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Formato Ridotto - Press Book

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    SINOSSIUn film collettivo che segna lincontro tra Home Movies e un gruppo di scrittori. Enrico Brizzi, Ermanno Cavazzoni, Emidio Clementi, Ugo Cornia e Wu Ming 2 hanno elaborato dei testi originali trovando nelle immagini dellArchivio Nazionale del Film di Famiglia loccasione di sperimentare nuove tecniche narrative. Grazie ad approcci molto diversi tra loro in unopera unica convergono cinque episodi dagli esiti sorprendenti, singoli episodi di corta durata, di volta in volta trasfigurati in saggio, racconto, cronaca e divagazione. Forme del cinema documentario accomunate da una matrice comune: il variegato universo emiliano-romagnolo.

    IL FILMDa dieci anni ormai Home Movies Archivio Nazionale del Film di Famiglia salvaguarda la memoria filmica privata. Questa missione molto complessa non avviene solo attraverso la fondamentale opera di raccolta e conservazione dei materiali filmici amatoriali, ma anche con la valorizzazione di questo patrimonio. Nel caso di Formato Ridotto la sfida stata quella di andare oltre (senza per tralasciarla) lattivit di ricontestualizzazione storica dei documenti filmici, cercando di far emergere dalle immagini delle storie possibili, delle interpretazioni e delle letture originali del passato e del presente dei luoghi da cui provengono. Per far questo sono stati solleticati lo sguardo e la penna di cinque scrittori fortemente legati al territorio, lasciando che ognuno sperimentasse, a suo modo, lincontro con il cinema amatoriale. Questa libert lasciata agli autori traspare dalla differenza di linguaggio, approccio, lettura e interpretazione che ciascuno ha trovato in questo incontro. Nessun episodio nasce dal semplice accostamento di due elementi paralleli. Il lavoro di scrittura, selezione e montaggio frutto di una ricerca profonda, anche quando un documento come il film di famiglia diventa la base per un racconto di finzione.Il film ha dato anche modo di far convergere diversi progetti che negli anni hanno fatto crescere e maturare lesperienza di Home Movies. Le immagini utilizzate sono state infatti raccolte, digitalizzate e catalogate grazie a progetti realizzati in ambito regionale, come Una citt per gli archivi della Fondazione Carisbo e della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Film di Cassetto realizzato in collaborazione con la Cineteca di Rimini e Cinema di Famiglia, progetto pluriennale frutto della partnership

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    con lUniversit degli Studi di Modena e in particolare con il laboratorio audiovisivo della sede di Reggio Emilia RelabTv. Il film stato realizzato grazie al sostegno dellAgenzia di informazione e comunicazione della Regione Emilia-Romagna che ha contribuito in maniera determinante alla sua realizzazione.Il risultato un viaggio sorprendente nello spazio e nel tempo, uno sguardo originale e inedito che passa dal mare alla montagna, dallo sport alla storia di vita, percorrendo le strade e i luoghi dellEmilia Romagna.tori, che racconteranno la regione da prospettive diverse.

    EPISODIIl mare dinverno di Ermanno CavazzoniPerch gli umani occupano questo strano spazio che la spiaggia? Come fa il mare a riappropriarsene? Una rilettura in chiave apocalittica della vacanza al mare.

    Uomini la domenica di Emidio ClementiIl rito della partita di calcio vissuto da un gruppo di tifosi degli anni Cinquanta, rivisitato attraverso le parole di chi oggi lo osserva a distanza.

    Uomo donna pietra di Enrico BrizziLa scalata di una montagna come rito di iniziazione alla vita amorosa in un racconto di fiction costruito su immagini documentarie.

    51 di Wu Ming 2La pellicola del cineamatore Angelo Marzadori su un festival dellUnit del 1951 origina un piccolo saggio sul comunismo in salsa italiana.

    Strade di Ugo CorniaUn viaggio personalissimo sulle strade dellEmilia Romagna attraverso un turbine di camera car, ricordi e musica jazz.

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    Wu Ming 2Wu Ming 2 uno dei componenti del prolifico gruppo di scrittori bolognesi riuniti sotto il nome collettivo Wu Ming, gi Luther Blisset - diventato celebre negli ultimi anni con nume-rosi romanzi, tradotti e pubblicati in molti paesi. Si ricordano per Einaudi: Q, Asce di guerra, 54, Manituana e Altai. Come solista ha pubblicato Guerra agli Umani, Il Sentiero degli dei e Timira.

    Ermanno CavazzoniErmanno Cavazzoni ha esordito nella narrativa nel 1987 col romanzo Il poema dei lunatici da cui Federico Fellini ha tratto il suo ultimo film La voce della luna. Tra le opere pi recenti si ricordano: Gli scrittori inutili, Storia naturale dei giganti, Guida agli animali fantastici.

    Enrico BrizziEnrico Brizzi ha esordito giovanissimo con il romanzo Jack Frusciante uscito dal gruppo. Nel tempo ha allineato sugli scaffali romanzi, raccolte di testi brevi e graphic novel che lo hanno reso tra gli autori italiani pi rappresentativi della generazione under 40. Tra I suoi lavori pi recenti sono Linattesa piega degli eventi, La Nostra guerra, La vita quotidiana in Italia ai tempi del Silvio.

    Emidio ClementiEmidio Clementi cantante, autore dei testi e bassista dei Massimo Volume. Parallela-mente alla sua carriera musicale, ha portato avanti un percorso come scrittore, pubblican-do romanzi dambientazione bolognese, come La notte del Pratello, Lultimo dio, Matilde e i suoi tre padri.

    Ugo CorniaUgo Cornia insegnante di filosofia e di sostegno in una scuola superiore di Modena, dove nato e cresciuto. Ha cominciato a pubblicare alla fine degli anni novanta sulla rivista Il semplice a cura di Gianni Celati e Daniele Benati. Ha esordito nel 1999 con Sulla felicit a oltranza. Di recente sono usciti Modena piccolissima, Operette ipotetiche e Le storie di mia zia.

    GLI SCRITTORISi cercato di creare un gruppo valido ed eterogeneo di scrittori in grado di rappresentare la variet che contraddistingue una regione ricca di voci come lEmilia-Romagna. La selezione si basata anche su di un confronto attivo e propositivo riguardo i temi da sviluppare. Gli scrittori coinvolti nel progetto sono Wu Ming 2, Ermanno Cavazzoni, Enrico Brizzi, Ugo Cornia ed Emidio Clementi.

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    LA PRODUZIONEHome Movies /KinLa collaborazione tra Home Movies e Kin, nata in primo luogo da un supporto tecnico della cooperativa allarchivio, si trasformata negli anni, grazie ad un comune interesse per la salvaguardia e la valorizzazione del cinema di famiglia, in una partnership per tutti gli aspetti di valorizzazione e diffusione del patrimonio filmico dellarchivio. Fin dalle origini larchivio di Home Movies si configurato come un cen-tro di rielaborazione e diffusione del materiale audiovisivo recuperato. La stretta partnership con Kin ha consentito di sviluppare questa vocazione allargandola alla collaborazione di filmmaker di volta in volta incontrati. I diversi sguardi degli autori di cinema documentario trovano ora una ma-trice comune nel lavoro archeologico dellArchivio, una base imprescin-dibile, frutto di una metodologia e di un processo ormai decennale. La scommessa la stessa di una factory: chi produce incanala e supervisiona lavori diversi per trovare un equilibrio tra lesigenza dellArchivio di svelare se stesso, assumendo nuove forme (non limitandosi a quelle tradizionali come il documentario narrativo), e la necessit di mantenere il rigore sto-rico e filologico. La missione consiste anche nellintercettare giovani autori desiderosi di confrontarsi criticamente con le immagini del passato e di non limitarsi alla fascinazione che esse rappresentano. In altre parole, il riuso delle immagini darchivio presuppone da parte dellautore una pro-pensione alla ricerca e alla consapevolezza storica che non si possono improvvisare. Mettersi al servizio delle immagini pi di un esercizio stili-stico. Guardare e ri-guardare finisce per essere una forma di allenamento dellocchio e per questo non fuori luogo parlare delle attivit di Home Movies, non solo quelle legate alla formazione, come di una scuola dello sguardo che unisce gli autori e gli spettatori.Home Movies Kin formano dunque un binomio produttivo fondato sulla volont di lavorare sulle immagini con la lentezza necessaria al metaboli-smo per comprenderne e interpretarne i valori sociali ed estetici.In particolare, negli ultimi anni iniziato lo sviluppo di progetti a partire dai film della famiglie e dei cineamatori che negli lArchivio ha acquisito.Nel 2011 due progetti di documentario di Kin e Home Movies, sviluppati a partire da fondi filmici conservati nellArchivio, hanno ottenuto il fondo MEDIA per lo sviluppo e hanno creato interesse e ottenuto riconoscimenti sia in contesti nazionali che internazionali.Formato Ridotto un ulteriore risultato di questa collaborazione.

    www.homemovies.itdoc.kine.it

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    GLI AUTORIHanno curato e realizzato il progetto:

    Antonio Bigini, autore e script editor. Ha collaborato come sceneggiatore e assistente alla produzione con diverse case di produzione italiane, tra cui Minimum Fax Media e Studio Azzurro. Per Kin responsabile dellidea-zione e dello sviluppo progetti. autore di Anita, film di prossima uscita diretto da Luca Magi e di Eye on Art - Annina Nosei, documentario in pro-duzione per la regia di Mareike Wegener.

    Claudio Giapponesi, montatore e produttore. Nel 2005 fonda insieme ad altri soci Kin e nel 2009 diviene responsabile della sede bolognese della societ con lo scopo di promuovere lo sviluppo di progetti documentari. stato operatore e montatore dei film Il nemico Interno e Anita; montatore e co-autore di Come un canto.

    Paolo Simoni, fondatore e presidente di Home Movies, il responsabile di numerosi progetti di recupero, valorizzazione e riuso del patrimonio ci-nematografico, temi su cui ha pubblicato alcuni saggi. Dopo aver collabo-rato con la Cineteca di Bologna e alcuni festival, dal 2005 svolge attivit di ricerca allUniversit di Modena e Reggio Emilia. Ideatore e curatore di mostre e installazioni promosse da Home Movies, ultimamente si dedica anche alla produzione di cinema documentario realizzato a partire dagli archivi filmici, come autore, produttore e consulente.

    Nel gruppo di lavoro di Formato Ridotto particolarmente rilevante stato il contributo di Diego Schiavo, sound designer, che ha curato la parte sonora di tutti i lavori in collaborazione con diversi musicisti (Massimiliano Amatruda, Massimo Carozzi, Fabio Cimatti/Gruppo Yeazir).

    Le animazioni dei titoli di testa sono state realizzate da Luca Magi, artista, regista e animatore che per Kin sta curando la regia del documentario Anita.

    [email protected]

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    CREDITSrealizzazioneAntonio Bigini

    Claudio GiapponesiPaolo Simoni

    testiEnrico Brizzi

    Ermanno CavazzoniEmidio Clementi

    Ugo CorniaWu Ming 2

    immaginiHome Movies - Archivio Nazionale del Film di Famiglia

    raccolte nellambito dei progetti

    Una citt per gli archiviFondazione Carisbo

    Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna

    Film di Cassetto Cineteca di Rimini

    Cinema di FamigliaRelabTv / Universit di Modena e Reggio Emilia

    supporto ricercheKarianne Fiorini

    Ilaria Ferretti

    revisione pellicole Lorenza Di Francesco

    Sabina Silenu

    telecinema HDMirco Santi

    montaggio e postproduzioneClaudio Giapponesi

    suono e mixDiego Schiavo

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    musiche originali

    UOMO DONNA PIETRA Diego Schiavo

    Chiara Bonfante - chitarra

    UOMINI LA DOMENICAMassimo Carozzi - musica e sound design

    51Massimiliano Amatruda - fisarmonica

    STRADEFabio Cimatti

    musiche eseguite da Gruppo YaezirFabio Cimatti - sassofoni

    Francesco Bucci - tromboneFrancesco De Vita - chitarraEnrico Versari - percussioni

    fondi filmici utilizzati

    VACANZE AL MAREBuda, Cocchi, De Nittis, Dufern, Fabbrini, Lanci, Naccari, Rocchi, Scarpellini, Vecchi, Zamagna

    UOMO DONNA PIETRA Bagni, Calvi, Cavazzoni, Crotti , De Conti

    UOMINI LA DOMENICACavina, Fondo Anonimo

    51Marzadori, Pascucci, Pasi

    STRADECavazzoni, Fuzzi, Marzadori, Ravazzini, Rattighieri-Draghi, Torresi, Valtorta, Vecchi, Vighi

    ufficio stampaMatteo Pasini

    progetto realizzato in collaborazione conAgenzia di informazione e comunicazione della Regione Emilia-Romagna

    Roberto FranchiniTiziana Zucchini

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    DICHIARAZIONI DEGLI SCRITTORI

    Enrico BrizziLa Pietra di Bismantova, con la sua impressionante forma ad incudine, spicca da secoli nel cuore dellAppennino reggiano: considerata via via montagna sacra alla luna, rifugio naturale o luogo per sacrifici, allepoca delle guerre dItalia fra Longobardi e Bizantini venne da questi ultimi fortifi-cata; monaci di rito greco furono i primi pii abitatori di quello che pi avanti divenne lEremo benedettino ancor oggi visitabile.Secoli di razionalismo e incredulit eletta a sistema hanno cancellato il culto della luna e la pratica celtica della raccolta del vischio, ma anche le salmodianti preghiere ortodosse e loriginario legame che i monaci del-la regola ora et labora intrattenevano con la terra e i suoi coltivatori: la Pietra rimasta isolata, ma la reputazione magico-misterica che lha ac-compagnata per secoli non svanita, si solo confusa, lasciando che allIlluminazione si sostituisse la lugubre fama di luogo romito frequentato da chi intende porre termine alla propria esistenza sulla terra.In contrasto con lidea di una Pietra che si fa soglia dellAde, risuonano i canti allegri degli escursionisti emiliani del secondo Novecento; la guerra era finita da poco, la Linea Gotica aveva strangolato per due stagioni lin-tera fascia appenninica, e la maggioranza della gente si trovava felice e in-credula di poter ancora vivere, scherzare, ballare e, perch no?, spingersi insieme in gita lungo i sentieri della montagna.Qui la Pietra protagonista, o meglio protagonista la Terra, della quale la Pietra rappresenta una spettacolare emergenza; coprotagonisti sono gli Uomini e le Donne, in particolare la voce narrante maschile di Lorenzo, che attraverso le immagini delle gite avr agio di raccontare come Bisman-tova sia stato il teatro del proprio amore con Irene.

    Ermanno CavazzoniQuesti Home Movies, i filmati casalinghi, mostrano un campionario di cor-pi con la pelle lucida per le creme solari. Sono i corpi dei bagnanti della Romagna, che destate vanno a Rimini e a Riccione, al mare. Mentre i genitori, contro ogni logica, si cuociono al sole i bambini se ne stanno in riva al mare, come fosse il posto pi sicuro del mondo, scherzando con quellimmensa distesa di acqua che sembra innocua. Ma poi arriva linver-no e il mare si riprende ci che suo.

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    Emidio ClementiIl rito della partita la domenica. Un gruppo di amici che, a met degli anni 50, vuol mettersi per sempre alle spalle la guerra e vivere la spensieratez-za di una partita di pallone. Ma il bianco e nero, certi volti, la nebbia delle trasferte a Milano e le geniali riprese di Vittorio Cavina calano la prosaica passione italiana per il calcio in un clima noir da Giungla dasfalto.

    Ugo CorniaA diciottanni, pi o meno come tutti, ho preso subito la patente e avevo una grande smania di guidare e andare in giro e infatti, sia da solo che con degli amici, appena potevo mi mettevo in macchina per andare di qua e di l. E circa dieci anni dopo, ma forse anche un po meno di dieci anni, mio padre un giorno mi ha detto che si era fatto due calcoli e mi ha accusato di aver fatto pi di trecentomila chilometri con la sua macchina, e io un po cercavo di contestare questo suo calcolo, ma la macchina aveva fatto allincirca trecentosettantamila chilometri, quindi mio padre aveva senzal-tro ragione, perch lui ormai la macchina non la usava quasi pi. Per di pi io stavo ancora finendo di studiare, e quei trecentomila chilometri fatti con la sua macchina li avevo fatti principalmente andando a spasso, e non per lavoro, muovendomi su e gi per la provincia di Modena e Bologna, con frequenti puntate nel reggiano, e un po pi rare puntate nella zona di Parma e di Ferrara. Decisamente pi rari e occasionali, devo dire, erano stati i giri nelle zone di Piacenza, Ravenna, Forli e Rimini. E se ci penso conosco moltissime strade e anche moltissimi nomi di strade alcune le ho riconosciuto in questi filmini di famiglia, altre magari no ma mi hanno ricor-dato strade simili. Perch poi tutte le strade dellEmilia-Romagna hanno una loro stessa logica piuttosto ferrea

    Wu Ming 2Del sig. Marzadori, autore delle immagini che ho scelto di commentare, so che era un militante comunista. Da questo primo dato e dalle immagini di una festa dellUnit a Bologna nel 1951 ho cercato di interrogarmi sul senso di quel che il Sig. Marzadori ha filmato. Lho fatto cercando di capire calandomi in quel contesto e cercando di cogliere tutto ci che sfugge agli stereotipi e alle convenzioni che il tempo ha gettato sulla storia del Partito Comunista Italiano. E una interpretazione personale, come quella del Sig. Marzadori.

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    DICHIARAZIONE DEGLI AUTORIUn discorso sul cinema amatoriale pi complesso di quanto si possa pensare a prima vista. Esso si presta continuamente a incroci, incontri e contaminazioni che ne segnano luso culturale e artistico contemporaneo. Queste immagini recuperate, con la loro fragilit e identit labile, di non facile lettura, rappresentano il controcampo del cinema ufficiale e in una qualche misura mostrano quanto non normalmente visibile, nel momento in cui da private e intime diventano pubbliche caricandosi di una serie di interrogativi. Restituiscono, infatti, lo sguardo individuale e collettivo di chi le ha prodotte, ma necessitano anche di uno sguardo che sappia collocar-le nel loro e nel nostro tempo. Consideriamo queste immagini come un testo aperto, che grazie al lavoro darchivio, gli storici e gli studiosi di altre discipline hanno lopportunit di utilizzare, cos come i filmmaker, gli artisti visivi e musicisti possono reinterpretarle in nuove opere. La collaborazione con alcuni scrittori ha portato sguardi del tutto originali e approcci che ci hanno stupito per la loro profonda diversit: si cos inaugurata una strada mai battuta prima, che ha prodotto delle autentiche riscritture del cinema amatoriale. Forse solo linizio di un nuovo discorso

  • testi originali completi

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    14 Il mare dinverno di Ermanno Cavazzoni16 Uomini la domenica di Emidio Clementi19 Uomo donna pietra di Enrico Brizzi23 51 di Wu Ming II27 Strade di Ugo Cornia

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    Ermanno Cavazzoni

    IL MARE DINVERNO

    Quando estate, la popolazione umana si affolla lungo le rive del mare, in particolare dove sono sabbiose. Questo un fenomeno del ventesimo secolo. Nei millenni precedenti una cosa simile non era mai accaduta; il mare lo si temeva (e lo si rispettava).Lesodo in genere dura luglio e agosto; e essendo la striscia di sabbia sottile, la popolazione si addensa, come altre specie animali gregarie, pinguini, foche, otarie, e cos via. Il mare lascia che facciano, anche se la spiaggia opera sua, lui che lha creata. In estate il mare si limita a una leggera risacca, indifferente ai bagnanti che sguazzano; lascia che si pianti unaltalena nellacqua bassa, e si facciano tutte le sciocchezze cui la razza umana molto portata. Anche che si pianti un palo scivoloso e ci si arrampichi su, cio si tenti invano, perch an-che se siamo sempre scimmie nella mentalit, non abbiamo per pi quattro mani.Circa a met del ventesimo secolo, attorno al 1950, luomo fin da molto piccolo stato abituato ad avere confidenza con la sabbia del mare; e a considerare il mare, cio la riva del mare, un campo

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    di divertimenti: dove si scava, cos, senza costrutto, si mette la faccia nellacqua, o la faccia nel salvagente per una foto ricordo, si usa una grossa signora come trampolino per fare dei tuffi, a ripe-tizione; in genere si usa di tutto pur di trastullarsi; si butta spesso in alto una palla; si va a cavallo del fratello, si rema, o si fa qualcosa di simile al ballo o che ricorda per cos dire il ballo; si indossano ochette gonfiabili, pesci gonfiabili, e ogni sorta di apparecchiatura gonfiabile.Cio si sono abituati i bambini a prendere in ridere il mare, come fosse al servizio loro, un bonaccio-ne che va avanti e indietro, e che serve come passatempo. O come argomento da cartolina: Saluti dal mare, Ci divertiamo al mare e cos via.Mentre il mare una cosa seria, che copre il 71% del pianeta, ha visto passare tante ere geologi-che, tante specie animali, e vedr passare anche luomo, oltre che questo uomo balneare di questo momento.E intanto girano i venditori di cocco fresco, i venditori di gelati confezionati, i venditori di bibite con la cannuccia; le venditrici di focaccine si mangia si lecca; e intanto passano sullacqua vendi-tori di cappelli e pupazzi, il mare sembra al loro servizio.Lungo la spiaggia lumanit ha costruito ingegnosi insediamenti di legno, cio quegli abitacoli detti cabine; con camminamenti, porticati, punti di ristoro, musica, specchi, dove ci si pu dare un colpo di pettine per abbellirsi. Sono citt in miniatura, lunghe e sottili, appoggiate sopra la sabbia. E su cui regna il bagnino, una figura che per due mesi onnipotente.Poi lestate finisce, e incominciano le piogge autunnali; lumanit scappa via. E come la gente in massa venuta, in massa se n andata; la spiaggia rimane deserta. Ritornano le conchiglie, le alghe, i naturali detriti. cambiata stagione; le ombre sono lunghe. Il sole bianco. E poi viene la neve, com naturale dinverno.Ed a questo punto che il mare si gonfia; ha portato pazienza tutto luglio e agosto, ha lasciato passare settembre; adesso torna a occupare la spiaggia, che sua. Quello che ci ha costruito sopra lumanit, al mare non gliene importa. Questo suo territorio. Il mare batte e ribatte; gonfia londa e si infrange. Queste esili citt umane resistono poco; e il bagnino a questo punto non conta pi niente. Che siano cabine con su scritto bagno sirena, bagno da Gianni; che ci sia stata musica, giochi a palla, che ci siano stati amori estivi, occhiate, baci, arrivederci al prossimo anno, tutto cancellato. Le assi si schiodano, tutto a poco a poco crolla, onda su onda; se lo mangia il mare. Perch lui vuole espandersi sulla spiaggia libera, e insiste tanto che a fine inverno non c pi nien-te; rottami, mucchi di rottami e assi divelte.Lumanit per, una sua caratteristica di non darsi per vinta. E allora spazza via tutto quello che arrivato durante linverno, si raccolgono fascine, legni, pezzi di barca Tutto pattume, incompa-tibile con la folla balneante della prossima estate. Si pu trovare anche una scarpa (chiss laltra dov finita).Poi, ai primi tiepidi segni di unaltra estate, si ricomincia da capo. Sedia a sdraio, canottiera, oc-chiali da sole, cappello, si riavvia laltalena, si riflette Poi ecco il balneante che torna! E c chi si azzarda nellacqua bassa per vedere se il mare si tranquillizzato e porter ancora pazienza.

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    Emidio Clementi

    UOMINI LA DOMENICA

    Il senso del rito di una domenica pasquale. In macchina e in motocicletta diretti verso lo stadio. Si va alla partita come si andrebbe a teatro o a una cena di gala: la sigaretta che pende dalle labbra, i vestiti impeccabili. Poco importa se sono anni sbiaditi per il Bologna, dopo un passato di puro splendore che rende il presente ancora pi anonimo. Lungo la pista da atletica sfilano le Forze dellOrdine a passo di marcia, in fila per due. una citt che tiene al senso del decoro: pochi cartelloni pubblicitari esposti sopra le gradinate, tifosi che applaudono composti. Il modello emiliano nellepoca del suo massimo slancio. Si progetta, si co-struisce, si amplia.

    Non ci che abbiamo, ma ci che vogliamo sprona la cittadinanza il sindaco Dozza. I tifosi condi-vidono: si adeguano come possono, ma non smettono di sognare. I giorni precedenti ha piovuto. Il Bologna una squadra tecnica, un po viziata, che non ama la fatica: il campo pesante potrebbe svantaggiarla. Terreno pettinato a festa, ma molliccio sul fondo scrive Severo Boschi con la consueta spoglia raffinatezza sul Resto del Carlino del 28 aprile 56. La

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    partita Bologna-Napoli, ottava giornata del girone di ritorno. Il Bologna ristagna nella parte bassa della classifica, il Napoli pure. Ciononostante lo stadio gremito in ogni settore. Si attendono i gol di Pivatelli, che puntuali arrivano. Segna anche Pozzan, e Vitali per il Napoli. Il Bologna di queste ultime settimane pugnace, solido seppur lento, vivo di morale e di condi-zione atletica commenta il giorno dopo un preoccupato Boschi sta rendendosi conto ti quanto sia difficile uscire dalla melma che lo ha lungamente invischiato nelle posizioni di coda. Non sono bastati non bastano sei risultati utili consecutivi, diciannove reti segnate contro cinque soltanto subite, laver attraversato incolume come una salamandra gli infuocati campi di Firenze e Roma per scrollarsi di dosso quella posizione di penultima che continua a opprimere la squadra. Da l a giugno il Bologna si riprender, scaler posizioni e finir quinto in classifica. Pivatelli, con ventinove reti praticamente una a partita vincer la classifica cannonieri. In attesa di tempi mi-gliori ci si accontenta di questo.

    Via Rizzoli e Piazza Maggiore, Palazzo Re Enzo, la facciata di San Pietro. La bellezza corrosa dalla familiarit. Un caff veloce in un bar del centro. Poi la solita scia di traffico domenicale lungo via Saragozza. La fila ordinata ai botteghini. una giornata fresca, da giacca e soprabito. Lo indossano tutti, seguendo lesempio di unelegan-za conformista, ligia al clima e al giudizio degli altri. Lappuntamento ai distinti centrali, sotto linsegna dellAlemagna.Arrivano alla spicciolata, sorridenti. Sono le tre in punto di domenica 27 ottobre 1956. In Ungheria appena esplosa la rivolta anti-sovietica, lAlgeria brucia, Boschi scrive: Il Palermo ha trascorso la settimana a Ravenna dove si coscienziosamente allenato alla Darsena. Gli uomini stanno tutti bene (...). Arrivati ieri mattina a Bologna hanno preso alloggio in un albergo del centro e nel pome-riggio sono andati al cinema. Lazione parte dalla sinistra, una respinta maldestra del portiere Benvenuti, un esordiente il velo di Pivatelli e Cervellati che realizza da pochi passi, sotto un sole basso, sbiadito, che allunga le ombre e le assottiglia, fino a renderle simili a una scultura di Giacometti. il 15 del primo tempo. La prospettiva della scorpacciata di gol auspicata da Boschi si fa concreta. Ma solo unillusione. Pareggia Luosi, una mezzala con la faccia da veneto dArgentina, appena dieci minuti pi tardi. Finisce uno a uno. Il Bologna si ritrova penultimo in classifica con cinque punti in sette partite. Si torna indietro che ormai notte. Via Andrea Costa illuminata dai lampioni, le insegne spente, una mestizia che dal campo si trasferisce allintera citt. A casa ci si toglie le scarpe e la cravatta. E poi? Si cena con gli avanzi del pranzo? Ci si corica presto? Oppure si cerca di dilatare il pi possibile quellultimo scorcio domenicale davanti alla radio o in qualche osteria del centro?Il giorno dopo sul Carlino Boschi parla di fisionomia oblomoviana del complesso, pacioso e legno-so ad un tempo. Un Bologna che dorme, che rifiuta gli sforzi soprattutto morali e mentali, che si accascia al pi lieve malessere.

    il mattino del 20 gennaio 1957. Il Bologna gioca in trasferta contro lInter. Si tratta di un incontro di cartello, anche se non in ballo la vetta della classifica. Il fatto per di partire per Milano otto ore prima, fa sorgere il dubbio che la partita sia perlopi un pretesto.In treno si ride, si parla animatamente.

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    Milano accoglie i bolognesi nella sua veste consueta, che diventer presto parodia nazionale: fredda, nebbiosa, distaccata. In cappotto, coi baveri alzati si sbircia fuori dai finestri del tram, forse immaginando come sarebbe la propria vita tra quelle strade o alla ricerca di uno sguardo, un volto di donna. Pranzo da Boccaccio, un ristorante-tavola calda in Piazza Virgilio, a due passi da Cadorna. Da l San Siro una linea retta verso ovest: via Vercelli, via Rembrandt, via Novara.Molti si muovono a piedi lungo i marciapiedi alberati, alcuni in taxi, lo sguardo appena velato dallo sforzo di una digestione pesante. Sugli spalti si scorgono molte zone vuote. Forse il pubblico non s ancora ripreso dalleccezionale ondata di freddo dellanno prima, quello per intenderci in cui nevic persino in Brasile. O forse il Bologna a non attrarre pi le grandi masse.La partita nervosa, a tratti scorretta. Il Bologna, che prima della gara incarnava il ruolo di vittima sacrificale, lotta e rincorre e alla fine rischia addirittura di vincere. Finisce 2 a 2. Un risultato che alla fine non accontenta nessuno.Seduto poco distante in tribuna stampa, Boschi butta gi appunti invelenito contro tutto e tutti: il terreno di gioco (sotto un trasparente velo di segatura, ghiaccio da valzer viennese), il pubblico (isterico); Ghezzi (una pessima imitazione di Lawrence Olivier in Riccardo III, la scena della mor-te); larbitro Grillo (ultracasalingo). Passerranno quasi dieci anni prima che il Bologna possa vendicarsi, ma lo far in grande stile. Il 7 giugno 1964, al termine di una stagione piena di colpi di scena e di tragedie, la squadra di Ber-nardini batter lInter in un infuocato spareggio-scudetto. A niente varranno le alchimie tattiche di Herrera. Dopo la conquista della Coppa dei campioni, il mago e i suoi reggicoda, come li definisce Boschi, appariranno troppo stanchi, forse anche appagati.Boschi per non si lascer impietosire. Un KO strepitoso grider il giorno dopo dalle pagine del Carlino.

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    Enrico Brizzi

    UOMO DONNA PIETRA

    Tutti, dalle nostre parti, hanno sentito parlare della Pietra di Bismantova. Con la sua impressionante forma ad incudine, spicca da secoli nel cuore dellAppennino reggiano: considerata via via mon-tagna sacra alla luna, rifugio naturale o luogo per sacrifici, allepoca delle guerre dItalia fra Longo-bardi e Bizantini venne da questi fortificata; monaci di rito greco furono i primi pii abitatori dellEre-mo. Secoli di razionalismo hanno cancellato il culto degli astri e la pratica celtica della raccolta del vischio, ma anche le salmodianti preghiere ortodosse e il legame che, pi avanti, i monaci di San Benedetto intrecciarono con la terra e i suoi ritmi.La Pietra rimasta isolata, ma la reputazione magico-misterica che lha accompagnata per secoli non svanita, si solo confusa, lasciando che allIlluminazione si sostituisse la lugubre fama di luogo romito frequentato da chi intende porre termine alla propria esistenza sulla terra.Ma di tutto questo, a ventanni, non mi curavo. La guerra era finita da poco, e la maggioranza delle genti dEmilia si trovava felice e incredula di potere ancora scherzare, ballare, e , perch no?, se-guire un amico escursionista lungo i sentieri dAppennino.

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    Marzio era poco pi grande di me, ma lui la guerra laveva fatta davvero. Aveva cominciato come staffetta, portando i messaggi dei patrioti nel cannone della bicicletta, col rischio di farsi fucilare a ogni posto di blocco tedesco. Una volta era sfuggito a un rastrellamento per un pelo, e da allora si era unito alle formazioni della Resistenza attive sullAppennino. Aveva ucciso, e aveva visto morire. Cose enormi, rispetto alla mia esperienza di semplice sfollato minorenne. Quando gli domandavi di quei tempi, Marzio diceva sempre che mettere la propria vita a repenta-glio, la migliore garanzia che si raggiunger lobiettivo. Non amava le mezze misure, il mio amico, e fu lui a portarmi la prima volta ad arrampicare sulla Pietra.Il capocordata era un vecchio alpino di Castel di Casio di nome Arienti. Prima della guerra aveva lavorato a Londra come cameriere. Sapeva sfoggiare dei bei modi, quando voleva, e verso la fine degli anni Trenta si era ritrovato responsabile dei tavoli pi importanti al ristorante dellHotel Ritz. Sosteneva di avere servito teste coronate e magnati americani, ma il cliente al quale era rimasto pi affezionato era lo scrittore Aldous Huxley. Avevamo anche effettuato ascensioni insieme in Svizzera e in Italia. Poi Arienti era stato richiamato nel Regio Esercito, e per qualche anno si era occupato solo di marce, attendamenti e quote da conquistare. Adesso che la guerra era irrimediabilmente finita, si era ritirato in Emilia, e ogni mese saliva alla Pietra per le vie pi ardite. La gente diceva che fosse un po tocco, ma lui sosteneva che era un modo adatto per onorare chi non pi fra noi.Secondo sal Marzio, vestito di scuro come in citt. Ci teneva a far vedere che quellascensione, per lui, era poco pi che uno scherzo. Quindi and suo cugino Aurelio, un rappresentante di granaglie di San Giorgio di Piano, e infine tocc a me.Il mio stile era tuttaltro che impeccabile, ma riuscivo con una certa sorpresa a mantenermi ag-grappato alle rocce. Trovavo ad ogni gradino una soluzione che, un metro pi in basso, appariva impossibile. A spingermi verso lalto, allinizio era la paura di una figuraccia, poi qualcosa cambi. Mi sembr di capire, allimprovviso, che ero l ad arrampicarmi come una capra solo per poterlo raccontare a una donna. Irene, la stessa di cui mi ero innamorato da ragazzino sulla spiaggia di Riccione. Mamma e mio padre, lavvocato Paride Pellegrini, avevano fatto amicizia con i signori Maier, e io ero diventato amico del loro unico figlio maschio. Lei, invece, mi era entrata dentro in maniera diversa.Temevo che, a forza di ricordi, sarebbero arrivate le vertigini, invece andavo su leggero, come ri-chiamato verso la vetta, e pi salivo, pi mi meravigliavo di non essere ancora rovinato a valle.Lalpino Arienti mi fece notare che sembravo distratto. I pigri devono fare le passeggiate, non sa-lire in montagna, mi apostrof. Concentrati, giovane!Come faceva a sapere che pensavo a Irene? Vuoi allungare la lista delle disgrazie? insistette. Concentrati o ti faccio scendere a calci nel didietro!Giurai che sarei rimasto concentrato, e continuai in segreto a cullarmi nelle immagini di lei.Salivo, e mi tornavano in mente ricordi di unestate lontana, prima che la guerra ci separasse, me-scolati a certe frasi della nostra lunga corrispondenza. Da quando le cose erano tornate al loro posto, ci scrivevamo tutte le settimane, e per le feste le telefonavo.Adesso lei aveva un figlio, ma lo cresceva da sola, e io speravo che nella sua vita restasse un posto per me. Decisi che, se fossi tornato a terra sano e salvo, avrei rotto ogni indugio: sarei andato a trovarla a Trieste, dove viveva, e avrei fatto di tutto per diventare suo marito.

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    Quando cominciavo a sentirmi pieno di fiducia al pensiero di Irene, cominciarono le difficolt.Passaggi su roccette esposte, uno dietro laltro, col rischio di perdere lequilibrio e trascinare nella-bisso Marzio, lalpino e quellaltro, che non smetteva di biascicare Madonnina di San Luca, cosa ci sono venuto a fare, qui?.Eravamo in quattro legati alla stessa corda, e la leggerezza di uno solo avrebbe messo a repenta-glio lavvenire di tutti. A un certo punto ebbi davvero paura di non farcela. Allora mi concentrai su Irene. Se volevo tornare gi e rivederla, non potevo restare abbarbicato alla pietra. Dovevo salire ancora. Pi ci avvicinavamo alla vetta, pi Marzio sembrava avere perso la parola, in compenso lalpino Arienti si faceva sempre pi loquace. La montagna la vera palestra della giovent sermonava fra un tiro di corda e il successivo. Raggiungere la sommit con le proprie forze d diritto a sentirsi immortali. Sciocchezze cos, gridate al vento una dopo laltra, mi facevano sentire in pericolo. A chi stavo affidando la mia vita?Tu hai ancora la testa per aria, giovanotto mi grid lalpino, e mi volle come secondo di cordata. La sua vicinanza mi aiut a sgombrare la testa dai pensieri, e andar su torn naturale come lidea che dovevamo arrivarci tutti insieme.Mai pi di allora, lontanissimi dal mare, mi apparve il significato dellespressione essere sulla stes-sa barca.Quando arrivammo in cima alla parete, Marzio sbuff e disse che anche questa era fatta. Aurelio ringrazi la Madonna di San Luca, e Arienti volle dire ancor una volta la sua: La soddisfa-zione di avere raggiunto il traguardo e il giusto rispetto per gli orridi che orlano la vetta, insegnano qualcosa che non si pu spiegare a parole. Questa volta, non mi sembr una balordaggine.A quel punto, non restava che organizzare la discesa.Mentre tornavamo al mondo, presi alcune decisioni importanti: la prima era che non volevo pi rischiare la vita inutilmente prima di avere messo al mondo dei figli.La seconda, era che ero disposto a farli solo con Irene.La terza, che Marzio sarebbe stato il mio testimone di nozze.Perch tutto questo potesse avvenire, serviva che Irene si innamorasse di me.

    La vita, a volte, procede simile a un fiume capace di inabissarsi senza preavviso, e riemergere pi a valle.Lei non mi disse subito di s. Ci furono altre donne e altri uomini, nelle nostre vite. Ma nel giro di qualche anno Irene e io ci ritrovammo. La nostra, allinizio, era solo una trepida amicizia. Eravamo increduli di tutto, felici di essere insieme e troppo pudichi per ammetterlo. Una domeni-ca, quando gi eravamo fidanzati, decisi di portarla a vedere la Pietra che, qualche tempo prima, avevo scalato pensando a lei.Quando le confessai quali erano stati i miei pensieri di allora, Irene prese la mia mano fra le sue, e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Con la stessa naturalezza che avevo provato nel salire le rocce, la baciai. Eravamo ancora giovani, e tutto il Paese lo era. Cos presi fiato, e le domandai di diventare la mia signora.Serviva ottenere lapprovazione del piccolo. Allinizio mi chiamava brutto coso e non voleva che toccassi la sua mamma. Ci misi qualche tempo a convincerlo, ma alla fine conquistai la sua fiducia,

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    e anche lui diede il suo benestare.Erano passati sette anni dalla nostra ascensione guidata dal vecchio Dellai, quando Marzio apr strombazzando il corteo nuziale. Irene, il bambino e io avremmo vissuto lontani dalla Pietra, ma ci era sembrato naturale renderle omaggio andando a scambiarci l gli anelli nuziali. Era un giorno di festa, ma il mio amico era nervoso come dovesse sposarsi lui. Si plac solo quando arriv Irene, e la cerimonia pot avere inizio.Fu cos che Irene e io cominciammo la nostra avventura insieme.Come quella prima salita alla Pietra, non sempre stata una passeggiata. Ma quelle, come diceva lalpino Dellai, sono adatte giusto ai pigri.Non festa tutti i giorni. A volte, come in montagna, serve salire con le unghie e coi denti, dimen-ticare le colpe degli altri, la cattiva fama dei luoghi e le nostre vertigini per farci coraggio. E, nei momenti di debolezza, bisogna tenere a mente che si tutti legati alla stessa corda. Solo cos, no-nostante le nostre umane incertezze, la vita pu andare avanti. E, in determinati momenti, capisci che lunica cosa, dannata e benedetta, che conti davvero.Questa terra che chiamavamo nostra adesso dei nostri figli, che la possiedono in pace e libert. Noi labbiamo consumata a forza di aggrapparci sopra ad ogni sua sporgenza, ora spetta a loro che la calpestano con passo lieve, meravigliati di ogni cosa. E lamore che proviamo per loro, cos pi saldo di quello fra adulti, la corda alla quale potranno aggrapparsi con piena fiducia ogni giorno della loro vita.

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    Wu Ming 2

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    La prima volta che ho messo piede alla Festa dellUnit di Bologna avevo sedici anni e il muro di Berlino si era sgretolato da qualche mese. Il Partito Comunista Italiano si chiamava ancora cos, ma non avrebbe visto un altro settembre. Il comunismo, a detta di tutti, era ormai un cadavere, ma come ai tempi di Carlo Marx, il suo semplice spettro faceva ancora paura. Capannoni e gazebo occupavano la spianata di Parco Nord, come consuetudine fin dal 1973. Prima di allora cerano state altre sedi, ma io non ne sapevo nulla e certo mi sarei stupito se mavessero detto che la prima Festa Nazionale dellUnit prese vita sotto i platani della Montagnola: una collinetta scomoda, in pieno centro, schiacciata contro i viali di circonvallazione. Una specie di grande aiuola rotonda, dove oggi si tiene a mala pena un doposcuola estivo, mentre allora ci incastravano perfino la Fiera Campionaria. A dire il vero, in quel settembre 1951, la sede designata per il raduno Nazionale sarebbero i giardini Margherita, subito fuori porta, dove la Festa di casa dal 1946. Lanno precedente i compagni ci hanno costruito un anfiteatro da diecimila posti e per il comizio di Palmiro Togliatti contano di metterne

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    in piedi uno ancora pi grande. Ma non hanno fatto i conti con il generale De Simone, ex governatore di Harar, nellAfrica Orientale Italiana, e ora prefetto nella citt di San Petronio. A sorpresa, De Simone nega il permesso per i Giardini e a soli venti giorni dallinizio della Festa d il suo benestare per il Parco della Montagnola.

    Ecco perch, se penso allautore di queste riprese, mi basta sapere che era un militante del PCI, per immaginarmelo un po nervoso, incazzato con quel prefetto che ha fatto di tutto per guastare la festa. - Te lo faccio vedere io, com venuta bene - mi pare di sentirlo rimuginare.E mentre lui rimugina e riprende, io mi permetto un altro salto nel suo futuro, nel mio passato, nel settembre 1990.

    Se non ricordo male, a propormi di andare alla Festa fu la mia ragazza di allora, e quando tornai a casa, mia madre si sorprese molto sentendo dovero andato a finire con la mia nuova morosa. Sapeva che mero messo a citare Lenin e Che Guevara, ma considerava la Festa dellUnit un raduno per trinariciuti di stretta osservanza, per di pi appestato da effluvi di salsiccia e orchestre di filuzzi.Allora le raccontai che nelle ore trascorse al Parco Nord avevo incontrato pi auto in vendita che ban-diere rosse, e avevo mangiato spaghetti allo scoglio, al suono di un quartetto jazz molto tradizionale.Mi convinsi che i pregiudizi di mia madre fossero figli di un antico modello di Festa dellUnit, tutto falce e martelli, comizi ortodossi, ritratti del Baffone e neonati alla griglia. Uno stereotipo che in qual-che misura doveva essere nato da un evento reale, a mezza via tra un congresso di partito e una festa del patrono. Due manifestazioni per nulla incompatibili, se vero che anche il mitico sindaco Dozza, rieletto proprio nel 51, partecipava volentieri alla processione della Madonna di San Luca, alla quale dichiarava di credere, per quanto ateo, come tutti i bolognesi. Le liturgie popolari, al fondo, si somigliano tutte, eppure la favola di Peppone e Don Camillo, di un Dopoguerra conflittuale ma tutto sommato bonario e strapaesano, non mi ha mai convinto.

    Nel 1951 Giuseppe Stalin ancora vivo e in Corea la Guerra Fredda si scalda al fuoco delle artiglie-rie. In Italia, la celere di Mario Scelba usa il pugno di ferro contro scioperi e manifestazioni di piazza. Secondo fonti sindacali, il bilancio della repressione, a partire dal luglio 1948, di 92.169 arresti per motivi politici, 3.126 feriti e 66 morti. Quattro di questi proprio nel gennaio 1951, durante le proteste per la visita italiana del presidente americano Dwight Eisenhower. Sempre in gennaio, a Bologna, durante una sparatoria lungo via Santo Stefano, muoiono due vigili urbani, due passanti e due banditi della famigerata Banda Casaroli.Il 16 settembre, invece, due giorni prima che sinauguri la Festa, comincia il processo a Walter Reder, responsabile delle stragi naziste di Monte Sole, SantAnna di Stazzema, Valle di Fivizzano e San Te-renzio. Non sono tempi facili per chi diffonde LUnit: anche in una regione rossa come lEmilia Romagna non salutare farsi vedere in giro con il fascio di copie a cavallo del braccio. A Imola, il questore ed ex-prefetto fascista Massagrande ha fatto sequestrare le mimose per la festa dell8 marzo: figurarsi cosa pu fare con un giornale sovversivo.I Festival dellUnit nascono proprio per finanziare la stampa comunista, che vuole essere indipen-dente e del tutto alternativa rispetto a quella borghese. Nella provincia di Bologna ogni comune ha

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    la sua festa e spesso se ne organizzano anche nelle frazioni pi piccole: basta unaia o un cortile, un paio di fuochi per piadina e salsiccia, quattro assi inchiodate come pista da ballo, una chitarra, un organetto e qualcuno che faccia il palo, per evitare visite sgradite. Ma non sono solo le feste improv-visate a rischiare la chiusura immediata. A Mordano, il Pretore fa sbaraccare gli stand a poche ore dallapertura, per ragioni di sicurezza legate al traffico. Allora gli organizzatori smontano la cucina, il banco della pesca con tutti i premi, i tavoli, le panche, il palco e la pista e si trasferiscono armi e bagagli in un campo l vicino, ma di l dal fiume Santerno, dove inizia la provincia di Ravenna e quindi finisce lautorit del pretore.

    Rispetto a questo clima generale, il nostro cineamatore comunista, per di pi incazzato col prefetto, ritrae una Festa dellUnit che sembra appartenere ad un altro tempo, o meglio: ad unaltra nazione. Dov il conflitto, lideologia, la lotta di classe che stillano da ogni articolo dei giornali dellepoca?E forse Bologna la Rossa che distorce la prospettiva? Una citt dove i comunisti giocano in casa, governano lo sviluppo, suscitano invidia e dunque possono permettersi una festa pi rilassata, meno politica e pi popolare?Bologna non una citt tipica dellItalia scrisse Pier Paolo Pasolini nel 75, definendola una terra separata, dove opulenza e comunismo vanno a braccetto, e cancellano cos ogni alternativa.Sar per questo che mi pare di assitere a una celebrazione istituzionale, di quelle che coinvolgono lintera cittadinanza, compresi gli uccelli, che dal cielo arrivano a stormi, e sembrano darsi convegno per il comizio di Togliatti? I quotidiani del giorno dopo raccontano ammirati o impauriti della folla strabocchevole raccolta in piazza Otto Agosto e lungo tutta via Indipendenza, dal Nettuno alla stazione, per non parlare della grande parata, che sfila per tre ore da Porta San Donato a Piazza dei Martiri, su per via Marconi fino a Piazza Malpighi.

    La Parata degli Amici dellUnit venne inventata nel 1947 e fu da subito un successo, fiumana car-nevalesca di carri allegorici, complessi ginnici, gruppi sportivi, bande musicali, cartelloni colorati, stendardi e bandiere. LUnit di quellanno la celebr con parole auliche: Se il ricordo della Parata potr col tempo svanire, mai potremo dimenticare quella selva di drappi fiammeggianti, simboli della nostra fede e delle nostre lotte. Galvanizzato dalla retorica del cronista, cerco quei drappi e quei simboli nella parata di quattro anni dopo e fatico a trovarne.Ci sono i cartelli con i nomi delle regioni italiane, come se lUnit che si festeggia fosse quella nazio-nale. Icone da agenzia turistica mettono insieme prodotti tipici, maschere tradizionali e monumenti di spicco. Nulla di politico, zero ideologia e cento per cento Belpaese. Nel fiammeggiare di bandiere intravedo pi volte quella a stelle & strisce degli Stati Uniti dAmerica, e va bene che non siamo ai tempi del Vietnam, ma in Corea gli yankee sparano contro le armate rosse di URSS e Cina, mentre qui vengono accolti con grande diplomazia.Forse sar colpa del bianco e nero, ma non vedo sventolare sciami di bandiere rosse: piuttosto lo stendardo arcobaleno dei pacifisti, mentre persino lUnit viene definito giornale della Pace. La co-lomba di No svolazza un po dapertutto, la parola comunismo non compare mai, e solo una falce e martello, piccola piccola, fa capolino sullangolo di due cartelloni, dedicati al trentesimo anniversario

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    del PCI. Sfila lorgoglio operaio di molte officine in agitazione - la Calzoni, Casaralta - ma le lotte dei lavoratori sono accompagnate da parole dordine generiche, come pace e libert. Lo slogan Chi italiano difenda le Reggiane e la nostra industria italiana sembra pi vicino allautarchia di Mussolini che allinternazionalismo di Lenin.Da Palmiro Togliatti mi aspetterei almeno un saluto a pugno chiuso e invece no: prima di lanciarsi in due ore di comizio, il Migliore si mostra ai compagni sventolando la manina, con il linguaggio del corpo di un papa in Vaticano. Sar per questo che a Roma, in quegli anni, di una ragazza disinibita si era soliti dire che laveva data a tutti, tranne che al papa e a Togliatti?E a proposito di ragazze... Sul palco delle autorit, non riesco a distinguere nemmeno una sagoma femminile, mentre la par-tecipazione alla parata dellUnione Donne Italiane si fa notare giusto per il modellino in scala della Mole Antonelliana, sospinto dalle compagne torinesi in mezzo a ginnaste e contadinelle in costumi tradizionali.Altre donne stanno in cucina a far la sfoglia, oppure si mettono in mostra per diventare stelline e vincere il concorso di bellezza che si faceva in tutte le feste, con le foto delle vincitrici pubblicate sui giornali delle diverse federazioni e spesso anche sullUnit, a pochi fogli di distanza dalla Pagina della Donna.Liniziativa era anche un modo per raccogliere fondi: Tu arrivavi - racconta Elio Zuppiroli di Castel San Pietro - e acquistavi i biglietti che ti permettevano di esprimere il voto. Quindi pi biglietti compra-vi, pi voti potevi esprimere. Considerando che i biglietti non costavano molto, puoi ben capire come a volte capitassero elezioni poco democratiche...A Osteriola facemmo un concorso in costume - ricorda Ivo Cattoli - Eravamo negli anni Cinquanta e levento non fu accettato, anzi, cre scandalo tra le compagne che lavoravano nelle cucine e diceva-no E noialtre? Cosa siamo? e allora io cercavo di consolarle dicendo loro: Ma voi siete Miss Tortelli, non avete bisogno di presentarvi cos.

    Sempre Pasolini scrisse che il Partito comunista italiano era un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico.Se tanta differenza cera davvero, e io sono convinto che almeno un po ce ne fosse, allora queste immagini non le rendono giustizia, e alla fine mi domando se non lo facciano di proposito. S, mi dico, il nostro cineamatore comunista e incazzato, rimuginava proprio questo, mentre sceglieva le sue inquadrature.Ecco qua, prefetto De Simone. Era di questo che avevi paura? Di questa folla composta, delle donne in cucina, dei sorrisi da miss, della pace e della libert?- Accettateci! Perch tutta questa paura? Noi siamo diversi, ma siamo uguali agli altri - grider trentot-to anni dopo Michele Apicella, funzionario del PCI dalla memoria appannata, in margine a una partita di pallanuoto. Diversi, ma uguali. Un ossimoro che i compagni, mi par di capire, si trascinano dietro fin dalle prime feste.O magari sono io che me lo porto in testa, fin da quella prima volta, alla Festa dellUnit di Parco Nord, sul finire dellestate del 1990.

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    Ugo Cornia

    STRADE

    Cera un racconto cos bello di mia zia Maria, che mi faceva sempre, di quando tra fine ottocento e inizio novecento dovevano andare da Modena a Pievepelago e si andava ancora con la diligenza tirata dai cavalli. Si prendeva la diligenza allinizio di via Giardini e ci si metteva un giorno e se rie-sco a ricordarmi bene si viaggiava anche la notte. Ogni tanto ci ripenso e mi chiedo comera tutta la storia e non riesco pi a ricordarla. Mentre invece mi ricordo ancora bene le storie che mi ha sempre raccontato mia zia Bruna, che aveva conosciuto uno di Roma, che stava lavorando a Modena e poi, dopo qualche anno si sono sposati, per dopo pochissimo che si erano sposati lui lo promuovono e deve tornare a lavorare a Roma, e allora tutti questi viaggi ad ogni festa da Roma a Modena, e non cera ancora lautostrada del sole, quindi partivi un giorno, in macchina, e arrivavi il giorno dopo e attraversare lappennino era unimpresa e poi pian piano, iniziano a costruire i primi pezzi di autostrada del sole e li aprivano un po per volta, e il viaggio diventava ogni volta un po pi breve. E ce nerano dei pezzi di auto-strada che non erano ancora aperti al pubblico, e non ci poteva entrare in verit, anche se non ce-

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    ra nessuno a controllarti, e se uno decideva di entrarci, diceva mia zia, era a suo rischio e pericolo, perch non sapevi dove potevi andare a finire, e suo marito invece questi pezzi dautostrada non ancora aperti li imboccava sempre, e certe volte andava bene, ti ritrovavi cinquanta chilometri pi avanti, invece altre volte ti trovavi di colpo con lasfalto che finiva in mezzo a un prato, o sul greto di un torrente, senza nessuna altra strada da imboccare. E lidea di una strada che a un certo punto finisca cos, si fermi, senza sboccare in unaltra strada, cio in pratica sia una strada senza uscita, mi rendo conto che per noi veramente unidea strana. E quindi cosa devono essere state per la gente le strade che pian piano venivano asfaltate e sistemate e collegavano un posto con laltro per andarci in automobile, e poi le strade che non cerano mai state e un bel momento venivano costru-ite. E mi ricordo anche, con mia madre, andando a casa sua, sullappennino bolognese, quando da bambina non andava in macchina con suo padre e doveva prendere dei mezzi sostitutivi, e noi trentanni dopo, nel 70, stavamo andando su in macchina di nuovo a casa sua, e lei guidava e mi diceva che partendo da Modena fino a l si arrivava con un treno, e poi dovevi cambiar treno, fa-cevi laltro pezzo via treno, scendevi e prendevi la corriera, ma anche la corriera a un certo punto si fermava perch in quel punto si fermava anche la strada asfaltata. Gli ultimi quindici chilometri ti venivano a prendere col carro.

    Per quanto riguarda me direttamente, a diciottanni, pi o meno come tutti, ho preso subito la paten-te e avevo una grande smania di guidare e andare in giro e infatti, sia da solo che con degli amici, appena potevo mi mettevo in macchina per andare di qua e di l. E circa dieci anni dopo, ma forse anche un po meno di dieci anni, mio padre un giorno mi ha detto che si era fatto due calcoli e mi ha accusato di aver fatto pi di trecentomila chilometri con la sua macchina, e io un po cercavo di contestare questo suo calcolo, ma la macchina aveva fatto allincirca trecentosettantamila chilo-metri, quindi mio padre aveva senzaltro ragione, perch lui ormai la macchina non la usava quasi pi. Per di pi io stavo ancora finendo di studiare, e quei trecentomila chilometri fatti con la sua macchina li avevo fatti principalmente andando a spasso, e non per lavoro, muovendomi su e gi per la provincia di Modena e Bologna, con frequenti puntate nel reggiano, e un po pi rare puntate nella zona di Parma e di Ferrara. Decisamente pi rari e occasionali, devo dire, erano stati i giri nelle zone di Piacenza, Ravenna, Forli e Rimini. Anche negli anni seguenti ho continuato a girare, anche se un po meno, e pi che altro per lavoro ho continuato a fare per una decina di anni dai cinquanta ai cento chilometri in macchina quasi tutti i giorni.

    E se ci penso conosco moltissime strade e anche moltissimi nomi di strade, e mi vien subito da pensare, per motivi miei privati, alla Porrettana, strada che ho fatto migliaia di volte, anche se uno che sta qua per prima cosa dovrebbe nominare la via Emilia, perch abitiamo in una regione che ha preso il suo nome, ma forse si anche formata, intorno a questa lunga strada che lattraversa tutta, fatta pi di duemila anni fa, (tomba romana) e io tra laltro un pezzetto di via Emilia, la via Emilia ovest di Modena, per cinque anni lho fatta tutti i giorni per un tratto di tre o quattro chilome-tri per andare alla scuola elementare, perch i miei mi avevano iscritto in questa scuola a tempo pieno che praticamente si affacciava sulla via Emilia ovest, in realt era a una cinquantina di metri di distanza dalla via Emilia, su una piazzetta. E quindi allora dobbiamo iniziare dicendo via Emilia, che tra laltro, nel duemilaetre/duemilaequattro per un anno ho lavorato a Castelfranco Emilia, e

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    quindi per un altranno mi sono fatto tutti i giorni altri trenta chilometri di via Emilia. Ma lasciando la via Emilia subito dopo diciamo Porrettana, e andando avanti a pensare a tutte queste strade che conosco, ancora dopo mi viene in mente la fondovalle Panaro, perch poi tutte le fondovalli, che nei loro percorsi si avvicinano e si allontanano da dei fiumi, e mentre vai a un certo punto vedi di colpo saltar fuori il fiume che l, con lacqua e i sassi, magari veramente a pochi metri, e poi la strada sale un po e il fiume si allontana e momentaneamente scompare, e vedi delle case, oppure soltanto degli alberi, e per magari due chilometri dopo la strada ridiscende e ti ritrovi di nuovo quasi al fiume, e anche la Porrettana una fondovalle, e non so se si chiami anche fondovalle Reno, o si chiami soltanto Porrettana, cio la strada per Porretta, come anche la Bazzanese e la Vignolese, cio la strada per Vignola e la strada per Bazzano, tutte strade che prendono il nome dalla localit di arrivo, e tutte queste strade in qualche modo mi stanno care per tanti motivi, che ci passavo per andare in un posto particolare, oppure che ci passavo per andare a trovare qualcuno, e se penso in particolare alla Vignolese, e poi alla Bazzanese, strade che io ho spesso percorso per andare in una mia casa sullappennino bolognese, quasi in toscana, e percorrevo prima la vignolese verso il casello dellautostrada del sole, e poi magari, se lautostrada del sole era bloccata, andavo avanti per immettermi sulla bazzanese e poi sulla Porrettana, ma tra vignolese e bazzanese ho sempre fatto una scorciatoia di qualche chilometro, forse cinque, su delle stradine secondarie, che offre questa straordinaria sequenza di nomi di frazioni, perch prima incontri una frazione che si chiama Altol, poi due chilometri dopo c un gruppo di case che si chiama California, e pochi chilometri dopo c Formica, e fin da bambini, quando eravamo in macchina, io e mia sorella ridevamo come matti a guardare questa sequenza di cartelli con Altol, California e Formica.

    Ma tornando a queste varie strade, sulle quali ho consumato quintali di gomme e di benzina mi viene anche da pensare alla Radici in Piano, cio alla strada per Sassuolo, dove andavo spesso con mia madre che a Sassuolo ci lavorava, e ci insegnava, e ci andavamo soprattutto nei mesi di giugno e luglio, quando la scuola era finita, perch mia madre andava in banca a prender lo stipen-dio, e mi ricordo che spesso in quei mesi le davano anche gli arretrati, e quindi, appena usciti dalla banca mi portava da qualche parte e mi regalava qualcosa, per cui questa strada Radici in Piano, se non sono in momenti di particolare cattivo umore, ha sempre avuto la caratteristica di mettermi di buon umore, come se ancora adesso, tutte le volte che faccio la radici in piano, arrivati in fondo ci fosse qualcuno che vuol darmi dei soldi. E la Radici in piano lho poi percorsa spesso in anche unestate in motorino, nel mese di luglio in cui compivo sedici anni, che avevo deciso di andare a lavorare per un mese in una fabbrica per tirar su i soldi per comprarmi il motorino, e mio padre mi aveva anticipato i soldi e avevo poi comprato invece il motorino per andare a lavorare, perch coi mezzi pubblici era un po proibitivo, ma poi cerano talmente tanti di quei camion sulla Radici, che quando sei in motorino e te li senti passare di fianco ti fanno un po spavento, per cui dopo un po non facevo pi la Radici in piano ma cercavo di arrivare fino agli sterminati sobborghi industriali di Sassuolo facendo vari pezzi di stradine secondarie parallele, anche se poi da Sassuolo partono tante altre strade che entrano nelle prime colline, e io nelle due ore di pausa pranzo prendevo il motorino e andavo a mangiarmi un panino in collina, e poi ti incrociavi con la pedemontana, e in tre chilometri eri gi nel reggiano.

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    Perch tutte le strade dellEmilia-Romagna hanno una loro stessa logica piuttosto ferrea, con questi lunghi assi est-ovest, costituiti dalla via Emilia, dallautostrada del sole pi lA quattordici, e appunto dalla pedemontana, e perpendicolarmente a questi assi est-ovest invece trovi tutte le fondovalli in direzione nord sud, e in mezzo tra tutte queste strade linfinito reticolato di tutte le piccole strade secondarie e talvolta anche minime, e queste fondovalli che a me piaceva tanto percorrere, in quello chiamerei il loro tratto sud, diciamo a partire dalla via emilia e verso la montagna, con tutte le loro curve ampie che si allontanano e poi si riavvicinano allalveo del fiume vivo, con lacqua, e a certi orari anche abbastanza vuote di traffico, in modo che si possa andare spediti, ma invece volevo poi parlare di queste fondovalli nel loro tratto nord, nel loro tratto che va dalla via Emilia al Po, come la Panaria bassa, queste strade lunghe e tendenzialmente dritte, con rettilinei puri talvolta lunghi anche cinque o sei chilometri, cinque o sei chilometri completamente dritti, e poi di colpo un ampissimo curvone verso destra, e poi un poco pi avanti, per esempio un chilometro, magari un altro curvone che invece va verso sinistra, anche quello amplissimo, e magari dei tratti alberati, come un viale di citt, anche se invece sei in piena campagna, coi tigli o i platani, e queste strade spesso hanno a un loro lato largine, e la Panaria bassa, strada che io ho dovuto fare, sempre per lavoro tutti i giorni per tre anni, e allinizio ero cos contento, dopo tre chilometri di via nonantolana mi buttavo sulla Panaria bassa, che inizia proprio attaccata allargine, e poi via, a gran velocit per non arrivare in ritardo, sulla Panaria bassa,e l, andando in direzione nord, sempre alla tua destra largine, tanto che mi dicevo sempre per questi tre anni che prima o poi, tornado in dietro, avrei vo-luto fermarmi una mezzoretta a farmi una passeggiata sullargine per vedere lacqua, e poi invece, visto che a tornare indietro uno ha sempre un po smania di ritornare a casa perch stanco, op-pure deve tornare perch deve andar da qualche parte, e quindi non mi sono mai fermato, e anche l davvero, due o tre rettilinei di una lunghezza sterminata, e ongi tanto invece un borgo di due o tre case, letteralmente due o tre case e basta con intorno cinque o sei di quei pioppi immensi, e io su questi infiniti rettilinei mi guardavo lorologio e vedendo che ero a pelo sullorario magari acceleravo, e inve poi per, vedendo delle strane figurine piccolissime in zona strada un chilometro pi avanti, magari attacavo a rallentare un po, che non si sa mai che cosa faccia la gente a bordo strada, e comunque sempre con quellargine che si vedeva a destra, a dieci metri dalla strada, oppure a trenta metri dalla strada, che tra la strada e largine in mezzo cera una fila di cinque o sei case, e poi di nuovo largine si allontanava dalla strada, e poi in fondo, poco prima di Finale, una serie bellissima di curve che durer cinque chilometri, e queste strade con argini io le ho sempre trovate meravigliose, e quando ho cambiato luogo di lavoro, e facevo per lultima volta la Panaria bassa, e nella mia testa mi dicevo basta, basta basta basta, mai pi Panaria bassa, perch dopo tre anni che lavevo fatta tutti i giorni, andando come un pazzo per non arrivare in ritardo, tutti i giorni cento chilometri, cinquanta a andare, cinquanta a tornare, io di quella strada non ne potevo proprio pi. E invece, cinque o sei mesi dopo, che ero dovuto tornare in questo posto in cui avevo lavorato a prendere della documentazione, e facendo la Panaria e guardando argine e case sparse e capi e i saltuari fabbriconi mi ero detto subito ma accidenti, ma come bella questa strada.

    Comunque, avendo detto la parola argini, anche sul Po mi ci piaceva andare, proprio sulla strada dellargine, zona Gualtieri, Guastalla, Boretto eccetera, altre volte invece verso Bondeno Stellata e le chiuse e le zone ferraresi, queste strade sullargine che costeggia le golene, e da un lato hai

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    laperta campagna, con quei paesi che ti vedi dallalto, come se tu stessi andando a altezza tetti, mentre dallaltro lato pioppeti e pioppeti e pioppeti, e a nu certo punto invece il Po che l, e poi di nuovo ancora pioppeti.

    Perch per me lavvenimento questo, che tutte le strade sono belle, e sono belle perch in so-stanza son fatte di aria perta, immense qunatit di aria aperta intorno a te, aria aperta traversata da altre cose, vive e non vive, naturali e artificiali, e anche se sei l per strada per lavoro, e quindi a prima vista non dovresti neanche divertirti, ma a un certo punto pu sempre esserci qualcosa che ti passa davanti. Negli ultimi tempi, per esempio, che ho fatto lautostrada del sole, almeno due o tre volte al mese, almeno una volta su due, che uscivo al casello di Sasso, due cornacchie grige appollaiate sul guardrail, le avr viste forse venti volte, forse di pi, e queste cornacchie grige che ormai frequentano tranquillamente le strade, e si sono abituate alle macchine, varie volte le ho vi-ste tranquille passeggiare in corsia demergenza nel tratto appenninico, incuranti delle macchine che stanno passando a neanche due metri da loro, come se avessero imparato che sulla corsia demergenza stanno al sicuro.

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