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Per una visualizzazione sociologica della sfera ludicaTRANSCRIPT
GAMESCAPE Per una visualizzazione sociologica della sfera ludica
08 Autunno
Enrico Gandolfi
CMCS Working Papers – Blue Label
Gamescape 5
Enrico Gandolfi
Il Gamescape Per una visualizzazione sociologica
della sfera ludica
Rome CMCS Working Papers © 2013
6 CMCS Working Papers
Published by Centre for Media and Communication Studies “Massimo Baldini” LUISS University Department of Political Sciences Viale Romania, 32 – 00197 Roma RM – Italy Copyright in editorial matters, CMCS © 2013 Copyright CMCS WP 04/2013 – Il Gamescape. Per una visualizzazione sociologica della sfera ludica – Enrico Gandolfi © 2013 ISBN 978-88-6536-015-6 All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system or transmitted in any form or by any means without the prior permission in writing of the publisher nor be issued to the public or circulated in any form of binding or cover other than that in which it is published. In the interests of providing a free flow of debate, views expressed in this CMCS WP are not necessarily those of the editors or the LUISS University. CMCS Working Papers are peer reviewed (double blind review system) CMCS Working Papers blue label are accepted papers but not peer reviewed
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Il Gamescape. Per una visualizzazione sociologica della sfera ludica Enrico Gandolfi LUISS University [email protected]
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l concetto di gioco comporta un numero talmente elevato
di variabili e superfici da risultare sfuggente a ogni
tentativo di inquadramento univoco; la sua contestualità
rende ogni approdo raggiunto, sempre se attuabile, una
conquista temporanea. Le varie discipline che hanno tentato di
analizzarlo compongono nel complesso un diorama in cui, più
che visioni corali e sistemiche, sono le singole autorialità ad
emergere; nomi quali Huizinga e Callois, di seguito trattati,
ricorrono in quasi tutte le principali proposte sul tema, non
ultima quella sociologica. Ed è proprio questo settore di studi
ad aver sempre mostrato un atteggiamento distaccato rispetto
al tema, affidandosi prevalentemente a studiosi che potremmo
definire “classici”, esterni, e conferendo al gioco un'identità
derivata piuttosto che propria. A confronto la psicologia, la
semiotica, l’antropologia e la nascente ludologia, pur nelle
relative differenze, hanno consolidato prospettive più
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organiche ed esaustive, influenzandosi a vicenda e piegando il
termine in base alle proprie inclinazioni. Tuttavia, l’ambito
sociale del ludico e la sua crescente importanza nel nostro
contemporaneo sono fattori che l’approccio sociologico può
aiutare ad indagare in maniera proficua, per lo sguardo
specifico e gli attrezzi operativi che è in grado di garantire;
processi diffusi quali l’intrattenimento digitale e la graduale
estensione del periodo giovanile rendono del resto sempre più
urgente un simile interesse. Di conseguenza l’obiettivo di
questo saggio è offrire una lente sociologica sul fenomeno del
ludico in grado di funzionare quale frame interpretativo, sia da
un punto di vista micro che volendo adottare una visuale
macro, a volo d'uccello.
1. Le prospettive classiche sul gioco
Non è questa la sede per una disamina di tutti i contributi che
hanno cadenzato l’evoluzione del concetto di gioco in ambito
accademico e non. Ci limiteremo a segnalare le proposte più
significative nell'ambito delle scienze sociali, al fine di offrire
un background generale riguardo allo stato d’arte raggiunto e
agli snodi problematici che permangono.
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L'operato di Mead è il punto di inizio della nostra riflessione:
attraverso la sua celebre distinzione tra play e game ha
conferito piena legittimità al gioco nell'infanzia, in quanto
tramite per la costruzione identitaria e passaggio essenziale di
socializzazione. Ancora, ha posto le basi di una delle più
fortunate visioni microsociologiche, ovvero l’interazionismo
simbolico. Rappresenta uno degli approcci cardine da cui si
dipana un concetto di cultura fluida, mutevole, che verrà poi
accolto in toto nelle formulazioni tipiche della soft culture, da
Crane a Griswold, da Di Maggio a Swidler, senza dimenticare il
frame proposto dai Cultural Studies nelle relative ramificazioni.
Lo scambio simbolico e la conoscenza dell’altro grazie
l’assunzione graduale dei ruoli nel confront intersoggettivo
contribuiscono alla formulazione di un concetto di cultura
inedito, che erode l’impianto funzionalista a esso
contemporaneo. Il ludico diviene il riscaldamento, il processo
‘nido’ per la costruzione identitaria attraverso lo strumento
dell’identificazione (aspettative e appartenenza) ma anche
dell’individuazione (ciò che mi rende unico). Avviene quindi un
complicarsi dell’equilibrio sistemico parsoniano che molto
deve al momento del gioco, di per sé incerto ma capace di
protrarsi oltre l’età infantile e perdere ogni propria, presunta,
innocenza (Mead e Morris 1934).
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Huizinga, il padre putativo di ogni interesse accademico sul
tema del ludico, per tali motivazioni considera il gioco
antesignano rispetto alla storia, una forma di conoscenza
pregressa che è ben più di quanto riveli all’apparenza: “perché
il gioco, qualunque sia l’essenza sua, non è materia … Riguardo
a un mondo di immagini come determinato da un mero
rapporto di forze, il gioco sarebbe una sovrabbondanza nel
senso proprio della parola”. Il gioco ci pone oltre l’automatismo
ma anche al di là del puro esercizio raziocinante, essendo per
Huizinga espressamente irrazionale. A riguardo “Egli [l’uomo]
trova il gioco nella cultura come una data grandezza, esistente
prima della cultura stessa che ne viene accompagnata poi e
attraversata, dal principio sino alla fase di cultura in cui
l’indagatore stesso vive” (2002, 7). La cultura diviene una sorta
di cristallizzazione di forma sociale d’appoggio, tanto che la
cultura primitiva è per l’antropologo olandese nell’essenza
ludica, proprio perché caratterizzata dall’assenza di distacco
tra creduto e simulato:
La concezione chiarita qui sotto è la seguente: la cultura sorge in forma ludica, la cultura è dapprima giocata … Nei giochi e con i giochi la vita sociale si riveste di forme sopra-‐biologiche che le conferiscono maggiore valore. Con quei giochi la collettività esprime la sua interpretazione della vita e del mondo … . [Questo vuol dire che] la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco, viene rappresentata in forme e stati d’animo
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ludici. … Il gioco è il fatto primario, oggettivo, percettibile, determinato concretamente; mentre cultura non è che la qualifica applicata dal nostro giudizio storico al dato caso. (55)
Fondamentali sono poi le sue riflessioni sulla delimitazione
temporale e spaziale che il gioco comporta, che piegano il
normale corso e il consueto posizionamento degli eventi;
analogamente le regole sono essenziali per mantenere
l'illusione ludica (in-‐lusio, appunto “essere nel gioco”), e
costituire quel “cerchio magico” che è ambito delimitato
d’azione di natura artificiale che esula dal reale. E’ lo stesso
riferimento alle regole che permea la stessa linfa del
movimento artistico del barocco, che nel dettaglio esasperato
cerca di evocare un moto di infinito: nell’assenza di riferimenti
la norma permette una scala per sondare il nulla, che senza
simili appigli rimane, semplicemente, niente. Lo stesso esito di
un gioco conta solo se chi partecipa entra all’interno di questa
bolla normativa e, aggiungiamo, comunicativa, ne accetta lo
statuto (59). Intendendo il gioco come modalità di conoscenza
e al contempo spazio a sé, Huizinga anticipa studiosi dalle
provenienze più disparate: per esempio Bateson (1955),
considerando il gioco come meta-‐comunicazione e passaggio
tra frame comunicativi, segnale di riconoscimento del segnale
stesso, riprende un percorso simile, una sorta di salto
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essenziale nel configurare un mondo artificiale, post-‐istintuale,
in cui muoversi; analogamente Goffman (1961) individua nel
limite ludico una sorta di membrana capace di filtrare elementi
della persona piuttosto che altri. Eppure, la riflessione di
Huizinga al giorno d’oggi rischia di apparire utopica, quasi
romantica: quando si riferisce al confronto agonale, e nello
specifico ai conflitti umani, il suo intendere il gioco come
modalità di soluzione pacifica, ovvero di intento trasformativo
di primo grado, ricorda Wells nel suo Piccole Guerre (1990)1 ma
rimanda anche a teorie ‘sempreverdi’, per quanto di antica
formulazione, come quella della guerra giusta.2
Qualche anno dopo Callois (2000) riprende il pensiero di
Huizinga, per quanto nella sua definizione spettacolo e
sacralità, elementi essenziali per l’antropologo olandese, sono
pilastri che dilatano ma al contempo restringono il fenomeno
1 Il celebre scrittore, tra i padri della fantascienza in letteratura, è considerato un precursore dei wargame da tavolo, da lui intesi con un’etica escapista capace di fungere da surrogato, da sfogo per l’aggressività umana: “Quanto è migliore questa amabile miniatura dell’Oggetto Reale! Qui c’è la cura omeopatica per lo stratega con la testa piena di idee. Qui si trovano l’attesa, il brivido, la tensione di vittorie o sconfitte, senza i corpi mutilati e sanguinanti. … Il mondo è fatto per viverci: vogliamo la sicurezza e la libertà. … Io offro il mio gioco per un fine sia particolare che generale: mandiamo questi monarchi spacconi … in un grande ‘Tempio della Guerra’ dove sfogare le loro indoli … . Il mio gioco è buon quanto il loro, e più assennato per via della misura”. (Wells 1990, 102-‐104). 2 Ovvero il tentativo di individuare criteri di legittimità e relativa correttezza nello svolgimento di un conflitto, anche quando esteso.
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ludico. Per lui, “tutto ciò che è mistero o simulacro per natura, è
vicino al gioco: ma bisogna che la parte della fantasia e del
divertimento prevalga, vale a dire che il mistero non sia visto
con riverente soggezione e il simulacro non sia origine o segno
di metamorfosi e di possessione”. Ancora, considerando il
gioco come avulso da ogni interesse materiale, Huizinga per
Callois dimentica un fenomeno comunque essenziale come il
gioco d’azzardo e la scommessa. Rimane valido l'assunto che
“c’è spostamento di proprietà, ma non produzione di beni”; ne
consegue un altro snodo centrale, ovvero che il gioco rimane
improduttivo, quindi a somma zero (21). Inoltre, il suo
concepire le regole è maggiormente fluido, e lo stesso ‘even if’
viene inquadrato in tale gabbia normativa, per quanto porosa.
Riassumendo, le caratteristiche del gioco lo rendono:
1. libero: privo di obbligazioni al giocare stesso; 2. separato: circoscritto nel tempo e nello spazio; 3. incerto: dal corso imprevedibile e dal risultato
comunque non certo ex ante; 4. improduttivo: non crea nulla di nuovo; 5. regolato: avviene all’interno di una legislazione ad hoc
vincolante; 6. fittizio: si palesa l’idea di sfondo di una realtà altra, di
una distanza rispetto alla vita normale. (26)
Callois ancora ne descrive le pulsioni principali, energie che
regolano invero l’intera vita umana: l’alea, ovvero il caso; il
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mimicry, la mimesi, l’illusione dell’attore; l’agon, ovvero la
competizione; e l’ilinx, la vertigine. Forze che caratterizzano
costantemente l’adulto, mischiate e opposte; categorie .che si
differenziano in base al fatto che sia la competizione, o il caso, o
il simulacro o ancora la vertigine ad alimentarle. Tra le quattro
pulsioni le commistioni sono ovviamente possibili, e mai come
nel contemporaneo evidenti a differenza di quanto osservato
nella formulazione originaria, in cui alcune diadi, come quella
tra alea e mimicry, risultavano impraticabili. Per il sociologo
francese il gioco ha comunque un peso sociale e culturale
analogo a quello nella visione del suo predecessore: “dare la
preferenza … [a una di queste categorie] contribuisce a
decidere l’avvenire di una civiltà” (24). La sua analisi si estende
anche alle problematiche interne dell’esperienza ludica, legate
alla rottura del cerchio magico: “a ognuna delle categorie
fondamentali corrisponde … una perversione specifica che è la
risultante dell’assenza di freno e protezione insieme” (62). Ciò
avviene quando i principi sono corrotti, nello specifico quando
l’universo di gioco si riversa su quello normale spazzando via i
confini, i limiti. La forza primaria del gioco e la sua centralità
istituzionale seguono qui un percorso analogo a quello
dell’interazionismo simbolico, con la divisione tra paidia,
l’energia iniziale, fresca, gioiosa, e ludus, il gusto per il
confronto che comporta una categorizzazione. Dalla loro
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unione nasce la capacità del gioco di riflettere e permettere la
focalizzazione degli snodi cruciali di una società, un elemento
che ritroveremo anche nelle recenti trattazioni di esperti e
game designer:
le regole sono inscindibili dal gioco non appena quest’ultimo acquisisce quella che chiamerò un’esistenza istituzionale. A partire da quel momento, esse entrano a far parte della sua natura e lo trasformano in strumento di cultura fecondo e decisivo. Resta comunque il fatto che all’origine del gioco c’è una libertà prima, originaria, che è esigenza di distensione e insieme distrazione e fantasia (…). Una simile potenza primaria d’improvvisazione e spensieratezza, che chiamo paidia, si incontra con il gusto della difficoltà gratuita, che propongo di chiamare ludus, per dare origine ai vari giochi cui si può attribuire senza esagerazione una funzione civilizzatrice. Essi illustrano, infatti, i valori morali e intellettuali di cuna cultura. E contribuiscono inoltre a puntualizzarli e svilupparli. (46)
Ma il ludus, per Callois che sociologo rimane, si lega alla moda,
rinnovandosi nei dilemmi e nelle prove proposti dal contesto in
cui siamo inseriti. Lo studioso francese osserva che ai suoi
tempi, nell’immediato dopoguerra, una certa componente
dell'ambito ludico si esplica nella forma di hobby, “attività
secondaria, gratuita, intrapresa e continuata unicamente per
piacere” nella società industriale (51). Una sorta di rivincita
sulla realtà (gli operai creano modellini e diorami delle
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macchine con cui lavorano ogni giorno). Si evidenzia qui a
nostro modo di vedere un elemento peculiare del gioco e delle
pratiche correllate, ovvero il suo ridurre e modellizzare al fine
di creare e ricreare una totalità dominabile, afferrabile.
Spostandoci di disciplina, più precisamente nelle scienze
matematiche ed economiche, la proposta di von Neumann e
Morgensten (1944) è un contributo da riportare sia per il
successo ottenuto che per la relativa chiarezza: la divisione tra
game (l’insieme delle regole che costituiscono il ludico) e il play
(l’attuazione concreta delle stesse) rimanda al famoso
distinguo del linguista francese Sausurre tra langue (la lingua
quale sistema) e parole (il parlato vero e proprio). E’ in altri
termini il delinearsi tra paradigma e sintagma: il primo
l’insieme di tutte le possibili connessioni di discorso nella sua
totalità e il secondo la sequenza lineare delle stesse quando
espresse nel concreto. E’ ovviamente una visione con limiti
precisi, anche perché rimanda all’idea astratta di gioco, basata
sulla razionalità del giocatore e su una competitività
costitutiva. Inoltre si deve aggiungere che diversi linguisti e
non hanno stemperato la divisione stessa tra lingua e parola,
intendendole come due realtà comunicanti e in rapporto se
vogliamo creativo; Lotman (1993) ha trattato il testo come
entità viva, generatrice di cultura e al centro di legami
traduttivi estesi (o “trasdotti”, cioè tradotti e assimilati da altri
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ambiti culturali), e decenni dopo Manovich (2002) nelle sue
riflessioni tra software e hardware e relativa ibridazione rompe
di nuovo questa distanza. Lo stessa ripartizione tra codice ed
enciclopedia operata da Eco (1975) è indicativa a riguardo: il
primo rimanda a una regola di correlazione (A significa B) che,
per quanto soggetta a interpretazione, presenta confini più
netti; la seconda richiama invece una produzione di senso
localmente interpretata, l’insieme di unità semiotiche intese in
quanto comunicative, culturali e interpretative: è la mappa
delle connessioni, dei collegamenti di senso che sottintendono
la semiosi umana. Qui l’interpretazione diviene preponderante,
per un processo costantemente in divenire, una ricerca in
riformulazione perenne. Davanti a un testo, alla sua storia e a
suo presentarsi devo trovare una cornice, un panorama di
riferimento testuale (seguendo un’accezione a maglie larghe di
questo aggettivo) che possano permettermi di abitarlo. Un
approccio strutturale, matematico o linguistico che sia, deve
quindi aprirsi per forza al contesto; l’enciclopedia si potrebbe
definire quale insieme di articolazioni, ovvero di connessioni
non necessarie per quanto, chiariamo, non totalmente
arbitrarie ma realtà comunque sociali, e quindi potenzialmente
soggette a strutturazione, egemonizzazione in senso
gramsciano, ecc.
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Tornando al gioco, altri contributi essenziali che citiamo
sinteticamente sono quelli di Winnicott (1971), per cui il gioco
diviene “oggetto transizionale”, che richiama a un altro, a una
conquista dell’autonomia, a una comunità e che richiama un
patteggiamento, una mediazione tra realtà e fantasia; è il
campo del possibile, ripreso poi da Turner (1986) quando
descrive il gioco in quanto “modo congiuntivo” di
rappresentare il mondo, il “come se”; un concetto sfuggente a
tutte le definizioni, a qualsiasi tentativo di imbrigliarlo e
catalogarlo. E’ fecondo pensare al gioco come a un campo di
battaglia di cui si tentano di individuare o delimitare i confini,
anche per la potenziale capacità sovversiva che esso comporta.
Maggiore attenzione vogliamo dedicare a Baudrillard, che nel
suo celebre Della Seduzione (1997) riflette sul ludico seguendo
una traccia assimilabile a quanto scritto finora, per quanto con
esiti che potremmo definire estremi: il giocare con il principio
di realtà risulterebbe perfino necessario per l’uomo; un atto
essenziale nella sua apparente futilità poiché funzionale a
coprire di senso una realtà oggettiva vuota, imprendibile,
spaesante:
Il gioco non è dunque fondato sul principio del piacere più di quanto lo sia sul principio di realtà. La sua risorsa è l’incanto della regola, e della sfera che essa descrive -‐ una sfera che non è affatto illusione o diversivo, ma un’altra logica, artificiale e iniziativa, in cui le determinazioni naturali della vita e della
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morte vengono a cadere. … Coscienza o inconscio: questa doppia determinazione vale per la sfera del senso e della legge, ma non per quella della regola e del gioco. La Legge traccia un sistema di senso e di valore virtualmente universale, Punta a un riconoscimento “oggettivo” basato sulla trascendenza, istanza di totalizzazione del reale … La Regola, invece, è immanente a uno schema ristretto, limitato, lo traccia senza trascenderlo, e all’interno di questo sistema è immutabile. … La sfera del gioco non è né finita né infinita -‐ è transfinita, forse. Ha una curvatura propria e in virtù di questa curvatura resiste all’infinito nello spazio analitico. (140)
Il parametro ludico ritaglia una chiusura quindi, un campo
dominabile nel suo non poter essere mai afferrato; è causato
dalla vertigine della regola che ci accompagna, dall’eterno
ritorno di Nietzsche, dalla logica barocca. Il gioco instaura un
mondo convenzionale, non necessario e neppure libero perché
evoca un sistema di obblighi e costrizioni; eppure ci salva
perché il fondamentale principio che lo governa è che “la scelta
della regola vi libera dalla legge” (139). In questo ambito,
esperito con basilare leggerezza, il quid del gioco diviene “la
passione cristallina che cancella la traccia e la memoria, che fa
perdere il senso” (141). La grandezza del gioco è quindi quella
di “sbarazzarsi dell’universale in uno spazio finito -‐ da questo
sbarazzarsi dell’uguaglianza nella parità duale immediata -‐ da
questo sbarazzarsi della libertà nell’obbligo -‐ da questo
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sbarazzarsi della Legge nell’arbitrarietà della Regola e del
cerimoniale” (143); il gioco cancella lo spazio, annulla il tempo,
e diviene quindi parodia di ogni totalizzazione. Tuttavia, per il
sociologo francese il rischio di un ridimensionamento dello
stesso nelle sue istanze più essenziali è al giorno d'oggi elevato,
a causa di un dilagante “misconoscimento della simulazione e
dell’indeterminazione vertiginosa che regola il disordine sacro
delle nostre vite … la cecità sul Grande Gioco, sul fatto che tutti
gli avvenimenti ‘reali’, tutti i nostri destini ‘reali’ sono già
passati non per una vita anteriore …, ma per un ciclo di
indeterminazione, per il ciclo di un gioco regolato e al tempo
stesso arbitrario … Questa logica ci sfugge, ed è sulla non
coscienza della simulazione che si fonda la nostra coscienza del
reale” (158). Nel contemporaneo il ludico viene insidiato da
domini estranei, che tentano di inglobarlo nelle funzionalità, in
una qualsiasi legge del valore.3 La critica si estende ai giochi
elettronici, che riportano a una modulazione ridotta, neutra,
essendo basati su un mero esercizio tecnico lasciano fuori ogni
immaginazione.
3 Per quanto non si concorda totalmente con tale proposta, la quantificazione dell’esperienza umana spesso associata alla gamification (si rimanda alle note successive) è un fenomeno che potrebbe essere collegato; la stessa ansia di computazione dell’esperienza ludica è un fenomeno di interesse (dal marketing all’accademia), per ora legato espressamente alle game metrics nell’ambito videoludico ma dalle potenzialità che potrebbero toccare anche giochi più tradizionali.
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2 Un gioco “a sé”: la proposta ludologica, tra autonomia e game design applicato
Esulando dalle proposte definitorie classiche, in tempi
relativamente recenti il confronto tra ludologia e narratologia
si è rilevato uno snodo vivo di discussione scientifica, con un
focus peculiare sul videogioco in quanto oggetto di contesa ma
invero esteso all’intero universo ludico. Ci riferiamo all'ormai
celebre “ludology-‐narratology debate” (Frasca 1999).
Semplificando, i fronti erano ripartiti tra coloro maggiormente
interessati al game design, e spesso promotori di una disciplina
autonoma dedicata interamente ai sistemi ludici (Aarseth
1997), e chi premeva su prospettive rodate e tradizionali per
analizzarli in quanto inedita modalità narrativa (Murray 1997).
Tale dibattito si è concluso con un sostanziale pareggio, o
meglio con una fusione dei contributi e un reciproco
empowerment (Mayra 2008). Non è questa la sede per entrare
nel merito, assai complesso, di tale cronologia di proposte e
controproposte, che si inserisce anche nello sfondo degli studi
sui new media. Ci basta osservare che l’attenzione dei ludologi
alla dimensione effettiva e fattuale del gioco è uno spunto
essenziale per la ricerca sociologica, sia che si voglia studiare
l’oggetto in sé sia che lo si intenda utilizzare in quanto metodo.
Ci stiamo riferendo a quell'ambito di studi multidisciplinare
che viene definito Game Studies, e che vede una forte
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eterogeneità di contributi, spesso focalizzati su oggetti di studio
specifici. Nonostante ciò, generalmente gli studiosi afferenti a
esso (che potremmo comunque far afferire a una ludologia
evoluta e meno partigiana) tendono a rintracciare i minimi
comun denominatori della propria neonata disciplina, e quindi
del concetto che le dà il nome; di conseguenza non sorprende
che da un ludologo (Juul 2005) arrivi la definizione forse più
esaustiva di cosa è gioco, alla luce dei tentativi che lo hanno
preceduto e di cui già abbiamo in parte trattato:
A game is a ruled-‐based system with a variable and quantifiable outcome, where different outcomes are assigned different values, the player exerts effort in order to influence the outcome, the player feels emotionally attached to the outcome, and the consequences of the activity are negotiable. (36)
Come rimarca egli stesso, questa definizione presenta
comunque alcune zone d’ombra: prima di tutto esistono
pratiche ludiche che non hanno regole definite (per esempio i
giochi di ruolo carta e penna come Dungeon and Dragons),
inoltre alcuni tra i più famosi videogiochi non prevedono
obiettivi determinati. Ancora, troviamo azioni, come
attraversare il traffico, che rispondono ad alcuni di questi
requisiti pur non rientrando nell'accezione di gioco. Seguendo
questi criteri le storie si differenziano per avere un outcome
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fisso, non richiedere lo sforzo del giocatore e mancare di
‘attachment’ (attaccamento emozionale), analogamente
all’ipertesto (in cui tuttavia l’input del lettore è richiesto). Lo
studioso danese conclude che il gioco può alla fine riferirsi a
due significati principali: un qualcosa di statico (insieme di
regole con specifiche proprietà; il gioco degli scacchi) o
un’attività o un evento che il giocatore compie (sistema che
cambia stato seguendo le regole naturali o implementate dal
giocatore o dal computer; l’effettivo giocare a scacchi); ciò
rimanda alla divisione tra langue e parole prima descritta, e
nell'ambito ludologico si traduce nel concepire il gioco come
prodotto-‐oggetto o come processo. Lo schema concettuale di
riferimento che Juul propone si basa fondamentalmente su
rules e fiction, e su tre livelli di analisi: il videogioco come
artefatto, il videogioco e il giocatore, il videogioco e il mondo
esterno. I videogiochi vengono quindi divisi in “games of
progression”, che pongono direttamente in essere sfide
consecutive (le avventure grafiche, riportabili su un foglio di
carta perché opere chiuse, definite), e in “games of emergence”,
dove il confronto tra regole del gioco e interazione del
giocatore porta ad esiti irreplicabili (esemplare è Pong, con
poche regole ma potenzialmente infinito, in cui ogni partita è
diversa dalla precedente). Risulta interessante il concetto di
“emergent gameplay”, riferito a un'esperienza di gioco con
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modalità non attese né previste dal game designer, e di
“emergent narrative”, in cui si accenna alla possibilità
dell’emergere di storie dai mondi funzionali che il medium
prevede; quest’ultimo un concetto comunque secondario nella
trattazione di Juul a causa delle forti differenze temporali tra
giochi e narrazione:
There are five crucial differences: the fictional is not predetermined when the player plays the game; games tend to be chronological; the actions of the play have a dual quality of occurring in play time and also being assigned meaning in the fictional world, thus the connection between the play time and the fictional time in a game is more direct than the connection between story and discourse; abstract games do not have fictional time, and therefore have only one level; games often project incoherent worlds that cannot be described using a coherent timeline. (160)
Contigue e spesso sinergiche alle posizioni dei ludologici sono
le riflessioni degli addetti ai lavori, game designer o esperti a
vario titolo dell'ambito ludico. Per game design si intende il
“process of coordinating the evolution of the design of a game”
(Bateman e Boon 2006, 4); uno scenario vasto per le varie
scuole e i molteplici modus operandi che lo animano anche per
i diversi ambiti in cui trova applicazione, industriali come
artigianali e di studio.
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Tra le numerose proposte di sintesi, il contributo di Katie Salen
e Eric Zimmerman (2004) risulta uno dei più influenti. La loro
definizione di gioco non si discosta da quelle già proposte, ma
apporta alcune innovazioni: “A game is a system in which
players engage in an artificial conflict, defined by rules, that
results in a quantifiable outcome” (80). Il gioco di base è quindi
un sistema, ovvero “a set of parts that relate to form a whole
contains all of the other special cases of this same concept” (50),
un punto assodato ormai nelle trattazioni specialistiche sul
tema e come visto ripreso da Juul. La loro analisi si riparte in
tre focus o schema, cioè modalità per “understanding games, a
lens that we can apply to the analysis or creation of any game”:
le regole, l'esperienza di gioco e la cultura. “Rules is a formal
primary schema, and focuses on the intrinsic mathematical
structures of games; Play is an experiential primary schema, and
emphasizes the player’s interaction with the game and other
players; Culture is a contextual primary schema, and highlights
the cultural contexts into which any game is embedded”. In
sintesi, “Schema refers to the way that the mind acquires,
represents, and transforms knowledge” (102). E un modello di
connessioni, piuttosto che una sintesi di definizioni. L'intendere
il play “a free movement within a more rigid structure” (304),
definizione che lo estende anche ad ambiti non ludici, segna un
punto mediano tra la formalità del sistema ludico e la
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contestualità di matrice culturale che lo circonda.4 La
simulazione, intesa come una “procedural representation of
aspects of ‘reality” (423)5 è appunto la rappresentazione
costruita dal sistema di gioco attraverso il play del giocatore;
essa “accade”, avviene sul momento grazie alle procedure che il
design ludico offre; modalità esperienziali comunqe integrate
all’interno della simulazione stessa, seguendo una coerenza di
combinazione: l’identità formale di un’unità di soldatini si
unisce alla capacità interattiva che questa vanta nei confronti
del sistema di gioco (l'essere forte o relativamente debole in
uno scontro). La rappresentazione procedurale è una
rappresentazione quindi congiunta, tra game e play, che
enfatizza il ruolo del giocatore in quanto parte attiva a livello di
azioni e situazioni avvenute de facto. Volendo semplificare,
attraverso le regole mettiamo in scena una particolare
performance che può essere narrativizzata e visualizzata. Tale
rapporto ovviamente permette esperienze ludiche variegate, in
4 A questo si collega il concetto di flow dello psicologo Csikszentmihalyi, altro autore spesso citato dagli esponenti dei game studies, che descrive uno stato di ingaggio capace di situarsi tra noia e ansietà; la sfida è dosare tra sfida e accessibilità della stessa, per non cadere nella noia ma neppure nella frustrazione. 5 Parliamo di un concetto comunque vasto, talvolta rigettato nell’associazione con il ludico proprio per la prevalenza previsionale, la ricerca iconica e la mancanza dell’incognita, elemento costitutivo della definizione che daremo di gioco.
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certi casi impreviste: nel caso del “transformative play”
parliamo di “when the free movement of play alters the more
rigid structures in whichittakes places” (507), ovvero un play
capace di essere sovversivo rispetto all'asset di norme di
partenza. A un livello culturale, ciò avviene quando il gioco non
si limita a riflettere la cultura, ma tenta di trasformarla; del
resto, “Any game that establishes a strong presence in culture
immediately engages with innumerable cultural structures”
(509). Ne consegue che, se qualsiasi gioco incorpora valori e
modelli del proprio tempo, le relative retoriche non sono mai
innocenti né totalmente astratte. Non sono rare le logiche
produttive che richiedono un'autorialità di secondo grado, da
parte quindi dei giocatori: si pensi al “Player-‐as-‐producer
paradigm”, che rimanda a una struttura ludica sorretta da
un’agency creativa sfiorando la meta-‐comunicazione (539).6 A
riguardo, un polo estremo è il game system, ovvero “a set of
components that function to gether across multiple games”
(546), una sorta di meta-‐design che deve essere flessibile ma al
contempo specifico. Esistono giochi o tool, anche a tripla A, che
si pongono questo obiettivo indubbiamente ambizioso anche
per il target specializzato e laborioso che richiede.
6 Casi esemplari sono The Sims e Little Big Planet.
32 CMCS Working Papers
La ripresa del magic circle di Huizinga ad opera dei due game
designer americani, in quanto ambito d’azione che esula dal
normale status di tempo e spazio evocato dalla pratica ludica,
viene tuttavia resa più sfumata da quei giochi che vengono
definiti pervasivi, definiti da Montola e colleghi come realtà che
hanno “one or more salient features that expand the
contractualmagic circle of play spatially, temporally, or socially”
(2009, pos. 512-‐514); giochi che avvengono nel quotidiano, in
spazi reali e senza una distinzione netta tra area interna di
gioco e perimetro esterno, svolti tra passanti ignari o
all'interno delle nostre routine, lavorative come domestiche.
Una dimensione del gioco viene quindi portata nell’ordinario,
rendendo maggiormente porosa l’illusione e i distinguo che ne
derivano.
Avvicinandoci geograficamente, il game designer italiano
Sciarra, autore tra gli altri del boardgame7 di successo Bang,
nella sua capillare disamina dell’ambito ludico (2010) definisce
il gioco in questi termini: “Il gioco è una forma d’arte in cui i
partecipanti interagiscono attivamente prendendo decisioni
consapevoli seguendo regole precise per perseguire un
obiettivo finale dichiarato e variabile” (44). E’ una proposta che 7 Semplicemente i giochi di società, per quanto il panorama dell’offerta sia al giorno d’oggi estremamente variegato e ben oltre prodotti classici quali Risiko o Monopoli.
Gamescape 33
sottolinea l’aspetto cooperativo che il gioco può assumere, un
lato spesso ignorato nelle trattazioni accademiche e non. Non
possiamo accogliere lo status artistico, elemento non consono
alla struttura della nostra indagine per l’eccessiva
problematicità che comporta; tuttavia tale visione rimarca un
elemento singolare di tutte queste definizioni formali, ovvero la
mancanza tra gli elementi costitutivi del “divertimento”. Questo
concetto appare con maggiore frequenza nei manuali di game
design, perché ideale misura di efficacia di un sistema ludico, di
norma finalizzato a intrattenere e coinvolgere i propri
giocatori; eppure risulta problematico da affrontare in sede
scientifica.
Jane McGonigal (2011), studiosa simbolo della gamification,8
propone come parziale risposta la volontarietà: riprendendo il
filosofo Suits, per cui il “giocare un gioco è il tentativo
volontario di superare ostacoli non necessari” (22) delinea
quali tratti fondanti del ludico i seguenti elementi:
• uno o un insieme di obbiettivi, per conferire un
senso di finalità all’esperienza;
8 Processo attraverso cui applicare a realtà, pratiche e logiche non ludiche elementi di gioco (di norma regole, obiettivi, ecc.). Un esempio evidente sono i trofei sbloccabili dopo aver raggiunto determinati risultati in esperienze mediali tra le più variegate, spesso soltanto medaglie simboliche che, tuttavia, sono parti integranti del sistema di ingaggio.
34 CMCS Working Papers
• le regole, che liberano la creatività e consentono il
pensiero strategico;
• il feedback, che sottintende la motivazione e
richiama l’idea di gioco in quanto comunicazione;
• la volontarietà della partecipazione, l’accettare le
regole, la presenza di un frame condiviso.
Da qui la game designer elenca una serie di snodi, di
caratteristiche dell’esperienza ludica che possono contribuire a
migliorare la nostra quotidianità, una sorta di riparazione della
realtà stessa con fini di utilità sociale, personale e pratica;
nello specifico, lei li definisce semplicemente hack: il life hack
sarebbe “un tipo di risoluzione pratica dei problemi creativa e
che in genere, ma non necessariamente, coinvolge i computer”
(198), che nello specifico si rivolge al miglioramento della
propria esistenza; non una sorta di autoaiuto ma pratica
sociale, leggera, collettiva e costruita insieme. Il primo, che
vogliamo incorporare nelle nostre riflessioni, è che il ludico
risponde a una vita intesa come troppo facile, eccessivamente
diluita; al contrario, il gioco può porci ostacoli capaci di
attivarci e facilitare la concentrazione, spronandoci e
svegliandoci; analogamente a questo, un hack ulteriore consiste
nella speranza che può donare il gioco, un elemento che la vita
Gamescape 35
a volte non consente (73). Un altro tratto specifico del ludico è
la possibilità di creare ambienti epici, capaci di evocare una
grandiosità che, per quanto sublime, abbia una traccia umana;
il gioco ci permette di partecipare a contesti estesi, eppure
fortemente connessi (113). Un legame che ci consente di
conoscere nuove persone, condividere esperienze e saggiare
modalità di comportamento inedite.
Personalmente e a seguito di questo excursus, la definizione di
gioco che emerge, seguendo soltanto un basilare scopo
euristico, è la seguente:
Un muoversi enciclopedico verso un’incognita artificialmente posta.
E’ un’accezione basilare, che non richiama il divertimento
poiché relativo9 e neppure la volontarietà (se mi costringono a
giocare, comunque la mia attività è e rimane ludica a livello
sociale); ci rendiamo conto che sia una lente sociologica quella
utilizzata, e che differenti prospettive evidenzierebbero tratti
9 La sceltà rispetto al problema sopra riportato è quindi di non inserirlo quale tratto costitutivo: viviamo nell'epoca dell’intrattenimento, al punto tale che giocare equivale a divertirsi, di norma in maniera futile; eppure ci stiamo riferendo a una percezione diffusa ma generalista, che presenta innumerevoli parentesi. Si pensi alla proposta dei serious games, ovvero di giochi che trattano tematiche non escapiste, talvolta con gameplay votati a istillare sensazioni tutt'altro che piacevoli.
36 CMCS Working Papers
diversi dai nostri. Il muoversi, ovvero il giocare (il play qui
ridimensionato rispetto al significato anglosassone) rimanda
alla presenza di un’entità che partecipa alla sessione ludica in
una qualsiasi modalità (attiva come passiva, per quanto questo
ovviamente comporti differenze trasversali). Se a volte
giochiamo senza un preciso orientamento, abbiamo aggiunto
l’aggettivo ‘enciclopedico’ perché il gioco possiede sempre un
orizzonte normativo di connessioni che lo attorniano; è il solo
tramite per creare una specificità, quel cerchio magico che,
anche quando impalpabile, permane. Rimandiamo al pensiero
di Eco prima esposto perché si intende una relazione aperta,
che può certo presentare limiti, anche stringenti (tutto è
interpretazione, non sovra-‐interpretazione), ma al contempo
risultare capace di notevole autonomia. L’incognita viene
invece preferita al concetto di problema perché rinvia a una
task sia incerta che capace di coinvolgere, di ingaggiare; si
vuole infatti uscire dalla logica artificiale di problem-‐solving
tipica delle definizioni ludologiche.
Tuttavia, ribadiamo che analizzare il gioco rimanendo confinati
alla relativa definizione rimane un’operazione senza possibilità
di successo; il suo stesso statuto è storicamente, socialmente e
ideologicamente connotato. Come consiglia Calleja (2011),
riprendendo Wittgenstein, bisogna considerare i giochi “not as
a rigidly defined set but as a family whose members share some
Gamescape 37
“family resemblances” … [,] a collective concept based on the
overlaps between various members of the family” (8-‐9). Proprio
per questo le riflessioni di esperti e addetti ai lavori possono
aiutarci a penetrare i meccanismi e l’apparente alchimia che il
gioco presenta, alla luce delle “ricette” suggerite e delle
esperienze professionali di rilievo (Fullerton 2008; Isbister e
Schaffer 2008); un game design sociologico o un’analisi
dell’istanza ludica all’interno di una determinata cultura
devono maggiormente interrogarsi sui processi e sui contesti di
sfondo, piuttosto che sulla coerenza formale di una determinata
definizione. A riguardo, nel prossimo paragrafo vogliamo
offrire un tool di analisi che possa essere utile per una visione
d’insieme di una determinata ‘ludosfera’, ovvero il gamescape.
3. Il gamescape
Passare dal dilemma definitorio allo scenario sociale che il
gioco pone in essere è il passaggio su cui intendiamo
focalizzarci; a tale scopo e per iniziare in maniera organica la
nostra disamina, si propone una tripartizione riguardo alle
possibili accezioni che il gioco può assumere:
38 CMCS Working Papers
• Gioco come prodotto: il rimando è all’analisi semiotica
del testo ludico, in riferimento a quei mercati dove il gioco si
costituisce anche attraverso un essenziale simulacro
fisico/virtuale con specifici design esperienziali. I tratti del
concetto di testo sono complessi e dal non scontato
inquadramento, ma rimangono un fronte essenziale da
scandagliare. Come osserva Sorice, “il testo … è un meccanismo
complesso, centrato su diverse modalità espressive e su
molteplici codici. … nel testo … la significazione ingloba … le
presupposizioni e le argomentazioni implicite” (2009, 164). Il
testo è quindi “unità comunicativa”, che si pone costantemente
in rapporto con la rete di relazioni testuali che lo attorniano,
divenendo insieme che ha, come proprio viatico, pratiche esse
stesse testuali. Nello specifico del ludico e a livello di
meccaniche ci riferiamo a ciò che si definisce “gameplay”,
ovvero “what doesn't change when you change the surface”
(Mäyrä 2008, 16), l'identità testuale del singolo gioco che lo
distingue dai propri analoghi; in altri termini le regole e la
relativa strutturazione. Da qui si passa alla dimensione
successiva.
• Gioco come pratica e processo: analisi delle pratiche
inerenti all’esperienza ludica, ovvero le modalità di consumo ed
eventuali rimandi collettivi e sociali. E’, in definitiva e
semplificando, il play anglosassone; nella nostra accezione
Gamescape 39
tuttavia esso è correlato a un sistema ludico, per quanto blando
e poroso esso possa essere. Il gioco può arrivare a configurarsi
come “potential site (...) for performative meaning-‐making”
(Mäyrä 2008, 45), attivando sentimenti comunitari rilevanti.
• Gioco come schema mentale: il gioco in quanto
schemata, in altri termini in quanto modello cognitivo ed
emozionale di pensiero e azione e, inoltre, laboratorio di
costruzione identitaria.
L’unione di queste tre lenti contribuisce alla forma sociale del
gioco, ovvero in quanto realtà emersa che viene percepita dalla
maggioranza come tale; è ovviamente un insieme
contestualizzato, riprendendo la lezione di Huizinga ed Eco.
Tale triangolatura, per essere compresa nelle proprie
connessioni, deve ancorarsi a un modello funzionale che
chiameremo gamescape, usando una terminologia che rimanda
al celebre quadro di flussi tracciato da Appadurai (1996).
Ripartendo il gioco, concetto che incorpora nel caso italiano
game e play, in queste tre dimensioni, la visione diviene quanto
meno più nitida anche nei reciproci contatti: per esempio,
secondo e terzo punto coprono l’ambito della performance
ludica, mentre secondo e primo entrano nel vivo dell’industria
40 CMCS Working Papers
creativa10 che soggiace a un determinato mercato ludico, e
richiedono una puntuale ricognizione sul fronte tecnologico. La
sociologia può ovviamente cercare di unificarle, e a riguardo un
aiuto per tracciare gli snodi analitici è rinvenibile nel modello
culturale proposto da Hall e Du Gay, per una visualizzazione
euristica del concetto di gamescape. Specifichiamo che quanto
parliamo di ‘ludico’ ci riferiamo a una pratica in se stessa ludica
e non al mero aggettivo, assai diffuso e spesso ambiguo,
significante nell’accezione generale frivolezza, disingaggio e
divertimento. Concetti che non respingiamo ma che difettano
nell'inquadrare in maniera esaustiva il fenomeno che
intendiamo analizzare.
3.1 Il circuito della cultura
Il “sistema gioco”, per quanto rimandi all’infanzia e con essa
abbia un legame centrale, si evidenzia nelle proprie dinamiche
10 Binomio, sempre più diffuso, con cui si intende “those industries which have their origin in individual creativity, skill and talent and which have a potential for wealth and job creation through the generation and exploitation of intellectual property” (DCMS 2001, 4). La preferiamo a quella più classica di ‘industria culturale’ poiché rimarca un rapporto bidirezionale tra audience e istituzioni (Caves 2000), e non una monodirezionalità del significato culturale di produttori onnipotenti innanzi a masse amorfe, mai esistite in termini concreti.
Gamescape 41
sociali nelle pratiche degli adulti, fuori dall’ombrello
legittimante e per certi versi costruito della tenera età; per
questo i nostri esempi riguarderanno espressamente tale
versante. In esso rientrano molteplici fattori e considerazioni di
natura eterogenea; la domanda non è tanto legata a una
definizione di gioco ma alla percezione dello stesso e attraverso
quale prospettiva. Ci sono giochi e giochi, e contesti differenti in
cui il loro svolgimento ha luogo. E’ indubbio che anche i
contenuti in sé risentono e operano in cornici di riferimento
altre, essendo il gioco immerso nella società e intessuto quindi
di sociale. I tabù che ancora oggi sono attribuiti ad alcuni media
ludici si scontrano con la legittimità attribuita all’esperienza del
gioco nell’affrontare temi particolarmente delicati: abbiamo
innumerevoli film che trattano dell'Olocausto, mentre i
videogiochi dedicati a questo argomento sono rari e spesso
legati a scenari indipendenti. A riguardo, la considerazione dei
confini ludici, o limen, è un punto essenziale. Parliamo delle
frontiere di dialogo con gli altri sistemi culturali e sociali,
secondo un’impostazione che a Lotman deve un’attenzione
puntuale per la necessità di auto-‐descrizione del sistema
stesso, che deve testualizzarsi e contestualizzarsi per emerge in
quanto unità a sé, anche in riferimento alle pratiche; tale forza
uniformante e centripeta tende a una modellizzazione comune,
per quanto l’interno rimanga variopinto e i contatti con
42 CMCS Working Papers
l’esterno sia talmente vicini da presentare aree e influenze
comuni (1993). Alcuni ludologi, tra cui il già citato Mäyrä,
hanno osservato che è proprio il concepire il gioco in quanto
significato e sistema culturale a essersi rilevato uno snodo
evolutivo dei game studies più recenti (2008, 13); come egli
stesso rimarca sono ipotizzabili due macrodimensioni per
analizzare il gioco: appunto quella formale, delle regole, e
quella legata alla rappresentazione, al potenziale significativo
che si lega all'esperienza ludica. La nostra proposta abbraccia
soprattutto quest'ultima, ma non nega le connessioni con la
prima, snodo testuale di riferimento.
Piuttosto che un sistema, invero, preferiamo pensarlo come
punto di convergenza, crocevia tra più ambiti, un delinearsi per
contatto. Soprattutto, e seguendo un’impostazione tipica dei
Cultural Studies ma non solo, risulta necessario individuare i
discrimini, le differenze fondanti che presiedono il codice
binario dello scambio comunicativo ludico e sul ludico. Le
risposte a questi quesiti non sono di univoca origine, e proprio
a tal fine il nostro inquadramento risulta necessariamente
caleidoscopico, sfuggente, alla costante ricerca di un referente
ulteriore.
Ma, esattamente, cos’è il gamescape? E’ la forma sociale assunta
dal gioco nel suo farsi concreto, un’aura che non è nulla di
irreale o illusorio, quanto ancorata a un’analisi puntuale di
Gamescape 43
cinque punti o passaggi, seguendo il circuito della cultura
ideato da Hall e du Gay (1996) (fig. 1).11 Il fine è riportare lo
scenario di flussi tra categorie non di soggetti, ma di
processi/azioni essenziali quali consumo, produzione,
regolazione, rappresentazione e identità, tutti collegati e
interconnessi nel ridare un affresco dei punti di attrito, scontro
o armonia nella formulazione del significato sociale, per quanto
esso sia policentrico nella propria genesi. Il gioco assume così
un volto intersoggettivo, complesso e si auspica esaustivo per
essere analizzato nella relativa portata culturale. Il fondamento
teorico è legato a una percezione dinamica del concetto stesso
di cultura; per Hall essa “is about “shared meanings (…)”.
Language is central to meaning and culture and has always been
regarded as the key repository of cultural values and meanings”
(1997, 1). La cultura si traduce in termini di mappe concettuali
e significati condivisi, attraverso due sistemi di
rappresentazione: il primo che elabora un insieme di
corrispondenze tra cose e il nostro sistema di concetti; il
secondo invece che costruisce un legame tra le nostre mappe
concettuali e un insieme di segni, organizzato in linguaggi e in
grado di stabilire un sistema di corrispondenze. E una
11
44 CMCS Working Papers
concezione che rimanda alla cultura e alla società intese quali
insieme di relazioni, come la semiosfera di natura lotmaniana o,
ancor prima, alla visione simmeliana di sociale quale totalità
dei rapporti comunicativi intersoggettivi. Il gamescape che
stiamo andando ad illustrare è del resto sia costrutto sociale
che realtà del singolo. Esistono design d'esperienza
espressamente ludici e connotati come tali, ma anche ambiti
che mostrano possibili appigli per una considerazione analoga,
pur non essendo associati al gioco. Essendo questi una
predisposizione umana e oggetto sfuso, posso forzarne i confini
e trovarlo praticamente ovunque: quei sistemi culturali che
permettono di visualizzare obiettivi a fronte di una struttura
relativamente porosa (si pensi al collezionismo) hanno con
esso una somiglianza intuitiva, ma potenzialmente e a livello
personale mi è concesso intendere anche il lavoro più faticoso
alla stregua di un'attività ludica; alla fine posso prendere tutto
“come un gioco”. Tali distanze ovviamente non sono date, ma
dipendono dal significato sociale che il ludico assume nel
contesto di riferimento.
Ricapitolando, il gamescape non è una figura astratta, ma uno
scenario in cui si rapportano forze ed energie con esiti sinergici
come conflittuali; è il prodotto ma anche il frame di riferimento
di un quadro di dialogo e confronto che circonda ciò che la
Gamescape 45
“gente” concorda essere, sotto taluni aspetti e per certi ambiti,
gioco.
Fig. 1 Circuito della cultura
Di seguito si offre una sintetica spiegazione dei singoli apici che
compongono il circuito culturale che dà la forma al gamescape,
ripresi dalla proposta di Hall e Du Gay con alcuni accorgimenti:
• La rappresentazione: ovvero come il peculiare ambito
ludico che si sta analizzando viene percepito, concepito e
46 CMCS Working Papers
rappresentato all’interno del contesto di riferimento. E’
un rimando allo stereotipo che riguarda tale attività e i
relativi attori, alle modalità con cui essi vengono
visualizzati in generale e nello specifico mediale.
Ovviamente il gioco è un concetto vasto, e per quanto esso
costituisca un frame generale le rappresentazioni
riguardano spesso gamescape specifici, che possono
comunque essere interconnessi a vario grado.
• L’identità: il peso a livello identitario che simili pratiche
possono comportare sull’individuo. E’ un ambito che
tenta di comprendere quali dinamiche ludiche specifiche
risultano in grado di innescarsi nella costruzione del sé, a
livello di codici e grammatiche individuali ma anche in
riferimento alla socialità evocata e richiesta. Il gioco da
questo punto di vista può fungere da schemata
nell’accezione di Di Maggio (1997), ovvero in quanto linea
d’azione, modello cognitivo culturalmente orientato.
Questo non tanto e non solo a livello di singola
performance, ma intendendo il ludico come luogo di
riscaldamento per gli schemata e addirittura per la
formulazione degli script di riferimento (Abelson e
Schank 1977). Di interesse risultano le storie ludiche,
intese come resoconti narrati, e quindi conferiti di senso,
Gamescape 47
delle esperienze di gioco; di conseguenza si giungere al
considerare il gioco stesso come ricordo, totem e fulcro
mnemonico per ancorare sensazioni, presupposti, visioni
del sé: la stessa partita è un concentrato esperienziale di
rilievo, capace di convogliare una focalizzazione
specifica.12 Non ultimo, il gioco, interamente o solo per
alcune specifiche, può caratterizzare interi settori di
affiliazione identitaria (si pensi alle tifoserie calcistiche),
subculturali come macroculturali.
• La produzione: l’analisi degli iter produttivi è un ulteriore
panorama da tenere in considerazione, in quanto l’humus
culturale che il gioco comporta viene sempre più prodotto
attraverso routine di elevata complessità. Il considerare le
istituzioni quali attori interagenti nella definizione di
gioco è quindi un passo obbligato, nella consapevolezza
dell’eventuale rapporto che si instaura tra di esse e le
audience di riferimento, senza dimenticare il filtro
comunicativo e le realtà definite ‘indipendenti’. Questa
analisi si estende quindi anche alle dinamiche autoriali e
12 L'”avatarizzazione”, ovvero il rendere palese la traccia della performance ludica attraverso punteggi e modifiche sul proprio simulacro o sulla propria plancia di gioco (anche il profilo di un social network), è una tendenza sempre più accentuata nello scenario che stiamo analizzando.
48 CMCS Working Papers
creative, scardinando possibilmente la comune
reificazione delle istituzioni.
• Il consumo: ovvero lo specifico delle pratiche che si
configurano come gioco. Tipologia e ritmi di consumo,
strategie e tattiche relative (le miniature di un wargame
sostituite con sagome di cartone), riflessi sociali di
riferimento (dagli incontri privati fino
all’associazionismo, non dimenticando anche in tale
categoria eventuali istanze subculturali e stili di vita), e
così via. E' in altri termini il play inteso in quanto
performance, per quanto l'analisi si estenda all’audience e
alle relative modalità di configurazione; riflettere sul
significato diffuso dell'ingaggio ludico, sulla naturalità
delle interfacce utilizzate per garantirlo e sui gameplay (o
design ludici) più affermati è uno sforzo di ricerca
direttamente collegato. Seguendo un'impostazione
sociologica e se vogliamo onnicomprensiva, si intendono
anche gli osservatori, ovvero coloro che fungono da
pubblico. Per quanto questo possa sembrare erroneo, ciò
si traduce comunque in forme di consumo che, seppur
passive (guardare una partita in televisione come allo
stadio), rappresentano una fonte di vitalità, anche
economica, per il fenomeno ludico che stiamo trattando e
Gamescape 49
un tramite centrale per il discorso identitario e di
rappresentazione.
• La regolazione: i sistemi e le regole di controllo (non
parliamo quindi delle rule formali, per quanto questa
differenza possa sfumare; si pensi alla moviola in partita,
ipotesi nel calcio e realtà nel rugby), pubbliche e private,
che il gioco segue. Non deve sorprendere che il gioco sia
stato per lungo tempo oggetto di restrizioni e
regolamentazioni, esplicite quanto implicite. Si entra
fondamentalmente nella questione del potere e
dell’egemonia, anche a fronte di casi attuali come la
gestione dei diritti di copyright in seno alle audience
attive e relativamente alle tecnologie proprietarie
(evidente quando si parla di engine grafici nella game
industry).
Bisogna osservare che questi snodi non sono legati a un
attore/oggetto sociale in maniera esclusiva, per quanto ci siano
alcune arterie preferenziali: per esempio, per quanto il sistema
di media concorra nel plasmare la rappresentazione di un
fenomeno, è anche gatekeeper tra consumo e produzione, ed è
altrettanto essenziale nell’interrogativo identitario o nelle sfide
di regolazione. Gli stessi stili di consumo hanno un impatto
essenziale sui modelli cognitivi, li alimentano o possono
50 CMCS Working Papers
mutarli, e il ruolo di alcune tipologie di negozianti è quindi
essenziale nell’ambito produttivo ma non di meno in quello di
pratica: per i giochi di carte collezionabili, i wargame o i
boardgame (da Magic a Warhammer) sono punti di riferimento
essenziali, spesso fungendo da moderni “oratori” e luoghi di
socializzazione dalla pre-‐adolescenza in poi. Ancora, lo stesso
testo di riferimento, il prodotto gioco, è la risultante di scelte
produttive, possibilità tecnologiche, consumo di riferimento e
così via. L’interconnessione che domina questo modello è, come
ribadito più volte, fluida, per quanto i concetti chiave che la
dominano, sia che siano ambiti di analisi (identità) o processi
che troviamo sparsi (potere, economia, subcultura, tecnologia),
sono ancorati, se vogliamo forti. Non parliamo di un
decentramento, di una totale libertà, ma di una centralità che
esiste e si palesa, per quanto costruita. Un passaggio essenziale
della visione dei Cultural Studies, e di pensatori come Sorice
(2006) e Couldry (2005), ma anche di outsider quali il filosofo
Dennett (1991), è che la destrutturazione che Hall e colleghi da
sempre hanno proposto anche grazie al concetto di
articolazione non sia anarchia analitica; piuttosto, un modello
di analisi per comprendere le tecnologie di costruzione e
mantenimento del potere stesso e delle istanze egemoniche, di
naturalizzazione. Si rifletta sull’illusione della centralità dei
media denunciata da Couldry (2003), o sulla percezione di
Gamescape 51
naturale fulcro di gravità riflessivo sconfessata da Dennett. In
sintesi, anche quando vogliamo visualizzare un panorama
culturale, una bolla con ispirazioni organicistiche, dobbiamo
ricordare che la forma sociale non segue per forza la
conformazione del potere, o quantomeno non la ricalca in
maniera pedissequa. Sia perché il potere è diffuso, come
direbbe Foucault, sia perché le élite che lo detengono, oltre a
essere più frammentate di quanto si voglia credere (come
Pareto aveva capito anzitempo), sono in costante dialogo con il
proprio ambiente. Ovviamente la distanza periferia-‐centro
persiste, ma i margini possono tagliarla trasversalmente
causando una disparità di codici e grammatiche; in definitiva,
periferia e subalterno non sono sempre sinonimi. Per
gamescape intendiamo quindi un ambito che si costruisce in
quanto unitario, pur nelle proprie ramificazioni e nelle
peculiarità interne. E’ un terreno culturale che si distingue dagli
altri perché legato al ludico, e il ludico in quanto concetto
richiede un’analisi puntuale delle articolazioni che lo
caratterizzano. La nostra giustificazione nell’evidenziarlo si
basa su due motivazioni fondamentali:
1) il gioco presenta istanze incerte, mai totalmente
controllabili, e ha un impatto rilevante sia a livello educativo
che in relazione al cosiddetto ‘tempo libero’. Inoltre, è collegato
52 CMCS Working Papers
a industrie creative che, in taluni casi, sopravanzano quelle che
al gioco non sono collegate. E’ quindi un fronte che possiamo
definire sensibile.
2) il gioco richiede visualizzazione a chi vi partecipa. Ovvero,
una quantificazione e un pensiero che si potrebbero definire
ingegneristici, a livello di meccaniche come di ambientazione
(per quanto esse possano essere blande e diffuse). Ciò spiega il
suo ruolo a livello formativo, ma anche la permanenza nell’età
adulta.
Ci sono settori che al proprio interno presentano più
gamescape, come quello sportivo o videoludico; nel secondo
caso i social game presentano una struttura a sé, e simile
discorso si può fare quando ci si riferisce a gamescape che
vengono monopolizzati da un singolo testo, come i MMORPG13
relativamente a World of Warcraft. Tale chiusura non segue il
modello luhmanniano, di base autistico e isola piuttosto che
arcipelago in un oceano di complessità caotica. Al contrario, i
punti delineati sono tramiti, visioni d’accesso, non roccaforti;
portali di contatto con altri quadri culturali ma anche con
ulteriori gamescape. Di conseguenza, il gamescape deve essere
analizzato diacronicamente (la sua evoluzione storica) che
sincronicamente, cioè la relazione con i sistemi ludici e para-‐
13 Massime Multiplayer Online Role Playing Game, ovvero giochi di ruolo massivi online.
Gamescape 53
ludici (contigui per pratiche, immaginari e poteri simbolici che
socialmente e storicamente sono inclini a una traduzione
culturale, appunto articolazioni;14 a volte questa simbiosi può
anche essere frutto o comunque alimentata da economie di
prodotto, seguendo una logica crossmediale) che lo attorniano:
in questo caso il dialogo si complica, connotandosi sia di
elementi di mutuo rinforzo che di conflittualità e opposizione,
seguendo la dinamica individuazione-‐identificazione tipica del
processo identitario. L’attenzione va anche ai testi in sé, alcuni
capaci di fondare nuove realtà di consumo o rifondare
gamescape creduti estinti; simmetricamente, quando un testo
ludico fa il suo esordio, si innesta in un gamescape di
riferimento, essenziale da analizzare per comprenderne
l’impatto: il focus si estende così alle evoluzioni, alle
contaminazioni, addirittura ai plagi. Non si deve tuttavia
confondere il genere con il gamescape: mentre il primo è
l’insieme delle isotopie testuali che identificano una particolare
14 Si pensi a Il signore degli anelli, la cui trilogia filmica a livello di rappresentazione ha sdoganato un’estetica comune e legata anche a differenti ambii ludici che ne hanno giovato direttamente ma anche indirettamente; oppure ai Lego, una sorta di ponte per tradurre e riformulare saghe rodate per un pubblico anche giovanissimo (ancora Il signore degli anelli, o Star Wars) anche in chiave videoludica (una sorta di ri-‐estetizzazione per favorire l’accesso delle nuove generazioni); un brand tuttavia ancora apprezzato dalle fasce più adulte dei consumatori, che hanno serie a loro espressamente dedicate.
54 CMCS Working Papers
coerenza d’insieme, il secondo rimanda a un fenomeno sociale
più esteso, comportando le istituzioni, l’audience e, quindi, il
contesto. Precisiamo che non sempre un mercato preside il
gamescape; analogamente possono esserci più pratiche che
rientrano nello stesso ombrello di riferimento: si pensi alla
versatilità di alcuni ambienti testuali e di pratica che
presentano differenze anche molto marcate nel proprio
scenario. Ancora, non è scontato che una bolla ludica sia
specificamente legata a un medium, per quanto ci siano una o
più piattaforme tecniche preferite.
I rapporti interni che regolano i punti del gamescape si situano
su una differenza costituiva, una linea di frattura che, per
quanto presieda un processo fluido e non deterministico, esiste.
Chiamiamo “fraglia” questo confine, una linea attraverso cui
dispositivi, attori e realtà di varia natura possono operare. Sono
gli attanti differenziali, coloro che provvedono a quei punti di
sutura che articolano le singole fasi del processo culturale. La
classica figura del gatekeeper come guardiano, filtro tra
audience e istituzioni, è paradigmatica di tale posizionamento.
Ma i corpi intermedi culturali (veri o presunti) possono essere
tra i più disparati: aziende con particolari modalità di business
(si pensi a Valve con il servizio Steam o alla piattaforma
Gamescape 55
kickstarter15), associazioni, comunicatori, negozianti, ecc. Il
punto è che certe pratiche sociali sono attivabili e diventano
tali se le istanze produttive (ecc) vengono convogliate,
inglobate in modalità concretamente sostenibili. Alcuni giochi
non decollano per problemi di community, e per quanto le
aziende siano sempre più ricettive (si pensi ai giochi di carte
collezionabili, o alle aperture di major come Electronic Arts), in
molti ambiti ludici le associazioni nascono proprio per offrire
un caposaldo organizzativo di cui si avverte il vuoto, in grado di
incidere a sua volta sugli altri punti del circuito culturale.
3.2 Continuum di riferimento
Al di là delle specifiche peculiarità, ci sono dei tratti generali
che il gamescape può assumere, aiutandoci a carpirne la
fisionomia. Tralasciando la grandezza (possono sussistere
ambiti vasti come molto ristretti, si pensi ai già citati pervasive
games che, per quanto oggetto di innumerevoli studi,
15 Realtà affermata di crowsourcing sempre più abitata da nomi altisonanti, causando una perdita di attenzione verso i ‘veri’ indipendenti. L’autoproduzione è senz’altro una realtà sempre più presente in diversi rami del ludico (dai boardgame ai giochi di ruolo da tavolo), ma presenta snodi problematici come l’assenza di filtri effettivi e talvolta la mancanza di competenze non creative eppure necessarie.
56 CMCS Working Papers
rimangono una realtà minore), la legittimità e così via, macro-‐
concetti da sondare ma che meriterebbero un discorso a parte
e maggiormente trasversale, vogliamo concentrarci su alcune
dimensioni che consideriamo chiave; presentiamo quindi dei
continuum di caratteri significativi, ci rendiamo conto non
esaustivi ma capaci di incidere in maniera significativa sulla
forma sociale che il gioco di volta in volta assume.
Puro-‐Derivato
La differenza è tra ambiti ludici originali e gamescape derivati o
comunque riformulati da altri campi, non ludici. Si pensi al
gioco di ruolo dal vivo, nato dal gioco di ruolo da tavolo, a sua
volta derivato dai wargame. Per certi versi tutti i gamescape
hanno predecessori, ancestrali o recenti che siano. Eppure,
alcune genesi si palesano particolarmente, spesso per la
connessione con mercati in espansione; quello
dell’intrattenimento, soprattutto elettronico, è del resto
centrale nel contemporaneo. Ciò è essenziale per comprendere
l’eredità che una forma sociale ludica presenta, sia in quanto
derivazione testuale sia nella funzione di ponte per audience e
rappresentazione. Quando poi si parla di famiglie di gamescape,
unite per esempio da un solo medium tecnologico ma a livello
culturale differenziate, la derivazione è di nuovo centrale. Come
vedremo, questo può anche dipendere dal singolo contesto e,
Gamescape 57
inoltre, far sì che pratiche culturali si discostino dalla loro
origine in game e diventino autonome e non propriamente
ludiche; si possono identificare come ambiti di pratica e
produzione (per quanto comportino anche le altre tre analisi
del circuito culturale) sub-‐ludici che si sdoganano. Si pensi al
fenomeno del cosplayer che, per quanto derivi anche da un
impulso giapponese, ha tratto una forte linfa dal gioco di ruolo
dal vivo in occidente. In questo caso la derivazione è palese ma
non si traduce in una cesura netta, quanto in un dialogo
comunque presente e in un perpetuarsi in entrambe le sfere
culturali, pur con le relative declinazioni; le istituzioni nello
specifico più volte si sono rivelate in grado di sfruttare queste
nicchie quando spettacolari, proprio perché contigue e di facile
accesso (per esempio il caso di Ubisoft per il suo brand Assassin
Creed, spesso promosso con eventi di appassionati in costume).
Monocentrico-‐Policentrico
Dominati da poche aziende/testi o viceversa, estremamente
complessi al proprio interno anche da una prospettiva legata
alla diffusione del potere. Il riferimento in certi casi è anche a
un forte monopolio od oligopolio, all’opposto a una
frammentazione di piccole realtà, anche indipendenti e
artigianali. Si conviene che non è un tratto stabile e scontato, e
può alterarsi in base alle contingenze. Tornando all’esempio
58 CMCS Working Papers
precedente, Wizards of the Coast è l’azienda detentrice dei
diritti del gioco di carte collezionabili Magic the Cathering,
realtà storica e diffusa in tutto il mondo, che solo realtà minori
e legate a brand riconosciuti di altro tipo insidiano
periodicamente. Gamesworkshop ha invece una forte presa sui
wargame tridimensionali con Warhammer e Warhammer
40.000. Dungeons and Drangons è il testo sinonimo di RPG16 da
tavolo, e così via. La concentrazione nell’ambito videoludico è
invece molto più sfumata e cadenzata da crolli e rinascite, per
quanto anche qui i nomi capaci di accentrare capitali ed energie
siano noti. Questa analisi deve interessarsi anche dei testi e dei
tratti testuali (l'eterogeneità dell'offerta non è sempre parallela
alla conformazione dei poli produttivi, per quanto una certa
assonanza sussista sempre) ed estendersi anche alle comunità
e alle modalità di consumo; questo nel tentativo di
comprendere se ci sono target e corpi intermedi capaci di
un’effettiva presa sul discorso culturale oppure se ci stiamo
riferendo a una miscellanea di istituzioni; ancora, è necessario
rivolgersi all’immaginario e al potere simbolico di riferimento,
anche quando questi non sono direttamente legati al discorso
sul gioco e presentano legami secondari.
16 Role Playing Game, ovvero gioco di ruolo.
Gamescape 59
Chiuso-‐Aperto (capacità traduttiva)
Un gamescape può seguire un andamento chiuso e a sé stante,
poco incline al dialogo con altri ambiti culturali e sociali. Per
quanto un legame sia sempre possibile e una chiusura totale
impensabile, tali scenari non presentano canali di connessione
apprezzabili con ciò che li circonda, rimanendo monolitici. Uno
stato a volte che si cerca di superare o, quantomeno, di
ridimensionare, perché può tradursi in una contrazione a
livello rappresentazionale e di risorse. All'opposto, l’apertura
rimanda a una forte predisposizione alla contaminazione,
attutata e subita: il riferimento è ad altri gamescape, ad
industrie e mercati creativi ancillari, ecc. Il tipo di contatto può
variare, legandosi al consumo o a una rappresentazione che
diviene così ibrida. Si pensi a quanto il videogioco abbia colpito
l’immaginario attuale e a come il gioco di ruolo da tavolo sia
lentamente entrato nella percezione condivisa. Un'apertura che
potremmo definire “interna” è quella legata a giochi articolati,
in cui il momento ludico è soltanto una delle fasi che
compongono l'intera esperienza: il wargame per esempio offre
varie tappe esperienziali, dalla conoscenza dell'ambientazione
alla pittura delle miniatura, prima di arrivare alla partita vera e
propria. Ciò offre margini ulteriori, talvolta capaci di una
relativa autonomia e, per alcuni soggetti, di diventare rilevanti
rispetto al momento di gioco vero e proprio.
60 CMCS Working Papers
Guida-‐riflesso (direzione della traduzione)
Un gamescape può essere guida, traino per altri gamescape e
non solo, che gli fungono da riflesso o comunque da appendici,
a volte riproponendo il posizionamento sui continuum (un
videogioco di calcio ha maggiore successo in Europa che negli
Stati Uniti, l’opposto per una simulazione di football
americano); il secondo estremo può anche dipendere da ambiti
culturali guida che non siano per forza legati al ludico. Al centro
troviamo un punto mediano ideale, l’interconnessione, che
rinvia a legame di congiunzione (continua come alternata), a
uno scambio paritario di input. Parliamo in sintesi del livello di
generatività effettiva del panorama ludico. Questa
considerazione è valida in generale ma, soprattutto, seguendo
un’ottica comparativa. I boardgame per esempio, pur essendo
aperti, prendono molto sia da gamescape rodati (quiz show
televisivi, videogiochi che sono per l’espansione una guida
diffusa, gioco di ruolo da tavolo) ma anche da immaginari non
ludici (cult letterari, film hollywoodiani, ecc). Ancora, sono
spesso intesi come ambito ludico sostenibile per i giocatori
adulti, rispetto ad altri più dispendiosi in termini di tempo e
impegno. Se ne conviene che sono considerazioni fortemente
legate ai trend industriali e di fruizione, ma la loro presenza
rende possibile la percezione di nebulose culturali generali e
Gamescape 61
specifiche di rilievo, per esempio quelle denominate “nerd”,
“geek” e “gamer”; tag identitari la cui definizione operativa
dipende fortemente dalle pratiche di gioco. Ancora, possono
esserci tendenze di espansione per cui si mira a colonizzare
spazi prima estranei, si pensi appunto alla già citata
gamification. Infine, un ambito ludico può avere una funzione
strumentale per la salute di altri sistemi correlati anche a
seguito di una strategia consapevole: si pensi alla politica di
Sony riguardo all’apparato videoludico nel nome della sinergia
tra gli apparati produttivi, diversa rispetto all’impostazione di
Microsoft, maggiormente focalizzata sulla scala piuttosto che
sul prodotto. Infine, queste considerazioni entrano nel merito
delle modalità con cui la “traduzione ludica“ (da film a gioco) e
la “traduzione interludica” (da tipo di gioco a tipo di gioco)
siano attuate da un punto di vista sociosemiotico quanto
formale; sono quindi da rilevare i trend generali di meccaniche
e design, cercando di comprendere di che matrice sia la loro
influenza e che rapporti ci siano tra generi e gamescape affini.
Universale-‐particolare
Se il gamescape si situa prettamente in un ambito locale oppure
rimanda a logiche globali. Ciò è essenziale per comprendere il
peso del contesto e le forze che concorrono a modellare
l’essenza del gamescape. Si pensi al calcio o al cricket, che
62 CMCS Working Papers
hanno forti connotazioni nazionali o continentali. È scontato
che i contesti modificano sempre le proposte ludiche, ma in
certi casi abbiamo un radicamento tale da presentare
gamescape identici per quanto nel concreto staccati: il mercato
videoludico giapponese ha propri parametri da cui deriva un
mercato interno forte e una concezione culturale del videogioco
radicalmente differente; una distanza tale da essersi rilevata
talvolta barriera invalicabile (si pensi al fallimento della serie
di home console X-‐box, dell'americana Microsoft, in Giappone).
3.3 Performance, testo e medium
È altrettanto doveroso sondare se la pratica ludica ha una
propria testualità forte di riferimento (di che tipo e se
serializzata in quanto prodotto), se si basa prettamente sulla
performance e se utilizza supporti mediali, univoci o anche più
alla volta; nel secondo caso si potrebbe ipotizzare un medium
culturale che si affida nel proprio dispiegarsi a una pluralità di
media tecnologici, nella distinzione suggerita da Cosenza
(2008). Una possibile definizione a riguardo potrebbe essere
quella di istanza ludica ‘medulare’, ovvero capace di spargersi
su più supporti senza alterarsi o comunque mantenendo una
coerenza effettiva di fondo (un primo esempio è la console Wii
Gamescape 63
U di Nintendo, ma la strategia Apple sembra dirigersi nella
stessa direzione). Di conseguenza risulta necessario chiedersi
se tale medium sia per il gioco luogo strutturante e margine
d'azione (il videogioco, internet) oppure dispositivo, tramite (i
dispositivi mobile per i persuasive games); sempre osservando
che tali tratti non sono innati nella tecnologia studiata, quanto
possono variare a seconda del contesto (si pensi alla realtà
aumentata). Parliamo in questo caso della pratica in sé, non
della rappresentazione che evoca concetti di legittimità e
accettazione e relativi contrari (in quel caso parleremmo di
mediatizzato o meno).
Abbiamo già dato una definizione di testo, per quanto vogliamo
precisare che alcune tipologie di gioco presentano al proprio
interno plurimi discorsi di esperienza, sub-‐quadri di consumo
in rapporto talvolta sinergico talvolta di esclusione con i propri
alternativi testuali; un tratto in grado di incidere fortemente
sulla vita di un gamescape poiché capace di rendersi
consuetudine. Per fare un esempio semplice ma
esemplificativo, nello scenario dei gamescape videoludici single
player e multiplayer, ovvero gioco in solitaria e gioco condiviso
con altri individui, rappresentano in molti generi sponde in
dialogo ambiguo: l’amalgama tra queste filosofie si traduce
spesso in un risultato parziale, che spacca letteralmente in due
l’istanza di gioco, incapace di presentare raccordi (un esito
64 CMCS Working Papers
tuttavia non automatico, se si pensa ad Halo 4; o neppure
desiderato nelle premesse, considerando che molti giochi sono
espressamente sviluppati per la competizione a più giocatori o
per la fruizione singola).
Sul concetto di media utilizziamo quanto proposto da Colombo,
che li intende come “apparati socio-‐tecnici che svolgono una
funzione di mediazione nella comunicazione fra soggetti”
(2003, 17). Una visione che quindi richiama il quadro sociale e
culturale di riferimento, coerentemente con il modello di
gamescape da noi proposto; ma anche il fenomeno della
domestication17 e l’ecologia stessa del medium, al suo essere
percepito in quanto tale. La performance è intesa in quanto
attività di autoespressione, non per forza legata a una concreta
presenza di audience.
Queste distinzioni sono centrali perché rinviano in primis alle
modalità con cui il gioco è esperito e diffuso; la testualità non
annulla la performance; tuttavia, le pone delle regole precise,
che paradossalmente possono anche superare quelle extra-‐
testuali, per quanto la ‘realtà’ abbia dei tratti in cui eccelle,
come l’immediatezza e la tangibilità; è per certi versi una
compenetrazione tra ricchezze contigue. Si pensi alle
17 Il farsi quotidiano, quasi trasparente, della tecnologia (Hirsch e Silverstone 1992)
Gamescape 65
funzionalità social di console portatili quali la PSP o il Nintendo
3DS, che soprattutto in Giappone rendono le sessioni di gioco
condivise con chi mi circonda, o ancora ai LARP, vere e proprie
saghe di gioco di ruolo dal vivo capaci di contare migliaia di
partecipanti nelle realtà più popolari. Inoltre è collegata alla
salute dell’industria e alla relativa grandezza: dove è possibile
premere sul lato ‘prodotto’ o mediale del gioco si presentano
dei fronti su cui è possibile operare e incunearsi (anche per
riscattare l’‘aura’ di un prodotto e investirlo di significati:
operazione tangibile nella proliferazione di edizioni speciali nel
mercato videoludico e non solo); al contrario, dove domina la
performance senza supporti di riferimento, il tutto risulta
maggiormente arduo, con filiere prettamente artigianali e la
necessità di associazioni ed enti analoghi per le istanze
organizzative.18 Ovviamente la mediatizzazione e la
rappresentazione possono sopperire a questa mancanza
(soprattutto se percepite in quanto ‘spettacolari’), legata
all’ambito di consumo, ma rimane un tassello fondamentale da
comprendere. Infine, la dimensione tecnologica si lega al
possibile dialogo tra audience e istituzione, anche alla luce di un
coordinamento e di un allinearsi l’una alla ricerca dell’altra; per 18 Il mercato del gioco di ruolo da tavolo, italiano come internazionale, è in questo particolarmente esemplificativo: è sufficiente un manuale base del regolamento per permettere un numero potenzialmente infinito di sedute di gioco diverse. Ciò si traduce in un giro d'affari contenuto anche a fronte di un elevato numero totale di giocatori.
66 CMCS Working Papers
esempio una tipologia di gioco digitalizzata può essere
facilmente modificata (si pensi ai DLC19 ora come modello di
business, ecc.), a differenza di altre più classiche.
3.4 Sugli attori e sulla visualizzazione
Nella concentrazione di forze e attori che il gioco comporta, in
parte legata alla forma sociale peculiare che lo
contraddistingue, abbiamo già evidenziato come temi quali
potere, tecnologia e assetto economico si intreccino in modo
fluido e policentrico. Di conseguenza uno sguardo in profondità
deve essere rivolto alle modalità con cui gli
individui/aziende/ecc. visualizzano il gamescape, che
basilarmente rimane un’astrazione; nel nostro caso dalle
finalità euristiche, ma in altre sedi e con altri nomi un tool
essenziale per capire i comportamenti di multinazionali come
di singoli connessi al gioco (la visione della propria cultura di
riferimento, o quella strategica del mercato, tutt’altro che
scontata; un elemento costitutivo delle industrie creative è
proprio l’alto fattore di rischio). Essendo la sua essenza porosa
e dinamica, muoversi attraverso di esso si rivela un cammino 19 DownLoadable Content, ovvero contenuto scaricabile dalla rete.
Gamescape 67
accidentato, anche solo per i target che si delineano o si
credono effettivi; a riguardo si rimanda a tutte quelle
categorizzazioni di pubblico che diverse aziende hanno posto in
essere (Bateman e Boon 2006, 19).
È centrale riflettere sui punti di incontro, sulle zone di
convergenza (evidente nelle proposte di controller iconici, di
realtà aumentata e di console quali media hub; non parliamo
solo di un allargamento di pubblico ma anche di ibridazione tra
giocattolo e videogioco o videogioco e home video), senza
dimenticare le linee di confronto perenne: ciò ipoteticamente
per consumi simili o derivazioni radicali, parliamo del resto di
risorse scarse e di involucri simbolici e di immaginario
determinati. Il quesito della visualizzazione risulta di
conseguenza cruciale; possiamo intendere le più disparate
proposte di esperti di tecnologia e al contempo accademici,
dalle unit-‐operation di Bogost (2008, 3) alla software culture di
Manovich (2008), come tentativi di settare paradigmi di
riferimento per l’analisi della cultura mediale in quanto
sguardo che dal particolare giunge all’universale, seguendo
finalità anche inconsapevolmente olistiche. Si palesa in altri
termini l’esigenza della visualizzazione stessa; della
rappresentazione intesa, seguendo di nuovo Hall, in quanto
mappa cognitiva e relazionale che caratterizza il ricercatore e
più in generale l’attore sociale coinvolto; una posizione interna
68 CMCS Working Papers
al discorso ma contemporaneamente saldata al terreno, alla
realtà sociale che contribuiamo a creare. Vi è quindi un’istanza
ingegneristica di incapsulare le unità di significato al fine non
solo di descriverle, ma di renderle esplorabili e utilizzabili nel
concreto; un intento che si potrebbe, con qualche forzatura,
definire ludico. Non deve quindi sorprendere l’attenzione
rivolta alla tecnologia e al mercato in questo tipo di trattazioni,
per certi versi crocevia tra teoria e pratica sul campo. E’ del
resto una necessità che si può riscontrare in ogni fase della
ricerca sociologica, ovvero il trovare il viatico migliore per
trasmettere e riportare il contemporaneo nei relativi processi,
sia per gli esperti che per la platea generalista; un processo non
innocente né tanto meno automatico. Anche la nostra proposta
segue questa volontà di facilitare la rappresentazione in sé
(invece che di gamescape potremmo invero parlare di
gamescope), per quanto si ponga da prospettive e competenze
che crediamo ancora non opportunamente sondate.
Concludendo, il gamescape è un accesso di visuale, modalità
con cui fissare un fenomeno importante come quello ludico
attraverso una serie di finestre reciprocamente connesse; il
prossimo passo sarà tentare di renderlo operativo in un'analisi
concreta e maggiormente specifica, che sappia anche adoperare
le meccaniche del gioco da un punto di vista propulsivo, da
oggetto a metodo di indagine.
Gamescape 69
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Gamescape 73
CMCS Working Papers Series. This series is intended to: • Present high quality research and writing (including research in-progress)
to a wide audience of academics, policy-makers and commercial/media organisations.
• Set the agenda in the broad field of media and communication studies. • Stimulate debate and research about political communication. • Stimulate and inform debate and policy. • Bridging different fields of communication and politics studies
Editorial Board • Series Editor: Michele Sorice, LUISS University • Series Deputy Editors: Emiliana De Blasio, LUISS University and
Gregorian University and Paolo Peverini, LUISS University Board Members • David Forgacs, New York University, USA • Guido Gili, University of Molise, Italy • Matthew Hibberd, University of Stirling, UK • Michael Higgins, University of Strathclyde, UK • Giuseppe Richeri, USI, CH • Bruno Sanguanini, University of Verona, Italy • Philip Schlesinger, University of Glasgow, UK • Debra Spitulnik Vidali, Emory University, USA • Michael Temple, Staffordshire University, UK • Dario Edoardo Viganò, Lateran University and LUISS, Italy
President of the Advisory Board • Leonardo Morlino, LUISS University
74 CMCS Working Papers
Centre for Media and Communication Studies “Massimo Baldini” LUISS “Guido Carli” Viale Romania 32 – 00197 Roma Tel. + 39 06 85 225 759 [email protected]
76 CMCS Working Papers
Il Gamescape Per una visualizzazione sociologica della sfera ludica
Enrico Gandolfi collabora alle attività di ricerca del Centre for Media and Communication Studies “Massimo Baldini” della LUISS ed è PhD Candidate in Teoria e Ricerca Sociale presso l’Università di Roma “la Sapienza”