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Indice Indice Indice Indice Premessa Premessa Premessa Premessa ................................ ................................ ................................ ................................................................ ................................ ................................ ................................................................ ................................ ................................ ................................................................ ................................ ................................ ................................1 Introduzione Introduzione Introduzione Introduzione ................................ ................................ ................................ ................................................................ ................................ ................................ ................................................................ ................................ ................................ .......................................................... .......................... .......................... ..........................2 Trascrizione Trascrizione Trascrizione Trascrizione ................................ ................................ ................................ ................................................................ ................................ ................................ ................................................................ ................................ ................................ ........................................................... ........................... ........................... ...........................5 Capitolo I: Capitolo I: Capitolo I: Capitolo I: Dal turco ottomano al turco moderno Dal turco ottomano al turco moderno Dal turco ottomano al turco moderno Dal turco ottomano al turco moderno ................................ ................................ ................................ ........................................................... ........................... ........................... ........................... 8 1.1. L’Osmanlı, ovvero la lingua del longevo Impero Ottomano………….………9 1.2. I primi passi verso una lingua nazionale: il fallimento della Türk Derneği……………………………….……………………………12 1.3. Dil Devrimi e TDK: la riforma linguistica del 1928. Successo o catastrofe?.......................................................................................15 1.3.1. Oltre la riforma: il turco come forma di adesione ad una corrente politica…………………………………………………………..20 1.4. Cosa resta dell’eredità araba? Uno sguardo alla lingua oggi……………...23 Capitolo II Capitolo II Capitolo II Capitolo II: Le lingue nel Levante : Le lingue nel Levante : Le lingue nel Levante : Le lingue nel Levante…………………………………….. …………………………………….. …………………………………….. ……………………………………..…………………………………….27 …………………………………….27 …………………………………….27 …………………………………….27 2.1. Minoranze linguistiche, etniche e religiose nel sud-est anatolico………..29 2.1.1. L’arabo parlato a Siirt…………………………………………………………….33 2.1.1.1. Fonologia……………………………………………………………………35 2.1.1.2. Morfologia e sintassi………………………………………………….37

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IndiceIndiceIndiceIndice

PremessaPremessaPremessaPremessa ................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................1111

IntroduzioneIntroduzioneIntroduzioneIntroduzione........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................2222

TrascrizioneTrascrizioneTrascrizioneTrascrizione............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................5555

Capitolo I: Capitolo I: Capitolo I: Capitolo I: Dal turco ottomano al turco modernoDal turco ottomano al turco modernoDal turco ottomano al turco modernoDal turco ottomano al turco moderno ............................................................................................................................................................................................................................................8888

1.1. L’Osmanlı, ovvero la lingua del longevo Impero Ottomano………….………9

1.2. I primi passi verso una lingua nazionale:

il fallimento della Türk Derneği……………………………….……………………………12

1.3. Dil Devrimi e TDK: la riforma linguistica del 1928.

Successo o catastrofe?.......................................................................................15

1.3.1. Oltre la riforma: il turco come forma di adesione

ad una corrente politica…………………………………………………………..20

1.4. Cosa resta dell’eredità araba? Uno sguardo alla lingua oggi……………...23

Capitolo IICapitolo IICapitolo IICapitolo II: Le lingue nel Levante: Le lingue nel Levante: Le lingue nel Levante: Le lingue nel Levante……………………………………..……………………………………..……………………………………..……………………………………..…………………………………….27…………………………………….27…………………………………….27…………………………………….27

2.1. Minoranze linguistiche, etniche e religiose nel sud-est anatolico………..29

2.1.1. L’arabo parlato a Siirt…………………………………………………………….33

2.1.1.1. Fonologia……………………………………………………………………35

2.1.1.2. Morfologia e sintassi………………………………………………….37

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2.1.2. L’arabo parlato a Mardin…………………………………………………….….41

2.1.2.1. Fonologia……………………………………………………………………44

2.1.2.2. Morfologia e sintassi………………………………………………….45

2.2. L’impatto turco-ottomano sui dialetti nei paesi arabi………………………….50

2.3. Alcuni prestiti turchi nella varietà dialettale egiziana………………………..54

CapitoCapitoCapitoCapitololololo III III III III: : : : Al di là della lingua: le culture nel Mediterraneo orientaleAl di là della lingua: le culture nel Mediterraneo orientaleAl di là della lingua: le culture nel Mediterraneo orientaleAl di là della lingua: le culture nel Mediterraneo orientale………….………….………….………….……57……57……57……57

3.1. Simboli e amuleti…………………………………………………………………………………..58

3.2. Formule a sfondo religioso…………………………………………………………………….63

3.3. Cucina…………………………………………………………………………………………………….67

3.4. La Bollywood turca e il dialetto siriano: un binomio vincente……………..69

3.5. La satira come strumento di protesta…………………………………………………..74

3.5.1. La caricatura in Egitto…………………………………………………………….76

3.5.2. La caricatura in Turchia………………………………………………………...81

3.6. L’evoluzione dei rapporti arabo-turchi dalla Prima Guerra

Mondiale alle porte del nuovo millennio: giudizi a confronto……………..85

BibliografiaBibliografiaBibliografiaBibliografia……………………………………………………………………………………………………………..89……………………………………………………………………………………………………………..89……………………………………………………………………………………………………………..89……………………………………………………………………………………………………………..89

Page 3: IndiceIndice - mutue.altervista.org

Questa è la discendenza dei figli di Noè:

Sem, Cam e Iafet, ai quali nacquero figli dopo il diluvio.

Genesi (10,1)

Da costoro si dispersero le nazioni sulla terra

dopo il diluvio.

Genesi (10,32)

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1

PremessaPremessaPremessaPremessa

Negli ultimi due anni ho avuto l’occasione di vivere per un breve periodo in due

paesi medio-orientali: Turchia ed Egitto. Durante la mia permanenza, ho potuto

riscontrare la presenza di termini arabi nel turco e viceversa: è questo l’argomento

di cui si occupa la presente tesi.

Turchia ed Egitto: due nazioni di cui i nostri telegiornali si servono ultimamente

per incentrare servizi che illustrano esclusivamente la guerra civile sul confine

turco-siriano e le sommosse popolari del prima e dopo Mubarak in Egitto. Tuttavia,

questo lavoro si propone di esaminare il rapporto tra mondo arabo e Turchia da un

punto di vista linguistico piuttosto che socio-politico, ripercorrendo i contatti tra

la lingua araba e quella turca dal periodo ottomano fino ai giorni nostri. Contatti

già attestati da diversi studi specialistici e facilmente rilevabili nella quotidianità,

ma spesso rinnegati da entrambi i popoli i quali mostrano uno spiccato orgoglio

per la propria lingua e identità1.

In questo saggio ho affiancato le mie annotazioni prese durante i miei soggiorni in

Turchia ed Egitto allo studio della letteratura scientifica di riferimento. Infine, la

parte inerente i prestiti turchi nella varietà dialettale egiziana e le note a piè di

pagina riguardanti lo stesso argomento sono, esclusivamente, frutto della mia

esperienza tra Ankara e Il Cairo.

1 Non è difficile trovare un arabofono che sostiene il primato della propria lingua su tutte le altre, così

come non lo è incontrare un turco fiero del proprio passato (intendendo con questo il periodo dal 1928

in poi) e della propria nazionalità.

Page 5: IndiceIndice - mutue.altervista.org

2

IntroduzioneIntroduzioneIntroduzioneIntroduzione

Prima di addentrarsi nell’argomento, è raccomandabile fare un preambolo. Il turco

e l’arabo sono due lingue del tutto diverse. Più volte, mi è capitato di dover dare

spiegazioni a chi, erroneamente, pensava che in Turchia si parlasse l’arabo. In

Turchia la lingua ufficiale di Stato è il turco (Türkçe), parlato da un totale di

sessanta milioni di persone residenti anche in altri paesi tra i quali Germania,

Bulgaria, Grecia, Cipro del Nord, Macedonia. All'opposto, l’arabo è parlato da circa

duecentocinquanta milioni di persone distribuite dal Marocco fino all’Iraq,

comprendendo tutta la Penisola araba.

Il turco appartiene al ramo delle lingue uraloaltaiche, del quale fa parte anche

l’ungherese, il finlandese, l’estone, il mongolo e diverse altre lingue turciche, quali

il kazako, l’azero, il kirghiso… L’arabo, invece, si colloca tra le lingue semitiche allo

stesso modo di amarico (Etiopia), ebraico (Israele), tigrino (Eritrea) e varietà

neoaramaiche ed è la lingua semitica più diffusa.

Al livello di tipologia morfologica, il turco è una lingua agglutinante, l’arabo è una

lingua flessiva. Agglutinante significa che al tema del vocabolo sono aggiunti dei

morfemi suffissi, ognuno portatore di una sola e unica funzione grammaticale.

Prendiamo ad esempio la parola kitap ‘libro’: l’aggiunta del suffisso plurale –lar fa

ottenere kitaplar ‘libri’; il possessivo di 1a pers. sing. –ım dà kitaplarım ‘i miei libri’;

ancora, il suffisso locativo –da: kitaplarımda ‘nei miei libri’ e così via…

Passiamo alla definizione di lingue flessive o, se si preferisce, fusive, di cui anche

l’italiano fa parte. Esse presentano una distinzione tra radici e desinenze. Queste

ultime cambiano di volta in volta per esprimere modificazioni nel genere e nel

Page 6: IndiceIndice - mutue.altervista.org

3

numero. Così l’aggettivo italiano profumato può diventare profumat-a, profumat-i,

profumat-e, nei quali un’unica desinenza rivela insieme il cambiamento di genere e

numero. Allo stesso modo lavora l’arabo, una lingua i cui vocaboli sono formati

sulla base di radici triconsonantiche all’interno delle quali sono inserite le vocali;

ad esempio, dalla radice ب۔آ� K-T-B siamo in grado di ottenere parole che, seppur

diverse tra loro, appartengono allo stesso campo semantico: ب۔آ� kataba è un verbo

di prima forma che significa ‘scrivere’ ottenuto dall’inserimento di vocali

all’interno della radice, quindi KaTaBa; آ��ب kitāb ‘libro’; آ�ب� maktab ‘ufficio’; آ����

maktaba ‘biblioteca’; آ��ب kātib ‘scrittore’ – participio attivo del verbo ‘scrivere’ – e

via dicendo. Per quanto riguarda la modificazione di genere e di numero, l’arabo si

avvale di una ة tā’ marbūṭa suffissata ad aggettivi e sostantivi che in tal modo

diventano femminili, mentre a modificare il numero vi sono ulteriori suffissi divisi

in maschili e femminili, oltre alla categoria del duale. Si badi, però, che la gran

parte dei termini arabi ha plurali fratti: per intenderci, si comportano come taluni

termini inglesi quali tooth ‘dente’ pl. teeth, mouse ‘topo’ pl. mice…

La diversità delle due lingue costituisce il filo conduttore di questa tesi che,

proprio nel divario, mira a dimostrare quali punti di contatto tra arabi e turchi vi

sono stati e continuano ad esserci. Le prime relazioni furono avviate nell’XI secolo

con l’espansione dell’Islam quando gli antenati dei turchi iniziano ad abbracciare

la religione musulmana il cui libro sacro, il Corano, è stato rivelato in lingua araba

e sono continuate sotto il dominio ottomano.

Il primo capitolo analizza la situazione linguistica all’epoca dell’Impero Ottomano

e della repubblica: una gran quantità di prestiti mutuati dall’arabo, termini

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4

adattati a regole grammaticali arabe e persiane, poi l’avvento del nazionalismo che

spazza via gli elementi stranieri e la creazione di neologismi. In chiusura, la realtà

linguistica ai giorni nostri approfondita da uno studio congiunto tra politica e

linguaggio.

Il secondo capitolo si occupa di una realtà particolare che vede alcuni dialetti arabi

in uso presso zone della Turchia confinanti con Siria e Iraq. Nelle cittadine di

Mardin e Siirt sopravvivono, infatti, piccole comunità parlanti dialetti arabi di tipo

qәltu in un contesto multietnico che vede anche la presenza di curdi e turchi. Di tali

dialetti si analizzano tratti peculiari della fonologia, morfologia e sintassi ponendo

l’attenzione sul peso esercitato dagli altri due idiomi – turco e curdo. Inoltre,

dedica una sezione all’impatto turco-ottomano sui dialetti nei paesi arabi con

particolare riferimento alla varietà egiziana.

La terza ed ultima sezione affronta l’argomento non più da un punto di vista

linguistico ma storico e culturale: due popoli a maggioranza musulmana ed eredi

del passato ottomano, devono pur avere dei tratti in comune. Formule a sfondo

religioso sono retaggio dell’Islam, mentre i simboli e le tradizioni culinarie

sarebbero da attribuire alla storia ottomana. In aggiunta, è stata fatta una

panoramica sugli aspetti moderni che hanno il merito di rendere simili turchi e

arabi nonostante le differenze che non si possono ignorare. Essi sono il cinema

turco che conquista il consenso degli arabi dalle vedute più aperte e la satira con

finalità critica soprattutto nei confronti del potere.

Page 8: IndiceIndice - mutue.altervista.org

5

TrascrizioneTrascrizioneTrascrizioneTrascrizione

In questa tesi ad ogni termine scritto in caratteri arabi è affiancata la trascrizione

scientifica correntemente in uso in stile corsivo.

Consonante Trascrizione IPA

’ [Ɂ] occlusiva laringale sorda

� b [b] occlusiva bilabiale sonora

� t [t] occlusiva alveolare sorda

ṯ [θ] fricativa interdentale sorda

ǧ [ʤ] affricata palatale sonora ج

ḥ [ħ] fricativa faringale sorda ح

ḫ [χ] fricativa uvulare sorda خ

� d [d] occlusiva alveolare sonora

ḏ [ð] fricativa interdentale sonora ذ

r [r] vibrante alveolare ر

z [z] fricativa alveolare sonora ز

s [s] fricativa alveolare sorda س

� š [ʃ] fricativa postalveolare sorda

� ṣ [sˁ ] fricativa alveolare faringalizzata sorda

� ḍ [dˁ ] occlusiva alveolare ʺ sorda

ṭ [tˁ] occlusiva alveolare ʺ sonora ط

� ḏ [ðˁ]fricativa interdentale ʺ sonora

fricativa faringale sonora [ʕ] ‘ ع

ġ [ʁ] fricativa uvulare sonora غ

� f [f] fricativa labiodentale sorda

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6

Consonante Trascrizione IPA

q [q] occlusiva uvulare sorda ق

� k [k] occlusiva velare sorda

l [l] laterale dentale ل

! m [m] nasale bilabiale sonora

" n [n] nasale alveolare sonora

# h [h] fricativa laringale sorda

w [w] approssimante labiovelare و

ي

y [j] approssimante palatale

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7

Per quanto riguarda il sistema fonologico del turco, è qui fornita la trascrizione IPA

di vocali non presenti nell’italiano e dei grafemi non corrispondenti ai valori

fonetici della nostra lingua.

2 Seguita dalle vocali ö e ü. 3 Seguita da tutte le altre vocali. 4 Yumuşak ge ‘g debole’.

Consonante IPA

c [ʤ] affricata palatale sonora

ç [ʧ] affricata palatale sorda

g [ɟ] occlusiva palatale sonora2

[g] occlusiva velare sonora3

ğ4 [ɰ] approssimante velare

ı [ɯ] vocale posteriore chiusa

ö [ø] vocale anteriore

semichiusa ş [ʃ] fricativa postalveolare

sorda y [j] approssimante palatale

ü [y] vocale anteriore chiusa

arrotondata

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8

Capitolo ICapitolo ICapitolo ICapitolo I

Dal turco ottomano al turco modernoDal turco ottomano al turco modernoDal turco ottomano al turco modernoDal turco ottomano al turco moderno

Come l’italiano dei giorni nostri non è uguale a quello che usava Dante Alighieri

per scrivere la Divina Commedia, così il turco odierno non corrisponde al turco

usato sotto l’Impero Ottomano. Fino all’epoca ottomana si identificano tre fasi:

• Antico turco ottomano (XIII-XV)

• Medio turco ottomano (XVI-XIX)

• turco ottomano moderno (dal XIX secolo al 1928)

La seconda e terza fase vedono l’introduzione di numerosi termini presi dall’arabo

e l’ottomano diventare lingua ufficiale dell’impero.

Ciò nondimeno l’aspirazione ad una lingua più al passo con i tempi si inizia ad

avere già nell’ultima fase quando tra il 1839 e il 1876 si risveglia nel popolo – che

ormai ha smesso di sentirsi ottomano e definisce se stesso turco – un misto di

sentimento nazionalista e bisogno di aprirsi all’Occidente che culminerà nel 1928,

anno in cui il fondatore e primo presidente della Repubblica Turca, Mustafa Kemal

Atatürk, attuerà una vera e propria riforma linguistica con cui bandirà l’uso sia

scritto che orale del turco ottomano. Esaminiamo quindi, in maniera più

dettagliata, la situazione della lingua all’epoca dell’impero.

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9

1.1. 1.1. 1.1. 1.1. L’Osmanlı, ovvero la lingua del longevo Impero OttomanoL’Osmanlı, ovvero la lingua del longevo Impero OttomanoL’Osmanlı, ovvero la lingua del longevo Impero OttomanoL’Osmanlı, ovvero la lingua del longevo Impero Ottomano

L’Impero Ottomano, durato oltre sei secoli, nacque dalla dissoluzione del

vastissimo dominio selgiuchide, una dinastia sotto la quale erano già in uso l’arabo

e il farsi.

Più precisamente l’arabo era la lingua della religione laddove il farsi ricopriva il

ruolo di lingua della cultura poiché aveva un’antica tradizione letteraria presa a

modello da scrittori e poeti turchi del XV secolo. Sotto l’Impero Ottomano la

conoscenza delle tre lingue faceva parte del bagaglio culturale di ogni

intellettuale5. Gli antenati dei turchi avevano acquisito l’idioma semitico a partire

dall’XI secolo, quando iniziarono a convertirsi all’Islam e la percezione

dell’identità turca fu soggiogata dal forte sentimento di appartenenza alla

Comunità di credenti:

“The perception that they were Turks was supplanted by an awareness that they were

members of the Ümmet-i Muhammed (…) so the tide of Arabic and Persian flowed.”6

Ciò che colpisce è che ad essere incorporate non furono soltanto le parole ma

anche alcuni aspetti morfologici e sintattici. Il turco non faceva – e ancora oggi

non fa – distinzione di genere m/f, pone l’aggettivo sempre prima del sostantivo e

non ha plurali fratti come l’arabo. Eppure, quando si trovava a dover usare termini

arabi, la situazione cambiava. Costrutti ottomani come ulûm-i tabiiya ‘scienze

naturali’ e memalik-i mahrusa ‘domini controllati’ rivelano oltre al prestito di

5 Versteegh 2001a, p. 494. 6 Lewis 1999, p. 5.

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10

vocaboli arabi l’utilizzo dell’ezafe7 persiano –i posto tra nome e qualificante,

l’aggettivo successivamente al sostantivo e l’accordo di esso al genere femminile. I

termini ulûm e memalik sono plurali fratti arabi rispettivamente di !&' ‘ilm ‘scienza’

e �(&)) mamlaka ‘regno’ mentre gli aggettivi femminili derivano dall’arabo ط +,-�

ṭabī‘ī ‘naturale’ e ./01� maḥrūs ‘protetto’. Ancor più sorprendente è che i nomi

degli organi governativi mostrassero anch’essi l’influsso arabo e persiano: si

prenda il costrutto Bâb-ı Âli, indicante la Sublime Porta8, dall’arabo ��� bāb ‘porta’e

+2�'‘ālī ‘alto, supremo’9, legati ancora una volta dall’ezafe.

Oggi il plurale di un prestito arabo è formato con il suffisso –ler/ –lar, ma fino a due

secoli fa, come abbiamo visto, si prendeva il plurale così com’era nella lingua di

origine: havadis ‘eventi’ dall’arabo 6/ادث ḥawādiṯ oggi diventato hadiseler, akait

‘dogmi’ dall’arabo 7�8د' ‘aqāʼid poi trasformato in akideler10.

Tuttavia il turco ottomano era parlato da un’élite ristretta di persone, era usato a

corte, dagli intellettuali e dagli scrittori. Al di là di questi ambienti si parlava una

lingua ben diversa chiamata kaba türkçe11; ciò implicava la distanza e la difficoltà di

comunicazione tra classi alte e basse. Proprio questo divario era il leitmotiv del

tradizionale teatro d’ombre turco i cui protagonisti principali, Karagöz e Hacivat,

incarnano la classe povera l’uno e quella borghese l’altro. Hacivat si esprime in un

7 L’ezafe indica che due parole sono collegate tra loro; è posto dopo un sostantivo per indicare che

questo è descritto dall’aggettivo che viene subito dopo. Il turco moderno non utilizza più questo

costrutto. 8 Organo governativo centrale dell’impero ottomano, tuttora presente ad Istanbul nei pressi del Palazzo

Topkapı. 9 Lewis 2002. 10 Versteegh 2001b, p. 235. 11 Gallagher 1971, p. 161.

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11

linguaggio aulico e forbito che lascia perplesso l’illetterato Karagöz12. Un altro

aneddoto sulla varietà linguistica di fine Ottocento vede protagonisti un softa

(studente di una scuola coranica) durante una rivolta studentesca ed un poliziotto

impegnato nell’inseguire lui e tutti gli altri ribelli. Quando allo studente viene

chiesto dove siano andati i suoi compagni, egli risponde “Ba‘ḍısı şu ṭarafa, ba‘ḍısı o

ṭarafa”13 – ‘alcuni da questa parte, alcuni dall’altra’ – utilizzando ben due parole

arabe su un totale di tre: �,9 ba‘ḍ ‘alcuni’ e 0ف; ṭaraf ‘parte, lato’.

Intanto il governo ottomano aveva già da qualche tempo iniziato ad emettere delle

riforme, le cosiddette Tanzimat, in risposta ad un crescente sentimento

nazionalista, lo stesso che fa avvertire la lingua ottomana come esageratamente

permeata da vocaboli stranieri. Essa inizia ad essere studiata favorendo la nascita

dei primi libri di grammatica e di dizionari che preparano il moribondo impero ad

accogliere una lingua nazionale, parlata in egual modo da umili e benestanti: il

turco14.

12 Marion 2010. 13 Lewis 1999, p. 9. 14 Kerslake 1998, pp. 180-181.

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12

1.2. I primi passi verso una lingua nazionale: il fallimento della Türk Derne1.2. I primi passi verso una lingua nazionale: il fallimento della Türk Derne1.2. I primi passi verso una lingua nazionale: il fallimento della Türk Derne1.2. I primi passi verso una lingua nazionale: il fallimento della Türk Derneğğğğiiii

Già durante la Prima Guerra Mondiale moltissimi scrittori turchi iniziarono ad

evitare prestiti linguistici, sintattici e morfologici dall’arabo e dal persiano. Con la

nascita della Repubblica nel 1923 per opera di Mustafa Kemal Atatürk questo

atteggiamento si intensificò ulteriormente e raggiunse l'apice con la riforma

linguistica del 1928, definita tale dagli studiosi occidentali ma piuttosto

identificabile con una rivoluzione dacché

“…reform implies improvement. Dil Devrimi (the language revolution) is what Turks

call it, but Western writers have always called it the language reform.”15

Più avanti si vedrà, infatti, che questa riforma causò una drastica riduzione del

vocabolario turco, perché, in ragione del purismo linguistico, un ingente numero

di termini sia arabi che persiani fu rimosso e mai rimpiazzato da coloro che erano

addetti alla creazione di neologismi (si veda il lavoro eseguito dai membri del TDK

in 1.3.).

Parliamo dei primi passi in direzione di una lingua pura. Nel 1908 l’articolo 7 del

programma politico dei Giovani Turchi recitava:

“Devletin lisan-ı resmîsi Türkçe kalacaktır. Her nevi muhaberat ve müzakeratı Türkçe

icra olunacaktır.”16

15 Lewis 1999, p. 2. 16 Tunaya 1952, p. 209.

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13

‘La lingua ufficiale di Stato resterà il turco. La sua (lett.: ogni tipo di) corrispondenza

così come le deliberazioni di ogni genere saranno fatte in lingua turca.’

Si noti che nello stesso momento in cui venivano stabilite le nuove disposizioni per

la lingua ufficiale, i prestiti arabi non accennavano a scomparire: devlet < ar. �2و�

dawla ‘Stato’, resmî < ar. +�<0 rasmī ‘ufficiale’, nevi < ar. ع/= naw‘ ‘tipo’, müzakerat <

ar. ذ)0ة� muḏakkira ‘ordinanza’; quest’ultimo non più usato in turco moderno.

Nello stesso anno fu fondata la Türk Derneği, un’associazione culturale nazionalista

all’interno della quale vi erano tre distinti orientamenti. Vi era chi voleva

eliminare i prestiti sostituendoli con parole usate nella lingua orale, chi mirava a

coniare neologismi considerando turchi i vocaboli arabi e persiani e unendo ad essi

i suffissi della lingua anatolica e chi, infine, era favorevole a supplire i prestiti con

parole di altre lingue turciche quali uzbeco e tartaro17. Ma alla fine la decisione

presa dall’organizzazione non cambiò di molto la situazione: venne stabilito che i

termini mutuati da arabo e persiano usati correntemente nella lingua parlata

sarebbero rimasti poiché comprensibili da tutti.

L’associazione non ebbe lunga vita e chiuse i battenti nel 1913. Un esempio che

valga per tutti sia la parola ottomana tahtelbahir18 coniata per dire ‘sottomarino’

(lett.: ‘sotto il mare’) e formata dall’arabo �1� taḥt ‘sotto’ e 19ر baḥr ‘mare’. In

generale diciamo che tali neologismi erano creati adattando le radici

triconsonantiche alle regole grammaticali arabe.

17 Lewis 1999, p. 19. 18 Questa parola è una totale invenzione di chi si adoperò per creare neologismi. In arabo moderno,

infatti, ‘sottomarino’ è detto �>ا/? ġawwāṣa. Sfortunatamente non sono mai stati registrati i nomi di

chi coniava nuove parole.

Page 17: IndiceIndice - mutue.altervista.org

14

Al di fuori di questa organizzazione vi furono altre personalità di spicco che

partecipavano alla questione da un diverso punto di vista. È doveroso ricordare

Ziya Gökalp che proponeva l’esempio dei popoli occidentali: come questi avevano

ricorso ai loro antenati latino e greco, così i turchi dovevano beneficiare di arabo e

persiano. La sua più famosa creazione è mekfûre ‘ideale’ dalla radice ر(@ fakara

‘pensare’ da cui poi mekfûreviyat ‘ideologia’ (da notare oltre alla radice anche la

ripresa del morfema arabo a valore astrattivo –iyya). Oggi comunque si preferisce

usare ideoloji, chiaramente ereditato dal francese. In sintesi, Gökalp mirava a

definire concetti per i quali non esisteva ancora un sostantivo turco.

Da questo momento fino al 1928 non vi furono sviluppi di particolare rilevanza.

Analizziamo, quindi, i cambiamenti ottenuti a partire da quell’anno.

Page 18: IndiceIndice - mutue.altervista.org

15

1.3.1.3.1.3.1.3. D D D Dilililil Devrimi e TDDevrimi e TDDevrimi e TDDevrimi e TDKKKK: la riforma linguistica del 1928. Successo o catastrofe?: la riforma linguistica del 1928. Successo o catastrofe?: la riforma linguistica del 1928. Successo o catastrofe?: la riforma linguistica del 1928. Successo o catastrofe?

L’espressione stravolta di un turco qualsiasi al sentir rispondere “studio arabo” la

dice lunga su quanto sia stata travagliata la storia della sua lingua.

Essa, infatti, fino a poco meno di un secolo fa veniva scritta con l’alfabeto arabo

modificato e ciò causava non pochi problemi nell’ortografia.

È bene fare un piccolo preambolo. Tutte le lettere dell’alfabeto arabo sono

consonanti inclusa la أ alif che, in origine, rappresentava un colpo di glottide –

hamza – ed altre prodotte con suoni che non esistono nel turco (quali ع ‘ayn o B

qāf) oltre alla � kāf che nel turco ottomano poteva essere letta come g, k, n o y19. Il

suono n indicato dalla lettera � era originariamente /ng/20 (IPA [ŋ]) come quello

presente nella parola italiana ‘ingordo’. A questo si aggiunge il più grande dilemma

dell’arabo: l’uso dei diacritici a valore vocalico che distinguono esclusivamente tra

/a/, /i/ e /u/. Il turco con il suo vastissimo ventaglio vocalico21 si trovava a dover

superare questo scoglio attraverso vari stratagemmi piuttosto confusionari.

Equivoci nella lettura erano all’ordine del giorno: una parola come /2/أ ’wlw poteva

essere letta olu ‘grande’, ölü ‘morto’, evli ‘sposato’ oppure avlu ‘cortile’22. Come

nell’arabo oggi, solo il contesto faceva intuire il significato esatto e di conseguenza

la lettura appropriata. Fu di fronte alle varie problematiche elencate e viste le sue

tendenze “occidentaliste” che Atatürk pensò bene di adottare l’alfabeto latino nel

19 Lewis 1999, p. 27. 20 Lewis 1999, p.27. 21 Per ventaglio vocalico del turco si intendono le otto vocali a, e, i, ı, o, ö, u, e ü. 22 Lewis 1999, p. 27.

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1928, avvenimento ricordato appunto come Dil Devrimi. Nel 1932 fonda il TDK Türk

Dil Kurumu, la Società per la lingua turca, uno strumento concreto per la diffusione

della riforma23. Fu proprio tramite quest’organizzazione che fu avviata

l’eliminazione dei prestiti e il loro uso dichiarato illegale sia nello scritto che nel

parlato. La sua azione di controllo agiva principalmente sulla stampa e su ogni tipo

di pubblicazione, mentre era più arduo il controllo sulla lingua parlata.

Un’idea delle dimensioni dell’impoverimento si può avere sfogliando un dizionario

turco ottomano/turco moderno. Molti termini del primo furono bollati dal TDK

come antiquati e mai sostituiti. Si considerino i vari sinonimi della parola ‘cambio’:

precedentemente vi era scelta tra tahavvül (< ar. C2ا D/1E taḥawwul ilā

‘trasformarsi’), tebeddül (< ar. D��E tabaddul ‘essere alterato’), tagayyür (< ar. -FEر۔

taġayyur ‘cambiare’) e takallüp (< ar. G۔��& taqallub ‘rovesciare’) mentre oggi

troviamo soltanto değişmek24.

Simultaneamente, nel 1932, il TDK raccolse le parole più in uso nel linguaggio di

quell’epoca in un libro chiamato Tarama Dergisi provocando un effetto terribile: i

giornalisti che scrivevano in turco ottomano, dovevano consegnare i propri

articoli ad un ikameci, un ‘sostitutore’, che provvedeva a surrogare i termini

ottomani con quelli selezionati nel suddetto libro pubblicato dal TDK25.

D’altro canto, coloro che invece di coniare neologismi volevano esclusivamente

trovare pure sostituzioni turche, commisero errori altrettanto gravi. Un esempio

che valga per tutti sia millet ‘nazione’ per la quale i ricercatori proposero ulus, dal

23 De Nardis 2012, p. 46. 24 Lewis 1999, p. 150. 25 Lewis 2002.

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mongolo. Ulus è, in realtà, un secondo prestito poiché deriva dal turco uluş che i

mongoli adattarono alla loro pronuncia cambiando il fonema /ş/ in /s/.26 Quando

questa parola tornò nel vocabolario turco, vi fece ingresso non nella forma

originaria bensì in quella modificata e tale è rimasta. Tuttavia oggi la biblioteca

nazionale porta il nome di Milli Kütüphane e non Ulusal Kitaplık poiché:

“the name was written into the law establishing the library; the reformers hadn’t

notice it and, inşallah, nobody ever would.”27

Fortunatamente Falih Rıfkı Atay esercitò un ascendente positivo su Atatürk. Gli

sembrò doveroso risparmiare dall’eliminazione indiscreta di prestiti şey28 ‘cosa’ (<

ar. +H ء šay’) che i turchi usano moltissimo nella conversazione ad esempio quando

non sovviene loro una parola; esso equivale al nostro ‘cioè’, ‘vale a dire’.

La tabella 1 mostra – in percentuale – l’origine delle parole utilizzate in cinque

quotidiani – Ulus, Akşam, Cumhuriyet, Milliyet e Hürriyet – dal 1933 al 1961, secondo

lo studio di Kâmile Imer29:

Tabella 1 – Origine (%) delle parole usate nei giornali (1933-1961)

Anno Turco Arabo Persiano Altro Ottomano

1933 44 45 2 4 5

1936 48 39 3 5 5

1941 48 40 3 4 5

26 Lewis 2002. 27 Lewis 2002. 28 Lewis 1999, p. 77. 29 Lewis 1999, p. 158.

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1946 57 28 3 7 5

1951 51 35 3 6 5

1956 51 35.5 2 7.5 4

1961 56 30.5 3 6 4.5

Con l’istituzione del TDK (1932) fino alla fine degli anni Quaranta aumentano

progressivamente i termini locali e diminuiscono i prestiti arabi. Un leggero

rafforzamento dei prestiti arabi si ha tra gli anni Cinquanta e Sessanta in

corrispondenza con l’insediamento del governo democratico.

Nel 1951 il segretario generale del TDK, Agah Sırrı Levend, dichiarerà nel corso di

una riunione del consiglio amministrativo che la pluralità di vocaboli per un unico

concetto non determina la ricchezza di una lingua bensì la sua povertà e dichiara:

“Meselâ Arapçada “deve” nin 50 adı vardır. Bu bir zenginlik değildir.”30

‘Ad esempio, in arabo esistono 50 modi per dire “cammello”. Questa non è ricchezza’.

Per essere precisi, “cammello” ha un unico nome ed è -,90۔ ba‘īr oltre ad un

collettivo D9إ ’ibl. Gli altri quarantotto a cui Levend si riferisce, sono nomi specifici

per distinguere un cammello in base all’età, al sesso…: D�K ǧamal indica un

cammello maschio, �8�= nāqa è una cammella, �&6را rāḥila è una cammella da viaggio

e via dicendo31. Il che si rivela fondamentale per quei beduini che vedono nel

cammello una delle risorse fondamentali. Mentre la trasformazione del turco

procedeva, il presidente della Repubblica realizzava che non potevano essere

30 Lewis 1999, pp. 146. 31 Lewis 1999, p. 147.

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espulse dal vocabolario tutte le parole di origine straniera. Fu questa presa di

coscienza che lo portò a giustificare ogni elemento estraneo come originariamente

turco, poi caduto in disuso e tornato in un secondo tempo ad essere impiegato nella

lingua nazionale. Questo discorso si concretizzò nella teoria della “lingua-Sole”,

una proto-lingua globale da cui sarebbero discesi tutti i linguaggi umani32. Partendo

da questo principio faceva derivare l’arabo 0ي(<' ‘askarī ‘soldato’33 dalla

combinazione dei vocaboli turchi aşık ‘devoto’ e er ‘uomo’ da cui desumere il senso

di “persona devota (alla patria)”34.

Quindi, mentre oggi il turco può ritenersi soddisfatto del passaggio all’alfabeto

latino che ha risolto tutte le problematiche legate alla scrittura, non può dire di

essere ugualmente appagato dal glossario post-riforma, drasticamente ridotto. Il

turco ha continuato a cambiare e l’emblema di questo insuccesso è il Nutuk, oggi

chiamato Söylev, cioè il discorso con cui Atatürk proclamava la fine dell’Impero e

l’instaurazione della Repubblica, lungo trentasei ore e pronunciato in sei giornate

nel 1927. Il suddetto fu tradotto una prima volta negli anni Sessanta e una seconda

volta negli anni Ottanta perché come dichiarava l’autore Tahsin Yücel

nell’introduzione:

“On üç yıl önceki dilim bayağı eskimiş göründü bana.”35

‘La lingua che usavo tredici anni fa, mi suona totalmente obsoleta.’

32 Tachau 1964, p. 199. 33 Derivante, in realtà, dal latino exercitus. 34 Lewis 2002. 35 Yücel 1982, p. 8.

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1.3.1. Oltre la riforma: il turco come forma di adesione ad una corrente 1.3.1. Oltre la riforma: il turco come forma di adesione ad una corrente 1.3.1. Oltre la riforma: il turco come forma di adesione ad una corrente 1.3.1. Oltre la riforma: il turco come forma di adesione ad una corrente

politicapoliticapoliticapolitica

Qual è la situazione oggi? E come ogni singolo individuo ha percepito gli effetti di

tale riforma?

Una delle prime ricerche sul campo fu quella condotta da Cüceloğlu e Slobin negli

anni Ottanta . Questi analizzarono un contesto dove un pubblico assisteva ad un

dibattito in cui prendevano la parola diverse persone. Ebbene, realizzarono che la

platea riusciva ad identificare ogni singolo parlante come “di destra” o “di

sinistra” in base al tipo di linguaggio usato36.

Uno studio simile è stato condotto da Melike e Baburhan Uzum in tempi recenti

analizzando le arringhe di alcuni politici turchi in occasione delle elezioni tenutesi

nel 2007. Sono stati presi a campione alcuni appartenenti ai partiti AKP – il cui

presidente è Recep Tayyip Erdoğan – e SP (conservatori – islamisti), MHP e BBP

(nazionalisti di estrema destra), CHP – a cui apparteneva Atatürk – e DSP

(modernisti di sinistra). In quelle occasioni non si parlava solo di politica bensì

anche di storia, economia e, ultima ma non meno importante, di religione37. Tra i

disparati parametri utilizzati nello stabilire in che percentuale i prestiti venivano

adoperati ve ne erano due di spicco:

• tematiche affrontate

• schieramento politico

36 Uzum 2010, p. 216. 37 Uzum 2010, p. 216.

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21

Chiariamo che all’interno di una frase i prestiti più frequenti sono quelli di

sostantivi, seguiti subito dopo da aggettivi e avverbi; i verbi, invece, sono la parte

del discorso che resta più immune dacché in turco questa categoria annovera

pochi lessemi importati (vedi le costruzioni con il verbo etmek ‘fare’, trattate in

1.4.).

Come mostra la Tabella 2, il più alto tasso di prestiti dall’arabo si verificava

soprattutto quando l’attenzione si focalizzava sulla religione, storia e politica.

Tabella 2 – Percentuale di prestiti secondo tematiche trattate38

Religione Politica Storia Economia

Nella tabella 3, invece, sono riportati i dati divisi per schieramenti politici.

Tabella 3 – Distribuzione dei prestiti secondo schieramento politico (%)39

Arabo Turco Persiano Francese

Conservatori 42.4% 48.4% 2.4% 4.8%

Nazionalisti 25.2% 63.4% 5.6% 4%

Modernisti 15.6% 78.2% 2.6% 4.3%

Non è un caso se i gruppi conservatori continuino a fare ricorso a moltissimi

termini di derivazione araba, così come non deve stupire se i modernisti sono

38 Uzum 2010, p. 221. 39 Uzum 2010, p. 223.

Prestiti Turco Prestiti Turco Prestiti Turco Prestiti Turco

66.7% 33.3% 40.6% 59.4% 47.8% 52.2% 30.8% 69.2%

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22

coloro che hanno ridotto al minimo l’utilizzo di termini stranieri – sulla scia del

pensiero kemalista. Per quanto concerne la categoria “francese” , è bene chiarire

che l’afflusso di prestiti europei cominciò durante la Prima Guerra Mondiale, tra il

1916 e il 1918, quando il primato ottomano nel Levante terminò e fu rimpiazzato

da governi coloniali francesi o inglesi40. In questi anni la lingua europea più

conosciuta in Turchia era il francese; con il passaggio dalla scrittura araba a quella

latina, il turco aderì alle regole ortografiche della lingua romanza: göre ‘da, per’ era

prima scritto kwrh (dove h in finale di parola indicava la vocale /e/) e poi

trasformato in gueuré dove <ueu> è pronunciato allo stesso modo di /ö/ come nel

francese peu (IPA [ø]). Qualcosa di simile accadde per çocuk ‘bambino’

precedentemente čjwq e in seguito tchodjouk41 con dittongo <ou> come nelle

francesi fou e mou.

40 Al-Wer 2006, p. 1919. 41 Lewis 1999, p. 31.

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23

1.4. 1.4. 1.4. 1.4. Cosa resta dell’eredità araba? Uno sguardo alla lingua oggi Cosa resta dell’eredità araba? Uno sguardo alla lingua oggi Cosa resta dell’eredità araba? Uno sguardo alla lingua oggi Cosa resta dell’eredità araba? Uno sguardo alla lingua oggi

Nel 2012 il dubbio se usare un prestito o una parola turca si può definire

essenzialmente fugato, ognuno parla o scrive nella maniera che ritiene migliore e

che possa esprimere al meglio il suo pensiero. Certamente i prestiti arabi che

furono eliminati non sono stati resuscitati in alcun modo e quindi persi per

sempre, ma colpisce oltremodo che le testate dei quotidiani turchi riportino nomi

quali Cumhuriyet e Hürriyet, tutti e due sostantivi arabi per �-ر/L)M ǧumhūriyya

‘repubblica’, e �-1ر ḥurriyya ‘libertà’ (dove il suffisso –iyet deriva dalla pronuncia di

�ـ-ـ -iyya cioè nisba -iyy- più tā’ marbūṭa).

Cumhuriyet (< ar. �-ر/L)M ǧumhūriyya) è uno dei tanti neologismi politici coniati nel

XIX secolo sulla base di elementi lessicali arabi. È lo stesso per meşveret scaturito da

�H� muşāwara, lett. ‘consultazione’ usato col significato di “governo/0ة

rappresentativo”42. Nel turco moderno i termini mutuati dall’arabo sono

riconoscibili sia perché, come abbiamo visto, presentano terminazioni arabe sia

perché non seguono le regole di armonia vocalica43. Un esempio è memur u�ciale,

sceriffo’ (< ar. 0/�O� ma’mūr) piuttosto del grammaticalmente corretto memür44.

Prestiti verbali, avverbiali e particelle del discorso sono piuttosto rari, come fakat

‘ma (< ar. PG@ faqaṭ) e ve ‘e’ (< ar. / wa) oltre a �,9 ba‘ḍ già visto nel capitolo 1.1.

42 Versteegh 2001a, p. 494. 43 L’armonia vocalica, necessaria per l’utilizzo corretto dei suffissi, prevede che se la prima vocale della

parola è anteriore (e, i, ö, ü), le successive devono essere anteriori anch’esse; ugualmente, se è

posteriore (a, ı, o, u), quelle che seguono dovranno appartenere alla stessa categoria. 44 Versteegh 2001a, p. 494.

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24

Molti lessemi, poi, sono stati adattati alla morfologia turca ricevendo ad esempio il

suffisso del plurale -ler / -lar45 discusso sempre in 1.1.

Una particolarità nel passaggio dall’arabo al turco è la produzione di costrutti

analitici basati su un sostantivo di origine araba seguito dal verbo turco etmek che

riveste moltissimi significati, il più generale dei quali è “fare”. Versteegh (2001)

apporta quali prove tesir etmek (< ar.ر-QOE ta’ṯīr, ‘influenza’) ‘influenzare’, hareket

etmek (< ar. �(01 ḥarika, ‘movimento’) ‘muoversi’, affetmek (< ar. /@' ‘afū, ‘perdono’)

‘perdonare’, takdir etmek (< ar. 0-�G� taqdīr, ‘apprezzamento’) ‘apprezzare’, refakat

etmek (< ar. B@را rāfaqa) ‘accompagnare’, ziyaret etmek (< ar. رة�-R ziyāra, ‘visita’)

‘visitare’46.

Prima di parlare di piccoli costrutti preposizionali generati da prestiti arabi,

facciamo il punto sui processi di adattamento fonologico di termini attinti

dall’arabo. Zimmer (1985) discute il caso partendo dalla nozione di armonia

vocalica e consonantica nella lingua altaica. La prima è stata già discussa nella nota

43 e facciamo qui degli esempi: diş ‘dente’, al plurale è dişler in quanto unisce il

suffisso –ler (con /e/ e non /a/ poiché l’ultima vocale della sillaba precedente è

anteriore), e per lo stesso principio il possessivo di 1a pers. sing. sarà –im (e non –

ım), dişlerim ‘i miei denti’.

Un ulteriore esempio è il sostantivo kuş ‘uccello’, a cui si applicano –lar e –ım,

perché la /u/ è una vocale posteriore risultando kuşlarım ‘i miei uccelli’47. Per

quanto concerne la seconda, Zimmer afferma che il modo di articolare una

45 Versteegh 2001a, p. 495. 46 Versteegh 2001b, p. 236. 47 Zimmer 1985, p. 623.

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consonante dipende dalla sua posizione fonotattica, ossia dalla qualità della vocale

che la segue o la precede. In altre parole, l’armonia consonantica stabilisce che vi

siano consonanti velari come [k] in sillabe con vocali anteriori come kel ‘calvo’

realizzato [kel] e consonanti uvulari come [q] in sillabe con vocali posteriori: è il

caso di kol ‘braccio’ pronunciato piuttosto [qol]48. L’eccezione alla regola è

costituita dai vocaboli uscenti in [-aq] e prendenti suffissi con vocali anteriori:

questi vocaboli derivano dall’arabo e sono ad es. idrak ‘percezione’ (< ar. �إ�را idrāk)

e iştirak ‘partecipazione’ (< ar. �راESإ ištirāk); fino a non molto tempo fa essi erano

prodotti con la velare [k] piuttosto che con l’uvulare [q], seguendo la pronuncia

araba. La coesistenza della vocale posteriore [a] con la velare, costituiva il primo

segnale di violazione delle regole di armonia consonantica. L’armonia vocalica era,

invece, trasgredita quando si trattava di unire i suffissi: non –ı o –ım etc. come

vuole il turco, bensì –i, –im, –sin e così via poiché i parlanti avvertivano l’origine

straniera del termine e lo consideravano come un’eccezione alla regola.

Recentemente, soprattutto i parlanti più giovani, tendono a “far quadrare i conti”

e, attenendosi alle norme grammaticali turche, preferiscono adottare la pronuncia

[idraq] e, a seguire, i suffissi con vocali posteriori.

Altri termini arabi adattati alla pronuncia turca sono rahat lokum o soltanto lokum

dall’arabo را�6 ا&6&8/م rāḥat al-ḥulqūm lett. ‘piacere della gola’, dolci tipici turchi

venduti nelle botteghe che portano la dicitura inglese Turkish delight; muşamba (<

ar. U�H) mušamma‘ ) ‘tela cerata’ e maydanoz (< ar. .=/�8) maqdūnis) ‘prezzemolo’49.

48 Si ricorda che il sistema consonantico turco manca del fonema /q/; vi è, quindi, /k/ a realizzare suoni

anche diversi da [k]. 49 Lewis 1999, p. 9.

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26

Nel turco vi sono abbondanti preposizioni, avverbi ed interrogative costruite su

basi arabe. Hakkında ‘circa’ è realizzato sull’arabo B1 ḥaqq ‘verità’, tarafında ‘dalla

parte di’ (< ar. 0ف; ṭaraf ‘parte’, cfr. 1.1), tamamen ‘completamente’ e tamam ‘va

bene’ (< ar. ����E tamāman), lütfen ‘per favore’ (< ar. �@P& luṭfan ‘cortesemente’), ne

zaman? ‘quando?’ (< ar. "�R zaman ‘tempo’), ne vakit? ‘quando?’ (< ar. �G/ waqt

‘tempo’), ne kadar? ‘quanto?’ (< ar. -W(0۔۔ kaṯīr ‘molto, abbondante’)50.

Da quanto detto finora si deduce che l’arabo continua a partecipare, seppur

marginalmente, nella formazione del lessico della lingua anatolica; molti prestiti

sono stati stravolti nella realizzazione fonetica ma le radici triconsonantiche

dell’arabo sono ancora rintracciabili.

50 Versteegh 2001a, p. 495.

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27

Capitolo IICapitolo IICapitolo IICapitolo II

Le lingue nel LevanteLe lingue nel LevanteLe lingue nel LevanteLe lingue nel Levante

In questa sezione verrà trattata la presenza di isole arabofone nella Repubblica

Turca. Nel presente capitolo, quindi, inquadreremo dapprima le parlate arabe di

Mardin e Siirt, provincie del sud-est anatolico, e poi le varietà di arabo parlate in

paesi arabi che presentano prestiti dal turco. Prima di procedere, spieghiamo

perché parliamo di dialetti e non di lingua araba.

Abbiamo già detto che essa è usata ufficialmente in ventidue paesi aderenti alla

Lega Araba51 ( ,2�0-�۔ا ��M Ǧāmi‘at ad-Duwal al-‘Arabiyya). Non si è accennato,� ا&�ول

però alla “diglossia”, termine con cui Ferguson descrive la situazione linguistica

attuale in tali paesi dove ogni arabo conosce due varietà della stessa lingua: X1>@

fuṣḥā, utilizzata principalmente nella letteratura, nella stampa, in TV, nelle

situazioni formali, acquisita in un secondo momento, vale a dire con l’istruzione; in

concomitanza v’è il dialetto, �-��' ‘āmmiyya, che è la prima lingua materna appresa

nel contesto familiare ed è utilizzata quotidianamente in qualsiasi situazione

informale. Questo lascia intendere come il dialetto sia parlato non solo dalle

persone poco istruite ma da tutti, a prescindere dal ceto sociale di appartenenza.

Gli arabi preferiscono usare la ‘āmmiyya che è più al passo con i tempi e con le

51 Algeria, Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Iraq, Kuwait, Libano, Libia,

Marocco, Mauritania, Oman, Qatar, Siria, Sudan, Tunisia, Yemen a cui si aggiungono l’Autorità

Nazionale Palestinese, Repubblica delle Comore, Somalia e Gibuti.

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esigenze del mondo moderno poiché la fuṣḥā, statica e rigida, è la lingua del Corano

ovvero l’arabo del VI-VII secolo d.C.

Inoltre, la ‘āmmiyya cambia da Stato a Stato e alcune differenze nella pronuncia

sono osservabili anche all’interno di una stessa nazione: questo implica che due

arabi provenienti uno dal Nord Africa e l’altro dalla Penisola araba non potranno

mettersi a parlare ognuno la propria varietà ma se vorranno intendersi dovranno

“avvicinare” il loro dialetto alla lingua classica – la stessa per tutti – giungendo ad

un “arabo mediano”.

A questo punto analizziamo le minoranze linguistiche e religiose del sud-est

anatolico soffermandoci sull’arabo di Mardin e Siirt.

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29

2.1. Minoranze lingui2.1. Minoranze lingui2.1. Minoranze lingui2.1. Minoranze linguistiche, etniche e religiose nel sudstiche, etniche e religiose nel sudstiche, etniche e religiose nel sudstiche, etniche e religiose nel sud----est anatolicoest anatolicoest anatolicoest anatolico

Nel sud-est della Turchia, a ridosso dei confini con Siria e Iraq, vi è un crogiolo di

razze, religioni e lingue diverse. Nelle regioni di Mardin, Siirt, Hatay, Diyarbakır e

Şanlıurfa, arabi, curdi, aramei, turchi e armeni convivono in un clima di relativa

tolleranza e plurilinguismo52.

Per quel che concerne le varietà di arabo utilizzate in queste zone, esse non sono

omogenee ma divisibili in tre categorie: nella provincia di Hatay, ad esempio, si

parla la varietà sedentaria del dialetto siriano, usata correntemente nelle città,

laddove a Şanlıurfa si preferisce la varietà beduina, parlata dalle comunità che

vivono lontane dai centri urbani53. Nelle aree rimanenti – Mardin, Siirt e

Diyarbakır – l’arabo utilizzato è una tipologia mesopotamica, detta qәltu. Questa

varietà è considerata una continuazione del dialetto iracheno ed è chiamato qәltu

poiché conserva la pronuncia della B qāf e il suffisso –u della I pers. sing. del

perfetto, come in arabo classico: �&G qultu ‘io ho detto’. Esso si distingue dai

dialetti gilit ove la B qāf è pronunciata come un’occlusiva velare sonora, cioè /g/54.

Questo però non implica che il dialetto di Mardin sia identico a quello di Siirt:

come verrà spiegato successivamente, differenze si notano nel vocabolario e

soprattutto nella pronuncia55.

52Grigore 2007, p. 25. 53 Jastrow 2006, pp. 154-155. 54 Distinzione studiata da Haim Blanc nel libro Communal Dialects in Baghdad. L’autore notò nel dialetto

bagdadino una diversità di pronuncia tra le varie comunità: cristiani ed ebrei parlanti la tipologia qәltu,

musulmani la tipologia gilit. 55 Un esempio: a Mardin le interdentali Z ظ sono prodotte come tali /ṯ/, /ḏ/ e /ḏ/, a Siirt invece

diventano labiodentali /f/, /v/ e /v/.

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30

Le altre minoranze linguistiche sono il curdo kurmanği (lingua indoeuropea della

branca iranica), l’aramaico ṭuroyo (lingua afro-asiatica della branca semitica)

parlato quasi esclusivamente da cristiani, e il turco56.

Il contatto tra le svariate minoranze elencate fa sì che un arabofono di Mardin o

Siirt non conosca esclusivamente il dialetto arabo, ma sia capace di comunicare

anche in curdo e turco oppure utilizzare contemporaneamente i tre codici

linguistici. Gli arabofoni che nascono in queste aree, infatti, sono sin dalla nascita

trilingui:

• l’arabo è imparato a casa o nelle scuole coraniche – che stanno

progressivamente svanendo – ma solo a livello orale e quindi non ne

conoscono la grafia;

• il turco è appreso a scuola ed è effettivamente l’unica lingua che può essere

insegnata nonché usata nelle istituzioni nazionali turche;

• infine, tramite legami sociali o economici con i curdi, che costituiscono il

gruppo maggioritario, si arriva ad apprendere anche la loro lingua57.

I dialetti arabi qәltu sembrano essere destinati alla stessa sorte dell’aramaico, cioè

all’estinzione; vari studiosi (Jastrow, Grigore), infatti, calcolano che essi spariranno

nelle prossime due generazioni e la stima è aggravata anche dal forte tasso di

migrazione di tali arabofoni verso zone più urbanizzate della Turchia, come

Istanbul, dove abbandonano gradualmente le proprie usanze e per forza di cose

sono costretti a parlare turco58.

56 Mion 2006, p. 246. 57 Isaksson 2004, p.182. 58 Lahdo 2009, p. 33.

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31

In generale, tutte le minoranze sono sostanzialmente in bilico poiché l’art. 42 della

Costituzione turca prevede che

“No language other than Turkish shall be taught as a mother tongue to Turkish

citizens at any institutions of training or education.”

Il rischio per l’arabo di non essere più parlato in territorio turco nell’arco di

qualche anno è stato, inoltre, discusso recentemente da Werner Arnold il quale

riferisce che il suo utilizzo è bandito nella sfera pubblica e che il governo proibisce

addirittura l’assegnazione di nomi arabi alla prole delle famiglie che fanno parte

della comunità arabofona59.

Infine, tracciamo un quadro che prende in analisi il fattore religioso.

Il 99% dell’intera collettività turca è di fede musulmana ma, lungi dall’essere una

corrente religiosa unitaria, vi ritroviamo una maggioranza di musulmani di

confessione sunnita hanafita reputata la più tollerante dell’Islam «per l’utilizzo più

frequente dello sforzo interpretativo umano nell’elaborazione del pensiero

giuridico»60. Dell’Islam sunnita fa parte anche la scuola shafiʻita a cui aderiscono gli

arabi di Tillo, nella regione di Siirt. Un’altra parte consistente della popolazione

musulmana si identifica, invece, nel ramo sciita degli ‘alawiti il cui culto fonde

elementi dell’Islam con credenze cristiane: il loro calendario contiene feste

religiose sunnite, sciite e cristiane fra le cui ultime il Natale, la Domenica delle

Palme, Pasqua e Pentecoste. Sono anche chiamati nuṣayrī da Ibn Nuṣair che si

59 Arnold 2000, p. 357. 60 Pizzo 2012, p. 59.

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32

dichiarò bāb – rappresentante – del decimo imām ‘Alī an-Naqī61; in ragione di

questo i sunniti etichettano la controparte come “eretica”. Lo stesso Bashar al-

Assad, il discusso presidente della Siria, è di fede ‘alawita. La piccolissima parte

restante è un misto tra cristiani, greci ortodossi, ebrei e yazidi, i quali ultimi sono

un gruppo religioso curdo con radici indo-iraniche. Gli yazidi non hanno

praticamente nulla di islamico e sarebbero il residuo di una setta divinizzatrice

ommiade dopo la sconfitta degli Ommiadi per mano degli ‘Abbasidi62.

61 Bausani 1999, pp. 122-123. 62 Bausani 1999, p. 128.

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33

2.1.1. L’arabo parlato a Siirt2.1.1. L’arabo parlato a Siirt2.1.1. L’arabo parlato a Siirt2.1.1. L’arabo parlato a Siirt

In realtà le ripartizioni sono ancor più profonde di quanto finora detto. Si è

parlato della coabitazione di curdi, arabi, armeni, turchi – a livello etnico – e di

musulmani sunniti, sciiti, yazidi, cristiani, ebrei – a livello religioso. A queste si

aggiungano le scissioni interne alle stesse comunità e, nel dettaglio, a quella che è

l’oggetto di questo studio, ovverosia la comunità araba.

L’argomento trattato di seguito è ripreso in gran parte dal lavoro di Ablahad

Lahdo, The Arabic Dialect of Tillo in the Region of Siirt63, dal momento che gli studi

specifici delle grammatiche di taluni dialetti periferici sono cosa rara e richiedono

apprendimento in loco. Da tale saggio sono stati ricavati e sintetizzati i principali

fatti grammaticali che interessano al qui presente elaborato, ovvero come il

dialetto di questa regione si comporta trovandosi a contatto con turco e curdo.

Nella regione di Siirt vi è un piccolo villaggio che fino agli anni Venti64 si chiamava

Tillo65 e che oggi porta il nome di Aydınlar il cui valore letterale corrisponde

pressoché a ‘sapienti’, ‘intellettuali’: secondo gli abitanti del posto il nome è da

ricondurre al fatto che il villaggio diede i natali al teologo, fisico, astrologo e

matematico İbrahim Hakkı. Gli arabi – che a loro volta hanno rinominato il posto

63 Lahdo A., 2009, The Arabic Dialect of Tillo in the Region of Siirt (South-eastern Turkey), Uppsala, Acta

Universitatis Upsaliensis. 64Ricordiamo che sul finire degli anni Venti inizia il processo di turchizzazione e tra gli altri

provvedimenti ve ne fu uno che stabiliva che tutti i nomi di città e villaggi derivassero categoricamente

da parole turche. 65Il nome “Tillo” deriva probabilmente dall’arabo D� tall che indica ‘collina’, ‘luogo rialzato’ ed

effettivamente si addice al luogo su cui sorge questo villaggio.

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و2-�0�)ز ا[ markaz al-Awliyā’ ‘luogo dei santi’ – asseriscono la discendenza da due

linee ancestrali dissimili: una parte di essi risale alla tribù dei Khalidi originaria di

Homs, in Siria, mentre i restanti fanno parte della tribù degli Abbasidi, nativa della

Penisola araba. Questo significherebbe che originariamente gli arabi di Tillo

parlavano due dialetti differenti che tramite contatti e matrimoni misti tra le due

tribù, nel corso degli anni, si sarebbero unificati fino a formarne uno solo. Tanto

sono orgogliosi dei propri antenati, che avvertono i curdi, chiamati kurmānč, come

“sparpagliati”, senza tratti comuni, perché non originari di un’unica zona.

Ciononostante questi ultimi costituiscono il gruppo maggioritario e il dialetto di

Siirt, così come quello di Mardin, si inserisce nel microcontesto curdo situato a sua

volta in un macrocontesto turco.

I motivi che spingono a pensare che i dialetti arabi in area anatolica

tramonteranno presto, sono di vario ordine. Innanzitutto le circostanze, oggi,

vedono i curdi aumentare numericamente assorbendo l’esiguo numero di

arabofoni; se fino a qualche anno fa, infatti, i matrimoni tra curdi e arabi erano

evitati, soprattutto quando l’unione era tra un curdo e un’araba, oggi queste

relazioni stanno diventando sempre più comuni. In secondo luogo, queste

comunità rappresentano una “voce fuori dal coro” poiché vivono isolate

dall’impiego dell’arabo standard diffuso attraverso la radio e la televisione nei

paesi della Lega Araba. In passato vi era, però, un barlume che nutriva le speranze

di tali minoranze affinché la loro storia, lingua e cultura non andassero perse ed

era simboleggiato dalle scuole coraniche, poi chiuse nel 1997. Infine, a peggiorare

il quadro finora descritto, sono gli abitanti stessi di questi villaggi che vanno a

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cercare lavoro e migliori condizioni di vita nella parte occidentale della Turchia,

principalmente Istanbul e Ankara.

Di seguito si analizzano alcuni dei numerosissimi tratti peculiari della fonologia,

morfologia e sintassi del dialetto di Tillo.

2.1.1.1. Fonologia2.1.1.1. Fonologia2.1.1.1. Fonologia2.1.1.1. Fonologia

L’occlusiva bilabiale sonora /b/ viene sostituita dalla corrispondente sorda /p/

soprattutto in posizione finale come nei vocaboli ‛ənəp (< ar. �=' ‛inab) ‘uva’ e ktēp

(< ar. �اEآ kitāb) ‘libro’, sebbene vi siano dei casi in cui la /b/ resta tale. Il parlante

che vuole affermare la propria identità semitica solitamente non effettua questa

modifica. La /p/ invece è attestata nelle parole di origine turca: pāşa66 (< turc. paşa)

‘pascià’, pāṛāt (< turc. para) ‘soldi’ e qāpi (< turc. kapı) ‘porta’, ‘cancello’.

Analogamente l’occlusiva dentale sonora /d/ passa alla sorda /t/ in posizione

finale: ba‘ət (< ar. �,9 ba‘d) ‘dopo’ e walat (< ar. / �2 walada) ‘essere nato’, mentre in

posizione iniziale e mediana non subisce variazioni. A volte, però, si assiste a casi

dove la /d/ diventa velarizzata, /ḍ/, in prossimità delle enfatiche, delle consonanti

e di vocali posteriori: qaḍer (< turc. kader67) ,/‘/ ع ḥ/ e/ ح ,/ġ/, B /q/ غ ,/ḫ/ خ

‘destino’, ḥḍaḥš ‘undici’68 .

L’occlusiva velare sorda /k/ cambia in sonora /g/ quando è a contatto con la

bilabiale /b/ come in gbīr (< ar. 9-ر( kabīr) ‘grande’ oppure sostituita da /ḫ/ o /ġ/

66 Usato anche nella varietà egiziana �H�9 �- yā bāšā come appellativo per chiamare il cameriere al

ristorante o ad un caffè, anche scherzosamente. 67 A sua volta dall’arabo ر�G qadar. 68 ḥḍaḥš ricorda altri dialetti arabi come l’egiziano dove ‘undici’ è detto رS�1ا ḥiḍāšar.

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nei prestiti turchi: yapraḫ (< turc. yaprak) ‘foglia’ e qačaġ (< turc. kaçak)

‘contrabbando’.

Come in tutti i dialetti arabi, la /q/ è quella che viene realizzata nei modi più

svariati e, molte volte, la variazione dipende dal sesso del parlante, dalla religione

e dalle influenze. A Tillo, ad esempio, essa è sostituita dal colpo di glottide /’/ in

tutte le forme del verbo D�G qāla ‘dire’. Mentre le donne sono più inclini a mettere

in atto questa sostituzione, gli uomini sembrano utilizzare sia /q/ che /’/. Il breve

dialogo qui proposto ha come protagonisti un uomo (U) e una donna (D) e mette in

luce questo fenomeno:

U- fī ḥaqq əṢṭanbūl fī ḥaqq Təllo əšš t’ūlī? əs-saḥ yəqraw?

‘Cosa ne pensi riguardo Istanbul, riguardo Tillo? Loro (i figli) studiano adesso?’

D- əs-saḥ yə’raw. nəḥne (…) mō nə‘raf nə’ri w nəktəp.69

‘Stanno studiando adesso. Noi (…) non sappiamo né leggere né scrivere.’

Da notare come l’uomo intercambi tra una varietà e l’altra, mentre la donna

utilizzi perentoriamente la pronuncia autoctona /’/.

In alcuni casi la /q/ è prodotta quale fricativa velare sorda /ḫ/ – in posizione

finale: yṣaddaḫ (< ar. B�> ṣaddaqa) ‘credere’ – o sonora /ġ/.

Per quel che riguarda le interdentali /ṯ/, /ḏ/ e /ḏ/:

/ṯ/ diventa fricativa labiodentale sorda /f/ nei termini autoctoni come falǧ (< ar.

_&Q ṯalǧ) ‘neve’ oppure sibilante sorda /s/ nelle parole in prestito dal curdo: kasīr

‘molto’70.

69 Lahdo 2009, p. 51.

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/ḏ/ ha vari riflessi: può diventare /v/ come in vahēb (< ar. ذهب ḏahab) ‘oro’ e, nei

secondi prestiti, /z/ come per əzan dal turco izin a sua volta dall’arabo "إذ’iḏn

‘autorizzazione’.

/ḏ/, infine, è articolata senza cambiamenti nei prestiti curdi o come fricativa

labiodentale velarizzata /ṿ/ in termini autoctoni come ṿəhər (< ar.0La ḏuhr)

‘mezzogiorno’.

Dedichiamo l’ultima parte di questo ridotto excursus fonologico alla faringale

sorda /ḥ/ che sembra progressivamente svanire. I parlanti arabo più anziani ne

fanno ancora uso sebbene le nuove generazioni e coloro che si sono trasferiti a

ovest preferiscano ormai usare la glottidale sorda /h/. Nel turco, comunque, la /ḥ/

dei prestiti arabi è pronunciata /h/: merhaba (< ar. �91ر� marḥaban) ‘ciao’ e

muhabbet (< ar. ��1� maḥabba) ‘affetto’.

2.1.1.2. Morfologia e sintassi2.1.1.2. Morfologia e sintassi2.1.1.2. Morfologia e sintassi2.1.1.2. Morfologia e sintassi

Dei tanti aspetti che ci sarebbero da analizzare diciamo innanzitutto che il gruppo

dialettale di Siirt, come tutti i dialetti sedentari, non fa distinzione tra maschile e

femminile plurale nei pronomi e nella coniugazione verbale quindi avremo un solo

“voi” ed un unico “loro”:

70 Si tratta di secondi prestiti: l’arabo riprende il termine dal curdo che, a sua volta, lo ha preso

precedentemente dall’arabo.

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sg. pl.

I anā nəḥne

II m. ənt

II f. ənti

III m. uwwe

III f. iyye

Inoltre, il duale non esiste come pronome ed è usato solo suffissato ai sostantivi.

I pronomi dimostrativi sia di vicinanza che di lontananza – come i pronomi

personali soggetto appena visti – perdono la # /h/ iniziale:

deissi di vicinanza deissi di lontananza

masc. sing. āva āke

femm. sing. āvi āke

plur. coll. awle awlak

e notiamo che nella deissi di lontananza il maschile e il femminile coincidono.

Un dato linguistico che avvalora la tesi che vede gli arabi di Tillo provenire dalla

Penisola araba è l’utilizzo di fard, un lessema che esprime indeterminazione – ‘uno

solo’, ‘stesso’ – ed utilizzato in molti dialetti mesopotamici, come per esempio a

Bagdad dove si riduce a fadd71:

nəswēn w ərǧēl mō yərkəzu fī fard ṣəḥbe.72

‘Le donne e gli uomini non siedono in un’unica fila.’

71 Questo lessema è usato raramente anche nel dialetto di Mardin. 72 Lahdo 2009, p. 112.

əntən

ənne

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Gli arabofoni di Siirt quando hanno a che fare con i numeri, ad esempio, trovandosi

a parlare dell’età, di date o di numeri di telefono, si sentono più sicuri nell'utilizzo

di ordinali e numerali turchi tant’è che quando adoperano prima la dicitura araba

– raramente – sentono il bisogno di ripetersi subito in turco come per essere sicuri

di essersi espressi bene:

fəl-alf w təs‘a miyye w sab‘a w təs‘īn…əh alf w təsa‘ miyye wa sab‘a fmēnīn…bin dokuz (yüz)

saksan yadi73.

‘Nel 1997…eh 1987, 1987.’

L’ordine delle parole nella frase è solitamente SVO74 e questo, innegabilmente, è

frutto del contatto con gli altri due idiomi:

əl-awlēt yə‘məlu awne ‘I ragazzi lavorano qui’

awlēdna kā75-yrōḥu l-maktep ‘I nostri figli erano soliti andare a scuola’

Infine, il dialetto di Tillo eredita dal turco il suffisso -ci/-çi che designa i mestieri76,

l’avverbio çok ‘molto’77 seguito da un sostantivo singolare, en per formare

superlativi78 e la creazione di verbi che riflette quelle con il turco etmek, visto in

1.4. In questo dialetto etmek è tradotto letteralmente con l’arabo ى/< sawwa

73 Lahdo 2009, p. 200. 74 Soggetto+verbo+oggetto, mentre in arabo classico e nei dialetti del Mediterraneo orientale l’ordine è

VSO. 75 Kā-, abbreviazione di kān, unito all’imperfetto indica un’azione svolta solitamente nel passato. 76 Es.: mṭahhərči ‘circoncisore’, işči ‘lavoratore’. Il suffisso per i mestieri è usato, per giunta, anche in Siria

ed Egitto. 77 Es.: çok kişi ‘molte persone’, çok iş ‘molto lavoro’. 78 Es.: en aqruba (< ar. �-0G qarīb) ‘il (parente) più stretto’, en yāqən (< turc. yakın) ‘il più vicino’.

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(II forma) o ى/�< sāwa (III forma) che in dialetto sta per “fare”79 ed è messo prima di

un sostantivo:

sawa yardəm (< turc. yardım etmek) ‘aiutare’

sawa qaḥwaltə (< turc. kahvaltı etmek) ‘fare colazione’

sawa ṣəḥbe (< turc. sohbet etmek) ‘chiacchierare’

79 Cfr. arabo classico D,@ fa‘ala

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2.1.2. L’2.1.2. L’2.1.2. L’2.1.2. L’arabo parlato a Mardinarabo parlato a Mardinarabo parlato a Mardinarabo parlato a Mardin

A sud-ovest della provincia di Siirt vi è Mardin, il capoluogo dell’omonimo

distretto della Repubblica Turca situato ai confini con l’Iraq e la Siria80 e di cui si è

detto qualcosa nelle pagine precedenti. Adesso entriamo più nel dettaglio per

analizzare i fatti linguistici dell’arabo “mārdīni” rapportati a quelli appena

descritti di Tillo.

È giusto ricordare che vari studiosi (Jastrow, Sasse, Isaksson) si sono occupati dei

dialetti arabi dell’area anatolica in genere, ma finora soltanto l’arabista rumeno

George Grigore si è concentrato esclusivamente su quello della singola città di

Mardin81. Le informazioni qui riportate sono state estratte, quindi, dalla sua

monografia L’arabe parlé à Mardin82 per mancanza di ulteriori opere esaustive e

accurate come quella appena nominata.

Mardin, in arabo "-ر��� Mārdīn, è situata in un punto strategico all’incrocio delle

più importanti vie commerciali come la famosa «Via della Seta». La popolazione di

Mardin conosce una varietà dialettale della lingua araba classica e la lingua turca a

livello elementare, imparata a scuola, è poco praticata poiché è ristretto il numero

di turchi che abitano tali zone periferiche: essi sono ufficiali, burocrati, insegnanti,

funzionari, inviati dal governo nelle regioni del sud-est per un periodo limitato83,

80 Mion 2006, p. 246. 81 Mion 2006, p. 245. 82 Grigore G., 2007, L’arabe parlé à Mardin: monographie d’un parler arabe «périphérique», Bucarest, Editura

Universităţii Bucureşti. 83 Lahdo 2009, p. 35.

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come ad assicurare la persistenza della lingua turca anche tra le piccole comunità.

Naturalmente gli arabi di Mardin non ricevono alcuna istruzione in arabo eccetto

che la lettura del Corano nella �<0�� madrasa, scuola coranica all’interno delle

grandi moschee, eseguita con una pronuncia spiccatamene turca mancante di

enfatiche e di interdentali; ergo, la litania

"c�2�,&رب ا d ��1&ا (Corano, I,1)

è letta

el-hemdü li-llah rebbi-l-alamin

invece di

al-ḥamdu li-llāhi rabbi-l-‘ālamīn

Il mardini non è una varietà unitaria e, come a Siirt, i parlanti arabo si servono

anche del curdo e del turco nella comunicazione. La competenza nel dialetto

diminuisce con l’avanzare di nuove generazioni e lo si può ravvisare nella parlata

dei più giovani, costituita dall’unione di termini arabi, turchi e curdi senza una

pertinente regola grammaticale. Un esempio emblematico è

klise meftüh bugün saat arba qable

lett.: ‘chiesa (< turc.) aperta (< ar.) oggi (< turc.) ore (< turc.) quattro prima (<ar.)’

per dire ‘La chiesa oggi è aperta fino alle quattro’84.

Inoltre, nell’affermare le loro origini sembrano racchiudere in se stessi tre

identità:

ana tәrki ana, abū-y kәrdi we w әmm-i ‘arabīye ye85.

‘Io sono turco, mio padre è curdo e mia madre è araba.’

84 Mion 2006, p. 247. 85 Per le copule enclitiche (ana….ana, we, ye) si veda la sezione sulla morfologia e sintassi del mardini.

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Una ragazza conosciuta ad Ankara nell’università dove ho studiato durante il

soggiorno erasmus, Orta Doğu Teknik Üniversitesi, mi ha riferito di essere nata a

Diyarbakır ma di avere genitori originari di Mardin che si sono trasferiti lì dove lei

e la sorella sono nate, subito dopo il matrimonio. Chiedendole maggiori

informazioni sulla lingua e sulle religioni dell’area, mi riferisce che nei discorsi tra

madre e padre è usato frequentemente il dialetto arabo ma lei e la sorella non sono

in grado di capire se non poche parole e qualche frase, e afferma:

“new generations don’t know Kurdish and Arabic, they only speak Turkish.”

Questa testimonianza, unita alla dimostrazione che le nuove generazioni sono via

via più intente a trasferirsi verso l’Anatolia occidentale, avvalora ulteriormente la

tesi secondo cui l’arabo tramonterà presto. Per quanto riguarda il fattore religioso,

infine, mi è stata riferita la convivenza tra musulmani e süryani, ‘siriaci’ che

abbracciano il cristianesimo siriaco conosciuto come Nestorianesimo e parlano

l’aramaico ṭuroyo.

Grigore attesta anche dei casi dove taluni mardinesi non riconoscono

immediatamente il loro “essere arabi” e quando, infine, lo ammettono, si scusano

più e più volte per il loro accento ben lontano sia dall’arabo di Mossul che di

Aleppo. Le minoranze arabofone della Turchia, infatti, sono costrette a cercare

fuori dal proprio paese i punti di riferimento culturali arabi e queste due città

arabe sono le più vicine a Mardin.

Come con l’altro dialetto, ci dedichiamo ad alcuni tratti fonologici, morfologici e

sintattici.

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2.1.2.1. Fonologia2.1.2.1. Fonologia2.1.2.1. Fonologia2.1.2.1. Fonologia

Cominciamo col dire che il dialetto di Mardin attesta l’assimilazione regressiva

delle fricative /ḥ/, /h/ e /‘/ in finale di parola: ṣәbḥ (< ar. ح��> ) > ṣәbb ‘mattina’,

fēkәhe (< ar. �L(�e ) > fēkke ‘frutta’, sab‘a (< ar. �,�<) > sabbe ‘sette’.

Similmente al dialetto di Siirt, nell’arabo mardini la /k/ etimologica diventa

sonora, vale a dire /g/, in prossimità delle sonore /b/, /d/, /z/ e /d/: gbīr (< ar. -0ـآ�

kabīr) ‘grande’, gəzbaṛa (< ar. ز09ة( kuzbara) ‘coriandolo’, gədəb (< ar. �Zآ kadaba)

‘mentire’.

L’occlusiva uvulare sorda /q/ si conserva tale sebbene a volte tenda ad essere

realizzata come fricativa uvulare sorda /ḫ/ come nel caso di waḫt al posto di waqt

(< ar. G/ـ� ) ‘tempo’. L’unica spiegazione plausibile per questa variazione – del

tutto aleatoria – è da ricondursi al contatto del mardini con i dialetti turchi della

stessa regione dove /q/ si alterna spesso con /ḫ/ nell’ultima sillaba: yok ‘non c’è’ è

realizzato yoq o yoḫ; pamuk ‘cotone’ pronunciato sia pamuq che pamuḫ.

Ancora un intervento sulle interdentali /ṯ/, /ḏ/ e /ḏ/ che, nella stragrande

maggioranza delle volte, il mardini conserva per il sostrato aramaico, sebbene

attesti qualche caso di passaggio: /ṯ/ > /s/ e usando lo stesso esempio impiegato

per la varietà di Siirt abbiamo salǧ per ṯalǧ; /ḏ/ > /d/ come in daqən (< ar. GZـ" ḏaqn)

‘mento’; infine /ḏ/ > /ḍ/.

Prima di passare all’analisi morfologica e sintattica è doveroso dedicare qualche

rigo al fenomeno dell’imāla: è un fattore tipico di tutti i dialetti qəltu – quindi anche

di quello di Siirt – che vede la variazione di /ā/ in /ē/ o anche /ī/, dovuta alla

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vicinanza di una /i/ etimologica. Alcuni esempi sono kitāb > ktēb, wāḥid > wēḥed,

riǧāl > ərǧēl…

2.1.2.2. Morfologia e sintassi2.1.2.2. Morfologia e sintassi2.1.2.2. Morfologia e sintassi2.1.2.2. Morfologia e sintassi

Anche il mardini ha conservato soltanto otto persone, vale a dire

sg. pl.

I ana nəḥne

II m. ənt

II f. ənti

III m. hūwe

III f. hīye

da cui si nota subito che la fricativa glottidale sorda /h/ resiste nelle terze persone

singolari e plurali. Essa sopravvive anche nei pronomi dimostrativi, laddove a Siirt

viene elisa:

deissi di vicinanza deissi di lontananza

masc. sing. hāḏa hāk

femm. sing. hāḏi hāke

plur. hawḏe hawke

Nel confronto tra dialetto di Siirt e di Mardin si annovera, anche in quest’ultimo,

l’utilizzo – sebbene rarissimo – di fard, la particella che esprime indeterminazione,

alla quale si preferisce però il numerale wēḥəd (< ar. ا6د/ wāḥid) ‘uno’, posposto al

sostantivo e con valore aggettivale come in kūz wēḥəd ‘una brocca sola’ altrimenti

detto fard kūz ‘una brocca’ (< ar. آ/ز kūz) oppure, per nomi femminili, qərbe wēḥde

əntən

hənne

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‘un’otre sola’ dove, volendo utilizzare fard, questo non richiede nessun accordo di

genere, e si ottiene fard qərbe ‘un’otre’ (< ar. �9رG qurba).

Al contrario di Siirt, numerali e ordinali utilizzati sono arabi e non v’è nessun

impiego del turco, come si può cogliere dal simpatico proverbio mardini qui

riportato:

šahər ‘arūs ‘al primo mese, una sposa

šahrayn ǧasūs in due mesi, una spia

ṯāṯ šhūr, al terzo mese,

ḥayye b-sab‘ b-ṛūs.86 un serpente a tre teste’.

La ridondanza linguistica che nel dialetto di Siirt si verificava con i numeri, a

Mardin si ha piuttosto nei casi in cui il dialogo si svolge tra interlocutori di diverse

etnie e genera un’alternanza di codice linguistico. Essa prevede che ad un sintagma

mardini se ne affianchi uno identico in turco o curdo; ecco, allora, quello che può

accadere al cinema:

- Film ne kadar sürüyor?(turc.) - Quanto dura il film?

- Üç saat (turc.)…ṯāṯ sā‘āt (ara.)…87 - Tre ore (turc.)…tre ore (ara.)…

Colui che risponde, presumibilmente, non indirizza la seconda forma al cliente

bensì a se stesso, come ad assicurarsi di aver detto bene.

Sull’ordine degli elementi nella frase, si osserva la tipologia SVO. Tramite il

contatto con la lingua turca e curda, però, si riscontrano casi di tipologia SOV

come nella frase ‘Hasan vuole una camera’ che in mardini è resa Ḥasan ōḍa wēḥde

86 Grigore 2007, p. 223. 87 Grigore 2007, p. 333.

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yrīd, dal turco Hasan bir oda istiyor e dal curdo Ḥasan jûreke dixwaze, che pongono il

verbo alla fine dell’enunciato. Il mardini eredita suffissi turchi quali -či/-ǧi per

nomi di mestieri, i privativi bē-88 e -səz89e, infine, il suffisso -li a valore derivativo. Il

primo – già riscontrato nel dialetto di Siirt – in mardini viene applicato anche a

participi che già adducono il significato di “praticare un mestiere” quali mṭahhər →

mṭahhərči (< ar. LP 0 ـ ṭahhara) ‘circoncisore’, mdallək → mdalləkči (< ar. �2� dallaka)

‘massaggiatore’90. Con i privativi si ottiene una serie di sinonimi: ‘insostituibile’ si

può dire sia bēbadīl (< cur. bêbedil) sia badīlsəz (< turc. bedelsiz) dove a restare

immutato è l’arabo ل-�� badīl ‘surrogato’; ‘impaziente’ presenta gli equivalenti

bēṣabər (< cur. bêsebir) e sabərsəz (< turc. sabırsız) derivanti in ogni caso dalla radice

araba �>0ـ ṣabara ‘essere paziente’. Con -li si ottengono, infine, etnonimi come

mērdīnli ‘mardinese’ o bayrūtli ‘beirutino’, così come sostantivi esprimenti qualità:

ḥəkmətli come il turco hikmetli (< ar. 1آ�� ḥikma ‘saggezza’) ‘saggio’ o, ancora,

manṭəqli, in turco mantıklı (< ar. BP=� manṭiq ‘logica’) ‘logico’.

Anche il dialetto di Mardin, inoltre, utilizza il verbo sāwa (o sawwa) per formare

costruzioni verbo-nominali: sāwa ithal91 (< turc. ithal etmek) ‘importare’, sāwa

taqavət92 (< turc. tekaüt etmek) ‘andare in pensione’ etc.

Prima di concludere dedichiamo un’ultima nota all’impiego della copula enclitica

nella frase nominale e alla «reduplicazione in m». Il primo non è nient’altro che un

suffisso predicativo utilizzato in alcune tipologie di enunciati (attributivi,

locativi…) che assume la stessa forma dei pronomi personali eccetto hūwe

88 Dal prefisso curdo bê- ‘senza, sprovvisto di’. 89 Dal suffisso turco -siz/-sız con lo stesso significato. 90 Mion 2006, p. 248. 91 Cfr. arabo D�gإ� ’idḫāl ‘introduzione’, ‘ammissione’. 92 Cfr. arabo �'�GE taqā‘ud ‘pensionamento’.

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abbreviato in we, hīye in ye e hənne ridotto a ənne; si hanno enunciati quali ana

mērdīni ana ‘sono mardinese’ o mērdīn fōq əǧ-ǧabal ye ‘Merdin è sopra la montagna’.

Tali suffissi predicativi sono attinti da altre lingue, in primis turco osmanlı (es.: sen

yaş sen ‘tu sei giovane’) e aramaico ṭurōyo (es.: ono rabo-no ‘io sono grande’).

La «reduplicazione in m», infine, è un fenomeno che si manifesta quando si vuol

imprimere un senso ironico, sarcastico, scettico o approssimativo all’enunciato. Si

basa sull’unione del sostantivo originale ad una sua forma, modificata

dall’aggiunta o sostituzione della prima consonante con una m: səkkar-məkkar

‘zucchero e affini’, akəl-makəl ‘cibo e roba simile’. Grigore riporta, inoltre, un

dialogo dove la reduplicazione ha valore sarcastico:

- Ǧamāl ysalləm ‘alay-k.

- Ayna Ǧamāl?

- Ǧamāl mən taḥt…ayna Ǧamāl?! hūwe tərzi93-mərzi we…

- A! Ǧamāl! bass hūwe mō-tərzi-mərzi! hūwe tərzi ṭaṃāṃ we…ana w hūwe kṯīr

arqaḍāšīn94…ənne!95

- Ti saluta Ǧamāl

- Ǧamāl chi?

- Ǧamāl del piano di sotto… Ǧamāl chi? Quella specie di sarto…

- Ah! Ǧamāl! Ma lui non è “una specie di sarto”! Lui è un sarto vero e proprio e noi,

io e lui, siamo molto amici!

93 Cfr. turc. terzi ‘sarto’. 94 Cfr. turc. arkadaş ‘amico’. 95 Grigore 2007, p. 323.

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Si verificano, però, dei casi dove la sostituzione con m causa ambiguità poiché il

sostantivo che ne scaturisce esiste già con un significato diverso. Si osservi la scena

in una sala da tè, dove il cliente chiede una tazza di čāy-māy:

- ya walad, ǧīb-lī (…) qadaḥ96 čāy-māy!

- ?! ‘ammo (…) ana mā-ftahamtu kwayyəs…ənt waṣṣayt čāy yāze ṃay(y)…?

- la, ḥabīb-ī, bass čāy (…)!97

- Cameriere mi porti una tazza di čāy-māy!

- ?! Mi scusi, non ho ben capito…vuole del tè o dell’acqua?

- No, mio caro, solo del tè (…)!

Il cameriere non capisce se il cliente vuole del tè, čāy98, o dell’acqua, ṃayy99 poiché

in questa circostanza il sostantivo inventato ha già un altro significato ma accresce

il dubbio dal momento che appartiene allo stesso campo semantico. Si ravvisano

casi di reduplicazione – con fonemi diversi da m – anche nel curdo kurmanği,

nell’aramaico ṭuroyo, nell’inglese americano mutuato dallo yiddish e infine

nell’arabo letterario dove è chiamato �9عEhا al-’itbā‘ ma con la funzione di

rafforzare il concetto della parola base, in opposizione a quella svolta nel mardini:

"۔haraǧ-maraǧ ‘trambusto’, <9 ه0ج �0ج "۔1> ḥasan-basan ‘migliore’, ��-9 / 1۔dا ��-

ḥayyā-ka Allāh wa bayyā-ka ‘che Dio ti faccia vivere!’.

96 Cfr. turc. kadeh ‘bicchiere’, ‘teiera’ e ara. ح�G qadaḥ ‘calice’. 97 Grigore 2007, p. 330. 98 Cfr. turc. çay e ar. .�H šāyي 99 Cfr. ar. standard �� mā’a e dialetto egiziano -ـ�� ṃayya con /m/ enfatica.

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50

2.2. L’impatto turco2.2. L’impatto turco2.2. L’impatto turco2.2. L’impatto turco----ottomano sui dialetti nei paesi arabiottomano sui dialetti nei paesi arabiottomano sui dialetti nei paesi arabiottomano sui dialetti nei paesi arabi

Muovendoci al di fuori della Turchia e, quindi, spostando l’attenzione sui dialetti

parlati all’interno della Lega Araba, notiamo che la presenza di prestiti mutuati dal

turco riporta cifre non trascurabili. Specialmente due sono le regioni che si

avvalgono di un elevato numero di prestiti compresi tra gli ottocento e i

millecinquecento: si tratta di Siria – !�H2ا �i� Bilād aš-Šām – ed Egitto, entrambe

province arabe dell’antico Impero Ottomano100. Soprattutto in Egitto, all’epoca dei

Mamelucchi, tra il XIII e il XVI secolo, le relazioni tra i due popoli furono

particolarmente strette e il lungo dominio straniero ha permesso che gran parte

dei prestiti osservabili appartenga al campo giuridico, sociale, governativo,

militare e della vita privata101. Nelle zone di Iraq, Libia, Tunisia, Algeria e Sudan,

territori assoggettati al dominio turco per un periodo di gran lunga più breve,

sopravvive una quantità minore di termini mutuati dal turco compresa tra le

cinquecento e le duecento unità102. Tali prestiti sono entrati nel lessico dialettale

per via orale piuttosto che scritta. Il passaggio orale favorisce da un lato l’esatta

comprensione della pronuncia, ma dall’altra il mutuatario non ha la possibilità di

aiutarsi con l’aspetto grafico e visuale tipico solo del linguaggio scritto.

Attraverso questo metodo di trasmissione, colui che acquisisce il nuovo idioma si

aiuta con i fonemi della propria lingua d’origine per riprodurre quelli stranieri: ad

esempio, perde ‘tenda’, adattata alla fonetica araba che manca di occlusiva bilabiale

100 Procházka 2004, p. 191. 101 Abdullah 2008, p. 166. 102 Procházka 2004, p. 191.

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sorda /p/ e di vocale prepalatale /e/, diventa barda ( �0ة�)103.

A testimoniare i saldi legami tra turchi e arabi in epoca ottomana e finanche pre-

ottomana, però, non è tanto il prestito di singoli sostantivi bensì quello di verbi,

avverbi e aggettivi. Tra quelli rintracciabili vi sono104:

boş, ‘vuoto’, assente nell’arabo standard ma diffuso nei dialetti di Siria, Iraq, Yemen

e Tunisia. Nella varietà irachena il termine è usato per la formazione del verbo

bawwaš ‘neutralizzare’105 come accade nella parlata dei giovani tunisini i quali

utilizzano basi francesi per la formazione di verbi, ad esempio dawwəš - ydawwəš (<

fr. douche) ‘farsi la doccia’106, šūfər - yšūfər (< fr. chauffeur) ‘fare l’autista’107, dansa -

ydansi (< fr. danser) ‘ballare’108…

çürük, ‘marcio’,‘incapace’, esiste in arabo standard moderno come šuruḫ ed è

utilizzato in Iraq col senso di ‘non piacevole’ mentre in Siria acquisisce il

significato di ‘danneggiato’ ed è alla base del neologismo šaṛṛaḫ ‘danneggiare’109;

yasak, ‘vietato’ non lo troviamo nell’arabo classico ma nel dialetto siriano, iracheno

e yemenita con la stessa accezione.

Dati risalenti al 1922110 annoverano tra molteplici prestiti ottomani – oltreché

persiani – nel dialetto algerino:0�E@�E tāftār (< turc. defter) ‘quaderno’, ��RM ǧazma 103 Abdullah 2008, p. 168. 104 Procházka 2004, p. 196. 105 In Egitto il verbo ��9 bāš è usato, più esattamente, col significato di ‘sciogliere’ in riferimento allo

zucchero nel caffè o di qualche sostanza in un liquido. 106 Bevacqua 2008, p. 15. 107 Bevacqua 2008, p. 16. 108 Bevacqua 2008, p. 19. 109 In Egitto troviamo 0خH šuruḫ ‘spaccatura’.

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(< turc. çizme) ‘stivali’111, ري?� doġri (< turc. doğru) ‘giusto, diritto’, D-ز=ڤ zangīl (<

turc. zengin) ‘ricco’, +M�'�< sā‘atǧi (< turc. saatçi) ‘orologiaio’, �2/�P ṭāwla (< turc.

tavla) ‘backgammon’, ق�<@ fustuq (< turc. fıstık) ‘pistacchio’, D�Kk@ finǧāl (< turc.

fincan) ‘tazza’, +P2واLG qahwālṭī (< turc. kahvaltı) ‘colazione’, و[ىG qōlāy (< turc. kolay)

‘facile’112, X9292 lablabī (< turc. leblebi) ‘ceci arrostiti’113 e moltissimi altri con cui si

potrebbero scrivere decine di pagine. Vi è, comunque, una somma non trascurabile

di prestiti turchi non più utilizzati.

Considerando una varietà del Mashreq e, con più esattezza quella di Mossul in Iraq,

si individuano prestiti quali per esempio �?ا ’aġā (< turc. ağa) ‘capo’, +(<ا’askī (<

turc. eski) ‘vecchio’, D/?0� birġūl (< turc. bulgur) ‘grano’114, il già esaminato 0خH

šuruḫ, @مـا �= afandim (< turc. efendim) ‘prego?’115, !=اg ḫānim (< turc. hanim) ‘signora’,

�M/g ḫūǧa (< turc. hoca) ‘insegnante’116, زة�E tāza (< turc. taze) ‘fresco’ e via dicendo117.

Sia nel dialetto algerino che in quello iracheno, il confronto delle parole prima e

dopo il prestito documenta l’adattamento fonetico di cui sopra. Gli appellativi

turchi come paşa, bey, ağa e çavuş restano, comunque, i prestiti più durevoli e sono

usati spesso con ironia.

110 Ben Cheneb M., 1922, Mots turks et persans conservés dans le parler algérien, Algeri, Ancienne Maison Bastide – Jourdan. 111 Presente anche nel dialetto egiziano nella forma gazma per indicare scarpe più eleganti in

opposizione a quelle sportive dette +HEو( kūčī. 112 Utilizzato tutt’ora in espressioni turche come kolay gelsin ‘in bocca al lupo’, ‘buona fortuna’ (lett.: ‘che

possa risultarti facile’). 113 Molto diffusi in Turchia, si distinguono in sgusciati (sarı leblebi) e non sgusciati (beyaz leblebi). 114 In realtà si tratta di un cereale simile al grano. In siro-palestinese è chiamato ?0۔�D burġūl 115Efendim in turco è utilizzato quando si risponde al telefono ed equivale pressappoco all’italiano

‘pronto?’ oppure ‘come, scusi?’ quando non si è ben compreso colui che sta parlando. Nei dialetti arabi

orientali è utilizzato solitamente con la seconda accezione. 116 Nella regione di Ankara, hoca è impiegato anche al di fuori del contesto scolastico, ad esempio per

indirizzarsi ad amici o a persone che non si conosce e altresì per mettere a proprio agio un nuovo

arrivato. 117 Abdullah 2008, p. 171 e sgg.

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Si consideri, infine, la riduzione semantica di ogni singolo termine ceduto: un

sostantivo turco polisemantico – che possiede numerose sfumature – diventa

monosemantico in arabo poiché ad essere adottato è, solitamente, il significato più

specifico. Si veda, ad esempio, parmak: 1. dito; 2. raggio di una ruota; 3. sbarra, asta;

4. tastare qualcosa. Gli arabi, invece, impiegano il sostantivo barmaq – adeguato

alle loro possibilità di pronuncia – solo col significato fornito al punto 2118.

118 Procházka 2004, p. 196.

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2.3. Alcuni prestiti turchi nella varietà dialettale egiziana2.3. Alcuni prestiti turchi nella varietà dialettale egiziana2.3. Alcuni prestiti turchi nella varietà dialettale egiziana2.3. Alcuni prestiti turchi nella varietà dialettale egiziana

La parte conclusiva di questo capitolo prosegue e porta a conclusione l’iter sui

dialetti arabi e sul loro contenuto turco. In particolare, si sofferma su una breve

lista di prestiti testimoniati nel dialetto egiziano che ho potuto ascoltare nelle

affollate strade del Cairo. Ho scelto, inoltre, di tralasciare per ora la terminologia

“culinaria” – in cui vi sono considerevoli corrispondenze – e trattarla nel capitolo

successivo.

Si considerino, prima di tutto, le precisazioni sulla fonetica egiziana del cairota:

/q/ → /’/ ad esclusione delle parole provenienti dall’arabo standard, es. هرة�G2ا

il-Qāhira ‘il Cairo’, "lرG2ا il-Qurān ‘Corano’, �-رG qarya ‘villaggio’.

/ǧ/ → /g/ come nelle parole italiane ‘gatto’, ‘gamba’… Persiste come /ž/ (IPA [ʒ]

come <j> del francese) nei termini di origine straniera, es. �E(K ǧakitta

‘giacca’, 0اجK garāǧ.

/ḏ/ → ha duplice realizzazione: /z/ nei classicismi es. آرةZ� tazkara ‘biglietto’ e

/d/ nei restanti casi es. ي� DM02ا ir-ragil dī ‘quest’uomo’.

/ṯ/ → ha anch’essa due varianti: /t/ es. Q(ر۔أ ’aktar ‘di più’ e /s/ nei classicismi

come nel caso di و0ةQ sawra ‘rivoluzione’.

Di seguito sono elencati i vocaboli in ordine alfabetico: nella prima colonna vi è il

termine in turco, nella seconda il termine nel dialetto egiziano con la relativa

trascrizione e nella terza il significato in italiano. Inoltre, la tabella 4 riporta i

prestiti che il turco ha ripreso dall’arabo (dialetto egiziano) mentre la tabella 5

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Tabella 4 – prestiti turco < arabo (dialetto egiziano).

esamina il prestito in senso opposto ovvero termini che il dialetto egiziano ha

mutuato dal turco.

119 Utilizzato però nelle espressioni come ر�ة�L=2��1 ا�2=-� اR أوي en-nahārda id-dunya zaḥma ’awi ‘oggi c’è

molto traffico’ altrimenti si preferisce 2م�' ‘ālam. 120 La moneta dell’Egitto è il pound egiziano. Una piastra corrisponde alla centesima parte di un pound. 121 Participio passivo di �0� baraka.

Turco Arabo Traduzione

aşk قS' ‘ašk ‘passione’

derece �Mر� daraga ‘grado’

dünya �-=� dunya ‘mondo’119

fincan "�M=@ finǧān ‘tazza’

hayvan "1-/ا ḥayawān ‘animale’

hesap � �<1 ḥisāb ‘conto’

imza �mإ�‘imḍā’ ‘firma’

kuruş 0شG ’ərš ‘piastra120, centesimo’

mendil - �kل� mendīl ‘fazzoletto’

meydan ان�-) mīdān ‘piazza’

resim 0>م rasm ‘disegno, dipinto’

tebrikler (pl.) �/9ر� mabrūk121 ‘congratulazioni’

ücret 0ةKأ’ugra ‘salario, costo’

yani +=,- ya‘nī ‘cioè’

zeytin "/�R zatūn ‘olive’

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Tabella 5 – prestiti turco > arabo (dialetto egiziano).

Turco Arabo Traduzione

araba �-90'‘arabiyya ‘automobile’

başmühendis د س=L��S�9 bēšāmuhandis

‘dottore’122

bey p-9 beyh ‘bey’123

çanta �P=S šanṭa ‘borsa, busta’

çorba �90H šurba ‘zuppa’124

efendim @مـا �= afandim ‘prego?’125

fıstık ق�<@ fustu’ ‘pistacchio’

köprü آو09ي kūbrī ‘ponte’

oda �m/أ ’ūḍa ‘stanza’

paşa �H�� bēşā ‘pascià’126

sofra 0ةe< sufra ‘tavola imbandita’127

sokak آ�< sikka (pl. sikak) ‘strada’128

usta XP<ا ’usṭā ‘capo’129

122 Da intendersi in senso lato, usato in segno di rispetto. Il termine è metà turco e metà arabo: دkL� . muhandis è originariamente arabo. 123 Usato con lo stesso significato di başmühendis. 124 L’origine è controversa; probabilmente deriva dal persiano �9ر/S šūrbā. 125 Chiedendo agli egiziani quando impiegano afandim, risponderanno che lo usano “per gioco”, quando

vogliono scherzare o prendersi in giro. 126 Stesso utilizzo di başmühendis e bey. 127 In Egitto ‘buon appetito’ si dice, tra l’altro, ��-0ة �اe< sufṛa dāyma (lett.: ‘che la tua tavola possa sempre

essere piena di cibo’). 128 Nella varietà egiziana denota anche i binari del treno: �1-� >آ� sikka ḥadīd, dove �-�1 ḥadīd vuole dire

letteralmente ‘ferro’ configurandosi, quindi, come un incrocio tra arabo e turco. 129 Secondo prestito, quindi in origine arabo. Si utilizza per chiamare un operaio o, nella maggior parte

dei casi, un tassista.

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Capitolo IIICapitolo IIICapitolo IIICapitolo III

Al di là dellaAl di là dellaAl di là dellaAl di là della lingua: le culture nel Mediterraneo orientale lingua: le culture nel Mediterraneo orientale lingua: le culture nel Mediterraneo orientale lingua: le culture nel Mediterraneo orientale

A questo punto, vogliamo dedicare la parte conclusiva della presente tesi ad altre

tipologie di contatto tra arabi e turchi. Finora si è parlato di contatti linguistici tra

le due parti, adesso poniamo l’attenzione su quelli di stampo culturale.

Il viaggio che mi ha condotto prima in Turchia e successivamente in Egitto mi ha

permesso di notare come taluni simboli, incisi, tradizioni nonché pietanze siano

comuni ad entrambi i luoghi. Sul piano contemporaneo si citano, invece,

l’esportazione di telenovele turche nel mondo arabo e l’impiego della satira per

discutere l’instabilità sociale – nel caso dei paesi arabi è ovvio il riferimento alle

cosiddette Primavere Arabe e alle loro conseguenze, mentre in Turchia la causa

risiede nella dilagante censura della stampa e dei mezzi di comunicazione.

Il paragrafo conclusivo, infine, riporta quali erano i rapporti tra le due popolazioni

all’inizio del Novecento e come sono cambiati nel corso del tempo.

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3.1. Simbo3.1. Simbo3.1. Simbo3.1. Simboli e amuletili e amuletili e amuletili e amuleti

L’Islam è una religione che non ha mai incoraggiato né l’uso di simboli né la

fioritura di un’iconografia; questo accade perché tale confessione preclude la

rappresentazione di esseri umani e animali, poiché dipingerli, scolpirli, raffigurarli

corrisponde a imitare la mano del Creatore. Bisogna, poi, ricordare che tale

mancanza è stata da sempre garantita dai musulmani più ortodossi il cui timore

era che un dato simbolo o un oggetto potessero trasformarsi in elementi di

adorazione.

L’arte islamica – avviata sotto la dinastia degli Omayyadi nel VII secolo – ha

aggirato il divieto attraverso l’uso artistico della calligrafia araba: la scrittura si è

sviluppata come motivo di decorazione in tutto il mondo musulmano, dall’India

alla Spagna130. Le moschee non presentano dipinti del Profeta bensì muri scolpiti

con la basmala, la šahāda131 e versetti del Corano scritti in stile cufico quadrato, dai

caratteri più geometrici e spigolosi, così come l’harem del sultano nel Palazzo

Topkapı è un trionfo di calligrafia araba in stile ṯuluṯ132 e motivi floreali su sfondo

blu. La calligrafia araba conosce, infatti, numerosi stili: oltre i già nominati cufico e

ṯuluṯ, si annoverano il nasḫī che è anche il più diffuso e rappresenta il “modus

scribendi” nella gran parte del mondo arabo, il muḥaqqaq, il rīḥānī, la ruq‘a, il dīwānī

e il tawqī‘133. Eppure vi è qualche simbolo e amuleto attribuito, a volte anche

130 Mion 2007, p. 68. 131 Dichiarazione di fede musulmana إ[ ا p&إ ]dا D/<��6 ر� / d lā ilāha illa Allāh wa Muḥammad rasūl Allāh

‘non c’è altro Dio all’infuori di Dio e Muḥammad è il suo Profeta’. 132 La parola significa “un terzo”: le lettere che non hanno uno sviluppo verticale sono alte un terzo di

queste ultime. 133 Mion 2007, p.69.

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erroneamente, al mondo islamico. Parliamo della mezzaluna vicino alla quale

compare spesso una stella, della mano di Fāṭima e dell’occhio detto di Mashallah,

ricorrenti in entrambi i luoghi da me visitati.

La storia della mezzaluna è controversa: vi è la convinzione sbagliata che essa sia il

simbolo dell’Islam. Alcuni, infatti, ritengono che la mezzaluna sia stata adottata

come araldo dai Saraceni – popolazione di religione musulmana – durante le

crociate, in contrapposizione alla croce cristiana. Altri, invece, presumono che

fosse un elemento ereditato dall’epoca della �-2ه�K Ǧāhiliyya, ‘ignoranza’,

precedente la venuta del profeta Muḥammad quando la luna era una divinità

venerata nell’Asia sud-occidentale134.

Entrambe le ipotesi sono errate e lo dimostra il fatto che solo nei territori un

tempo assoggettati al dominio ottomano si ritrova tale simbolo (ad esempio nelle

bandiere) quindi sarebbe da attribuire piuttosto all’Impero Ottomano. Questo

utilizzava come araldo la figura del ferro di cavallo che non fu affatto sostituito

quando i turchi cominciarono a convertirsi all’Islam nell’XI secolo, bensì quando

nel 1453 occuparono Costantinopoli, fino ad allora sotto il giogo dei Bizantini. Fu

qui che trovarono in uso il simbolo della mezzaluna con la stella a fianco e, certi di

trovarsi davanti all’emblema di grandezza qual era l’Impero Bizantino, lo

sostituirono al ferro di cavallo135. Quindi è più corretto attribuirne l’origine ai

Bizantini e la diffusione all'Impero Ottomano; gli Stati musulmani sulle cui

bandiere è ancora affissa la suddetta effigie sono Turchia, Turkmenistan, Maldive,

Azerbaigian, Pakistan, Uzbekistan, Algeria, Mauritania, Libia – dopo la caduta di

Gheddafi perché sotto la sua giurisdizione la bandiera era unicamente di color

134 Ridgeway 1908, p. 241. 135 Arnold 1928, p. 154.

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Figura 1

verde – e Tunisia. Aggiungiamo, inoltre, una delucidazione: in arabo ogni lettera

ha un valore numerico e il valore del termine arabo per mezzaluna, Diه hilāl,

coincide di fatto con quello di dا Allāh dal momento che le parole sono composte

dalle stesse lettere.

Per quanto riguarda la stella, è verosimile che essa rappresenti Muḥammad dacché

il suo nome nelle iscrizioni in stile ṯuluṯ è molto simile ad una stella a cinque punte

(vedi figura 1).

Lì dove i turchi non arrivarono ad estendere il proprio dominio, la mezzaluna è

praticamente inesistente e non compare sopra le cupole delle moschee, sovrastate

piuttosto da ornamenti a forma di spuntoni o sfere.

La cosiddetta mano di Fāṭima è un amuleto appeso alle pareti delle abitazioni arabe

e turche usato anche come accessorio da portare al polso o al collo, volto a

scongiurare gli influssi maligni ma è anche simbolo di serietà e autocontrollo.

Meglio nota nel mondo arabo come �<�q ḫamsa, ‘cinque’, è il residuo dell’antica

leggenda secondo cui Fāṭima, figlia di Muḥammad, vedendo il marito ‘Alī tornare

con una concubina, presa dalla gelosia, non si fosse accorta di avere la mano

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nell’acqua bollente perché il dolore causato da quella vista era più forte di quello

fisico. Le cinque dita potrebbero, inoltre, essere l’allegoria dei cinque pilastri

dell’Islam. Sorprendentemente, questo talismano è presente anche nel credo

ebraico ed è chiamato mano di Miriam, sorella di Mosè ed Aronne. חמש ḥameš, il cui

significato è sempre ‘cinque’ rappresenta, in questo caso, i libri della Torah –

Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio.

Infine il cosiddetto occhio di Allah, con la stessa finalità, è usato soprattutto in

Marocco e Turchia dove è chiamato nazar boncuk, ma lo si può vedere anche in

Grecia. Ha la forma di occhio umano, circolare, e combina i colori giallo e bianco su

sfondo blu. In Turchia si ritrova in ogni dove, nelle abitazioni così come nel

dolmuş136 vicino alla postazione del conducente, ma è particolarmente tipico a

Smirne. La diffusione che tale simbolo sta avendo in Turchia negli ultimi anni

dimostra che il suo significato si distacca progressivamente dal fattore religioso

per divenire oggetto decorativo. Questa scissione è, probabilmente, riconducibile

alla crescente re-islamizzazione della società turca in cui i musulmani più

ortodossi sono ostili all’iconografia per i motivi già esposti. La discussione è

affrontata anche in alcuni social forum dove i musulmani chiedono se è permesso

usare o meno questa icona, e le risposte non sempre sono moderate: alcuni

ritengono addirittura il suo impiego haram, ‘illecito’.

L’allontanamento dal significato originale è dimostrato, ad esempio, dalla

stilizzazione del nazar boncuk che appare nel logo di una nota compagnia telefonica

136 Minibus che effettuano un servizio più efficiente dei mezzi pubblici e conducono a destinazione in un

tempo minore. Il significato letterale, ‘pieno’, non è casuale: essi partono solo quando vi è un numero

sufficiente di passeggeri.

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turca o in combinazione con la crescente e la stella della bandiera turca. In certi

casi è stato, persino, rintracciato l’uso “invisibile” di questo portafortuna che non

appare sotto forma di occhio, come di consueto, ma ne vengono presi

esclusivamente i colori: molte volte, nelle sale addobbate per le occasioni speciali

come matrimonio o circoncisione, l’occhio non è rinvenibile nelle normali fattezze

ma attraverso le decorazioni di colore giallo, bianco e blu137. L’occhio può anche

trovarsi nel palmo dell’amuleto che riproduce la mano di Fāṭima , ma non nella

mano di Miriam nella quale si preferisce raffigurare la stella di David, a sei punte.

137 Lo studio è stato proposto in una conferenza dalla turcologa Gisela Procházka-Eisl che ha esaminato

l’uso del nazar boncuk a Nazarköy, una cittadina nei pressi di Smirne.

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3.2. Formule a sfondo religioso3.2. Formule a sfondo religioso3.2. Formule a sfondo religioso3.2. Formule a sfondo religioso

Gli schemi conversazionali nel mondo arabo divergono sensibilmente da quelli cui

un occidentale è abituato138. Infatti, analizzando lo scambio di battute tra più

persone si può constatare la presenza di numerose formule cristallizzate a sfondo

religioso139.

Come tra gli arabi, l’impiego di formule di saluto che hanno nel mezzo la parola

’Allāh ‘Dio’ è ricorrente anche tra i turchi, ma non è corretto affermare che questa

sia una prassi prettamente musulmana. Il ricorso alle formule che vengono qui

citate è una pratica quotidiana per musulmani e non. È necessario infatti ricordare

che il termine ’Allāh (articolo + sostantivo) non designa esclusivamente il Dio dei

musulmani ma è impiegato anche dagli arabi di confessione cristiana e

israelitica140.

Qui sono fornite le principali espressioni a sfondo religioso e brevi dialoghi – presi

prevalentemente dal dialetto egiziano – che permettono di comprendere meglio

come funzionano i saluti di rito quando ci si incontra.

Partendo dal Marocco, attraversando tutto il Nord Africa e risalendo verso la costa

nord-orientale del Mediterraneo fino ad approdare in Turchia, ci si accorge che le

interazioni interpersonali si discostano da quelle cui siamo abituati. Quindi, se in

138 Mion 2007, p. 140. 139 Mion 2007, p. 139. 140 Mion 2007, p. 16.

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Turchia può stupire che due amici camminino sotto braccio, si tenga conto che nei

paesi arabi è possibile vederne numerosi che passeggiano mano nella mano. Questi

sono esclusivamente modi di manifestare la loro amicizia ed il reciproco rispetto.

Cominciamo con d ��1&ا il-ḥamdullāh – forma dialettale del classico al-ḥamdu li-llāh –

‘grazie a Dio’, turco hamdallah, analizzato nel contesto di un breve scambio di

saluti.

A. is-salām ‘alaykum. A. ‘La pace sia su di voi’

B. wa-‘alaykum is-salām. B. ‘E su di voi’

A. ṣabāḥ il-full! A. Buongiorno! (lett.: mattina di gelsomini)

B. ṣabāḥ il-ward! B. Buongiorno a te! (lett.: mattina di rose)

A. izzayak? ‘āmil ē? A. Come va?

B. il-ḥamdullāh māši. w-inta? ē aḫbār? B. Grazie a Dio, bene. E tu? Che notizie hai?

A. kwayyis, il-ḥamdullāh. kullu tamām. A.Bene, ringraziando il Signore. Tutto

bene.

Si segnala, inoltre, che in arabo il-ḥamdullāh è usato anche quando si starnutisce e a

questo va risposto yarḥamkum ’allāh! ‘che Dio abbia misericordia di voi’.

Quando si parla di un progetto futuro si è soliti chiudere l’enunciato con dا �H "إ

’in šā’a llāh, turco inşallah, ‘se Dio vuole’, ad esempio:

- hašūfak bukra, ’in šā’a llāh!

‘Ci vediamo domani, se Dio vuole!’

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- kull sana w-inta tayyib w-‘u’bāl mīt sana, ’in šā’a llāh!

‘Buon compleanno e altri cento di questi anni!’

��dا �H mā šā’a llāh, turco maşallah, significa letteralmente ‘Ciò che Dio vuole’ ma le

circostanze in cui viene impiegato lasciano intendere che venga utilizzato

nell’accezione di ‘Che Dio benedica’ (qualcuno o qualcosa). Infatti, ci si avvale di

questa formula quando si è davanti ad un bambino, quando qualcuno mostra la

foto dei nipotini, quando si entra per la prima volta in una casa e, per finire,

quando si intende fare dei complimenti a qualcuno dall’aspetto grazioso.

mā šā’a llāh ricorre, inoltre, nella parte posteriore delle autovetture e dei mezzi

pubblici in segno di protezione accostato altre volte a incisi come Allah korusun

(lett.: Dio non voglia) in Turchia, oppure dا !<� bismillāh e d�� ]ة إ/G ] lā quwwata illā

billāh ‘non c’è altra potenza all’infuori di Dio’ in territorio arabo.

In caso di lieto evento, fidanzamento, matrimonio, laurea, le nostre

‘congratulazioni’ si esprimono con il participio passivo del verbo �0� baraka, �/9ر�

mabrūk, a cui si risponde �-e �0�9- dا ’allāh ybārik fīk ‘Dio benedica te’, laddove in

Turchia si usa replicare con un semplice teşekkürler ‘grazie’ preferibilmente seguito

da allocutivi del tipo canım ‘mio caro/mia cara’, tatlım ‘mia dolcezza’, kankacım

‘amico mio/amica mia’…

Per esternare il proprio stupore si dice semplicemente Aḷḷāh Aḷḷāh! nello stesso

modo in cui in Italia si esclama ‘Oddio!’ vedendo o ascoltando qualcosa di

incredibile, mentre un cortese dوا waḷḷāhi è impiegato per dire “no” ad una

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richiesta o per rendere i nostri ‘ti giuro su Dio’, ‘o mio Dio’. In Turchia eyvallah può

essere un modo gentile per dire ‘no, grazie’ quando qualcuno offre un aiuto o da

mangiare, coincidendo di fatto con waḷḷāhi:

A. çay ister misin? ‘vuoi del tè?’

B. eyvallah, sağol. ‘no, grazie’

oppure usato in sostituzione a hoşçakal ‘arrivederci’ in chiusura di conversazione,

ad esempio:

- hadi, eyvallah. ‘Io vado, ciao.

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67

3.3. Cucina3.3. Cucina3.3. Cucina3.3. Cucina

Come anticipato nel capitolo 2.3., questa breve sezione è dedicata alle tradizioni

culinarie che accomunano i gusti degli arabi a quelle dei turchi. Qui sono riportati i

nomi in entrambe le lingue e la descrizione di ogni singolo piatto.

Baklava (ar. وةiG9 baqlāwa): dolce fatto di strati di sottile pasta fillo – simile alla

pasta sfoglia – imbevuta di miele e cosparsa di pistacchi. In Turchia si

accompagna con kaymak, panna fatta di latte di bufala. Il significato

letterale è “diamante”, proprio come la forma in cui vengono ritagliati.

Burgul (ar. 9ر?ل burġul): grano duro bollito. Usato, generalmente, nella

preparazione di insalate fredde.

Çay (ar. ي�S šāy): tè. Si tratta solitamente di tè nero; è una sorta di “bevanda

nazionale”141: riveste la stessa funzione che ha il caffè in Italia, si beve

ovunque ci si trovi e quando viene offerto è sempre bene accettare. In

Egitto si accompagna con foglie di menta.

Çevirme (ar. ر��/�H šāwurma): indica letteralmente qualcosa che ruota. Nell’ambito

della cucina designa, infatti, la carne cotta al girarrosto. Nei paesi arabi il

termine è usato per esprimere quello che in Turchia è chiamato kebap che,

a sua volta, in arabo denota spiedini di carne.

Dondurma (ar. ر���=� dundurma): gelato. In Turchia ha una consistenza diversa dal

classico gelato: contiene un ingrediente chiamato mastic che lo rende

141 Al riguardo vi è un video sul sito You Tube, dal titolo “Yes, I Would Love another Cup of Tea | Evet Bir Bardak Daha

Çay İstiyorum” accessibile dal link <http://www.youtube.com/watch?v=yHfAkpoB8wY>.

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simile alle gomme da masticare. Grazie a questa consistenza, coloro che lo

servono per le vie della città, vestiti in abiti ottomani, si divertono ad

ammaliare il cliente facendo delle vere e proprie esibizioni: il cono gelato

– che non si scioglie – viene fatto volteggiare davanti all’acquirente che

deve riuscire a prenderlo.

Köfte (ar. ��eآ kufta): polpette di carne.

Künefe (ar. �@�k( kunāfa): dolce fatto di pasta kadayıf, miele , pistacchio e, all’interno,

formaggio fuso.

Pastırma (ar. ��0u<9 basṭirma): di origine armena, è un salume fatto di carne di

manzo affumicata con aglio e spezie.

Salep (ar. �21< saḥlab): bevanda dolce fatta di una farina ricavata da tuberi di

orchidee, diluita con latte (in alcuni casi anche con acqua). In Turchia si è

soliti aggiungere della cannella in polvere mentre in Egitto viene servito

mescolato con farina di cocco, uvetta e sesamo.

Sucuk (ar. BM< suǧuq): salsiccia insaporita con spezie quali cumino, peperoncino.

Trovandoci in ambiente musulmano la salsiccia, ovviamente, è fatta di

manzo e non di maiale.

Turşu (ar. +H0P ṭuršī): sottaceti serviti come antipasto. In Turchia il sostantivo

designa peperoncini verdi piccantissimi mentre in Egitto sono sottaceti

misti: peperoni, cipolle, carote, cetriolini in agrodolce.

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3.4. La Bollywood turca 3.4. La Bollywood turca 3.4. La Bollywood turca 3.4. La Bollywood turca e il dialetto siriano: un binomio vincentee il dialetto siriano: un binomio vincentee il dialetto siriano: un binomio vincentee il dialetto siriano: un binomio vincente

«.dوا �=L�9 �/ر /ا�/= D<2<� +@ �/�9 �=142«ا

Shorooq, commentatrice del blog Akel Hawa

« God spent five days creating you, Muhannad…the 6th day created the rest of the crew and

rested the 7th day watching us going crazy for you. »

Rasha, commentatrice del blog Akel Hawa143

È stata definita “Noormania” o, addirittura, “APOWD syndrome” (Arabic Psychotic

Obsession with Drama)144 la frenesia che vede la popolazione femminile del mondo

arabo impazzire davanti alle serie TV turche, in arabo �i<&<� musalsalāt, trasmesse

dalla MBC – Middle East Broadcasting Center – l’emittente televisiva panaraba i cui

proprietari hanno stretti legami con la famiglia reale saudita. Il tutto ha avuto

inizio nell’estate del 2008, quando venne mandata in onda la prima puntata di ر/=

Noor, titolo originale Gümüş ‘Argento’, una telenovela che in Turchia non aveva

riscosso alcun successo e che, invece, ha avuto grande popolarità nei paesi dal

Marocco all’Iraq seppur scatenando indignazioni, proteste e controversie tra gli

ambienti religiosi145.

Il successo di Noor ha potuto dimostrare come il pubblico arabo abbia iniziato ad

interessarsi al vicino paese turco, con il quale condivide un tumultuoso passato;

analizziamo, quindi, i motivi di tale interessamento e le principali reazioni.

142 ’anā bmūt fī musalsal Nūr w-әmūt bi-Muhannad waḷḷāhi ‘Vado pazza per la telenovela “Noor” e mi piace

da morire Muhannad, o mio Dio!’ 143 Dal blog < http://akelhawa.com/noor-pictures-of-muhanad/> (visitato il 20 gennaio, 2013). 144 Moussley 2008. 145 Salamandra 2012, p. 45.

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Noor altri non è che la protagonista dell’omonima musalsal, costretta ad unirsi in

matrimonio a Muhannad, l’attore turco che ha risvegliato sentimenti e sensazioni

nelle ragazze arabe. La relazione forzata tra i due si trasformerà in vero amore

dopo che Noor avrà affrontato una serie di ostacoli nella vita coniugale e

lavorativa, al fine di affermare se stessa come una donna indipendente e in

carriera. Il modo di vivere all’occidentale e la storia d’amore travagliata che si

snoda lungo le centocinquantaquattro puntate sono stati i fattori che hanno

attirato l’attenzione del pubblico tra Nord Africa e Penisola araba. Bisogna, poi,

considerare l’ambientazione: al contrario delle serie tv arabe girate all’interno

degli studi di produzione, gli attori di Noor così come i protagonisti di ع�-m2ا� ا/=<

Sanawāt Al-Ḍayā‘ ‘Gli anni perduti’ – un’altra soap importata il cui titolo originale è

però Ihlamurlar altında che significa piuttosto ‘Sotto i tigli’ – si muovono tra le vie

di Istanbul con i suoi scenari suggestivi146 quali il ponte sul Bosforo, la Moschea Blu

con i sei minareti, la torre di Galata e così via.

Dati forniti dal Ministero turco della Cultura e del Turismo rivelano un afflusso di

turisti arabi verso la Turchia, specialmente verso i luoghi che gli spettatori

avevano visto in tv, e più di un terzo di essi risulta provenire dai paesi del Golfo147.

Ma ciò che più di ogni altra cosa ha provocato una risposta positiva da parte degli

ottantacinque milioni di spettatori che hanno seguito l’ultima puntata della serie

televisiva, è stato l’utilizzo del dialetto siriano nel doppiaggio a differenza delle

146 Buccianti 2010. 147 I dati sono consultabili dal sito del Ministero turco della Cultura e del Turismo

<http://www.kultur.gov.tr/EN,36568/number-of-arriving-departing-foreigners-and-citizens.html>

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telenovele messicane e di molte altre doppiate solitamente in arabo standard; una

ragazzina saudita di sedici anni riferisce:

“I feel like in an Arabic literature class when I watch Mexican shows, but when I

watch Noor, I definitely feel that it is entertainment”148.

La novità più grande è stata la scelta di doppiare l’intera serie nella varietà

dialettale siriana, affidata agli studi di produzione Sama, a Damasco, piuttosto che

in quella egiziana; l’Egitto è, infatti, al primo posto nel mondo arabo per la sua

produzione cinematografica i cui albori risalgono all’inizio del XX secolo. Il

registro utilizzato è informale senza mai divenire volgare e molti siriani ricorrendo

alla nozione di Damasco quale �9�=2ا�9/0,2 ا �2G qalb al-‘urūba al-nābiḍ ‘cuore

pulsante del nazionalismo arabo’ perché culla della lingua araba classica,

ritengono che l’uso del dialetto metta in pericolo l’unità della ’umma araba.

Tuttavia, a prescindere dalla musalsal turca, negli ultimi anni si sta assistendo

all’impiego del dialetto siriano nei cartelloni pubblicitari, nei dépliants e negli

inserti all’interno dei quotidiani a causa di imperativi commerciali di pubblicitari

interessati ad estendere il messaggio a tutti149.

Nel caso delle telenovele, l’uso del dialetto ha avvicinato lo spettatore alle vicende:

soprattutto per le donne, tali serie tv rappresentano un momento di evasione dalla

routine quotidiana. Una telenovela come Noor, infatti, conserva ancora gli aspetti

tradizionali quali il rispetto per i più anziani, la presenza del capofamiglia, il

digiuno nel mese di Ramadan, aspetti comuni ad arabi e turchi, ma li pone in un

contesto moderno poiché vi affianca figure come quella della donna in carriera, il

148 Dagge 2008. 149 Langone 2008, p. 132.

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rapporto equo tra marito e moglie e temi quali relazioni extra-coniugali, sesso pre-

matrimoniale, alcool e aborto.

Per i motivi appena elencati la versione originale di Noor è stata modificata e resa

più adatta e conforme alle regole dei paesi arabi censurando diverse scene dai

contenuti troppo espliciti. Eppure, gli ambienti più conservatori non hanno

ritenuto soddisfacente il grado di censura e, temendo la diffusione dei modi e delle

maniere occidentali tra la popolazione araba, hanno divulgato diverse ى/��@

fatāwā150, sentenze fornite da un +E@� muftī cioè un esperto di legge che pronuncia

pareri giuridici su questioni contemporanee per le quali né il Corano né la Sunna

possono dare soluzioni. Nel caso in questione, la fatwā più allarmante è giunta

dallo sceicco Sāleḥ Al-Loḥaidān, capo del tribunale islamico nel Regno Saudita,

dichiarando che i proprietari dei canali che trasmettono tali programmi, legati per

altro alla famiglia reale, dovessero essere condannati a morte151.

Ora che dalla prima puntata di Noor sono trascorsi ormai quattro anni, il “ciclone”

turco sembra essersi calmato. Le musalsalāt turche continuano comunque ad essere

trasmesse tre volte al giorno sul canale MBC 4 e ad avere successo nei paesi arabi

sebbene non nella stessa misura della soap pioniera: dopo di essa è stata la volta di

Aşkı memnu ‘Amore proibito’ – da notare l’origine araba dei due vocaboli, tanto da

far restare invariato il titolo ا��2=/ع BS,2ا Al-‘ašq al-mamnū‘ – Kurtlar vadısı ‘La valle

dei lupi’ in arabo ��7ادي ا2ذ/ Wādī al-ḏi’āb, Dudaktan kalbe ‘Dalle labbra al cuore’ resa

nel mondo arabo come �2G ��G� Daqqāt qalb ‘Batticuore’ e molte altre ancora.

150 Nel mondo occidentale il termine fatwa ricorda la sentenza di morte emessa nel 1989, smentita nel

1998, dall’ayatollah Ruhollah Khomeini nei confronti di Salman Rushdie accusato di aver offeso l’Islam e

il Corano nella sua opera “I Versi Satanici”. 151 Buccianti 2010.

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Infine, tra l’ottobre e il novembre 2012, ovvero durante la mia permanenza a Il

Cairo, le serie tv turche trasmesse sullo stesso canale risultavano essere D-ا-ز Ezel e

X&' ‘Alā marr al-zamān ‘Lungo il corso del tempo’, dove espressioni come šū �0 ا&ز��"

fī? ‘che c’è?’, šū ismek? ‘come ti chiami?’ e kīfak? ‘come stai?’ fanno intuire che si

tratti ancora una volta di dialetto siriano.

Le musalsalāt possono essere intese come un buon pretesto affinché gli arabi si

riavvicinassero agli eredi della cultura ottomana dopo le varie diatribe susseguitesi

dagli anni della Prima Guerra Mondiale fino alle porte del duemila (si veda, al

riguardo, il cap. 3.6.). Esse, inoltre, hanno stimolato l’esportazione di produzioni

televisive arabo-siriane in Turchia come quella sulla vita di Saladino dal titolo

Ṣalāḥ al-Dīn al-Ayyūbī, doppiata in turco, e l’utilizzo del dialetto in altri programmi

televisivi quali i talk show politici, soprattutto in Egitto e Libano152.

152 Buccianti 2010.

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3.5. 3.5. 3.5. 3.5. La satira come strumento di protestaLa satira come strumento di protestaLa satira come strumento di protestaLa satira come strumento di protesta

Buona parte dei paesi arabi come l’Egitto di Morsi, la Siria di Al-Assad, la Tunisia di

Marzouki, è da tempo dilaniata da violenti conflitti interni. I movimenti sono

iniziati nel dicembre 2010 quando un malcontento latente culmina nella decisione

di un mercante tunisino di darsi fuoco per protesta contro il sequestro della sua

merce da parte della polizia. Da questo evento prendono forma rivolte popolari e

giovanili che chiedono le dimissioni del ra’īs Ben ‘Alī e che si estendono

rapidamente a Egitto, Libia, Siria… Tali rivolte, confluite nel grande movimento

noto con il nome di Primavera Araba – ,&�0+۔ا Uا&�0- al-Rabī‘ al-‘Arabī – sono state e

continuano ancora a rappresentare la delusione dei giovani arabi per la mancanza

di lavoro, libertà e giustizia. Dopo il trionfo ottenuto con il rovesciamento dei

pluriennali regimi dittatoriali, ad eccezione della Siria, in questi paesi sono state

indette nuove elezioni politiche che hanno perlopiù visto salire al potere la

componente islamica i cui programmi politici continuano a rendere insoddisfatti

gli arabi. Tant’è che ad oggi, due anni dopo l’inizio degli scontri, sembra essere di

nuovo al punto di partenza: presidi, scioperi e manifestazioni di piazza sono

all’ordine del giorno e quasi sempre repressi violentemente.

Diversa è la situazione della Turchia dove le problematiche sono altre. Prima di

tutto, una limitata libertà di espressione nella stampa e nei mass media che fa

figurare la nazione tra le ultime posizioni su scala mondiale nella classifica stilata

dall’organizzazione non governativa internazionale Reporters sans frontières. La

“campagna” di intimidazione è svolta soprattutto contro la stampa indipendente,

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curda e di sinistra, ed è il frutto dell’articolo 1 della legge contro il terrorismo

definito come «ogni atto compiuto da una o più persone appartenenti alla stessa

organizzazione che ha come scopo (…) quello di mettere in pericolo lo Stato Turco

e la Repubblica (…) con mezzi di pressione, forza e violenza, intimidazione,

oppressione o minaccia». Partendo da tale principio molti giornalisti sono arrestati

con l’accusa di essere membri di organizzazioni terroriste o di supportare le

attività del PKK, Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Quella del riconoscimento dei

curdi è, infatti, l’ennesima questione per cui la Turchia esita a trovare una

soluzione e a porre le basi per un dialogo. Questo delinea i due volti della medaglia:

da un lato una società civile proiettata verso l’Europa, contrapposta ad un governo

che sembra voler zittire tutte le voci d’opposizione; dall’altro una nazione

considerata un modello dai paesi arabi del Mediterraneo, ma che prima di tutto

deve fare i conti con se stessa.

Qui non si intende mettere a confronto la realtà del mondo arabo e quella della

Turchia bensì analizzare uno dei modi di cui due distinte società si servono per

mettere in luce cos’è che non va: la satira impiegata nelle vignette. Mi è sembrato

prima di tutto opportuno spiegare perché si è deciso di dare un certo peso alla

caricatura in riferimento ai territori di cui sopra.

Sfogliando un quotidiano arabo, la prima cosa che salta all’occhio è che gli articoli

sono scritti in arabo classico ma spostando lo sguardo sulle vignette umoristiche si

intuisce subito che la lingua usata non è più l’arabo standard bensì la ‘āmmiyya,

spiegata nell’introduzione del secondo capitolo. La scelta non è assolutamente

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casuale ma fa parte dell’intento dei fumettisti di riprodurre la realtà linguistica

degli arabi153: così facendo il messaggio è inteso dalla maggioranza e, inoltre, il

lettore si sente vicino a quel modo di parlare e quindi partecipe dell’argomento

trattato154. L’ironia, ovviamente, ha il potere di alleggerire il peso di quelle

problematiche e si coglie quando il lettore conosce bene il contesto di riferimento.

Altro discorso è quello della Turchia. La caricatura è quasi assente nei quotidiani

ma fiorisce separatamente in veri e propri settimanali; oggi si contano circa venti

testate umoristiche tra cui le più famose sono Penguen, Uykusuz e LeMan155. Tali

riviste sono lette soprattutto da un pubblico giovane la cui età va dai dieci ai

trentacinque anni e principalmente ridicolizzano i luoghi comuni e le convenzioni

sociali; nelle coloratissime pagine di questi giornali vi prendono parte animali

parlanti, imam, personaggi eccentrici o cartoni animati mentre la copertina è

sempre riservata ad un fatto di attualità o di politica, anche se nell’ultimo caso i

disegnatori devono fare molta attenzione se non vogliono incorrere in cause

giudiziarie. Accade, infatti, che intimoriti da una politica così restrittiva sulla

libertà di espressione, scrittori e disegnatori giungano ad autocensurarsi.

3.5.1. La caricatura in Egitto3.5.1. La caricatura in Egitto3.5.1. La caricatura in Egitto3.5.1. La caricatura in Egitto

Le vignette prese in esame in questa prima parte sono state ricavate

principalmente dal quotidiano nazionale egiziano !0ي ا&-وv�&ا Al-Maṣrī Al-Yōm

153 De Blasio 2008, p. 73. 154 De Blasio 2008, p. 80. 155 Mat 2010.

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‘L’egiziano oggi’ tra ottobre e novembre 2012, in aggiunta ad altro materiale

trovato sulla versione elettronica del medesimo.

Figura 2: vignetta di Abd Allah

Testo

- šahīd w-‘ašrāt il-muṣābīn fī aḥdāṯ Muḥammad Maḥmūd iṯ-ṯānya -

mustašfā segn Ṭora: «Ahi, ahi…nafs illi kān bi-yiḥṣal fī ‘ahdi…yisaggnūnī lēh ba’ā?!»

Traduzione

- Un morto e decine di feriti negli avvenimenti di via Mohammed Mahmud II -

Dall’ospedale del carcere di Tora: «Ahh! Sta succedendo la stessa cosa che

succedeva sotto il mio regime…perché io sono stato arrestato?!».

Osservazioni

La vignetta si prende gioco dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak,

attualmente confinato nel carcere di Tora – quartiere periferico del Cairo – . Gli

avvenimenti a cui si riferisce il titolo, sarebbero gli scontri verificatisi in una via

vicino piazza Tahrir dove i manifestanti si sono riuniti per protestare contro i

Fratelli Musulmani; la polizia ha sparato sulla folla causando una vittima.

La preposizione b- antecedente il verbo al tempo presente, indica un’azione che si

sta compiendo nel momento in cui si parla. lēh è il tema interrogativo ‘perché?’

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posto alla fine e ba’ā significa letteralmente ‘quindi’ ma in casi del genere non si

traduce; usato come verbo XG9-XG9- ba’ā - yib’ā significa ‘diventare,essere’.

Figura 3: vignetta di Muṣṭafā Sālem

Testo

«’albī ḥāsis ’innu mašrū‘ en-nahḍa nagaḥ…w-b-iktisāāāḥ!»

-’iġlā’ drīm; -kārisat Āsyūṭ; -il-‘udwān ‘alā Ġaza; -’iḍrābāt; -Sīnā’; -’azmat id-dustūr.

Traduzione

«Sento che il mio programma di rinascita sta procedendo alla grande…e si allarga!»

- chiusura del canale Dream; - strage di Assiut; - attacco a Gaza; - scioperi; - Sinai;

- crisi della Costituzione.

Osservazioni

Il caricaturista Muṣṭafā Sālem ridicolizza il nuovo presidente Morsi che, secondo

l’opinione comune, a quasi un anno dall’inizio del suo mandato, non ha ancora

promulgato leggi per migliorare la situazione del paese. Quelle elencate erano le

questioni più spinose nel novembre 2012 a cui il governo sembrava non voler dare

risposte: un canale televisivo privato dichiarato fuori legge, il treno deragliato ad

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Assiut che ha provocato la morte di cinquanta bambini, l’assenza di una nuova

Costituzione adatta all’Egitto moderno.

Figura 4: vignetta di Andeel

Testo

TV: «nā’ib qibṭī…w- nā’iba ’imrā’a…»

Morsi: «huwa it-tilfizyūn lissa bi-yigīb il-ḥāgāt il-’adīma di?»

Traduzione

TV: «deputati copti…e deputati donne...»

Morsi: «La televisione ancora ripete queste cose vecchie? »

Osservazioni

Il disegnatore Andeel ritrae Morsi in due momenti differenti: in tv, durante la

campagna elettorale, e seduto sulla poltrona di casa in un momento attuale. La

caricatura vuole comunicare che le promesse fatte da quest’uomo durante la

campagna non sono state mantenute. Nel caso particolare, il presidente si

impegnava a dare rappresentanza ai copti e alle donne ma ancora nulla è stato

fatto al riguardo. In Egitto i copti rappresentano il 10% della popolazione quindi

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una componente non trascurabile. Dal punto di vista grammaticale دي dī è la forma

dialettale abbreviata e è posposta di #Zه hāḏihi ‘questa’.

Figura 5: vignetta di Andeel

Testo

- la‘bet il-’iḫtilāfāt-

’istiḫrig illi rabbina yi’arrarak ‘alēh min ’iḫtilāfāt bēn iṣ-ṣūratēn.

Traduzione

- Trova le differenze -

In nome di Dio, trova ciò che ritieni sia diverso tra le due foto.

Osservazioni

L’ultima vignetta proposta mette a confronto due figure che non piacciono al

popolo egiziano: Morsi a sinistra e Mubarak a destra, entrambi con lo sguardo

accigliato, in giacca e cravatta. Il messaggio, evidente, è che il nuovo capo di

governo è come l’ex dittatore tanto da essere stato soprannominato “Faraone” per

aver ampliato oltremodo i suoi poteri.

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3.5.2. La caricatura in Turchia3.5.2. La caricatura in Turchia3.5.2. La caricatura in Turchia3.5.2. La caricatura in Turchia

La seconda parte, invece, verte sul materiale reperito in Turchia. Le vignette qui

esaminate sono state prese dalla testata umoristica Penguen e riguardano gli eventi

principali del 2012.

Figura 6: copertina di Penguen del 30/08/2012

Traduzione

Il vice Primo Ministro Bülent Arınç afferma che in Turchia ci sia abbastanza libertà

di stampa.

B. Arınç: «C’è abbastanza libertà di stampa in Turchia.»

Giornalista: «Cosa intende per “abbastanza”?»

B. Arınç: «Una volta ve n’era un po’ e i tuoi vecchi colleghi ne usufruivano. Adesso

taci!»

Osservazioni

La vignetta ha il potere di scatenare un riso amaro: fa ridere e riflettere allo stesso

tempo. Come già anticipato, la libertà di espressione e di stampa è a rischio in

Turchia e questo non accade soltanto attualmente ma ha una storia passata. Il vice

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ministro afferma “ce n’era un po’”: quel poco a cui si riferisce è quello

dell’informazione controllata da Atatürk nei primi anni della Repubblica e quello

dopo il colpo di Stato dove i militari decidevano se una notizia poteva essere resa

nota.

Figura 7: vignetta di Faruk Selçuk

Traduzione

Il Primo Ministro Erdoğan, il cui disappunto nei confronti della serie tv Muhteşem

Yüzyıl non accenna a svanire, coglie ogni occasione per criticare il programma.

Erdoğan : «La mia serie tv preferita sta per iniziare, devo andare a casa…»

Osservazioni

Il caricaturista scherza sul dibattito creatosi in Turchia dall’uscita della serie tv

“Un magnifico secolo” che narra la vita del sultano Solimano il Magnifico

descrivendone le gesta ma anche i vizi. Un episodio inizia con un combattimento e

finisce con schiavi trattati come animali o con il sultano circondato di concubine156

e a questo si oppongono soprattutto i partiti più conservatori, preoccupati che tale

156 Paris 2011.

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programma possa dare un’immagine negativa del personaggio e danneggiare i

valori dell’Impero Ottomano. Le famiglie turche, al contrario, sembrano

apprezzare la serie anche per i costumi e le sceneggiature e contrarie alla

sospensione del programma come annunciato da Erdoğan.

Figura 8: copertina di Penguen del 25/10/2012

Traduzione

Il rapporto stilato dalla Commissione Internazionale per la Protezione dei

Giornalisti – CPJ – rivela che la Turchia sta attraversando una fase difficile dove i

giornalisti sono arrestati e opponendosi si rischia di essere accusati di criminalità.

«Anch’io sono interessata ai giornali, va bene?»

(Sul quotidiano) Erdoğan ha perfettamente ragione. Come pecora, non ho mai

incontrato un uomo simile a lui prima d’ora! Quell’uomo è così misterioso.

Osservazioni

Ancora una volta la copertina è riservata ad una questione d’attualità che è di

nuovo quella della libertà di espressione. Questa volta a parlare è una pecora e

l’allegoria è doppia:

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1) questa edizione del settimanale è stata pubblicata nella festività del Kurban

Bayram157 celebrata con l’uccisione di un agnello che secondo la tradizione

musulmana si divide in tre: una parte per i poveri, una parte per gli ospiti e i vicini

di casa, l’ultima parte per la famiglia.

2) in Turchia dare della “pecora” a qualcuno equivale all’incirca al dare

dell’“asino” in italiano: si usa come insulto ad una persona poco attenta ai fatti che

la circondano. Nel disegno, per assurdo, anche le pecore si interessano ai fatti

attuali.

157 Festa molto simile alla nostra Pasqua che ricorda il sacrificio di Abramo che stava per offrire il figlio

Isacco a Dio, quando questo lo fermò. Contrariamente da quanto si possa pensare, tali figure sono

presenti anche nell’Islam e in arabo tale festività ha il nome di X1mxا �-'‘īd al-’aḍḥā.

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3.6. L’evoluzione dei rapporti arabo3.6. L’evoluzione dei rapporti arabo3.6. L’evoluzione dei rapporti arabo3.6. L’evoluzione dei rapporti arabo----turchi dalla Prima Guerra Mondialeturchi dalla Prima Guerra Mondialeturchi dalla Prima Guerra Mondialeturchi dalla Prima Guerra Mondiale alle alle alle alle

porte del nuovo millennio: giudizi a confronto porte del nuovo millennio: giudizi a confronto porte del nuovo millennio: giudizi a confronto porte del nuovo millennio: giudizi a confronto

Nel novembre del 1918, terminata la Prima Guerra Mondiale, iniziarono a

decretarsi gli esiti di più di quattro anni di catastrofici conflitti. Oltre a contare il

numero delle perdite era anche il momento di ristabilire i confini delle nazioni e

degli imperi158 che vi avevano preso parte. Tra questi ultimi, l’Impero Ottomano

vedeva ridursi drasticamente il territorio perdendo definitivamente l’attuale Siria

– escluse le province della Turchia dove, infatti, è parlato l’arabo – Iraq, Libano e

Israele-Palestina, in aggiunta ad alcune regioni che riconquistò pochi anni dopo.

Questo breve quadro storico si propone di esporre i motivi principali che, da

questo momento, portarono turchi e arabi ad allontanarsi progressivamente ed i

reciproci pregiudizi fino a quando, nel 2002, si è assistito ad un cambiamento di

rotta.

Fino a non molto tempo fa, i turchi muovevano agli arabi l’accusa di essere stati i

primi responsabili della caduta dell’Impero Ottomano per aver dato il proprio

appoggio a Regno Unito e Francia – nel 1916 – dai quali avevano ricevuto la

promessa del’indipendenza qualora avessero combattuto contro Istanbul159. A

questa, poi, si aggiungeva la condanna nei confronti del popolo arabo di essere

arretrato perché annichilito da un’eccessiva religiosità e dall’astio per la

modernità occidentale. Per contro, gli arabi reagivano accusandoli di averli resi

158 Impero Tedesco, Impero Austro-Ungarico, Impero Ottomano e Impero Russo. 159 Evento ricordato col nome di Rivolta Araba coordinata dall’ufficiale britannico noto come Lawrence

d’Arabia che, tra l’altro, ebbe il merito di mobilitare gli arabi del Ḥiǧāz contro i turchi.

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schiavi sotto l’impero e di non essere veri musulmani dal momento che non

parlavano l’arabo, lingua del Corano160. Le ostilità si intensificarono nel 1923, anno

di nascita della Repubblica Turca con la conseguente adozione di una costituzione

repubblicana che poneva come primo obiettivo la definizione dello Stato turco

come Stato laico: abolizione delle scuole a base confessionale, cancellazione delle

confraternite mistiche (tekke), riorganizzazione di programmi scolastici ispirati al

principio di laicità161. Le concessioni in materia religiosa poterono riprendere negli

anni Ottanta quando vi fu un colpo di Stato militare, sulla scia della rivoluzione

islamica verificatasi nel 1979 in Iran dove l’ayatollah Khomeini depose il governo

filo-occidentale dei Pahlavi162. Questa rivolta accese gli animi dell’intero mondo

musulmano e, in Turchia, portò all’establishment di governi dove l’Islam

rappresentava un elemento fondante dell’identità turca, fino ad arrivare al 2002

con la salita dell’AKP al potere, cioè di un partito che ha continuato a dare un certo

peso alla matrice religiosa. Lungi dal voler parlare di questioni politiche, si

consideri soltanto che tali circostanze hanno migliorato i rapporti tra i due popoli

in questione. Vari studi, condotti dagli istituti SETA163(riferiti all’anno 2010) e

TESEV164 (riferiti all’anno 2011) lo rivelano.

Il SETA è un istituto che conduce ricerche sulla società turca e approfondisce le

relazioni tra la Turchia e le regioni della stessa area geografica. La ricerca

160 Gokcek 2010, p. 7. 161 Pizzo 2012, p. 63. 162 Pizzo 2012, p. 64. 163 Siyaset, Ekonomi ve Toplum Araştırmaları Vakfı ‘Fondazione per la ricerca politica, economica e sociale’

accessibile dal sito <http://setadc.org/reports/284-research-report-qarab-image-in-turkeyq>. 164 Türkiye Ekonomik ve Sosyal Etüdler Vakfı ‘Fondazione turca per gli studi economici e sociali’ accessibile

dal sito <http://www.tesev.org.tr/en/publication/the-perception-of-turkey-in-the-middle-east-2011>.

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effettuata nel giugno 2010 riferisce che tra i turchi le generazioni più vecchie sono

le uniche restie ad avere un’idea negativa degli arabi. La cultura araba così come la

produzione scritta non sono molto note al pubblico turco ma questo è attribuibile

al fatto che vi sono poche traduzioni. Quasi la metà degli intervistati dimostra,

però, di essere interessato ad imparare l’arabo.

Lo studio, inoltre, approfondisce il ritratto degli arabi nei libri di storia turchi e nei

film. Nel primo caso, l’immagine dell’altro è stata a lungo negativa e gli arabi erano

conosciuti come un popolo traditore, senza rispetto per i diritti delle donne e con

una forte egemonia maschile. Dagli anni Novanta i libri di testo iniziarono ad

essere scritti in maniera più oggettiva allontanandosi da questi stereotipi165.

Nell’altro caso di studio, la cinematografia, sono stati presi in considerazione film

di diverse epoche e l’esame di questi ha dimostrato che il cinema turco ha

raffigurato le altre nazioni in base ai fatti storici del tempo. Il ritratto degli arabi

non è monolitico ma dipende dal contesto e, in buona parte, anche dal pensiero del

produttore; pertanto accade che talora l’arabo sia raffigurato come un ricco uomo

d’affari che vende a caro prezzo il petrolio ricavato dal proprio sottosuolo –

immagine popolare soprattutto nel 1970, in corrispondenza con la crisi petrolifera

– e talora come un uomo oppresso, disagiato, privato della sua terra –

rappresentazione che segue l’invasione americana in Iraq166.

Il TESEV affronta le perlopiù le stesse questioni, interessandosi soprattutto ai temi

della democrazia e della politica estera turche, dando spazio ai rapporti

intrattenuti con le nazioni vicine. Lo studio condotto nel 2011 riporta che il 78%

165 Küçükcan 2010, p. 10. 166 Küçükcan 2010, p. 11.

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degli arabi intervistati ha un’opinione positiva sulla Turchia. Il sistema

democratico e l’economia del paese sono i fattori che aiutano a considerare tale

nazione come un buon modello per gli Stati arabi. Gli arabi ritengono che la

Turchia debba rivestire il ruolo di mediatore nel conflitto arabo-israeliano e che

possa essere un esempio di coesistenza tra Islam e democrazia167. Dal loro punto di

vista, inoltre, l’economia turca tra dieci anni sarà la più solida nell’area medio-

orientale, prevalendo persino su quella saudita che è attualmente la più robusta168.

Alla domanda “Perché la Turchia non può essere presa a modello?” la ricerca

mette in luce anche i pareri negativi degli arabi, i quali trovano che la Turchia non

sia sufficientemente musulmana; a questo si unisce il comportamento del popolo

arabo prevenuto nei confronti delle relazioni con l’Occidente e del passato

imperialista169. Infine, la condanna della Turchia alla politica israeliana adottata

nei confronti dei palestinesi in seguito all’incidente della Freedom Flotilla170, ha

esacerbato il consenso arabo a questa nazione sospesa tra Oriente e Occidente.

167 Akgün, Gündoğar 2011, p. 20. 168 Akgün, Gündoğar 2011, p. 23. 169 Akgün, Gündoğar 2011, p. 21. 170 Il 31 maggio 2010 una nave turca diretta a Gaza per portare aiuti ai palestinesi viene attaccata

dall’esercito israeliano.

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RingraziamentiRingraziamentiRingraziamentiRingraziamenti

Innanzitutto, desidero ringraziare il Prof. Giuliano Mion per i consigli forniti in merito a

questo elaborato e per aver trasmesso, in questi tre anni, la passione impiegata nello studio

della lingua araba, rendendola interessante sotto ogni aspetto. Ringrazio anche la

correlatrice, Prof.ssa Elvira Diana, per l’interesse dimostrato verso l’argomento di questa

tesi.

Un caloroso ringraziamento alla mia famiglia per i suoi sforzi e la sua tenacia e per avermi

dato fiducia nelle mie scelte, specialmente le più coraggiose.

Grazie a Maria Giulia per l’interminabile incoraggiamento, la sua allegria e la costante

presenza nonostante i trecento chilometri di distanza.

Ultimo, ma non per questo meno importante, il mio ringraziamento a Giulia e Cristina per

aver mantenuto solido e sincero il legame di amicizia che ci lega sin dal liceo.

Infine, ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato a capire e superare le numerose

complessità linguistiche riscontrate nel corso della stesura.

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GrazieGrazieGrazieGrazie