il bestiario di machiavelli

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  American Association of Teachers of Italian is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Italica. http://www.jstor.org Il bestiario di Machiavelli, tra emblematica e naturalismo Author(s): Marco Arnaudo Source: Italica, Vol. 80, No. 3 (Autumn, 2003), pp. 313-333 Published by: American Association of Teachers of Italian Stable URL: http://www.jstor.org/stable/30038789 Accessed: 15-07-2015 03:12 UTC Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at http://www.jstor.org/page/  info/about/policies/terms.jsp JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. This content downloaded from 146.155.94.33 on Wed, 15 Jul 2015 03:12:11 UTC All use subject to JSTOR Terms and Conditions

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Il bestiario di Machiavelli

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    Il bestiario di Machiavelli, tra emblematica e naturalismo Author(s): Marco Arnaudo Source: Italica, Vol. 80, No. 3 (Autumn, 2003), pp. 313-333Published by: American Association of Teachers of ItalianStable URL: http://www.jstor.org/stable/30038789Accessed: 15-07-2015 03:12 UTC

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  • Ii bestiario di Machiavelli, tra emblematica e naturalismo

    Se si chiedesse ai lettori del Principe di Machiavelli qual e la parte del trattato che pii vivamente ricordano, credo che quasi tutti chiamereb- bero in causa il capitolo 18, e in particolare il passo della volpe e del leone.

    Sendo dunque necessitato uno principe sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione; perchb el lione non si defende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi; bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. (165)

    Questa esortazione all'azione pratica viene incorniciata testualmente e fondata concettualmente su due considerazioni di carattere piu generale: la prima e che il principe viene costretto dalle necessit~ a servirsi di certe caratteristiche tipicamente animali;1 la seconda, che questa animalith & giA comunque diffusa tra gli esseri umani, e che non si tratta dunque di con- seguirla o meno, ma di riconoscerla e servirsene efficacemente prima che altri lo facciano alla medesima maniera.2

    La natura umana come descritta da Machiavelli nel Principe risulta insomma intimamente composita: essa e fatta di una componente umana (e umanistica) e di una belluina, la quale si scinde a sua volta in un piccolo bestiario di stampo, apparentemente, antico o medievale.

    GiA nella sua prima prova letteraria, il Decennale primo,3 Machiavelli fa un largo impiego di immagini animali, che affollano anzi ossessivamente la storia della "in s6 discordante Italia" (435; 16) trail 1494 e il 1504. Dopo un proemio che annuncia la materia e include un'invocazione del tutto formale alle Muse, Yl'accenno al "basto" (435; 26) mediceo su Firenze ma soprattutto all'"artiglio" (435; 31) di Carlo VIII incominciano a dare al poemetto un accento animalesco, mentre il precedente richiamo ai "Galli" era privo di accenni metaforici e faceva ancora pensare pii agli abitanti della Gallia contemporanea che ad animali da cortile. Intorno all'"artiglio" del re francese si realizzano invece dei mutamenti significativi: si passa dall'introduzione alla materia principale; dal tono discorsivo a quello narrativo; dalle imma- gini civili a quelle animali. E il tutto con un parallelismo per nulla casuale: dove inizialmente si discorre, si piangono le rovine civili e si invocano le Muse, qui sta l'uomo; dove si agisce, la bestia.

    Cosi repentinamente l'opposizione di Pier Capponi ai francesi diventa "La voce d'un cappon tra cento gaUlli" (435; 36) in un verso in cui ora si le

    ITALICA Volume 80 Number 3 (2003)

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  • 314 MARCO ARNAUDO

    metafore naturali cominciano a funzionare in rrcnuito ea portare visivamente nel testo i rispettivi animali (inaugurando il parallelismo tra francesi e pennuti che perdura poi per tutta l'opera). Da qui in avanti, il richiamo al regno animale (e in particolare all'ambito ornitologico) si fa inarrestabile: Carlo VIII "Passb nel regno qual falcon che cale / O uccel ch'abbi pii veloce volo" (436; 47-48).

    I fiorentini restano "col becco aperto" (436; 112) ad attendere l'aiuto straniero, e dopo la ritirata francese, solo Firenze "rimanesti in Italia per aguglia" (436; 105), dove anche "l'aquila/vessillo della Francia conficcato in Italia" entra in risonanza con le altre immagini di volatili. E gli uccelli in generale si prestano bene, per Machiavelli, a esprimere idee di rapacita. Nella lettera a Francesco Vettori del 5 gennaio 1514 gli uccelli instaurano la piCi complessa similitudine animale del carteggio, andando a rappresentare la voracita sessuale:

    Lasciate dire il Brancaccio, che non si avvede che egli e come uno di quelli forasiepi, che e il primo a schiamazzare e gridare, e poi, come giugne la civetta, e il primo preso. E Filippo nostro & come uno avvoltoio che, quando non e carogne in paese, vola cento miglia per trovarne una; e come egli ha piena la gorga, si sta su un pino e ridesi delle aquile, astori, e falconi e simili, che, per pascersi di cibi delicati, si muoiono la meta dell'anno di fame. (926)

    e cosi nei Discorsi rappresentano la "eccessiva voglia" di spegnere i propri avversari politici:

    Gli uomini... spesso fanno come certi minori uccelli di rapina, ne' quali & tanto desiderio di conseguire la loro preda, a che la natura gl'incita, che non sentono uno altro maggiore uccello che sia loro sopra per ammaz- zarli. (96; 1.40; corsivo mio)

    In entrambi i casi notiamo una sottolineatura del carattere irragionevole e meccanico dell'animale, inclusiva di una critica all'uomo che a tale ani- male si appaia.

    Se Machiavelli nell'impiego delle metafore animali sembra rifarsi tal- volta alia tradizione dei bestiari medievali, che attribuiscono a certi ani- mall un determinato significato allegorico, non ~ per6 questo il tipo di operazione che genera le metamorfosi del primo Decennale. Nella favola classica come nel bestiario e un legame analogico, ora su base teologica ora morale, che crea i legami tra l'animale-simbolo e l'oggetto simbolizzato: cosi la fenice che rivive dalle ceneri starebbe per l'anima umana che rivive dopo la morte.4 Nel Decennale primo, invece, Machiavelli non si accon- tenta di questo meccanismo che pur fornisce gli artigli all'ambizioso Carlo, associa il Valentino ai bavalischi dei bestiari (449; 397) e all'idra mitologica (449; 404), e pure crea l'associazione "Ascanio Sforza, quella

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  • II bestiario di Machiavelli 315

    volpe astuta" (450; 493). Machiavelli va infatti molto oltre, e sfrutta tutte le potenzialitA immaginabili della materia storica per generare animali dal testo, anzich6, come tradizione vorrebbe, imporre alla materia gli animali simbolici da essa richiesti.

    Vengono forzate tutte le memorie storiche (francesi-galli) e tutte le assonanze onomastiche, per cui la famiglia Vitelli diviene un gruppo di bovini e gli Orsini si mutano in grossi plantigradi (447; 386), che a loro volta si tramutano per analogia da bestiario in "serpenti / di velen pien" (447; 388-89). Vengono rielaborate tutte le creature araldiche, per cui gli animali fissati negli stemmi delle varie citti o nei blasoni delle famiglie risultano strappati dalla fissith del simbolo e immessi come attori viventi nello scenario italiano.5 La biscia dei Visconti prende allora a strisciare (442; 148); la mancata restituzione delle rocche a Firenze da parte di Siena, Genova e Lucca diviene una sfrenata baruffa tra bestie: "Al vostro Leon trassor de' velli / La Lupa con San Giorgio e la Pantera" (442; 124-25) che si scatena su una memoria dantesca ("ch'a piii alto Leon trasser lo vello," 3.6.108),;6 e anche il cervo sul vessillo di Soderini abbandona la posa emblematica e si mette a dare di coma (448; 376).

    Ii risultato generale e quello di tramutare la storia in un teatro bel- luino, in cui gli agenti animaleschi in campo valgono tanto a fissare emble- maticamente i referenti storici che a rendere impressionisticamente la ferocia degli eventi.

    Se questa operazione somiglia a un bestiario, con esso e con le sue strutture analogiche non pu6 in realta identificarsi, perch& da questo punto di vista esso sarebbe assolutamente illeggibile. Quello che conta qui per Machiavelli & infatti affollare la recente storia italiana di animali, non importa quali. IL significato allegorico che le singole bestie possono potenzialmente esprimere deve anzi essere represso a favore degli eventi colti nel loro sviluppo effettuale. Cib che importa piuttosto & riassumere tutta una citth, uno stat o un personaggio in un'idea densissima, che resti chiara seppur nella fugace performance d'ascolto- il poemetto era stato pensato per il canto o la declamazione -, comprimendo in poche centinaia di versi le intricate vicende di un decennio burrascoso.

    Si tratta di un processo comune in Machiavelli, il quale, come notavano Chabod e Russo, e solito fissare in un'immagine memorabile un ragiona- mento astratto o una catena di pensieri, come nel caso della donna-fortuna che chiude il capitolo XXV del Principe.7 Quanto all'ambito animale che qui ci interessa, possiamo citare l'aquila che solleva in volo la tartaruga a conclusione del Capitolo di fortuna: bloccata nella fissitA dell'emblema, questa immagine comprende tutto il poemetto sulla dea che "porta uno in alto, ma che, ruinando, / lei se ne goda e lui cadendo pianga" (121; 182-83).

    Questa operazione appariva chiara e dotata di importanza strutturale ai suoi lettori e ascoltatori contemporanei, se uno di loro, Agostino Vespucci, scriveva nella lettera prefatoria alla prima edizione del Decennale:

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  • 316 MARCO ARNAUDO

    Onde havendoli [i fatti del decennio] Niccolo Machiavegli in versi / & con mirabile brevitA descripti .... Ne voi vi sdegnerete leggere in tale stilo / & con tanta brevith cose si grave & di tanto momento: perche lui non per altra cagione le ha ridocte in versi: & si brevi: se non perche voi possiate in poco di hora discorrere cantando tutti quelli pericoli / che in dieci anni piangendo havete corsi. (I, r)8

    La brevith, la capacith del testo di comprimere in un limitato componi- mento i tempestosi fatti del decennio si collegano nelle parole di Vespucci alla loro motivazione, ciob il desiderio di fare di quella materia storica recente un oggetto di elevato intrattenimento. I versi machiavelliani sono pensati per essere recitati davanti a un pubblico reale; come tali, rifiu- tano l'indugio descrittivo, la digressione teorica e persino i nessi causali,9 ma incatenano uno all'altro i fatti nell'incedere inarrestabile della terzina dantesca. All'ascoltatore viene presentato un ritmo martellante di awvveni- menti turbinosi, che, oltre a tenere imbrigliata 1' attenzione nel corso di una performance orale, rende pure il senso tumultuoso degli eventi stessi: le tecniche di compressione, insomma, si adeguano bene anche all'oggetto rappresentato, che guadagna dunque in perspicuith e incisivith.10

    L'animale, che proviene dalla tradizione araldica o popolare, possiede nella mente del lettore-ascoltatore cinquecentesco una vivacit, una vitalitA e una disponibilitA alla rievocazione immediata che ~ oggi per noi difficile da immaginare, e che poteva manifestarsi nelle forme e nei modi piti diversi, dalla letteratura conviviale all'omicidio politico. Quella stessa biscia dello stemma visconteo che appare nel Decennale primo la ritroviamo nelle Istoriefiorentine, dove Zanobi del Pino, per avere tradito i suoi signori, viene dato

    in preda a' suoi servidori i quali, dopo molti scherni, gli davono sola- mente mangiare carte dipinte a biscie, dicendo che di guelfo per quel modo lo volevono fare diventare ghibellino: e cosi stentando, in brievi giorni morl. (185; 4.12)

    Qui la biscia sulle carte sta tanto per la famiglia tradita che per l'idea generale di tradimento convenzionalmente connessa al serpente. Come gli esecutori di del Pino, Machiavelli si mostra in grado di collegare lo spirito ludico della risoluzione di un indovinello a contenuti problema- tici se non addirittura tragici, cosi che certe invenzioni animali del Decen- nale primo (specie quelle basate sul bisticcio o sulla forzatura lessicale) pote- vano valere anche come momenti di micro-rebus nel discorrere del testo:

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  • Il bestiario di Machiavelli 317

    lasciavano all'ascoltatore il gusto della scoperta programmata propria del motto di spirito per poi fissare mnemonicamente, una volta svelati, i fatti in esame.11

    Ma non basta. Se Machiavelli non poteva disporre, sullo scacchiere araldico italiano, di metafore congruenti con le azioni storicamente compiute, certo non ignorava che attivando tutte queste metafore assieme avrebbe ottenuto comunque un particolare effetto d'insieme, che e quello appunto di far spiccare dal testo l'immagine animale come tale, imponendo ai fatti storici l'aspetto ulteriore di un violento e burrascoso inferno dantesco, in cui gli agenti storici recitano deformati in bestie mostruose.

    L'intero poemetto machiavelliano, anzi, sembra rielaborare e portare all'estremo il passo dell'Inferno in cui Dante rievoca a Guido da Monte- feltro la situazione della Romagna:

    Ravenna sta come stata & molt' anni: l'aguglia da Polenta la si cova, si che Cervia ricuopre co' suoi vanni. La terra che f6 gia la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio, sotto le branche verdi si ritrova. E '1 mastin vecchio e '1 nuovo da Verrucchio, che fecer di Montagna il mal governo, 1 dove soglion far d 'i denti succhio. Le citta di Lamone e di Santerno conduce il lioncel dal nido bianco, che muta parte da la state al verno. (242-43; 1.27.4(0-51)

    Questo passaggio & anch'esso pieno di simboli araldici che agiscono bestial- mente in un paesaggio di "vanni" e "branche," e immaginiamo che Machia- velli l'avesse ben presente anche nel Principe per la famosa ammissione di Guido: "l'opere mie / non fur leonine, ma di volpe" (245; 1.27.74-75).

    Che tutti gli agenti storici dell'ultimo decennio possano essere tramu- tati a piacimento in animali, e un'idea che estende all'intera specie umana, e dunque alla Storia stessa, quel fondo belluino che abbiamo visto discusso nel Principe, e che si presta a una cupa visione d'insieme paragonabile a quella di Pomponazzi nel De fato:

    Non plus enim crudele est, si anima est mortalis, quod aliqui concul- centur ab aliis, aliqui dominentur, aliqui serviant, quod etiam unus devoret alium, quam quod lupus devoret ovem et serpens interficiat alia animalia. (451)12

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  • 318 MARCO ARNAUDO

    Nel Decennale primo, insomma, l'animale si identifica con l'uomo, ma pure ne rappresenta il limite pii basso, la sede delle ambizioni pii pro- fonde che guidano alla violenza e alla conquista, indirizzando a basse mete i calcoli della ragione anzich6 lasciare che questa ragione guidi, umanisti- camente, le azioni. Nel Decennale primo, quando Yl'uomo lascia libera la bestia, i calcoli e le azioni di questa rivelano irrimediabilmente il lato materiale, corporeo, fisico dell'esistenza, per cui i soldati degli eserciti divengono masse di came amorfa mescolata con gli attrezzi del mestiere (ridotti a loro volta a puro rottame):

    Di sangue il flume parea a vedello, Ripien d'uomini e d'arme e di cavagli Caduti sotto il gallico coltello.... (441; 88-90)

    E cosi avviene in un'immagine del Capitolo dell'ambizione molto importante per il nostro discorso:

    Di sangue son le fosse e l'acque sozze, piene di teschi di gambe e di mani e d'altre membra laniate e mozze. Rapaci uccei, fere silvestri e cani Son poi le lor paterne sepulture: O sepulcri crudel, feroci e strani! Sempre son le loro facce orride e scure, A guisa d'uom che sbigottito ammiri, Per nuovi danni o subite paure. (148; 148-56)

    Quando l'ambizione prende il sopravvento sulle norme civili e sulla ragione, il risultato & un vero e proprio disfacimento di individui e istitu- zioni, che sconquassa persino il canone letterario quando si noti che quei "rapaci uccei, fere silvestri, cani" pervertono il verso petrarchesco "fere silvestre, vaghi augelli e pesci" (490; 301).13 Su questo scenario di distru- zione, voluto da uomini che si sono abbassati a bestie, arrivano animali rapaci che parodiano grottescamente le istituzioni diventando i mostruosi "sepolcri" degli uccisi. Qualcosa di simile si potrebbe anche dire per uno dei sonetti a Giuliano de' Medici: i consiglieri che attorniano il regnante ricordano dei lupi famelici, e il componimento stesso diventa un tordo da gettare loro "acci6 che, mentre [la bestia] mangia questo uccello / di laniare altrui li si discordi." Ii poeta si trasforma a sua volta in una preda da cui i maldicenti "spiccon... di buon bocconi."14

    E se il mondo animale del primo Decennale e dantescamente "guasto," ovvero ridotto a materia marcilenta, allo stesso modo "sentirassi come il mondo & guasto" nello scenario animalesco dell'Asino (139; 1.118). Anche qui il lato bestiale appare inscindibilmente connesso alla natura umana,

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  • I1 bestiario di Machiavelli 319

    e si appaia a un abbassamento dell'uomo a un composto schiettamente fisico, quasi fatto di una pasta che viene modellata dalle istituzioni del vivere civile, ma che rimane inquieta e pronta a disperdersi attraverso i cedimenti della forma organizzatrice. Si tratta di un' idea derivata da una concezione precisa della natura e del rapporto che l'uomo intrattiene con essa, e che sembra basarsi su presupposti naturalistici che Machiavelli trae (ma non riproduce appieno) dai frammenti del VI libro di Polibio.15

    Di Polibio Machiavelli condivide certamente l'idea di una storia che, interagendo con la natura, si sviluppa secondo un ciclo vitale proprio e destinato a conclusione; solo, nel segretario fiorentino, questa idea non porta ad abbracciare in pieno un anacyclosis in base alla quale trarre dal passato una legge immutabile e utile dunque al pronostico certo, bensi una tendenza all'armonia della circolarith, che si scontra per6 sempre con le contingenze del caso singolo e le resistenze della materia. Nel passo dei Discorsi pii prossimo a Polibio:

    E questo & il cerchio nel quale girando tutte le repubbliche si sono gover- nate e si governano; ma rade volte ritornano nk governi medesimi; perch4 quasi nessuna repubblica pu6 essere di tanta vita, che possa passare molte volte per queste mutazioni, e rimanere in piede (13; 1.2)

    la legge dell'anacyclosis e minata dal basso e privata di ogni valore pura- mente teorico: gli stati compirebbero si un ciclo armonico, ma solo se non si esaurisse il loro cilo vitale per una semplice mancanza di energia.16 Machiavelli, nel momento stesso in cui & tentato dalla regola generale e assoluta, non intende scordare le forze puramente materiali della natura, che tendono a disgregare e riportare a massa incomposta tutto quello che l'uomo ha costruito - fisicamente come culturalmente e civilmente.

    Questo & esattamente quanto avviene in una riuscitissima pagina delle Istorie florentine, in cui Machiavelli descrive la grande tempesta del 1456. Per prima cosa Machiavelli si assicura di coUllegare il fatto metereo- logico a uno politico:

    Correva l'anno 1456 quando i tumulti mossi da Iacopo Piccinino finirono: donde che, posate l'armi dagli uomini, parve che Iddio le volessi prendere Egli, tanta fu grande una tempesta di venti che allora segui .... (321-22; 6.34)

    per poi dipingere una "nugolaglia" che

    in se medesimo rotta, in se medesimo combatteva, e le spezzate nugole, ora verso il cielo salendo, ora verso la terra scendendo, insieme si urta- vano; e ora in giro con una velocith grandissima si movevano, e davanti a loro un vento fuori d'ogni modo impetuoso concitavano; e spessi fuochi

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  • 320 MARCO ARNAUDO

    e lucidissimi vampi intra loro nel combattere apparivono. Da queste cosi rotte e confuse nebbie, da questi cosi furiosi venti e spessi splendori, nasceva uno romore non mai pitz da alcuna qualith o grandezza di tre- muoto o di tuono udito; dal quale usciva tanto spavento che ciascuno che lo senti giudicava che il fine del mondo fusse venuto, e la terra, l'acqua e il resto del cielo e del mondo, nello antico caos, mescolandosi insieme, ritornassero. (322; 6.43)

    Immagine di un caos da diluvio leonardesco in cui la natura, premendo attraverso le maglie sociali allentate dai tumulti civili, sovverte le gerar- chie di alto e basso, travolge l'uomo e le sue strutture riportandole al puro stato di elementi materiali.'7

    Se talvolta Machiavelli sembra voler determinare una legge di natura immutabile, come fa in un famoso passaggio delle Istorie florentine,18 in realtY, not6 Sasso, "il rigore naturalistico dell'inizio [delle varie esposi- zioni] tende sempre pihi ad attenuarsi: le cause naturali, la necessita e la proporzione naturalistica delle cose, trapassano in concrete ragioni psico- logiche e umane,"19 le quali sono a loro volta connesse con un gioco di "umori," istinti ed esigenze biologiche puramente animali.

    Forse un Machiavelli naturalista, allora, piuttosto che un semplice adepto del naturalismo;20 un lettore di Polibio che cerca le leggi generali nella loro effettualita, tramite l'osservazione del reale presente e della storia come registrazione del reale passato. Nel fare questo, il nostro autore sembra condividere due tendenze specifiche della sua epoca, che sono da una parte l'osservazione naturalistica pura, e dall'altra il rilancio della cultura medica antica secondo nuovi canoni.

    Proprio a inizio Cinquecento, infatti, si inizia a guardare alla natura senza il filtro allusivo e fantastico dei bestiari medievali, e di questo nuovo sguardo sono testimonianza, negli anni di Machiavelli, gli animali dipinti da Giovanni da Udine a Palazzo Baldassini e nella perduta uccelliera di Leone X.21 La natura appare adesso rappresentata di per se stessa e gli ani- mali vengono intesi come puri animali; come oggetti di studio nell'essere e apparire della loro corporea materialita, anzich6 come segno o simbolo di qualcosa d'altro.

    Inoltre, la cultura medica primo-cinquecentesca, che in Francia avrebbe nutrito le invenzioni linguistiche e la concezione dell'uomo di Rabelais, poteva avere ben fornito spunti metodologici al nostro autore se non, almeno, avere indagato lungo medesime intuizioni e secondo scopi ana- loghi. t proprio nel torno d'anni delle maggiori opere machiavelliane, infatti, che la cultura medica antica, rilanciata nel 1478 dall'edizione fiorentina del De re medica di Celso,22 propone, tramite l'opera di con- temporanei quali il Leoniceno, un metodo che reagisce al neoplatonismo guardando alla concreta realta del mondo con intenti analitici e con piglio in parte scettico.23

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  • II bestiario di Machiavelli 321

    Questa cultura applica al reale strumenti analoghi a quelli machiavel- liani: un insieme di strategie mobili, cio, che opera per generalizzazioni la cui efficacia va poi comunque sempre provata sul caso singolo e soggiace al rischio di perenne fallibilitA; un arsenale di tecniche che leggono i segni del reale per trarne paradigmi indiziari e diagnosi probabilistiche, ma mai formule pacifiche e assolute.24 Inoltre, lo scopo ultimo di questo studio e sempre l'intervento sul reale, nella pii prossima e pura materia fisica dei corpi, proprio com'P in Machiavelli il richiamo all'esperienza: mai un accenno retorico ma un lavoro da compiere alla maniera in cui nei Discorsi le esperienze antiche e moderne vengono raccolte, sezionate, analizzate, catalogate.

    Questa & una tendenza (che culminers in Guicciardini) ad essere i pii generali e precisi possibile, ma sempre con la coscienza della forza delle eccezioni che possono travolgere ogni regola e di un limite materiale imperscrutabile oltre il quale la ragione non pub spingersi.25 Ed e cib che si traduce nella metafora sagittaria (comune a Machiavelli e Leoniceno) di un metodo tendenziale che deve puntare pii in alto possibile proprio perch4 sa di non potere arrivare al massimo possibile; e ancora, & cib che nel Principe determina formulazioni bellissime e paradossali come "Di che si cava una regola generale, la quale mai o raro falla" (126). La regola e generale, e si vorrebbe dire che mai falla; poi, come per lapsus, si ammette che forse a volte falla. Cosi quando si ammette che la Fortuna "sia arbitra della meta delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l'altra metA, o presso, a noi" (187), si fissa inizialmente un limite che viene poi subito contraddetto, corretto e indebolito da una nuova ammissione.

    Ecco allora che alla luce di queste somiglianze col nuovo paradigma medico probabilistico, effettuale, generalizzante e particolarizzante insieme, assumono un differente e pii profondo valore passi come:

    Ravvedutosi il popolo [di Firenze] dello errore suo [la cacciata dei Dieci, creduti responsabili della guerra contro Pisa] e come la cagione del male era la febbre, e non il medico, rifece il magistrato de' Dieci. Questo medesimo omore si lev6 a Roma .. (190; 1.39)

    o come la protratta metafora conclusiva dei Discorsi dove si invoca un "medico" che curi i "morbi" della repubblica (332-33; 3.49).

    Concentriamoci ora su questa concezione dell' uomo che deve pensare le proprie azioni in relazione a una natura fisica in parte malleabile e in parte refrattaria, percorsa da movimenti propri; un uomo le cui stesse azioni provengono da impulsi biologici che si proiettano poi sulle strut- ture politiche tanto che "in tutte le cittA ed in tutti i popoli sono quei medesimi desideri e quelli medesimi omori" (90; 1.39). Ecco allora che la differenza tra questo tipo di uomo e la materia, proprio la pasta fisica di cui e composto, diventa labile; e ricordare che un principio materiale,

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  • 322 MARCO ARNAUDO

    naturale ed energetico sta alla base del comportamento umano come di strutture sociali e politiche, accorcia la distanza dell'uomo machiavel- liano da tutte le altre creature che vivono in natura.

    Questo spiega anche altri aggiustamenti operati da Machiavelli sulla fonte polibiana. Nel passo dei Discorsi sull'inizio della societA:

    nel principio del mondo, sendo gli abitatori radi, vissono un tempo dispersi a similitudine delle bestie; dipoi, moltiplicando la generazione, si raguna- rono insieme, e, per potersi meglio difendere, cominciarono a riguardare infra loro quello che fusse piti robusto e di maggiore cuore, e fecionlo come capo, e lo ubedivano. Da questo nacque la cognizione delle cose oneste e buone, differenti dalle perniziose e ree .... (12; 1.2)

    Machiavelli aggiunge rispetto a Polibio quell'"a similitudine delle bestie" che, abbia o meno per fonte secondaria il "more ferarum" di Lucrezio,26 segna comunque la distanza del segretario dall'autore greco. Machiavelli acco- muna strettamente uomini e animali all'inizio dei tempi, in una condi- zione da cui lo stato civile costituisce un allontanamento ma non neces- sariamente un distacco, diciamo, di qualitA ontologica. L'uomo sembra evolversi in animale piii complesso, anzich6 in qualcosa di non-animale. Si tratta di un'idea che negli stessi anni di Machiavelli ha un corrispettivo visivo nell'Incendio della foresta di Piero di Cosimo, dove l'uomo all'inizio dei tempi sta collocato in mezzo e al pari di belve e misteriosi ibridi semiferini che rimarcano la continuitA delle due nature.

    Questa concezione comporta grande originalitA rispetto alla piti impor- tante discussione dell'epoca sul tema della collocazione dell'uomo in natura, il De dignitate hominis di Pico. Per il Pico del De dignitate hominis, I'uomo & si un animale, ma "variae ac multiformis et desultoriae naturae animal" (8); e un "numen humana came circumvestitum" (8) che con la sapienza pub divenire davvero qualcosa di strutturalmente diverso dalle bestie brute, le quali a loro volta stanno davanti a lui come la biforcazione di un bivio e non come imbarazzanti consanguinei Ugualmente in Salutati e in Landino, le scissioni dell'essere umano in uomo e bestia gerarchizzano sempre le due componenti, con l'animale inteso come peccato o brutalith e l'uomo come riscatto spirituale e civile di quello.27

    La componente animale non e invece, per Machiavelli, mai elimina- bile, costituendo essa 'inscindibile materia su cui si impongono gli "argini" della ragione e su cui si proiettano le strutture della societA. Quegli animali che nel primo Decennale fungevano da marche mnemotecniche ed emble- matiche (ma gid impure, come visto) diventano, con l'evoluzione del pen- siero machiavelliano, componenti sempre piil importanti della costru- zione sia retorica che concettuale: retorica, perh& gli animali ancora possono addensare e comprimere significati intorno a un'immagine perspicua; concettuale in quanto non sono piii segni vuoti, ma portano giA con s& parte del discorso: insomma non paragonano piid solamente l'uomo all'animale

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  • II bestiario di Machiavelli 323

    ma ricordano che l'uomo t animale, materia, istinti, umori. E tanto piii cresce la consapevolezza dell'inevitabile compresenza di animale e umano nell'uomo, tanto meno la parte animale viene vista come un necessario abbassamento, bensi come una componente del s4 con cui semplicemente fare i conti e da cui trarre, anche, vantaggi di rilievo.

    Al culmine di questo processo sta ovviamente L'asino.28 Non c'e alcun dubbio che il poemetto incompiuto in cui il protagonista si trasforma in un asino possieda innanzitutto una carica satirica e polemica contro certi esponenti della societA contemporanea,29 che vengono rappresentati in forma dibestie nella stalla di Circe. U processo e qui simile a certe allusioni del Decennale primo, e l'animale sta anche per una maschera che i contem- poranei sanno leggere come indicazione del personaggio che vi si cela.30

    Nel contempo, la commistione tra natura umana e animale ha rag- giunto qui una portata radicale, che arriva a sconvolgere la concezione tradizionale di entrambi. Ora l'uomo non e davvero piii pensabile come diverso dagli altri organismi viventi: e un animale a tutti gli effetti, apparentemente diverso dalle bestie ma in realtA manifestazione degli stessi componenti materiali riversati in uno stampo di diversa foggia. Va bene, come ha notato Anselmi, che la ferinitA nell'Asino di Machiavelli pub anche assumere carattere positivi,31 ma quello che mi pare degno di nota e che qui tutti i tratti dell'uomo, aldilA del bene e del male, debbano venire spostati a livello animale prima di poter venire rappresentati, discussi, e sottoposti a un nuovo processo di verifica che ne pub anche ribaltare le precedenti categorie di positivo e negativo.

    Fin dal capitolo introduttivo dell'opera, l'agire umano 4 trattato come un istinto irragionevole a cui si possono imporre vincoli e legami tempo- ranei, ma che non pub mai essere davvero estirpato. La novelletta in versi del giovane afflitto dalla mania di correre, che un "cerretano" riesce a curare per un mese soltanto prima che la vista di una "via dritta e spaziosa" lo ripiombi nell'antico vizio, conduce a una secca conclusione:

    Perch4 la mente nostra, sempre intesa Dietro l'abito suo natural, non ci consente Contr'abito o natura sua difesa. (139; 1.88-90)

    il che abbassa a meccanicitA animale e istintuale le azioni umane, e fornisce anche una giustificazione ironica all'autore del poemetto: lui era riuscito a non "mordere" (dire male) per un periodo, ma ora la sua natura satirica ritorna inevitabilmente a galla.

    Nell'Asino, interrotto prima della prevista metamorfosi del protago- nista in animale, il confine tra l'essere umano e le bestie e quanto di pii incerto e sfumato si possa immaginare.

    Ii protagonista che si reca al palazzo di Circe "carpendo tra le fiere" assume la stessa posa degli altri animali; si mescola tra questi sino a temere che una metamorfosi ferina sia giA in atto:

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  • 324 MARCO ARNAUDO

    Dietro a le piante de la mia duchessa andando, con le spalle volto al cielo, tra quella turba d'animali spessa, or mi prendeva un caldo ed or un gelo, or le braccia tremando mi cercava s' elle avevan cangiato pelle o pelo. Le mani e le ginocchia io mi guastava; o voi ch'andate a le volte carponi, per discrezion pensate com'io stava. Er'ito forse un'ora ginocchioni tra quelle fiere .... (143; 3.1-11)

    Machiavelli sottolinea per ben due volte di trovarsi "tra" gli altri animali, come uno di loro. Se nel verso "tra quella turba d'animali spessa" risuona poi il dantesco "tal ero io in quella turba spessa" (353; 2.6.10),32 qui Machiavelli ha compiuto rispetto alla fonte lo stesso che aveva fatto con Polibio: semplicemente, ci ha aggiunto gli animali. Una volta di pii, inoltre, I'attenzione all'animalith fa affiorare la visione dell'uomo come pasta corporea deperibile, che si pu6 "guastare."

    Qui l'abbassamento animale suona tutto negativo, perchb associato al carponare dei cortigiani servili, che abbiamo visto gia mutati in lupi nel sonetto a Giuliano de' Medici. Il che rimanda anche a un altro abbassa- mento negativo interno all'Asino, quello di chi sta "ozioso e ginocchioni" pregando nell'attesa che il ciel l'aiuti (152; 5.117). Al gradino pii basso di questa discesa sociale troviamo, ovviamente, gli animali della stalla di Circe, personaggi contemporanei a Machiavelli satiricamente deformati. Questa trasformazione di tutti gli attori del poemetto a un qualche livello di ani- malith sembra superare di gran lunga la semplice satira di questa 0 quella figura storica, per sminuire invece una concezione intera dell'uomo, quella rinascimentale.33

    Ma come dicevamo, il bacino animale & occupato solo in parte dalle aberrazioni del vivere civile; esso infatti pu6 costituire anche il punto da cui risalire a un'idea nuova dell'individuo. Proprio uno degli animali pii tradizionalmente umili e ingloriosi, il porco, sara infatti quello che levan- dosi in piedi davanti al poeta rappresenteri questo continuum di stati di natura, su cui si appuntano poi convenzioni civili che dividono solo in apparenza le creature sociali tendenti al ferino dalle fiere che si levano al sociale.

    La scena svolta tra il poeta e il porco costituisce, com'~ ben noto, una ripresa e un rifacimento dell'opuscolo plutarcheo Bruta animalia ratione uti (o Gryllus), dove il dialogo tra Ulisse e un uomo trasformato in maiale da Circe offriva a quest'ultimo l'occasione di sostenere la superiorit~ del regno animale.34 Come in Plutarco, cosi in Machiavelli il punto di vista eccen- trico del porco svela come la societh civile abbia generato sofferenza per gli uomini, pervertendo con l'ambizione i ritmi e i cicli del vivere naturale.

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  • II bestiario di Machiavelli 325

    Oltre a cib, gli animali sono superiori all'uomo per temperanza, modestia, fortezza, continenza, dignitY. Se tale elogio machiavelliano delle qualith animali sembra ripercorrere quasi passo per passo la fonte plutarchea, in realtA se ne distingue significativamente per tono. In Plutarco, infatti, il contrasto tra Ulisse e il porco ha un carattere decisamente pii dramma- tico perch& in quel mondo classico vige un'altissima concezione dell'uomo, che subisce dunque un attacco terribile da un animale che si rifiuta di ritornare a quel ruolo privilegiato. In Machiavelli, invece, il tono dimesso e sbiadito del confronto tra uomo e bestia (che si risolve in un monologo sentenzioso della seconda e in una pacata rassegnazione del primo) segnala che ci troviamo in un sistema di pensiero ben differente, in cui la continuitA tra lo stato umano e animale risulta piii fluida e pervasiva. Se Machiavelli decide di tagliare corto sulle lodi del porco che contrappongono lo stato animale a quello umano, e proprio perch& per Machiavelli questa contrap- posizione ha perso in gran parte di valore35 e i due personaggi, anzich6 realmente affrontarsi, si incontrano lungo un asse continuo.

    Quel che distingue l'essere umano dagli animali, in questo mondo dove le linee di confine sono tanto fragili, non e affatto una superioritA morale o intellettiva dell'uomo:

    Le man vi did natura e la favella, e con quelle anco ambizion, vi dette, e avarizia che quel ben cancella (161; 8.130-32)

    e dunque doti di vantaggio puramente pratico (mani, lingua) e annullate dalle cattive disposizioni di ambizione e avarizia. Questo distinguere l'uomo dalle bestie solamente per via di mano e favella distacca Machiavelli dalla concezione aristotelica dell'uomo come animale razionale, per annun- ciare piuttosto la rivoluzione dell'essere umano che condurrA all'elogio della mano e dell'asino in Giordano Bruno. Privo di una specificitA morale o intellettuale, l'uomo che si intravede qui atterrato tra le bestie b lo squarcio di una visione materialistica radicale, giA priva della fede nel riscatto della materia che era propria del neoplatonismo, come ancora priva del conforto di una vita-materia universale che sarA poi di Bruno.36

    Allo svelamento di una pura e totale animalitA dell'uomo corrisponde anche, nell'Asino, un'esasperazione del ruolo della Fortuna, che giA si era vista prendere sempre maggiore spazio nei casi umani lungo le opere precedenti di Machiavelli. Nel Decennale secondo il Fato appariva come un semplice errore di calcolo: se i principi sapessero valutare correttamente gli eventi li potrebbero dominare e "tanta potenza al ciel sarebbe tolta" (458; 172);37 nel Principe la Fortuna & arrivata a dominare ben metA, o un po' di piu, degli eventi umani, mentre giA nel Capitolo difortuna (120; 151-59) al flume in piena della sorte non si possono pidi opporre validi argini.38 Nel proemio al secondo libro dei Discorsi la "virti di quello [il politico] ordi- natore" (153; 2) si oppone a una fortuna disordinatrice, che muove una

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  • 326 MARCO ARNAUDO

    ruota lungo cui le cittA passano per fasi di alterna decadenza e ripresa; nella Vita di Castruccio ormai la Fortuna "vuole essere arbitra di tutte le cose umane" (539) occupando quindi anche quella met8 scarsa d'azione libera che ancora nel Principe spettava all'uomo.

    Lungo tutte queste opere, la Fortuna assume sempre piii chiaramente l'aspetto del residuo materiale e imponderabile che la natura oppone alle azioni umane, un di pii non plasmabile e capace di abbattere come un flume in piena (immagine perfetta della materia pura) ogni umana costruzione.39 Con l'Asino, ambientato nel territorio dell'animalith, l'ambito della fortuna e della disgregazione materiale si e esteso a dismisura, tanto che nell'incipit arriva persino a minacciare la stesura stessa del poemetto:

    I vari casi, la pena e la doglia, Che sotto forma d'un Asin soffersi, Canterb io, pur che fortuna voglia. (137; 1.1-3)

    Incipit che anzi sembra ritrattare quel "gli alti accidenti e fatti furiosi... canter6 io, e di cantare ardito" che apriva il Decennale secondo (453; 1-7), dove traspariva invece una strenua opposizione alla fortuna da parte della virthi.

    Che ora la fortuna, la natura e la materia dominino totalmente la vita delle creature non 4, in s4, un bene n6 un male: e una situazione che porta serenith agli animali che la assecondano, dolore e ridicolo agli uomini che la contrastano per ambizione. Lo stesso autore, come protagonista e voce poetica, decide di stare al gioco e applicare al proprio doppio letterario gli effetti di questi postulati.

    Intanto, Machiavelli piega il proprio verso a una saporositA e ruvi- dezza che, se di derivazione burlesca, funzionano qui anche di rinforzo all'immagine del poeta-belluino che raglia i propri versi. Le nobili rime iniziali "voglia" (137; 1.1) e "doglia" (137; 1.3) annunciano il disturbante "raglio" del nono verso: il quale a sua volta, come l'"artiglio" di Carlo VIII nel Decennale, fa da cesura tra un primo scenario di topoi lirici quali "Elicona" (137; 1.4), "Febo" (137; 1.5), "Arco" (137; 1.5), "faretra" (137; 1.5), "lira" (137; 1.6), "grazia" (137; 1.7), tutto compresso in otto versi, e il pit vasto scenario del poema, fatto invece di "morsi" (137; 1.16), "mazzate" (137; 1.16), "un paio di calci e due coregge" (139; 1.115), "il freno e 'l basto," un altro "raglio" (137; 1.27) emesso da una bestiaccia che "non lo terrebbe il ciel che non ragghiassi" (139; 1.108).4o

    Anche come personaggio protagonista, Machiavelli ritrae se stesso secondo la parziale superioritA della natura animale sulla umana: il segre- tario votato alla politica che aveva composto commedie solo nell'inattivitA forzosa, "perch' altrove non have / dove voltare il viso,"41 si dipinge qui come un sensuale che divaga di teoria politica (capitolo V) solo per ingannare il tempo tra gli incontri con l'amante. E quando questa ritorna a trovarlo:

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  • Il bestiario di Machiavelli 327

    E bench'io fossi in quel pensiero intento che tutto il giorno a s4 mi aveva tratto, e del mio petto ogni altra cura spento, com'io sentii la mia donna, di fatto pensai ch'ogni altra cosa fosse vana fuor di colei di cui fui servo fatto; che, giunta dov'io era, tutta umana il collo mio con un db bracci avvinse, con l'altro mi pigli6 la man lontana. (152; 6.10-18)

    'Tutta umana" ~ insomma adesso la bella mandriana che porta pace sen- suale a un uomo lasciato infelicemente "sospeso ed involto / con Yl'affannata mente" (152; 6.1-2) dall'applicazione politica.

    Machiavelli, insomma, si mette in beffa a pii livelli: si rappresenta come verseggiatore che raglia, come amante timoroso, e soprattutto come animale sensuale che trova nei piaceri del corpo consolazione e riscatto delle delusioni politiche. C'e un potente soffio carnevalesco in tutto questo, e proprio come il carnevale e ribaltamento del mondo consueto, i ribalta- menti dell'Asino mettono a testa in giu ma non annullano le idee delle opere maggiori, da cui anzi attingono a piene mani.42 Cosi che nell'Asino, sotto il velo del grottesco e del burlesco, vive in massimo grado la stessa compresenza di bestialitA e umanitA che & esposta come teoria nel cen- tauro del Principe e che ha una deformazione diciamo "intermedia" nella Mandragola.

    Nella Mandragola, infatti, il famoso centauro compare nientemeno che sul frontespizio della prima edizione; e trattandosi di una delle rare opere pubblicate da Machiavelli in vita possiamo ben credere che la scelta di questa immagine non sia casuale. Come e stato affermato, il legame tra Principe e Mandragola garantito dalla figura del centauro43 rafforza l'ipotesi di una lettura allegorica della commedia alla luce del trattato, senza neces- sariamente tracciare troppo rigidi paralleli tra elementi dei due testi (Lucrezia=Firenze, Fra Timoteo=Savanarola...) ma vedendo piuttosto un comune pattern di azioni, reazioni, rapporti sociali, motivazioni psico- logiche. Per il nostro discorso attuale, conta vedere come Machiavelli finisca per estendere anche alla commedia l'idea profonda della mistione di natura umana e animale, quest'ultima intesa qui sia come tendenza sensuale di Callimaco, sia come simbolo delle astuzie volpine di Ligurio e Fra Timoteo. E si trova anche esposta in chiave visiva, su questo fron- tespizio, la stessa riflessione amara e autoironica che sta nel prologo: a un politico fallito e costretto a far commedie corrisponde infatti un cen- tauro che non e pit un principe bellicoso e determinato, ma un placido maestro di cerimonie che, con l'arco da guerra pendente dalla spalla, introduce i lettori alla commedia intrattenendoli col suono della viola.

    E cosi, come direbbe Eliot, torniamo al punto di partenza per vederlo per la prima volta: il centauro del Principe.

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  • 328 MARCo ARNAUDO

    Questa creatura memorabile, per molti lettori sintesi del Principe se non dell'intera opera machiavelliana, riesce davvero ad aggregare su di s6 una quantita impressionante di idee. La prima e naturalmente quella del livello metaforico, ed indica al principe nuovo di servirsi, qualora necessario, di una "forza" sia fisica che intellettuale che non trovava riscontro nelle formu- lazioni politiche precedenti, e che si allontanava tanto dalla figura rina- scimentale di uomo da poter trovare espressione solo nell'animalita.

    Una volta di pih, confrontare Machiavelli con le sue fonti ci spinge a notare la liberta, se non irriverenza, del reimpiego da lui messo in atto. Sappiamo che il passo del centauro nel Principe richiama quasi alla lettera il ciceroniano De officiis:

    Nam cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem, alte- rum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc belvarum, confu- giendum est ad posterius, si uti non licet superiore (41; 1.34)

    ma in realtA questo passaggio, letto nel suo contesto originale, rivela quanto Cicerone considerasse occasionale e temporanea l'opportunitA di awvvalersi del lato animale, come un'eccezione da riservare alle circostanze straor- dinarie e da cui muovere poi al piir presto verso il ripristino della norma umana.44 Citando la lettera ciceroniana senza il suo necessario contesto, Machiavelli muta coscientemente il senso delle parole ciceroniane per tratteggiare invece il profilo di un principe in cui tratti bestiali ed umani siano sempre compresenti, e il cui lato belluino vada riconosciuto e atti- vato di regola, e non come deroga.

    Nel contempo, con le successive divisioni di questo emblema ibrido in nuovi animali (le volpi, i leoni), anche solo in quanto agglomerato di elementi discordanti il centauro va a distruggere quell'unitA medievale e rinascimentale di uomo, conoscenze, morale e mezzi che gli ultimi decenni di storia italiana avevano reso un ideale quanto mai utopico.

    In questa apparente considerazione di "ibridismo ideale" (il principe deve acquistare animalitA) Machiavelli lascia poi intravedere quell'ibridismo naturale che e in realtA giA insito in tutti gli uomini, e che rimanda a un universo tutto materiale in cui gli interscambi tra alto e basso, belve e umani, virtCi e corruzione, prosperitA e decadenza, non sono che aspetti tempo- ranei di un incessante rivolgersi di flussi, corpi, eventi. Si tratta di un rime- starsi che tende a cicli generali e si sofferma a volte sull'ordine, ma che pure si rivolta imprevedibilmente in una vicissitudine da cui, secondo i Discorsi, "non si pub mai cancellare uno inconveniente, che non ne surga un altro" (23; 1.6).45

    Questa creatura metA animale e metA uomo acquista il suo pieno signi- ficato solo se messa in sequenza con altri personaggi umani dal fondo ani- male (nelle commedie, nelle lettere) e personaggi animali dal fondo umano (nel Decennale primo, nell'Asino). Solo allora si svela una piut ampia ric- chezza di sguardo su un mondo di assoluta varietA, che conduce sia a tetre

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  • II bestiario di Machiavelli 329

    considerazioni sulla fallibilith della ragione e fragilith della politica, sia ad aperture comiche, per la visione autoironica e disincantata che tale presa di coscienza conduce. II centauro del Principe si fa emblema anche di questo mondo in cui bestie e uomini si contendono volta a volta il proscenio provenendo da un medesimo bacino materiale, e riesce tanto piii memo- rabile in quanto, strategicamente, & l'unica immagine animale che spicchi dalle pagine del trattato.

    E si vede anche, in questo che e forse il capitolo pii gelido e spietato del Principe, la tempra di uno scrittore che nemmeno durante la piii dram- matica e incalzante esortazione all'atto eccezionale rinuncia a pasticciare di volpi e leoni provenienti dalla tradizione dei proverbi, dal gusto burlesco di Pulci, Burchiello, Bellincioni, da repertori esopiani come quello di Lorenzo Astemio.46 Sono queste infatti le fonti in cui si trovano i soli leoni che sbigottiscono i lupi e cadono nei lacci, mentre i bestiari medievali e antichi avrebbero potuto fornire a Machiavelli quasi solo l'immagine nobile e lontana di un Leone-Cristo.47

    Questa apertura della pagina machiavelliana a differenti ambiti culturali ci rende la concezione di un pensatore che, se nell'epistolario si appellava alla varieth della natura per giustificare quella del proprio stile, pure in questa varieta aveva intuito queUe possibilita di scandalosi cambi di ruolo che avrebbero portato, piii di sette decenni dopo, alla rivoluzione copernicana dell'essere umano.

    MARCO ARNAUDO Harvard University

    NOTE

    1Machiavelli, II principe: "Dovete adunque sapere come ~ sono dua generazione di combattere: l'uno con le leggi, I'altro con la forza. Quel primo 6 proprio dello uomo; quel secondo, delle bestie. Ma, perch6 el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo: pertanto, a uno principe & necessario sapere bene usare la bestia e lo uomo."

    21vi: "Bisogna adunque essere golpe a conoscere e lacci.... Non pub pertanto uno signore prudente, n6 debbe, osservare la fede quando tale osservanzia gli torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma perchbe sono tristi, e non la osservarebbono a te, tu etiam non 1' hai ad osservare a loro."

    3per un'introduzione all'opera, vd Godorecci. 4Sui bestiari antichi e medievali si possono vedere Morini, Half-Lacner, Clark e

    McMunn, Maspero, Zambon, Bianciotto. 5Vd Fido, "The Politician as a Writer" 143. 6Cfr Puppo 150. 7Sull'argomento, le intuizioni tuttora maggiormente illuminanti si trovano in Chabod

    23, Russo 78-82. Importante questo passaggio di Russo in particolare: "ogni concetto

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  • 330 MARCO ARNAUDO

    astratto si veste, dunque, in Machiavelli, di una forma sensibile, e la corpulenza di certe sue metafore e di certi suoi paragoni si accorda col carattere intimamente naturalistico del suo pensiero" (80). Vd anche Raimondi: "I1 pensiero non si dissocia dalla sensibilith perch6 diviene percezione di una forza visibile, esperienza di un processo spazializzato in figure distinte e contrapposte," in una "tendenza all'attualizzazione e alla drammatiz- zazione del concetto e dei suoi nessi intellettuali" (274).

    8Vespucci, in Machiavelli, First Decennale. 9Bhrberi-Squarotti 97-98. 10Non stupisce allora che nel Decennale trionfi l"immediatezza del monito, dell'avver-

    timento, della persuasione," come scrive Cabrini (339); o che il testo ci appaia come un'"immagine non soltanto felicemente evocativa ma anche icastica o burlesca," secondo Barberi-Squarotti (99). Si vedano anche le osservazioni in Blasucci 182-83.

    11Vd Rowland 12-25. 12Sul rapporto tra Pomponazzi e Machiavelli, vd Raimondi 151. 13Cfr Puppo 155. 14Machiavelli, Tutte le opere 748. 15Una bibliografia preliminare sull'argomento si pub trovare in Sasso, Studi su Machia-

    velli 167-68. 16Sasso, op. cit. 171-73. 17Sul rapporto tra Leonardo e Machiavelli, vd Masters. 18Machiavelli, Istorieflorentine: "Sogliono le provincie il pit delle volte, nel variare

    che le fanno, dall'ordine venire al disordine e di nuovo dipoi dal disordine all'ordine tra- passare; perch6 non essendo dalla natura conceduto alle mondane cose il fermarsi, come le arrivano alla loro ultima perfezione, non avendo piti da salire, conviene che scendino; e similmente, scese che le sono e per li disordini ad ultima bassezza pervenute, di neces- sith non potendo pid scendere conviene che salghino; e cosi sempre da il bene si scende al male, e da il male si sale al bene. Perchd la virtti partorisce quiete, la quiete ozio, I'ozio disordine, il disordine rovina, e similmente dalla rovina nasce l'ordine, dall'ordine virtti, da questa gloria e buona fortuna. Onde si 6 dai prudenti osservato come le lettere ven- gono drieto alle armi, e che nelle provincie e nelle citth prima i capitani che i filosofi nascono" (219; 5.2).

    19Sasso, op. cit. 212. 20Tra le diverse interpretazioni che la complessa visione "naturalistica" di Machia-

    velli ha scatenato vd Vincieri, Sacco Messineo, Mossini, Sasso, "In tema di naturalismo machiavelliano," id., op. cit. 281-358. A quest'ultimo studio (che completa gli interventi contenuti in Sasso, Niccol& Machiavelli e in id. "Machiavelli e la teoria dell'anacyclosis," Studi su Machiavelli 161-222) mi sembrano tuttora risalire le osservazioni piii acute su come nella concezione machiavelliana si articolino organicamente vari "naturalismi"; vari ordini di idee generali su meccanismi compresenti in natura sebbene intimamente contrad- dittori tra loro, quali l'appello all'anacyclosis e la fede in un'indiscriminata unita delle epoche.

    21Vd Battisti 258 e sgg. 22Vd Zanzi 109. 23Vd Dionisotti 193.

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  • I1 bestiario di Machiavelli 331

    24per i rapporti tra il metodo di Machiavelli e la scienza medica di primo Cinque- cento, vd Zanzi 105-208; Valentinetti 53-55.

    25Vd Sasso, Machiavelli 232-33. 26Sul rapporto tra Lucrezio e Machiavelli, vd Sasso, Studi su Machiavelli 168. 27A1 proposito vd Raimondi 278-79. 28per una lettura d'insieme dell'Asino si pub vedere il lavoro di Di Legami. 29Vd Fazion; Tarantino. 30Tra l'altro si & realizzato per l'Asino proprio cib che il Vespucci temeva per il

    Decennale primo, ovvero che la "brevith" e la forte allusiviti delle immagini rendessero il testo oscuro ai posteri.

    31Cfr Anselmi 14. 32Cfr Quaglio 172. 33Vd Fazion 115. 34Vd Sasso, "I1 cinghiale di Machiavelli e il gryllos di Plutarco," Machiavelli e gli

    antichi e altri saggi; Santese, "Le virtii degli animali," in Plutarco 43-51. 35Sasso, II "cinghiale" di Machiavelli 147 e sgg. 36Vd Ordine. 37Da notare come nel Decennale secondo, venuta meno l'ansia narrativa e la volontk

    incisiva del Decennale primo, a un aumento dell'afflato teorico corrisponda una completa assenza di metafore animali (nemmeno i francesi appaiono pii come galli). Si tratta di una prova e contrario che 1 essi servivano da marche emblematiche e mnemoniche di lunghi elenchi di eventi; decisamente meno necessarie nel pit disteso argomentare teorico. Vd Blasucci 184; Mattucci.

    38Vd al riguardo Blasucci 189, Baldassarri, soprattutto 23. 39Vd Montanari 33. 40Da notare come il lessico animale e quello della mascalcia si addensino in due

    blocchi intorno alla novelletta del giovane maniaco, di cui diventano dunque cornice e chiave.

    41Machiavelli, "Prologo" della Mandragola 561. 42Vd Blasucci 175. 43Vd Fido, Le metamorfosi del centauro 118; Sorellal7 e sgg. 44Sasso, Machiavelli e gli antichi 156-58. 45Vd anche il capitolo XXI del Principe. 46Vd. Raimondi 268-72. 47Vd Ilfisiologo 11-15 (Bestiari medievali, a cura di Morini); P. de Thatin, Bestiaire

    (ibid. 114-42; 25-580); Gervaise, Bestiarie (ibid. 294-98; 59-138); Libro della natura degli animali (ibid. 442-43; 13); Bestiario moralizzato (ibid. 293-94; 1-2). Vd anche Maspero 230-50.

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    Issue Table of ContentsItalica, Vol. 80, No. 3 (Autumn, 2003), pp. 295-448Front MatterWilkins nella formazione del canzoniere di Petrarca [pp. 295-312]Il bestiario di Machiavelli, tra emblematica e naturalismo [pp. 313-333]Il poema epico ad una svolta: Trissino tra modello omerico e modello virgiliano [pp. 334-352]"Symmetry and the Quest for Justice in Leonardo Sciascia's" Il Consiglio d'Egitto [pp. 353-370]Looking Out: Calvino's Vision of the "Economic Miracle" [pp. 371-388]Tabucchi's Fragments of Lovers' Discourses [pp. 389-402]Lo sguardo rivolto al passato: storia e storie nel cinema dei Taviani (1971-1984) [pp. 403-421]Review ArticlesReview: Recent Studies on Fenoglio [pp. 422-427]Review: Reconsidering Romano Bilenchi [pp. 428-432]

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