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n. 6 – giugno 2016 la Biblioteca di via Senato Milano mensile, anno viii ISSN 2036-1394 SPECIALE GUIDO GOZZANO Preziosi libri di una breve esistenza di antonio castronuovo Profumi, essenze e aromi in Gozzano di epifanio ajello Morte e nostalgia: le maschere di Gozzano di marco cimmino Xilografie in mostra per il «bel Guido» di gianfranco schialvino Guido Gozzano alla Biblioteca di via Senato di gianluca montinaro SPECIALE GUIDO GOZZANO

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n. 6 – giugno 2016

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno viii

ISSN 2036-1394

SPECIALEGUIDO GOZZANO Preziosi libri di unabreve esistenzadi antonio castronuovo

Profumi, essenze e aromi in Gozzanodi epifanio ajello

Morte e nostalgia: le maschere di Gozzanodi marco cimmino

Xilografie in mostra per il «bel Guido»di gianfranco schialvino

Guido Gozzano alla Biblioteca di via Senatodi gianluca montinaro

SPECIALE GUIDO GOZZANO

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V.le del Mulino, 4 – Ed. U15 – 20090 Milanofiori – Assago (MI) – Tel. 02 33644.1 Via Cristoforo Colombo 173 - 00147 Roma – Tel. 06 488888.1

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Sommario4

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SPECIALE GUIDO GOZZANOPREZIOSI LIBRI DI UNA BREVEESISTENZAdi Antonio Castronuovo

SPECIALE GUIDO GOZZANOPROFUMI, ESSENZE E AROMI IN GOZZANOdi Epifanio Ajello

SPECIALE GUIDO GOZZANOMORTE E NOSTALGIA: LE MASCHERE DI GOZZANOdi Marco Cimmino

SPECIALE GUIDO GOZZANOXILOGRAFIE IN MOSTRA PER IL «BEL GUIDO»di Gianfranco Schialvino

SPECIALE GUIDO GOZZANOGUIDO GOZZANO IN VIA SENATOdi Gianluca Montinaro

IN SEDICESIMO – Le rubricheLE MOSTRE – COLLEZIONI ECOLLEZIONISTI a cura di Luca Pietro Nicoletti,Gianluca Montinaroe Corrado Mingardi

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La riflessioneLE SCELTE DELL’OCCIDENTEE LO SCONTRO FRA SUNNITI E SCIITIdi Claudio Bonvecchio

BibliofiliaOLTRE LA STRAGE. UN FOGLIOVOLANTE MILANESE DEL ’500di Giancarlo Petrella

EditoriaGLI OTTANT’ANNI DEGLI STRUZZI DI EINAUDIdi Massimo Gatta

In Appendice – FeuilletonL.E.X. LE BIBLIOTECHE PROFONDE di Errico Passaro

BvS: il ristoro del buon lettoreDON CONSALVO, DEL CAMBIO E I SEGRETI DEL DOM PERIGNONdi Gianluca Montinaro

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO

MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO VIII – N.6/73 – MILANO, GIUGNO 2016

la Biblioteca di via Senato – Milano

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Biblioteca di via Senato

Via Senato 14 - 20122 MilanoTel. 02 76215318 - Fax 02 [email protected]@bibliotecadiviasenato.itwww.bibliotecadiviasenato.it

PresidenteMarcello Dell’Utri

Direttore responsabileGianluca Montinaro

Servizi GeneraliGaudio Saracino

Coordinamento pubblicitàInes LattuadaMargherita Savarese

Progetto graficoElena Buffa

Fotolito e stampaGalli Thierry, Milano

Immagine di copertinaGianfranco Schialvino, Ritratto di Guido Gozzano, xilografia, 2016

Stampato in Italia© 2016 – Biblioteca di via SenatoEdizioni – Tutti i diritti riservati

Reg. Trib. di Milano n. 104 del11/03/2009

Per ricevere a domicilio (con il solo rimborso delle spese di spedizione, pari a 27 euro) gli undici numeri annuali della rivista «la Biblioteca di via Senato» scrivere a:[email protected]

L’Editore si dichiara disponibile a regolareeventuali diritti per immagini o testi di cuinon sia stato possibile reperire la fonte

Ringraziamo le Aziende che ci sostengono con la loro comunicazione

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Non le parole che state leggendo avrebberodovuto essere l’editoriale di questonumero del nostro mensile. Ma ciò che

è accaduto, nelle scorse settimane, al presidentedella Fondazione Biblioteca di via Senato, e chesvariati giornali hanno riportato, spinge ad alcuneriflessioni. I comportamenti, gli atteggiamenti, le condizioni e, soprattutto, le umiliazioni a cui è stato sottoposto impongono parole chiare.

Io, che ben conosco il dottor Dell’Utri (che, ricordo, è uomo di 75 anni, e da diversotempo non più in perfetta salute), penso non si siascomposto più di tanto nel trovare la turca dellasua nuova cella, a Rebibbia, sporca di escrementi.Come immagino i suoi pensieri, improntati al fatalismo, quando, 48 ore dopo, ricoveratod’urgenza al Pertini di Roma per una gravissimasetticemia, ha dovuto attendere per giorni l’arrivodella sua cartella medica (contenente anche gli esitidi una risonanza magnetica effettuata una settimana prima) dal carcere di Parma.Documenti che lo hanno raggiunto con moltacalma (nonostante l’urgenza del caso) perchéinviati dall’amministrazione penitenziaria, comesberleffo, per posta e non per via telematica. Credo che questi episodi (ultimi di una lunga serie,improntata alla costante mortificazione umananascosta dietro parvenze di burocrazia,consuetudini di procedura, paludamenti di giustizia) siano la ‘prova provata’ da un latodell’accanimento barbaro verso un uomo che è stato preso a simbolo di un certo ‘periodo politico’,dall’altro delle storture del sistema giudiziario del nostro Paese. Che, ricordo, per cavilli, consente

la libertà ad assassini rei confessi, e al contempo sicompiace di umiliare un (ex) senatore, come scrittoqualche giorno fa su un quotidiano, «a pulirsi ilcesso» e a costringerlo in attesa, a rischio della vita.

Il tutto detto senza entrare nel merito del dispositivo di un giudizio che, peraltro, fa riferimento non al codice ma solo allagiurisprudenza. Certo, se da un lato è giusto che le sentenze si applichino, dall’altro – essendocommutate da uomini, fallibili – è altrettantogiusto si possano sempre discutere, consideratoanche che la Storia, purtroppo, è piena di casi dicondanne ingiuste (perché, ed è doveroso dirlo conla massima chiarezza, anche i giudici sbagliano).

In questi ultimi due anni, per rispetto e perriserbo, gli amici e i collaboratori del dottorDell’Utri e della sua famiglia non hanno quasimai fatto sentire la loro voce su tutte queste tristivicende. Ora la misura è colma. E, anche io,insieme a tanti altri (gli stessi che ricevono questarivista, gli stessi che per anni hanno condiviso con il dottor Dell’Utri la passione per i raffinati volumie il collezionismo, gli stessi che hanno affollato leMostre del Libro Antico e gli eventi organizzati invia Senato, gli stessi che hanno partecipato assiemea lui alle avventure editoriali e tipografiche), dico«basta!». Dico che non mi riconosco nel giudizio di condanna del dottor Dell’Utri, benché esso siastato emesso «in nome del popolo italiano». E dico, soprattutto, che i modi e i termini con cuista scontando la pena sono umilianti tanto per luiquanto per tutti gli italiani, in nome dei quali lasentenza è stata pronunciata.

Gianluca Montinaro

Editoriale

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giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 5

PREZIOSI LIBRI DI UNABREVE ESISTENZA

Le edizioni in vita di Guido Gozzano

Gozzano proveniva da unafamiglia agiata che gli permisedi compiere studi di giurispru-denza, condotti tuttavia in ma-niera svogliata, anche perchéangustiato assai presto dalla tu-bercolosi, malattia che lo portòpresto alla morte. Entrò in con-tatto negli anni di studio con unampio gruppo di letterati ostiliall’imperante dannunzianesi-mo: ne trasse l’impulso ad ab-bracciare una poesia che - im-mersa nel quotidiano, capace diesprimere i sentimenti della di-sillusione e dell’incomunicabili-tà - si concretizzò nelle collezio-

ni liriche La via del rifugio (1907) e I colloqui(1911).

Un impegnativo viaggio in India, cui si sot-tomise per motivi di salute, diventò occasione difantasia attorno a letture di tema esotico, più chemotivo di osservazione della realtà vissuta: dallecorrispondenze giornalistiche del viaggio nacqueil volume postumo Verso la cuna del mondo (1917).Fu anche autore di novelle (L’altare del passato,1918; L’ultima traccia, 1919), e fiabe per bambini(La principessa si sposa, 1917).

Se però la vita di Gozzano fu breve, la sua vi-cenda editoriale dimostra come i pochi vissuti fu-

L’esistenza di GuidoGozzano (1883-1916)fu breve, poco meno di

33 anni, ma il posto che egli oc-cupa nella letteratura del primoNovecento è centrale: depuran-do il proprio stile dalla magnilo-quenza dannunziana superomi-stica e ‘sublime’ diede vita al di-sincanto del crepuscolarismo,abbracciando un nuovo rappor-to sentimentale - anche pateti-co, anche ingenuo - con le cose.Tuttavia, non esente da venaironica, la sua poesia si salvòdall’abbandono incondizionatoalle ‘piccole cose’ del gusto cre-puscolare e riuscì a intercettare la sensibilità mo-derna, al punto da accogliere nella propria poeticala vergogna di «essere poeta», così come era acca-duto a Corazzini di affermare «io non sono unpoeta» e sarebbe capitato a Palazzeschi di doman-darsi «son forse un poeta?».

SPECIALE GUIDO GOZZANO

Sopra: la cosiddetta “terza edizione” (in realtà seconda)

de La via del rifugio, prima raccolta poetica di Gozzano.

Rispetto alla prima edizione il disegno non è incorniciato

e la data è solo «1907».

Nella pagina accanto: il disegno di Filippo Omegna riportato

di fianco al frontespizio nell’edizione Treves (1936)

ANTONIO CASTRONUOVO

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6 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

rono anni di intensa preparazione all’edizione diopere. In vita ne vide nascere tre: le due citate rac-colte liriche (1907, 1911) e le fiabe I tre talismani(1914), scarno elenco cui va aggiunto un estrattodella «Nuova Antologia». L’ansioso fermento dilavoro lo aveva però portato a predisporre in largamisura anche altri progetti in prosa, quelli sopra ci-tati, che videro la luce tra 1917 e 1919, vale a dire iprimi anni dopo la scomparsa, e tutti presso Treves.

�Consapevoli che l’oggetto-libro è il conteni-

tore della scrittura, e che questa è destinata a farsiquestione critica e filologica, osserviamo che ciòaccade in massimo grado con Gozzano: problema

critico di rilievo per la letteratura italiana, ma an-che - se solo s’indugia sul numero di varianti di unasingola poesia e sul suo transito da un volume al-l’altro - pungente problema filologico. Qui dun-que mi soffermo solo sulla ‘fisicità’ delle edizioniche Gozzano riuscì a vedere in vita.

L’idea del primo libro, La via del rifugio, sorsealla fine del 1906, quando il poeta pensò di racco-gliere i versi che aveva pubblicato negli ultimitempi su riviste e giornali, specialmente di Torino.Per vari mesi lavorò intensamente a una rigorosaselezione del proprio materiale; impegno checomportò la revoca di versi che ormai sentivaestranei e una meticolosa opera di correzione erielaborazione. E mentre era immerso in questa

Da sinistra: la copertina della prima edizione, pubblicata da Streglio, de La via del rifugio (1906-1907): notare il disegno in cornice

e la data «1906-1907». Frontespizio della prima edizione che indica come data, a differenza della copertina, il solo «1907»

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7giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

occupazione addizionava nuovi componimenti,fino all’aprile del 1907, quando il libro vide la lucegrazie all’aiuto finanziario della madre DiodataMautino: Guido poté pagare l’editore Renzo Stre-glio e vedersi pubblicato.

La casa editrice vantava sedi a Genova, Tori-no e Milano; ma la stampa della Via del rifugio, co-me suona un colophon nel retro di frontespizio, furealizzata a Venaria Reale presso la «Tipografiadella Casa Editrice R. Streglio», dunque a Torino.Il libro ha dimensioni di cm 22,5 × 15,5; copertinain brossura a due colori con un bel disegno incor-niciato di Filippo Omegna (cugino di Gozzano)che rappresenta la facciata scrostata di un vecchioedificio il cui portale è dominato da una pianta

rampicante. Fuori cornice, in alto a destra, apparela scritta «1906-1907», indicativa degli anni in cuile poesie erano state composte o ‘manipolate’. Lastruttura del libro è semplice: 88 pagine, senzasuddivisioni delle singole poesie, venticinque intutto (trenta se consideriamo i sei Sonetti del ritor-no, uniti sotto il medesimo titolo, come testo sin-golo).

All’opera arrise un successo insperato, anchese la critica, con una serie di giudizi non positiviapparsi sui giornali, non era stata bonaria: sta difatto che in pochi mesi la prima tiratura andò esau-rita. La via del rifugio fu pertanto riproposta dal-l’editore nell’agosto 1907 e sarebbe stata suffi-ciente una semplice ristampa, se non fosse che i te-

Da sinistra: il disegno che sovrasta la prima poesia della raccolta La via del rifugio; la quarta di copertina, con il simbolo

dell’editore Streglio

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sti erano gravati da troppi refusi. Si decise pertan-to di ricomporre il libro, accogliere qualche va-riante e procedere a una nuova edizione che, puressendo la seconda, comparve con la falsa dicitura«3a Edizione» voluta dallo stesso Gozzano. Edi-zione che vide la luce con «qualche errore anticodi meno e qualche nuovo di più», come l’autorescrisse a Carlo Vallini il 27 agosto 1907 (lo si leggenelle Lettere a Carlo Vallini con altri inediti, Torino,Centro Studi Piemontesi, 1971). La nuova edizio-ne differisce dalla prima per alcuni caratteri di co-

pertina che la rendono immediatamente ricono-scibile: il disegno di Omegna è lo stesso ma non èincorniciato; inoltre la scritta in alto a destra è solo«1907». L’interpretazione di questa data singolasembra essere ovvia: la nuova edizione era il fruttodi un lavoro di correzione e rifacimento che risali-va esclusivamente al 1907.

L’editore milanese Treves propose a Gozza-no una (vera) terza edizione da pubblicare nel1908, comprensiva di versi inediti nel frattempocomposti, ma il poeta aveva già cominciato da me-si a elaborare l’idea di una nuova raccolta poetica,per cui rinunciò, dedicandosi al suo progetto.

Ampia l’analisi critica su questa prima colle-zione poetica: qui accenno soltanto al fatto che es-sendo Gozzano considerato autore di un solo li-bro, I colloqui del 1911, nei quali il testo de La viadel rifugio - poesia che, sorta dalla rielaborazionedi un canto popolare, apre la raccolta e assegna iltitolo all’intera collezione - non è ripreso, questiversi con stimmate di cantilenante filastrocca sonofiniti in una posizione critica marginale, anche sela loro esemplarità è oggi riconosciuta proprio nelritmo e nella struttura circolare di apparente sem-plicità. Ma la poesia, ripudiando lo stile lirico co-stituito dalle situazioni preziose e artificiose, è an-che considerata la prima, significativa sperimenta-zione letteraria di abbandono del modello dan-nunziano, anche se vi si avverte la lettura, almeno,di d’Annunzio. Inoltre, nella raccolta compaionole prime versioni dei testi più noti di Gozzano (Ledue strade, L’amica di nonna Speranza).

La via del rifugio è oggi libro assai raro e moltoricercato; le copie transitate in antiquariato hannoavuto quotazioni dai 1500 ai 2000 euro. La secon-

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A sinistra dall’alto: l’edizione Treves de La via del rifugio

(1936); firma autografa di Guido Gozzano. Nella pagina

accanto da sinistra: la prima edizione de I colloqui

(Milano, Treves, 1911); frontespizio della prima edizione

Treves: trattasi di copia del “secondo migliaio”

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9giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

da edizione (cosiddetta «terza») ha quotazioni chesi attestano attorno ai 500 euro. Rintracciabile èinvece la cosiddetta ‘edizione definitiva’ che Tre-ves pubblicò nel 1936 come primo volume delle“Opere di Guido Gozzano” e col titolo La via delrifugio. Con un’aggiunta di poesie varie. Di dimen-sioni diverse rispetto all’originale, cm 21,5 × 16,5,il volume è una brossura a due colori che riportasimpaticamente il disegno di Omegna all’interno,di fianco al frontespizio. Diverso anche l’impiantocontenutistico: alle composizioni della prima edi-zione ne sono aggiunte altre nuove.

�Una simpatica pausa editoriale agì da cernie-

ra fra il primo e il secondo libro di Gozzano. Nelmarzo del 1909 la rivista «Nuova Antologia» pub-blicò la sua più famosa poesia - il lungo poemettodi 434 versi La signorina Felicita ovvero la felicità - ene stampò un estratto brossurato di dodici facciate

delle dimensioni di cm 24,5 × 16,5: l’estratto andòsubito esaurito ed è oggi molto raro.

Il tragitto alla nuova raccolta poetica fu se-gnato per Gozzano da eventi drammatici. Già datempo si erano manifestati i primi sintomi di tu-bercolosi, e la malattia ricomparve in tutta la suagravità dopo l’edizione della Via del rifugio, co-stringendo Gozzano a raggiungere, su consigliomedico, la riviera ligure e ad affrontare poi una se-rie di viaggi in climi più caldi, nella speranza di ot-tenere un beneficio di salute. Lungo questi sposta-menti, avendo anche abbandonato gli studi uni-versitari, il poeta si dedicò a un intenso lavorocompositivo, guidato dall’urgenza di assemblare ilproprio ‘libro della vita’. Lavorò tra l’estate del1907 e l’autunno del 1910 - pubblicando nel frat-tempo alcune liriche su periodici - prima di conse-gnare il materiale, 24 composizioni in tutto, al-l’editore Treves, che pubblicò la raccolta nel feb-braio 1911 col titolo I colloqui. Liriche di Guido

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10 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

Gozzano. Come la precedente, la raccolta ebbesuccesso e valse a Gozzano parecchie richieste dicollaborazione a importanti quotidiani e riviste,sulle cui pagine pubblicò lungo il 1911 varie poe-sie e prose.

Si tratta di una brossura con illustrazione dicopertina a due colori di Leonardo Bistolfi, imma-gine simbolista di due figure i cui volti si sfioranoper un bacio dall’intenso sapore di morte; la lorostessa posa rammenta una scultura funebre di cimi-tero monumentale. Il libro conta 160 pagine (più 4di premessa editoriale) e ha dimensioni di cm 22,5 ×16,5. Il materiale poetico vi è disposto secondo unastruttura ben più organica, e internamente coesa, diquella della raccolta precedente: secondo un preci-so progetto i componimenti sono divisi nelle tre se-zioni Il giovenile errore, Alle soglie, Il reduce.

La storia compositiva dei Colloqui, per laquantità delle varianti e per l’assenza di sicure te-stimonianze manoscritte che aiutino a fissare leforme certe di ogni singola poesia, è parecchio

anomala. Ma ugualmente complessa è la storiaeditoriale, che dopo la prima comparsa del 1911vide varie ristampe (nel 1922 l’opera aveva rag-giunto il 19° migliaio, ma non tutte le copie porta-no l’indicazione del migliaio). Una nuova edizio-ne Treves nel 1925, dal titolo I primi e gli ultimi col-loqui, era indicata come ‘edizione definitiva’ e con-taminava La via del rifugio con I colloqui. Giunsepoi nel 1935, sempre presso Treves, l’edizione daltitolo I colloqui e altre poesie. Nessuna di queste edi-zioni può essere giudicata ‘definitiva’, ragione percui si tratta - dalla prima del 1911 a quella del 1935- di libri tutti differenti che, sul piano della biblio-filia, rappresentano pezzi unici e ugualmente inte-ressanti per il collezionista.

Non è facile rintracciare nell’antiquariato laprima edizione del 1911, dovendo fare attenzioneal fatto se si tratti o meno di copia appartenente aun ‘migliaio’ delle ristampe seguenti il 1911. Inogni caso, le copie oggi rintracciabili si attestanotra i 250 e i 700 euro, in base anche alle condizionidi conservazione.

�Tra le tante collaborazioni giornalistiche,

Gozzano lavorava anche col «Corriere dei Piccoli»e nel 1914 raccolse sei fiabe, là pubblicate tra 1910 e1911, nel volume I tre talismani, edito a Ostiglia da“La Scolastica” Editrice di A. Mondadori & C. (edi-zioni successive riportano l’acquisizione del dirittoda parte di Mondadori nel 1913). Legato in tela, ilvolume ha dimensioni di cm 20 × 16,5 ed è ornato dabelle illustrazioni a tre colori e capilettera di Anto-nio Rubino. La dicitura ‘introvabile’ è ironicamenteaccolta nel mondo della bibliofilia, dove si affermache se un qualche rarissimo pezzo appare sul merca-to non può essere davvero definito ‘introvabile’.Nel caso dei Tre talismani l’attributo è consono: ilvolume non si trova, e se anche dovesse sbucarneuno dall’oscurità, il fortunato acquirente lo nascon-derebbe subito, rendendolo nuovamente ‘introva-bile’. E farebbe bene.

Guido Gozzano, in un celebre scatto d’epoca

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www.moment.itÈ un medicinale a base di ibuprofene che può avere effetti indesiderati anche gravi.Leggere attentamente il foglio illustrativo. Autorizzazione del 28/01/2016.

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giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 13

convivenza (e invecchiamento) coi bei «manicot-ti», le «stampe truci», il «Loreto impagliato» etutti i «rottami» deposti nel solaio di Villa Amare-na.

In questi - come dire? - amalgami di tempo eoggetti, nelle poesie di Gozzano andrebbe, però,notata la presenza di altre entità poco compatte edel tutto volatili, quali sono i profumi, gli aromi,le essenze, artificiali o naturali, che si diffondonodalle cose. Odori ‘evaporabili’ e poco consistenti,ma assai utili al poeta, al pari delle «buone cose dipessimo gusto» o delle «novissime cose», per ad-dobbare le scene, creare le opportune atmosfere,e in definitiva «vestire di tempo» gli ambienti.Certo, ermeneuticamente, gli effluvi non possono

Ah! Se voi foste qui, tra questi fiori,amica! O bella voce tra i profumi!Se recaste con voi tutti i volumiDi tutti i nostri dolci ingannatori!

Guido Gozzano, La medicina

Che Guido Gozzano abbia sempre «vestitodi tempo» le cose che ha messo nei suoiversi, è discorso acclarato. A tal punto -

secondo Edoardo Sanguineti - di aver fabbricato«direttamente l’obsoleto, in perfetta coscienza eserietà».1 La modernissima bicicletta» di «Gra-ziella», oppure il rombo delle auto di fronte allavilla di «Totò Merumeni» sono votate a invec-chiare e quindi a essere ricordate, con ironia o no-stalgia, a libera scelta, al pari delle «crinoline» odelle «vecchie stampe». Tutta la poesia gozzania-na è fatta di sdoppiamenti, urti, differenze, a par-tire dallo stesso poeta, a tu per tu con se stesso.Ogni cosa è desueta o si appresta subito a esserlocome i contemporaneissimi, per lui, «dentifrici»,«fialette», «camicie», «radioscopie», «cioccolat-te», «gonne» o «dolci pericolanti», in perfetta

SPECIALE GUIDO GOZZANO

Nella pagina accanto: riproduzione del disegno di Luigi

Bistolfi che adorna la copertina della prima edizione de

I colloqui (Milano, Fratelli Treves, 1911). A destra:

autografo de L’amica di Nonna Speranza (fogli conservati

presso il Centro Studi Gozzano, Università di Torino)

PROFUMI, ESSENZE E AROMI IN GOZZANO

Poesia e ‘scenografie volatili’EPIFANIO AJELLO

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pure, in perfetto compendio, dove «salgono colprofumo del passato/ da un cofanetto pieno di ri-cordi?» (Le non godute) o, infine, impeccabilmentee gozzanianamente, nel debito urtarsi di aromi dif-ferenti come accade in Prologo: «odor sacro e pro-fano d’incensi e di belletti».

Appare evidente che il gioco essenziale sulquale Gozzano innesca il rapporto oggetto/odoreè da impiegarsi - per dirla con Giovanni Getto -nello «sgomento dello spazio e del tempo e daun’esigenza di rifugio contro il loro inquietante in-combere», ma anche - aggiungiamo - per un di-

14 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

essere usati come temi letterari (visto, per altro, chenon sono nemmeno contemplati tra le voci del Di-zionario dei temi letterari),2 ma possono assumere senon proprio la funzione di motivi letterari, certa-mente di indizi.

Tracce, ahimè, assai impalpabili, la cui pre-senza si avverte in «vecchie stanze, aulenti di coto-gne» (Sonetti del ritorno), oppure, in giardino, dove«un maggio antico odora e canta» ([Stecchetti]), oancora, più in là, dove si respira l’esotico «aromadell’Atlantico selvaggio» (Congedo), e dove «odorala divina foresta spessa e viva» (La più bella), op-

Sopra da sinistra: copertina de I colloqui e altre poesie, Milano, Garzanti, 1944. Questo volume (II tomo della collana

“Opere di Guido Gozzano” composta da: I: La via del rifugio, con un’aggiunta di poesie varie; II: I colloqui e altre poesie;

III: L’altare del passato - L’ultima traccia; IV: Verso la cuna del mondo; V: La principessa si sposa - Le dolci rime; VI:

L’epistolario) è il numero 747 di 1000 esemplari. Sul frontespizio è inoltre specificato «prima edizione romana» (Milano,

Biblioteca di via Senato). Immagine a destra: frontespizio de I colloqui di Guido Gozzano (Milano, Treves, 1911, tiratura

quinto migliaio). Nella pagina accanto: Guido Gozzano (al centro) con alcuni amici, alla Marinetta di Genova (1910 circa)

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15giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

staccato assaporare l’istante, verificare un’espe-rienza e alfine scherzare «gelido» con le cose da te-nere intatte e lontane dalle tarme dell’oblio, a costodi custodirle (e qui il tanfo è decisivo) «sepoltecome vesti, / sepolte in un armadio canforato» (To-rino).

I profumi assumono un ruolo quasi magico,ma sempre giocato con distaccata ironia, capaci diricapitolare (addensare) al presente il tempo tra-scorso, e il fascino dell’istante rivissuto attraversol’olfatto fa tutt’uno con la nominazione delle cose.Di quanto non può più ritornare, a salvarlo è sol-tanto, per Gozzano, il rifugio in un «Odore d’om-bra! Odore di passato!/ Odore d’abbandonodesolato!», La signorina Felicita), o meglio la suanominazione. Non siamo lontani da quanto, inpratica, Mario Praz notava per le suppellettili dan-nunziane, ovvero che «se nominare una cosa valquanto enunciarne l’essenza stessa, evocarla inforza di un potere quasi fiabesco […] quasiché ilnome ne contenesse la quintessenza»,3 e da quanto,misurate opportunamente le distanze, magistral-mente faceva in quegli anni Marcel Proust: «rico-nobbe, segreta, sussurrante e distaccata, la fraseaerea e odorosa che egli amava. […] Alla fine essasi allontanò, indicatrice, diligente, tra le ramifica-zioni del suo profumo, lasciando sul volto di Swannil riflesso del suo sorriso» (La strada di Swann).

Ma, beninteso, per Gozzano, gli aromi non ri-velano nulla, non agiscono nessun effetto epifanicoda potersi accostare alle madelaines o al selciato delpalazzo dei Guermantes (sebbene cronologica-mente lì vicini), ma svolgono soltanto e impecca-bilmente un ruolo scenografico, servono adaccrescere il senso degli spazi, a celebrare i dettagli,ad aiutare, negli intérieures, le cose a essere metro-nome del tempo, e a rammentarlo quando ce n’èbisogno. Ora, per mettere ordine in una materiacosì volatile proveremo soltanto a catalogare gliodori a seconda dei luoghi dove si effondono, sud-dividendoli in due grandi classi: gli odori naturalie quelli artificiali, quelli che si danno nell’interno

delle camere, ovvero in forte relazione con le coseche ammobiliano i «salotti» (o le dispense), daquelli della campagna o dalla strada; accogliendo ilrischio (che mette in pericolo la scientificità dei cri-teri della collezione) che gli odori, forse per la lorostessa volubilità, amano diffondersi da una poesiaall’altra, come, ad esempio, accade nella primaparte dei Sonetti del ritorno, dove l’«odor triste dicotogna» assieme a quelli di «muffa, di campe-stre», presenti «nell’umile casa centenaria», se nevanno a miscelarsi col «profumo di mentastro»nella quarta parte dei Sonetti del ritorno, quale«buon odor di cotogna», e poi, non contenti, nel-l’Ipotesi, con gli olezzi assai poco aulici e campestridi «cera di pavimento,/ di fumo di zigaro…». Op-pure, può anche accadere che gli aromi si mettanoin urto tra loro (cosa molto amata da Gozzano),come succede nella seconda parte dei Sonetti del ri-torno, dove il poeta invita il glicine ad aver ragionedei barbari tanfi di «muffa e cotogna»: «Il profumodi glicine dissìpi/ l’odor di muffa e di cotogna», ead addobbare il frontespizio della casa paterna ecentenaria: «O casa fra l’agreste e il gentilizio,/ co-ronata di glicini leggiadre,/ o in mezzo ai campidolce romitaggio!». Altri scontri tra odori e cose sisviluppano nella poesia Dante dove per lo scolaroGozzano è l’effluvio di ginestre a vincere la partitacol noioso «comento retorico e fittizio» del «buonmaesto» che s’addormenta.

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16 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

Per il nostro breve tragitto, è il caso, ora, dipartire esemplarmente da quella sorta di catalogovisivo e odoroso che è la «Villa amarena» della Si-gnorina Felicita, posizionata centralmente e strate-gicamente nei Colloqui, dove è tutto un profluviodi odori che si differenziano a seconda dei piani delcaseggiato, dal salotto dove imperversa l’«odord’inchiostro putrefatto» nel suo rivaleggiare con«l’odor d’ipecacuana» della farmacia del villaggio,o in cucina dove si godono «quegli odori/ tantatanto per me consolatori,/ di basilico d’aglio di ce-drina»,4 mentre «il buon aroma [del caffè] si dif-fonde intorno», per passare poi nell’«orto dalprofumo tetro di busso», e alfine giungere al solaio,deposito puntuale di cianfrusaglie, «di ciò ch’èstato e non sarà più mai» per cui si diffonde stantio«Odore d’ombra! Odore di passato!/ Odore d’ab-bandono desolato!», ma dove anche si favoleggia,

in debito contrasto, di viaggi per «guarire d’altriviaggi», «oltre Marocco, ad isolette strane,/ ricchein essenze, in datteri, in banane,/ perdute nel-l’Atlantico selvaggio…» (olezzi tutti da rinviarsiagli «aromi della jungla in fiore» della poesia diKetty).5

Anche i profumi della natura sembrano gio-care il classico ruolo del «rifugio» dal tempo e dallospazio e dal morire (geograficamente poi cercatonel calpestio concreto della terra indiana), maanche assaporare fino in fondo un presente che nondurerà per molto. Se, infatti, entriamo, ad esempio,nella poesia Le due strade, e usciamo subito sulla«bella strada» che «tra bande verdigialle d’innu-meri ginestre/ scendeva nella valle», ecco apparire«rapidamente in vista» la «bimba Graziella», e ve-nirci subito incontro, assieme all’«aroma/ degliabeti», l’aroma di «adolescenza» della «Signo-

Villa Il Meleto, ad Agliè Canavese, residenza estiva di Guido Gozzano (foto d’epoca)

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17giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

rina», del quale dolorosamente Gozzano assaporal’effluvio, e non serve certo a lenire la sua disillu-sione amorosa il «buon odore dei boschi./ Di qualiaromi opimo odore non si sa:/ di resina? di timo?O di serenità?...». E, da qui, è tutto un rincorrersidi profumi naturali: di «glicine»: «di ginestre»(Dante), o di esotici aromi quali quelli dove «odorala divina foresta spessa e viva» (La più bella), e dovesi diffonde «l’odor/ di pace, filtro di non so chefrutto» (Paolo e Virginia), in un maggio che «odorae canta» ([Stecchetti]).

Questa meccanica, odori compresi, è piena-mente messa in piedi dal poeta torinese on l’Ipo-tesi, al di là della invertita cronologia di scritturadel testo della Signorina Felicita, dove una doppiarisma di odori si danno convegno. Nell’Ipotesi, inperfetta polarità di date, riappare il salotto buonoe ottocentesco di nonna Speranza, ma rivisitato nel«millenovecentoquaranta» e riadattato a «sala dapranzo». Sarà proprio in virtù della miscela degliodori di «cotogna, cera da pavimento e fumo di zi-garo» che ancora vi permangono, che si avvia unistantaneo miracolo della ricerca di un tempo per-duto. Ma, se questo accade all’interno delle ca-mere della «villa remota del Canavese»,all’esterno, in giardino, si configura un ipoteticofuturo che non si darà, immaginato nella convivia-lità tutta borghese di un Gozzano settantenne incompagnia dei «superstiti amici d’adesso», in unquadretto da declinarsi al condizionale come unsogno che resterà tale.

Ma è proprio lì, nel giardino immaginario,

che l’«aroma» del trionfo dei «frutti» permette ilricordo dei «vent’anni felici», all’arrivo del «mas-saio con le vecchie fruttiere»: «E l’uve moscate piùbionde dell’oro vecchio; le fresche/ susine claudie,le pesche gialle a metà rubiconde,// l’enorme peremostruose, le bionde amandorle, i fichi/ incisi daibeccafichi, le mele che sanno di rose// emanereb-bero, amici, un tale aroma che il cuore/ ricorde-rebbe il vigore dei nostri vent’anni felici» (L’ipotesi).

Ma i profumi, per terminare il nostro brevecatalogo, assumono per Gozzano anche una fortecarica sensuale, come gli accade per strada, attrattoe seguendo «l’odorosa traccia/ della tua gonna» (Ilgioco del silenzio), oppure quando è sedotto dalle«capigliature» femminili debitamente profumate,che si mescolano, odorose di eros, leggere e frivole,alle paste, ai «velluti» della Confetteria Baratti &Milano, a Piazza Castello, a Torino, dove le «go-lose» si pavoneggiano «fra quegli aromi acuti,/strani, commisti troppo/ di cedro, di sciroppo,/ dicreme, di velluti,// di essenze parigine,/ di mam-mole, di chiome:» (Le golose). «Essenze parigine»di nuovo riusate nei versi del Responso, nei «bei ca-pelli densi come matasse attorte…», per creare tut-t’altra «truce» atmosfera, dove, oggetti e aromiinsieme soccorrono ma non leniscono l’amaro deiricordi del poeta: «C’era un profumo mite che mitornava bimbo:/ …un gracile corimbo di primulefiorite.// E c’era una blandizie mondana acutafine:/ …di essenze parigine, di sigarette egizie… //C’era un profumo forte che inebriava i sensi:/ …ibei capelli densi come matasse attorte…».

NOTE1 Edoardo Sanguineti, Introduzione a G.

Gozzano, Poesie, a cura di E. Sanguineti, To-

rino, Einaudi, 1973, p. VII. 2 Dizionario dei temi letterari, a cura di

R. Ceserani, M. Domenichelli, Pino Fasano,

Torino, Utet, 2007.3 MarioPraz, La carne, la morte e il dia-

volo nella letteratura romantica, Firenze,

Sansoni, 1966, pp. 430-431.4 E qui si aprirebbe anche per Gozzano

un rivolo di rapporti, tutto da indagare, con

la funzione dell’olfatto in d’Annunzio, nelle

cui prose e poesie gli odori, almeno lemma-

ticamente, giuocano un ruolo non del tutto

opposto a quelli gozzaniani.

5 Le comparazioni, mediate dalla «jun-

gla» indiana, si potrebbero allargare anche

ai testi di Gozzano raccolti in Verso la cunadel mondo. Lettere dall’India, dove è tutto

un profluvio, per citarne alcuni, di «profumi

acuti» (La danza di una devadasis), o «acu-

tissimi» (Il fiume dei roghi), tra «odori di fiori»

e «odore d’incenso» (Goa: la dourada).

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giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 19

gozzaniano, tra sorriso e sospiro. Perché Gozza-no è poeta che si smentisce sapientemente da solo:che dice e subito nega, oppure irride e poco dopoaccarezza. E questo suo affermare e negare, scher-zare seriamente, è la dimensione più evidente delsuo essere crepuscolare: crepuscolarismo che siesercita non solo nei colori, nel minimalismo datinello di un Moretti, nel tono sommesso di unCorazzini, ma, nel suo caso, soprattutto nelle sfu-mature tra vero e invenzione, tra gioco fanciulle-sco e studiata recita intellettuale.

Si spiegano così le efficacissime ‘metonimied’ambiente’2 che Gozzano crea con grande facili-tà: gli anemoni arcaici, la matita ridicola, ci resti-tuiscono tutto un mondo e una sensiblerie che ilpoeta osserva tra il divertito e il commosso, come

Vi sono mille modi di affrontare la vita e vene sono mille di affrontare la morte: a se-conda dell’indole, della situazione, del

rapporto che intercorre tra speranza e disperazio-ne. Gozzano scelse di eludere entrambe: tanto lavita quanto la morte. La sua poesia fu eminente-mente elusiva, nel senso più piano e più pieno deltermine.

Quando pubblicò i suoi Colloqui, nel 1911,Gozzano era già un giovane malato incurabile: latubercolosi, che fu la cifra di tanti altri poeti dellasua generazione, e in particolare di altri crepusco-lari, come, ad esempio, Sergio Corazzini, non silimitò a imporgli una sorta di filosofico distaccodall’esistenza,1 ma gli permise di sviluppare quelleche furono, secondo chi scrive, le sue caratteristi-ca distintive, ovvero l’autoironia, il gioco tra real-tà e finzione e, in definitiva, il suo gradevolissimomimetismo. E su questo verterà questo breve in-tervento: sulla complicata decifrabilità del gioco

SPECIALE GUIDO GOZZANO

A destra: Guido Gozzano, insieme alla madre, Diodata

Mautino, ritratti nel giardino di villa Il Meleto, ad Agliè

Canavese. Nella pagina a sinistra: copertina di Verso la cuna

del mondo. Lettere dall’India (1912-1913). Il volume,

stampato a Milano, dai Fratelli Treves, nel 1917, uscì

postumo (e con una prefazione a firma di Giuseppe Antonio

Borgese) ma seguendo le indicazioni dell’autore (esemplare

conservato presso la Biblioteca di via Senato, Milano)

MORTE E NOSTALGIA: LEMASCHERE DI GOZZANO

Le piccole cose e l’eterna poesiaDI MARCO CIMMINO

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un osservatore diviso tra parte-cipazione sentimentale e gelidae ironica curiosità.

D’altra parte, Gozzanostesso sovente indossa una sortadi costume di scena: il cittadino,l’uomo vissuto, il cinico, checommenta con compassionevo-le ironia l’ingenuità delle fan-ciulle ottocentesche, Speranza eCarlotta, che parlano di Goe-the,3 tanto uguali alla signorinaFelicita che domanda delle fo-glie di ciliegio intorno al capodel Tasso4 da diventarne il mo-dello. Eppure, in una sorta di fu-nambolica capriola in clausola,Carlotta Capenna, nella mirabi-le conclusione de L’amica di nonna Speranza, è lasola che il poeta avrebbe potuto amare.

Anzi, proprio per essere più chiari, amare

d’amore, con una felicissimaanadiplosi conclusiva. E alla po-vera signorina di Villa Amarena,Gozzano arriva addirittura a fa-re una proposta di matrimonio,coi toni riservati e compiti di unbravo giovanotto di provincia:ma sa che la sta ingannando eche si sta ingannando (nella real-tà, la donna di Gozzano è agliantipodi della signorina Felicita:Amalia Guglielminetti era unastraordinaria creatura, poetica epassionale, dalla lucidissima in-telligenza e dalla cultura aperta).

Incombe su di lui, giocolie-re dai polmoni corrosi, la par-tenza per l’India, alla ricerca di

una guarigione improbabile, forse impossibile: eGozzano gioca con la propria vita con il disincantoe insieme l’amarezza di chi sa di averne pochissi-

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21giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

ma. Vi è, in queste due poesie, distanti pochi annida un punto di vista compositivo e ancora menonelle atmosfere, una calcolata costruzione delpersonaggio Gozzano, basata su di un repertoriotra il dandy ed il dannunziano trasognato: le figu-re lente e tarde degli ‘adulti’ ad esempio, in con-trasto con la rapidità d’intuito e di parola del poe-ta, che gioca abilmente con le sequenze dialogi-che, per descrivere la comicità delle sue mario-nette.

Lo zio «gesuitico e tardo», il padre di Felici-ta, il farmacista, il «molto regio notaio», sono per-sonaggi da commedia dell’arte. Solo lui, Gozzano,sa: solo lui è il «vero figlio del tempo nostro»,5

l’avvocato che nemmeno si è mai laureato in legge.Eppure, egli si autodefinisce avvocato svariatevolte: quasi a esorcizzare una borghesissima delu-sione universitaria.

Tanti e tanti poeti di grido sono scivolati suquesto mal dissimulato rammarico:6 Gozzano,grandissimo infingitore, lo risolve facendosi chia-mare avvocato dai villici, che non distinguono unostudente da un laureato.

La cosa, tuttavia, la dice lunga sul caratteredel Nostro: su questo suo giocare sempre sul filodell’equivoco. Alla fine, però, il gioco più rischio-so è il suo equilibrismo di fronte alla morte: allasua morte, non a un’astratta visione intellettuale.

In alcuni suoi versi, il poeta sembra quasi ave-re metabolizzato l’idea della propria morte: singo-lare appare che chi abbia definito «tetro» un cami-netto,7 poi dichiari la morte essere cosa non tetra,in una sorta di visione metemsicotica dell’esisten-za: come nella celebre Alle soglie.8

È questo il gioco sottile della poesia di Guido

Gozzano: un’alternanza graziosa di serio e faceto,mescolati al punto da divenire un qualcosa di indi-stinguibile. Il resto, le tracce di una società bene-stante, divisa tra Agliè e Belgirate, l’attività gior-nalistica, la scrittura, perfino la malattia e la soffe-renza, sfumano in secondo piano: quel che conta èquel presente di apparente banalità quotidiana,quelle donne quasi brutte, poco intelligenti, in-compiute, quelle suppellettili, quei vialetti dighiaia, quelle balaustre, quelle serrande. Perché èquesto il rifugio di Gozzano, quello cui alluse nellasua prima felice raccolta di poche poesie che, nel1907, gli diede una prima notorietà letteraria: unrifugio sottotraccia, mimetizzato nella collina pie-montese, tra persone qualunque, tra gesti usati.

Non a caso, i comprimari della vita racconta-ta dal poeta sono sempre figure parzialmente mu-tile: vecchi parenti rimbambiti, famiglie ultracon-venzionali, animali. I suoi «dolci compagni» sonoquesti: ogni intrusione dal mondo frenetico dellarealtà appare in Gozzano come una sorta di profa-

Nella pagina accanto, in alto da sinistra: Guido Gozzano,

in una immagine del 1912 circa; Amalia Guglielminetti

(1881-1941), in una celebre foto; in basso, Sergio

Corazzini (1886-1907), in una foto di poco anteriore alla

morte. Qui a destra: Marino Moretti (Cesenatico, 1885-

1979) ripreso sul porto canale della nativa città romagnola

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22 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

NOTE1 I malati di tisi dovevano evitare tan-

to gli sforzi fisici quanto le forti emozioni:

da ciò gliene derivava una specie di ata-

rassia indotta.2 Si tratta di metonimie che non si li-

mitano a un trasferimento di significato,

ma fungono da evocazione a interi ambiti

culturali o a stati d’animo.3 «Che versi divini!» - «Fu lui a donarmi

quel libro, ricordi? che narra siccome,

amando senza fortuna, un tale si uccida

per una, per una che aveva il mio nome.»4 «Avvocato, perché su quelle teste

buffe si vede un ramo di ciliegie?»5 In Totò Merumeni.6 Montale e Quasimodo, per tutti.7 In L’amica di nonna Speranza.8 Mio cuore dubito forte - ma per te

solo m’accora - che venga quella Signora

dall’uomo detta la Morte. (Dall’uomo: ché

l’acqua la pietra l’erba l’insetto l’aedo le

danno un nome, che, credo, esprima una

cosa non tetra). È una Signora vestita di

nulla e che non ha forma. Protende su

tutto le dita, e tutto che tocca trasforma.

Tu senti un benessere come un incubo

senza dolori; ti svegli mutato di fuori, nel

volto nel pelo nel nome. Ti svegli dagl’in-

cubi innocui, diverso ti senti, lontano;

né più ti ricordi i colloqui tenuti con guido

gozzano.

nazione, cui si sottopone di cattiva volontà, comeper la visita dei «villosi forestieri» che vengono adisturbare la tranquillità claustrale di Totò Meru-meni, il punitore di se stesso.

Se si vuole cogliere la specificità di Gozzano,in un contesto come quello del Crepuscolarismo,che rischia tanto spesso di divenire maniera o me-

ra accademia, è in questa direzione che si deveguardare: non lasciarsi fuorviare dalla sua indub-bia capacità tecnica, dalle sue rime interne, dai rit-mi sapienti.

E neppure seguirlo in queste microricostru-zioni sociali, popolate di cocottes in villeggiatura eamanti del Re di Sardegna: se si insegue Gozzanonel suo presepe domestico si rischia di perdersinella fuga dei corridoi e nel ciarpame dei solai, inquelle nobili ville secentesche un po’ in disarmo,circondate da giardini incolti dai profumi di cimi-tero. Gozzano va colto con una scherma di fioret-to: bisogna inchiodarlo e costringerlo a gettare lemolteplici maschere dietro cui si protegge. E, al-lora, si scoprirà una vena patetica e nostalgica,quasi arcade: un’intensa malinconia che, forse, na-sce dal rimpianto per una vita che avrebbe potutoessere e che non sarà mai.

Un Gozzano come un Leopardi nascosto die-tro le ante del salotto buono, insomma. Per poi,inaspettatamente, essere folgorati dal miracolo diun sorriso, di uno squarcio d’azzurro, che sembradirci che i poeti, a volte, muoiono in umidi lettid’ospedale, ma che la poesia non muore mai. Ri-mane sospesa nell’aria, come l’eco di un riso dibimbi.

A sinistra: Guido Gozzano insieme ad Amalia

Guglielminetti, in una delle rare fotografie insieme

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giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 25

na, l’altro dell’«operoso cenaco-lo a due» (come ci definì, noidella “Nuova Xilografia”, Ange-lo Dragone, il nostro primomentore), l’abitare a due passidalla villa del Meleto; la lettura,da collegiale, nella «Ivrea turri-ta, dove scorre la cerulea Dora»,della Cocotte, rinvenuta in un’an-tologia di versi proibiti; e anco-ra, negli anni d’università,l’averlo avuto per guida nellascoperta di una Torino rimastastraordinariamente fané: «unpo’ vecchiotta, provinciale, fre-sca / tuttavia d’un tal garbo pari-gino».

Ma col senno di poi per dueversi colorati di assenzio che nesintetizzano la figura e la poesiain un abusato cliché, leggerezza emelanconia, ma che esaltano lasua forza nella consapevolezzadella fine incombente: «Senzaquerele, o Morte, discendo ai re-gni bui; /di ciò che tu mi desti oVita, io ti ringrazio».

È una mostra, quella alle-stita nel Castello Ducale diAgliè, il «dolce paese che non di-

Perché una mostra ispirataa (da) Guido Gozzano?Perché continuare ad

amare Gozzano un secolo dopo,in un nuovo millennio impron-tato alla immaterialità del vede-re - dire ‘guardare’ sarebbe im-proprio - le immagini fluttuantidentro uno schermo che ipno-tizza, in un attimo, con il poteresubliminale di miliardi di im-pulsi luminosi, altrettanti sguar-di distratti e passeggeri, per car-pirli, affascinandoli con l’adre-nalina della sorpresa e la sedu-zione maliarda dello stupore?

Penso a tante e disparateragioni: la copertina dei Collo-qui, illustrata da Bistolfi per Tre-ves nel 1910, di vaghi sentori be-ardsleyani; la consuetudine, perme canavesano, della terra dellecomuni radici, e per Gianni Ver-

SPECIALE GUIDO GOZZANO

Sopra: Gianfranco Schialvino, Ritratto

di Guido Gozzano, xilografia, 2016.

Nella pagina accanto: Gianfranco

Schialvino, Nel fare il giro a tondo /

festeggiano le sorti. / (I bei capelli corti /

come caschetto biondo), xilografia, 1989

GIANFRANCO SCHIALVINO

XILOGRAFIE IN MOSTRAPER IL «BEL GUIDO»

Figure, animali e fiori ad Agliè

XILOGRAFIA: OMAGGIO A GOZZANOMostra a cura di GianfrancoSchialvino e Gianni Verna

CASTELLO DUCALE DI AGLIÈSALONE DI DIANAdall’8 luglio al 2 ottobre 2016

Castello Ducale, Piazza Castello 3, Agliè - Torino,tel. 0124/330335www.lerosechenoncolsi.it

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26 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

co», in cui predomina la tecnica xilografica, un lin-guaggio artistico che a cavallo fra l’Otto e il Nove-cento ebbe una vivace riscoperta e fortunati esiti,sia come incisione originale su matrice di legno siasoprattutto nello stile, che esalta le qualità espres-sive del chiaroscuro, preponderante in Inghilterra,con i disegni di Aubrey Beardsley cui fanno riferi-mento le contemporanee edizioni dannunzianemilanesi (i debiti delle copertine di De Carolis peril Notturno del 1921 e bistolfiani di quella dei Collo-qui appaiono in effetti lampanti).

È dalla lettura dei testi letterari, da precisiversi, da puntuali parole, che prendono vita i gran-di fogli che rivisitano in modo del tutto originalel’opera del «nostro bel Guido», come, confiden-zialmente, lo chiamò Renato Serra. Lo ricordaBruno Quaranta nel testo esplicativo che accom-pagna il catalogo: «È la natura il rifugio del belGuido. Smemorando ogni indugio. Lui che è,sommamente, la ‘perplessità crepuscolare’ a cui siribella la Signorina Felicita, una gemma dei Collo-qui. La perplessità di fronte alla donna (la relazio-ne-non relazione con Amalia Guglielminetti); difronte al sapere (“Giova il sapere al corpo che tilangue? / Vale ben meglio un’oncia di buon sangue/ che tutta la saggezza sonnolenta”); di fronte a séstesso (“Ed io non voglio più essere io! / Non piùl’esteta gelido, il sofista”); di fronte alla vita (“Nonvissi. Muto sulle mute carte / ritrassi lui, meravi-gliando spesso. / Non vivo. Solo, gelido, in dispar-te, / sorrido e guardo vivere me stesso”); di fronte

A sinistra dall’alto: Gianni Verna, Danza di una Devadasis,

xilografia, 2015; Gianni Verna, Alla sera mentre io contemplo

il tramonto sui picchi nevati delle Levanne, xilografia, 2011.

Nella pagina accanto, da sinistra: Gianfranco Schialvino,

È questa l’ora antica torinese, / è questa l’ora vera di Torino,

xilografia, 1988; Gianfranco Schialvino, Il profumo di glicine

dissipi / l’odor di muffa e di cotogna, xilografia, 1985.

In basso: Gianni Verna, Le agavi dall’immenso fiore

centenario, xilografia, 2010

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27giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

all’universo mondo».Figure, animali, fiori, alberi

montagne, paesaggi, riecheg-giano via via il Meleto e il favolo-so Oriente, i fiori in cornice e lastrada boschiva, le «innumeri gi-nestre» e «il gran mazzo di ro-se», «la gran chioma disfatta neltocco da fantino» e «le agavi dal-l’immenso fiore centenario», ilprofumo della glicinia, la danzadi una Devadasis, il volo del Par-nassus Apollo. Ma anche «l’oraantica torinese», «l’Alpi tra lenubi accese», la cocotte... «Unacocotte!... Che vuole dire, mam-mina?», Il «mite settembre ca-navesano», il colloquio con la luna «Alla sera men-tre contemplo il tramonto sui picchi nevati delleLevanne. [...] Lassù nel candore perduto, abba-

gliante, inaccessibile agli uomi-ni», i giochi infantili al Meleto«Nel fare il giro a tondo / festeg-giano le sorti. / (I bei capelli corti/ come caschetto biondo)».

Insieme ai passi che defini-scono il «guidogozzano» chetutti ha affascinato e ancora saavvincere: familiare, intimo, se-ducente anche quando affrantocerca di prolungare «gli ultimianeliti d’una lampada che si spe-gne» cantilenando: «ci sono pursempre le rose, / ci sono pursempre i gerani»; e nel salottotocca i ninnoli baroccamenteinutili, e dà vita perenne a «le

buone cose di pessimo gusto».Tutte immagini che diventano più sue perché

incise con parole sue.

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giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 29

Notevoli per interesse so-no anche le due edizioni, postu-me (ma concordate da Gozzano,prima della morte, con l’edito-re) di Verso la cuna del mondo. Let-tere dall’India (1912-1913), conprefazione di Giuseppe AntonioBorgese (Milano, Fratelli Tre-ves, 1917) e della raccolta di no-velle L’ultima traccia (Milano,Fratelli Treves, 1919).

�Tralasciando di segnalare

edizioni di minor valore e di più larga diffusione, èinteressante puntare l’attenzione sulla folta pre-senza, presso la Biblioteca di via Senato, di titoligozzaniani nelle collezioni di libri moderni diparticolare pregio tipografico, numerati e impre-ziositi da illustrazioni d’artista. Fra essi è oppor-tuno segnalare l’importante Liriche Scelte da «I col-loqui», stampato nel giugno del 1954, a Verona(presso l’Officina Bodoni di Giovanni Marder-steig), per l’associazione I Cento Amici del Libro.Formato da 128 pagine, reca anche 17 litografieoriginali a colori, opera di Renato Cenni. L’edi-zione è limitata a 120 esemplari composti ad perso-nam: quello conservato presso la Biblioteca di viaSenato era di proprietà del conte Giovanni Trec-cani, fondatore dell’Istituto dell’Enciclopedia

La Biblioteca di via Sena-to, nel proprio vastoFondo di Letteratura

italiana del Novecento, conser-va quasi tutte le prime edizionidi Guido Gozzano, sia quelleche hanno visto la luce sotto ilcontrollo diretto del poeta chele successive, uscite dopo la suaprematura morte.

La via del rifugio, primaprova poetica di Gozzano, èpresente con un esemplare del1907 (ovvero prima edizione, ti-ratura secondo migliaio) impreziosito, al rectodella prima carta bianca, dalla firma dell’autore,in inchiostro nero. La prima edizione della secon-da raccolta, I colloqui (Milano, Fratelli Treves,1911), è addirittura presente nelle collezioni dellaBiblioteca di via Senato in duplice copia (tiraturaprimo migliaio e terzo migliaio).

SPECIALE GUIDO GOZZANO

Nella pagina accanto: copertina della prima edizione

(tiratura secondo migliaio) del volume di novelle postumo

L’ultima traccia, Milano, Fratelli Treves, 1919

(Milano, Biblioteca di via Senato).

Sopra: una delle otto calcografie a colori di Ugo Nespolo

(1941) che adornano il volume La via del rifugio. I colloqui,

stampato a Torino, da Fògola Editore, nel dicembre 2005

(Milano, Biblioteca di via Senato)

GUIDO GOZZANO IN VIA SENATOFra prime edizioni e libri di pregio

GIANLUCA MONTINARO

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Italiana. Notevoli (e sempre numerate) sono an-che le tre copie de I colloqui (a cura di Franco Anto-nicelli) stampate, su carte preziose, ad Alpignano,da Alberto Tallone, nel 1970.

Più recenti ancora, numerate e impreziositedalla presenza di incisioni e acqueforti, sono i vo-lumi La Notte Santa ed altri versi (Dogliani, Calco-grafia Al Pozzo, 2001) e La via del rifugio. I colloqui(Torino, Fogola, 2005). Interessanti, infine, sono irari: Guido Gozzano - Amalia Guglielminetti,Lettere d’amore (Milano, Garzanti, 1951) e La mo-neta seminata e altri scritti con un saggio di varianti e

una scelta di documenti (a cura di Vanni Scheiwiller,All’insegna del pesce d’oro, 1968).

�Elenco delle prime edizioni e dei libri di

pregio di Guido Gozzano conservati presso laBiblioteca di via Senato

• Guido Gozzano, La via del rifugio, Genova - To-rino - Milano, Casa Editrice Renzo Streglio.1907. pp. 84 [4]. Prima edizione (tiratura: secondomigliaio). Firma autografa di Gozzano, in inchio-

30 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

Da sinistra: frontespizio della prima edizione (tiratura secondo migliaio) del volume di novelle postumo L’ultima traccia,

Milano, Fratelli Treves, 1919 (Milano, Biblioteca di via Senato); frontespizio della prima edizione postuma (tiratura

secondo migliaio) di Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India (1912-1913), con prefazione di Giuseppe Antonio Borgese,

Milano, Fratelli Treves, 1917 (Milano, Biblioteca di via Senato)

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31giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

stro nero, al recto della prima carta bianca. Bros-sura editoriale avorio, copertina illustrata e con ti-tolo in rosso, titoli in nero al dorso, piccola marcatipografica al piatto posteriore.

• Guido Gozzano, I colloqui, Milano, Fratelli Tre-ves, 1911. pp. 156; prima edizione (tiratura: primomigliaio). Brossura.

• Guido Gozzano, I colloqui, Milano, Fratelli Tre-ves, 1911. pp. 156; prima edizione (tiratura: terzomigliaio). Brossura.

Da sinistra: frontespizio del volume: Guido Gozzano - Amalia Guglielminetti, Lettere d’amore, prefazione e note di Spartaco

Asciamprener, Milano, Garzanti, 1951 (Milano, Biblioteca di via Senato); frontespizio del volume La moneta seminata e altri scritti

con un saggio di varianti e una scelta di documenti, a cura di Vanni Scheiwiller, introduzione e note di Franco Antonicelli, Milano,

All’insegna del pesce d’oro, 25 aprile 1968 (esemplare numero 1215 su 1500, conservato a Milano, presso la Biblioteca di via Senato

• Guido Gozzano, Verso la cuna del mondo. Letteredall’India (1912-1913), con prefazione di GiuseppeAntonio Borgese, Milano, Fratelli Treves, 1917. pp.[XV], 274; prima edizione, uscita postuma (tiratura:secondo migliaio, titolo presente presso la Bibliote-ca di via Senato in due copie ). Brossura.

• Guido Gozzano, L’ultima traccia. Novelle, Milano,Fratelli Treves, 1919. pp. 277; prima edizione, usci-ta postuma (tiratura: secondo migliaio). Brossura.

• Guido Gozzano, I colloqui e altre poesie, Milano,

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32 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

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giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 33

bris araldico al verso della prima carta bianca. Fir-mato al colophon da Bino Sanminiatelli, l’allorapresidente dei Cento Amici. Brossura editorialebeige, litografia in nero con titoli in viola al piattoanteriore, «Gozzano» in nero al dorso, barbe.

• Guido Gozzano, La moneta seminata e altri scritticon un saggio di varianti e una scelta di documenti, a curadi Vanni Scheiwiller, introduzione e note di FrancoAntonicelli, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 25aprile 1968. pp. 211, [17]. Volume tirato in 1500 co-pie numerate (l’esemplare posseduto dalla Bibliote-ca di via Senato è il n. 1215). Numerose illustrazionie riproduzioni fotografiche in bianco e nero nel te-sto. Brossura con sovraccoperta editoriale e velinaprotettiva. Volume n. 37 della collana “Acquario”.

• Guido Gozzano, I colloqui, a cura di Franco Anto-nicelli, Alpignano, Alberto Tallone, 1970. pp.

Garzanti, 1944. pp. [6], 182, [1]; 1000 copie nume-rate (l’esemplare in possesso della Biblioteca di viaSenato reca il numero 747); prima edizione romana,come specificato nel frontespizio, tomo II, della col-lana “Opere di Guido Gozzano” composto da: I: Lavia del rifugio, con un’aggiunta di poesie varie; II: I collo-qui e altre poesie; III: L’altare del passato - L’ultima trac-cia; IV: Verso la cuna del mondo; V: La principessa si sposa- Le dolci rime; VI: L’epistolario. Brossura.

• Guido Gozzano - Amalia Guglielminetti, Lettered’amore, prefazione e note di Spartaco Asciampre-ner, Milano, Garzanti, 1951. pp. 174. Brossura.

• Guido Gozzano, Liriche Scelte da «I colloqui», Ve-rona, Stampato per i Cento Amici del Libro, 1954(giugno). pp. [II] 118 [8]. 17 litografie originali a co-lori, di cui: 1 vignetta al frontespizio, 11 testatine, 3illustrazioni a piena pagina e 2 finalini, opera di Re-nato Cenni (1906-1977). Edizione limitata a 120esemplari. «Questa scelta di Liriche di Guido Goz-zano, tratta per gentile concessione di Renato Goz-zano e dell’editore Garzanti dalla loro edizione ori-ginale, è il nono volume pubblicato dai Cento Amicidel Libro. Le 17 litografie a colori sono state dise-gnate dal pittore Renato Cenni e tirate a Milano daPiero Fornasetti. La stampa del testo dei 120 esem-plari è stata eseguita a Verona con torchio dell’Offi-cina Bodoni di Giovanni Mardersteig su carta a tinodi Fabriano. Tutti gli esemplari sono firmati dal Pre-sidente della Società». Esemplare ad personam per ilConte Giovanni Treccani degli Alfieri, con suo ex li-

A sinistra: copertina de I tre talismani. Il rarissimo volume,

che contiene le sei fiabe pubblicate da Guido Gozzano sul

«Corriere dei Piccoli» tra il 1910 e il 1911, venne stampato

nel 1914, a Ostiglia, da “La Scolastica” Editrice di Arnoldo

Mondadori (immagine tratta dal volume, conservato presso la

Biblioteca di via Senato, La moneta seminata e altri scritti con

un saggio di varianti e una scelta di documenti). A destra:

Guido Gozzano in una fotografia di poco anteriore alla morte

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34 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

Sopra: Guido Gozzano, in una foto

del 1914.

A sinistra: copertina de La principessa

si sposa. Il volume, che contiene altre

sei fiabe, successive a quelle

pubblicate ne I tre talismani, venne

stampato a Milano, postumo ma

seguendo le indicazioni dell’autore,

da Treves, nel 1917 (immagine tratta

dal raro volume, conservato presso la

Biblioteca di via Senato, La moneta

seminata e altri scritti con un saggio di

varianti e una scelta di documenti)

(dicembre). pp. 23, [7]. Con tre acqueforti in nero,a piena pagina (firmate a matita in calce, oltre cheal colophon), di Teresita Terreno (1950). Edizionelimitata, n. 14/110 (100 esemplari numerati e 10prove di stampa). Brossura editoriale bianca contitolo e marca tipografica in nero al piatto anterio-re e al dorso, barbe. In custodia cartonata écru.

• Guido Gozzano, La via del rifugio. I colloqui, a curadi Giorgio Bàrberi Squarotti e Folco Portinari, To-rino, Fògola Editore, 2005 (dicembre). pp. [4], 184,[12]. Otto calcografie a colori e 14 acqueforti, pro-tette da veline, opera di Ugo Nespolo (1941). Volu-

XXIII, [1], 96, [8]. Antiporta con riproduzione deldisegno di Luigi Bistolfi per la prima edizione del1911. Edizione limitata a 470 esemplari; sono statitirati inoltre 10 esemplari su carta Japan Hodomurae 20 su carta Japan Hosho numerati in cifre romane(la Biblioteca di via Senato conserva il numero n.373 e i numeri VIII/XX e XX/XX della tiratura sucarta Japan Hosho). Il volume è stampato su cartaMiliani di Fabriano, è stata composto a mano con ilcarattere Tallone corpo 12.

• Guido Gozzano, La Notte Santa ed altri versi,Dogliani Castello, Calcografia Al Pozzo, 2001

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35giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

me n. 35 de “La Grande Collana”. Edizione limitataa 251 esemplari numerati, su carta a mano con fili-grana originale appositamente fabbricata per l’edi-tore dalle Manifatture Magnani di Pescia. Dei 251,140 sono numerati in cifre arabe e i primi 125 dedi-cati ad personam ai sottoscrittori; 26 sono esemplaricontraddistinti alfabeticamente A-Z e riservati aicollaboratori e al deposito legale; 10 sono riservatiall’artista; LXVV infine sono adornati dalle 14 ac-quaforti. La cura grafica è di Antonio Brandoni, lacomposizione e impaginazione con il carattere DeRoos corpo 12 e 14 è opera di Michele Francia. Vo-

lume stampato in Dogliani Castello dalla Calcogra-fia Al Pozzo di Antonio Liboà. Esemplare n.VI/LXXV. Include segnalibro Fògola in foglia dibetulla, personalizzato per l’edizione, illustrato efirmato. Legatura editoriale in pieno marocchinorosso della legatoria Luciano Fagnola di Torino. Fi-letto dorato ai bordi dei piatti. Labbri e unghie de-corati in oro. Dorso a 4 nervi con scomparti riqua-drati da filetto dorato, titolo e marca tipografica inoro. Taglio superiore dorato, gli altri con barbe. Incustodia cartonata rivestita in carta vergata colorsabbia, unghie in marocchino rosso.

Frontespizio della prima edizione (uscita postuma) di Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India (1912-1913), con prefazione di

Giuseppe Antonio Borgese, Milano, Fratelli Treves, 1917 (volume conservato a Milano, presso la Biblioteca di via Senato)

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giiugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 37

L E M O S T R E – C O L L E Z I O N I E C O L L E Z I O N I S T I

inSEDICESIMO

In occasione di una mostraorganizzata in Germania per i suoiottant’anni, nel 2011, Enrico Della

Torre aveva detto che con l’età maturasi diventa più “geometrici”, ovvero chel’evoluzione di una pittura astratta nonpoteva che sfociare in un’esigenza dimaggiore rigore attraverso le “certezze”della geometria. Si potrebbe quindiimmaginare, con queste premesse,un’inappellabile scelta per la via dellerette ortogonali, per un favore verso lalinea spezzata rispetto a quella curva.Da tempo, del resto, Della Torre harecuperato alcuni esempi della suaproduzione giovanile in cui era evidenteuna scelta di emotività trattenuta che,rivisti a distanza, potevano far pensare aun precursore delle istanze della pittura

analitica. Un riconoscimento alla validitàdella sua produzione matura è dato dalmedaglione monografico a firma diCristina Casero per il numero 11 (72)della rivista “Titolo” (inverno-primavera2016) dedicato da Giorgio Bonomi eFrancesco Tedeschi ad artisti “overottannta” e volto a considerare, oltre aricordare che «il contemporaneo vive distratificazioni di diverse forme di“presente” e di “contemporaneità”»,scrive Tedeschi, «come molti protagonistidell’arte contemporanea vivano eaffermino la peculiarità della loro operain una fase avanzata della vita».

La sua vocazione di pittore non èmai stata quella della speculazione

autoreferenziale per il tramite dellapittura, quanto piuttosto di poesiaintimista, di impulso tanto lirico quantocontrollato, fatto di piccoli dettagli e ditracce che si trasformano in motivi dilinea e di colore. Per questa ragione, perquanto la geometria sia più presenterispetto al lavoro degli anni Settanta odegli anni Ottanta, si tratta comunquedi uno spirito di libera ed intuitivacomposizione. Si tratta, come ha dettobene Francesco Tedeschi, presentando lamostra di pastelli Territori interioripresso la Galleria Marini, di unageometria «sempre acutamentenaturale, come la natura producegeometria». Le opere realizzate dopo ilDuemila, infatti, sono soprattutto, degli«appunti visivi tradotti in immaginicompiute, come cristalli riflettenti».

Sempre di più il ritiro estivo a Tegliocoincide con il momento aurorale dellasua ricerca: nella pace della montagna e

a cura di luca pietro nicoletti

LA MOSTRA/1L’ARCADIA DI VALTELLINAI territori di Enrico Della Torre

Sotto: Spazio dinamico, 2011, olio e pastello su tela applicata su tavola, 16x45,4 cm

giiugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 37

L E M O S T R E – C O L L E Z I O N I E C O L L E Z I O N I S T I

inSEDICESIMO

In occasione di una mostraorganizzata in Germania per i suoiottant’anni, nel 2011, Enrico Della

Torre aveva detto che con l’età maturasi diventa più “geometrici”, ovvero chel’evoluzione di una pittura astratta nonpoteva che sfociare in un’esigenza dimaggiore rigore attraverso le “certezze”della geometria. Si potrebbe quindiimmaginare, con queste premesse,un’inappellabile scelta per la via dellerette ortogonali, per un favore verso lalinea spezzata rispetto a quella curva.Da tempo, del resto, Della Torre harecuperato alcuni esempi della suaproduzione giovanile in cui era evidenteuna scelta di emotività trattenuta che,rivisti a distanza, potevano far pensare aun precursore delle istanze della pittura

analitica. Un riconoscimento alla validitàdella sua produzione matura è dato dalmedaglione monografico a firma diCristina Casero per il numero 11 (72)della rivista “Titolo” (inverno-primavera2016) dedicato da Giorgio Bonomi eFrancesco Tedeschi ad artisti “overottannta” e volto a considerare, oltre aricordare che «il contemporaneo vive distratificazioni di diverse forme di“presente” e di “contemporaneità”»,scrive Tedeschi, «come molti protagonistidell’arte contemporanea vivano eaffermino la peculiarità della loro operain una fase avanzata della vita».

La sua vocazione di pittore non èmai stata quella della speculazione

autoreferenziale per il tramite dellapittura, quanto piuttosto di poesiaintimista, di impulso tanto lirico quantocontrollato, fatto di piccoli dettagli e ditracce che si trasformano in motivi dilinea e di colore. Per questa ragione, perquanto la geometria sia più presenterispetto al lavoro degli anni Settanta odegli anni Ottanta, si tratta comunquedi uno spirito di libera ed intuitivacomposizione. Si tratta, come ha dettobene Francesco Tedeschi, presentando lamostra di pastelli Territori interioripresso la Galleria Marini, di unageometria «sempre acutamentenaturale, come la natura producegeometria». Le opere realizzate dopo ilDuemila, infatti, sono soprattutto, degli«appunti visivi tradotti in immaginicompiute, come cristalli riflettenti».

Sempre di più il ritiro estivo a Tegliocoincide con il momento aurorale dellasua ricerca: nella pace della montagna e

a cura di luca pietro nicoletti

LA MOSTRA/1L’ARCADIA DI VALTELLINAI territori di Enrico Della Torre

Sotto: Spazio dinamico, 2011, olio e pastello su tela applicata su tavola, 16x45,4 cmcc

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la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 201638

dei boschi trova infatti quel contattocon la natura fondamentale per lui. Neaveva scritto l’artista stesso inoccasione di una mostra antologica aSondrio, riconoscendo che le tappecruciali della sua vita avevano seguito ilcorso dell’Adda, a ritroso, dalla bassacremonese natia fino alle sorgentivaltellinesi. Fin da epoche remote,com’è noto, il suo lavoro aveva tratto

ispirazione dal mondo acquatico efluviale, diventi progressivamentescenario di apparizioni oniriche. Era qui,infatti, che si poteva innestare ilconfronto con Paul Klee, che va tuttaviainteso, come osserva sempre Tedeschi,non come referente formale ma peruna affinità di ragioni profonde didiscorso: li accomuna infatti il rapportocon la memoria del mondo esterno.

Non esiste, oltretutto, memoria senzaoblio, ed è il rapporto fra questi a far sìche la natura torni a palesarsisoprattutto in frammenti.

Della Torre, dunque, osservasilenzioso i motivi ornamentali suggeritidalla natura, il ritmo dei tronchi deglialberi, e da qui parte per un viaggioimmaginativo fatto di logichecombinatorie e momenti di abbandonoconsapevole al calibrato moto ondosodella mano. L’andamento è quello delpaesaggio, da cui derivano i formatiorizzontali allungati ancora frequenti inquesta stagione matura. Anche glistrumenti sono gli stessi di sempre,dall’olio al pastello. Quest’ultimo, inparticolare, ha uno statuto intermedionella ricerca di Della Torre: fa leva sulrepertorio di segni e di gesti proprio deldisegno, ma a questo non è assimilabileper via di una più complessa trama ditrattamento del campo, per la qualeCristina Casero ha giustamente parlatodi disegno «praticato con esiti pittorici».

Collocandosi quindi nella categoriadell’opera su carta come un vero eproprio dipinto, il pastello non ha unafunzione di messa a punto di ideefigurative come le carte con solitracciati di china a inchiostro o apennello, pur condividendo con questila spontaneità di invenzione nonprogettata e non programmatica.Memore dei tempi dell’Informale, Della

A sinistra, dall’alto: Arca, 2003, pastello e

collage su carta-tela applicata su tavola,

29,5x40 cm; Alberi d'autunno, 2004, pastello

magro su carta vellutata, 30x40 cm

A destra: Una montagna come una barca,

2003, pastello e collage su carta-tela su

tavola, 37x40 cm

la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 201638

dei boschi trova infatti quel contattocon la natura fondamentale per lui. Neaveva scritto l’artista stesso inoccasione di una mostra antologica aSondrio, riconoscendo che le tappecruciali della sua vita avevano seguito ilcorso dell’Adda, a ritroso, dalla bassacremonese natia fino alle sorgentivaltellinesi. Fin da epoche remote,com’è noto, il suo lavoro aveva tratto

ispirazione dal mondo acquatico efluviale, diventi progressivamentescenario di apparizioni oniriche. Era qui,infatti, che si poteva innestare ilconfronto con Paul Klee, che va tuttaviainteso, come osserva sempre Tedeschi,non come referente formale ma peruna affinità di ragioni profonde didiscorso: li accomuna infatti il rapportocon la memoria del mondo esterno.

Non esiste, oltretutto, memoria senzaoblio, ed è il rapporto fra questi a far sìche la natura torni a palesarsisoprattutto in frammenti.

Della Torre, dunque, osservasilenzioso i motivi ornamentali suggeritidalla natura, il ritmo dei tronchi deglialberi, e da qui parte per un viaggioimmaginativo fatto di logichecombinatorie e momenti di abbandonoconsapevole al calibrato moto ondosodella mano. L’andamento è quello delpaesaggio, da cui derivano i formatiorizzontali allungati ancora frequenti inquesta stagione matura. Anche glistrumenti sono gli stessi di sempre,dall’olio al pastello. Quest’ultimo, inparticolare, ha uno statuto intermedionella ricerca di Della Torre: fa leva sulrepertorio di segni e di gesti proprio deldisegno, ma a questo non è assimilabileper via di una più complessa trama ditrattamento del campo, per la qualeCristina Casero ha giustamente parlatodi disegno «praticato con esiti pittorici».

Collocandosi quindi nella categoriadell’opera su carta come un vero eproprio dipinto, il pastello non ha unafunzione di messa a punto di ideefigurative come le carte con solitracciati di china a inchiostro o apennello, pur condividendo con questila spontaneità di invenzione nonprogettata e non programmatica.Memore dei tempi dell’Informale, Della

A sinistra, dall’alto: Arca, 2003, pastello e

collage su carta-tela applicata su tavola,

29,5x40 cm; Alberi d'autunno, 2004, pastello

magro su carta vellutata, 30x40 cm

A destra: Una montagna come una barca,

2003, pastello e collage su carta-tela su

tavola, 37x40 cm

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giiugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 39

Torre si accosta alla carta con un’idea diimmagina, ma questa si mette a fuocosolo mano a mano che il lavoroprocede, rivelando, a detta dell’artistastesso, esiti talvolta inaspettati.

Si assiste anzi spesso a un contrastotra forme fisse e tracce più libere eduttili, in cui si legge ancora il lentoincedere del pastello che riempie lacampitura, talvolta smagrito con unavelatura di diluente, e quando invecenasce da un tratto più rapido e piùsicuro quanto di esatta calibratura.

Spesso Enrico Della Torre mischia ilinguaggi: parti campite e colorate comeun quadro ed aree lasciate a minimalitracciati di sola grafite, come a volerincludere un colore forte, una notazionecaratterizzante dentro un’ideacompositiva. Lo aveva notato anche laCasero, annotando, riguardo all’ecletticaconvivenza di più registri linguistici, che«l’esuberante ricchezza dei modidell’artista si dispone […] più sul pianosincronico che su quello diacronico»(Casero)

L’intervento a pastello, in questocaso, si palesa dunque comeun’apparizione, come un elementosovrapposto proprio con la volontà dimarcare una discontinuità. In questo, illavoro di Della Torre è debitore dellapratica del collage, che del resto utilizzapiuttosto spesso con inserti di cartecolorate dai bordi sfrangiati. Enrico nonritaglia le forme nel colore comeMatisse, che pure ha ben presente, male strappa con le mani e mette inevidenza il profilo dello strappo.L’inserto di collage compare talvoltacome un’interferenza, come l’intrusionedi un elemento di rottura dentro unarappresentazione connotata,

provocando un salutare spiazzamentoche rende più mosso l’insieme. Nonmancano però momenti di puroaffidamento al segno e al colore, comein un pastello di Alberi d’autunno del2004, in cui il titolo vale comeorientamento più che come immediatarelazione a un referente. Su un fondo digiallo inacidito e dilagante, unamacchia di verde ondeggia trafitta daquattro segni rossi tracciati con rapiditàcome dei dardi o dei graffi. Qui sonoricombinati pensieri sugli anniCinquanta, dalla macchia di colore,

tanto in voga anche prima dell’incontrocon la pittura di Rothko al PAC diMilano, ai quattro segni come saettecirconfuse da una costellazione di puntirossi, di chiara derivazione spazialista,ma tradotta in pittura con gli accordicromatici del quadro naturalista.

È il colore, anzi, il vero elemento diorientamento vero quella connotazionestagionale dell’immagine. Non sarebbeazzardato, anzi, riordinare questi pastellisecondo il ritmo delle stagioni anzichéseguendo la pura cronologia. Del resto,il lavoro di Della Torre riporta a untempo dell’uomo all’avvicendarsi delgiorno e della notte, al risveglioprimaverile della natura dopo i rigoriinvernali e prima della frescura delleestati montane, fino a un autunno diesplosione vitale. Un tempo ciclico,dunque, in cui la lentezza ha un valore:quello dei lunghi silenzi arcadici. [lpn]

ENRICO DELLA TORRE.TERRITORI INTERIORIA cura di Francesco Tedeschi

MILANO, GALLERIA MARINIhttp://www.galleriamarini.it

28 aprile – 2 luglio 2016

giiugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 39

Torre si accosta alla carta con un’idea diimmagina, ma questa si mette a fuocosolo mano a mano che il lavoroprocede, rivelando, a detta dell’artistastesso, esiti talvolta inaspettati.

Si assiste anzi spesso a un contrastotra forme fisse e tracce più libere eduttili, in cui si legge ancora il lentoincedere del pastello che riempie lacampitura, talvolta smagrito con unavelatura di diluente, e quando invecenasce da un tratto più rapido e piùsicuro quanto di esatta calibratura.

Spesso Enrico Della Torre mischia ilinguaggi: parti campite e colorate comeun quadro ed aree lasciate a minimalitracciati di sola grafite, come a volerincludere un colore forte, una notazionecaratterizzante dentro un’ideacompositiva. Lo aveva notato anche laCasero, annotando, riguardo all’ecletticaconvivenza di più registri linguistici, che«l’esuberante ricchezza dei modidell’artista si dispone […] più sul pianosincronico che su quello diacronico»(Casero)

L’intervento a pastello, in questocaso, si palesa dunque comeun’apparizione, come un elementosovrapposto proprio con la volontà dimarcare una discontinuità. In questo, illavoro di Della Torre è debitore dellapratica del collage, che del resto utilizzapiuttosto spesso con inserti di cartecolorate dai bordi sfrangiati. Enrico nonritaglia le forme nel colore comeMatisse, che pure ha ben presente, male strappa con le mani e mette inevidenza il profilo dello strappo.L’inserto di collage compare talvoltacome un’interferenza, come l’intrusionedi un elemento di rottura dentro unarappresentazione connotata,

provocando un salutare spiazzamentoche rende più mosso l’insieme. Nonmancano però momenti di puroaffidamento al segno e al colore, comein un pastello di Alberi d’autunno del2004, in cui il titolo vale comeorientamento più che come immediatarelazione a un referente. Su un fondo digiallo inacidito e dilagante, unamacchia di verde ondeggia trafitta daquattro segni rossi tracciati con rapiditàcome dei dardi o dei graffi. Qui sonoricombinati pensieri sugli anniCinquanta, dalla macchia di colore,

tanto in voga anche prima dell’incontrocon la pittura di Rothko al PAC diMilano, ai quattro segni come saettecirconfuse da una costellazione di puntirossi, di chiara derivazione spazialista,ma tradotta in pittura con gli accordicromatici del quadro naturalista.

È il colore, anzi, il vero elemento diorientamento vero quella connotazionestagionale dell’immagine. Non sarebbeazzardato, anzi, riordinare questi pastellisecondo il ritmo delle stagioni anzichéseguendo la pura cronologia. Del resto,il lavoro di Della Torre riporta a untempo dell’uomo all’avvicendarsi delgiorno e della notte, al risveglioprimaverile della natura dopo i rigoriinvernali e prima della frescura delleestati montane, fino a un autunno diesplosione vitale. Un tempo ciclico,dunque, in cui la lentezza ha un valore:quello dei lunghi silenzi arcadici. [lpn]

ENRICO DELLA TORRE.TERRITORI INTERIORIA cura di Francesco Tedeschi

MILANO, GALLERIA MARINIhttp://www.galleriamarini.it

28 aprile – 2 luglio 2016

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40 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

F ra le rotte internazionali degliscambi artistici e culturali delsecondo dopoguerra, l’asse che

univa l’Italia al Brasile è stato a lungopoco considerato: eppure iltrasferimento per periodi più o menolungo di intellettuali e artisti italiani aSan Paolo del Brasile o più in generalein quel grande stato sudamericano nonè stato privo di conseguenze sia per lasituazione culturale locale, sia perl’arricchimento di esperienze e diprospettive riportate in patria. Netraccia un breve e suggestivoresoconto la mostra Italianisull’Oceano curata presso il Mudec diMilano da Paolo Rusconi, coadiuvatoda un gruppo di curatori che da tempoe da prospettive differenti hannocondotto indagini su singole figurecoinvolte in questa dinamica. Siintrecciano così con il Nuovo Mondo,dunque, le storie di Pietro Maria Bardi(1900-1999), di Roberto Sambonet(1924-1995), di Margherita Sarfatti(1880-1961) e di Gastone Novelli(1925-1968). È proprio Bardi, al centroda lungo tempo delle ricerche diRusconi, il perno di questa vicenda:attorno a lui, infatti, si era andataformando una colonia creativa diartisti e architetti, attratti dall’attivitàdel MASP (Museo d’Arte di San Paolo)a cui questi aveva dato vita dopo iltrasferimento definitivo in Brasile nel1946, insieme alla moglie, l’architettoLina Bo Bardi (1914-1992), a suo

tempo allieva di Gio Ponti a Milano eautrice dell’edificio del MASP.

Già figura centrale nel sistemadelle arti in Italia nel corso degli anniTrenta, dove svolge sia il ruolo digallerista che quello di critico d’arte,oltre che direttore per un certo periododella Galleria di Roma, Bardi era giuntoper la prima volta in Brasile nelnovembre del 1931, e di lui si erasubito accreditata l’immagine di unpromotore e divulgatore del verbodell’architettura moderna. Soltanto inseguito egli si sarebbe poi affermatocome il creatore del più grande museod’arte del Sud America (il MASPappunto) che nel profondo ambivaanche a costituirsi come centro diformazione sulla scia del Bauhaus.L’approdo in Brasile, dunque, gli avevaofferto una grande occasione dicrescita professionale e l’arrivo a unaposizione di rilievo anche per gliscambi con l’Italia e per una diffusionedi quanto di meglio potesse offrirel’arte italiana moderna (e non solo).

Diversa, invece, la vicenda diMargherita Sarfatti, che tolte due visitein Sud America, nel 1938 è costretta arifugiarsi qui in esilio per sfuggire alleleggi razziali, riparando prima aBuenos Aires, poi a Montevideo, doveresta fino al 1947, infine in Brasile.Sono anni in cui presta attenzione allarealtà locale e scrive molto di pitturamoderna sudamericana, ma al tempostesso non dimentica l’arte italiana percui tanto si era spesa fino a quelmomento, che costituisce il suoprincipale contributo alla costituzionedella collezione Matarazzo, nucleoprincipale del Museu de Arte Moderna(oggi MAC USP) di San Paolo. Per viediverse, dunque, sia Bardi sia la Sarfattisono il motore di un movimento diopere che sorvolano l’Oceano per

LA MOSTRA/2VERSO SAO PAULOItaliani in Brasile al Mudec di Milano

ITALIANI SULL’OCEANO. STORIE DI ARTISTI NEL BRASILEMODERNO E INDIGENO ALLA METÀ DEL ‘900A cura di Paolo Rusconi con Elisa Camesasca, Ana Gonçalves Magalhães,Viviana Pozzoli, Marco Rinaldi

MILANO, MUDEC

25 marzo - 21 luglio 2016

In alto: Roberto Sambonet, Visite o Museu de

Arte de São Paulo, 1951, poster, Milano,

Archivio Roberto Sambonet

A destra: Lina Bo Bardi, Largo Getulio Vargas,

Rio de Janeiro, 20 ottobre 1946, 1946,

acquerello e grafite su carta, São Paulo,

Instituto Lina Bo e P.M. Bardi

40 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

F ra le rotte internazionali degliscambi artistici e culturali delsecondo dopoguerra, l’asse che

univa l’Italia al Brasile è stato a lungopoco considerato: eppure iltrasferimento per periodi più o menolungo di intellettuali e artisti italiani aSan Paolo del Brasile o più in generalein quel grande stato sudamericano nonè stato privo di conseguenze sia per lasituazione culturale locale, sia perl’arricchimento di esperienze e diprospettive riportate in patria. Netraccia un breve e suggestivoresoconto la mostra Italianisull’Oceano curata presso il Mudec diMilano da Paolo Rusconi, coadiuvatoda un gruppo di curatori che da tempoe da prospettive differenti hannocondotto indagini su singole figurecoinvolte in questa dinamica. Siintrecciano così con il Nuovo Mondo,dunque, le storie di Pietro Maria Bardi(1900-1999), di Roberto Sambonet(1924-1995), di Margherita Sarfatti(1880-1961) e di Gastone Novelli(1925-1968). È proprio Bardi, al centroda lungo tempo delle ricerche diRusconi, il perno di questa vicenda:attorno a lui, infatti, si era andataformando una colonia creativa diartisti e architetti, attratti dall’attivitàdel MASP (Museo d’Arte di San Paolo)a cui questi aveva dato vita dopo iltrasferimento definitivo in Brasile nel1946, insieme alla moglie, l’architettoLina Bo Bardi (1914-1992), a suo

tempo allieva di Gio Ponti a Milano eautrice dell’edificio del MASP.

Già figura centrale nel sistemadelle arti in Italia nel corso degli anniTrenta, dove svolge sia il ruolo digallerista che quello di critico d’arte,oltre che direttore per un certo periododella Galleria di Roma, Bardi era giuntoper la prima volta in Brasile nelnovembre del 1931, e di lui si erasubito accreditata l’immagine di unpromotore e divulgatore del verbodell’architettura moderna. Soltanto inseguito egli si sarebbe poi affermatocome il creatore del più grande museod’arte del Sud America (il MASPappunto) che nel profondo ambivaanche a costituirsi come centro diformazione sulla scia del Bauhaus.L’approdo in Brasile, dunque, gli avevaofferto una grande occasione dicrescita professionale e l’arrivo a unaposizione di rilievo anche per gliscambi con l’Italia e per una diffusionedi quanto di meglio potesse offrirel’arte italiana moderna (e non solo).

Diversa, invece, la vicenda diMargherita Sarfatti, che tolte due visitein Sud America, nel 1938 è costretta arifugiarsi qui in esilio per sfuggire alleleggi razziali, riparando prima aBuenos Aires, poi a Montevideo, doveresta fino al 1947, infine in Brasile.Sono anni in cui presta attenzione allarealtà locale e scrive molto di pitturamoderna sudamericana, ma al tempostesso non dimentica l’arte italiana percui tanto si era spesa fino a quelmomento, che costituisce il suoprincipale contributo alla costituzionedella collezione Matarazzo, nucleoprincipale del Museu de Arte Moderna(oggi MAC USP) di San Paolo. Per viediverse, dunque, sia Bardi sia la Sarfattisono il motore di un movimento diopere che sorvolano l’Oceano per

LA MOSTRA/2VERSO SAO PAULOItaliani in Brasile al Mudec di Milano

ITALIANI SULL’OCEANO.STORIE DI ARTISTI NEL BRASILEMODERNO E INDIGENO ALLA METÀ DEL ‘900A cura di Paolo Rusconi con Elisa Camesasca,Ana Gonçalves Magalhães,Viviana Pozzoli, Marco Rinaldi

MILANO, MUDEC

25 marzo - 21 luglio 2016

In alto: Roberto Sambonet, Visite o Museu de

Arte de São Paulo, 1951, poster, Milano,

Archivio Roberto Sambonet

A destra: Lina Bo Bardi, Largo Getulio Vargas,

Rio de Janeiro, 20 ottobre 1946, 1946,

acquerello e grafite su carta, São Paulo,

Instituto Lina Bo e P.M. Bardi

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giiugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 41

entrare nelle collezioni sudamericane,che in questo frangente si dotano dialcuni capolavori di prima grandezzadell’arte italiana.

Ma oltre alle opere si muovonoanche gli artisti e gli architetti. Nel1948, per esempio, giunge in BrasileSambonet, al seguito della moglie,Luisa Bernacchi, chiamata a insegnaredisegno presso il MASP. L’esperienza,di non lunga durata, lo colpisceprofondamente. La rigogliosavegetazione tropicale, in particolare,gli lascia una impressione duratura,che nell’immediato ha ripercussioninei disegni di motivi per tessuti e dimodelli per la moda, oltre ad accessorie calzature, che realizza direttamentein Brasile: sono segni semplici, dinatura grafica e non esenti, se sivuole, da certe tentazioni “primitive”,o almeno di ricerca di un “primordio”attraverso una purificazione eastrazione formale che approda, inquesto caso, alle forme di design. Maanche una volta tornato in Italia,Sambonet non dimentica la forestaamazzonica, che anzi ricomparedirompente nei disegni di piante evegetali pubblicati nel volume 22cause +1 pubblicato a Milano nel1953 in collaborazione con EmilioVilla e Max Huber. Disegni chepuntano verso l’astrazione, ma chesono ancora capaci, con le loro formedi sintesi, di restituire il senso dellacalura umida della vegetazionetropicale, intrisa di luce e trasformatain pura segno.

Riserva non poche sorprese, inultimo, riscontrare gli effettiimmediati sulla pittura di GastoneNovelli dei prolungati soggiorni in

Brasile compiuti fra 1948 e 1954.Oltre a collaborare con il MASP,infatti, egli compie numerosi viaggiall’interno del paese, passando leregioni del Rio Xingu, la Serra doRoncador e il Rio das Mortes,entrando in contatto con le tribùindigene come documenta un riccoalbum di appunti e fotografieriportato in Italia. Ma quel soggiornoriserva poi delle sorprese soprattuttosul piano della pittura, mostrando unvero e proprio “Novelli prima diNovelli”, cioè prima della suaproduzione più nota. Novelli infattinon è estraneo ai suggerimenti offertidagli artisti brasiliani, di cui dà conto

un nucleo di ritratti eseguiti fra 1948 e1950, che lo inducono poi a una fasepost-cubista nel 1951 fino a unaffiancamento, a partire dal 1953, delconcretismo brasiliano: il fulcro è ilrapporto fra geometria e quartadimensione, e sulla possibilità direstituzione del volume della figuraanche attraverso il semplice utilizzo dicampiture piatte e spigolose. Era alleporte, però, una svolta in direzione diPaul Klee che porterà una maggiorefluidità di forme e di andamenti, macon una concretezza di forme e unasensibilità cromatica che ha i toni e lecromie, se si vuole, di terre calde vistedall’altra parte del mondo. [lpn]

giiugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 41

entrare nelle collezioni sudamericane,che in questo frangente si dotano dialcuni capolavori di prima grandezzadell’arte italiana.

Ma oltre alle opere si muovonoanche gli artisti e gli architetti. Nel1948, per esempio, giunge in BrasileSambonet, al seguito della moglie,Luisa Bernacchi, chiamata a insegnaredisegno presso il MASP. L’esperienza,di non lunga durata, lo colpisceprofondamente. La rigogliosavegetazione tropicale, in particolare,gli lascia una impressione duratura,che nell’immediato ha ripercussioninei disegni di motivi per tessuti e dimodelli per la moda, oltre ad accessorie calzature, che realizza direttamentein Brasile: sono segni semplici, dinatura grafica e non esenti, se sivuole, da certe tentazioni “primitive”,o almeno di ricerca di un “primordio”attraverso una purificazione eastrazione formale che approda, inquesto caso, alle forme di design. Maanche una volta tornato in Italia,Sambonet non dimentica la forestaamazzonica, che anzi ricomparedirompente nei disegni di piante evegetali pubblicati nel volume 22cause +1 pubblicato a Milano nel1953 in collaborazione con EmilioVilla e Max Huber. Disegni chepuntano verso l’astrazione, ma chesono ancora capaci, con le loro formedi sintesi, di restituire il senso dellacalura umida della vegetazionetropicale, intrisa di luce e trasformatain pura segno.

Riserva non poche sorprese, inultimo, riscontrare gli effettiimmediati sulla pittura di GastoneNovelli dei prolungati soggiorni in

Brasile compiuti fra 1948 e 1954.Oltre a collaborare con il MASP,infatti, egli compie numerosi viaggiall’interno del paese, passando leregioni del Rio Xingu, la Serra doRoncador e il Rio das Mortes,entrando in contatto con le tribùindigene come documenta un riccoalbum di appunti e fotografieriportato in Italia. Ma quel soggiornoriserva poi delle sorprese soprattuttosul piano della pittura, mostrando unvero e proprio “Novelli prima diNovelli”, cioè prima della suaproduzione più nota. Novelli infattinon è estraneo ai suggerimenti offertidagli artisti brasiliani, di cui dà conto

un nucleo di ritratti eseguiti fra 1948 e1950, che lo inducono poi a una fasepost-cubista nel 1951 fino a unaffiancamento, a partire dal 1953, delconcretismo brasiliano: il fulcro è ilrapporto fra geometria e quartadimensione, e sulla possibilità direstituzione del volume della figuraanche attraverso il semplice utilizzo dicampiture piatte e spigolose. Era alleporte, però, una svolta in direzione diPaul Klee che porterà una maggiorefluidità di forme e di andamenti, macon una concretezza di forme e unasensibilità cromatica che ha i toni e lecromie, se si vuole, di terre calde vistedall’altra parte del mondo. [lpn]

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42 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

LA MOSTRA/3MARIO NEGRI E LA SCULTURAUna mostra per il centenario

«Sono stato scultore per potervivere la mia vita, ognigiorno, con una certa

tensione e con molta libertà», scriveva disé Mario Negri (1916-1987),specificando le ragioni iniziali della suavocazione fondamentale per la scultura.Di lui si potrebbe dire che è statoscultore che molto ha visto, sotto le cuimani, oltre alla matita e l’argilla, sonopassati molti libri. Del resto, che Negrifosse una mente critica acuta, attentoosservatore di quanto accadeva nelmondo delle arti figurative del suotempo, è testimoniato dalla suacollaborazione in qualità proprio dicritico, fra 1950 e 1951, con la rivista

“Domus”, e ne dà conto un piccolo mapreziosissimo libro delle edizioniScheiwiller che raduna in un raccontocompatto la sua visione della scultura edelle arti del Novecento e, soprattutto, ilprofilo dei suoi protagonisti principali.Tutto questo avveniva con maggioreintensità prima che Negri tenesse la suaprima importante mostra personale, allaGalleria del Milione di Milano, perquanto questa non segni una fine nettadella sua attività di scrittore di cosed’arte. In ogni caso, il suo lavoro plasticorimane un esemplare crocevia di culturefigurative, come un sismografo che haregistrato e criticamente riletto isommovimenti che nel corso del

Novecento hanno segnato la storia dellascultura. Non è senza significato, in talsenso, che nel suo lavoro si rintraccinole prime avvisaglie della ricezioneitaliana della scultura di Henry Moore,mentre era quasi naturale, per lui nato aTirano, tessere un dialogo ravvicinatocon la scarnificazione filiforme dellafigura umana operata da AlbertoGiacometti. Nel rapporto dialettico conentrambi, tuttavia, Negri inseriva unproprio dato di lettura che declinava insenso narrativo quelle istanze,facendone a sua volta un punto dipartenza per la ricerca di artisti piùgiovani: non credo sia azzardato, infatti,affermare che il suo lavoro sia stato iltramite per introdurre scultori piùgiovani alla lettura di quei modelliinternazionali, come se la lingua plasticadi Mario Negri l’avesse resa piùaccostante, più accessibile perchédeclinata secondo una sensibilitàtipicamente lombarda.

Del resto, come fa notare MartinaCorgnati nell’introduzione al catalogodella piccola e preziosa mostra delloStudio d’Arte del Lauro, il suo lavoro è

42 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

LA MOSTRA/3MARIO NEGRI E LA SCULTURAUna mostra per il centenario

«Sono stato scultore per potervivere la mia vita, ognigiorno, con una certa

tensione e con molta libertà», scriveva disé Mario Negri (1916-1987),specificando le ragioni iniziali della suavocazione fondamentale per la scultura.Di lui si potrebbe dire che è statoscultore che molto ha visto, sotto le cuimani, oltre alla matita e l’argilla, sonopassati molti libri. Del resto, che Negrifosse una mente critica acuta, attentoosservatore di quanto accadeva nelmondo delle arti figurative del suotempo, è testimoniato dalla suacollaborazione in qualità proprio dicritico, fra 1950 e 1951, con la rivista

“Domus”, e ne dà conto un piccolo mapreziosissimo libro delle edizioniScheiwiller che raduna in un raccontocompatto la sua visione della scultura edelle arti del Novecento e, soprattutto, ilprofilo dei suoi protagonisti principali.Tutto questo avveniva con maggioreintensità prima che Negri tenesse la suaprima importante mostra personale, allaGalleria del Milione di Milano, perquanto questa non segni una fine nettadella sua attività di scrittore di cosed’arte. In ogni caso, il suo lavoro plasticorimane un esemplare crocevia di culturefigurative, come un sismografo che haregistrato e criticamente riletto isommovimenti che nel corso del

Novecento hanno segnato la storia dellascultura. Non è senza significato, in talsenso, che nel suo lavoro si rintraccinole prime avvisaglie della ricezioneitaliana della scultura di Henry Moore,mentre era quasi naturale, per lui nato aTirano, tessere un dialogo ravvicinatocon la scarnificazione filiforme dellafigura umana operata da AlbertoGiacometti. Nel rapporto dialettico conentrambi, tuttavia, Negri inseriva unproprio dato di lettura che declinava insenso narrativo quelle istanze,facendone a sua volta un punto dipartenza per la ricerca di artisti piùgiovani: non credo sia azzardato, infatti,affermare che il suo lavoro sia stato iltramite per introdurre scultori piùgiovani alla lettura di quei modelliinternazionali, come se la lingua plasticadi Mario Negri l’avesse resa piùaccostante, più accessibile perchédeclinata secondo una sensibilitàtipicamente lombarda.

Del resto, come fa notare MartinaCorgnati nell’introduzione al catalogodella piccola e preziosa mostra delloStudio d’Arte del Lauro, il suo lavoro è

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giiugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 43

caratterizzato dalla coesistenza di«polarità dialettiche» che fanno di luiuno sperimentatore per temi evariazioni. Da questo, viene fatto notare,si dipana un percorso che «si nutre piùdel processo che del capolavoro, piùdella ricerca che della conquista, piùdella domanda che della risposta», checomporta una «indifferenza per l’operasingolare ed irripetibile a favore di quellafebbrile metamorfosi della forma, le cuivarianti si delineano nel tempo comeprovvisorie testimoni di un percorsoininterrotto e infinito».

Non resta a questo punto chetentare una pur sommaria divisionedelle serie, una classificazione dei filonidi sviluppo o, meglio, delle tipologieplastiche e operative di Negri. Ci siaccorge subito, a questo punto, che ilnodo cruciale è nel modo di intendere lafigura e il suo rapporto con l’ambiente econ la struttura plastica della sculturastessa. Da una parte, per esempio, ci siaccorge che il confronto con Moore siconsuma in una serie di figure reclinateo di torsi seduti che costruiscono lospazio attorno a loro grazieall’articolazione anatomica della figurastessa. Ne deriva una sintesieminentemente grafica, in cui i volumihanno profili marcati non dissimili daquelli che si ritrovano nei disegni deglistessi anni. Ma in questa sintesi, allostesso tempo, quando non si gioca conla poetica del frammento, del torsoacefalo e privo di arti come in unanuova teoria di rovine del mondo antico,la figura si anima come sottoposta a unprocesso metamorfico di cui non si puòprevedere la conclusione.

Oppure, altre volte Negri, memore diGiacometti, stabilisce un rapporto più

complesso tra figura e basamento,facendo di quest’ultimo, più che unsostegno, una pedana percorribile, unospazio circoscritto e praticabile su cui lafigura, ridotta a un segno stilizzatocome corpo che accenna un movimento,potrebbe idealmente camminare. È inquesta chiave che la lezione diGiacometti diventa più narrativa: quellache nello scultore svizzero era una

forma di desertificazione dell’identitàindividuale, oggetto di una ostensioneimpietosa della miseria esistenziale, inNegri diventa una forma di raccontomediata dalla concezione ambientale diMedardo Rosso, ma semplificata eillustrata. In ultimo, poi, ci sono queiprogetti per ambienti che recuperano lemodalità di presentazione tipiche deiplastici di architettura: anzichévisualizzare però progetti realizzabili, glispazi definiti da Negri sono luoghivisionari e d’invenzione di una geografiageologica e visionaria. Sono luoghipossibili, di esatta progettazione checompete con la geometria naturale, main attesa di nuovi possibili abitanti. [lpn]

MARIO NEGRIA cura di Cristina Sissa; testo di Martina Corgnati

MILANO, STUDIO D’ARTE DEL LAURO

12 maggio – 30 giugno 2016

Nella pagina accanto, in alto: Mario Negri, Gli sposi, 1975. In basso: Mario Negri, Seconda

ipotesi per la genesi, 1976. In questa pagina, in basso: Mario Negri, disegno.

giiugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 43

caratterizzato dalla coesistenza di«polarità dialettiche» che fanno di luiuno sperimentatore per temi evariazioni. Da questo, viene fatto notare,si dipana un percorso che «si nutre piùdel processo che del capolavoro, piùdella ricerca che della conquista, piùdella domanda che della risposta», checomporta una «indifferenza per l’operasingolare ed irripetibile a favore di quellafebbrile metamorfosi della forma, le cuivarianti si delineano nel tempo comeprovvisorie testimoni di un percorsoininterrotto e infinito».

Non resta a questo punto chetentare una pur sommaria divisionedelle serie, una classificazione dei filonidi sviluppo o, meglio, delle tipologieplastiche e operative di Negri. Ci siaccorge subito, a questo punto, che ilnodo cruciale è nel modo di intendere lafigura e il suo rapporto con l’ambiente econ la struttura plastica della sculturastessa. Da una parte, per esempio, ci siaccorge che il confronto con Moore siconsuma in una serie di figure reclinateo di torsi seduti che costruiscono lospazio attorno a loro grazieall’articolazione anatomica della figurastessa. Ne deriva una sintesieminentemente grafica, in cui i volumihanno profili marcati non dissimili daquelli che si ritrovano nei disegni deglistessi anni. Ma in questa sintesi, allostesso tempo, quando non si gioca conla poetica del frammento, del torsoacefalo e privo di arti come in unanuova teoria di rovine del mondo antico,la figura si anima come sottoposta a unprocesso metamorfico di cui non si puòprevedere la conclusione.

Oppure, altre volte Negri, memore diGiacometti, stabilisce un rapporto più

complesso tra figura e basamento,facendo di quest’ultimo, più che unsostegno, una pedana percorribile, unospazio circoscritto e praticabile su cui lafigura, ridotta a un segno stilizzatocome corpo che accenna un movimento,potrebbe idealmente camminare. È inquesta chiave che la lezione diGiacometti diventa più narrativa: quellache nello scultore svizzero era una

forma di desertificazione dell’identitàindividuale, oggetto di una ostensioneimpietosa della miseria esistenziale, inNegri diventa una forma di raccontomediata dalla concezione ambientale diMedardo Rosso, ma semplificata eillustrata. In ultimo, poi, ci sono queiprogetti per ambienti che recuperano lemodalità di presentazione tipiche deiplastici di architettura: anzichévisualizzare però progetti realizzabili, glispazi definiti da Negri sono luoghivisionari e d’invenzione di una geografiageologica e visionaria. Sono luoghipossibili, di esatta progettazione checompete con la geometria naturale, main attesa di nuovi possibili abitanti. [lpn]

MARIO NEGRIA cura di Cristina Sissa; testo di Martina Corgnati

MILANO, STUDIO D’ARTE DEL LAURO

12 maggio – 30 giugno 2016

Nella pagina accanto, in alto: Mario Negri, Gli sposi, 1975.ii In basso: Mario Negri, Seconda

ipotesi per la genesi, 1976.ii In questa pagina, in basso: Mario Negri, disegno.

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44 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

Nella splendida cornice deiMusei San Domenico di Forlì sista tenendo, fino al 26 giugno,

l’importante mostra Piero dellaFrancesca. Indagine su un mito. Impresadifficile quella proposta nella cittadinaromagnola perché il riunire un nucleoadeguato di opere di Piero dellaFrancesca (1417-1492), artista tantosommo quanto ‘raro’, è stato già di persé un’operazione complessa. Riuscirepoi a proporre un confronto con i piùgrandi maestri del Rinascimento, daDomenico Veneziano, Beato Angelico,Paolo Uccello, Andrea del Castagno,Filippo Lippi, Fra Carnevale a FrancescoLaurana tra gli altri, è stato uno studiodifficile. Così come lo è stato anchedocumentare l’influsso del genio di

Sansepolcro sulla generazioni di artistia lui successiva: Marco Zoppo,Francesco del Cossa, Luca Signorelli,Melozzo da Forlì, Antoniazzo Romano eGiovanni Bellini. Ma questa mostra si èspinta oltre, indagando il mito di Pierodella Francesca nell’Ottocento: neiMacchiaioli, in Borrani, in Lega, inSignorini. Ma anche in molti altri artistieuropei: da Johann Anton Ramboux aCharles Loyeux, fino alla fondamentaleriscoperta inglese del primo Novecento,legata in particolare a Roger Fry,Duncan Grant e al Gruppo diBloomsbury. In Italia, invece, la fortunanovecentesca dell’artista è affidata aGuidi, Carrà, Donghi, De Chirico,Casorati, Morandi, Funi, Campigli,Ferrazzi. Come nota Antonio Paolucci

(uno dei curatori della mostra) nelcatalogo ufficiale (edito da Silvanaeditoriale): «a un certo momento, nellastoriografia critica del Novecento, Pierodella Francesca è sembrato ladimostrazione perfetta, antica e perciòprofetica, di una idea che ha dominatoa lungo il nostro tempo; di come cioè lapittura, prima di essere discorso, siaarmonia di colori e di superfici».

Insomma una mostra che, tra criticae arte, tra ricerca storiografica eproduzione artistica, nell’arco di più dicinque secoli, tenta per la prima voltaun’indagine serrata su colui che LucaPacioli aveva definito «il monarca dellapittura». In fondo l’eterna immobilitàdei solidi umani di Piero dellaFrancesca, i volti dei suoi personaggi -appena sfiorati da un’ombra di passione- continuano ad apparire, ancora oggi,rivelazioni di figure eterne, immerse inuna pace sovrannaturale.

LA MOSTRA/4IL RINASCIMENTO DI PIERO Indagine su un mito

PIERO DELLA FRANCESCAINDAGINE SU UN MITOA cura di: Antonio Paolucci, Daniele Benati, Frank Dabell,Fernando Mazzocca, Paola Refice

FORLÌ, MUSEI SAN DOMENICOPIAZZA GUIDO DA MONTEFELTRO

13 febbraio - 26 giugno

di gianluca montinaro

Sotto da sinistra: Piero della Francesca, San Girolamo e un devoto, 1440-1450 ca.,

Gallerie dell’Accademia, Venezia; Santa Apollonia, 1454-69, National Gallery of Art, Washington.

Sopra: Beato Angelico, Imposizione del nome al Battista, Museo di San Marco, Firenze

44 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

Nella splendida cornice deiMusei San Domenico di Forlì sista tenendo, fino al 26 giugno,

l’importante mostra Piero dellaFrancesca. Indagine su un mito. Impresadifficile quella proposta nella cittadinaromagnola perché il riunire un nucleoadeguato di opere di Piero dellaFrancesca (1417-1492), artista tantosommo quanto ‘raro’, è stato già di persé un’operazione complessa. Riuscirepoi a proporre un confronto con i piùgrandi maestri del Rinascimento, daDomenico Veneziano, Beato Angelico,Paolo Uccello, Andrea del Castagno,Filippo Lippi, Fra Carnevale a FrancescoLaurana tra gli altri, è stato uno studiodifficile. Così come lo è stato anchedocumentare l’influsso del genio di

Sansepolcro sulla generazioni di artistia lui successiva: Marco Zoppo,Francesco del Cossa, Luca Signorelli,Melozzo da Forlì, Antoniazzo Romano eGiovanni Bellini. Ma questa mostra si èspinta oltre, indagando il mito di Pierodella Francesca nell’Ottocento: neiMacchiaioli, in Borrani, in Lega, inSignorini. Ma anche in molti altri artistieuropei: da Johann Anton Ramboux aCharles Loyeux, fino alla fondamentaleriscoperta inglese del primo Novecento,legata in particolare a Roger Fry,Duncan Grant e al Gruppo diBloomsbury. In Italia, invece, la fortunanovecentesca dell’artista è affidata aGuidi, Carrà, Donghi, De Chirico,Casorati, Morandi, Funi, Campigli,Ferrazzi. Come nota Antonio Paolucci

(uno dei curatori della mostra) nelcatalogo ufficiale (edito da Silvanaeditoriale): «a un certo momento, nellastoriografia critica del Novecento, Pierodella Francesca è sembrato ladimostrazione perfetta, antica e perciòprofetica, di una idea che ha dominatoa lungo il nostro tempo; di come cioè lapittura, prima di essere discorso, siaarmonia di colori e di superfici».

Insomma una mostra che, tra criticae arte, tra ricerca storiografica eproduzione artistica, nell’arco di più dicinque secoli, tenta per la prima voltaun’indagine serrata su colui che LucaPacioli aveva definito «il monarca dellapittura». In fondo l’eterna immobilitàdei solidi umani di Piero dellaFrancesca, i volti dei suoi personaggi -appena sfiorati da un’ombra di passione- continuano ad apparire, ancora oggi,rivelazioni di figure eterne, immerse inuna pace sovrannaturale.

LA MOSTRA/4IL RINASCIMENTO DI PIEROIndagine su un mito

PIERO DELLA FRANCESCAINDAGINE SU UN MITOA cura di: Antonio Paolucci, Daniele Benati, Frank Dabell,Fernando Mazzocca, Paola Refice

FORLÌ, MUSEI SAN DOMENICOPIAZZA GUIDO DA MONTEFELTRO

13 febbraio - 26 giugno

di gianluca montinaro

Sotto da sinistra: Piero della Francesca, San Girolamo e un devoto, 1440-1450 ca.,

Gallerie dell’Accademia, Venezia; Santa Apollonia, 1454-69, National Gallery of Art, Washington.

Sopra: Beato Angelico, Imposizione del nome al Battista, Museo di San Marco, Firenze

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46 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

l’arte, si sa, non si imprigiona in unateoria, in una definizione.

Per me un libro d’artista restaquello che in Francia fu chiamatoall’origine un livre de peintre, termineche si attaglia a un’edizione a tiraturalimitata, particolare per il pregio delsupporto cartaceo e per il rigoretipografico, la quale edizione associ conconvenienza testi in prosa o poesia aimmagini realizzate con graficaoriginale da pittori o scultori, spessonon professionalmente specialisti nelletecniche incisorie e di riproduzione, equindi già per ciò sperimentatori,innovatori, artisti che abbiano vissuto leesperienze del loro tempo con forteoriginalità, per lo più appartenenti alleavanguardie storiche. Che il testo siad’un autore contemporaneo, o unclassico del passato non conta. Quelche importa è che esso sia per l’artistafonte di ispirazione o motivo diconfronto, di scambio, di dialogo, e cheun editore lungimirante ne abbiafavorito l’incontro e abbia resa concretal’opera attraverso uno stampatore divaglia. Ma non è detto che un librod’artista tali caratteristiche le posseggatutte contemporaneamente. L’esito, inogni modo, vorrebbe essere unitario,conseguente; ma il dialogo è troppospesso più ideale che reale, perché è unmito di lunga data quello dell’unitàdelle arti, il mito che deriva dal mottodi Orazio ut pictura poesis e quindi

C olleziono da trent’anni quelliche s’usano chiamare librid’artista, ma l’amore per i bei

libri, belli per contenuto e per vesteeditoriale, posso dire risalga allafanciullezza, quando i regali più graditierano proprio i libri. E uomo di libri,lettore onnivoro, lo sono rimasto per lavita. Così da far mia l’epigrafe di PaulEluard «O livre, raison ardente!» che èun ispirato ossimoro (razionalità eardore passionale) per definire ilrapporto con il libro, in specie il librod’artista.

Colleziono libri d’artista anche senon so più bene che cosa sia in sensostretto un libro d’artista, soprattuttodopo che la rivoluzione degli anniSessanta-Settanta dello scorso secolo,gli anni della seconda avanguardia, PopArt, Arte Povera, Arte Concettuale,

Fluxus, ha capovolto la naturaaristocratica, preziosa, esclusiva dei libriche impegnano progetto e manodiretta degli artisti. Sono apparse infattiin quel giro d’anni opere appartenenti aqueste correnti, opere che, purconservando la forma di libro, sipresentano con modestia tipografica,per via di una stampa tecnicamentestandardizzata, con una tiratura nonlimitata, oppure al contrario limitata aun solo esemplare, per sconfinaretalora nel libro-oggetto non replicabile:sono solo queste opere che da allora(quasi per usurpazione di termine) sichiamano libri d’artista. E chi liapprezza li carica di una valenza percosì dire concettuale, fitta di intenzionie significati plurimi. Devo ringraziare ilmaestro che recentemente me ne hafatto divenire attento, Giorgio Maffei,rigoroso documentatore e studioso, maanche charmeur, vero incantatorenell’avviare i bibliofili a taleconversione. Conversione che resta perme sospesa tra dubbi e resistenze. Iosto infatti per lo più ancorato alladefinizione tradizionale, che nel tempoè stata data, del libro d’artista, anche secomincia ad andarmi stretta, dopo chegli orizzonti sono tanto mutati. Èpossibile una conciliazione fra questedue concezioni del libro d’artista? Forsesì, se, fatto salvo che il libro d’artistanon è ovviamente un libro d’Arte, né unlibro sull’arte, ma è un’opera d’arte. E

COLLEZIONI E COLLEZIONISTII ‘LIBRI D’ARTISTA’ DI CORRADO MINGARDIdi corrado mingardi

46 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

l’arte, si sa, non si imprigiona in unateoria, in una definizione.

Per me un libro d’artista restaquello che in Francia fu chiamatoall’origine un livre de peintre, termineche si attaglia a un’edizione a tiraturalimitata, particolare per il pregio delsupporto cartaceo e per il rigoretipografico, la quale edizione associ conconvenienza testi in prosa o poesia aimmagini realizzate con graficaoriginale da pittori o scultori, spessonon professionalmente specialisti nelletecniche incisorie e di riproduzione, equindi già per ciò sperimentatori,innovatori, artisti che abbiano vissuto leesperienze del loro tempo con forteoriginalità, per lo più appartenenti alleavanguardie storiche. Che il testo siad’un autore contemporaneo, o unclassico del passato non conta. Quelche importa è che esso sia per l’artistafonte di ispirazione o motivo diconfronto, di scambio, di dialogo, e cheun editore lungimirante ne abbiafavorito l’incontro e abbia resa concretal’opera attraverso uno stampatore divaglia. Ma non è detto che un librod’artista tali caratteristiche le posseggatutte contemporaneamente. L’esito, inogni modo, vorrebbe essere unitario,conseguente; ma il dialogo è troppospesso più ideale che reale, perché è unmito di lunga data quello dell’unitàdelle arti, il mito che deriva dal mottodi Orazio ut pictura poesis e quindi

C olleziono da trent’anni quelliche s’usano chiamare librid’artista, ma l’amore per i bei

libri, belli per contenuto e per vesteeditoriale, posso dire risalga allafanciullezza, quando i regali più graditierano proprio i libri. E uomo di libri,lettore onnivoro, lo sono rimasto per lavita. Così da far mia l’epigrafe di PaulEluard «O livre, raison ardente!» che èun ispirato ossimoro (razionalità eardore passionale) per definire ilrapporto con il libro, in specie il librod’artista.

Colleziono libri d’artista anche senon so più bene che cosa sia in sensostretto un libro d’artista, soprattuttodopo che la rivoluzione degli anniSessanta-Settanta dello scorso secolo,gli anni della seconda avanguardia, PopArt, Arte Povera, Arte Concettuale,

Fluxus, ha capovolto la naturaaristocratica, preziosa, esclusiva dei libriche impegnano progetto e manodiretta degli artisti. Sono apparse infattiin quel giro d’anni opere appartenenti aqueste correnti, opere che, purconservando la forma di libro, sipresentano con modestia tipografica,per via di una stampa tecnicamentestandardizzata, con una tiratura nonlimitata, oppure al contrario limitata aun solo esemplare, per sconfinaretalora nel libro-oggetto non replicabile:sono solo queste opere che da allora(quasi per usurpazione di termine) sichiamano libri d’artista. E chi liapprezza li carica di una valenza percosì dire concettuale, fitta di intenzionie significati plurimi. Devo ringraziare ilmaestro che recentemente me ne hafatto divenire attento, Giorgio Maffei,rigoroso documentatore e studioso, maanche charmeur, vero incantatorerrnell’avviare i bibliofili a taleconversione. Conversione che resta perme sospesa tra dubbi e resistenze. Iosto infatti per lo più ancorato alladefinizione tradizionale, che nel tempoè stata data, del libro d’artista, anche secomincia ad andarmi stretta, dopo chegli orizzonti sono tanto mutati. Èpossibile una conciliazione fra questedue concezioni del libro d’artista? Forsesì, se, fatto salvo che il libro d’artistanon è ovviamente un libro d’Arte, né unlibro sull’arte, ma è un’opera d’arte. E

COLLEZIONI E COLLEZIONISTII ‘LIBRI D’ARTISTA’DI CORRADO MINGARDIdi corrado mingardi

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giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 47

viceversa. Lo ha rivisitato spesso, emisticamente, Kandinskij, alla ricerca dicorrispondenze emotive e formali traarte, letteratura e musica. Per meinvece, ed è così anche nella vita, unicoincontro concesso è sfiorarsi daparalleli sentieri. Ma la tangenza, quasiper miracolo, può talora diveniredetonante. In ogni modo, ogni librod’artista si configura come esperimentoper così dire sinfonico. Walter Valentini,il pittore, ma anche architetto, con ilrigore rinascimentale della sua Urbinonegli occhi, che a molti libri d’artista hacollaborato, una volta parlòdell’orchestra del libro d’artista. E lametafora musicale - se si vuolepotrebbe essere anche cinematografica- bene calza a un’opera che, tra l’altro,abbisogna per essere goduta del temposequenziale di chi la sfoglia, e meglio sein chiusa stanza, more domestico. Testoe immagine a confronto, non come siverifica di solito nel libro illustrato

tradizionale, dove le figure dovrebberoporsi soprattutto al servizio dellanarrazione oppure della parola poetica,rendendole visive o decorarle. Matissescriveva: «Il libro non deve aver bisognod’essere completato da un’illustrazioneimitativa. Il pittore e lo scrittore devonoagire insieme, senza confusione, ma inparallelo. Il disegno deve essere unequivalente plastico del poema. Nondirei: primo e secondo violino, ma uninsieme concertante». Nel libro d’artistatuttavia è sempre per me l’immagineche si impone sovrana e comunica inrealtà solo se stessa. Senza che iotrascuri il doppio vantaggio nel librod’artista di avere insieme alle immaginid’arte, dei testi in poesia o prosa inedizione originale. È successo con molticelebri scrittori della letteraturafrancese moderna e contemporanea, daStéphane Mallarmé a André Gide,Guillaume Apollinaire, Alfred Jarry,Tristan Tzara, Max Jacob, Paul Éluard,

André Bréton, Blaise Cendrars, PierreReverdy, René Char, Francis Ponge, YvesBonnefoy, André Du Boucher e altri,orgogliosi di farsi visivamenteinterpretare, o solo di lasciarsi appaiarecon gli amici artisti, simbolisti, cubisti,surrealisti e così via. In Italia, nella seriedei “Cento amici del libro”, i testi sonotutti pubblicati in prima edizione: sivedano i versi estremi di Mario Luziaccostati alle cosmiche geometrie diWalter Valentini (2005), o quelli diAndrea Zanzotto alle acquetinteluminosissime di Joe Tilson (2011). Poi,se il testo è parto dell’artista stesso, epare allora che il dialogo sia solo unsoliloquio, pur celebrandovi l’immagineancora il suo quasi esclusivo trionfo, illibro raggiunge il massimo di unità diconcepimento e di realizzazione. Siveda Klänge, poesie e xilografie diWassily Kandinskij (1913), tra i piùriusciti. Ma paradigmatico al sommo èJazz di Matisse, in cui il pittore,rifiutando del tutto la stampatipografica, manoscrive lui stesso e poiriproduce una serie di personali pensieriallo scopo di intervallare le granditavole accese di colore. E così faranno,subito dopo, Fernand Léger nel suoCirque (1950), Le Corbusier nel Poèmede l’angle droit (1955) e più volte JeanDubuffet.

Come inizia la mia lungapassione per il libro d’artista

La collezione è iniziata con unapassione bibliofila certo piùtradizionale. È iniziata con GiambattistaBodoni, il sommo disegnatore eincisore di caratteri, il tipografo-editore,che da Parma nell’Europa dei Lumi e diNapoleone diffuse opere, soprattutto i

Nella pagina accanto, in alto: una delle storiche sale della Biblioteca di Busseto; a sinistra:

Ardengo Soffici, Chimismi lirici, Firenze, 1915. Sotto: Pablo Picasso per Les Chant des Morts

giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano 47

viceversa. Lo ha rivisitato spesso, emisticamente, Kandinskij, alla ricerca dicorrispondenze emotive e formali traarte, letteratura e musica. Per meinvece, ed è così anche nella vita, unicoincontro concesso è sfiorarsi daparalleli sentieri. Ma la tangenza, quasiper miracolo, può talora diveniredetonante. In ogni modo, ogni librod’artista si configura come esperimentoper così dire sinfonico. Walter Valentini,il pittore, ma anche architetto, con ilrigore rinascimentale della sua Urbinonegli occhi, che a molti libri d’artista hacollaborato, una volta parlòdell’orchestra del libro d’artista. E lametafora musicale - se si vuolepotrebbe essere anche cinematografica- bene calza a un’opera che, tra l’altro,abbisogna per essere goduta del temposequenziale di chi la sfoglia, e meglio sein chiusa stanza, more domestico. Testoe immagine a confronto, non come siverifica di solito nel libro illustrato

tradizionale, dove le figure dovrebberoporsi soprattutto al servizio dellanarrazione oppure della parola poetica,rendendole visive o decorarle. Matissescriveva: «Il libro non deve aver bisognod’essere completato da un’illustrazioneimitativa. Il pittore e lo scrittore devonoagire insieme, senza confusione, ma inparallelo. Il disegno deve essere unequivalente plastico del poema. Nondirei: primo e secondo violino, ma uninsieme concertante». Nel libro d’artistatuttavia è sempre per me l’immagineche si impone sovrana e comunica inrealtà solo se stessa. Senza che iotrascuri il doppio vantaggio nel librod’artista di avere insieme alle immaginid’arte, dei testi in poesia o prosa inedizione originale. È successo con molticelebri scrittori della letteraturafrancese moderna e contemporanea, daStéphane Mallarmé a André Gide,Guillaume Apollinaire, Alfred Jarry,Tristan Tzara, Max Jacob, Paul Éluard,

André Bréton, Blaise Cendrars, PierreReverdy, René Char, Francis Ponge, YvesBonnefoy, André Du Boucher e altri,orgogliosi di farsi visivamenteinterpretare, o solo di lasciarsi appaiarecon gli amici artisti, simbolisti, cubisti,surrealisti e così via. In Italia, nella seriedei “Cento amici del libro”, i testi sonotutti pubblicati in prima edizione: sivedano i versi estremi di Mario Luziaccostati alle cosmiche geometrie diWalter Valentini (2005), o quelli diAndrea Zanzotto alle acquetinteluminosissime di Joe Tilson (2011). Poi,se il testo è parto dell’artista stesso, epare allora che il dialogo sia solo unsoliloquio, pur celebrandovi l’immagineancora il suo quasi esclusivo trionfo, illibro raggiunge il massimo di unità diconcepimento e di realizzazione. Siveda Klänge, poesie e xilografie diWassily Kandinskij (1913), tra i piùriusciti. Ma paradigmatico al sommo èJazz di Matisse, in cui il pittore,rifiutando del tutto la stampatipografica, manoscrive lui stesso e poiriproduce una serie di personali pensieriallo scopo di intervallare le granditavole accese di colore. E così faranno,subito dopo, Fernand Léger nel suoCirque (1950), Le Corbusier nel Poèmede l’angle droit (1955) e più volte JeanDubuffet.

Come inizia la mia lungapassione per il libro d’artista

La collezione è iniziata con unapassione bibliofila certo piùtradizionale. È iniziata con GiambattistaBodoni, il sommo disegnatore eincisore di caratteri, il tipografo-editore,che da Parma nell’Europa dei Lumi e diNapoleone diffuse opere, soprattutto i

Nella pagina accanto, in alto: una delle storiche sale della Biblioteca di Busseto; a sinistra:

Ardengo Soffici, Chimismi lirici, Firenze, 1915. Sotto: Pablo Picasso per Les Chant des Morts

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48 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

grandi classici, elegantissime per nitoredi stampa. Bodoni, colui che nellamaturità, col rifiuto programmaticodelle figure e della decorazione, diedealla pagina tipografica una mirabile,forse mai superata, valenza esteticaautonoma. È lui che affermava: «Quantopiù un libro è classico, tanto più stabene che la bellezza dei caratteri vi simostri sola». Da Bodoni breve fu il passoa raccogliere volumi dei celebristampatori del passato, da Jenson aManuzio fino a Marcolini, Étienne,Baskerville, Ibarra, i Didot, e del nostrotempo Giovanni Mardesteig e Alberto

Tallone. Tra i disegnatori di caratterivanto una lunga ammirazione eamicizia per Hermann Zapf, il piùfamoso di tutti, come ricordo semprecon nostalgia gli incontri affettuosi conAldo Novarese, il più prolifico degliitaliani. Tra gli editori: Franco MariaRicci, personale, fantasioso eppurecoerente, è da lunga data un amicocaro, lui che, adottando i caratteri diBodoni, ne ha rinnovato la fama,accostandovi in più un apparatoillustrativo senza pari. La mia veramentenotevole collezione bodoniana èconfluita nella sua, che sta, via via permagnifici acquisti successivi, divenendo,se non ne è già divenuta, la più

importante e vasta in mani private. Lacessione a lui dei miei Bodoni, e ad altridegli incunaboli e delle importantiedizioni dei secoli successivi, mi hapermesso così la ricerca e l’acquisto deilibri d’artista. Fu una radicale inversionedi marcia alla caccia di nuova bellezza,fu una svolta improvvisa e sfolgorante.Vidi presso il libraio Carlo Alberto ChiesaL’oleandro di d’Annunzio stampato daMardesteig (1936) coi caratteri corsivi diBodoni e le sensuali litografie insanguigna di Günter Boehmer, miracolodi tipografia e di illustrazione, che subitomi portò a comprare da PregliascoParallèlement di Verlaine e Bonnard(Parigi 1900) con cui Ambroise Vollardaveva inaugurato la straordinaria seriedelle sue edizioni: volume che non puòavere confronto per libertà grafica esuperiore voluttà delle rosee litografie,ma inferiore per perfezione tipografica,pur essendo molto belli gli storicicaratteri usati, quelli di Garamond. Hoaccennato alle mie cessioni, che tuttavianon furono complete, perché non ebbil’animo di separarmi fra gli altridell’Hypnerotomachia Poliphili di AldoManuzio (1499) e del Liber Cronicarum(Norimberga 1493), l’incunabolo piùillustrato che esista, cui forse pose manoanche il giovane Albrecht Dürer. Cometrattenni tanti libri di civiltà parmigiana,con le stampe e i disegni originalipreparatori dell’architetto EnnemondAlexandre Petitot. Cessione per la qualemolti mi rimproverarono fu quella delDe divina proportione di Luca Paciolo(Venezia 1509), fatta al momento diacquistare Jazz di Matisse. Io non nesono per nulla pentito, dato che Jazzrappresenta il vertice per bellezza, rarità,e valore di mercato, dei libri d’artista, e

El Lisitskij-Vladimir Maiakovsky, Per la voce, 1

48 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

grandi classici, elegantissime per nitoredi stampa. Bodoni, colui che nellamaturità, col rifiuto programmaticodelle figure e della decorazione, diedealla pagina tipografica una mirabile,forse mai superata, valenza esteticaautonoma. È lui che affermava: «Quantopiù un libro è classico, tanto più stabene che la bellezza dei caratteri vi simostri sola». Da Bodoni breve fu il passoa raccogliere volumi dei celebristampatori del passato, da Jenson aManuzio fino a Marcolini, Étienne,Baskerville, Ibarra, i Didot, e del nostrotempo Giovanni Mardesteig e Alberto

Tallone. Tra i disegnatori di caratterivanto una lunga ammirazione eamicizia per Hermann Zapf, il piùfamoso di tutti, come ricordo semprecon nostalgia gli incontri affettuosi conAldo Novarese, il più prolifico degliitaliani. Tra gli editori: Franco MariaRicci, personale, fantasioso eppurecoerente, è da lunga data un amicocaro, lui che, adottando i caratteri diBodoni, ne ha rinnovato la fama,accostandovi in più un apparatoillustrativo senza pari. La mia veramentenotevole collezione bodoniana èconfluita nella sua, che sta, via via permagnifici acquisti successivi, divenendo,se non ne è già divenuta, la più

importante e vasta in mani private. Lacessione a lui dei miei Bodoni, e ad altridegli incunaboli e delle importantiedizioni dei secoli successivi, mi hapermesso così la ricerca e l’acquisto deilibri d’artista. Fu una radicale inversionedi marcia alla caccia di nuova bellezza,fu una svolta improvvisa e sfolgorante.Vidi presso il libraio Carlo Alberto ChiesaL’oleandro di d’Annunzio stampato daMardesteig (1936) coi caratteri corsivi diBodoni e le sensuali litografie insanguigna di Günter Boehmer, miracolodi tipografia e di illustrazione, che subitomi portò a comprare da PregliascoParallèlement di Verlaine e Bonnard(Parigi 1900) con cui Ambroise Vollardaveva inaugurato la straordinaria seriedelle sue edizioni: volume che non puòavere confronto per libertà grafica esuperiore voluttà delle rosee litografie,ma inferiore per perfezione tipografica,pur essendo molto belli gli storicicaratteri usati, quelli di Garamond. Hoaccennato alle mie cessioni, che tuttavianon furono complete, perché non ebbil’animo di separarmi fra gli altridell’Hypnerotomachia Poliphili di AldoManuzio (1499) e del Liber Cronicarum(Norimberga 1493), l’incunabolo piùillustrato che esista, cui forse pose manoanche il giovane Albrecht Dürer. Cometrattenni tanti libri di civiltà parmigiana,con le stampe e i disegni originalipreparatori dell’architetto EnnemondAlexandre Petitot. Cessione per la qualemolti mi rimproverarono fu quella delDe divina proportione di Luca Paciolo(Venezia 1509), fatta al momento diacquistare Jazz di Matisse. Io non nesono per nulla pentito, dato che Jazzrappresenta il vertice per bellezza, rarità,e valore di mercato, dei libri d’artista, e

El Lisitskij-Vladimir Maiakovsky, Per la voce, 1

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limone deteinato limone deteinato pescapesca

seguici suwww.estathe.it

limone deteinato limone deteinato pescapesca

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50 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

per me segnale quasi di compimentodella collezione. Compimento che per ilcollezionista non può mai essere tale,poiché nell’inconscio di costui c’è comeuna sfida col tempo, con l’eternità.

Libro d’artista, fragilità ed esclusività

C’è una fragilità materiale chedipende dal prezioso supporto, carte altino di storica fattura o carte delGiappone o di Cina più pregiate ancora.Ma c’è anche al contrario la vileordinaria consistenza delle carte usatedagli artisti delle recenti avanguardie,come d’altronde povere erano, pocomeno di un secolo fa, le carte deifuturisti e dei dadaisti. E c’è poi unadebolezza insita nei colori originali cheil tempo e la luce insidiano rendendolispenti. Il libro d’artista subisce inoltrel’attentato non raro dellascomposizione, dello scioglimento alfine di recuperare le tavole a farneoggetto improprio di arredo. C’è poi lasua rarefazione imputabile al ristrettonumero delle copie tirate, e la sua

esclusività dovuta alla gelosia, o ritrosiadel possessore a mostrare il libro, percui il contenuto figurativo, e non solo,resta come celato all’interno. Ma nellaciviltà delle immagini, dove lariproducibilità attraverso i media èinfinita, nulla per ipotesi può sfuggirealla conoscenza generale. Col rischioche la troppa esposizione mediaticaprovochi, per così dire, un’usuradell’immagine d’arte, la suabanalizzazione. E l’offesa per esserestata tolta dal contesto per il quale èstata realizzata. Rischio di tutta l’arte.Con la riproducibilità estesa vien infattimeno quella che suole dirsi ‘aura’, cioèl’emanazione sacrale che dalRomanticismo in poi si attribuisce alleopere d’arte. Ma i media possono fareanche altro, cioè imporremassicciamente un’immagine e crearneun’icona, un riconoscibile, taloravenerato simbolo nell’immaginariocollettivo. È stato fatto, ad esempio, perl’Icaro notturno di Jazz campeggiantesu un intenso cielo blu forato di stelle.Quanto alla rarefazione, alnascondimento, alla esclusività dei librid’artista, le mostre ad essi dedicate

possono in parte ovviarvi. Ma in chemodo? E a quali rischi? Ne ho visitatediverse, ma tutte offrivano l’esposizionedi una copia, al più due, del libro aperto,negandone così la fruizione completa.Io negli scorsi anni ho potuto tentareun’operazione differente, non ottimale,ma migliore sì. Mi guidava lo spirito dicondivisione della bellezza, e una certaqual vanità, perché, come diceva SachaGuitry, quando si è collezionista o si è‘armadio’ o si è ‘vetrina’, cioè oesclusivamente custodi timorosi oaperti alla partecipazione estetica deipropri beni. In due amplissime mostre,la prima in Palazzo Magnani a ReggioEmilia nel 2005, la seconda a Parma inPalazzo Bossi-Bocchi sede dellaFondazione Cariparma nel 2008,entrambe curate con la competenza edesperienza che sono sue da SandroParmiggiani e fornite di poderosicataloghi Skira, i libri che io avevocollezionato furono momentaneamentesciolti, affinché le tavole potesseroessere quasi al completo squadernatesulle pareti e il resto del volumerestasse aperto al frontespizio nellabacheca sottostante. Lo potei fareperché parecchi miei libri erano statiacquistati non rilegati ma a fogli sciolti,così come gli editori li avevanolicenziati. La legatura d’arte d’altronde ènei libri frutto di un intervento estraneosuccessivo che può snaturare ilprogetto originario. Anche se riconoscocome capolavori le legature parigine diPaul Bonnet, Jacques e Pierre Legrain,Henri Creuzevault, Pierre-Lucien Martin.Alle pareti riuscii allora ad appenderecentinaia e centinaia di figure, mai sen’erano viste tante. Ma là spariva lacontestualizzazione con i testi dei

Henry Matisse, Jazz, Parigi, Tériade, 1947

50 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

per me segnale quasi di compimentodella collezione. Compimento che per ilcollezionista non può mai essere tale,poiché nell’inconscio di costui c’è comeuna sfida col tempo, con l’eternità.

Libro d’artista, fragilità ed esclusività

C’è una fragilità materiale chedipende dal prezioso supporto, carte altino di storica fattura o carte delGiappone o di Cina più pregiate ancora.Ma c’è anche al contrario la vileordinaria consistenza delle carte usatedagli artisti delle recenti avanguardie,come d’altronde povere erano, pocomeno di un secolo fa, le carte deifuturisti e dei dadaisti. E c’è poi unadebolezza insita nei colori originali cheil tempo e la luce insidiano rendendolispenti. Il libro d’artista subisce inoltrel’attentato non raro dellascomposizione, dello scioglimento alfine di recuperare le tavole a farneoggetto improprio di arredo. C’è poi lasua rarefazione imputabile al ristrettonumero delle copie tirate, e la sua

esclusività dovuta alla gelosia, o ritrosiadel possessore a mostrare il libro, percui il contenuto figurativo, e non solo,resta come celato all’interno. Ma nellaciviltà delle immagini, dove lariproducibilità attraverso i media èinfinita, nulla per ipotesi può sfuggirealla conoscenza generale. Col rischioche la troppa esposizione mediaticaprovochi, per così dire, un’usuradell’immagine d’arte, la suabanalizzazione. E l’offesa per esserestata tolta dal contesto per il quale èstata realizzata. Rischio di tutta l’arte.Con la riproducibilità estesa vien infattimeno quella che suole dirsi ‘aura’, cioèl’emanazione sacrale che dalRomanticismo in poi si attribuisce alleopere d’arte. Ma i media possono fareanche altro, cioè imporremassicciamente un’immagine e crearneun’icona, un riconoscibile, taloravenerato simbolo nell’immaginariocollettivo. È stato fatto, ad esempio, perl’Icaro notturno di Jazz campeggiantesu un intenso cielo blu forato di stelle.Quanto alla rarefazione, alnascondimento, alla esclusività dei librid’artista, le mostre ad essi dedicate

possono in parte ovviarvi. Ma in chemodo? E a quali rischi? Ne ho visitatediverse, ma tutte offrivano l’esposizionedi una copia, al più due, del libro aperto,negandone così la fruizione completa.Io negli scorsi anni ho potuto tentareun’operazione differente, non ottimale,ma migliore sì. Mi guidava lo spirito dicondivisione della bellezza, e una certaqual vanità, perché, come diceva SachaGuitry, quando si è collezionista o si è‘armadio’ o si è ‘vetrina’, cioè oesclusivamente custodi timorosi oaperti alla partecipazione estetica deipropri beni. In due amplissime mostre,la prima in Palazzo Magnani a ReggioEmilia nel 2005, la seconda a Parma inPalazzo Bossi-Bocchi sede dellaFondazione Cariparma nel 2008,entrambe curate con la competenza edesperienza che sono sue da SandroParmiggiani e fornite di poderosicataloghi Skira, i libri che io avevocollezionato furono momentaneamentesciolti, affinché le tavole potesseroessere quasi al completo squadernatesulle pareti e il resto del volumerestasse aperto al frontespizio nellabacheca sottostante. Lo potei fareperché parecchi miei libri erano statiacquistati non rilegati ma a fogli sciolti,così come gli editori li avevanolicenziati. La legatura d’arte d’altronde ènei libri frutto di un intervento estraneosuccessivo che può snaturare ilprogetto originario. Anche se riconoscocome capolavori le legature parigine diPaul Bonnet, Jacques e Pierre Legrain,Henri Creuzevault, Pierre-Lucien Martin.Alle pareti riuscii allora ad appenderecentinaia e centinaia di figure, mai sen’erano viste tante. Ma là spariva lacontestualizzazione con i testi dei

Henry Matisse, Jazz, Parigi, Tériade, 1947z

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classici o dei moderni e loscardinamento delle sequenze feriva laspecificità del libro. Il risultato fu quellodi due mostre di grafica bellissime, il cuirimando al libro era però labile, affidatoalla fantasia, all’esperienza, alla culturadel visitatore. Le esposizioni, tuttavia,furono un successo perché a buonconto rivelarono un universo d’arte aipiù totalmente nascosto. A Jazz ognivolta era stata riservata un’intera sala alcui ingresso ognuno non poteva nonessere sorpreso dai colori abbaglianti -colori timbrici, per usare un’espressionedi Gillo Dorfles - e dalle formearditamente semplificate, allusive almondo del circo, ai racconti popolari,alla notte dei miti, alle alghe fluttuantinei fondali oceanici della Polinesia cheMatisse aveva memorizzato nel suoviaggio anteguerra e trasfigurato inritmi e forme sincopati come nellamusica jazz. Una volta l’artista chiamòtali immagini ‘cristallizzazioni di ricordi’e nella definizione c’è l’aggancio allarealtà della memoria e la stilizzazionedei cristalli.

E ricordi sono per lo più i testi diMatisse, in trascrizione autografa che

scandiscono Jazz tra tavola e tavola.Sono, inoltre, considerazioni cherivelano una saggezza d’uomo ed’artista maturata nell’esperienzamorale e professionale. Nel pensieromesso a modo di conclusione si trovaespressa modestamente la naturapratica di tali testi, funzionaliall’architettura dell’intero libro: «Hofatto queste pagine scritte persmorzare le reazioni simultanee dellemie improvvisazioni cromatiche eritmate, pagine che formano comeuno “sfondo sonoro” che le sorregge,le circonda e ne protegge così laparticolarità». Ma nella nota inpremessa, aveva riconosciuto come alpittore si addice più l’operare che ilparlare: «Chi vuol darsi alla pitturadeve cominciare col farsi tagliare lalingua». E mi viene in mentel’affermazione del Caravaggio che citoa braccio: «I pittori han da parlare conle mani». Questi testi, al di là delvalore letterario, si pongono sempretuttavia come utile chiarificazionepratica e spesso poetica del suo agired’artista. Si veda la bella metafora delsuo lavoro coi papiers coupés:

«Disegnare con le forbici», con quelche segue: «Ritagliare nel vivo delcolore mi ricorda lo sbozzare direttodegli scultori. Questo libro è statoconcepito nello stesso spirito». Ma silascino da parte i pensieri che in Jazznon la fanno certo da protagonisti.Protagonista è il colore, come semprein Matisse. L’impatto, lo choc direi, chesi rinnova ogni volta nell’osservatore,è esaltazione, stupore gioioso, fruttodi una purezza di tinte, di una audaciadi accostamenti, che non mi rimandaa contenuti, a significati che pure cisono: la loro lettura è per me solovisiva, formale, e ciò ne condizional’assolutezza. Il dramma dellavecchiaia, della malattia che è delMatisse degli anni di guerra, vi apparecompletamente esorcizzato. Beneaveva visto Apollinaire, da poeta e dacritico, scrivendo nel catalogo dellamostra “Matisse-Picasso” alla galleriaGuillaume di Parigi nel lontanissimo1918: «Se si dovesse paragonarel’opera di Henri Matisse a qualchecosa, bisognerebbe scegliere l’arancia:come questa l’opera di Matisse è unfrutto di luminosità esplosiva».

Dopo anni di attente ricerche eacquisti sul mercato, CorradoMingardi ha donato alla Fon-

dazione Cariparma la sua collezionedi libri d’artista. Il prezioso corpus dilivres de peintre (ben 139 opere) è cosìdiventato patrimonio della Fondazio-ne Cariparma presso la Biblioteca diBusseto (storica istituzione prossimaai 250 anni di attività). Vastissimo l’e-

lenco degli artisti che compongonoquesta straordinaria collezione, daigrandi libri dell’Ottocento con Dela-croix, Manet e Toulouse-Lautrec sinoall’appassionato impegno dei grandidell’Avanguardia nell’illustrazionedel libro, a iniziare dal celebre Parallé-lement di Verlaine illustrato da Bon-nard che inaugurò le edizioni di Am-broise Vollard, proseguendo con il Sa-

tie e l’Apollinaire di Braque e l’im-mancabile Jazz di Matisse, per non di-menticare molti Picasso, Léger, Gia-cometti, Moore, Le Corbusier sino aAndy Warhol e gli italiani De Pisis, Si-roni, Campigli, Carrà, Manzù, Valenti-ni e quasi l’intera produzione di CarloMattioli. I libri saranno consultabiligià dalle prossime settimane, non ap-pena terminata la catalogazione.

I LIBRI D’ARTISTA DI CORRADO MINGARDI IN DONO ALLA BIBLIOTECA DI BUSSETO

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classici o dei moderni e loscardinamento delle sequenze feriva laspecificità del libro. Il risultato fu quellodi due mostre di grafica bellissime, il cuirimando al libro era però labile, affidatoalla fantasia, all’esperienza, alla culturadel visitatore. Le esposizioni, tuttavia,furono un successo perché a buonconto rivelarono un universo d’arte aipiù totalmente nascosto. A Jazz ognivolta era stata riservata un’intera sala alcui ingresso ognuno non poteva nonessere sorpreso dai colori abbaglianti -colori timbrici, per usare un’espressionedi Gillo Dorfles - e dalle formearditamente semplificate, allusive almondo del circo, ai racconti popolari,alla notte dei miti, alle alghe fluttuantinei fondali oceanici della Polinesia cheMatisse aveva memorizzato nel suoviaggio anteguerra e trasfigurato inritmi e forme sincopati come nellamusica jazz. Una volta l’artista chiamòtali immagini ‘cristallizzazioni di ricordi’e nella definizione c’è l’aggancio allarealtà della memoria e la stilizzazionedei cristalli.

E ricordi sono per lo più i testi diMatisse, in trascrizione autografa che

scandiscono Jazz tra tavola e tavola.Sono, inoltre, considerazioni cherivelano una saggezza d’uomo ed’artista maturata nell’esperienzamorale e professionale. Nel pensieromesso a modo di conclusione si trovaespressa modestamente la naturapratica di tali testi, funzionaliall’architettura dell’intero libro: «Hofatto queste pagine scritte persmorzare le reazioni simultanee dellemie improvvisazioni cromatiche eritmate, pagine che formano comeuno “sfondo sonoro” che le sorregge,le circonda e ne protegge così laparticolarità». Ma nella nota inpremessa, aveva riconosciuto come alpittore si addice più l’operare che ilparlare: «Chi vuol darsi alla pitturadeve cominciare col farsi tagliare lalingua». E mi viene in mentel’affermazione del Caravaggio che citoa braccio: «I pittori han da parlare conle mani». Questi testi, al di là delvalore letterario, si pongono sempretuttavia come utile chiarificazionepratica e spesso poetica del suo agired’artista. Si veda la bella metafora delsuo lavoro coi papiers coupés:

«Disegnare con le forbici», con quelche segue: «Ritagliare nel vivo delcolore mi ricorda lo sbozzare direttodegli scultori. Questo libro è statoconcepito nello stesso spirito». Ma silascino da parte i pensieri che in Jazznon la fanno certo da protagonisti.Protagonista è il colore, come semprein Matisse. L’impatto, lo choc direi, chesi rinnova ogni volta nell’osservatore,è esaltazione, stupore gioioso, fruttodi una purezza di tinte, di una audaciadi accostamenti, che non mi rimandaa contenuti, a significati che pure cisono: la loro lettura è per me solovisiva, formale, e ciò ne condizional’assolutezza. Il dramma dellavecchiaia, della malattia che è delMatisse degli anni di guerra, vi apparecompletamente esorcizzato. Beneaveva visto Apollinaire, da poeta e dacritico, scrivendo nel catalogo dellamostra “Matisse-Picasso” alla galleriaGuillaume di Parigi nel lontanissimo1918: «Se si dovesse paragonarel’opera di Henri Matisse a qualchecosa, bisognerebbe scegliere l’arancia:come questa l’opera di Matisse è unfrutto di luminosità esplosiva».

Dopo anni di attente ricerche eacquisti sul mercato, CorradoMingardi ha donato alla Fon-

dazione Cariparma la sua collezionedi libri d’artista. Il prezioso corpus dilivres de peintre (ben 139 opere) è cosìdiventato patrimonio della Fondazio-ne Cariparma presso la Biblioteca diBusseto (storica istituzione prossimaai 250 anni di attività). Vastissimo l’e-

lenco degli artisti che compongonoquesta straordinaria collezione, daigrandi libri dell’Ottocento con Dela-croix, Manet e Toulouse-Lautrec sinoall’appassionato impegno dei grandidell’Avanguardia nell’illustrazionedel libro, a iniziare dal celebre Parallé-lement di Verlaine illustrato da Bon-nard che inaugurò le edizioni di Am-broise Vollard, proseguendo con il Sa-

tie e l’Apollinaire di Braque e l’im-mancabile Jazz di Matisse, per non di-menticare molti Picasso, Léger, Gia-cometti, Moore, Le Corbusier sino aAndy Warhol e gli italiani De Pisis, Si-roni, Campigli, Carrà, Manzù, Valenti-ni e quasi l’intera produzione di CarloMattioli. I libri saranno consultabiligià dalle prossime settimane, non ap-pena terminata la catalogazione.

I LIBRI D’ARTISTA DI CORRADO MINGARDI IN DONO ALLA BIBLIOTECA DI BUSSETO

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ma non religiosa. Come è accadutocon il capo dell’ISIS: il “califfo” Al-Bagdadi. Al contrario, gli Sciiti –considerati dai Sunniti (e partico-larmente dai Wahhabiti dell’ArabiaSaudita) pericolosi eretici – sonoprofondamente religiosi, credononella presenza storica dei 12 Gran-di Imam portatori di trascendenzae di grande saggezza e attendono lavenuta salvifica dell’ultimo: il do-dicesimo Imam. Questo ha fatto siche costruissero una gerarchia re-ligiosa, spirituale e culturalizzata –di cui gli Ayatollah (religiosi esper-ti nella teologia, giurisprudenza emisticismo islamico) sonol’espressione – in grado di inter-pretare, in senso religioso ed eso-terico, il Corano. Come si verificacon i Grandi Ayatollahdell’Iraq, delLibano e, soprattutto, dell’Iran.

Sono dunque gli Sciiti gliunici a poter interpretare il TestoSacro e le Leggi che ne discendo-no, adeguandolo, senza stravol-gerlo, alle esigenze che la moder-nità può richiedere: anche al mon-do islamico. La scelta strategicadell’Occidente non può che anda-re in questa direzione. Non si può enon si deve non tenerne conto.

La riflessione

Le scelte dell’Occidente e lo scontro fra Sunniti e Sciiti

Visioni e differenze interne all’Islam

La parola ‘Islam’, oggi, pro-voca una sorta di fremitointeriore, in cui l’indigna-

zione si mescola alla paura. Si trat-ta, senza dubbio, di una incontrol-lata reazione emotiva, suscitata daitragici eventi in cui ‘terrorismo’ siè sovrapposto a ‘Islam’. E, come ènoto, difficile è controllare l’emo-tività: soprattutto quando assume iconnotati di un fenomeno di mas-sa. Tuttavia, è doveroso formularequalche riflessione per compren-dere meglio quello che si sta verifi-cando. In primo luogo, è erroneopensare che il mondo islamico vo-glia iniziare una guerra con l’Occi-dente. Piuttosto, il mondo islami-co sta sperimentando una guerra,durissima, al suo interno. È la re-crudescenza del conflitto, secola-re, tra Sciiti e Sanniti, i cui soggettisono, a loro volta, gli Stati che si ri-conoscono nelle due parti in lotta.L’Occidente, l’Europa, sono sololo schermo su cui si proietta e siamplifica questa contesa: non è ilreale teatro dello scontro. Noncomprenderlo è un grande (e peri-coloso) errore strategico e di valu-tazione. Infatti, la posta in gioco diquesta belligeranza è altissimo: si

giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

tratta della leadership sul mondoarabo e non solo, visto che le fontienergetiche dell’Occidente, ingran parte, dipendono proprio daquesto area. Conviene, dunque,non fare di ogni erbe un fascio, macercare, piuttosto, gli alleati giusti:ossia quelli che possono essere piùvicini a quel modello di modernitàcui si ispira la nostra cultura e il no-stro sistema politico. In secondoluogo, bisogna aver ben chiara ladistinzione tra Sciiti e Sunniti, evi-tando sofisticati distinguo teologi-ci e semplificando al massimo. ISunniti vivono una spiritualità asfondo politico, priva di una classedi religiosi gerarchizzati e cultural-mente preparati, in grado di poterinterpretare il Corano. Significache, chiunque possegga un suo per-sonale carisma può arrogare a sé laprerogativa di essere un ‘califfo’:ossia una guida politica e spirituale,

CLAUDIO BONVECCHIO

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55giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

dubbi: Einblattdrucke, vale a direstampa su un solo foglio. Perchédi questo si tratta: testi di varianatura impressi su un unico fo-glio, affissi o circolanti di manoin mano e pertanto destinati a ra-pido consumo e distruzione. Lareale entità di questa produzioneappare difficilmente valutabile.Solo per il secolo XV la più auto-revole fonte bibliografica sulla ti-pografia nel Quattrocento(ISTC) ne censisce poco meno di2.500, ma il numero è in difettorispetto a quelli realmente stam-pati. Quanto all’Italia - secondo idati forniti da Ugo Rozzo - sonocensiti un centinaio di ‘fogli vo-lanti’, più del 60% dei quali pro-dotti in tre sole città (nell’ordineVenezia, Roma, Milano). Il piùantico di cui siamo a conoscenzarisale al 1473: l’Epistola ad Cle-mentem VI papam uscita dall’offi-cina romana di Ulrich Han. Da-tano a non molti anni più tardi unmanipolo di lettere di indulgenzariguardanti la lotta contro i Tur-chi. La bolla Pastoris aeterniemessa da papa Sisto IV in data I

Bibliofilia

sul mercato antiquario torineseper eclissarsi, di lì a poco, tra glianfratti del più raffinato collezio-nismo privato,1 appartiene allacategoria, assai eterogenea percontenuto e tipologia testuale,dei ‘fogli volanti’. Di cosa si trat-ta? L’appellativo ‘volante’ adot-tato nel contesto italiano gode diindubbio fascino, ma è palese-mente ambiguo. La bibliografiatedesca è ricorsa a una definizio-ne che non lascia invece adito a

Alla strage silenziosa, e fi-no a pochi anni fa so-stanzialmente ignorata,

che il tempo e gli uomini hannocompiuto della produzione ‘mi-nore’ dell’editoria rinascimenta-le è fortunosamente scampato unpronostico astrologico stampatoa Milano negli anni Sessanta delCinquecento. È probabile chequalche colto lettore abbia già ri-conosciuto l’esplicita citazione diun robusto studio che qualcheanno fa Ugo Rozzo dedicò al piùeffimero dei prodotti tipograficid’Ancien Régime, il cosiddetto‘foglio volante’: La strage ignora-ta. I fogli volanti a stampa nell’Ita-lia dei secoli XV e XVI, Udine, Fo-rum, 2008. In effetti anche il pro-nostico milanese, accidental-mente riemerso qualche mese fa

Nella pagina accanto: Il Tacvuino

del Reverendo Padre Fra Bartolomeo

Da Seravezza per l’anno 1563, Milano,

Giovanni Battista Da Ponte, [1562].

Sopra: Bartolomeo da Seravezza,

Pronostico nouo sopra l’anno bisestile

1576, edizione sine notis

Oltre la strage. Un foglio volante milanese del ’500

Una vicenda della produzione tipografica ‘minore’

GIANCARLO PETRELLA

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settembre 1480 per la crociataantiturca sembra fosse un auten-tico successo editoriale: sottol’intestazione di Sisto IV fu im-pressa dapprima per i tipi dell’of-ficina romana di Eucario Silber,poi due volte a Firenze da NicolòTedesco sullo scorcio dell’anno oa inizio 1481; quindi, sempre nel1481, fu la volta della tipografiaveneziana di Johann Herbort e diquella ferrarese di Andrea Belfor-tis. Il documento fu infine ripro-posto da alcuni commissari che si

occupavano della raccolta delleindulgenze. Rudolfus Graf vonWerdenberg ne promosse lastampa soprattutto in Germania,dove si contano almeno 25 edi-zioni; Francesco da Milano e Cri-stoforo, rettore della chiesa di S.Giovanni di Gerusalemme a Par-ma, furono invece responsabili didue nuove edizioni italiane, ri-spettivamente Bologna, per i tipidi Johann Schriber e Parma, tipo-grafo non identificato. Oltremo-do variegata è la tipologia di que-

sto materiale: calendari, lunari,cronache, alfabeti per iniziare aleggere, componimenti poetici,avvisi. Fino ad arrivare alla cate-goria dei fogli di natura devozio-nale o religiosa, spesso rappre-sentati da una semplice silografiaaccompagnata o meno da unabreve porzione di testo, cui ap-partengono, alla stregua di veri epropri talismani da piegare e por-tare con sé, alcuni foglietti recantipreghiere di valore quasi magicocirca la possibilità di scampare

56 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

Sopra da sinistra: Avviso ai librai impresso a Roma nel 1574 dagli eredi del Blado contenente su due colonne 42

proibizioni di autori o interi generi proibiti; foglio volante [Venezia, c. 1526] che racconta di una nascita mostruosa

avvenuta il 18 dicembre 1525 probabilmente messo in circolazione con significato antiluterano

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57giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

pericoli, malattie o persino lamorte. È il caso dell’Oratio ad san-ctam crucem di Giovanni Mercu-rio da Correggio stampata a Ro-ma da Eucario Silber nel 1499 in-dirizzata contro «omnem mortisdiabolique furorem». Ne soprav-vive un solo esemplare presso laBayerische Staatsbibliothek diMonaco. Si presenta come unastampa bicolore, nella quale l’in-chiostrazione in rosso dei carat-teri al centro della pagina produ-ce l’effetto di una croce. Incise suuna matrice lignea o di metallo eimpresse su un supporto nonesclusivamente cartaceo, eranopoi destinate a circolare fra i varistrati sociali, appese a un muro,incollate ai piatti di un volume, ri-tagliate e inserite all’interno di uncodice, piegate e portate con sécon funzione protettiva, fino a di-ventare, in taluni casi, autenticioggetti di culto. Alludo a uno deipiù antichi e noti esempi del ge-nere, una silografia datata c. 1428raffigurante la Madonna colBambino (soggetto fra i più diffu-si), circondata dalle scene del-l’Annunciazione, della Crocifis-sione e da gruppi di santi. La silo-grafia è meglio nota come Ma-donna del Fuoco, poiché pare esse-re miracolosamente sopravvissu-ta all’incendio scoppiato nel feb-braio 1428 nella scuola dove eraconservata appesa al muro. Da lìfu poi trasportata, come oggettodi culto, in una cappella del Duo-mo di Forlì, dove tuttora si con-serva. Sul versante profano alla ti-

1574 che si rivela a tutti gli effettiun indice ufficiale romano. Sottoil titolo Aviso alli librari che nonfaccino venire l’infrascritti libri etritrovandosene havere che non livendino senza licenza il foglio si ri-volge ai librai cui impedisce lavendita e il commercio di una nu-trita serie di autori e testi, fino agiungere alla generica condannasenza appello di canzoni e com-medie «dishoneste e lascive».Quanto alla vendita di tale mate-riale, il canale privilegiato non eratanto quello tradizionale della li-breria, quanto piuttosto quelloassai meno controllabile dei ven-ditori ambulanti, capaci di offrirea gran voce immaginette a stampae fogli volanti di interesse crona-chistico, politico, bellico, astro-nomico, devozionale. Con buonapace di chi, come fra GirolamoMalipiero, inveiva contro «zarla-tani, mercatantuzzi di filastroc-che e di mille superstizioni i qualiper cupidigia volendo spacciare alvolgar popolo tai mercatanziefanno a modo delli uccellatori».

Riprendiamoci dalla digres-sione e torniamo al ‘foglio volan-te’ astrologico milanese da pocoriscoperto. L’esemplare, ça va sansdire, è unico e l’edizione finorasconosciuta, anche a Ugo Rozzoe alla bibliografia specifica. Il te-sto è disposto su quattro colonne,chiaro indice della necessità dicontrarre i costi di stampa e stipa-re il contenuto su un solo foglio distampa. L’intestazione, impressain caratteri romani maiuscoli,

pologia dei ‘fogli volanti’ appar-tengono i più antichi documentiche testimoniano del processo diautopromozione messo in attodall’attività tipografica. I primi ti-pografi attivi in Italia, i tedeschiSweynheym e Pannartz, nel 1472fecero circolare autonomamentecome foglio sciolto una lista delle28 edizioni fino ad allora impres-se, con relativa tiratura. La varie-tà dei testi trasmessi da questa ti-pologia editoriale è assai variega-ta: eventi storici, episodi di cro-naca, fatti straordinari, come ilfoglio non datato, ma attribuibilea circa 1525-26, che trasmettenotizia di una nascita mostruosa,letta in chiave antiluterana. Il fo-glio, composto di testo e immagi-ne, associa la nascita del ‘mostrodi Castelbaldo’ avvenuta il 18 di-cembre 1525 (probabilmente unparto siamese) con la contempo-ranea comparsa di uno pseudo-profeta, alias Lutero, in terra diAlemagna. Il partito avverso ri-spondeva facendo circolare inItalia testi altrettanto infamantidi propaganda protestante. Ungenere particolare è infine quellodei fogli di tipo censorio, ossia lecensure e proibizioni in materialibraria diffuse tramite bandi emanifesti che rappresentano in-terventi giuridici pienamenteoperativi atti a integrare o modi-ficare le proibizioni sancite dagliindici ufficiali. Presso l’Estense diModena si conserva un singolofoglio impresso a Roma dagli ere-di del Blado in data 22 maggio

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non lascia adito a dubbi sul conte-nuto (che bene si prestava a esserereclamizzato a gran voce da unodi quegli ‘uccellatori’ cui si è fattocenno) e la paternità intellettuale:«IL TACVUINO DEL REVE-RENDO PADRE FRA BAR.DA SARAV.». Segue, in corsivominuscolo, dedica «Al MagnificoM. Antonio Maria GrimaldoBracello da Genova, dell’anno,1563». Si è pertanto alle prese

con un precoce almanacco perl’anno 1563 compilato dal reve-rendo fra Bartolomeo Seravezzadell’Ordine dei Serviti, professo-re di matematica presso lo Stu-dium di Pavia dal 1570 al 1579 eautore di alcuni pronostici, seb-bene della sua produzione astro-logica siamo solo in parte al cor-rente.2 Il ‘foglio volante’ consen-te addirittura di anticiparne di pa-recchio l’attività ufficiale di alma-

nacchista e pronosticante, finoranota solo a partire dal 1571 trami-te un Pronostico et lunario per quel-l’anno impresso a Bologna perAlessandro Benacci di cui si con-serva un esemplare presso la Bi-blioteca dell’Archiginnasio diBologna.3 Al Seravezza rimanda-no almeno altri tre prodotti ana-loghi: rispettivamente Il pronosticosopra l’Eclisse del 1574 e di altriaspetti di pianeti del 1575, Pavia,Girolamo Bartoli, 1575 (unesemplare presso la CambridgeUniversity Library);4 un più arti-colato pronostico sine notis tràdi-to da un’unica copia nota pressola Marciana di Venezia dal titoloassai prolisso Pronostico nouo sopral’anno bisestile 1576 nel quale si de-notano le grande e marauigliose cose,segni, et prodigij c’hanno da venire,scorrendo fino li anni 1580. Con vnanuoua aggionta latina, detto Effec-tus futurorum, di grandissima consi-deratione, trouato in carta bergami-na, et fu scritta li anni del SignoreDCCXI del mese di gennaro. Doue siessorta tutti li principi christiani allavnione, et con diuersi altri notabilimoti;5 infine Il lunario del 1578 con

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A sinistra: Madonna del Fuoco,

silografia, c. 1428. A destra, dall’alto:

Bartolomeo da Seravezza, Breve

discorso sopra la cometa apparsa alli

VIIII di Novembre M.D.LXXVII detta

la Scapigliata, stampata in Genova e

ristampata in Vercelli, Guglielmo

Molino, 28 gennaio 1578;

Crocifissione, silografia di origine

tedesca, c. 1450

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nuovo pronostico del presente anno,Bologna, Benacci, 1578, noto invia indiretta da fonti bibliografi-che. Il Seravezza prese poi parte,come parecchi altri, al dibattitosulla cometa apparsa nel novem-bre del 1577, firmando un opu-scoletto di quattro carte che go-dette di discreta fortuna: Breve di-scorso sopra la cometa apparsa alliXII di Novembre M.D.LXXVIIdetta la Scapigliata. L’opera è trà-dita da un manipolo di edizioniravvicinate con le seguenti sotto-scrizioni: Piacenza, Giovanni Ba-zachi e Anteo Conti, 1577(EDIT16 CNCE 61696 non cen-sisce alcun esemplare in bibliote-che italiane; una copia alla BritishLibrary); Venezia, Cristoforo Za-netti, s.a. [1577] (EDIT16 CNCE70818 censisce tre copie presso laBiblioteca Angelica di Roma, laComunale di Treviso e la Marcia-na di Venezia); stampata in Ge-nova e ristampata in Vercelli, Gu-glielmo Molino, 28 gennaio 1578(EDIT16 CNCE 74655 censisceun unico esemplare presso la Bi-blioteca del Seminario vescoviledi Casale Monferrato); Pavia, Gi-rolamo Bartoli, 1578 (EDIT16CNCE 60915 censisce un unicumpresso la Biblioteca Trivulzianadi Milano); Mantova, FrancescoOsanna, 1578 (EDIT16 CNCE74761 censisce un’unica copiapresso la Biblioteca NazionaleCentrale di Firenze).6

Il Tacuino certifica dunqueche il frate Seravezza compilassepronostici per l’anno a venire al-

meno dagli anni Sessanta, dun-que un decennio prima di quantofinora suggerito dalla produzionedi cui si era a conoscenza. Non so-lo. Apprendiamo che l’autore nonfosse ancora docente di matema-tica a Pavia, ma «lettore in SacraTheologia in Genoa». E ciò giu-stifica la dedica ad Antonio MariaGrimaldi Bracelli, figura di spiccodel patriziato cittadino, figlio deldoge Gaspare Grimaldi Bracelli

in carica nel biennio 1549-1551,creato cavaliere aurato e contepalatino dall’imperatore Ferdi-nando con diploma dato in Augu-sta il 26 maggio 1559. L’incipit delpronostico confessa inoltreun’informazione bibliografica in-diretta, vale a dire che ne dovetteessere stampato uno analogo an-che per l’anno precedente, di cuiperò non si è finora individuatoalcun esemplare. Così infatti,esplicitamente, l’autore si rivolgeal dedicatario: «L’anno passato …gli dedicai un mio Taccuino, nelquale per errore dello stampatoree poca avvertenza di chi havevacura di correggerlo ci mancò ilsuo nome, per il che havendonefatto uno per quest’anno, m’èparso, in ricompensa di quello didedicargli questo». Ne deriva, intermini bibliografici, che la bi-bliografia delle edizioni astrolo-giche vada incrementata non diuno, ma di due items, il primo deiquali noto (almeno per ora) soloin via indiretta. A chi spetta la re-sponsabilità tipografica di questoalmanacco? Nient’affatto anoni-mo, come molti analoghi prodot-ti, presenta esplicita sottoscrizio-ne all’ultima riga della prima co-lonna: «Si uendono in Milano, al-la sta(m)pa di || Giouanbattistade Ponti, alla Douana». Le cifreI.B.P. del tipografo riappaionopoco sopra, inscritte in un cuore,in una piccola vignetta silograficaraffigurante un frate che tiene inmano un crocifisso e, sul tavolo,alcuni strumenti per lo studio dei

giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

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pianeti (una clessidra, un compas-so, una squadra, una sfera, un li-bro). La stampa sembra dunqueda ricondursi senza troppe esita-zioni a Giovanni Battista Da Pon-te, libraio e stampatore cameralee arcivescovile con indirizzo «allaDogana», la cui attività si esteseda metà Cinquecento almeno si-no al 1581.7 Giovanni Battista, cuiriconducono circa 200 edizioni,un paio delle quali di argomentoastrologico, fu fratello di PaoloGottardo, Pacifico e GiacomoPaolo e discendente, tramite Pie-tro Paolo, del più noto libraio-editore di origini fiammingheGottardo Da Ponte. La vignettacon il frate non sembra esclusivadel Da Ponte, né tantomeno an-drà confusa con la sua marca edi-toriale. Riapparirà infatti, senzatroppe modifiche ma priva delleiniziali tipografiche, anche in al-cune delle successive edizioncineastrologiche del Seravezza, al soloscopo di suggerire all’acquirentel’immagine dell’autore, il frateBartolomeo da Seravezza raffigu-rato nelle vesti di astrologo. Ilpronostico generale in forma dialmanacco-calendario era l’unicoconsentito dall’autorità ecclesia-

stica, né il Da Ponte poteva met-tere a repentaglio la carica distampatore camerale e arcivesco-vile, che gli garantiva nutritecommesse, per qualche pubblica-zione non lecita. Pertanto uscivacon l’indicazione esplicita «conlicentia del Reverendo PadreMaestro Angelo Inquisitor Ge-ne(rale) nel Stato di Milano». Siaccerta che il Da Ponte stampòpochissime altre edizioni di argo-mento astrologico, stando a ciòche è giunto fino a noi. Almenoun altro foglio volante: Ephemeri-des & prognosticon anni 1556, trà-dito tramite l’unicum che si con-serva presso la Biblioteca Estensedi Modena.8 E l’opuscoletto diquattro carte dal titolo Discorso etgiudicio sopra alla cometa apparsal’anno presente MDLXXX circa alfine del mese di settembre. Compostoda G.F.P. [1580] di cui si conservaun unicum presso l’Ambrosiana diMilano.9

Il Tacuino funziona da auten-tico ‘Frate Indovino’ ante litte-ram, condensato in un solo fogliodi stampa da potersi comoda-mente incollare al muro. Forni-sce, nell’ordine, «i giorni ne’ qua-li l’eccellentissimo Senato di Mi-

lano non siede», le feste mobili, ilcalendario astrologico con le pre-visioni metereologiche, cui se-guono una serie di indicazionibuone al medico e al contadinorelative ai «giorni idonei a cavarsangue, o far de bagni … per darle medicine» o a «piantare arbori,viti, potare, legare vigne, lavorarecampi, orti e seminare per farbuona ricolta». L’ultima colonnatrasmette infine il pronostico uf-ficiale per l’anno 1563, sottoscrit-to Genova I novembre 1562: «ilprincipio dell’anno sarà moltofreddo con acque, venti e nieve …sarà l’aria quasi sempre oscura,nera, torbida e malanconica, pie-na dico di cattivi vapori … la pri-mavera, la quale apparirà tardi,sarà nel principio fredda e bagna-ta e saranno venti terribili e noci-vi, poi tempeste con tuoni e saettenel finire … Parturiranno moltedonne gemelli, ma nel partorirene periranno assai. Saranno infer-mità gravi ne la testa, febri acute,pestifere, mal mazzucco, detto daaltri mal de castrone … ». Inquell’anno ci sarebbe stata eclissidel sole «alli 20 di giugno» edeclissi della luna «in lunedì a 5 diLuglio».

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NOTE1 Già Libreria Antiquaria Piemontese

di Marco Cicolini. Ora, Milano, collezione

privata.2 Ha censito la produzione a stampa

del Seravezza LEANDRO CANTAMESSA ARPINATI,

Astrologia Ins & Outs opere a stampa,1468-1930, Milano, Otto/Novecento,

2011, nn. 7394-7396.3 EDIT16 CNCE 4500.4 EDIT16 CNCE 74654.5 EDIT16 CNCE 77921. Not in CANTA-

MESSA.6 Si aggiunga anche l’edizione cin-

quecentesca sine notis tràdita dall’uni-cum della Biblioteca Vaticana (EDIT16

CNCE 61178).7 Ma FERNANDA ASCARELLI - MARCO ME-

NATO, La tipografia del ’500 in Italia, Firen-

ze, Olschki, 1989, p. 151 ne fissa la data di

morte al 1591. Si veda la scheda sul tipo-

grafo di EDIT16 on line CNCT 280.8 EDIT16 CNCE 76416.9 EDIT16 CNCE 38490.

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61giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

progress giunto fino ai nostri gior-ni, nei quali molte marche edito-riali, originate nei lontani secolidella protostampa, sono state riu-tilizzate e riadattate.

Una delle più celebri e co-nosciute (ma anche rielaborate)fra queste marche è quella del-l’Einaudi, il famoso struzzo cheinghiotte un chiodo di ferro (perla verità l’incisione mostra che ilchiodo è ancora ben stretto nelbecco del pennuto) - tema icono-grafico assai antico, di origine pli-niana (sebbene già Aristotele nelsuo Parti degli animali avesse am-mirato lo struzzo per la sua singo-larità di essere bipede e insiemepennuto), - con il cartiglio latinoSpiritus durissima coquit.

La protomarca ebbe originenella metà del Cinquecento. Eracontenuta nella prima edizioneillustrata del Dialogo dell’impresemilitari et amorose di MonsignorGiovio vescovo di Nocera, con un ra-gionamento di messer Lodovico Do-menichi, nel medesimo soggetto, ap-punto di Paolo Giovio. L’incisio-ne, realizzata dal cosiddetto“Maître à la capeline”, artista tra i

Editoria

Gli ottant’anni degli Struzzi di Einaudi

La storia del celebre pennuto (1935-2015)

Uno struzzo, quello di Einaudi, che non ha mai messo la testa sottola sabbia.

Norberto Bobbio

Prima o poi tutto finisce in un libro.Alberto Savinio

La storia della tipografia edell’editoria, fin dallaprotostampa, è costellata

di marche più o meno celebri chenella loro immediatezza simboli-co-iconica ma anche letteraria,racchiudevano lo spirito com-plessivo delle botteghe alle qualierano intimamente legate, non-ché spesso dei committenti delleopere stampate. Per la loro valen-za simbolica le marche eranostrettamente correlate al vasto ecomplesso ambito dell’araldica,delle imprese, e dell’ex libris, maseparate da quello di insegne, li-vree, cifre, emblemi e motti. Glistessi motivi iconografici, nati inun preciso ambito storico-cultu-rale, potevano essere ripresi in al-tri tempi e contesti, e adattati divolta in volta alle nuove esigenze,costituendo una sorta di work in

MASSIMO GATTA

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più abili nella Lione del ’500 e col-laboratore di Guillaume Rouillé,lo stampatore del libro, ritrae ap-punto uno struzzo con un chiododi ferro stretto in becco e il succi-tato motto latino. Tale impresavenne ideata da Giovio su com-missione di Girolamo Mattei Ro-mano, «capitan de’ cavalli dellaguardia di Papa Clemente, huo-mo risoluto e d’alto pensiero, ed’animo deliberato», e può esserecompresa solo se legata al mottoche la sostiene, il cui significato èappunto «ch’un valoroso cuore haforza di smaltire ogni grave ingiu-ria». L’impresa aveva la sua ragiond’essere, però, in un truce fatto disangue, evento molto comuneall’epoca. Il committente, Girola-mo Mattei, aveva infatti attesomolto tempo prima di poter ven-dicare la morte del fratello Paluz-zio, ucciso in un litigio dal nipotedel cardinale Andrea della Valle,Gieronimo. La vendetta, ricono-sciuta dai della Valle come fruttoappunto di «un valoroso cuore»in

grado di «smaltire ogni grave in-giuria», e appartenente a «huomorisoluto e d’alto pensiero, e d’ani-mo deliberato», venne da PapaClemente perdonata e il Matteiinsignito addirittura del titolo diCapitano. Come giustamente no-ta Mauro Chiabrando, osservan-do bene questa marca, nei suoielementi strutturali ma anchepaesaggistici, si rileva una «sug-gestiva somiglianza tra il paesag-gio sullo sfondo dell’ovale e quel-lo che caratterizza due vedute ap-penniniche, rispettivamente diNocera Umbra (città di cui PaoloGiovio fu vescovo per vent’anni) eCastelnuovo laziale, incise all’ac-quaforte dal geografo editore Ge-org Braun (1541-1622) nel 1577per la Civitates orbis terrarum(grande opera in sei volumi, uscititra il 1572 e il 1618, che raccogliecentinaia di panorami di città)pubblicata a Colonia in collabora-zione con il cartografo Franz Ho-genberg (1535-1590. L’impresadi Giovio venne ricordata, qual-

che decennio dopo, anche da Giu-lio Cesare Capaccio nel suo DelleImprese (ma il suo struzzo ha nelbecco un ferro di cavallo) nella suadoppia realizzazione: Il ricco igno-rante, realizzata per il Marchesedel Vasto, nella quale «lo struzzo,la cui natura è, che non potendoalzarsi dal suolo, suol correndofarsi vela con l’ali, per avanzar glialtri nel corso» (cioè che se anche iricchi non volano con l’ingegnoverso sublimi speculazioni, sem-pre correranno avanti agli altrigrazie alle comodità delle ric-chezze); quindi quella nota colmotto Spiritus durissima coquit,dove Capaccio aggiunge: «per si-gnificar che un generoso cuoresmaltisce ogni grave ingiuria deltempo. E per significar un nuovomodo che alcun tenga in cosed’ingegno, figurò lo struzzo ma-schio, e la femina che miravanofissamente l’uova, ch’essi non co-vano sedenti, come gli altri uccel-li, ma guardante, e’l motto eraquesto, Diversa ab aliis virtute ale-

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mus. Per significar la Giustizia, èbuona impresa lo struzzo, perchéha tutte le penne equali, diceOro».

Una curiosità poco nota, madocumentata in epoca pre-einau-diana, è quella legata al riutilizzosemantico di questa marca cin-quecentesca, rielaborata non solonella parte iconografica ma anchein quella letteraria. Essa venne in-fatti ripresa dall’incisore e dise-gnatore belga Félicien JosephVictor Rops (1833-1898), che lautilizzò per disegnare una delle‘divise’ dell’amico Charles Bau-delaire, col motto latino modifi-cato dal poeta in Virtus durissimacoquite appunto lo struzzo, ma quirivolto verso sinistra, con nel bec-co una pietra al posto del chiodo diferro, e sullo sfondo le tre pirami-di di Giza. Venne stampata nel1921, in grande, al centro dell’an-tiporta delle Lettere di CharlesBaudelaire, pubblicate da UgoNalato (Gian Dàuli) presso la sua

casa editrice Modernissima.Fin dal gennaio del 1930 lo

struzzo cominciò a comparire sul-le copertine e sulle quarte di co-pertina, della rivista «La Cultu-ra», fondata nel 1882 da RuggeroBonghi e diretta in seguito da Ce-sare De Lollis dal ’21 e fino allamorte, avvenuta nel ’28, in conco-mitanza con la trasformazionedella rivista in periodico trime-strale. Era stato l’intervento delbanchiere Raffaele Mattioli (spi-rito umanista e raffinato cultore dilibri preziosi), coinvolto da MarioPraz nel progetto di salvataggiodella prestigiosa pubblicazione(che dopo la morte di De Lollisnon navigava in buone acque), ariportare in auge l’immagine del-lo struzzo. Fu proprio il celebreanglista «uno degli animatori del-la rivista con Arrigo Cajumi e Pie-tro Paolo Trompeo, forse sfo-gliando l’edizione Hoepli del vo-lume di Jacopo Gelli Divise, motti eimprese di famiglie e personaggi ita-

liani, Milano 1916 (ristampato inversione riveduta e ampliata giu-sto nel 1928), a rimanere colpitodal potenziale evocativo di quel-l’emblema e del suo motto, pro-ponendolo come marca della rivi-sta e delle sue edizioni». Nel 1934,essendosi definitivamente chiusala casa editrice «La Cultura»,Mattioli cedette la testata a titologratuito al giovane editore GiulioEinaudi, ma la rivista, come è no-to, fu soppressa poco dopo dal re-gime fascista e mai più ripubblica-ta. Lo struzzo cessò così di com-parire su «La Cultura» con il pas-saggio della stessa all’Einaudi.

Lo struzzo einaudiano ap-parve ufficialmente la prima voltanel 1935, in copertina de Il pensieropolitico italiano dal 1700 al 1870 diLuigi Salvatorelli (primo volumedella “Biblioteca di cultura stori-ca”), allora direttore della «Stam-pa», che nel nome di Leone Gin-zburg e nel solco dell’impresa gio-viana, lottava in pieno fascismo

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per resistere alla barbarie nazifa-scista; quindi dal 1936 anche suivolumi dei “Saggi”. Come rileva-to da Claudio Pavese: «la primaimpostazione grafica adottata,fortemente influenzata dal razio-nalismo tipografico di Frassinelli,sicuramente sconsigliò l’utilizzodell’orpello xilografico cinque-centesco. Si dovette attendere fi-no al marzo del 1935 (quasi un an-no e mezzo dopo la fondazionedella casa editrice torinese) quan-do su di esso comparì per la primavolta. È lecito pensare che l’arre-sto di Ginzburg nel marzo del1934 possa aver indotto GiulioEinaudi a ‘rispolverare’ il vecchioemblema per rivendicare forza ecoraggio nelle avversità». La mar-ca diventò l’emblema di questa re-sistenza, con le armi dei libri e del-la ragione, capace di ingerire e di-gerire anche le più «gravi ingiu-

rie», «simbolo di un coraggioso eperseverante impegno culturale ecivile» (Chiabrando) della casa divia Biancamano. Fin dal 1938 erail solo struzzo, senza medaglione ecartiglio, a comparire sia sui pic-coli cataloghi editoriali Einaudi didiverso colore, che in bianco sullacopertina azzurro chiaro dellaCollana “Narratori stranieri tra-dotti” (1938) e su quella dei “Pro-blemi contemporanei” (1939).Tornò poi l’anno successivo in co-pertina di Capitalismo e socialismo.Critica dei due sistemidi Arthur Ce-cil Pigou.

Nell’aprile del 1941 lo struz-zo darà anche il nome alla Collana“Biblioteca dello Struzzo”, di cuidivenne responsabile Cesare Pa-vese. In essa, il 10 maggio del ’41,venne pubblicato Paesi tuoi, dellostesso Pavese, con una copertinain brossura e sovraccoperta di

Francesco Menzio. Quando Leo-ne Ginzburg, in quel periodo con-finato politico a Pizzoli in Abruz-zo, venne informato della nascitadella Collana espresse un parerenegativo circa il titolo della stessa,perché a suo giudizio faceva pen-sare a libri che solo gli struzziavrebbero digerito, e ciò nonavrebbe giovato a favore del pub-blico; pensò invece a un altro tito-lo, poi adottato, “Narratori con-temporanei”, dove il 27 agosto del’45 venne poi ristampato il ro-manzo di Pavese. Pertanto la “Bi-blioteca dello Struzzo”, subitosoppressa, contenne un solo tito-lo. Paesi tuoi, nella nuova Collana,aveva in copertina lo struzzo gio-viano in nero, senza l’ovale e con ilmotto latino qui ripristinato, chevenne poi utilizzato anche per lesovraccoperte della prima graficadella Collana “Universale Einau-

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I LIBRI EINAUDI 1933-1983.COLLEZIONE CLAUDIO PAVESE

L a mostra, tenutasi a Milano,presso la Galleria Gruppo Credi-to Valtellinese, in corso Magen-

ta, ha ricostruito, grazie agli oltre tre-mila volumi e documenti provenientidalla collezione di Claudio Pavese, la

più ampia e completastoria della casa edi-trice Einaudi. Curatada Andrea Tomasetig,in collaborazione conCristina Quadrio Cur-zio e Leo Guerra, l’ini-ziativa ha prodottoanche un interessan-te catalogo (Verona,Credito Valtellinese e Libraccio Editore,2016, pp. 148, s.i.p.) che contiene (oltreun saggio del curatore) scritti di Stefa-no Salis, Mario Piazza e Mauro Chia-brando, nonché le schede redatte dallostesso Claudio Pavese.

Altro volume datenere in considera-zione, per ulterioriapprofondimenti sul-la figura di Einaudi esulla storia della casaeditrice da lui fonda-ta, è l’imponente Giu-lio Einaudi nell’edito-ria di cultura del No-

vecento italiano (Firenze, Olschki,2016, pp. 416, 38 euro). Il libro, curatoda Paolo Soddu, raccoglie gli atti delgrande convegno tenutosi nel 2012presso le fondazioni Giulio Einaudi eLuigi Einaudi.

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di” (grafica di Francesco Menzio,nel ’46 di Max Huber e infine, in-torno al ’60, di Oreste Molina);nella seconda grafica, invece, ilmedesimo struzzo compare, dasolo al centro, sul retro della so-vraccoperta, una scelta grafica pe-riferica alquanto particolare mache testimonia la forte valenzasimbolica e identitaria attribuitaallo struzzo, che da solo ‘comuni-ca’ la casa editrice. Mentre dal1948 nella nuova serie della “Uni-versale” scompare lo struzzo dallacopertina, che rimane con la solascritta Einaudi stampata di traver-so, grande appena come «una ca-catina di mosca»: scelta grafica,questa, che fece infuriare CarloMuscetta.

Intanto alla fine del ’45 ilmarchio venne rivisitato da Rena-to Guttuso in termini ancora più‘ideologici’: fu infatti ritagliato ilsolo struzzo ma, in questa occa-sione, rivolto verso ‘sinistra’ ri-spetto all’archetipo gioviano.

Questo nuovo struzzo, la cui gra-fica non era delle più felici (Guttu-so, benché grande pittore, nonaveva capacità da grafico), venneutilizzato per la copertina della se-conda edizione del ’46 di Cristo si èfermato a Eboli di Carlo Levi, dovecompare al piede, in bianco, attra-versato al centro dalla scritta innero «EINAUDI». Tale pre-gnanza identitaria la ritroveremonelle copertine della Collana“Piccola Biblioteca scientifico

letteraria” nata nel ’49, curata re-dazionalmente da Giulio Bollati econ grafica di Max Huber, dove lostruzzo, qui tornato al suo ovalegioviano completo, è posto in altoa destra in ampia dimensione; lacasa editrice non è menzionata incopertina, delegando al solostruzzo l’identità editoriale gene-rale del volume, in una sorta di si-neddoche grafica di notevole pre-gnanza simbolica, in cui la coper-tina, oltre che sobria, deve «nello

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vari clichérealizzati dall’Einaudi ri-cavati dalla marca originale diPaolo Giovio, Palazzi notò un si-gnificativo ‘degrado semantico’:«nel tempo il castello, sormontatoda un volo di uccelli presente neldisegno originale sullo sfondo del-l’ellisse, si era di fatto tramutato inun cumulo di rovine (senza peral-tro essere poi mai stato ripristinatonella versione originale), quasi asignificare involontariamenteun’altra allegoria, quella della ca-ducità delle umane imprese».

Ulteriore rivisitazione im-plicita dello struzzo, ma ovvia-mente non per l’Einaudi, saràl’Autruche disegnato nel 1942 daPablo Picasso ad Antibes per unaselezione dai 36 volumi dell’Hi-stoire naturelle di Georges-LouisLeclerc, conte di Buffon, pubbli-cata da Martin Fabiani per Am-broise Vollard, poi donata nel ’51dal grande artista spagnolo a Giu-lio Einaudi; la casa editrice loadottò in copertina dei due catalo-ghi storici dell’83 e del ’93, e alla fi-ne del 2004 quale logo per la Col-lana “Einaudi Tascabili” e in se-guito per la Collana “Stile Libe-ro”. Nel 1946, intanto, il bisognodi rinnovare graficamente la casatorinese investì anche il noto pen-nuto. Due importanti variantivennero, infatti, apportate allostruzzo gioviano, a partire dallenuove Collane dei “Narratoristranieri tradotti” e dei “Coralli”(1947): lo struzzo torna a essere ri-prodotto scontornato dal conte-sto paesaggistico, senza cartiglio,e ora rivolto verso sinistra (co-

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stesso tempo rimandare chi guar-da ad una linea progettuale benprecisa che individui una matricecomune ed una linea coerente diquell’editore piuttosto che di unaltro», la parte per il tutto.

Nel 1946, in occasione della“Settimana del libro Einaudi”,venne stampato un pieghevole,oggi rarità bibliografica, realizza-to a Milano in piena era «Politec-nico» da Max Huber dove, insie-me al celebre ovale gioviano quistampato in azzurro, veniva in uncerto senso attestandosi, in unoscritto di poche righe, l’interapoetica della marca e della politicaeinaudiane, costituendo di fatto«un vero e proprio manifestoideologico dello struzzo dopo ilfascismo»: «Lo struzzo che tienenel becco un lungo chiodo e ilmotto Spiritus durissima coquit im-pressi sulle copertine delle nostrecollezioni, sono il simbolo di unacultura pronta ad assimilare ogniesperienza, sia pure aspra e diffici-le, sono il simbolo dell’intellettoumano avido di ogni specie di nu-trimento. Spiritus durissima coquit,lo spirito tutto trasforma in sé e datutto trae alimento, e nulla che inquesto mondo avvenga o viva gli èestraneo: lo spirito unifica sotto ilsuo comune denominatore storiae natura».

Latamente alla progressivamodificazione del modello gio-viano si deve pure rilevare un cu-rioso fenomeno grafico, notatoper primo dal libraio antiquario ebibliografo Roberto Palazzi.Confrontando, infatti, alcuni dei

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67giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

m’era in quello di Guttuso) e inposizione dinamica, con la zampadestra in avanti e la destra indie-tro, non statica, come apparivanell’emblema cinquecentesco.Nel 1961 fu la volta di un altrogrande artista, Giacomo Manzù,rivisitare per l’Einaudi l’archetipogioviano, disegnando espressa-mente uno struzzo molto stilizza-to, racchiuso in un ovale vuoto,circondato dal cartiglio latino;venne inciso in occasione dellapubblicazione della sua raccoltaQuarantun disegni di GiacomoManzù, e utilizzato da Bruno Mu-nari per la collezione “Bibliotecadell’Orsa” del 1986, dove venneriprodotto, in basso, solo sul dor-so dei volumi. Questa versionemanzuniana verrà ripresa dall’Ei-naudi anche per contrassegnare ilretro di buste, cartoncini e chiudi-lettera. L’artista realizzò, ma delsolo struzzo, anche una limitatis-sima fusione in oro per gioielli.

Altra lettura en artiste dellostruzzo einaudiano è quella cheGiulio Paolini realizzò nell’otto-bre del 2000 in occasione dellaFiera del libro di Francoforte, emai utilizzato dall’editore sui pro-pri volumi: «La bellissima inter-pretazione di Paolini del marchioEinaudi mostra uno struzzo stiliz-zato contenente quello origina-rio, come a indicare che l’innova-zione della casa editrice conservacomunque una continuità con lapropria tradizione». Tutti e trequesti ultimi Struzzi d’artista per-vennero a Giulio Einaudi peramicizia e in segno di stima, nes-

suno su commissione e ad attesta-re, come ribadiva Roberto Cerati,una «vicenda familiare». Infinecome non ricordare il personaleomaggio che, nel 2008,lo stampa-tore Alberto Casiraghy fece allostruzzo? Opera di Pino Guzzona-to il disegno, che mostra il mae-stoso animale mentre corre(stampato in bianco su fondo gial-lo), adorna la plaquette di MarioRigoni Stern, Due dediche a RobertoCerati. Lo struzzo appare anche inun’altra plaquette, promossa sem-pre da Casiraghy insieme al libra-io Bruno Biagi: Vent’anni di Ei-naudi in via Bovara. Qui, in coper-tina, il celebre pennuto è isolato ecome assorto in un pensiero, con

le zampe palmate ben poggiate suun morbido tappeto d’erba. Laplaquette, circolata assai limitata-mente a causa della bassa tiratura,riporta sia la frase di Bobbio, danoi usata in esergo, che allegati inuna bustina un chiodo di ferro el’ovale completo con lo struzzo diEinaudi, stampato in rosso.

Tutti gli Struzzi einaudiani, ele tante Collane, sono infine do-cumentati nell’ottimo catalogodella mostra I libri Einaudi 1933-1983. Collezione Claudio Pavese(che si è appena conclusa con suc-cesso a Milano, presso la GalleriaGruppo Credito Valtellinese, incorso Magenta) e al quale si ri-manda per ulteriori curiosità.

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68 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

continuando a professarsi espertobibliotecario. - Chi è lei? Come èentrato qui?

- Saltiamo i preliminari - losbeffeggiò Kane. - Non darti penadi fingere. A cosa devo l’onoredella tua visita in questa città?

L’intruso attinse un bicchieredi whisky da una bottiglia giàaperta e lo porse a Stasi. Poi si ver-sò una parte per sé. Soddisfatto, siservì una seconda volta. Stasi de-clinò cortesemente il bis.

Vedendo che Stasi non ribatte-va, Kane insistette, alzando il bic-chiere nella sua direzione.

- Come posso aiutarti, Stasi?Era inutile inscenare ancora la

In Appendice - Feuilleton

ra immobile di Abel Kane, il brac-cio sinistro appoggiato allo schie-nale. Accanto, un concentrato dimuscoli e tatuaggi: la sua guardiadel corpo personale, suppose…grossa come un buttafuori, il cor-po monolitico, la muscolaturapossente… Stasi era costretto aguardarlo dall’alto in basso, dalmomento che gli rendeva almenoventi centimetri di altezza.

- Punteggio pieno alla biblio-teca, colonnello. Ti sei guadagna-to la mia attenzione.

Parlava così piano che sembra-va non aprisse bocca. La voceusciva dalle labbra nervose.

- Colonnello? - simulò Stasi,

L.E.X. Le biblioteche profonde

IX capitolo

Atene era il solito caos diauto e pedoni. Stasi, nel-la griglia di strade che

circondava il suo albergo, ancorapensava all’agguato subito alla Bi-blioteca e alla sua reazione letale.

Tre assassini in meno.Entrò nel Dorian Inn e tirò

dritto verso la 930. Trovò la portaaperta, dal che dedusse che Livialo stava attendendo nella stanza.

E invece…La poltrona accoglieva la figu-

RIASSUNTO DELLEPUNTATE PRECEDENTI“Lupo” è il guardiano di unabiblioteca clandestina nel Deep Web.Contatta Victor Stasi, agente di LEX,la branca dei servizi segreti italiani dicui è informatore, ma finisce torturatoe ucciso da Abel Kane, uomodell’organizzazione antagonista diLEX, la Loggia. Bonera, il capo diLEX, manda Stasi e Livia Malatesta,il suo agente di supporto, ad Atene.Stasi scampa all’attacco di uncommando armato.

Sopra e nella pagina successiva, Victor

Stasi e Abel Kane, illustrazioni di Anna

Emilia Falcone, espressamente realizzateper «la Biblioteca di via Senato»

ERRICO PASSARO

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69giugno 2016 – la Biblioteca di via Senato Milano

esiste. La sua conoscenza era notaa non più di quindici persone fraInterni e Difesa italiani. Fuori daiconfini nazionali, coloro che sape-vano della sua esistenza si contava-no sulle dita di una mano.

- Ormai è una questione perso-nale. Non importa quanto pensi diessere furbo. Alla fine, ti prenderò.

L’uomo studiò la forma del fu-mo che si levava dalla sua sigaretta,come se potesse trarne auspici.Dopo un po’, fece un cenno allospezzapollici, che gli passò unmazzo di foto. La bocca di lui as-sunse una piega volgare.

- Guarda qui.Gettò le foto sul tavolinetto da-

vanti alla poltrona. Le immagini,prese in quella stessa stanza d’al-bergo, ritraevano Livia in variepose personali. Doveva essere sta-te scattate poco prima dell’arrivodi Stasi alDorian Inn.

- Potrebbe succedere qualcosadi spiacevole alla tua amica. Manoi non lo vogliamo, vero, Stasi?Io ora uscirò da questa stanza e tunon farai nulla per impedirmelo.

Kane era un rifiuto della socie-tà, capace di bassezze indescrivibi-li. Era fra coloro che tenevanol’agenda della paura per conto del-la Loggia. Poteva bluffare, o avererealmente la possibilità di nuocerea Livia.

- Non vai da nessuna parte. Tidarò la caccia. L.E.X. vince sem-pre.

- È ciò che ripeti a te stesso, mati tengo in pugno, e lo sai.

Kane aveva scorpioni nel cer-vello. Stasi si affacciò alla finestra,dandogli le spalle.

- Apri bene le orecchie: non tela caverai a buon mercato. - Tiròfuori dalla tasca la pistola, lenta-mente, per non far allarmare i suoi‘ospiti’. - Questa pallottola è per te- sibilò.

- Sei così prevedibile, Stasi.Quando tornò a voltarsi, Kane

era evaporato, insieme al suoguardiaspalle.

La morte di “Lupo” non sareb-be rimasta impunita.

- Preparati la bara, Kane - dis-se, rivolto al nulla. - Sto arrivando.

parte del professor Manuzio.- Possiamo parlare a tu per tu?La guardia del corpo era sem-

pre lì: un bisonte ipofisario, con ilviso piatto, quasi schiacciato, cheprobabilmente non cambiavaespressione neppure sotto il fuococoncentrico di una decina di kala-snikov. La nerboruta body-guardsovrastava Stasi di buoni venticentimetri, confermato. Non simosse, né Kane fece nulla per farloallontanare: si limitò a flettere lemani in un gesto minaccioso.

- Per chi lavori? - chiese l’agen-te di L.E.X., scrollando le spalle.

La Loggia era da nessuna partee dappertutto. Per portare a termi-ni certi suoi piani, doveva aver of-ferto un ingaggio principesco alcriminale.

Kane, serafico, ignorò la do-manda.

- Se per te non è un problema,me ne scolo un altro di quello buo-no.

Stasi non gli diede la soddisfa-zione di farsi vedere irritato. Sneb-biò la mente da ogni residuo emo-tivo.

- Sappiamo che per anni nonhai dato notizia di te… Sappiamoche sei implicato nell’uccisione di“Lupo”. Sappiamo anche che laLoggia ha interessi nella gestionedel Deep Web e delle bibliotecheclandestine.

Kane si fece accendere una si-garetta dal suo scimmione.

- Senza offesa, ma sono infor-mazioni di poco conto. Voi diL.E.X. lo sapete bene.

L.E.X. era l’agenzia che non

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70 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

Ci era riuscito. Era arrivato acoronare quell’ambizioneche, dalla Sicilia, lo aveva

spinto a Roma. Era finalmente entra-to nel Gabinetto, come «ministrodell’Interno e vice Presidente delConsiglio». Così, al principe Consal-vo Uzeda di Francalanza (protagoni-sta dell’incompiuto romanzo di Fe-derico De Roberto L’imperio, di cui laBiblioteca di via Senato conserva co-pia della prima edizione, stampata aMilano, da Mondadori, nel 1929)sembrò naturale, come primo atto,recarsi in visita a Torino. Là, nell’an-tica capitale, aveva preso forma la pri-migenia idea d’Italia. Là, aveva ope-rato con genio Camillo di Cavour. Esempre là si era insediato il primo par-lamento nazionale.

Arrivò quindi a Torino, rag-giungendo in carrozza palazzo Cari-gnano. Dopo la visita a quelle sale ca-riche di storia, ma pure di «quella fin-zione che mai viaggia disgiunta dagliuffici parlamentari», Consalvo sentìbisogno di verità. Attraversò la piazzae si fermò per colazione al Del Cam-bio, il ristorante ove Cavour era solitorecarsi a mangiare. Lo accolse sullaporta il talentuoso chef Matteo Baro-netto. La pacatezza della voce e la sin-

nelle cantine di Épernay fino a giun-gere alla Deuxième Plénitude. UnoChampagne ancora così teso in ener-gia da risultare quasi sbilanciato, eche certo esprimerà l’apoteosi asso-luta fra qualche anno, quando tutte lecomponenti del vino saranno perfet-tamente integrate fra loro. Dalla cu-cina intanto giunsero le prime porta-te. Gli asparagi bianchi con cavialeriportarono Consalvo in Sicilia, allependici dei monti Iblei, per via diquelle mandorle che occhieggiavanonel piatto. Se gli scampi rossi, accom-pagnati da insalata verde e cioccolatobianco, gli sembrarono poi un omag-gio alla bandiera nazionale, le pap-pardelle cacio e pepe gli parvero unaccenno di Roma in terra sabauda.Quando fu il momento del merluzzoaffumicato con piselli, Consalvo ri-cordò i tempi della sua prima giovi-nezza, passata in viaggio, «fra Vien-na, Parigi e Londra». Al momentodel commiato Consalvo fece chia-mare Baronetto: «“Siete un poeta”.Politica e cucina la medesima arte so-no. Il politico “prepara leggi invecedi pietanze”. Cercherò di esser bravoquanto voi. Addio!». Fuori la carroz-za attendeva: il treno per Roma sa-rebbe partito a breve...

BvS: il ristoro del buon lettore

cerità dello sguardo del giovane fu-garono in Consalvo quegli spiacevoliricordi di «accordi politici stretti inun’occasione e rotti in un’altra» cheabitano, invariabilmente, da veri in-quilini, tutte «le stanze del potere».

Lo fecero accomodare al primopiano del locale, nella rinnovataStanza Verde, aperta, in suo onore,per la prima volta. Le ricche sete e idamaschi cangianti, le luci soffuse e ivolumi antichi alle pareti, trasporta-rono, come per magia, Consalvo allatavola di Cavour. «Lo scoppio dellebottiglie di sciampagna sturiacciate»lo scosse dalle sue fantasticherie. Ba-ronetto, Dépositaire Dom Peri-gnon, aveva scelto di onorarlo apren-do P2 1998. Consalvo centellinòquello Champagne del mito, che at-tende e matura almeno quindici anni

Ristorante Del CambioPiazza Carignano, 2TorinoTel. 011/546690

Don Consalvo, Del Cambio e i segreti del Dom Perignon

L’imperio della Storia alla tavola di CavourGIANLUCA MONTINARO

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S C O P R I S U B E L L I S S I M A . C O M I L N U O V O M O N D O D I

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72 la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2016

EPIFANIO AJELLOEpifanio Ajello è

professore ordinario diLetteratura italianamoderna e contempo-ranea nell’Università diSalerno.

Ha pubblicato arti-coli su autori contem-poranei (Calvino, Cam-panile, Celati, d’An-nunzio, Montale, Mora-via, Gatto, Pasolini,Sanguineti e altri) e hariunito gli scritti sul-l’India di Gozzano(Nell’Oriente favoloso,2004).

Fra gli ultimi suoilavori si segnalano: Ilracconto delle imma-gini. La fotografia nellamodernità letterariaitaliana (2009); Arcipe-laghi. Calvino e altri.Personaggi, oggetti, li-bri, immagini, (2013) el’edizione critica delleMemorie italiane (2012)di Carlo Goldoni.

CLAUDIO BONVECCHIO

Claudio Bonvec-chio è Professore Ordi-nario di Filosofia delleScienze Sociali nel-l’Università degli Studidell’Insubria (Varese)dove è anche Coordi-natore del Dottorato inFilosofia delle ScienzeSociali e Comunicazio-ne Simbolica.

È Direttore Scienti-fico della rivista «Me-tabasis». Autore di in-numerevoli saggi epubblicazioni, è diret-tore di svariate collaneeditoriali per varie caseeditrici.

È Member dell’Ad-visory Board della Era-nos Foundation diAscona (Svizzera).

ANTONIO CASTRONUOVO

Antonio Castro-nuovo (1954), bibliofi-lo e saggista, dirige va-rie collane per la Edi-trice la Mandragora diImola e collabora conparecchie riviste.

Tra i suoi titoli: Li-bri da ridere: la vita e ilibri di Angelo Fortuna-to Formíggini (2005);Macchine fantastiche(2007); Alfabeto Ca-mus (2011); Ossa cer-velli mummie e capelli(Quodlibet 2016).

Traduttore dalfrancese, ha da ultimopubblicato L’incendio ealtri racconti di IrèneNémirovsky, Il cervellonon ha pudore di JulesRenard, Fisiologia delflâneur di Louis Huart.

MARCO CIMMINOMarco Cimmino

(Ber gamo, 1960). Sto-rico, membro della So-cietà Italiana di StoriaMilitare e socio acca-demico del GruppoItaliano Scrittori diMontagna, si occupaprevalentemente diGrande Guerra.

Collaboratore Rai,scrive su molte testate.Membro del comitatoscientifico del FestivalInternazionale dellaStoria di Gorizia, è unodei responsabili delprogetto èStoriabus.

Tra i suoi saggi piùrecenti: La conquistadell’Adamello (2009),Da Yalta all’11 settem-bre (2010) e La conqui-sta del Sabotino(2012), finalista al pre-mio Acqui Storia 2013.

MASSIMO GATTAMassimo Gatta

(1959) ricopre l’incari-co, dal 2001, di bibliote-cario presso la Bibliote-ca d’Ateneo dell’Univer-sità degli Studi del Moli-se dove ha organizzatodiverse mostre biblio-grafiche dedicate a edi-tori, editoria aziendale easpetti paratestuali dellibro (ex libris).

Collabora alla pagi-na domenicale de «Il So-le 24 Ore» e al periodico«Charta». È direttoreeditoriale della casaeditrice Biblohaus diMacerata specializzatain bibliografia, bibliofi-lia e “libri sui libri” (books about books), efa parte del comitato di-rettivo del periodico«Cantieri».

Numerose sono lesue pubblicazioni e isuoi articoli.

CORRADO MINGARDI

Corrado Mingardi(1939) vive a Busseto.Insegnante di lettere,ora in pensione, da ol-tre 40 anni anni è con-sulente della Bibliote-ca della FondazioneCariparma a Busseto,erede della secolare bi-blioteca del Monte diPietà, ricca di 40.000volumi.

Svolge inoltre atti-vità di consulenza, col-laborando alle mostree ai cataloghi tenutesia Parma a Palazzo Bos-si-Bocchi. Ha direttoper anni il Museo Ver-diano di Casa Barezzied è stato consigliered’amministrazione delMuseo Bodoni di Par-ma. Fa parte del sodali-zio “I Cento Amici delLibro”.

LUCA P. NICOLETTILuca Pietro Nicoletti,

dottore di ricerca PhD instoria dell’arte, ha stu-diato presso le Universi-tà di Milano e Udine. Si èoccupato di arte del No-vecento, di storia dellacritica e di cultura edito-riale. Dopo aver inse-gnato storia dell’arteall’Accademia di BelleArti ACME di Novara hacollaborato con la CivicaGalleria d’Arte Modernadi Torino. Ha vinto unaborsa di studio presso laFondazione Giorgio Cinidi Venezia. Cura perQuodlibet la collana “Bi-blioteca Passaré. Studi diarte contemporanea earti primarie”. Ha scritto:Gualtieri di San Lazzaro(Quodlibet 2014) e cura-to l’edizione di scritti diEnrico Crispolti (Burri“esistenziale”, Quodlibet2015) e Gualtieri di SanLazzaro (Parigi era viva,2011; Modigliani. I ri-tratti, 2013).

ERRICO PASSAROErrico Passaro

(1966) è ufficiale del-l’Aeronautica Militareesperto in materie giu-ridiche.

Giornalista e scrit-tore, ha pubblicato ol-tre millesettecento ar-ticoli, dieci romanzi,centoventi rac conti,fra cui il “triplete” per lecollane da edicolaMondadori: la bianca(Zodiac, Urania n.1557; La Guerra delleMaschere, MillemondiUrania n. 58), la gialla(Necropolis, Supergial-lo n. 39), la nera (L.E.X. -Law Enforcement X,Segretissimo, n. 1591;L.E.X. - Operazione Spi-der, Segretissimo n.1610; L.E.X. - Invernoarabo, Segretissimo n.1611).

GIANCARLO PETRELLA

Giancarlo Petrella(1974) è docente acontratto di disciplinedel libro presso l’Uni-versità Cattolica di Mi-lano-Brescia. Nel 2013ha conseguito l’abilita-zione per la I fascia diinsegnamento diScienze del libro e deldocumento.

È autore di nume-rose monografie fracui: L’officina del geo-grafo; Uomini, torchi elibri nel Rinascimento;La Pronosticatio di Jo-hannes Lichtenberger;Gli incunaboli della bi-blioteca del SeminarioPatriarcale di Venezia(2010); L’oro di Dongoovvero per una storiadel patrimonio librariodel convento dei FratiMinori di Santa Mariadel Fiume (2012). Col-labora con «Il Giornaledi Brescia» e la «Dome-nica del Sole24ore».

GIANFRANCOSCHIALVINO

Gianfranco Schial-vino (1948), allievo diTullio Alemanni, si de-dica da sempre all’anti-ca arte della xilografia.

Ha fondato, nel1987, con Gianni Vernal’associazione “NuovaXilografia”, che AngeloDragone ebbe a defini-re «operativo cenacoloa due».

L’intento è quello dipromuovere la più an-tica forma di stampacon mostre, conferen-ze, seminari e con corsidi insegnamento. Haall’attivo, insieme aVerna, innumerevolimostre, sia in Italia cheall’estero.

GIANLUCA MONTINARO

Gianluca Montina-ro (Milano, 1979) è do-cente a contratto pres-so l’università IULM diMilano.

Storico delle idee, siinteressa ai rapporti frapensiero politico e uto-pia legati alla nascitadel mondo moderno.Collabora alle pagineculturali del quotidiano«il Giornale».

Fra le sue monogra-fie si ricordano: Letteredi Guidobaldo II dellaRovere (2000); Il car-teggio di Guidobaldo IIdella Rovere e Fabio Ba-rignani (2006); L’epi-stolario di LudovicoAgostini (2006); Fra Ur-bino e Firenze: politica ediplomazia nel tramon-to dei della Rovere(2009); Ludovico Ago-stini, lettere inedite(2012); Martin Lutero(2013); L’utopia di Poli-filo (2015).

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO

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