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GREGORIO MAGNO, L'IMPERO E I <<REGNA» Atti dell'incontro internazionale di studio dell'università degli studi di Salerno - Osservatorio dell'Appennino Meridionale, con la collaborazione della Fondazione Ezio Franceschini e della Società Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino Fisciano, 30 settembre - I ottobre 2004 a cura di CLAUDIO AZZARA FIRENZE SISMEL . EDIZIONI DEL GALLUZZO 2008

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GREGORIO MAGNO, L'IMPERO E I <<REGNA»

Atti dell'incontro internazionale di studio dell'università degli studi di Salerno - Osservatorio dell'Appennino Meridionale,

con la collaborazione della Fondazione Ezio Franceschini e della Società Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino

Fisciano, 30 settembre - I ottobre 2004

a cura di CLAUDIO AZZARA

FIRENZE SISMEL . EDIZIONI DEL GALLUZZO

2008

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Walter Pohl

GREGORIO MAGNO E IL REGNO DEI LONGOBARDI

Nel mese di luglio del 603, in una lettera al nuovo imperatore Foca, Gre- gorio Magno sottolinea le tante incursioni sofferte da parte dei Longobardi nel corso di 35 anni: ~cotidianis gladiis et quantis Langobardorum incur- sionibus ecce iam per triginta et quinque annorum longitudinem premi- mur»'. Questo riassunto rassegnato, scritto meno di un anno prima della morte del pontefice, riprende un leitmotiv ricorrente nelle sue lettere. Già poco dopo l'entrata in questa carica difficile, Gregorio dava un'immagine molto negativa dei Longobardi, «quorum sintichiae (patti) spatae sunt et gratia p ~ e n a » ~ . Poca simpatia, dunque, per i «nefandissimi Langobardix (come si esprime ripetutamente) arrivati in Italia nel 568. Molti autori han- no già elencato i passi a proposito, sia nel Registro delle lettere sia nei Dialo- ghi, e ne hanno tratto la conclusione owia che il pericolo longobardo era tra le preoccupazioni principali del pontefice. Nelle parole di Robert Markus, nel suo libro magistrale su Gregorio Magno apparso nel 1997: «Among his worries the Lombards' activities in Italy were the most acute»3.

Se in questo contributo tenterò di modificare quest'immagine corrente non è per contraddire tali giudizi, in sostanza ben fondati. Vale comunque la pena analizzare i passi drammatici spesso citati nel contesto dello scena- rio politico preciso nel quale furono scritti e nell'ambito degli interessi e delle strategie testuali di Gregorio. Un nuovo sforzo interpretativo può partire, tra l'altro, dalle biografie di Sofia Boesch-Gajano, Jeremy Richards, Carole Straw e Robert Markus, dalla sintesi di Claudio Azzara

I . Gregorius Magnus, Reglstlum eptstolari~nl, a cura di D. Norberg, Corpus Cl-iristianorum - Series Latina CXL, 2 vol., Turnhout, 1982 (qui abbreviato GR) XIII, 39. La data è esatta; dall'invasione longobarda nel 568 erano passati 35 anni.

r . GR I, 30. j. R. Markus, Gvegorj the Great and hts uorld, Cambridge, 1997, p. 97. Cf. C. Straw, Gregoty the

~ r e d t - Perfiction in Inzperfction, Berkeley-Los Angeles-London 1988, p. 81.

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sull'ideologia del potere nel papato altomedievale, e dal libro di Conrad Leyser sull'autorità spirituale da Agostino a Gregorio Magno, per menzio- nare solo alcuni nomi4.

Un'osservazione quantitativa si offre facilmente sulla base dell'indice dettagliato dell'edizione del Registro delle lettere curata da Dag Norberg nel Corpuj Cbristiunorum5. Più di 850 lettere di Gregorio Magno sono state tra- smesse fino al presente; il lemma 'Langobardi' compare in r 8 di esse, in par- te solo in una posizione subordinata. A confronto, I I lettere parlano di FranchiIFrancia, 16 degli Angli, e solo 3 dei Visigoti. Sono comunque da aggiungere i nomi di re e di duchi longobardi, inseriti senza attribuzione etnica perché ben conosciuti, e alcune lettere che parlano di barbari in gene- rale; dunque complessivamente più di 40 lettere contengono riferimenti ai Longobardi. Queste lettere sono distribuite più o meno in tutto il periodo del papato di Gregorio, con una maggiore concentrazione nei libri quinto (575) e nono (ggg), e una assenza quasi totale nei libri terzo e ottavo.

I1 quadro che emerge da queste lettere è complesso. Tra le righe si sen- tono le tensioni, derivanti dalla situazione contingente, ma anche dalla mentalità del papa: una tensione fondamentale tra l'identità romana che significa anche lealtà verso il sistema imperiale, da un lato, e la ricerca di una nuova autorità spirituale che sia in grado di affrontare una dirnensio- ne apocalittica, della quali i barbari erano solo un segno, dall'altro lato6; tensione, dunque, tra legittimismo romano e disprezzo per la gestione del potere imperiale; tensione tra l'immagine dei barbari, descritti con formu- le stereotipe - ~nefandissimi Langobardi, Langobardorurn gladii* - e la Reulpolitik di Gregorio, fondata su percezioni acute e informazioni precise. Tensione anche tra la diffamazione globale dei Longobardi come pagani o eretici e il sostegno per Longobardi cattolici o almeno favorevoli a un'in- tesa con la chiesa romana. Tensione infine tra le ansie che l'invasione incompiuta dei Longobardi possa, dopo un periodo di stallo, riguadagnare la forza iniziale ed estendersi al resto della penisola, e i successi in realtà molto limitati dei Longobardi, i quali erano sempre più disposti ad accet- tare lo statuj quo di un'Italia divisa e spartita.

4. S. Boesch Gajano, Gregorzo ,$lagno - Alle nrzgini del niedzoevo, Roma, 2004; J . Ricl-iards, IL inn- ~ole di Dzo. La z'ita e z te~ilpi d~ Guegorio Mqno (trad. ital.), Firenze, 1984; Straw, Gregoty the Greut, cit.; Markus, Gregnq the Great, cit.; C. Azzara, L'zdeologia delpotere regio nelpapatu medjevale de eco li VI- VIZI), Spoleto, 1997; C. Leyser, Authority and Asceticisnzfrom Augustine ta Gregory the Gveat, Oxford, 2000.

5 . GR, a cura di D. Norberg, vol. 2, p. r 147. h. Leyser, Authonty atzd Asceticisn~, cit., pp. 160-87.

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A posteriori sappiamo bene che, malgrado i grandi gesti e le minacce, durante il pontificato di Gregorio Magno gli spostamenti territoriali furo- no marginali'. Però, il pontefice poteva, e doveva, temere il peggio e anche sperare il meglio. Un colpo decisivo sia da parte del regno longo- bardo sia dei Bizantini per ribaltare una volta per sempre l'assetto territo- riale improbabile nato nel post-568 poteva ancora sembrare possibile, almeno nel periodo iniziale del pontificato di Gregorio Magno. Le preoc- cupazioni di Gregrorio sono quindi perfettamente comprensibili. Ma stu- pisce il fatto che malgrado tutto così poco sia successo davvero in tutti questi anni. Se vogliamo cogliere fatti clamorosi dietro la retorica anti- barbara del papa, le lettere sono deludenti. Alcune sedi episcopali vengo- no aggregate ad altre perché desolate dopo depredazioni barbariche non specificate8. Ma non sappiamo se, per esempio, il degrado della chiesa di Minturno ormai sottomessa al vescovo di Formia fosse dovuto ad un attac- co longobardo recente; Minturno era già stato teatro di scontri nella guer- ra greco-gotica" Gian Piero Bognetti ha attribuito l'abbandono di sedi vescovili prevalentemente ad altri fattori; nel meridione, c'erano tanti vescovi dispersi nelle città minori, e la riduzione delle sedi episcopali poteva considerarsi ragionevole 'O.

Qualche volta, gli effetti devastanti di attacchi longobardi diventano più chiari. Nel mese di luglio del 592, Gregorio chiedeva all'arcivescovo Giovanni di Ravenna di pagare il riscatto per gli abitanti di Fano cattura- ti da Ariulfo di Spoleto e, inoltre, di persuadere l'esarca Romano a conclu- dere una pace col duca Ariulfol'. Negoziare il riscatto era all'epoca il pro- cedimento normale tra impero e barbari vittoriosi, e a volte Gregorio

7. Per i l contesto politico: 0. Bertolini, Ronza di fronte d Biidnzio i. ai Loi/golidr.di, Bologna, r94r , pp. 2 17-84; P. Delogu, Il regno longubardo, in Paolo Delogu - André Guillou - Gherardo Ortalli, Lon- gobrrrdi e Bizantini (Storia d'Italia, ed. Giuseppe Galasso), Torino, 1980, pp. 3-216, qui 23-39; S. Gasparri, I/ regiio lonfiobardo in Jtdlia. S t r~~ t tu~d efu~~zionar~zento di z~no stdfo nltorneàievdlr, in IAango(ldr- dza, ed. S. Gasparri - P. Carnmarosano, Udine, 1990, pp. 237.305; W. Pohl, 'The Empireandthe Lonz- hardr: tvedties and negotiations in the sixth century, in Kingdo7izs of the Enqzre. The Integration ?/Barba- ~1~1t1.r 172 I ~ t e Antigz~ity, ed. W. Pohl (The Transformation of the Rornan World I) , Leiden-New York-Koln 1997, pp. 75-134.

8. GR I, 8; 11, 13 (Veliternum > Arenata); 111, 2 0 (Sabina > Nomentanum); VI, 9 (Regesta- nurn1Carinum).

g. GR I, 8; Procopio, De Bello Gothico VII, 26, a cura di J. Haury, Procopii Caesariensis opera onznid, Leipzig 1963.

ro. G.P. Bognetti, La continuità delle sedi episcopali e L'azione di Roi>la nel regno longobdrdo, in Id., L'età longobarda, vol. IV, Milano, I 964, pp. go I -338; G. Hauptfeld, Zzr larzgobardf.rche~1 Eroberf~izg Itdliens. Da1 Heer und die Bisi-hrifé, in «Mitteilungen des Instituts fur Osterreichische Geschichtsfor- schung* 91 (19831, pp. 37-94.

r I . GR 11, 38.

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intercedeva a favore dei prigonieri, oppure s'impegnava per trovare i sol- d i r2 . È famosa l'immagine di Gregorio sulle mura di Roma, durante l'as- sedio longobardo del 595, mentre guarda come i barbari trascinano via gli abitanti delle campagne legati con corde al collo come i cani al guinzaglio per essere condotti nei territori dei Franchili. Scene di guerra, forse un po' drammatizzate in una lettera di Gregorio all'imperatore Maurizio. I1 pon- tefice si lamenta che l'esarca prima aveva rotto la pace che il papa aveva concluso a proprie spese e poi ritirato le truppe da Roma per difendere Perugia. Piuttosto di un'esperienza personale travolgente, si trattava di una retorica persuasiva che si serviva di immagini familiari in una società schiavistica.

Potrebbe sorprendere che nelle lettere manchino quegli episodi di vio- lenza smisurata che caratterizzano alcuni brani dei Dzdloghi, dove i Longo- bardi (ma anche i Goti) appaiono come barbari crudeli e spietati che ucci- dono persino preti e monaci, se non li ferma qualche miracolo. Per esem- pio, Gregorio racconta nei Dialoghi che un giorno, al tempo di papa Gio- vanni 111 (561-574), il vescovo Redento di Ferentino, durante un viaggio nella sua diocesi, fece sosta nella chiesa del santo martire Eutichio. Quan- do scese la notte egli si accomodò vicino alla tomba del martire per tra- scorrere la notte tra veglia e sonno in profondi pensieri. Improvvisamente, nel mezzo della notte, il martire in persona stava innanzi a lui. «Sei sve- glio, Redento?)), chiese. «Sono sveglio)), rispose costui. Allora il santo gli parlò: afinis venit universae carni, finis venit universae carni, finis venit universae carni» - giunge la fine di tutte le carni. Dopo che ebbe pronun- ciato per tre volte la sua profezia, la visione del santo sparì. I1 vescovo Redento si alzò per pregare. Poco dopo nel cielo, verso nord, apparvero segnali spaventosi, fra i quali c'erano lance e punte infuocate. «Poco dopo il popolo selvaggio dei Longobardi, uscito dai confini della sua terra nati- va, infuriò sulla nostra testa». Gregorio non lascia alcun dubbio sul fatto che la profezia si sia spaventosamente awerata, per lo meno in Italia: «poi- ché le città sono spopolate, le fortezze distrutte, le chiese bruciate, i con- venti, sia maschili che femminili, sono abbattuti, deserte le campagne e abbandonate da coloro che le potevano coltivare, solitaria e vuota è la ter- ra, che nessun proprietario abita più, e bestie feroci si sono insediate nei luoghi dove prima abitavano numerosi uomini. Non so quello che accade in altre parti del mondo. Comunque, in questo paese in cui viviamo la fine

1 2 . GR VII, 2 3 (caso di Crotone) 13. GR V, 36.

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del mondo non solo si annuncia, ma si mostra~I.1. I Longobardi come segno dell'Apocalisse, questo è il messaggio del testo. Invece di leggerlo come descrizione di fatti occorre collocarlo nel contesto di una lunga tra- dizione di interpretazione apocalittica delle invasioni barbariche, che assu- me tratti individuali in Gregorio. «It was, in a sense, his interest to magnify rather than allay the sense of crisis that had brought him into power» '5. Ma Gregorio trasforma questa spinta escatologica in un discor- so morale, in un «linguaggio di potere»16.

Già la prima lettera che menziona i Longobardi nel Registro esprime un atteggiamento lontano dalla visione apocalittica dei Longobardi17. È pro- babilmente stata scritta nel gennaio del 591, dopo la morte del re Autari, il quale aveva vietato il battesimo cattolico ai figli dei Longobardi - pro- vocando così, come giudizio di Dio, la morte precoce del re, se crediamo a Gregorio. La lettera esorta tutti i vescovi dell'Italia ad ammonire i Longo- bardi, «cunctos per loca vestra Longobardos», a riconciliarsi con la chiesa cattolica, per evitare ulteriori punizioni divine perchè era imminente la peste. I1 tema viene ribadito nel settembre dello stesso anno in una lettera al vescovo di Narni. Si tratta di nuovo di avvertire la popolazione del peri- colo dell'epidemia, e di ammonire sia Longobardi che Romani, «et maxi- me a gentilium et haereticorum* (è un caso che non identifica nettamen- te i pagani e gli eretici con i Longobardi?), di ritornare alla fede cattolica. «Si enim aut divina misericordia pro sua forsan eis conversione et in hac vita subveniet, aut, si eos migrari contigerit, a suis, quod et magis optan- dum est, transeunt facinoribus a b s o ~ u t i » ~ ~ : O la conversione aiuta a pro- teggerli in questa vita, oppure, «se tocca a loro di morire, transiterebbero, come è anche più auspicabile, assolti dai peccati». Da questa frase è spes- so stato concluso che Gregorio preferiva, anche se convertiti, un Longo- bardo morto a uno vivo19. «Only a dead Longobard is a good Longobard~? Crederei piuttosto che il papa preferiva un'anima salvata a una vita salva- ta solo provvisoriamente dall'epidemia, che poteva sempre essere messa a rischio da nuovi peccati. C'era una possibilità reale che perfino i Longo- bardi fossero protetti da Dio se si convertivano.

14. Gregorius Magnus, Dialogt 111, 38, a cura di A. de Vogué, 3 vol., Sources Chrétiennes 251, 260, 265, Paris, 1978-80. Cf. W. Pohl, LE origini etniche dell'Europa, Roma, 2000, pp. 167-80.

15 . Leyser, Azlthority and Asceticirm, cit., p. 146. 16. Boesch Gajano, Gregorio Magno, cit., p. 239; Leyser, Azlthority andAscetrcLrnz, cit., p. 160. 17. GR I, 17. 18. GR 11, 2.

19. Markus, Gregory the Great, cit., p. 99.

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Dalle due lettere, due osservazioni emergono con chiarezza. Primo, il pericolo longobardo in questi passi consiste nel fatto che come pagani o eretici erano sempre esposti al castigo di Dio. Qualche volta, la punizione divina poteva soltanto stroncare i responsabili della diffusione dell'eresia, come nel caso di Autari. Ma spesso (e soprattutto di fronte alla peste), tut- ta la comunità era esposta al rischio. E questa comunità, come Narni, con- sisteva di Romani e Longobardi. I Longobardi facevano parte della società cristiana dell'Italia, anche se era una parte precaria, costituendo un rischio spirituale e perciò anche fisico. Ma, ed è la seconda osservazione, potevano essere ricettivi alle esortazioni dei vescovi. Non erano eretici irriducibili, c'era la speranza di spingerli alla conversione. Non si capisce molto bene perché Gustavo Vinay abbia sottolineato che nell'opera d i Gregorio, «non v'è traccia dell'opinione che avessero unlanima» (i L~ngobardi)~', o perché Ottorino Bertolini ritenesse che i Longobardi costituivano per il pontefice un problema solo politico e militare, non religioso2'.

Un esempio di un longobardo cattolico avvenuto già sotto il regno di Autari si trova in un'altra lettera. Un longobardo alla corte del re aveva tentato di incidere la chiave di san Pietro, dono del papa, con un coltello, ma era morto subito, in presenza del re Autari. Ora nessuno dei Longo- bardi osava toccare la chiave, solo il longobardo cattolico Mimiulf, ovatio- ni et eelenzosinh deditz~s, la prese senza problemiz2. 11 re quindi fece confezio- nare una seconda chiave e le inviò entrambe al papa Pelagio 11, insieme al racconto del miracolo. Persino Autari non era, dal punto di vista di Gre- gorio, semplicemente eretico e barbaro, c'era la speranza di convincerlo, anche se con lui ci voleva un miracolo. In questo caso, poteva agire proprio come un re cristiano, inviando le chiavi al papa.

Guardiamo un altro episodio, descritto nei Dialoghi23. Un vescovo dei Longobardi, «Langobardorum episcopus, scilicet Arrianus~, arriva a Spoleto e cerca un luogo di culto per sollemnzd s u . Si potrebbe supporre che in una

20. G. Vinay, Alto ti~edzon~o latino: cor!ve~irazioni e no, Napoli, 1978, p. 17. D'avviso contrario già V. Paronetto, I Lonsohr./At nell'ej~zstoari '/i Gregorio Magnu, in Atti del VI congresso internazionale di studi slill'alto medioevo, Spoleto, 1980, pp. 559-70, q ~ ~ i 560, osservando 1'~iso raro del termine "nefandissimi": <valori semantici che non consentono di inchiodare il giudizio di Gregorio sui Lon- gobardi a questi appellativi^.

2 I . O. Bertolini, I papi e le n!iaioni jino alla nzetù del secolo VII1, in La ronvevsione al n.istranes~nio nell'E?(rcipu dell'Alto hledioiizio (Settimane dello studio del centro italiano di studi sull'alto medioevo XIV), Spoleco, I g 67, pp. 347 -8; ci. S. Boescli Gajano, Dislzvelli ri~lturali e niedzazzoni e~.rleJia.rtiibe nei Dzdkugz di G~egorio Afagnri, in *Quaderni storici>> 41 (197~)) , 398-41 5 , qui 402.

2 2 . GR VII, 23. 23. Gregorius Magnus, Didlogi 111, 29.

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città governata da circa vent'anni da un duca longobardo non sia così diffici- le trovare una chiesa per le messe ariane, ma di fatto non è così. I1 vescovo longobardo va dal suo collega cattolico per chiedere a lui una chiesa e questi si rifiuta categoricamente. Allora l'ariano annuncia l'intenzione di celebrare la messa nella chiesa di S. Paolo. I1 custode sbarra le porte e spegne le lumi- narie. Quando il vescovo ariano, arrivando con il suo gregge di fedeli, fa for- zare le porte ed entra in chiesa, miracolosamente una luce si spande dall'alto e tutte le luminarie spente si riaccendono; nel contempo il vescovo eretico viene colpito da cecità improvvisa. «Quod dum Longobardi in ea regione positi omnes agnoscerent, nequaquam ulterius presumpserunt cattolica loca temerare*. La storia viene raccontata con un tono ostile verso i Longobardi ariani; e notevole è il fatto che Gregorio Magno non ricorra ai soliti pregiu- dizi antibarbarici. I1 solo atto aggressivo da parte dei Longobardi è la forza- tura delle porte. Altrimenti, accettano l'autorità del vescovo cattolico su tut- te le chiese della città ducale. La chiesa di Spoleto sembra essere sfuggita più o meno incolume alla presa di potere da parte dei Longobardi24.

Lo lascia intuire anche una lettera di Gregorio Magno del gennaio 599, in cui il papa chiede al suddiacono della chiesa napoletana di restituire una massa vicino a Minturno all'abate del monastero di S. Marco, situato entro la città di Spoleto25. Ovviamente, la proprietà era stata alienata dal clero della chiesa di Napoli durante le guerre contro i Longobardi; ora, pochi mesi dopo la pace conclusa con re Agilulfo, la si poteva restituire. Abbia- mo accennato alla lettera d'abolizione della sede vescovile di Minturno, scritta nel 570, a causa della "desolazione" del luogoz6. Era comunque per- fettamente possibile nove anni dopo trasferire i redditi di una massa vici- no a Minturno dalla chiesa di Napoli a quella di Spoleto. Nelle lettere di Gregorio Magno si trovano alcuni esempi di relazioni corrette, a volte anche amichevoli, con i nefdndissimi Lungobardi. Un esempio ben conosciu- to è la lettera del 599 diretta ad Atechi I, duca di Benevento, nella quale il papa chiede il sostegno degli actionarii del duca nel Bruzio per il tra- sporto di travi per le basiliche di S. Pietro e S. Paolo27.

Certamente, tali esempi non possono servire a minimizzare le violenze longobarde ed a sostituire l'immagine dei Longobardi barbari con quella

24. Cf. Umbu~a Cuistiana. Dullu difz~sione del cr~lto al culto dei ~ant i (sec. IV-X), Atti del XV Con- gresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo, Spoleto, 2001, in part. S. NESSI, La dzuce~i di Spo- /eto tra tarduantzcu e medioeuu, ibid. pp. 833-882.

25. Gregorius Magnus, Kegistram e~iitolaru~tz IX, 88 (599, Gen.), cit., 2, p. 642. 26. G R I, 8. 27. Gregorius Magnus, Registr~mz epi~tuluuam IX, I 27 (599, Febbr.-Apr.), cit., 2 , p. 677.

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opposta dei Longobardi innocui e ~aci f ic i . La situazione dei tardi anni novanta del VI secolo era già cambiata rispetto ai tempi dell'invasione, e della guerra del 595. È anche verosimile, come è già stato proposto diver- se volte, che l'atteggiamento di Gregorio sia cambiato attraverso gli anni, o piuttosto con la situazione politica28. Non erano la forza e l'aggressività, ma appunto la debolezza del regno longobardo nella fase iniziale della con- quista a dare spazio alle violenze incontrollabili2~. Sembra che la marcia del re Alboino e l'occupazione della parte settentrionale ed occidentale del- la pianura padana si sia svolta in maniera assai organizzatajo. Un dominus Italiae (titolo assunto da Alboino a Milano nel 570, secondo l'0rzgo gentis Langodardor~m3~) non poteva tollerare eccessi di violenza nei territori scel- ti per l'insediamento, ma doveva cercare in qualche maniera d'integrare i suoi Longobardi nella società tardoromana. Appunto questo diventava, ovviamente, un punto di dissenso tra il re e parte del suo esercito. Guer- rieri ambiziosi si mettevano a saccheggiare regioni dell'Iralia centrale e meridionale, e invadevano, forse seguendo un disegno strategico di Narse- te, il regno dei Franchi.

I1 periodo più agitato venne dopo l'assassinio di Alboino (572) e di Cle- fi (574). Secondo Paolo Diacono, durante l'interregno tra 574 e 584, i duchi avevano «spogliato le chiese, ucciso i sacerdoti, rovinato le citri e decimato le pop0lazioni»3~. La frase rispecchia quella dei Dialoghi nell'e- pisodio della visione di Redento33; nella Storia di Paolo, viene contrappo- sta a un'altra frase probabilmente proveniente dall'Historiola di Secondo di Trento che sottolinea i meriti del re Autari (584-590) nella pacificazione dell'ltalia: «c'era però questo di meraviglioso nel regno dei Longobardi: non c'erano violenze, non si tramavano insidie; nessuno opprimeva gli altri ingiustamente, nessuno depredava; non c'erano furti, non c'erano rapine; ognuno andava dove voleva, sicuro e senza alcun timore»34. Certo erano anni di guerre e di saccheggi ripetuti, ma il fondo scuro dei Dialoghi deve altrettanto alle convenzioni agiografiche quanto alle esperienze tragiche dei contemporanei di Gregorio.

28. Paronetto, 1 Longobardi nell'Epzstolariu, cic., p. 563. 29. W. Pohl, L'esercito ronzano e i Longobai-di: ctrategie n~zlitaiz epoliticbe, in Id., Le oviginz etizzcbe del-

I'Eziropa, Roma, 2000, pp. 167.180; id., The Empire andtbe Lomba~,ds, cit., pp. 98-107. 30. W. Pohl, Pvewlesse e corzsegr~ente della for?}zazzorze del regno lorq~obardo 172 Italia, in Id., Le orlg/nz

etniche, cit., pp. 149-66. 31. 0~1go getztis Languburdort~m, C. 5 , a cura di A. Bracciotci, Roma, 1998. 32. Paulus Diaconus Historia Langnbardorum 11, j z , a cura di L. Capo, Milano 1998, p. r 17. 33. Gregorius Magnus, Diulogi 111, 38. 14. HL 111, 16; trad. Capo 147,

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Quando, probabilmente nel 577 e nel 578, due importanti ambasciate italo-bizantine arrivarono a Constantinopoli per sollecitare un'azione deci- siva contro i Longobardi, l'imperatore Tiberio propose di ricorrere ai vec- chi mezzi della diplomazia bizantina: «donò denaro a Panfronio per con- vincere, se questo fosse stato possibile, alcuni tra i capi longobardi, avidi di guadagno, a passare con i loro uomini tra le file romanen35. I1 denaro bizan- tino produsse qualche risultato, poiché, in effetti, un certo numero di duchi longobardi passarono, almeno per qualche tempo, al servizio dell'impero. Alcuni fecero carriera nell'esercito romano, come Droctulfo, di origine ale- manna, menzionato in una lettera di Gregorio Magno come passato «de hostibus ad rem publicam»36. Una carriera ancora più cospicua fu quella di Nordulfo, presto diventato patrizio, del quale Gregorio si lamenta amara- mente nella sua lettera all'imperatore Maurizio del 595: "Norduulfo plus est creditum quam mihi~37. I1 passaggio di Nordulfo, con il suo esercito, alla parte imperiale evidenzia la disinvoltura dei capi militari longobardi. Comunque nel 592, Ariulfo, duca di Spoleto, disponeva delle truppe di Nordulfo, forse perché anche lui si era ad un certo punto alleato con i Romani. Ora chiedeva a Gregorio i precaria, gli stipendi, che spettavano a Nordulfo per il mantenimento del suo esercito. Chiedere ai nemici di paga- re lo stipendio delle proprie truppe sembra, a prima vista, assurdo. Ma la logica dei condottieri longobardi non era di semplice contrapposizione fra Longobardi e Romani. Seguivano la propria carriera passando molto facil- mente da una parte all'altra, considerandosi degni di ricevere pagamenti e doni considerevoli da parte dell'impero, offrendo i loro servizi militari. Se si sentivano trattati o pagati male, aumentavano la pressione attraverso gesti di minaccia e di violenza ben calcolati. Questi non erano atti di guer- ra mirati all'annientamento dei Romani, ma piuttosto gesti destinati a migliorare la propria posizione nei negoziati che dovevano seguire.

Questi giochi di potere di nobili guerrieri barbari sul suolo romano era- no ben conosciuti già dal tardo secolo IV@. Gregorio Magno sapeva bene giocarli, anzi, si vantava di giocarli meglio dell'esarca Romano e dei con- siglieri dell'imperatore nella distante Costantinopoli. Nella lettera già menzionata diretta all'imperatore nel 595, egli critica duramente la poli-

15. Menandros Protector, fr. 22; cf. fr. 24, a cura d i R. C. Blockley, The History oJhlenander the Gz/ardsnzari, Liverpool, 1985. Pohl, L'esercito romano, cit., p. 173.

36.GRIX,9,2.Cf.HLlII , 18. 17. GR V, 36. 38. W. Pohl, Vizare in cunfitto: Romani e barbari durante I'alto medioevo, in: Id., Le origini etniche,

ci(., pp. 199-240.

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tica sbagliata dei militari bizantini. Ariulfo, insiste, era già pronto toro cor- de ad allearsi con i Romani39. L'esarca, seguendo i consigli di Nordulfo, aveva scelto la guerra, ma secondo Gregorio con mezzi insufficenti. È comunque notevole che su questo punto proprio la biografia del papa nel Liber Pontzficdlis contraddica il pontefice. L'unico riferimento ai Longobar- di e alla guerra in questo breve testo è una frase secca: «In questi tempi, il patrizio ed esarca Romano veniva a Roma», ed enumera molte città con- quistate dall'esarca4O. Anche a Roma, le opinioni erano divise. La retorica sulle spade dei Longobardi e sull'Italia tenuta prigioniera dai Longobardi nella lettera serviva dunque a sottolineare quanto Roma dovesse soffrire a causa della politica sbagliata delle autorità bizantine. Non può sorprende- re che in una lettera scritta nello stesso periodo a un vescovo il papa potes- se sostenere che la malizia dell'esarca Romano era di gran lunga peggiore delle spade longobarde: «La sua malvagità nei nostri confronti supera la violenza dei Longobardi, cosicché i nemici che ci uccidono paiono bene- fattori, rispetto al modo in cui ci distruggono gli ufficiali pubblici con la loro perfidia, le loro rapine e i loro inganni»qT

Qui, diventa ovvio un dissenso politico fondamentale tra Gregorio e i rappresentanti bizantini. I1 papa s'accorgeva che con i mezzi militari disponibili ai Bizantini in Italia una riconquista della penisola non era più verosimile. I1 suo predecessore, Pelagio 11, nel 580, aveva ancora sperato: «Presto i nemici del Signore [. . . ] saranno dissolti come il fumo~4'. Ora, si potevano forse impiegare metodi di guerra sporca, assassinando il re o i duchi, istigandoli a conflitti interni o ponendo delle trappole. Sembra que- sto il senso delle famose parole di Gregorio che «si in morte Longobardo- rum me miscere voluissem, hodie Langobardorum gens nec regem nec duces nec comites haberet atque in summa confusione esset divisan4'. La frase si trova nel contesto di una lettera al rappresentante del papa a Costantinopoli, il diacono Sabiniano. Girava la voce che un vescovo dal- mata messo sotto custodia per malvagia condotta fosse stato ucciso dagli uomini del papa. Gregorio elenca gli argomenti contro queste accuse, evi- denziando, tra l'altro, che non aveva usato tali metodi nemmeno contro i nemici, anche se sarebbe stato possibile. Senz'altro, un abile diplomatico

19. GR V, 36. 40. Liber Punri/icuIis 66, a cura di L. Duchesne, Paris, 1955, p. 1 2 .

4 1 . GR V, 40: eita u t benigni videantur hostes, qui nos interimunt, quam reipublicae iudices, CI LI^ nos malitia sua, rapinis atque fallaciis in cogitatione consumunt,,.

42. M G H Epp. 111, p. 449 43. GR V, 6.

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avrebbe potuto sfruttare al massimo i conflitti permanenti tra re e duchi longobardi. Comunque, la 'massima confusione' non poteva essere lo sco- po del pontefice. Seguiva, con molta insistenza, una strategia di pace, con metodi tradizionali della diplomazia romana: scegliere interlocutori auto- revoli, dare regali, creare fiducia, e infine tentare di rafforzare la posizione di potenti longobardi aperti al compromesso finché la situazione si fosse stabilizzata.

Seguono gli anni delle trattative, pretese, awiate, mediate, e seguite attentamente da papa Gregorio44. Dall'altra parte, emerge una contropar- te con influenza crescente nella trattativa: la regina Teodelinda. In questa sede manca il tempo per tracciare i percorsi complicati tra guerra, armisti- zio e pace. Per facilitare un'intesa con il regno longobardo, il papa era anche disposto a tacere sull'orientamento tricapitolino, dunque scismatico, degli esponenti cristiani non-ariani nel regno. Mentre nell'esarcato si seguiva una linea dura con il patriarca scismatico di Aquileia residente nel- la Grado bizantina, Gregorio non insisteva sul quinto concilio ecumenico con Teodelinda e i suoi consiglieri.

L'esitazione nell'approfondire il dibattito sui Tre Capitoli con la chiesa cattolica nel regno longobardo era senz'altro politica. Ne testimonia una lettera al vescovo Costanzo di Milano (residente nell'esilio genovese), scrit- ta nel 594. Precedentemente, Gregorio aveva scritto una lettera alla regi- na Teodelinda enumerando i cinque sinodi fondamentali per la fede catto- lica. I1 vescovo Costanzo doveva trasmettere la lettera papale a Teodelin- da, ma si rifiutò, perché il quinto sinodo, quello di Costantinopoli che aveva condannato i Tre Capitoli, non era accettabile alla regina. Come rea- gisce il papa a questo netto rifiuto di inoltrare la lettera? Ringrazia il vescovo di non averla trasmessa:

Quod autem scripsistis quia epistulam meam reginae Theodelindae transmit- tere minime voluistis, pro eo quod in ea quinta synodus nominabatur, si eam exinde scandalizari posse credistis, recte factum est ut minime transmitteretis. Unde nunc ita facimus sicut vobis placuit, ut quattuor solummodo sinodos lau- daremus45.

E di fatto, la lettera a Teodelinda che menziona solo i quattro concili ecumenici è a sua volta contenuta nel Registro. Alcuni vescovi tricapitoli- ni del regno avevano chiesto alla regina di sospendere la comunione con

44. Pohl, Tbe En~pire and tbe Lonzbards, cit. 45. GR IV, 37.

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Roma e Gregorio reagiva sottolineando i punti comuni, soprattutto l'as- soluta fede nel concilio di Calcedonia. Gl i scismatici credevano infatti che la condanna dei Tre Capitoli fosse in contraddizione con Calcedonia.

Pochi anni dopo, un monaco di nome Secondino chiedeva a Gregorio d'inviare un libello con un'esposizione dettagliata della posizione papale di fronte alla questione tricapitolina. Il pontefice taceva, e di fronte all'insi- stenza di Secondino in una lettera del 599 si scusava con la podagra~6. Quel Secondino è senz'altro da identificarsi con Secondo di Trento, mona- co, storico e consigliere ecclesiastico della reginal-. Ancora poco prima della sua morte, nel dicembre del 603, il papa in una lettera a Teodelinda ripeteva le scuse di non aver potuto rispondere a Secondo e la ringraziava calorosamente per il battesimo cattolico del figlio Adaloaldo e per la pace c0nclusa4~. La politica religiosa della regina godeva del sostegno dei vesco- vi cattolici e di gran parte della popolazione romana. Non solo il vescovo, ma anche i cives di Brescia avevano chiesto all'arcivescovo di Milano di g i ~ i - rare in favore dei Tre Capitolil? Più clamorosa ancora la lettera del patriar- ca di Aquileia ad Agilulfo, nella quale si lamentava della repressione subi- ta da parte delle autorità ravennati5'

In tutto il Registro di Gregorio mancano quasi totalmente le lettere dirette ai vescovi del regno longobardo. Solo una volta il papa viene implicato in un conflitto del vescovo di Torino con i Franchi che avevano trasferito alcuni paesi da loro dominati alla giurisdizione di un vescovo franco>'. Per Pavia, Verona, Lucca, Bergamo non c'è niente, per Brescia solo la notizia del conflitto del vescovo tricapitolino con quello di Mila-

45. GR IX, 148. 47. L'identificazione del Secondino della lettrra IX, 148 con i1 Secondo della lettera XIV. r r e

il Secondo aurore della fliitoriiila menzionato in H L 111, 29; TV, 27; IV, 40 non viene condivisa c1'1 tutti gli autori; m1 sembra comunque inverosimile che il Sei-li71ihiii1i serzus Dei ~nc/a~/.iii~ e il Secio/i/ili a6ha.r clie nel giro di pochi anni scambiavano lettere con Gregorio sullo scisma fossero due persone diverse; è quasi impossibile che alla corte di Teodelinda nello stesso momento un Secondo abbi21 hat- tezzaro il figlio Adaloaldo e un altro scritto al papa a proposito dei Tre Capitoli. Si veda W. Polil, Hereij in Se~~L9ldld~ und Pnill tbe Deacrin, in The Criiz.r oftbe 0;Rorimeize. Tbe Tb~ee Cbr~l~ter~ nnd rhr F't;/ii- [ed Qziertfor Unity in tbe S~xth-Centl~ry hled~terraize~zr~, ed. C. Chazelle - K. Cubitt, Turnho~it , in cor- so di stampa; e, nello stesso volume, C. Straw, Af/~cb to Do ubordt hTotbincc: Gregoq tbe Greailr i i p o l o ~ j to tbe Ist~iaizs.

48. GR XIV, 12.

49. GR IV, 37. 5 0 . Epzstolae 12ai;~oh~rdzcne n. I , a cura di W. Gundlach, MGH Epistolae Merovingici et Karoli-

ni aevi vol. I , Monaco, 1892, p. 693: eQualis autem unitas dicitur facta, ubi spava, ubi claustra car- cerum, ubi flagella fustium et ubi longa exsilia crudeliumque penarum discrimina parabanturlx Si veda W. Pohl, Deliheiate attihzgi~ity - the Lofi~hnrds and Chri.rtianitj, in Christianzzing Peopb and Con- ~~e~trtirig Indi~'jdz~als, ed. G . Armstrong - I. N. Wood, Turnhout, 2000, 47-58.

51 . GR IX, 2 1 5 ; IX, 227.

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Certo, in questo periodo «le Chiese dell'Italia settentrionale entra- no nell'orbita delle sedi metropolitane di Milano e Aquileia» e non sotto la giurisdizione metropolitica romana come il resto dell'Italia53. Però, l'o- rizzonte del Regzstro in altri casi va ben oltre il distretto metropolitico di Roma. Quando nel 595 aveva la possibilità di trattare direttamente con due vescovi dell'Istria, Pietro (d'Altino) e Providenzio, Gregorio li invi- tava a venire a Roma, dando loro le garanzie d'incolumità54. È poco pro- babile che il pericolo subito dai vescovi tricapitolini derivasse dai Longo- bardi; piuttosto, erano le autorità bizantine che costituivano un rischio che il papa sperava di attenuare con la sua lettera. Altino era stata ricon- quistata dai Bizantini pochi anni prima e Pietro doveva temere le rappre- saglie da parte delle autorità ravennati, preferendo ovviamente rivolgersi al papa con i sui dubbi. In maniera simile, sembra poco convincente che l'autore anonimo della lettera contro il vescovo Giovanni di Ravenna scri- vesse sotto una condanna a morte da parte dei Longobardi55. L'immagine dei Longobardi barbari e scismatici non deve illuderci a incolparli auto- maticamente di tutte le violenze delle quali si ha n0tizia5~.

Non era tanto il dominio longobardo quanto lo scisma tricapitolino ad impedire che la voce del papa si facesse sentire direttamente nell'Italia set- tentrionale. I vescovi del distretto metropolitano di Aquileia si riunivano ripetutamente in sinodi di orientamento tricapitolino, ma di legami diret- ti con il papa non c'è traccia. Le chiese del regno, quella ariana ma anche quella tricapitolina, erano senz'altro più vicine alla corte longobarda che non al papa. La politica ecclesiastica di Teodelinda non era mirata a costrui- re una chiesa unitaria del regno. Era la regina a trattare con Gregorio tra-

52. G R IV, 37. Como: G R IX, 187. 5 3. Boesch Gajano, Gregorio Magno cit., p. 93. 54. G R V, 56. 55. Questa è la conclusione dell'analisi altrimenti convincente di C. Sotinel, Rhétorique de lafazl-

te e t pa.ttora/e de la re~.onNliation dans la lettve apologétique contre Jeaz de Ravenne, Rome, 1994, qui p. 66. Claire Sorinel deduce dalla lettera V, 56 che <<un éveque schismatique qui se mettrait en rela- tion directement avec Rome pour quitter I'obédience d'Ac1uilée aurait toutes les chances d'etre con- sidéré comme un traitre par les Lornbards». Ma la lettera non parla di Longobardi; Gregorio non avrebbe potuto promettere che i Longobardi non avrebbero molestato i vescovi in viaggio. Altino era stata riconquistata dai Bizantini nel 590, o forse già nel 585 (Epistolae Auitra.rzcae 40, a cura di H. Rochais, Turnhout, 1957, p. 460), e restava sotto controllo bizantino: C. Azzara, Venetiae.Deter- nziaazzone di un'area regionale fra antichiti e alto nledioevo, Treviso, 1994, p. 82.

56. Sotinel, Rhétorique de /a faute, cit., p. 52: «Dans sa lettre apologétique, I'auteur invoque l'au- torité er le prestige d u pape contre Jean de Ravenne, et cornpte sur I'éveque de Rome pour "l'arra- cher aux mains de ceux qui (le) retiennent par la force", qui sont plus vraisernblablement des bar- bares que des Romainsu. Anche il parriarca Severo e altri vescovi istriani furono trattenuti a Raven- na con la forza (HL 111, 26); e all'autore della lettera potrebbe essere successo lo stesso.

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mite il suo consigliere Secondo per ristabilire l'unità della chiesa italiana. Diventa così più comprensibile la preoccupazione ricorrente di Gregorio Magno che anche altrove la popolazione romana potesse preferire il domi- nio longobardo a quello bizantino, per sfuggire al malgoverno bizantino e alle tasse troppo pesanti, come nei casi di Nepi e della Corsica", ma anche alla dottrina imposta dall'esarca, la quale il papa doveva pure difendere.

I1 mondo politico dell'Italia durante il pontificato di Gregorio Magno era complicato. Né i Longobardi né i Romani seguivano una strategia coe- rente, ma erano divisi in gruppi e correnti qualche volta piìl contrastanti tra di loro che di fronte ai presunti nemici. Sia l'unità politica della peni- sola sia l'unità religiosa della chiesa erano fuori portata persino per un pon- tefice eccezionale come fu Gregorio Magno. Non conviene ridurre i con- flitti che lo circondavano a una semplice contrapposizione di Longobardi barbari, aggressivi ed eretici da un lato, e di Romani cattolici sott'assedio quasi continuo dall'altro. Erano tempi di guerra, e spesso i Longobardi era- no i nemici, ma non c'è traccia che come tali si comportassero in maniera più violenta e barbarica delle truppe bizantinej8. Per comprendere gli atteggiamenti, gli sforzi e i meriti di Gregorio, dobbiamo cogliere appie- no le tante tensioni e contraddizioni del paesaggio politico nel quale dove- va muoversi. Le sue lettere in tutta la loro complessità sono una chiave pre- ziosa all'universo agitato del grande pontefice.

57. GR IV, Io; 11, 28. 5 8. W. Pohl, Perieptin12.r uf bavhfirzan vzolei~ce, in L'ioIen~-e in Late Antiqzlitj. Pev~@tioizs and PrZltctic~>~,

ed. H. A. Drake, AldershotIBurlington 2006, pp. 15-26.