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LA COPPA DEL MONDO DI CALCIO RACCONTATA DA «GLOBAL VOICES», PROGETTO CHE COMBATTE L’APARTHEID LINGUISTICO E IL COLONIALISMO CULTURALE TRADUCENDO I POST DEI BLOGGER CHE PROVENGONO DALLE PARTI PIÙ DISPARATE DEL PIANETA ULTRAVISTA: LIBRI ON THE ROADFRANCESCO ARENAJOÃO C. MONTEIRO ULTRASUONI: VICTOR DÉMÉ, INTERVISTA CORPI ELETTRICI TALPALIBRI: POZNER DUMAS ZANOTTI MACCARI PARDINI CLAUDIANO PERSEFONE PS. VIRGILIO ADIVAR BREYTENBACH CARVER IN QUESTO NUMERO SABATO 10 LUGLIO 2010 ANNO 13 - N. 28 SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» S S S S S S S S S S SU S S S S S S S S S S S S S S S S PPLEMENTO SETT Per chi suona la vuvuzela

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Page 1: Global Voices featured in Il Manifesto

LA COPPA DEL MONDO DI CALCIO RACCONTATA DA «GLOBAL VOICES», PROGETTO CHE COMBATTE L’APARTHEID LINGUISTICO E IL COLONIALISMO CULTURALE TRADUCENDO I POST

DEI BLOGGER CHE PROVENGONO DALLE PARTI PIÙ DISPARATE DEL PIANETA

ULTRAVISTA: LIBRI ON THE ROAD• FRANCESCO ARENA• JOÃO C. MONTEIRO • ULTRASUONI: VICTOR DÉMÉ, INTERVISTA • CORPI ELETTRICI • TALPALIBRI: POZNER • DUMAS • ZANOTTI • MACCARI • PARDINI • CLAUDIANO • PERSEFONE • PS. VIRGILIO • ADIVAR • BREYTENBACH • CARVER IN QUESTO NUMERO

SABATO 10 LUGLIO 2010 ANNO 13 - N. 28SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO»SSSSSSSSSSSUSSSSSSSSSSSSSSSS PPLEMENTO SETT

Per chi suonala vuvuzela

Page 2: Global Voices featured in Il Manifesto

Aspettando la finale, la Coppa del mondo di calcio così come è vista dai blogger alla periferia della rete.

Ironia, rabbia, politica e amarcord raccontati da Global Voices, progetto che combatte l’apartheid linguistico

e il colonialismo culturale traducendo i post delle blogosfere più lontane del pianeta

Ghana e Stati Uniti sono agli estremi opposti perquanto concerne la giustizia sociale: è possibile preve-dere qualche cambiamento, data la recente scopertadi giacimenti di petrolio al largo delle coste ghanesi?In realtà è lecito chiedersi se tale scoperta, e il relati-vo sfruttamento, non rappresentino piuttosto unapiaga, comunemente nota come la «maledizione delpetrolio». Si tratta di quel fenomeno per cui un Pae-se viene prosciugato delle proprie risorse mentre icittadini continuano a soffrire e le multinazionalistraniere ne raccolgono i frutti, le nazioni limitrofe sifronteggiano per la proprietà dei giacimenti sui confi-ni, e i disastri causati dalle fuoriuscite non sono com-pensati né suscitano preoccupazione o indignazioneinternazionale.Il petrolio è forse una strada verso la prosperità?Negli Stati Uniti oggi è visto come una piaga chenemmeno la Superpotenza è in grado di controllare.Finalmente, dopo decenni di consumo e dipenden-za eccessivi, anche gli americani sembrano volersidistanziare dall'oro nero. Ed è giusto così, dato loscempio di milioni di vite umane in tutto il mondo ela devastazione di chilometri di coste e ambientinaturali incontaminati. Oggi me ne starò seduta aguardare, tifando per due Paesi che appaiono cosìdiversi, ma che la piaga del petrolio che affligge en-trambi promette di portare, non tanto alla prosperitàpromessa, quanto invece a un condiviso stato didevastazione e disperazione.

Fonte: Kate Blagojevichttp://whoshouldicheerfor.com

Dalle città ai villaggi, un po’ tutto il Paese sta seguendo questi Campionatimondiali tramite radio e televisione. Per informare al meglio la gente, alcu-ne emittenti radio private ritrasmettono infatti le partite in bambara, la lin-gua più diffusa in Mali.A Zantiguila, paesino a 70 km dalla capitale Bamako, un macellaio ha installatoun grande televisore dove tutti i tifosi di calcio vengono a guardare le partite.Accanto alla tv svetta un grande altoparlante, circondato da bambini seduti perterra e dagli adulti alle loro spalle seduti su una panchina per studiare bene letecniche e le giocate dei giocatori.Alle mie domande, il macellaio, proprietario della televisione, risponde così:«Ogni giorno seguiamo le partite della Coppa del Mondo in questo capannone.Tutti gli appassionati di calcio del villaggio si ritrovano lì, pronti a sostenere lapropria squadra del cuore e dar vita ad accese discussioni con i tifosi delle altre,surriscaldando l’ambiente. La maggior parte di noi non parla che il bambara equell'altoparlante collegato alla radio ci permette di seguire e capire meglio laritrasmissione delle partite con i commenti diffusi da qualche stazione radio diBamako. E per capire bene quanto viene detto alla radio, abbassiamo completa-mente il volume della televisione! Qui siamo tutti felici in queste settimane diCoppa del Mondo. Che vinca il migliore!».

Fonte: Boukary Konaté - http://fasokan.maneno.org

Non mangia salsicce, non beve vino. È nero, viene dalla banlieu ed è pure musulma-no. Quindi è il perfetto simbolo del tenero montone nero che va sacrificato per alleg-gerire la penosa delusione della Francia ai mondiali in Sud Africa. Anelka non dovreb-be lamentarsi. L’accettazione che la Repubblica francese promette ai suoi uominineri, l'integrazione, il trapianto degli stranieri in terra francese è una grande illusione.Troppo grande.Fonte: www.bondamanjak.com

■ VOCI GLOBALI ■ SUD AFRICA 2010 ■

Conversazioni mondiali

GHANA

Maledetto petrolioMALI

Tra radio e tv, vince il bambara

MARTINICA

In difesa di Nicolas AnelkaLe traduzioni dei post sono state effettuate da: Francesco Conte, Roberta Fornari, DavideGalati, Elena Intra, Bernardo Parrella, Maria Grazia Pozzi, Gaia Resti. Tutti della sezioneitaliana di Global Voices.Supervisione: www.effecinque.org

2) ALIAS N. 28 - 10 LUGLIO 2010

Page 3: Global Voices featured in Il Manifesto

Quando una nazione non si mobilita per proteggere i suoi cittadi-ni più deboli, si arrende all'oppressione senza protestare, si lasciasottrarre la propria ricchezza da criminali della peggior specie,volta la testa per non vedere il destino terribile che attende l'inte-ro Paese e il futuro dei suoi figli, ma è pronta ad accendersi conincommensurabile entusiasmo per una partita di calcio, questanazione deve temere il peggio.

Fonte: http://www.lequotidienalgerie.org/

Per il Sudafrica questi mondiali sonol’evento nazionale più importantedalla fine dell’apartheid e dall’elezio-ne di Nelson Mandela, primo presi-dente nero del Paese.Soweto è stato il cuore della lottaalla liberazione che ha reso possibi-le il riscatto dal rango di pariah – eche ha dato al Paese un posto nellacomunità sportiva mondiale. Il cal-cio è stato l'arma politica contro ilregime dell'apartheid.Negli anni ’50 i sudafricani, di tutte lerazze, decisero di fondare la South AfricanSoccer Federation lanciando una campa-gna per forzare l’espulsione della federa-zione sudafricana dalla Fifa.La minaccia del boicottaggio, all'inse-gna del mantra «nessuno sport normaleper una società anormale», ha pesatonon poco facendo impallidire la nazio-ne e influenzando l'opinione pubblica.Oggi, le strade dove una volta scorre-va il sangue sono decorate con lebandiere dei Paesi in gara. I giovani,la generazione successiva agli studen-ti che diedero vita alla rivolta di Sowe-to, indossano le magliette BafanaBafana e giocano a calcio nel parco.Pekwa All Stars è un gruppo relativa-mente giovane all’interno del rigoglio-so campionato amatoriale di Sowetodove le squadre hanno nomi strava-ganti quali Pimville Cameroon, Wood-peckers ed Emdeni Naughty Boys.Fra gli associati ce ne sono di cosìpoveri che i ragazzi vanno a scuola astomaco vuoto.Nessuno può permettersi un bigliettoper la prima dei mondiali africani.Eppure nessuno rinuncerebbe al cal-cio. E non provate a dire che non èuna buona idea.Fonte: http://globalvoicesonline.org

Il Brasile è gli Stati Uniti del calcio: lapotenza imperiale, pregna di avariziae supremazia.Per quanto riguarda il calcio, i brasilia-ni si sentono superiori, si vantano evogliono sempre vincere. La nostraarroganza, pregiudizio, avidità - quan-do si tratta di calcio - sono indizi dicosa saremmo se diventassimo unapotenza in qualcosa di veramenteimportante.Inoltre, pensate alla ridicola rivalitàcon l'Argentina, all'avara ambizione divincere sempre, di sentirci superiori atutta la gente, agli altri Paesi solo per-ché abbiamo vinto più titoli mondialinel calcio.L'uniforme della nazionale brasilianaè il più grande simbolo nazionale qui- ispira più tenerezza o rabbia dellastessa bandiera o dell'inno.La squadra del Brasile - come se cene fosse un'altra! - è il simbolo piùpotente dell'unità del Paese.Forse, insieme all'Esercito, è l'unicacosa al mondo che fa sì che gli abitan-ti dello Stato di Pernambuco e delloStato di São Paulo si guardino senten-dosi entrambi brasiliani.Se questo sia un bene o un male,non lo so - né so se la nazionale ol'Esercito possano essere eccezionalio terribili, non importa granché.

Fonte: Bruno Müllerhttp://sereslivres.blogspot.com

Il Bangladesh è uno dei rari Paesi incui durante i mondiali la gente si iden-tifica e tifa per una nazione con cuialtrimenti non avrebbe alcun legame.Spagna '82. Allora vivevo in una cittadi-na dove vicino casa mia c'era un quar-tiere malfamato. E non mancavano iladri professionisti. Quella era la pri-ma volta che parecchia gente restavaalzata dopo mezzanotte per seguire imondiali, perciò diventava assai diffici-le per costoro compiere certi «lavoret-ti». Un giorno mentre stavo tornandoda scuola, ho sentito un gruppo diloro urlare slogan contro il governo,del tipo «smettetela di trasmettere lepartite a mezzanotte».Italia '90. Quello è stato l'anno in cuil'Argentina ha incontrato la Germaniain finale, con la vittoria di quest’ulti-ma. Sono stati in molti a criticare ledecisioni prese dall'arbitro in quell’oc-casione. I tifosi bengalesi dell'Argenti-na non ne sono rimasti affatto conten-ti, e uno di loro ha addirittura presen-tato una querela all'arbitro della parti-ta in una corte locale.Usa '94. In quell’occasione i mondialihanno creato una dimensione diversain Bangladesh. La maggior parte deibengalesi di solito tifava Brasile oArgentina. Ma quanti vivevano aCox’sbazar o nelle vicinanze, nel1994 hanno tifato Italia solo per Ro-berto Baggio, che è buddista e hafatto ampie donazioni per ristruttura-re una Pagoda nell'area di Cox’sbazar.Non solo i buddisti, ma anche unadelle attrici più glamour di quel perio-do tifava per l'Italia: i giocatori azzurrierano… proprio belli!

Fonte: Nasiruddin Hojja Mollabloghttp://somewhereinblog.net/blog/

mamublog

Quaranta anni. È un tempo lunghis-simo. I cuori di 2.999.995 uruguaia-ni battono di speranza e partecipa-zione (tengo fuori i cinque comeme ai quali non importa di comeandranno le cose).Ma cosa succederebbe se l’Uruguaynon dovesse vincere? Dovremmomettere da parte le bandiere? Perme no, anzi, il contrario.Anche da sconfitti dovremmo usciree festeggiare lo stesso. Non ci sarànessuna onta pubblica per i tecnicie i giocatori, com’è successo a tanti«giganti» e «favoriti» che hanno avu-to la sfortuna di dover tornarsene acasa prima del previsto, né dimissio-ni automatiche.Perché questa squadra ha comun-que compiuto un’impresa che nonsi ripeteva da quaranta anni. Sareb-be triste, sì. Ogni volta che si accen-dono i nostri sogni e poi questi nonsi realizzano, è triste.Ma il comportamento che sta assu-mendo la squadra è un valido moti-vo per festeggiare e, soprattutto, peressere orgogliosi dei giocatori e delsuo staff tecnico, il Maestro Tabárezin testa.Questi ragazzi che ci rappresentanosono degli eroi. Sono eroi perché cihanno restituito, anche se per pochigiorni, non solo l’orgoglio di essereuruguaiani, ma anche l’unità.E questo vale molto di più che ilrisultato di una partita.Sarebbe bello se il Paese intero neconservasse un lungo ricordo. Per-ché questo sentimento, il concettodi orgoglio nazionale troppo spessoabusato, così a lungo accantonato eche oggi esplode incontrollabile, èla linfa vitale che alimenta questoPaese.O almeno dovrebbe esserlo.

Fonte: http://cuarentaydos.word-press.com

Quando l’11 giugno le squadre di Messico e Suda-frica sono entrate in campo a Johannesburg si èsubito levato l’assordante suono delle vuvuzela.I tifosi del Sudafrica danzavano in estasi, suonan-do a più non posso queste bizzarre trombette diplastica mentre la loro squadra (i bafana bafana)ballava in campo al ritmo della musica della folla.Nelle settimane precedenti alcuni tra i giocatoripiù famosi, come Leo Messi, Xabi Alonso e Cristia-no Ronaldo, avevano dichiarato di appoggiare ildivieto all’uso delle vuvuzela.E l’anno scorso la Fifa aveva preso in considera-zione l’idea di applicare tale divieto, per poi ricre-dersi dopo l’appassionata difesa di questo stru-mento presentata dall’Associazione calcisticasudafricana.Quindi lo ammetto senza problemi: non mi piaccio-no le vuvuzela. Queste trombette sono rumorose,odiose e irritanti; infastidiscono i calciatori, gli alle-natori, gli arbitri e anche non pochi tifosi, e in piùproducono un’insopportabile caciara anche in tv.Però, nonostante l’origine non sia sudafricana(secondo Wikipedia provengono dal Messico),fanno comunque parte integrante del modo incui i sudafricani si godono questo sport. Incarna-no l’identità calcistica del Sudafrica, così comecerti cori offensivi lo sono per l’Inghilterra.Vietare le vuvuzela non è solo cercare di «euro-peizzare» il calcio, ma implicherebbe l’esistenzadi un modo univoco di giocare e seguire questosport; vuol dire cercare di conformare tutti i Paesidel mondo ad uno specifico archetipo di «calcio»imposto da noi Europei/Nordamericani (e sì, l’im-plicazione è «noi bianchi»). Sarei d’accordo suldivieto di questi strumenti se venissero usati perpicchiare o attaccare altri tifosi. Ma non è così. Lagente usa le vuvuzela per celebrare lo sport a mo-do proprio.Vietarle sarebbe come vietare le trombette e glialtoparlanti durante le partite di basket o footballnegli Stati Uniti.Né il calcio gira solo intorno all’Europa: vietare levuvuzela è come sostenere che il modo in cuiquesti tifosi stanno festeggiando è sbagliato. Im-plica che costoro dovrebbero guardare la partitacome facciamo noi, che devono amare questosport come facciamo noi.Cavolate.Anche se le vuvuzela in un certo senso rendono ilgioco «più difficile», non credo che lo rendanotale più di quanto non facciano gli insulti, la vio-lenza e certi cori razzisti.Basta insomma lamentarsi delle vuvuzela, e pen-siamo piuttosto a celebrare la bellezza di questosport, e di questi storici mondiali.

Fonte: http://wesleyanargus.com/

KAITA (Kai-ta) v. Kai*ta, Kai*tas, kai*ta'ed, kai*ta'ing1. Cancellare in un secondo le speranze e le aspirazioni di una nazione2. Farsi cacciare dal più grande palcoscenico mai conosciuto dall'uomo3. Distruggere, con un atto di suprema stupidità, le energie dei compagni di squa-dra e di più di 140 milioni di persone4. Agire in modo folle e irrazionale e pentirsi immediatamente cadendo in ginoc-chioEtimologia: dall'espulsione del giocatore della nazionale nigeriana Sani Kaita duran-te la partita con la Grecia nella Coppa del mondo di calcio 2010

Fonte: http://globalvoicesonline.org/

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