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Provincia di Perugia Comune di Perugia Exibart Regione Umbria UPI Ministero Affari Esteri Italiano Con il patrocinio di: A cura di curated by Enrico Mascelloni, Marinella Caputo, Marco Bastianelli in collaborazione con in cooperation with Istituto Nazionale d’Arte Contemporanea

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Provincia di Perugia

Comune di Perugia

Exibart

Regione Umbria

UPI

Ministero Affari Esteri Italiano

Con il patrocinio di:

A cura di curated byEnrico Mascelloni, Marinella Caputo, Marco Bastianelli

in collaborazione con in cooperation with

Istituto Nazionale d’Arte Contemporanea

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UMBRIA, TERRA DI MAESTRI56 artisti a sostegno di progetti di solidarietà internazionale e locale

CERP, Centro Espositivo Rocca Paolina Perugia13 Dicembre 2013 - 12 Gennaio 2014

a cura di

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Presentazione

Le risorse ricavate attraverso il programma Umbria, Terra di Maestri, che di United Artists for Aica è l’iniziativa 2013, andranno in parte

a costituire il fondo per i piccoli prestiti di GSI Italia a singoli e famiglie in condizioni di disagio nel territorio regionale e, nella restante parte,

a finanziare gli interventi della Associazione in Burchina Faso.

Faa i Tuora, l’associazione burchinabé, partner nel Paese africano, è una figlia naturale di GSI Italia. Frutto, ormai maturo, di un amore

antico della Associazione per il Paese africano.

Un Sahel di povertà dignitosa, talora e talvolta di fame vera e dura, in coincidenza con le periodiche carestie e le conseguenti folle di

vittime, specie bambini.

Una terra severa, esempio in alcuni momenti di profezia democratica e in altri di dittature ammantate di legalità.

Il mio primo viaggio in Burchina risale al 1991. Portavo con me un agronomo italiano, sposato con una bella ragazza ugandese, che doveva

aiutarmi a valutare fattibilità e sostenibilità degli interventi agrari che erano stati chiesti alla Associazione dalle comunità locali. Ricordo che

nei giorni della mia missione iniziavo a visitare eminentemente donne, vecchi e bambini, alle sei del mattino. Davanti alla porta del dispensario

una fila indiana lunga a perdita d’occhio. Alla sera, la fila era ancora intatta. A perdita d’occhio.

Da quella missione nacquero progetti agricoli che vennero finanziati dal Ministero degli Affari Esteri italiano, negli anni immediatamente

dopo. Costruzioni di bacini idrici con dighe in terra, ancora oggi in piedi, vivai forestali per la riforestazione e vasche per la pescicoltura,

sostegno alimentare e rifornimenti farmaceutici e sanitari.

E poi venne Faa i Tuora. 17 donne, prevalentemente vedove di uomini morti di Aids, ci chiesero di essere aiutate a sfamare i loro piccoli.

Poi le 17 divennero 70, 300, 700. E oggi siamo a circa 3000.

Come aiutare questa moltitudine? In un tempo nel quale i governi e la stessa Unione Europea riducono le risorse per gli aiuti umanitari e

anche la buona volontà dei molti privati cittadini, chiamati a mettere insieme, talvolta con difficoltà, il pranzo con la cena, fa fatica a rispondere

affermativamente alle richieste di aiuto.

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Umbria, Terra di Maestri è uno dei piccoli tasselli di una risposta, pubblica e privata, che passa anche per la disponibilità di te lettore del

catalogo e visitatore della mostra, alla richiesta di aiuto che ci viene posta, con voce lontana dalle donne di Faa i Tuora e con voce rotta da un

pudore mortificato dai nuovi poveri a noi vicini nelle nostre città .

E United Artist for Africa è, ancor prima che il segno dell’inventiva di una Organizzazione Non Governativa come è GSI Italia, una piccola

folla di artisti, di scrittori e pittori. Troverete i loro nomi e le immagini delle loro opere in queste pagine. Un catalogo d’arte ma anche una ras-

segna di persone consapevoli e generose alle quale ti invito ad unirti, perché insieme si può rispondere, con fantasia, idealità ed ideatività alla

richieste di aiuto, vicine e lontane.

A tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione della mostra e del programma va il mio grazie e la mia riconoscenza, a nome per-

sonale, di GSI Italia e dei beneficiari finali. In particolare alla presidenza e all’assessorato della Provincia di Perugia e alla direzione del Corriere

dell’Umbria, che hanno messo a disposizione per tante settimane il Centro Espositivo della Rocca Paolina e le pagine del giornale. Agli Enti

patrocinatori, ai curatori dei cataloghi e delle mostre, agli artisti, primi fra tutti, e agli scrittori e ai poeti, alcuni di loro non più tra noi, ma essi

pure patrimonio culturale di questa nostra meravigliosa terra umbra.

Antonio Loiacono

Presidente di GSI Italia

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I Maestri e la Terra

I Maestri

Maestro è appellativo di artisti, musicisti e poeti, ma un maestro non può limitarsi alla propria realizzazione, deve trasmettere ciò che ha

raggiunto al pubblico e ad altri creatori, attraverso le opere.

In tale processo di ispirazione il ruolo del maestro si avvicina a quello di guida spirituale, cioè di un’altra accezione del termine maestro,

con implicazioni ben più profonde ed estese.

È interessante citare Timothy Wilson, direttore dell’Ashmolean Museum di Oxford, quando si rifiuta di chiamare il celebre ceramista eu-

gubino rinascimentale Mastro Giorgio, in favore di un più dignitoso Maestro Giorgio. La sua riluttanza è dovuta al valore attribuito al talento

creativo dell’artista che va ben oltre la pura perizia tecnica.

Nella terra dell’Umbria, Giorgio Andreoli, come Pietro Vannucci e Bernardino di Betto sono stati maestri remoti. Più vicini a noi si incontrano

Alberto Burri, Leoncillo Leonardi, Piero Dorazio, per non citare che le pietre miliari. Ma i grandi del passato più lontano o recente hanno seminato

accuratamente per ottenere una continuità, perché il loro messaggio ispirasse qualcun altro, perché la ricerca creativa non si interrompesse.

I modelli e le fonti di ispirazione non dovrebbero produrre imitatori, ma nuovi maestri, collegati al fluire della creazione piuttosto che a

idee o a linguaggi specifici.

A giudicare dalla scena dell’arte contemporanea in Umbria, dobbiamo ammettere che il flusso creativo non si è interrotto. Gli artisti sono

numerosi e molto tenaci. Spesso le loro origini non sono locali e l’ambiente è davvero internazionale.

Nonostante il sistema dell’arte sia piuttosto debole in Umbria, con pochissime gallerie d’arte e un collezionismo decisamente ridotto, il luogo è

stato scelto da diversi artisti più o meno affermati, per soggiornarvi e lavorare a contatto con la natura, circondati da scenari mozzafiato.

Naturalmente l’ambiente naturale non ha più lo stesso significato che assumeva per i pittori dell’école de Barbizon o per quelli dell’école de Pont

Aven o della Hudson River School. Oggi la natura è una condizione propizia all’attività creativa e non necessariamente un campo di indagine. Inoltre

è difficile immaginare artisti che condividano una pratica e una poetica di gruppo. L’arte è sempre più orientata verso forme di ricerca individuale e

i momenti di scambio e collaborazione sono piuttosto rari. Spesso poi ci si ritira in campagna per evitare la scena dell’arte, non per trovarne un’altra.

Ma, nonostante le difficoltà oggettive, esiste in Umbria una comunità artistica con una propria identità, contrassegnata da legami di amicizia e

una partecipazione costante a eventi e mostre.

Un progetto di solidarietà, come quello proposto da GSI, rappresenta un’occasione propizia per potenziare il rapporto e l’interazione tra alcuni

dei membri più rappresentativi di tale comunità, in funzione di un obiettivo umanitario che ha la forza di far scaturire unità e condivisione.

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La Terra

Il pianeta che qualcuno chiama azzurro è sempre più al centro dell’interesse dell’umanità con riferimento al cosmo, alla sua superficie e all’energia

che detiene. Non solo chi è tradizionalmente consapevole del potenziale e della vitalità della Terra, come gli artisti, gli scienziati e i filosofi, si

interessa alle sue origini, al suo presente e al suo destino, ma tutte le persone sensibili e coscienti. Il futuro della Terra riguarda l’umanità nel suo

complesso e il contributo e il rispetto dovrebbero rappresentare una prerogativa imprescindibile per ogni individuo. La ricerca recente di due artisti

viventi che si potrebbe citare a tale proposito, ha affrontato l’ambito dell’energia terrestre in rapporto all’uomo. Si tratta del Terzo Paradiso di Mi-

chelangelo Pistoletto e del Roden Crater di James Turrell. In entrambi i progetti l’opera e la natura stabiliscono una simbiosi, un rapporto di reci-

procità straordinaria, con un codice simbolico rivolto al genere umano.

In ultima analisi la contemporaneità apre gli orizzonti dell’arte fino ad accogliere l’ambiente in senso globale e nella sua

dimensione universale. La Terra – anche dell’Umbria, ma non solo – come origine ed esito della creazione artistica, potrebbe costituire un

leitmotiv per i numerosi e differenti lavori in mostra.

Il consueto Think global, Act local non può che risultare appropriato in un contesto artistico motivato dalla solidarietà internazionale. La Terra

come Africa, piuttosto che l’Africa come terra, riporta l’arte alle sue radici più recondite che si identificano con l’origine del genere umano. Ma

l’Africa e la Negritude, resa solenne e ispiratrice dal poeta Senghor, sono anche alle radici dell’arte del Novecento e perciò di quella contemporanea.

Una mostra molto importante del 1984, curata da William Rubin al Metropolitan Museum di New York, Primitivism in the 20th Century

Art, ha individuato con precisione una serie innumerevole di fonti e riferimenti nell’arte africanae in quella cosiddetta etnica, per le principali

correnti delle avanguardie artistiche occidentali. Naturalmente alcuni esempi di tale influenza nell’arte di Picasso, Matisse, Brancusi, Modigliani

sono piuttosto noti al grande pubblico, ma le ricerche dei vari curatori hanno ricostruito una sfera di influenza trasversale che si diffonde nel mo-

dernismo e nelle avanguardie per quanto riguarda le arti visive, come accade – mi sentirei di aggiungere – per la musica.

Sempre agli anni ottanta del XX secolo risale un altro saggio ritenuto influential in campo storico artistico, Black Athena di Martin Bernal.

Le tesi, piuttosto controverse, sostenute nel libro individuano per l’arte e la cultura greca, un’origine afro-asiatica piuttosto che indoeuropea, citando

varie fonti e interpretando i miti.

L’autore inoltre sostiene che tale visione abbia stentato ad affermarsi a causa del colonialismo che avrebbe condizionato la ricostruzione storica

sulla genesi della civiltà occidentale. Attualmente l’apporto in termini di tecniche, modelli formali e concezioni estetiche da parte della civiltà egizia

e quindi anche nubiana, per l’arte della Grecia arcaica è comunemente riconosciuto, perciò le radici africane risalgono a molto prima degli entusiasmi

parigini agli inizi del Novecento.

Non va poi dimenticata la scena contemporanea africana, entrata categoricamente nel sistema dell’arte internazionale, basti pensare a Wil-

liam Kentridge, El Anatsui, Pascale Marthine Tayou, per non citare che alcuni nomi tra quelli incontrati più di recente nelle gallerie e nei musei

europei e americani. Le opere esposte nella sezione Monumental Africa, curata da Enrico Mascelloni, rappresentano un’espressione rilevante

della ricerca contemporanea africana nelle arti visive, con molto da comunicare – non solo in termini estetici – ad altre culture e civiltà.

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Un tributo alla Terra Africa, da parte degli artisti di United Artists for Africa, rivela in qualche modo l’intenzione di estinguere, seppure

solo in parte, un debito di gratitudine verso l’origine e il mistero della vita umana e dell’arte.

La Mostra

Gli artisti in mostra appartengono al ciclo di esposizioni di Villa Fidelia Terra di Maestri, organizzate dalla Provincia di Perugia

e curate da C.A. Ponti, F. Boco ed altri.

La loro adesione al progetto di GSI United Artists for Africa prevede la donazione di opere realizzate appositamente per l’iniziativa

e ispirate a brani letterari di autori umbri o legati all’Umbria, pubblicati insieme ai lavori degli artisti in una pagina periodica del Cor-

riere dell’Umbria. Ogni opera è esposta insieme allo scritto con cui è entrata in relazione, stabilendo una dimensione percettiva arti-

colata su livelli espressivi diversi.

I mezzi e i linguaggi impiegati dagli artisti sono molto vari, dal video alla pittura, dalla fotografia all’incisione, dall’installazione

alla scultura. La molteplicità degli esiti creativi dimostra una inequivocabile vivacità della scena contemporanea in Umbria, con gene-

razioni e prospettive diverse a confronto. L’idea espositiva prevede una posizione centrale delle opere africane, una vera e propria

mostra nella mostra, rivolta a quella dei Maestri umbri in quanto emergenza di una cultura diversa, adatta a imporsi nell’immaginario

per aprire nuovi spazi di riflessione.

La commistione di tante interpretazioni individuali in un unico spazio, irregolare e suggestivo, ha trovato il proprio senso di ag-

gregazione nella presenza dell’arte africana che allude alla finalità specifica dell’evento. Oltre alle opere, destinate a un’asta benefica,

saranno a disposizione del pubblico alcune cartoline, piccoli lavori originali su carta, realizzate da diversi dei partecipanti alla mostra,

come ulteriore contributo al progetto.

Saranno poi presenti alcuni sponsor che collaboreranno in vari modi all’operazione di charity fundraising. I vini della cantina Le

Cimate di Montefalco e i prodotti dolciari della pasticceria Muzzi avranno un’etichetta disegnata dagli artisti e la manifattura ceramica

Rometti realizzerà boccali e tazze con il logo dell’evento. Inoltre lo studio Digital Point creerà riproduzioni digitali su tela di molte delle opere

esposte che, come il resto dei prodotti presentati e le cartoline, saranno in vendita durante la mostra.

Artisti, curatori, organizzatori e sponsor sono stati coinvolti nel progetto sia dal punto di vista culturale che umano. La forza generata da

tanti piccoli sforzi individuali riesce a spingersi oltre ogni previsione, ripagando generosamente l’impegno profuso. Lo spirito solidale contagia

e trascina, rendendo molto pertinente il detto africano Se si sogna da soli, è solo un sogno. Se si sogna insieme, è la realtà che comincia.

Marinella Caputo(Novembre 2013)

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Il dono dell’arte e l’arte del dono

Kalós kái agathós erano per i Greci i caratteri della bellezza; la kalokagathia fondeva insieme il bello e il buono, legando strettamente l’estetica

e l’etica. L’ideale della perfezione formale coincideva con la bellezza interiore e quest’ultima si rifletteva all’esterno nelle proporzioni e nella

grazia del corpo.

Questa idea di bellezza è stata messa in crisi da gran parte delle forme culturali del Novecento, nonché dalla sua tremenda storia: la bellezza

esteriore può essere menzogna e, come aveva preannunciato il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, può nascondere l’errore e l’orrore. La vera

bellezza è quella profonda, quella che osa guardare dentro il baratro della vita, scrutando nelle sue imperfezioni. Come tale, però, essa è anche

la più pericolosa; perché occorre avere coraggio per sopportarla, squarciando le apparenze armoniche e portando alla luce quel caos da cui sol-

tanto può nascere una stella danzante.

L’arte del Novecento, secondo i canoni della kalokagathia, può sembrare per lo più non bella. Ma sarebbe un errore o un’ingenuità

considerarla veramente tale, perché essa ci ha insegnato a guardare nell’abisso di noi stessi e della vita. Ha forse per questo perduto la sua bontà?

Se così fosse, allora l’arte di oggi dovrebbe recuperare con la beneficenza un ruolo che non riesce più a svolgere da sé, una bellezza che non

riesce più a comunicare in quanto opera. L’arte prodotta in serie perché asservita al mercato dell’utile, i quadri venduti come merce, le tele im-

brattate da firme “famose” appese nei salotti bene… come si può recuperare una bellezza buona, che non sia solo decorazione, esibizione o in-

vestimento? Facendo forse beneficenza, placandosi la coscienza donando qualcosa che, perfettamente inutile, abbiamo pagato l’equivalente di

vite umane in altri paesi “meno fortunati”? No, questa è solo retorica, la retorica del dono egoistico e della coscienza pulita, segno di una

ricchezza decadente, che suscita la giusta allergia verso ciò che appare come vuoto moralismo. La beneficenza, del resto, ha senso solo ricono-

scendo un ruolo al mercato, allo scambio non gratuito.

Da dove deriva allora la bontà dell’opera, che non è più diretta espressione di un ideale estetico? Viene forse dall’artista? O viene dall’opera

stessa? Oso dire che arriva dal divino. Ma non il dio di questa o quella religione. È ispirazione, sguardo profondo sulla vita. È una grazia e,

dunque, l’arte è bella perché è un dono. Prima di tutto all’artista, che ne è senz’altro l’artefice, ma solo materialmente, poiché in realtà egli è

l’oggetto dell’opera, il primo a venirne trasformato. Poi è dono alla materia, poiché per mano dell’artista essa è elevata a messaggio; infine, è

dono allo spettatore e alla comunità, affinché ne subiscano il fascino e, attraverso l’operazione estetica, ne siano, a loro volta, trasformati. Il

cerchio si chiude, o almeno dovrebbe.

Il valore mercantile dell’opera d’arte può forse trovarsi in ciò: affinché il cerchio si chiuda è necessario che l’opera passi dall’artefice

allo spettatore e alla comunità; l’opera, intesa come risultato materiale dell’operazione estetica, deve essere alienata. Essa va ad altri, si dà. Ma

perché diventa merce? Etimologicamente (e semplicemente) perché merita. E la grande arte torna, infine, nei musei, alle muse divine da cui

era giunta, sottraendosi allo scambio e diventando memoria sociale.

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Per comprenderlo sarebbe forse necessario pensare che ogni sistema economico è un sistema sociale, in quanto si basa sullo scambio,

sulla logica del dare e dell’avere, sul riequilibrio tra scarsità ed eccesso. L’interesse individuale e il capitale, perciò, sono solo la superficie di un

mondo che è anche interiore, in quanto presiede alla costruzione di legami, di collettività e di persone morali.

Se si allarga lo sguardo, in altri termini, si scopre che la logica del mercato ha un suo ethos che, in un certo senso, non è troppo distante da

quello del dono, nella misura in cui anche questo è un dare che, in generale, comporta un ricevere e un nuovo dare o ricambiare. Ciò è stato

messo in luce da Marcel Mauss nel Saggio sul dono (1924), un’opera che ha influenzato a lungo e profondamente la lettura di questi fenomeni.

A suo avviso, il dono implica tre obblighi: il fare regali, il ricevere regali e il ricambiare i regali ricevuti.

Tale obbligatorietà è certamente l’aspetto più problematico delle cerimonie del dono, anche ai nostri giorni. Mauss ritiene tuttavia che

l’obbligatorietà del dare e, in genere, tutta la mescolanza di diritti e doveri connessi alle cerimonie del dono, cessano di apparire contraddittori «se

si pensa che esiste, prima di tutto, una mescolanza di legami spirituali tra le cose, che appartengono in qualche misura all’anima, e gli individui e i

gruppi, che si trattano entro certi limiti come oggetti»1. Perciò, conclude, «tutto va e viene, come se ci fosse scambio costante di una sostanza spi-

rituale comprendente cose e uomini»2. In tal modo, «le anime si confondono con le cose; le cose si confondono con le anime. Le vite si mescolano

tra loro ed ecco come le persone e le cose, confuse insieme, escono ciascuna dalla propria sfera e si confondono: il che non è altro che il contratto

e lo scambio»3.

L’analisi di Mauss è notevole, perché non si limita a osservare che il dono contrattuale è una forma di economia pre-economica, ma

lo riconduce a uno scopo che, prima di tutto, è morale e che consiste nello stabilire legami tra le persone e tra le comunità, attraverso il simbolo

delle cose. Il legame instaurato dal dono è più importante del bene scambiato e perfino l’egoismo ha senso sullo sfondo di tale legame. L’economia

del dono contrattuale, come tale, è caratteristica di quelle società che hanno superato la fase di pura sussistenza, ma che ancora non hanno svi-

luppato un’economia del denaro e una nozione di prezzo calcolato in moneta. Con l’introduzione del denaro, le nostre civiltà hanno operato

una netta distinzione tra «l’obbligazione e la prestazione non gratuita, da una parte, e il dono, dall’altra»4.

Mi sembra una distinzione imprescindibile per provare a comprendere il legame tra arte e mercato nelle società contemporanee. Pen-

sare a un’arte che sia solo dono, ossia che chiuda il cerchio opera-artista-spettatore attraverso un atto sempre gratuito, sembrerebbe una rivolu-

zione; tuttavia, sarebbe in realtà un ritorno a sistemi economici arcaici e, dunque, una sorta di restaurazione. Eppure, non necessariamente le

due concezioni si escludono, costringendoci a rinunciare a un’arte bella e buona e a un mercato eticamente e socialmente giusto.

Non è strano allora che Mauss stesso abbia colto come, ai nostri giorni, si sia avvertita la necessità di reagire contro concezioni troppo

astratte del diritto e, soprattutto, contro un’economia disumanizzante, in cui le cose hanno perduto la loro anima trasformata in mero denaro.

1 M. Mauss, Saggio sul dono, tr. it. di F. Zannino, Einaudi, Torino 2000, pp. 174-175.2 Ivi, p. 175.3 Ivi, p. 184.4 Ivi, p. 241.

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È una reazione, un “tornare indietro” che ha riguardato anche l’arte. Le leggi sul diritto di seguito ne sono un esempio, essendo state ispirate

dallo «scandalo del plusvalore delle pitture, delle sculture e degli oggetti d’arte, mentre sono ancora in vita gli artisti e i loro eredi immediati»5.

Di certo, se si riduce l’arte all’opera-oggetto valutata nel mercato, allora si rischia di perdere la dimensione morale che era connessa al

dono, nella misura in cui esso riconosce un’anima alle cose. La soluzione può essere forse intravista nell’autentica esplosione del mercato dell’arte

(contemporanea e non) o, secondo un punto di vista più critico e oggettivo, nonostante tale esplosione: il valore cresce in virtù della non-ridu-

cibilità dell’opera all’oggetto, perché l’opera ha un’anima che ci si può solo illudere di comprare. Ciò che conta è l’operazione, lo scambio di

anime che avviene nella relazione operante.

In altri termini, si compra l’oggetto d’arte, il residuo dell’opera, il relitto del naufragio (ormai compiuto) di un viaggiatore (l’artista) entro

dimensioni alte (lo spirito). Comprandolo, però, lo si annulla come relitto e lo si trasforma in qualcosa d’altro: Mauss, del resto, definiva l’opera

d’arte come «un oggetto riconosciuto come tale da un gruppo»6, asserto che probabilmente ha segnato anche le vicende dell’arte dopo Du-

champ. Comprando opere è come se comprassimo dei residui, le tracce lasciate dall’operazione della grazia sull’artista, i segni di un originario

dono che si colloca in una dimensione sacra, non mercanteggiabile.

L’opera d’arte, intesa nel suo senso più profondo e “puro” di operazione, è dunque fuori dalla logica del mercato; merce e dono restano

due piani paralleli, che si incontrano solo nell’infinito di una comunicazione tra anime7. L’opera si colloca in una prospettiva del dono verticale

e solo come traccia può pretendere di avere un valore nello scambio del mercato orizzontale. Ecco il paradosso8, ma forse insieme anche la so-

luzione. La dimensione verticale del dono è quella della sua gratuità, spontaneità e generatività, che, sulla base di quanto abbiamo detto finora,

si interseca con quella orizzontale dello scambio economico, il cui paradigma è la giustizia, poiché sono entrambe inevitabilmente connesse

con la reciprocità9.

Qui c’è spazio per ritrovare la dimensione etica del dono, che informa di sé il mercato secondo il metro della giustizia. Nel caso dell’arte,

infatti, la spontaneità generativa e libera è innanzitutto quella creatrice dell’artista, il quale, in contatto con la dimensione alta e gratuita dello

spirito, ne lascia traccia nella materia (in senso lato), che è trasformata ed elevata a messaggio. Se tale operazione riesce, allora la traccia materiale

può inserirsi eticamente nella dimensione orizzontale in cui, oggi, lo scambio mercantile ha sostituito il dono contrattuale. E solo così il dono

è veramente tale, poiché è sacralizzato, sottratto alla dimensione dello scambio, protetto nel recinto del gratuito.

5 Ivi, p. 271.6 M. Mauss, Manuale di etnografia, tr. it., Jaca Book, Milano 1969, p. 81.7 Paul Ricoeur afferma che, «in regime di gratitudine, i valori dei presenti scambiati sono incommensurabili in termini di costi commerciali» e la gratitudine «è il marchio delsenza prezzo sullo scambio di doni» (P. Ricoeur, Percorsi del riconoscimento, Raffaello Cortina, Milano 2005, p. 272).8 È stato osservato che «il “dono scambiato” racchiude evidentemente un “paradosso” e l’espressione stessa “scambio di dono”costituisce una contraddizione in termini. Infatti, os’insiste sul “dono”, cioè proprio sul carattere “gratuito” del regalo, perdendo di vista lo scambio, o si pone l’accento su quest’ultimo, e la gratuità del dono non può più apparirealtro che un’illusione, se non addirittura un inganno» (L. Boltanski, Stati di pace. Una sociologia dell’amore, tr. it., Vita & Pensiero, Milano 2005, p. 124).9 Su tale distinzione cfr. P. Ricoeur, Amore e giustizia, tr. it., Morcelliana, Brescia 2000.

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Dal punto di vista strettamente pratico, le analisi di Mauss si trasformano in suggerimenti che hanno ispirato anche recentemente movimenti

di rinnovamento sociale e politico. Qui ci interessa però cogliere l’aspetto rivoluzionario di questo «tornare a qualcosa di arcaico»10. Nel nostro

caso, ciò significa tornare «a una pratica di “spesa nobile”»11, per la quale i ricchi possano nuovamente «considerarsi come una specie di

tesorieri dei propri concittadini». Nelle transazioni pubbliche, inoltre, si dovrà aver cura «dell’individuo, della sua vita, della sua salute, della

sua educazione […], della sua famiglia e dell’avvenire di quest’ultima. Occorre più buona fede, più sensibilità, più generosità […] e bisognerà

trovare il mezzo per limitare i frutti della speculazione e dell’usura»12.

In questo modo si sarà compiuto un ritorno «al fondamento costante del diritto, al principio stesso della vita sociale normale». Il cittadino

non è troppo generoso né troppo soggettivo e egoista, ma avrà «un senso acuto di se stesso e, a un tempo, degli altri, della realtà sociale». Si

tratta, per Mauss, di una morale «eterna», comune a tutte le società, antiche, presenti e future. Si va alla sostanza, non solo di termini giuridici,

«ma di uomini e di gruppi di uomini, perché sono gli uomini, è la società, sono sentimenti di uomini pensanti in carne e ossa che agiscono in

ogni tempo e hanno agito dappertutto»13.

Mauss conclude con un precetto che, a mio avviso, esprime il senso stesso del dono verticale che intreccia lo scambio orizzontale:

«Uscire da se stessi, dare, liberamente e per obbligo; non c’è rischio di sbagliare»14.

È evidente che le considerazioni che ho cercato di proporre si sono sviluppate seguendo l’invito di un pensiero anti utilitaristico, che

rifiuta l’astratto dell’orizzontale per recuperare la dimensione verticale del senso. Le persone e le comunità, che si incontrano (e si scontrano)

nella dimensione orizzontale dello scambio (anche per denaro), si possono incontrare davvero solo se tale dimensione è intrecciata con e animata

da quella verticale. È un’etica sociale nuova e antica insieme, che informa di sé il diritto, i rapporti e la costruzione del mondo globale, una

nozione che non è semplicemente riducibile a un’economia non economica (cioè priva di scambi e, dunque, anche di doni), ma non è ormai

nemmeno più realizzabile nel mero circuito della produzione e dello scambio interessati all’utile.

È in quest’ottica che l’arte, dono verticale di senso, può essere oggetto anche di un dono orizzontale, che il diritto lecitamente pone

fuori dal mercato in senso stretto. Il collezionista compra i relitti di un’esperienza altra, li custodisce come tracce per i posteri, ne tramanda la

memoria. Egli è liberamente obbligato ad alienare la propria fortuna per renderne partecipi gli altri; tale obbligo si manifesta con la passione

che egli mette nell’acquisto, con la spinta profonda che lo porta a leggere se stesso nell’opera e, infine, perfino con il desiderio del plusvalore

che ne potrebbe ricavare. Sono però astuzie: in realtà, è l’arte nella dimensione del dono verticale che, non lasciandosi ridurre allo scambio

orizzontale, si traveste da passione, da storia, da valore economico e perfino da merce.

10 M. Mauss, Saggio sul dono, cit., p. 274.11 Ivi, p. 27312 Ivi, p. 274.13 Ivi, p. 275.14 Ivi, p. 276.

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In questa intersezione, come dicevo, vedrei ancora uno spazio per l’etica, per l’arte buona. È chiaro che non siamo più davanti alla benefi-

cenza intesa come espiazione della ricchezza, secondo una concezione moralistica. Siamo infatti più vicini al mecenatismo o, per dirla nei

termini usati finora, al dono verticale. Se l’arte è un dono, allora donare può essere un’arte, nella misura in cui occorre di nuovo imparare a farlo

nell’ottica del bene comune.

L’arte che recupera questo ruolo nella comunità umana opera in maniera molto simile a un rito, poiché costruisce legami. Infatti, è prima

di tutto ricerca, a contatto con la profondità dell’essere; poi è trasformazione; infine è partecipazione e comunicazione. Una buona parte

dell’arte moderna, così, opera un po’ come l’arte delle società arcaiche o africana; il sistema dell’arte, nel bene e nel male, è come un grande

rito collettivo.

Ecco che sorge anche in noi la domanda: che cosa possiamo fare per ottemperare all’obbligo del dono cui ci richiama l’ideale della fioritura

umana? E che cosa può fare l’arte? Il mondo globale ci sollecita alla responsabilità verso altri, che non è colpa nei confronti dei “meno fortunati”,

non è solo dono della fortuna ricevuta o abilmente costruita, ma è soprattutto impegno a ricostruire un bene comune, una comunità umana

fiorente. La vera felicità non è nell’accumulare, ma nel condividere, nel «sedersi intorno alla ricchezza comune»15. E la nostra responsabilità

verso le culture altre non è affatto il “fardello dell’uomo bianco” né un retorico moralismo; piuttosto, è ormai una sorta di necessità socio-eco-

nomica, per non essere ingoiati dal nostro stesso sistema, trasmesso ad altri spesso nella sua forma peggiore.

Marco Bastianelli

15 Ivi, p. 291.

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OBIETTIVO DONNAStoria di un impegno in Burkina

Quando iniziai ad aiutare, in Burkina Faso, Marie Blaise Somé, le sue “vedove” e i suoi “orfani” erano solo 17. Li aiutai a costituirsi nell’as-sociazione Faa i Tuora ed era il 2007-2008. Da allora GSI Italia ha aiutato l’associazione “figlia” nella costituzione di banche cerealicole, nellafornitura di generatori fotovoltaici, nello scavo di pozzi, nella erogazione di piccoli prestiti di onore, grazie a un programma di sostegno a di-stanza, che ha visto il contributo di singoli cittadini e il coinvolgimento di scolari di scuole umbre, marchigiane, abruzzesi e lombarde.

Mi è stato raccontato che quando l’associazione è arrivata a circa mille donne iscritte, che, come recitava lo statuto sociale, dovevano

essere vedove, Marie Blaise fu convocata dal capo villaggio di Dissin, dove ha sede Faa i Tuora. La associazione era la principale realtà

sociale e produttiva dell’area in ragione dei contributi italiani, e allargava continuamente il perimetro dei terreni coltivati e il numero

di allevamenti di animali da cortile.

– Marie Blaise, figlia mia – iniziò a dire il capo villaggio con accento grave ma risoluto – mi dispiace per te che sei una ragazza brava e vo-

lenterosa, ma sono costretto a mandarti via dal villaggio e a chiudere la tua associazione. –

– Ma perché, signore, cosa ho fatto di male per meritare i vostri rimproveri? – provò a ribattere la ragazza sgomenta e con gli occhi

fuori dalle orbite.

– Lo so io perché… Perché se io ti lascio fare quello che fai, ho paura che sarò ammazzato. Ammazzato proprio così, ammazzato senza scampo

e quando meno me lo aspetto – sottolineò il vecchio capo villaggio con voce grave e addolorata, simulando nel contempo con l’indice della

mano destra un veloce taglio della gola e accompagnando il gesto con una smorfia che lasciò Marie Blaise ancora più interdetta e attonita – e,

capisci bene, non posso permettertelo. Che mi dici? –

– Che ne dico? Ne dico che non capisco quello che mi state dicendo e chi può volervi morto.

– è mia moglie che mi vuole morto, cara Marie Blaise, proprio mia moglie. E ti spiego subito il perché e così capisci perché la colpa è tua – rispose

il capo villaggio, girato di spalle per dissimulare il divertimento che gli procurava l’agitazione nella quale aveva gettato la giovane donna.

– Mia moglie mi ha riferito che tu accogli nella tua associazione, che, debbo riconoscere tanto bene sta facendo nel nostro come negli

altri villaggi vicini, solo donne, e su questo non ho niente da obiettare, va bene, ma purché vedove... – E girandosi di scatto e apostrofando

la donna convocata con il dito puntato e battente contro il petto e con la faccia sopracigliata e la voce sopra tono, le intimò: – Ora

delle due è una, o tu cambi lo statuto o io ti caccio via. Perché fare il bene mi sta bene, ma se il tuo bene fa il mio male, questo no, non te lo

posso permettere. – Una risata liberatoria tolse la paura dagli occhi e dalla faccia di Marie Blaise e così gli statuti della associazione

vennero modificati di imperio e consensualmente.

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Oggi Faa i Tuora conta circa tre mila donne associate e GSI Italia, nel 2013 ha avviato un programma di aiuti in ambito agricolo e di

sostegno al reddito individuale e comunitario, che spiega ed è la ragione prima, se non assoluta, di “Umbria, Terra di Maestri”.

L’intervento, della durata di 15 mesi a partire dall’autunno 2013, intende rafforzare il ruolo della donna nella società del Burkina Faso, fa-

vorendo il miglioramento delle loro condizioni economiche e sociali nel dipartimento di Dissin, provincia di Ioba, regione del Sud Ovest.

L’accesso al credito è promosso dalla Associazione umbra attraverso un programma di fondi rotativi, per il cui utilizzo e funzionamento le

donne saranno preparate con corsi di formazione sulla valutazione e gestione di investimenti e risparmio. Agricoltura, allevamento di animali

e l’attivazione di piccoli commerci sono gli ambiti principali previsti per la concessione dei microcrediti, che hanno eminentemente, come si

può capire, finalità di sviluppo economico. Il miglioramento dell’apporto proteico nei consumi alimentari assicurato dagli allevamenti di

animali e con esso di quello sanitario delle donne, dei loro bambini e delle loro famiglie, e una maggiore capacità economica globale delle co-

munità, potrà permettere piccoli ma significativi miglioramenti nella qualità della vita della popolazione bersaglio.

Contributi a questo progetto sono al momento arrivati a GSI Italia e alla consociata GSI Marche dalla Regione Marche e dalla Chiesa

Valdese. Le risorse di “Umbria, Terra di Maestri” e di “Maestri d’Africa in Terra d’Umbria” ne rappresentano una utile integrazione in aiuto

alla sua sostenibilità.

Antonio Loiacono

Presidente di GSI Italia

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SEDE FOLIGNOViale Roma 38 – 06034 – Foligno (PG)

Tel +39.0742.340.380 - Fax +39.0742.340.411www.pasticceriamuzzi.com - Email: [email protected]

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CaRla aCCaRDi Gianni asDRubali PasqualE basilE

MattEo basilè JasMinE bERtusi stEfano boRGia

sEstilio buRattini ChRistian CalianDRo anGElo

CasCiEllo bRuno CECCobElli Danilo CERquaGlia

MiChElE CiRibifERa MaRio ConsiGlio nino CoRDio

sabinE DElafon CaRlo DEll’aMiCo Gianni DEssì

stEfano Di stasio MassiMo Diosono MaRino fiCola

luiGi fRaPPi siMona fRilliCi oMaR Galliani

DaniElE Galliano PiERflavio Gallina CaRlo GuaRiEnti

KaRPusEElER MaRK Kostabi MiKhail KoulaKov uGo

lEvita WilMa loK luiGi Mainolfi luiGi ManCioCCo

GRaziano MaRini Plinio MEsCiulaM afRanio MEtElli

GianluCa MuRasECChi RiCCaRDo MuRElli MiMMo

PalaDino aRnalDo PoMoDoRo luCilla RaGni oliviERo

RainalDi PiERo RasPi niCola REnzi MaRia tEREsa

RoMitElli viRGinia Ryan MaRio santoRo fRanCo

suMMa albERto tiMossi luCiano tittaRElli fRanCo

tRoiani XaviER vantaGGi RossElla vasta EManuElE

vEntanni saMuElE vEntanni lisa WaDE

..

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CaRla aCCaRDi CaRla aCCaRDi CaRla aCCaRDi Ca

Arancioviola, 1989serigrafia su cartoncino cm 85x100

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Gianni asDRubali Gianni asDRubali Gianni asDRuCaRla aCCaRDi CaRla aCCaRDi CaRla aCCaRDi Ca

Stoide, 2006 acrilico su tela

cm 80x89

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PasqualE basilE PasqualE basilE PasqualE basilEMattEo basilé MattEo basilé MattEo basilé Ma

Sguardo a Pechino, 2006stampa lambda su alluminio cm100x100

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PasqualE basilE PasqualE basilE PasqualE basilE

Cornucopia, 1992acquaforte, acquatinta, puntasecca

cm 70x50

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stEfano boRGia stEfano boRGia stEfano boRGiaJasMinE bERtusi JasMinE bERtusi JasMinE bERtu

Anni 50, 2004lambda print expofoam cm 100x70

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stEfano boRGia stEfano boRGia stEfano boRGia

L’amore che sorveglia la follia, 2013tecnica mista su carta puro cotonecm 40x30

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30

ChRistian CalianDRo ChRistian CalianDRo ChRisEstilio buRattini sEstilio buRattini sEstilio b

Ventitravertinocm 70x45x25; kg. 35

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ChRistian CalianDRo ChRistian CalianDRo ChRi

Juppiter and beyond the infinite (Pink Floyd version), 2007DVD

23 min. e 58 sec.

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anGElo CasCiEllo anGElo CasCiEllo anGElo Ca

Aria Umbria, 2013acrilico su carta cm 29x21

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bRuno CECCobElli bRuno CECCobElli bRuno CECanGElo CasCiEllo anGElo CasCiEllo anGElo Ca

Lique fatto, 2009federe e tecnica mista

cm 80x100

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Danilo CERquaGlia Danilo CERquaGlia Danilo

Senza titolo, 2013scultura in ferro e rakucm 42x32

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MiChElE CiRibifERa MiChElE CiRibifERa MiChElE CDanilo CERquaGlia Danilo CERquaGlia Danilo

Blu, 2011carta, pigmento

cm 77x60

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MaRio ConsiGlio MaRio ConsiGlio MaRio Consi

Marmo, 2011vetroresina, legno, colla, muschio, acrilico, cartonecm 50x25x30

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nino CoRDio nino CoRDio nino CoRDio nino CoMaRio ConsiGlio MaRio ConsiGlio MaRio Consi

Natura Morta, 1999affresco strappato e riportato su tavola

cm 30x30

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sabinE DElafon sabinE DElafon sabinE DElafon

La mia Africa immaginaria, 2006 videodurata 60 min, 5/5

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CaRlo DEll’aMiCo CaRlo DEll’aMiCo CaRlo DEll’asabinE DElafon sabinE DElafon sabinE DElafon

I venti i suoi messaggeri i corpi dall’aria, 2011legni, resine, plexiglass

cm 101x60x18

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Gianni DEssì Gianni DEssì Gianni DEssì Gianni D

Senza titolo, 2012tempera, grafite e carta su cartacm 76x56

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stEfano Di stasio stEfano Di stasio stEfano Di sGianni DEssì Gianni DEssì Gianni DEssì Gianni D

Una sosta, 2005tempera su carta

cm 38x31

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MaRino fiCola MaRino fiCola MaRino fiCola MaMassiMo Diosono MassiMo Diosono MassiMo D

Ensō, 2012inchiostro su cartacm 35x50

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MaRino fiCola MaRino fiCola MaRino fiCola Ma

Africa, 2013pittura a olio su alluminio con grumi di colore a olio

cm 36x46x14,5

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siMona fRilliCi siMona fRilliCi siMona fRilliCi sluiGi fRaPPi luiGi fRaPPi luiGi fRaPPi luiGi fRaP

Riflessi, 2007olio su telacm 100x100

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siMona fRilliCi siMona fRilliCi siMona fRilliCi s

Face red, yellow, blue, 2012xerox, pittura acrilico

e smalto, plexiglasscm 25x23,3

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oMaR Galliani oMaR Galliani oMaR Galliani o

Nuovi Santi, 2007 opera grafica su carta fabriano,litografia su pietra più intervento manuale cm 76x57

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DaniElE Galliano DaniElE Galliano DaniElE GaloMaR Galliani oMaR Galliani oMaR Galliani o

Fete de Bapteme, 2007 grafite su carta

cm 24x33

^ ^

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CaRlo GuaRiEnti CaRlo GuaRiEnti CaRlo GuaRiEPiERflavio Gallina PiERflavio Gallina PiERflav

Soltanto l'autunno è la stagione dell'anima, anno n.p. prova dʼartista cm 48x67

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CaRlo GuaRiEnti CaRlo GuaRiEnti CaRlo GuaRiE

Ragazza con la mosca, 1971esemplare 37/50

cm 50x23

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50

KaRPusEElER KaRPusEElER KaRPusEElER KaRPusE

Pazzopuzzle (3), 2011-2013tessere puzzle colorate su tavolacm 33,5x48,7

.. . . .. ..

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51

MaRK Kostabi MaRK Kostabi MaRK Kostabi MaRK KKaRPusEElER KaRPusEElER KaRPusEElER KaRPusE

Fine Parting, 2008matita su carta cm 30,4x31,5

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MiKhail KoulaKov MiKhail KoulaKov MiKhail K

L’amore che sorveglia la follia, 2013tecnica mista su telacm 80x60

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uGo lEvita uGo lEvita uGo lEvita uGo lEvita uGMiKhail KoulaKov MiKhail KoulaKov MiKhail K

Appunti del viaggio, 2013matite, pastelli, acquerelli e tempere su carta Murillo pesante

cm 50x70

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WilMa loK WilMa loK WilMa loK WilMa loK Wil

Quanto profondo è l’abisso, 2013monotipo a detrazionecm 87,5 x 25 x ca. 7

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luiGi Mainolfi luiGi Mainolfi luiGi Mainolfi luiWilMa loK WilMa loK WilMa loK WilMa loK Wil

Guache, 2003Guache su cartoncino

cm 33x37,5

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GRaziano MaRini GRaziano MaRini GRaziano MaRluiGi ManCioCCo luiGi ManCioCCo luiGi ManC

Betulla, 2009foglio di betulla, smalto, olio e colle industriali su tavolamm 142x72

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GRaziano MaRini GRaziano MaRini GRaziano MaR

Senza titolo, 2013carboncini, gessetti,

sanguigne su carta a mano Fabriano,cm 77x57

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afRanio MEtElli afRanio MEtElli afRanio MEtElPlinio MEsCiulaM Plinio MEsCiulaM Plinio MEs

Le firme dei Maestri n° 67, 1974-2006 tecnica mista su tavolacm 145 x85

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afRanio MEtElli afRanio MEtElli afRanio MEtEl

Senza titolo (da Georges de la Tour), 1967inchiostro acquarellato

cm 100x70

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GianluCa MuRasECChi GianluCa MuRasECChi Gi

Numen II, 2012/2013carta pesta su mixed media, fogli di carta, colature di colorecm 80x190x50

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RiCCaRDo MuRElli RiCCaRDo MuRElli RiCCaRDo MGianluCa MuRasECChi GianluCa MuRasECChi Gi

Introspezione, 2010olio su carta Hannemulle

cm 140x100

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MiMMo PalaDino MiMMo PalaDino MiMMo Pala

Africa, 1996 acquaforte, puntasecca, acquatinta, xilografia, serigrafia, chine collé su carta 1550 Salland diam. 139 cm (H.C.)

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aRnalDo PoMoDoRo aRnalDo PoMoDoRo aRnalDoMiMMo PalaDino MiMMo PalaDino MiMMo Pala

Un ballo in maschera, 2005 calcografia, 59/90 Edizione di 90 esemplari + XX prove d'artista

cm 49,5 x 68,5

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luCilla RaGni luCilla RaGni luCilla RaGni luC

Studio per Quelli delle barche volanti, 2013encausto su carta,tela e carta su legnocm 47x36

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oliviERo RainalDi oliviERo RainalDi oliviERo RaluCilla RaGni luCilla RaGni luCilla RaGni luC

Testa, 2006piombo

cm 19 x 7,5 x 7,5

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niCola REnzi niCola REnzi niCola REnzi niCola RPiERo RasPi PiERo RasPi PiERo RasPi PiERo RasPi P

Hovenon, 1998gessetti colorati su cartacm 70x100

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niCola REnzi niCola REnzi niCola REnzi niCola R

Le saliere, 2013tempere e inchiostri su carta, su mdf,

resina trasparente, legno bahia, fusione in bronzocm 64 x 27, 5x5, 5

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MaRia tEREsa RoMitElli MaRia tEREsa RoMitEll

Rinascita, 2004acrilico e foglia oro su telacm 100x120

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viRGinia Ryan viRGinia Ryan viRGinia Ryan viRGinMaRia tEREsa RoMitElli MaRia tEREsa RoMitEll

Picnic at Gagne, 2012 (2/10)opera fotografica su tela

cm 60x80

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MaRio santoRo MaRio santoRo MaRio santoRo

Consolazione e frammenti di luce, 2011due pezzi elettrofotografie montate reverse su tela e rifoderate,un pezzo è stampa cromogenica montata su forex e laminatacm 30x60+20x40+15x45 cm

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fRanCo suMMa fRanCo suMMa fRanCo suMMa fRaMaRio santoRo MaRio santoRo MaRio santoRo

La città della memoria, 2000pastelli acquarellati su carta Schoeller

cm 34x29,8

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albERto tiMossi albERto tiMossi albERto tiMo

La piaga, 2013scultura in ceramicacm 36x32x18

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luCiano tittaRElli luCiano tittaRElli luCianoalbERto tiMossi albERto tiMossi albERto tiMo

Senza titolo, 2000olio su telacm 120x80

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fRanCo tRoiani fRanCo tRoiani fRanCo tRoian

Luogo sacro, 2000tempera acrilica su tavolacm 70x64,5

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Le Louvrestampa su tela rilavorata ad acrilico

cm 120x120

fRanCo tRoiani fRanCo tRoiani fRanCo tRoianXaviER vantaGGi XaviER vantaGGi XaviER vantaGG

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RossElla vasta RossElla vasta RossElla vasta R

Lit, 2013olio su telacm 25x25

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EManuElE vEntanni EManuElE vEntanni EManuE

Variazioni sul bello B, 2013tecnica mista su legno

cm 59x59

RossElla vasta RossElla vasta RossElla vasta R

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saMuElE vEntanni saMuElE vEntanni saMuElE

Bianco a tutto tondo, 2012estroflessione su jeans Ø 100 cm

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lisa WaDE lisa WaDE lisa WaDE lisa WaDE lisa WaDE

Overflow (sgorgare), 2007-2008colori e chiodi su tessuto montati su legno

cm 115x40x25

saMuElE vEntanni saMuElE vEntanni saMuElE

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RobERto fallani RobERto fallani RobERto fall

Ermescultura rossa e neracm 120

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CaRla aCCaRDi Gianni asDRubali PasqualE basilE

MattEo basilè JasMinE bERtusi stEfano boRGia

sEstilio buRattini ChRistian CalianDRo anGElo

CasCiEllo bRuno CECCobElli Danilo CERquaGlia

MiChElE CiRibifERa MaRio ConsiGlio nino CoRDio

sabinE DElafon CaRlo DEll’aMiCo Gianni DEssì

stEfano Di stasio MassiMo Diosono MaRino fiCola

luiGi fRaPPi siMona fRilliCi oMaR Galliani

DaniElE Galliano PiERflavio Gallina CaRlo GuaRiEnti

KaRPusEElER MaRK Kostabi MiKhail KoulaKov uGo

lEvita WilMa loK luiGi Mainolfi luiGi ManCioCCo

GRaziano MaRini Plinio MEsCiulaM afRanio MEtElli

GianluCa MuRasECChi RiCCaRDo MuRElli MiMMo

PalaDino aRnalDo PoMoDoRo luCilla RaGni oliviERo

RainalDi PiERo RasPi niCola REnzi MaRia tEREsa

RoMitElli viRGinia Ryan MaRio santoRo fRanCo

suMMa albERto tiMossi luCiano tittaRElli fRanCo

tRoiani XaviER vantaGGi RossElla vasta EManuElE

vEntanni saMuElE vEntanni lisa WaDE

RobERto fallani RobERto fallani RobERto fall

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Carla Accardi Nata a Trapani nel 1924, trasferita a Roma nel 1946, dove tuttoravive e lavora.

Gianni Asdrubali Nato nel 1955 a Tuscania, dove vive e lavora.

Pasquale BasileNato a Messina, opera a Terracina (Latina).

Matteo BasilèNato a Roma nel 1974, vive e lavora a Roma e Bali.

Jasmine BertusiNata in Svizzera nel 1979, vive e lavora tra l’Italia e gli Stati Uniti.

Stefano BorgiaNato nel 1949 a Terni, vive e lavora a Perugia.

Sestilio BurattiniNato nel 1947 a Magione (Perugia), dove vive e lavora.

Christian CaliandroNato a Mottola (Taranto) nel 1979.

Angelo CascielloNato a Scafati (Salerno) nel 1957.

Bruno CeccobelliNato a Montecastello di Vibio (Todi) nel 1952, vive e lavora a Todi.

Danilo CerquagliaNato a Todi nel 1953.

Michele CiribiferaNato nel 1969 a Perugia, dove vive e lavora.

Mario ConsiglioNato a Maglie (Lecce) nel 1968, vive e lavora a Perugia.

Nino CordioNato a Santa Ninfa (Trapani) nel 1937, ha vissuto e lavorato traRoma e Todi; è morto a Roma nel 2000.

Sabine DelafonNata a Grenoble nel 1975, vive e lavora a Torino

Carlo Dell’AmicoNato a Perugia nel 1954, lavora a Lugano e Perugia.

Gianni DessìNato a Roma nel 1955.

Massimo DiosonoNato a Perugia nel 1967, vive e lavora a Spello.

Stefano Di StasioNato a Napoli nel 1948, vive a Roma dal 1950 e, da qualche anno,si divide tra Roma e Spoleto.

Marino FicolaNato a Deruta (Perugia) nel 1969.

Luigi FrappiNato il 4 agosto 1938 a Foligno. Lavora a Bevagna.

Simona FrilliciNata a Foligno nel 1966, dove vive e lavora.

Omar GallianiNato nel 1954 a Montecchio Emilia, dove vive e lavora.

Daniele GallianoNato a Pinerolo nel 1961, vive e lavora a Torino.

Pierflavio GallinaNato a Santo Stefano Belbo nelle Langhe, vive e opera a La Morra(Cuneo).

Carlo GuarientiNato a Treviso nel 1923.

KarpuseelerNato a Perugia nel 1955.

Mark KostabiNato a Los Angeles nel 1960 da genitori immigrati dall’Estonia, dal1996 vive tra Roma e New York.

Mikhail KoulakovNato a Mosca nel 1933, vive e lavora in Umbria.

Gli artisti

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Ugo LevitaNato ad Acerra nel 1958, è docente di discipline pittoriche a Perugiae risiede a Todi.

Wilma LokNata a Eindhoven in Olanda nel 1951, vive e lavora in Umbria eOlanda.

Luigi MainolfiNato a Rotondi Valle Caudina nel 1948, vive e lavora a Torino.

Luigi MancioccoNato a Colleferro, vive e lavora a Roma e Colleferro.

Graziano MariniNato nel 1957 a Todi, dove vive e lavora.

Plinio MesciulamNato a Genova nel 1926.

Afranio MetelliNato a Campello sul Clitunno nel 1924, si è spento nel 2011.

Gianluca MurasecchiNato a Spoleto nel 1965, vive e lavora a Roma e Spoleto.

Riccardo MurelliNato a Roma nel 1975, vive e lavora a Todi e Mosca.

Mimmo PaladinoNato a Paduli (Benevento) nel 1948.

Arnaldo PomodoroNato a Morciano di Romagna nel 1926.

Lucilla RagniNata a Capua (Caserta) nel 1963, attualmente vive e lavora a Perugia.

Oliviero RainaldiNato a Caramanico Terme nel 1956, vive e lavora a Roma.

Piero Raspi Vive e lavora tra Roma e l’Umbria.

Nicola RenziNato nel 1972 a Perugia, dove risiede.

Virginia RyanNata in Australia, vive e lavora in Africa Occidentale e, dal 1996, inUmbria.

Mario SantoroNato nel 1968, vive e lavora in Umbria e a New York.

Franco SummaNato nel 1938 a Pescara, dove vive e lavora.

Maria Teresa RomitelliNata a Spoleto, dove vive e lavora.

Alberto TimossiNato a Napoli nel 1965, vive e lavora a Roma.

Luciano TittarelliNato a Gualdo Tadino nel 1952.

Franco TroianiNato a Spoleto, dove vive e lavora.

Xavier VantaggiNato in Francia nel 1957, ha vissuto e lavorato a Gubbio.

Rossella VastaNata a Palermo nel 1962, insegna all’Accademia di Belle Arti di Pe-rugia.

Emanuele VentanniNato nel 1961 a Umbertide, dove vive e lavora.

Samuele VentanniNato nel 1986 a Umbertide, dove vive e lavora.

Lisa WadeNata a Washington nel 1972, attualmente vive e lavora tra l’Italia eNew York.

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SUSANNA TAMARO […] Ti sto scrivendo dal piccolo terrazzo della mia camera. C’è silen-zio intorno. Nell’aria, odore di erba, di conifere, di mucche. Di frontea me si innalzano, come uno smisurato iceberg di pietra, le pareti diuna cima dolomitica. Una volta, al posto delle case e del bosco, c’eraun oceano tropicale in cui nuotavano i primi crostacei e tutti quei mi-nuscoli organismi dai quali poi si è sviluppata ogni forma di vita.La notte adesso è limpida. Le code luminose degli aerei si inseguononella stessa invisibile scia, mentre, più in su, le stelle lampeggiano tre-mule come, in quest’epoca, le lucciole nei prati. Il sotto e il sopra sirispecchiano, testimoni muti del mistero che ci circonda. […]Da “Più Fuoco più Vanto”, Rizzoli, 2002

Manca un mese a Natale. Da quassù, posso scorgere la grande stella cometa sulla strada principale del paesee tutto il corollario di lampadine bianche che la precedono e la se-guono per congiungerla ad altre stelle. Un variopinto corteo di luci ricama anche le case, le villette, le fattorie. Abeti lampeggiano nel buio come semafori impazziti accanto a semplici arbusti, roseti o meli inanellati di lumi. Chi non ha alberi drappeggia di luce le balaustre, le inferriate, i davanzali. Tutto ciò che è avvolto in una discreta oscurità in queste notti brilla, illuminando ogni spazio intorno. Quando la notte inizia a divorare i pomeriggi, all’improvviso si scopre di aver nostalgia della luce, così le valli, le colline e le campagne si trasformano nel segno di questa mancanza. Luci sempre più mirabolanti, piùchiassose mutano l’atmosfera raccolta dell’inverno nell’allegra visione di una sagra. Cosa si festeggia? Nessuno lo sa più, nessuno lo ricorda. Più che un festeggiamento, sembra una forma di resistenza. Si resiste al buio, ci si oppone a quella notte misteriosa che sta in fondo a ciascuno di noi, a quell’oscurità che,prima o poi, ci attende tutti. È facile, durante le giornate di primavera e d’estate, mandare questo spettro al confine. Tutto è luminoso. Ma quando il sole si ritira e il buio scende con le sue dita ghiacciate, quando quelle dita ci sfiorano, ricordando la nostrafragilità, tutto diventa più difficile. Siamo sottili sfere di vetro, basta un urto minimo per trasformarci in schegge. Quanto tempo ci vuole per ché poi queste

schegge tornino ad essere la bella sfera iridescente? Nessun tempo anoi noto, perché nessun frammento è in grado di tornare ad essere forma. La luce allora è la nostra compagna, la nostra amica, il nostro antidoto. Staremo con lei fino a che i pomeriggi timidamente diverranno più chiari, fino a che gli uccelli, rotto il silenzio invernale, riempiranno l’aria con cinguettii già carichi di schermaglie amorose.Da “Per sempre”, Giunti Editore, 2011

Non so se quella notte lo scoiattolo, appostato nei pressi della stam-berga con le sue orecchie appuntite e pelose ascoltò tutto il mio di-scorso o se fu per un semplice caso che la mattina seguentericomparve. Comunque, mentre con l'irroratrice sulle spalle stavostancamente spruzzando le ultime rose sopravvissute con polvere dicaffaro, lo vidi correre a testa in giù lungo un tronco di quercia......correva fermandosi ogni tanto, muovendo a scatti la coda e il capoe poi, quando fu a circa un metro di altezza dal suolo, con uno stri-dio d'unghie spiccò un salto e planò sul prato e da lì, alternandobalzi a soste in cui restava verticale sulle zampe posteriori, si mossenella mia direzione.Da quel mattino in poi cominciammo a incontrarci ogni giorno, di-verse volte al giorno. Naturalmente non ero io a salire sugli alberima lui che, quando ne aveva voglia, scendeva giù dai tronchi e dopoavermi raggiunto con la solita andatura di corsette e pause, si fer-mava al mio fianco ad ascoltarmi.Allora io iniziavo a parlare, parlavo non raccontandogli i fatti dellamia vita, cose che non l'avrebbero interessato, come l'imprevista vi-cenda di Oskar o la scomparsa di Spartaco, ma parlavo come in undialogo, facendo domande. E fra tutte le domande gli posi soltantoquelle che ancora non avevo posto a nessuno.Da “La testa tra le nuvole”, Marsilio Editore

JIM MOOREANGELSInside the dark church

Perugino’s angelshurtle through the air:great unreachable joy,while outside,one workman on his kneesslowly taps a huge stone

I TESTI CHE HANNO ISPIRATO LE OPERE

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back into placein front of the storewhere all the shoes are on sale.(Da Jim Moore, in “Invisible strings”. Poems, Graywolf Press , 2011

MARCO RUFINIIl libeccio soffiava a Castiglion del Lago, freddo, impetuoso, ostinato.A ogni raffica maligna il becco della barca rompeva l’onda tra glispruzzi, in un lento procedere verso il largo. Barca d’olivo, dura comela pazienza.Armando remava in piedi, lo sguardo lungo e le mani serrate alla pai-tella, il remo-timone delle imbarcazioni del Trasimeno. Glauco, ac-covacciato a mancina, il capo chino, raccoglieva le file interminabilidegli ami ingarbugliate da quella buriana, a ogni cinque metri trovaval’esca intatta, gambero o verme che fosse, segno sicuro che quei vi-gliacchi di pesci se ne stavano rintanati nel limo, ben protetti dall’ac-qua intorbidita.Si era capito subito, che non era giornata, da quando avevano visto gal-leggiare piume nere appena fuori dal porticciolo: scalogna e malaugurio,peggio della “buona pesca” sibilato da un invidioso.Forse era un martedì; di certo, fine aprile del ’49. un giorno di magra.I privilegiati che avevano in concessione le bozze, quei larghi pezzid’acqua vicino alla riva recintati come campi da seme, potevano con-tare su una pesca comoda e sicura, e il guadagno si aggiungeva al gua-dagno. Ai diseredati come loro non restava che cercarsi tinche lucciqua e là, confidando nella buona giornata, nel mestiere e nella forzadelle proprie braccia. Non a caso li chiamavano “quelli delle barchevolanti”. […]Da “Il Lago”, 2003

CARLO PEDINI[…] La ferrovia secondaria cha dalla valle saliva fino a meno di un chi-lometro da Civita Turrita era un vero gioiello di ingegneria. Il viaggioera di soli cinquanta chilometri, ma per percorrerli tutti superando ilnotevole dislivello erano necessarie circa due ore di viaggio. Era quasiuna ferrovia alpina e la linea, per la configurazione dei territori attra-versati, aveva tutte le caratteristiche di un tracciato di alta montagna:19 gallerie, fra cui quella del valico maggiore di più o meno duechilometri, 24 ponti, e viadotti di grande pregio architettonico. Icaselli e le stazioni erano realizzati in stile tardo liberty, elegantee lineare nelle forme. La pendenza del tracciato raggiungeva tal-volta , il 45 per mille specie nella rampa finale che portava fino a

Civita, e il viaggiatore non seduto doveva attaccarsi alle maniglieper non scivolare. L’idea della sua costruzione risaliva all’inizio delsecolo, ma gli eventi bellici ne procrastinarono la realizzazionefino al 1925, quando fu inaugurata con grande festa di popolo.Era stata realizzata su progetto dell’ingegnere svizzero Erwin Tho-mann, cha già aveva progettato la famosa ferrovia del Lötschberg.Era un capolavoro di ingegneria ferroviaria, un’opera ardita, per-fettamente integrata nell’ambiente circostante, di cui per moltiversi costituiva il naturale complemento. La prima parte del percorso saliva dolcemente lungo le pendici delmonte. Vaste piantagioni di olivo circondavano i binari fino alleprime piante di alto fusto, pini e lecci, che segnavano un cambia-mento radicale nel paesaggio.Superato il quarto casello, dopo una breve galleria non rivestita,si giungeva al successivo ponte di pietra sul torrente Rivo. Dalponte, alto una sessantina di metri e composto di quattro arcatedi venticinque metri di luce, si godeva di uno splendido panorama,sia verso monte, ove la stretta valle si nsinuava tra le pendici bo-scose dei colli, sia verso valle, ove lo sguardo si poteva abbracciareil territorio di almeno tre diverse province. Era un susseguirsi dimagnifici scorci, ora aperti sulla valle, ora chiusi in orridi scuri,mentre ancora risultava invisibile la sagoma di Civita Turrita.I piccoli paesi e frazioni si susseguivano casello dopo casello.Superato il valico maggiore, a seicentoventicinque metri sul livellodel mare, la strada iniziava una leggera discesa in mezzo ai freschiboschi di carpinero nero, corbezzolo, roverella, cerro e ornello.Durante il percorso non era infrequente scorgere fra le rocce e glialberi animali selvatici che, numerosi, abitavano questi luoghi: ilcinghiale, l’istrice, il gheppio, la poiana, lo sparviero e talune specierare come il gatto selvatico.Superata una piccola pieve abbandonata, il pendio da dolcementedigradante diveniva aspro e roccioso.Qui la strada, dopo una ripida discesa, riprendeva con altrettantoripida risalita, per l’ultima parte del percorso. Rupi altissime stra-piombavano nella stretta valle, ove le acque limpide del torrenteLario continuavano da millenni la loro lenta erosione. Al di là deltorrente, scavato nel calcare di una rupe che incombeva perpendi-colarmente per più di settecento metri, si cominciava a intravederel’abitato di San Chierico, il paese di don Egidio Bizzari.A questo il paesaggio mutava, raggiunto l’altopiano la vista si allargavae la ferrovia si insinuava tra verdi pascoli, protetta da una duplice siepe,correndo poi a fianco della strada. Appena dopo la stazione di San

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Martino si incontrava un’altra breve galleria: da qui la ferrovia seguival’orografia della valle fin quasi alle porte di Civita. Dall’ultimo casello,infatti, l’altopiano si allargava sempre di più. Campi arati e verdi pratisi riappropriavano della sede ferroviaria , che si nascondeva e riappa-riva dal terreno leggermente ondulato fino a entrare nell’ultima fer-mata dove terminava il binario: la stazione di San Chierico. Da qui alpaese c’era quasi un chilometro di ripida salita. Anticamente venivapercorsa a piedi o coi muli e ci voleva anche un’ora, ma a quel tempo,con l’automobile, in pochi minuti si arrivava in città. […]Da “La sesta stagione”, 2012

BARBARA ALBERTI[…] UNA NOTIZIA CURIOSA SU OTTO Egli è dotato di una bruttezza eccezionale; particolarissima, aristo-cratica, da antico eroe, da santo, da grande banchiere che assieme aisuoi garretti da levriere, all’ellisse indicibile del braccio a tennis, seducegli uomini e fa le donne pel suo possesso accanite come cerve. […]Da “Buonanotte angelo”, Arnoldo Mondadori Editore, 1986

“Cambiate età ogni giorno.Siate nonne a quindici annifidanzate a ottanta,ma non siate mai quelloche gli altri vogliono”.Da “Riprendetevi la faccia”, Arnoldo Mondadori Editore, 2010

CLARA SERENI[…] Davanti alla scuola di Tommaso arrivai per una volta concalma, addirittura in anticipo. C’era il sole, un sole d’inverno ab-bagliante e tiepido. Appoggiata al muretto mi godevo la pausa, adocchi chiusi: per darmi un tempo, e per non vedere il grandissimomanifesto che campeggia di fronte all’edificio, uno studente dal-l’aria furba con lo zaino stracolmo di merendine, PANNAPIÙ na-turalmente.Ascoltavo il mio corpo, i muscoli che si distendevano dopo la con-trazione della guida e di molti pensieri. La testa con un respiroprofondo mi si sgombrò, mi sentii leggera e come un po’ ubriaca.Con una voglia di ridere, di giocare. Quando la campanella suonò penai a scuotermi ma restai di buo-numore, pronta ad una giornata bella come la luce. […]Da “Passami il sale”, Rizzoli, 2002

PATRIZIA CAVALLIAddosso al viso mi cadono le nottie anche i giorni mi cadono sul viso.Io li vedo come si accavallanoformando geografie disordinate:il loro peso non è sempre uguale,a volte cadono dall'alto e fanno buche,altre volte si appoggiano soltantolasciando un ricordo un po’ in penombra.Geometra perito io li misuroli conto e li dividoin anni e stagioni, in mesi e settimane.Ma veramente aspettoin segretezza di distrarminella confusione perdere i calcoli,uscire di prigionericevere la grazia di una nuova faccia.Da “Poesie”, Einaudi, 1999

PIERO LAI[…] È in genere una domenica mattina. Mia moglie è in cucina, o co-munque in una stanza diversa dallo studio, perché lì, per verificarsil’evento, mi trovo io. Sta procedendo alle pulizie di casa. Può avvenireche qualcosa vada storto. Non so cosa, ma intuisco un incidente dal-l’accelerazione scomposta del ritmo.. Allora perde la pazienza, dice qual-che parolaccia nel suo dialetto che non capisco, quindi se la prende conqualcuno di più concreto: io, che bado incolpevole alle mie cose. Le pa-role possono variare, ma ruotano intorno ad una costante concettuale:“Io faccio la serva e lui fa i suoi scarabocchi.” […] Gli scarabocchi sono proprio scarabocchi, soltanto che hanno unagrande importanza per me, , costituendo quello che io chiamo il quadrogenerale della situazione. Il mio desiderio più grande è quello di potersapere quando, in che giorno di quale mese e di quale anno, il quadro,lo chiamerà d’ora in poi, per comodità, semplicemente così, abbia co-minciato a vivere in me e in quale luogo e in quale circostanza si sia ve-rificato l’evento.[…] Vediamo, più da vicino, come funziona il quadro in una delle cir-costanze più ricorrenti, diciamo così in una circostanza tipo. Io mimetto seduto,impugno una penna, prendo un giornale vecchio o fogligià scritti e con rapidi tratti, praticamente illeggibili agli altri, percorroun itinerario mentale fisso, un vero e proprio soware, che delinea ilmio quadro generale della situazione, un casellario estremamente siste-

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matico, dove c’è posto per tutto, dai calzini alla bolletta da pagare, daitramonti sul mare a quelli in montagna, dall’amore per mia moglie aquello per la mia automobile.[…] Dunque, su uno sfondo senza colore e senza profumo che rappre-senta un necessario vuoto mentale ed una pausa del respiro fisico, aprocon una delimitazione del territorio che comincia, con rapide macchie,a colorarsi e a prendere forma e volume. Può trattarsi di una strada, o diun fiume, o di una valle, di qualcosa, insomma, che in uno spazio bendelimitato disegni un itinerario. Non si tratta di un paesaggio visto, madi un paesaggio mentale, dove infatti esistono tre punti astratti, tre se-gnali stradali assurdi dove sono scritte le parole di ieri, oggi, domani.Ad essi lego tre date ben precise, quella della mia nascita, quella del-l’anno in corso, quella del giorno prossimo venturo. Quest’ultimo, co-munque, ha soltanto una comodità convenzionale, perché in realtà ildomani ha un significato molto più ampio, ed il punto ed il punto o ilsegnale che lo rappresenta sparisce subito sfumando in una scia. Suddi-viso geometricamente il territorio, passo agli approfondimenti di unazona avvicinando progressivamente l’obbiettivo. Tra ieri e oggi corronogli anni della mia vita, che oggi sono quarantatre: è l’area esistenziale,che posso percorrere cronologicamente, con pretesa di esaurimento, opiuttosto tematica mete, con argomento qualunque, scelto a caso. Ilgioco è praticamente senza fine.[…]Da “Passo d’Africa. Venti poesie e un racconto”, 1990

ROMANA PETRI[…] E lì dentro c’era la bella luce del mare in un giorno di sole e pri-mavera, e l’aria era profumata di prodotti reclamizzati, e sul tavoloc’era una grande tovaglia di merletto fatta a mano da sua nonna, senzauna macchia, e lei che stava lì in mezzo con un camicione da pittorecolor cachi che sapeva di bucato.“Non ti sporchi mai?” le aveva chiesto appena entrato e con una bot-tiglia di vino in mano.“Non sono più una bambina”, gli aveva risposto lei appoggiata a unafinestra, col sole che le infiammava i bei capelli rossi.E allora lui si era detto che ci sono momenti in cui è lecito chiudereun occhio, anche due. E si era avvicinato a lei che era rimasta alla fi-nestra baciata dal calore, la schiena contro il vetro aperto dove si ri-fletteva, come se dietro di lei ce ne fosse stata un’altra.E allungando una delle sue mani con quelle strane unghie bombate,una mano che sembrava buona e rapace insieme, le aveva scostatouna ciocca di capelli che le ricadeva sula fronte e le aveva offerto unodei suoi sorrisi tristi.

Era stata Francisca a non voler perdere tempo. Sulla tavolozza c’eranodei colori raggrumati e secchi da un pezzo, i quadri allineati sulle pa-reti facevano venire voglia di ridere . Animali vestiti da uomini. Nes-sun talento. Dipinti pure molto male. Senza il gusto del colore. Epensare che Yves Klein aveva impiegato tutta la vita per trovare quelblu. La prima volta che Toni aveva visto i suoi quadri, si era detto cheuna vita intera valeva la pena per trovare quel colore. Da Franciscanon pretendeva tanto, ma quei quadri fatti con i colori che uscivanodirettamente dai tubetti erano troppo. L’onestà che sempre lo tor-mentava lo spingeva da dentro, era come se sotto la sua pelle tantemani premessero per forzarlo a parlare.Avrebbe dovuto dirle: “Mi piaci molto e non penso ad altro che a farel’amore con te, però devo essere sincero, scusami, so che può non sem-brare un buon inizio o almeno così potrebbe sembrare a te e anche amolte altre persone, ma sai, o dell’onestà ho sempre fatto una que-stione di principio, e così m sono obbligato a dirti che, così come tumi piaci molto, i tuoi quadri, invece, li considero proprio senza unbriciolo di talento, i quadri di una ragazzina viziata dalla famiglia pro-prio come sei tu.”[…]Da “Tutta la vita”, Longanesi 2011

ROSA MATTEUCCI[…]Qui in campagna, nella rurale borgata Canale di Orvieto, il mi-nimo che si possa auspicare, dopo un’intera giornata trascorsa nelnulla fra i campi spazzati dalla tramontana, fra le erbe secche, dietroal muro del cimitero a caccia di topi col canetto inglese Leporì, è disuicidarsi.[…]

Il cielo è a macchie. Bagliori rossastri nell’ordito di cespi spugnosi di nubi grigio fumo.Domani pioverà.Forse già stanotte. La tenebra è scesa sulla città indifferente. Al primopiano i topi scorrazzano nel laboratorio del bar pasticceria K.Ho deciso di resistere, di farla franca. Mi salverò. Cribbio quanto Amore! Tutte le volte che ho riletto il manoscritto atratti mi mancava il respiro per l’emozione di ritrovare mio padre!A ripensarci il respiro mancava perché c’ero io dentro quelle pagine,io fatta e finita.Poi un giorno vado nell’aldilà al banchetto etrusco con la famiglia.Ci saranno i miei genitori. I nonni. A capotavola il cane. Io sarò ele-gantissima anche da morta.Speriamo che non mi tocchi il “cacio cotto”. Da “Tutta mio padre”, Bompiani, 2010

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Infagottata nella sua uniforme da viaggio, la giovane Maria Angu-lema si accinge, incongrua dama di carità avventizia, a compiere ilpellegrinaggio di Lourdes con uno scopo segreto e bruciante: ren-dere al mittente il pesante fardello di dolore che si porta dietro daquando suo padre è morto in un incidente automobilistico - e "chie-dere formale spiegazione e magari soddisfazione di tanta sofferenzaal Padreterno". Ferma nel suo proposito, armata soltanto della sua"anima sbiadita e pesta", l'avventizia si trova subito sommersa, findalla stazione di partenza, da "una folla rumorosa composta da pel-legrini, parenti dei pellegrini, malati veri, parenti e familiari dei ma-lati veri, malati finti, parenti e familiari dei malati finti, curiosi,sfaccendati, militari in libera uscita, puttane nigeriane, dame o so-relle di carità, barellieri o fratelli". Scaraventata suo malgrado sul pal-coscenico delle celebrazioni religiose, Maria si accanisce con goffemanovre nel tentativo di espugnare la grotta di Massabielle, da cuiviene costantemente respinta, mentre sempre più incombenti sifanno alcune comparse demoniache - come la Micchelina e la Naz-zarena, cugine diabetiche di Montecastrilli, la stridula Samantha, laterrifica Liona - o angeliche, come il bellissimo Gonzalo Gómez yMorena, barelliere della Vergine della Macarena di Siviglia, di cuiMaria si crede innamorata prima che tutto venga travolto dall'in-contro con il Padre che la consola infine di ogni afflizione.Da “Lourdes”, Adelphi, 2007

SANDRO PENNA Fuoco nero fra la schiuma di mareI tuoi occhi, confusi in un sognodi viaggio e solitudine, mio amore

Il giorno ha gli occhi di un fanciullo. ChiaraLa sera pare una ragazza altera.Ma la notte ha il mio buio colore,il colore di un cupo splendore

Piovve nel nostro amore ardentementeTutta l’estate. Indi mutò coloreIn bello, la campagna.Da “Stranezze”, Garzanti, 1976

LORD BYRON[…] Rimbombo di acque! Dalla scoscesa altura il Velino fende il baratroconsunto dai flutti. Caduta di acque! Veloce come la luce, la lampeggiantemassa spumeggia, scuotendo l'abisso. Inferno di acque! là dove queste ur-

lano e sibilano e ribollono nell'eterna tortura; mentre il sudore della loroimmane agonia, spremuto da questo loro Flegetonte, abbraccia le nererocce che circondano l'abisso, disposte con dispietato orrore,e sale inspuma verso il cielo, per ricaderne in un incessante scroscio, che, con lasua inesausta nube di mite pioggia, reca un eterno aprile al terreno attorno,rendendolo tutto uno smeraldo: - quanto profondo è l'abisso! E come diroccia in roccia il gigantesco Elemento balza con delirante salto, abbat-tendo le rupi che, consunte e squarciate dai suoi feroci passi, concedonoin abissi uno spaventoso sfogo alla poderosa colonna d'acqua che continuaa fluire e sembra piuttosto la sorgente di un giovane mare, divelto dalgrembo di montagne dalle doglie di un nuovo mondo, che non soltantola fonte di fiumi che scorrono fluenti in numerosi meandri attraverso lavalle! Volgiti indietro! Vedi, dove esso si avanza simile ad una Eternità,quasi che dovesse spazzar via tutto ciò che trova sul suo cammino, affa-scinando l'occhio col Terrore - impareggiabile cateratta,orribilmente bella!ma sul margine, da una parte all'altra, sotto lo scintillante mattino, posaun'iride tra gli infernali gorghi, simile alla Speranza presso un letto dimorte, e, inconsunta nelle sue fisse tinte, mentre tutto là attorno è dila-niato dalle acque infuriate, innalza serenamente i suoi fulgidi colori contutti i loro raggi intatti, e sembra, tra l'orrore della scena, l'Amore che sor-veglia la Follia con immutabile aspetto. [...]Da “Childe Harolds Pilgrimage”

ENRICO VAIMEQuando ero ragazzo la rucola non c’era. O magari c’era, ma non dap-pertutto come adesso. Oggi senza la rucola non si riesce a proporre unsecondo. Non c’è pietanza che non venga guarnita, anzi “adagiata su unletto di rucola”.Ai miei tempi (modo di dire orrendo e impreciso: i tempi non sonomai stati miei. Li ho condivisi, come tutti, con un numero quasi incal-colabile di teste di cazzo. Forse quei tempi erano più loro che miei. Macomunque …), allora insomma i “secondi” non si adagiavano. Si mette-vano lì, su un piatto. Senza tante liturgie.Qualcuno si potrà chiedere: ma come facevate a sopravvivere senza “pa-chino”, l’onnipresente pomodorino a forma di biglia? I pomodori (enon solo quelli) erano diversi: belli cicciosi o a pera. E le mozzarelle,anche loro erano espanse. Normale direi. Non palline bianche come pa-chino scoloriti. […]Anche le mestruazioni, per le ragazze, una volta paralizzavano ogniloro attività: “Stamattina Marisa non può fare il bagno”, “Perché?”, “Eperché, perché … Perché no!”. “Oggi Elvira ha mal di testa”. Lo si di-ceva con un’aria cupa, come riferendosi ad una terribile complica-

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zione. Erano eventi che sembravano escludere le ragazze da ogni pos-sibilità aggregante, venivano spinte, da questo flusso peraltro naturale,ai margini di tutto. Questa catastrofe non veniva condivisa dall’indi-sposta con nessuno. Non per niente veniva indicata come “le sue cose”.Oggi il ciclo non blocca nessuna attività. Anzi, sembra esalti: mai vistetante femmine agitate e vitali come nel “periodo”.[…]Da “Quando la rucola non c’era”, Alberti Editore, 2007

JACOPO FO[…] La cultura africana è indomabile, questo l’abbiamo ripetuto tantevolte ma la forza incredibile della cultura più antica del mondo pareinvisibile, pur essendo sotto gli occhi di tutti. Tutto ciò che è passatoattraverso l’Africa, nonostante le immani costrizioni imposte agli afri-cani, si è africanizzato. La religione si è africanizzata, l’arte si è africa-nizzata, la letteratura si è africanizzata …Stavo guardando un libro di foto sui popoli africani con un amico.Quest’ultimo ha detto la prima cosa che salta agli ochhi: “Ehi, ma ilnero, il grigio e le tinte unite gli africani le conoscono?”. La culturaafricana, con la sua esuberanza policroma ed energica travolge tuttocome un fiume in piena. Ma non solo, l’uomo bianco che doveva “ci-vilizzare” l’Africa si sta africanizzando. Del resto l’invidia del biancoper una naturalezza da troppo perduta, per una sensualità prorom-pente, per un’energia indomita esiste da molto tempo. Perfino un ne-griero, pregno di ostentata superiorità, éodore Canot, si lasciasfuggire una parola inequivocabile a proposito delle labbra dei neri:sensuali.Un esempio dell’influenza dell’Africa sulla nostra vita è la musica. Senon ci fossero stati i neri staremmo ancora ballando la quadriglia eascoltando Mozart, nint’altro. Ma l’africano è un essere ritmico, èritmo incarnato (per usare le parole di Sedar Senghor, ex presidentedel Senegal). […]Da “Schiave ribelli. 500 anni di vittorie africane censurate dai libri di storia”,Jacopo Fo, Laura Malucelli, Edizioni Nuovi Mondi, 2001

C’è qualche cosa che non funziona nel mondo contemporaneo. Bastaaccendere la televisione per accorgersene: un sacco di gente morta checerca di sembrare intelligente.Ogni anno la metà del cibo prodotto su questo pianeta viene buttatavia e 10 milioni di persone muoiono di fame. E molti di più muoionoperché mangiano troppo. Milioni di persone muoiono perché man-cano loro i farmaci basilari e altri milioni perché ne assumono troppi.Gli abitanti delle ricche città industriali spendono miliardi per com-

prare vestitini eleganti ai figli e poi, grazie a un modernissimo sistemadi inquinamento, fanno respirare loro l’equivalente di 11 sigarette algiorno, privandoli così di almeno sei anni di vita.Ci si scanna, con decine di migliaia di morti ogni anno, per accapar-rarsi le materie prime e i giacimenti di petrolio e poi non si fa quasiniente per reciclare e ben poco per risparmiare energia isolando le casee ottimizzando motori, lampadine e caldaie.Milioni di bambini e di donne vengono stuprati ogni anno ma nellescuole non si tengono corsi di educazione ai sentimenti, all’amore eal sesso.Potremmo limitare enormemente il potere devastante del terrorismo,della criminalità organizzata, dell’evasione fiscale e delle truffe finanziarieabolendo il segreto bancario e i paradisi fiscali, ma non lo facciamo.La nostra società è un gioiello di demenza collettiva: patatine frittesu per il culo!La collettività non riesce neppure a esprimere una condanna una-nime per la tortura. Né a difendersi dal crimine. E almeno la metàdelle persone fa un ricorso massiccio ad alcol, sonniferi, eccitanti,droghe pesanti.Insomma, la situazione non è ottimale. Per volerla dire tutta, siamoun po’ nella merda. Da “Yoga Demenziale”, Fazi Editore, 2009

ELISABETTA COMASTRIUomo del controlloSei nella storiauomo del controllosignore degli specchi stretto alla bandierariflessa e nel midollo del mondo e nella gabbia genuflessa la femmina e la donna.Già si seppe e cantano i versiEnea fu l’eroe con Ulissee Giasone al timoneDidone la puttanae delle altre nel marenon fu mai a segnare le rotteil sangue d’assassinail fumo d’una pirao la trama di una telatessuta d’illusione.

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Sei nella storiauomo del controlloma poi ritorni come sai doverefra le tue mura con un solo decreto confuso in mille commi di cavilliin fuga dal sospetto che lampeggia nelle stelle.Non le vedi da lìuomo del controlloe non le sognima se non anima sei corpoche ti fregae se non donna puttana che si piega.Tu eretto non sai come si schiudela smorfia che temiil piacere che fremiprotetto dai tuoi occhi chiusi.Basta una piuma insospettabileInfrange la maschera dei giorni di gessoora in briciole biancheincriminate da un raggio di lunae franate ai piedi della notte.

ANTON CARLO PONTI Colombella

Castità dell’acquad’Umbria

il mio mare sonoi miei fiumiamici sincericosì limpidie chiarinel verde paradisodegli amori infantili

le corse i baci i fiori raccolti sotto campanea stormo sotto i bengala alitanti su Folignoe le canzonie i violini e le siringhe

nei canneti frondosiaspersi di rugiadaacque pure doveannegava il mio giovanecuore

il mio mare sono i miei fiumi contatinei displuvi della vallespoletanadove i fiumi si rincorronoin labirinti liquidinei lavacri sacri adolescentitra fame e guerrae dedalo di nuotate

e tu padre Clitumnolungo le tue prodepasce il bue bianco dalle lunatecornacaro a Properzio umbro poetalaggiù ove Mevania nebbiosati guarda dalle sue murarosse al tramontoe qui trovi il tuo talentoanima mia

e tu Timia dalle mille braccia vegetalida strappare coi famelicigiovani dentie pomidoro furtiviacerbi cetriolie frutti in pomari pallidi

e tu Teverone che scivolifra alti argini erbosie vi scorri ocra d’argilladalle colline fertilid’ulivi e vignedentro le settembrine piogge

e tu Lattone d’acqua a candidar la canapae tu occhio d’Aiso

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un bottone di lago fra pioppi e ortica

acqua che zampilli e scroscie rampolli e sgorghiumida di rugiadache inturgidi le castefogli nei placidi campi

oh! tu onda che sei acquae nuvolae volo e fontee sorgente

acqua che sei vapore della nottee nebbia del mattinoe neve e ghiaccio epolle dichiare fresche e dolci acquedove pose le membra l’astuto TaletePRINCIPIO DI TUTTE LE COSE

il mio mare sonoi miei fiumimaturi e antichidèi del mito e del sognomiracoli liquidicapsule di gocceampolle di sieriurne di lacrimeanfore di setebare di umori

sì sì sì sìsfamare gli affamativestire gli ignudilenire gl’infermialloggiare i pellegrinivisitare i carceratiseppellire i mortidissetare gli assetati

Pindaro ha ragioneda vendere

LA COSA MIGLIORE È LACQUA

laudato si’ mi’ Signore per sor’acqualaqualeèmoltoutileetumeleetpretiosaetcasta

e l’acqua del Clitumno si navigava e si levigavain quei sacri giornicome un sassoin un sacello di liquefattocandido umore

QUESTIsono i miei fiumiche sono il mio maree iovecchio narcisoin lui mi specchiocome in un pozzosenza fondosenza fondoosenza fondooosenzaaaaa fondoooooooooo!

DANIELA DE GREGORIOE MICHAEL G. JACOB Fine o inizioUn cielo nero…Una luna, un sole, e qualcosa che non ha nome…Non sembra niente, un puntino di luce che va e viene...Sembra spegnersi, ma poi, all’istante, esplode in una nuvole di caloreche erutta, si chiude, per poi espandersi, onda su onda di energia chefa vibrare e riempire il vuoto dell’Universo....

FRANCA RAME E DARIO FO[…] È così facile il processo etimologico:Gira e arraffaPer questo è la giraffacosì che l’elefante è un fante che si levae invece il pipistrello

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è uno strello che orinae il vello del cammelloche arriva camomillacosì che il coccodrilloè il cocco del mandrillolo zio dell’armadilloe il padre del mammuth.Così che il coccodrilloÈ il nonno del mammuth!Da “Le commedie di Dario Fo”, Venticinque monologhi per una donna, Edi-zioni Einaudi 1989

CARLO CARRETTOIl lebbroso veniva avanti adagio, adagio, vestito di stracci.Mi tese le mani fasciate e mi fisso con una dolcezza e umiltà dolorosa.Mi ricordai in quel momento del crocefisso di San Damiano e mi par-vero gli stessi occhi che mi guardassero.Non so proprio cosa poté capitarmi.Feci un salto e abbracciai, il lebbroso baciandolo sulla bocca.Il lebbroso si mise a piangere e io piangevo con lui.Tirai fuori tutto ciò che avevo e glielo donai.Ma era nulla in confronto di ciò che mi aveva dato lui, fatto vederelui in quel momento e in quel bacio.Avevo toccato il vestito stupendo di colei che avrei sposato per sem-pre: Madonna Povertà!Avevo contemplato nei suoi occhi il mistero della incarnazione del Verbo.Ora conoscevo la mia sposa e in lei sentivo di amare ciò che Dio stessoama: il povero.Madonna Povertà che nel lebbroso avevo visto era la povertà del mondointero, era la solidarietà con tutto ciò che è piccolo, debole, sofferente;era il punto di riferimento più caro della Misericordia di Dio.Madonna Povertà!Il suo volto umilissimo era il volto di tutti i poveri che avevo incon-trato e che mi avevano guardato con dolcezza e discrezione infinita.I suoi occhi erano perle piene di lacrime ma pieni di un mistero svelatoa pochi.Le sue membra tribolate avevano la trasparenza della luce ed erano leuniche veramente caste e degne di abbracciare il Cristo stesso.Il suo profumo era il profumo delle cose invisibili che ti invitano nonall’eros delle cose facili ma all’agape delle degli eroi dello spirito.Fino allora avevo pensato che la povertà era la maledizione della terra,un errore spaventoso della creazione, una specie di dimenticanza di

Dio, un caos inesprimibile che ingoiava gli uomini per farli soffrire.Ora vedevo oltre!La maledizione non stava nella povertà, stava nella ricchezza, nellapotenza, nel troppo che induriva i cuori e li avvelenava.Non era la povertà un errore della creazione ma l’ultima pagina, forsela più importante, per mettere l’uomo davanti al mistero ed obbligarloa cercare Dio e la donazione suprema di sé. […]

[…] Sposai Madonna Povertà nel desiderio e da allora finì in me ognipaura.Meglio, cominciò la vera libertà. […] Da “Io, Francesco”, Edizioni Messaggero 1980

ALDO CAPITINI(Elementi di un'esperienza religiosa, Laterza, Bari, 1937)."Tanto dilagheranno violenza e materialismo, che ne verrà stan-chezza e disgusto; e dalle gocce di sangue che colano dai ceppi delladecapitazione salirà l'ansia appassionata di sottrarre l'anima ad ognicollaborazione con quell'errore, e di instaurare subito, a cominciaredal proprio animo (che è il primo progresso), un nuovo modo disentire la vita: il sentimento che il mondo ci è estraneo se ci si devestare senza amore, senza un'apertura infinita dell'uno verso l'altro,senza una unione di sopra a tante differenze e a tanto soffrire. Que-sto è il varco attuale della storia..." "Oggi più che mai non è possibile, per la folla di sollecitazioni e dipressioni anche esteriori, rifiutarsi di prendere un atteggiamento, diimpegnarsi per un'idea. E' perciò più vivo il dovere di rendersi con-sapevoli del proprio tempo. L'uomo non deve evitare tra dissipa-zioni, perifrasi e inerzie, di porsi al centro dell'umanità".

(Saggio sul soggetto della storia, La Nuova Italia, 1947).Il rapporto con il proprio limite inesorabile, la malattia, la morte, ob-bliga a costruire una strada "altra", che si sviluppa in verticale, per su-perare il baratro del nulla. Proprio riconoscendo questa fragilitàterrena si scopre la fratellanza, l'amore, la compresenza. E si scopreche al fondo di ogni vita limitata, c'è un grande mare di infinita esi-stenza, una realtà sottile che giace inascoltata ma che unisce ogni cosae rende eterni.

(La nonviolenza oggi, in Scritti sulla nonviolenza, Protagon 1992, pp. 176-7)Gandhi affermava che, una volta iniziata la lotta, i nonviolenti devonoattendersi dall’avversario una serie di reazioni diverse, prima di riu-scire a conquistarne il rispetto: esse sono l’indifferenza, il ridicolo, lacalunnia, e la repressione. Gandhi non voleva distruggere l’avversario,

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né stravincere, facendogli fare una brutta figura; gli bastava fare deipassi avanti, di ottenere alcune cose giuste; il resto veniva rimandatoa lotte successive. Egli voleva soprattutto convincerlo, agire sull’animodell’avversario mostrandogli la sua ingiustizia, e offrendogli un modoonorevole di cedere, senza amarezza e senza umiliazione.

(Atti della presenza aperta, Sansoni 1943, pp. 7-8)Un solitario sentimento d'allontanare il mondo, che discenda comeun nobile nulla. Cede forma d'ordinato universo, e vai pensoso. Per tutto il giorno umano t'aggiri come custodendo qualche cosa, edalla solitudine rispondi. Quando è fuggito dalla terra il sole, cammini ancora, sopra l'erba chegiace.I tuoi giorni sono pieni di disagio, senti un'ansia che ti toglie, dopouno sguardo breve, via da tutto.Nella notte t'appressi alla finestra, ed in quell'ora cosí dolce torni a tetaciturno nel buio. Quando ti levi, splende il caldo: la fierezza del tempo che procede elo spazio ti avvolgono Attendi, che la sera, cali alla gioia del mare e delle spiagge; insoddi-sfatto a greche scene, a quelle danze e templi. D'ogni cosa bella che t'inviti, resti scontento: un informe silenzio titrasporta. Svaniscono le floridezze, ed ogni appoggio della luce. E cresce una tensione, che impugna l'universo e l'allontana da sé se-veramente.

BENEDETTA TOBAGISono sempre stata la figlia del «povero Walter» (un’espressione che de-testo), famoso inviato speciale del «Corriere della Sera», vittima della«barbarie terroristica», ogni minuto della mia vita; prima di essere me,mi sono dibattuta a lungo tra «Benedetta» e «la figlia di Tobagi», eroee martire. Far coesistere i due mondi non è stato ovvio né facile. Tantopiù che ogni giorno sperimentavo, fin nelle piccole cose, di non esserefiglia, ma orfana. Una scorticatura su cui non ricresce mai la pelle. Para-dossale: non poter dimenticare neanche un momento un padre che nonc’è e non potrai mai avere vicino. Un nome onnipresente e un vuotoabissale. ...Alle medie scoprii che nelle cellule vegetali ci sono organuli simili a bolled’aria, i vacuoli, attorno ai quali si organizza il resto della struttura. Men-tre ricopiavo diligente il disegno dal libro di scienze sul mio quadernone

pensavo, desolata: sono io. Abbarbicata attorno a dei vuoti in cui cercodisperatamente di non cadere... Quella mattina i killer hanno uccisoanche la mia innocenza, l’atteggiamento di fiducia che i bambini hannoverso un mondo che si immagina ordinato, lineare, ragionevole, dove c’èchi ti protegge e non può succederti nulla di male. ...Ero una bambina-vecchia. Avevo bisogno di costruirmi un orizzonte difiducia, la capacità di sperare. ...Mentre stavo studiando la storia dei Gracchi giunse una visita inattesa.La mamma aveva accolto la richiesta di incontrarci di Francesco Gior-dano, uno dei terroristi che parteciparono all’assassinio di mio padre.Aveva fatto il «palo» quella mattina. ... Era impegnato nel volontariato,aveva ottenuto la semilibertà, aveva una compagna e una figlia. ...La mamma era stata in corrispondenza con lui per tutti glianni di carcere: incontrarlo era l’esito naturale di un percorsoliberamente scelto, ma voleva che fossimo presenti anche noi figli....Avvicinarsi al dolore fa molta paura, sfiorandolo s’impara a tenersenea distanza, scegliendo vie lunghe e tortuose. Spesso, per scansare gliostacoli, ci si allontana troppo dal tracciato della propria anima e sifinisce per smarrirsi. ... Il cammino verso mio padre era pieno di pietred’inciampo, era infestato di rovi. ...Non sapevo da che parte cominciare. Allora non potevo certo imma-ginare che a condurmi per mano sarebbe stata la stessa persona chevolevo raggiungere.

ANNA MARIA FARABBI Preghiera:introduzione al colore

Madre della luce scoperchiami gli occhi:falli concavicome un palmo.Voglio che siano sosta per gli uccelliaffinché possano pernottare in me sotto la mia fronteraccogliendo l'atterraggio, il frullo, l'alzata in voloe la brace quasi spenta del giorno. Vogliotuffare la faccia nel colore impazzire le vene fino al bulbo buio e poi franare giù nel fogliopregna: io giallo verde blu in personacon la bocca rosso

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arancio,il foglio,come un letto zuccherino per fare l'amore.

BluSe avessi una rosa blu dentro la fronte che partorisse il sangue il sudore e il piantoblugoccia nella goccia giù per le guance e per la pelle nuda dei senitraversando il ventrefino a raggiungere le erbe dei campile radicidella quercia.

Se avessi una boccetta d'inchiostro bludentro la frontee venisse giù come una doccia caldae tingesse me - la faccia di carta -quella della terra e del mare il sangue il sudore e il pianto.

Se avessi un bocciolo bluche spingesse la lucedentro il buio della mia frontebacerei la bocca della madonnae ci farei l'amorele spiegherei con la mia linguache la storia del blu viene dalla rosae la storia delle radici della rosaviene dal culodel mondo.

Ciò che è il monte dentro chi lo viveSe i miei versi nascessero al rovesciocome una languida vegetazione che addormenta gli uccellimentre vi nidificano,quegli uccelli morbidiche non distinguono i limonidalla lunae che al canto del gallotremano.

Se nel mio poema ci fosse acqua

per abbeverare i bambinie i cortigiani del re,sarei chiamata dal ree da tutti i suoi uccellie finalmente pubblicata su un tronovisibile.

Chi sei, mi si chiede,se non ti si vede non ci seiIo sono, rispondo. Io sonoun poeta piccolissimo quasi lontano quasi felice,una bestia di montagna sola come il monte,una bestia che imparale lingue selvatiche del vento e degli alberi dritti, le linguedel mondo.Io sono i neri della lupa e i rossidel galloe la tenerezza dei verdi fioriti.Io sono i gialli seminati, mietuti a mano,fasciati ed esposti, immagazzinati,fatti nutrimentocontro l'inverno.Sono quella che da dentro la stallavede le stelle di dioe se le sente in gola brillare.Il mio quaderno inedito sta dentro la stalla,fatto di terra sedimentatairrigata d'inchiostro: canta.Selvatico e drittoquasi lontano quasi felicepiù grande del re.Perugia1959, Premio Montale nel 1995

GIUSEPPE PREZZOLINII furbi e i fessi in Italia (da: “Codice della vita italiana”, 1921)1. I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.2. Non c'è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto interoin ferrovia, non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio,amico della moglie e potente nella magistratura, nella Pubblica Istru-zione ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all'agente delle imposteil suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci,ecc. questi è un fesso.

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3. I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta.4. Non bisogna confondere il furbo con l'intelligente. L'intelligente èspesso un fesso anche lui.5. Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per capacità,ma per abilità a fingere di averle.6. Colui che sa è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo. 7. Segni distintivi del furbo: pelliccia, automobile, teatro, restaurant,donne.8. I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini.9. Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbiquando vogliono che i fessi marcino per loro.10. L'Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano,crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l'Italia sono i furbi chenon fanno nulla, spendono e se la godono.11. Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido avrebbe cac-ciato via i furbi 12. Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stu-pido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi.13. Ci sono fessi intelligenti e colti, che vorrebbero mandar via i furbi.Ma non possono: 1) perché sono fessi; 2) perché gli altri fessi sonostupidi e incolti, e non li capiscono.14. Per andare avanti ci sono due sistemi. Uno è buono, ma l'altro èmigliore. Il primo è leccare i furbi. Ma riesce meglio il secondo checonsiste nel far loro paura: 1) perché non c'è furbo che non abbia qual-che marachella da nascondere; 2) perché non c'è furbo che non pre-ferisca il quieto vivere alla lotta, e la associazione con altri briganti allaguerra contro questi.15. Il fesso si interessa al problema della produzione della ricchezza.Il furbo della distribuzione.16. L'Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino al-l'ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto in Italianon soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l'italianoin generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appelloper la riscossa e per la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle car-riere, l'esempio e la dottrina corrente - che non si trova nei libri - in-segnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbiziache l'ha colpita, ma in cuor suo si ripromette di imparare la lezioneper un'altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra inquasi tutta l'Italia, è appunto l'effetto di un secolare dominio dei furbi,contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una cor-teccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli alriparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli.

ITALO MORETTIPinochet Nel cimitero di Santiago del Cile si scopre che molte delle umili tombecontengono ognuna i resti di due, anche tre vittime della repressione.“Avete visto come si economizzava!” commentò Augusto PinochetUgarte nel 1991. … E’ nella notte del 5 ottobre 1988 che si consuma lasconfitta politica presidenziale di Pinochet che aveva chiesto con un re-ferendum di restare in carica fino al 1997. Vince il NO con il 54,7 percento (fronte capitanato dal centro-destra della Dc cilena, che candidaPatricio Aylwin, e dal Partito socialista, che ha fra i suoi esponenti RicardoLagos), ma Pinochet potrà restare alla guida dell’esercito: glielo garantisceuna norma costituzionale fatta apportare da lui stesso nel 1980. Il presi-dente è furibondo, disorientato, non si aspettava assolutamente di esseresconfitto.Che cosa gli era sfuggito? Probabilmente non si era accorto che il Cile neiquindici anni della sua dittatura era cambiato, …Il 10 marzo del1990 Pinochet fa il suo ultimo pranzo da presidente allaMoneda. Al commiato sa solo dire: “Provo una gran pena”. In tv si vede ilpassaggio dei poteri con l’ex dittatore che se ne va scortato da un plotonea cavallo. Pinochet procede lentamente, benchè si odano levarsi grida come“assassino” e si lancino monetine. Tutto il Cile è incollato al televisore perpiangere di gioia o di dolore. Dal giorno dopo, l’11 marzo 1990, alla tv na-zionale cilena Canal 7 tornano a lavorare registi e giornalisti che per 16anni e sei mesi erano stati pesantemente discriminati o allontanati.Il 5 dicembre 1991 l’ambasciatore americano in Cile rivela al presidenteAylwin che i militari cileni han venduto armi alla Croazia, rompendol’embargo fissato dall’Onu. Il mediatore dell’affare, per 3 milioni di dol-lari, è Augusto Pinochet Iriart, il figlio primogenito dell’ex dittatore. “Di-cono che abbiamo violato la Costituzione?”, risponde alle domande dellastampa Pinochet. “E va bene, l’abbiamo violata. E adesso basta”.Il 16 ottobre del 1998, a Londra, gli agenti di Scotland Yard consegnanoal generale Augusto Pinochet, ricoverato in una clinica, il mandato di ar-resto emesso su richiesta del giudice spagnolo Baltazar Garzón per i cri-mini commessi in Cile e anche fuori dal Cile.Santiago, però – come sempre – si spacca in due. C’è chi si sdegna e pro-testa pubblicamente, c’è chi invece esulta e invoca giustizia. I servizi tele-visivi suscitano sorpresa e interrogativi, soprattutto in Europa, ancheperchè da anni del Cile non si parlava quasi più.Pinochet rimane agli arresti domiciliari a Londra per 503 giorni (ilgoverno Blair nega a Garzón l’estradizione in Spagna; sulla stessaposizione, cioè dalla parte del Cile, si schiera anche l’Italia). Il 3marzo del 2000 l’ex tiranno atterra a Santiago in carrozzella, con

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uno stuolo di medici al seguito. Si diceva che non riconoscesse i fa-miliari e che muovesse a stento le gambe. Quando vede ad atten-derlo all’aeroporto il comandante dell’esercito Ricardo Izurietaabbandona la carrozzella e gli va incontro in modo impeccabile,senza nemmeno il sostegno di un bastone. Si abbracciano. Pinochetha 85 anni e, come si vede in televisione, non è nè demente, nèsordo, nè afono, nè semiparalizzato.“In quel periodo venivo invitato a dibattiti pubblici e televisivi e notavoche le mie parole suscitavano autentico stupore. Per esempio quando di-cevo che per il governo cileno di centro-sinistra la richiesta d’arresto ed’estradizione di Pinochet aveva causato un gran allarmismo. Il centro-sinistra cileno avrebbe piuttosto voluto un rientro in patria del vecchiotiranno”.Con un elicottero militare SuperPuma SA 300 l’ex dittatore viene traspor-tato dall’aeroporto di Santiago all’Ospedale Militare di Providencia, in unodei quartieri più chic della capitale. Alle 7 di sera la degenza è già finita e Pi-nochet raggiunge casa sua, a La Dehesa.Su La Tercera del 3 marzo del 2000, in un articolo di Ascanio Cavallo, silegge: “Pinochet torna sconfitto, sapendo che non potrà più uscire dal Cile.Il suo potere si era estinto quando lasciò il comando dell’esercito. L’hannoarrestato solo perchè non vestiva più l’uniforme”.

Un caso, quello di Pinochet, che non si può certo chiudere con la suamorte, sebbene le conseguenze della verità, quando venisse tutta agalla, sono pur sempre spaventose.Da “Indymedia”, Pubblicato da Redazione, 2009

PAUL WüHR Dimenticare

anche i seni cheil loro piacereriversano

sopra ogni gioianon si puòneppure

come devonoessere spintidovrebbero

queste campaneattirare

un dio nellacamera da lettoUna

vergogna sarà prestose non ci sarà

nient’altro che la malattiae il morire

quindi così poco male realein questo mondo e neppure

il campo di battaglia dellafamiglia non resta che

piangere ancora perchésaremo troppo felici questo

nessuno lo sopportaDa “Il corpo e la parola”, 2002. Traduzione di Riccarda Novello

AURELIO DE FELICETorreorsina al villaggio natio

Qui“per la greggia ch'ho appresso" dimentico tutto,tutte le mie ansiei sognile aspirazioniche lontano mi spinserotanti tanti anni faintornoalla piccola terra.Lottavo speravo correvo senza sostasenza fiatoappressoagli infiniti orizzonti.Qui mi ritrovaiallo stesso punto donde ignaroi primi passi iniziai.

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Entro un cerchiosolo,assetatooffeso e umiliatosempre prontoa nuove, forse inutili, partenzedisperatamentemi ritrovai.“Torre Orsina”, 23 luglio 1970

La nostra prigioneE tanto cattivo l'uomo,è tanto veloce il tempo,

è tanto misero il correree tanto angusto è lo spazioché la prigioneè il nostro pane quotidiano.Il cielo è bassolimitato è l'orizzonte disperato è il sereno dalla volgare oscurità.E noiguardiamo in alto umili, imploranti la Divinaclemente eternità.Roma, 14 luglio 1970

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Segreteria e informazioni

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Marta De Santis, Jessica Amadei, Silvia Fortunati, Angelo Volpini

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Roberta Pompili

Laura Volpini

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Foto Photos

Marcello Fedeli

Oltre ai maestri in mostra si ringraziano

Besides the artists, we wish to thank

Mae, Ministero Affari Esteri, Regione Umbria, Comune di Perugia

e Fondazione Perugia Assisi Capitale Europea della Cultura 2019,

Upi, Exibart, Istituto Nazionale d’Arte Contemporanea

Un particolare ringraziamento

A special thank to

Donatella Porzi, assessore della Provincia di Perugia

Maurizio Terzetti, dirigente,

Marina Matteucci, responsabile ufficio cultura

Paola Manfroni

Anna Mossuto, direttore responsabile Corriere dell’Umbria

Riccardo Regi, vicedirettore

Anton Carlo Ponti, consulente artistico

Stampato nel mese di dicembre 2013

Published in 12.2013

Digital Point, Perugia