?

He is not Is he not…? Isn’t he…? Lui non è…?

She is not Is she not…? Isn’t she…? Lei non è…?

It is not Is it not…? Isn’t it…? Esso non è…?

We are not Are we not…? Aren’t we…? Noi non siamo…?

You are not Are you not…? Aren’t you…? Voi non siete…?

They are not Are they not…? Aren’t they…? Essi non sono…? * in realtà in questo caso si prende in prestito AREN’T, visto che AMN’T è orrendo, creando quindi la forma AREN’T I?

Come possiamo vedere prima si crea la forma interrogativa, invertendo le posizioni del

soggetto e del verbo. Siccome NOT non è né soggetto né verbo ci limitiamo a lasciarlo

dov’è, in fondo alla lista. Se applichiamo la stessa regola (invertire soggetto e verbo)

partendo dalla forma contratta, ci rendiamo subito conto che il verbo è diventato una parola

sola con NOT (es. She isn’t – il verbo is e la negazione NOT sono uniti). A questo punto è

logico invertire tutto, spostando anche il NOT contratto, siccome è diventato parte del

verbo! Nel caso dell’altra contrazione (es. You’re not) risulta impossibile invertire la

posizione del soggetto con quella del verbo proprio perché contraendo abbiamo fatto in

modo che soggetto e verbo diventassero una parola unica.

Short answers (Risposte brevi)

Forma interrogativa

Risposte brevi YES Risposte brevi NO Precisazioni

Am I ....? Yes, I AM No, I’M NOT

Are you .....? Yes, YOU ARE No, YOU AREN’T / YOU’RE NOT

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Is he .....? Yes, HE IS No, HE ISN’T / HE’S NOT

Is she .....? Yes, SHE IS No, SHE ISN’T / SHE’S NOT

Is it .....? Yes, IT IS No, IT ISN’T / IT’S NOT

Are we .....? Yes, WE ARE No, WE AREN’T / WE’RE NOT

Are you .....? Yes, YOU ARE No, YOU AREN’T / YOU’RE NOT

Are they .....? Yes, THEY ARE No, THEY AREN’T / THEY’RE NOT

In inglese dire semplicemente di si (YES) o di no (NO) non è molto gentile. Le risposte brevi sono molto comuni e piuttosto importanti per esprimersi in modo corretto e cortese.

Per formulare correttamente le risposte brevi ci limitiamo a ripetere il soggetto ed il verbo

usati nella domanda, ma con le regole e l’ordine che si usano per le affermazioni e le

negazioni (prima il soggetto poi il verbo, e non viceversa, come nelle domande; infatti in

questo caso stiamo rispondendo/affermando, non domandando!). Attenzione però: le

risposte brevi si chiamano così proprio perché devono essere brevi e immediate.

Guardiamo questo esempio:

IS YOUR BROTHER TALL? (Tuo fratello è alto?)

YOUR BROTHER (tuo fratello) è il soggetto della frase e infatti viene dopo il verbo IS,

perché questa è chiaramente una domanda.

YOUR BROTHER però non è un pronome! In questo caso abbiamo usato un nome e un

aggettivo per spiegare bene di chi stiamo parlando. Dopo aver pronunciato questa frase la

persona con cui stiamo parlando ha capito a chi ci riferiamo/riferiremo e quindi possiamo

permetterci di usare il pronome soggetto che corrisponde a YOUR BROTHER, ossia LUI,

ossia HE. Torniamo ora alla domanda:

IS YOUR BROTHER TALL?

Per utilizzare una risposta breve (equivalente a dire solo si o no in italiano) non

possiamo certo dire: YES, MY BROTHER IS. (Si, [mio fratello è]).

Questa risposta non è molto breve! Occorre allora che pensiamo bene a cosa significa

YOUR BROTHER e scegliamo subito un pronome soggetto (che è breve e incisivo) da

mettere nella risposta breve. Come abbiamo detto YOUR BROTHER = LUI = HE, quindi

la risposta breve perfetta per il nostro caso è:

YES, HE IS.

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Ne deriva che YES, HE IS è la risposta breve perfetta per dire SI ogni volta che il soggetto

è un LUI, di qualsiasi LUI si tratti!

Se per caso la domanda fosse stata…

IS YOUR SISTER BEAUTIFUL? (Tua sorella è bella?)

… la risposta sarebbe stata una delle seguenti: YES, SHE IS oppure NO, SHE ISN’T.

Tutte le risposte brevi seguono questa regola, mettendo yes/no + il pronome soggetto

appropriato + il verbo più importante della frase alla forma negativa o affermativa. In

questo caso, con il verbo essere, il verbo della frase è uno solo, ma andando avanti vedremo

che alle volte nella frase servono due o più pezzetti verbali (in genere verbi di aiuto, detti

ausiliari, ed il verbo principale). Quando si presentano più pezzetti verbali le risposte brevi

riprendono il più importante nella gerarchia dei verbi presenti nella domanda, che è sempre

il primo a comparire nella domanda stessa. Infatti non è possibile ripetere tutte le parole che

compongono l’intero predicato verbale, altrimenti avremmo di nuovo una risposta lunga,

non breve!

Le risposte brevi in generale contengono sempre e solo 3 parole:

- YES oppure NO

- IL GIUSTO PRONOME SOGGETTO

- IL VERBO CON IL RUOLO PIU’ IMPORTANTE ALL’INTERNO DELLA DOMANDA

(ossia la prima tra le parole che compongono la domanda! Questo deriva necessariamente

dalla regola dell’inversione).

Ora che abbiamo visto tutte le possibili forme del verbo essere, mettiamo un altro po’ di

carne al fuoco, per fare pratica.

Ecco qualche vocabolo utile:

Girl (ragazza/bimba) -- Boy (ragazzo/bimbo) [nomi]

Cat (gatto) -- Dog (cane) [nomi]

Student (studente) -- Teacher (insegnante) [nomi]

Married (sposato) -- Single [aggettivi]

Old (vecchio) -- Young (giovane) [aggettivi]

Big (grande) -- Small (piccolo) [aggettivi]

Sunny (soleggiato) -- Cloudy (nuvoloso) [aggettivi]

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Cold (freddo) -- Hot (caldo) [aggettivi]

Beautiful (bello) -- Ugly (brutto) [aggettivi]

Happy (felice) -- Sad (triste) [aggettivi]

Well (in salute) -- Ill (malato) [aggettivi]

Per conoscere la pronuncia corretta di tutti questi termini possiamo utilizzare il

dizionario oppure avvalerci di un simpatico sito internet (uno dei tanti siti a disposizione)

che io e i miei studenti abbiamo particolarmente apprezzato: www.howjsay.com. Una volta

raggiunta la home page basta digitare la parola in questione nello spazio di ricerca (Word or

Phrase:) e cliccare il pulsante Submit (oppure cliccare sulla parola che ci interessa,

scegliendola dalla lista in ordine alfabetico). A questo punto basta accendere le casse del

computer ed ascoltare la parola pronunciata da un madrelingua. Un altro sito di questo tipo,

ma di utilizzo un poco meno immediato, è www.forvo.com.

Adesso concentriamoci sulle seguenti “immagini” e costruiamo delle

frasi secondo l’esempio canino (smalldog.wordpress.com),

utilizzando il vocabolario sopraelencato ed i pronomi soggetto.

+ The dog is sick / It is sick [Ricordiamo: the dog = IT]

- The dog isn’t well / It isn’t well

? Is the dog well? No, it isn’t

? Is the dog sick? Yes, it is

Guardiamo anche le interrogative negative, giusto perché potremmo incontrarle e

soprattutto perché ci aiutano a capire bene il meccanismo delle regole finora spiegate:

?- Isn’t the dog sick? Yes, it is

[Attenzione: La domanda negativa si limita ad esprimere il dubbio di chi chiede… in realtà

la risposta è uguale a quella che daremmo alla domanda posta senza la negazione.

Osserviamo: Il cane è malato? Si, lo è! /§/ Ma il cane non è malato!? Si, lo è!]

?- Isn’t the dog well? No, it isn’t

[Il cane è sano? No, non lo è! Ma il cane non è sano?! No, non lo è!]

Ora esercitiamoci…

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1) Immaginiamo una ragazzina seduta composta ad un piccolo banco, con la mano alzata...

+ The girl is a student / She is a student

(La ragazza è una studentessa)

2) Pensiamo ora ad un bimbo con giaccone, sciarpa e cappello che trema per il freddo…

+ The boy is cold / He is cold

(Il ragazzo è infreddolito = lui ha freddo)

3) Visualizziamo una coppia di sposini appena usciti dalla chiesa, ancora coperti di riso!

+ They are married

(Loro sono sposati)

4) Ecco invece un micio acciambellato sul divano…

+ It is a cat

([Esso/l’animale] è un gatto)

5) Pensiamo ad una bella giornata di sole intenso!

+ It is sunny

([Esso/il tempo] è soleggiato = c’è il sole)

6) Immaginamo infine una grande casa coloniale:

+ The house is big / It is big

(La casa è grande)

Soluzioni:

THE GIRL (la ragazza).

+ The girl is a student / She is a student [Ricordiamo: the girl = SHE]

- The girl isn’t a teacher / She isn’t a teacher

? Is the girl a student? Yes, she is

? Is the girl a teacher? No, she isn’t

?- Isn’t she a student? Yes, she is

?- Isn’t the girl a teacher? No, she isn’t

[Attenzione: mettiamo sempre un solo soggetto nella frase! Possiamo scegliere tra the girl

oppure she, ma non mettiamoli mai tutti e due insieme, perché significano sostanzialmente

la stessa cosa!]

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Tenendo presente la lista di parole che abbiamo visto qualche pagina fa, ora possiamo fare

ulteriore pratica con:

+ She is beautiful

+ She is young

THE BOY (il ragazzo)

Il povero ragazzo ha freddo. Traduciamo letteralmente la frase inglese: THE BOY (il

ragazzo) IS (è) COLD (freddo). Ma come?! Il ragazzo è freddo? Ricordiamoci che IS vuol

proprio e solamente dire E’, perché è una forma del verbo ESSERE! Ecco che già a questo

semplice livello incontriamo una delle più grandi difficoltà che si hanno quando ci si

avvicina ad una lingua straniera: noi diciamo le cose in un modo, utilizzando certe parole

(in questa frase l’italiano usa il verbo AVERE), mentre loro dicono le cose in un modo

completamente diverso, usando altre parole (in questa frase l’inglese mette praticamente

sempre il verbo ESSERE, non certo il verbo AVERE). In questi casi la traduzione letterale,

ossia parola per parola, non fa altro che confonderci e trarci in inganno! Ora terminiamo la

correzione, ma tra poco riprenderemo questo argomento per spiegarlo un poco più

approfonditamente.

+ The boy is cold / He is cold [Ricordiamo: the boy = HE]

- The boy isn’t hot / He isn’t hot

? Is the boy cold? Yes, he is

? Is the boy hot? No, he isn’t

?- Isn’t he cold? Yes, he is

?- Isn’t the boy hot? No, he isn’t

THE MARRIED COUPLE (la coppia sposata)

+ They are married [Ricordiamo: loro = THEY]

- They aren’t single

? Are they married? Yes, they are

? Are they single? No, they aren’t

?- Aren’t they married? Yes, they are

?- Aren’t they single? No, they aren’t

Tenendo presente la lista di parole che abbiamo visto qualche pagina fa, ora possiamo fare

ulteriore pratica con:

+ They are happy

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THE CAT (il gatto)

+ It is a cat [Ricordiamo: esso (animale) = IT]

- It isn’t a dog

? Is it a cat? Yes, it is

? Is it a dog? No, it isn’t

?- Isn’t it a cat? Yes, it is

?- Isn’t it a dog? No, it isn’t

THE WEATHER (il tempo meteorologico)

Per parlare del tempo l’inglese preferisce dire che è soleggiato o nuvoloso oppure coperto,

mentre l’italiano dice anche che fuori c’è il sole. Questa seconda versione, ossia una

descrizione di quello che c’è in cielo, non è affatto usata in inglese per descrivere che

tempo fa.

+ It is sunny [Ricordiamo: esso (una cosa) = IT]

- It isn’t cloudy

? Is it sunny? Yes, it is

? Is it cloudy? No, it isn’t

?- Isn’t it sunny? Yes, it is

?- Isn’t it cloudy? No, it isn’t

THE HOUSE (la casa)

+ It is big [Ricordiamo: essa (una cosa) = IT]

- It isn’t small

? Is it big? Yes, it is

? Is it small? No, it isn’t

?- Isn’t it big? Yes, it is

?- Isn’t it small? No, it isn’t

Torniamo ora al discorso anticipato quando abbiamo parlato del ragazzo che ha

freddo (THE BOY). Quello che ogni lingua esprime, di volta in volta, è un SIGNIFICATO.

Possiamo pensare che il significato corrisponda ad un’immagine, una specie di vignetta

nella testa di chi parla. Per esempio, l’immagine di un ragazzo che trema sotto le neve è

chiara per tutti, qualsiasi lingua queste persone parlino. Purtroppo la telepatia sembra essere

solo una bella favola; non siamo ancora capaci di vedere le immagini direttamente nella

testa delle altre persone… e non è certo il caso di andare in giro con carta e penna per

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comunicare unicamente tramite simboli e disegni. Tra parlanti di una stessa lingua quello

che succede alla vignetta che si crea nella testa è grosso modo questo: sappiamo cosa

vogliamo esprimere ed il nostro cervello si mette alla ricerca delle parole giuste perché la

persona davanti a noi, che condivide la nostra lingua (il nostro codice per comunicare)

possa esattamente capire a quale cosa/situazione stiamo pensando. Nel cercare le parole

giuste per creare nella testa degli altri una vignetta uguale alla nostra finiamo per scartare

più o meno inconsciamente tutta una serie di parole e combinazioni che sappiamo bene non

dipingerebbero un’immagine precisa. Tra italiani per rendere l’idea del freddo, del ragazzo

che trema, difficilmente diremmo “il ragazzo prova freddo”, sebbene “provare” voglia

anche dire “sentire, sperimentare” e non si può certo negare che il ragazzo stia sentendo e

sperimentando la sensazione del freddo. Non diremmo nemmeno che “il ragazzo assapora

freddo”, proprio come non diremmo mai “il ragazzo è freddo”. La combinazione (o

COLLOCAZIONE ) di parole più comune per questa vignetta è infatti “il ragazzo ha

freddo”. Dicendo queste precise parole nessuno penserebbe che siamo strani o che usiamo

un linguaggio assurdo (ma lo penserebbero di certo se dicessimo “il ragazzo sperimenta

freddo”). Eppure, riflettiamoci un attimo… il ragazzo HA freddo? In che senso? Nel senso

che POSSIEDE la sensazione del freddo? Nel senso che ha il freddo dentro una tasca?

Come possiamo vedere le cose stanno così: “il ragazzo ha freddo” è la collocazione più

giusta per esprimere l’idea del freddo nella lingua italiana, la collocazione (o scelta di

parole) più azzeccata per farci capire da un altro italiano. Eppure quando pensiamo bene al

significato delle singole parole ci rendiamo conto che non hanno molto senso. Ebbene, nelle

altre lingue capita esattamente lo stesso: tra inglesi la collocazione giusta per esprimere

l’idea del freddo è “the boy is cold”, con il verbo essere, che noi italiani non useremmo

mai. Dicendo “the boy is cold” stiamo centrando l’obiettivo e creando nella testa degli

inglesi la vignetta giusta. Se dicessimo invece “the boy has cold” (letteralmente “il ragazzo

ha freddo”) i nostri amici inglesi penserebbero che siamo molto strani, che non sappiamo

bene la loro lingua oppure che il ragazzo possiede qualcosa di freddo e ci siamo dimenticati

di specificare di cosa si tratta.

Il trucco per parlare altre lingue è capire quali sono le collocazioni/combinazioni

giuste perché gli stranieri capiscano esattamente cosa vogliamo dire e quale immagine

vogliamo dipingere nella mente dei nostri ascoltatori. Spesso e volentieri queste

collocazioni sono casuali, apparentemente non tanto logiche e soprattutto diverse da lingua

a lingua. Tradurre parola per parola a volte può servire, ma altre volte non fa altro che

confonderci le idee. Ecco un ulteriore esempio: in italiano si dice “dare per scontato”

quando si vuole intendere che una cosa si considera già fatta, sistemata ecc… La stessa idea

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in inglese si esprime con la collocazione “take for granted”, che tradotto in italiano parola

per parola sarebbe “prendere per scontato”. L’italiano usa il verbo dare, l’inglese il verbo

prendere e non c’è proprio nulla da fare: bisogna conoscere questa differenza di

collocazione e sfruttarla per farsi capire, parlando quindi in modo corretto. Per imparare

una lingua non occorre solo conoscere la grammatica e memorizzare il maggior numero

possibile di singole parole! Imparare le collocazioni idiomatiche (ossia proprie di ogni

lingua) è infatti decisamente importante… è una grossa fetta del lavoro che ogni studente

deve fare. Ogni volta che cerchiamo di esprimerci in inglese dovremo quindi abbandonare

le parole e collocazioni tipicamente italiane per risalire alle immagini mentali che stanno

alla base della comunicazione. A questo punto dovremo pensare alle parole e collocazioni

inglesi che conosciamo, per vedere se per caso ce ne fossero alcune che possono trasmettere

proprio quell’immagine. Se non siamo in grado di trovarne nemmeno una di cui siamo

convinti possiamo sempre consultare un dizionario, internet oppure chiedere a qualcun

altro. Non dimentichiamo questo semplice concetto: I SIGNIFICATI VENGONO

ESPRESSI INCARNANDOSI IN UNA SERIE DI COLLOCAZIONI CHE SONO

TIPICHE DI OGNI LINGUA; QUESTE COLLOCAZIONI (O COMBINAZIONI DI

PAROLE) POSSONO VARIARE ANCHE DI MOLTO DA UNA LINGUA ALL’ALTRA.

Adesso che cominciamo ad avere un’idea più chiara di come funziona questo gioco

linguistico vediamo di arricchire ulteriormente il nostro vocabolario. Una delle prime cose

che normalmente si insegnano sono gli aggettivi di nazionalità. Sapendo che italiano si dice

Italian, come potremmo chiedere ad una persona se per caso è italiana? Prima di tutto ci

serve il verbo essere e ci serve alla forma interrogativa. Immaginiamo di parlare con

qualcuno che abbiamo appena incontrato… siamo in Inghilterra e stiamo conversando in

inglese, ma dall’accento abbiamo il sospetto che l’altra persona possa essere italiana come

noi! Che ne dite di provare a chiedere: Are you Italian? Può andare? Sembra proprio di si…

Vediamo altri AGGETTIVI DI NAZIONALITA’ , accompagnati dal nome del

paese a cui si riferiscono (in inglese e in italiano) e dal nome che deriva dallo stesso

aggettivo di nazionalità (italiano è un aggettivo, ma UN italiano è un nome, perché

significa una persona italiana).

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Country (nazione/ paese)

Adjective (aggettivo di nazionalità)

Person (persona di quella nazionalità)

Nazione/paese in lingua italiana

Afghanistan Afghan an Afghan Afghanistan

Argentina Argentinian an Argentinian Argentina

Australia Australian an Australian Australia

Austria Austrian an Austrian Austria

Belgium Belgian a Belgian Belgio

Brazil Brazilian a Brazilian Brasile

Britain British a Briton Bretagna

Canada Canadian a Canadian Canada

Chile Chilean a Chilean Cile

China Chinese a Chinese Cina

Colombia Colombian a Colombian Colombia

Croatia Croat or Croatian

a Croat or a Croatian

Croazia

Cuba Cuban a Cuban Cuba

Denmark Danish a Dane Danimarca

Egypt Egyptian an Egyptian Egitto

England English an Englishman/ Englishwoman

Inghilterra

Finland Finnish a Finn Finlandia

France French a Frenchman/ Frenchwoman

Francia

Germany German a German Germania

Greece Greek a Greek Grecia

India Indian an Indian India

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Iran Iranian an Iranian Iran

Iraq Iraqi an Iraqi Iraq

Ireland Irish an Irishman/ Irishwoman

Iranda

Israel Israeli an Israeli Israele

Italy Italian an Italian Italia

Jamaica Jamaican a Jamaican Jamaica

Japan Japanese a Japanese Giappone

Malta Maltese a Maltese Malta

Mexico Mexican a Mexican Messico

(The) Netherlands (see Holland)

Dutch a Dutchman/ woman, or a Netherlander

Paesi Bassi/Olanda

Norway Norwegian a Norwegian Norvegia

Poland Polish a Pole Polonia

Portugal Portuguese a Portuguese Portogallo

Romania Romanian a Romanian Romania

Russia Russian a Russian Russia

Saudi Arabia Saudi Arabian or Saudi

a Saudi Arabian or a Saudi

Arabia Saudita

Scotland Scottish a Scot Scozia

South Africa South African a South African

Sudafrica

Spain Spanish a Spaniard Spagna

Sweden Swedish a Swede Svezia

Switzerland Swiss a Swiss Svizzera

Thailand Thai a Thai Thailandia

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Tunisia Tunisian a Tunisian Tunisia

Turkey Turkish a Turk Turchia

United Arab Emirates (UAE)

- - Emirati Arabi Uniti

United Kingdom (UK)

British a Briton Regno Unito

United States of America (USA)

- a citizen of the USA

Stati Uniti

Vietnam Vietnamese a Vietnamese Vietnam

Wales Welsh a Welshman/ woman

Galles

NB. Alcuni degli aggettivi in tabella (quelli che terminano in –ese e –ish) possono prendere

l’articolo determinativo/definito (in inglese, come vedremo più avanti, questo articolo è uno

solo per tutti, the, e corrisponde ai nostri il, lo, la, i, gli, le). Gli aggettivi in questione, se

abbinati all’articolo determinativo e ad un verbo alla 3° persona plurale, servono per

indicare un intero gruppo o popolazione. Esempio:

The Chinese / The Spanish are very nice people.

I cinesi / Gli spagnoli sono persone molto carine.

Eccoci quindi di nuovo al momento della pratica. Cerchiamo di

calarci nelle situazioni descritte di seguito, visualizzando il

contesto. Tentiamo poi di formulare un piccolo dialogo (botta e

risposta) incentrato sulla possibile nazionalità dei soggetti descritti.

Un paio di consigli: cerchiamo di individuare subito i soggetti

coinvolti, sostituendoli con i comodi pronomi soggetto… e formuliamo frasi semplici!

1) Esempio: Ci siamo iscritti ad un corso d’inglese. E’ la prima lezione ed abbiamo

incontrato uno studente castano con la carnagione abbastanza scura. Dallo strano accento

con cui parla (e dal fatto che lo abbiamo sentito lasciarsi scappare parole come “sábado” e

“domingo”…) deduciamo che il ragazzo è probabilmente straniero. Cosa gli chiediamo per

chiarire i nostri dubbi? Che ne dite di: Are you Spanish?

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Tuttavia “sábado” e “domingo” sono anche parole portoghesi… infatti il nostro nuovo

amico è portoghese! Come risponderà quindi alla nostra domanda?

Probabilmente così: No, I’m not. I’m Portuguese.

2) La situazione in cui ci troviamo è simile alla precedente. Abbiamo notato lo stesso

ragazzo castano e ci stiamo chiedendo se è spagnolo oppure no. Tuttavia siamo timidi e non

vogliamo rivolgerci a lui con una domanda diretta. Decidiamo quindi di porre la domanda

al nostro compagno di banco (il fedele amico che si iscrive sempre con noi a tutti i corsi che

iniziamo), giusto per sapere cosa ne pensa… Dobbiamo per forza parlare inglese perché

l’insegnante è molto severa e non tollera che si parli italiano a lezione già iniziata. Cosa

chiediamo quindi al nostro amico?

Supponiamo che il nostro amico conosca la risposta (perché parla bene portoghese e sa

distinguere tra la cadenza spagnola e quella portoghese). Che risposta otterremo?

3) Immaginiamo ora di camminare per strada nel centro di Londra. Siamo venuti a trovare

un amico inglese che abbiamo conosciuto l’estate scorsa al mare e che non parla italiano.

Vediamo uno strano ristorante orientale e ci viene voglia di mangiare cinese. Pensiamo di

entrare, ma notiamo che non ci sono lucerne rosse e vediamo dalla vetrina che lo chef dietro

al bancone è impegnato a cucinare un piatto che non ci sembra affatto cinese. Per sicurezza

chiediamo spiegazioni al nostro amico… che ci conferma che il ristorante non è cinese, ma

giapponese!

4) Siamo ancora per strada ed il nostro amico sta tentando di spiegarci la differenza tra la

cultura e la cucina cinese e quella giapponese. Per caso vediamo da lontano un nutrito

gruppo di turisti con gli occhi a mandorla e numerose macchine fotografiche. Questa volta

non vogliamo fare una brutta figura e ci sorge il dubbio. Di che nazionalità sono

esattamente quelle persone? Lo chiediamo al nostro amico, che evidentemente è un esperto,

e ci conferma che sono cinesi.

5) Ora cimentiamoci con una situazione simile ma che potrebbe trarci in inganno. Siamo di

nuovo a lezione d’inglese. Eravamo certi di essere puntuali, ma quando entriamo in classe

troviamo già tutti seduti e l’insegnante alla lavagna… La nostra mente è ancora immersa

nell’atmosfera londinese dell’ultima vacanza e decidiamo di osare. Il nostro amico inglese

ci ha insegnato che late è un aggettivo che significa in ritardo e quindi guardiamo la prof

dritto negli occhi, le facciamo un bel sorriso e le chiediamo: “Sono in ritardo?”

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E se fossimo arrivati tardi in due? Noi e il nostro fedele compagno, quello che ci siede

sempre accanto… pensavamo di essere puntuali! E invece sembra proprio di no. Questa

volta la nostra domanda, rivolta alla professoressa, avrebbe quindi noi come soggetto…

In entrambi i casi l’insegnante ci fa i complimenti per aver formulato correttamente la

domanda ma ci conferma che siamo proprio in ritardo (probabilmente perché la lezione era

stata anticipata)!

6) Il corso è ormai a metà, siamo arrivati all’ultima lezione prima delle vacanze di Natale.

Gli studenti hanno deciso di portare qualcosa da condividere con gli altri, giusto per

augurarsi buone feste. Noi abbiamo portato un panettone, il nostro amico una bottiglia di

spumante, qualcun altro dei biscotti e due simpatiche signore bionde che siedono sempre

vicine e parlano benissimo italiano hanno portato una bottiglia di vodka, dicendo che è

tipica del loro paese di provenienza… non ci era mai venuto in mente che le due signore

potessero essere straniere! Per essere certi di aver capito bene da dove vengono decidiamo

di fare loro una domanda diretta… a cui le due signore rispondono affermativamente!

7) In occasione del Natale la nostra professoressa madrelingua andrà a far visita alla sua

famiglia in Inghilterra. Mentre gli studenti si scambiano saluti e auguri davanti alla scuola,

l’insegnante ci dice che sta per arrivare un’amica che l’accompagnerà in aeroporto. In quel

momento vediamo una bella ragazza di colore che si avvicina… Uno degli studenti si

ricorda che la prof ha raccontato di aver vissuto per più di un anno in Sudafrica e quindi le

pone una domanda riguardo alla nazionalità della bella amica che sta arrivando. La

professoressa ci dice però che la ragazza in questione non è sudafricana ma è invece

americana.

Soluzioni:

2) Al nostro amico chiederemo: Is he Spanish? La risposta sarà: No, he isn’t oppure No, he’s

not. He’s Portuguese. Abbiamo scelto il pronome he perchè stiamo parlando di un lui, terza

persona singolare.

3) Questa volta dobbiamo scegliere il pronome it, perché si tratta di una cosa, un ristorante.

Siccome molti di noi conosceranno la parola restaurant potremmo anche usare direttamente

quella… se scegliessimo quella però dovremmo anche metterci un questo (this) o un quello

(that), giusto per indicare di quale ristorante stiamo parlando. Il risultato sarebbe quindi: Is

it Chinese? Oppure Is this/that restaurant Chinese? No, it isn’t oppure No, it’s not. It’s

Japanese.

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4) In questo caso ci serve un loro/essi, terza persona plurale. Diremo quindi: Are they

Chinese? E il nostro amico risponderà: Yes, they are.

5) Se siamo soli diremo: Am I late? Se siamo in due invece diremo: Are we late? In ogni

caso la prof ci dirà: Yes, you are.

6) Le due signore equivalgono, dal nostro punto di vista, ad una seconda persona plurale

(voi). Ecco allora che chiederemo loro: Are you Russian? E loro ci diranno: Yes, we are.

7) Lo studente si rivolgerà alla prof e le chiederà, indicando la ragazza ancora lontana: Is

she South African? L’insegnante gli dirà: No, she isn’t. She’s American.

Per completare questo argomento ci sono un paio di cose importanti da specificare,

cose che sicuramente molti di voi avranno già ricordato/notato:

- Innanzitutto gli aggettivi di nazionalità in inglese si scrivono con la lettera maiuscola, così

come le stesse nazioni. Tutti gli altri aggettivi, come big e small, invece si scrivono con la

minuscola, proprio come in italiano.

- Anche quando parliamo di più persone, usando i pronomi plurali, l’aggettivo di

nazionalità non cambia. In italiano diremmo che le due signore sono russE (mentre una

signora per noi sarebbe russA e due uomini sarebbero russI) ma in inglese GLI

AGGETTIVI NON SI MODIFICANO MAI. Se torniamo infatti al primo esercizio (quello

di pratica delle forme del Simple Present), noteremo che nemmeno in quell’occasione

abbiamo avuto bisogno di trasformare gli aggettivi per farli diventare maschili, femminili

oppure plurali. Che fortuna, eh? Basta imparare un aggettivo così com’è e potremo usarlo a

piacere, senza doverci preoccupare di modificarlo a seconda del soggetto!

- Abbiamo a malapena imparato qualche nome, aggettivo e le forme del verbo essere (to be)

al tempo Simple Present (che ci serve per descrivere) e siamo già in grado di dire le nostre

prime frasi, corrette e adeguate alla situazione. Tra poco vedremo che aggiungendo qualche

altra categoria di parole, con il solo aiuto del magico verbo essere al Simple Present,

saremo perfettamente in grado di avere una prima, irreprensibile conversazione con uno

straniero, sfoggiando un inglese perfetto! In effetti ci sono un sacco di cose che si possono

dire grazie al verbo essere…

QUESTION WORDS

Le question words (letteralmente “parole domanda”) sono parole che vengono

utilizzate per porre domande che non prevedano risposte Yes/No. Finora infatti siamo stati

fortunati; le due signore bionde nel nostro corso hanno esibito una bottiglia di vodka e

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questo ci ha naturalmente fatto supporre che fossero russe. Ma se non avessimo avuto

questo indizio a disposizione? Se avessimo semplicemente voluto sapere di quale

nazionalità sono, invece che suggerirne una in particolare? I dialoghi infatti non sarebbero

molto divertenti e/o informativi se ci si potessero porre solamente domande che prevedono

SI e NO come risposte… Cosa avremmo fatto? Proposto una per una ogni possibile

nazionalità alle due signore finché non avessimo casualmente centrato quella giusta ed

ottenuto un SI come risposta? Abbiamo decisamente bisogno di complicarci un poco la vita

ed imparare a domandare cose più generiche.

Le question words, che ci consentono di fare questo salto di qualità, hanno una

precisa collocazione nella frase. Le frasi interrogative (domande) che contengono una

question word vanno costruite normalmente, seguendo le regole che abbiamo già visto in

precedenza e che non vengono praticamente mai stravolte (salvo rare eccezioni di livello

avanzato). Le question words, nostre nuove alleate, vanno semplicemente messe all’inizio

della domanda, in primissima posizione.

Esempio: Cerchiamo di tradurre la domanda Perché sei triste? Partiamo dalla frase

affermativa (+) che ci aiuta a scegliere le parole giuste: you are sad. Adesso che abbiamo la

frase + applichiamo la regola dell’INVERSIONE SOGGETTO-VERBO ed otteniamo la

frase interrogativa: are you sad? Siccome la question word che significa perché è why, ecco

che il risultato finale sarà: Why are you sad? Vediamo ora una lista di question words che ci

saranno molto utili:

Who – chi [pronuncia: hu]

Who is Madonna? She’s a famous singer.

Chi è Madonna? E’ una cantante famosa.

What – cosa/che cosa [pronuncia: uòt]

What is a bagpipe? It’s a Scottish musical instrument.

Che cos’è una cornamusa? E’ uno strumento musicale scozzese.

What colour – di che colore/quale colore [pronuncia: uòt color]

What colour is it? It’s green.

Di che colore è? E’ verde.

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What kind of / What type of – che tipo di/quale tipo di

[pronuncia: uot kaind of/uot taip of]

What kind of person is he? He’s an optimist.

Che tipo di persona è? E’ un ottimista.

What time – (a) che ora [pronuncia: uot taim]

What time is it? It’s 10 o’clock.

Che ore sono? (= letteralmente Che ora é?, una collocazione tipica inglese). Sono le dieci.

What (verbo + soggetto) like – com’è, che caratteristiche ha [pronuncia: uòt … laik]

What is the weather like today? It’s sunny.

Com’è il tempo oggi? C’è il sole (= E’ soleggiato).

When – quando [pronuncia: uèn]

When is your birthday? It’s in August

Quando è il tuo compleanno? E’ in agosto.

Where – dove [pronuncia: uèr]

Where is New York? It’s in the USA.

Dov’è New York? E’ negli Stati Uniti.

How – come [pronuncia: hau]

How are you? I’m fine, thanks.

Come stai? (= letteralmente Come sei tu? Anche in questo caso la collocazione risulta

diversa da una lingua all’altra).

Sto bene, grazie. (= Sono a posto, grazie).

How much/How many – quanto/quanti

[pronuncia: hau mac (c di ciao) / hau meni (e di ercole)]

How much is it? It’s 10 euros.

Quanto costa? (= letteralmente Quanti [sottinteso soldi] è esso? Ancora collocazioni

diverse!)

Costa 10 euro. (= E’ 10 euro).

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How many cats are there? There are 5 cats.

Quanti gatti ci sono? Ci sono 5 gatti.

How tall/long/far – quanto alto/quanto (a) lungo/quanto distante

[pronuncia: hau tool/long/far]

How tall are you? I’m 6 feet tall (about 183 cm).

Quanto sei alto? Sono alto sei piedi (circa 1,83 m).

How long is the journey from the airport? The average journey time is 15 minutes.

Quanto è lungo il viaggio dall’aeroporto? Il tempo medio di viaggio è di 15 minuti.

How far is Milan? It’s 50 miles away (about 80 km).

Quanto è distante Milano? Dista 50 miglia (circa 80 km). [= E’ 50 miglia lontano].

How often – quanto spesso [pronuncia: hau ofen]

How often is maintenance required? Every two months.

Quanto spesso è necessaria la manutenzione? Ogni due mesi.

Which – quale/quali (le opzioni di scelta sono limitate) [pronuncia: uìc (c di ciao)]

Which is your favourite colour? It’s blue.

Qual’è il tuo colore preferito? E’ il blu.

Why – perché (prevede un risposta che inizi con Because) [pronuncia: uai / bicòusz]

Why are you sad? Because I’m too busy to go on holiday.

Perché sei triste? Perché sono troppo impegnato per andare in vacanza.

Whose – di chi [pronuncia: huusz]

Whose car is it? It’s my car.

Di chi è l’auto? E’ la mia auto.

Letteralmente, parola per parola: Di chi automobile è essa? Essa è la mia auto.

Vediamo alcune applicazioni di questo nuovo strumento linguistico.

- Tanto per cominciare potremmo utilizzare where per chiedere la provenienza di qualcuno.

Da dove vieni? in inglese si esprime così: Where are you from? (= letteralmente, Dove sei

tu da?). E’ subito evidente che anche qui le due collocazioni preferite rispettivamente

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dall’inglese e dall’italiano sono molto diverse. Un italiano non direbbe mai Dove sei tu da?;

al limite potrebbe dire Di dove sei?, usando quindi il verbo essere come in inglese ma

preferendo la preposizione di. Inoltre vediamo subito una cosa che all’apparenza è

decisamente illogica. Ripartiamo dalla domanda Where are you from?. Se from significa da,

ed è chiaramente collegato a where (dove), allora perché non lo abbiamo messo all’inizio di

frase insieme al suo compagno dove, come nell’italiano DA dove vieni? Ebbene, l’inglese

cerca di rispettare le proprie regole il più possibile! Abbiamo appena detto che le question

words vanno in primissima posizione nella domanda, e infatti where è una question word e

viene per prima. From (da) invece è una semplice preposizione… se la mettessimo

all’inizio della frase avremmo appena infranto la regola! E visto che siamo in tema,

completiamo questa piccola regola, rendendola definitiva. Subito dopo la question word la

frase interrogativa inglese chiama a rapporto i due elementi più importanti, ossia il verbo ed

il soggetto. Se l’ordine da rispettare è: question word + verbo + soggetto, e logicamente

subito dopo l’oggetto (perché, come abbiamo detto, l’inglese è una lingua SVO), allora

dove possiamo metterla questa piccola preposizione? Per evitare di infilarla nel bel mezzo

della frase, dove disturberebbe gli altri elementi, la soluzione migliore è proprio metterla

alla fine! In questo modo la question word è all’inizio e la sua compagna preposizione in

ultima posizione, creando una cornice. Si capisce che le due parole sono collegate; infatti

agiscono come un nastro che chiude il pacco regalo della frase. Questa regola funziona

anche per altri casi analoghi. Se volessimo chiedere Con chi sei al telefono? diremmo Who

are you on the phone with? (= letteralmente, Chi sei al telefono con?). La preposizione with

(con) è la parte finale della cornice, l’altro lembo del fiocco!

- Vediamo un altro esempio in cui una question word ci semplifica enormemente la vita.

Prendiamo la question word what (quale) e usiamola per chiedere a qualcuno come si

chiama! Infatti la collocazione giusta in inglese per porre questa domanda è What is your

name? (= letteralmente, Quale è il tuo nome?). Questa domanda è utilissima… se non

sapessimo chiederla ogni volta che incontriamo qualcuno dovremmo chiedere Is your name

Anna? Is your name Federica? Is your name Giulia? E così via, proponendo un’infinità di

nomi diversi finché l’altra persona non si decidesse a darci una risposta affermativa.

Ci sono poi altre piccole cose che dobbiamo puntualizzare prima di proseguire:

- Come appare evidente, whose è una question word speciale, perché è una parola sola ma

corrisponde a ben due parole in italiano (di e chi). In questo caso non ci sono problemi

riguardo alla preposizione coinvolta (di) perché la preposizione in inglese non figura

proprio (la preposizione di compare solo quando cerchiamo di tradurre il concetto di whose

in italiano). Dobbiamo solo ricordarci che whose racchiude in una parola sola il significato

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di ben due parole italiane: di e chi.

- Non dimentichiamoci inoltre che why viene usata nelle domande, ma nelle risposte

bisogna usare Because (che significa sempre perché. E’ un po’ come pur quoi e pas que in

francese).

- Inoltre, in certi casi la differenza che intercorre tra what e which è molto sottile… si usano

entrambi per chiedere quale/quali quando nella domanda si specifica di quali cose si sta

parlando. Tuttavia, which in genere prevede che il numero delle cose tra cui possiamo

scegliere per rispondere alla domanda sia in qualche modo limitato. Se per esempio

abbiamo prestato alcuni libri ad un amico e vogliamo sapere quale tra quei libri gli è

piaciuto di più allora formuleremo la domanda usando which. Se invece vogliamo sapere

quali libri preferisce in generale allora useremo what. Questo ci porta alla prossima

considerazione…

- Come possiamo vedere alcune question words (come what, which e how) possono essere

usate da sole oppure insieme ad un nome/aggettivo/avverbio che modifica un poco il modo

in cui tentiamo di tradurle in italiano. Vediamo così che what da solo corrisponde a

cosa/che cosa (What is it? Cos’è?) ma what inserito in una domanda che specifica di quali

cose si sta chiedendo tende invece ad essere tradotto con quale (What is your favourite

food? Qual’è il tuo cibo preferito? Questa domanda sarebbe anche accettabile nella forma

Which is your favourite food?). Tornando all’esempio precedente, per chiedere al nostro

amico quale genere di libri preferisce possiamo usare sia what books (quali libri) che

what/which kind of books (che/quale tipo di libri). Se poi si tratta di how, vediamo che in

solitudine questa parola si traduce con come (How are you? Come stai?) mentre in

compagnia tende ad essere tradotta con quanto (how tall = quanto alto; how far = quanto

distante; how often = quanto spesso, in associazione con often, un avverbio che significa

spesso).

- Infine bisogna notare che tra le question words ed il verbo essere a volte sono possibili

delle contrazioni. Chi di voi, invece del più lungo What is your name?, non ha mai sentito o

usato What’s your name? What is infatti diventa molto spesso (ma non sempre!) what’s

[uòts], esattamente come who is diventa who’s [huusz], why is diventa why’s [uàisz], how is

diventa how’s [hausz], where is diventa where’s [uèrs] e when is diventa when’s [uèns]. I

suoni [sz] sono delle s che però finiscono per somigliare un poco a delle z, come lo zzzzz

prodotto da un insetto che vola.

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Cerchiamo di utilizzare alcune di queste question words per scopi

pratici. Sentiamoci liberi di tornare indietro di qualche pagina e

consultare le tabelle, le spiegazioni e gli esempi precedenti…

1) Immaginiamo che la nostra professoressa, che sta per partire per trascorrere le vacanze di

Natale in Inghilterra, non ci abbia detto nulla riguardo all’amica che sta venendo a

prenderla. Vediamo una bella ragazza di colore avvicinarsi e salutare con la mano in

direzione del nostro gruppo… ma non sappiamo chi sia! Cosa potremmo chiedere alla

nostra prof per soddisfare la nostra curiosità?

2) Torniamo per un attimo al giorno in cui siamo arrivati in ritardo a lezione. Mettiamo caso

che l’insegnante ci abbia anticipato… noi le avremmo chiesto Are we late? ma lei non ci ha

lasciato il tempo di chiedere nulla perché ha subito voluto sapere la ragione del nostro

ritardo… che domanda ci ha fatto?

3) Nella nostra classe c’è una persona nuova, che si è unita al gruppo a corso iniziato.

Siccome siamo fieri delle cose che abbiamo imparato e vogliamo dare il benvenuto al

nuovo arrivato decidiamo di chiedergli come sta, come si chiama e da dove viene…

4) La lezione è finita. Stiamo raccogliendo le nostre cose quando ci troviamo in mano un

quaderno di appunti che non è nostro. Ci guardiamo intorno, raccogliamo il quaderno per

mostrarlo alla classe e chiediamo a voce alta di chi è!

5) La nostra vicina di banco ha preparato una descrizione scritta di suo fratello, per

compito. L’esercizio che stiamo facendo consiste nel condividere e correggere oralmente gli

elaborati che abbiamo preparato a casa (noi abbiamo scelto di descrivere una cugina).

Mentre ci racconta di suo fratello, la nostra compagna ci mostra una fotografia che lo ritrae

in compagnia di un amico… come possiamo sapere quale dei due ragazzi è il fratello di cui

ci sta parlando? Decidiamo di lanciarci e chiederle qual’è dei due suo fratello (lui),

indicando la foto per farle capire di cosa parliamo.

Dalla fotografia notiamo inoltre che i due ragazzi sono piuttosto alti… e ci piacerebbe

sapere quanto. Come possiamo formulare questa domanda?

Infine, la nostra amica non ci ha descritto l’aspetto del fratello nei dettagli proprio perché ci

ha mostrato la fotografia; ha pensato che una descrizione dettagliata non fosse necessaria.

Dalla foto però non si capisce bene se il ragazzo ha gli occhi blu o verdi… mentre la nostra

compagna ci parla dei suoi bellissimi occhi chiari ci viene in mente di chiederle di che

colore essi siano. Cosa possiamo dire?

6) E’ venuto il momento di fare un esercizio in gruppo. La professoressa ci divide in tre

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squadre ed inizia a distribuire una fotocopia per gruppo. Uno di noi vuole sapere che cos’è

quel foglio… cosa potrebbe dire, indicando il foglio appena ricevuto?

Soluzioni:

1) Nel primo caso ci verrebbe spontaneo chiedere chi sia la bella sconosciuta che si

avvicina. Potremmo farlo utilizzando il pronome she, che conosciamo bene, e la question

word who, combinandoli in questo modo: Who is she? Chi è lei?

2) Perché non usare la question word why? La prof potrebbe infatti chiederci: Why are you

late? Perché siete in ritardo?

3) Ed ecco qua le tre domande che porremo al nuovo arrivato:

How are you? Come stai? // What is your name? Come ti chiami? //

Where are you from? Di dove sei?

4) Quello che ci interessa sapere è chi sia il proprietario del quaderno. Potremmo usare

whose (di chi) insieme al verbo essere, indicando il quaderno per chiarire a tutti qual’è il

soggetto della nostra frase e scegliendo per comodità il pronome it (esso, ossia il quaderno),

ottenendo infine questo degno risultato: Whose is it? Di chi è (esso)?

5) Sulla fotografia compaiono due persone. La scelta è chiaramente limitata: uno dei due è

il fratello in questione. Possiamo quindi pensare di usare which e scegliere he (lui) come

soggetto, infatti è chiarissimo dal contesto e dalla conversazione che ci riferiamo al fratello

della nostra compagna (non abbiamo certo bisogno di specificare chi sia questo he che ci

interessa). Ecco allora che potremo chiedere: Which is he? Quale (tra questi) è lui? Se poi

tenessimo tra le mani la foto ed indicassimo alla nostra compagna i due ragazzi (they –

essi/loro), potremmo tranquillamente chiederle: How tall are they? Quanto sono alti? Infine

abbiamo la questione degli occhi. La nostra amica sta parlando proprio di quelli, quindi non

avrà dubbi quando osserveremo da vicino la foto, assumeremo un’espressione dubbiosa e le

chiederemo: What colour are they? Di che colore sono? Anche in questo caso scegliamo il

pronome plurale they (essi), tanto è evidente che stiamo parlando degli occhi!

6) La professoressa distribuisce un foglio. Lo studente incuriosito lo tiene tra le mani, lo

mostra all’insegnante e le chiede: What is it? Cos’è (esso)?

Come abbiamo ormai notato, basta davvero poco per riuscire ad interagire

correttamente in inglese. Nella vita reale i pronomi sono utilissimi, perché vanno a

sostituire parole e nomi che ancora non conosciamo e perché ci permettono di evitare

pesanti ripetizioni. Non dimentichiamo che in una situazione concreta abbiamo il vantaggio

di poter usare anche il linguaggio non verbale! Possiamo fare gesti, indicare, mostrare,

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assumere espressioni particolari o addirittura mimare concetti. Tutte queste forme di

comunicazione sono utilissime e perfettamente accettabili. Inoltre abbiamo sempre l’aiuto

del contesto… se fermiamo uno straniero in mezzo alla strada stringendo una mappa tra le

mani, il contesto fornisce immediatamente allo straniero delle informazioni molto

importanti: prima ancora di ascoltare le nostre richieste lo straniero ha già indovinato che ci

siamo persi, che non siamo di queste parti e che probabilmente abbiamo bisogno di

indicazioni. Se la nostra compagna di classe ci sta parlando di suo fratello, poco importa

che non ci venga spontaneo usare come soggetto la parola brother (fratello); potremmo

anche non conoscerla proprio, tanto il contesto ci permette di usare he, che conosciamo già.

Arrivati a questo punto sappiamo quindi che dobbiamo sfruttare il contesto e la

comunicazione non verbale a nostro vantaggio, perché questi fattori ci mettono in grado di

chiedere/chiarire numerose cose, nonostante i nostri strumenti puramente linguistici siano

ancora limitati. Ma se toccasse a noi dare delle risposte? Se fossero altre persone a porci

delle domande? Se il contesto non fosse in grado di aiutarci? Facciamo il punto della

situazione linguistica. Abbiamo già a disposizione i pronomi soggetto, una serie di soggetti

generici e facili da ricordare che possiamo usare in ogni occasione; conosciamo il Simple

Present del verbo essere, che non ci consente certo di parlare del futuro, del passato o di

quello che sta accadendo in questo preciso istante, ma almeno ci permette di descrivere

cose, abitudini e verità generali. Qualche aggettivo e nome lungo la strada l’abbiamo già

raccolto e sicuramente altri vocaboli li conoscevamo già prima di cominciare questo

viaggio insieme. Una piccola cosuccia che potrebbe proprio tornarci utile in questa fase

sono i simpatici aggettivi possessivi, di cui in realtà abbiamo già visto alcuni esempi. Nella

domanda più famosa del mondo, ossia What is your name?, abbiamo infatti usato your, che

significa tuo. Questi piccoli aggettivi possono aiutarci a fornire importanti informazioni.

Andiamo a vedere quali sono e come si usano!

AGGETTIVI POSSESSIVI

Persona Aggettivo Traduzione I MY [mai] Mio/mia/miei/mie YOU YOUR [ior] Tuo/tua/tuoi/tue HE HIS [his] Suo (di lui) SHE HER [he/or] Suo (di lei) IT ITS [its] Suo (di cosa/animale) WE OUR [auar] Nostro/nostra/nostri/nostre YOU YOUR [ior] Vostro/vostra/vostri/vostre THEY THEIR [deir] Loro

Gli aggettivi possessivi sono invariabili: Mia zia = My aunt Il mio cane = My dog I miei cani = My dogs La mia auto = My car Le mie auto = My cars

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Non dimentichiamo: in inglese la terza persona singolare (He/She/It - Lui/Lei/Esso)

si differenzia in tre forme, come in italiano. La fregatura è che in italiano l’aggettivo

possessivo corrispondente è suo per tutte e tre le forme, mentre in inglese no! Ognuno dei

tre (He/She/It) ha il suo personale aggettivo possessivo, che indica quindi se chi possiede è

un uomo, una donna oppure una cosa/animale. Al plurale invece le cose si sistemano,

perché questa differenza di genere non c’è più e che si tratti di donne, uomini, cose o

animali si usano sempre il pronome soggetto they e l’aggettivo possessivo corrispondente

their.

Un ultimo appunto prima di proseguire: come abbiamo spiegato nella sezione che ci

racconta l’evoluzione storica dell’inglese, non è possibile ricondurre tutti i suoni vocalici

dell’inglese alle 5 vocali scritte italiane. Prendiamo Her… l’annotazione riportata è la

seguente: [he/or]. La strana annotazione e/o indica che questa vocale è un misto tra le nostre

due vocali e ed o. La parola her non si pronuncia come se facesse rima con per e nemmeno

come se facesse rima con por. La verità sta nel mezzo: occorre pronunciare una e di gola

che tenda un poco verso il suono o. Allo stesso modo nella parola their la piccolissima i di

[deir] è appena accennata, molto meno sentita (e quindi anche pronunciata) della vocale e,

che è l’attore principale. Per chiarire ogni dubbio è sempre meglio consultare un insegnante

o ascoltare la pronuncia da un sito interattivo come quelli precedentemente consigliati.

Eccoci di nuovo alla parte pratica. Valutiamo con calma tutte le

situazioni seguenti e cerchiamo di rispondere alle domande, come

nell’esempio. Non perdiamoci d’animo se non ricordiamo

perfettamente tutte le parole e le forme grammaticali che abbiamo

visto fin qui. Questa non è una gara di memoria… il libro è tra le

nostre mani proprio per esserci utile. Ogni volta che non

ricordiamo o capiamo qualcosa possiamo tornare alle pagine giuste e consultarle, magari

mettendo qualche segnalibro per comodità. A forza di consultare i nostri appunti, finiremo

per ricordare tutto senza sforzo!

1) Esempio: C’è una macchina (car) davanti alla scuola. Una donna si avvicina all’auto con

un mazzo di chiavi. Qualcuno ci chiede: Whose car is it? (Di chi è la macchina?)

Noi indichiamo la donna sconosciuta e rispondiamo: It is her car (E’ la sua [di lei]).

2) C’è un cane che corre libero per strada, con il guinzaglio al collo e nessun padrone a

tenerlo a freno. Un uomo lo insegue cercando di acchiappare il guinzaglio. Qualcuno ci

chiede: Whose dog is it?

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Noi indichiamo l’uomo che corre e rispondiamo: ………………………..

Appena girato l’angolo vediamo passare un pallone (ball) inseguito dal medesimo cane, che

cerca di prenderlo! Qualcuno ci chiede: Whose ball is it?

Noi immaginiamo che sia del cane, lo indichiamo con il dito e diciamo:

…………………………

3) Mostriamo ad un amico la fotografia di una bella donna di mezza età, la nostra mamma

(mother). L’amico ci chiede: Who is she?

Essendo soli, noi rispondiamo: ………………………..

Immaginiamo invece di essere insieme a nostra sorella: la mamma è ora di entrambi! Non

sarebbe carino escludere nostra sorella dalla risposta. In questo caso indicheremmo noi

stessi e nostra sorella, dicendo quindi: ………………………..

4) Ci sono due bambini nel salotto di casa nostra. Noi non abbiamo figli e dividiamo questa

casa con un’amica studentessa, che è seduta accanto a noi, sta partecipando alla

conversazione e a sua volta non ha figli. Un amico comune, perplesso, indica i due bambini

e ci chiede: Why are they here? (here = qui)

Noi e la nostra amica rispondiamo insieme che siamo le loro babysitters!

………………………..

5) Siamo in classe. Ci sono dei libri sulla cattedra, ma l’insegnante ha già raccolto le sue

cose e sta per andarsene. Prendiamo i libri (books), glieli porgiamo, chiedendole se sono i

suoi libri. ………………………..

La prof ci sorride e risponde affermativamente, con una bella risposta breve:

………………………..

E se avessimo trovato i libri sul banco condiviso dalle due signore russe, le nostre

compagne di corso? Se volessimo porre la stessa domanda che abbiamo appena formulato

per la professoressa non ad una ma bensì a due persone contemporaneamente (le due

russe)? Dopo aver deciso quale domanda chiederemmo immaginiamo che ci rispondano di

no.

Soluzioni:

2) Alla domanda Whose dog is it? (Di chi è il cane?) noi rispondiamo: It is his dog! (E’ il

suo cane). Ricordiamo che il cane è un animale, il pronome soggetto che scegliamo per il

cane è quindi it. Inoltre il proprietario del cane è un uomo, quindi scegliamo il possessivo

his (suo di lui).

Nel secondo caso scegliamo il pronome it per la palla, che è un oggetto, e alla domanda

Whose ball is it? (Di chi è la palla?) rispondiamo: It is its ball (E’ la sua palla).

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Quell’its ci indica che il pallone è del cane, che è un animale (non un uomo o una donna).

Attenzione alla contrazione It’s its ball. Ecco che abbiamo due gruppi i-t-s, che si

pronunciano allo stesso modo ma noi sappiamo essere molto diversi!

3) Alla domanda Who is she? (Chi è lei?) noi rispondiamo: She is my mother (Lei è mia

madre). Se invece si tratta della mamma di due o più persone presenti (noi e nostra sorella)

diremo: She is our mother (Lei è nostra madre).

4) Alla domanda Why are they here? (Perchè loro sono qui?) noi e la nostra amica

rispondiamo: Because we are their babysitters! (Perché noi siamo le loro babysitter).

5) In entrambi i casi, sia che si tratti della prof che delle due signore russe, la domanda da

formulare sarà: Are they your books? (Sono i tuoi/vostri libri?). Come si vede dalla tabella,

your significa infatti sia tuo/tua/tuoi/tue che vostro/vostra/vostri/vostre! Le due risposte

brevi saranno rispettivamente: Yes, they are e No, they aren’t.

Finalmente abbiamo tutto il materiale necessario per impostare un vero e proprio

dialogo! Vedrete che meraviglia… conosciamo già tutto quello che serve per intrattenere

una prima, semplice conversazione ed essere cortesi con chi incontriamo.

PERSONAL INFORMATION

Vediamo ora i seguenti dialoghi, inserendo le forme contratte appropriate.

Immaginiamo un dialogo tra Lorenzo (L) e Jillian (J), che s’incontrano per la prima volta in

Italia, ad una cena tra amici:

L (1) - Hello, my name is Lorenzo. Nice to meet you.

J (1) - Nice to meet you.

L (2) - What is your name?

J (2) - My name is Jillian.

L (3) - Where are you from?

J (3) - I am from Ryde.

L (4) - Where is it?

J (4) - It is a small town on the Isle of Wight, in the Uk.

L (5) - Wow! How old are you?

J (5) - I am 27 years old. And you?

L (5) - I am 35.

J (6) - What is your job?

Questo ebook a

ppartiene a\nGiuse

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L (6) - I am a doctor. Why are you here in Italy, Jillian?

J (6) - I am on holiday!

Se invece Lorenzo si trovasse in un ufficio londinese e dovesse fornire le sue generalità ad

un’impiegata (C per clerk), probabilmente il dialogo sarebbe di questo tipo:

C (7) - Good morning. What is your first name?

L (7) - It is Lorenzo.

C (8) - And your surname?

L (8) - Rossi.

C (9) - What is your telephone number?

L (9) - It is (+39) 059 342567.

C (10) - Ok. What is your address?

L (10) - It is 41, via Delle Rose, 41100, Modena, Italy.

Analizziamo i dialoghi nel dettaglio, fornendo anche una traduzione.

L (1) - Hello, my name is Lorenzo. Nice to meet you.

J (1) - Nice to meet you.

Nel primo scambio di battute vediamo che alcune lettere sono sottolineate. Queste lettere

sono infatti le uniche che potremmo unire in una forma contratta! Ecco il risultato:

L (1) - Hello, my name’s Lorenzo. Nice to meet you.

J (1) - Nice to meet you.

Traduzione (riportiamo qui una traduzione che non sia necessariamente parola per parola

ma che suoni naturale in italiano. Ricordiamoci delle collocazioni, che cambiano molto da

lingua a lingua! Cerchiamo di abbandonare progressivamente la traduzione letterale…):

L (1) - Ciao, io sono Lorenzo. Piacere di conoscerti.

J (1) - Il piacere è mio.

Vediamo che Lorenzo saluta in modo informale (Hello = Ciao… in fin dei conti è ad una

cena tra amici) e dopo aver detto il proprio nome pronuncia una frase di cortesia, ossia Nice

to meet you, che letteralmente significa Carino incontrarti. La classica riposta inglese per

questa espressione educata è ripetere la medesima frase; infatti Jillian ricambia la cortesia

dicendo a sua volta Nice to meet you.

Proseguiamo…

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L (2) - What is your name?

J (2) - My name is Jillian.

Dialogo con contrazioni Traduzione L (2) - What’s your name? L (2) - Come ti chiami? J (2) - My name’s Jillian. J (2) - Mi chiamo Jillian.

L (3) - Where are you from?

J (3) - I am from Ryde.

Dialogo con contrazioni Traduzione L (3) - Where are you from?

L (3) - Di dove sei?

J (3) - I’m from Ryde. J (3) - Di Ryde.

L (4) - Where is it?

J (4) - It is a small town on the Isle of Wight, in the Uk.

Dialogo con contrazioni Traduzione L (4) - Where is it? L (4) - Dove si trova? J (4) - It’s a small town on the Isle of Wight, in the Uk.

J (4) - E’ una piccola cittadina sull’isola di Wight, nel Regno Unito.

Alla battuta L (4) vediamo che il pronome it si riferisce a Ryde, la città che Jillian ha appena

citato alla battuta J (3).

L (5) - Wow! How old are you?

J (5) - I am 27 years old. And you?

L (5) - I am 35.

Dialogo con contrazioni Traduzione L (5) - Wow! How old are you?

L (5) - Wow! Quanti anni hai?

J (5) - I’m 27 years old. And you?

J (5) - Ho 27 anni. E tu?

L (5) - I’m 35. L (5) - 35.

In questo caso vediamo che Jillian non ripete la domanda How old are you? ma si limita a

chiedere And you?

Lorenzo le risponde senza ripetere years old, che è sottinteso.

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J (6) - What is your job?

L (6) - I am a doctor. Why are you here, Jillian?

J (6) - I am on holiday!

Dialogo con contrazioni Traduzione J (6) - What’s your job? J (6) - Che lavoro fai? L (6) - I’m a doctor. Why are you here in Italy, Jillian?

L (6) - Sono un dottore. Come mai sei qui in Italia, Jillian?

J (6) - I’m on holiday! J (6) - Sono in vacanza!

Jillian ha introdotto la questione del mestiere, infatti job significa lavoro/mestiere. Lorenzo

risponde alla sua domanda ed immediatamente (senza cedere il turno all’interno della

conversazione) pone lui stesso una domanda a Jillian. (To be) on holiday (on vacation per

gli americani) è la collocazione inglese che si utilizza sempre dire che si è in vacanza.

Vediamo ora il secondo dialogo.

C (7) - Good morning. What is your first name?

L (7) - It is Lorenzo.

Dialogo con contrazioni Traduzione C (7) - Good morning. What’s your first name?

C (7) - Buongiorno. Qual è il suo nome di battesimo?

L (7) - It’s Lorenzo. L (7) - Lorenzo.

In un contesto più formale il saluto cambia da Ciao a Buongiorno (Good morning). Alla

domanda Qual è il suo nome di battesimo? sia l’inglese che l’italiano potrebbero

semplicemente rispondere Lorenzo, ma in inglese è molto comune utilizzare anche il

soggetto (in questo caso it) ed il verbo (in questo caso is); questa costruzione non

appesantisce la frase inglese perché gli inglesi sono abituati a dover sempre mettere il

soggetto nelle frasi. In italiano invece la frasetta (Esso) è Lorenzo suonerebbe “pesante”

(visto che spesso e volentieri omettiamo il soggetto, tanto le forme dei verbi sono tutte

differenti e quindi non si può fare confusione, ricordate?). Tutte le domande di questo tipo,

ossia che prevedono una risposta che potrebbe tranquillamente essere “secca” (Quanti anni

hai? 18. Di che segno sei? Pesci. Ecc…), in inglese possono indifferentemente avere

risposte “secche” o risposte con verbo e soggetto pronominale; entrambe le opzioni sono

accettabili.

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C (8) - And your surname?

L (8) - Rossi.

Dialogo con contrazioni Traduzione C (8) - And your surname? C (8) - E il suo cognome? L (8) - Rossi. L (8) - Rossi.

Qui non ci sono contrazioni possibili. Notiamo che l’impiegata non ha ripetuto l’intera

domanda, ma si è limitata a sfruttare il fatto che la domanda riguardo al cognome fosse

sostanzialmente identica a quella appena fatta, che è ancora ben fresca nella mente

dell’interlocutore Lorenzo. Per inciso, il termine cognome è traducibile anche con family

name oppure con l’americano last name.

C (9) - What is your telephone number?

L (9) - It is (+39) 059 342567.

Dialogo con contrazioni Traduzione C (9) - What’s your telephone number?

C (9) - Qual è il suo numero di telefono?

L (9) - It’s (+39) 059 342567.

L (9) - E’ (+39) 059 342567.

Eccoci al numero di telefono… tra poco vedremo appunto i numeri, in modo da essere in

grado di rispondere a questa domanda anche oralmente, non solo per iscritto. Siccome

Lorenzo è italiano, ha pensato bene di aggiungere il (+39) prima del suo numero fisso, ossia

il prefisso internazionale per chiamare l’Italia dal continente europeo. In generale, per

chiamare un paese europeo da fuori Europa occorre prima il prefisso europeo 011 poi il

prefisso del paese in questione (per esempio per chiamare il Regno Unito dagli Usa occorre

digitare 011 44, mentre per chiamare l’Italia il numero sarebbe 011 39 poi il numero fisso

comprensivo del prefisso della città oppure direttamente il numero di cellulare). Se

volessimo fare il contrario, cioè chiamare gli Usa dall’Italia, dovremmo digitare 001 (il

prefisso internazionale per il continente americano) e poi direttamente il prefisso della città

americana prescelta ed il numero fisso o di cellulare (negli Usa anche i numeri di cellulare

sono preceduti dal prefisso che indica la città/zona in cui sono stati emessi).

In genere il telefono di casa in inglese viene indicato con home/house phone o landline

(telefono fisso) mentre il cellulare è cell phone o mobile phone.

C (10) - Ok. What is your address?

L (10) - It is 41, via Delle Rose, 41100, Modena, Italy.

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Dialogo con contrazioni Traduzione C (10) - Ok. What’s your address?

C (10) - Ok. Qual è il suo indirizzo?

L (10) - It’s 41, via Delle Rose, 41100, Modena, Italy.

L (10) - E’ via Delle Rose 41, 41100, Modena.

Ora sappiamo anche come chiedere l’indirizzo di qualcuno… in primo luogo teniamo conto

del fatto che britannici e americani in genere scrivono/indicano il numero civico prima della

via. Inoltre l’Italia è un paese relativamente piccolo e con una sua organizzazione

territoriale e di codici postali che si differenzia anche di molto rispetto a quella adottata in

altri stati e continenti. In Inghilterra e negli Usa può infatti essere opportuno riportare

nell’indirizzo anche la city area (zona della città) o il district (distretto/quartiere) in cui si

trova la destinazione, così come la county (contea) oppure lo state (stato, tipo California o

Texas).

Vediamo uno schema illustrativo:

Address Legenda Indirizzo

Mr. George Lloyd Lloyd and Dean Ltd. 30 Commercial Rd. Fratton (distretto) PORTSMOUTH Hampshire (contea) PO1 1AA Uk

Full name Company name Street/Road/Square City area/District City/Town/Village County/State Postal code (o Zip code) Country

Sig. Lorenzo Rossi Rossi Group Spa viale Virgilio 30 Modena 41100 Italia

In inglese le vie sono in linea di massima chiamate street o road, mentre la piazza è square.

Abbiamo poi la città (city), la cittadina (town) e il villaggio (village).

Prima di proseguire è a questo punto necessario mettere in campo i numeri cardinali,

in modo da poter rispondere (e comprendere) con scioltezza quando si parla, tra le altre

cose, di età, numeri di telefono e indirizzi. I numeri in ogni caso ci servono in una quantità

infinita di situazioni, quindi conviene “sfruttare” un buon insegnante oppure un sito di

pronuncia (come www.howjsay.com) per sviluppare un nostro personale metodo di

annotazione fonetica che ci consenta di ricordare sempre come “dire” correttamente i

numeri inglesi.

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NUMERI CARDINALI 1 one 11 eleven 21 twenty-one 31 thirty-one 2 two 12 twelve 22 twenty-two 40 forty 3 three 13 thirteen 23 twenty-three 50 fifty 4 four 14 fourteen 24 twenty-four 60 sixty 5 five 15 fifteen 25 twenty-five 70 seventy 6 six 16 sixteen 26 twenty-six 80 eighty 7 seven 17 seventeen 27 twenty-seven 90 ninety 8 eight 18 eighteen 28 twenty-eight 100 a/one hundred 9 nine 19 nineteen 29 twenty-nine 1,000 a/one thousand 10 ten 20 twenty 30 thirty 1,000,000 a/one million

Come possiamo vedere la seconda decina (da dieci a diciannove) presenta tre

particolarità (ten, eleven e twelve) mentre tutti gli altri numeri corrispondono a quelli

contenuti nella prima decina (o a loro versioni leggermente modificate) con l’aggiunta di

teen (vediamo, per esempio, four/fourteen e five/fif teen). Da questa seconda decina, quella

dei teen appunto, deriva la parola teenager (da teen + age, che significa età). Un teenager

infatti è un ragazzo/a che ha un’età indicativamente compresa tra tredici e diciannove anni,

cioè un adolescente.

Da twenty in poi si ripete ogni volta la decina e vi si aggiunge l’unità, separandole

con un trattino (hyphen); vediamo, per esempio, 48 = forty-eight, 62 = sixty-two e 87 =

eighty-seven. Quando si arriva alle centinaia bisogna specificare di quante centinaia di sta

parlando: hundred significa proprio centinaio, quindi se si parla del numero 100 in inglese è

necessario dire che si tratta di un solo centinaio, ottenendo così one hundred (a hundred

funziona altrettanto bene perché a è l’articolo un/uno/una!). Per due centinaia (200) avremo

two hundred, e così via. La stessa regola funziona per le migliaia ed i milioni. Dal numero

200 in su, anche se ci venisse voglia di mettere il termine centinaia (hundred) al plurale

(ottenendo il termine hundredS), non avremmo bisogno di farlo, salvo rari casi, perché i

numeri vengono quasi sempre usati come aggettivi (e in inglese gli aggettivi non si

modificano mai). Se diciamo 300 (three hundred) in risposta alla domanda Quanti anni ha

quell’edificio/quanto è vecchio quell’edificio? in realtà ci stiamo riferendo a 300… cosa?

300 anni (three hundred years, dove il nome years è sottinteso, ma comunque il numero

funge da aggettivo)! I numeri che abbiamo appena visto ci servono soprattutto in veste di

aggettivi numerali, per specificare la quantità di ciò di cui stiamo già parlando (ossia per

fornirci un’informazione in più).

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Vediamo alcune particolarità…

I numeri decimali, a differenza dell’italiano, vengono indicati con il punto:

0.5 (noi scriveremmo 0,5 = ½ = metà!)

Al contrario, centinaia, migliaia, milioni e miliardi vengono separati dalla virgola:

1,000 1,000,000

(noi italiani useremmo invece il punto, ottenendo 1.000, 100.000 e 1.000.000)

Ed ora alcune indicazioni generali su come leggere tutti questi numeri, soprattutto

quando, come capita spesso nella vita reale, non si parla di cifre piccole o perfettamente

tonde…

Il decimale 0.5 si legge semplicemente zero point five (negli Usa) e nought point five (nel

Regno Unito).

0.03 sarebbe in genere zero point oh three (Usa) e nought point nought three (Uk).

Come possiamo vedere lo zero può essere letto e scritto sia zero che nought, e a volte lo si

può leggere anche oh. Quale di queste diciture sia più corretta dipende dai casi e dal paese

in cui ci si trova.

Ulteriori esempi:

0.689 = nought (o zero) point six eight nine

8.9 = eight point nine

8.09 = eight point oh/nought nine

Siccome a volte i decimali si esprimono come divisioni, soprattutto nella vita di tutti i

giorni, vediamo alcuni esempi che ci fanno capire come si possono pronunciare le frazioni:

1/2 = a half (una metà)

1/4 = a/one quarter (un quarto)

1/3 = a/one third (un terzo)

Third significa terzo e non è un numero cardinale, bensì un ordinale, ossia fa riferimento ad

un ordine, una sequenza di qualche tipo. I numeri ordinali generalmente vengono appresi

più avanti. Possiamo quindi dire one over three (letteralmente uno su tre).

1.5 = one point five oppure one and a half

2.5 = two point five oppure two and a half

586/207 = five hundred eighty six over two hundred and seven

Quest’ultima frazione ci offre lo spunto per passare dal piccolo al grande. I numeri

complessi e molto grossi si leggono e scrivono per esteso categoria per categoria partendo

dalla più alta, ossia da sinistra. Oralmente, cioè solo nel parlato, le categorie più alte (come

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miliardi, milioni, migliaia e centinaia) vengono separate dall’ultima minuscola categoria

(quella delle decine, se è presente, che va da 1 a 99) grazie alla congiunzione and (che

corrisponde alla congiunzione italiana e), come si farebbe in un normale elenco/lista:

Numero scritto in lettere

Numero pronunciato Traduzione letterale

110 one hundred ten

one hundred (and) ten un centinaio e dieci (unità)

509 five hundred nine

five hundred (and) nine

cinque centinaia e nove (unità)

519 five hundred nineteen

five hundred (and) nineteen

cinque centinaia e diciannove (unità)

6,250 six thousand two hundred fifty

six thousand, two hundred (and) fifty

sei migliaia, due centinaia e cinquanta (unità)

2,003 two thousand three

two thousand (and) three

due migliaia e tre (unità)

Semplice, no? Prima diciamo quanti miliardi, poi quanti milioni, quante migliaia, quante

centinaia ed infine quante unità.

Prendiamo questo numerone: 834,607

Partendo da sinistra, vediamo che il numero è grande, ma non arriva al milione (c’è una

sola virgola, seguita da sole tre cifre, mentre il milione avrebbe due virgole e sei cifre dopo

la virgola). Siccome questo numero ha solo 6 cifre complessive, si tratta certamente di

migliaia (numerose migliaia, ma sempre migliaia). Il nostro compito è quindi quello di dire

in primo luogo quante migliaia abbiamo e poi di occuparci dei numeri dopo la virgola, che

sono le centinaia e le decine. Come possiamo vedere in questo numero ci sono 834

migliaia, ossia eight hundred (and) thirty-four… ma eight hundred (and) thirty-four cosa?

Si tratta di migliaia, quindi occorre dire eight hundred (and) thirty-four THOUSAND (834

migliaia, appunto… le regole con cui si leggono i numeri continuano a valere, non le

sconvolgiamo solo perché siamo ancora alla fase delle migliaia!). Adesso però è la volta dei

numeri dopo la virgola, ossia centinaia e decine. Ecco allora che abbiamo 607, ossia six

HUNDRED (and) seven. Ora abbiamo tutti i pezzi che ci occorrono…

834,607 = eight hundred (and) thirty-four THOUSAND, six HUNDRED (and) seven

eight hundred (and) thirty-four THOUSAND (prima della virgola) e poi six HUNDRED

(and) seven (dopo la virgola) = 834 [800 (e 34)] migliaia, 600 centinaia e 7 (unità)

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Suona complesso quando si parla di numeri così grandi, ma ancora una volta internet ci

viene in aiuto. Proviamo questo sito:

http://www.mathcats.com/explore/reallybignumbers.html

Inseriamo il numero nella prima riga, al punto (1), e clicchiamo il tasto Click here al punto

(3), magari dopo aver tentato di leggere il numero da soli. Controlliamo poi nello spazio

sottostante, dove apparirà il metodo americano di scrittura del numero in questione (che con

l’aggiunta di and nei posti giusti corrisponde esattamente al modo in cui il numero si

legge). Non dimentichiamo di mettere le virgole al loro posto, ossia ogni tre cifre a partire

da destra! Questo ci aiuterà a visualizzare le categorie…

Esempio: 2,001100,,999944

1 cifra /virgola/ 3 cifre /virgola/ 3 cifre = 6 cifre a partire da destra, separate da due virgole.

Partendo da destra abbiamo circa 2 milioni, 1100 mmiiggll iiaaiiaa e 900 centinaia.

Dovremo quindi dire prima di quanti milioni si tratta, poi di quante migliaia ed infine di

quante centinaia e unità.

Ulteriori esempi:

- 1,000,000,000 = a/one billion

Tre, sei, nove cifre a partire da destra, separate da tre virgole… allora si tratta di miliardi!

Infatti questo è un miliardo.

- 5,648,250,002

Qui abbiamo: 5 miliardi, 648 milioni, 250 migliaia e 2 unità (nessun centinaio)

- 1,000,000,000,000 = a/one trillion

Attenzione! Se invece che leggere dati o discutere numeri state dando il vostro numero di

telefono o il vostro Cap (codice di avviamento postale) non avete bisogno di fare tutta

questa fatica… questo tipo di indicazioni va benissimo dato una cifra alla volta.

Esempio:

Un Cap: 41048 = four one zero four eight

Un numero di cellulare: 337 8752347 = three three seven eight seven five two three four

seven

Facciamo un minimo di pratica,

tentando di leggere i seguenti numeri:

1,512 / 2,009 / 13,000 / 15,239 / 100,000 / 1,200 / 1,998 / 2,000

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Soluzioni:

1,502 – one thousand five hundred (and) two

Se fosse stato l’anno 1512 non sarebbe stato scritto con la virgola e si sarebbe letto a coppie

di numeri (prima 15 poi 02, ossia fifteen, oh two).

2,009 – two thousand (and) nine

Se fosse stato l’anno 2009 sarebbe stato scritto senza virgola, ma si sarebbe letto allo stesso

modo…

13,000 – thirteen thousand

15,239 – fifteen thousand two hundred (and) thirty-nine

100,000 – one hundred thousand

1,200 – one thousand two hundred oppure twelve hundred (con due zeri precisi notiamo che

questo numero può anche essere visto come 12 centinaia!).

Se fosse stato l’anno 1200 (senza virgola) l’avremmo letto proprio twelve hundred.

1,998 – one thousand nine hundred (and) ninety-eight

Se fosse stato l’anno 1998 non sarebbe stato scritto con la virgola e si sarebbe letto nineteen

ninety-eight.

2,000 – two thousand

Se fosse stato l’anno 2000 non sarebbe stato scritto con la virgola e si sarebbe letto

esattamente allo stesso modo. Vediamo quindi che gli anni si scrivono senza la virgola che

indica le migliaia e soprattutto si leggono a coppie, due cifre alla volta. Gli unici anni che

fanno eccezione sono gli anni dal 2000 al 2009/2010… già dal 2010 si nota però una

tendenza a leggere di nuovo l’anno a coppie (ossia twenty ten), tendenza che probabilmente

prenderà sempre più piede negli anni a venire (2011, twenty eleven, 2012 twenty twelve,

ecc…).

Adesso che abbiamo esplorato i numeri, riassumiamo gli ultimi

argomenti facendo un poco di pratica extra, giusto per rimetterci in

carreggiata dopo questa lunga digressione. Possiamo intervistare

qualcuno che parli un po’ d’inglese (amici, colleghi, nipoti, cugini)

utilizzando le seguenti domande. Annotiamo le informazioni

raccolte ed immaginiamo di doverle riportare proprio a me, che non conoscono tutte quelle

persone, utilizzando i pronomi personali di terza persona e gli aggettivi possessivi

appropriati. Ecco le domande:

What’s your full name? [pronuncia: uòts iour ful neim?]

Where are you from? [uèr ar iu from?]

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How old are you? [hau old ar iu?]

What’s your job? [uòts iour giob?]

What’s your phone number? [uòts iour foun namber?]

What’s your address? [uòts iour àddres?]

Se aveste posto le vostre domande direttamente a Lorenzo, il personaggio dei dialoghi

precedenti, verreste a riportarmi le informazioni che avete raccolto e probabilmente mi

direste:

His name is Lorenzo Rossi. He’s from Italy. He’s 35 years old and he’s a doctor. His phone

number is 059 342567. His address is 41, via Delle Rose, 41100, Modena.

Immaginiamo ora che Lorenzo e Jillian s’incontrino di nuovo, all’ora di pranzo. Ormai i

convenevoli sono superflui, perché i due si conoscono già. In occasioni precedenti Jillian ha

raccontato a Lorenzo della sua famiglia numerosa, del suo campo di studi e del luogo in cui

vive. Ormai sono amici…

J (1) - Hello Lorenzo!

L (1) - Hi Jillian, how are you?

J (2) - I’m fine, thanks. And you?

L (2) - Not so well…

J (3) - I’m sorry! Are you ill?

L (3) - No, I’m not. I’m just tired. Too much work! How is your family?

J (4) - They’re fine, thank you.

L (4) - Are you busy now? If you are hungry there is a nice restaurant near here…

Analizziamo brevemente anche questo piccolo scambio.

Dialogo Traduzione J (1) - Hello Lorenzo! J (1) - Ciao Lorenzo! L (1) - Hi Jillian, how are you?

L (1) - Ciao Jillian, come stai?

I due ragazzi si salutano in modo informale e, com’è opportuno e abituale fare, Lorenzo

chiede subito a Jillian come sta.

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Vediamo alcune tra le forme più comuni di saluto (GREETINGS):

Saluti informali

Annotazione italianizzata (pronuncia)

Traduzione Quando si usa

HELLO héllou ciao Quando si arriva HI hai ciao Quando si arriva BYE (BYE) bai (bai) ciao Quando ci si congeda SEE YOU SOON

si iu suun a presto / ci vediamo presto

Quando ci si congeda

Saluti formali

Annotazione italianizzata (pronuncia)

Traduzione Quando si usa

GOOD MORNING

gudmorning buongiorno Al mattino, fino alle 12:00

GOOD AFTERNOON

gud afternun buon pomeriggio

Dalle 12:00 fino a tardo pomeriggio (17:00 / 18:00)

GOOD EVENING

gudivning buonasera Circa dalle 18:00

GOODBYE gudbai arrivederci Quando ci si congeda GOOD NIGHT gudnait buonanotte Quando ci si congeda

Dialogo Traduzione J (2) - I’m fine, thanks. And you?

J (2) - Sto bene, grazie. E tu?

L (2) - Not so well… L (2) - Non tanto bene…

Alla tipica domanda How are you? segue la tipica risposta I’m fine, thanks. And you?

Grazie a queste formule standard i due interlocutori dimostrano interesse reciproco e buona

educazione. Tuttavia, I’m fine, thanks non è l’unica risposta possibile! Lorenzo infatti va

oltre i convenevoli e coglie l’occasione per dire a Jillian di non essere tanto in forma. Ecco

alcune alternative che possiamo utilizzare per variare un po’ oppure nel caso ci venga

voglia di dire che non stiamo proprio benissimo:

I’m ok, thanks – Sono a posto, grazie (per avermelo chiesto!)

So and so – Così così…

I’m tired – Sono stanco/a

I’m sick / I’m ill – Sono malato/a

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Dialogo Traduzione J (3) - I’m sorry! Are you ill?

J (3) - Mi dispiace! Sei malato?

L (3) - No, I’m not. I’m just tired. Too much work! How is your family?

L (3) - No… sono solo stanco. Troppo lavoro! Come sta la tua famiglia?

Quando Lorenzo le dice che non sta bene Jillian si dice subito dispiaciuta per lui e gli

chiede se per caso è malato. Lorenzo la rassicura e si informa sulla salute della famiglia di

lei. Just significa quindi solo/solamente, too much significa troppo e work è lavoro!

Dialogo Traduzione J (4) - They’re fine, thank you.

J (4) - Stanno bene, grazie.

L (4) - Are you busy now? If you are hungry there is a nice restaurant near here…

L (4) - Sei impegnata ora? Se hai fame c’è un ristorante carino qui vicino…

Jillian risponde alla domanda precedente e Lorenzo coglie l’occasione per invitarla a

pranzo. Notiamo che busy significa occupato/a, impegnato/a mentre now significa ora. To

be hungry (avere fame) è una delle collocazioni tipiche inglesi che si discostano molto

all’italiano… proprio come il nostro ragazzo che aveva freddo, ricordate? To be cold sfrutta

il verbo to be (essere) ma in italiano si rende con la collocazione avere freddo. Allo stesso

modo to be hungry = avere fame e to be thirsty = avere sete!

Invece di chiedere direttamente Vuoi venire a pranzo con me?, il nostro Lorenzo sceglie un

modo più sottile e indiretto di fare la sua proposta, limitandosi a dire che C’E’ un ristorante

carino nelle vicinanze (near here = vicino qui)… Per dire C’E’ Lorenzo dice THERE IS. A

questo punto possiamo completare l’argomento e vedere come dire che le cose ci sono

oppure no.

THERE IS / THERE ARE

La struttura di questa formula è in linea con tutto quello che abbiamo imparato

finora. In questo caso abbiamo però il soggetto there (che significa là) ed il verbo essere.

There non è né un nome né un pronome, ma questa traduzione letterale ci fa capire perché

in questo caso funziona bene come soggetto:

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there is = là è (ossia c’è) [pronuncia: deer is]*

there are = là sono (ossia ci sono) [deer ar]

* Questa annotazione è molto imprecisa. A volte l’annotazione italianizzata è davvero

limitativa, perché in italiano tanti dei suoni che ci servirebbero non vengono usati. Il mio

consiglio è sempre lo stesso: la cosa migliore da fare è consultare un dizionario o un bel sito

di pronuncia che ci permetta di ascoltare le parole.

Ancora una volta usiamo il tempo Simple Present del verbo essere. Questo tempo si

usa per le abitudini, le cose sempre vere e/o non soggette a cambiamento e le descrizioni…

Quindi è perfetto per noi! Dire che qualcosa c’è o non c’è equivale proprio a descrivere lo

stato delle cose, giusto? Se there è soggetto e is/are sono le forme del verbo essere che ci

occorrono allora potremmo fare un salto indietro al punto in cui abbiamo affrontato il

Simple Present del verbo essere. Le regole da applicare sono le stesse e le spiegazioni

possono esserci utili per creare le forme negative, interrogative ed interrogative negative

(contratte e non) di there is e there are. Approfittiamo quindi di questa occasione per fare

un poco di ripasso e cerchiamo di compilare la seguente tabella senza sbirciare le soluzioni

(e sbirciando le spiegazioni alle pagine precedenti solo se è davvero necessario).

Forme estese Forme contratte Traduzione + singolare THERE IS THERE’S C’è + plurale THERE ARE Non possibile Ci sono - singolare - plurale ? singolare ? plurale ?- singolare ?- plurale

Com’è andata? Difficile? Pensiamolo come se fosse un gioco di enigmistica… si tratta solo

di ricordare le regole di base ed applicarle, proprio come in un passatempo matematico di

memoria e di logica.

Vediamo le soluzioni:

Forme estese Forme contratte Traduzione + singolare THERE IS THERE’S C’è + plurale THERE ARE Non possibile Ci sono - singolare There is not There isn’t* Non c’è - plurale There are not There aren’t* Non ci sono ? singolare Is there? Non possibile C’è?

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? plurale Are there? Non possibile Ci sono? ?- singolare Is there not? Isn’t there?* Non c’è? ?- plurale Are there not? Aren’t there?* Non ci sono?

* Ricordiamoci che per creare le forme ?- contratte siamo partiti dalle forme – contratte, in

cui verbo e negazione not sono diventati una parola sola!

E ora… altra pratica. Cerchiamo di rispondere alle domande,

descrivendo per iscritto quello che vediamo nelle immagini grazie

anche ai numeri che abbiamo imparato. Proviamo poi a leggere le

nostre frasi a voce alta, controllando la pronuncia dei numeri e dei

vocaboli nuovi. Esempio:

Question (domanda) Translation (traduzione) How many hearts are there? Quanti cuori ci sono?

Answer (risposta): There are six hearts.

Question (domanda) Translation (traduzione) 1) How many triangles are there?

Quanti triangoli ci sono?

1) Answer (risposta): …………………………

Question (domanda) Translation (traduzione) 2) How many stars are there?

Quante stelle ci sono?

2) Answer (risposta): …………………………

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Question (domanda) Translation (traduzione) 3) How many squares are there?

Quanti quadrati ci sono?

3) Answer (risposta): …………………………

Question (domanda) Translation (traduzione) 4) How many things are there?

Quante cose ci sono?

4) Answer (risposta): …………………………

Questions (domande) Translation (traduzione) 5) How many stars are there?

Quante stelle ci sono?

6) Is there a square? 7) Is there a heart? 8) Is there a triangle?

Answers (risposte): 5) ………………………… 6) ………………………… 7) ………………………… 8) …………………………

Soluzioni:

1) There are thirteen triangles (Ci sono 13 triangoli).

2) There are eight stars (Ci sono 8 stelle).

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3) There is one square (C’è un quadrato).

4) There are one square, two stars, three triangles and one heart (Ci sono 1 quadrato, 2

stelle, 3 triangoli e 1 cuore).

5) There are five stars (Ci sono 5 stelle).

6) Vediamo prima la traduzione della domanda, che sono certa avete già indovinato: Is there

a square? si traduce C’è un quadrato? La risposta è ovviamente No, there isn’t. Ecco qua la

risposta breve negativa, che come sappiamo è sempre costituita da tre elementi: No,

soggetto (there) e verbo negativo (isn’t).

7) Is there a heart? Traduzione: C’è un cuore? Risposta: No, there isn’t.

8) Is there a triangle? Traduzione: C’è un triangolo? Risposta: Yes, there is. Come abbiamo

già capito, questa è la risposta breve positiva! Se avessimo posto domande al plurale (Are

there…?) le risposte brevi sarebbero state rispettivamente Yes, there are e No, there aren’t

Questi semplici esercizi sono utili, ma cerchiamo di applicare there is e there are a

situazioni più concrete. Immaginiamo di essere invitati a casa dell’amico inglese che ci ha

portato a visitare Londra numerosi esercizi fa. Notiamo che il suo salotto è arredato più o

meno come il nostro. Per stupirlo e mettere alla prova il nostro inglese potremmo quindi

esibirci in un commento di questo genere: My living room is more or less like your living

room; there are two sofas, one TV, four chairs and a big table. Your sofas are green but my

sofas are red, like the chairs. Analizziamo ora l’intervento:

English sentence (frase inglese)

Vocabulary (terminologia) Translation (traduzione)

My living room is more or less like your living room;

living room = salotto; more or less = più o meno; like = come (avverbio);

Il mio salotto è più o meno come il tuo salotto;

there are two sofas, one TV, four chairs and a big table.

sofas = divani; chairs = sedie; table = tavolo;

ci sono due divani, una tv, quattro sedie e un grande tavolo.

Your sofas are green but my sofas are red, like the chairs.

green = verde; but = ma (congiunzione); red = rosso;

I tuoi divani sono verdi ma i miei divani sono rossi, come le sedie.

Notiamo che qualche aggettivo (soprattutto i colori) possono venirci in aiuto per arricchire

quello che desideriamo dire. Perché non dare subito un’occhiata rapida ai colori principali?

Eccoli in arrivo…

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COLOURS (Colori)

Colours Translation WHITE Bianco BLACK nero YELLOW giallo ORANGE arancione RED rosso PINK rosa PURPLE viola BLUE blu GREEN verde BROWN marrone GRAY oppure GREY

grigio

SILVER argentato GOLD dorato

Introduciamo qualche frase di esempio, che ci può chiarire le idee su come utilizzare

i nomi dei colori:

- There is a black cat on the table. [C’è un gatto nero sul tavolo]. In questo caso black funge

da aggettivo.

- Red is a beautiful colour. [Il rosso è un bel colore]. Red qui funge da nome (soggetto).

- Her car is light green; their car is dark blue. [La sua (di lei) auto è verde chiaro; la loro

auto è blu scuro]. Qui light green e dark blue fungono da aggettivi.

Come si vede dagli esempi, i colori possono essere modificati grazie ai termini dark (scuro)

e light (chiaro). Ovviamente i colori sono numerosissimi e quelli che abbiamo elencato

sono tra quelli principali.

Impostiamo un breve esercizio di riassunto. Come abbiamo già

fatto in precedenza, immaginiamo di trovarci nella situazione

descritta e cerchiamo di abbozzare un dialogo che possa essere

adatto alle circostanze.

Situazione: Siamo già in Italia, di ritorno dal nostro viaggio londinese. Abbiamo

dimenticato di comprare una maglietta per nostra nipote, che ci aveva chiesto un souvenir.

Così abbiamo chiamato il nostro amico inglese, che gentilmente ci spedirà una maglietta.

Ora siamo al telefono. Gli chiediamo dove si trova e ci risponde che si trova in un negozio

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di souvenir (a souvenir shop). Cominciamo lo shopping telefonico! Il nostro English friend

(amico) ci dice di aver trovato una maglietta (t-shirt) carina (nice)… noi rispondiamo con

queste frasi: Di che taglia (size) è? Mia nipote (niece) è magra (thin)! Di che colore è? Lui

ci dice che è una taglia S (small) e che è azzurra. Noi ribattiamo dicendo che la taglia va

bene e chiedendo: C’è una maglietta nera? Spieghiamo poi che il nero è il colore preferito

(favourite) di nostra nipote. Il nostro amico risponde che effettivamente c’è una maglietta

nera. Noi chiediamo quanto costa e lo autorizziamo a comprarla con un “Ok, è perfetta!”

(perfect) appena lui ci comunica che viene 15 sterline (pounds).

Sembra difficile, ma non lo è… il trucco è cercare di sfruttare al massimo le carte

che si hanno, ossia le cose che si conoscono già! Basta semplificare il più possibile le nostre

frasi inglesi, cercando in tutti i modi di utilizzare le parole e le strutture che già ci sono

familiari. Siamo alle prime armi… non dobbiamo pretendere di essere subito in grado di

esprimerci in modo articolato e complesso (come facciamo invece in italiano, e senza

nemmeno doverci riflettere troppo). Tanto per cominciare la lingua inglese è una lingua che

ama le frasi brevi e incisive, che vanno al sodo (al contrario, appunto, dell’italiano!). In

secondo luogo, ricordiamoci che in una lingua ci sono mille modi per esprimere uno stesso

significato… i modi più semplici e lineari sono efficaci tanto quanto quelli complessi (e a

volte di più). Vediamo come realizzare un mini-dialogo che faccia al caso nostro:

Indicazione Riflessione Frase in inglese (NOI) Gli chiediamo dove si trova…

Chiedere Dove ti trovi? è difficile… il verbo trovarsi non lo conosciamo, non sappiamo nemmeno se si usa in inglese. Però conosciamo il verbo essere, e sappiamo che Dove ti trovi? e Dove sei ora? significano più o meno la stessa cosa…

Where are you now? Abbiamo usato la question word where, la forma interrogativa del verbo essere, il pronome soggetto you e l’avverbio now (ora). Tutta roba che conosciamo!

(FRIEND) …ci risponde che si trova in un negozio di souvenir (a souvenir shop).

Questo è un dialogo, il nostro amico quindi ci risponderà in prima persona (I = io).

I’m in a souvenir shop.

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(FRIEND) …ci dice di aver trovato una maglietta (t-shirt) carina (nice)…

Aver trovato? Non siamo certo capaci di tradurre questo concetto. Non conosciamo nemmeno il verbo trovare! Tuttavia il significato è sostanzialmente lo stesso se facciamo dire all’amico una frase più facile, come per esempio C’è una maglietta carina…

There is a nice t-shirt. Semplice, diretto e sfrutta proprio le strutture che conosciamo già! Perfetto!

(NOI) Di che taglia (size) è?

Qui ci vuole certamente una question word… ma quale? Consultiamo le spiegazioni precedenti, tante pagine fa, e decidiamo per what…

What size is it? Il pronome soggetto it (che si riferisce a cose o animali) è perfetto per evitare di ripetere t-shirt…

(NOI) Mia nipote (niece) è magra (thin)!

Mia nipote… qui ci serve un aggettivo possessivo.

My niece is thin!

(NOI) Di che colore è?

Anche in questo caso, per analogia con la domanda di prima, usiamo what.

What colour is it?

(FRIEND) …ci dice che è una taglia S (small)…

In italiano il modo più semplice per dare questa informazione sarebbe E’ una S. Vediamo se funziona anche in inglese…

It’s a small… Ebbene si, funziona anche in inglese!

(FRIEND) …e che è azzurra.

Costruiamo questa frase come quella precedente, ma dobbiamo risolvere il problema del colore. Azzurro alla fine non è altro che blu chiaro, quindi potremmo tentare con light blue!

…and it’s light blue. Ottimo, non c’è che dire.

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(NOI) …ribattiamo dicendo che la taglia va bene…

Andare bene non sembra affatto semplice da tradurre. Perché non semplifichiamo e diciamo che la taglia è ok? Inoltre stiamo confermando all’amico la taglia, MA stiamo chiedendo un altro colore. Forse un MA (but), congiunzione avversativa, qui farebbe proprio al caso nostro.

The size is ok, but…

(NOI) …e chiediamo: C’è una maglietta nera?

Questa regola è recente, ce la ricordiamo bene!

…is there a black t-shirt?

(NOI) Spieghiamo poi che il nero è il colore preferito (favourite) di nostra nipote.

Dobbiamo quindi dire Il nero è il colore preferito di mia nipote. Però non siamo capaci di dire che qualcosa è di mia nipote… al massimo possiamo dare per scontato che si parla della nipotina e scomodare her, che è il possessivo che significa suo (di lei)… tra l’altro la nipote è appena stata citata, quindi è chiaro che her si riferisce a lei.

Black is her favourite colour!

(FRIEND) Il nostro amico risponde che effettivamente c’è una maglietta nera.

Effettivamente? Questo avverbio difficile ci serve davvero? In realtà no… la domanda era Is there a black t-shirt?

Yes, there is.

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L’amico vuole comunicare una risposta affermativa… e allora la cosa più semplice è una risposta breve positiva!

(NOI) Noi chiediamo quanto costa…

Questa ce la ricordiamo dalla lista di question words…

How much is it? ...dove it è sempre riferito alla maglietta.

(FRIEND) …lui ci comunica che viene 15 sterline (pounds)…

Viene ci sembra complesso… diciamo che costa, che è più facile. La collocazione giusta per dire che qualcosa costa in inglese è…

It’s 15 pounds. Ovviamente! Se la domanda sfrutta una collocazione con il verbo essere allora anche la risposta farà lo stesso.

(NOI) …e lo autorizziamo a comprarla con un: Ok, è perfetta (perfect)!

Qui ci basta proprio tradurre parola per parola…

Ok, it’s perfect!

Il dialogo che abbiamo creato sarà quindi:

Noi (1) - Where are you now?

Friend (1) - I’m in a souvenir shop. There is a nice t-shirt.

Noi (2) - What size is it? My niece is thin! What colour is it?

Friend (2) - It’s a small and it’s light blue.

Noi (3) - The size is ok, but is there a black t-shirt? Black is her favourite colour.

Friend (3) - Yes, there is.

Noi (4) - How much is it?

Friend (4) - It’s 15 pounds.

Noi (4) - Ok, it’s perfect!

Nulla da obiettare… un dialogo essenziale ma impeccabile, degno di uno studente di livello

medio! E l’abbiamo realizzato utilizzando un solo tempo verbale ed un solo verbo, il verbo

essere. Immaginatevi cosa saremo in grado di fare quando avremo più tempi e più verbi a

disposizione…

Sembra che siano mille pagine e mille argomenti fa, ma l’unico vero argomento

verbale che abbiamo messo in campo è in effetti il Simple Present del verbo essere. Questo

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primo passo verbale è stato per noi come il primo grosso ramo di un albero in inverno (il

primo di tanti): alle sue ramificazioni spoglie abbiamo appeso, poco alla volta, numerose

foglie, fiori e frutti. Il ramo è la struttura portante, ma vi abbiamo già aggiunto vocabolario

in forma di nomi, aggettivi e perfino qualche semplice avverbio. Lo abbiamo arricchito con

l’alfabeto, i pronomi personali, gli aggettivi di nazionalità, le question words, gli aggettivi

possessivi, le frasi tipiche ed i saluti che costituiscono i primi semplici dialoghi nella nuova

lingua, il formato dell’indirizzo e del numero di telefono, i numeri cardinali, la struttura

c’è/ci sono, i colori e tante piccole regole, indicazioni e concetti (come l’idea di

collocazione) che ci saranno utili in ogni fase dell’apprendimento. Il nostro primo ramo

(che ormai conosciamo bene) non solo è fiorito, ma ha anche dato ottimi frutti maturi!

Adesso è venuto il momento d’impostare un secondo ramo, altrettanto importante e che

corre parallelo al primo. Tutti i fiori e frutti che già conosciamo sono pronti per essere

applicati a questo nuovo ramo… Armati della conoscenza fin qui acquisita, andiamo quindi

a completare il discorso del Simple Present, perfezionando le strutture che si nascondono

dietro questa porta e parlando finalmente di tutti i verbi che non significano essere. Prima di

compiere questo passo però dobbiamo affrontare la questione delle parole inglesi che

abbiamo usato finora e che useremo in futuro.

DA NON DIMENTICARE…

- Ricordiamoci che esistono tante varietà di inglese e che ognuna ha vocaboli, accenti e

pronunce diverse. Scegliamo una varietà e cerchiamo di attenerci a quella. Per controllare la

pronuncia corretta possiamo utilizzare la trascrizione fonetica del dizionario (alfabeto

fonetico) oppure possiamo utilizzare siti di pronuncia (come www.howjsay.com), che ci

permettono di ascoltare direttamente la pronuncia dei madrelingua. Per ricordare meglio le

pronunce che impariamo possiamo aiutarci con una sorta di “annotazione italianizzata”,

ossia scrivendo esattamente le lettere che sentiamo;

- Non dimentichiamo che il soggetto in inglese va sempre espresso, altrimenti saremmo in

difficoltà a capire di chi o di che cosa si parla, perché la maggior parte delle forme usate per

le sei persone del verbo sono uguali;

- Per creare domande dovremo sempre applicare la regola dell’inversione soggetto/verbo;

- Per rendere negativa una frase dovremo sempre (almeno in questa fase) aggiungere la

negazione not al verbo;

- Le regole di contrazione che abbiamo imparato continueranno a valere anche per tempi

verbali più complessi;

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- Le risposte brevi sono tipiche della lingua inglese e in generale contengono sempre e solo

3 parole: yes oppure no, il giusto pronome soggetto ed infine il verbo più importante

all’interno della domanda (ossia la prima tra le parole che compongono la domanda.

Questo deriva necessariamente dalla regola dell’inversione). Ricordiamoci di coniugare il

verbo alla forma positiva o negativa a seconda della risposta breve che ci occorre creare;

- Cerchiamo sempre il modo più semplice, lineare e diretto di dire una cosa. La semplicità

in inglese è considerata un pregio! La cosa migliore è cercare di essere corretti utilizzando

il più possibile le cose che conosciamo… una parafrasi, una descrizione, gesti ed immagini

possono sempre esserci utili;

- Non dimentichiamo le collocazioni. Le parole che si utilizzano in inglese per dire certe

cose non sono necessariamente quelle che vengono usate in altre lingue. Occorre prestare

attenzione e tenere la mente aperta.

TIPS (Consigli)

Ricordate… mai perdersi d’animo. Questo testo non è una cura miracolosa che

garantisce d’imparare l’inglese senza il minimo sforzo, con grande divertimento e in tempo

zero… promesse altisonanti come questa, decisamente poco realistiche, sono un’invenzione

del marketing. Tutti sappiamo che le nostre conoscenze ed esperienze hanno un prezzo,

spesso in denaro, ma ancor più spesso in tempo e fatica. Qualcosa dovremo investire se

siamo davvero interessati ad ottenere dei risultati. Tuttavia possiamo fare del nostro meglio

per rendere l’esperienza il meno traumatica possibile. Sui due piatti della bilancia abbiamo

TEMPO e FATICA. Se studiamo attivamente le regole, memorizzandole e costringendoci

ad una pratica costante e continuativa, avremo imparato tutto il contenuto del libro in

brevissimo tempo, proprio come si fa solitamente nella scuola dell’obbligo. Se invece

questo studio di tipo scolastico e mnemonico ci annoia e non fa per noi, possiamo investire

un poco più di tempo ma ridurre la noia e la fatica. “Come si fa?”, vi chiederete a questo

punto… Per ridurre la percezione della fatica basta cercare di divertirsi. Come già

anticipato, cercate esercitazioni che vi sembrino un gioco, uno stimolo più che un obbligo.

Immaginate di rilassarvi con l’inglese proprio come fareste con un buon libro, un

cruciverba oppure un giornale. Create situazioni per far pratica con persone amiche che vi

facciano sentire immersi in una situazione rilassante, in un ambiente che non abbia nulla di

“scolastico”… tutto fa brodo! Rendete il tempo che dedicate all’inglese il più piacevole ed

informale possibile. Se esercizi e riflessione non sono troppo noiosi sarete già a metà

dell’opera.

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Un altro aspetto fondamentale è essere buoni amministratori di se stessi. Stabilite un

impegno con l’inglese e cercate di portarlo a termine, ponendovi però degli obiettivi

realistici. Occorre avanzare a piccoli passi, non tanto perché non siamo effettivamente in

grado di bruciare le tappe, ma più che altro perché per restare motivati occorre gratificarsi!

Piccoli obiettivi realistici vi aiuteranno infatti a riconoscere e celebrare i vostri successi,

motivandovi sempre di più a non mollare. Nello stabilire questi obiettivi, fissati per

progredire e potersi congratulare con noi stessi, cerchiamo sempre di evitare confronti con

altri studenti. Ognuno è fatto a modo suo, ha un suo personale ritmo e stile di

apprendimento e soprattutto arriva al traguardo con i propri tempi. Questa non è né una

sfida né una gara! Dobbiamo essere i personal trainer di noi stessi, aiutandoci a proseguire e

concentrandoci sui nostri successi personali, sui nostri punti deboli e sul nostro lavoro, non

su quello degli altri. Questo è uno dei pregi dello studio individuale… non ci sono tappe

prefissate da raggiungere in tempi limite, la libertà è totale.

Tuttavia, direte voi, la libertà non aiuta a ricordare le cose che altri hanno imparato

con il sudore della fronte, memorizzandole o facendo tantissima pratica. Come fare quindi

per ricordare tutte le parole e le regole che servono senza impazzire di studio? Ebbene, le

cose si ricordano perché vengono utilizzate, ripetute, rimaneggiate e rilette numerose volte.

Anche lo studio mnemonico funziona grosso modo così. Invece di imparare a memoria,

dotiamoci di qualche segnalibro colorato e riempiamo i margini dei nostri testi con

riflessioni a matita, esempi, aneddoti o appunti che possano aiutarci (e soprattutto

utilizziamo bandierine colorate che ci ricordino dove trovare un certo argomento ogni volta

che ci occorre consultarne la spiegazione). Come vi ho già ricordato, basterà aprire il libro a

quella stessa pagina tre o quattro volte, rileggere le parole in questione quando ci servono

nelle esercitazioni ed in breve tempo ci renderemo conto di aver imparato tutto. Avremo

centrato l’obiettivo semplicemente utilizzando il testo come supporto e riferimento.

Ricordate… il primo tuffo nell’acqua fredda di una nuova lingua non è sempre piacevole.

Questo primo momento di approccio all’inglese è il più difficile, proprio perché ci sono

tantissime cose nuove da imparare. Una volta imparate, però, faranno parte del nostro

bagaglio. Tra breve ci renderemo conto che l’apprendimento sarà sempre più rapido e

facilitato… all’albero dei tempi verbali, che costituiscono l’ossatura della lingua, noi

avremo poco a poco appeso tutto ciò che serve e continuerà a servirci per ogni nuovo ramo

che andremo ad aggiungere. Le spiegazioni saranno sempre più essenziali e meno

dettagliate, perché avremo già ben presenti le regole di base. Vi prometto che se il resto del

percorso è in discesa!

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PPaarr oollee,, ppaarr oollee,, ppaarr oollee…… ee qquuaallcchhee nnuuoovvoo vveerr bboo!!

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LE PAROLE CHE NON VI HO DETTO...

Nel mettere in campo tutti questi contenuti ed idee (e soprattutto facendo pratica)

abbiamo già usato tantissime parole, ma senza soffermarci troppo ad analizzarle nel

dettaglio. Eppure siamo stati così bravi e precisi in tante piccole cose... arrivati a questo

punto ci sono numerosi aspetti dei termini inglesi che meritano la nostra attenzione. Ecco

quindi una piccola sezione di precisazioni, non troppo approfondita, che possiamo leggere

al volo e poi consultare ogni volta che ne avremo bisogno. Per soddisfare anche i più

curiosi: ricordiamoci che una buona grammatica o un buon dizionario potranno fornirci tutti

i dettagli che mancano a questa sezioncina!

I SOSTANTIVI (Nouns)

LE MAIUSCOLE

In inglese si usano le maiuscole (capital letters) per:

* Titoli e nomi propri. Es: the Queen of England (la regina d'Inghilterra), Marylin Monroe

* Titoli di opere, canzoni ecc... Es: War and Peace (Guerra e pace), Pride and Prejudice

(Orgoglio e pregiudizio), Stairway to Heaven (nota canzone dei Led Zeppelin, letteralmente

una “scala che conduce al paradiso”)

* Nomi geografici. Es: the Alps (la Alpi), Washington, Tuscany (la Toscana)

* Nomi di strade ed edifici. Es: the Empire State Building, Fifth Avenue

* Mesi dell’anno e giorni della settimana. Es: January (gennaio), Monday (lunedì)

* Stagioni e festività. Es: Winter (inverno), New Year’s Eve (Capodanno)

* Aggettivi di nazionalità. Es: French, Italian

… infine, le maiuscole si usano all'inizio di ogni frase! Es: We like Coca Cola. Ci piace la

Coca Cola.

Nb. Il pronome I = io è sempre maiuscolo.

IL PLURALE

Per la maggior parte dei nomi IL PLURALE si forma aggiungendo una S a fine

parola:

Esempi: boat – boats (barca-barche); house – houses (casa-case).

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Se la parola finisce per CONSONANTE + Y occorre sostituire la Y finale con –IES:

Esempi: nappy – nappies (pannolino-i); city – cities (città); baby – babies (infante-i).

[Se non lo facessimo otterremmo i geroglifici nappys, citys e babys, che presentano almeno

tre consonanti di fila, creando delle sillabe assurde che non contengono nessuna vocale vera

e propria…]

Esiste inoltre una nutrita lista di PLURALI IRREGOLARI.

Eccone alcuni tra i più comuni:

Singolare Plurale Traduzione

woman women Donna/e

man men Uomo/uomini

child children Bambino/i

tooth teeth Dente/i

foot feet Piede/i

person people (persons solo per alcuni casi e significati)

Persona/e

leaf leaves Foglia/e

half halves Metà

knife knives Coltello/i

wife wives Moglie/i

life lives Vita/e

loaf loaves Fetta/e

wolf wolves Lupo/i

potato potatoes Patata/e

cactus cacti Cactus

nucleus nuclei Nucleo/i

analysis analyses Analisi

diagnosis diagnoses Diagnosi

oasis oases Oasi

thesis theses Tesi

crisis crises Crisi

phenomenon phenomena Fenomeno/i

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criterion criteria Criterio/i

datum data Dato/i

mouse mice Topo/i Alcuni nomi hanno la STESSA FORMA sia al plurale che al singolare, come per esempio:

sheep sheep Pecora/e

species species Specie

deer deer Cervo/i

fish fish (o fishes, ma solo se di specie diverse)

Pesce/i

means means Mezzo/i

Altri nomi, tra cui giochi e materie di studio, hanno SOLO UNA FORMA che presenta la S

finale come per il PLURALE ma hanno bisogno di un VERBO AL SINGOLARE.

Ecco alcuni esempi, corredati di frase illustrativa:

news --- The news is on three times a day. - Il tg c'è tre volte al giorno.

economics --- Economics is an interesting subject. – L'economia è una materia interessante.

mathematics --- Mathematics is a language. – La matematica è un linguaggio.

gymnastics --- Gymnastics is good for you. – La ginnastica ti fa bene.

darts --- Darts is a pub game. – Le freccette sono un gioco da pub.

SOSTANTIVI NUMERABILI E NON NUMERABILI

(Countable and Uncountable Nouns)

I sostantivi numerabili indicano cose che possono essere contate, come:

1 dog – 1 cane; 2 dogs – 2 cani

1 flower – 1 fiore; 6 flowers – 6 fiori

1 cake – 1 torta; 9 cakes – 9 torte

Solitamente hanno sia una forma plurale che una forma singolare, poiché la mente inglese

ritiene che possano essere numerati/contati (da zero in su…).

I sostantivi non numerabili indicano invece cose che non possono essere contate e la cui

quantità viene spesso indicata con unità di misura o semplicemente contandone delle

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porzioni. Siccome queste cose/concetti non si possono contare/numerare, non ha senso

pensare di costruirne il plurale:

tea – a cup of tea (una tazza di tè) [anche noi italiani quando diciamo “vorremmo due tè” in

realtà intendiamo dire “due tazze di tè”!]

chocolate – a bar of chocolate (una barretta di cioccolato)

wine – a bottle of wine (una bottiglia di vino)

water – a glass of water (un bicchiere d’acqua)

rice – a grain of rice (un chicco di riso)

I sostantivi non numerabili sono spesso nomi astratti:

Knowledge - conoscenza, sapere Advice - consiglio (a piece of advice)* Art - arte News - notizia/e (a piece of news)* Love - amore Information - informazioni

Questi nomi si usano con il verbo al singolare e, come già detto, generalmente non hanno

una forma plurale... non si può parlare di knowledges, advices oppure informations!

* un singolo consiglio o informazione sono letteralmente “un pezzo di consiglio”, “un pezzo d’informazione”

Vediamo però alcune particolarità da ricordare:

Paper – carta (non numerabile) / Papers – documenti (numerabile)

Wood – legno (non numerabile) oppure foresta (numerabile)

Glass – vetro (non numerabile) o bicchiere (numerabile) / Glasses – occhiali

Pyjamas – pigiama (verbo al plurale)

Goods – beni materiali (verbo al plurale)

Scissors – forbici (verbo al plurale)

Pants – pantaloni negli Usa, mutande nel Regno Unito (verbo al plurale)

Trousers – pantaloni (verbo al plurale)… a pair of trousers (un paio di pantaloni)!

Savings – risparmi, nel senso di soldi tenuti da parte (verbo al plurale)

Alcuni nomi sono numerabili in italiano ma non numerabili in inglese, e potrebbero trarci in

inganno... quanti ne conoscete/ricordate?

Non confondiamoci: questi nomi non hanno un plurale e richiedono il verbo al singolare

perchè si riferiscono a cose che secondo il cervello linguistico inglese non è possibile

contare/numerare.

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accommodation advice baggage luggage behaviour coffee business cheese equipment evidence furniture homework information money

news violence progress research garbage grass hair shopping soap travel trouble light work permission

Nb. Alcuni termini uncountable possono anche essere usati come countable, dipende dalle situazioni…

Significati:

accommodation advice baggage luggage behaviour coffee business cheese equipment evidence furniture homework information money

sistemazione consiglio bagaglio bagaglio comportamento caffè affare/impresa formaggio equipaggiamento prova (che dimostra) mobilio compiti a casa informazioni soldi

news violence progress research garbage grass hair shopping soap travel trouble light work permission

notizie violenza progresso ricerca spazzatura erba capelli questo lo sappiamo...☺ sapone viaggi guai, problemi luce

lavoro permesso

NB! Il sostantivo hair (capelli) non è numerabile, come nell’esempio My hair is dark (I

miei capelli sono scuri). Tuttavia può essere numerabile se si parla di singoli peli o capelli...

SOSTANTIVI COLLETTIVI

I sostantivi collettivi indicano un gruppo, un insieme. Siccome individuano

numerosi elementi, ossia l’insieme di tanti elementi, non hanno bisogno di un plurale,

vanno bene già così. Richiedono però il verbo al singolare quando vengono considerati

un’unica entità ed il verbo al plurale quando indicano i singoli che compongono l’insieme:

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Majority - maggioranza

Family - famiglia

Team - squadra

Staff - adetti ai lavori

Esempio: The team/family are tired = I membri della famiglia/della squadra sono stanchi.

I nomi cattle (bestiame) e police (polizia) hanno comunque bisogno del verbo al plurale.

GLI AGGETTIVI (adjectives) e simili…

Gli aggettivi in inglese sono invariabili, ossia non si modificano. Come abbiamo già

visto non dobbiamo preoccuparci di modificarli per un nome femminile, oppure maschile, e

per il plurale...

A nice car / Two nice cars (un’auto carina /due auto carine)

Per enfatizzare, ossia rafforzare il significato di un aggettivo, si aggiungono 'very' oppure

'really': A really nice car / Two very nice cars (un’auto davvero carina / due auto molto

carine).

In italiano gli aggettivi sono una categoria di parole che aggiungono dettagli e

precisazioni riguardo ad un nome, ossia attribuiscono caratteristiche al nome in questione.

In inglese ci sono tante parole che sono aggettivi nel senso stretto del termine, ma l’inglese

ha una flessibilità tutta sua... Invece che doversi accontentare della sola categoria

“aggettivi” per fornire informazioni riguardo ad un certo nome, l’inglese preferisce essere

meno severo e sfruttare anche tante altre categorie di parole senza complicarsi la vita con

dei complementi, delle particelle e delle aggiunte in genere. Insomma, in inglese anche un

sostantivo può fungere da attributo (aggiunta) di un nome, svolgendo di fatto la stessa

funzione della categoria di parole che si chiamano “aggettivi”. L’inglese fa tutto questo

senza che ci siano di mezzo altre paroline/elementi di raccordo.

Esempio:

A nice lamp = Una lampada carina (nice/carina è proprio un aggettivo, sia in italiano che in

inglese)

An iron lamp = Una lampada di ferro (Ooops... iron è anche un sostantivo, vuol dire ferro!

In italiano abbiamo dovuto usare un complemento di materia -DI ferro- aggiungendo di

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fatto la preposizione DI, che in inglese invece non c’è. In inglese sia nice che iron sono stati

messi prima del nome, la struttura delle due frasette è identica. Tuttavia, in una c'è un

aggettivo, nell'altra no...)

Vediamo una frasetta intera, usando l'espressione “a nice lamp” con il verbo essere:

There is a nice lamp on the table – C'è una lampada carina sul tavolo

COME SI PUO' DEDURRE DAGLI ESEMPI PRECEDENTI GLI AGGETTIVI (E GLI

ATTRIBUTI) INGLESI PRECEDONO SEMPRE IL NOME A CUI SI RIFERISCONO. IN

ITALIANO POSSIAMO POSIZIONARE AGGETTIVI SIA PRIMA CHE DOPO IL

NOME DI RIFERIMENTO (una grande casa oppure una casa grande), MA IN INGLESE

QUESTO NON è SOLITAMENTE POSSIBILE.

ATTENZIONE! Gli AGGETTIVI veri e propri POSSONO ANCHE ESSERE

COLLOCATI DOPO IL NOME E DOPO IL VERBO PRINCIPALE DELLA FRASE

INGLESE, MA IN QUESTO CASO COSTITUISCONO UNA SORTA DI

COMPLETAMENTO: SI TRATTA DI UNA STRUTTURA PERFETTAMENTE

ACCETTABILE MA DIVERSA! Esempi:

Your house is very beautiful

Traduzione: ____________________________________________________

My sister is happy

Traduzione: ____________________________________________________

Soluzioni:

La tua casa è molto bella

Mia sorella è felice

Una manciata di aggettivi fa eccezione, presentandosi dopo il nome e prima del verbo

principale. Ecco alcuni esempi:

the Princess Royal – la principessa reale

the people involved – le persone coinvolte

the President elect – il presidente eletto

Vediamo nel dettaglio questa caratteristica dell’inglese, che prevede che gli aggettivi

(e tutte le altre parole che fungono da attributo) debbano essere posizionati prima del nome

a cui si riferiscono.

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Posizione degli aggettivi/attributi di un nome

E' ormai ben chiaro che l’intera categoria grammaticale degli aggettivi solitamente

precede il nome a cui gli aggettivi si riferiscono. Come abbiamo visto però non sono solo

gli aggettivi a venir collocati prima del nome. Cerchiamo quindi di essere più precisi...

Tutte le parole che forniscono maggiori informazioni riguardo ad un certo nome

vengono collocate prima del nome stesso; non importa se queste parole sono aggettivi,

sostantivi, participi o altro, quel che conta è che attribuiscano qualche tipo di caratteristica

al nome di riferimento. Diciamo allora che funzionano tutte da attributi, nel senso che

attribuiscono caratteristiche al nome che le segue... nella lingua inglese ciò che qualifica un

attributo come tale non è tanto la sua categoria grammaticale quanto invece la sua

posizione! Ecco un esempio…

Nel comparto attributi troviamo beautiful (bello, aggettivo), ornate (decorato, aggettivo),

iron (ferro, sostantivo), floor (pavimento, sostantivo).

La traduzione (una tra quelle possibili) risulta la seguente:

Una bella lampada da pavimento in ferro decorato

Questa costruzione è detta stringa nominale ed è tipica dell’inglese. Non tutte le stringhe

sono così lunghe ed esasperate, ma ci serviva un esempio che facesse impressione, ossia

che imprimesse il concetto nella nostra memoria.

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Numerosi elementi grammaticali, che non sono necessariamente degli aggettivi,

possono quindi venir accumulati nel reparto degli attributi. In realtà alle volte è molto

difficile stabilire con esattezza a quale categoria appartenga l’una o l’altra parola, perchè a

seconda del suo uso (e posizione) all’interno di una frase la medesima parola inglese può

avere valore di verbo, aggettivo, nome ecc...

Pensiamo alla parola like... il dizionario ci dice che può funzionare da aggettivo, da

avverbio, da preposizione, da nome e anche da verbo, tutto questo senza modificarsi quasi

per niente. Se la parola non cambia (resta praticamente sempre like) ma può svolgere tutte

queste diverse funzioni grammaticali, come facciamo noi a capirci qualcosa? Sarà proprio

la sua collocazione nella frase a darci indicazioni rispetto alla funzione svolta in ogni

diversa occasione.

In ogni caso, il semplice fatto di essere posizionata prima del nome di riferimento fa

sì che una qualsiasi parola inglese assuma indiscutibilmente il significato di attributo, ossia

di qualità che contraddistingue il nome che la segue. Per tradurre correttamente in italiano

occorre però utilizzare delle preposizioni, creare dei complementi e ridistribuire le

informazioni all’interno della frase, poiché l’italiano non è sintetico, spiccio ed economico

come l’inglese. Ne consegue che per formulare una frase in inglese occorre prestare

attenzione a tutti gli elementi che caratterizzano il nome principale e curarsi di impostarli

correttamente. Per esempio:

Una strada di mattoni gialli – A yellow brick road

(qualcuno la ricorderà da Il mago di Oz)

Brick ci dice che la road in questione è fatta di mattoni, mentre yellow ci dice che i bricks

utilizzati per costruire la strada sono gialli.

NB. Nell’interpretare una frase inglese è necessario non fermarsi mai al primo nome che si

incontra, pensando che possa essere il nome di riferimento per tutti gli elementi che lo

precedono. Bisogna essere certi di aver trovato l’ultimo nome della stringa!

Prendiamo di nuovo questo esempio:

A beautiful ornate iron floor lamp

Se leggendo questa stringa ci fermassimo al primo nome (iron) o al secondo (floor),

sbaglieremmo completamente l’interpretazione e finiremmo per capire che c’è un bel

pavimento di ferro lavorato o che la frase parla di un po’ di ferro decorato e molto bello. Questo ebook appartiene a\nGiuseppe Ferrari CLI_20120040024011

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Inoltre non sapremmo proprio cosa fare di quella lampada (lamp) che avanza alla fine…

E’ importante imparare a riempire correttamente i tre comparti (elementi determinativi,

attributi e nome di riferimento), avanzando a saltelli nella stringa finché non riteniamo di

aver trovato il nome che sorregge tutta la struttura (ossia l’ultimo elemento della stringa

stessa). A questo punto bisogna procedere a ritroso per mettere ordine nelle informazioni

contenute nella frase.

* Questo modello viene logicamente utilizzato anche per creare NOMI COMPOSTI. Infatti

i nomi composti sono costituiti da un primo elemento che indica una caratteristica e da un

secondo elemento (che è il riferimento principale) a cui va attribuita la caratteristica

espressa dal primo. Floor lamp è in effetti un nome composto da floor (pavimento) e lamp

(lampada). Tuttavia l’italiano non prevede regole di formazione così flessibili e un nome

composto di questo tipo deve essere tradotto con l’aiuto di una preposizione (lampada da

pavimento).

Vediamo altri esempi... che ne dite di provare da soli?

NOMI COMPOSTI

What type / purpose (che tipo/scopo)

Who / What (chi/che cosa)

Word parola

Significato

fire man Fireman …………………..

girl friend Girlfriend …………………..

dining table Dining-table …………………..

living room Living room …………………..

Qui sopra, come molti di voi sapranno, abbiamo nell’ordine un pompiere, una ragazza (nel

senso di fidanzata), un tavolo per sala da pranzo ed un salotto.

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Le due parti che compongono i nomi composti possono essere scritte:

1. come due parole separate

Es: coffee table (un tavolino da salotto, da caffè)

2. come una parola sola

Es: fireman, girlfriend

3. come due parole unite da un hyphen (o trattino)

Es: dining-table

Le due parti possono essere: Esempi:

nome + nome football (lo sport)

nome + verbo haircut (taglio di capelli)

nome + preposizione passer-by (passante)

verbo + nome washing machine (lavatrice) driving licence (patente di guida) swimming pool (piscina)

verbo + preposizione check-in

aggettivo + nome blackboard (lavagna) software

aggettivo + verbo dry-cleaning (lavaggio a secco)

preposizione + nome underground (metropolitana)

preposizione + verbo output input

Tutta questa “roba” che precede il termine di riferimento per formare stringhe o nomi

composti non può essere messa in ordine casuale, altrimenti sarebbe dura capirci

qualcosa…

L’ ORDINE degli attributi che precedono un nome è infatti il seguente:

1 Value/opinion Valore/opinione

Es: awful (orribile), charming (affascinante)

2 Size Dimensioni

Es: small (piccolo), big (grande)

3 Age/Temperature Età/temperatura

Es: ancient (antico), cold (freddo)

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4 Shape Forma

Es: square (quadrato), oval (ovale)

5 Colour Colore

Es: pink (rosa), green (verde)

6 Origin Origine

Es: Turkish, Japanese

7 Material Materiale

Es: plastic (di plastica), golden (d’oro)

Esempio:

A lovely(1) small(2) pink(5) gift-bag

Come potremmo tradurre questa stringa?

Che ne dite di... un’adorabile piccola borsina regalo rosa?

Proviamo ancora (per cercare i termini che non conosciamo possiamo ricorrere ad un

normale dizionario oppure al comodo sito web www.wordreference.com/it/, inserendo la

parola che vogliamo tradurre):

A big square wooden table

Traduzione: ____________________________________________________

An ugly long purple shirt

Traduzione: _____________________________________________________

Soluzioni:

un grande tavolo quadrato di legno

una camicia viola lunga e brutta

Facendo un piccolo passo indietro (fino alle scatole che abbiamo usato per spiegare la

faccenda degli attributi che precedono il nome) possiamo notare che dei tre contenitori

(elementi determinativi, attributi e nome di riferimento) il primo è ancora una sorta di

mistero. Cosa s’intende per elementi determinativi? Ebbene, è giunto il momento di dare

un’occhiata anche dentro a questa scatola.

ELEMENTI DETERMINATIVI (Classes of Determiners)

Questi elementi occupano un posto ben preciso nelle stringhe di nomi e quindi nella

frase inglese. Infatti, come si può notare dalla successione delle scatole, gli elementi Questo ebook appartiene a\nG

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determinativi precedono il nome e tutti i suoi attributi, determinandone alcune importanti

caratteristiche.

L’introduzione di questi elementi ci consente di perfezionare la regola per la traduzione

delle stringhe di nomi:

l’elemento determinativo è il primo elemento da tradurre; in seguito occorre

individuare il nome di riferimento e saltellare a ritroso per tradurre tutti gli

attributi, che si combinano formando una sequenza logica.

1° Some (alcune) - 2° lamps (lampade) -

3° floor (da pavimento) - iron (di ferro) - ornate (decorate) - beautiful (belle)

ossia

Alcune belle lampade da pavimento in ferro decorato.

Ci sono diverse categorie di elementi determinativi. Eccone alcune:

Possessives / Possessivi

my, your, his, her, its, our, your, their

Numbers / Numeri

five, eleven, fourty, etc...

Definite and Indefinite Articles / Articoli definiti e indefiniti

the, a, an

Demonstratives / Dimostrativi

this, that, these, those

Elementi determinativi Attributi Nome di riferimento

Some beautiful ornate iron floor lamps

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Question words / Elementi interrogativi

when, what, why, how, etc...

Distributives / Distributivi*

either, neither, each, every, etc...

Quantifiers / Quantificatori*

a few, a little, much, many, a lot of, some, any, etc...

Difference words / Termini di differenziazione*

other, another

* queste tre categorie sono state inserite nella lista per renderla più completa, ma non sono

oggetto di studio a questo livello e non verranno trattate nel dettaglio in questo volume.

GLI ARTICOLI (Articles)

THE (il, lo, la, i, gli, le)

Gli articoli in inglese sono invariabili, ossia vengono utilizzati senza modificarsi

mai. Anche in questo caso abbiamo fortuna… nessun dubbio riguardo a cose/persone

singolari, maschili, femminili o plurali: l’articolo da usare è sempre *the* (ma solo quando

ci occorre un articolo definito, ossia che si riferisce a qualcosa di ben precisato).

*The* viene usato:

1. per far riferimento a qualcosa che è già stato citato e/o introdotto

Esempio: In my house there are two cats. The black cat is a female and the white cat is a

male. In casa mia ci sono due gatti. Il gatto nero è una femmina ed il gatto bianco è un

maschio [Abbiamo introdotto i due mici e poi abbiamo usato l’articolo determinativo in

fase successiva per approfondire l’argomento].

2. quando le persone coinvolte nello scambio linguistico sanno di cosa si sta parlando anche

se la cosa in questione non è stata formalmente introdotta nel discorso

Esempio: Where’s the bathroom? Dov’è il bagno?

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3. nelle frasi in cui si fornisce una definizione o una specificazione riguardo alla cosa di cui

si sta parlando

Esempio: My house is the one with a blue door. La mia casa è quella (letteralmente “la

una”) con la porta blu.

4. prima degli aggettivi per indicare un gruppo di persone

Esempio: the Spanish, the young – gli spagnoli, i giovani

5. prima degli aggettivi al grado superlativo e dei numeri ordinali (che non tratteremo in

questa sede)

Esempio: the highest mountain, the best player, the second time – la montagna più alta, il

miglior giocatore, la seconda volta

6. prima di alcuni nomi geografici e di oceani

Esempio: the Pacific – il Pacifico

7. per far riferimento a cose che consideriamo uniche

Esempio: the moon, the Bible – la luna, la Bibbia

8. per identificare una decade o un periodo

Esempio: the twenties (the 1920s) – gli anni ‘20

Non si mette l’articolo:

Con nomi di stati (se singolari)

Italy is a beautiful country.

L’Italia è un bel paese.

NB. The United States – Gli Stati Uniti (plurale, quindi prende l’articolo!)

Con i pasti

Dinner is at 8 pm. La cena è alle 8 di sera.

Con le lingue

Italian is a difficult language. L’italiano è una lingua difficile.

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Con i nomi di persona (se singolari)

Mark is a nice guy. Mark è un bravo ragazzo.

NB. The Lennons si riferisce invece all’intera famiglia Lennon.

Con nomi e titoli

Prince Henry is handsome. Il principe Henry è bello.

NB. Alcuni fanno eccezione... The King of Narnia, the Pope, the Prime Minister –

il re di Narnia, il Papa, il primo ministro

Con i sostantivi non numerabili

Wine is my favourite drink. Il vino è la mia bevanda preferita.

Con gli anni

1984 is the title of a famous novel. 1984 è il titolo di un romanzo famoso.

Con i mestieri

Medicine is a demanding career. La medicina è un campo/mestiere impegnativo.

Con la maggior parte dei nomi di città, strade, stazioni e aeroporti

Victoria Station is in London. La stazione Victoria è a Londra.

Con i nomi di montagne, laghi e isole

Mount Everest is very high. Il Monte Everest è molto alto.

In alcune espressioni come:

by car/by train/on foot/on holiday/at school/at work/at University/in church/in prison/in bed

*§*

in macchina/in treno/a piedi/in vacanza/a scuola/al lavoro/all’università/in chiesa/

in prigione/a letto

A / AN (un, uno, una)

Ricordiamoci che l’articolo indefinito si usa solo al singolare.

*A* si usa davanti a parole che iniziano con consonante (consonant), *An* davanti a parole

che iniziano per vocale (vowel):

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A boy – un ragazzo (uno a caso!)

An apple – una mela

A toy – un giocattolo

An orange – un’arancia

A house – una casa

An olive – un’oliva

NB!

*An* si usa anche davanti ad H muta (ossia che non si pronuncia):

an hour, an honour – un’ora, un onore

*A* si usa anche davanti a U ed EU quando si pronunciano come 'you':

a european nation, a university, a unit – una nazione europea, un’università, un’unità

Inoltre, come sappiamo, si dice: a hundred (cento), a thousand (mille), a million (un

milione).

*A/An* significano quindi un/uno/una. In italiano non ci verrebbe mai in mente di dire “uni

libri” se stessimo parlando di libri di cui non sappiamo nulla e che vengono citati nel

discorso per la prima volta. Useremmo infatti altri elementi determinativi, come per

esempio “alcuni libri”, “un po’ di libri”, ecc… In inglese è la stessa cosa: “A books” è

decisamente sbagliato! Gli elementi determinativi che ci servirebbero in questo caso non

sono però oggetto di questo corso.

I DIMOSTRATIVI (The Demonstratives)

I dimostrativi sono aggettivi che mostrano/dimostrano qualcosa…

Eccoli: THIS, THAT (questo/a, quello/a) THESE, THOSE (questi/e, quelli/e)

La pronuncia di questi elementi è complessa da trascrivere; il th iniziale è una via di mezzo

tra la nostra v e la nostra d. I due dimostrativi singolari hanno una pronuncia breve e secca,

mentre i plurali sono più allungati e strascicati. Il mio perenne consiglio è di rivolgersi ad

un buon sito che ci faccia ascoltare direttamente le pronunce (es. www.howjsay.com oppure

www.dictionary.reference.com).

SINGOLARE: THIS CAT

PLURALE: THESE BOOKS

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Se il gatto è sul divano accanto a noi, diremo THIS CAT – QUESTO GATTO

Se i libri sono sulla scrivania a cui siamo seduti, diremo THESE BOOKS – QUESTI LIBRI

************

SINGOLARE: THAT CAT

PLURALE: THOSE LADIES

Se il gatto è nel prato del vicino, diremo THAT CAT – QUEL GATTO

Se le signorine sono dall’altra parte della strada, diremo quindi THOSE LADIES –

QUELLE SIGNORE

************

THIS e THESE (questo/a e queste/i) si usano quando si indicano cose o persone vicine a

noi. Al contrario, THAT e THOSE (quello/a e quelli/e) si usano quando si indicano cose o

persone lontane da noi (più precisamente lontano da chi formula la frase…).

A questo punto la maggior parte della grammatica che ci serve per superare

brillantemente l’esame GESE Grade 1 offerto dal Trinity College è già stata affrontata.

Manca il modo imperativo dei verbi, ma prima di vedere questo argomento faremo un passo

avanti, anticipando una sezione che servirà in futuro ma che ci aiuta a completare il grande

argomento del Simple Present: non posso certo lasciarvi con questa pietra miliare affrontata

solo per metà! Quindi...

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SIMPLE PRESENT DEI VERBI DIVERSI DA ESSERE

Come anticipato, eccoci di nuovo fermi al bivio iniziale, quello del Simple

Present… verbo essere o non essere? Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando abbiamo

imboccato la strada del verbo essere. Tutte le cose che abbiamo imparato ci torneranno utili

anche con altri verbi. Ripensando al discorso verbale, abbiamo inizialmente scelto di aprire

la porta del Simple Present per esprimere uno dei tre significati che lo contraddistinguono

(azioni ripetute o abitudinarie, descrizioni oppure verità generali). Dietro questa porta ci

siamo subito posti la grande domanda: che verbo vogliamo utilizzare? Di che azione

intendiamo parlare? Se il verbo/azione che ci interessa è essere, allora sappiamo bene come

comportarci. Ma se per caso la risposta alla domanda fosse “un qualsiasi altro verbo” (come

mangiare, bere, dormire, pensare, fare, avere ecc…) allora sapremmo che la strada da

seguire è differente, ed è descritta qui di seguito. Andiamo ad analizzare questo nuovo ramo

nel dettaglio.

La strada di tutti gli altri verbi, OTHER VERBS.

Quando un verbo non significa essere ma descrive un’azione differente (come

giocare, dire, guardare ecc…) le regole che ne determinano la morfologia (inversione per le

interrogative, aggiunta del not, short answers) rimangono le stesse. Tuttavia l’applicazione

delle regole cambia leggermente perché in questa occasione l’inglese introduce un verbo

ausiliare, ossia un verbo che offre aiuto e va a diventare un tratto distintivo del Simple

Present di tutti quei verbi diversi da essere. Al verbo essere un ausiliare non serve (anzi,

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fungerà lui stesso da ausiliare per creare tempi più complessi), ma a tutti gli altri verbi si, ed

è l’ausiliare DO/DOES, tipico di questo tempo verbale.

Prendiamo il verbo TO THINK = pensare, ed analizziamone le forme…

+ ? -

I think Do I think ? I do not think.

You think Do you think? You do not think.

He / she / it thinkS Does he / she / it think? He / she / it does not think.

We think Do we think? We do not think.

You think Do you think? You do not think.

They think Do they think? They do not think.

Molti di noi hanno già visto ed usato verbi simili, ma cerchiamo di chiarire bene

quali sono i meccanismi alla base. Tanto per cominciare la forma affermativa del verbo (+)

è addirittura più semplice di quella del verbo to be (essere). In quel caso dobbiamo

ricordarci 3 forme diverse, che coprono tutte e sei le persone (I am, you are, he/she/it is, we

are, you are, they are). Per il verbo to think (pensare) e tutti gli altri, dobbiamo

semplicemente eliminare il to che indica l’infinito ed utilizzare il verbo così com’è per ben

5 persone diverse (I think, you think, we think, you think, they think); l’unica eccezione è la

terza persona singolare (he/she/it), che vede l’aggiunta di una S finale al verbo (he/she/it

thinks). Questa piccola modifica della terza persona singolare è una delle più dimenticate in

assoluto dagli studenti… eppure è molto importante per parlare e scrivere in modo corretto!

Come vediamo questa forma affermativa è in definitiva molto semplice. Basta ricordarsi di

AGGIUNGERE UNA S FINALE AL VERBO DI TERZA PERSONA SINGOLARE,

mentre il verbo che si accoppia a tutte le altre persone rimane sempre lo stesso. Tra poco

vedremo che aggiungere una S finale non è sempre così facile come per il verbo to think,

ma i vari casi ed i passaggi da seguire hanno una loro logica e non sarà troppo complesso

ricordarli.

Ora concentriamoci sulla forma interrogativa (?) del verbo. Notiamo subito che

qualche genere d’inversione c’è stata, perché il nostro soggetto, che abbiamo spiegato viene

in prima posizione nella maggioranza dei casi, qui si trova al secondo posto. Tuttavia, con il

verbo to be abbiamo invertito il soggetto con la voce verbale am, is o are (a seconda del

soggetto stesso) ma qui il verbo think è in coda e davanti al soggetto è comparso l’ausiliare

do/does. Analogamente, nella forma negativa (-) è di nuovo stato do/does a prendersi la

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negazione not, non certo think, che rimane invariato e compare per ultimo. Eppure think è il

verbo principale! E’ come se do/does rubasse la scena a think, prendendosi onori e

responsabilità al posto suo… si inverte con il soggetto, si appropria della negazione not…

ma da dove salta fuori?! Chi è? Che ci fa lì in mezzo?

Per rispondere a queste domande bisogna di nuovo tirare in ballo il nostro amico

Jonathan Culpeper, che nel suo ottimo libro “History of English” ci spiega grosso modo

come si è arrivati a questa stranezza. C’è stato un tempo in cui la forma interrogativa di you

think era think you? e la forma negativa era you think not (anche se lo spelling era molto

diverso). Questo si che sarebbe stato perfettamente in accordo con le regole che abbiamo

visto! A un certo punto nel passato però, per ragioni non necessariamente chiare, logiche e

semplici, l’ausiliare do ha cominciato a comparire in tutte le forme (avete capito bene,

anche alla forma affermativa). Una delle spiegazioni suggerite è che do/does fosse

un’ottima aggiunta per aumentare all’occorrenza il numero di sillabe di alcune

composizioni poetiche e per fare in modo che le righe dei testi scritti risultassero più o

meno lunghe uguali (un specie di antica giustificazione dei margini!). Comunque sia questo

ausiliare ha cominciato a comparire ed ha poi preso piede. Il risultato è stato il seguente:

Forma affermativa + = You DO think

Forma negativa - = You DO NOT (contrazione DON’T) think

Forma interrogativa ? = DO you think?

L’ausiliare DO è stato infilato in seconda posizione, subito dopo il soggetto, e quindi

le regole che conosciamo hanno spontaneamente cominciato ad essere applicate a lui invece

che al verbo principale (think, nel nostro caso) che viene in terza posizione, troppo distante

dal soggetto. DO è una specie di caporale, mentre il verbo principale è stato declassato ed è

diventato un soldato semplice. Che mi dite ora? Se DO fosse ancora oggi incluso nella

forma + allora le nostre regole avrebbero di nuovo senso… Infatti il primo verbo che

incontriamo dopo il soggetto (nella forma +) è quello che si cambia di posizione con il

soggetto nelle interrogative e che prende il not per le frasi negative. L’analogia è evidente,

anche se nel secondo caso c’è un terzo elemento che si aggiunge alla lista. Osservate:

VERBO ESSERE TUTTI GLI ALTRI VERBI + YYOOUU ARE + YYOOUU DO THINK ? ARE YYOOUU ? ? DO YYOOUU THINK ? - YYOOUU AREN’T - YYOOUU DON’T THINK ?- AREN’T YYOOUU ? ?- DON’T YYOOUU THINK ?

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La situazione non è poi così strana, in realtà… il verbo to do, che è stato scelto

come verbo ausiliare (di aiuto), di per se stesso significa fare. You do think

corrisponderebbe quindi a Tu fare pensare, che detto così non ha molto senso. Ma che ne

dite di fare inteso come fare qualcosa, compiere un’azione? You do think sarebbe allora Tu

compi l’azione di pensare. Un po’ ripetitivo ma corretto! In definitiva fare qualcosa

significa proprio compiere quella determinata azione. E adesso il colpo di scena… You do

think non è solo una forma arcaica che oggi non si usa più; al contrario, è ancora

perfettamente accettabile in inglese! Però non significa semplicemente Tu pensi (che si

rende con You think, senza bisogno di rinforzare troppo il concetto) ma vuole invece essere

una forma enfatica. You do think è infatti un modo per enfatizzare/sottolineare che questa

azione si compie, per rimarcare ben bene il significato. Un chiaro esempio di questo uso è

la seguente situazione:

Stiamo parlando di un amico comune con la nostra ragazza, che ovviamente è di origine

britannica e non parla ancora bene italiano. Sosteniamo che il nostro amico non è molto

attraente e lei si dice assolutamente d’accordo con noi. Mentre continuiamo il discorso però

si capisce chiaramente che la nostra ragazza apprezza numerose caratteristiche dell’aspetto

fisico di questo amico, tanto da renderci un poco gelosi… Le diciamo che pensiamo che

l’amico in questione in fin dei conti le piaccia e lei nega ripetutamente, per poi riprendere a

cantarne le lodi! A quel punto le diciamo, indignati: You do think he’s handsome! (La

traduzione letterale sarebbe Tu pensi che sia bello. Tuttavia questa frase inglese ha una

carica ben più forte ed il corretto corrispondente in italiano sarebbe qualcosa del tipo Tu lo

pensi che sia bello, non negarlo!)

Ecco un altro esempio: in occasione di una cena gli amici inglesi si dicono certi che noi

siamo vegetariani. Li smentiamo, ma loro non vogliono sentire ragioni… sono proprio

convinti! A quel punto sbottiamo, un poco infastiditi, e diciamo I’m not a vegetarian, I do

eat meat! (Non sono vegetariano… la mangio, la carne!).

Vediamo quindi che il verbo do, scelto come verbo ausiliare per il Simple Present,

non è stato scelto completamente a caso. Sebbene sembri scomparso dalla semplice forma +

di tutti i verbi che non significano essere, in realtà do è ancora presente (anche se è costretto

a ricoprire un ruolo leggermente diverso, ossia esprimere la forma enfatica, sottolineando il

compiersi dell’azione in un modo che normalmente non è necessario). Per intenderci, è

come se l’ausiliare do nella normale forma affermativa se ne stesse dietro le quinte, in

attesa di entrare in scena.

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Quindi:

Forma + “normale” = I (do) EAT MEAT = I EAT MEAT (Io mangio carne)

Forma + “enfatica” = I DO EAT MEAT (Io mangio carne! = Io la mangio, la carne!)

Ecco risolto l’arcano… il verbo ausiliare do c’è eccome, ma è nascosto! Esce dalle

quinte solo quando ci sono cose diverse da fare, responsabilità da assumersi e significati più

ricchi da esprimere (ossia esce dal suo nascondiglio, mostrandosi al pubblico, solo quando

deve creare la forma affermativa enfatica e le forme negativa, interrogativa ed

interrogativa-negativa). E’ chiaro quindi che le regole che abbiamo precedentemente

imparato sono state rispettate in pieno… IL PRIMO VERBO CHE TROVIAMO

ACCANTO AL SOGGETTO SI PRENDE TUTTE LE RESPONSABILITÀ,

INVERTENDO LA PROPRIA POSIZIONE CON QUELLA DEL SOGGETTO NEL

CASO DELLE INTERROGATIVE ED AGGIUNGENDOSI LA NEGAZIONE NOT PER

LE FRASI NEGATIVE.

Per tutte le ragioni sopraelencate quando il verbo do ricopre l’importante ruolo di

ausiliare del Simple Present in realtà non si traduce come termine vero e proprio (ossia non

ha un corrispondente letterale in italiano); infatti viene chiamato dummy auxiliary (ausiliare

fantoccio). Perché mai dovremmo tradurre I don’t think come io non compio l’azione di

pensare quando basta dire io non penso? L’ausiliare do/does è un po’ come un vecchio

giradischi: fa parte del nostro stereo, non vogliamo rimuoverlo perché ci siamo affezionati,

ma ormai è solo un oggetto da collezione, un po’ ingombrante e quasi superfluo. In

definitiva do/does è come una bandierina, un segnale tipico di questo tempo verbale che ci

indica se il verbo principale (come to think e to eat negli esempi che abbiamo visto) è alla

forma ++ (enfatica) / - / ? / ?- . Rivediamo la tabella iniziale, aggiungendo traduzioni ed

ausiliari nascosti:

+ Traduzione

I (do) think Io penso

You (do) think Tu pensi

He / she / it (doeS) think = he / she / it thinkS

Lui / lei / esso pensa

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We (do) think Noi pensiamo

You (do) think Voi pensate

They (do) think Essi pensano

Tutto chiaro, no? Attenzione però alla terza persona singolare… ricordiamoci che il

verbo to do funge da ausiliare, ma è prima di tutto un verbo come gli altri, che significa

fare. Questo vuol dire che to do non può certo ritenersi al di sopra delle regole che vengono

applicate per tutti gli altri verbi. Con un soggetto di terza persona singolare ogni verbo al

Simple Present DEVE aggiungersi una S FINALE. Qualsiasi ruolo ricopra, il verbo to do

non può fare eccezione e deve adeguarsi; ecco allora che accanto a he / she / it l’ausiliare do

si trasforma in DOES (DO + S darebbe DOS, che, ammettiamolo, sembra più spagnolo che

inglese. Questa infatti è una delle piccole regoline di cui vi ho parlato in precedenza e che

vedremo tra poco: in certi casi, simili a questo, prima di aggiungere la S occorre inserire

una E che funge da ammortizzatore). Ora che sappiamo cos’è esattamente la parola does,

osserviamo bene il caso di terza persona singolare. Se l’ausiliare do esce da dietro le quinte

è lui il più importante ed il più vicino al soggetto, quindi è lui a prendersi la S finale, mentre

think resta invariato (ottenendo quindi he / she / it does think). Tuttavia, alla forma

affermativa normale, l’ausiliare do resta nascosto. In questo caso è quindi il verbo to think,

che si trova accanto al soggetto, ad aggiungersi la S, proprio perchè questa S di terza

persona deve necessariamente comparire. UNA VOLTA SOLA, ma la S deve proprio

esserci (ecco allora che otteniamo he / she / it thinks)! Come vedremo, il concetto di una

volta sola in inglese è molto importante… in genere questa lingua non spreca tempo, parole

ed energie per riproporre uno stesso contenuto più volte (l’ausiliare do/does, che in qualche

modo raddoppia l’idea di compiere un’azione, è decisamente un caso anomalo). Proprio

come per la S di terza persona, per ottenere una frase negativa è necessario mettere un not,

ma uno soltanto. Se può, L’INGLESE NON FA MAI LE COSE DUE VOLTE (l’ausiliare

do/does probabilmente scomparirà in futuro, man mano che la lingua si modifica e tende a

semplificarsi).

Vediamo le altre forme…

? Traduzione

Do I think? Io penso?

Do you think? Tu pensi?

Does he / she / it think? Lui / lei / esso pensa?

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Do we think? Noi pensiamo?

Do you think? Voi pensate?

Do they think? Essi pensano?

- Contrazioni Traduzione

I do not think I don’t think Io non penso

You do not think You don’t think Tu non pensi

He / she / it doeS not think

He / she / it doeSn’t think Lui / lei / esso non pensa

We do not think We don’t think Noi non pensiamo

You do not think You don’t think Voi non pensate

They do not think They don’t think Essi non pensano

Nel caso delle frasi negative, l’unica contrazione possibile prevede l’unione di

do/does e di not. Per le interrogative-negative partiamo direttamente dalla forma negativa

contratta, allo scopo di semplificarci la vita (le contrazioni sono indubbiamente le forme più

usate e sappiamo che, una volta uniti, il verbo e la negazione not vengono considerati una

parola unica…)

Forma negativa contratta

Interrogativa negativa ?- Traduzione

I don’t think Don’t I think? Io non penso?

You don’t think Don’t you think? Tu non pensi?

He / she / it doeSn’t think

DoeSn’t he / she / it think? Lui / lei / esso non pensa?

We don’t think Don’t we think? Noi non pensiamo?

You don’t think Don’t you think? Voi non pensate?

They don’t think Don’t they think? Essi non pensano?

A questo punto non ci resta che analizzare le risposte brevi tipiche di questo ramo

del Simple Present. Ci ricordiamo la regola generale che occorre applicare per costruire le

risposte brevi? Se abbiamo bisogno di rivederla possiamo dare un’occhiata alla fine del

capitolo precedente!

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Proviamo a completare da soli questa tabella.

Soggetto Domanda Risposta breve +

Risposta breve -

I Don’t I think?

YOU Don’t you think?

HE / SHE / IT DoeSn’t he / she / it think?

WE Don’t we think?

YOU Don’t you think?

THEY Don’t they think?

Soluzioni:

Soggetto Domanda Risposta breve + Risposta breve -

I Do I think? Yes, I do* No, I don’t

YOU Do you think? Yes, you do** No, you don’t

HE / SHE / IT

DoeS he / she / it think? Yes, he / she / it doeS

No, he / she / it doeSn’t

WE Do we think? Yes, we do* No, we don’t

YOU Do you think? Yes, you do** No, you don’t

THEY Do they think? Yes, they do No, they don’t

Anche in questo caso è tutto piuttosto semplice… basta ascoltare bene la domanda e

riproporre la prima parola che sentiamo (ossia il verbo ausiliare, in questo caso) in coda alla

risposta breve, prestando ovviamente attenzione al fatto che si tratti di una risposta positiva

(quindi con ausiliare alla forma positiva) o negativa (con ausiliare negativo).

* La prima e seconda persona singolare e plurale potrebbero confonderci un po’ le idee. Per

le prime persone I/io e We/noi queste due combinazioni potrebbero suonare un po’

amletiche: Do I think? Yes, I do / Do we think? Yes, we do. In questo caso stiamo ponendo a

noi stessi la domanda Io penso? Noi pensiamo?. Sembra superfluo, perché raramente si

fanno domande del genere a se stessi, visto che in teoria si conosce già la risposta (si tratta

di noi)! Tuttavia è giusto vedere anche queste forme, per essere esaustivi e anche perché

ogni tanto servono (immaginate una giuria che delibera; qualcuno potrebbe voler

riassumere il verdetto alzandosi in piedi e chiedendo Pensiamo tutti che sia innocente?).

** Le seconde persone pongono invece un dilemma diverso. Nella tabella ci siamo limitati

a conservare lo stesso soggetto lungo ogni riga, giusto per non complicarci la vita. Tuttavia,

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in situazioni reali la domanda Do you think? Tu pensi? ci porterebbe istintivamente a

rispondere Yes, I do/No I don’t. Infatti in un dialogo le cose andrebbero così! Per il plurale

la domanda Do you think? Voi pensate? evocherebbe la risposta Yes, we do/No, we don’t,

perché naturalmente penseremmo che la domanda sia stata rivolta a noi/we.

Attenzione! Come abbiamo detto do è un verbo a tutti gli effetti… semplicemente è in

grado di svolgere anche un compito di maggiore responsabilità rispetto agli altri verbi della

sua categoria. Sarà quindi possibile avere frasi di questo tipo:

- How do you do? (una formula di cortesia che significa pressapoco Come ti va? /

Come ti vanno le cose?) – In questa espressione il primo do funge da dummy

auxiliary mentre il secondo agisce come verbo principale con il significato di fare.

- What do you do? (Cosa fai?) - Questa frase equivale grosso modo a What’s your

job? (Qual è il tuo lavoro?). La ragione è semplice: Cosa fai (verbo do al Simple

Present) fa necessariamente riferimento all’attività principale che svolgiamo per la

maggior parte del nostro tempo. Questo deriva proprio dalle caratteristiche

intrinseche del Simple Present, che si riferisce ad abitudini, cose non soggette a

cambiamento e tendenzialmente sempre valide.

Benissimo, abbiamo visto tutte le forme che ci occorrono. Ora possiamo

concentrarci sulla S di terza persona singolare. Abbiamo detto che in una serie di casi la S

non può semplicemente essere incollata in coda al verbo, come nell’esempio di do, che si

trasforma in does con l’aggiunta di una e. Ci sono infatti delle categorie di verbi che devono

modificarsi un poco prima di poter aggiungere la fatidica S (ricordiamoci che questo ramo

del Simple Present funziona per moltissimi verbi, con innumerevoli significati diversi; to

eat/mangiare e to think/pensare, che abbiamo già incontrato, sono solo due gocce nel

mare).

Verbi che terminano con consonante + Y

To flY (volare) - He flieS

Prima di aggiungere la S trasformiamo la Y in IE

Verbi che terminano con vocale + Y

To praY (pregare) - She prayS

Aggiungiamo semplicemente la S

Verbi che terminano con SS, X, SH, CH, Z, O

To kiSS (baciare) – He kisseS

Prima di aggiungere la S inseriamo una E

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To fiX (aggiustare) – He fixeS To puSH (spingere) - It pusheS To watCH (guardare) - She watcheS To buzZ* - It buzzeS To gO (andare) - It goeS

* to buzz è un verbo onomatopeico, ossia esprime il suono bzzzz.

In realtà ci sono delle ragioni per cui questi cambiamenti si verificano. Nel primo

caso la Y è una semiconsonante, nel senso che si legge come una vocale, ma effettivamente

non lo è. Prendiamo la forma flies. Se invece di sostituire la Y con due vocali (IE)

lasciassimo flys, questa parola sarebbe pronunciabile ma per iscritto non conterrebbe

nessuna vocale. Insomma, qualche vocale ci vuole! Nel caso di prays questo cambiamento

non è necessario perché nella parola abbiamo già la vocale a. Quindi per applicare questa

regola correttamente basta ricordarsi che i verbi che terminano con Y ci danno qualche

problema. Per decidere come comportarci basta poi analizzare il verbo: se c’è già una

vocale vicino alla Y allora siamo a posto, altrimenti bisogna trasformare la Y in due piccole

vocali per evitare di scrivere un geroglifico.

Vediamo l’ultimo caso. Teniamo presente che per formare la terza persona singolare

dobbiamo aggiungere una S per iscritto, ma anche oralmente… quella S si deve sentire

bene. Come sarebbero le parole kisses, fixes, pushes, watches e buzzes se fossero invece

scritte kisss, fixs, pushs, watchs e buzzs? Direi che sarebbero quasi impronunciabili! Infatti

tutte queste lettere finali (SS, X, SH, CH e Z) una volta pronunciate sono decisamente

sibilanti… come possiamo aggiungere un altro suono S a dei suoni già di per se sibilanti se

non mettiamo una vocale in mezzo, per separarli? Invece di kisss [chisss] avremo quindi

kisses [chissis] e anche fixes [ficsis], pushes [puscis], watches [uotcis], buzzes [bazsis].

Dalla notazione italianizzata tra parentesi, che ci fornisce una prima grossolana indicazione

di pronuncia, possiamo notare che la vocale E aggiunta prima della S in genere si pronuncia

[i] (rispettando proprio le regole di pronuncia dell’alfabeto). Questa [i] si sente ben bene: la

lettera E viene chiaramente pronunciata proprio per separare tutti questi suoni troppo simili

tra loro. Per i verbi che terminano con O, come to do, to go ed i loro composti, si tratta

semplicemente di ricordare la regola… dimenticare il verbo do/does, visto il suo importante

ruolo di ausiliare, è quasi impossibile. Basta solo tenere a mente che i verbi che gli

somigliano si comportano allo stesso modo.

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Attenzione! Abbiamo ormai notato che tante sillabe e lettere nella pronuncia inglese

sembrano quasi scomparire… per noi italiani, abituati a leggere ogni singolo pezzetto delle

parole, non è mica semplice. Dobbiamo sforzarci d’imparare le loro regole, ma c’è un caso

che merita tantissima precisione: mangiucchiamo pure le sillabe per “suonare” British (o

American) ma mai e poi mai mangiucchiarsi le S a fine di parola! Sono fondamentali,

assumono tanti valori diversi e devono essere pronunciate chiaramente. Abbiamo già visto

che le S fanno la differenza tra nomi singolari e plurali; inoltre indicano la terza persona

singolare nel Simple Present, in aggiunta ad altre cose che vedremo in futuro. Chi siamo noi

per non ricordare questa piccola particolarità? Poverina, la S finale è l’ultimo, semplice

refuso di antiche desinenze ben più complesse. Probabilmente scomparirà man mano che la

lingua inglese avanza verso forme ancor più semplificate, ma per il momento ricordiamoci

di scrivere e pronunciare queste S!

Eccoci brillantemente arrivati alla conclusione del secondo grande argomento

verbale che dovevamo affrontare. Ora sappiamo come utilizzare il Simple Present del verbo

essere e anche di tutti gli altri verbi. Non dimentichiamo però che le forme che abbiamo

imparato vengono utilizzate solo per parlare di abitudini, azioni ripetute, descrizioni e verità

generali. Per tutto il resto dobbiamo aspettare… eppure ci sono già tantissime cose che

possiamo dire, e in più di un modo.

Rivediamo per un attimo il dialogo che si è svolto tra Lorenzo e Jillian al loro primo

incontro (che abbiamo già affrontato nel capitolo precedente) ed arricchiamolo con qualche

frase alternativa.

L (1) - Hello, my name is Lorenzo. Nice to meet you.

J (1) - Nice to meet you.

L (2) - What is your name?

J (2) - My name is Jillian.

L (3) - Where are you from? oppure Where do you come from?

J (3) - I am from Ryde. oppure I come from Ryde.

L (4) - Where is it?

J (4) - It is a small town on the Isle of Wight, in the Uk.

L (5) - Wow! Do you live on the Isle of Wight?

J (5) - Yes, I do.

L (6) - How old are you, Jillian?

J (6) - I am 27 years old. And you?

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L (6) - I am 35.

J (7) - What is your job? oppure What do you do?

L (7) - I am a doctor. Why are you here in Italy, Jillian?

J (7) - I am on holiday! I am a student and I want to learn Italian.

Alla battuta L (3) abbiamo inserito un’alternativa, nel senso che le due domande significano

sostanzialmente la stessa cosa ed utilizzano la medesima question word (where… from, che

si costruisce come una cornice) ma un verbo diverso. Infatti Where do you come from?

utilizza l’ausiliare do per costruire la frase interrogativa (che viene subito dopo la question

word, seguendo le stesse regole che abbiamo già visto) ed il verbo to come, che significa

venire, costituendo così la domanda Da dove vieni?. La naturale risposta a questa domanda

è appunto I come from Ryde (alla battuta successiva) che significa Vengo da Ryde/Sono di

Ryde.

Alla L (5) abbiamo poi Do you live on the Isle of Wight? Sapendo che il verbo to live

significa vivere, ecco allora che Lorenzo chiede a Jillian: Vivi sull’Isola di Wight? E Jillian

risponde affermativamente, con una bella short answer (Yes, I do).

La battuta J (7) ci offre un esempio pratico della particolarità che abbiamo visto qualche

pagina fa. What is your job? e What do you do? vengono utilizzate per chiedere più o meno

la stessa cosa, sebbene la traduzione della prima domanda sia Qual è il tuo lavoro? mentre

la seconda significhi letteralmente Che cosa fai? (con il primo do che funge da ausiliare ed

il secondo do che funge da verbo principale… due do nella stessa frase, ma svolgono

compiti molto diversi). Come sappiamo il motivo di questa equivalenza è da ricercare nel

significato del Simple Present. In italiano Che cosa fai? può riferirsi a qualcosa che

qualcuno sta facendo in questo istante, ma può anche voler dire Che cosa fai (nella vita)?.

In inglese il Simple Present si usa per attività abitudinarie e ripetute (e MAI per azioni

momentanee che si stanno verificando in questo preciso istante). Siccome non

specifichiamo alcun momento particolare è sottinteso che ci stiamo informando riguardo ad

un’attività ripetuta, che facciamo molto spesso e che occupa la maggior parte del nostro

tempo… nella società in cui viviamo questa attività è quasi sempre il lavoro o la scuola!

Infatti Lorenzo risponde spiegando che è un dottore e nella battuta finale Jillian aggiunge

che lei è una studentessa che vuole imparare l’italiano (I am a student and I want to learn

Italian). “Voler imparare” si rende in inglese con il verbo to want (volere) seguito da un

secondo verbo all’infinito, ossia che conserva anche il to (in questo caso to learn,

imparare). Ne consegue che: io voglio imparare = I want to learn; tu vuoi fare = you want

to do; lei vuole mangiare = she wantS to eat. Quando è seguito da un’azione il verbo want

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viene addirittura soprannominato il verbo want to (tanto il to c’è sempre). Se volessimo una

fragola allora il to che introduce l’infinito di un verbo non avrebbe più senso ed otterremmo

I want a strawberry.

Inutile sottolineare che tutte le regole che abbiamo visto riguardo alla forma e

all’uso delle question words si applicano anche a questo ramo dell’albero. Vediamo alcuni

esempi, giusto per illustrare l’uso delle question words con verbi diversi da essere:

Who - Who do you prefer, Prince or Sting? [Chi preferisci, Prince o Sting?]

What - What do you like? [Che cosa ti piace?]

What colour - What colour does she prefer? [Che colore preferisce (lei)?]

What type/kind of - What kind of food do you cook? [Che tipo di cibo cucini?]

What time - What time do you go to work? [A che ora vai al lavoro?]

What… like - What do they look like? [Come sono (loro) fisicamente?]*

When - When do you study? [Quando studi?]

Where - Where do you live? [Dove vivi?]

How - How do you feel? [Come ti senti?]

How much - How much does it cost? [Quanto costa?]

How many - How many books do you have? [Quanti libri hai?]

How long - How long does it take? [Quanto tempo occorre?]**

How often - How often do you watch tv? [Quanto spesso guardi la tv?]

Which - Which car do you prefer? [Quale auto preferisci?]

Why - Why don’t you rest more? [Perché non ti riposi di più?] More = più/di più

Whose - Whose car do you prefer? [Di chi è la macchina che preferisci?]***

* What do they look like? Questa è una domanda interessante, perché si usa per richiedere

informazioni riguardo all’aspetto fisico delle persone. Il verbo to look significa

sostanzialmente due cose: guardare oppure apparire. Infatti il “look” di qualcuno è in realtà

il suo stile, il modo in cui si presenta, ossia quello che vediamo quando guardiamo questa

persona. To look like richiama l’idea di apparire come, ossia apparire in un certo modo, e la

presenza di like ci permette di distinguere tra i due possibili significati del verbo to look (to

look at, per esempio, vorrebbe dire guardare qualcosa, rivolgere lo sguardo a qualche cosa,

non certo apparire). Questa domanda sull’aspetto fisico ci fornisce lo spunto per analizzare

alcune domande classiche che spesso creano confusione e vengono usate a sproposito.

Immaginiamo di chiedere informazioni ad un amico a proposito di una ragazza con cui esce

e di cui abbiamo solo sentito parlare. Useremo:

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What does she look like? per informarci sul suo aspetto fisico;

What is she like? (letteralmente, Com’è?) per richiedere informazioni riguardo alla sua

personalità;

How is she? per richiedere informazioni riguardo al suo stato di salute (letteralmente, Come

sta?).

** How long does it take? In questo caso abbiamo il verbo to take, che può essere tradotto

con diversi verbi italiani (e quindi corrisponde a diversi significati in italiano), tra cui anche

necessitare, occorrere. Il soggetto it è generico ed indica una qualsiasi cosa che abbia una

durata e che in qualche modo è già stata citata nel discorso; per intenderci, potremmo

sostituire it con the journey, che significa il viaggio. In questo modo otterremmo quindi la

domanda How long does the journey take?, che in italiano si rende con Quando dura il

viaggio? (letteralmente sarebbe Quanto a lungo occorre per il viaggio?).

*** Whose car do you prefer? Questa domanda in italiano si rende con Di chi è la

macchina che preferisci? Ma solo perché la versione letterale (Preferisci la macchina di

chi?, dove whose car = la macchina di chi) è troppo intricata e in italiano non è

un’alternativa accettabile!

Va da se che oltre alle question words anche gli aggettivi che abbiamo già visto in

precedenza, così come i nomi, i possessivi, i pronomi, i numeri, i saluti e tutto il resto, sono

a nostra disposizione per essere inseriti in frasi che contengono verbi diversi da essere. Le

regole e particolarità che abbiamo affrontato sono ancora valide, quindi basterà applicare

tutti questi elementi già visti alle nuove forme grammaticali appena esplorate. A questo

punto comincia ad esserci davvero molta carne al fuoco. Per questa ragione ribadisco il mio

consiglio, non sia mai che vi sia sfuggito di mente: cerchiamo di usare il libro al meglio,

segnando le pagine utili in modo da poter tornare agevolmente indietro e consultare quando

necessario le spiegazioni che ci servono. In questo frangente alcuni bookmarks (segnalibri)

che riportino una breve indicazione dell’argomento trattato in quella pagina potrebbero

farci risparmiare molto tempo e molte energie nervose. Basta poco per evitarci lo sconforto

che si prova quando ci si sente sopraffatti dalla quantità di cose che non si riesce a ricordare

con esattezza. Un altro valido sistema è quello di prendere appunti personalizzati che

possiamo utilizzare come riferimento, consultandoli senza vergogna perché rileggere

numerose volte le stesse nozioni altro non è che un modo alternativo per memorizzare le

cose (e non certo un’indicazione di quanto siamo “lenti” ad imparare…). Come abbiamo

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già detto varie volte nessuno si aspetta che ci si ricordino milioni di cose senza prima averle

studiate e ripetute approfonditamente. Leggere una sola volta, seppur capendo cosa si legge,

non è quasi mai sufficiente per ricordare con efficacia.

Ed ora, per dare il tocco finale a quest’argomento, introduciamo un po’ di

vocabolario. Se il Simple Present è il tempo delle abitudini e delle azioni ripetute, allora

possiamo imparare ad utilizzarlo per descrivere le nostre routine d’eccellenza, quella

quotidiana e quella settimanale.

La routine quotidiana viene chiamata DAILY ROUTINE . Qui di seguito possiamo

trovare molte delle azioni che si compiono ogni giorno:

ACTION TRANSLATION to wake up svegliarsi to get up* alzarsi to wash your face* lavarsi il viso to brush your teeth lavarsi i denti to take a shower/bath* fare la doccia/il bagno to dry your hair asciugarsi i capelli to brush/comb your hair spazzolarsi/pettinarsi i capelli to get dressed vestirsi to have breakfast* fare colazione to read the newspaper leggere il giornale to watch the news guardare il telegiornale to go to work/school* andare al lavoro/a scuola to get/have a coffee prendere un caffè to take a break fare una pausa to smoke a cigarette fumare una sigaretta to go to a meeting andare ad un meeting to cook (meals) preparare/cucinare (i pasti) to have lunch pranzare to take a nap fare un sonnellino to rest riposarsi to meet a friend incontrare un amico/a to leave work/school uscire dal lavoro/scuola to go home andare a casa to do your homework fare i compiti to study studiare to read a book leggere un libro to watch tv guardare la tv to go to the gym andare in palestra to exercise fare ginnastica/attività fisica

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to play (sports)* fare sport to play (an instrument)* suonare uno strumento musicale to walk the dog portare fuori il cane to feed the cat/the dog dar da mangiare al gatto/al cane to go out uscire (per svago) to have dinner cenare to go to bed andare a letto to fall asleep* addormentarsi to sleep dormire

* To get up – come vediamo questo verbo è composto da due parole. Se le analizziamo

notiamo che c’è una forma verbale (to get) accompagnata da una preposizione (in questo

caso up). Un altro esempio di questa situazione è proprio il verbo to wake up, che precede

to get up nella nostra lista. Quando un verbo ha bisogno di unirsi ad una preposizione per

esprimere un certo significato si costituisce un verbo fraseologico o phrasal verb. In inglese

ce ne sono tantissimi! La preposizione cambia il significato del verbo originario, un po’

come in questa situazione italiana: andare da è sinonimo di recarsi presso qualcuno,

mentre andare su è sinonimo di salire. In italiano queste distinzioni sono blande, mentre in

inglese una piccola preposizione può stravolgere il significato del verbo originario. Per

intenderci, to get up significa alzarsi, ma to get on significa andare d’accordo… la

situazione in inglese è quindi molto più estrema; infatti i verbi fraseologici (tanti e a volte

complessi) sono una della cose più difficili da gestire per lo studente di livello avanzato. Il

verbo to get, in particolare, ha già tantissimi significati senza l’aggiunta di preposizioni…

provare per credere: andiamo a cercare to get su un buon dizionario e rimarremo certamente

impressionati dalla moltitudine di cose che questo verbo può voler dire a seconda del

contesto in cui è inserito.

To wash your face – tutte queste espressioni, come to brush your teeth, to dry your hair, to

do your homework, si costruiscono con un aggettivo possessivo (nella lista abbiamo usato

your = tuo/tua/tuoi/tue) per indicare che l’azione è riferita alla persona che parla, ossia si

riflette sulla persona che parla. In fin dei conti anche l’italiano ha il suo modo di rendere

questo aspetto… se diciamo pettinarSI i capelli allora sappiamo che si tratta di una persona

che pettina i propri, ma se diciamo pettinare i capelli ci viene spontaneo chiedere chi sta

pettinando i capelli di chi. In definitiva, se vogliamo dire che ci laviamo i denti

(abitudinariamente) dovremo dire I brush my teeth (lavo i miei denti), ma se parliamo di

nostra sorella dovremo dire She brushes her teeth (lei lava i suoi denti).

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To take a shower/a bath e To have breakfast – Eccoci tornati al problema delle collocazioni!

In italiano si dice fare la doccia, ma in inglese di preferisce dire prendere una doccia (to

take = prendere). Lo stesso accade per to take a break e to take a nap. In italiano diciamo

inoltre fare colazione, ma in inglese si dice have breakfast, ossia avere (nel senso di

consumare) la colazione. To make breakfast (letteralmente: fare la colazione) significa che

la prepariamo (in questa frase to make è sinonimo di to cook, ossia cucinare). In generale

comunque il verbo to have viene spesso usato con le cose che si consumano, come cibi e

bevande (to have lunch = consumare il pranzo, ossia pranzare; to have a drink = bere un

drink).

To go to work/school – ovunque si vada (verbo to go = andare) bisogna specificare che si va

in un certo luogo e per fare questo occorre sempre usare la preposizione to, che esprime il

concetto di moto a luogo. Anche se in italiano diciamo andare IN palestra oppure andare A

scuola, in inglese diremo to go TO the gym e to go TO school. Una delle poche eccezioni è

to go home, che vuol dire andare a casa e non ha bisogno della preposizione to. To go out

vuol invece dire andare fuori e in genere indica l’idea di uscire di casa per svagarsi; per

esempio molti di noi escono con i propri amici (to go out with my/our friends).

To play (sports) e To play an instrument – il verbo to play significa sia giocare, praticare

(come in to play tennis, to play football, to play volleyball) che suonare (to play the violin,

to play the guitar).

To fall asleep – questa espressione significa letteralmente cadere (to fall) addormentati

(asleep) e si usa appunto per indicare l’azione di addormentarsi.

Molte delle azioni che abbiamo visto si ripetono settimanalmente, non solo su base

quotidiana. Alcune azioni tendono infatti ad essere ripetute nel corso della settimana/del

tempo, ma non necessariamente ogni giorno:

to go to church andare in chiesa to go to English class andare a lezione d’inglese to go to the cinema andare al cinema to go to the restaurant andare al ristorante to eat out mangiare fuori casa

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E’ probabile che molti di noi non vadano in palestra tutti i giorni, ma ci vadano per esempio

solo al martedì e al giovedì, sempre alla stessa ora. Per descrivere bene le nostre routine ci

occorrono quindi anche i giorni della settimana e gli orari… e perché no anche mesi e

stagioni. Tuttavia non possiamo trasformare questo libro in un tomo di mille pagine: questi

argomenti saranno oggetto del prossimo volume. Ora, per completare il nostro programma,

ci occuperemo dell’imperativo.

IL MODO IMPERATIVO DEI VERBI

L’imperativo si usa per dare ordini, istruzioni, fare un invito, avanzare proposte e

dare consigli in modo informale. Troviamo l’imperativo anche su segnali e cartelli (Stop!

Insert one dollar – Inserite un dollaro). Vediamo alcuni esempi:

Open your book – Apri/aprite il libro

Come in and sit down – Entra/entrate e siediti/sedetevi

Don’t go. Stay at home and rest – Non andare/andate. Resta/restate a casa e riposa/riposate

Se aggiungiamo DO rendiamo l’imperativo più cortese…

Do sit down – Siediti/sedetevi (nel senso di “accomodarsi”)

Lo stesso effetto si ottiene anche aggiungendo PLEASE (gli inglesi sono sempre

gentilissimi, please è una parola che sentirete spessissimo!):

Please sit down – Per favore siediti/sedetevi

Come possiamo vedere per creare un imperativo basta utilizzare un verbo senza

esprimerne il soggetto. Si usa quindi la forma base, l’infinito senza to!

Verbo to go (andare) / esempio d’imperativo: GO HOME – vai/andate a casa

Verbo to be (essere) / esempio d’imperativo: BE QUIET – fai/fate silenzio

L’imperativo si riferisce sempre a YOU (TU o VOI); se per caso volessimo fare una

proposta ed includere noi stessi nel discorso useremo allora LET’S:

Let’s go to the cinema / andiamo al cinema!

Let’s have a drink / beviamoci un drink…

Facciamo pratica completando il prossimo esercizio.

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Ordiniamo ai nostri figli di riordinare la loro stanza:

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Chiediamo cortesemente a nostra sorella di chiudere la porta:

---------------------------------------------------------------------------------

Proponiamo di andare tutti insieme a mangiare una pizza:

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Cosa leggeremo su di un cartello che ci vieta di entrare in un certo posto?

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Ordiniamo ai nostri amici di NON chiudere la finestra:

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Soluzioni:

Tidy up your room!

Please close the door.

Let’s have a pizza!

Do not enter (niente contrazione don’t… è un messaggio di registro formale).

Don’t close the window.

E’ subito chiaro che per costruire un imperativo negativo basta aggiungere DO NOT

(quando il contesto è formale e le abbreviazioni non sono gradite) oppure DON’T. Un

imperativo negativo equivale ad un divieto… anche LET’S può diventare LET’S NOT:

Let’s not go there, I don’t like that place – Non andiamo là, quel posto non mi piace.

Basta così, come prima esperienza è più che sufficiente!

Abbiamo parlato di un sacco di cose…

A questo punto siamo pronti per tirare le fila e valutare l’idea di iscriverci ad un corso

d’inglese in presenza, magari con lo scopo di sostenere l’esame Trinity GESE Grade 1. La

prossima sezione, dedicata all’esame, farà di noi dei candidati provetti.

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L’ESAME: COME E PERCHE’

Come già detto l’esame è una buona idea per diversi motivi: ci da la misura

tangibile dei nostri progressi, dimostrandoci quanto siamo stati in grado di ottenere con i

nostri sforzi. Inoltre è spendibile sia nella scuola che nel mondo del lavoro… il livello è

ancora bassino, ma è un primo passo e deve certamente figurare sul curriculum vitae.

Infine, l’esame è il naturale coronamento di un processo di apprendimento e non dobbiamo

neppure andare lontano per incontrare un esaminatore madrelingua inglese: basta una

scuola nelle vicinanze che ospiti esami Trinity! Tutte le informazioni necessarie sono

contenute in questo sito web: http://www.trinitycollege.it/esami/gese.php.

Per iscriversi basta rivolgersi ad una scuola privata oppure seguire le istruzioni:

http://www.trinitycollege.it/centri/centri.php?tipo=priv.

Per avere un’idea chiara di come si svolge l’esame basta invece guardarsi qualche video

(http://www.trinitycollege.co.uk/site/?id=2046) e ascoltare qualche registrazione

(http://www.trinitycollege.co.uk/site/?id=1891).

Ripercorriamo il programma d’esame:

TRINITY GESE Grade 1

Articolazione

Durata complessiva: 5 minuti

L’esame si articola in una sola fase che consiste in una conversazione con l’esaminatore

(fino a 5 minuti).

Risultati attesi

Durante l’esame il candidato deve dimostrare le seguenti abilità comunicative e soddisfare i

requisiti linguistici sotto elencati.

Abilità comunicative

- Scambiare saluti con l’esaminatore

- Dimostrare di comprendere istruzioni semplici mediante azioni appropriate

- Fornire risposte molto brevi a semplici domande e a richieste di informazioni

Requisiti linguistici

Funzioni linguistiche

- Scambiare saluti

- Fornire informazioni personali, es. nome, età

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- Individuare e dire i nomi degli elementi lessicali sotto elencati

- Accomiatarsi

Grammatica

Il candidato deve dimostrare l’abilità di comprendere:

- Imperativi relativi ad azioni comuni, p. es. go, come, show, point, give, touch,

stand up

- Domande con what? how many? how old?

- Dimostrativi this, that, these, those

Il candidato deve dimostrare l’abilità di comprendere e usare:

- Il present simple tense del verbo to be

- Sostantivi comuni al singolare e al plurale (regolari e irregolari), p. es. shoe/shoes,

foot/feet

- Aggettivi semplici, p. es. small, tall, green

- Determinanti a, the, my, your, his, her

- Pronomi I, you, he, she, it, they

Lessico

Il candidato deve dimostrare l’abilità di comprendere ed utilizzare

il lessico relativo a:

- Informazioni personali

- Ambiente circostante, compresi oggetti di uso scolastico

- Parti principali del viso e del corpo

- Animali comuni (domestici, della fattoria e selvatici)

- Numeri cardinali fino a 20

- Colori

- Capi di abbigliamento comuni

- Le funzioni linguistiche sopra elencate

Fonologia

- Pronuncia corretta di parole comuni relative alle aree lessicali sopra elencate

Bene, sono solo 5 minuti di conversazione, 5 minuti d’orologio, non possono

trasformarsi in 7 o 10. Dobbiamo presentarci, dare qualche breve risposta e far

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comprendere all’esaminatore che abbiamo capito le sue richieste tramite risposte, gesti e/o

azioni appropriate. Ci si aspetta che comprendiamo qualche imperativo, qualche semplice

question word ed i dimostrativi… se sappiamo anche usarli correttamente tanto meglio, ma

questo sfoggio di conoscenza non ci frutterà un voto migliore. Dobbiamo invece dimostrare

di saper capire ed utilizzare il Simple Present del verbo essere, sostantivi al singolare e

plurale (anche qualche irregolare), semplici aggettivi (che vanno messi al posto giusto),

articoli e possessivi (non tutti i possessivi, our e their sono esclusi) ed i pronomi soggetto.

La conversazione verterà sugli argomenti di lessico elencati ed utilizzerà

necessariamente la grammatica appena descritta. Come abbiamo già detto, essere padroni di

tutti questi elementi ci frutterà una A (i voti possono essere: A, B, C… e D che equivale a

FAIL, bocciato). Sapere cose che non sono nel programma ma non saper padroneggiare

bene il programma stesso (ossia sapere cose più complesse ma essere carenti nelle basi) ci

porterà un voto poco soddisfacente; gli esaminatori sono tenuti a valutare unicamente gli

argomenti d’esame e quindi non saranno gentili con noi solo perché sappiamo altre cose.

Conviene attenersi alla lista! Questi esami sono il più oggettivi possibile, al punto che

vengono controllati a sorteggio da una commissione: gli esaminatori devono

obbligatoriamente attenersi alle regole e alle linee guida del Trinity College, altrimenti le

certificazioni Trinity perderebbero di valore.

Tornando al succo della questione, direi che sia le funzioni comunicative che la

parte di grammatica sono state trattate nel corso di questo testo, basterà ripassarle ben

bene… Anche per la pronuncia dovremmo essere a buon punto, basterà sfruttare uno di quei

siti web che abbiamo elencato o cercare le trascrizioni fonetiche in un buon dizionario.

Riguardo alla parte di lessico abbiamo già introdotto le informazioni personali, i colori ed i

numeri cardinali fino a 20. Prima di simulare l’esame occorre completare quest’ultima

sezione con gli animali, le parti del viso e del corpo, i capi di abbigliamento e gli oggetti di

uso comune che possiamo trovare nell’ambiente circostante.

ANIMALI

Animals Translation CAT KITTEN

Gatto Cucciolo di gatto

DOG PUPPY

Cane Cucciolo di cane

GOLDFISH Pesce rosso PARROT Pappagallo

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HAMSTER Criceto GUINEA PIG Cavia BIRD Volatile RABBIT Coniglio MOUSE Topo BAT Pipistrello COW Mucca BULL Toro HORSE Cavallo DONKEY Asino MULE Mulo DUCK Anatra GOOSE Pl. Geese Oca PIG Maiale SHEEP Pl. Sheep Percora GOAT Capra CHICKEN Pollo ROOSTER Gallo CHICK Pulcino HEN Gallina TURKEY Tacchino WHALE Balena DOLPHIN Delfino SHARK Squalo FISH Pl. Fish Pesce ALLIGATOR Alligatore CROCODILE Coccodrillo TORTOISE Tartaruga (di

terra) TURTLE Tartaruga (di

mare) LION Leone TIGER Tigre LEOPARD Leopardo CHEETAH Ghepardo WOLF Lupo GIRAFFE Giraffa ELEPHANT Elefante ZEBRA Zebra CAMEL Cammello MONKEY Scimmia SNAKE Serpente BEAR Orso

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FOX Volpe HARE Lepre SQUIRREL Scoiattolo MOLE Talpa PENGUIN Pinguino OWL Gufo EAGLE Acquila FLAMINGO Airone rosa PIGEON Piccione FROG Rana TOAD Rospo INSECT Insetto BUG Insetto BEETLE Scarafaggio GRASSHOPPER Cavalletta CRICKET Grillo SPIDER Ragno CATERPILLAR Bruco WORM Verme BEE Ape WASP Vespa FLY Mosca BUTTERFLY Farfalla

PARTI DEL VISO E DEL CORPO

Body Parts Translation HEAD Testa EAR Orecchio EYE Occhio NOSE Naso CHEEK Guancia MOUTH Bocca TEETH Pl. Tooth Denti CHIN Mento NECK Collo SHOULDER Spalla ARM Braccio ELBOW Gomito WRIST Polso HAND Mano FINGER Dito THUMB Pollice

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CHEST Petto TUMMY/BELLY Pancia BELLY BUTTON Ombelico LEG Gamba KNEE Ginocchio FOOT Pl. Feet Piede TOE Dito dei piedi

CAPI D’ABBIGLIAMENTO

Clothes Translation HAT Cappello GLASSES Occhiali SUNGLASSES Occhiali da sole SCARF Sciarpa GLOVES Guanti MITTENS Muffole/Manopole COAT Cappotto JACKET Giacca SHOES Scarpe TRAINERS Scarpe da

ginnastica BOOTS Stivali SWEATER Pullover/Golf TRACKSUIT Tuta da ginnastica JUMPER Maglione T-SHIRT Maglietta SHIRT Camicia TOP Generico - Capo

di vestiario per la parte superiore del corpo, come magliette, maglioni…

UNDERWEAR Biancheria intima A PAIR OF UNDERWEAR

Un paio di slip

VEST Canottiera BRA reggiseno DUNGAREES Salopette TROUSERS Pantaloni JEANS Jeans! SHORTS Pantaloni corti

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SKIRT Gonna DRESS Abito da donna BAG Borsa PURSE Borsetta/Portafogli WALLET Portafogli WATCH Orologio da polso SUIT Completo da

uomo/tailleur da donna

TIE Cravatta SLIPPERS Ciabatte DRESSING GOWN

Vestaglia

PYJAMAS Pigiama NIGHT GOWN Camicia da notte SOCKS Calzini TIGHTS Calzamaglia

OGGETTI DI USO COMUNE NELL’AMBIENTE CHE CI CIRCONDA

(probabilmente l’esame si terrà in un’aula di scuola…)

Objects Translation CLASSROOM Classe (stanza) DOOR Porta WINDOW Finestra CURTAIN Tenda WALL Muro FLOOR Pavimento CEILING Soffitto BLACKBOARD Lavagna CHALK Gesso ERASER Cancellino PEN Penna COLOURED PENCIL

Matita colorata

PENCIL Matita FELT-TIP PEN pennarello CRAYONS Pastelli a cera RUBBER Gomma NOTEBOOK Quadreno BOOK Libro BACKPACK Zaino

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BOOKSHELF Pl. Bookshelves

Libreria/mensola

CUPBOARD Armadio MAP Mappa POSTER Poster! PAINTING Quadro PICTURE Immagine CLOCK Orologio a parete DESK Scrivania CHAIR Sedia TABLE Tavolo TOY Giocattolo GAME Gioco (es. da

tavolo) PLANT Pianta

Ora che abbiamo messo in campo tutto questo nuovo vocabolario (che peraltro

viene dato per scontato in tutti gli esami Trinity GESE successivi al primo… quindi, per

quanto semplice sia, bisogna conoscerlo!) possiamo entrare nel vivo dell’esame.

COME SI SVOLGERA’ L’ESAME

Quando sarà il vostro turno verrete chiamati e dovrete entrare nella stanza/aula dove

troverete l’esaminatore, che si rivolgerà a voi esclusivamente in inglese. Quello che segue è

un buon esempio del genere di conversazione che vi troverete ad avere con questa persona

(ricordate però che durerà solo 5 minuti e sarà quindi molto più breve dell’esempio che sto

per proporvi).

Appena vi vedrà sulla porta l’esaminatore vi saluterà:

* Hello (oppure Good morning/Good afternoon), come in and close the door, please.

Ciao (oppure buongiorno o buon pomeriggio, dipende dall’orario), entri e chiuda la porta

per favore.

* Voi risponderete con il medesimo saluto e farete come vi dice.

* L’esaminatore vi inviterà allora ad accomodarvi:

Please, sit down.

Prego, si sieda.

* E voi siederete di fronte a lui/lei, magari ringraziando con un Thank you.

* Esaminatore: What’s your name?

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* Noi: My name is … What’s your name?

* Esaminatore: My name is … How are you today?

* Noi: I’m fine, thanks. And you?

* Esaminatore: I’m fine, thank you. How old are you?

* Noi: I’m … years old.

(Ricordate… le domande non saranno necessariamente in questo ordine, non ho la sfera di

cristallo! ☺)

ECCO CHE ABBIAMO DIMOSTRATO DI CONOSCERE LA GRAMMATICA ED I

TERMINI CHE OCCORRONO PER SALUTARSI, SCAMBIARSI CONVENEVOLI E

FORNIRE SEMPLICI INFORMAZIONI PERSONALI.

A questo punto l’esaminatore inizierà a farci domande riguardo al resto del

programma. Per esempio potrebbe mostrarci delle immagini che ritraggono alcuni animali e

chiederci:

* What animal is this? What animal is that? … indicando l’animale di cui sta parlando!

* Noi risponderemo quindi:

This is a … (es. a cat!); that is a … (es. giraffe)

* Se l’esaminatore ci chiedesse:

What animals are those?

* Noi risponderemmo, ovviamente:

Those are … (es. tigers)

* L’esaminatore potrebbe poi chiederci:

What colour is the cat?

What colour are the monkeys?

* La risposta corretta sarà:

It’s … (es. black)

They’re … (es. brown)

* Un’altra tipologia di domanda che probabilmente ci verrà posta è la seguente:

How many cats are there?

Quanti gatti ci sono?

* Occorrerà quindi dire:

There are … cats (es. there are 3 cats).

Questo tipo di linguaggio viene utilizzato anche ponendo domande riguardo a capi

d’abbigliamento e ad oggetti di uso comune, soprattutto riguardo ai numeri fino a 20.

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* L’esaminatore avrà una tabella o delle tessere che riportano tutti i numeri fino a 20 e ci

porrà domande del tipo:

What number is this/that? (Indicando il numero…)

* Noi risponderemo:

It’s number … (es. twelve)

* L’esaminatore potrebbe poi chiederci:

Which is numer 10?

Qual’è il numero 10?

* Noi dovremo rispondere:

This/that is number 10 (indicando il numero)

* Invece che richiedere una risposta l’esaminatore potrebbe poi dirci:

Point to number 12

Indichi il numero 12

* La risposta corretta in questo caso non sarà verbale… basterà indicare il numero 12 con il

dito!

* In merito alle parti del corpo l’esaminatore potrebbe formulare domande come quelle che

abbiamo già visto oppure variare un poco, chiedendo:

What is this? (indicando la sua testa)

* La risposta corretta sarà:

It’s your head (la testa è la sua! Dobbiamo usare il giusto possessivo…)

* Potrebbe anche indicare parti del corpo o capi d’abbigliamento che appartengono a noi o

ad un uomo/donna ritratti in un’immagine, invitandoci così ad utilizzare i possessivi my, his

o her.

Per essere certi di fare bene occorre dare risposte il più complete possibile

utilizzando i pronomi soggetto appropriati e le giuste forme del verbo essere, facendo

attenzione alla questione dei singolari e dei plurali e magari inserendo già qualche aggettivo

nella frase senza costringere l’esaminatore a chiederceli espressamente.

Alcuni esempi:

Esaminatore: What’s this? (Indicando la sua camicia rossa)

Noi: It’s your shirt; it’s red.

§

Esaminatore: How many cats are there? (Indicando un’immagine in cui figurano 4 gatti, 2

neri e 2 bianchi)

Noi: There are 2 black cats and 2 white cats.

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Infine, l’esaminatore potrebbe sfruttare qualche imperativo:

Point to the clock

Indica l’orologio

E noi ci guarderemo intorno ed indicheremo l’orologio sul muro.

Touch your watch

Tocca il tuo orologio da polso

E noi, obbedienti, eseguiremo.

Show me the door

Mostrami la porta

Come deluderlo/a? Basterà indicare la porta per aver risposto correttamente!

Gli imperativi più probabili saranno:

STAND UP – alzati

LISTEN – ascolta

TELL (me) – dimmi

SIT DOWN – siediti

COME IN – entra

TOUCH – tocca

POINT – indica

SHOW (me) – mostrami

GIVE (me) – dammi

Gli aggettivi più probabili, oltre ai colori, saranno invece:

OLD vecchio § YOUNG giovane

TALL alto § SHORT basso

BIG grande § SMALL piccolo

HAPPY felice § SAD triste

EASY facile § DIFFICULT difficile

QUESTA PARTE DELL’ESAME COMBINA L’USO DEL VOCABOLARIO IN

PROGRAMMA CON I RESTANTI ELEMENTI DI GRAMMATICA: QUALCHE

SEMPLICE QUESTION WORD, I DIMOSTRATIVI, GLI ARTICOLI, I POSSESSIVI, IL

PLURALE E GLI IMPERATIVI.

Ok, dirà allora l’esaminatore, this is it… ossia: questo è quanto, abbiamo finito.

A quel punto basterà congedarsi con un semplice: Thank you, Goodbye!

Que

sto

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k ap

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Facile, no? Basta ripassare bene gli elementi in programma, controllare le pronunce

e fare pratica con qualche amico che finga di esaminarci. Possiamo guardare i video sul sito

web del Trinity College, ascoltare i file audio… Basta ricordare che verremo valutati

unicamente sul programma d’esame e che più complete saranno le nostre risposte migliore

sarà il nostro voto. Prepariamoci bene e non costringiamo l’esaminatore ad inventarsi mille

modi per cavarci di bocca le parole che vorrebbe sentire per poterci dare una A…

Il mio consiglio è comunque quello di contattare una scuola o un insegnante per

consolidare bene gli argomenti con qualche lezioncina prima dell’esame e soprattutto fare

pratica di conversazione con un professionista che possa perfezionare la nostra pronuncia,

soprattutto se non vi sentite ancora convinti dei vostri mezzi.

Qualsiasi cosa decidiate di fare… in bocca al lupo!

________________________________________________________

Qui termina il primo volume. Nel secondo riprenderemo il Simple Present,

completando il discorso, ed introdurremo tutti gli argomenti che faranno di noi dei veri

studenti di livello A1.

Nel frattempo…

… alcuni siti utili dove reperire ottimi strumenti per la lettura e lo studio autonomo:

http://www.blackcat-cideb.com/110-catalogo-inglese

http://elt.pearsoned.it/

http://maryglasgowplus.com/book_lists

http://www.cambridge.org/it/elt/?site_locale=it_IT

http://ukcatalogue.oup.com/

http://learnenglish.britishcouncil.org/en/

Grazie per l’attenzione

e buon proseguimento.

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RINGRAZIAMENTI

Grazie a Mario e Lorenzo,

che hanno avuto tanta pazienza. E grazie anche a Giulia,

a tutta la famiglia allargata, a mio padre, a Gag e Noemi…

che hanno pazienza da tempi immemorabili!

L’AUTRICE

Emiliana d’origine, ha conseguito due lauree all’estero, specializzandosi in traduzione ed interpretariato.

Da qualche tempo è tornata a casa, dove svolge saltuariamente l’attività d’interprete/traduttrice

e collabora con varie scuole. Insegna inglese ormai da diversi anni,

sia ad adulti che a ragazzi, preparandoli per conseguire certificazioni linguistiche,

sopravvivere alla scuola dell’obbligo e sostenere esami Trinity.

Sito web:

sites.google.com/site/dlsservizilinguistici

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