italiana in algeri libretto
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libretto of the opera by rossiniTRANSCRIPT
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GIOACHINO ROSSINI
L’ITALIANAIN ALGERI
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA
M O N D O Verlags GmbH Cosimastrasse, 4 D-81927 M nchenMUSICA Tel. 0049 89 99750883 Fax 0049 89 99750884
U N OPERA IN ONORE DI
LUCIA VALENTINI TERRANI
GIOACHINOROSSINI
LACENERENTO
LA
L. 10.000 (IVA L. 600)
E 5.16
L’ITALIANA IN ALGERI
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA
2
Gioachino Rossini ritratto da T. Bettelli, 1818 (Bologna, Civico museo bibliografico musicale).
3
XIX STAGIONE LIRICA DI PADOVA
In ricordo di Lucia Valentini Terrani
L’ITALIANA IN ALGERI
dramma giocoso in due atti diANGELO ANELLI
musica diGIOACHINO ROSSINI
PADOVA - TEATRO VERDIVenerdì 15 settembre 2000, ore 20.45
Domenica 17 settembre 2000, ore 16.00Martedì 19 settembre 2000, ore 20.45
REGIONE DEL VENETO
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA
COMUNE DI PADOVA - ASSESSORATO ALLA CULTURA
in collaborazione conTEATRO STABILE DEL VENETO
4
——————
Edizioni dell’Ufficio Stampadel TEATRO LA FENICE
Responsabile Cristiano Chiarot
A questo volume hanno collaborato:Carlida Steffan,
Pierangelo Conte, Giorgio Tommasi
Ricerca iconograficaMaria Teresa Muraro
5
SOMMARIO
7LA LOCANDINA
11IL LIBRETTO
38ARGOMENTO
41ADRIANO CAVICCHI
IL GIOCATTOLO SONORO DI ROSSINI TRA EROS E AMOR DI PATRIA
52BIOGRAFIE
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Lucia Valentini Terrani interprete del ruolo di Isabella nell’allestimento firmato da Pier Luigi Pizzi.Montecarlo, Teatro dell’Opera, 1990.
7
LA LOCANDINA
LL’’IITTAALLIIAANNAA IINN AALLGGEERRIIdramma giocoso in due atti di
ANGELO ANELLI
musica di
GIOACHINO ROSSINI
personaggi ed interpreti
Mustafà LORENZO REGAZZOLindoro ANTONINO SIRAGUSAIsabella LAURA POLVERELLI
Elvira ANNA CARNOVALIZulma DANIELA PINI
Haly ANTONIO DE GOBBITaddeo BRUNO DE SIMONE
maestro concertatore e direttore
CLAUDIO SCIMONE
regia, scene e costumi
PIER LUIGI PIZZI
regista collaboratore
MARIO PONTIGGIA
light designer recitativi al cembalo
FABIO BARETTIN SILVANO ZABEO
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO LA FENICEdirettore del Coro GIOVANNI ANDREOLI
maestro del Coro ALBERTO MALAZZI
allestimento del Teatro dell’Opera di Montecarlo
8
direttore musicale di palcoscenico GIUSEPPE MAROTTAdirettore di palcoscenico PAOLO CUCCHI
responsabile allestimenti scenici MASSIMO CHECCHETTOmaestri di palcoscenico ILARIA MACCACARO e ALDO GUIZZO
maestro suggeritore PIERPAOLO GASTALDELLOmaestro alle luci MARIA CRISTINA VAVOLO
capo macchinista VALTER MARCANZINcapo elettricista VILMO FURIAN capo attrezzista ROBERTO FIORIcapo sarta MARIA TRAMAROLLO
responsabile della falegnameria ADAMO PADOVANcapogruppo figuranti CLAUDIO COLOMBINI
scene e costumi TEATRO DELL’OPERA DI MONTECARLOattrezzeria TEATRO DELL’OPERA DI MONTECARLO/RUBECHINI (FI)
calzature BIAGIO (MI)parrucche MARIO AUDELLO (TO)
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Lucia Valentini Terrani interprete del ruolo di Isabella nell’allestimento firmato da Pier Luigi Pizzi.Montecarlo, Teatro dell’Opera, 1990.
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Frontespizio del libretto per la prima rappresentazione assoluta de L’italiana in Algeri. Venezia, TeatroS. Benedetto, 22 maggio 1813.
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IL LIBRETTO
L’ITALIANA IN ALGERIdramma giocoso in due atti
di
ANGELO ANELLI
12
ppeerrssoonnaaggggii
MUSTAFÀ, Bey d’Algeri
LINDORO, giovine italiano, schiavo favorito di Mustafà
ISABELLA, signora italiana
ELVIRA, moglie di Mustafà
ZULMA, schiava confidente d’Elvira
HALY, capitano de’corsari algerini
TADDEO, comagno d’Isabella
Cori di eunuchi del serraglio, di Corsari, Algerini, di Schiavi Italiani, di Pappataci
Comparse di Femmine del Serraglio , di Schiavi Europei e di Marinai
La scena si finge in Algeri.
ATTO PRIMOPiccola sala comune agli appartamenti del Bey ea quelli di sua moglie. Un sofà nel mezzo.
SCENA PRIMA
ELVIRA seduta sul sofà. Presso a lei ZULMA.All’intorno un coro di eunuchi del serraglio.Indi HALY, poi MUSTAFÀ.
CORO
Serenate il mesto ciglio:Del destin non vi lagnate.Qua le femmine son nateSolamente per servir.
ELVIRA
Ah comprendo, me infelice!Che lo sposo or più non m’ama.
ZULMA
Ci vuol flemma: a ciò ch’ei bramaOra è vano il contraddir.
CORO
Qua le femmine son nateSolamente per servir.
HALY
Il Bey.
ZULMA
Deh! mia signora…Vi scongiuro…
ELVIRA
E che ho da far?
Entra Mustafà.
CORO
(Or per lei quel muso duroMi dà poco da sperar.)
MUSTAFÀ
Delle donne l’arroganza,Il poter, il fasto insanoQui da voi s’ostenta invano,Lo pretende Mustafà.
ZULMA
Su: coraggio, o mia signora.
HALY
È un cattivo quarto d’ora.
ELVIRA
Di me stessa or più non curo;Tutto omai degg’io tentar.
CORO
(Or per lei quel muso duroMi dà poco da sperar.)
ELVIRA
Signor, per quelle smanieChe a voi più non ascondo…
MUSTAFÀ
Cara, m’hai rotto il timpano:Ti parlo schietto e tondo.
ELVIRA
Ohimè…
MUSTAFÀ
Non vo’ più smorfie.Di te non so che far.
TUTTI COL CORO
(Oh! che testa stravagante!Oh! che burbero arrogante!)Più volubil d’una foglia
mioVa il cor di voglia in voglia
suoDelle donne calpestandoLe lusinghe e la beltà.
MUSTAFÀ
Ritiratevi tutti. Haly, t’arresta.
ZULMA
(Che fiero cor!)
ELVIRA
(Che dura legge è questa!)
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SCENA SECONDA
MUSTAFÀ e HALY.
MUSTAFÀ
Il mio schiavo italian farai che tostoVenga, e m’aspetti qui… Tu sai, che sazioIo son di questa moglie,Che non ne posso più. Scacciarla… è male,Tenerla… è peggio. Ho quindi stabilitoCh’ella pigli costui per suo marito.
HALY
Ma come? Ei non è turco.
MUSTAFÀ
Che importa a me? Una moglie come questa,Dabben, docil, modesta,Che sol pensa a piacere a suo marito,Per un turco è un partito assai comune;Ma per un italian (almen per quantointesi da lui stesso a raccontare)Una moglie saria delle più rare.Sai che amo questo giovine:Vo’ premiarlo così.
HALY
Ma di MaomettoLa legge non permette un tal pasticcio.
MUSTAFÀ
Altra legge io non ho che il mio capriccio.M’intendi?
HALY
Signor sì…
MUSTAFÀ
Per passar bene un’ora io non ritrovoUna fra le mie schiaveChe mi possa piacer. Tante carezze,Tante smorfie non son di gusto mio.
HALY
E che ci ho da far io?
MUSTAFÀ
Tu mi dovrestiTrovar un’italiana. Ho una gran vogliaD’aver una di quelle signorine,Che dan martello a tanti cicisbei.
HALY
L’incostanza del mar…
MUSTAFÀ
Se fra sei giorniNon me la trovi, e segui a far lo scaltro,Io ti faccio impalar.(si ritira nel suo appartamento)
HALY
Non occorr’altro.(via)
SCENA TERZA
LINDORO solo, indi MUSTAFÀ.
LINDORO
Languir per una bellaE star lontan da quella,È il più crudel tormentoChe provar possa un cor.Forse verrà il momento;Ma non lo spero ancor.
Contenta quest’almaIn mezzo alle peneSol trova la calmaPensando al suo bene,Che sempre costanteSi serba in amor.
Ah, quando fia che io possaIn Italia tornar? Ha omai tre mesi,Che in questi rei paesiGià fatto schiavo, e dal mio ben lontano…
MUSTAFÀ
Sei qui? Senti, italiano,Vo’ darti moglie.
LINDORO
A me?… Che sento… (oh Dio!)Ma come?… in questo stato…
MUSTAFÀ
A ciò non dei pensar. Ebben?…
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LINDORO
Signore,Come mai senza amoreSi può un uomo ammogliar?
MUSTAFÀ
Bah!… bah!… in ItaliaS’usa forse così? L’amor dell’oroNon c’entra mai?…
LINDORO
D’altri non so: ma certoPer l’oro io nol potrei…
MUSTAFÀ
E la bellezza?…
LINDORO
Mi piace: ma non basta…
MUSTAFÀ
E che vorresti?
LINDORO
Una donna che fosse a genio mio.
MUSTAFÀ
Orsù: ci penso io. Vieni e vedraiUn bel volto e un bel cor con tutto il resto.
LINDORO
(Oh povero amor mio! Che imbroglio è questo!)Se inclinassi a prender moglieCi vorrebber tante cose.Una appena in cento sposeLe può tutte combinar.
MUSTAFÀ
Vuoi bellezza? vuoi ricchezza?Grazie?… amore?… ti consola:Trovi tutto in questa sola.È una donna singolar.
LINDORO
Per esempio, la vorreiSchietta… buona…
MUSTAFÀ
È tutta lei.
LINDORO
Due begli occhi.
MUSTAFÀ
Son due stelle.
LINDORO
Chiome…
MUSTAFÀ
Nere.
LINDORO
Guance…
MUSTAFÀ
Belle.
LINDORO
(D’ogni parte io qui m’inciampo,Che ho da dire? che ho da far?)
MUSTAFÀ
Caro amico, non c’è scampo;Se la vedi, hai da cascar.
LINDORO
(Ah, mi perdo, mi confondo.Quale imbroglio maledetto:Sento amor, che dentro il pettoMartellando il cor mi va.)
MUSTAFÀ
Sei di ghiaccio? sei di stucco?Vieni, vieni: che t’arresta?Una moglie come questa,Credi a me, ti piacerà.
(Viano.)
Spiaggia di mare.In qualche distanza un vascello rotto ad uno sco-glio e disalberato dalla burrasca, che viene dimano in mano cessando.Varie persone sul bastimento in atto di dispera-zione.
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SCENA QUARTA
Arriva il legno dei corsari; altri corsari vengonper terra con HALY e cantano a vicenda i cori.Indi ISABELLA e poi TADDEO.
CORO IQuanta roba! quanti schiavi!
CORO II e HALY
Buon bottino! Viva, bravi.Ci son belle?
CORO INon c’è male.
CORO IIStarà allegro Mustafà.
Tra lo stuolo degli schiavi e persone che sbar-cano, comparisce Isabella. Haly co’ suoi osser-vandola cantano a coro.
CORO IMa una bella senza ugualeÈ costei che vedi qua.È un boccon per Mustafà.
ISABELLA
Cruda sorte! Amor tiranno!Questo è il premio di mia fé:Non v’è orror, terror, né affannoPari a quel ch’io provo in me.
Per te solo, o mio Lindoro,Io mi trovo in tal periglio.Da chi spero, oh Dio! consiglio?Chi soccorso mi darà?
CORO
È una bella senza uguale,È un boccon per Mustafà.
ISABELLA
Non più smanie, né paura:Di coraggio è tempo adesso,Or chi sono si vedrà.
Già so per praticaqual sia l’effettoD’un sguardo languido,
D’un sospiretto…So a domar gli uominiCome si fa.
Sien dolci o ruvidi,Sien flemma o foco,Son tutti similiA presso a poco…Tutti la bramano,Tutti la chiedonoDa vaga femmina:Felicità.
Già ci siam. Tanto fa. Convien portarlaCon gran disinvoltura.Io degli uomini alfin non ho paura.
Alcuni corsari scoprono ed arrestano Taddeo.
TADDEO
Misericordia… aiuto… compassione…Io son…
HALY
Taci, poltrone.Uno schiavo di più.
TADDEO
(Ah! son perduto!)
ISABELLA
Caro Taddeo…
TADDEO
Misericordia… aiuto!
ISABELLA
Non mi conosci più?
TADDEO
Ah!… sì… ma…
HALY
Dimmi.Chi è costei?
TADDEO
(Che ho da dir?)
ISABELLA
Son sua nipote.
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TADDEO
Sì, nipote… Per questoIo devo star con lei.
HALY
Di qual paese?
TADDEO
Di Livorno ambedue.
HALY
Dunque italiani?
TADDEO
Ci s’intende.
ISABELLA
E men vanto.
HALY
Evviva, amici.Evviva.
ISABELLA
E perché mai tanta allegria?
HALY
Ah! non so dal piacer dove io mi sia.Di una italiana appuntoHa una gran voglia il Bey. Cogli altri schiaviParte di voi, compagni,Condurrà questi due. Piova, o signora,La rugiada del cieloSopra di voi. PresceltaDa Mustafà… sarete, se io non sbaglio,La stella e lo splendor del suo serraglio.(via con alcuni corsari)
SCENA QUINTA
TADDEO, ISABELLA e alcuni corsari indietro.
TADDEO
Ah! Isabella… siam giunti a mal partito.
ISABELLA
Perché?
TADDEO
Non hai sentitoQuella brutta parola?
ISABELLA
E qual?
TADDEO
Serraglio.
ISABELLA
Ebben?…
TADDEO
Dunque bersaglioTu sarai d’un Bey? d’un Mustafà?
ISABELLA
Sarà quel che sarà. Io non mi voglioPer questo rattristare.
TADDEO
E la prendi così?
ISABELLA
Che ci ho da fare?
TADDEO
O povero Taddeo!
ISABELLA
Ma di me non ti fidi?
TADDEO
Oh! Veramente,Ne ho le gran prove.
ISABELLA
Ah! maledetto, parla.Di che ti puoi lagnar?
TADDEO
Via, via, che serve?Mutiam discorso.
ISABELLA
No: spiegati.
TADDEO
PresoM’hai forse, anima mia, per un babbeo?
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Di quel tuo cicisbeo…Di quel Lindoro… Io non l’ho visto mai.Ma so tutto.
ISABELLA
L’amaiPrima di te: no’l nego. Ha molti mesiCh’ei d’Italia è partito; ed ora…
TADDEO
Ed oraSe ne gìa la signoraA cercarlo in Gallizia…
ISABELLA
E tu…
TADDEO
Ed ioCol nome di compagnoGliela dovea condur…
ISABELLA
E adesso?…
TADDEO
E adessoCon un nome secondo,Vo in un serraglio a far… Lo pensi il mondo.
ISABELLA
Ai capricci della sorteIo so far l’indifferente.Ma un geloso impertinenteSono stanca di soffrir.
TADDEO
Ho più flemma e più prudenzaDi qualunque innamorato.Ma comprendo dal passatoTutto quel che può avvenir.
ISABELLA
Sciocco amante è un gran supplizio.
TADDEO
Donna scaltra è un precipizio.
ISABELLA
Meglio un turco che un briccone.
TADDEO
Meglio il fiasco che il lampione.
ISABELLA
Vanne al diavolo, in malora!Più non vo’ con te garrir.
TADDEO
Buona notte: sì… signora,Ho finito d’impazzir.
ISABELLA
(Ma in man de’ barbari… senza un amicoCome dirigermi?… Che brutto intrico!
TADDEO
(Ma se al lavoro poi mi si mena…Come resistere, se ho poca schiena?)
ISABELLA e TADDEO
(Che ho da risolvere? che deggio far?)
TADDEO
Donna Isabella?…
ISABELLA
Messer Taddeo…
TADDEO
(La furia or placasi.)
ISABELLA
(Ride il babbeo.)
ISABELLA e TADDEO
Staremo in collera? che te ne par?
Ah! no: per sempre uniti,Senza sospetti e liti,Con gran piacer, ben mio,Sarem nipote e zio;E ognun lo crederà.
TADDEO
Ma quel Bey, signora,Un gran pensier mi dà.
ISABELLA
Non ci pensar per ora,Sarà quel che sarà.
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(Viano.)
Piccola sala, come alla scena prima.
SCENA SESTA
ELVIRA, ZULMA e LINDORO.
ZULMA
E ricusar potrestiUna sì bella e sì gentil signora?
LINDORO
Non voglio moglie, io te l’ho detto ancora.
ZULMA
E voi, che fate là? Quel giovinottoNon vi mette appetito?
ELVIRA
Abbastanza provai, cosa è marito.
ZULMA
Ma già non c’è riparo. Sposo e sposaVuol che siate il Bey. Quando ha decisoObbedito esser vuole ad ogni patto.
ELVIRA
Che strano umor!
LINDORO
Che tirannia da matto!
ZULMA
Zitto. Ei ritorna.
SCENA SETTIMA
MUSTAFÀ e DETTI.
MUSTAFÀ
Ascoltami, italianoUn vascel venezianoRiscattato pur or, deve a momentiDi qua partir. VorraiIn Italia tornar?…
LINDORO
Alla mia patria?…Ah! qual grazia, o signor!… Di più non chiedo.
MUSTAFÀ
Teco Elvira conduci, e tel concedo.
LINDORO
(Che deggio dir?)
MUSTAFÀ
Con essa avrai tant’oroChe ricco ti farà.
LINDORO
Giunto che io siaNel mio paese… Allor… forse sposareIo la potrei…
MUSTAFÀ
Sì, sì, come ti pare.Va’ intanto del vascelloIl capitano a ricercar, e digliIn nome mio, ch’egli di qua non partaSenza di voi.
LINDORO
(Pur che io mi tolga omaiDa sì odiato soggiorno…Tutto deggio accettar.) Vado e ritorno.
(Via.)
SCENA OTTAVA
MUSTAFÀ, ELVIRA, ZULMA, indi HALY.
ELVIRA
Dunque degg’io lasciarvi?
MUSTAFÀ
Nell’ItaliaTu starai bene.
ELVIRA
Ah! che dunque io vadaIl mio cor…
MUSTAFÀ
Basta, basta:
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Del tuo cuore e di te son persuaso.
ZULMA
(Se c’è un burbero egual, mi caschi il naso.)
HALY
Viva, viva il Bey.
MUSTAFÀ
E che mi rechi, Haly?
HALY
Liete novelle.Una delle più belle,Spiritose italiane…
MUSTAFÀ
Ebben?…
HALY
Qua spintaDa una burrasca…
MUSTAFÀ
Sbrigati…
HALY
CadutaTesté con altri schiavi è in nostra mano.
MUSTAFÀ
Or mi tengo da più del gran Sultano.Presto: tutto raduna il mio serraglioNella sala maggior. Ivi la bellaRiceverò… Ah! ah!… cari galanti,Vi vorrei tutti quantiPresenti al mio trionfo. Elvira, adessoCon l’italian tu puoiAffrettarti a partir. Zulma, con essiTu pure andrai. Con questa signorinaMe la voglio goder, e agli uomin tuttiOggi insegnar io voglioDi queste belle a calpestar l’orgoglio.
Già d’insolito ardore nel pettoAgitare, avvampare mi sento:Un ignoto soave contenutoMi trasporta, brillare mi fa.
(ad Elvira)Voi partite… Né più m’annoiate.
(a Zulma)Tu va’ seco… Che smorfie… Ubbidite.(ad Haly)Voi la bella al mio seno guidate,V’apprestate a onorar la beltà.
Al mio foco, al trasporto, al desìo,Non resiste l’acceso cor mio:Questo caro trionfo novelloQuanto dolce a quest’alma sarà.
(parte con Haly e seguito)
SCENA NONA
ELVIRA, ZULMA, indi LINDORO.
ZULMA
Vi dico il ver. Non so come si possaVoler bene ad un uom di questa fatta…
ELVIRA
Io sarò sciocca e matta…Ma l’amo ancor!
LINDORO
Madama, è già dispostoIl vascello a salpar, e non attendeAltri che noi… Voi sospirate?
ELVIRA
AlmenoChe io possa anco una voltaRiveder Mustafà. Sol questo io bramo.
LINDORO
Pria di partir dobbiamoCongedarci da lui. Ma s’ei vi scaccia,Perché l’amate ancor? Fate a mio modo.Affrettiamci a partir allegramente.Voi siete finalmenteGiovine, ricca e bella, e al mio paeseVoi troverete quantiPuò una donna bramar mariti e amanti.
Sala magnifica. A destra, un sofà per Bey. In pro-spetto, una ringhiera praticabile, sulla quale sivedono le femmine del serraglio.
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SCENA DECIMA
MUSTAFÀ seduto. All’interno, eunuchi che canta-no il coro; indi HALY.
CORO
Viva, viva il flagel delle donne,Che di tigri le cangia in agnelle.Chi non sa soggiogar queste belleVenga a scuola dal gran Mustafà.
HALY
Sta qui fuori la bella italiana…
MUSTAFÀ
Venga… venga…
CORO
Oh! che rara beltà.
SCENA UNDICESIMA
ISABELLA, MUSTAFÀ, gli EUNUCHI.
ISABELLA
(Ohi! che muso, che figura!…Quali occhiate!… Ho inteso tutto.Del mio colpo or son sicura.Sta’ a veder quel che io so far.)
MUSTAFÀ
(Oh, che pezzo da Sultano!Bella taglia!… viso strano…Ah! m’incanta… m’innamoraMa bisogna simular.)
ISABELLA
Maltrattata dalla sorte,Condannata alle ritorte…Ah! voi solo, o mio diletto,Mi potete consolar.
MUSTAFÀ
(Mi saltella il cuor nel petto.Che dolcezza di parlar!)
ISABELLA
(In gabbia è già il merlotto,Né mi può più scappar!)
MUSTAFÀ
(Io son già caldo e cotto,Né mi so più frenar.)
SCENA DODICESIMA
TADDEO rispingendo HALY, che vuole trattenerlo,e DETTI.
TADDEO
Vo’ star con mia nipote,Io sono il signor zio.M’intendi? Sì, son io.Va’ via: non mi seccar.
Signor… Monsieur… Eccellenza…(Ohimè!… qual confidenza!…Il turco un cicisbeoComincia a diventar.Ah, chi sa mai, Taddeo,Quel ch’or ti tocca a far?)
HALY
Signor, quello sguaiato…
MUSTAFÀ
Sia subito impalato.
TADDEO
Nipote… ohimè… Isabella…Senti, che bagatella?
ISABELLA
Egli è mio zio.
MUSTAFÀ
Cospetto!Haly, lascialo star.
ISABELLA
Caro, capisco adessoChe voi sapete amar.
MUSTAFÀ
Non so che dir, me stessoCara, mi fai scordar.
HALY
(Costui dalla pauraNon osa più parlar.)
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TADDEO
(Un palo a dirittura?Taddeo, che brutto affar!)
SCENA ULTIMA
LINDORO, ELVIRA, ZULMA e DETTI.
ELVIRA, ZULMA e LINDORO
Pria di dividerci da voi, signore,Veniamo a esprimervi il nostro core,Che sempre memore di voi sarà.
ISABELLA
(Oh ciel!)
LINDORO
(Che miro!)
ISABELLA
(Sogno?)
LINDORO
(Deliro?Quest’è Isabella!)
ISABELLA
(Questi è Lindoro!)
LINDORO
(Io gelo.)
LINDORO
(Io palpito.)
ISABELLA e LINDORO
(Che mai sarà?Amore, aiutami per carità.)
ELVIRA, ZULMA e HALY
Che cosa è stato?
MUSTAFÀ e TADDEO
Che cosa avete?
ELVIRA, ZULMA, HALY, MUSTAFÀ e TADDEO
a aConfus e stupid non rispondete?
o oNon so comprendere tal novità.
ISABELLA e LINDORO
Amore, aiutami, per carità.
ISABELLA
Dite: chi è quella femmina?
MUSTAFÀ
Fu sino ad or mia moglie.
ISABELLA
Ed or?…
MUSTAFÀ
Il nostro vincoloCara, per te si scioglie:Questi, che fu mi schiavo,Si dee con lei sposar.
ISABELLA
Col discacciar la moglieDa me sperate amore?Questi costumi barbariIo vi farò cangiar.
Resti con voi la sposa…
MUSTAFÀ
Ma questa non è cosa.
ISABELLA
Resti colui mio schiavo.
MUSTAFÀ
Ma questo non può star.
ISABELLA
Andate dunque al diavolo,Voi non sapete amar.
MUSTAFÀ
Ah! no… m’ascolta… acchetati…(Costei mi fa impazzar.)
ELVIRA, ZULMA e LINDORO
(ridendo)(Ah! di leone in asinoLo fe’ costei cangiar.)
ISABELLA, ELVIRA e ZULMA
Nella testa ho un campanelloChe suonando fa dindin.
22
MUSTAFÀ
Come scoppio di cannoneLa mia testa fa bumbum.
TADDEO
Sono come una cornacchiaChe spennata fa crà crà.
LINDORO e HALY
Nella testa un gran martello.Mi percuote e fa tac tà.
TUTTI COL CORO
suoVa sossopra il cervello
mioSbalordito in tanti imbrogli;Quel vascel fra l’onde e scogliIo sto
presso a naufragar.Ei sta
23
Francesco Bagnara, bozzetto per L’italiana in Algeri. Venezia, Teatro La Fenice 1843.
ATTO SECONDOPiccola sala come nell’atto primo.
SCENA PRIMA
ELVIRA, ZULMA, HALY e coro di eunuchi.
CORO
Uno stupido, uno stoltoDiventato è Mustafà.Questa volta amor l’ha colto;Gliel’ha fatta come va.
ZULMA
L’italiana è franca e scaltra.
ELVIRA e HALY
La sa lunga più d’ogni altra.
ELVIRA, ZULMA e HALY
Quel suo far sì disinvoltoGabba i cucchi ed ei no’l sa.
CORO
Questa volta amor l’ha colto;Gliel’ha fatta come va.
ELVIRA
Haly, che te ne par? Avresti maiIn Mustafà credutoUn sì gran cambiamento, e sì improvviso?
HALY
Mi fa stupore e insiem mi muove a riso.
ZULMA
Forse è un bene per voi. Sua moglie intantoVoi siete ancor. Chi sa che dalla bellaDileggiato e schermitoEgli alfin non diventi un buon marito?
HALY
Ei vien… Flemma… Per oraSecondate, o signora, i suoi capricci.La bontà vostra, il tempo o la ragioneForse la benda gli trarran dal ciglio.
ZULMA
Tu parli ben.
ELVIRA
Mi piace il tuo consiglio.
SCENA SECONDA
MUSTAFÀ e DETTI.
MUSTAFÀ
Amiche, andate a dir all’italianaChe io sarò tra mezz’oraA ber seco il caffè! Se mi riceveA quattr’occhi… buon segno… il gioco è fatto.Allor… Vedrete allor come io la tratto.
ZULMA
Vi servirem.
ELVIRA
Farò per compiacerviTutto quel che io potrò.
ZULMA
Ma non crediateCosì facil l’impresa. È finta…
ELVIRA
È scaltraPiù assai che non credete.
MUSTAFÀ
Ed io sono un baggian? sciocche che siete.Dallo schiavo italian, che mi ha promessoDi servir le mie brame, ho già scopertoL’umor di lei. Le brutteNon farien nulla, e prima d’avvilirsiCerto son io che si farìa scannare.L’ambizion mi pareChe possa tutto in lei. Per questa viaLa piglierò. Quel goffo di suo zioTrar saprò dalle mie. Vedrete in sommaQuel che io so far. Haly, vien meco, e voiRecate l’ambasciata. Ah! se riesceQuello che già pensai,La vogliam veder bella.
HALY
E bella assai.
(Via tutti.)
24
SCENA TERZA
ISABELLA e LINDORO.
ISABELLA
Qual disdetta è la mia! Onor e patriaE fin me stessa oblio; su questo lidoTrovo Lindoro, e lo ritrovo infido!
LINDORO
(a Isabella che va per partire)Pur ti riveggo… Ah no, t’arresta.Adorata Isabella, in che peccai,Che mi fuggi così?
ISABELLA
Lo chiedi ancora?Tu che sposo ad Elvira?…
LINDORO
Io! di condurla,Non di sposarla, ho detto, e sol m’indussiPer desìo d’abbracciarti.
ISABELLA
E creder posso?
LINDORO
M’incenerisca un fulmine, se maiPensai tradir la nostra fede.
ISABELLA
(pensosa)Hai core?
T’è caro l’amor mio, l’onor ti preme?
LINDORO
Che far degg’io?
ISABELLA
Fuggir dobbiamo insieme.Quell’istesso vascel… Qualche raggiroQui bisogna intrecciar. Sai che una donnaNon v’ha di me più intraprendente e ardita.
LINDORO
Cara Isabella, ah! tu mi torni in vita.
ISABELLA
T’attendo nel boschetto. InosservatiConcerteremo i nostri passi insieme.
Separiamci per or.
LINDORO
Verrò, mia speme.(Isabella parte.)
Concedi amor pietosoA’ mie sospir la calmaConsola omai quest’almaCh’è degna di pietà.
Voce che tenera mi parli al coreTu sei l’amabile voce d’amoreChe tanti palpiti cessar farà.
Al mio sen la stringeròAl bel sen mi stringerà.Ah! comprendere non sotanta mia felicità.
(parte)
SCENA QUARTA
MUSTAFÀ, indi TADDEO, poi HALY con due mori, iquali portano un turbante, un abito turco, unasciabola; e coro di eunuchi.
MUSTAFÀ
Ah! Se da solo a solaM’accoglie l’italiana… Il mio puntiglioCon questa signorinaÈ tale, che io ne sembro innamorato.
TADDEO
Ah! signor Mustafà.
MUSTAFÀ
Che cosa è stato?
TADDEO
Abbiate compassion d’un innocente.Io non v’ho fatto niente…
MUSTAFÀ
Ma spiegati… cos’hai?
TADDEO
Mi corre dietroQuell’amico del palo.
25
MUSTAFÀ
Ah!… ah… capisco.E questa è la cagion del tuo spavento?TADDEO
Forse il palo in Algeri è un complimento?Eccolo… Ohimè…
MUSTAFÀ
Non dubitar. Ei vieneD’ordine mio per onorarti. Io voglioMostrar quanto a me cara è tua nipote.Perciò t’ho nominatoMio gran Kaimakan.
TADDEO
Grazie, obbligato.
Haly mette l’abito turco a Taddeo, poi il turbante:indi Mustafà gli cinge la sciabola. Intanto i turchi,con gran riverenza ed inchini, cantano il coro.
CORO
Viva il grande Kaimakan,Protettor dei Mussulman.Colla forza dei leoni,Coll’astuzia dei serpenti,Generoso il ciel ti doniFaccia franca e buoni denti.Protettor dei Mussulman,Viva il grande Kaimakan.
TADDEO
Kaimakan! Io non capisco niente.
MUSTAFÀ
Vuol dire Luogotenente.
TADDEO
E per i meritiDella nostra nipote a questo impiegoLa vostra signoria m’ha destinato?
MUSTAFÀ
Appunto, amico mio.
TADDEO
Grazie, obbligato.(O povero Taddeo.) Ma io… signore…Se debbo aprirvi il core,Son veramente un asino. V’accertoChe so leggere appena.
MUSTAFÀ
Ebben, che importa?Mi piace tua nipote, e se sapraiMettermi in grazia a lei, non curo il resto.
TADDEO
(Messer Taddeo, che bell’impiego è questo!)
Ho un gran peso sulla testa,In quest’abito m’imbroglio;Se vi par la scusa onesta,Kaimakan esser non voglio,E ringrazio il mio signoreDell’onore che mi fa.
(Egli sbuffa… Ohimè!… che occhiate!)Compatitemi… ascoltate…(Spiritar costui mi fa.Qua bisogna far un conto:Se ricuso… il palo è pronto.E se accetto?… è mio dovereDi portargli il candeliere.Ah!… Taddeo, che bivio è questo!Ma quel palo?… che ho da far?)
Kaimakan, signore, io resto,Non vi voglio disgustar.
CORO
Viva il grande Kaimakan,Protettor de’ Mussulman.
TADDEO
Quanti inchini!… quanti onori!…Mille grazie, miei signori,Non vi state a incomodar.
Per far tutto quel che io posso,Signor mio, col basto indosso,Alla degna mia nipoteOr mi vado a presentar.(Ah Taddeo! quant’era meglioChe tu andassi in fondo al mar.)
(Parte.)
Appartamento magnifico a pian terreno conuna loggia deliziosa in prospetto, che cor-risponde al mare. A destra l’ingresso a variestanze.
26
SCENA QUINTA
ISABELLA innanzi ad uno specchio grandeportatile, che finisce d’abbigliarsi alla turca.ELVIRA e ZULMA, poi MUSTAFÀ, TADDEO eLINDORO.
ZULMA
(Buon segno pe ’l Bey.)
ELVIRA
(Quando s’abbiglia,La donna vuol piacer.)
ISABELLA
Dunque a momentiIl signor Mustafà mi favorisceA prender il caffè? Quanto è grazioso.Il signor Mustafà.Ehi… Schiavo… Chi è di là?
LINDORO
Che vuol, signora?
ISABELLA
Asinaccio, due volteTi fai chiamar?… Caffè.
LINDORO
Per quanti?
ISABELLA
Almen per tre.
ELVIRA
Se ho bene intesoCon voi da solo a solaVuol prenderlo il Bey.
ISABELLA
Da solo a sola?…E sua moglie mi fa tali ambasciate?
ELVIRA
Signora…
ISABELLA
Andate… andate…Arrossisco per voi.
ELVIRA
Ah! se sapeteChe razza d’uomo è il mio!
LINDORO
Più di piacergliSi studia, e più disprezzo ei le dimostra.
ISABELLA
Finché fate così, la colpa è vostra.
ELVIRA
Ma che cosa ho da fare?
ISABELLA
Io, io v’insegnerò. Va in bocca al lupoChi pecora si fa. Sono le mogli,Fra noi, quelle che formano i mariti.Orsù: fate a mio modo. In questa stanzaRitiratevi.
ELVIRA
E poi?
ISABELLA
Vedrete comeA Mustafà farò drizzar la testa.
ZULMA
(Che spirito ha costei!)
ELVIRA
(Qual donna è questa!)
ISABELLA
(alle schiave)Voi restate: (a momentiEi sarà qui) finiamo d’abbigliarci.Ch’egli vegga… ah! sen viene:Or tutta l’arte a me adoprar conviene.(si mette ancora allo specchio, abbigliandosi,servita dalle schiave)
Mustafà, Taddeo, Lindoro restano indietro, main situazione di veder tutto.
Per lui che adoro,Ch’è il mio tesoro,Più bella rendimi,Madre d’amor.
Tu sai se l’amo,
27
Piacergli io bramo:Grazie, prestatemiVezzi e splendor.
(Guarda, guarda, aspetta, aspetta…Tu non sai chi sono ancor.)
MUSTAFÀ
(Cara… bella! Una donnettaCome lei non vidi ancor.)
TADDEO e LINDORO
(Furba!… ingrata! maledetta:Come lei non vidi ancor.)
ISABELLA
Questo velo è troppo basso…Quelle piume un po’ girate…No così… voi m’inquietate…Meglio sola saprò far.
Bella quanto io bramereiTemo a lui di non sembrar.(Turco caro, già ci sei,Un colpetto, e dei cascar.)
MUSTAFÀ, TADDEO e LINDORO
(Oh, che donna è mai costei!…Faria ogn’uomo delirar.)
Isabella parte, le schiave si ritirano.
SCENA SESTA
MUSTAFÀ, TADDEO, LINDORO, [ISABELLA,] poiELVIRA.
MUSTAFÀ
Io non resisto più: quest’IsabellaÈ un incanto: io non possoStar più senza di lei…Andate… conducetela.
LINDORO
Vo tosto.(Così le parlerò.)
(esce)
MUSTAFÀ
(a Taddeo)Vanne tu pure…
Fa’ presto… va’… che fai!…
TADDEO
Ma adesso… or ioChe sono Kaimakan… vede…
MUSTAFÀ
Cercarla,Chiamarla e qui condurla è tuo dovere.
TADDEO
Isabella… Isabella… (Oh che mestiere!)
LINDORO
Signor, la mia padronaA momenti è con voi.
MUSTAFÀ
(Dimmi: scopertoHai qualche cosa?)
LINDORO
(In confidenza… accesoÈ il di lei cor: ma ci vuol flemma.)
MUSTAFÀ
(Ho inteso.)Senti, Kaimakan, quando io starnutoLevati tosto, e lasciami con lei.
TADDEO
(Ah! Taddeo de’ Taddei, a qual cimento…A qual passo sei giunto!…)
MUSTAFÀ
Ma che fa questa bella?
Entra Isabella.
LINDORO
Eccola appunto.
MUSTAFÀ
Ti presento di mia manSer Taddeo Kaimakan.Da ciò apprendi quanta stimaDi te faccia Mustafà.
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ISABELLA
Kaimakan? a me t’accosta.Il tuo museo è fatto a posta.Aggradisco, o mio signore,Questo tratto di bontà.
TADDEO
Pe’ tuoi meriti, nipote,Son salito a tanto onore.Hai capito? Questo corePensa adesso come sta.
LINDORO
(a Mustafà, in disparte)Osservate quel vestito,Parla chiaro a chi l’intende,A piacervi adesso attende,E lo dice a chi no’l sa.
ISABELLA
Ah! mio caro.
MUSTAFÀ
Eccì.
TADDEO
(Ci siamo.)
ISABELLA E LINDORO
Viva.
TADDEO
(Crepa.)
MUSTAFÀ
Eccì…
TADDEO
(Fo il sordo.)
MUSTAFÀ
(Maledetto quel balordo:Non intende, e ancor qui sta.)
TADDEO
(Ch’ei starnuti finché scoppia:Non mi muovo via di qua.)
ISABELLA e LINDORO
(L’uno spera e l’altro freme.
Di due sciocchi uniti insiemeOh! che rider si farà!)
ISABELLA
Ehi!… Caffè…
Due mori portano il caffè.
LINDORO
Siete servita.
ISABELLA
(va a levar Elvira)Mia signora, favorite.È il marito che v’invita:Non vi fate sì pregar.
MUSTAFÀ
(Cosa viene a far costei?)
ISABELLA
Colla sposa sia gentile…
MUSTAFÀ
(Bevo tosco… sputo bile.)
TADDEO
(Non stranuta certo adesso.)
LINDORO
È ridicola la scena.)
MUSTAFÀ
(Io non so più simular.)
ISABELLA
Via guardatela…
MUSTAFÀ
(sottovoce ad Isabella)(Briccona!)
ISABELLA
È sì cara!…
MUSTAFÀ
(E mi canzona!)
ELVIRA
Un’occhiata…
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MUSTAFÀ
Mi lasciate.
LINDORO
Or comanda?…
ISABELLA
Compiacenza…
ELVIRA
Sposo caro…
ISABELLA
Buon padrone…
ISABELLA, ELVIRA, LINDORO E TADDEO
Cidovete consolar.
La
MUSTAFÀ
Andate alla malora.Non sono un babbuino…Ho inteso, mia signora,La noto a taccuin.
Tu pur mi prendi a gioco,Me la farò pagar.Ho nelle vene un foco,Più non mi so frenar.
ISABELLA, ELVIRA, LINDORO, TADDEO e MUSTAFÀ
Sento un fremito… un foco… un dispetto…
a aAgitat , confus , fremente…
o oIl mio core… la testa… la mente…Delirando… perdendo si va.In sì fiero contrasto e periglioChi consiglio, conforto mi dà?
Piccola sala, come alla scena prima dell’attosecondo.
SCENA SETTIMA
HALY solo.
HALY
Con tutta la sua boria
Questa volta il Bey perde la testa.Ci ho gusto. Tanta smaniaAvea d’una italiana… Ci vuol altroColle donne allevate in quel paese,Ma va ben ch’egli impari a proprie spese.
Le femmine d’ItaliaSon disinvolte e scaltre,E sanno più dell’altreL’arte di farsi amar.
Nella galanteriaL’ingegno han raffinato:E suol restar gabbatoChi le vorria gabbar.(Via.)
SCENA OTTAVA
TADDEO e LINDORO.
TADDEO
E tu speri di togliere IsabellaDalle man del Bey?
LINDORO
Questa è la trama,Ch’ella vi prega e bramaChe abbiate a secondar.
TADDEO
Non vuoi?… Per bacco!Già saprai chi son io.
LINDORO
Non siete il signor zio?
TADDEO
Ah! ah! ti pare?
LINDORO
Come?… come?…
TADDEO
Tu sai quel che più importa,E ignori il men? D’aver un qualche amanteNon t’ha mai confidato la signora?
LINDORO
So che un amante adora: è per lui solo
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Ch’ella…TADDEO
Ebben. Son quell’io.
LINDORO
Me ne consolo.(Ah, ah.)
TADDEO
Ti giuro, amico,Che in questo brutto intrico altro confortoIo non ho che il suo amor. Prima d’adessoNon era, te ’l confesso,Di lei troppo contento. Avea sospettoChe d’un certo LindoroSuo primo amante innamorata ancoraVolesse la signoraFarsi gioco di me. Ma adesso ho vistoChe non v’ha cicisbeoChe la possa staccar dal suo Taddeo.
LINDORO
Viva, viva; (ah! ah!) ma zitto: appuntoVien Mustafà. Coraggio,Secondate con arte il mio parlare.Vi dirò poi quello che avete a fare.
SCENA NONA
MUSTAFÀ e DETTI.
MUSTAFÀ
Orsù: la tua nipote con chi credeD’aver che far? Preso m’avria costeiPer un de’ suoi babbei?
LINDORO
Ma perdonate.Ella a tutto è disposta.
TADDEO
E vi lagnate?
MUSTAFÀ
Dici davver?
LINDORO
Sentite. In confidenzaElla mi manda a dirviChe spasima d’amor.
MUSTAFÀ
D’amor?
TADDEO
E quanto!…
LINDORO
Che si crede altrettantoCorrisposta…
MUSTAFÀ
Oh, sì, sì.
LINDORO
Ma dove andate?
MUSTAFÀ
Da lei.
TADDEO
No, no: aspettate.
LINDORO
Sentite ancora.
MUSTAFÀ
Ebben?
LINDORO
M’ha detto infineChe a rendervi di lei sempre più degno,Ella ha fatto il disegno,Con gran solennità fra canti e suoni,E al tremolar dell’amorose faci,Di volervi crear suo Pappataci.
MUSTAFÀ
Pappataci! che mai sento!La ringrazio. Son contento.Ma di grazia, PappataciChe vuol poi significar?
LINDORO
A color che mai non sannoDisgustarsi col bel sesso,In Italia vien concessoQuesto titol singolar.
TADDEO
Voi mi deste un nobil posto.
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Or ne siete corrisposto.Kaimakan e PappataciSiamo là: che ve ne par?
MUSTAFÀ
L’italiane son cortesi,Nate son per farsi amar.
LINDORO E TADDEO
(Se mai torno a’ miei paesiAnche questa è da contar.)
MUSTAFÀ
Pappataci…
LINDORO
È un bell’impiego.
TADDEO
Assai facil da imparar.
MUSTAFÀ
Ma spiegatemi, vi prego:Pappataci, che ha da far?
LINDORO e TADDEO
Fra gli amori e le bellezze,Fra gli scherzi e le carezzeDee dormir, mangiare e bere,Ber, dormir, e poi mangiar.
MUSTAFÀ
Bella vita!… oh che piacere!…Io di più non so bramar.
(Via tutti.)
SCENA DECIMA
HALY e ZULMA.
HALY
E può la tua padronaCredere all’italiana?
ZULMA
E che vuoi fare?Da tutto quel che pare, ella non curaGli amori del Bey; anzi s’impegna
Di regolarne le sue pazze voglieSì che torni ad amar la propria moglie.Che vuoi di più?…
HALY
Sarà. Ma a quale oggettoDonar tante bottiglie di liquoriAgli eunuchi ed ai mori?
ZULMA
Per un giuoco,Anzi, per una festaChe dar vuole al Bey.
HALY
Ah! ah! scommettoChe costei gliela fa.
ZULMA
Suo danno. Ho gusto;Lascia pur che il babbeo faccia a suo modo.
HALY
Per me… vedo, non parlo e me la godo.
(Via.)
Appartamento magnifico come alla scena quinta.
SCENA UNDICESIMA
TADDEO, LINDORO indi ISABELLA e un coro dischiavi italiani.
TADDEO
Tutti i nostri italianiOttener dal Bey spera Isabella?
LINDORO
E gli ottiene senz’altro.
TADDEO
Ah! sarìa bella!Ma con qual mezzo termine?
LINDORO
Per fareLa cerimonia.
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TADDEO
Ih… ih… ih…
LINDORO
Di loroAltri saran vestitiDa Pappataci, ed altriQui a suo tempo verran sopra il vascello.
TADDEO
Ih… ih… gioco più belloNon si può dar. Ma eccola… Per bacco!Seco ha gli schiavi ancor.
LINDORO
N’ero sicuro.
TADDEO
Quanto è brava costei!
LINDORO
Con due paroleAgli sciocchi fa far quello che vuole.
CORO
Pronti abbiamo e ferri e maniPer fuggir con voi di qua…Quanto vaglian gl’ItalianiAl cimento si vedrà.
ISABELLA
Amici, in ogni eventoM’affido a voi. Ma già fra poco io spero,Senza rischio e contesa,Di trarre a fin la meditata impresa.Perché ridi, Taddeo? Può darsi ancoraCh’io mi rida di te.(a Lindoro)
Tu impallidisci,Schiavo gentil? ah! se pietà ti destaIl mio periglio, il mio tenero amore,Se parlano al tuo corePatria, dovere, onor, dagli altri apprendiA mostrarti Italiano; e alle vicendeDella volubil sorteUna donna t’insegni ad esser forte.
Pensa alla patria, e intrepidoIl tuo dover adempi:Vedi per tutta Italia
Rinascere gli esempiD’ardire e di valor.
(a Taddeo)Sciocco! tu ridi ancora?Vanne, mi fai dispetto.(a Lindoro)Caro, ti parli in pettoAmor, dovere, onor.Amici in ogni evento…
CORO
Andiam. Di noi ti fida.
ISABELLA
Vicino è già il momento…
CORO
Dove a te par ci guida.
ISABELLA
Se poi va male il gioco…
CORO
L’ardir trionferà.
ISABELLA
Qual piacer! Fra pochi istantiRivedrem le patrie arene.(Nel periglio del mio beneCoraggiosa amor mi fa.)
CORO
Quanto vaglian gl’ItalianiAl cimento si vedrà.
(Via.)
SCENA DODICESIMA
TADDEO, indi MUSTAFÀ.
TADDEO
Che bel core ha costei! Chi avria mai dettoChe un sì tenero affettoPortasse al suo Taddeo?… Far una trama,Corbellar un Bey, arrischiar tuttoPer esser mia…
MUSTAFÀ
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Kaimakan…TADDEO
Signore.
MUSTAFÀ
Tua nipote dov’è?
TADDEO
Sta preparandoQuello ch’è necessarioPer far le cerimonie. Ecco il suo schiavo,Che qui appunto ritorna, e ha seco il coroDe’ Pappataci.
MUSTAFÀ
E d’onorarmi adunqueLa bella ha tanta fretta?
TADDEO
È l’amor che la sprona.
MUSTAFÀ
Oh! benedetta.
SCENA TREDICESIMA
LINDORO con un coro di Pappataci e DETTI.
LINDORO
Dei Pappataci s’avvanza il coro:La cerimonia con gran decoroAdesso è tempo di cominciar.
CORO
I corni suonino, che favoritiSon più dei timpani nei nostri riti,E intorno facciano l’aria echeggiar.
TADDEO
Le guancie tumide, le pancie pieneFanno conoscere che vivon bene.
LINDORO e TADDEO
(Ih… ih… dal ridere sto per schiattar.)
MUSTAFÀ
Fratei carissimi, tra voi son lieto.Se d’entrar merito nel vostro cetoSarà una grazia particolar.
CORO
Cerca i suoi comodi chi ha sale in zucca.Getta il turbante, metti parrucca,Leva quest’abito, che fa sudar.
Levano il turbante e l’abito a Mustafà e glimettono in testa una parrucca e l’abito diPappataci.
MUSTAFÀ
Questa è una grazia particolar.
LINDORO E TADDEO
(Ih… ih… dal ridere sto per schiattar.)
SCENA QUATTORDICESIMA
ISABELLA e DETTI.
ISABELLA
Non sei tu che il grado elettoBrami aver di Pappataci?Delle belle il predilettoQuesto grado ti farà.Ma bisogna che tu giuriD’eseguirne ogni dovere.
MUSTAFÀ
Io farò con gran piacereTutto quel che si vorrà.
CORO
Bravo, ben: così si fa.
LINDORO
Siate tutti attenti e chetiA sì gran solennità.(a Taddeo, dandogli un foglio da leggere)
A te: leggi(a Mustafà)
E tu ripetiTutto quel ch’ei ti dirà.
Taddeo legge e Mustafà ripete tutto verso perverso.
TADDEO
Di veder e non veder,
34
Di sentir e non sentir,Per mangiare e per goderDi lasciare e fare e dirIo qui giuro e poi scongiuroPappataci Mustafà.
CORO
Bravo, ben: così si fa.
TADDEO
(leggendo come sopra)Giuro inoltre all’occasionDi portar torcia e lampion,E se manco al giuramentoPiù non m’abbia un pel sul mento.Tanto io giuro e poi scongiuroPappataci Mustafà.
CORO
Bravo, ben: così si fa.
LINDORO
Qua la mensa.
Si porta un tavolino con vivande e bottiglie.
ISABELLA
Ad essa siedanoKaimakan e Pappataci.
CORO
Lascia pur che gli altri facciano:Tu qui mangia, bevi e taci.Questo è il rito primo e massimoDella nostra società.
TADDEO e MUSTAFÀ
Buona cosa è questa qua.
ISABELLA
Or si provi il candidato.Caro…
LINDORO
Cara…
MUSTAFÀ
Ehi!… Che cos’è?
TADDEO
Tu non fai quel che hai giurato?
Io t’insegno. Bada a me.ISABELLA E LINDORO
oVieni, o car .
a
TADDEO
Pappataci.
(mangia di gusto senza osservar gli altri)
ISABELLA e LINDORO
Io t’adoro.
TADDEO
Mangia e taci.
MUSTAFÀ
Basta, basta. Ora ho capito.Saper far meglio di te.
TADDEO
(Che babbeo!)
LINDORO
(Che scimunito!Me la godo per mia fé.)
ISABELLA
Così un vero PappataciTu sarai da capo a piè.
SCENA QUINDICESIMA
Comparisce un vascello, che s’accosta allaloggia con marinari e schiavi europei, checantano il coro.
CORO
Son l’aure seconde, - Tranquille son l’onde.Su presto salpiamo: non stiamo a tardar.
LINDORO
Andiam, mio tesoro.
ISABELLA
Son teco, Lindoro.
ISABELLA e LINDORO
C’invitano adesso la patria e l’amor.
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TADDEO
Lindoro!… che sento?… Quest’è un[tradimento.
Gabbati e burlati noi siamo, o signor.
MUSTAFÀ
Io son Pappataci.
TADDEO
Ma quei…
MUSTAFÀ
Mangia e taci.
TADDEO
Ma voi…
MUSTAFÀ
Lascia fare.
TADDEO
Ma io…
MUSTAFÀ
Lascia dir.
TADDEO
Ohimè!… che ho da fare? restare o partir?V’è il palo, se resto: se parto il lampione.Lindoro, Isabella: son qua colle buone,A tutto m’adatto, non so più che dir.
ISABELLA e LINDORO
Fa’ presto, se brami con noi di venir.
SCENA ULTIMA
ELVIRA, ZULMA, HALY, MUSTAFÀ e coro d’eunuchi.
ZULMA e HALY
Mio signore.
ELVIRA
Mio marito.
ZULMA, ELVIRA e HALY
Cosa fate?
MUSTAFÀ
Pappataci!ZULMA, ELVIRA e HALY
Non vedete?
MUSTAFÀ
Mangia e taci.Di veder e non veder,Di sentir e non sentir,Io qui giuro e poi scongiuroPappataci Mustafà.
ZULMA, ELVIRA e HALY
Egli è matto.
ISABELLA, LINDORO e TADDEO
Il colpo è fatto.
TUTTI eccetto MUSTAFÀ
L’italiana se ne va.
MUSTAFÀ
Come… come… ah, traditori!Presto, Turchi… eunuchi… mori.
ZULMA, ELVIRA e HALY
Son briachi tutti quanti.
MUSTAFÀ
Questo scorno a Mustafà?
CORO
Chi avrà cor di farsi avantiTrucidato qui cadrà.
MUSTAFÀ
Sposa mia: non più italiane.Torno a te. Deh! mi perdona…
ZULMA, ELVIRA e HALY
Amorosa, docil, buonaVostra moglie ognor sarà.
TUTTI COL CORO
Andiamo. Padroni…Buon viaggio. Stien bene.
Possiamocontenti lasciar queste arene.
Potetenoi
Timor né periglio per più non v’ha.voi
La bella italiana venuta in AlgeriInsegna agli amanti gelosi ed alteri,Che a tutti, se vuole, la donna la fa.
36
37
Francesco Bagnara, bozzetto per L’italiana in Algeri. Venezia, Teatro La Fenice 1843.
38
ATTO PRIMO
Quadro Primo – Un salotto del palazzo diMustafà. Elvira è angosciata per la freddez-za del Bey, suo sposo e signore. Questi vuolliberarsi di lei e – facendo legge del suo ca-priccio – impone ad Haly, capitano dei cor-sari, di procurargli una moglie italiana. El-vira dovrà maritarsi con Lindoro, giovaneitaliano ridotto in schiavitù che a sua voltaama una fanciulla del suo paese.
Quadro Secondo – Sulla spiaggia, dove un va-scello italiano è stato in procinto di naufraga-re, i corsari del Bey hanno catturato ciurma epasseggeri. Fra questi si trovano Isabella, l’in-namorata di Lindoro, ed il suo pavido spasi-mante Taddeo. Isabella vien subito destinatada Haly al serraglio di Mustafà, ma la giovaneitaliana, esperta ed astuta, è pronta a giocartutto per tutto. Si fa passare per nipote di Tad-deo che, pur recalcitrante, accetta la parte cheIsabella gli impone.
Quadro Terzo – Una magnifica sala. Isabel-la viene condotta dinanzi a Mustafà che re-sta ammaliato dai vezzi della bella italiana:la donna riesce a far liberare Taddeo che ri-schierebbe altrimenti di finire impalato. El-vira e Lindoro vengono a prender congedoda Mustafà. Isabella riconosce il suo inna-morato e chiede chi sia la donna che ac-compagna Lindoro. Mustafà le rivela il suoprogetto, ma Isabella sconvolge tutto ilgiuoco: Elvira dovrà rimanere con Bey eLindoro diverrà schiavo personale dellabella italiana. Mustafà protesta, ma poi fini-sce per cedere perché non resiste al fascinodella bella e astuta ragazza.
ATTO SECONDO
Quadro Primo – Gli eunuchi, Elvira, Zulmaed Haly commentano il mutamento di ca-rattere del Bey, che da tiranno è divenuto lozimbello di Isabella. Intanto il Bey vuol as-sicurarsi la complicità di Taddeo, creando-lo Kaimakan ossia luogotenente. Il poverospasimante di Isabella, temendo per la pro-pria testa, accetta la carica e l’incarico diconvincere la ritrosa fanciulla.
Quadro Secondo – Isabella, nel proprio lus-suoso appartamento, sta abbigliandosi allaturca, sotto gli sguardi gelosi di Elvira eZulma. Mustafà, che vuol rimanere solocon lei, avverte Taddeo di andarsene congli altri non appena l’udrà starnutire. MaIsabella non è di questo avviso. Dopo aver-lo incantato con la propria civetteria, invitaElvira a prendere il caffè con loro ed esortail Bey a tornare dalla moglie. Mustafà, fu-rente nel vedersi raggirato, disubbidito daTaddeo e Lindoro che – nonostante i suoistarnuti – non si decidono ad andarsene,perde la pazienza e giura che si vendi-cherà. Taddeo, convinto di essere presceltoda Isabella, si unisce a Lindoro per asse-condare il suo progetto di fuga per mezzodel quale sarano liberati tutti gli schiavi ita-liani.A Mustafà i due fanno credere che, anzichéburlarlo, Isabella vuol conferirgli un titoloonorifico, creandolo suo Pappataci, caricache impone di mangiare, bere, dormire etacere. Mustafà è estasiato da tanta premu-ra amorosa.
ARGOMENTO
39
Quadro Terzo – Isabella, con l’aiuto di Lin-doro, è entrata nel carcere per liberare glischiavi italiani, e con loro organizza la con-giura. Per riuscire nel proprio intento faràdistribuire una grande quantità di liquoreagli eunuchi ed ai mori del palazzo.
Quadro Quarto – Mustafà vien ricevuto damolti schiavi italiani vestiti da Pappataci chelo spogliano e lo vestono come loro. Isabellapresiede alla cerimonia e, per insegnare aMustafà, scambia frasi d’amore con Lindoro.Taddeo istruisce il Bey: dovrà solamentemangiare e stare zitto. Il gioco piace a Mu-stafà. Ma all’improvviso giunge un vascello etutti si affrettano all’imbarco. Taddeo, com-prendendo finalmente che Isabella e Lindo-ro si amano, svela il tradimento a Mustafà,ma questi, da buon Pappataci, non se nepreoccupa, finché non vede che il vascelloparte. Allora impreca, chiama inutilmentegli eunuchi e i mori: poi finisce per rifugiarsinell’amore della fedele Elvira, pronta a per-donarlo.
Frontespizio dello spartito per canto e pianoforte deL’italiana in Algeri. Milano, Edizioni Ricordi.
40
Ingresso d’acqua del Teatro S. Benedetto di Venezia. Incisione, 1834.
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La civiltà del teatro in musica ebbe in Ve-nezia così nobili, antiche ed ammirevolitradizioni che può sembrare tautologico ri-spolverarne alcuni aspetti a proposito diRossini. Ma probabilmente non si è finoramesso a fuoco con sufficiente esattezza unadelle caratteristiche peculiari del gusto delteatro musicale veneto e che nel tempo neha garantito il duraturo successo a livelloeuropeo. Tale componente è da individua-re nell’aspetto dilettevole, seducente e fa-scinosamente estroverso dell’invenzionemusicale alla quale fanno riferimento di-versi acuti osservatori e critici illustri. In-dubbiamente quando Johann Mattheson(1681-1764) loda la musica italiana, focaliz-zando la sopraccennata caratteristica, si ri-feriva ai lavori di Legrenzi, Vivaldi, Albino-ni, Lotti, ecc.:
… gli italiani, che al giorno d’oggi [1713]tanto per la sostanziale bellezza delle loroopere, quanto anche per gli artifici appari-scenti ed insinuanti della composizione ap-paiono conseguire la lode su tutte le nazio-ni e hanno dalla loro parte il gusto genera-le, non solo nel loro stile sono diversi daifrancesi, dai tedeschi e dagli inglesi, ma incerti pezzi si differenziano sensibilmentefra loro stessi. Per esempio un venezianocomporrà differentemente da un toscano, equesto a sua volta differentemente da unnapoletano e da un siciliano ecc., […] Lostile romano sarà molto più grave del vene-ziano; questo generalmente sarà riflesso dauna pura e leggera melodia, quello però dauna più pregnante armonia, questo pene-trerà nell’uditore più velocemente e nonpiacerà così lentamente come quello, inquesto si troveranno più idee galanti, in
quello più reali.1
Non meno specifico nell’individuare le ca-ratteristiche dei modi esecutivi dei violini-sti-compositori, e di conseguenza anchedei cantanti, ci sembra l’acuto ed informato«dilettante» piemontese Benvenuto di SanRaffaele conte di Robbio:
Né solamente vi è sensibil divario tra il fareInglese e il Francese, fra il Tedesco e l’Ita-liano ma vi è differenza evidente fra variescuole di una stessa contrada. Chi non di-scerne la gaiezza elegante dello stil Vene-ziano dalla erudita gravità dello stil Bolo-gnese? Chi non distingue la briosa leggia-dria degli scrittori Milanesi dall’esprimentefacondia de’ Maestri Napolitani?2
Il gusto musicale dei veneziani per la com-ponente piacevole - dilettevole non era af-fatto cambiato neppure nei primi decennidell’Ottocento. Il giovane Rossini, il qualetra le altre doti aveva quella singolare di sa-per cogliere la quintessenza dell’ideale so-noro e degli interessi del pubblico al qualesi rivolgeva, nel realizzare il Tancredi e L’i-taliana aveva colto nel segno dell’animamusicale veneziana nei due generi fonda-mentali dei teatro musicale: il dramma se-rio e il dramma giocoso. Del resto per ren-dersi conto di come il pubblico della Sere-nissima avesse trovato in Rossini il suocompositore d’opera ideale, basta scorrerela cronologia del musicista fra i diciotto e iventun anni.Ecco di seguito lo schema dell’attività ope-ristica veneziana del giovane compositorefino all’Italiana:
ADRIANO CAVICCHI
IL GIOCATTOLO SONORO DI ROSSINITRA EROS E AMOR DI PATRIA
Teatro San Moisè, 3 dicembre 1810La cambiale di matrimonio, farsa.Teatro San Moisè, 8 gennaio 1812L’inganno felice, farsa.Teatro San Moisè, 9 maggio 1812La scala di seta, farsa.Teatro San Moisè, 24 novembre 1812L’occasione fa il ladro, farsa.Teatro San Moisè, fine gennaio 1813Il Signor Bruschino, farsa.Teatro La Fenice, 6 febbraio 1813Tancredi, melodramma eroico.Teatro San Benedetto, 22 maggio 1813L’Italiana in Algeri, dramma giocoso.
Non può mancare, a questo punto, l’in-teressante e profonda osservazione diStendhal:
Il risultato del carattere dei veneziani è cheessi vogliono, anzitutto, nella musica, ariepiacevoli; più leggere che appassionate.Furono serviti a dovere nell’Italiana; maipopolo godette uno spettacolo più rispon-dente al proprio carattere e, fra tutte le ope-re, non è mai esistita una che dovesse pia-cere di più ai veneziani […]3
Individuato senz’ombra di dubbio quelloche doveva essere l’elemento più tipico delgusto musicale veneto, conviene rifletteresull’eccezionalità del rapporto che Rossiniriesce ad instaurare con i teatri ed in gene-rale col mondo della musica veneziana.Ben sette titoli, nei generi allora più in vo-ga: «farsa in un atto», «dramma serio», e«dramma giocoso», sono il segno più tangi-bile di un felicissimo rapporto tra composi-tore e pubblico. E quanto l’influenza del-l’ambiente abbia stimolato esiti favorevolinelle scelte compositive del maestro, lo sipuò dedurre dal raffronto tra le opere idea-te per Venezia e quelle pensate o fatte perBologna o Ferrara (Demetrio e Polibio e Ci-ro in Babilonia) nelle quali gli stilemi del-l’opera seria tardo settecentesca sono ri-proposti con un piglio ostentamente aulico,atto a soddisfare le aspettative di un udito-rio dotato di particolari ed elevate tradizio-ni di ideale operistico di ascendenza classi-ca.
È finora sfuggito agli studiosi rossianianiun documento fondamentale, che ci con-sente di cogliere il grado di travolgente suc-cesso ed eccezionale interesse che la musi-ca di Rossini esercitò sulla vita musicaleveneta. Il più importante emporio musicaledi Venezia dei primi anni dell’Ottocentopubblicò nel 1818 un illuminante ed ag-giornatissimo catalogo di tutto il vastissimomateriale a stampa e manoscritto disponi-bile: Catalogo dei pezzi di Musica esistentinel negozio di Giuseppe Benzon in Vene-zia, In Merceria San Giuliano n. 731, Vene-zia, Tipografia Picotti 1818. Non solo talecatalogo elenca gli spartiti completi dellemaggiori opere scritte fino al 1817, ma tut-ta una serie di pezzi «favoriti», trascrizioni,e tutte le Sinfonie d’opera per pianoforte;onore, in tale catalogo, riservato solo a Mo-zart.4 Ciò serva a fornirci un’idea di cosaabbia costituito per Venezia e per l’Europaintera la meteora Rossini nel contesto delteatro musicale fra il primo e secondo de-cennio dell’Ottocento. Momento non facile,a rifletterci bene, tormentato da un certopunto di vista dalle istanze innovatrici deiromantici mentre ancora fortissime e de-terminanti a livello di gusto apparivano letendenze classicheggianti di fine Settecen-to. Viene a proposito, ma deve essere inter-pretata nella giusta chiave di lettura, la ce-lebre lettera che Rossini dopo il prima diCenerentola (Roma, 25 gennaio 1817) indi-rizzò allo storico dell’arte e presidente del-l’Accademia di Belle Arti di Venezia, contecommendator Leopoldo Cicognara (Ferra-ra 1767-Venezia 1834).
Eccoti, caro Leopoldo, le mie idee su lo sta-to attuale della musica. Fin da quando furo-no aggiunte cinque note al clavicembalo iodissi che si preparava una rivoluzione fu-nesta in quest’arte allora pervenuta alla suaperfezione, poiché l’esperienza ha dimo-strato, che quanto vuolsi aggiungere all’ot-timo, conduce al pessimo. Già Hayden [sic]aveva cominciato a corrompere la puritàdel gusto, introducendo nelle sue composi-zioni accordi strani, passaggi artificiosi, no-vità ardite; ma pure tanto egli ancora con-servava di elevatezza, e di antica venustà,
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che potevano sembrare scusabili i sui erro-ri; ma dopo di lui Cromer [Krommer],5 e fi-nalmente Bethowen [sic], colle loro compo-sizioni prive di unità, e di naturalezza, ri-dondanti di stranezze e di arbitri, corruppe-ro intieramente il gusto della musica stru-mentale. Contemporaneamente Mayer so-stituì sul teatro ai modi semplici e maestosidei Sarri, dei Paisiello e dei Cimarosa le sueingegnose ma viziose armonie nelle quali ilcanto principale rimane soffocato dalleparti di accompagmento, e seguaci dellenuova scuola tedesca divennero tutti i gio-vani compositori di musica per li teatri.Molti nostri cantanti tratti fuori d’Italia, perdiletto delle capitali di Europa rinunziaro-no alla purità del gusto musicale, che maiebbe sede fuori d’Italia, adottarono l’impu-ro stile degli stranieri, e tornati in patria se-co portarono e sparsero i germi del cattivogusto. Allora al divino Pacchierotti, ai Rubi-nelli, ai Crescentini, alle Pozzi, alle Banti, aiBabini furono preferiti i Marchetti, i David,gli Ansani, le Todi, le Billington, e già sem-brava giunta al colmo la corruzione colmezzo del musico Velluti, che più d’ogni al-tro abusò dei sommi doni a lui dalla naturaconcessi, quando la comparsa della Catala-ni6 fece conoscere, che non v’è cosa tristache non lasci la possibilità di una peggiore.Gorgheggi, volate, trilli, salti, abuso di se-mitoni, aggruppamento di note, ecco il ca-rattere del canto che adesso prevale. Quin-di la misura, parte essenziale della musicasenza la quale la melodia non s’intende el’armonia cade nel disordine, viene daicantanti trascurata e violata. Sorprendono,invece di commuovere, e, ove nei buonitempi i suonatori si studiavano di cantarecoi loro strumenti, adesso, i cantanti si stu-diano di suonare colle loro voci. La moltitu-dine intanto, applaudendo a così pessimostile, fa della musica ciò che fecero i gesuitidella poesia, e dell’eloquenza quando Luca-no a Virgilio e Seneca anteponevano a Cice-rone.Queste sono le mie idee su lo stato attualedella musica, e ti confesso che poca speran-za mi resta di veder uscire quest’arte divinadalla corruzione in cui giace, senza un ro-vesciamento totale delle istituzioni sociali;
e il rimedio, come vedi, sarebbe peggioredel male. Addio. I tuo G.R.Di casa 12 febbraio 1817.7
Con questa lettera, certo richiesta dal cele-bre Cicognara per un suo saggio generale«Sullo stato attuale delle Arti», Rossini siconquistò i galloni di passatista antiroman-tico. Per comprendere il vero senso di que-ste affermazioni bisogna ricordare che l’ar-te vocale in quegli anni aveva raggiunto ilculmine della perfezione virtuosistica ed ilventicinquenne Rossini – gran maestro dicanto e come tale aggregato la prima voltaall’Accademia Filarmonica di Bologna –mal sopportava quell’eccesso di virtuosi-smo fine a se stesso che faceva andare invisibilio i pubblici d’Europa e che soprat-tutto nei due cantanti marchigiani Velluti eCatalani aveva conseguito aspetti quasi vi-ziosi e molto distanti da quel modo di can-tare che lui amava definire «che nell’animasi sente». Per Rossini il canto rimane unostrumento d’espressione e non un fine. Lagran scuola belcantistica bolognese che daPadre Giambattista Martini s’irradia, a li-vello teorico, in Mancini e sul piano praticonel Bernacchi, Farinelli e compagnia, giun-ge attraverso Angelo Tesei e Stanislao Mat-tei al giovane pesarese che saprà trarne tut-to il profitto possibile. Soprattutto è peculia-re di Rossini l’uso del virtuosismo a finiespressivi. Così come Mozart per caratte-rizzare il bieco conservatorismo della Regi-na della notte usa una vocalità totalmentebarocca, allo stesso modo Rossini per delia-re Mustafà adotta un debordare di fioriturecon lo scopo di dar vita ad un personaggiodi becera e arcaica autoritarietà in un suosfondo di esotismo. Non bisogna poi di-menticare gli aspetti paradossali ed ironicidella personalità di Rossini in quanto comeè vero che all’epoca della frequentazionedel Liceo musicale bolognese sotto la guidadi Padre Mattei (eccezionale e finora sco-nosciuto sinfonista) veniva chiamato «ilTedeschino» per le sue smodate simpatieper Mozart e Haydn, è altrettanto vero chenel 1853 scrisse:
[…] Mayer fu dei primi che facesse progre-
dire dignitosamente il dramma musicale[…] questo ho voluto inferire in omaggiodel genio filosofico e dottrina artistica delnostro buono e venerabile Mayer che gi-ganteggiò in tutti i generi, padrone e nongià schiavo della scienza.8
Altra componente essenziale, solitamentepoco considerata, utile per comprenderetutta la carica innovativa del teatro musica-le del giovane Rossini, è da individuarenella sua atipica formazione musicale, nelsuo precoce inserimento nella vita musica-le attiva sia in veste di esecutore sia in quel-la di compositore.Sono note ma non sufficientemente valuta-te le pressoché infantili attività compositiveed esecutive in Bologna, Ravenna e Ferra-ra. Dai primi anni dell’Ottocento il poco piùche decenne musicista in erba alterna le le-zioni di apprendista o musicale alla praticaattività di cembalista o compositore di mu-siche di danza. Famosa e sintomatica, in talsenso, la dedica che lo stesso Rossini volleapporre, in età matura all’autografo delleSei Sonate per archi scritte a Ravenna nel1840 a soli dodici anni.
Sei Sonate ORRENDE da me composte […]alla età la più infantile non avendo presaneppure una lezione di accompagnamento.Il tutto composto e copiato in tre giorni edeseguite cagnescamente dal Triossi contra-basso, Morini (di lui cugino) primo violino,il fratello di questo il violoncello ed il se-condo violino da me stesso, che ero per dirvero il meno cane.9
A Ravenna Rossini comporrà anche unaMessa piuttosto impegnativa mentre a Bo-logna compose, tra l’altro, per il tenoreMombelli e le di lui figlie, il Demetrio e Po-libio. A Ferrara ebbe qualche occasione diprodursi come esecutore e come composi-tore e, assieme al violinista e direttore d’or-chestra ferrarese Gaetano Zocca, fu tra ipromotori della fondazione dell’AccademiaFilarmonico-Drammatica. Il suo rapportocon Ferrara culminerà nel 1812 con l’orato-rio scenico Ciro in Babilonia scritto su testodel poligrafo ferrarese Francesco Aventi,
probabile autore degli interventi librettisti-ci per la versione tragica del Tancredi, ese-guito per l’appunto a Ferrara nella Quare-sima del 1813. Da questi soli esempi si puòprendere atto di una particolare ed inusua-le formazione, di continuo fecondata dallapratica viva, dalla frequenza delle Accade-mie e dei dilettanti attenti ed appassionati.È in questo clima di pratica musicale, alter-nata alla scuola, che l’adolescente Rossiniattinge ad un’autocoscienza compositivaove s’accumulano esperienze pratiche, ri-pensamento dei classici (Haydn e Mozart) ematura conoscenza del repertorio operisti-co contemporaneo.Sull’esperienza profonda e capillare di Ros-sini nel coevo repertorio operistico possia-mo addurre la documentazione della suaattività di maestro al cembalo in un teatroimportante come il Comunale di Bologna.Nel gennaio del 1809, subentrando al mae-stro al cembalo stabile del Teatro bologne-se, Tommaso Marchesi (1773-1852) damolti anni titolare di tale ruolo, il meno chediciassettenne compositore pesarese figuranel manifesto del dramma giocoso La lo-canda dei vagabondi di Ferdinando Paercon la prestigiosa carica di «maestro alcembalo».10 Incarico di grande impegno epieno di responsabilità, in quei tempi, cheprevedeva l’intera concertazione dell’ope-ra, l’istruzione del coro e la realizzazioneestemporanea, in collaborazione col primovioloncello e primo contrabbasso, dei «reci-tativi secchi» dell’opera. La direzione musi-cale complessiva dello spettacolo, sulla sciadi una tradizione che risaliva all’epoca deigrandi violinisti concertatori come Corellie Vivaldi, era ancora affidata al «primo vio-lino direttore d’orchestra».11
La documentata assimilazione, da parte diRossini, di buona parte del repertorio ope-ristico in voga tra ultimissimo Settecento eprimo Ottocento ci consente di cogliere al-cune delle caratteristiche del suo primo lin-guaggio operistico ove si riscontra un im-piego diffuso della citazione – ironica o/eparodistica – o anche solo dell’accenno fu-gace ad una tematica nota o ad una situa-zione effettiva abbastanza conosciuta.Il melodramma giocoso tra fine Settecento
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e primo Ottocento è uno dei non pochi ge-neri musicali che attinge, abbastanza diconsueto e con larghezza alla citazione diopere precedenti che in qualche misura ab-biano incontrato un duraturo successo.L’ascoltatore d’opera moderno soltanto nelDon Giovanni di Mozart riconosce le duecitazioni da opere precedenti: Una cosa ra-ra di Vicente Martín y Soler e Fra i due liti-ganti di Giuseppe Sarti e non perché cono-sca gli originali ma soltanto per preventivainformazione.Rossini, fin dalla sua prima opera venezia-na, La cambiale di matrimonio, impiegal’allusione, la citazione o anche soltanto ilfuggevole ammiccamento citando situazio-ni sonore o affettive parodiando ora con pi-glio ironico, ora caricaturale un qualcheluogo comune sonoro precedentemente af-fermato. Purtroppo l’ascoltatore modernomanca di questo importante referente, cioèla consapevolezza della correlazione del la-voro di Rossini con il contesto operisticogiocoso, a lui precedente o coevo, di autoricome Anfossi, Paisiello, Mozart, Paer, Zin-garelli, Guglielmi, Trento, Nicolini, Mayr,Mosca, ecc.Non sfugge a questa consuetudine della pa-rafrasi «sul già udito» L’italiana in Algeriche, come è noto, si serve di un funziona-lissimo e spiritoso libretto di Angelo Anelli(1761-1820) messo in musica la prima vol-ta per la Scala di Milano da Luigi Mosca(1775-1824) e rappresentato nell’autunnodel 1808. Accenni, spunti melodici e brevicitazioni da questo precedente del Mosca,vengono usati da Rossini con la solita in-credibile e raffinata abilità dell’ammicca-mento sonoro, per poi partire con la suascatenata inventiva che nell’Italiana rag-giunge vette d’ideazione teatrale e parodi-stica straordinarie. La recente edizioneproposta dal teatro di Lugo (17 novembre1998) dell’Italiana di Mosca, ha dimostratoche Rossini ebbe tra le mani questa primaversione ma se ne servì solo per evitarequalche brano teatralmente inefficace. Diconseguenza il dramma giocoso di questianni – ma spesso anche quello serio – è ungenere stilistico che, come il madrigale po-lifonico del XVI secolo, sviluppa la sua po-
tenzialità affettivo-significante dalla corre-lazione e conoscenza di tutto un panoramadi lavori coevi. All’ascoltare dei nostri gior-ni, come s’è detto, manca questa consape-volezza del raffronto e di una conoscenzagenerale dei lavori fioriti attorno all’Italia-na nel genere «dramma giocoso». Ma perquest’opera il male è piccolo in quanto si-mili componenti finiscono per assumereun’importanza marginale rispetto allastraordinaria inventiva sonora e allo spiri-to di «follia organizzata» che animano que-sto spettacolo da cima a fondo.Opera ancora squisitamente «barocca» perlo spirito di adesione alla teoria degli «affet-ti», in essa tutta una gamma di situazionitrovano un’ideazione sonora di pregnanteed infallibile pertinenza allo spirito della si-tuazione che Rossini intende realizzare. Intal senso è magnifica l’apertura corale «Se-renate il mesto ciglio» che rivela un talentostrumentale non indegno dei suoi antenativiennesi, la quale, dopo la gioiosa ed esal-tante sinfonia indroduce la nota pateticadella moglie ripudiata. Non meno perento-ria e perfettamente siglante il carattere diMustafà è la sua sortita «Delle donne l’arro-ganza», così come alla scena terza con gra-zia scultorea si delinea l’elemento lirico-belcantistico con l’aria di Lindoro: «Lan-guir per una bella». Alla scena quarta ab-biamo praticamente il quadro dei caratterigenerali dell’opera con quell’irrepetibilecapolavoro della cavatina di Isabella. Aproposito di quest’ultima conviene ricorda-re l’importante contributo offerto a Rossinidalla celebre cantante romana MariettaMarcolini la quale, dopo l’incontro bolo-gnese per L’equivoco stravagante (1811),sarà ancora la protagonista del Ciro (Ferra-ra 1812), La pietra di paragone (Milano1812), L’italiana (Venezia 1813) e Sigi-smondo (Venezia 1814).Senza dubbio il personaggio di Isabellacreato per la Marcolini segna il momentopiù alto e significativo del primo Rossininel delineare una figura complessa e anti-convenzionale, in grado di svariare dalladisinibita ed eccitante «Gìà so’ per pratica /[…] / Tutti la bramano / Tutti la chiedono /Di vaga femmina / Felicità /» al brano alta-
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Marietta Marcolini, prima interprete del ruolo di Isabella, in una stampa del 1812. (Milano, Civica raccoltadi stampe Bertarelli).
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mente drammatico da opera seria: «Pensaalla patria».Questa duplicità di caratteri che non si tro-va nel libretto di Anelli per Mosca, non sap-piamo se attribuirla a Rossini o alla stessaMarcolini, artista notoriamente esibizioni-sta e capace di catturare l’entusiasmo delpubblico in tutti i generi, come recita la di-dascalia di un suo ritratto inciso da Ricordiattorno al 1816:
Naque nella reggia delle arti belle, in Roma,questa egregia attrice-cantante la quale enelle parti facete, e nelle più tragiche giun-se ad eccitare l’entusiasmo di intere città, idoni della natura vinse cogli incanti del-l’arte.
Il raffinato ed affettuoso virtuosismo diquesto mezzosoprano si rendeva ulterior-mente appetibile – a norma delle cronachedel tempo – per la spigliata recitazionescenica e la non comune bellezza. Per tor-nare all’Italiana ed ai suoi valori puramen-te musicali diremo che il meccanismo del-la velocità e della simmetria formale, unavolta avviato, non conosca alcuna fase distanca e il tutto procede con un parossisticocrescendo fino al concertato di fine d’attoche sostituisce uno dei capolavori in asso-luto del teatro musicale comico di tutti itempi. Qui l’esilarante frenesia sonorasembra attingere, seppure molto alla lonta-na, ai contrappunti comico-parodistici diBanchieri (Contrappunto bestiale allamente) o ai Canoni solazzevoli di PadreMartini, per slanciarsi in uno spazio sono-ro originalissimo ed irripetibile che moltogiustamente Stendhal definì col termine di«follia organizzata».Follia sì, ma condotta e calcolata con la ci-fra ideativa dell’intuizione del genio. Infattiimmediatamente il pubblico di tutta Italiavolle ascoltare quest’opera sprizzante gioiada ogni nota e ben presto quasi ogni teatrovolle avere la sua più o meno riuscita ese-cuzione dell’Italiana. Sintomatico, anche seforse non realistico, il racconto di Stendhal:«[…] viaggiando nelle terre veneziane nel1817 ho trovato che L’italiana in Algeri sidava contemporaneamente a Brescia, Ve-
rona, Venezia e Treviso».12 Le nostre ricer-che sui libretti, condotte sui repertori piùaccessibili, ci documentano, dopo la fortu-natissima e festosa «prima» veneziana delteatro San benedetto la sera del 22 maggio1813, una ripresa a Vicenza sempre nellostesso anno; l’anno successivo l’opera mie-te allori sulle scene di Milano, Bologna e Fi-renze; nel 1815 la troviamo a Mantova, Fer-rara, Napoli e ancora a Milano; nel 1816 dinuovo a Firenze, nel 1817 a Reggio Emilia enel 1822 Modena, ancora a Reggio Emilia eFirenze. Ma questi sono documenti che te-stimoniano solo in parte il successo raccol-to da quest’opera. L’interesse ed il piaceredel pubblico, nei confronti del meraviglio-so giocattolo sonoro inventato da Rossini,diventa esclusivamente finalizzato all’ac-centuazione dell’aspetto della «follia ritmi-ca». Infatti scorrendo alcuni libretti di ese-cuzioni del 1815, vediamo scomparire al-cuni brani che potrebbero essere definiti di«meditazione lirica».Così recita una stampigliatura sui librettidel 1815:
Nel second’atto la scena ed il pezzo del te-nore Oh come il cor di giubilo … e la scenadello Specchio Per lui che adoro … si omet-tono perché provati di niun effetto.
Qualche accenno su quel bell’ingegno diAngelo Anelli «da Desenzano» ci aiuta ameglio comprendere l’architettura del ca-novaccio e di conseguenza gli obiettivi cuiRossini (ed il suo collaboratore poetico delteatro San Benedetto: Gaetano Rossi o Giu-seppe Gaspari?) aspiravano. Uomo di lette-re e di legge – nel 1802 aveva soffiato al Fo-scolo la cattedra di eloquenza forense a Mi-lano – fu per quasi un ventennio (1799-1818) poeta abituale della Scala di Milano.Nella sua vasta produzione librettistica co-mica Anelli cerca di rinnnovare le ormaistanche combinazioni derivate dalla «com-media dell’arte» per rifarsi ad immediatimotivi di cronaca e di politica non di radoimpiegando «uno stile sciatto e volgare».Come Rossini anche l’Anelli espresse lesue pesanti valutazioni sui romantici nellesue «Cronache di Pindo» (Milano 1811-
1818) ma non v’è dubbio che l’agganciocon la cronaca, il suo alludere pesante, aglieventi politici del momento abbiano costi-tuito per Rossini una saporosa provocazio-ne poi sbocciata nelle intuizioni sonore chetutti amiamo. A questo vien d’obbligo unaccenno alla componente patriottica diRossini indubbiamente sentita, se, a moltianni di distanza, quando veniva tacciato dicollaborazionismo reazionario, dai bolo-gnesi, il compositore non si dimenticava disfoderare questa precoce intuizione proto-risorgimentale:
A Venezia, nel 1813, si andava in prigioneper molto meno di quanto era scritto nell’I-taliana in Algeri.
Premesso che la vicenda dell’Italiana puòagganciarsi ad un fatto realmente accadu-to, non si può escludere che l’interesse perl’argomento «turchesco» da parte del teatrogiocoso di questi anni si ricolleghi alla tra-dizione operistica tardo settecentesca ovepiù che l’esotismo – peraltro non sottovalu-tato da Rossini – s’imponeva il rapportodialettico (ed ironico) tra due ben distinteciviltà: la convenzione del classico triango-lo settecentesco all’italiana con i due inna-morati più il cicisbeo, contrapposta a quel-la orientale del Sultano – Sultana più serra-glio. Di entrambe le situazioni Isabella sirivela straordinaria dominatrice sfruttandola sua consapevole carica di femminilità alfine di ottenere il duplice scopo di unirsi al-l’amato Lindoro e fare fuggire contestual-mente da Algeri la folta colonia di schiaviitaliani. Per ottenere il proprio intento colBey Mustafà Isabella non esita a mettere incampo le sue armi infallibili di seduzione.La situazione si riscatta dal tono maliziosodi compiacente erotismo con lo slancio pa-triottico d’Isabella. Introdotto dal coro dischiavi italiani su un’anacrusi che ricordamoltissimo la Marsigliese. Di questo rivo-luzionario inno nel corso del brano c’è unaccenno, al solito ironicamente distorto mainequivocabile, nella tessitura strumentaled’accompagnamento (secondi violini).
Pronti abbiam e ferri e mani
Per fuggir con voi di qua …Quanto valgan gl’ItalianiAl cimento si vedrà.
In tutto il grande Recitativo e Rondò che se-guono («Pensa alla Patria») Isabella rivelatutta la sua ammirevole statura morale e lesue esortazioni («Vedi per tutta Italia / Ri-nascere gli esempi / D’ardir e di valor»)hanno sempre un grandissimo effetto nelpromuovere una scintilla di autenticoamor di patria. La mutevole ed intricata si-tuazione politica dei quegli anni interverràspesso a modificare sia il testo che la so-stanza musicale di questa pagina musicale:a Mantova e a Ferrara nel 1814/15 al postodi Italiani s’incollerà la correzione «Euro-pei» e a Napoli, nel 1815, il noto Recitativo eRondò spariranno per lasciar posto ad unbrano di sutura di poco senso: «Sullo stil de’viaggiatori». Insomma la componente pa-triottica, oltre a quella erotico sentimentalesi configura come essenziale nel quadrodell’economia degli affetti del secondo atto.Senza quest’infiammata parentesi di amordi patria tutta l’esilarante scena seguentedel Pappataci non avrebbe quel rilievostraordinario che ben conosciamo. Esatta-mente, quindi, il così detto Argomento pre-messo al libretto focalizzata, in manieraesemplare questa componente:
Mustafà Bey d’Algeri annoiato d’aver permoglie Elvira Sultana desiderò una Schia-va Italiana per nome Isabella, la quale fin-gendo di volergli corrispondere lo riduce atrasformarsi in Baggiano Pappataci, permezzo del quale stratagemma essa e tuttigli Schiavi Italiani che erano in Algeri a dilei cognizione, poterono imbarcarsi ed ab-bandonare le arene Algerine.
Questa folgorante sintesi del funzionale li-bretto dell’Anelli ci indica come uno deimotivi trainanti del dramma giocoso fosseil tema dell’avventuroso patriottico. In ve-rità i motivi d’interesse che orbitano attor-no a quest’opera sono molteplici: la satiradei costumi amorosi sia italici che turche-schi, una certa ammirazione per la nobiltàed onestà d’animo del principe algerino, l’i-
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ronia sul cicisbeo italico, ecc. Ma soprattut-to l’Italiana, non discostandosi nella so-stanza dall’antico schema d’opera barocca:due coppie (Lindoro – Isabella e Mustafà –Elvira) fra loro scambiate e con elementiperturbativi (Taddeo) che alla conclusioneritornano allo stato di quiete, non è altroche un pretesto scenico-testuale che forni-sce a Rossini situazioni e tensioni atte ascatenare la sua prorompente ed origina-lissima inventiva sonora.Giustamente il grande Stendhal nella suacelebre Vita di Rossini così affermava aproposito di quest’opera:
È semplicemente la perfezione del generebuffo. nessun compositore vivente meritaquesta lode e Rossini stesso ha presto ces-sato di aspirarvi. Quando scriveva l’Italianain Algeri, era nel fiore del genio e della gio-vinezza: non temeva di ripetersi, non cer-cava di fare musica forte, viveva nella pia-cevole terra veneziana, la più gaia d’Italia eforse del mondo, e certamente la meno pe-dante.12
Si può ben immaginare l’entusiasmo deifratelli Gallo, proprietari del teatro vene-ziano di San Benedetto, i quali per l’estatedel 1813 avevano programmato due dram-mi giocosi: L’Ajo nell’imbarazzo del can-tante e compositore Filippo Celli (Roma1782 - Londra 1856) su libretto di GiuseppeGaspari e L’italiana in Algeri; quest’ultimala sera del 22 maggio registrò un successostrepitoso, destinato rapidamente a diffon-dersi presso i maggiori teatri dell’Italia set-tentrionale.Al bel teatro di San Benedetto Rossini ritor-nerà nell’estate del 1819 col suo centonetratto da varie opere intitolato Edoardo eCristina. Per queste due primizie rossinia-ne il teatro veneziano, a far data dal primodicembre del 1868, s’intitolerà al grandeoperista pesarese.Nell’Italiana è interessante notare come lestrutture della composizione si sviluppinonon secondo i criteri della tradizione con iclassici «accadimenti» nei recitativi ed imomenti di lirismo nelle arie. In questodramma giocoso, tranne le dovute eccezio-
ni, ci colpisce la consapevole scelta di con-ferire un vigoroso dinamicismo a quelli chedovrebbero essere i così detti pezzi chiusi.Si pensi allo spettacoloso duetto tra Lindo-ro e Mustafà «Se inclinassi a prender mo-glie», miracolo di impressionismo ritmico edi capacità d’evidenziare gli opposti senti-menti dei due protagonisti. Così la cavatinad’Isabella col coro che comincia alla scenaquarta costituisce praticamente un’unicastruttura con tutta la scena quinta fino allafine del duetto. Anche la scena che conclu-de l’atto primo è un autentico blocco unita-riamente pensato che varia dal patetico ini-ziale al toccante e fascinoso “stupore” del-l’incontro fra Isabella e Lindoro, per con-cludere col parossistico finale, richiaman-do alla memoria oltre che la pratica deicontrappunti animaleschi, le più folli comi-che del cinema muto d’inizio Novecento.Nel second’atto si possono individuare tremacrostrutture: il Kaimacan, la scena pa-triottica ed il finale col Pappataci. In tutti etre i momenti l’invenzione graffiante diRossini coglie intuizioni sonore di pre-gnante funzionalità teatrale. Naturalmentenon manca la moralistica conclusione in-neggiante alla scaltrezza del gentil sesso:«che a tutti se vuole la donna la fa». Da nonsottovalutare, infine, la precisa intenzionedel compositore di conferire una connota-zione etnica vagamente orientaleggiante altessuto orchestrale introducendo grandicaratteristici, strumenti esotici tipici della«musica turca», allora piuttosto in voga inarea veneta a giudicare da alcuni testi con-tenuti nel catalogo musicale del Benzon.14
A questo proposito è utile, per capire laconcezione dell’esotismo di Rossini, un’ap-profondita riflessione. Se il pesarese nellesue partiture ha lasciato scarse e apparentitraccie di elementi “turcheschi”, non fu peruna premeditata avversione alla timbricadella così detta “banda turca”, al contrario.Quando Rossini scriveva l’Italiana o Il tur-co in Italia, la passione del pubblico e più ingenerale della musica popolare (leggi lebande cittadine) era talmente invasa dagliideali timbrici dell’esotismo turchesco darendere addirittura non indispensabile lasua scrittura. Bastava che il compositore
dell’opera dicesse al maestro della bandadel teatro che nei numeri prescelti era ne-cessaria la “banda turca” e questi provve-deva a norma degli esecutori a disposizio-ne.C’è infine anche un dato materiale che haimpedito la conservazione di eventuali te-stimonianze scritte di mano dell’autore: laconsuetudine dei musicisti del tempo dicomporre su fogli stampati a dodici penta-grammi. Voci, orchestra e coro occupano diregola tutte le righe senza lasciare spazioper eventuali percussioni. Abbiamo l’ecce-zionale testimonianza di pugno di Rossinidi una “spartitino” aggiunto del “finale pri-mo” all’autografo del Barbiere (Bologna,Museo Bibliografico Musicale «G.B. Marti-ni») con la scrittura per il “Sistro” (che perRossini è un metallofono a barre metalli-che da La2 a La4) strumento essenziale del-la “banda turca”.La mancanza di precise indicazioni di par-titura relative alle percussioni esotiche,non significa che se ne possa fare a meno.Sicuramente in origine c’erano e sono an-date disperse perché scritte su fogli volantia parte e non nella partitura per mancanzadi pentagrammi.Catuba (termine dialettale emiliano per in-dicare un certo tipo di grancassa e piatti) si-stro, triangolo, piatti, tamburello basco ecappello cinese sono alcuni degli strumen-ti che Rossini introdusse nell’orchestra perreinventare un Oriente di tutta fantasia, maricco di sottili seduzioni timbriche orienta-leggianti che andrebbero ripristinate. Svel-tendo le linee del gusto operistico cimaro-siano e mozartiano, Rossini sembra voleraffermare la propria originalità sposando,con parecchio anticipo, un celebre mottoverdiano: torniarmo all’antico, sarà un pro-gresso. Ma l’«antico» di Rossini s’identificanell’interiore innervamento ritmico e me-lodico, nel mirabile scintillio di un’inventi-va che non conosce sosta e che riesce asomministrare con calcolatissima misuraironia e sentimento, esaltazione patriotticae ilarità rabelaisiana con quella felicità co-municativa che s’incontra di regola soltan-to nei capolavori.
NOTE1 J. MATTHESON, Das Neu Eröffnete Orchestre oder Uni-verselle und gründliche Anleitung, Amburgo 1713, pp.202 e seg.2 BENVENUTO DI SAN RAFFAELE, Lettere due sopra l’Artedel Suono, Vincenza, Antonio Veronese, 1778, p. 17.3 STENDHAL, Vita di Rossini, Bologna, E.D.T., 1983, pp.45 e seg.4 G. BENZON, Catalogo di Musica, Venezia 1818 consupplemento infine dell’anno 1820.Alla serie 110, p. 87, al capitolo «Spartiti Seri»: Tancre-di, Otello, Elisabetta d’Inghilterra; Serie 112 al capitolo«Spartiti Buffi»: L’Italiana in Algeri, Il Turco in Italia,La Cenerentola, Il barbiere di Siviglia. Alla serie 113,«Farse in un atto»: L’inganno felice.5 Frantsek Vincenc Krommer, compositore e violinistaboemo (1759-1831), compose soprattutto musica da ca-mera assai diffusa all’inizio del XIX secolo.6 Celebrati sopranisti e illustri prime donne attivi so-prattutto fra gli ultimi decenni del Settecento e l’iniziodell’Ottocento. Nel loro modo di cantare il virtuosismodi coloratura aveva raggiunto il più raffinato grado diperfezione tecnica.7 L. CICOGNARA, Miscellanea ms. Cl. Ia n. 521 della Bi-blioteca Comunale Ariostea di Ferrara. Tale letteravenne pubblicata dal Mazzatinti con diversi errori dilettura (Bologna 1871).8 Lettera di Rossini indirizzata al conte Vincislao Alba-ni il 10 giugno 1853 e pubblicata sulla «Gazzetta Musi-cale di Milano» dello stesso anno.9 P. FABBRI, Presenze rossiniane negli archivi ravenna-ti, in «Bollettino del Centro Rossiniano di Studi» a curadella Fondazione Rossini di Pesaro, 1978, n. 1-3, p. 710 S. PAGANELLI, Repertorio degli Spettacoli [del TeatroComunale di Bologna] dal 1763 al 1966, in «Due Secolidi vita musicale» a cura di Lamberto Trezzini, Bologna,Alfa 1966, vol. II, p. 17.11 G. SCARAMELLI, Saggio sopra i doveri di un primoviolino direttore d’orchestra, Trieste, Weis 1811.12 STENDHAL, Vita di Rossini, cit.13 STENDHAL, Vita di Rossini, cit.14 G. BENZON, Catalogo, cit., p. 2 supplemento: «Krom-mer, Cinque libri di Marcie per musica turca del Reg-gimento costantino della cavalleria russa».
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La musico-mania. Stampa allegorica ispirata al fanatismo suscitato da L’italiana in Algeri. Incisione.(Milano, Collezione Cavallari).
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CLAUDIO SCIMONE
Fondatore e direttore de I Solisti Veneti, di-rettore invitato presso molte delle maggioriOrchestre mondiali e direttore onorariodell’Orchestra Gulbenkian di Lisbona, hastudiato direzione con Dimitri Mitropoulose Franco Ferrara. Ha raggiunto una reputa-zione internazionale sul podio in qualità didirettore sinfonico e di opera dirigendo, fral’altro al Covent Garden di Londra, al Ros-sini Opera Festival di Pesaro, all’Opera diZurigo, a Roma (Terme di Caracalla), aNew York (Mostly Mozart Festival con Ilsogno di Scipione di Mozart), a Macerata(Sferisterio), alla Houston Grand Opera, aMelbourne, nonché, fra le orchestre sinfo-niche, la Philharmonia e la Royal Philhar-monic di Londra, la Mostly Mozart Orche-stra di New York, le Orchestre della RadioFrancese a Parigi, l’English Chamber Or-chestra, la Saint Paul Chamber Orchestra enumerose altre fra cui la YomiuriSymphony Orchestra di Tokyo, la Bamber-ger Symphoniker, le principali orchestre diMontreal, Dallas, Toronto, Tolosa, Stra-sburgo, Montecarlo, Nizza. Ha riportato ungrande successo di pubblico e di critica di-rigendo per l’Ente Arena di Verona Les Da-naides di Antonio Salieri con la regia diPierluigi Pizzi ed è comparso nella stagioneestiva dell’Arena di Verona con numeroserecite del Barbiere di Siviglia con CeciliaGasdia, Leo Nucci, Ruggero Raimondi, Ra-mon Vargas e Enzo Dara. Ha fondato I Soli-sti Veneti nel 1959 a Padova, sua città nata-le, e da allora li ha guidati in concerto inpiù di cinquanta paesi e nei principali festi-val del mondo, rendendoli uno dei più pre-stigiosi e celebri gruppi. Ospite abitualedelle più importanti reti televisive italiane
e straniere, è stato al centro di alcuni deipiù significativi film o programmi televisividi contenuto musicale tra cui Vivaldi, pitto-re della musica di François Reichenbach eLe sette ultime parole di Cristo, su musicadi F.J. Haydn, girato nella Cappella degliScrovegni di Giotto, con la regia di Erman-no Olmi. La sua produzione discografica èvastissima e prodotta per le più importanticase a distribuzione mondiale. Comprendefra l’altro un numero importante di ineditirossiniani, da lui registrati in prima mon-diale, quali Mosè in Egitto (con RuggeroRaimondi), Maometto II, Ermione, Zelmi-ra, Armida nonché L’italiana in Algeri conMarylyn Horne; a quest’ultima registrazio-ne è stato assegnato il Premio Grammy diLos Angeles. Con I Solisti Veneti ha ancheregistrato l’esecuzione dell’opera integraleedita in vita di Vivaldi e Albinoni, nonchéun numero rilevante di composizioni diMarcello, Tartini, Galuppi, Salieri e rivela-to compositori quasi sconosciuti qualiGiannella, Mercadante e altri. Grande inte-resse ha destato la registrazione di OrlandoFurioso di Vivaldi nonché quelle di Catonein Utica, di Pimpinone e Nascimento del-l’Aurora di Albinoni e della Caduta di Ada-mo di Galuppi. Autore di Segno, significa-to, interpretazione (Padova 1970), è musi-cologo di fama internazionale. La sua revi-sione della prima edizione moderna delleopere di Tartini ha giocato un ruolo impor-tante nella riscoperta del compositore pa-dovano dimenticato. Fra i molti riconosci-menti ricevuti figurano il Prix Mondial duDisque di Montreux, il famoso PremioGrammy di Los Angeles, il Premio Caeciliadell’Associazione della Stampa MusicaleBelga, il Premio della Critica Discografica
BIOGRAFIEa cura di PIERANGELO CONTE
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Italiana. È inoltre stato insignito numerosevolte del Grand Prix International du Disquedell’Academia Charles Cros e del Premio del-l’Academie du Disque Lyrique. È anche statodecorato della Elisabeth Memorial Medal diLondra e, dalla Repubblica Italiana, della me-daglia d’oro dei benemeriti dell’arte e dellacultura.
PIER LUIGI PIZZI
Nato nel 1930 a Milano, è uno dei massimiregisti della scena internazionale. Studentedi architettura, Pier Luigi Pizzi esordiscenel 1951 come scenografo. L’anno seguen-te debutta nell’opera lirica al Teatro CarloFelice di Genova con Don Giovanni ed ini-zia così una straordinaria carriera che loporterà a firmare regie, scene e costumi perpiù di trecento produzioni teatrali e cine-matografiche, accanto ad artisti di primis-simo piano nel panorama mondiale. Pre-sente nei cartelloni dei più importanti teatrie dei più prestigiosi festival internazionali,al Teatro La Fenice ha curato la regia perPélleas et Mélisande e Le martyre de Saint-Sébastien di Claude Debussy e per La Tra-viata.
MARIO PONTIGGIA
Terminato il periodo di formazione teatra-le e musicale in Argentina, Mario Pontig-gia si è perfezionato in Europa. In qualitàdi regista collaboratore è intervenuto invarie produzioni (lavorando insieme aCarlo Maestrini, Emilio Sagi, John Cox eFernando Botero); autore di diverse ver-sioni ritmiche in spagnolo, ha firmato nu-merosi spettacoli (recentemente Otellocon Piergiorgio Morandi e L’incoronazio-ne di Poppea con Gabriel Garrido). Parti-colarmente feconda è stata la collabora-zione con Pier Luigi Pizzi, con il quale halavorato a Carmen, Stiffelio, Macbeth, Ai-da, realizzando anche le diverse riprese diRinaldo, dell’Italiana in Algeri, della Tra-viata, della Cenerentola, del Turco in Ita-lia.
LORENZO REGAZZO
Veneziano, ha compiuto studi musicali eumanistici, perfezionandosi nel canto lirico
con Jone Palma Bagagiolo e Sesto Bruscan-tini. Voce di basso-baritono tra le più inte-ressanti dell’ultima generazione rossinianae mozartiana, è stato più volte ospite al Fe-stival di Salisburgo (La clemenza di Tito,Les Boreades di Rameau diretta da sir Si-mon Rattle) e al Rossini Opera Festival diPesaro. Per Ferrara Musica ha preso parteagli allestimenti delle Nozze di Figaro e delBarbiere di Siviglia entrambe dirette daClaudio Abbado. Di recente ha cantato nelTurco in Italia alla Scala di Milano, nelleNozze di Figaro a Bologna e a Ravenna, inZelmira di Rossini all’Opera di Lione e alTheatre des Champs Elysèes di Parigi, nelDon Giovanni sotto la bacchetta di RiccardoMuti, nella Scala di seta al Rossini Opera Fe-stival di Pesaro. Numerose sono anche leesibizioni concertistiche per prestigiose isti-tuzioni internazionali. Per la Fenice ha can-tato nella Gazza ladra, nell’Orione di Fran-cesco Cavalli, nell’Inganno felice e in Unacosa rara.
ANTONINO SIRAGUSA
Il successo ottenuto nel debutto dell’Elisird’amore gli apre le porte di un’interessantecarriera. Dopo aver impersonato Fenton inFalstaff alla Fenice nel 1997, nel corso del1998 canta La colombe di Gounod conGuingal, Edipo Re di Stravinskij con Ger-giev all’Accademia di Santa Cecilia, La gaz-za ladra a Messina, nuovamente Elisir d’a-more (negli Stati Uniti), la Missa di gloria diPuccini con Scimone, Otello al RossiniOpera Festival ed effettua una tournée diconcerti in Giappone. Lo scorso anno, tral’altro, debutta nel ruolo di Alfred nel Pipi-strello a Genova, in quello del Conte Alma-viva nel Barbiere, in quello di Don Ottavionel Don Giovanni alla Scala con Muti equest’anno in Mosé in Egitto (a Montecar-lo), nel Barbiere di Paisiello, nell’Italiana inAlgeri, nella Scala di seta ed in Anna Bole-na.
LAURA POLVERELLI
Conclusi gli studi di pianoforte, si dedica aquelli di canto ponendo attenzione sia al re-pertorio operistico che a quello sacro. Dopoaver vinto prestigiosi concorsi internazio-
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nali, la carriera la porta presto ad esibirsi inimportanti palcoscenici europei e a colla-borare con artisti di prima grandezza: lavo-ra con Peter Maag nel Turco in Italia diRossini, canta La Traviata a Salisburgo conRiccardo Muti, il Nabucco alla Scala sem-pre con Muti, Les Troyens con Colin Davis.Nel 1996 debutta negli U.S.A. (alla SeattleOpera) in Cenerentola riportando un suc-cesso sensazionale. Nel 1998 ha avuto luo-go il suo debutto al Rossini Opera Festivaldi Pesaro, dove ha interpretato il ruolo del-la protagonista in Isabella di Azio Corghi edove è tornata nel 1999 nel ruolo di Isaurain Tancredi e per un recital. Ha inoltre can-tato nell’Orione di Cavalli a Venezia, nelDon Giovanni, nell’Orfeo, in Giulio Cesaree nella Cenerentola, in Argia a Parigi, inIdomeneo, in Così fan tutte con Claudio Ab-bado a Ferrara. Attenta al repertorio liede-ristico e a quello legato alla tradizione del-l’oratorio e della musica barocca, LauraPolverelli vanta una notevole discografia.
ANNA CARNOVALI
Ha debuttato in Elisir d’amore a Rieti, quin-di ha preso parte a produzioni di Rigoletto(presentato in Europa con la Compagniad’Opera Italiana di Milano), di GianniSchicchi (anche al festival pucciniano diTorre del Lago), di Un ballo in maschera aTreviso, nel Flauto magico a Los Angeles,in Mitridate Re del Ponto a Torino. Dopoaver affrontato una tournée italiana conBohème, ha cantato nella Favorita e nelComte Ory. Ha inciso in CD lavori ineditidel contemporaneo Luciano Bellini e di Ni-cola Vaccai.
DANIELA PINI
Vincitrice di vari concorsi, ha esordito inBastiano e Bastiana e ha poi debuttato nel-l’Italiana in Algeri (Isabella) al Teatro diLugo. Dopo essersi dedicata al repertoriocontemporaneo, cantando ed incidendo l’o-pera Dammi la luna di Pier Luigi Zagolmi,nel 1998 ha svolto un’intensa attività con-certistica ed ha cantato in Fedora, Così fantutte e Rigoletto. Lo scorso anno ha presoparte a Alahor di Granada di Donizetti aPalermo ed alla Manon di Massenet a Kla-
genfurt.
ANTONIO DE GOBBI
Vincitore del premio «Katia Ricciarelli» nel1992, Antonio De Gobbi ha cantato per leprincipali istituzioni lirico-concertisticheitaliane (Scala, Fenice, Accademia Musica-le di Santa Cecilia, Comunale di Bologna,Ravenna Festival), presentando, sotto rino-mate bacchette (Maag, Sinopoli, Gergiev,Muti, Bartoletti), un ampissimo repertorioche spazia da Monteverdi ai contempora-nei. Quest’anno ha partecipato al Così fantutte, al Trovatore, all’Assassinio nella cat-tedrale di Pizzetti a Torino, alla Notte di unnevrastenico di Rota a Bologna, alla Fan-ciulla del west a Firenze, al Nabucco inArena di Verona.
BRUNO DE SIMONE
Distintosi come baritono brillante e come«buffo» nel repertorio sette-ottocentesco, èregolarmente richiesto da teatri e istituzio-ni in Italia ed all’estero per produzioni con-cernenti il dramma giocoso e l’opera buffacon particolar riguardo a lavori di Cimaro-sa, Paisiello, Mozart, Rossini e Donizetti.Molto proficua è la collaborazione con il re-gista Roberto De Simone, con il quale haapprofondito gli aspetti interpretativi ispi-rati ad una rilettura moderna del granderepertorio comico: questa specializzazione,sorretta da un naturale talento teatrale, lorende uno dei più interessanti bassi-barito-ni italiani. Attivo anche sul versante operi-stico tradizionale (Don Pasquale con Muti,Il barbiere di Siviglia con Chailly, Elisird’amore, L’italiana in Algeri, Le nozze diFigaro) e «serio» (Bohème, Lodoiska), si èdedicato a lavori del Novecento (le SetteCanzoni di Malipiero, i Sette peccati capita-li di Weill, La favola di Orfeo di Casella, Ilcarillon del gesuita di Arcà) e a numeroseincisioni discografiche. A Venezia ha can-tato Una cosa rara di Vicente Martín y So-ler.
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CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
presidente Paolo Costa
consiglieri: Giorgio Brunetti, vicepresidente
Giorgio Pressburger
Pietro Marzotto
Angelo Montanaro
,,sovrintendente Mario Messinis, sovrintendente
segretario Tito Menegazzo segretario
COLLEGIO REVISORI DEI CONTI
presidente Angelo Di Mico
Adriano Olivetti
Maurizia Zuanich Fischer
FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA
, sovrintendente Mario Messinis, sovrintendente
, direttore artisticoPaolo Pinamonti, direttore artistico
, direttore musicaleIsaac Karabtchevsky, direttore musicale
, primo direttore ospiteJeffrey Tate, primo direttore ospite
SOCIETÀ DI REVISIONE
PricewaterhouseCoopers S.p.A.
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segretario generaleTito Menegazzo
direttore del personalePaolo Libettoni
direttore dell’organizzazione scenica e tecnicaGiuseppe Morassi
segretario artisticoFrancesco Bellini
capo ufficio stampa e relazioni esterneCristiano Chiarot
fotocomposizione e scansioni immagini Texto - Venezia
stampa Grafiche Zoppelli - Dosson di Casier (TV)
Supplemento a: LLAA FFEENNIICCEENotiziario di informazione musicale e avvenimenti culturali della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia
dir. resp. C. CHIAROT, aut. Trib. di Ve 10.4.1997, iscr. n. 1257, R. G. stampa
finito di stampare nel mese di giugno 2000
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AREA ARTISTICA
ORCHESTRA DEL TEATRO LA FENICE
ISAAC KARABTCHEVSKYdirettore principale
JEFFREY TATEprimo direttore ospite
MAESTRI COLLABORATORI
direttore musicale di palcoscenico maestri di sala maestri di palcoscenicoGiuseppe Marotta* Stefano Gibellato * Silvano Zabeo*
Roberta Ferrari ◆ Ilaria Maccacaro ◆
maestro suggeritore maestro alle luciPierpaolo Gastaldello ◆ Maria Cristina Vavolo ◆
Violini primiRoberto Baraldi •Mariana Stefan •Nicholas Myall Gisella CurtoloMauro ChiricoPierluigi CrisafulliLoris CristofoliRoberto Dall’IgnaMarcello FioriElisabetta MerloSara MichielettoAnnamaria PellegrinoPierluigi PuleseDaniela SantiAnna TosittiAnna TrentinMaria Grazia Zohar
Violini secondiAlessandro Molin •Gianaldo Tatone •Luciano CrispilliAndrea CrosaraAlessio Dei RossiEnrico EnrichiMaurizio FagottoEmanuele FraschiniMaddalena MainLuca MinardiMania NinovaMarco PaladinRossella SavelliAldo TelescaJohanna VerheijenMuriel VolckaertRoberto Zampieron
VioleAlfredo Zamarra •Elena BattistellaAntonio BernardiOttone CadamuroRony CreterAnna MencarelliPaolo Pasoli Stefano PioKatalin SzaboMaurizio TrevisinRoberto VolpatoLorenzo Corti ◆
VioloncelliLuca Pincini •Alessandro Zanardi •Nicola BoscaroBruno FrizzarinPaolo MencarelliMauro RoveriRenato ScapinMarco TrentinMaria Elisabetta VolpiDaniela Condello ◆F. Dimitrova Ivanova ◆Carlo Teodoro ◆
ContrabbassiMatteo Liuzzi • Stefano Pratissoli •Ennio Dalla RiccaMassimo FrisonGiulio ParenzanMarco PetruzziAlessandro PinDenis Pozzan ◆
FlautiAngelo Moretti •Luca ClementiAndrea Romani ◆
OttavinoFranco Massaglia ◆
Oboi Rossana Calvi •Marco Gironi •Walter De FranceschiMirco Cristiani ◆
Corno ingleseRenato Nason
Clarinetti Alessandro Fantini •Vincenzo Paci •Federico Ranzato
Clarinetto piccoloClaudio Tassinari
Clarinetto bassoRenzo Bello
Saxofono contraltoMario Giovannelli ◆
Fagotti Roberto Giaccaglia •Dario Marchi •Roberto FardinMassimo Nalesso
ControfagottoFabio GrandessoAndrea Racheli ◆
CorniKonstantin Becker •Andrea Corsini •Adelia Colombo Stefano FabrisGuido FugaLoris Antiga ◆Emanuele Rossi ◆
TrombeFabiano Cudiz •Fabiano Maniero •Mirko BelluccoGianfranco BusettoEleonora Zanella ◆
Tromboni Giovanni Caratti •Massimo La Rosa •Claudio MagnaniniFedrico Garato ◆
Trombone basso Athos Castellan ◆
TubaAlessandro Ballarin
TimpaniRoberto Pasqualato •
PercussioniAttilio De FantiGottardo PaganinLavinio Carminati ◆Claudio Cavallini ◆Claudio Tomaselli ◆
ArpaBrunilde Bonelli • ◆
Pianoforti e tastiereCarlo Rebeschini •
• prime parti◆ a termine* collaborazione
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CORO DEL TEATRO LA FENICE
GIOVANNI ANDREOLIdirettore del Coro
Alberto Malazzialtro maestro del Coro
SopraniNicoletta AndelieroCristina BastonLorena BelliPiera Ida BoanoEgidia BonioloLucia BragaMercedes CerratoEmanuela Conti Anna Dal FabbroMilena ErmacoraSusanna GrossiMichiko HayashiMaria Antonietta LagoEnrica LocascioLoriana MarinAntonella MeriddaAlessia Pavan Andrea Lia Rigotti Ester SalaroRossana Sonzogno
AltiValeria Arrivo Mafalda CastaldoMarta Codognola Chiara Dal Bo Elisabetta GianeseVittoria GottardiKirsten Löell LoneManuela Marchetto Misuzu OzawaGabriella PellosPaola RossiOrietta Posocco ◆Cecilia Tempesta ◆Laura Zecchetti ◆Francesca Poropat ◆
TenoriFerruccio BaseiSergio BoschiniSalvatore BufalettiCosimo D’Adamo Roberto De Biasio Luca FavaronGionata MartonEnrico MasieroStefano MeggiolaroRoberto Menegazzo Ciro PassilongoMarco Rumori Salvatore ScribanoPaolo VenturaBernardino Zanetti Domenico Altobelli ◆Dario Meneghetti ◆Luigi Podda ◆Marco Spanu ◆
BassiGiuseppe AccollaCarlo AgostiniGiampaolo BaldinJulio Cesar BertolloRoberto BrunaAntonio CasagrandeA. Simone DovigoSalvatore GiacaloneAlessandro GiaconMassimiliano LivaNicola NalessoEmanuele PedriniMauro Rui Roberto SpanòClaudio ZancopèFranco ZanettePaolo Bergo ◆
◆ a termine
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AREA TECNICO-AMMINISTRATIVA
direttore di palcoscenicoPaolo Cucchi
responsabile allestimenti scenici responsabile tecnico responsabile archivio musicaleMassimo Checchetto ◆ Vincenzo Stupazzoni ◆ Gianluca Borgonovi
capo reparto elettricisti capo reparto macchinistiVilmo Furian Valter Marcanzin
capo reparto attrezzisti capo reparto sartoria responsabile falegnameriaRoberto Fiori Maria Tramarollo Adamo Padovan
responsabile ufficio promozione e decentramento responsabile ufficio segreteria artisticaDomenico Cardone Vera Paulini
responsabile ufficio economato responsabile ufficio ragioneria responsabile ufficio personaleAdriano Franceschini e contabilità Lucio Gaiani
Andrea Carollo
MacchinistiMichele ArzentonMassimiliano BallariniBruno BelliniVitaliano BonicelliRoberto CordellaAntonio CovattaGiuseppe DalenoDario De Bernardin Paolo De Marchi Luciano Del ZottoBruno D’EsteRoberto GalloSergio GaspariMichele GaspariniGiorgio HeinzRoberto MazzonAndrea MuzzatiPasquale PaulonMario PavanRoberto RizzoStefano RosanPaolo RossoFrancesco ScarpaMassimo SenisFederico TenderiniEnzo VianelloMario VisentinFabio Volpe
ElettricistiFabio BarettinAlessandro BallarinAlberto BellemoAndrea BenetelloMichele BenetelloMarco CovelliCristiano FaèStefano FaggianEuro MichelazziRoberto NardoMaurizio NavaPaolo PadoanCostantino PederodaMarino PeriniRoberto PerrottaStefano PovolatoTeodoro ValleGiancarlo VianelloMassimo VianelloRoberto VianelloMarco Zen
SarteBernadette BaudhuinEmma BevilacquaAnnamaria CanutoRosalba FilieriElsa FratiLuigina MonaldiniSandra Tagliapietra
AttrezzistiSara BrescianiMarino CavaldoroDiego Del PuppoSalvatore De VeroNicola ZennaroOscar GabbanotoVittorio Garbin
ScenografiaGiorgio NordioMarcello Valonta
ManutenzioneUmberto BarbaroGiancarlo Marton
Addetti orchestra e coroSalvatore GuarinoAndrea RampinCristiano BedaLorenzo Bellini ◆
Servizi AusiliariStefano CallegaroWalter ComelatoGianni MejatoGilberto PaggiaroVladimiro PivaThomas SilvestriRoberto Urdich
BiglietteriaRossana BertiNadia BuosoLorenza Pianon
ImpiegatiGianni BacciSimonetta BonatoLuisa BortoluzziElisabetta BottoniGiovanna CasarinLucia CecchelinGiuseppina CenedeseAntonella D’EsteLiliana FagarazziAlfredo IazzoniStefano LanziRenata MaglioccoSantino MalandraMaria MasiniLuisa MeneghettiAnna Migliavacca ◆Fernanda MilanBarbara Montagner ◆Elisabetta NavarbiGiovanni PilonFrancesca PiviottiCristina RubiniSusanna SacchettoDaniela SeraoGianfranco SozzaMarika TiletiAlessandra Toffolutti ◆
Francesca TondelliAnna Trabuio ◆Irene Zahtila
◆ a termine