il marketing all'assalto del cervello

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8/8/2019 Il marketing all'assalto del cervello http://slidepdf.com/reader/full/il-marketing-allassalto-del-cervello 1/4 Il marketing all'assalto del cervello di Fanny Stolpner in “ www.temoignagechretien.fr ” del 7 novembre 2010 (traduzione: www.finesettimana.org ) “Il fumo uccide”, “Per star bene, mangiate almeno cinque porzioni di frutta e di verdura al giorno”, “Quello che guida, è quello che non beve”: trasmessi regolarmente in spot televisivi, messi alla base di manifesti pubblicitari, sui pacchetti di sigarette o sui prodotti di consumo corrente, questi messaggi sono diventati così familiari che li sappiamo quasi a memoria. Ma, sommersi tra le centinaia di messaggi pubblicitari a cui siamo sottoposti quotidianamente, sono veramente efficaci? La cosa non è affatto sicura: la sigaretta resta la prima causa di mortalità evitabile in Francia, con 66.000 decessi all'anno; il 15% dei bambini dai 5 agli 11 anni è attualmente in sovrappeso e il 4% è obeso. Sia per ragioni sanitarie che economiche, il governo cerca dei mezzi per rendere più efficaci le campagne di prevenzione e si interessa ai lavori condotti da discipline recenti, a metà strada tra le scienze cosiddette “dure” e le scienze sociali: le scienze comportamentali e le neuroscienze. Queste scienze partono dal principio che, osservando il funzionamento del cervello e basandosi sulle acquisizioni delle scienze cognitive (che studiano il meccanismo del pensiero: linguistica, filosofia, psicologia, antropologia, intelligenza artificiale, ecc.) si possano trovare delle piste esplicative per capire le nostre emozioni e i nostri comportamenti. Sovrapponendo, ad esempio, dei dati di psicologia e di economia allo studio del funzionamento cerebrale attraverso delle tecniche di rappresentazione medica, queste scienze analizzano i meccanismi che sottendono alla decisione d'acquisto di un consumatore o analizzano il modo in cui il cervello reagisce quando una persona vede un messaggio pubblicitario. Nel 2009, un programma intitolato “Neuroscienze e politiche pubbliche” è stato realizzato dal Centre d'analyse stratégique incaricato di lavori e prospezioni e collegato ai servizi del Primo ministro [francese]. Un rapporto molto consistente, redatto da una quindicina di ricercatori, è stato presentato nel mese di marzo 2010 a Nathalie Kosciusko-Morizet, segretario di Stato alla Futurologia. Come suggerisce il titolo, propone approcci nuovi per la prevenzione nella salute pubblica in materia di lotta contro il tabagismo, l'obesità o le intossicazioni domestiche. La posta in gioco: analizzare le campagne di prevenzione alla luce delle scienze comportamentali e delle neuroscienze per trovare soluzioni efficaci, suscettibili di produrre cambiamenti nei comportamenti. tabagismo Come i pubblicitari, i ricercatori delle neuroscienze del consumatore partono dalla constatazione che un “buon” messaggio di comunicazione comporta un sapiente dosaggio. Nel 2009 negli Stati Uniti, i neuroscienziati dell'università di Pennsylvania hanno usato la rappresentazione per risonanza magnetica funzionale (IRMF) per testare l'efficacia di una campagna di prevenzione contro il tabacco su dei fumatori. I ricercatori volevano valutare l'efficacia del ricorso ai sentimenti di vergogna, paura, sorpresa, responsabilità o disgusto usati nello spot. Quest'ultimo presentava una realizzazione ritmata, effetti sonori e immagini scioccanti, il tutto accompagnato da una narrazione drammatica degli avvenimenti. Risultato: l'emozione provata dai fumatori era troppo forte, ma non garantiva affatto la memorizzazione del messaggio di prevenzione. Al contrario, una clip più lineare, che faceva meno appello all'aspetto affettivo e alla drammatizzazione era ricordata meglio. “Informare senza scioccare troppo” sarebbe quindi il modo migliore per mantenere l'attenzione. Da parte sua la neuroscienziata britannica Gemma Calvert (1) ha studiato il funzionamento delle aree cerebrali dei fumatori sottoposti alla visione di pacchetti di sigarette. La sua équipe ha constatato che non solo i messaggi di tipo “Il fumo uccide” non facevano diminuire l'attività del cervello nelle regioni corrispondenti alla voglia di fumare ma, in maniera

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Il marketing all'assalto del cervellodi Fanny Stolpner

in “www.temoignagechretien.fr ” del 7 novembre 2010 (traduzione:www.finesettimana.org)

“Il fumo uccide”, “Per star bene, mangiate almeno cinque porzioni di frutta e di verdura al giorno”,“Quello che guida, è quello che non beve”: trasmessi regolarmente in spot televisivi, messi alla basedi manifesti pubblicitari, sui pacchetti di sigarette o sui prodotti di consumo corrente, questimessaggi sono diventati così familiari che li sappiamo quasi a memoria.Ma, sommersi tra le centinaia di messaggi pubblicitari a cui siamo sottoposti quotidianamente, sonoveramente efficaci?La cosa non è affatto sicura: la sigaretta resta la prima causa di mortalità evitabile in Francia, con66.000 decessi all'anno; il 15% dei bambini dai 5 agli 11 anni è attualmente in sovrappeso e il 4% èobeso. Sia per ragioni sanitarie che economiche, il governo cerca dei mezzi per rendere più efficacile campagne di prevenzione e si interessa ai lavori condotti da discipline recenti, a metà strada tra le

scienze cosiddette “dure” e le scienze sociali: le scienze comportamentali e le neuroscienze.Queste scienze partono dal principio che, osservando il funzionamento del cervello e basandosisulle acquisizioni delle scienze cognitive (che studiano il meccanismo del pensiero: linguistica,filosofia, psicologia, antropologia, intelligenza artificiale, ecc.) si possano trovare delle pisteesplicative per capire le nostre emozioni e i nostri comportamenti.Sovrapponendo, ad esempio, dei dati di psicologia e di economia allo studio del funzionamentocerebrale attraverso delle tecniche di rappresentazione medica, queste scienze analizzano imeccanismi che sottendono alla decisione d'acquisto di un consumatore o analizzano il modo in cuiil cervello reagisce quando una persona vede un messaggio pubblicitario. Nel 2009, un programma intitolato “Neuroscienze e politiche pubbliche” è stato realizzato dalCentre d'analyse stratégique incaricato di lavori e prospezioni e collegato ai servizi del Primo

ministro [francese]. Un rapporto molto consistente, redatto da una quindicina di ricercatori, è stato presentato nel mese di marzo 2010 a Nathalie Kosciusko-Morizet, segretario di Stato allaFuturologia.Come suggerisce il titolo, propone approcci nuovi per la prevenzione nella salute pubblica inmateria di lotta contro il tabagismo, l'obesità o le intossicazioni domestiche. La posta in gioco:analizzare le campagne di prevenzione alla luce delle scienze comportamentali e delle neuroscienze per trovare soluzioni efficaci, suscettibili di produrre cambiamenti nei comportamenti.tabagismoCome i pubblicitari, i ricercatori delle neuroscienze del consumatore partono dalla constatazioneche un “buon” messaggio di comunicazione comporta un sapiente dosaggio. Nel 2009 negli Stati Uniti, i neuroscienziati dell'università di Pennsylvania hanno usato larappresentazione per risonanza magnetica funzionale (IRMF) per testare l'efficacia di una campagnadi prevenzione contro il tabacco su dei fumatori.I ricercatori volevano valutare l'efficacia del ricorso ai sentimenti di vergogna, paura, sorpresa,responsabilità o disgusto usati nello spot. Quest'ultimo presentava una realizzazione ritmata, effettisonori e immagini scioccanti, il tutto accompagnato da una narrazione drammatica degliavvenimenti.Risultato: l'emozione provata dai fumatori era troppo forte, ma non garantiva affatto lamemorizzazione del messaggio di prevenzione. Al contrario, una clip più lineare, che faceva menoappello all'aspetto affettivo e alla drammatizzazione era ricordata meglio. “Informare senzascioccare troppo” sarebbe quindi il modo migliore per mantenere l'attenzione.Da parte sua la neuroscienziata britannica Gemma Calvert (1) ha studiato il funzionamento dellearee cerebrali dei fumatori sottoposti alla visione di pacchetti di sigarette.La sua équipe ha constatato che non solo i messaggi di tipo “Il fumo uccide” non facevanodiminuire l'attività del cervello nelle regioni corrispondenti alla voglia di fumare ma, in maniera

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inattesa, potevano proprio stimolarle. In particolare per i fumatori che dicevano di essere colpiti daimessaggi di prevenzione!Ha quindi messo in luce lo scarto che può esistere tra l'attività cerebrale e il ragionamento verbaledegli individui. Per elaborare meglio il contenuto dei messaggi di prevenzione, occorrerebbe quindirivedere gli imballaggi dei pacchetti di sigarette.È quello che dice Karine Gallopel-Morvan, ricercatrice all'università di Rennes, che ha notato che i

pacchetti “banalizzati” (senza colore né logo) con un'immagine ripugnante (polmoni ingialliti, dentirovinati) o con un messaggio di prevenzione erano quelli per cui il fumatore aveva meno voglia di prendere una sigaretta.obesitàDavanti alla nostra propensione a preferire i cibi industriali ricchi di grassi e di zuccheri piuttostoche i broccoli al vapore, una delle domande poste nella lotta contro l'obesità è la seguente: comespingere le persone a mangiare in maniera più equilibrata?La ricercatrice Hilke Plassmann (2) ha usato la rappresentazione cerebrale per studiare il modo incui le persone scelgono di comperare o no dei prodotti alimentari. Ha notato che quando unindividuo riflette, si attivano due zone particolari del cervello, effettuando una sorta di “calcolo diutilità”.Una corrisponde alla soddisfazione potenziale che la persona otterrà dalla sua scelta, l'altra a quellache sperimenta consumando il prodotto. Uno studio americano è partito dall'ipotesi seguente: ilcalcolo di utilità non è un meccanismo razionale, ma riflette in parte le emozioni che un individuo prova rispetto ad un prodotto.Allora, così come si è portati quotidianamente a controllare il proprio cattivo umore, si possonoutilizzare delle strategie cognitive per insegnare alle persone a modificare le loro preferenzealimentari? Il risultato dell'esperimento tende a provare che, usando delle strategie diregolamentazione dell'emozione, si può insegnare alle persone a controllare la loro rispostacerebrale agli alimenti quando devono fare delle scelte, e così ottenere di modificare il lorocomportamento. Una sorta di “resistenza cognitiva” all'attrazione delle pubblicità...Questo studio è attualmente in corso ed è seguito con attenzione da ricercatori francesi nel quadrodell'elaborazione del terzo Plan national nutrition santé (PNNS), previsto per il 2011.“Andate a fare un giro daSephora : vedrete dei saponi con la forma e il colore delle tavolette dicioccolato, vedrete dei prodotti per la pulizia della casa il cui design assomiglia a quello delle bevande, vedrete delle candele a forma di dolci o di caramelle.” Normalista con diploma in diritto e professore di economia, Frédéric Basso sta preparando una tesi in comportamento dei consumatorisulla cattiva percezione del rischio nei casi di ingestione di prodotti per la pulizia della casa.“Oggi, lo scopo del marketing è far vivere un'esperienza di consumo, facendo appello al benessere,spiega. I prodotti per la pulizia della casa sono “estetizzati”, resi gradevoli alla vista. Cerco di capirecome, togliendo quei prodotti dal loro contesto, degli adulti possano arrivare a berli, prendendoli per prodotti alimentari!”

Il ricorso all'IRMF gli ha permesso di osservare un'attivazione del sistema gustativo alla vista diquei prodotti. Il ricercatore riflette quindi all'elaborazione di un codice preventivo, come unrivestimento specifico degli imballaggi, che dovrebbe provocare la sorpresa quando il prodottoviene preso in mano e allontanare i distratti dall'attrazione gustativa di quei prodotti tossici.universitàIl mondo del marketing non ha aspettato l'avvento della “emo-razionalità” per usare le emozioni deiconsumatori e vendere loro dei prodotti.Ma all'inizio degli anni 2000, certi intravedono le possibilità offerte dall'argomento “letto nel suocervello”: sul modello delle neuroscienze del consumatore, il neuromarketing userà le tecniche dellarappresentazione medica per studiare le decisioni d'acquisto dei consumatori, il valore emozionaledelle marche, l'impatto delle pubblicità o delle presentazioni dei film, l'effetto della testimonianza di

una personalità a favore di una marca, ecc.L'argomento venduto è quello di uno studio “oggettivo” garantito dalla rappresentazione cerebrale,che supera ormai il discorso del consumatore. Perché guardando direttamente nel suo cervello si

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elimina il rischio di deformazione eventuale tra ciò che pensa e ciò che potrebbe dire.Lo sviluppo della disciplina, insegnata nelle università di Parigi o di Rennes e in scuole per ilcommercio, ha provocato tanto l'entusiasmo dei professionisti quanto l'avversione dei consumatori,dei giornalisti e dei neuroscienziati che lavorano per la ricerca pubblica.“Nel privato circola denaro. Se si lascia pensare che si può leggere nella testa delle persone,decriptare i loro pensieri a fini commerciali, l'associazione neurorappresentazione = neuromarketing

sarà deleteria per i ricercatori del pubblico, che lavorano per la medicina e la prevenzione”, spiegaOlivier Ouillier, coordinatore del rapporto presentato a Nathalie Kosciusko-Morizet. “Per fortuna, laFrancia non è il paese adatto per una società privata che volesse fare degli esperimenti. I protocolli bioetici preliminari all'utilizzo degli scanner sono molto rigorosi. Inoltre, gli esperimenti in sé permettono di osservare delle variazioni, o una valutazione dell'attività cerebrale per compitirelativamente semplici, che sono ancora molto lontani dai processi complessi di una decisioned'acquisto.”Ma il ricercatore insiste sul fatto che è importante seguire ciò che viene fatto nel privato, “nonfoss'altro che per anticipare” e confida che non passa mese senza che lui riceva delle proposte dimissione neuromarketing da parte di grandi aziende.

(1) laureata in medicina clinica e in psicologia, Gemma Calvert dirige la Cattedra di neuro-rappresentazione applicata all'università di Warwick (Inghilterra)

(2) Professoressa di marketing all'INSEAD, affiliata al Laboratorio di neuroscienze cognitivedell'INSERM della Scuola Normale Superiore e della Scuola di Neuroscienze di Parigi.

Un vuoto nelle leggi di bioetica Nel progetto di revisione delle leggi di bioetica presentato il 20 ottobre in Consiglio dei ministri[francese], da nessuna parte di parla dell'inquadramento della ricerca in neuroscienze. Infatti,l'argomento non è mai stato affrontato. Eppure, il rapporto del deputato Jean Leonetti, incaricatodella commissione parlamentare preliminare al progetto di legge, aveva fatto diverse proposte inquesto senso.Dopo l'audizione di ricercatori in neuroscienze, proponeva in particolare di affidare una missione disorveglianza etica all'Agenzia di biomedicina, e di limitare l'uso delle tecniche di rappresentazionecerebrale a scopi medici.RivoluzionePer anni, le teorie economiche classiche hanno considerato l'uomo come un agente razionale, le cuiazioni erano guidate da un calcolo costo/interesse effettuato nel modo più corretto. Ma a partiredagli anni '70, dei ricercatori fanno notare che l'uomo è spesso guidato dalle sue emozioni.Gli economisti cercano allora nel campo della psicologia: è l'avvento della “economiacomportamentale”. Lungi dall'essere aneddotica, la disciplina viene consacrata nel 2002 conl'attribuzione del Nobel per l'economia allo psicologo Daniel Kahneman per i suoi studi di

economia comportamentale sugli aspetti cognitivi ed emotivi delle nostre decisioni. All'homooeconomicus della teoria classica succede così un uomo “emo-razionale” che sente emozioni eriflette.In parallelo, le neuroscienze, che studiano il funzionamento del sistema nervoso e del cervello, simoltiplicano, in particolare grazie allo sviluppo delle tecnologie di rappresentazione medica. Leneuroscienze pongono un nuovo paradigma: non c'è più separazione ontologica tra corpo e spirito,tra il funzionamento biologico del cervello e la coscienza.Il neurobusiness rendeCome conseguenza di questa voga tra i professionisti, il neuromarketing è alla base di un businessfiorente. Circa 120 centri internazionali propongono oggi i loro servizi per somme considerevoli.Poiché il costo di uno scanner si avvicina ai due milioni di euro, non è raro che uno studio venga

fatturato mediamente 20 000 euro.Inoltre, molti “professionisti” giocano sull'effetto affascinante della neuro-rappresentazione per vendere ad un prezzo eccessivo una interpretazione semplificata, che riduce le aree cerebrali a

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funzioni basiche come quelle della “ricompensa”, del “desiderio” o dell'“ansietà”.Ma ci sono anche altri ricercatori in neuromarketing che figurano tra i neuroscienziati piùriconosciuti, come Gemma Calvert, che ha fondato il centro Neurosense Limited a Londra e ha partecipato all'elaborazione del rapporto con ilCentre d'analyse stratégique .