la canzone di hourì

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I “Sette Serpenti” - Episodio 1: La canzone di Hourì - A Part Damiano Lotto

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A tale from Ancient Babilonia Times!

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Page 1: La Canzone di Hourì

I “Sette Serpenti” - Episodio 1:

La canzone di Hourì - A PartDamiano Lotto

Page 2: La Canzone di Hourì

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Il testo della licenza è disponibile all’indirizzo:http://creativecommons.org/licenses/

Copyright©2013 Damiano Lotto. I edition: 2013.Publisher: ? ? ? ISBN: ? ? ? http://tomotomopoppin.blogspot.com/

Page 3: La Canzone di Hourì

Indice generaleCapitolo 1 Abit...............................................................................................................................4Capitolo 2 Maruru........................................................................................................................16Capitolo 3 Ayane.........................................................................................................................21Capitolo 4 Babilonia.....................................................................................................................31Capitolo 5 Alice............................................................................................................................38Capitolo 6 Oni..............................................................................................................................43Capitolo 7 L’azzurro mantello del cielo.........................................................................................51Capitolo 8 Gloria del sole e dell’acciaio........................................................................................53Capitolo 9 Pirati e maiali..............................................................................................................61Capitolo 10 Sul ponte di comando...............................................................................................79Capitolo 11 La tempesta..............................................................................................................82Capitolo 12 La vedetta.................................................................................................................83Capitolo 13 Una diversa percezione del mondo...........................................................................84Capitolo 14 Fantasmi...................................................................................................................89Capitolo 15 Gioco di pugnali........................................................................................................95Capitolo 16 I coltelli tacciono.......................................................................................................99Capitolo 17 La Gazzella ferita....................................................................................................102Capitolo 18 La principessa Hourì................................................................................................112Capitolo 19 Un grido nella foresta..............................................................................................116Capitolo 20 Nel cuore di Talos....................................................................................................124Capitolo 21 Luci impaurite.........................................................................................................127Capitolo 22 La canzone di Hourì.................................................................................................135Capitolo 23 Coup d’État.............................................................................................................138Capitolo 24 Presentimento oscuro.............................................................................................144Capitolo 25 Intermezzo..............................................................................................................148Capitolo 26 La luna di fuoco.......................................................................................................151Capitolo 27 Un Dio e una Shibartz..............................................................................................161Capitolo 28 Vele Nere................................................................................................................167Capitolo 29 Crollo......................................................................................................................175

Page 4: La Canzone di Hourì

Capitolo 1 Abit

-Al fuoco! Al fuocoooo! Altre grida si alzarono in risposta, violente quanto erano alte le fiamme che divoravano il

“Circo Itinerante di Balthazar”.-Al fuoco! Chi aveva buttato una sigaretta mezza spenta in mezzo all’immondizia? O era stata una

lampada rovesciata? Il fuoco aveva fame di stoffa e legno e il Circo era uno dei pochi luoghi dove trovarli, nella buia e sotterranea Babilonia! Gli animali strillavano di fronte all’avanzare del mostro insaziabile e una gabbia, la più grande, venne divelta da una forza incredibile. Una gigantesca sagoma nera si parò nel mezzo dello stretto spazio tra una tenda e l’altra, schiantandosi contro una delle roulotte a sei assi. In uno scroscio di vetri e di lamiere l’animale terrorizzato non si fermò, andando ad abbattersi contro il pilone di una tenda.

-L’elefante! E’ Scappato! -Fermatelo! -Dobbiamo abbatterlo! -Non dite sciocchezze! Calmatelo, calmatelo! -Aaaa! La tenda! ! ! L’elefante impaurito roteò su sè stesso, barrendo in maniera orribile. Da una larga ferita sulla

fronte sgorgava copioso sangue ed era evidente che avrebbe raso al suolo tutto il circo, se non lo si fosse fermato in qualche maniera.

Nel mezzo del cerchio di torce elettriche avanzò Balthazar, con i suoi pantaloni alla zuava bianchi, la giacca rossa da capo circo e con voce stentorea gridò: -Portatemi quel maledetto fucile!

-Ma... signore! -Silenzio! Volete che quella bestia ammazzi qualcuno! ? Molto riluttante un uomo con ancora mezzo trucco da clown in faccia e in testa una mezza

parrucca finta da calvo, in canottiera e mutande, si avvicinò portando un fucile che non sembrava essere stato molto usato di recente. Gli artisti del circo presero a gridare ancora più forte, con i secchi e le pompe in mano, ma Balthazar afferrò il fucile con sdegno.

Ma ecco che tutti si zittirono di colpo e lo stesso Balthazar abbassò stupefatto il fucile che già stava portando alla spalla. Una ragazzina era comparsa proprio davanti all’elefante. Indossava un gonnellino bianco, una blusa con le payette e dei sandali. Aveva ritorte corna sulla testa, appena sopra alle orecchie, e una sottile coda che spuntava sotto il gonnellino e giallastri capelli raccolti in una treccia.

Senza la benché minima paura si avvicinò ancora all’imponente animale, che smise di aggirarsi intorno come un folle, ma fissò con occhi accecati dal sangue la piccola figura. Quell’occhiata avrebbe gelato le membra e il cuore del più coraggioso del mondo, ma non fermò la ragazzina: continuò ad avvicinarsi lentamente, con le braccia ben staccate dal corpo e, se gli astanti avessero potuto guardarla in faccia, avrebbero scommesso che stesse sorridendo in maniera incoraggiante.

L’elefante indietreggiò improvvisamente, come se avesse timore dell’essere che non sarebbe arrivato neppure al suo ginocchio. Si bloccò, fissando come ipnotizzato la ragazzina; e quella finalmente arrivò tanto vicino da sentire il respiro dell’animale e toccare le sue zanne acuminate come trivelle.

Allungò una mano e toccò la proboscide: l’elefante aspirò l’odore della sua mano come se volesse risucchiarla tutta intera, ma poi dilatò gli occhi immensi, la pupilla perse ogni colore sanguigno e il gigantesco animale, roteando gli occhi all’indietro, cadde su di un fianco con fragore immenso.

-Avete visto? ! -È morto? !

Page 5: La Canzone di Hourì

-Cosa è successo? ! Gli artisti del circo scoppiarono a parlare tutti insieme e corsero incontro all’eroina, che

voltandosi con un grande sorriso esclamò: -No! Non è morto! Si è solo addormentato! Povero Alufreddu! - aggiunse; Alufreddu doveva essere il nome dell’elefante (che gli aveva dato Abit, ovviamente, altrimenti non sarebbe stato così strano) -Era terrorizzato ed esausto!

Ma il più veloce fu proprio Balthazar, ad arrivare. Con una faccia funesta afferrò senza troppa grazia il braccio della ragazzina ed esclamò: -E tu? Chi ti ha fatto uscire? !

La ragazzina lo guardò leggermente sorpresa e toccandosi (come faceva sempre quando era a disagio) la punta del corno sinistro, disse: -Dalla finestra, sono uscita...! Ho visto Alufreddu rovesciare tutto quanto, come potevo...!

-Dalla finestra? ! - urlò Balthazar, paonazzo -Farò mettere delle inferiate! -Ma signore! - protestò il secondo clown, che era poi quello con il fucile e la mezza parruca in

testa -Abit ha salvato il circo! -Vero! - si alzarono alcune voci -Se non era per lei, adesso si chiamerebbe “schiacciatino di

Balthazar” e non “Grande circo a tre piste”! -Silenzio, tutti quanti! - sbraitò il capo-circo -Voi lo sapete quanto mi... mi è costata questa

Oni, coda e corna tutte insieme? E se fosse stata schiacciata dalle zampe di Aufr... oh, insomma, questo dannato elefante? E se fosse fuggita? !

-Non è un buon motivo per tenerla in gabbia! - prese coraggio il secondo clown -È un essere umano come noi!

-Sacrosanto! - esclamarono diverse voci.-... e... ! - continuò sempre più infervorato il clown, di pari passo con il piegarsi minaccioso del

sopracciglio folto e cisposo di Balthazar -... se non fosse per il numero di “Abit, la principessa dei leoni” non ci sarebbe nemmeno più questo circo! Quindi io penso...!

-Pensi? ! - fece minacciosissimo Balthazar.A questo punto il clown si fece piccolo piccolo e Balthazar, aprendo la sua larga e cattivo

boccaccia, urlò: -Basta! Via tutti! Lo so io come si conducono gli affari qui! Cosa fate qui impalati quando abbiamo il fuoco sotto al culo? ! Sbrigatevi piuttosto a spegnere quell’incendio, ammasso di merdosi fannulloni!

Fu come se avessero ricevuto uno schiaffo in faccia, e, non volendo nessuno di loro che le proprie natiche bruciassero, sputando e imprecando si voltarono e di gran fretta si dedicarono a mettere mano a secchi, pompe e panni. Balthazar non aspettò neppure che gli sputi toccassero terra e, sibilando all’orecchio del secondo clown, mentre gli passava vicino, un velenoso: -Con te facciamo i conti dopo! - trascinò via la povera Abit.

-Che ti è saltato in mente, di lasciare la roulotte? ! - berciò -Lo hai capito o no quanti soldi ho dovuto spendere, per toglierti dalle mani di quegli schiavisti? !

-S-sì signore... - rispose Abit, guardando per terra -... ma io...! -Chi ti credi di essere, per il demonio! - sbraitò ancora -Ma siete tutti così, voialtri...! Non

avete idea, di che cosa sia la riconoscenza! E sputando continuava a ripetere tra sé e sé: “Umana! Figuriamoci”! Incurante delle fiamme che ancora alte si levavano nel suo circo (in realtà non vi era nulla di

“itinerante” in quel circo e anzi forse non era neppure un “circo” nel senso stretto del termine: chiamarlo “serraglio meccanico” era forse più appropriato.) e che gli orlavano di luci demoniache gli occhi la condusse fino al tetro, gigantesco edificio di acciaio che giaceva in fondo alla “pista” del circo e che Balthazar utilizzava come scenario per i suoi spettacoli. Illuminato di luci, in mezzo a fumi scenici, con i cavalli tirati su a frustate e il serraglio delle mostruosità recuperate un pò da tutto l’Impero quel palazzo disabitato faceva senz’altro il suo effetto.

Nel buio del dopo spettacolo era grande e bizzarro e anche un bel pò inquietante: a guardarlo troppo sembrava una grossa lucida testa, che stava reclinata su di un lato in mezzo a un mare di rottami. Le finestre erano orbite circolari vuote ed era fatta tutta di un bizzarro metallo spesso come la ghisa, ma che non prendeva la ruggine. Le piogge scroscianti che a volte irrompevano in quel sottosuolo artificiale (cisterne di acque fatte ricadere dall’alto per motivi sconosciuti sulla gente di là sotto, non vera pioggia) portando via addirittura persone e rottami, come una specie di alluvione, avevano lasciato tuttavia lunghe strisce nere sotto i suoi “occhi”.

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Balthazar aveva trovato quella struttura esattamente così, quando qualche anno prima era stato costretto, dalla “sorte avversa”, diceva lui, a scappare là sotto: e non era soltanto un fantastico elemento scenico. Una scala a pioli era appoggiato contro la finestra del “primo piano” e con fare brusco disse ad Abit: -Sali!

La povera Abit ubbidì svelta e quando fu in cima, nell’orbita cava alta quanto lei, il capo-circo veloce tirò via la scala e con voce severa berciò: -Starai là finchè non avrai imparato un pò di riconoscenza... piccola ingrata! E stasera non avrai nessuna cena!

E detto questo, abbandonò Abit da sola.Abit sbuffò, sedendosi sulla pelle di pantera sintetica. Un tempo la sua casa non era stata

diversa da questa, ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare un fatto simile. E infatti nessuno lo immaginava: erano tutti vuoti, tutti privi di fantasia nella notte di Babilonia. Forse qualcuno era stato anche gentile con lei, ma in fondo c’era sempre distanza tra di loro. Lei aveva le corna e la coda, non vi era nessun altro come lei, nelle sotterranee caverne di metallo di Babilonia.

Balthazar credeva che rinchiuderla lassù fosse una punizione; ma Abit era cresciuta nelle strade sommerse di metallo e quello era in realtà un posto sicuro, solo per lei, sopra i tetti delle case, tra antenne, cuspidi e comignoli fumanti, tra le torri diroccate pendenti sulle case e i cavi che dall’alto aggrovigliano il soffitto della città.

Balthazar credeva anche che Abit fosse una sua proprietà e che in quanto tale fosse prigioniera dentro al suo circo proprio come il baule che teneva sotto il suo letto. Ma anche in questo caso si sbagliava: non c’erano finestre, porte chiuse e sbarre che potessero tenerla rinchiusa. Abit andava semplicemente dove voleva e quando tutti al circo dormivano sgattaiolava via, vagando come un’ombra per le strade scure.

Erano pericolose le vie di Babilonia Bassa, anche per la “polizia”, ma non per Abit. Era veloce e agile come felino, i suoi sensi erano acuti come quelli di un leopardo, i suoi occhi vedevano al buio. Aveva visto cose tremende, come un “profeta” che gridava alla folla prima di essere calato in un pozzo da cui provenivano voci terribili, aveva visto bande di uomini deformi trascinare uomini nel fondo delle strade, aveva visto luci spettrali accendersi nelle vie che erano come tunnel di miniera, aveva visto la spietata polizia imperiale non comportarsi in maniera migliore di quelle turbe di gente deforme. Aveva visto anche le civette meccaniche astropati, ma esse non erano riuscite a predire il suo futuro, a determinare cosa avrebbe fatto. Aveva visto i soldati meccanici, orrendi mostri di metallo. Aveva visto tenebra e buio. Ma non aveva mai perso sé stessa nelle profondità marce della città.

Ma... un attimo! , direte ora voi. Se Abit poteva scappare dove voleva, perché non aveva già lasciato quel luogo tenebroso?

Ma dove altro avrebbe potuto andare, la povera Abit, che era sola al mondo, e conosceva solo la vuota oscurità di Babilonia?

-Abit! Abit! - chiamò una voce sommessa, che cercava l’impossibile risultato di richiamare e contemporaneamente di non farsi sentire.

Abit drizzò le orecchie e soprattutto lo stomaco; infatti in una sola cosa Balthazar poteva averla vinta: lassù non c’era niente da mangiare!

Abit balzò subito in piedi e nella finestra spuntò la bella testa di Ayane, che mettendosi il lungo dito sulle labbra, disse: -Ssstt!

Era stato un “commento” opportuno perché la sciocca Oni era già pronta a saltare al collo dell’amica gridando gioiose esclamazioni, che di certo avrebbero fatto scoprire Ayane e il suo grosso cesto. Era un cesto coperto da un panno e Abit non sapeva se guardare negli occhi la ragazza o il cesto.

-Smettila di dimenare quella coda! - sibilò Ayane, issandosi dentro all’orbita cava -Sembri un cane!

-Ayane Ayane! - esplose Abit, con quello che per lei era un mezzo tono di voce -Come sei buona Ayane cara! Hai portato a quella zuccona di Abit il prezioso cibo con il quale riempire la sua pancia senza fondo?

-Parla piano, ti ho detto! - berciò quell’altra -Se ti sentono verrai messa a pane e ad acqua per una settimana!

Questo bastò a far ricadere la coda alla Oni, renderla pallida come un cencio immerso

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nell’ammoniaca e farle venire due occhioni tristissimi che avrebbero commosso, forse, persino un soldato meccanico.

-Siediti! - ordinò Ayane, poggiando il cesto, al che la sciocca ragazzina subito obbedì, proprio come un cagnolino.

Ayane era praticamente la migliore, o meglio, l’unica amica di Abit. E quello era stato un bel passo avanti, perché la povera ragazzina non ricordava di averne mai avuti, di amici. Erano molto diverse però. Ayane più alta, di tre anni più vecchia, mentre Abit aveva solo quindici anni (cifra ricostruita tramite molti mal di testa di Ayane, perché Abit a momenti non conosceva nemmeno il concetto di “nascita”, quindi tanto meno quello di “compleanno”). Era bella, i capelli corti sempre in ordine, gli occhi sempre infuocati, dal taglio orientale, non erano rotondi e sciocchi (parole di Abit) come quelli della Oni. Era sempre ben vestita e aveva modi squisiti e a quasi aristocratici, e quasi nessuna pazienza.

Aveva portato mele, pane, miele, un bel pezzo di carne essiccata, una borraccia piena di acqua, fichi (sintetici). Praticamente tutto quello che era riuscita a svaligiare dalla dispensa (un grosso camion guardato a vista dal malmostoso cuoco del circo) senza che ci si potesse accorgere che mancava qualcosa. Un furto mirato. Ayane era la ragazza che faceva il numero con i tre, poveri e poco curati, cavalli del circo. Cercava lei stessa di tenerli come si deve, ma Balthazar non era molto propenso a spendere denaro anche per gli animali, che pure assicuravano le entrate del circo, e quindi erano tuttavia magri e tristi.

Più di una volta Abit, nonostante il suo grande e inutile testone fosse totalmente pieno di aria (parole di Ayane), aveva trovato molto bizzarra la sua amica. Aveva sempre conosciuto persone dallo sguardo triste, nelle profondità di Babilonia, perché il buio si era così profondamente conficcato dietro le loro orbite, che ogni vita veniva risucchiata come da un buco nero, ancora prima di uscire lampeggiando dagli occhi. Invece i suoi occhi erano fieri e possedeva agilità e grazia in egual misura.

Veniva da fuori, questo era certo, da un posto molto lontano, che prendeva i contorni di una fiaba. Anche i suoi vestiti erano diversi: diversamente dall’accozzaglia di palandrane, mantelli e kaftani di un solo colore della gente dei tunnel, lei indossava un corpetto di cuoio e brache da cavallerizza, stivali di pelle e una curiosa veste molto colorata che non era né un mantello né un kaftano né una palandrana, dalle ampie maniche, legata alla vita da una fusciacca rossa, che, come le aveva rivelato, serviva anche “per non mostrare quello che aveva sotto”... questa notazione aveva incuriosito Abit. Cosa voleva nascondere? E perché?

Intanto proprio i fieri occhi di Ayane la fissavano, finché la ragazza sbuffò: -Mangia piano! Possibile che tu non abbia ancora imparato le buone maniere?

-Mha ahyanhe charha, ah choesa mhi sehre... - prese a dire con la bocca piena Abit.-O parli o mangi! - sbottò Ayane.Abit mandò giù diligentemente il boccone e disse: -Ayane cara, a cosa mi servono le “buone

maniere”? Non c’è nessuno che ci vede e poi...! -Le buone maniere devono essere completamente connaturate alla vita di una signora che si

rispetti! - esclamò la ragazza, spazientita -Anche nel mezzo di un accampamento di beduini, senza cibo nè acqua, una vera signora deve brillare per i suoi modi superiori, per la sua grazia innata, per il suo...!

Abit, questa volta per disagio, toccando il corno rispose: -Perché non capisco mai cosa vuoi dirmi? Parli troppo difficile Ayane cara!

-Dico... - fece lei, rabbuiandosi -... che non hai mai pensato di andare via di qui? -Andare... via dal circo? ! - fece sorpresa Abit.-Abit! - disse Ayane, avvicinandosi con due occhiacci infervorati -Qui ti trattano come un

animale da soma! -Ma Ayane, se andassi via... non potrò mai più rivedere il “nonno”! Ayane si risedette, e, incrociando le braccia sul petto, disse: -Nonno! Sono io che non capisco

di che cosa parli! Come puoi avere tu, un “nonno”? -Ayane cara, come puoi dire questo? - si scandalizzò Abit.-Lo dico perché... - scelse con cura le parole -... perché non ti ha comprato dai mercenari, da

quei “cacciatori di ratti”, il nostro sudicio Balthazar?

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Abit divenne triste e raggomitolandosi nella sua pelle di leopardo voltò le spalle ad Ayane e chinò il capo, verso il pavimento. Allora Ayane si grattò la testa a disagio e avvicinandosi disse: -Ah, scusa, Abit! Ho parlato troppo!

Abit non voleva risponderle.-Su, Abit! Ho detto che mi dispiace! Abit si voltò, con un grosso lacrimone sull’orlo dell’occhio, e disse: -Mi manca tanto il nonno!

Appena posso torno a visitarlo, ma ogni volta è sempre più opaco! Io credo che sia ammalato! -Di che parli? - fece Ayane, sorpresa e la sua faccia diceva: “opaco”? ! Tra un “sigh” e l’altro Abit disse: -Andava tutto bene, prima che arrivassero quegli uomini,

quei malvagi! Mi misero in un sacco e al mercato degli schiavi l’uomo con la cicatrice, urlava: “guardate, una ragazza con le corna! Un’antica Oni! Una razza estinta, per voi! Non vorreste metterle le mani addosso? ” e c’erano uomini orrendi che mi fissavano con occhi pieni di cupidigia.

Ayane le poggiò una mano sulla testa e la ragazzina continuò: -Poi c’era Balthazar: offrì molte di quelle cose luccicanti e mi prese, e mi portò qui, morta di paura! Per giorni non ho osato uscire, ma poi, quando ho capito che gli uomini non sapevano che potevo fuggire, e che Balthazar dormiva come un orso-kraken, la notte...

Ayane fece una strana faccia, ma Abit continuò con decisione: -... ho cercato di tornare dal “nonno”. Mi mancava tantissimo! Ma dov’era il pozzo verticale, su cui serpeggiava il serpente di fuoco? E il buco nella parete, e il tunnel? Non ero mai stata in questo posto così lontano!

-Buco? Tunnel? - fece Ayane, che non capiva nulla.-Il buco che porta al tunnel! E da là al luogo dove vivevo con il “nonno”! - replicò Abit -Per

molto tempo ho cercato il luogo esatto, e ora l’ho trovato! Mi metto in marcia nella notte e torno a “casa”, e il “nonno” è ancora là, che mi aspetta... ma è così pallido, cara Ayane! Cosa posso fare?

Ayane, di fronte a tutta quella massa di dettagli troppo precisi, parve finalmente credere alla sue parole; quindi esclamò: -Pallido? Malato? ! Non c’è tempo da perdere! Perché non me ne hai parlato prima? !

-Avevo paura a parlartene, perché se padron Balthazar o gli altri uomini lo venissero a sapere...! - rispose Abit, con un triste faccione, pieno di significati reconditi.

Ayane sospirò; ma una strana espressione passò per un attimo sul suo viso. -Io non ti tradirò, Abit! - disse.

E Abit balzò in piedi e la abbracciò, strappando il respiro alla ragazza. -Come sei buona, Ayane! - gridò.

E Ayane, mettendo una mano sulla testa di Abit, rispose: -Non sono affatto buona, Abit...! Piuttosto sbrighiamoci, queste canaglie del Circo saranno occupati ancora un pò con quel fuocherello...

Abit sentiva ancora diversi strepiti provenire dall’esterno, ma non era sicura che tutto quello si potesse definire un “fuocherello”. Sentiva anche il suono in avvicinamento di sirene, che però non erano affatto capaci di sovrastare le bestemmie di Balthazar.

-... possiamo sgattaiolare fuori senza che ci facciano troppe domande! - concluse Ayane.-Oh, Ayane cara! - esclamò Abit -Vuoi venire ad aiutare il nonno? Non hai paura di Balthazar? Ayane si voltò con un luccichio negli occhi e istintivamente si toccò nel punto dove la sua

“giacca”, lasciata apposta lasca, lasciava vedere una non piccola porzione del suo generoso seno stretto nel corpetto1: -È lui che dovrebbe avere paura di me, nel caso!

Babilonia era costruita su strati e strati di città, che soffocavano ogni cosa. La luce al secondo livello era stata tolta molti anni fa, tanti che nessuno poteva ricordarli. Abit non aveva conosciuto altro se non i lampi elettrici dei treni a monorotaia, le caverne e i tunnel che erano divenuti le strade e i vicoli, dopo che palazzi su palazzi erano stati costruiti gli uni sugli altri, come funghi cresciuti a caso su di un tronco marcio. Molte aree erano abbandonate, cadevano a pezzi, alcune erano allagate permanentemente e altre erano al buio da sempre. Si vociferava di intere comunità di uomini che erano state tagliate fuori dal mondo e che vivevano come universi

1 Quella tenuta era anche la tenuta di scena di Ayane: sapeva bene che i visitatori pagavano non solo per vedere le sue piroette sui cavalli.

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separati da secoli.Ma Ayane conosceva un mondo diverso, che non era fatto di metallo e buio. Perché Ayane era

venuta là sotto, dunque? Quando Abit lo aveva chiesto Ayane non aveva risposto, ma nel fissare la sua schiena muta la ragazzina aveva compreso che quella sua “palandrana” nascondeva di più che non le sue morbide curve.

E ultimamente era sempre sul chi vive e sempre meno sopportava quella catacomba chiamata Babilonia.

C’era un basso muretto, in fondo al Circo, che confinava con la monorotaia del treno. Da là era possibile “uscire” e, tramite un passaggio oscuro che correva sotto i binari raggiungere una corte dove si affacciavano palazzi diroccati, invasa completamente di detriti. Da quell’angolo, tra due creste di palazzi spezzati, si alzò vero l’alto una colonna di fiamme laggiù, attraverso l’aria nera, la ragnatela di palazzi pendenti e di gallerie. E Abit disse: -Ecco, quello è il serpente di fuoco!

Ayane rispose: -È la scia di uno degli ascensori! I bordi di metallo sferragliano sui cavi ed è così veloce che sprizza scintille di fuoco!

-Ooo! - disse Abit, ammirata. Ayane era molto intelligente, lei di sicuro non sarebbe mai arrivata a capire che quello non era un mostro mitologico. Con la sua intelligenza sicuramente avrebbe potuto fare qualcosa per il “nonno”.

-Dal tunnel si vedeva sempre la colonna di fuoco... - disse Abit, camminando veloce tra i rottami; i suoi occhi ci vedevano bene al buio; Ayane doveva invece portare una torcia dalla luce azzurra -... e fin da piccola credevo si trattasse di un drago! Se lo usiamo come punto di riferimento arriveremo a “casa” facilmente!

Ayane non rispose; attraversato un lungo “tunnel” (in realtà uno spazio scavato sotto alle macerie) entrarono in un grande anfiteatro, uno spazio vuoto sopra cui si inarcavano grandi condotti, simili a vermi giganteschi, che si intersecavano tra di loro come trama e ordito. Dentro vi erano passaggi e strade, senz’altro, e anche case, lampioni e uomini dal volto sfatto. Incessanti cascate di acqua nera cadevano dall’alto sul fondo dell’anfiteatro, il cui pavimento era sommerso da tre metri buoni di acque. Detriti galleggiavano dovunque ed era facile scambiarli per un pavimento vero. Una diffusa luce azzurro-verde proveniva diafana dall’alto, come un tetto di smeraldi. Abit disse: -Attenta, cara Ayane! Seguimi e metti il piede sul posto dove lo metto io, altrimenti affonderai! E stai attenta ai cosi-tutta-bocca!

-I cosi... tutta-bocca! ? - esclamò Ayane, preoccupata.-Se non cadi in acqua non cercheranno di prenderti! - disse allegramente la ragazzina,

saltando come una cavalletta-ragno da un grumo di detriti all’altro.Ayane ci mise un bel pò più di Abit a superare le acque nere ma alla fine la raggiunse sul

bordo di cemento marcio; diritto davanti a loro c’era un altro tunnel, vuoto e abbandonato. Abit le fece strada. Era vuoto e gigantesco e l’eco dei loro passi si rifletteva in mille suoni tutt’intorno. Ayane cominciava a divenire nervosa, ma Abit improvvisamente trillò: -Ecco! - e indicò un buco nel muro, alto dal suolo circa cinque metri.

-Dobbiamo infilarci là dentro? - fece Ayane, con un filo di voce.-Ehm, temo di sì... - rispose Abit, cercando di mettere su una faccia promettente. Per Abit

infilarsi in un tunnel buio e marcio e vagare dentro a un labirinto di passaggi era il suo mondo naturale. Era il suo modo di sopravvivere.

Percorrere i tunnel che conducevano alla sua “casa” fu come un camminare nel vento.-Aspetta, Abit! - esclamò Ayane, che era rimasta indietro. Su in cima c’era della luce, bassa e

bianchiccia. Quando arrivò scoprì che Abit era già scomparsa. Si trovava in un ristretto ambiente, con altissime pareti intorno e in cima una luce che calava dall’alto. Una specie di intercapedine tra due muri, insomma. Ayane vide che non c’erano altre uscite, se non proseguendo avanti. Si augurò che la sciocca Abit sapesse quello che faceva, ma a ben vedere i suoi erano pensieri vani. Come poteva Abit essere minimamente affidabile?

Il materiale di cui erano composte le pareti non era cemento e neppure metallo; una qualche forma di ceramica, forse. Non aveva mai visto materiale come quello negli strati profondi di Babilonia. Forse quella era veramente uno di quei luoghi leggendari, un luogo rimasto separato dalla città man mano che questa si espandeva caoticamente. Abit era un Oni, e di Oni non ce n’era neppure uno in tutta Babilonia, per quanto nei recessi più oscuri vivessero ogni sorta di

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creatura mutata. Molti, anche al circo, pensavano che un Oni fosse un umano degenerato, uno di quelle creature che si aggirano nelle tenebre per predare gli umani, e che i “cacciatori di ratti” inseguono nei cunicoli, quando il conto dei morti comincia a salire vertiginosamente.

Ayane era però sufficientemente istruita da sapere che in realtà gli Oni erano stati una razza antica, che aveva regnato sul mondo molto prima dell’arrivo degli uomini. Erana una razza a sé stante, non una degenerazione del seme genetico umano. Anche al suo paese natale, lontano come un sogno, si raccontavano leggende di quella razza, ma neppure i più vecchi ne avevano mai visto uno vivo. E invece Abit lo era, viva e vegeta, corna e coda. Ma che cosa ci faceva a Babilonia? Era l’ultimo esemplare della sua razza? O esisteva sul serio questo “nonno”? Ayane non si nascose, mentre esaminava il passaggio, sperando di trovare traccia della sciocca ragazzina, che le sarebbe molto interessato incontrate un vecchio esponente di quella leggendaria e antica razza.

Trovò un’apertura, sulla sinistra, una porta perfettamente intagliata nella ceramica, con le cerniere lucide, aperta verso il vuoto e un vento forte di là, un lavoro di mani esperte. Passò la soglia e quello che vide la lasciò per qualche secondo completamente terrorizzata.

Era una larga fenditura tra due muri, ma questa volta non vi era un fondo. Era come un crepaccio, che scendeva tra cavi e antenne, lontani laggiù, verso luci distanti, come un oceano sotterraneo dove nuotano meduse fosforescenti. Un vento gelido spirava dal basso e su tutte e due le pareti del crepaccio correvano protuberanze, rientranze, con finestre, oblò, aperture oscure, come una città sospesa nel vuoto. Ma più di tutto era spaventoso, tanto da agghiacciarla sul posto, il gigantesco rottame che stava incastrato tra le due pareti. Un enorme umanoide, alto forse più di trenta metri, bloccato tra le mura nell’atto apparente di arrampicarsi. Le braccia di metallo rigide, le dita di metallo conficcate ancora nella ceramite. La parte inferiore del corpo era scomparsa: un orribile squarcio seghettato subito sotto la vita. La testa era conica, umanoide, con due grandi buchi rotondi dove avrebbero dovuto esserci gli occhi.

Ayane non sapeva se respirare o no, ma poi capì che il “mostro” era disattivato, spento, morto da eoni. Eppure la sua sola vista la terrorizzava, come la vista di ossa fossilizzate riemerse dall’abisso del tempo evoca il ricordo ancestrale dei mostri preistorici che terrorizzarono i primi mammiferi. Si accorse solo dopo un pò che, dalla porta dove si trovava, c’era una passerella di legno che correva lungo il muro. Legno, legno vero! E la passerella arrivava davanti alla testa del mostro e con un ponte sospeso, di legno e corda, vi si infilava dentro, nel foro ogivale che era la bocca.

E con sua immensa sorpresa vide la testa sciocca di Abit sporgersi dall’occhio (dentro vi era una tenue luce, che faceva diventare Abit una silhouette nera) e agitare la mano e gridare: -Ehi! Ayane! Vieni!

-Vieni Ayane, vieni! - gridò ancora Abit, da un punto imprecisato all’interno. Ayane era ferma sulla “soglia”, sulla bocca del gigante morto. La sciocca Oni non aveva paura di quel cadavere, ma lei non sapeva decidersi ad entrare; pensieri come torrenti vorticavano nella sua testa. Babilonia, un mistero che nessuno poteva comprendere: da che abisso nero era risalito questo mostro? Che cosa si nascondeva nelle fondamenta di Babilonia?

Ayane non ricordava che vi fosse stato un tempo quando giganti come questo avessero camminato nel mondo!

E quindi, quanto era antica Babilonia? Dentro alla testa brillava l’opaca luce, che forse aveva acceso Abit. Questa illuminava un pò

all’intorno uscendo da bocca e occhi, come le finte teste di uccello delle feste dei morti Saimat dentro le quali si accendono candele. Una complessa struttura di legno era tutta abbarbicata intorno al gigante, che quasi perdeva i suoi connotati mostruosi, per diventare una sorta di grottesco edificio, di casa, o di roccia su cui poggiare instabili fondamenta. Da vicino era tutto ricoperto di antiche escrescenze, di funghi duri come pietra, di cristalli di minerale. Passerelle e casette si estendevano in ogni direzione, sopra l’abisso, intorno al suo corpo, come rami di un albero.

Non poche persone doveva aver vissuto là. Ma quanto tempo fa? Ed erano veramente Oni, come Abit?

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Finalmente un’invincibile curiosità ebbe la meglio sulla repulsione. Fece un passo avanti, era dentro, sotto la volta curva. L’interno era proprio come una testa, con due buchi nel soffitto, uno che andava su, dove c’era il “cervello”, l’altro al “naso”. E un pozzo nel mezzo del pavimento, che scendeva dentro al corpo. Non c’erano cavi, condensatori, pannelli, meccanismi, nessuna sorta di congegno. Era uno scheletro, ripulito per bene. Gli oggetti che avevano attirato la sua attenzione erano semplici mobili; una cassapanca, due sedie, un tavolino, e una dispensiera. Sulla dispensiera erano allineati in disordinato, ma religioso, ordine, diversi strumenti per intagliare il legno. Già, il legno. Dove lo avevano trovato i misteriosi abitanti di questo mondo remoto?

Un mondo nascosto dietro a un muro.Non c’era dubbio che quella nella testa fosse la casa più importante; era più grande, e vi

abitava quello che poteva essere un “artigiano”; oltre agli strumenti c’era sul fondo, contro la parete, una grande quantità di schegge di legno, trucioli e pezzi di legno grezzo, assi rovinate, bancali mezzi distrutti, ammonticchiati alla rinfusa. Da molto tempo nessuno toccava gli strumenti, lo diceva lo spesso strato di polvere che li ricopriva. Ayane si figurò che il “nonno” di Abit fosse l’unico artigiano rimasto in quella comunità. Dovevano essere rimasti chiusi là da chissà quanto... e dovevano essere morti uno dopo l’altro, di vecchiaia forse, o piuttosto di morte violenta: lontano dalle luci dei lampioni strisciano cose immonde, a Babilonia.

Forse erano diventati sterili, o erano poche le donne fin dall’inizio; tutta quella scena di abbandono, le case mezze cadenti, gli strumenti rimasti, pronti all’uso, sulle scansie, le dissero che Abit doveva essere l’ultima persona nata dopo molti anni, e poi non ve n’era stata più nessuna. Erano morti tutti, lasciando solo Abit. E il nonno. Degli strani pupazzi di legno, allineati sopra alla cassapanca, parlavano di come delle vecchie mani amorevoli avessero costruito delle rudimentali “bambole”.

Sciocca Ayane! La paura e l’insicurezza erano spariti tutti; una scala a pioli era appoggiata al foro che conduceva alla scatola cranica e di fretta vi si arrampicò. Il borsello con i pochi conforti medici che aveva “preso in prestito” dagli armadi del circo ballonzolò contro il suo fianco. Sperava ardentemente di poter fare qualcosa per il “nonno” di Abit, ma improvvisamente si accorse che non aveva sentito provenire voci da sopra, se non quella di Abit, né sonori colpi di tosse, né altro indizio che potesse far pensare che...!

Erano arrivate troppo tardi? Ayane balzò su, con il cuore stretto da una morsa, e Abit, voltandosi verso di lei, avvolta, o per

meglio dire, quasi auto strangolata, sommersa e ingarbugliata con una gigantesca coperta di vera pelle (e pelo! ) di chissà che animale, gridò: -Ayane, aiuto!

-Cosa succede, Abit? - gridò preoccupata Ayane.-Questa brutta coperta di Maru mi sta sommergendo! Ayane rimase costernata; e gridò: -Ma la smetti di combinare sciocchezze? ! E tuo nonno? ! Abit, con una faccia molto sofferente, smise di lottare con la coperta, e disse: -Non faccio

sciocchezze! Volevo coprire il nonno con questa... ma è troppo grande e pesante! Mi ha sommerso!

Ayane si calmò; disse rapida: -Dov’è il “nonno”? - e allo stesso tempo si guardò intorno, pensando di scorgere un letto, un giaciglio, un qualcosa del genere. Ma intorno vi era una scena del tutto diversa da quella che si aspettava. Per prima cosa, non c’era alcun letto. Ma una massa immonda e spaventosa di cianfrusaglie. Panieri, bandiere, scarpe spaiate, salvagenti, caschi da minatore, console di una macchina escavatrice, il core di una macchina per la comprensione del linguaggio, leggii, tubi di plastica, ceramica, legno e ferro, due taniche di pittura per astronavi, la lente di uno spettro-computer, tastiere e ombrelli, berretti in fibra, una tenda, uno sdraio, un oggetto quadrato con sopra un braccio con una puntina e un grosso affare come un fiore, una specie di megafono, un quadro parlante (rotto), una farfalla meccanica, il bulbo di una lampada, la vetrata di una serra, un tavolo pieghevole, cinque o sei ingranaggi, un pistone idraulico, sette portatovaglioli da bar, una corona di plastica con le gemme finte, una cesta piena di bulloni, chiavi e oscuri oggetti neri delle forme più disparate, il cuore fossilizzato di una cryo-balena cucciolo, la stampa su metallo della Battaglia di Al Jawf, un occhio artificiale con ancora il cavo di platino che penzolava, una rete da pesca, ganci per la caccia del Kraken, grossi dischi rotondi coperti di stagnola, un pesce-vassoio sbeccato, grossi magneti di radio, un telo mimetico e poi

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tanto altro che a farlo stare tutto in una sola occhiata sarebbe necessario un’enciclopedia di Heimskringla.

E una cosa ancora più assurda, al centro esatto di tutto questo caos. Una struttura che forse era di metallo, forse era di argilla, lucida come il ferro lucido, modellata come argilla, come una cosa di carne, o forse cresciuta come un tronco di legno. Era un cilindro fissato con nervature in alto e in basso, e reggeva come se fosse una colonna la volta cranica. Al centro, innestato dentro a grossi fasci di “nervi”, un unico occhio, una sfera, un punto luminoso opaco, che era quella fonte di luce che illuminava il teschio dall’interno.

E oltre a questo fatto meraviglioso, un’altra cosa vide Ayane, stupefacente. Che tutta la volte era dipinta; tra le nervature come di osso vero della calotta del titano, e le crepe e le increspature, una mano non del tutto abile aveva disegnato un intero mondo. I disegni più vecchi erano quelli più vicini a terra (infatti la volta era completamente disegnata, fino alla base), ed erano molto elementari. Rappresentavano certi animali, o esseri umani, oppure, esseri viventi, lunghi, filiformi, sospesi sopra spaccature, o senza piedi, intenti a volare dentro vuoti spazi, dove lampeggiavano come piccole stelle squarci di luce lontani.

Poi lo stile diveniva migliore, ed erano raffigurati degli uomini, e intricati disegni geometrici dentro ai quali essi si muovevano, come in una strana processione. Ma gli uomini non era raffigurati molto precisamente, come se l’ “artista” ricordasse la loro forma, ma non avesse un modello vero sotto agli occhi.

E poi ancora comparvero i mostri: esseri come vermi, esseri come lupi, esseri come pipistrelli. E c’erano colonne, porte, condotti tutt’intorno, che salivano verso la sommità della volta, e i mostri erano tutti assiepati intorno alle colonne e alle porte, e guardavano tutti in su, verso l’alto. E in alto c’era, in mezzo a uno spacco di luce nelle tenebre, una figura gigantesca e una figura piccolissima.

La figura piccolissima era una bambina con le corna; la figura gigantesca era un possente leone, con due code, tutto nero, con la criniera mossa, gli occhi di fuoco bianco.

Ayane fissò quasi come incantata quella figura, perché questo ultimo disegno era così vivo e potente da sembrare che la criniera si muovesse davvero. E Abit esclamò: -Ayane cara, ti piacciono i miei disegni? !

Ayane ansimò per la sorpresa; -Tutto questo... lo hai fatto tu? -Sì! -Ma cosa rappresenta? Abit fece un largo sorriso e i suoi occhi gialli baluginarono nella semi-oscurità: -Il Mondo! Poi si alzò di scatto, gettando di lato la coperta e correndo verso la bizzarra colonna nel centro

della sala, abbracciò la sfera luminosa e gridò: -Lo vedi, nonno, anche Ayane pensa che siano belli!

TONC, fece la borsa medica di Ayane, cadendo a terra.E la sfera luminosa rispose con un tenue scintillio.

Ascoltiamo la storia come ce la racconta Abit:Devi sapere, cara Ayane, che una volta Abit (Abit prese infatti a parlare di sé in terza persona)

viveva qui con altri; la piccola Abit si svegliava nel cuore della notte piangendo in silenzio, e vedeva figure nere curve sulle loro sedie. C’erano due, quando Abit era piccola, ed erano tutti e due vecchi. Erano una nonno e una nonna. Accarezzavano sul povero testone la piangente Abit e le chiedevano: -Che brutto sogno, hai fatto piccola?

Ma la piccola Abit non lo ricordava.Il nonno costruiva bambole di legno per Abit e Abit conosceva soltanto la casa costruita dentro

alla testa del gigante. Si arrampicava dentro all’ampio torace e saltava come una scimmia (la nonna aveva spiegato che le scimmie erano animali con lunghe braccia, pelose, che amavano appendersi dappertutto) da un piolo, da una scaletta all’altra.

-Nonna, cos’è un animale? - chiese Abit.La nonna sapeva molte cose e le spiegava alla piccola Abit.Ma un giorno il nonno e la nonna era così stanchi che non si alzarono dai loro piccoli letti; e la

nonna fece uno strano discorso ad Abit: -Ascolta Abit, fuori del gigante di metallo esiste un altro

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mondo, e oltre il cielo di metallo c’è un cielo ancora più alto! -Cos’è il ”cielo“ nonna? -Un luogo azzurro dove adesso i tuoi nonni andranno, e da dove vennero, molto tempo fa! -Nonna! Anche Abit vuole andare nel cielo con voi! La nonna sorrise, raggrinzendo tutto il piccolo viso in un grumo di rughe, e disse: -Ora non

puoi, piccola Abit! Non uscire ancora sotto il cielo, mille pericoli aspettano in agguato là fuori! Devi crescere, devi trovare qualcuno che ti accompagni! Oppure il nero Maruru ti prenderà, e sentirai il richiamo di Hora, il tetro oracolo di metallo, che nessuno di noi può mai ignorare!

-Cos’è Maruru? E Hora? Ma il nonno, che parlava sempre poco, disse: -Ascolta, nipote mia; sopra questa stanza,

ricordi...? -Nonno! - rispose Abit -C’è il posto dove mi hai sempre detto di non andare mai! Il nonno sorrise, ma non aveva nemmeno un dente per farlo. -Ora sei grande, ora puoi salire

lassù; vedi, il nonno non può più stare con te, come lo vedi ora, ma sarà sempre al tuo fianco... nella luccicante sfera blu...-

La nonna, parlando come in un sogno, disse: -Hora, l’oracolo che sta in cielo, la città oltre le nuvole!

Il nonno le prese la mano con le sue bianche mani levigate dalla febbre: -Porta con te la sfera blu, quando andrai fuori, sotto al cielo!

E la nonna, prendendo anch’ella le mani di Abit, disse: -E stai attenta al nero Maruru! E dopo di questo i nonni non parlarono più. Abit rimase per molte ore a fissarli, poi capì

finalmente che erano tornati in quel cielo che non sapeva nemmeno come immaginare. Allora, con immensa fatica, prese i nonni e li lasciò cadere nel pozzo aperto sotto i fianchi del gigante di metallo, perché così avevano detto di fare, ”quando fosse rimasta sola“. E Abit rimase molto sola, in verità!

Ayane fissò lo sguardo sul dipinto che riempiva tutto il soffitto, poi su Abit, poi sulla sfera luminosa. E disse: -E dopo che cosa successe?

E Abit disse: -Ho disegnato il Mondo!

Secondo racconto di Abit:Abit si sentiva molto sola. Cercò il suo cibo sempre più lontano da ”casa“ (animaletti incauti

che prendevano con le sue mani rapide come il pensiero), finché non trovò il condotto che conduce all’ ”esterno“. Allora scoprì un mondo pieno di esseri simili a lei, ma ugualmente diversi.

Osservava dall’alto le luci farsi più tenui, segno che era cominciato il ciclo notturno, e poi scendeva nei cunicoli e come un’ombra si infilava nei magazzini, con mani scaltre portava via mele, carne liofilizzata e pane sintetico. Aveva anche scoperto che esistevano certi posti dove il cibo era migliore: erano luoghi dove non si trovava da mangiare nella forma che lei credeva fosse quella normale, cioè dentro scatole sigillate, ma in forme che all’inizio le erano parse molto bizzarre. Il cibo veniva trasformato, dentro grossi contenitori, con acqua, fuoco e tutto un insieme di tecniche strane che erano risultate molto affascinanti ai suoi occhi cupidi. Osservava i cuochi nascosta dietro le grate superiori e andava in solluchero vedendo le loro mani affettare, tritare, mescolare e produrre squisiti piatti cotti, che emanavano un odore ben migliore e invitante che non le fredde scatole congelate.

Mentre un cuoco era voltato, una mano scendeva dall’alto e rapinava una bistecca in salmì. O addirittura faceva scendere un piede e con le prensili dita afferrava un dolcetto zuccherato o una mela caramellata. Con il cuore che minacciava di esplodere lo teneva poi tra le mani sporche e correva via, in un posto sicuro. Si riempiva la bocca per paura che qualcuno la sorprendesse e quasi si soffocava, ma il buon sapore le scendeva fin lungo le dita dei piedi, elettrizzandola tutta.

Qualche volta portava i “trofei” della sua caccia al nonno, ma lui non aveva mai molta voglia di mangiare. Abit alla fine doveva “sacrificarsi” e mangiare anche per lui. E un un pò alla volta la stanza del nonno si era riempita di ogni sorta di oggetti, tanto che il “letto” dove dormiva ne era quasi sommerso.

Raccontava per ore al ”nonno“ le sue avventure, e sempre nel suo cuore c’era la paura di

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incontrare il nero Maruru, dentro ai cunicoli bui, o sopra ai ponti sospesi nel vuoto. I suoi sogni, man mano che vedeva sempre più luoghi della tetra Babilonia, invece di riempirsi di colori, si riempivano di mostri. La volta della sua ”casa“ si riempì di creature orribili. Ma nel suo cuore non vi era soltanto la paura: in Abit divenne sempre più forte il desiderio di vedere il cielo, da cui venivano i nonni.

Tuttavia la gente di Babilonia conosceva il cielo tanto quanto lo conosceva lei; dove poteva trovare ”chi l’avrebbe portata sotto l’azzurro“? ! Allora nel centro della testa disegnò il prode Maruru; sulla sua criniera correva il cielo, e le sue code si snodavano tra le stelle. Le stelle, Abit! Quelle che hai visto in strani sogni di città sommerse nel cielo!

Maruru era diventato per lei un simbolo; non era più un mostro orrende, ma avrebbe portato un giorno Abit attraverso le tenebre, le avrebbe mostrato il cielo. Di questo era sicura.

Ma un brutto giorno era stata presa dagli uomini vestiti di nero e argento; cacciavano gli ”uomini bestiali“ che vagavano tra le rovine. L’aveva presa con una trappola e le loro risate sporche le avevano riempito le povere orecchie. Era stata gettata come un pezzo di carne da vendere al soldo sul bancone del mercante di schiavi. E Balthazar, con un ghigno e una smorfia, aveva aperto le cinghie della borsa. Per quattro monete scintillanti Abit era stata venduta e il cielo era diventato ancora più lontano, da sotto il tendone stinto del circo di Balthazar.

Allora Ayane sospirò, e disse: -Abit...! Non puoi più stare qua sotto! Non è il posto per te questo...!

-Ayane cara! - rispose -Ma di fuori esiste sul serio questa cosa chiamata ”cielo“? -Sì, esiste! -Tu lo hai visto? -Piccola sciocca, non esiste essere umano che non conosca il cielo! -Ma qui a Babilonia il cielo è solo un soffitto! -Allora dovrai uscire e vederlo con i tuoi occhi...! -E tu mi accompagnerai, Ayane? Ayane respirò a fondo, e infine disse: -Va bene, ti accompagnerò! -Dovremo portare con noi il nonno, allora! - esclamò la Oni, balzando in piedi, piena di

energia.Ayane non era sicura che fosse una buona idea; che cosa poteva mai essere quella sfera

luminosa, piantata dentro al cervello di un gigante di metallo morto? Ma Abit aveva degli occhioni così spaventosamente luminosi, che pareva che dentro di essi si

stessero accenendo le galassie, che esclamò: -Ma come faremo a estrarlo da quella colonna? -Mmm... - disse Abit, tenendosi il mento con le mani e cominciando ad ”armeggiare“ con i

piedi con uno stilo di bachelite che giaceva là per terra.-Se usassimo un punteruolo? - disse alla fine.-Incredibilmente logico, da parte tua! - esclamò Ayane.-Ayane, perché dici questo? Sembra che la povera bocca di Abit sia in grado solo di dire

sciocchezze! -Perché, per la maggior parte del tempo non è forse così? E no, non penso che sia in grado di

dire solo sciocchezze, ma di essere in grado soltanto di mangiare come un syam gigante! -Ayane! - strillò sconcertata la povera Abit.-Vediamo piuttosto se abbiamo qui qualcosa per... - disse invece la ragazza, ignorandola, e si

mise a frugare nella borsa. E in breve ne tirò fuori uno scalpello che si usava per i malati mentali, per qualche sorta di inquietante cura che Ayane preferiva non conoscere.

Si alzò, si avvicinò con lo strumento in mano alla colonna e con una certa apprensione provò a infilare l’aggeggio tra la sfera e la superficie. La sfera non diede alcun segno di essere contrariata... Ayane si diede della stupida. Cosa poteva capirne, una stupidissima palla luminosa?!

Lavorando con una certa perizia riuscì a scavare tutt’intorno alla sfera, sotto lo sguardo preoccupato di Abit, e in mezzo ai suoi gridolini di ansia ogni volta che dava un colpo che le sembrava troppo forte. E infine la sfera venne via, in un colpo solo e Ayane l’afferrò per un pelo prima che cascasse per terra.

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-Hai estratto il nonno! - esclamò Abit.-Vuoi smetterla di chiamarlo ”nonno“? - si spazientì Ayane.Nelle sue mani la sfera era calda: diede una rapida pulsazione.Ma ecco che dall’esterno si udirono dei suoni, lo scalpiccio di piedi calzati negli stivali, il

rumore di caricatori fissati nei fucili! Ayane si alzò di scatto e corse all’occhio del gigante.

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Capitolo 2 Maruru

Molti uomini venivano dalla passerella, mantelli scuri, le facce dipinte di nero, armi a bassa tecnologia strette in pugno.

“Cacciatori di ratti! ” imprecò mentalmente Ayane.Si girò rapida verso Abit, che la stava ancora fissando stupidamente e con un sibilo disse:

-Siamo fregate! -Eh? - fece la sciocca Oni.-Sono i cacciatori! - imprecò Ayane, a mezza voce, prendendola per una spalla.I poveri occhioni di Abit si dilatarono considerevolmente.(Da fuori viene il rumore di caricatori che schioccano e di parlottare nervoso)-Venite fuori, donne! - gridò una voce cattiva e raspante.-Come fanno a sapere che siamo qui? ! - disse Ayane, torcendosi le mani -Ci hanno seguite?

Ma come facevano a sapere che...! -Venite fuori! - ripeté la voce.Abit toccò la manica del vestito di Ayane e lei si volse a guardarla. -Non possiamo fuggire di

qui! - disse con una nota di isteria nella voce la ragazza, ma la Oni scosse la sua testa cornuta, e disse: -Scendiamo dentro al corpo del Gigante!

-E dove andremo a finire? Ci lanciamo nel baratro? - rispose secca Ayane -Meglio che finire vive nelle mani di quegli animali! È questo che vuoi fare?

-C’è un modo! - rispose Abit.-Cosa? - esclamò Ayane, subito attenta.-C’è una passerella, che da fuori non si vede, che collega la pancia del gigante con le casette

sull’altro lato! E poi c’è un passaggio! - disse in fretta.-Stiamo entrando! Farete meglio a essere “pronte”! - gridò in maniera sguaiata la voce

(mischiata a risatacce e a scalpicciare affrettato di stivali).-Andiamo, Abit! - esclamò allora rapida Ayane -Fammi strada! Abit scese come un lampo giù dal cranio e Ayane le fu dietro, quasi altrettanto agile.

Balzarono giù nella sala della “bocca” e intravidero il primo uomo che faceva capolino sulla soglia. Ma prima che potesse sollevare l’arma erano già saltate dentro al pozzo nella gola del Gigante.

Rapide scalette conducevano giù, tra i polmoni e le viscere fossilizzate nel metallo. Abit balza-va come una fiera inseguita, senza mai fallire una presa e un balzo nel vuoto, nell’oscurità. E Aya-ne saltava dietro a lei, alla cieca, afferrando solo all’ultimo momento una sbarra o uno scalino in-visibile, fidandosi dell’assoluta sicurezza della Oni.

(Da sopra le loro teste vengono bestemmie, grida e il rimbombo di corpi pesanti che si affrettavano).

Improvvisamente il vento freddo e la luce incerta soffiarono loro in faccia: l’abisso si apriva di sotto, agitato di vaghi fuochi fatui.

-Qui! - gridò Abit, afferrandosi a una corda legata alla passerella, che scendeva diritta verso il basso, in diagonale, che faceva la funzione di corrimano. Più che una “passerella” era piuttosto un ponte di corde e così sospeso sul vuoto innominabile, precario come un ponte di rami secchi, ondeggiava nelle correnti dall’abisso. Abit si aggrappò con mani e piedi come una scimmia, scivolando giù e Ayane le balzò alle calcagna, solo di poco meno veloce, ma di certo molto più terrorizzata.

La corda vibrò, perché era vecchia ed era sottoposta a un peso eccessivo per la sua consunzione, ma non si spezzò. Ayane non guardò né a sotto né sopra, fissò lo sguardo solo verso l’altra estremità. Erano state montate altre casupole di legno alla rinfusa, appese alla parete in maniera terrorizzante e la corda si infilava proprio dentro a una “finestra”. Abit saltò dentro e si udì un grande fracasso di legno spezzato e un sottile grido di sorpresa. Un denso polverone sbottò fuori dell’apertura dove Abit era “caduta” e sommerse Ayane, accecandola. Ma non si fermò e balzò a sua volta dentro alla costruzione.

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-Abit! - gridò Ayane, tossendo, e afferrò, mollando la corda, un qualche piolo di legno; mise il piede alla cieca su di un sostegno. Non riusciva a vedere nulla.

La voce di Abit venne da sotto di lei, gridando: -Ah! Il pavimento si è rotto! Sono qua sotto...! Che male per il povero didietro di Abit!

-Non vedo niente! - gridò Ayane... e non le importava proprio niente del “povero didietro” di Abit! Un sibilo... schegge di legno schizzarono da tutte le parti! Altri proiettili saettarono alla cieca. Nel fumo del crollo che si diradava Ayane vide, in alto, il Gigante da sotto, e tutta l’area del suo ventre aperto piena di uomini che agitavano fucili e bestemmiavano. E già uno di loro era stato spinto a calci a scendere lungo la passerella, lento e con gli occhi strabuzzati sotto la tintura nera della faccia.

Ayane lo fissò negli occhi, nonostante la distanza; afferrò il coltello che teneva nascosto nel corpetto e prese a tagliare la corda. Altri spari fioccarono intorno a lei e l’uomo sulla passerella si bloccò, gridando. Ma Ayane non si fermò e con un ultimo sguardo vide la corda spezzarsi e l’uomo precipitare nel vuoto con un grido orrendo. I fucili tuonarono e Ayane saltò giù nel buco prodotto dalla caduta di Abit, in mezzo a un volare di schegge di legno sollevate dagli spari.

Era tutto buio là sotto, umido e c’era un tanfo di cose morte. Una mano l’afferrò dal nulla e gli occhi di Abit luccicarono. -Di qua, Ayane!

Venne trascinata dentro a cunicoli di solida tenebra, dove il tempo e lo spazio erano annullati. Almeno fino a quando non diede una violenta testata contro un ostacolo che non poteva vedere.

-Abit! , aspe...! - gridò, ma la Oni era divenuta forte come un gigante, sotto la spinta della paura.

E un altro oggetto duro, metallico, in faccia! -Abit, fermati, maledizione! - Ayane strattonò violentemente la mano di Abit, e la Oni la mollò,

ma... ma cadde lungo distesa in quello che pareva un pavimento coperto da muschio e cose limacciose e... perse del tutto il contatto con la ragazzina.

Cercò di rialzarsi in piedi, ma scivolò e ricadde pesantemente. Improvvisamente si accorse di essere rimasta sola.

-Abit! - chiamò, ma le rispose solo il silenzio.Non puoi morire come un topo dentro alla schifosa Babilonia, Ayane! Si riscosse chiamandosi da sola per nome, forse addirittura ad alta voce. Si trascinò fuori dalla

zona melmosa, si rimise in piedi, o quasi, visto che il “soffitto” era molto basso. Proseguì nel vuoto, a tastoni, e poi chiamò ancora: -Abit!

Ma si fermò di botto. Sopra di lei... suono di passi; e poi voci, prima distanti, infine vicine.-... maledette puttane! - venne come uno spettro la prima voce.-... abbiamo fatto bene a... - non comprese il resto.-Il capo è furbo! - disse un’altra, poi una serie di parole incomprensibili, e: -Valeva la pena

rimanere in questo buco ad aspettare! -Erano i cacciatori di ratti. C’era forse un altro gruppo, dall’altra parte del baratro? Ayane non

sapeva nemmeno su che lato della spaccatura fosse. Ma come facevano a sapere che Abit sarebbe tornata?

Le voci, avvicinandosi, le risposero.-Quella grossa pietra! - disse una -Tutta luccicante! Ha bruciato la mano del capo, quando

abbiamo provato a tirarla fuori! Ayane toccò la borsa; c’era ancora, non era caduta in uno dei suoi numerosi salti di qualche

minuto fa. E dentro c’era la sfera, il “nonno”. Ma lei non era stata bruciata! -È furbo, il capo! - ripeté un altro -Io non avrei mai detto che sarebbe venuto qualcuno, per

riprendersela! Ayane cominciò a capire che gli uomini erano un “livello” sopra di lei; grazie alla loro voce

provò ad orientarsi e prese a camminare lentamente. Era come un pipistrello, che usava le voci dei cacciatori come un sonar.

Alcune parole vennero meno nitide, e capì che si stava allontanando; tornò indietro e poi... -... un cane! Ecco cosa sei! E volevi... - parole confuse e poi un’altra voce: -E se non era per il capo, sarebbe saltato fuori su quelle due puttanelle subito!

-Ma quella...! - disse una nuova voce -... ma quella con i capelli neri, con gli occhi orientali!

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Le voglio mettere le mani addosso, e sbatterglielo dentro finché non mi cascano le palle! Quindi erano già là, i cacciatori, che le spiavano dal buio, quando erano arrivate! Il pensiero le fece salire un conato di vomito e l’ambiente puzzolente e nero dove era infilata

come un verme non l’aiutò di certo a respingerlo indietro. Ecco che però una vaga luce cominciò a sbiadire il buio... c’era una grata, nel “soffitto”. Le ombre si muovevano al di sopra, sostando il peso da una gamba all’altra.

-Te le potrai fare come vuoi! - disse una voce bassa -Anche quella più piccola! -Phua! Quella con le corna è maledetta...! Non è una donna! -Ah ah! Come non è una femmina? Ma se non la vuoi tu, allora ci penso io...! Altre orribili risate; Ayane si disse: “Dove diavolo è finita quella stupida Abit? ”. Ma ecco che

un urlo, e un fischio, e uno degli uomini gridò: -La mocciosa! È il segnale! Con un pò di fortuna ha lei la stupida pietra...! -

-Io voglio quell’altra, di donna! -Intanto corri, prima che il capo non ti spacchi quel tuo culo a calci! Gli uomini corsero via, passi pesanti e rimbalzare di secco ferro delle armi contro il corpo.

Abit! Ayane doveva correre... ma anche se l’avesse raggiunta, cosa poteva fare con un solo coltello contro tutti quegli uomini, armati di fucile?

E rimase colpevolmente immobile, per alcuni eterni secondi. Abit aveva detto “come sei buona Ayane”! Sciocca ragazzina! Si mosse... la maledetta Babilonia sarebbe divenuta la sua tomba. Ma non sarebbe finita nelle loro mani viva. E molti di loro, i primi che si fossero distratti, con la schiena contro un cunicolo buio, sarebbero morti con lei.

Abit aveva perso Ayane. E anche lei stessa, incredibile a dirsi, si era persa. Non conosceva affatto quei cunicoli. Come era possibile? Pensava di conoscere tutta la sua “casa” a menadito... ma i livelli più bassi, dove strisciavano proto-kraken e altre bestie pericolose, erano sempre rimasti fuori dalle sue scorribande. E là sotto era molto buio... e nel buio cacciava il nero Maruru.

Maruru l’avrebbe colta nel buio e l’avrebbe mangiata. Un solo boccone. Come faceva lei con le mele caramellate.

Se invece l’avessero presa gli uomini le avrebbero fatto cose orribili delle quali non aveva nemmeno l’idea, e solo dopo l’avrebbero uccisa. Come aveva visto fare con i pesci nelle cucine. Con il coltello.

O si sarebbe persa nel nero vuoto e non avrebbe più visto la luce. Sarebbe diventata prima un corpo mummificato, come cartapesta. Poi solo suono e infine nulla, un “Abit”-nome, che fluttuava dentro alle tenebre, incapace di fermarsi in nessun luogo.

Era di gran lunga meglio farsi mangiare da Maruru! Pensò così, fermandosi per un attimo dietro a un angolo. Quattro aperture la circondavano. Da una era venuta, una di fronte conduceva dentro a nuovo buio, dalla terza veniva un distante sgocciolare di acque e un ronzio inquietante, l’ultima era così invasa di muffa e di funghi delle profondità che l’intero vano ne era occluso.

Non sapeva decidersi, così si accoccolò per terra, la schiena contro la parete, fissando i grossi funghi bianchicci. E tra un grosso “SOB” e un ancora più grosso “SIGH” immaginò che presto sarebbe morta, dove nessuno l’avrebbe mai cercata, e neppure trovata, se era per quello, anche se nel grande mondo (e che cosa ne sapeva del grande mondo? ) ci fosse mai stato qualcuno che si preoccupasse di lei.

I suoi miseri e magri (perché sarebbe morta di fame, questo è ovvio, e questo la spaventava più di ogni cosa) resti sarebbero stati inglobati dalla massa di muffa fungoide e sarebbe divenuta tutta bianca, come loro. No, no, Abit, scaccia questi orribili pensieri dalla tua povera testa! , si disse scuotendo le corna.

Maruru, il nero Maruru sarebbe venuto; e l’avrebbe mangiata? No, perché Maruru era un prode. Non poteva aspettarsi che Ayane la aiutasse, perché anche lei era una ragazza e gli uomini grossi e malvagi. Ma Maruru era grande, forte, spietato: tutti i mostri delle profondità avevano paura di lui, egli era il Re. Cavalcava nei sogni, era il cacciatore supremo, il mangiatore di incubi: cacciava il giusto e il cattivo, il giovane e il vecchio, il forte e il debole.

-Maruru! Maruru! - chiamò Abit nel buio e per qualche attimo le parve che il buio stesse per risponderle. Ma il suono che rispose invece subito dopo furono stivali in corsa e la ragazzina

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scattò in piedi, confusa. La luce chiazzata di una torcia elettrica lampeggiò in fondo al tunnel nero e gli uomini, che l’avevano sentita gridare, vennero. E molti altri, indietro, lungo il tunnel dove sgocciolava l’acqua, stavano arrivando.

Abit scappò nel condotto da dove era venuta, inciampando e quasi cadendo, nonostante la sua agilità, perché improvvisamente la paura la rendeva goffa. A destra, a sinistra, e poi finì quasi in braccio al primo degli uomini, che gridò in maniera sorda un singulto sorpreso. Abit si scostò e si infilò in un cunicolo dove sarebbe passata solo lei, ma dietro di lei le grida erano altissime.

-Dove diavolo è finita? -Di là, da quel condotto! -Prendetela, che Labartu vi squarti il cuore! Abit sentiva che i cacciatori stavano chiudendo il cerchio intorno a lei, ma se le sue gambe

non l’avessero tradita, poteva ancora sfuggire loro. Ma il suo cuore era sempre più pesante e il respiro sempre più affannoso. Sbucò in un largo ambiente, che non aveva mai visto, dove due cascate scendevano dall’alto spruzzando acqua fredda, polverizzata dentro a un vento sotterraneo, che usciva da sei bocche, da sei corridoi posti intorno alla sala circolare. Riconobbe subito i segni sulle architravi delle aperture, sebbene non le avesse mai viste in vita sua.

Non nel mondo reale, ma nei suoi Sogni! Cominciò a tremare a quella vista e seppe di essere alla fine giunta nel luogo che i nonni le

avevano sempre detto di evitare, dove la realtà è così sottile, così vicina al sogno, che la crosta spesso si spacca, e realtà e sogno diventano la stessa cosa.

-Presa! - gridò l’uomo, afferrandola da dietro.Abit si divincolò, ma l’uomo era molto più forte di lei. -Venite! Venite! - gridò la canaglia.Gli altri arrivarono, come iene attirate dal sangue. Il loro capo, grande e scuro come un brutto

sogno, si fece avanti in mezzo alla turba e prese per le guance la povera Abit, con la sua enorme mano, e stritolandole la faccia esclamò: -Io ti riconosco! Sei la ragazzina con le corna! Non ti avevamo già venduta, una volta, animale? Sei scappata dal tuo padrone?

Grossi lacrimoni si formarono negli occhi di Abit, ma non poteva neppure rispondere, con la mano come una ganascia che la stritolava.

-Ci farai guadagnare due volte! - gridò il capo, voltandosi intorno, e ricevendo le risate di incoraggiamento dei suoi -Ma intanto, dov’è la pietra, mocciosa? !

-Qua-quale pietra? - fece Abit con una vocetta sottile e il capo, con noncuranza, le rifilò un manrovescio violento che la buttò per terra. Gli uomini torreggiavano su di lei come torrioni foschi di caligine, gli occhi in cima come incendi rossi.

-Forse hai bisogno di un invito, mocciosa? - disse il capo, chinandosi su di lei -Anche con quelle corna, non sei neanche malaccio... - rise -... anche se non del tutto “intatta”, vali lo stesso dei bei soldi... cosa ne dite, gente?

Ma uno di quelli disse invece, con voce esitante: -Capo, però...-Cosa? - si volse il capo, con lo sguardo torvo come un pozzo di melma.-Capo, non qui... - disse l’uomo, con un volto che sarebbe stato terreo, se non fosse stato per

la pittura nera -... questo posto sotterraneo... ci sono i “segni”...--I Segni di che cosa, codardo? -Questo posto è abitato da spettri, da Uttaku sanguinari! Gli altri uomini, prima così sicuri, cominciarono a guardarsi intorno meno sicuri, perché erano

tutti rozzi e superstiziosi cacciatori di ratti. Ma il loro capo era spavaldo e diceva di non tenere in nessun conto neppure i Sacerdoti Meccanici. Allora tirò fuori la sua pistola e sparò un colpo in aria, che risuonò secco e atroce sotto le volte e si espanse come il rintocco di una campana a morto per tutte le gallerie.

E gridò: -Al diavolo gli spettri e le ombre! Tu...! - e prese per il colletto quello che aveva parlato -... hai mai visto le ombre? E le bestie con la testa di donna, e le zampe da leone?

-Io...! -Io non ho mai visto niente del genere, se non gli uomini mutanti e le bestie che questa

puttana di Babilonia vomita ogni dannata notte! - gridò il capo -Io sputo in faccia a queste superstizioni maledette!

-Ma capo, io sono sicuro... - prese a dire un altro, che aveva la faccia che era mezza sana e

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mezza tutta corrosa, eppure aveva occhi acquosi, mentre parlava, come una qualsiasi donnetta -... io sono sicuro di aver visto delle ombre, prima, in uno di quei cunicoli... questo non è un buon posto! Portiamo via la mocciosa, saliamo di sopra, prima che...!

Con un colpo secco il capo schiantò il calcio della pistola sulla sua faccia. -Basta! - gridò, fuori di sé.

E Abit, intanto, prese a strisciare via, mentre gli uomini litigavano. Ma non poteva andare da nessuna parte, perché un grosso nerboruto energumeno l’afferrò per una gamba e esclamò: -Dove credi di scappare? !

-Imbecilli! - sputò il capo -Mentre voi tremate come donnette, la nostra preda scappa! Vi devo ammazzare tutti come cani, qui e adesso?

E rivolto ad Abit: -E ora vi mostrerò dove sono i vostri fantasmi! Portatemi qua quella mocciosa, vi mostrerò come Bracha il Corvo tiene in considerazione la superstizione e le leggi degli uomini!

Con le labbra tumefatte Abit riuscì soltanto a mormorare: -Maruru! E il grosso e brutto cacciatore rise, e disse: -E cos’è questo “maruru”, una parola per dire

“pietà”? ! Ma improvvisamente Maruru era in mezzo a loro. Sorto come oscurità solida dalle tenebre

venne come un vento, venne ruggendo dal cunicolo più profondo e il grosso cacciatore non si accorse nemmeno che la sua testa volò via staccata dal corpo. I cacciatori gridarono, ma era come un incubo, come un sogno di morte materializzato. Grande, più grande del più possente leone, le due code che saettavano come fruste nell’aria, gli speroni come lame e gli artigli più duri dell’acciaio, roteò gli occhi incandescenti e bianchi intorno e subito scatenò la strage.

Gli uomini riversarono su di lui un torrente di fuoco, ma i proiettili traforarono la parete dietro di Maruru, innocui, mentre lui balzava e a ogni salto sventrava e decapitava. Era una sagoma sfocata che si trascinava dietro in aria strisce di sangue. Arrivarono altri uomini, correndo, ma crollarono per terra come colpiti da un fulmine, appena videro l’orribile mostro agitarsi in mezzo ai cadaveri dei compagni.

Nel bel mezzo della tempesta di morte, rischiando di ricevere un proiettile vagante in faccia, Abit si buttò per terra e piangendo gridò: -Maruru, basta, basta!

Quale voce poteva fermare la personificazione stessa del cacciatore, il Mangiatore di Sogni? Nemmeno quella di un Dio. Ma al sentire il grido di Abit Maruru si volse indietro proprio mentre con una zampa stava per schiantare l’orrificato capo dei cacciatori e balzato al fianco di Abit l’afferrò (per la casacca) con le fauci che avrebbero quasi potuto ingoiarla intera, e stringendola come fanno i felini con i cuccioli, la strattonò via. Un balzo e fu fuori del cerchio di uomini e con un altro, fulmineo come il lampeggiare di un arcobaleno di tenebra nell’oscurità, scomparve via.

In un attimo di vento oscuro, non c’era più alcun suono alle loro spalle, tutt’intorno era un perfetto nulla. Maruru mollò a terra Abit, che diede un gran botto di faccia sul cemento.

-Ahia! - esclamò la povera Abit, con il naso tumefatto.Maruru, il possente mangiatore di sogni, la sovrastava come una torre sovrasta le case della

gente comune. E chinando la sua testa dalla criniera ritta come punte di ferro, piantò quei suoi occhi di fuoco bianco in faccia ad Abit.

Chi avrebbe mai potuto sostenere uno sguardo come quello? Abit era paralizzata, ma ancora non era chiaro che cosa stesse pensando, nemmeno a Maruru, mentre si teneva il naso con una mano, da cui zampillava sangue copioso.

Dei passi rapidi in corsa fecero sollevare di scatto la testa a Maruru. Una ragazza dagli occhi infuocati entrò improvvisamente nel suo campo visivo, uscendo da uno degli infiniti condotti. Ma appena lo vide cadde quasi per terra, livida e spaventata.

Maruru mosse i terribili muscoli, pronto a scattare, ma si mosse più velocemente di lui la piccola Oni; saltò al suo spaventoso collo e non riuscendo nemmeno a circondarlo per intero con le sue piccole braccia, si strinse al suo pelo nero come l’inferno e gridò: -Maruru! Mio Maruru, sei venuto a salvarmi!

Incredibile a vedersi, il nero Maruru si lasciò abbracciare da quella piccola creatura!

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Capitolo 3 Ayane

-Abit, oh Abit! Non ci fu risposta.-Abit, piccola cagna! Balthazar gridò spazientito e con uno sbuffo sonoro fece un altro scalino sulla scala a pioli.

Doveva arrivare fino in cima, per gridare proprio dentro alle inutili orecchie di quella mocciosa? ! Non aveva nemmeno dormito, nemmeno mangiato! , per la barba di Eriddu! Lo spettacolo si doveva fare, altrimenti era la fine, la bancarotta, il baratro, l’assalto dei creditori, che sicuramente avrebbero fatto venire due o tre soldati meccanici esattori e non c’era modo di nascondersi da loro, nemmeno scavando un buco profondo come l’inferno.

Con la grossa pancia, le scarpe con la suola lucida, non era facile salire la scala. Ma quella ingrata non rispondeva, perciò, sempre più funereo, arrivò faticosamente in cima. E appena buttò un occhio dentro alla finestra dell’edificio, quasi cadde indietro per la sorpresa.

Prese un respiro enorme, tirando dentro la pancia e rimase in equilibrio precario. E guardò ancora, ma subito si diede dello sciocco: non c’era nessuna ombra gigantesca là dentro!

Perché gli era sembrato di vedere una cosa enorme, un ammasso nero pulsante, ma no, non c’era nulla del genere, solo la figura della sciocca Oni avvolta nella sua coperta di leopardo sintetica.

E allora, ancora più furioso, proprio perché si era anche spaventato per nulla, Balthazar gridò: -Stupida Abit! Svegliaaa! !

E Abit saltò in piedi come una molla con occhi contusi e gibbosi e nel farlo STRAAP! , strappò con uno degli appuntiti corni parte della finta pelliccia.

-A-a! - fece Abit, agitando convulsamente le braccia, senza capire nemmeno dove fosse.-Stupida mocciosa! - berciò Balthazar -Quanto vuoi dormire? Il tempo è denaro, il mio

denaro! Salta giù da qui e vieni a prepararti per gli esercizi! E ciò detto riprese a scendere la scala bestemmiando; Abit fissò per qualche attimo la coperta

strappata, le proprie mani, ma era tutto sfocato. Aveva un sonno tremendo. In verità, non aveva mai avuto tanto sonno in vita sua.

Si sollevò come un morto vivente e scese automaticamente la scaletta; non c’erano infatti né acqua né bagno nella “prigione”. Andò a lavarsi la faccia nella cisterna dove bevevano gli scimmioni, che fecero un gran baccano non appena la videro, ma lei non se ne accorse neppure. Rubò meccanicamente il pappone dalla gabbia degli uccelli del paradiso e dei pappagalli, che cercarono di beccarla come forsennati, ma lei li scacciò, convinta che fossero soltanto mosconi.

Passò accanto, senza neanche vederli, ai monconi carbonizzati di due carrozzoni e alla gabbia di Alufreddu, divelta. Il circo era pieno di cicatrici, ma era così assonnata (e in testa le giravano ancora come sogni addormentati immagini e cose ben più grosse e ingombranti di macchie di terreno bruciato e rottami anneriti) da non pensare nemmeno a dove fosse finito il povero elefante.

E con ancora i vesti del giorno prima addosso (non che avesse chissà che guardaroba, a dirla tutta), l’occhio sbarrato, un filo di bava all’angolo della bocca, scalza, si presentò per gli esercizi con i leoni, che la fissarono in maniera terrorizzata da dietro le sbarre.

-Abit! Non avrai intenzione di entrare nella gabbia dei leoni conciata in quella maniera! ? - gridò il vecchio e asciutto guardiano degli animali feroci, un uomo in cui ogni centimetro ed etto di carne era stato consumato dalla malaria verde anni e anni fa, lasciandolo come un piolo secco, anima e corpo -E cos é quell’occhio nero? !

Abit si tastò l’occhio destro... ahia! , era doloroso anche solo toccarsi! Forse ci vedeva così male a causa di quel bozzo che le gonfiava la faccia dallo zigomo alla palpebra?

-Cosa hai combinato, per conciarti così? - disse il vecchio; i leoni continuavano a ringhiare, e a ritirarsi sul fondo della gabbia, come se vedessero un drago rovente, o il pungolo elettrico dell’aguzzino, e il vecchio sbottò: -E a voi, brutte bestie, che vi prende?

I due leoni, un maschio e una femmina, fissarono con occhi che davano quasi sul bianco Abit,

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ma non vedevano lei. Vedevano dietro di lei un’ombra nera, scura come la morte. Ma improvvisamente l’ombra si dissolse e i due animali si accasciarono sul fondo della gabbia come se gli fosse stato loro tolto il respiro.

-Brutte bestie! - ripeté il vecchio ammaestratore, con gli occhietti lucidi come una scarica elettrica -Non fatemi scherzi! C’é lo spettacolo, stasera!

-Abit! Abit! - chiamò una fresca giovane, che stonò moltissimo tra i ringhi degli animali e la voce del vecchio ammaestratore -Abit! - ripeté Ayane, correndo dalla vicina stalla dei cavalli.

Era pallida, e indossava una specie di tuta da meccanico, l’abito “adatto” per pulire una stalla. Non aveva una bella cera, Ayane. Ma quando fu vicina ad Abit rimase immobile, come se avesse paura a toccarla.

Disse tuttavia: -Abit, bisogna fare qualcosa per quell’occhio nero! -E cosa possiamo fare, cara Ayane? - rispose lei -Rimarrà sempre così? Sarebbe davvero un

problema, perché ci vedo davvero male! Ayane sospirò; Abit credette di leggere nel suo viso pensieri e sentimenti contrastanti, ma non

riuscì a indovinare quali, anche perché, come abbiamo detto, non ci vedeva molto bene al momento. Ayane disse: -No, sciocca, il gonfiore sparirà... ma per accelerare il processo è forse meglio fare un impacco...! Vieni con me, andiamo in quel buco che Balthazar chiama “infermeria”!

-Vedi di non tenercela tutto il giorno! - berciò di rimando l’ammaestratore -Dobbiamo fare le prove, qui!

-Sì, sì! - fece Ayane, stancamente. Più stancamente del solito, pensò Abit. L’Oni venne presa per un braccio e condotta via, nell’oscuro bugigattolo che sapeva di formalina e bende scadute, che ad Abit non piaceva proprio per niente. Ayane non parlò affatto, mentre le applicava un medicamento bruciante sull’occhio.

-Ahi! - fece Abit.-Stai ferma! -Ma brucia! -Vuol dire che fa effetto! Ti caverà il gonfiore! -Ma devo tenerlo in faccia per quanto, questo pastrocchio? ! -Mmm... - Ayane dovette immaginare cosa pensava Abit; prese allora una benda e disse:

-Mettiti questa! -Una benda? Come un pirata? -Come... che cosa? ! -Il pirata! Non lo sai che cosa sono, Ayane cara? -Lo so che cosa sono, ma che cosa diavolo centra con la benda? -I pirati hanno le gambe di legno, la benda sull’occhio, l’uncino e...! - prese ad almanaccare

sulle dita Abit, ma Ayane improvvisamente scoppiò a ridere.A ridere! -Che c’é di tanto divertente? - esclamò Abit.-Niente, niente... pensavo che dopo... quello che è successo stanotte... non ti avrei più sentita

dire scemenze simili! - rispose Ayane -E invece eccoti, qui, scema come prima...! Dove diamine hai mai sentito parlare dei pirati, che non sai nemmeno cosa sia il mare? !

Abit si offese; ma era anche un pò sollevata, perché Ayane era tornata (quasi) quella di sempre. -Perché mi dai sempre della scema?

-Perché, non è vero? ! -Ayane! -Basta! - rispose Ayane -Adesso sei a posto! Guarda, non si vede nemmeno che hai un occhio

gonfio come un’arancia! -Si vede però che ho una benda in faccia! -Basta che non cadi dalla schiena dei leoni, come ci vedi? -Male! Come vedresti tu, con un occhio solo? -E pensa ai pirati, che hanno anche la gamba di legno, tutto il giorno sul ponte di una nave,

con il mare che li sbatacchia qua e là! - rispose Ayane, alzandosi.Abit disse: -Cos’è il “ponte di una nave”?

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Ayane sospirò: -Lo sai che cos’è una nave? -Più o meno...-Il ponte è la parte superiore, dove la gente cammina e fa le sue cose...-E perché dovrebbe essere difficile camminarci con un gamba di legno e l’occhio cieco? ! -Perché è scivoloso e ci sono le onde e...-Scivoloso? Perché? Ayane divenne blu ed esclamò: -Insomma, basta! Non ho il tempo di stare qui ad ascoltare le

tue sciocche domande! Abit fece per rispondere, ma ecco che un grido percosse lo spazio tra le tende e le roulotte

senza ruote e giunse anche alle due ragazze; -Venite, venite tutti alla pista! Balthazar vuole parlare! Un annuncio per tutti! Presto, venite!

La faccia di Ayane divenne improvvisamente strana, e Abit disse: -Perché fai quella faccia? -Perché annuso guai... Dio non voglia che Balthazar abbia scoperto...! -Oh! - fece Abit, che non ci aveva minimamente pensato.-Forza, muoviti! Andiamo a sentire cosa ha da dire il vecchio porco! E andarono subito, Abit con la benda sull’occhio, scalza, e Ayane con indosso la salopette.

C’era già mezzo circo, nell’ombrosa ombra sotto il tendone principale, dove brillavano stancamente solo alcune grosse lampade, poste in cima a lampioni portatili. Per fortuna il tendone principale non era stato nemmeno lambito dalle fiamme. E Balthazar in persona era in mezzo alla pista, che batteva impaziente il piede per terra, e fissava lo sguardo sui suoi “artisti” come il cuoco fissa il pesce prima di sfilettarlo.

Non appena vide Abit e Ayane sbottò: -E che cosa sarebbe quella benda? -Abit ha battuto la faccia contro una trave, e ha un occhio nero! - disse in fretta Ayane.-Sciocca mocciosa! - gridò Balthazar -Lo sai che cosa mi costi? E osi anche “danneggiarti” da

sola? Abit abbassò la testa; e non era nemmeno colpa sua, ma dei brutti uomini cacciatori di ratti,

che l’avevano colpita. Qualcosa si agitò dentro al suo occhio coperto e ferito, in risposta delle malvage parole del capo-circo, ma Abit lo ricacciò indietro con un notevole sforzo mentale.

-Bha! - disse Balthazar, disgustato -Farò fare una benda “artistica”, almeno non farai paura agli spettatori! - e poi aggiunse, alzando la voce: -Bene! Ci siete tutti, scansafatiche infami?

Nessuno rispose e Balthazar continuò, sempre più nervoso: -Ebbene, non solo voi inutili sacchi di letame mi avete combinato quel brutto scherzo di darmi fuoco al circo, ma...!

(Lamentazioni dal fondo, e sbuffi: chi aveva detto che fosse stato qualcuno di loro a combinare quel disastro? ).

Ma Balthazar, infischiandosene totalmente dei loro mormorii, disse: -... ma un’altra orribile sciagura si è abbattuta su di me! - come se il circo fosse lui, lui solo, Balthazar; e dopo una pausa ad effetto, sbottò: -Ebbene, c’è stato un furto!

(Un mormorio sorpreso percorre la turba di “artisti” del circo).-Ma non qui, in questo circo! - corresse subito Balthazar.-Vorrei ben vedere! - disse una voce dal fondo -Qui l’unica cosa di valore è il panciotto

macchiato di Balthazar! Balthazar divenne livido, ma fu un bene che non avesse visto chi era stato a parlare,

altrimenti sarebbero stati guai per lui! -Questo volgare furto! - continuò teso come crema di datteri spalmata sul pane -È avvenuto in una ricca casa del livello superiore, nel Blocco 4BY!

-E allora cosa centriamo, noi? - fece un’altra voce.-Importa, imbarazzanti ammassi di sterco! - gridò Balthazar, e le scimmie furono così

spaventate da quel grido così forte, che si sentì in tutto il circo, che scoppiarono in grida stridule, come un coro tragico -Perché il furto è avvenuto proprio dopo un nostro spettacolo... quando gli spettatori, i proprietari della ricca casa, erano qui da noi!

-E allora? ! -E allora, immondi rifiuti di dubbia origine, oggi sta venendo qui la polizia, perché pensano che

qualcuno di voi schifosi sia il ladro! - sbraitò Balthazar.-Ma se stavamo facendo lo spettacolo, come avremmo potuto andare a rubare...! - cominciò

qualcuno, dotato di un certo senso critico.

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(Ayane divenne pallida, bianca, strizzata come uno straccio. Abit invece si mise un dito nel naso e prese a ripulirselo, e non capiva nulla di quello che stava succedendo).

-Canaglie putrescenti! - ululò il capo circo -Lo spettacolo dura due ore, e non facciamo due volte lo stesso numero! Quella notte iniziammo con i cavalli... ecco, per esempio Ayane avrebbe avuto tutto il tempo di sgattaiolare fuori e fare quello che voleva, non trovate?

Ayane divenne verde, ma lo sguardo di Balthazar si staccò subito da lei. Aveva parlato tanto per dire: nel suo maschilismo, non pensava neppure per scherzo che una donnetta potesse archietettare qualcosa di così incredibile.

-Ma... non ha senso! - disse finalmente qualcuno.-Ditelo alla polizia imperiale! - gridò Balthazar -Bene, ora siete avvertiti... ma badate bene... -

e il suo volto si fece tetro, i suoi occhi di bragia -... se si scopre che effettivamente uno di voi, di voi inutili vermi, è coinvolto in questo brutto affare... giuro sul mio nome che gli caverò la pelle degli occhi personalmente, prima che se lo portino via i poliziotti!

Il silenzio divenne ancora più pesante e ostinato, come poggiare pietre tombali in un cimitero. E Abit si stupì: Ayane non disse nemmeno una parola perché si metteva le dita nel naso, come avrebbe fatto di solito. Perciò se le tolse, delusa. Poi scattò sul posto, perché Balthazar veniva verso di loro.

-Ayane! - berciò l’uomo.-S-sì? - balzò la ragazza.-Ho cambiato idea: tieni rinchiusa questa mocciosa! - disse -Non voglio che i soldati vedano

questa... cosa con le corna... che gira per il Circo! Rinchiudila di nuovo in cima al palazzo diroccato!

-Subito, padron Balthazar! - squittì Ayane -Sarà fatto come desiderate! E subito la prese per un braccio e mentre tutti gli “artisti” si disbandavano con facce lunghe

come un fossato melmoso la trascinò via con piglio deciso.-Dove andiamo? Cosa succede? - esclamò la giovane Oni.-Chiuditi nella tua roulotte! - sibilò Ayane -E non uscirne! -Ma...! Balthazar ha parlato della “prigione”...! Ayane si fermò, la guardò diritto negli occhi, ed erano due occhi veramente taglienti: -Verrò a

prenderti! Hai capito? -A... a prendermi? - fece Abit, che non riusciva a capire.-Tu aspettami... aspetta nella tua roulotte! Hai capito? - disse Ayane, con un’espressione

vagamente disperata che le rovinava il bel volto.Abit non sapeva che cosa rispondere; ma scosse velocemente la testa e rispose un rapido:

-Sì...! -Bene! - disse Ayane, e poi, di colpo, la abbracciò e Abit rimase paralizzata.-Scusa, Abit... - disse Ayane, brevemente, e poi si allontanò a passo veloce tra i tendoni.“Scusa” di cosa? Per averle dato della “scema” innumerevoli volte? Per averla bendata come

un pirata? Abit tornò con le sue gambe alla sua roulotte (“sua” per modo di dire; era praticamente una

cella diversa dall’altra, solo che questa era per così dire “al piano terra”). C’erano i suoi pochi vestiti, uno di scena, uno “normale”, che Ayane aveva costretto Balthazar a comprarle, perché secondo il capo-circo Abit avrebbe dovuto rimanere nella roulotte tutto il tempo, magari nuda come un cane.

Si mise i pantaloni e la maglietta grigia con la scritta “Greyskull” e rimase seduta sul materasso sformato. Continuava a vedere davanti a sé gli occhi di Ayane. E più ci pensava, più li vedeva...

Prese il suo tascapane, e ne tirò fuori la sfera, e disse: -Nonno, tu che cosa ne pensi? Il “nonno” ebbe un rapido lampo, che Abit interpretò come “e io che vuoi che ne sappia? ”.Aveva proprio una bella patina azzurrognola, di uno che sta in salute, insomma.Abit si tastò sotto la benda; faceva ancora male, ma espose un poco l’occhio, e si guardò nel

pezzo di vetro che usava come specchio. Ora la pupilla del suo occhio destro era completamente nera. -Maruru, io penso che Ayane ci stia nascondendo qualcosa!

La massa nera dentro al suo occhio si mosse debolmente. -Anch’io la penso così! - esclamò

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lei, in risposta, saltando giù dal “letto”. E si mise subito a riempire il suo tascapane delle poche cose che possedeva. Cioè un pettine, il “nonno” e l’unico cambio di maglieria. Si infilò gli scarponi, diede una lunga occhiata alle scarpette da scena, che erano glitterate e proprio non sapeva come fare a lasciarle là, ma d’altronde nel tascapane non ci stavano. E allo stesso modo avrebbe dovuto portarsi dietro decine di tonnellate di altra roba. Con un sospirò lasciò le scarpette.

Ora, però, il problema più grande di tutti: doveva o no portarsi delle razioni di cibo? Non che ne avesse sottomano, beninteso. Non poteva che sperare di “raccogliere” qualcosa per strada. Con un sospiro ancora più profondo del precedente uscì dalla roulotte. Balthazar la credeva in custodia di Ayane, ma d’altronde di lui non c’era traccia in giro. Ora doveva solo... girò intorno alla piattaforma su cui stava il pilone della lampada ed entrò in uno stretto spiazzo tra la tenda principale e la roulotte del capo clown. C’era un perfetto buio e odore di cose muffose e umide. Sollevò la benda sull’occhio e disse piano: -Maruru...

Una sagoma nera, gigantesca, prese forma nel buio, più fitta delle stesse ombre. Due occhi bianchi presero a brillare come sospesi nel vuoto e si udì un basso ringhio, proveniente dall’aria, o da sottoterra.

-Maruru caro! - disse Abit -Trova Ayane! La grande sagoma nera rimase ondeggiante per qualche secondo, ma poi scattò via come

vapore eiettato da una caldaia incandescente. Abit corse dietro alle ombre mobili; attraverso la corte tra i tendoni, illuminata dalle gigantesche lampade a cipolla, dove l’ombra di Maruru divenne sottile come una lama e strisciava al suolo tra le ombre del cemento irregolare; oltre le tende degli animali, che sollevarono un coro di grida e versi terrorizzati; al margine del circo, dove c’erano il muro e i binari del treno proiettile. Le lucette poste sul fondo dei binari ondeggiarono tremando al passaggio dell’ombra Maruru, che sul fondo della fossa dove correva il treno si solidificò quasi interamente, riprendendo le sue agghiaccianti forme.

Abit gli balzò al fianco; gli toccò il fianco e lo sentì molto solido. I binari vibravano impercettibilmente per l’arrivo, di lontano, del treno. Abit disse: -Ayane è passata di qua? Portami da lei!

Maruru si chinò in risposta e lei balzò sulla sua ampia schiena nera di getto.

Ayane continuava a guardarsi indietro, ma c’era solo una folla anonima che si chiudeva dietro di lei. Forse era stata una sciocca; forse l’annuncio della perquisizione era stato un sotterfugio per farla uscire allo scoperto. Ma non che avesse scelta: avrebbero messo sottosopra il circo comunque e quelle infernali Civette Astropati sarebbero riuscite a guardare nella sua anima come in un libro aperto.

Aveva fatto bene a lasciare indietro Abit? Sul momento aveva pensato di fuggire insieme... ma il momento buono era stato perso quando la notte precedente aveva appiccato l’incendio proprio per scappare nella confusione. All’ombra del tendone aveva visto Abit placare l’elefante spaventato e aveva visto come Balthazar l’aveva assalita. Non aveva saputo resistere nell’andare dalla sciocca Oni e tutte quelle cose da mangiare erano le provviste che aveva pensato di portare con sé nella fuga.

Perché aveva chiesto ad Abit di fuggire con lei? E perché si era lasciata commuovere da quella sciocca storia del “nonno”? Abit sarebbe sopravvissuta, in qualche modo, decise.Intanto era lei quella che doveva correre! I suoi passi presero un’andatura sostenuta e si involarono dentro a un androne; erano i passi

che l’avrebbero portata di nuovo lontano da Babilonia.Un giorno, in un tempo che pareva molto tempo fa, era arrivata alla città ziquratt, seguendo

una traccia. Tutti coloro che arrivano da “fuori” arrivano nei blocchi alti, quelli che stanno sopra il livello interamente occupato dalle fabbriche. La maggior parte di loro sono disperati o condannati, o ancora pazzi che cercano una speranza: Ayane arrivò per cercare un uomo. Qualunque sia il motivo che spinge gli uomini ad accoglierli c’è sempre il severo quartiere di cemento bagnato dall’ultima luce solare che scende da immani finestroni da altezze vertiginose. Ma soltanto chi possiede molti darii d’oro può permettersi la grigia esistenza di quel livello; gli

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altri devono scendere, e scendere ancora... Ayane aveva visto, dall’alto, l’abisso nero, dove la luce muore. Vi scese di propria spontanea volontà, dopo aver appreso che il circo itinerante di Balthazar, in seguito a uno “spiacevole incidente” era stato costretto a smontare tende e tendoni in fretta e furia e a cercare scampo dall’ira dei potenti della città alta.

Il buio che attendeva quel giorno la giovane ragazza faceva tremare le gambe; ma con determinazione di ferro era montata sull’ascensore e aveva abbandonato la luce. E lo sapeva bene, come ora, mentre correva affannosamente per le gallerie contorte, urtando la sempre più rada gente, che la “fuga” era soltanto verso il basso. Non era più possibile per chi scendeva tornare sui suoi passi. Barriere invisibili tenevano ancorate le anime al vuoto centro nero di Babilonia. C’era una storia, una leggenda, che raccontava di come, facendo un mucchio di quattrini, fosse possibile tornare alla luce. Esistevano degli strozzini che promettevano l’ascesa al cielo... e si diceva che qualcuno era riuscito a mettere insieme la somma favolosa richiesta... ma nessuno aveva più visto coloro che erano “partiti”. Erano veramente tornati al cielo?

Nessuno lo sapeva... ma qualcuno raccontava di sospette celle frigorifere che erano state viste caricare sugli ascensori privati.

L’unica via di fuga era verso il basso, giù, nelle fondamenta leggendarie di Babilonia, dove la mente e l’immaginazione collocavano ogni sorta di stranezza e mostruosità. Non c’era da stupirsene: dopo aver visto la città di metallo, dopo aver visto il gigante di metallo che era la casa di Abit, e le corna sulla testa della ragazza, segno di una razza da tempo estinta, come dubitare che nelle profondità non esistessero ogni sorta di cose incredibili? Ma d’altronde gli antichi livelli, quelli quasi al livello del suolo, dovevano avere molti passaggi e aperture, di quando erano abitati e Babilonia non era ancora una torre come ora. Dovevano esservi molti modi per uscire. Molte vie che nessuno dei soldati o dei Sacerdoti osava difendere.

Ma sarebbe riuscita a raggiungere uno dei pozzi? Improvvisamente si accorse di essere sola, nell’ampio tunnel rischiarato soltanto da luci spettrali. Una fila di negozi scuri contro la parete di destra correva rasente all’erta salita della galleria come una carrellata di vuoti loculi. Li oltrepassò di fretta e ormai di corsa passò davanti alla stazione del treno proiettile... pensò di entrare, ma affacciandosi alle doppie porte di vetro opaco intravide sotto la tettoia una sola figura umana. Era completamente bianca e questo la bloccò con la mano sulla maniglia, perché non aveva mai visto nessuno vestire di bianco nella nera Babilonia.

Un’inquietudine profonda scosse la sua anima; si voltò e corse fino in fondo alla galleria, dove tre strade si incrociavano sotto lampioni dalla debole luce.

Si voltò indietro e con un tuffo al cuore vide una sagoma bianca che si muoveva rasente al muro, nella strada deserta.

Si lanciò giù per la discesa a sinistra... perché non c’era nessuno in strada? Le parve di udire il suono stiracchiato di una sirena, come un suono a intermittenza.

C’erano altre figure bianche. Le vedeva ondeggiare ai limiti degli angoli, dietro le colonne di archi antichi, come uno sciame di pullulanti insetti. Il suo cervello si ostinava a ordinare alle gambe di correre, di svoltare angoli, di cercare la salvezza, ma il suo cuore era appesantito da un tale macigno che i piedi inciampavano.

I suoi pensieri scivolavano via e un angolo della sua coscienza si accorse che i comandi che arrivavano ai suoi piedi non erano pensieri suoi. Una mano bianca, un serpente corallo, si era infilato nella sua testa e le ordinava dove correre, e correva incontro alle figure bianche dalla testa come talpe cieche. Il vicolo in fondo, a destra, era un vicolo cieco, ma lei vi entrò ugualmente. E fu in trappola. Le teste bianche ondeggiarono eccitate all’entrata del vicolo...

-Ayane! La voce di Abit risuonò sopra la testa di Ayane e la testa tonda e cornuta, e gli occhi grandi,

della ragazzina, comparvero nel suo campo visivo. Abit tese una mano e Ayane l’afferrò istintivamente.

Ora non sentiva più il duro nocciolo del comando nella testa, delle voci e di una volontà aliena nel cervello. Era in piedi, in uno stretto cortile, e c’era Abit là con lei, che la fissava con rimprovero. Rimprovero! Il cortile era incassato da tutti i lati da severi palazzotti bassi; bassi perché il soffitto in quell’area era così basso che gli edifici non riuscivano ad arrivare al terzo piano. O forse sopra al soffitto di cemento annerito continuavano, chi poteva dirlo. La

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pavimentazione in quell’area era di cotto, e le piastrelle erano vecchie, rotte e di colori diversi, ormai stinti. Il senso di oppressione era scomparso, come le “cose bianche”.

-Abit! Sciocca ragazza! Che cosa ci fai qui? ! - esclamò, non appena ritrovò il fiato.Abit gonfiò le gote, offesa, e sempre fissandola con rimprovero, disse: -Ayane, sono scioccata!

Come puoi dirmi questo, quando sei scappata senza dirmi niente? E poi ti stavi per far mangiare da quei...!

Ayane la interruppe: -Ma non capisci, che ora inseguiranno anche te? ! Abit disse: -Io non credo... hanno paura! “Paura”? ! Nel cortile faceva sufficientemente buio perché la sagoma nera di Maruru fosse

ben definita e visibile: il mostruoso “animale” si aggirava inquieto seguendo il perimetro dei muri, ignorando le due donne. Ayane fece uno scatto e gridò: -E quella... cosa... cosa ci fa qui? !

-Non preoccuparti! - esclamò Abit -Fin che siamo nel buio, non dobbiamo preoccuparci! -Ma che dici? Ma Abit, con gli occhioni pieni di acqua come uno stagno dopo la pioggia in autunno,

soggiunse: -Avevi promesso che mi avresti portata a vedere il cielo... perché te ne sei andata da sola, Ayane?

Ayane si appoggiò stanca e sconfitta a una vecchia colonna. Soltanto uno sbilenco lampione emanava luce in un angolo, dal lato opposto, inutilmente; le sembrò un pò come lei. Lasciò cadere la borsa per terra e senza pensare lasciò sfuggire le parole dalla bocca: -Ho “rubato” io in quella casa... quella che diceva Balthazar; mi ci sono voluti molti mesi per riuscire a capire chi avesse in mano l’oggetto che mi interessava! Ho blandito Balthazar molte volte, finché me lo ha rivelato. Per lui era un oggetto senza valore e lo donò a quei ricchi signori...

-Ricchi? - fece Abit.Ayane sorrise amaramente: -Immagino che si possano definire tali; la loro casa è un palazzo

tetro che sta attaccato sulla volta di questo livello e pende verso il basso come una stalattite. Non è stato facile entrare... - un breve lampo percorse gli occhi della ragazza -... ma non credo di aver bisogno di spiegare proprio a te come ci si intrufola nei buchi e condotti di questa grande catacomba, vero?

-Non sono sicura di sapere che cosa vuoi dire! - rispose Abit -Ma mi stai facendo un complimento, per caso?

-No, sciocca! Non era un complimento! - rispose -Sono una ladra, tra le altre cose... proprio come te, capisci?

-Sinceramente no! E cosa ti saresti preso, Ayane? Da come ne parli sembra una cosa “preziosa”! - luccicarono gli occhi della ragazzina.

La ragazza diede mano alla sua borsa e ne tirò fuori un pacchetto, avvolto con cura nel panno. Ne svolse solo la punta e mostrò un aggeggio triangolare, nero come la pece, sottile come una lama di luce di mezzo al buio, solo che, al contrario, era come una fessura di oscurità nella penombra, nera più del nero, quasi quanto Maruru che girava avanti e indietro nel cortile annusando l’aria e roteando le due code.

-Oh! - disse ammirata la ragazzina -È molto bello... ma cosa hai intenzione di farne? -Non sono sicura che tu possa capire... - rispose -... ma credi che sia il caso di parlarne proprio

qui? Con quelle “cose bianche” alle calcagna? Abit disse: -Hanno desistito...-E come fai a dirlo? ! -Perché, come ti ho detto, hanno paura di Maruru! - rispose sicura -E per venire di qua ci

metteranno troppo tempo... saremo già andati via, per allora! Ayane prese un lungo respiro. -“Saremo”? - disse.Abit esclamò: -Stai andando via da qui, vero? Portami con te! -Non sai nemmeno cosa ci sia oltre che “qui”! - esclamò la bella ragazza -Dove vorresti

andare? -Voglio vedere le oasi e le carovane di mercanti che sfilano come ombre in fila sulle dune,

sotto le stelle! - rispose la Oni.-Ma quando mai hai visto le stelle, e le dune, sciocca ragazza? -Con questi occhi! - rispose -Nei miei sogni! Ma quando potrò vederli dal vero?

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Che strano essere, questa ragazzina con le corna! Ayane comprese che ora voleva essere lei a mostrarle il cielo, le dune e le sorgenti ghiacciate di casa sua, al di là delle montagne di ferro, al di là delle pianure ventose.

Allora disse -Ah, Abit, ti porterò a vedere il cielo, le carovane sotto alla luna e le montagne dai picchi innevati!

-Sì! - balzò raggiante Abit, prendendo a danzare -E porteremo anche il prode Maruru? -Maruru? ! -Il grande leone, Maruru! - esclamò Abit.-Ma è un mostro! -Ma ci ha salvate! -E come ha fatto? Abit disse: -Maruru cammina nelle ombre... siamo passati da un’ombra all’altra, dal buio al di

là del vicolo, al buio negli angoli di questi edifici! -Ora mi sento davvero meglio! - disse -Mi sono già pentita di avertelo chiesto...! Ma con una qualche sorta di strana energia che sentiva montarle dentro, in un posto piccolo e

lontano che non sapeva di avere, aggiunse: -Allora andiamo, giù, verso il fondo! Scendiamo nel Pozzo, Abit! Prima di vedere il cielo, sarai tu a guidarci dentro nel buio!

Era una fortuna che Abit fosse con lei. Perché pareva conoscere “istintivamente” ogni via che conducesse nel buio e verso il basso.

Il Pozzo verso la Notte era situato in una grande piazza costruita di blocchi neri di acciaio e nessuno sano di mente vi si fermava.

I tetri edifici all’intorno non erano neppure abitati: erano stati costruiti quasi soltanto per lo scopo di circondare la piazza. Non avevano né porte né finestre.

Quando Ayane e i suoi compagni raggiunsero di corsa la strada che pendeva verso la piazza scorsero alcune sagome nere intorno alla struttura che copriva il Pozzo.

Ma non appena Maruru si fece avanti le sagome fuggirono via, verso il buio più fitto sotto agli edifici murati.

-Cos’erano quelle cose? - chiese in un sussurro Ayane.Abit rispose: -Maruru dice che erano a guardia del Pozzo, ma sono scappati via, perché hanno

più paura di lui che dei Sacerdoti Meccanici! Ayane rabbrividì. Ma la seconda fortuna era proprio la presenza di Maruru.Raggiunsero la struttura, una specie di portellone sigillato di acciaio, con quattro argani a

cremagliera agli angoli, grossi, pesanti e massicci.Ayane sentì crollare la speranza. Non avevano bisogno i Sacerdoti di mettere delle guardie!

Chi avrebbe potuto aprire quelle porte? Un breve pensiero le attraversò la mente: i Sacerdoti non avevano in realtà alcun interesse a

impedire alla gente di accedere ai Pozzi. Erano sigillati per impedire alle cose che stavano di sotto di uscire.

-Aggrappati al pelo di Maruru! - disse Abit.-Cosa? - ritornò in sé Ayane.-Maruru dice che c’è molto buio al di là di queste porte... useremo lo stesso sistema di prima...

viaggeremo nelle tenebre! - spiegò Abit.-Non ho intenzione di farlo di nuovo! - esclamò la ragazza.Gli occhi di fuoco bianco del leone si voltarono sulla ragazza e lei vacillò sotto quello sguardo.

Era come fissare negli occhi la Morte stessa, come fissare i voraci globi di luce che si assiepavano milioni di anni fa intorno agli sparuti fuochi degli accampamenti delle primitive e deboli creature chiamate “uomo”, all’alba dei tempi.

-Ayane? - gridò Abit, accorrendo per sorreggerla -Stai bene? -S-sì...! - riuscì a dire la ragazza.-Ayane! - fece la Oni -Dobbiamo sbrigarci! Maruru dice che “altre cose” stanno venendo giù

lungo la strada! Ah, potesse essere maledetto il vuoto buio di Babilonia! Ayane protese la mano titubante verso il collo colossale del leone... e un attimo dopo il mondo

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traballò e si spense.L’oscurità più assoluta l’avvolse, non quella della notte, neppure quella delle profondità di una

caverna. La totale essenza stessa del buio.Così profonda da perdere in un solo attimo ogni cognizione persino della sua essenza...

l’estensione del suo corpo attraverso lo spazio era troncata, il battito del suo cuore era annullato dentro a un tempo interrotto. I suoi pensieri erano tenebra.

Improvvisamente si ricordò di avere i piedi... perché aveva toccato qualcosa di solido. Una fredda corrente le colpì il viso. Era tutto oscuro intorno a lei, ma questa era oscurità dovuta alla mancanza di luce... non il vuoto assoluto che aveva sperimentato poco prima!

Sentì la manina di Abit infilarsi nella sua e la voce della ragazza che sussurrava: -Ti faccio strada, Ayane! Un passo alla volta... attenta che questi gradini sono scivolosi!

La ragazza fu guidata come una cieca e dentro di sé si sentì colma di vergogna. Senza Abit non sarebbe andata da nessuna parte, mentre lei l’aveva abbandonata al suo destino. E la Oni aveva un coraggio (o forse semplicemente stupidità) che andava ben al di là di qualsiasi coraggio avesse mai visto!

Abit le parlò ancora: -Presto saremo fuori da quest’area buia! Vedo già una luce in fondo! -Sei... coraggiosa Abit! - mormorò Ayane -Io sto tremando di paura come una foglia! -Ayane cara, perché dovrei avere paura? - rispose la Oni -Il buio per me non è oscuro e vuoto

e ci sono Ayane e Maruru con me! E tu mi porterai a vedere il cielo! Non posso nemmeno esprimere la gioia che provo in questo momento! Vorrei mettermi a correre!

-Non lo fare! - sibilò Ayane -Altrimenti ti cadrò addosso! Abit (che a parte la mano nella sua e la voce che proveniva da qualche parte, era invisibile)

ammise: -Sarebbe un bel guaio! Quelli là ci salterebbero addosso subito! Ayane quasi inciampò. -Di... di che cosa stai parlando? ! - quasi gridò.Silenzio.-Abit...? ! -Sstt...! - fece la Oni -Fermati...! Ayane si bloccò, quasi stritolando la mano della ragazzina.L’aria fredda continuava a colpirle il viso e la sua presenza le indicava che esisteva ancora lo

scorrere del tempo. Altrimenti avrebbe detto di essere stata trasportata di nuovo nella dimensione di buio immobile del mostro leone.

-Ah! - disse finalmente Abit, in un sussurro -Se ne sono andati...! -Abit, se non mi dici che cosa...! Abit rispose: -Sono degli “uomini” che vivono qua sotto...-“Uomini”? ! - scattò la ragazza.-Non hanno un bell’aspetto... - ammise Abit -... tu non lo vedi, ma c’è un enorme labirinto

intorno a noi... - la voce proveniva da un qualche punto vicino alla sua spalla -... e quelle... “cose”... abitano dentro alle rovine... di una specie di città... ma ormai l’abbiamo attraversata, passando per questo Pozzo verticale!

Ayane era assolutamente agghiacciata; sussurrò: -Non mi dirai che anche loro hanno paura di Maruru...!

Abit rispose brevemente: -Lui ha molta più fame di loro...! La Oni allora la strattonò delicatamente e la costrinse a scendere ancora. Allora un vago

suono giunse alle orecchie di Ayane e solo dopo qualche istante si rese conto che la ragazzina stava mormorando una canzone! In un luogo come quello, in un momento come quello...!

E poco alla volta nette parole uscirono comprensibili dalla bocca di Abit e Ayane scoprì che aveva una voce come quella di un uccello:

Un portone di ghiaccio sbarra la strada,ma noi passiamo, noi passiamo! Un cancello di rovi interrompe il cammino,ma noi lo attraverseremo, avanti così! La strada serpeggia, gira intorno al montedentro alla bocca di un vulcano!

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Ma il brutto orco non avrà il mio osso buono! Vecchio Yss, mostrami la via giustacon il tuo bastone ritorto! Finché il brutto Orgu non smetterà di rincorrerci! Stanco, sul cancello del suo Regnoil vecchio mostro poggerà la sua mazzae senza il brodo del mio osso buonotutto triste a dormire se ne andrà!

I nervi della povera ragazza che poco prima stavano per saltare si ammorbidirono nell’ultima nota sussurrata da Abit e sebbene le parole non fossero nemmeno lontanamente bene-auguranti, il tremore delle sue gambe si allentò; e come se l’avesse evocata, ecco che una vaghissima fosforescenza luminosa cominciò a lambire i contorni della sua vista.

Una patina di luce prese a colorare gli angoli di alcune forme indefinite... archi, scale... finché cominciò a distinguere le corna di Abit, la sua mano e persino i propri piedi. Sotto di lei una scala interminabile di gradini antichi conduceva a una soglia illuminata da una luce grigia, ma che le parve splendente come il più limpido dei soli mattutini.

L’apertura era rettangolare, grande come una normale porta di una qualsiasi casa. Sembrava intagliata nel buio con la spada, a causa del contrasto nettissimo tra tenebra e luce.

Solo quando la raggiunsero e la superarono Ayane osò respirare ancora. Si stropicciò gli occhi e si preparò a una qualche visione colossale... aveva immaginato una maestosa visione di qualche città sotterranea... ma tutto quello che le stava di fronte era soltanto la sorprendente scalinata che scendeva verso il basso, sorretta da anonimi plinti di cemento, con un grande, sbiadito, numero inciso sulla parete di fronte. “112” c’era scritto.

Le scale scendevano mezze divorate dal tempo, mezze sbrindellate, assolutamente polverose, in quella luce lattea generata da fanali elettrici incassati nelle pareti, esattamente come se fosse una qualsiasi (per quanto grande il doppio) tromba delle scale di un edificio qualsiasi.

-Babilonia... - mormorò Ayane -... che sorta di mondo alieno sei? -Ayane! - chiamò Abit.Lei voltò; -Maruru dice di proseguire! Il leone era ora un essere semi trasparente, come un’ombra proiettata contro le pareti. Stava

in piedi sul pianerottolo, non lontano da loro, dimenando le due code.-Andiamo...! - rispose Ayane, cercando di trovare un pò di coraggio.Solo un’ultima occhiata al vano di terrorizzante oscurità che avevano appena varcato.Poi i suoi piedi cominciarono a scendere le scale, sollevando polvere che nessun uomo aveva

mai spostato da tempo immemore.

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Capitolo 4 Babilonia

Nessuno (e niente) le inseguì, quando scesero dentro al Pozzo. Persino i Sacerdoti Meccanici non avrebbero messo piede in quei luoghi oscuri, nemmeno per tutta la conoscenza dell’universo. O almeno Ayane lo sperava con tutte le sue forze!

Quando infine giunsero in fondo a quelle scalinate (il numero sulla parete recitava un laconico “100”... ma non era chiaro da dove partisse il computo), la ragazza si rese conto che non poteva sottovalutare Babilonia. La città procedeva verso il basso con tanta multiforme forza e diversità di quanto procedesse verso l’alto. Come una foresta di alberi giganteschi e antichi più del tempo, che hanno radici così profonde da scendere quasi al centro del mondo, allo stesso modo era Babilonia. Dall’ultima scala il “paesaggio” mutò e divenne completamente caotico. Scendevano come se si calassero lungo i tronchi e le radici di un albero; i passaggi correvano gli uni sopra agli altri, a volte collegati da scale, a volte da pozzi. Era perduto completamente il senso di “città”. Non c’erano “vie”, “piazze”, “palazzi” e “blocchi”, ma un’infinita sequenza di passaggi e stanze e condotti verticali.

E comparvero anche nuovi elementi. Non solo mattoni e cemento, ma anche strani ammassi “vegetali”; oltre alle strutture fungoidi che si trovavano in certe aree abbandonate anche degli strati più alti c’erano delle vere e proprie pseudo-piante, di cui Ayane vedeva soltanto le propaggini estreme, come rami o radici che pendevano dal soffitto, o riempivano l’intero passaggio, costringendo a lunghi giri per evitarli. Il “legno” era nero, altre volte bianco in modo malsano, ma Ayane non si avvicinò nemmeno una volta per toccarlo o vederlo da vicino.

Solo Abit era a suo agio in quella situazione claustrofobica, da incubo; siccome Ayane aveva detto “dobbiamo raggiungere il fondo” Abit si era messa di buon umore a fare da guida e con sensi infallibili, nonostante non fosse mai stata laggiù, sceglieva sempre la strada più breve e più sicura che scendeva verso il basso, attraverso il labirinto.

Tre erano i sensi che più di tutti erano messi alla prova in quelle profondità. La vista; il buio non era perfetto, lampade o neon o strani globi luminosi di fonte non determinabile diffondevano un pò di luce nei passaggi. Ma per chi? Non c’era nessuno, non erano i lampioni “pubblici” dei livelli alti, o le luci delle case o dei locali; all’espansione, alla crescita, di quelle strutture, era associato anche tutto l’armamentario di corollario (come le porte, o come i neon), che competono a un “edificio normale”. Questa era la sensazione: di camminare dentro a un organismo in crescita. Quali mani continuavano ad aggiungere corridoi, luci e pavimenti a quell’edificio mostruoso?

Ma oltre il breve cerchio della luce c’erano soglie oscure, lunghi corridoi sommersi nelle tenebre come pozzi artesiani sommersi nelle acque, infiniti vuoti resi ancora più espansi dal nulla creato dal buio.

Il secondo senso: l’udito. Onnipresente era lo sgocciolio dell’acqua; ma nel mezzo si inframezzavano colpi, rotolare, suoni di distanti rimbombi metallici, e una volta persino lo sbattere di una porta. E quei rumori venivano sempre da distanze incommensurabili, e sempre dai luoghi più bui.

Infine, il terzo senso, l’olfatto. C’era spesso un odore dolciastro che si diffondeva nell’aria, che non era malsana, ma sapeva di “chiuso”. A volte una corrente sotterranea soffiava da profondità invisibili portando l’odore come di fiori, ma doveva essere un’illusione dei sensi. Più spesso era un odore misto di polvere e di cose vecchie.

Ayane fu presto esausta; quando si fu convinta che se vi erano degli inseguitori, questi dovevano essere rimasti molto indietro ordinò una prima sosta. Infatti dopo il terrore del buio aveva ripreso coraggio ed era tornata quella di prima... non poteva certo lasciare che una sciocchina come Abit guidasse quella “spedizione”!

Si sedettero sui gradini di una scala monumentale, che in alto conduceva a una porticina inutile, mentre verso il basso all’inizio di una rete di cunicoli invasi di cavi, come nelle antiche pitture di Takeuchi, che Ayane ricordava di aver visto ammassate in una vecchia stanza della sua casa. “Fine dei tempi” era il titolo di quelle opere e suo padre aveva detto che risalivano ai secoli

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subito dopo la Caduta, e la Guerra di Fuoco. Ma non era il momento di pensare a vecchi dipinti; divise le razioni di cibo con Abit, ma il momento conviviale non durò tanto a lungo quanto traspariva dalla faccia della ragazzina. La giovane Oni fissò con rammarico il formaggio sintetico tornare nella borsa di Ayane... non sapevano quanto sarebbe durata la discesa. E quelle razioni erano per una sola persona, per due giorni.

Ovviamente se Abit non si fosse mangiata da sola tutte le razioni che Ayane aveva nascosto con il tempo, proprio per quell’impresa!

Ripresero e scesero dentro a quei foschi cunicoli, camminando a volte su di un tappeto di cavi gommosi. Solo Maruru non mostrava stanchezza; ma una “cosa” fatta di ombra non poteva certo provarne. Presto furono di nuovo stanche e si fermarono una seconda volta a una specie di crocicchio, dove ben quattro corridoi arrivavano a fermarsi, o a ripartire, portando con sé sottili correnti d’aria. Ayane allora si accorse di avere anche un sonno atroce; era sicuro dormire in quel luogo, anche se solo per almeno un’ora?

Abit si stava leccando le punta delle dita; sarebbe arrivata anche a mangiarsi le mani, pur di conservare l’alito del sapore del (scarso) cibo che aveva ingurgitato. Ayane disse: -Credo che dovremmo fermarci a dormire!

Abit rispose: -Oh, ma che bella idea, Ayane cara! Ma Maruru dice “non qui”... - e con un cenno della testa indicò il vano buio di uno dei passaggi, che era l’unico sufficientemente oscuro da “contenere” (o meglio, da “realizzare”) le forme di Maruru. Là brillavano come fornaci i suoi occhi e Ayane sentì ghiacciarsi il cuore e ogni vena.

-Uh, cosa dicevi, Abit? - si scosse Ayane, distogliendo rapidamente lo sguardo.-Dicevo che non è sicuro dormire qui, anche se Maruru fa la guardia! - esclamò Abit -Ha

annusato, a una certa distanza, la presenza di... uomini... sono lontani, ma è meglio stare fuori dal loro “territorio”...

-Uomini? - le fece eco Ayane; che genere di “uomini” potevano vivere là sotto? -Così dice Maruru! A quel punto Ayane era divenuta nuovamente curiosa. -E tu come fai... a capire queste cose,

visto che non parla? ! - chiese.-Nella testa...! - rispose con semplicità disarmante la Oni, indicandosi la fronte.-Ah...! - esclamò Ayane, agitandole una mano davanti alla bocca, come per sventolare via

tutte le parole che avrebbe potuto far seguire alle prime -Non dire altro: non lo voglio sapere. Ho capito: cerchiamo un posto migliore!

Abit obbedì. Fece un cenno di assenso con la testa e si mise a cercare un “posto migliore”. Presero il corridoio di sinistra e la condusse attraverso un lungo passaggio su cui si posizionavano moltissime porte di ferro, tutte chiuse. E lo trovò quando ormai Ayane aveva la testa ciondolante, i piedi inciampanti, lo sguardo annebbiato che confondeva ogni angolo, porta e corridoio gli uni con gli altri.

Era uno stanzone dislocato di una decina di metri rispetto a quello che Abit aveva chiamato “strada maestra”, in fondo a un “corridoio morto”. Non c’erano altre uscite o entrate e l’unica fonte di illuminazione era un blocco di cristallo viola incassato nel pavimento, nell’angolo più lontano. Una luce bassa perfetta per chi volesse dormire con un occhio aperto.

Abit chiese ancora da mangiare, e Ayane glielo diede. E scoprì di aver terminato le razioni.Fissò una, due, tre volte di più il sacchetto, ma era vuoto. Non c’era alcun dubbio. Vuoto come

la testa della Oni.-Che c’è, Ayane? Hai una faccia orrenda! -Non ho nulla! - berciò quella -Dormi, piuttosto! -Ma non ho sonno! -Dormi lo stesso! Abit brontolò come una marmitta di brodo surriscaldata, ma non replicò. Si accoccolò in un

angolo e sembrò placarsi, almeno per il momento.Ayane cercò di sistemarsi lo zaino come un cuscino, ma non c’era verso. Il brutto leone

rimaneva fuori vista, nero dentro alla soglia nera, nel punto più lontano dalla luce e lei non aveva nessuna voglia di guardare da quella parte. Stava per arrendersi tuttavia e decidere di dormire sul duro pavimento, quando Abit tornò all’attacco.

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-Ayane, Ayane! -Cosa vuoi, adesso? -Non solo ho fame, non ho nemmeno sonno! -Questo lo so! -E allora, cosa faccio? -Non è un mio problema! -Oh, insomma! -Non vuoi saperne di startene zitta a dormire? ! -Perché invece non mi racconti del motivo per cui sei venuta in questo postaccio, Babilonia? Ayane sospirò. E poi...

Breve e spazientito racconto di Ayane:La lama che hai visto è solo una parte di un’antica arma. Qualcuno userebbe un mucchio di

parole strane e complicate, che tu non capiresti affatto, per cui userò quella più facile: è un antico oggetto, prezioso solo perché rappresenta molto per la mia famiglia... tanto che lo puoi chiamare un “cimelio”. In un certo senso è anche “prezioso”, ma non come lo sarebbe un gioiello: secondo una leggenda sarebbe dotato di un qualche potere magico, ma io non ci credo. Se qualche potere possiede, è senz’altro una maledizione!

Perché, chiedi tu? Perché possedendolo alla nostra famiglia non venne mai nessuna ricchezza, nessuna magia; e quando lo perdemmo, perdemmo tutto. Senza di esso quello che rimane del nostro... “clan”... non può nemmeno essere definito tale. Ho camminato e viaggiato a lungo per ritrovarlo, fin da quando un ladro non lo rubò nella nostra casa. Ah, vorrei chiamarla “casa”, ma Abit, ora è soltanto un tugurio, mezzo crollato, dove soltanto due stanze hanno ancora un tetto che non fa entrare l’acqua! E nonostante questo io lo chiamo “casa”!

Il ladro non dovette nemmeno sapere che cosa stesse rubando. Forse lo attirò il lucido e nero acciaio, che non si corrode neppure dopo molti anni. E noi facemmo entrare il ladro in casa, trattandolo come un ospite! So che parlarti di “onore” e di altre questioni del genere sarebbe inutile, ma fu proprio questo che avvenne: il ladro era senza onore.

E anche la mia famiglia lo perse, quando perdemmo il simbolo che, pur nella misera, almeno ancora nella dignità ci legava al tempo che fu.

Era stato un dono dell’Imperatore stesso al mio antenato, che era stato un grande generale.Ah, no Abit, non l’Imperatore di Babilonia! Quello di un paese lontano lontano, non puoi

nemmeno immaginare quanto! Ma perché nessuno si mise sulle tracce del ladro? Solo io lo feci; forse mio padre era troppo

stanco, forse l’amarezza di lunghi anni aveva avuto la meglio sui suoi capelli ormai grigi.Io invece bruciavo del fuoco dell’onore violato e delle sciocche storie di gloria dei miei

antenati: come forrei adesso che mia madre non mi avesse mai racconato nulla, nelle lunghe sere di primavera, mentre stentavo ad addormentarmi!

Ma non serve a nulla torturare il passato. Ero decisa a partire e lo feci di nascosto, lasciando soltanto una lettera. I miei passi mi condussero fino a un fiume, dove il ladro annegò. E poi a una carovana di mercanti, che trovò il suo cadavere. E poi a una città presso le montagne dove il “tesoro” recuperato dal morto venne venduto a un mercante di schiavi. E ancora fino a un’oasi dall’altro lato dei monti, dove finì nelle mani di una ricca donna, che teneva una officina di vasi di terracotta. E questa regalò il nostro tesoro a un Circo itinerante, per averla molto divertita, e questo Circo arrivò fino a Babilonia, perché allora Balthazar era ricco, e poteva permettersi di superare le distese di sabbia turbinante. Ma a Babilonia successe un incidente e Balthazar fu costretto a scendere nel buio. E poco dopo che finalmente lo raggiunsi, seppi che aveva donato il tesoro, non sapendo che farsene, a un signore che egli credeva ricco, e che pensava potesse farlo tornare alla luce!

A questo punto Abit chiese: -Ma ora che lo hai ritrovato, tornerai a casa? -Sì, anche se ora ho paura...-Paura? ! -Me ne sono andata come un ladro! - rispose -E quando sono partita ero una sciocca idealista!

Ma dopo innumerevoli mesi nel buio di questa catacomba... mi sono resa conto che anche se lo

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riportassi indietro... che cosa cambierebbe? L’onore è come una foglia morta che si stacca dall’albero al minimo soffio di vento, se non scorre linfa nell’albero!

-È molto triste, Ayane cara! - replicò Abit -Ma io credo che dovresti tornare comunque...! -E cosa te lo fa pensare, sciocca? -Che se avessi ancora dei nonni che mi aspettano... di sicuro sarebbero ansiosi di vedermi

tornare! Ayane non rispose.Ma dopo poco disse: -Vai a dormire, Abit! Abit si accoccolò ancora di più nel suo angolo, sbuffando come un basilisco.Ayane si ritirò nel suo, di angolo. Aver riaperto la ferita... la faceva sentire vuota, sola, come

non mai. Credeva che non si sarebbe mai addormentata, ma ancora prima di rendersene conto sprofondò come un sasso nel sonno. In un attimo era scomparso tutto: l’urgenza, la paura, il buio, la necessità di rimanere di guardia, Babilonia, le mani bianche, l’acciaio nero a forma di triangolo, la mano rugosa di suo padre, la pelle che non aveva mai visto il sole di sua madre.

Sogni senza forma, ma pieni di occhi, la visitarono, scrutandola da ogni dove. Tortuose scale e contorte rampe trascinarono la sua corsa dentro ad abissi sempre più profondi.

Un forte senso di urgenza la fece svegliare di colpo. Si alzò a sedere di scatto, completamente coperta di sudore. Il cristallo baluginava, Abit, una specie di fagotto rannicchiato, dormiva ai limiti dell’alone di luce. E una sagoma nera attendeva sulla soglia della stanza. Maruru scosse la criniera e, alzandosi, le fece cenno di seguirla. Ayane non sapeva come reagire a questo sviluppo, ma doveva esserci qualcosa di urgente, un pericolo... balzò su, lasciando Abit al suo sonno e seguì la bestia. La forma di Maruru cambiava con le dimensioni delle ombre e in un angolo totalmente nero era grande come la notte stessa, ma poco più in là non era nulla di più che un grosso gatto, una macchia di carbone sul pavimento sporco. Non c’era però da dubitare, allo stesso tempo, della sua solidità, delle sue zanne aguzze, dei suo artigli, delle sue zampe.

Ayane deglutì, seguì Maruru fino al corridoio principale, poi lungo un altro passaggio, che saliva; e poi il leone si bloccò. Ayane si chiuse come un riccio sulle ginocchia e guardò dove stava guardando Maruru. Erano in alto, affacciati ad un vano aperto sopra a un largo passaggio che procedeva di sotto. E c’erano degli uomini. Erano uomini, non c’era dubbio, ma erano piuttosto diversi da quelli che Ayane era abituata a vedere, persino dopo la lunga e non voluta permanenza della strana Babilonia. Erano in quattro, alti e dinoccolati, vestiti con mantelli verdi. Calvi, la pelle come alabastro; o meglio, come ceramite. Liscia, quasi perlata. Non avevano nemmeno le palpebre, ma occhi enormi, con l’iride nero che riempiva quasi tutto il bulbo oculare.

Avevano delle crude armi in mano, delle specie di arpioni fatti dell’osso di qualche animale delle profondità e sulle spalle avevano quattro sacchi, coperti ognuno di un telo di pelle. Da sotto il telo spuntavano vibrisse, o antenne, o forse tentacoli... camminavano bassi, attenti come lupi, e dalle loro movenze era chiaro che erano pronti a scattare come dinamo in un attimo, in un vorticare di violenza.

“Sono cacciatori di Syym Abissali”! Il pensiero prese forma nella sua mente come una serie di immagini che la sua mente ordinò istintivamente in “parole”. Si volse di scatto a fissare Maruru. “Sono fuori dal loro territorio di caccia...” presero ancora forma le parole nella sua mente “... non sarebbero qui, se non fossero stati spaventati da qualcosa: stiamo all’erta...”!

Stiamo all’erta? ! Dovrebbero essere quegli “uomini” a stare all’erta di te, stupido gatto gigante! Così sbottò nella sua testa Ayane e i grossi occhi di Maruru si fissarono su di lei. E avrebbe giurato che la fissassero in maniera ironica.

-Cosa hai da ridere? - scattò, sussurrando, Ayane.“Sei una umana strana”! parlò il leone “Non eri terrorizzata nel fissarmi negli occhi? ”-Prima era prima, ora è adesso! “Hai ricordato istintivamente il terrore ancestrale dei tuoi progenitori, quando intorno ai loro

fuochi il terrore con zanne e artigli bramava il loro sangue dal buio? ” insistette il mostro “Ma io ero già là, anche a quel tempo: un sogno, creato dalla paura di quegli esseri primitivi! Già allora cacciavano le loro deboli sagome nelle foreste del Sogno! ”

Ayane deglutì, ma non aveva intenzione di cedere.-Vuoi spaventarmi, maledetto mostro?

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Ma il leone, silenzioso come una lucertola, non rispose. Si voltò e tornò indietro lungo il passaggio senza aspettarla. Ayane si morse il labbro; dannato mostro! Ma quando, tornati alla stanza, si accorsero che la sciocca Abit era scomparsa, Ayane dimenticò quasi immediatamente l’odio per quel malvagio leone.

Il naso aveva tradito Abit. Mele caramellate, pan di zenzero in ammassi simili a carro armati, baci di hourì e zucchero a velo danzanti, come un corte nuziale di veli bianchi, roteavano nei suoi sogni agitati, al ritmo di tamburo del suo stomaco brontolante. Ma quello che la svegliò fu l’odore, distante, sottile, ma certo riconoscibile. Carne arrosto. Si alzò come un morto vivente e ipnotizzata dal flauto magico del profumo di cibo si perse dentro ai corridoi.

Era ancora in trance quando raggiunse un ambiente molto meno claustrofobico degli altri. La volta infatti era altissima e l’aspetto era quello di una interminabile caverna. Molti altri corridoi arrivavano da ogni dove, traforando come buchi di vermi le pareti a destra e a sinistra e da molte di quelle aperture scendevano cascatelle di acqua. Infatti alcuni condotti erano molto alti, rispetto al livello della “grotta”. Le pareti sembravano insomma una specie di alveare; l’acqua si raccoglieva sul pavimento, semi-sommerso, e rovine e detriti sporgevano sopra il pelo. Si erano formate delle stalattiti che pendevano dal soffitto e sembravano colonne di un palazzo antico: il pavimento era anche bucato in più parti, grossi fori perfettamente circolari, e là l’acqua era profondissima. Bolle a tratti salivano sulla superficie da quegli abissi, ma non fu questo l’elemento che catturò l’attenzione di Abit: su di un isolotto di detriti, quasi al centro della sala, era stato montato un focolare. E su quello erano lasciati ad arrostire alcuni cosi dall’aspetto inquietante (pesci con la testa da maiale? ), che però nel cuore di Abit sembrarono la terra promessa. E un filetto di bava le corse giù lungo il labbro.

Il paradiso del cibo non era distante ed era del tutto incustodito. Abit non si lasciava, tuttavia, possedere dalla fame in maniera così assoluta da dimenticare la prudenza. “Rubare” nelle cucine era sempre stato un “lavoro” pericoloso e i poco furbi e gli imprudenti ci rimettevano le mani, in senso letterale.

Quindi prese a camminare gobba e circospetta, usando anche le mani per muoversi, come una specie di scimmia. Usò ogni riparo e angolo buio per avvicinarsi in larghi cerchi all’isolotto, con le orecchie tese, gli occhi ardenti pronti a cogliere qualsiasi minimo movimento. Ma non c’era alcun suono, niente si muoveva. Se avesse avuto i baffi le avrebbero vibrato mentre si avvicinava all’agognato premio. Adesso era a tre o quattro passi dall’isolotto: doveva abbandonare le tenebre e saltare in piena luce (grossi funghi fosforescenti che si aggrovigliavano sul soffitto, che non erano visibili dall’entrata, illuminavano la zona centrale della sala) e questo ultimo passo le costò molte riflessioni. Ma non c’era alcuna forma di vita visibile e la fame ebbe il sopravvento.

Saettò allora come una molla verso l’isola, balzò sopra il focolare e stese la mano come lo scatto del syym che afferra l’esca, ma un’altra mano arrivò dal nulla prima di lei e afferrò l’estremità dello stecco che reggeva il primo “pesce” e lo strappò via. Abit afferrò il secondo e per un istante si trovò a fissare negli occhi una vista spaventosa.

Una testa larga, orribile, dura come il marmo, colorata di segni rossi sotto le fessure vuote degli occhi, denti come zanne che sporgevano da una mascella quadrata e una fulva criniera tutt’intorno al testone, come una corona di fuoco. Abit soffocò un grido, ma la creatura sfruttò la sua sorpresa per strapparle di mano anche l’altro pesce e schizzare via in mezzo alle tenebre. Abit rimase scioccata, spaventata e poi decisamente arrabbiata! Il maledetto nano mostruoso (in verità la creatura era alta come lei, ma essendo piegata in due come una scimmia sembrava alta come un nano) le aveva portato via la cena!

Inferocita e dimentica di ogni prudenza si lanciò al suo inseguimento. Saltò tra le rocce e le stalattiti e individuò subito la scia di profumo di pesce cotto. Corse a perdifiato dentro a un cunicolo e in una galleria oscura, proprio in fondo, colse il baluginio di una cosa metallica brillare per un attimo. Si buttò in quella direzione e con il cuore che le martellava di furia raggiunse la svolta. Sbucò in un cavernone dove era stato costruito un “villaggio” sotto la volta della grotta. Le pareti delle case, fatte di sassi, erano addossate alla parete di fondo e le casette arrivavano fino al soffitto, messe le une sulle altre, come un formicaio. Erano mezze dirupate e in rovina. Abit si infilò nella prima costruzione e scoprì che dall’interno tutte le case erano collegate, facendone un

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unico grande edificio. C’erano resti di mobilio ricavati dai tronchi dei funghi, tendaggi crollati, resti di strumenti abbandonati. Persino un torrentello di acqua limpida aveva preso a scorrere in mezzo alle scale di argilla cotta e alle stanze, trasformando il fondo della case nel suo letto, tutto muschiato. Alcune piante crescevano già ai lati del fiumiciattolo e diversi animaletti di non precisata specie balzarono via nelle loro tane dentro le scansie o sotto i mobili distrutti.

Abit corse su fin quasi al tetto e lassù una risatina la accolse. Si bloccò e guardando in su, vide che seduto sul muro mezzo diroccato c’era il nano. Aveva un largo mantellone di colore scuro, tutto sbrindellato, da cui sporgevano due gambe assolutamente umane che ondeggiavano avanti e indietro, nude, con una scarpa destra e una sinistra diversa dall’altra. Il muro era molto alto, almeno quattro metri e il nano la derise ancora, sollevando con una mano il muso di legno e infilandosi nella vera bocca un pezzo di pesce.

Era una maschera, quella! Ma anche se fosse stato davvero una specie di orco, Abit era troppo arrabbiata per esitare. Saltò sul muro e si arrampicò come una lucertola fino in cima in un attimo. Il suo avversario, stupido dell’agilità di Abit si alzò di scatto e prese a correre via, lungo lo stretto ciglio del muro. Abit lo rincorse e pezzi di muro crollavano sotto i suoi piedi, ma saltava e correva, come un primate. La figura sbrindellata, con due grossi orecchini che brillavano a ogni salto nel buio, saltò giù dal muro in un balzo prodigioso, ma Abit le fu dietro.

Si infilò in un tronco di fungo morto, pietrificato, rovesciato su di un fianco e cavo, e Abit la rincorse.

Si arrampicò sulla parete umida, tenendo i due pesci con la bocca, ma Abit la seguiva d’appresso.

Si lanciò zigzagando lungo un conoide di detriti, tra i massi dirupati, ma Abit non la mollava un momento. La raggiunse con un balzo e l’afferrò per i capelli; tirò con tutte le sue forze. Ma quello che venne via fu solo il mascherone tribale. Una cascata di biondi (Abit non aveva mai visto capelli di quel colore! ) capelli sporchi sbocciò in aria e la creatura scattò di qualche metro in avanti, e voltatasi, esclamò: -Ah ah! Non mi prenderai mai, mocciosetta con le corna!

Abit si ingrifò. -Mocciosetta sarai tu! Non mi sembri tanto più grande di me! Ed era vero; era una ragazzetta magra, dal colorito pallido, sommersa nel suo liso giaccone-

mantello, con quei capelli lunghissimi e gli occhi di un blu incredibile, ma pur sempre una ragazzina dell’età di Abit.

Ed ella disse: -Ah! La ragazzina con corna e coda pensa forse di saperla lunga? Intanto il syym ce l’ho io, e me lo mangerò! - e agitò i due “pesci” per aria.

-L’ho visto prima io! - ribatté furibonda Abit.-E come fai a dirlo? Io stavo facendo la posta agli uomini bianchi prima di te! -Non credo proprio! -E chi te lo dice? ! -Lo so e basta! Un tuono furioso risuonò esattamente dietro di loro e la parte inferiore del conoide di detriti

esplose in una nuvola di polvere. Una massa immensa, orribile, balzò fuori con una velocità che non era nemmeno immaginabile considerata la sua massa. Era un verme, immenso, dalla bocca rotonda irta di denti larga almeno due metri. Barbigli come tentacoli saettavano tutt’intorno alla bocca, e grondavano un liquido verde. Insomma, un vero kraken adulto, che aveva seguito fuori dalle sue tane profonde i cacciatori di syym abissali... ma che ora aveva trovato due nuove succulente prede!

Le due ragazzine si fissarono per un secondo negli occhi e poi presero a correre con quando fiato avevano in corpo. Il kraken si lanciò al loro inseguimento sollevando tonnellate di detriti, inarrestabile, famelico. Abit e la sconosciuta si trovarono a correre una dietro all’altra, con le gambe come mulinelli, ma il mostro dimezzava la distanza a ogni contorsione del corpo segmentato. E la china del conoide finiva su quel lato su di una voragine spaventosa.

-Waa! - gridò Abit.Ma l’altra (con i pesci tenuti in bocca), le afferrò una mano e mugugnando qualcosa di

inintelligibile la trascinò proprio verso il baratro. Aveva una forza mostruosa e Abit non poteva comunque andare da nessun’altra parte, con quel treno di denti che le era quasi addosso. La cima si fece avanti come la velocità di un’immagine sfocata vista da un razzo e di colpo i loro

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piedi furono nel vuoto. Ma una scia di fuoco esplose sotto i loro piedi e quando Abit posò il suo di piede su quella linea ardente non solo non bruciò, ma scoprì che offriva anche una certa resistenza. Potevano correre sospese nel vuoto, sopra quel sentiero di fiamma!

Il kraken, che era un mostro insensato, si lanciò dietro a loro senza esitazione. Ma appena sentì che sotto di lui c’era il vuoto si arrestò con metà corpo proteso in aria. La ragazza bionda mugugnò qualcosa e sollevato un braccio in aria accadde un altro fatto portentoso. Un nugolo di fiamme esplose in testa al mostro, incendiandogli i barbigli. Il kraken si agitò convulsamente e tale fu la sua furia (e il suo peso) che la cima della massa di detriti cedette improvvisamente, e lo trascinò giù nel baratro, con un assordante frastuono di roccia crepata. Il fatto più orribile fu che il mostro cadde senza un suono, perché non aveva una lingua per gridare. Scomparve nel vuoto e dopo qualche istante si sentì un fracasso immane e poi il silenzio.

La ragazza bionda condusse sul sentiero di fuoco Abit fino al lato opposto della voragine, dove erano altre aperture nella parete. Abit sospirò si sollievo appena mise piede sul terreno solido. E poi si volse all’altra ed esclamò: -Incredibile! Meraviglioso! Come fai a fare queste cose? !

Quell’altra gonfiò il petto, orgogliosa: -Visto? ! Ma ti dico la verità, tu sei la seconda persona in tutta la mia vita che trova meravigliosa la mia capacità!

-Oh, e perché? La ragazza rispose: -perché la gente di solito prova terrore per quelli come me! - e poi

aggiunse -Io ad ogni modo non avevo mai visto una ragazza con le corna... sei una Oni, vero? Ho sentito dire che dovreste essere tutti estinti, ma evidentemente non è vero... e... - e si avvicinò e la annusò -... hai un odore veramente curioso! Ah, e questo odore? ! Stento a crederlo... il Mangiatore di Sogni? ! Tu hai incontrato il Re nero?

-Sì, penso che tu stia parlando di Maruru! E non l’ho solo incontrato, ci accompagna nel viaggio! - e poi, frugandosi in tasca e tirandone fuori una benda per gli occhi, aggiunse: -Quando c’è troppa luce lui si nasconde qui, dentro il mio occhio... a pensarci bene, anche Abit non è forse una creatura straordinaria?

La ragazza fece una faccia concentrata e alla fine esclamò: -Sei proprio una persona interessante, Abit! - e porgendole uno dei pesci, quello ancora intero, aggiunse: -Voglio diventare tua amica!

Abit afferrò al volo lo stecco e tutta contenta, esclamò: -Con vero piacere! Ma come ti chiami, tu?

Rispose: -Alice!

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Capitolo 5 Alice

Alice la condusse fino al suo rifugio, una catapecchia costruita con lamiere di recupero, sul ciglio di un dirupo che sovrastava la foresta fungoide, che, da quel punto in poi, ricopriva ricogliosa tutto il resto del livello. Cascate che uscivano da tubi di cemento squarciati cascavano rumorose sul tetto delle cappelle dei funghi e si perdevano in fracassanti oscurità, sotto i gambi altissimi; luci fosforescenti baluginavano tra le polpe carnose e resti di costruzioni, muri e piloni emergevano mezzi mangiati di mezzo alla lussureggiante “vegetazione”. La foresta era dimora di kraken, diavoli verdi e cacciatori bianchi, ma Alice si disse certa che la sua “casa” fosse un posto sicuro.

-Dopo che ho arrostito il didietro di alcuni dei cacciatori... - disse, ferma sulla soglia, che non era altro che un tendone appeso con dei chiodi -... adesso tutti chiamano questo posto la “casa della strega” e si tengono alla larga... e poi siamo in cima a uno sperone... i kraken non riescono ad arrampicarsi e d’altronde non c’è motivo che vengano quassù, visto che non c’è nulla da mangiare!

Abit fece allora la seguente osservazione: -Ma potrebbero voler mangiare te! Alice si tenne il mento per qualche secondo e infine disse: -Non avevo mai pensato alle cose

da questo punto di vista! Effettivamente a un diavolo verde interessa poco che cosa si ficca in bocca, però, vedi? Sono abbastanza attrezzata! - e così dicendo indicò i numerosi barattoli appesi a sottili fili, invisibili come tela di ragno, che stavano appesi tutt’intorno alla sua casa -Se qualcuno dovesse avvicinarsi, a meno che non sia una creatura intelligente, scuoterebbe i barattoli facendo un gran rumore! - sentenziò -Quindi non riusciranno a prendermi di sorpresa!

-Ooo! - esclamò Abit -Molto ingegnoso! - e la sua stima nei confronti della ragazza bionda aumentò notevolmente.

Alice disse: -Ma ora bando alle ciance! Entra... - e poi aggiunse -... ma sei sicura che la tua amica non avrà problemi? Non dovremmo dirle dove sei e rassicurarla?

-Non preoccuparti, Ayane è molto più intelligente di me! - rispose Abit -Ci perderemmo sicuramente se l’andassimo a cercare e sono sicura che invece Maruru sa benissimo come ritrovarmi... ci conviene aspettarli in un posto sicuro, piuttosto che vagare a caso in questi luoghi pieni di vermoni e gentaglia biancastra!

-Ma sarà preoccupata! -Eh... - rispose Abit, con due grandi occhioni rassegnati -... si arrabbierà tantissimo! Sono

sicura che mi colpirà su questo mio grosso testone inutile, ma non ci possiamo fare niente! -È così manesca? - disse Alice, finalmente entrando e facendole strada.-È che non è una ragazza “tranquilla”, si agita sempre... - rispose Abit -... ma lei, sai, viene da

fuori: ha un sacco di idee strane, però è molto cara, e si preoccupa tanto per me! -L’esterno? - esclamò Alice -Ci sarà una storia molto interessante dietro! - e stendendo la

mano in aria, aggiunse: -Ad ogni modo questa è la mia casa! Che ne pensi? La “casa” di Alice era un disordinato ammasso di cianfrusaglie. Una cisterna cilindrica per la

coltura delle cellule in vitro era divenuta il tavolo; pezzi di fungo fossilizzati erano divenuti la base del letto; spesse e grandissime foglie di un certo malvagio fiore carnivoro erano le coperte e il materasso; armadietti di metallo costituivano per l’appunto gli armadi; alcune lampade dalla forma barocca, che a una più attenta analisi non erano fatte di ferro, ma di una dura sostanza chitinosa, vennero subito afferrate dalle mani sporche di Alice e dopo qualche traffico cominciarono ad emanare una soffusa luce verdina: anche lo stoppino che stava dentro ardeva non di olio, e nemmeno di gas, ma dell’estratto delle ghiandole di un syym.

Al centro dell’unica stanza c’era un foro, coperto da un pezzo di fungo fossile; Alice lo sollevò, rivelando un focolare con braci ancora calde. Si mise subito a riattizzare il fuoco, prendendo dei ciocchi di “legno” dagli armadietti e tirando fuori da certi boccioni allineati contro la parete una sostanza dura e verdastra, che buttò tra le braci. Prese a strofinare dei bastoncini con la cima rossa finchè non sfrigolarono di un fuocherello vivo; fece innescare con quelli i blocchetti di roba verde e si industriò a far prendere il fuoco, soffiando in maniera comica dentro a un attizzatoio

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ricavato da un arpione cavo, privato della punta, e maneggiando delle molle che erano state le due spine dorsali di un qualche pesce. Abit la fissava incantata; e disse: -Alice! Sei molto brava! Ma non sarebbe più semplice se usassi i tuoi poteri, per accendere questo fuoco?

-Cosa? - rispose Alice, tutta rossa in viso per tutto quel soffiare nell’attizzatoio -Mia giovane Abit, non essere sciocchina: che piacere ci sarebbe nel compiere le faccende di casa, se usassi i miei bizzarri poteri?

-Ah, non ci avevo proprio pensato! - rispose -Si vede che, come dice Ayane, devo ancora percorrere una lunga strada prima di diventare una perfetta signora!

-Ehe...! - disse Alice, gonfiando il petto, soddisfatta di sé stessa -Ma adesso prendi quei “pesci”, che si sono ormai raffreddati, con tutto quel correre! Infilali qui nelle braci calde... e poi prendi! - e da un altro armadietto tirò fuori con religiosa cura alcune mele e altri frutti difficilmente identificabili, secchi e rugosi -Infila anche questi su di uno stecco e mettili nel fuoco!

-Ma li hai presi nella foresta fungoide? - chiese Abit, dubbiosa.-No, non preoccuparti! - ribatté -Li ho scambiati con gusci di insetti armadillo al villaggio di

Yama, che si trova a est della foresta...-Un villaggio! - fece Abit, infilando diligentemente i frutti nello stecco -Quindi non abitano solo

mostri e strane persone, in questi luoghi? Alice rispose, accoccolandosi davanti al fuoco: -No di certo! Solo che gli abitanti di Yama sono

dei pigmei...-E cosa vuol dire? -Che il loro guerriero più grande e forte è più basso di me e di te! -Incredibile! - esclamò Abit -Ci sono veramente tante cose al mondo... ti confesso che mi

sento molto piccola, quando penso a queste cose e... - e fece una pausa, fissando il fuoco -... a quello che mi racconta Ayane: esisterà davvero questo “cielo”? E che aspetto può avere?

Alice si mise più comoda, a gambe incrociate, e disse: -E che aspetto pensi che abbia? Davvero non sei mai uscita da Babilonia?

-No...! - rispose tristemente la ragazza -... sarà come un “tetto”? Come il soffitto nero che c’è sopra le nostre teste, solo che blu?

-No no! - rispose ridendo Alice -È tutta un’altra cosa! Ma vedrai con i tuoi occhi...! -Ayane però dice che anche di fuori ci sono gli “uomini”...-“Uomini”? - fece Alice; poi soggiunse: -Ah! Deve essere cotto... mangiamo intanto! Presero i pesci e la frutta, e mentre mangiavano, Abit, con la bocca piena, disse: -Per “uomini”

intendo tipo i cacciatori di ratti, o Balthazar... sono violenti, meschini e dai pensieri contorti e tenebrosi: sono persone malvagie!

Alice disse: -Non tutti gli uomini sono così... - e addentando un pezzo si syym il suo sguardo si perse lontano.

-Sai! - disse dopo qualche attimo -Credo che noi due siamo molto simili! Infatti io non sono come tutte le altre persone, come lo sei tu!

-Ma tu non hai le corna e la coda! -Bhè no, ma sono... una Shibartz...! - e attese di vedere che espressione si disegnasse sul

volto di Abit, ma lei si limitò a fissarla con curiosità. Alice allora tirò un involontario sospiro di sollievo e disse: -Mi pare di capire che non sai che cosa sia una “Shibartz”!

-No, non lo so davvero! -Allora permettimi di raccontarti una storia!

La storia di Alice:Raccontò di una bambina che era nata senza avere una madre e un padre. Ma non era come

l’infinita schiera di orfani che nutre a suo modo la città-ziguratt. Si potrebbe dire che fu Babilonia stessa a generarla. Perché essa era una Shibartz. Nell’antica lingua questa parola vuol dire “strega”. In una lingua ancora più antica sarebbe stata chiamata invece “La Ellu”, ovvero “essere impuro”.

Non nascono come gli uomini, ma crescono dai luoghi bui, come soffi di tenebra e come voci di spettro che hanno ottenuto un corpo. Oppure dal fulmine che squarcia una quercia; ma in Babilonia non esiste il cielo, quindi per forza devono essere il buio, e le radici putrefatte delle

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ginocchia di Babilonia, la madre e il padre della bambina.Ad ogni modo il primo ricordo che aveva di sé la bambina erano facce coperte da una

maschera e stanze dalle pareti ricoperte di oro. Erano gli oscuri stregoni di una setta esoterica che praticava le sue arti tra le luci elettriche di uno dei blocchi più ricchi, uno di quelli più vicini alla superficie. Essi predicavano le visioni di un folle, promettevano la salvezza dalla distruzione imminente, profetizzavano la fine del mondo, e con esso, ultima a cadere, della splendida Babilonia.

Vedevano nella bambina dalle mani brucianti e dagli occhi come fuoco un segno mandato dal loro perverso Dio. Ricoprivano di incenso la ragazza, si riunivano in cerchio intorno a lei e salmodiavano oscure litanie, la nutrivano soltanto con pane senza lievito e acqua sterilizzata... la ragazza non conosceva nient’altro. Non rideva né piangeva, non provava né gioia né sofferenza.

Ma la Setta attirò troppi seguaci; molti ricchi della città diedero loro tutti i propri averi e il loro potere crebbe, tanto i Sacerdoti Meccanici li decretarono eretici e ne decisero lo sterminio. I soldati imperiali piombarono sul Tempio del Culto e massacrarono fino all’ultimo uomo e donna che vi trovarono; i cultisti si videro come dei martiri e decisero di scatenare il mostro di fuoco, la bestia di fiamma, la Shibartz, perché distruggesse i servi dell’Imperatore e morisse assieme a loro.

Tuttavia un soldato coraggioso fermò la Shibartz, ed essa non morì.I Sacerdoti Meccanici conoscevano il valore di uno di quegli esseri. Lo portarono in uno dei loro

laboratori per conoscere il segreto del Sogno e della Magia.Perché tutti gli esseri viventi partecipano del Sogno, ma alcuni ne sono infusi più che altri.

Quel Sogno che le civiltà tecnologiche eoni fa cercarono di imbrigliare: ma ne vennero spazzate via e un torrente di Sogni e di potere grezzo spazzò il mondo, diluviando via ogni traccia di civiltà. Gli uomini di ora vivono sulle rovine di quel mondo di un tempo, ma sono rovine poggiate su basi instabili. Le selvagge forze del Sogno percorrono il mondo, manifestandosi in modi strani e portentosi.

Lontano, nei cosiddetti Regni Erranti, le Shibartz, che sono tutte femmine, vivono le loro esistenze come regine, come Dee; infatti se una cryobalena o una dunediana possiede grandi quantità di cristallo di sogno nel proprio corpo2, e se i maghi dell’oscuro Balmung dicono di conoscere i segreti della magia, che, come sai, sono banditi dalla meccanica Babilonia, segreti che erodono la loro mente come tarli, niente di simile si ritrova in una Shibartz. Esse sono il Sogno, e il Sogno è una Shibartz.

I Sacerdoti Meccanici pensarono che aprendo il corpo della Shibartz ancora immatura avrebbero potuto conoscere i segreti supremi che regolano le vie della Creazione. Ma c’erano, tra gli uomini della profonda Babilonia, due, che non provavano terrore per il marchio dei Sette Serpenti inciso sul braccio del mostro. Erano due dei soldati che avevano partecipato al massacro del culto: uno di loro aveva abbattuto la Shibartz coronata di fiamme, ma poi, la mente bruciata dalla sua vista, ne aveva trovato il corpo, ancora vivo, e in quell’essere svenuto aveva visto soltanto una bambina.

Babilonia non insegna né racconta “favole”. E invece Babilonia dovette assistere a una storia come nelle favole. Venne un cavaliere e salvò la principessa prigioniera; sfidò le nere viscere di Babilonia, le sue civette astropati, i suoi uomini degenerati, le sue comodità obnubilanti e le sue ricchezze vuote. Portò il trofeo alla luce del sole e i capelli biondi brillarono più dell’oro nell’aria pura del giorno, quel giorno che chi vive seppellito in Babilonia teme come la morte!

Non chiese nulla in cambio; lui e il suo amico scomparvero con le bestie imperiali alle calcagna, come eroi che scompaiono nel tramonto.

Pensare che esistono ancora degli sciocchi come questi! La ragazza rimase sola; ora aveva persino ricevuto un nome, ma se anche conosceva finalmente come ridere e come piangere, non sapeva ancora cosa farsene della sua libertà. E poco dopo, quando fece chiarezza tra le sue emozioni appena imparate, capì che di quelle libertà avrebbe fatto a meno, se avesse potuto essere con il cavaliere che l’aveva salvata.

Ma si accorse che lo sciocco uomo era lontano e che non era possibile abbandonare Babilonia.

2 Proprio quel “diluvio universale” di acque nere, spalancate dai cancelli del Mondo del Sogno, che ora, cristallizzato, contiene ancora energia grezza più forte di ogni fornace solare

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I pochi villaggi di disperati che crescono appena fuori dei basamenti, tra il deserto e le paludi formate dai due fiumi, sono abitati dai derelitti che, sfuggiti alle sue tenebre, si sono accorti che non esiste la libertà.

E perché la gente non si allontana semplicemente, non cerca fortuna altrove, nel mondo? Perché un fenomeno spaventoso li blocca dove sono. Tutti coloro che sono usciti a rivedere, o a vedere per la prima volta, il sole e l’aria e gli uccelli e le acque azzurre dei fiumi, hanno scoperto di essere rinchiusi in una gabbia d’oro. Una terribile tempesta di sabbia circonda le estremità del deserto: come un muro tenebroso limita la vista verso settentrione, meridione, oriente e occidente. Non si muove mai dalla sua posizione, ma chiunque provi ad attraversarla non fa mai ritorno. Troppo violento il vento, e la sabbia come una mola strappa vorticando la carne dalle ossa. Soltanto una nave volante corazzata, una nave imperiale, o una fornita nave pirata, possono attraversare il maelstrom tempestoso.

Ma nessuno degli sciagurati che abita all’esterno di Babilonia ha i mezzi per pagarsi questo viaggio. Vivono delle enormi masse di rifiuti che vengono gettati fuori dalla città, sfruttati da profittatori come pirati, canaglie e robivecchi licenziati dall’Impero che sfruttano i rifiuti per raccogliere materiali rari. Sono i materiali vomitati dagli strati profondi della città: mentre i livelli alti sono una gabbia dorata per ricchi e Sacerdoti, un luogo che però anche l’Imperatore ha abbandonato, i livelli più bassi sono un mistero anche per l’Imperatore stesso. Le possenti fabbriche lavorano incessantemente, gli edifici continuano a essere modificati ed espansi, ma non è volontà di uomo che guida questo processo. Le macchine, lasciate a sé stesse, continuano senza emozioni il loro lavoro. Gli uomini sono soltanto il loro lubrificante, olio per i loro ingranaggi. E così, senza scopo, la città di dentro cresce e si contorce.

Quello che ne esce, come scarico di un organismo vivente, non può essere trovato altrove se non nella discarica a cielo aperto. Così una seconda volta la gente fuggita da Babilonia diviene nuovamente sua schiava.

Tutte queste cose apprese la ragazza in poco tempo, come comprese di non avere possibilità di sfuggire a Babilonia. Forse il suo corpo di Shibartz poteva superare la tempesta? Ma essa era chiaramente un fenomeno non naturale, il residuo delle catastrofi magiche che avevano sconvolto il mondo. Non poteva rischiare di morire, ora che sapeva che cosa fosse la vita.

Ma non era nemmeno in grado di vivere con gli altri esseri umani; semplicemente, non era come loro. E in più aveva timore che prima o poi i Sacerdoti potessero uscire dalla città e fare del male alla gente dei villaggi che ogni tanto la ospitavano (senza sapere che cosa fosse in realtà) con un giaciglio per la notte o un piatto di minestra sintetico. Non si fidava neppure a imbarcarsi clandestinamente su di una delle navi dei mercanti: aveva visto uomini venire scorticati vivi, dopo essere stati scoperti, e, sebbene, essendo una strega, avrebbe potuto facilmente disintegrare due o tre pirati prima di venire acchiappata, non era nemmeno sicura di dove andassero quelle navi. Aveva una premonizione però, il sentore che un giorno avrebbe reincontrato il suo cavaliere; e allora decise di aspettare. E tornò nelle profondità di Babilonia, l’unica a farlo di tutti quelli che erano riusciti a sfuggirle. Risalì le gallerie larghe quanto corazzate volanti e raggiunse le paratie stagne che separavano l’interno dall’esterno; trovò le brecce per dove era uscita la prima volta.

Dentro ritrovò l’aria stantia e antica del mondo che conosceva e, per qualche attimo, si sentì di nuovo a casa. Attraversò il villaggio della gente semicivile che abitava vicina all’uscita, e che ogni tanto aveva qualche rapporto con l’esterno. Erano questi dei giganti, alti almeno tre metri. Erano molto abili nel riparare strumenti meccanici, ma avevano paura dell’aria “contaminata”3 dell’esterno.

Poi scalò le montagne di rottami che si elevano contro i pilastri colossali che sorreggono la città. Ritrovò il fiume velenoso che aveva le sue sorgenti nella foresta fungoide e ne seguì a ritroso il corso. Seguendo gli istinti della sua razza trovò un luogo solitario e là mise insieme la sua casa. Scoprì presto che i suoi istinti erano molto diversi da quelli degli altri esseri viventi: chi aveva una bocca, e la usava solo per nutrirsi, chi sapeva anche parlare, e ambiva a riprodursi o ad arricchirsi di gusci luccicanti di kraken, senza essere di molto superiore alle altre bestie che mangiavano e basta.

3 In realtà l’aria esterna à assolutamente normale, ma sono loro che non riescono più a respirarla.

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Le Shibartz invece cercano un luogo lontano dagli uomini ed edificano le loro case stregate... coloro che vivono abbastanza, senza essere uccise da cacciatori di stregoni o mangiate dalle loro simili, diventano regine di immensi territori e le loro case luoghi stregati incredibili, giganteschi come palazzi, e semoventi come grandi tartarughe che si portano la propria casa dietro con loro.

-Ma questa casa non si muove! - sbottò Abit.-Cosa vuoi, ci sto lavorando... - rispose Alice -... ma non è neanche questo granché di casa: tu

faresti una gran fatica a mettere due gambe sotto a questa catapecchia, che sono due lamiere in croce?

-Penso di no! Hai proprio ragione, Alice cara! Alice era molto contenta di poter parlare con qualcuno; gli ultimi anni erano stati molto

solitari, forse peggiori di quelli passati nel Tempio dei Cultisti, perché allora non aveva mai conosciuto una realtà diversa.

Rimanendo in quel luogo sarebbe diventata la “strega” della foresta e un giorno avrebbe esteso il suo dominio a tutto il sottosuolo, finché gli agenti imperiali non avrebbero impiegato un intero esercito di Sacerdoti e Macchine del Sogno per ucciderla. Ma adesso... era arrivato qualcuno di molto simile a lei. Che la salvò dall’essere soltanto una Shibartz.

Proprio per questo Alice tirò fuori da una cassapanca (che era stata una cassetta di sicurezza in piombo) un voluminoso coso a forma di parallelepippedo, e, poggiatolo per terra, davanti alla sua prima amica, disse: -E questo è il libro che mi regalò lui, prima di lasciarmi!

Abit fissò l’oggetto con sguardo ammirato; e disse: -“Libro”? E che cos’è? Non ho mai visto nulla di simile in vita mia!

Alice sorrise furbamente, come un gatto che si lecca i baffi: -Che cos’è? Guarda attentamente, perché a Babilonia non ci sono più oggetti come questo!

E aprì le pagine, in un gesto che per la lontana e snervata umanità del futuro aveva perso ogni significato.

Parole scritte in caratteri tutti uguali e minuti strariparono dalle pagine, come un incantesimo tatuato sul corpo di uno sciamano danzante; e c’erano anche le figure, stampigliate in ottavo, acqueforti in bianco e nero che rappresentavano Alice e il gatto del Chessire, Alice e il Brucaliffo, Alice e la Regina di Cuori... gli occhi di Abit si illuminarono come stelle ardenti.

Non fu un granché, come esperienza di lettura: Alice sapeva riconoscere soltanto il suo nome (quello che si era auto-regalato), Abit non sapeva leggere neppure una parola. Ma non avevano certo bisogno di saper leggere per immaginarsi una storia. Alice e Abit risero forte, nel vedere l’espressione triste del mostro-tartaruga; Alice, che amava molto le storie, ne inventò una del tutto nuova, che non centrava nulla con “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Si mise certi occhialoni senza lente sul naso e prese a “leggere” come una specie di maestra e Abit batteva le mani alle trovate più ingegnose della ragazza.

Poi anche lei si mise ad aggiungere nuove parti, parti grottesche e parti spassose e si divertirono tanto, che alla fine si addormentarono, l’una sull’altra, con il libro in mezzo e le ceneri mezze spente nel focolare. Così le trovò Ayane, arrivata trafelata e piena di ansia, portata dalle ali della notte del nero cacciatore dei sogni.

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Capitolo 6 Oni

Abit si massaggiò la povera testa; Ayane le aveva lasciato un bel bernoccolo.Avrebbe voluto dire qualcosa di rimando alla bella ragazza dallo sguardo di fuoco, ma non

trovava nulla da dire. E poi c’era una gran confusione, un baccano infernale, una Alice che correva in su e in giù nella piccola casa di lamiera, con il mantello sbrindellato che svolazzava, e intanto parlava come una mitraglia: -Questo e quest’altro! Oh no! Non ci starà mai tutto nel povero zaino di Alice! Dovrei essere una casa semovente, una tartaruga dalla schiena rugosa, per portarmi via tutto!

Al che Ayane, seduta sul pavimento della casetta, tetra come un banco di nebbia su di una palude, sbottò: -Oi, oi, ragazza! Cos’è tutto questo daffare?

Alice si fermò a metà, con un largo e spesso panno di mimetica verde-grigia in mano, e disse: -Mi sto preparando per partire!

-Partire... per dove? -Per venire con voi, ovviamente! -Te lo puoi scordare! -E perché no? -Intanto, chi sei tu? ! -Ma Ayane, è Alice; non te l’ho presentata? - esclamò Abit.Ayane si voltò a guardarla con occhio di bragia, e Abit si fece piccola piccola. Meglio non

provocarla troppo, altrimenti un altro pugnattone in testa non glielo levava nessuno! Ah, perché Ayane doveva essere sempre così nervosa? E cosa la frullava per la testa adesso? Era da un pezzo che fissava Alice con occhi che sprizzavano scintille: fin da quando il nero Maruru si era fermato sulla soglia e la ragazza bionda lo aveva fronteggiato. Il nero mostro, che avrebbe terrorizzato anche la Morte, su questo non c’era da scherzare, non sembrava impensierire troppo la ragazza, che si fece avanti e lo guardò fisso. Maruru la annusò, proprio così! , come si annusa un bel bocconcino di costata cotta alla brace, e Abit aveva temuto per l’amica.

Ma poi, come se avesse riconosciuto qualcosa, il vecchio leone si era voltato e si era allontanato.

E mentre Ayane lanciava i suoi strali oculari, il vecchio mostro stava disteso sull’orlo della rupe, a fissare con occhi semi-chiusi la foresta, come una statua dei tempi antichi.

Ayane non era però altrettanto “ieratica”. -Non penserai che mi fidi di una che abita da sola in una casa come questa, a un tiro di schioppo da quella foresta piena zeppa di mostri? ! - esclamò.

-E di cosa altro ti fidi, mia giovane ragazza? - ribatté Alice -Di un grosso gatto nero con due code, o di una Oni dalle corna ricurve?

Ayane divenne rossa: -E perché vuoi venire con noi? -Perché sono amica di Abit! -Noi ce ne stiamo andando da Babilonia! -E io conosco la strada più breve per uscirne! -E cosa mi dice che non ci porterai in mezzo ai soldati o qualche tuo amico mangiatore di

carne umana? ! -Cosa credi che io sia, una strega delle favole? ! -Come faccio a saperlo? -É più probabile che veniate mangiate da “Maruru”, che non da me! -Questo non mi conforta per nulla! -Oh, insomma! - riprese Alice, rimettendosi a fare i suoi pacchi -Cosa vuoi che succeda? E poi

quando saremo fuori, dovremo ancora cercare un modo per attraversare la “tempesta”...Abit vedeva che Ayane stava ribollendo; in quel momento c’era una sola bufera che la

spaventava, ed era Ayane! -Aha, quindi sei già stata all’esterno, se sai della “tempesta”... - disse, molto asciutta, la

ragazza.-Certo! Non mi stavo vantando a caso quando dicevo che potevo guidarvi!

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-E perché, di grazia, sei tornata qua sotto? ! Alice si fermò, mentre cercava di infilare nello zaino un mascherone tribale largo il triplo.

Rispose: -Dove mai sarebbe potuta andare, una fanciulla sola come me? Dovevo chiedere un “passaggio”... a un gruppo di cattivi pirati?

-Mi riferivo al fatto che saresti dovuta rimanere nei villaggi all’esterno... - le diede un’altra, rapida, ma completa, occhiata -... se ti ripulissi un pò non avresti un brutto aspetto; un marito lo avresti potuto trovare!

Alice scoppiò in una fragorosa risata. -Un marito! E perché non te ne sei trovato uno tu, qui a Babilonia?

-È fuori discussione! -E lo stesso vale per me... - e poi soggiunse -... ad ogni modo nessun uomo vorrebbe una... - si

arrestò, poco prima di dire quella parola -... una come me, per moglie! - concluse.Abit allora intervenne: -Ayane, non essere cattiva! Alice è una brava ragazza! -Io non mi fido! -Ma anche se le dici di non venire...! - cominciò Abit -Verrò lo stesso dietro di voi, a costo di

camminare dieci metri fissi alle vostre spalle! - concluse Alice.Ayane rimase con due o tre parole impigliate in gola, come syym intrappolati nelle gabbie

subacquee. E infine sbottò: -Perché hai tanta voglia di venire con noi? Alice rispose: -Perché sono stufa di rimanere da sola; e voi mi siete più simpatiche dei

cacciatori bianchi e dei kraken...! - e poi, roteando un paio di scarpe che aveva in mano, esclamò: -Cosa mi consigli? Tacco alto o suola spessa di gomma?

Ayane invece si alzò di scatto e disse: -Spero che tu sappia sul serio quale sia la strada per uscire da Babilonia! - e se ne andò di fuori.

La tenda tesa sulla soglia ondeggiò furiosamente al suo passaggio.-Scusala, Alice! - sospirò Abit -È sicuramente ancora arrabbiata per la mia sciocca scomparsa! La ragazza bionda sorrise; -Sei fortunata, perché hai qualcuno che si preoccupa per te!

Alice terminò di legare la lamiera che doveva sigillare la porta della sua casa. Poi fece qualche passo verso il gruppo, si voltò, e salutando la sua casa, disse: -Addio! Perdonami, se non ho potuto portarti con me!

Ayane esclamò: -Ti assicuro che quell’ammasso di ruggine soffrirà meno di noi! E mi sembra che “un pezzo” te lo sei portato dietro comunque...!

-Certo! - fece Alice -Il sasso abbrustolito su cui ho costruito il focolare! Così potrò rifare la mia casa dovunque io voglia!

-Di sassi ne troverai quanti ne vorrai, nella sassaia che è l’Impero Meccanico! - berciò Ayane.-Ma che dici Ayane, questo è il mio sasso! - rispose Alice, sconvolta.-Contenta tu di portarti dietro ulteriore peso in quello zaino... - rivolse gli occhi al “cielo” la

ragazza -Comunque, possiamo partire adesso? Sospirando, la ragazza bionda diede un ultimo miserevole sguardo alla sua catapecchia e poi

superò il bizzarro gruppo e si mise in testa, guidandoli giù per un sentiero sassoso che costeggiava lo sperone di roccia.

Scesero dunque verso il fiume velenoso che non ha un nome, costeggiando la foresta fungoide. Sinistri stridii e urli venivano dalle ombre fredde sotto le cappelle fosforescenti e le loro ombre erano cortissime e innaturali, mentre passavano accanto ai tronchi duri come pietra. Grossi grumi di occhi globosi li scrutavano dal groviglio di polpa marcia, ma per fortuna Ayane non se ne accorse, altrimenti avrebbe fatto un gran baccano; se ne accorse però Maruru, che chiudeva il gruppo alquanto bizzarro e bastò che voltasse la testa feroce in quella direzione, perché gli occhi si ritirassero. Il leone sembrava accettare qualsiasi cosa, anche la presenza della Shibartz: Abit si chiedeva ancora cosa fosse successo quando si erano confrontati sulla soglia. Poi quasi cadde lunga distesa, inciampando su di un sasso, e decise di concentrarsi sui suoi piedi.

Era un ambiente decisamente diverso da quello a cui era abituata: niente rampe, tunnel, condotti, cemento, piastrelle... sassi, sentieri, roccia. Inciampava in continuazione, la povera Abit!

-Quando Babilonia non aveva ancora tutti questi “tetti” l’uno sopra l’altro... - parve aver sentito i suoi pensieri Alice, che si mise di colpo a parlare -... la città era costruita sopra e intorno

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alle colline; questo che vedi è quello che ne rimane! Ayane, con un occhio nervoso sempre rivolto alla vicina foresta, pullulante di luci e di “vita”,

disse: -Non è stato uno sforzo assurdo e folle, ricoprire intere colline con una città intera, e poi ricoprire anche quella con altre città, sempre più in alto?

-Forse non hanno avuto molta scelta... - mormorò Alice.Nemmeno Ayane ebbe voglia di chiedere che cosa intendesse.Camminarono ancora qualche tempo, costrette in un innaturale silenzio, e proprio dove il

fiume verde e oleoso si allargava in nefaste pozze Alice piantò i pugni sui fianchi e finalmente disse: -Adesso fate bene attenzione a dove mettete i piedi!

Alice conosceva una “via” che passava in mezzo alle pozze, sul terreno solido. Li guidò con sicurezza in un tortuoso cammino che stancò notevolmente i loro piedi. La foresta di funghi rimase alla loro sinistra, mentre a destra invece si andavano profilando alti picchi, illuminati da un sottile bagliore. Ancora più indietro una sagoma nera e gigantesca incombeva sullo sfondo; su di essa si muovevano a tratti piccole luci, alcune lente, altre veloci, come lampi.

Alice spiegò che le creste “rocciose” erano il profilo di una scarpata, contro cui la foresta si bloccava. Loro erano diretti proprio in quella direzione. Mentre la titanica massa nera era uno dei pilastri di sostegno della città. Non sapeva neppure lei che cosa fossero le luci mobili. -Forse sono delle vespe... - disse.

-Le “vespe” non fanno luce...! - osservò Ayane -E vista la distanza, sono grosse quelle cose! -Quello che io intendo per “vespa” è un mostro che può mangiare un uomo in un sol

boccone...! - rispose, neutra, Alice -Fanno i loro nidi in alto, tra il soffitto e la congiunzione dei piloni, costruendo rudi cittadelle di terra che pendono verso il basso come stalattiti... gli abitanti dei villaggi di quaggiù li chiamano i “villaggi ronzanti”...!

Abit avrebbe voluto chiedere altri dettagli su questo succoso tema, ma Ayane l’afferrò all’ultimo mentre, distratta, stava infilando un piede diritto in una pozza gorgogliante. Il “sentiero” era soltanto una striscia di terra, a destra e a sinistra le pozze oleose, da cui salivano a tratti grosse bolle. La foresta illuminata da spore verdi e viola era ora piuttosto distante e baluginava al di là del buio acquitrino come una lontana città sull’acqua.

-Che stai facendo? ! - sibilò Ayane -Proprio tu mi caschi? ! -Scusa Ayane, ma non sono abituata a tutto questo... - ci mise un pó a trovare la parola giusta

-... questo ambiente... “naturale”...! Ayane sospirò forte e da quel momento in poi se la tenne proprio davanti, a un tiro di braccio.

Siccome le tenebre si facevano sempre più fitte lei e Alice furono costrette a mettere mano alle loro lanterne: quella di Ayane era una torcia elettrica, quella di Alice una vera lanterna, di cui abbiamo già parlato, che utilizzava olio di syym per diffondere una fioca luce verdastra.

La foresta si allontanò ancora e piccoli fuochi fatui blu cominciarono a fluttuare nel pieno buio, fuori dal raggio delle loro fonti luminose. Abit si stava giusto chiedendo quanto ancora avrebbero dovuto camminare che notò, con i suoi occhi speciali, come le zone di acqua (o acido, o bitume... insomma, quale che fosse la natura di quell’acquitrino) si stessero diradando. Finalmente in mezzo alle pozze che si spalancavano ormai isolate qua e là in un arido e buio paesaggio di rocce e pietra nuda, comparvero grossi macigni semi-affondati. Abit però notò che non erano sassi, quelli, ma grossi pezzi di ferro informi, con facce che erano in alcuni casi ruvide e butterate, in altri lisce e opache, come se fossero state fuse e raffreddate improvvisamente da un calore intenso seguito da un freddo glaciale.

Il terreno prese a salire e presto si trovarono a sudare al buio in salita; l’aria era fredda come quella di una tomba e i vestiti erano gelidi e appicicaticci. Finalmente Alice disse: -Ci fermiamo un attimo? Da qui è tutta discesa...!

Sopra di loro giganteggiavano le rupi, due delle quali parevano l’una un corno di qualche bestia favolosa, l’altra il braccio di un gigante proteso verso il nero vuoto. Il diffuso chiarore che Abit aveva già nottato avvicinandosi orlava le sagome delle rocce, creando una sinistra atmosfera.

La Oni si appoggiò a una parete, con la schiena, ma si sentiva “strana”. Come se la testa fluttuasse nel vuoto, distaccata dal corpo. I suoi piedi erano molto lontani, dalla testa, intendo, e le sembrava di essere alta almeno tre metri! Un basso ronzio proveniva dalla “roccia” e

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improvvisamente mezza sonnacchiosa si mise a guardare cosa facevano gli altri.Ayane, seduta contro un’altra pietra, prese a grattare con il coltello la superficie del sasso, e

disse: -Sono molto strane, queste pietre! C’è molto metallo dentro... e quelle rupi lassù sembrano fosforescenti!

-Perché non sono tutte pietre! - rispose Alice, venendo verso di lei con il suo zaino aperto -Prendi, un pò di syym essiccato!

-È commestibile, questa cosa? - la fissò sospettosa Ayane.-Perché non mangi e basta? -Perché ci tengo a vivere ancora fino a quando non avrò visto di nuovo il cielo vero! - rispose

secca la ragazza, accettando comunque i bizzarri “pesci”.Fissò che cosa aveva in mano, alla luce della torcia che teneva tra le ginocchia, e disse:

-“Essiccati”? Mummificati, vorresti dire! -È la stessa cosa! - sbottò Alice -E ti assicuro che da vivi avevano un aspetto peggiore! Ayane fece per restituirle il “pesce”, ma Alice la fermò, e disse: -Se non mangi, non vedrai il

cielo! Uno strano verso gutturale provenne dalla gola della donna. Con gesti esageratamente lenti

staccò un pezzo di “pesce”, che venne via con un rumore secco, come una lista di legno staccata da un ciocco. Lo infilò in bocca chiudendo gli occhi e si mise a masticare con i denti “alti”, come un cavallo.

-È buono? - chiese la bionda, con un largo e malvagio sorriso.-No! - rispose -E non hai qualcosa da bere? -Acqua filtrata dalla condensa delle cappelle dei funghi, ti va bene? Ayane le strappò la borraccia che le porgeva in modo ben poco signorile.Che strana, Ayane! Adesso, mentre beveva, la testa le si era gonfiata come un pallone! No,

un momento: ci doveva essere qualcosa di sbagliato nei suoi occhi! Si stropicciò energicamente e quando li riapì vide quasi con spavento le fosse bianche di Maruru che la fissavano direttamente in faccia.

“Non è bene per Abit restare a lungo qui! ” disse Maruru, nella loro testa, compresa la sua e quella di Alice e Ayane.

Alice si fece avanti, scrutò bene in faccia la Oni. Abit, con la mente piena di etere, la fissò sorridendo scioccamente. Che naso enorme aveva Alice!

Alice disse: -Hai ragione! Pensandoci bene, questo è un posto pessimo per un Oni! Scendiamo subito!

-Cosa? - sbottò Ayane -Perché è un posto “pessimo”? Alice stava rimettendo in fretta tutte le sue cose nello zaino; afferrò la lanterna che aveva

appoggiato per terra ed esclamò: -Lo capirai da sola quando avremo superato il passo, sopra cui siamo! E te lo spiego dopo, adesso andiamo, prima che la povera Abit sia del tutto ubriaca...!

-Ubriaca? ! Alice la ignorò; -Afferra Abit e tienila mentre scendiamo! Il sentiero è stretto, scosceso,

coperto di pietre taglienti e ci sono piccole scarpate e salti...! Ayane grugnì una risposta, ma prese per le spalle la ragazzina e la spinse avanti.Abit si lasciò spingere: vedeva tutto come in un sogno! Un sogno buio di pietre roteanti, di

giganti dalle mani protese fuori dal terreno, che cercavano di liberarsi, di sollevarsi di nuovo! Guardò sotto di lei: in una innaturale fosforescenza si aprì un cupo baratro di rocce bizzarre,

che si stendevano lontano, fino a perdersi nel buio. Scesero tra le rupi di metallo fuso, e sentì dire ad Ayane: -Ecco cosa volevi dire quando hai detto... non sono rocce! Ma è... assurdo!

Abit si sporse in avanti, senza capire. Poi guardò meglio nella direzione dove guardava Ayane e vide che quella serie di macigni... non erano macigni. Erano una grande, immensa gamba in pezzi crollata sul fianco della parete rocciosa! Gli archi immensi erano le braccia divelte di macchine mostruose, delle teste orrende che sbucavano da ogni dove, quella rupe che era sembrata un braccio... era in effetti proprio un braccio!

-Cos’è questo posto? ! - esclamò Ayane.Alice si strinse nelle spalle, e disse: -Quando saremo in fondo ti dirò quello che so! Adesso

cammina, guarda che faccia ha Abit!

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Abit non poteva vedersi la faccia, ma immaginò che fosse buffa e per questo si mise a ridere come una scema.

Sentiva le mani di Ayane che la stringevano molto forte sulle spalle... il buio, i giganti, divennero un vortice nero, e quella luce fosforescente pulsava da sottoterra, al ritmo del suo battito cardiaco.

Ma improvvisamente si trovò a fissare pallidi puntini luminosi in un grande, vuoto, nero. Era distesa sulla schinea.

La faccia di Ayane comparve sopra di lei, preoccupata, illiminata di lato dalla luce della torcia.-Abit, stai bene? -Mmm... - mormorò la Oni -... ho fame Ayane...! Ayane guardò oltre di lei e disse: -Sta decisamente bene! La voce di Alice giunse fuori campo: -Lasciala riposare un pó; adesso siamo abbastanza

lontani da quelle “montagne”! -Ma che cos’erano quei rottami? - sbottò Ayane -E che cosa è successo ad Abit? Sempre invisibile, Alice prese a parlare: -Ho sentito dire che molto tempo fa, quando Babilonia

non era ancora quella che vediamo oggi... una città fatta a strati, intendo, questo luogo dove sorgono i piloni era una città circondata da alte mura: erano state costruite per tenere fuori la distruzione portata dal crollo del Mondo del Sogno, capite. Gli uomini si rifugiarono in città come queste: i pochi sopravissuti vivevano come reclusi, separati gli uni dagli altri nelle loro fortezze di metallo (il metallo è nemico del Sogno) e nel mezzo vi era il deserto... dove ancora correvano su gambe, ali e code di serpente gli orrori scatenati dai Sette Serpenti! 4

Abit riuscì a girare gli occhi a destra e a sinistra. Si trovavano in quella che sembrava una bassa conca, illuminata dalla torcia elettrica e dalla verde lanterna, poste ai due capi, l’una su di un rocco di colonna antica, l’altra sotto un pezzo di statua che raffigurava un Sirrush. Diverse colonne spezzate, stele di pietra ricoperte di bassorilievi con rovinati coccodrilli, serpenti e ragni, emergevano qua e là nel terrapieno che circondava la fossa. Abit era deposta su di un pavimento di pietre sconnesse, nei cui interstizi cresceva muschio nero. Parlando di “nero”, il grosso Maruru era un’ombra nell’ombra appollaiata in cima alla cresta più alta del terrapieno, immobile. Alice era seduta su di una mensola di pietra, fatta a forma di giaguaro.

E continuò a parlare con voce ipnotica: -Una leggenda dice che Babilonia fu costruita dall’Imperatore, per proteggere l’umanità, finché il mondo non fosse stato di nuovo abitabile; mentre un’altra, meno nota, che si tramanda solo quaggiù, nei villaggi vicino alla foresta, parla di un Re che venne dal cielo, un Dio, che si chinò e pose le torri di Babilonia dal cielo. Radunò gli uomini dispersi e li difese dalla Paura: egli costruì la possente Babilonia, difesa dell’uomo! Regnò tra gli uomini venerato da divinità; ma l’equilibrio tra l’uomo e il Dio è molto fragile, così dicono i saggi. I pensieri degli uomini sono forti, e hanno radici nel Sogno: ed è nel Sogno che gli Dei dormono. Per questo gli Dei vivono lontani dagli uomini: per non farsi contaminare dai pensieri degli uomini! Ma egli, vivendo con l’uomo, divenne tetro e malvagio: il suo cuore divenne nero, perché venne contaminato dalla convivenza continua con gli esseri umani...

Abit provò a raffigurarsi un Dio malvagio, ma non sapeva nemmeno cosa fosse di preciso un Dio, perciò la sua immaginazione riuscì soltanto a disegnare una sagoma sfocata, con la pancia molto grossa.

Alice continuò dicendo: -Divenne tetro, vendicativo, sanguinario; allora gli uomini si ribellarono e assediarono il suo Tempio, dove era il Palazzo. Ma egli chiamò dalle sabbie del deserto i suoi guerrieri che venivano chiamati “l’umanità di prima”: si rovesciarono sulla città come giganti d’acciaio e nel momento culminante, quando avevano scavalcato le mura e stavano marciando contro il Tempio... allora comparve la “Luce dell’Imperatore”! L’Imperatore Meccanico venne e scagliò la sua lancia di luce dal cielo e abbatté fila e fila di mostri meccanici... - fece una pausa teatrale -... essi crollarono gli uni sugli altri, proprio dove li avete visti, abbattuti su quelle che un tempo furono le antiche mura di Babilonia!

-Tutto questo non ha senso! - sbottò Ayane -Dall’inizio alla fine! A cominciare da “Dio” a “chiamò i suoi guerrieri” e “... marciarono sul suo stesso tempio! ” (che senso ha che i suoi stessi guerrieri attaccassero il Dio? ) e questa “luce dell’imperatore”...!

4 I Sette Dei che secondo una leggenda babilonese crearono prima il Sogno, poi il mondo degli uomini. I loro nomi sono uno spaventoso tabù.

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-Calma, calma, Ayane! - fece Alice -Io ti ho raccontato la storia così com’è! Ma li hai visti anche tu, i giganti, vero?

-Li ho visti... - grugnì Ayane; poi guardò Abit, in modo intenso, e lei si chiese che cosa stesse pensando: ah, ecco! Povero cervello di Abit, sempre così lento! Anche la sua povera vecchia casa, non era forse un gigante di metallo? -... li ho visti... - ripetè, tetra -... ma quanto a questa storia...!

-Le storie hanno sempre un fondo di verità...! - rispose la bionda strega, che aveva tutto il diritto di dirlo, essendo, appunto, una Shibartz a sua volta.

Per fortuna che Ayane non lo sapeva! -E cosa centra Abit? - disse allora Ayane, anche se nella sua voce c’era una certa dose di

dubbio -Perché si è sentita male? -Non lo so, di preciso! - ammise Alice -Ma sapendo che è una Oni...-E allora? ! Alice parlò lentamente: -Non conosci le storie? Gli Oni nacquero nel mondo molto prima

dell’avvento dell’uomo...! Dopo la caduta dei rettili di Valusia e prima dell’arrivo dei Sapiens! Abit sussultò; dunque non era una povera mocciosetta, ma apparteneva a una razza così

vecchia? Così vecchia che... accidenti, quanto era ignorante la sua testa di legno! Cos’era un “sapien”? E Valusia? !

-Costruirono loro le Macchine del Sogno! - continuò Alice -Di certo le vecchie leggende sono piene di Oni che hanno un rapporto quasi osmotico con... le macchine, non trovi?

-Sì, le conosco le vecchie storie... - rispose Ayane, sempre fissando in modo torvo la povera Abit.

La Oni allora esclamò: -Ayane, io non ho fatto niente! Ayane prese il fazzoletto che aveva in mano e le ripulì la fronte dal sudore che ancora si stava

formando in goccioline. -Lo so Abit, lo so... - mormorò.Alice si alzò di scatto dal suo sedile, e disse: -E quella “luce” che serpeggia tra i rottami...

anche quella l’hai vista da un’altra parte, vero Ayane? Ayane scattò: -E tu che ne sai? Disse Alice: -Abit mi ha fatto conoscere il “nonno”...! Oh, pensò Abit, ecco cosa le ricordava quella tonalità luminosa sulle rocce! -Quella “luce” sono radiazioni... avremmo fatto comunque bene a toglierci in fretta da lì,

anche se non fosse stato per le condizioni di Abit! - aggiunse Alice, visto che Ayane non rispondeva.

Ma quella alla fine rispose: -Ne sai di cose, per essere una stracciona! Abiti da sola... quanti anni puoi avere, come Abit? ... abiti sul ciglio di una foresta fungoide e sembra che tu ne sappia tantissimo di vecchie leggende, radiazioni e quant’altro, vero? - lo sguardo di Ayane era molto minaccioso, ma Alice fece spallucce e disse: -Sono leggende che conosci anche tu! Forse io so qualcosa di più, ma se tu fossi rimasta in questo buio con me, dove anche i sassi sussurrano verità indicibili... che cosa non avresti appreso, cara Ayane?

-Non mi interessa di “apprendere” queste sciocchezze su Babilonia! - gridò la ragazza -Io so che tu sei una persona pericolosa! E una persona di cui non so proprio nulla!

-Ah ah! - rise di cuore Alice -Io, pericolosa? Forse sì... ma tu, Ayane? Anche tu sei pericolosa; come utilizzi di solito tutti quei coltelli che nascondi nel vestito? E Maruru non è pericoloso? O di lui non dici nulla, perché hai paura? E anche Abit, a modo suo, è molto pericolosa! Tu stessa hai compreso quanto avrebbe potuto esserlo, solo pochi minuti fa, su quella montagna di rottami...!

-Vuoi vedere quanto io posso essere pericolosa? ! - sbottò Ayane.-Tu non sai quanto lo sono io! - berciò Alice.Le due donne si fronteggiarono con occhi di fuoco, ma Abit si alzò a sedere e con voce

lacrimevole esclamò: -Per favore, Ayane, Alice! Non litigate così! Non posso vedervi con quelle facce! Siete tutte e due mie care amiche: perché litigate? È per colpa di qualche sciocchezza che ha commesso Abit? ! Lo sapete che la mia testa è di legno duro! Cercate di perdonarmi!

Subito gli occhi della strega bionda smisero di lampeggiare, e arrossendo, chinò il capo e disse: -Scusa Abit! Non volevo fare una scenata; non sono molto abituata a stare in mezzo alla gente...!

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Ayane sospirò e finì di pulire la faccia di Abit e disse, con un tono di voce molto basso: -Non è colpa tua, Abit!

-Quindi è mia, vero? - sbottò Alice, arruffando di nuovo le penne.-Basta! - esclamò Abit -Non è già un postaccio questo, per metterci a litigare tra di noi? ! E improvvisamente la voce mentale di Maruru le raggiunse: “Zitte, donne! Si sta avvicinando

qualcuno! ”Subito scattarono tutte in piedi. Maruru era ancora fermo in cima al terrapieno; in due balzi

Alice lo raggiunse e scrutò il buio. -Non vedo nulla! - disse.“Sciocca! Cosa vuoi vedere con quegli occhi umani? ” disse il leone.-E tu, con quegli occhi da mostro, cosa vedi? - lo rimbeccò lei.“Non con gli occhi, con l’istinto! ” rispose “Molti esseri, in branco, che discendono dal sentiero

che abbiamo appena percorso... hanno una... consistenza... strana... tu lo sai che cosa sono? ”-Uomini morti! “Morti”? ! -Umu! - rispose affermativamente -Da qualche parte tra queste “montagne” ci sono ancora

delle fornaci radioattive attive, di quelle che alimentavano i giganti di ferro... le radiazione, pare, facciano strani effetti, tra cui mutare orribilmente i viventi e rianimare i morti... questi morti sono ricoperti di limatura di ferro e sembrano automi di metallo! Non piacerebbero nemmeno a te, Re Nero!

“Io mangio i Sogni... i morti non hanno Sogni! Li ho sempre odiati, questi esseri innaturali! ”-Siamo in due... - commentò Alice, voltandosi e scendendo la china. Ayane aveva già raccolto

tutto, e disse (pallida): -Morti di ferro? Che razza di orrori continua a vomitare questo luogo? - e poi non potè fare a meno di soggiungere: -E tu, come hai fatto a passare queste montagne incolume?

Alice si voltò brevemente: -Sono stata fortunata... - rispose laconica -... i morti non lasciano la zona delle “montagne”; quindi se ce ne andiamo di qui li semineremo presto; mi chiedo come mai, però, si siano così eccitati tutto d’un tratto, da scendere in branco! - e guardò di sfuggita Abit.

Abit rabbrividì; possibile che fosse sempre colpa sua? “Facciamo del nostro meglio, allora, per seminarli! ” disse Maruru, balzando dall’alto in mezzo

a loro e prendendo il piccolo trotto fuori della conca.-Il Re è saggio! - commentò Alice e lo seguì subito, tallonata da Ayane e Abit, che ci mise

grande impegno per non tremare sulle gambe ancora mollicce.C’era una specie di strada lastricata che si dipartiva dalla conca; e ai lati si elevavano potenti

terrapieni, dove stavano incassati edifici tetri e minacciosi, dai portali spalancati verso oscure profondità. Camminarono svelte, quasi correndo, ma dietro di loro non c’era traccia di inseguitori. L’infinita serie di archi vuoti però non era meno snervante.

Abit avrebbe potuto giurare che qualcosa li osservasse dal buio, ma cercò di convincersi che fosse solo la sua immaginazione sovraeccitata. Guardò Ayane, che quasi la stava trascinando, ora spingendo, e vide che anche lei scrutava atterrita le volte nere tanto quanto si girava indietro a guardare la strada percorsa.

La lanterna verde di Alice sembrava una falena fosforescente, un fuoco delle tombe, mentre ondeggiava là davanti. Ancora più terribile era il mostro che trottava davanti a tutti, con due occhi come l’inferno.

La strada prese a salire e d’un tratto furono all’ “aperto”. Non c’erano più edifici sinistri, solo un’incerta piana cosparsa di alti piloni neri, intravisti in mezzo a una penombra caliginosa, dovuta a certe bulbose palle di vetro illuminate dall’interno che stavano appese in cima, molto in alto, sui piloni.

Molte altre lampade erano nere, altre molto fioche, alcune mezze spente; un basso ronzio elettrico percorreva l’aria e i capelli di Abit divennero tutti diritti.

-Gioite! - disse Alice, a un tratto, inoltrandosi nel mezzo delle colonne -I morti di ferro non amano la corrente elettrica!

-Ah! - fece Ayane -Ma come mai ho il sospetto che stai per dirci che una razza di insetti mangiatori di carne umana fa il nido in mezzo alle bobine dell’alta tensione?

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Alice si voltò sopra la propria spalla, e disse: -Se lo facessero, morirebbero fulminati! -Sarebbe fin troppo logico, in questo posto privo di qualsiasi logica! - sbottò la bella ragazza.“Pensate a camminare! ” ruggì Maruru “Detesto questo tipo di posti! ”Non c’era molto da dire: chi si metterebbe contro la parola di un gigantesco leone nero, con

gli occhi come due abissi di morte? Il percorso tra i piloni fu lungo e Abit non sapeva nemmeno dove stessero andando; era un

labirinto quello! Alice sembrava saperlo, ma questo non la confortò. Aveva ancora la testa piena delle oscure parole sui giganti di ferro, sugli Oni così antichi, sul “nonno” e sulle luci radioattive fosforescenti. Il ronzio le stava sfondando il cranio e la corrente elettrostatica le aveva fatto rizzare dolorosamente anche la coda!

La fine di quel labirinto era segnata da pali più grossi e da molti altri crollati, buttati alla rinfusa in un’ampia distesa. Una strada di asfalto, mezza sbrecciata, correva su alti piloni diritto davanti a loro. E più avanti alcune luci che parevano brillare a una certa altezza dal suolo.

-Quella è la città degli “uomini alti”! - disse Alice -Questo vuol dire che non manca molto alle porte d’acciaio!

Abit sussultò e dimenticò di colpo tutti i suoi pensieri: il cielo che non aveva mai visto... era proprio al di là delle porte? Finalmente avrebbe potuto mantenere la promessa fatta ai nonni?

Avrebbe presto scoperto se questo “cielo” esisteva sul serio!

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Capitolo 7 L’azzurro mantello del cielo

Dapprima camminarono su di un terreno instabile, bagnato e fangoso; ma d’un tratto sotto i loro piedi ricomparve l’asfalto e dal fango cominciarono a emergere quelli che sembravano i resti di una strada.

La città degli uomini alti rimase alla loro sinistra, costeggiata dalla strada sopraelevata su piloni di cemento. Quello che si vedeva da fuori erano alte mura costruite con blocchi di recupero, massi di cemento, tronchi pietrificati legati insieme. E una miriade di piccoli edifici che crescevano come funghi su tutta la superficie, appesi in modo pericolante. Molti di questi erano illuminati da luci elettriche, ma non c’era traccia di esseri viventi, né alle alte finestre, né sulla cima delle mura.

Maruru improvvisamente corse avanti e scomparve nella penombra onnipresente, Alice invece disse: -Siamo vicini! - ma non aggiunse altro.

L’eccitazione di Abit saliva sempre di più, che quasi non riusciva a camminare diritto. La strada sotto di loro divenne ben segnata ed ecco che nel buio cominciò a disegnarsi la sagoma di un edificio... e dietro ad esso la vista veniva bruscamente bloccata da un’alta parete di metallo. Giunsero a una stazione, con edifici bassi e di cemento, con le sbarre abbassate, i tornelli arrugginiti, e i portoni alti almeno quindici metri, completamente sigillati. Maruru era là che le aspettava, apparentemente molto eccitato, come può essere un gatto che continua a girare intorno a una porta chiusa.

Alice disse: -C’è una breccia nei portoni un pò più avanti! - e guidò il gruppo fino a un punto più basso, una specie di rampa di cemento che si infilava sotto a una serranda ancora più titanica delle precedenti. C’era una porticina di servizio a lato, sopra cui brillava da tempo immemore una lampada gialla. Una certa nebbia si era sollevata, rendendo la luce acquosa e spettrale.

-Questa è la porta, chiamata la “Porta del Non Ritorno”, o anche “Porta dell’aldilà”! - disse Alice, stendendo la mano.

-Non ha un nome molto incoraggiante... - osservò Ayane.-Il fatto è che chi la attraversa non ritorna... - rispose con una scrollata di spalle Alice -... per

svariati motivi, tra cui l’aria esterna...-L’aria esterna? -Chi è nato e vive da generazioni all’interno di Babilonia... - riprese Alice, con l’aria di una che

la sapeva lunga -... non si adatta bene all’aria esterna... o meglio, per molti di loro è addirittura velenosa! Molti muoino nelle gallerie più avanti, uccisi dall’atmosfera pura!

Abit disse: -Oddio! Io che cosa farò? ! -Non preoccuparti! - sorrise Alice -Non credo che tu abbia problemi in questo senso! -Già, dopo aver visto cosa sei in grado di mangiare... - incalzò Ayane -... è necessario

concludere che il tuo sistema immunitario potrebbe uccidere anche un dinosauro! -Mi state forse prendendo in giro? ! -No, no, assolutamente! - fece Alice, ridendo apertamente.Adesso entrambe le donne avevano voglia di scherzare, segno che la prossima conclusione di

quel viaggio nel buio rendeva la testa leggera anche a loro.Maruru era molto impaziente, e incapace di sopportare ulteriormente quel chiacchiericcio

snervante entrò deciso per la porta. Ci passò senza problemi, perché era diventato delle dimensioni di un piccolo levriero. -Seguiamo il nostro impaziente Re! - disse allegramente Alice.

Attraversarono un condotto umido, stretto e sporco, e ci misero quella che parve loro un’eternità. Ma alla fine raggiunsero l’altro capo e si trovarono nella stessa situazione di prima, ovvero sotto una luce gialla e stentata; ma al di là si estendeva una immensa e lunga galleria, dove a intervalli regolari piccole luci bianche chiazzavano il buio. L’aria era diversa, meno pesante, più fresca e Abit cominciò a sentire, con il suo naso fino, odori che non aveva mai sentito in vita sua.

Impaziente, Alice disse: -Andiamo! Maruru trotterellava davanti a loro, con l’aria di stare per lanciarsi in corsa da un momento

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all’altro. Ma le tre donne erano molto lente, e doveva tornare indietro in continuazione. Ed erano anche molto stanche, a causa della marcia che era durata non meno di nove ore.

Allora nelle loro teste improvvisa arrivò la voce del leone: “Siete lente! Vi porto io! ”-Cosa? ! - fece Ayane, a voce alta.-Oho! - rise Alice, deliziata -Che onore! Maruru sbuffò come un mantice, ma, tornato delle dimensioni “normali”, si avvicinò a loro e

abbassandosi, fece loro cenno si salire. Tutte e tre potevano stare “comodamente” sedute sulla sua larga schiena.

Quando furono tutte sistemate Maruru disse: “Tenetevi forte, donne! ”Solo Abit sapeva cosa stava per accadere e si tenne fortissimo giusto in tempo. Perché

quando scattò lo fece come il vento che improvvisamente esplode nel nulla, come una folata che sradica le querce, cadendo dalle montagne. Ayane gridò, ma Alice e Abit risero forte, e gridarono dentro alla galleria, riempiendo della loro gioia selvaggia le vuote volte.

Il vento che correva loro incontro come la corsa di cento puledri arabi trasportava l’odore di sale, di sabbia e di aromi secchi e floridi, compositi, freschi e putrefatti, non l’odore asettico di plastica né di cemento, ma la gloriosa e velenosa atmosfera del mondo vivo. E infine una luce che non era elettrica cominciò ad albeggiare davanti a loro e d’improvviso le zampe possenti di Maruru con colpirono più l’asfalto, ma afferrarono il vuoto, mentre balzava come uno spettro vecchio nero e polveroso fuori dalle catacombe. E atterrò tra schizzi di acqua dentro a una pozza bassa, e intorno non erano ombre, mura o antichi macchinari, ma un vuoto, uno spazio così immenso da mettere tremore alle ginocchia.

Non si scorgeva nulla, perché non c’era una sola luce, ma lo sconfinato spazio, che dalla massa massiccia dietro di loro (le basi di Babilonia! ) si protendeva senza alcun ostacolo in avanti e tutt’intorno, era percorso da vento vero. Ayane non disse nulla; saltò giù dalla schiena di Maruru e conficcò le mani nella sabbia mista ad acqua, e si sarebbe rotolata per terra, ad abbracciare il vero suolo del mondo, se questo non fosse stato un serio colpo alla sua dignità.

Abit invece letteralmente cadde, come se avesse perso l’uso delle gambe, completamente schiacciata dalla vastità del mondo. Sopra di lei lo spazio si estendeva senza volta, senza un tetto, ben al di là di ogni sua immaginazione. E in cima, lontanissimo, brillavano piccole e tremule luci bianche.

-È nero! - esclamò Abit.-È notte! - disse Alice -Ma aspetta... tra poco...! Abit tese le orecchie, come se quella cosa che doveva aspettare fosse una grossa bestia che

doveva sbucare da un momento all’altro. Poi il vento cambiò, sia nella direzione, che nell’odore, e una sensazione indescrivibile sconvolse il cuore di Abit. Tutta la linea di quello che non sapeva neppure si chiamasse “orizzonte” divenne improvvisamente di un nero latteo. Un’incredibile esplosione di luce segnò una linea rosa su tutta l’estensione del mondo che poteva vedere e di colpo la luce fu, senza essere ulteriormente annunciata.

Ogni cosa intorno a lei, compresa lei stessa, proiettò un’ombra, e come se fosse il primo giorno della creazione, il mondo si disegnò davanti ai suoi occhi, disegnato, scolpito dalla luce nelle sue forme. Dune, alberi dell’oasi, e le mura di Babilonia, mentre le stelle impallidivano e il mattino stendeva il suo mantello azzurro sul mondo.

-È azzurro! Azzurro! - gridò Abit.E Ayane, finalmente alzandosi, disse: -Questo è il cielo che ti avevo promesso, Abit! Ma Abit rispose, con una faccia preoccupata: -Ma non mi cadrà in testa? Non c’è nemmeno un

pilone a tenerlo su! Alice rise di cuore.

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Capitolo 8 Gloria del sole e dell’acciaio

Sotto il cielo smaltato, inchiodato dal sole, le grida sciamavano come il rombare di calabroni; contro il sole implacabile scoppiavano fuochi artificiali “artiginali”, che si disperdono nell’aria immota contro la mole nera, severa, immensa, di Babilonia. Il sole ritaglia a colpi violenti le pietre rosse e le dune gialle e pesca riflessi abbacinanti sui tetti di lamiera. Uno scoppio di grida e di stridere di maiali fa improvvisamente scappare in volo uno stormo di rare Damigelle di Numidia, che nessuno ancora sa come facciano a superare con le loro ali bianche puntate di grigio la tempesta eterna che giganteggia ai limiti della vista, oltre il tremolante orizzonte.

Forse, molto semplicemente, non la superano affatto; sono prigioniere anche loro.Ma cosa sta succedendo tra le catapecchie ammassate come relitti contro i fianchi della

grande discarica a cielo aperto, si chiedono le Damigelle? Lungo la strada sabbiosa, ma irta di frammenti luccicanti di ferro, che sale dal villaggio verso

la discarica, due, tre, giovanotti che altrimenti avremmo visti tristi, con lo sguardo spento, i vestiti laceri, ora sono insolitamente animati; non che non siano laceri e sporchi, ovviamente, ma hanno una certa luce negli occhi che di solito non hanno. Stanno facendo dei buchetti per terra con delle zappe rudimentali.

Quello con la sciarpa rossa, esclama: -Ficcatelo bene per terra, quel carburo! -Come fatto! - risponde ridacchiando il secondo, mentre il terzo corre a recuperare un grosso

bidone arruginito. Se ne trovano a carrettate, sui pendii sopra il villaggio, quando rotolano fuori dai vomitori di Babilonia, assieme agli altri rifiuti.

Quello con il bidone si ferma a pochi passi dagli altri due, con un sorriso ebete stampato in faccia. E il primo, con una miccia in mano e un grosso fiammiferone nell’altra, si sporge verso il carburo, con il didietro tutto sorto indietro e i piedi, se possibile, ancora più lontani.

La miccia scoppietta di un fuoco bianco. -Presto! Presto! - grida quello con la sciarpa rossa.Quell’altro si fionda a ficcare il bidone sopra al bucco, all’esplosivo e alla miccia... e come tre

fulmini i tre si lanciano indietro. Ma non hanno fatto tre passi che scoppia tutto: un boato tremendo, sono buttati indietro dall’esplosione e il bidone vola in alto come un satellite lanciato in orbita.

I tre, con le facce annerite, si rialzano ridendo in maniera sguaiata.Ma dalla strada... -Accidenti a voi! - grida un uomo alto e curvo per il rachitismo, che agita un

nodoso bastone -Spaventate i maiali! -Ah ah! I maiali! - ridono i tre, come degli sciocchi.L’uomo con il bastone sta in effetti conducendo una vistosa, urlante e puzzolente mandria di

maiali su per il sentiero, maiali dallo sguardo altezzoso, se mai un maiale può averne uno, con delle lunghe zanne ricurve; ma dall’altro capo del sentiero, una non meno indecente processione sta salendo, altrettanto rumorosa. E l’uomo che la guida, con dei grossi baffoni sotto la kefia, grida: -Akmar! Porta pure indietro quei tuoi spelacchiati animaletti! Saranno i miei maiali a essere venduti!

L’ultimo arrivato aveva persino un maialetto da latte in braccio, proprio come se fosse un bambino.

-Buri, i tuoi maiali hanno forse delle zanne come queste? ! - gridò allora, punto immediatamente sul vivo, il primo “porcaro”. E si chinò a snudare le zanne quasi rotonde del più grosso, il capobranco, che si sarebbe detto avesse grugnito in risposta con una certa alterigia.

-Le zanne dei miei maiali sono più rotonde delle tue! Specie di testone mangiadatteri che non sei altro! - gridò l’altro uomo e cominciarono a volare bestemmie e berciare maialesco!

-È disgustoso! - disse Taruk -Queste bestie puzzano, sono orribili, sono la raffigurazione stessa della degenerazione!

Era un uomo alto, dal volto severo, vestito di nero, e sembrava una specie di avvoltoio. Fissava con aperto disgusto la scena sotto di lui, con i porcari e i loro maiali che si insultavano a vicenda.

L’uomo seduto vicino a lui, sugli speroni di roccia che segnavano come una forcella in cima al

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dosso (e poi da lì si scendeva nella vera e propria “miniera”, la gigantesca fossa circolare dove si estraevano i rifiuti), tracannò un’alta sorsata di un pessimo vino, e disse: -In fede mia, scommetto che ci vanno anche a letto, con quelle bestie!

Taruk non si voltò nemmeno a guardarlo; era molto forte il contrasto tra l’uomo alto e severo e l’altro, che era basso, tarchiato, vestito di pezzi di vestiario mal assortiti, molto colorati. Una fusciacca violetta gli cingeva le reni, indicandolo senza dubbio come un pirata dei cieli. -“Fede”? - disse Taruk -Credevo che la vostra mancanza di fede fosse rinomata, signor Ator!

-Oh, ne ho invece moltissima, anche più di voi, signor Taruk! - rispose l’altro, fissando con una certa delusione l’occhio dentro l’imboccatura della bottiglia, ormai drammaticamente vuota -Nessuno più di me ha fede nel vino e nelle belle donne!

-Le donne sono solo il ricettacolo di pensieri impuri! - ribatté Taruk, aspro.Ator sospirò: -Sapete, sono discorsi come questo che vi fanno sembrare più tetro di quello che

già non siete! Taruk gli rivolse uno sguardo carico di disprezzo, ma un vocione profondo fece vibrare l’aria

dietro di loro: -Oh-o! Signori! Cosa fate qui, a fissare maiali? Il duello sta per cominciare e credo che il nostro capitano sarebbe molto scontento se i suoi tre ufficiali di vascello non fossero presenti... anche nel caso qualcuno debba poi raccogliere le sue budella sparse in giro!

L’uomo che aveva parlato era imponente, abbronzato, a torso nudo; un tatuaggio di una tigre rampante gli occupava tutto il braccio destro, fino alla spalla. Era un uomo che veniva dall’Ind, senza dubbio, o dalle Isole, e aveva più orecchini brillanti alle orecchie che non una batteria di luccicanti pentole appese in fila in una fornita cucina imperiale.

-Credete che il capitano possa perdere, mastro Shem? - disse dunque Taruk.-Se lo sfidante fosse un mozzo d’acqua dolce, o anche uno di quei grossi armadi semoventi

che si trovano nelle bettole di Ur, direi di no! - sbottò Shem, tuonando come una slavina che si rovescia da una montagna -Ma quel Sendomir Nibiru è come una vipera, una canaglia fatta e finita, e non mi stupirei se riuscisse a piantargli il coltello nello stomaco, mentre il capitano è intento a dire una delle sue spacconate!

-A questo punto, signori! - disse Ator, alzandosi di scatto -Io dico che è venuto il momento di scommettere!

-Il gioco d’azzardo è contro i dettami della fede! - sbottò Taruk.-Scommettere porta sfortuna! - sbottò Shem.Ator si grattò la testa, che aveva più capelli bianchi che neri (e non perché fosse vecchio, ma

perché ne aveva viste di cotte e di crude, che avrebbero fatto diventare bianco come la neve anche il più incallito figlio di puttana del mondo, come in effetti Ator era) e disse: -Sinceramente, signor Taruk, vorrei che mi spiegaste come mai un pirata marcito nel “peccato” come voi si tanto posseduto da questi fermenti religiosi, di una religione poi che è estinta da secoli! E voi, mastro Shem, siete il più spergiuro malfattore senza Dio che abbia mai conosciuto, ma ogni volta prima di salpare ci fate perdere anche più di un’ora con i vostri spergiuri, salamelecchi e atti superstiziosi, su quelle dannate macchine della sala motori! Siete proprio un bel paio, voi due!

-Voi non potete capire: è il vino, viatico per la dannazione dell’anima, che domina la vostra ristretta mente! - ribatté Taruk.

-Superstizione un bell’accidenti! - ribatté Shem -Cosa c’è di superstizioso in un fulmine che colpisce a ciel sereno un uomo? E di un serpente nascosto tra i sacchi dei fagioli, che morde fino alla morte un marinaio? Sono accidenti, mi direte voi: e io vi dico invece... cosa costa uno spergiuro per evitare il fulmine o il morso del serpente?

-Suvvia, ma per una scommessa! - disse Ator, ammiccante -D’altronde anche tutta questa brava gente allevatrice di maiali, non è forse tutta eccitata per questo? Un duello tra pirati famosi! Invece di spaccarsi la schiena a estrarre inutili (per loro) barattoli di plastica dalla discarica, potranno vedere i loro soliti aguzzini piantarsi allegramente dei coltellacci nella pancia! Non credete che loro scommettano? Se non fosse che la loro unica moneta sono quei maledetti maiali, scommetterei anch’io con loro! E pensate che guadagni pensano di fare: cibo vero liofilizzato, latte solubile per i loro stentarelli marmocchi, in cambio di questi preziosi suini, che noi ci mangeremo alla griglia!

-Io quelle sudice bestie sulla mia nave non ce li voglio! - disse Taruk.

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-La nave non è vostra... - osservò Shem.-Ma come potete insultare tanta suina abbondanza? - ribatté Ator -Pensate che mentre voi

disprezzati queste bestie, i villici arrivano persino a imboccarli come dei bambini e a masticare per loro il cibo, purché non si danneggino quelle preziose zanne!

Taruk fece per dire qualcosa, ma improvvisamente un fischio altissimo risuonò e dall’alta montagna nera, la colossale parete di Babilonia, scoppiò un fumana immensa e da due gigantesche bocche in alto si riversarono come cascate del diluvio universale torrenti di rifiuti, che con scroscio assordante rotolarono giù per le ripide pareti di immondizia.

Plastica e metallo brillarono rotolando in mille colori giù per la china, e Shem disse: -Solo due bocche... le cose vanno male, dentro a questo schifoso scatolone! Mi ricordo che una volta c’erano cinque bocche attive e che i villaggi qua sotto venivano persino spazzati via dalle frane di rifiuti, uccidendo tantissime persone!

-Il giudizio di Dio si è posato su questa blasfema città! - sentenziò Taruk.-Amen! - disse Ator; e poi aggiunse: -Ma andiamo a vedere che cosa combina il nostro amato

capitano... vedo già il palco gremito, e il “premio” è già stato messo a sedere sul trono!

Barluga il pirata prendeva questo suo nome dall’infame gigantesca specie di scimmie albine che infestavano le montagne interne della Drangiana. Erano bestie grosse, ottuse e dal carattere pessimo, che potevano sfasciare in due un uomo come se fosse una pagliuzza.

Barluga era grosso, gigantesco e non aveva un carattere migliore di quelle scimmie: era famoso tra tutti i pirati del cielo per i suoi scoppi d’ira e per le sue imprese; “imprese” che potevano essere definite il più delle volte delle spacconate dove erano maggiori i rischi che i benefici.

La sua ciurma lo sapeva bene, ma lo seguiva lo stesso per quella sorta di bizzarro sodalizio instabile che si instaura tra pendagli da forca come quella gente, che si usa chiamare “pirati”.

Era così famoso che il duello, che all’inizio doveva essere un fatto piuttosto “privato”, era divenuto l’occasione per una sagra. Presso le miniere di rifiuti c’erano tre equipaggi pirati in quell’occasione, due “mercanti” (ovvero “scavatori di immondizia”) e pure una nave schiavista. C’erano il noto capitano Akkham il rosso, Grog il massacratore, Leme lo scorticatore; e poi faceva brutta mostra di sé la “Valeria”, dalle vele nere, che era ancorata nel piccolo porto improvvisato alle spalle della miniera, e tutti guardavano con un certo brivido quelle vele, perché sapevano bene che Rukor, il suo capitano, non faceva distinzione tra pirati e poveracci, quando raccoglieva i suoi schiavi, simile a una rete a strascico che raschia anche il fondo del mare.

Gli abitanti dei villaggi si erano radunati ai piedi del “palco”, ed era nato uno spontaneo mercato. I diversi equipaggi infatti si erano messi a “vendere” liquore di pessimo valore ai villici, in cambio di maiali, che di lì a poco, dopo che Barluga fosse morto o avesse spezzato il collo al suo avversario, sarebbero solennemente girati sui grandi gira-arrosto già preparati.

I pirati si erano anche messi a scommettere tra di loro e avevano cominciato a girare fasci di zuzim e lettere di cambio, assieme a pugni, bestemmie ed ettolitri di alcool (di qualità leggermente superiore a quello che veniva spacciato ai villici).

I villici, dal canto loro, avevano subito preso ad imitare i pirati, ma essendo la loro unica moneta di scambio il “maiale” era molto difficile mettersi d’accordo su come contare e smistare le scommesse. Si trattava infatti di moneta maleodorante, che strillava e che calciava, e per di più c’era anche disaccordo su quale fosse il valore reale di ogni singolo “pezzo di scambio”. Era risaputo che un maiale sano, grosso e grasso, dalle zanne quasi perfettamente rotonde, fosse un esemplare che ne valeva due e mezzo di piccoli e con zanne poco sviluppate. Ma il concetto di “perfettamente rotondo” non era facilmente misurabile. Ed esattamente come i pirati, anche i villici cominciarono a far volare pugni, bastonate e improperi spaventosi.

La coloratissima folla, uomini, pirati e maiali, ondeggiava in un fracasso infernale, una schiera di immonda vitalità e di indescrivibile fetore, che strideva con la nera montagna che dominava tutto, impassibile.

Ma non era Babilonia il perno intorno a cui vorticava questa sarabanda, questa specie di giostra di umanità azzoppata; era il palco, costruito con assi di fortuna, cestoni di immondizia, colorati panni stracciati. Il palco doveva dominare l’arena dentro la quale si sarebbe compiuto il

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massacro: e sopra il palco stava seduto il “premio”.Il trono era una specie di seggiolone, ricavato da un’antica sedia con lo schienale alto, di

metallo, a cui era stata attaccata della schiuma espansa di recupero per farlo sembrare più imponente, stoffe stese a losanghe che cadevano dal colmo fino a terra, e un’intera rastrelliera di gigantesche chiavi da meccanico piantato dietro, che nell’estetica pirata doveva sembrare una vista gloriosa e lucente. Su di esso era stato fatto sedere il “premio” per il vincitore, che invero vi si perdeva dentro.

Una minuta figura poggiava i suoi occhi grandi, acquosi e inespressivi su tutta quel serraglio che si agitava sotto i suoi piedi; era una ragazza di non ordinaria bellezza, che splendeva in mezzo all’immondizia, quella inerte e quella umana, come un angelo disceso dal cielo per giudicare l’umanità. Il volto era perfetto, ovale e bianco come l’alabastro e i capelli, che scendevano fino ai fianchi, pura seta nera. Indossava un mantello cucito a mano, una specie di poncho, rosso e bianco, da cui spuntavano gli stivaletti attillati, che di sicuro di così eleganti non se n’erano mai visti nella discarica. Ma né il villico più infame, nemmeno il pirata dal cuore grumoso come un dattero essiccato, avrebbe osato balzare sul palco per compiere qualche atto inaudito su quella Dea: il primo e più ovvio motivo era che Barluga avrebbe cominciato a spaccare crani al minimo segno di oltraggio; oppure quell’altro tizzone di inferno, Sendomir Nibiru, avrebbe piantato in corpo un’intossicazione letale di piombo al primo che ci avesse provato. E a parte questi minimi dettagli, tutti erano consapevoli che la donna seduta sul trono non era umana, almeno non nei termini generici che si possono attribuire tra gente che considera quasi umano il proprio maiale di casa.

Due parallepippedi bianchi, percorsi da brevi sprazzi di corrente elettrica, sporgevano ai lati della sua testa, proprio dove le donne umane hanno le orecchie. E anche quegli occhi inespressivi la qualificavano indissolubilmente come un’ “automaton doll”. Una bambola meccanica, ma dalla pelle morbida come quella umana, un fantoccio artificiale, ma dall’aspetto seducente come un diavolo tentatore, un angelo caduto. Il termine stesso, come si vede, non era babilonese: erano state costruite per la prima volta nel “Conglomerato Nordico”, l’antica mega metropoli che un tempo, prima della catastrofe, riuniva in un’unica mega struttura urbana tutto il nord.

Ora il tetro Balmung occupava i territori stretti tra i ghiacci, e ancora più a nord di Balmung vi era l’ancora più oscuro Heimskringla. Proprio lassù non era stato dimenticato il modo di costruire quelle creature artificiali: automaton doll era il nome che possedevano nella lingua del nord, e con quel nome erano state comprate per gli harem di Babilonia, nel sud.

Perché proprio l’Impero che si era definito “meccanico” non producesse in proprio simili bambole meccaniche, era un mistero; almeno per la gente comune, perché non potevano sapere che l’antica tecnologia era in effetti perduta: le bambole prodotte a Heimskringla erano animate da misteriose “scatole magiche” e la magia era bandita in Babilonia. Ovviamente le doll venivano smerciate ugualmente, sotto l’occhio mezzo accecato dalle bustarelle degli ufficiali preposti. E la loro destinazione era sempre la stessa: case di piacere, harem, postriboli... perché non si trovava altro scopo per quegli esseri artificiali che non fosse servire con il propro corpo padroni dalle voglie irrefrenabili. L’Imperatore aveva emanato molti anni prima del giorno natale di Abit una legge che proibiva la prostituzione di “ogni donna babilonese”: le motivazioni erano le più varie, ma al momento non interessano, e se ne parlerà in un’altra occasione.

Quel che importa è che le automaton doll riempivano alla perfezione quel vuoto nella società babilonese che le donne vere avevano perso5. Sono prive di sentimenti, non soffrono, non si ammalano, quando si “rompono” possono essere buttate via come una qualsiasi macchina rotta, e sono tutte perfette e bellissime.

Ogni esemplare costa una fortuna: per tutti questi motivi non è difficile immaginare perché un’automaton doll fosse stata posta come “premio” di quel duello importantissimo. Ma chi la pensasse in questo modo, sbaglierebbe di grosso.

Seduto per terra, proprio ai piedi del trono, stava un giovane, vestito con una rara blusa di un blu scuro come la notte; “rara” perché quel tipo di vestiario si trova solo addosso agli orgogliosi “uomini blu” del deserto. I capelli scarmigliati e neri formavana un’onda ribelle sulla sua testa, gli

5 Schiavisti e fuorilegge commerciano anche in donne vere, nonostante le pene severissime; ricchi principi pagano fortune incredibili per gio-vani schiave umane.

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occhi come due pietre velenose fissavano disgustati, ma anche un poco invidiosi, la vitalità della gente miseranda della miniera.

In una certa misura pensava che quegli uomini fossero molto più liberi di lui. Almeno loro avevano i propri maiali: tra poco lui avrebbe potuto perdere anche la propria vita!

-Padrone! - disse l’automaton doll, guardando in giù all’uomo seduto ai suoi piedi, con voce perfetta e armoniosa -Sento che dei pensieri oscuri ti stanno tormentando!

L’uomo si volse lentamente a guardarla da sotto in su, e la trovò che lo guardava con la testa inclinata di lato, come la maledetta doll usava sempre fare, quando stava chiedendo qualcosa.

-Maledetta donna! - esclamò -Hai un bel coraggio a chiedermi se ho “dei pensieri oscuri”! Altro che pensieri! Lo capisci che tra pochi minuti devo finire in mezzo a quella massa di bestie urlanti assieme a quella scimmia di Barluga... cercando di non farmi infilare la testa nel didietro? !

-Ahr Ahr! - eruppe una risata acre, forte, aspra come un geyser, e tra la folla di pirati, improvvisamente animati da un’energia festaiola doppia, emerse un colosso. Era a petto nudo, eppure sia il petto che la schiena erano coperti di fitto pelo, proprio come un uomo più vicino alla scimmia che non alla razza umana. Un colosso di muscoli sulla cui cima delle spalle immani campeggiava un testone brutto come il peccato, dal mento prognato e dalla fronte stretta proprio come uno scimmione. Aveva anche basette spesse e imbiancate, che si univano alla barba rotonda, da sembrare sul serio la faccia di un babbuino barluga.

Ma ci si sbaglierebbe se si dovesse pensare che quella fronte stretta fosse priva di cervello. Con due occhi incendiati di inferno liquido roteò lo sguardo sulla marmaglia che lo circondava e gridò con una voce che fece venire tutti i peli irti ai maiali: -Pendagli di forca! Ci siete tutti! Ora è il giorno che con questo mio braccio sfonderò il cranio maledetto di Sendomir Nibiru!

-Ah ah! - rise come un pescecane l’imponente Grog, sollevando la bottiglia verso di lui -Io e i miei ragazzi ci stavamo giusto chiedendo che cosa avesse combinato il tuo mozzo, per meritare di vedersi sfondare la testa fino all’osso sacro!

-Mozzo! - esplose l’uomo seduto ai piedi dell’automaton -Hai sentito, Zeta? ! Mi hanno chiamato “mozzo”!

-E’ un insulto, padrone? - fece Zeta.-Puoi ben dirlo! - rispose -Ma non c’è da aspettarsi molto di meglio da pirati e allevatori di

maiali! -Padrone! - disse la doll, sempre con la voce inespressiva che pareva appartenere a una

donna fatta di ghiaccio -Ma non siamo diventati anche noi dei pirati? -Ah, donna, non farmi le tue solite domande in un momento come questo! Barluga invece tuonò: -Stronzate! Questo mozzo di acqua dolce, questo rifiuto umano, è solo

un verminoso clandestino che ha approfittato del buon cuore del pirata Barluga, non ha nulla a che fare con il mio equipaggio!

-Lo avete sentito! Ha detto “buon cuore”! - gridò Akkham.I pirati si spaccarono in due dal ridere e un pirata dalla faccia da assassino vicino a Grog gridò:

-Il tuo cuore è un sasso, la cena che il tuo cuoco ti ha fatto ieri sera, cucinando pietre nel sangue di serpenti!

Ma... KONG! , diede la sua testa, e il pirata si accasciò al suolo. Barluga lo aveva steso con un solo pugno, veloce come una vipera. Grog osservò con indifferenza il suo nostromo più morto che vivo che sbavava steso per terra, e disse: -E come mai l’uomo che vuoi a tutti i costi ammazzare te lo portavi dietro, Barluga dal “cuore d’oro”?

Barluga imprecò: -Figli di cane! Sendomir Nibiru è come la vipera del deserto, più sfuggente di un’anguilla elettrica! Me lo sono portato dietro perché non mi sfuggisse! - e sputando sull’uomo steso a terra, esclamò: -E nessuno si provi a insultare il mio cuoco!

-Sono sconvolto dal buon cuore di quella vecchia canaglia, sul serio! - esclamò Sendomir -E sembra che da quando l’ultimo cuoco di bordo ha quasi ucciso l’equipaggio con quel soufflè di ratti, la vecchia scimmia non sia più la stessa: intendo dire, visto che sei tu il suo cuoco, adesso, non si potrebbe dire che nonostante tu sia una doll, le ultime azioni dello scimmione possano essere giudicate quasi i modi di un vero gentiluomo? !

Zeta disse: -Mi stai prendendo in giro, padrone! -E cosa te lo fa pensare?

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-La logica di una doll è precisa e ferrea: non ritengo assolutamente verosimile o anche lontanamente logico pensare che tu stia pensando a Barluga come a un uomo dal cuore d’oro...

-Mia povera Zeta, questi non so se si chiamano “ragionamenti di ferrea logica”, ma... - e si alzò finalmente, stirando le braccia -... ma piuttosto quello che più si avvicina al giudizio di una persona normale: da quando una macchina sa distinguere tra l’ironia e le cose serie?

Zeta volle rispondere qualcosa, ma improvvisamente non seppe più che cosa dire, ed era ben strano, visto che una macchina non dovrebbe mai avere dei dubbi di questo genere!

Sendomir, che però tutti, tranne Barluga, chiamavano semplicemente “Sendo”, avanzò fino al limite del palco e gridò giù: -Ehi, vecchio scimmione! Smettila di blaterare!

-Oh! Ma non sarà mica la nostra vittima, quel mingherlino lassù? - berciò lo scimmione -Hai finito di nasconderti dietro le gonne di quella bambola? !

-E tu, hai finito di pavoneggiarti dietro quel tuo pelo da scimmia? - incalzò Sendo -Non ne posso più della tua voce, dei tuoi modi, del tuo alito puzzolente e della tua nave che sembra un recinto per i maiali! Negli ultimi due mesi, mentre mezzo Impero Meccanico ci correva dietro, non ho fatto altro che sentirmi marcire le orecchie dei tuoi “domani, domani, Sendomir Nibiru, sarai morto! ”. Ora finalmente hai il pubblico che cercavi! Facciamola finita, scimmione!

-Non chiedo di meglio, fottuta canaglia! - gridò con il tuonare di una tempesta Barluga.Sendo balzò giù dal palco e i pirati si facero indietro, lasciando un cerchio di forse sei metri

tutt’intorno ai due contendenti. Sendo afferrò il manico del lungo e largo pugnale che teneva appeso alla cintola e Barluga gridò: -Ator! Dove sei, figlio di puttana! La mia arma!

Intorno i pirati facevano un baccano di inferno, tra insulti, rutti e clangore di bottiglie rotte contro i coltellacci, ma si udì comunque distintamente la voce di Ator rimbombare sopra a tutto. -Eccola, capitano! - gridò il tondo pirata, comparendo in cima al palco e lanciando in aria un coltello largo, crudele, che scintillò al sole, prima di infilarsi precisamente per terra.

-Ora, Sendomir! - gridò Barluga, con gli occhi come pozze liquide di magma -Hai qualcosa da dire, prima che ti scotenni? !

-Non spreco le mie parole per le scimmie! - gridò in risposta Sendo e Barluga si lanciò in avanti come un carroarmato, afferrando il coltellaccio da terra e scagliandosi su Sendo con tale violenza che avrebbe fatto scappare una mega-iena affamata.

Zeta strinse involontariamente le mani bianche sul voluminoso petto e persino nei suoi occhi spenti brillò una traccia di paura. -Hai paura, bambola? - chiese Taruk il torvo, con una punta di disprezzo nella voce, che dopotutto era salito sul palco assieme agli altri due perché nella confusione qualcuno non si permettesse di rubare il “premio” -Anche se non hai l’anima?

-Paura... - ripeté senza spirito Zeta, ma Shem disse: -Lasciala stare, Taruk! Come credi che possa guardare l’uomo che rischia di venire troncato in due dal capitano, senza avere paura? ! Anche se fatta di plastica e cavi elettrici, è pur sempre una donna!

-Zitti, voi due! - berciò Ator -Non vedete come il capitano sembra la morte incarnata? ! Barluga era una massa nodosa di muscoli che roteava il coltellaccio come una tempesta di

metallo; impossibile resistere a quella tempesta, impossibile difendersi, come non è possibile difendersi dalla carica di un mastodonte. Ma Sendo scivolava via da quegli attacchi furiosi sempre un attimo prima di venire schiantato, come un soffio di vapore che si piega e vola via, contro il moto furente dei pistoni di una vaporiera. Sapeva che non sarebbe riuscito a sopravvivere se fosse stato colpito. Sapeva anche che contro Barluga aveva ben poche possibilità. Sempre se l’avesse sfidato nel campo della mera forza fisica. Per quanto potesse sembrare incredibile a vederlo in quel momento, Barluga era pur sempre più lento di Sendo, ed era una mera constatazione dovuta alla diversa massa corporea.

Non molto più lento tuttavia.E bastava un attimo perché Barluga cambiasse il corso della sua lama come il piegarsi

repentino del morso del serpente, o lo investisse con un braccio teso, come un tronco di quercia che cade dall’alto, per schiantarlo.

Una sola occasione, mentre il fiato si faceva corto, un solo colpo, che doveva tranciare spessi fasci di muscoli intorno all’addome.

I due contendenti brillavano sotto il sole, come due corpi di fuoco, in mezzo all’urlo della folla e allo stridere dei maiali. I pugnali scattarono come fulmini, fulminando dei riflessi di una fornace

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atomica, vorticanti di energia così rapida da sembrare due immagini sfocate.Ma improvvisamente la gente gridò, i maiali ulularono, e uno scoppio abominevole schiantò di

netto l’aria e un fungo di polvere, fuoco e detriti, corse rapido verso l’alto, laggiù, verso le navi attraccate al “porto”.

I pugnali erano a un centimetro dal corpo di Barluga e dalla gola di Sendo e i due si fissarono con gli occhi iniettati di sangue. E si volsero all’unisono verso la grossa esplosione, gridando: -E ora che cazzo succede? !

Ma i loro volti divennero cinerei, persino quello di Barluga, quando videro una sagoma spaventosa emergere dalla polvere, alta sopra il deserto per venticinque metri.

Accelerò, l’impossibile massa, lanciando saette di luce attraverso alla nuvola di polvere; il triplo motore pompava energia spaventosa, una fornace su due gambe. Metallo che strideva contro ferro e acciaio, scintille di fuoco. Il suono spaventoso della sua carica spaccò in cristalli roventi l’aria, il fracasso di acciaio in corsa.

Il più terribile dei terrori si schiantò su villici e maiali e pirati, come magli di acciaio. Nessuno rimase immobile, tutti si voltarono in corsa, maiali che calpestavano uomini, pirati travolti dai villici, un inferno di gambe e zampe. Il palco venne travolto e con esso Barluga e Sendo. Taruk afferrò prontamente Zeta per la sottile vita e la trascinò via prima che l’intera struttura collassasse per il peso della folla terrorizzata.

Ed ecco che dal centro della marea umana e animale eruppe un geyser, uomini cominciarono a volare, letteralmente. Barluga emerse torreggiante sopra gli ometti, menando bracciate come una turbina. Le sue bestemmie immonde, i suoi occhi che sprizzavano non solo fuoco, ma le fiamme stesse dell’inferno, i suoi pugni come badilate, terrorizzarono ogni forma di vita all’intorno come e forse peggio del titano di metallo che stava correndo come una Magillu in picchiata verso la discarica.

-Viaa! ! Via, animali! - gridò Barluga, come un torrente.Il gigante di metallo superò d’un balzo una bassa duna e non era alto più di venti metri, come

era parso di lontano, ma di sicuro sette abbondanti. E con una massa di ferro come quella lasciava veri crateri per terra. -Come stradiavolo ha fatto ad accendersi quel mostro? ! - gridò Shem, correndo di lato alla folla con Taruk e la automaton doll.

-Una fonte di energia... accettabile... è stata portata troppo vicino ad esso... - disse inespressivamente Zeta.

-Cosa? Tu che ne sai? - gridò Taruk.Ma con un fracasso da schiacciare i timpani il mostro si fece strada, era ormai arrivato su di

loro come un vendicativo dio antico. Era un fratello minore, creato in tempi successivi, dei giganti che avevano assalito Babilonia. Perciò era di crudo metallo, non aveva neppure le braccia, ma solo due lunghe gambe mulinanti, e una testina priva di occhi, una piramide muta e lampeggiante in cima alle spalle.

La folla si divise come per un colpo secco di spada, e in mezzo rimasero Barluga gigantesco e Sendo con un occhio nero. E all’unisono si voltarono e si misero a correre, perché persino una scimmia barluga sa quando si trova di fronte a un nemico che non può abbattere.

Il titano proseguì in linea retta ed era proprio alle loro calcagna che sollevava rocce polverizzate e roteava i mortiferi arti d’acciaio.

I due non avevano nemmeno fiato per ansimare, ma improvvisamente si disegnò un ghigno sulla faccia orrenda del pirata; scartò di lato gettandosi in una fossa profonda. Sendo lo fissò allucinato e capì al volo che aveva perso la sua occasione. Non vi erano fossati, buchi, niente di niente dove nascondersi. E dietro schegge di sassi rullavano come dentro a una macchina frantuma-pietre. E davanti solo la parete di immondizia, la montagna di rifiuti.

Le sue gambe erano due saette, non sentiva più nemmeno il proprio bacino. Arrivò volando sul primo sperone di rifiuti e fece di slancio forse dieci o quindici metri, poi affondò dentro alla densa massa di bottiglie di plastica. E il mostro fu sopra di lui.

Con uno schianto immane il mostro fendette di petto la distesa di rifiuti e sollevò come due ali di maremoto. Ma non si fermò, si conficcò dentro come un pungolo incandescente dentro al burro e con uno sforzo ultraterreno cercò ancora di muovere le gambe, ma la massa che doveva

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affrontare era così inamovibile e gigantesca che il motore sibilò, stridette come il lamento delle furie infernali e infine cedette.

Un’esplosione di fumo nero annerì ogni cosa e il titano cadde in avanti, sommerso di plastica, lattine e i resti della civiltà chiusa di Babilonia.

Maiali correvano da ogni parte, i pirati giacevano dispersi, alcuni morti, per tutta la piana, il palco era un ammasso di lamiere schiacciate. Barluga emerse dalla fossa, coperto di polvere da capo a piedi e un maiale che corse proprio tra le sue gambe venne afferrato per la collottola e scagliato lontano per pura furia animalesca, come se fosse una bestiolina da latte.

-Per gli dei! - disse Ator, scansando l’animale urlante -Piovono maiali, ora? -Al demonio i maiali! - ululò Barluga -Quel maledetto di Sendomir... è morto? ! Devo essere io

a ucciderlo, non una stupida macchina impazzita! -Credo che il padrone sia ancora vivo, signor Barluga! - disse Zeta, poggiata sui suoi piedini

da Taruk in quel momento.Barluga la guardò come un incendio fissa la trave che sta per divorare e gridò: -“Signor

Barluga”! Maledetto ferro-vecchio in forma di donna! Io sia maledetto, se questa vostra razza di macchine assassine non è un parto del demonio!

-Capitano! Sei stato tu a ordinare di scavarla fuori! - rispose Shem.-Io volevo farci dei soldi, non che mi calpestasse a morte! E perché cazzo non era legata al

suolo? ! -Bhè, quando l’abbiamo estratta pareva un tantinello... “morta”... come dire... - rispose Ator,

facendo spallucce.-La bambola meccanica sostiene che qualcosa deve averla riattivata... - osservò Taruk.Barluga fece per voltarsi sulla doll, che ad ogni modo continuava a fissarlo inespressivamente,

come era la sua natura, che Shem gridò: -Un uomo... no, due persone stanno rotolando giù dalla collina!

La collina era la massa di rifiuti dove il titano stava sprofondando tra fumi neri come la pece, come una specie di relitto di corazzata affonda nel mare, colpito a morte dai caccia-torpedinieri. E due figure in effetti stavano scendendo, o meglio, rotolando malamente giù tra i detriti.

-Chi è l’altra persona? - gridò Ator.-Mi sembrava di aver scorto una figura umana, appesa alla testa del mostro... - disse Taruk.-Ah! - esclamò Barluga, visibilmente soddisfatto -Uno è quel cane di Sendomir... ma

quell’altro? Sembra una palla di vestiti...! L’altra figura era proprio un ammasso di kaftani e mantelli ammonticchiati insieme, che ne

rendevano doppio il volume. Sendo atterrò ai piedi della montagna e rotolò ancora un pezzo. Provò a tirarsi in piedi, ma cadde senza alcuna dignità. Al terzo tentativo si tirò in piedi e si trovò di fronte la faccia orrenda di Barluga.

-Se vuoi un secondo round, dovrai aspettare che mi rimetta in piedi! - esclamò Sendo -Il mondo gira come un mulinello! Qualcuno lo fermi!

-Padrone, il mondo è immobile! - osservò Zeta -Hai sicuramente dei problemi con il tuo sistema limbico!

Sendo, incapace di parlare, con i polmoni strizzati come due spugne, la guardò da sotto in su, con ferocia. Ma ecco, SPANF! , un morbido oggetto cadde proprio vicino a lui.

Barluga, Sendo, Zeta e i tre ufficiali fissarono il fagotto di mantelli alzarsi come uno spettro delle dune, barcollare, cadere di nuovo. La tripla kefia che aveva in testa cascò giù e tutti (tranne Zeta), lanciarono un’esclamazione di sorpresa. Due grosse corna ritorte come quelle di un ariete brillarono al sole.

E la proprietaria delle suddette corna, una ragazzetta dallo sguardo confuso si alzò a sedere. Una larga benda le copriva un occhio. Fissò tutti con l’occhio libero, e disse: -Oh! Credevo proprio di morire!

Ma poi fissò per bene Barluga e vi scorse l’espressione stessa della mostruosità. In uno slancio spaventato cercò lo scatto salvifico, ma Sendo allungò una mano e l’afferrò per le corna, ed esclamò: -E chi sei tu?!

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Capitolo 9 Pirati e maiali

Il primo giorno di Abit sotto il cielo, il primo giorno nel quale respirare l’aria pura del mondo esterno, e già era nei guai più profondi e tetri, precipitata negli abissi più cupi di sempre.

Alla sua destra, un torreggiante uomo-scimmia, spaventoso come la morte.A sinistra, l’uomo vestito di blu, che la teneva saldamente per una spalla. Con capelli neri e

ricciuti, il volto abbronzato, per niente malaticcio come tutti i cupi uomini della profonda Babilonia che aveva sempre visto, aveva però una faccia torva da fare liquefare le sue povere ginocchia.

Sbirciò da sotto il groviglio di panni che le avevano fatto mettere di nuovo in testa6, ma non c’era una sola via di fuga, per quanto si sforzasse di guardare. Dietro camminavano due uomini usciti da un incubo: uno, grande grosso e tatuato, la cui faccia pareva dire “io mangio mocciosette a colazione” e l’altro, nero e torvo, che era come il manichino della morte. Pochi passi più avanti c’era quell’ometto tarchiato, che si girava ogni tre per due a farle certi sorrisetti incoraggianti, ma che sembravano piuttosto il ghigno di una iena.

Tuttavia il più terrificante era sempre l’uomo-scimmia, che scintillava al sole di sudore misto a sabbia, e le gambe di Abit tremarono ancora di più.

E quella strana donna, con i capelli neri, curiosi oggetti bianchi che le crescevano in testa, camminava pochi passi indietro al giovane torvo, la metteva se possibile ancora più in confusione. Era stata rapita anche lei? Che cosa avrebbero fatto gli uomini? Perché era così sfortunata?

Ma forse “sfortunata” non era il termine giusto. Stupida, era quello corretto. E scema, imprudente, sciocca!

Ayane lo avrebbe detto, avrebbe detto anche di peggio.E avrebbe avuto ragione.Ma il gruppo che la circondava non era nemmeno il più spaventoso. Improvvisamente una

folla da far venire la nausea, occhi truci, facce deturpate, cicatrici che correvano da un occhio all’altro come uno scherzo di natura, braccia artificiali e calotte di ferro in testa, e anche gambe e piedi bionici, un’accozzaglia di pendagli da forca e facce da postribolo, si assieparono come immagini sorte da un incubo, a bloccare loro la strada.

L’occhio sotto la benda cominciò a farle male in maniera spaventosa, ma Maruru non poteva uscire sotto il sole cocente, dove non vi era neppure un’ombra. Si contorceva dentro al suo cranio come un verme mangia-cervelli e Abit lo pregò di fermarsi. Che gli occhi orrendi dei pirati la smettessero di fissarla!

Un pirata del gruppo che li aveva circondati, esclamò: -Come la mettiamo, Barluga? -Che accidenti vuoi? - berciò lo scimmione, senza fermarsi, e i pirati si fecero istintivamente

indietro, perché nei suoi passi spediti e ondeggianti come quelli di una scimmia c’era una ben evidente promessa di morte.

-Abbiamo scommesso! - gridò, pieno del coraggio dovuto ad avere le spalle coperte da un discreto di tagliagole suoi pari -E il duello non è finito! E quel bastardo del tuo nostromo...! - e indicò Ator, che al vederlo si tirò prudentemente un pò più in dietro -... si è preso i soldi delle nostre scommesse! E guarda che disastro! E molti dei miei mozzi sono morti schiacciati da quell’affare!

Barluga lo fissò come un pescecane fissa un quarto di tonno e gridò: -Il duello è annullato, razza di ratti di fogna! I vostri zuzim dovevate tenerveli stretti nelle brache, assieme alle budella... pregate un dio qualsiasi che non ve le rovesci fuori qui nel bel mezzo della discarica!

-Questo è inaccettabile! - urlò il pirata, e un coro convinto (ma gridato a una certa distanza da Barluga) lo incoraggiò da dietro -Il codice dei pirati dice che...!

-Al demonio il codice dei pirati! -Quella sgualdrina, l’automaton doll! - gridò lo sciocco pirata -Dacci quella come compenso

per i danni che abbiamo subito per causa tua!

6 Taruk non ritenne una buona idea mostrare agli altri pirati che si stavano portando dietro una mocciosa con le corna; la stessa idea di Aya-ne, ad ogni modo, che l’aveva coperta di lenzuoli per lo stesso motivo.

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BAM! , e Barluga abbatté con un colpo solo il pirata, lasciandolo come una macchia nera spalmata sulla sabbia. -Nessuno osi parlare male del mio cuoco! - ululò, e a momenti si sarebbe messo a battersi i pugni sul petto, proprio come un Barluga.

Gli altri pirati persero subito coraggio e saltarono indietro e quell’uomo dallo sguardo torvo, vestito di blu, reinfilò il coltello che aveva a mezzo snudato dal fodero, e disse: -Seriamente, questa marmaglia pirata è ossessionata dalle donne!

La donna dall’aspetto strano lo guardò con un’espressione che forse avrebbe dovuto essere di curiosità, se non fosse stato che era vuota come i campi deserti di Babilonia. E disse: -Se mi è permessa una riflessione, credo che sia perché sono uomini soli, padrone!

-Nessuno ha chiesto la tua opinione! - esclamò l’uomo.Tutto quello che stava accadendo era agghiacciante e Abit improvvisamente puntò i piedi,

incapace di fare un solo passo in avanti. Quello che si chiamava Barluga si voltò e grugnì: -Sendomir, fai muovere quel nano!

Abit era fredda come un ghiacciolo e Maruru ululava per lanciarsi fuori e fare a pezzi tutti. Sotto il sole soffocante e violento del sole, che non aveva mai provato in vita sua, sentiva che stava per crollare, e tuttavia non provava nemmeno una parvenza di calore in quel momento, ma ogni atomo del suo corpo era congelato.

-Riesci a camminare? - fece con sguardo preoccupato il giovane vestito di blu e Abit gli restituì due occhioni lucidi che di sicuro avrebbero mosso anche l’animo di un avvoltoio. Non Barluga, ad ogni modo. E nemmeno Taruk, l’uomo nero, per fare un altro esempio.

Il primo disse: -La trascino io, se non si muove! Il secondo aggiunse: -Questa progenie demoniaca... non è meglio farla uscire dalla sua

condizione blasfema, qui, sul momento? - e la mano si mosse alla pistola agganciata alla cintura.-Via via! - prese a dire l’uomo rotondo, ma il giovane blu la prese dolcemente per una spalla e

disse al suo orecchio: -Non guardare questi brutti ceffi, nemmeno loro madre, se mai ne hanno avuta una, può guardarli in faccia e non sentirsi male! Se non riesci a camminare, ti porto in braccio io... non avere paura! Sembrano dei mostri, ma non hanno mai mangiato le ragazzine!

La voce calma e suadente del giovane penetrò come un soffio di calore nella testa martoriata di Abit e improvvisamente Maruru cessò di fare il diavolo a quattro. Le gambe si sciolsero dal gelo e con fare titubante provò a fare qualche passo avanti.

-Brava così! - disse il giovane.-Vedete di arrivare alla nave prima di notte! - gridò allora Barluga, che ne aveva abbastanza

di tutta quella situazione e si allontanò verso la sua nave a grandi passi strascicati.Abit non vedeva tuttavia nessuna salvezza per la sua vita. Sciocca, sciocca! Dopo aver visto il

cielo, la attendeva una stupidissima morte! Camminò in avanti con gli occhi quasi chiusi, per non vedere, ma improvvisamente una calda mano si infilò nella sua. Si volse a guardare sorpresa, e vide che la strana donna l’aveva presa per mano e con sguardo inespressivo la stava fissando.

Stava cercando di confortarla? Sembrava soltanto una povera schiava, una sfortunata fanciulla come lei... Abit strinse la sua mano, e non badò affatto alle sue strane orecchie percorse da lampi elettrici.

Se c’è un fatto che tutti conoscono a proposito dei pirati è che non si tratta propriamente di gente troppo affidabile; per questo motivo, nonostante qualcuno avesse dovuto rimanere di guardia alla nave, di fatto non c’era nessuno in vista nel “porto”.

Sette lunghe banchine composte di blocchi di cemento sconnessi dividevano alle belle e meglio gli spazi per l’attracco; un confusionario castello di lamiere, pezzi di recupero, anche raro legno, ma soprattutto fasciame ricavato a vecchi relitti, costituiva le “infrastrutture”. Per anni, forse quasi per un secolo, si era continuato a raffazzonare insieme parti scomposte, finché il “porto” era divenuto un caratteristico ammasso di passerelle, scale e scalette, una ragnatela di cavi e di corde, una baraccopoli di lamiere.

Il “Kerberos”, la nave di Barluga, era ancorata al “molo” sette. Dal momento che era una “nave volante”, o meglio, una “Magillu”, come venivano chiamate in Babilonia, parlare di ancoraggio non è un termine esatto. C’era una profonda fossa, dentro la quale la Magillu atterrava con una complessa e rumorosa manovra, manovra che il più delle volte divelleva e

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spaccava la gran parte delle passerelle e dei castelli che si innalzavano stretti e alti tutt’intorno. Servivano per raggiungere i ponti alti della nave, in caso fossero necessarie delle riparazioni. Ma era di solito più il tempo che si sprecava per riparare le impalcature che non quello che rimaneva per riparare la nave.

Il molo sette era più riparato, rispetto agli altri, in quanto sul fianco sinistro si innalzava il tetro, sventrato relitto di una Magillu immensa, che stava con il ventre nero aperto sotto il cielo. Più di un secolo di spoliazione aveva incavato quasi totalmente il suo stomaco, che ora giaceva come uno scheletro di balena, le costole arcuate che proiettavano una fitta ombra sull’attracco, il molo, lo stesso Kerberos. Anche dentro al relitto erano state innalzate passerelle e piantate carrucole e foreste di corde e non si sarebbe neppure potuto dire se fosse stata una nave Magillu o meno.

Nessun pirata sulle passerelle; nessun pirata sul molo; due ombre piratesche bighellonavano contro la luce emanata dalla stiva spalancata e non vi era altra sagoma umana visibile. I fari del Kerberos proiettavano due coni di luce sul molo e contro il corpo della grande Magillu spogliata, e anche contro la recente, enorme spaccatura, attraverso il quale il gigante di metallo si era fatto strada.

Nessuno... o meglio, ecco, c’erano delle figure umane, che si muovevano furtivamente nell’ombra! Spiavano il portellone della stiva del Kerberos, da dietro un ammasso di ingranaggi di ghisa abbandonati.

Una delle due a un certo punto fece un cenno con la mano e si lanciò fuori, oltre il nascondiglio. La seconda la seguì come una soffio di vento nel buio. Erano due figure delle quali era difficile distinguere la natura, se maschio o femmina, e sembravano dei grandi fagotti svolazzanti, con larghi mantelli dietro di loro che si agitavano nella corsa.

La prima figura era agile come un felino, e correva piegata in due, quasi con il bacino perpendicolare al suolo. Sembrava sul punto di mettersi a correre a quattro zampe, o di tramutarsi in una pantera!

La seconda non era meno agile ed era leggermente più grande e si muoveva con grazia e in un silenzio terribile; nemmeno un pirata sobrio, che era cosa ben rara, ad ogni modo, sarebbe riuscito ad accorgersi di quei due esseri, soltanto usando le orecchie.

In un lampo arrivarono sotto i grossi e pesanti sostegni di ghisa, su cui era ancorato il Kerberos. La massa nera della Magillu incombeva su di loro. Il Kerberos era, come ogni altra nave pirata, un ferrovecchio, un antico manufatto che ne aveva viste troppe. A differenza delle comunque non troppo lucenti Magillu imperiali (almeno di quelle che non appartenevano all’Imperatore in persona) le vecchie navi mercantili o pirata erano molto più piccole e molto malmesse. Il Kerberos era lungo forse centocinquanta metri, ovvero trecento cubiti. Era allungato come una torpedine, con la parte centrale però ingrossata e larga, come un vecchio imbolsito con la pancia. La stiva si apriva proprio a poppa, che era il lato dal quale le due losche figure spiavano. La poppa era alta e appuntita verso l’alto. Lungo i due lati, nelle metà inferiore, erano ripiegate delle specie di “ali”, che non servivano assolutamente a volare, e delle quali era difficile concepire lo scopo: erano sei strutture membranose per lato, dalla forma simile agli apparati natatori di un qualche pesce palla. Sulla metà superiore delle fiancate facevano minacciosa comparsa due file da cinque torrette, munite di due canne, che dovevano essere dei cannoni.

Il ponte superiore era stato molto riadattato, nel corso del tempo, dai pirati, e dalla loro posizione le due oscure figure potevano vedere una selva di cavi, alberi, torrette, tutte molto rugginose e confusionarie. Non vi era nemmeno una “torre di comando”, come quelle che svettavano, simili ad alberi morti, sui relitti di antiche navi che si possono vedere in certe aree dell’antico mare prosciugato che divide Babilonia da Balmung. La corazzatura esterna era sì di metallo (o ceramite speciale? ), ma sembrava anche il dorso rugoso di un pesce rimasto troppo a lungo sul fondo del mare, che si era ricoperto di corallo. E anche le “ali” erano come appendici chitinose, o cartilaginee, che si muovevano frullando come al respiro di un polmone vivente, lente, nella notte. Ma oltre a questa bizzarra sensazione di osservare non una nave, ma una qualche sorta di grosso mostro preistorico pescato dal fondo del mare, era, a tutti gli effetti, un relitto: se lo avessero trovato incagliato di lato in mezzo al deserto, coperto da una duna, non sarebbe stato in condizioni migliori di ora.

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La prima figura rimase qualche secondo in contemplazione, con le orecchie tese sotto alla kefia e improvvisamente balzò su, come un ragno del deserto, arrampicandosi sul guscio esterno della nave. La seconda figura la seguì in un attimo; si arrampicarono come due ragnetti, ma non mancavano certo gli appigli. Non solo le incrostature di cui si è già parlato, ma saldature venute male, lamiere sconnesse, e anche buchi di mitraglietta pesante o veri e propri colpi di striscio di cannone, butteravano tutta la superficie.

Salirono fino a metà, evitando le ali, quando una sezione del tutto simile al resto della parete si aprì di colpo e un fascio di luce si proiettò verso l’alto. Le due losche ombre nella notte si appiattirono istantaneamente e dalla luce emerse la brutta faccia di un pirata, che per un momento parve un demone mostruoso uscito da una botola infernale. Infatti indossava la metà di un vecchio elmetto da soldato imperiale, che, come è noto, tendono a rappresentare mostruosi crostacei. La bocca rosa e sopra la visiera come un granchio lo rendevano spaventoso: il pirata aspirò dalla sigaretta che teneva in bocca l’ultima boccata e poi con un gesto noncurante lanciò il mozzicone in aria.

La scintilla rossa roteò solitaria nel buio e il portello venne rinchiuso, mentre qualcuno da dentro diceva: -... e il capitano ha perso un’altra occasione! Ma almeno non perdiamo il nostro cuoco... mi ero stufato di mangiare quella merda che...-

Il resto della conversazione si perse e le due figure rilassarono i muscoli. Ripresero rapide la salita e in breve raggiunsero i cannoni e poi arrivarono sotto al ponte. Da quella posizione si poteva distinguere meglio l’intrico di antenne radio e di cannoni, che se non erano stati montati “a caso”, poco ci mancava. Era come osservare il dorso centenario di una tartaruga, cosparso di bossi e protuberanze.

La figura che guidava fece un rapido segno di di diniego con la testa e poi ridiscese; cosa cercavano questi due probabili furfanti? Proprio sotto il ponte c’erano una lunga fila di oblò, simili alle fila di occhi di un ragno. Si affacciarono con prudenza a ognuno di essi, ma nel primo c’era solo un corridoio vuoto, nel secondo due pirati che giocavano ai dadi dentro a una angusta e sporca cabina, nel terzo una cabina vuota, con un tavolo su cui giacevano carte del cielo e strani aggeggi simili a compassi.

Ma al quarto oblò si bloccarono di colpo. O meglio, la prima figura si bloccò, quasi che non riuscisse più a respirare. La seconda figura la fissò in modo interrogativo, ma quella la spinse di colpo indietro che quasi la fece cadere di sotto.

L’oblò si aprì di scatto e una riccia testa ne uscì: si guardò da ogni lato con due occhi fulminanti e poi parlando a sé stesso, disse ad alta voce: -Comincio ad avere le visioni! Colpa di tutte le botte in testa che ho preso per colpa di quel dannato scimmione!

Sendomir Nibiru si ritirò dall’oblò e lo chiuse; ma poi, siccome quella stupida cabina aveva sempre un cattivo odore, che non sarebbe riuscito a togliere nemmeno se avesse impiegato tutte le energie di un plotone imperiale per strinarla e purificarla, decise di lasciare socchiusa la finestrella, che almeno entrasse l’aria notturna.

Poi uscì veloce dalla cabina. L’interno del Kerberos non era meglio dell’esterno; i corridoi erano stretti, tutti metallici, non c’era una sola oncia di grazia o di comodità. I cavi pendevano dal soffitto, le tubature correvano sul pavimento o sulle pareti, lampadine senza plafoniera stentavano a illuminare quelle specie di cunicoli, cumuli di rifiuti giacevano negli angoli e aveva sorpreso più di una volta dei pirati ubriachi fare tranquillamente i loro bisogni in un angolo.

Lui non era il capitano; non era nemmeno un ufficiale. Come definire la sua posizione? Un disertore in fuga dall’Impero... che per convenienza si trovava associato a quella scimmia orrenda. Poteva capitargli di peggio, questo era vero. Come ex soldato aveva una perfetta idea di che cosa volesse dire venire gettato in una prigione imperiale, ed entro una certa misura poteva comprendere perché Barluga ce l’avesse tanto con lui. Se lo scimmione non avesse piegato con la pura forza bruta le sbarre della sua cella e spaccato l’una contro l’altra le teste dei secondini, sarebbe ancora a marcire in una di quelle fosse nere. Ed era stato Sendo a mandarcelo, quando ancora era soldato.

Ma poteva sopportare, nonostante tutto, un pirata che urina fuori dalla sua cabina? Pur non essendo un effettivo di quella nave e nemmeno lontanamente un ufficiale aveva fatto

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passare la voglia di queste cazzate a tutto l’equipaggio; aveva presto compreso che in una ciurma di immondizia pirata basta godere del “rispetto” del capitano, non farsi accoltellare la prima notte nel sonno, fare la voce grossa e avere la pistola come il coltello pronto, per passare dalla bassa marmaglia chiamata “mozzo” alla sfera di quelli che contano.

Sendo non aveva voglia di “contare” in quella broda di canaglie, ma dove altro poteva andare, al momento? Davvero ironico che un fuggitivo come lui, da soldato, fosse divenuto “pirata”; e fosse tornato, per fortuna senza farsi sbudellare, proprio sotto le mura di Babilonia. La città maledetta dalla quale era iniziata la sua fuga.

Tutto per colpa di una donna, naturalmente.Ad ogni modo, il suo status di un certo tipo all’interno della ciurma non era dovuto solo a

come sapeva maneggiare il suo fucile rubato a un Saimat morto, come tutti erano stati subito pronti a riconoscere. Zeta, l’inespressiva automaton doll era la ragione principale. Probabilmente quei pirati non vedevano una donna come si deve da anni e poco importava che non fosse umana; prima l’avevano considerata la “donna di quel Sendomir, che il capo vuole ammazzare”. Poi però, la stupida doll, che non aveva paura di nessuno, si era messa a conversare con i pirati, a chiedere piccoli favori, e insomma... i suoi occhioni tristi, per quanto privi di vera vita, avevano avuto la meglio su anni di barbari abbordaggi ed erano caduti vittima di lei, come qualsiasi uomo ha sempre fatto dall’inizio dei tempi. Quando poi il cuoco era “morto in circostanze poco chiare” e lei ne aveva preso, quasi per scherzo, il posto, era divenuto ovvio che la feccia del Kerberos non avrebbe barattato l’automaton doll per nessuna cosa al mondo.

Poveri semplici sciocchi! , si disse Sendo. Ma anche lui era stato ammaliato dalla doll, e non solo dalla sua figura, o dai suoi occhi. L’androide sapeva infatti non solo cucinare, ma anche suonare con dita affusolate melodie di un tempo antico, che negli stretti pertugi del Kerberos non si erano mai sentiti. Quelle musiche, e la sua voce sonora e morbida, non si erano mai uditi forse neppure nei palazzi dei re del passato, che la sabbia del deserto adesso ricopriva senza molto riguardo per le loro imprese.

Dove avesse imparato, la doll, queste cose, era impossibile dirlo: le doll di norma sanno solo una cosa, come compiacere i loro padroni maschi. Ma Zeta era diversa. E per Sendo non era soltanto un macchinario.

Anche per quella “donna” era finito nei guai, beninteso... e ora probabilmente sarebbe finito in altri guai orribili, per colpa dell’ennesima. E che avesse corna e coda non faceva differenza, perché la prima era stata una Shibartz, e peggio di una Shibartz non credeva di vedere nessuna altra cosa.

Finalmente raggiunse la cabina del capitano, dove era stata alloggiata Zeta (perché lui e la sua doll non dormivano insieme? Perché i pirati avrebbero certo fatto un gran baccano e lui non aveva voglia di sbudellarne tre o quattro per notte. In questo modo sembrava che la doll “non fosse di nessuno”... come “donna”, si intende, e questo metteva il cuore, e non solo quello, in pace). Barluga aveva compiuto quell’atto, cioè cedere la sua cabina, che era spaziosa e di livello sicuramente superiore a tutte le altre, alla donna artificiale, subito dopo il ranocchio al cartoccio servito dalla doll; e pareva non pentirsene affatto.

Davanti alla porta Sendo sospirò. Non gli piaceva quel tipo di compito! Si aspettava di trovare scene di tragedia, come per esempio una mocciosa dagli occhi arrossati, distrutta dal terrore... e Sendo doveva fare la parte del cattivo. Prese un bel respiro, ma il pessimo odore del Kerberos gli riempì le narici. La banda del “Cigno Nero” si facevano chiamare! Come accostare un nome così leggiadro, con quel fetore immondo? !

Ma la maggior parte dei marinai, compresi gli ufficiali, erano susiani, e in quella regione c’era un amore particolare per gli strani nomi. Naturalmente Barluga non amava che gli si ricordasse quale fosse il nome ufficiale della sua scalcagnata ciurma.

Bussò alla porta; la voce inespressiva della doll rispose: -Chi è? -Sono Sendo! -Entra, padrone! - e Sendo entrò.La mocciosa, Abit, come aveva detto di chiamarsi (e no, non aveva nessun cognome), era

allungata sul letto di Zeta, con i capelli che, una volta liberati dalla trecciona, si erano rivelanti lunghi e fluenti (Zeta doveva averli lavati, pensò Sendo), e che ricadevano sulla sua schiena in

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volute ambrate. La doll, con una grossa spazzola le stava proprio rassettando la fulva chioma e la ragazzina esclamò: -Fai piano, Zeta cara, mi stai tirando la testa come un cespo di ravanelli!

Zeta cara? ! Dov’era la bambina in lacrime che si aspettava di trovare? ! Sendo si schiarì la gola e le due “donne” si volsero a guardarlo (come se non si fossero

accorte che era entrato; e Zeta aveva pure risposto! ). Abit forse si ricordò della sua situazione e con uno scatto balzò su e si rannicchiò dietro alla doll. Non voleva certo terrorizzarla, quindi andò a sedersi su di una sedia dall’altra parte della stanza.

Una stanza decisamente grande per il Kerberos, coperta di tappeti e stampe, uno scrittoio senz’altro di pregio, bauli e un mappamondo grande come il quarto posteriore di un maiale ben pasciuto. Incredibile pensare che fosse la stanza di una scimmia come Barluga, ma c’era da dire che una nave pirata passa di mano in mano per anni, decenni e infine secoli; quella cabina non era il prodotto dell’incolta inclinazione di un orango vagamente umanoide, ma piuttosto il risultato di decine di “raccolte” di sanguinari masnadieri dei cieli nel corso forse più di un secolo.

Osservò la ragazza, Abit, e notò che teneva in mano un oggetto a forma di palla, con le antenne... sbagliava, o quel coso, qualsiasi cosa fosse, era di solito chiuso in un baule, quello sotto l’oblò? Infatti il baule era aperto e non pochi oggetti giacevano sparsi in giro per la stanza.

Decisamente la mocciosa si stava allargando troppo.-Molto bene, Abit... - prese allora a dire, con voce impostata e il più intimidatoria possibile -...

io mi auguro che tu sappia in che razza di situazione tu ti trovi! Non intendo mangiarti viva, ma ora voglio sapere per filo e per segno cosa centri tu con quel rottame di metallo che mi ha quasi fatto piatto come una sogliola!

Abit lo fissò con l’occhione libero spaventato, come una cerbiatta sorpresa di notte nel bosco, ma Sendo non si sarebbe fatto intenerire. Tuttavia tra tutte le facce da assassino che giravano su quel trabiccolo era effettivamente l’unico un filo decente che potesse far parlare la “dannata mocciosa”. Questo era stato il parere vincente di Ator, dopo che Taruk aveva proposto di bollire vivo il “demonio” e Shem di pungolarla con un frustino elettrico.

Barluga allora aveva rovesciato il tavolo e aveva gridato: -Vendiamola, quella cagna! Non so che specie sia, ma di sicuro varrà parecchio! Ci rifaremo della perdita di quel robot gigante che è andato distrutto!

Gli altri erano praticamente d’accordo, ma Sendo aveva estratto la pistola e puntandogliela alla gola disse: -Qui non si vende proprio nessuno!

-Oh? - aveva sibilato Barluga, pronto a staccargli la testa; il loro duello non era mai finito, pubblico o non pubblico, e anche se avesse preso una pallottola in faccia, la testa di Sendo l’avrebbe strappata con gusto e senza rimorso -E chi sarebbe il capitano di questa nave, sentiamo? !

-Tu, scimmia! - aveva esclamato Sendo -Ma il feroce Barluga non è conosciuto per vendere le bambine! Quelle cose lasciale fare agli schiavisti... o non eri tu che ti vantavi proprio ieri che non ti saresti mai abbassato al livello di feccia come Rukor? !

-Per satana incendiato! Sì, maledizione! -E allora non vendere quella bambina! Cosa ci guadagneresti, poi? - lo aveva sobillato con

faccia demoniaca Sendo -Pensa piuttosto... una ragazzina con le corna... chi ne ha mai sentito parlare? Non potrebbe essere qualche tipo di razza misteriosa...

-Qui non facciamo studi sulle razze: spacchiamo crani e derubiamo le navi degli altri! - urlò Barluga.

-Ma stammi a sentire! - disse Sendo, agitando la pistola in aria -Brutto ignorante di uno scimmione! Non hai mai sentito parlare della razza degli Oni?

-Chi? - fece la scimmia.Ator disse: -Io ne ho sentito parlare... una razza antichissima, oggi estinta, che raggiunse vette

di tecnologia e di ricchezza da far impallidire l’Imperatore... e di città ancora sepolte nel deserto dove soltanto un unghia dei loro tesori farebbe diventare platinato di diamanti persino il mio largo culo!

Gli occhi di Barluga luccicarono, ma Taruk disse: -Gli Oni! Una razza di demoni, coloro che inventarono la magia e il modo per parlare con i Sogni! Essi sono stregoni, una razza maledetta!

E Shem disse: -Concordo, per una volta, con Taruk... ma devo anche ammettere che porta

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malissimo compiere atti violenti contro un Oni... ce ne verrà solo male! Io sono per mollare quella mocciosa cornuta in mezzo al deserto!

Taruk fece un cenno con il capo, completamente d’accordo, ma Barluga esclamò: -E io invece dico che ce la teniamo! Ci è piovuta in braccia, caduta dal cielo! Se queste città esistono...!

-Bravo il mio capitano! - esclamò Ator -Cupido e vile come sempre! E il capitano scimmia disse: -Sendomir, fai sputare a quella mocciosa tutto quello che sa dei

tesori, oppure tu e lei verrete usati come pesi di zavorra! -Perché io? - gemette Sendo.-Perché sei tu quello che si è tanto sprecato per la salvezza di quel nano! - ululò lo scimmione

-Quindi ora guadagnati la tua parte di pagnotta! -Ti preferisco quando straparli di volermi ammazzare... - disse Sendo, mettendo via la pistola

-... ti devi decidere: mi vuoi strappare il cuore oppure no? -A tempo debito! - esclamò il gigante alzandosi -Adesso non ne ho più voglia... mi servi più da

vivo, se riesci a convincere quel nano a portarci al tesoro! “Ma che tesoro e tesoro! ” gemette tra sé e sé Sendo, tornando al presente. Questa ragazzina

si sta sgraffignando la tua intera cabina, altro che portarci a un dannato tesoro! La mocciosa lo stava guardando, atterrita. -Non dici niente? - continuò allora minaccioso -Lo

sai che se vuoi uscirne viva, il capitano, il grosso scimmione intendo, vuole che tu gli frutti almeno il doppio di quello che valeva quel robot distrutto?

La povera Abit gemette, e rispose: -Signore, io non so nulla di far fruttare i robot... per favore, non cucinate la povera Abit come un lepro-mannaro, a fuoco lento con il rosmarino!

Sbagliava o la ragazzina aveva un filetto di bava all’angolo della bocca, nel descrivere la sua stessa pena a fuoco lento? !

-E che cosa sarebbe un lepro-mannaro? ! - chiese.-Un coso grande così... - disse allargando le braccia -... che mangia rifiuti, con tre occhi, le

orecchie lunghe e...-Ah! - esclamò allora Sendo -Una delle tante brutte bestie di Babilonia! Quindi non vieni dai

villaggi, ma dalla città? - e si diede subito dello stupido: ovviamente la ragazza veniva comunque dalla città!

-Sì, signore! - fece Abit ubbidiente -Fino a questa notte ho sempre vissuto dentro la città, e ne uscii, per mia sfortuna, solo stamattina!

-Sei proprio sfortunata, questo te lo concedo! - esclamò Sendo -Uscire da quel posto orrendo e finire subito nelle mani dei pirati! Ma come hai fatto a scapparne viva, mingherlina come sei?

Abit riflettè per qualche secondo, e infine disse: -Ero con degli amici...-“Amici”? - le fece eco Sendo -E dove sono adesso? La ragazzina si grattò sotto la benda e Sendo giurò che qualcosa si agitasse là sotto... e non

erano improvvisamente diventate più lunghe le ombre in quella stanza? Subito ricordò le orrende storie legate agli Oni, di come chiamavano il Sogno a comando e di come rimanessero solo cadaveri, dopo, con la morte gignante appollaiata sui corpi.

Deglutì, ma non era uno che si impressiona senza motivo. Quindi disse: -Hai parlato di amici...-Li ho persi di vista...-Quando... hai tentato di salire di soppiatto su questa nave? Abit sembrò sorpresa. E disse: -E come fate a saperlo, signore? Siete forse un indovino? -No, semplicemente uso il cervello... - rispose lui, un pò preso di contropiede dall’improvviso

luccicare dell’occhione della ragazza -... nessuno può scappare di qui senza una nave volante e montare su di una di straforo è un sistema come un altro per trovare un passaggio... e infine il colosso di metallo era nella stiva, quindi...

Abit esclamò: -Lo giuro! Io non centro niente! Ayane aveva detto di non montare su di quell’affare, ma...

-Ayane? La ragazza lo ignorò completamente; -... ma la sciocca Abit era così eccitata di vedere il

mondo, e capite... Alice aveva detto che la nave volante poteva andare in cielo! In cielo! - e così dicendo, sovraeccitata, balzò su, scavalcò Zeta e con ancora la stupida palla con le antenne in mano, arrivò fin addosso a Sendo, che quasi saltò sulla sedia -... non solo ho potuto vedere

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questo gigante azzurro (il cielo! ), ma anche volarvi attraverso...! Cos’altro rimane al cuore di Abit, per essere più felice? ! Ma la sciocca testa le giocò brutti scherzi: il robot era così lucido, che ignorando i consigli della saggia Ayane... sono montata sulla testa a piramide e...

-E...? - fece allora Sendo, sporgendosi verso di lei come un vecchio sordo si sporge verso il nipote per capire cosa sta dicendo.

Abit divenne triste, il labbro si inturgidì, l’occhio si riempì di lacrime. -E improvvisamente la testa ha preso a brillare, e tutto si muoveva, rombava... un fracasso d’inferno! Il mostro di metallo si è sollevato inarcandosi sulla schiena e la sciocca Abit rimase attaccata alla testa, per paura di cadere e di sfracellarsi! E il robot ha cominciato a correre, a correre, e... e...!

-Calma! Calma! - gridò Sendo, che tutto voleva, fuorché farla piangere -Ma non capisco... come ha fatto ad attivarsi da solo? Era morto, stecchito, un rottame!

Abit lo guardò sconsolatamente. -Non lo so, signore... - disse, mesta -... ma a causa di questo, Abit è ora prigioniera dei biechi pirati, separata dai suoi amici!

Sorvolando sul fatto che stai dando del “bieco” proprio a uno di quei “pirati”, qui di fronte a te!

Zeta allora disse: -Se una fonte di energia, simile agli antichi nuclei di energia che mossero le macchine di Sogno, viene avvicinato a un prodotto forgiato, anche solo in parte, dagli antichi artigiani, allora esso, per qualche attimo, riprenderà vita...

Sendo e Abit si volsero a guardarla di scatto, e l’uomo disse: -E di che energia parli? Quali artigiani?

Zeta lo fissò con sguardo vuoto: -Cosa ho detto, padrone? Parole che non comprendo sono uscite dalle mie labbra!

Sendo la fissò corrucciato; non era la prima volta che la doll diceva cose senza senso... dapprima aveva pensato che fosse un malfunzionamento nella memoria, ma poi, vedendo come a volte diceva cose troppo sensate per un ammasso di plastica senza cervello, aveva cominciato a pensare che nemmeno le bugie fossero estranee al suo carattere... un’altra caratteristica umana che la doll in qualche modo possedeva.

Non si fidava quindi quando diceva “non so che cosa ho detto”, ma dal momento che non poteva cavarle le parole con la tenaglia, non poteva far altro che farsi prendere per i fondelli dalla doll.

-Giovane Abit, questa nave si dirige ad Aleppo! - disse allora Sendo -E non posso certo farti scendere! Di fatto cerca di trovare un modo tramite il quale tu possa far cambiare idea sullo scimmione sulla tua utilità, prima che arriviamo a destinazione... o non so se riuscirò a convincerlo a continuare sulla linea di “Barluga, il pirata dal cuore d’oro! ”

-E i miei amici? ! - strillò la povera Abit.Sendo sospirò; -Mi dispiace... ma credo che non li vedrai mai più... - e così detto, incapace di

sostenere il suo sguardo affranto, velocemente abbandonò il campo e uscì dalla cabina come un vergognoso ladro.

Non appena la porta si chiuse sbattendo dietro Sendo, Abit cadde sulle ginocchia e la palla di grigio metallo si coprì di piccole gocce di lacrime. Zeta si alzò dietro di lei e chinatasi le mise le mani sulle spalle, in un tentativo piuttosto impacciato di farle forza.

-Farai arrugginire l’antenna trasmittente, giovane Abit! - disse, riferendosi alla palla. Non era molto brava a dire parole di conforto e infatti non confortò affatto la povera Abit.

-Ma come farò? ! - esclamò -Non rivedrò più Alice e Ayane, e non ho altri amici al mondo! E sono qui prigioniera di questi feroci pirati... mi venderanno, o mi cucineranno, oppure mi lasceranno con una pistola con un solo colpo in canna, in mezzo al deserto!

-Una pistola con un solo colpo? - fece Zeta -E per quale oscuro motivo? -Non lo so! - gemette Abit, miserevolmente -Ayane ha detto che i pirati fanno questo e di

peggio, e che “le mocciosette se le mangiano”... e non ho alcun dubbio che lo facciano: quell’uomo che sembra una scimmia, di sicuro mangia bambini e donne, anche crudi!

Dopo che Abit aveva scoperto i cibi cotti aveva cominciato a ritenere estremamente barbaro il mangiare cibi crudi, perché solo gli animali selvaggi non cuocevano il cibo.

Zeta disse: -Ti posso assicurare che non mangiano bambini: io stessa cucino per questi uomini

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dall’aspetto sinistro e non una sola volta mi hanno chiesto di mettere mocciose nella minestra! Lo disse in tono assolutamente neutro, come se fosse naturale che, se glielo avessero chiesto,

avrebbe cucinato senza problemi un bollito di “mocciosa”.Abit non si sentì affatto meglio; ma Maruru, dentro al suo occhio, non si agitava più. Questo

voleva dire che non era in pericolo? Ma un grosso e brutale leone d’ombra, un mangiatore di Sogni, era una “persona” da prendere sul serio in merito a questioni come queste?

-Sniff, sniff! - pianse Abit -Ma anche se non verrò mangiata, cosa farò senza Abit e Ayane? Zeta si alzò e fissò la parete di fronte a sè e i suoi occhi si fecero distanti, opachi come due

fondi di bottiglia colmi di vino scuro. E infine disse, distogliendo lo sguardo: -Giovane Abit, mi permetto di informati che non è detto che tu non debba più rivedere le tue amiche...

-Cosa? - balzò Abit -E tu come lo sai? Zeta rispose: -Secondo i miei sensori ci sono due persone in più su questa nave... si trovano

nella stiva e con ogni probabilità, vista la massa, sono due femmine...! -Alice e Ayane! - esclamò Abit -Ma... ma come fai a dirlo? E cosa sono questi “sensori”? Zeta indicò le proprie “orecchie”. -Monitoro giornalmente l’equipaggio di questa nave... -

rispose, neutra -... con l’aiuto del nucleo di questa nave...-Non ho capito nulla! - ammise Abit.-Hai presente come funzionano le orecchie di un pippistrello? -Sono quei cosi con la faccia da porcello, che volano? -Esatto...-Mi pare di aver capito che lanciano delle...-... onde... - le venne in aiuto Zeta.-... che poi rimbalzano indietro e loro sanno se c’è una cosa in mezzo... - riprese Abit -... così

non si schiantano, mentre volano! -Questo concetto può essere esteso... - rispose Zeta -... a strumenti molto più fini, che

possono rilevare il calore, la massa, anche le pulsazioni cardiache degli esseri viventi: mi assicuro costantemente che l’equipaggio sia in ottima salute, e che non vi siano elementi anomali in eccedenza...

-E perché lo fai, ammesso che io abbia capito di cosa stai parlando? - chiese Abit.La doll la fissò, cercando una risposta. Infine disse: -In verità, giovane Abit, non lo so proprio...

se non fossi un’automaton doll, parlerei di “istinto”, ma naturalmente non è minimamente logico utilizzare un concetto simile per un essere come me!

-E perché? -Perché non sono un essere umano, che possiede pensieri ed emozioni... sono un essere

artificiale! Abit poggiò la palla di metallo per terra e disse: -Un essere artificiale! Come un robot o un

treno proiettile? ! -Esatto...! -Oh! , ma non dire sciocchezze! - esclamò, saltando ad abbracciarla, e sprofondando la faccia

nel suo voluminoso seno -A me sembri piuttosto morbida, e anche calda, non sei ferrosa e rigida come un robot! Sei proprio come Ayane... - poi ci ripensò, e aggiunse: -Anche se Ayane ha meno roba qui davanti...

-Capisco... - disse semplicemente Zeta.-Ma quindi... - disse dunque Abit, staccandosi dal suo seno -... mi stai dicendo che Alice e

Ayane si sono infiltrate su questa nave? -Non ne sono certa, ma dati i fatti e gli indizi, lo ritengo molto probabile! L’occhio libero di Abit luccicò e la ragazzina fu nuovamente piena di energia. -Allora c’è

speranza per la povera Abit! Quelle due mi salveranno dalla morsa dei pirati! Zeta ci mise qualche attimo prima di rispondere, poi disse: -Se posso esprimere il mio parere,

non credo che lo faranno...! Abit abbassò subito le orecchie e con la morte nel cuore, disse: -Come! E perché dovrebbero

essere così crudeli? ! -Perché se volete, come credo di aver capito, superare la tempesta e allontanarvi per sempre

da Babilonia... - disse Zeta, incolore -... è sicuramente meglio tentare qualcosa dopo che questa

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nave l’abbia superata! -Ooo! - esclamò Abit, andando a sedersi sul letto, e battendo le mani disse: -Come sei

intelligente, Zeta cara! E che piano astuto, degno di certo di Ayane! Vedi, che cosa vuol dire avere una testa che funziona!

-E in secondo luogo non credo che tu abbia bisogno di essere salvata da loro due... - riprese Zeta -... quando potresti usare quella cosa che hai nell’occhio...

Abit balzò sul letto. -Ti sei accorta di Maruru? ! -I miei sensori rilevano una gigantesca anomalia magnetica dentro il tuo occhio... - rispose -...

che in verità mi preoccupa non poco... ha una massa così concentrata in uno spazio ristretto che posso paragonarla soltanto a un buco nero, o a una supernova, il che non ha minimamente senso in questo piano fisico (nel mondo del Sogno, forse, ma...)... e potrebbe essere un serio pericolo non solo per te, ma per tutta la nave!

-Non ti devi preoccupare! - disse Abit, che non aveva capito nulla, e di certo non sapeva cosa fosse un buco nero -È vero che Maruru è un re violento, una belva che dorme nelle tenebre, ma siamo diventati amici, e come non fa del male a me, non lo farà a te, Zeta cara!

Zeta disse: -Spero non lo faccia nemmeno al padrone...! -Parli di quel tipo vestito di blu? - disse Abit -Ma cosa vuol dire “padrone”? È come Abit

quando venne venduta al bieco Balthazar? -Non conosco questo Balthazar... - fece Zeta -... ma non credo si possa parlare di “vendita”; il

padrone mi ha portato con sé, liberandomi dagli obblighi, che egli ha definito “non dignitosi”, che avevo presso i miei precedenti padroni: in verità è un padrone gentile... non mi obbliga a fare nulla, mi chiede solo di cantare per lui a volte, di cucinare per tenere buoni i pirati e se qualcuno offende il mio nome, il suo battito cardiaco accelera e la sua temperatura interna aumenta, il che io interpreto come un accesso di ira...

-Davvero allora esistono degli uomini che non siano delle persone malvagie! - esclamò Abit -Alice mi aveva detto di questa verità, ma io non sapevo se crederle oppure no... - si grattò il mento -... ma parlando d’altro, che cosa dicevi a proposito di “macchine che si accendono da sole”... è veramente colpa mia se quel robot ha fatto il diavolo a quattro? !

Zeta si sedette vicino a lei e fissandola con sguardo che per qualche attimo non sembrò affatto inespressivo (ma il momento durò meno di un secondo, tanto da sembrare soltanto fantasia), disse: -Tu possiedi un antico strumento, un nucleo di energia, non è vero?

-Non so di che cosa parli! -Nella tua borsa... - indicò il tascapane abbandonato si piedi del letto; i pirati non ci avevano

trovato nulla di utile, quindi glielo avevano lasciato7 -... ne sento la presenza, che da un pezzo mi sta traforando il cervello!

-Parli del “nonno”? ! -Non lo chiamerei con quel nome...! -È stato il nonno a far accendere quella macchina? - esclamò Abit -Bhè, se in effetti pensiamo

a dove stava prima...-E poi tu sei una Oni, non è vero? -E questo cosa centra? -Non ne sono sicura neppure io... - rispose infine Zeta, e rimase quieta a guardarla, priva di

espressione e di forma come se neppure la sua pelle respirasse.Abit allora esclamò: -Il mio povero cervello sta fumando! Troppi misteri tutti in una volta! Zeta la guardava, come un cane di prateria osserva il bizzarro ondeggiare delle gobbe dei

cammelli in processione. -Dimmi, cosa devo fare, Zeta cara? - sbottò Abit, stringendosi la testa con fare melodrammatico.

-Non dire a nessuno del... - esitò qualche secondo -... “nonno”...! -Nemmeno a Sendo, che dici essere una persona affidabile? -No, nemmeno al padrone...-Oh! - gridò Abit -Quindi abbiamo un segreto! Mi piace: sto facendo grandi progressi, proprio

7 È chiaro che i pirati non sanno come sia fatto un “nucleo di energia”, e non sanno riconoscerne uno, anche se lo vedessero; questo perché i motori di una Magillu, ovvero la parte da cui deriva l’energia, sono in sostanza una “scatola nera”, un cubo sigillato, a cui si attaccano dei cavi. Ai pirati basta che faccia muovere la nave, non si chiedono certo che cosa vi sia al suo interno...

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come volevano i nonni; adesso ho ben tre amiche... e sto addirittura per volare attraverso il cielo! -Tre... amiche? - le fece eco Zeta, reclinando di lato la bella testa.-Alice, Ayane e te, Zeta cara! Zeta disse: -Comprendo... - in maniera del tutto laconica, ma sottili fasci di corrente

percorsero le sue orecchie elettroniche.E Abit disse: -A proposito... non ce la portano la cena?

C’era un gran grugnire di maiali, che saliva nel vento secco e freddo della notte, aggrovigliandosi contro le pareti butterate del Kerberos. Era ben udibile dal compartimento numero “9”, come, in caratteri latini e sbiaditi, indicava il portello mezzo arrugginito.

Da molto tempo nessuno aveva mai utilizzato quello scomparto, grande all’incirca quattro metri quadrati; Alice trovò un cassone pieno di bottiglie dimenticate, tutte coperte di polvere che probabilmente ormai contenevano aceto. O forse no, visto che quando ne agitò una contro la lucetta della torcia elettrica di Ayane diede riflessi bluetti.

-Ma cosa stai facendo? - sbottò Ayane, da sopra la sua spalla.-Frugo in giro! - rispose, di pessimo umore.La giornata era andata tutta storta; prima Abit aveva combinato quel casino e poi... poggiò le

bottiglie nel cassone, e fissò delusa lo scompartimento. Non c’era altro da toccare, rigirare, magari anche rompere e soffiò come un basilisco, frustrata. Le mani le prudevano, anzi, erano piuttosto infiammate per le escoriazioni: si era lanciata nell’arrampicata del Kerberos con una foga tale da farsi male.

Era sul Kerberos, l’uomo. Chi avrebbe mai pensato di potere trovare, proprio lui, subito all’esterno di Babilonia? ! Lei che pensava a una ricerca di anni, romantica come il tramonto sul deserto può essere, e invece tutto era molto molto prosaico.

Quando quel mostro di metallo si era animato spaccando tutto, che quasi era stata tagliata in due dai cavi di ancoraggio che erano schizzati via come dei serpenti, il suo unico pensiero era stato: Abit! Abit era rimasta impigliata alla testa a piramide del robot e per qualche secondo temette di averla perduta.

Poi, dopo il sollievo di averla vista da lontano alzarsi, era venuto il groppo nello stomaco. L’uomo era là, in carne ed ossa!

Il pensiero di Abit era scomparso in un attimo, e avrebbe voluto lanciarsi verso di lui come un proiettile sparato da un fucile a rotaia. Ma poi aveva visto quella donna. Quella donna alta, dai capelli neri, che camminava appena dietro di lui. Anche se non aveva mai vissuto una vita normale, né tantomeno aveva mai avuto dei rapporti con altri esseri umani normali (“ah ah! ” rise, quasi amaramente, nel pensarlo adesso, lei non era nemmeno umana, no? ), era pur sempre una qualche specie di donna anche lei, e aveva capito come stavano le cose al volo.

Non aveva mai provato una sensazione del genere! Si era bloccata come un manichino con le giunture arrugginite e se Ayane non l’avesse tirata

indietro, dietro i muretti esterni del porto pirata, sarebbe rimasta là come un’ebete a fissare il vuoto, e a farsi impallinare.

Nel ricordarsi la stupida scena ricadde a sedere nello stretto spazio tra il muro e le casse, abbattuta; stava cominciando a diventare patetica, ecco la verità! Il piano era di liberare Abit: per questo, ovviamente, erano salite sulla nave. In realtà lei voleva anche prendere a pugni un certo idiota; un idiota che aveva lasciato aperta la finestra della sua cabina. Alice ricordava vagamente di essere stata infilata a forza da Ayane nell’oblò, perché lei era divenuta come un paralitico cieco, tutto d’un colpo. Quella faccia sfrontata, quella ciospa di capelli... a soltanto un metro di distanza! E la voglia di dargli un pugno, di abbracciarlo, tutto insieme!

Ma non avrebbe dovuto preoccuparsi piuttosto di Abit? Di Abit, tuttavia, si stava già preoccupando, come una folle, la sua compagna, che proprio

allora sbottò (a mezza voce tuttavia, perché erano pur sempre due lestofanti clandestine! ): -Ma si può sapere che cosa ci facciamo qui? ! Ho dovuto quasi legarti a un palo, questa mattina, perché volevi lanciarti in mezzo ai pirati come una folle, e non ti stavo neppure dietro stanotte... e adesso cosa stiamo a perdere tempo in questo buco? !

-Oh, Ayane, sono smaniosa!

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-Smaniosa di cosa? ! Non siamo venute a salvare Abit? ! Era il momento buono per calmarsi, e pensare. Tutta questa smania avrebbe portato soltanto

a un disastro. Rimase con la schiena rigida, le spalle contratte, contro il cassone, a pensare intensamente, e infine disse: -Per prima cosa, è inutile smontare da questa nave, visto che dobbiamo comunque attraversare la tempesta... secondo... Abit non corre pericoli, al momento...!

Ayane divenne viola e la sua bocca disegnò una perfetta “O” gigante. -Ma cosa dici? - esclamò, e per fortuna una recrudescenza di strida suine coprì il suo grido -Come non può correre pericoli, in mezzo a questa marmaglia di cani assassini? !

Alice sospirò: -Adesso sei tu che stai perdendo il controllo! Pensaci bene: è notte! Ayane la fissò in cagnesco, ed evidentemente non capiva. Ed era anche chiaro che si fidava di

lei come ci si può fidare di un avvoltoio. Alice sospirò di nuovo. Se non fosse stata così indisposta, si sarebbe sentita un pò offesa per il malevolo giudizio insito in quegli occhi belli e neri.

-È notte, c’è il buio... ora Maruru può uscire dall’occhio di Abit e fare un macello, se lo volesse! - disse alla fine.

La tensione si sciolse appena nella faccia di Ayane. -Maruru? Ma... - la vide cercare le parole, ma poi se le rimangiò tutte. Quella povera ragazza non sapeva semplicemente fidarsi di nessuno! Era un vero peccato, si disse, con quel bel faccino.

E pensando al “bel faccino” le tornò in mente subito quello dell’altra donna, assieme a un rigurgito di bile.

-Ammettiamo... - riprese allora Ayane, dopo essersi calmata un pò -... che Maruru effettivamente sappia quello che sta facendo, e di questo dubito, considerato che stiamo parlando di una grossa bestia omicida...

-È anche un Re! Non dimenticarlo! - replicò Alice -Se un mostro feroce come lui ha dato la sua fiducia ad Abit, che peraltro è una Oni, non romperà così facilmente le sue promesse!

-Re? ! E di cosa? E cosa centra il fatto che Abit sia una...! -Gli Oni... - la interruppe Alice secca, che non aveva nessuna voglia di fare conversazione -...

sono gli Artefici, sono i primi che guardarono nell’Abisso... e furono condannati nel momento in cui l’Abisso restituì loro lo stesso sguardo. La loro affinità con il mondo del Sogno è... seconda solo a quella di una, uhm, Shibartz...!

Ayane rabbrividì visibilmente. Ma di una cosa doveva darle atto, Alice: voleva sul serio bene ad Abit, perché l’aveva turbata il riferimento alle maledette Shibartz, non che Abit fosse una Oni. La ragazza lo sapeva bene che cosa fosse Abit, o lo immaginava almeno, ma ormai questo non era più molto importante.

-Ne sai di cose, per una che stava rinserrata in una catapecchia nell’angolo estremo dell’universo! - disse -Qualcuno potrebbe cominciare a farsi domande sul tuo conto... - precisò, con gli occhi ridotti a due linee.

Alice sventolò una mano per aria, e disse: -Diciamo che non sono del tutto scema, ma nemmeno questa gran cima di intelligenza: mi sento anzi piuttosto stupida, al momento! E se so qualcosa, si può dire che non sia tanto “cultura”, ma quanto “istinto”...!

Ayane la fissò ancora più foscamente; e disse: -Sei ben strana tu... ma farò finta di niente, per il bene comune; se Abit si fida di te... vorrà dire che mi fiderò anch’io... - e preso un gran sospiro, aggiunse: -D’altronde messe come siamo... - un altro sospiro, e poi: -... ma davvero non riesco a capire come Abit possa essere al sicuro! Stiamo parlando di pirati! P-I-R-A-T-I! Lo ha visto quello scimmione irsuto! Quelle belve possono fare di tutto alla povera Abit!

-Non le faranno nulla... - replicò Alice.-E come fai a dirlo, signorina “so tutto io”? ! -Perché c’è quell’uomo, quel maledetto uomo! - sbottò infine Alice, come l’esplodere di di una

bolla di fuoco in una pozza di catrame -Quello maledetto Sendomir Nibiru! La faccia di Ayane era molto comica; Alice avrebbe riso, se fosse stato in un’altra occasione.-Chi? ! ? -Quello con la zazzera di capelli esplosi in testa e il vestito blu...-Quello che sembra un “uomo blu”? Quello che teneva Abit? Il tipo che ci ha lasciato aperta

involontariamente la finestra della sua cabina? -Non so che cosa sia un “uomo blu”, ma sto parlando proprio di lui!

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Ayane rimase in silenzio alcuni minuti. Veri minuti. Si sedette allora infine, poggiò la lampada e disse: -Farà freddo questa notte qua dentro?

Alice arruffò le penne come un gallo da combattimento: -Mi stai ignorando deliberatamente? ! - sibilò.

-No, è che ho finalmente capito perché hai questo umore da cammello azzoppato... - rispose lei -... certo che mai avrei pensato che una come te, così giovane per di più, potesse essere già così corrotta...

Alice deglutì a fatica, e fu lei, questa volta, a non riuscire neppure a parlare. -Senti qua! - sbottò, come un vulcano in eruzione, e inquietanti bagliori rossi presero ad ardere nelle sue pupille -Che cosa ti sei messa in testa? !

-Quello è un pirata, e se non c’è una storia sordida sotto...! - disse Ayane, secca secca come un pezzo di cuoio lasciato a cucinarsi nel deserto.

-Ma quale storia sordida! - balzò in piedi Alice, rossa come una macchia solare in piena esplosione -Sendo... voglio, dire, quell’idiota, non è un pirata! È... o meglio era... un soldato!

-Aaa! - fece Ayane, se possibile, più secca -Sedotta e abbandonata dal finto ufficiale e gentiluomo, quindi!

Alice era totalmente fuori di sè; a gambe larghe, con il braccio puntato su Ayane, con il dito tremante, balbettando: -Tu... tu...!

Al che Ayane finalmente disse: -Hai perso la tua solita stizzosa boria? ! - e con un ghigno malefico aggiunse: -Ti stavo solo prendendo in giro: ho già sentito da Abit, proprio questa mattina, un resoconto, quantunque confuso, della tua romantica storia e di un certo “salvatore”...

Abit andava in giro a raccontare i fatti suoi in quella maniera? E quando lo aveva fatto? Nel breve lasso di tempo nel quale era andata a esaminare il porto pirata? Era stata via solo quindici minuti!

-Mai avrei pensato però che la vostra fatidica riunione potesse accadere in un frangente come questo! - continuò, inesorabile come la morte Ayane -Ricongiungersi al tuo “principe”, proprio sotto casa, e scoprire che è diventato un pirata!

-Chi ha detto che è un pirata? ! -... e poi c’è anche quella donna, certo... - gettò là Ayane il colpo finale, con noncuranza

estrema.Alice allora si sgonfiò come un palloncino bucato e ricadendo indietro capì perché Abit avesse

così paura di Ayane. Sconfitta, disse: -E va bene, prendimi pure in giro...! Ma ti sei messa il cuore in pace veramente in fretta, riguardo ad Abit!

-Tu ti fidi di questo Sendo? - disse.Cosa le aveva detto Abit? Anche della questione della “Shibartz”? Non credeva... altrimenti

Ayane non sarebbe stata così a suo agio in sua presenza.-Non credo che sia un principe senza macchia... - mugugnò Alice -... alla fine forse, come dici

tu, è solo un pirata che fa quello che vuole, come sono quella gentaglia: senza un motivo particolare... - tra le cose che aveva fatto, con noncuranza, c’era forse anche salvarla dai Sacerdoti Meccanici -... ma sono sicura che non é un uomo che lascerebbe far del male a una ragazzetta come Abit!

-Se ti fidi tu... - rispose Ayane, inframezzando le due parti della frase con una lunga pausa -... mi fiderò anch’io... - ma la sua natura malvagia prese subito il sopravvento, perché subito dopo, fissandola con gli occhi acuti come due spilli, aggiunse: -Ti ha promesso che ti amava, o altre sciocchezze del genere? !

Alice ridivenne del colore dei papaveri che ondeggiando rubicondi nell’ombra vicino all’oasi, e disse di corsa: -Assolutamente no! Non mi ha chiesto proprio nulla! Ma quello scemo, e il suo degno compare, mi hanno abbandonato qui, in uno di quei villaggi di allevatori di maiali, e se ne sono andati verso il tramonto, tutti sorridenti... e... e...!

Ayane armeggiò con la sua borsa e srotolò la coperta che teneva agganciata sopra. E disse: -Capisco, allora rientra nella categoria del “cavaliere bianco”...

-Il cosa? -Ho diviso qui, nella mia mente... - rispose indicandosi la fronte -... gli uomini secondo

categorie ben precise: ci sono le canaglie, i profittatori, i bari... tutte patologie che un uomo

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purtroppo, per sua natura degenere, non può scrollarsi di dosso: raramente incontri il tipo “cavaliere”, che è appunto quello che salta di fiore in fiore, per così dire, pensando solo a sé stesso, facendo il grand’uomo, il salvatore di principesse in pericolo... e poi, convinto di essere un vero eroe, scompare immediatamente verso il tramonto... e chi lo vede più? E se ricompare, puoi star sicura che abbia nel frattempo “salvato” qualcun’altro, e magari non si ricorda neppure come ti chiami...

Alice si sentiva molto misera, ma non si lasciò sfuggire l’occasione: -Da come ne parli, mi sembra che...? Hai una certa esperienza in materia, Ayane cara?

Ayane la fulminò con lo sguardo: -Non provare a dire un’altra sola parola! -N-no, starò zitta... - rispose velocemente Alice -Ah, come mi sento misera! Mi ero fatta delle

storie in testa, e ora mi sento l’ultima delle sceme! Tanto che adesso persino tu, Ayane, hai pietà di me e mi disprezzi?

Ayane sospirò; e disse: -Siete delle persone strane, tu e Abit... possibile che ci sia gente come voi, fuori in questo mondo dimenticato da Dio?

-Eh? E cosa avremmo di così tanto strano? -Ti pare normale una persona come te? - berciò Ayane, subito arrabbiata, per qualche motivo;

e poi prendendo a dispiegare la coperta, aggiunse: -Ma se ti può consolare, quella donna che hai visto non è proprio una donna...!

Alice rimase interdetta. -Come! - disse -Se ha anche le tette più grosse delle tue...! TONK! , fece la scarpa destra di Ayane, che colpì in piena faccia Alice.-Ma Ayane! Mi hai colpita! - mugulò la ragazza bionda -Che ti prende? -Quella è un’automaton doll, cretina! - replicò furiosamente.-E che accidenti sarebbe? ! Ayane sospirò, cercando di ricomporre il suo contegno. -Sono androidi, esseri artificiali... che

di solito vengono usati... bhè, per...-Per...? -Sesso... - disse senza guardarla Ayane.Alice la fissò neutra, con due occhioni tersi e limpidi, assolutamente privi di ogni malizia.

-“Sesso”? - disse -E che cosa dovrebbe essere? Ayane divenne verde. -Non posso crederci! Ma dove hai vissuto finora? -Sono proprio contenta che tu me l’abbia chiesto, Ayane! - esclamò Alice -Dopo aver vissuto

in un tempio pieno di scalmanati, dove mi facevano vestire di bianco e mi bruciavano incenso attorno... e dopo che non ho fatto altro che vagare per questi villaggi suinizzati e quando non ne potevo più del grugnire di quelle bestie immonde... mi sono ritirata in una accidenti di catapecchia in mezzo a una foresta di funghi! Cosa diamine vuoi che ne sappia? !

Ayane replicò: -Non posso credere che tu non abbia mai visto questi selvaggi, crudi e primitivi, che abitano nei villaggi, dedicarsi ad atti intimi, anche in pubblico!

-Intendi... uomini e donne? -Esatto, sciocchina...! Alice si grattò il mento, e infine disse: -Oh! Quindi... - poi divenne viola, in un colpo, come

l’esplodere di una bomba -Quindi Sendo e quella donna meccanica, si sono...! -Io non ci penserei troppo, se fossi in te! - la interruppe rapidamente Ayane -Quella donna è

una macchina: non ci può essere sentimento con lei! -Non è che mi rincuori particolarmente, in questo modo! Ayane scoppiò improvvisamente a ridere, coprendosi la bocca con la mano.-E adesso perché ridi? - sbottò Alice.-Ti rendi conto che noi siamo due clandestine su di una nave pirata... e che questi pirati

possono scoprirci in qualsiasi momento e farci fare una bruttissima fine? - rispose Ayane -E noi stiamo parlando di uomini!

Alice si accoccolò nelle braccia, e disse: -E perché ti devi preoccupare? Sono solo dei pirati in fondo... mica siamo finite nella tana di una Shibartz... - si concesse un breve sorriso -... e a proposito, non vuoi dividere quella coperta con me?

Stanchi, costretti a marciare e trottare tutto il giorno; e da ultimo, trascinati in piena notte fino a

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quel luogo che puzzava di ferro, mentre erano convinti che si sarebbe andati a dormire, i maiali stridevano scontenti come solo una mandria di suini può fare.

Erano non meno di trenta, e Taruk credeva che neppure tutti i demoni dell’inferno radunati per torturare i dannati avrebbero potuto disegnare una baraonda più blasfema, grottesca e contorta. I due pirati che aveva appena spedito giù, lungo il ponte di imbarco, a riportare un pò di ordine, stavano malamente venendo sopraffatti dalla marea animale; il capo branco, una bestia di dimensioni spaventose, che arrivava con il muso al petto di un uomo, stava roteando intorno le sue lucide e rotonde zanne, pronto a speronare qualsiasi sciocco umano che avesse provato a toccare le sue scrofe.

I porcai sembravano divertirsi moltissimo nel vedere due energumeni grandi e grossi, coperti di tatuaggi e di cicatrici, a fare quella figura, ma Taruk ne aveva già abbastanza.

Scese con le braccia dietro la schiena la passerella facendo risuonare cupamente le suole chiodate sulla lamiera e fissò diritto, dall’alto in basso, in faccia il porcaro più vicino: -Lo dirò una volta sola! - esclamò, ruvido come l’ardesia -Io non ho nessuna simpatia per i maiali, e ancora meno ne ho per te! Se queste bestie non la smettono di ragliare come ghoul affamati, ti giuro che farò kebab di loro, prima ancora che siano morti e scolati del sangue! E poi farò lo stesso con te!

Il porcaro divenne improvvisamente piccolo piccolo, e con una vocetta instabile rispose: -Ma “nobile” signore! Le bestie sono stanche! È impossibile calmarle!

-Se volete che salgano su questa nave...! - ululò Taruk -... ci saliranno in silenzio, o ci saliranno morte!

Il porcaro impallidì; è chiaro che il destino ultimo del maiale sia quello di venire macellato, ma c’è un momento per tutto. E chiaramente questi animali erano giovani, della migliore razza, animali scelti per la riproduzione. Era una bestemmia per il porcaro pensare di farne spiedi su due piedi, ma la faccia di Taruk diceva chiaramente che per lui era la vita stessa del porcaro una specie di bestemmia... e non gli ci voleva nulla per far saltare le cervella a tutto il branco, umano o suino che fosse.

-Li... li farò smettere...! - ragliò il povero porcaro, e corse a darsi da fare.-Signor Taruk, che meravigliosa serata... e che grotteschi e gioviali ospiti! - disse una voce

cattiva, che scendeva con l’uomo che la portava dalla passerella -È raro vedere in un colpo solo un tale assembramento di nobiltà!

A parlare era stato quel pendaglio da forca che era Rukor, lo schiavista, dalla folta e scompigliata barba nera, che pareva un tutt’uno con la sua nera voce. La barba, intendo.

Taruk gli rivolse il suo sguardo peggiore, ovvero praticamente quello che possedeva normalmente. -“Capitano”! - rispose, badando di scivolare apposta su quel termine -E io vedo che non avete ancora imparato come si fa a portare la cintura!

Rukor non si fidava di niente e di nessuno, nemmeno dei suoi pantaloni: infatti portava sia una pesante cintura in cuio, in cui erano infilate due pistole, sia due bretelloni di seta rossa, che spuntavano da sotto il giaccone rosso. E che non si fidasse di nessuno era ben rimarcato dalle altre due pistole, nonché i manici di due coltellacci, che facevano tetro capolino dall’interno del pastrano.

-Ironico... come un avvoltoio! - disse senza ridere Rukor -Ma dopo il viaggio che la attende con queste simpatiche bestie, spero che diventerà un uomo diverso, più avvezzo... come dire... all’umanità!

I due colossi della Gedrosia che lo spalleggiavano mostrarono i loro denti bianchissimi, orrendi; erano limati come i canini di uno sciacallo e Taruk ricordò d’un colpo, e con un brivido molto umano, le storie che si raccontavano sugli atroci cannibali di Aru, la città degli schiavisti.

-Spero per voi che non incontriate una pallottola, prima di incontrare l’ “uomo”... - sussurrò Taruk, quando Rukor gli passò accanto.

-Via via! - sbottò quello, allargando le enormi mani pelose -Quanto odio! Il suo capitano non è così selvaggio come lei, per quanto l’aspetto non sia dei migliori!

“Se il mio scimmiesco capitano avesse potuto metterti le mani addosso, adesso ti guarderesti il culo! ” pensò Taruk.

-Abbiamo fatto buoni affari... - soggiunse poi lo schiavista, e una luce si accese negli occhi di

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Taruk. Una luce sinistra.-Affari? - disse.-Sì, per tutto questo disastro causato da quel rottame che avete escavato! - rispose Rukor,

indicando la parete della nave Magillu che faceva da “hangar”, dietro di loro, desolatamente sventrata -Lo sa, che questo “porto” lo gestiamo in gruppo, noi pirati...!

“Se tu sei un pirata, io sono un maiale! ” sbottò nella sua mente Taruk, fissando per un attimo lo sguardo sui porcari e suoi suoi uomini che cercavano di placare il capo branco, viatico per calmare la mandria (e riuscendo soltanto a farsi prendere a testate da quella bestia).

-... e ogni danno, lo si fa a tutti, vede! - proseguì, grattandosi l’immonda barba lo schiavista -... qualcuno doveva pur pagare i danni!

“E questo è il preciso e schifosissimo motivo per cui dobbiamo imbarcare questa merda di maiali! ” scattò Taruk. -Ah, questo genere di affari! - disse alla fine.

-E che genere di affari pensava? - ridacchiò Rukor -La marmaglia che avete a bordo non la venderei nemmeno ai cannibali di Aru! Quantunque quel vostro timoniere, Ator, sia ben in carne...

E i due giganti negri mostrarono ancora i denti, dannati blasfemi mostri! -Potrei pensarci... - disse ancora Rukor, raggiungendo il fondo della passerella, e fissando per

quache secondo disgustato la marea di bestie che roteava nello stretto spiazzo davanti al portellone posteriore -... se fosse quella vostra bella doll...

-Come il capitano avrà certo avuto modo di dirvi, quella non è in vendita! - e Taruk fu stranamente sollevato che l’ “affare” non fosse quello che aveva creduto, ovvero la vendita allo schiavista della mocciosa con le corna.

-Siete stranamente dei sentimentali, per essere i pirati del feroce Barluga! - osservò Rukor.Taruk disse: -Siamo uomini, e basta... - e soggiunse -... a differenza di molti altri... - e tra sé e

sé pensò: “Avrei ucciso la ragazzetta toccata dal demonio del deserto8 con una pistolata, piuttosto che darla a uno come te! ”. E Taruk era un uomo d’onore, a modo suo, che si faceva punto di non aver mai ucciso una donna.

-Sarete uomini... - rise Rukor -... ma potrà dirlo ancora, dopo il viaggio con queste bestie! ? Taruk non rispose, lasciando la risata senza divertimento di Rukor riempire l’aria; e mentre lo

schiavista se ne andava con i suoi due cannibali al seguito, una voce lo chiamò da sopra.-Signor Taruk! -Cosa succede, adesso? - berciò.-Mastro Shem ha finito di fare i suoi... - il pirata si bloccò a metà del discorso; poi riprese:

-Insomma, i suoi spergiuri... e stiamo già avviando i motori! Shem ci aveva messo meno del solito, lo sciagurato folle. Taruk soffocò il digrignare dei denti;

partire immediatamente, prima che sorga l’alba, questi erano gli ordini. D’altronde, come rimanere all’ombra di Babilonia, dopo quello che era successo? I Sacerdoti e la città saranno anche stati una montagna dormiente, ma la strana e “sovrannaturale” rianimazione dell’androide di metallo era proprio pane per i Sacerdoti (per non parlare della comparsa di quella femmina con le corna! ), e non si può dire quanto fossero sonnacchiosi gli occhi di Babilonia. Con duecento chilometri di strada di mezzo e la dannata tempesta perpetua tra loro e la città schifosa, anche Taruk si sarebbe sentito molto più tranquillo.

-Avete fatto il solito controllo? ! - gridò Taruk al pirata.-Bhè, sì, speditamente... direi... - rispose.“Il che vuol dire che non lo avete fatto, canaglie! ” si disse Taruk, ma non c’era tempo anche

per controllare, come al solito, che non vi fossero clandestini a bordo. Non poteva biasimare la gentaglia della discarica: anche venire scoperti dai pirati e venire abbandonati nel deserto, o buttati in volo, o scuoiati vivi sul ponte, non era peggio della vita per sempre reclusa che conducevano là. Lui ci avrebbe provato, se fosse stato nella loro situazione.

Ma ora il problema più pressante era...-Ci muoviamo con quei maiali? ! - gridò allora ai suoi -Li voglio imbarcati entro un’ora! -Un’ora? ! - strillarono impauriti i porcari.

8 Secondo la tradizione popolare gli Oni sono antichi umani che fecero un patto con gli spiriti del deserto, rimanendone contaminati e sfigura-ti.

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Ma ecco che tra di loro venne avanti un vero pezzo di uomo, coperto di una pelliccia di ariete, che chissà da chi aveva barattato. E questo gigante, alto come Taruk9, lo fissò diritto in faccia, e disse: -Siete in grado di garantire per la salute dei maiali?

A Taruk quasi venne un colpo. Cosa doveva garantire...? ! -Sarò sincero... - disse quando riuscì a riprendersi -... noi siamo pirati, non allevatori di maiali! -Allora porterete mio figlio Jaffar con voi! - e voltandosi appena, indicò un ragazzetto tutto

pelle e ossa, ma insolitamente alto per la sua età (e per essere nato nella Discarica), che indossava pantaloni lisi, una canottiera bucata, non portava le scarpe, e la cui folta chioma incolta ricopriva gli occhi. Soltanto il naso diritto sporgeva in quella faccia da maledetto moccioso.

-Cos’è questa follia? - sbottò Taruk.-Nessuna follia... il ragazzo viene con voi... - rispose l’uomo, mettendosi a braccia conserte.-Noi non prendiamo mocciosi! -Allora vi restituiremo le cose che ci avete dato per i maiali, e ce li riprenderemo! - disse

serafico l’omone.Taruk pensò “sto sognando”. E disse: -Io credo che tu sia pazzo, amico...! -Il vostro capitano ha detto che questi erano i patti! - rispose imperturbabile, ostinato come

un mulo.-Il capitano...! - boccheggiò Taruk. Ma poi la faccia da scimmia di Barluga gli tornò vivida in

mente, quasi che se la fosse dimenticata. E pensare che lo scimmione potesse dire: “fai pure salire quel tuo moccioso a bordo, basta che la smetti di scassarmi gli accidenti! ” era abbastanza plausibile.

-Noi i maiali li vendiamo ad Aleppo, non vedo perché dovremmo...! - cominciò, ma l’uomo lo fermò.

-Io non dico che non sappiate come volare, e fare le vostre cose... - disse, con parole secche e dure, semplici, come se ne conoscesse davvero poche, e le stesse usando tutte -... ma volare con una mandria di maiali spaventati, che corrono su e giù, in non credo che sia un bene per voi!

-E cosa dovrebbe cambiare, con il vostro ragazzetto tutto pelle e ossa? - berciò Taruk.L’uomo si volse e fece un cenno al figlio. Questo allora corse subito verso il centro della

mandria furente e arrivò di fronte allo sbuffante capo mandria, che pareva una tempesta sul punto di esplodere. L’enorme animale sovrastava il piccoletto come uno scoglio sovrasta le conchiglie che ci stanno attaccate addosso, ma il giovane non sembrava turbato. Fissò negli occhi porcini il mostro suinide e quello rimase a fissarlo come ipnotizzato, anche se Taruk era pronto a vederlo caricare da un secondo all’altro e a rovesciare le budella del moccioso per aria.

Ma il ragazzo si avvicinò fino al mostro e allungò una mano. Lo grattò dietro l’orecchio e la bestia grufolò. E perse ogni animosità e subito divenne mansueta. Il ragazzo, Jaffar, allora si mise a spingerlo, con pacche sulla testa, in avanti, verso il portellone, e quello lentamente si fece spingere. E dietro a lui venne tutta la mandria.

I pirati e i porcari si rialzarono da terra, sporchi e laceri, e lanciarono occhiatte assassine al grosso bestione, che li fissò a sua volta con occhiate di superiorità.

Taruk era senza parole; ma alla fine disse: -Credo che tu mi abbia appena convinto! Ma come ha fatto ad ammansire quel mostro?

-Una dote naturale... - rispose il padre, che faticava a nascondere il suo orgoglio. Poi si staccò da Taruk, raggiunse il figlio, e dopo essersi tolto di dosso la pelle di capra, gliela mise sulle spalle, ed inutile dirlo, essa pendeva molto misera dalle sue spalle.

Jaffar si guardò le spalle, poi guardò il padre, e questi disse: -Un giorno avrai spalle abbastanza grandi per portarla! - e così detto si voltò e se ne andò, come se non fosse quella l’ultima volta che avrebbe visto suo figlio.

-Ehi, Byli! - gridò allora Taruk, al suo sottoposto ancora coperto di sabbia -Prepara una coperta e un angolo per quel ragazzo, vicino alle sue bestie!

Byli corse da Taruk; era un uomo grosso e dalla faccia orrenda, ma non era un cattivo “ragazzo”. E disse: -Assieme ai maiali? Non sarebbe meglio sbatterlo in una cabina con i nostri? Dopo quel gran casino di Ur, abbiamo qualche posto libero in più!

9 Niente affatto un piccoletto dal sangue mischiato per le parentele troppo strette, come è la norma nella Discarica.

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-Fidati, figliolo... - rispose Taruk -... che il ragazzo preferisce stare con i maiali...! -E cosa ne faremo, poi? Lo vendiamo con la mandria ad Aleppo? “Troppi clandestini... Sendomir e la sua bambola, poi la mocciosa porta-sfortuna con le

corna... adesso anche un porcaro! Questa nave sta diventando come l’Arca di Utapishtim! ” pensò Taruk, torvo. E rispose: -Si è guadagnato un passaggio fuori da questo inferno... lascia che se lo goda! - e il rumore dei suoi stivali risuonò metallico mentre si allontanava, come i portelloni del Kerberos che si chiudevano dietro ai fottuti maiali.

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Capitolo 10 Sul ponte di comando

La corrente elettrica percorse tutta la vecchia carcassa del Kerberos fino a raggiungere il ponte di comando, che si accese di lucette e relè nella penombra, come anemoni e lamprede elettriche che punteggiano il fondo di un mare sconosciuto. Il ponte di comando era sempre stato un luogo piuttosto buio, forse perché le luci principali erano saltate, oppure perché ai pirati piaceva cavarsi gli occhi sui monitor. Era situato in un incasso sotto la prua della nave e aveva un ampio finestrone frontale, all’occorrenza corazzabile con paratie di ceramite; pendeva sotto al muso del Kerberos come la mascella di un Melanoceto abissale.

In mezzo a tutta la strumentazione, i display sporchi e anneriti e le condizioni in genere pessime, l’unica cosa che brillava, diritta e ferma, esattamente in mezzo, come se fosse nella postazione d’onore, era il timone. E davanti a quello stava ritto in piedi Ator, pur senza arrivare, con la sua scarsa altezza, a sovrastarlo come ci si aspetta che debba fare un prode timoniere pirata.

Barluga entrò dal portello in fondo, sbattendo la testa scimmiesca, come al solito, nello stipite troppo basso della porta. Ma questa volta non bestemmiò affatto: si lanciò stravaccato sul sedile ricoperto di pellicce che era il suo posto di comando, facendo scricchiolare in maniera preoccupante. Quel sedile era stato fatto per capitani pirati dal culo molto più piccolo del suo, e faceva quasi impressione assiso in quel seggiolino.

Motivo per il quale non stava quasi mai sul ponte, ma da qualche parte in cabina a scolarsi Rhum di pessima qualità, o in sala macchine a sferragliare sui macchinari.

Per fortuna i suoi momenti di ozio erano molto pochi, perché di solito il suo tempo lo passava a gridare ai suoi e a spaccare teste qua e là.

-Lo spaccherai, quel sedile, capitano, prima o poi! - disse Ator.-Bada a quel timone, se non vuoi che ti ci leghi e ti faccia fare il giro come un volano! -

rispose di pessimo umore Barluga. Di solito la notte era di umore tutto il contrario, ma perché aveva in corpo diversi ettolitri di alcool. Ma dopo il disastroso “ammaraggio” sui Monti Ferrosi, che gli era costato una fortuna in riparazioni, aveva deciso di essere “sobrio” quando c’erano le operazioni di decollo e di atterraggio. E lo pretendeva da tutto l’equipaggio. Non c’era da stupirsi che i pirati fossero tutti molto nervosi, in quel momento...

E l’incidente sovra-menzionato, per inciso, era il motivo per il quale se la stavano passando così male, da dover ridursi a fare raccolta di plastica alla discarica di Babilonia. Era sembrata una buona idea escavare quel robot... ma così non era stato: e il compenso per i danni richiesto da Rukor aveva svuotato del tutto le “casse” della nave.

-Andiamo via da questo cesso! - berciò -Come pensavo, siamo perseguitati dalla sfortuna; non ce né venuto niente di buono a venire in questo posto dimenticato dall’Imperatore e dall’inferno!

Shem, nel suo angolo, intento a scrutare lucette e sensori che andava su e giù, grugnì in risposta dicendo: -È quel Sendomir Nibiru che porta sfortuna! Te l’ho detto, capitano!

-Silenzio! - si infuriò Barluga -Se non ci avesse portato la donna artificiale, adesso cosa mangereste, eh, avanzi di forca?

-Possiamo tenerci lei, ma non l’uomo! - suggerì Shem.-Io lo devo ammazzare, l’uomo, razza di pirata di acqua dolce che non sei altro! - esclamò

Barluga.-Sì, ma quando...? - mormorò Shem, preferendo tenere per sé le diverse rimostranze che

nutriva per quella questione.Tutto il Kerberos vibrò di energia, mentre il motore misterioso sviluppava la sconosciuta forza

motrice, dentro alle celle di potenza. Centoventi tonnellate e più di energia schiumante presero a sollevarsi da terra, dondolando e crepitando, grazie alla “magia” insondabile che si era persa in un passato di fuoco.

-A tutti gli uomini, tenetevi ai vostri posti di manovra! - gridò nell’interfono Taruk.-E anche se tutti gli uomini non sono ai posti di manovra...! - gridò Barluga -... Sollevate

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questa bagnarola e puntate il suo muso verso il cielo! Ci porti via da questa fogna, signor Ator! Lentamente la spaventosa sagoma di acciaio si inclinò verso l’alto. I fari si proiettavano

attraverso la notte per miglia, come fasci di fuoco liquido e il “vento” delle energie cinetiche scatenate strappavano i tendaggi dalle bicocche del porto pirata e dense nuvole di sabbia vorticarono altissime come piccoli tifoni. Il Kerberos si sollevò verso il cielo notturno, riflettendo le sue luci contro il ventre antico di Babilonia, eppure la grande nave era solo una minuscola stringa rumorosa in confronto alla sua mole.

-A tutti gli uomini, mantenete i vostri posti... - gracchiava la voce di Taruk nei megafoni, mentre Abit spalmava ogni centimetro della propria faccia contro l’oblò della cabina.

-Siamo in aria! Siamo in aria! - strillò eccitata.-Ti prego di calmarti, giovane Abit! - disse senza alcun calore Zeta, cercando di tenerla senza

alcun risultato seduta sul seggiolone (che era stato del capitano Barluga) -Durante il decollo e l’atterraggio è necessario rimanere seduti, con le cinture...!

-Waa! Guarda com’è grande! - nulla da fare, Abit era come una scimmietta liberata dalla sua gabbia, non sarebbe rimasta ferma neppure se fosse stata sedata. E ora puntava istericamente il dito fuori dall’oblò, a Babilonia -Quella è Babilonia? ! È così che appare da fuori? ! È come... come...!

-Come una montagna? - suggerì Zeta.-Sì, qualsiasi cosa sia una montagna! - gridò Abit, al colmo dell’eccitazione. Il cielo, un arco

nero pieno di punti luminosi, opacizzati dalle luci del Kerberos, le veniva incontro. Finalmente la promessa che le aveva fatto il nonno... finalmente avrebbe attraversato il cielo!

-Attenzione, rimanete allacciati con le cinture... - ripeteva senza senso Taruk, e Sendomir sbuffò. Scommetteva che neppure un pirata lo prendesse sul serio; erano tutti probabilmente ubriachi fradici, nonostante il divieto, intenti a tenersi malamente in piedi, abbarbicati a qualche tubo o valvola.

Fissando la grande Babilonia fuori dell’oblò si sentì un pò strano... lo era sempre, nell’eccitazione della partenza, con le vibrazioni del motore del Kerberos che si espandevano attraverso il suo basso ventre. Babilonia, il suo mistero, lo fissavano, e lui si trovò a pensare a una ragazzina dai capelli biondi come l’oro.

-Attenzione, la nave ora sta per inizializzare la fase di propulsione... - fiato sprecato, i pirati sapevano che cosa fare meglio se fossero stati programmati come tante automaton doll, ma Taruk era uno preciso. Forse avrebbe dovuto ripetere in quello stupido megafono qualcos’altro, tipo “i maiali si tengano ai loro posti”, imprecò Byli. Stavano tutti infilati nei loro scomparti, ma quella non era una nave per il trasporto di animali vivi, per la barba di Enkimmu! Ragliavano, grugnivano, le scrofe spingevano indietro i maialini, i maschi sbattevano le zanne contro le paratie metalliche, era una scena spaventosa.

Ma Jaffar, il moccioso proveniente dalla discarica, con una cannuccia in mano, dispensava bacchettate generose sul muso a qualsiasi animale, dai piccoli ai mostri che erano gli adulti. E in qualche modo riusciva a tenerli a bada.

Fischiò piano, ammirato, Byli: se non era abilità quella! Jaffar era forse troppo occupato a gestire i maiali, e non erano nemmeno visibili i suoi occhi sotto la zazzera di capelli scomposti. Ma anche se avesse voluto dare un’ultima occhiata a Babilonia, pensò Byli, non avrebbe potuto, perché nella stiva non c’erano oblò.

-Attenzione... - diceva la voce negli altoparlanti, che giungeva ovattata nello scompartimento. -Senti come vibra! - esclamò Alice -Sarà sicuro questo aggeggio, Ayane?

-Sicuro come può essere un catorcio pirata! - rispose l’altra -Ma è un peccato che non si possa guardare fuori!

-E perché, Ayane cara? -Non vuoi dare un ultimo sguardo a Babilonia? Alice rispose: -E cosa c’è da guardare? Le luci che si riflettono sul cemento scrostato? Le

antenne che trafiggono il cielo? O i fari come spettri che ondeggiano sui giri neri? Io ne ho abbastanza del buio di Babilonia, Ayane!

-Neppure una piccola lacrima, hai intenzione di spargere per il luogo dove sei nata? - disse allora Ayane.

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-Per Babilonia? - rispose -Non è nemmeno un “luogo”, Ayane: per coloro che sono intrappolati dentro è il Mondo... per chi ne esce, è soltanto un monolito nero che infesta il deserto e i sogni; non è fatto di materia, non è fatto di persone, che hanno (o hanno avuto) una vita, risate, ricordi e voce mortale... è soltanto un’idea, un concetto astratto!

-Ah! Come lo vorrei che lo fosse! - disse Ayane -Ma fai attenzione, che la sua ombra è molto lunga, Alice!

Il Kerberos si allontanava sopra le sabbie del deserto, le piccole incerte luci dei villaggi che tremolavano in basso. Un uomo alto, grosso e dallo sguardo fosco, quasi quanto la barba nera, dal castello di prua della sua barocca nave, la nave dalle vele nere, sorseggiò il suo vino rosso, e rivolto al suo nostromo dall’occhio metallico, disse: -Quel cane di Barluga se ne sta scappando con la coda tra le gambe! Prepara anche tu la nave, anche noi partiamo subito!

Il nostromo, che era soprannominato “Carnaio”, e non senza un buon motivo, rispose con la voce di una mano che raspa da sotto terra da dentro una cassa da morto: -Ah, il nostro nuovo lavoro, capitano?

-Non possiamo fare aspettare il nostro committente! - rispose ridendo Rukor -Specie con tutti quei soldi che ha promesso!

Il nostromo assentì in silenzio; in cielo il ronzio vibrante del Kerberos faceva risuonare il vuoto spazio del deserto.

La grande, antica, nera Babilonia rimase immobile, a guardare.

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Capitolo 11 La tempesta

-”Guardando nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo...!” - prese a dire Taruk, ma Shem lo fermò.

-Signor Taruk! Ci faccia il piacere di lasciare per voi le vostre citazioni religiose! - esclamò.La luce dell’alba, se ve n’era, era distrutta e divorata dalla grande e nera, linea di oscurità che

spezzava tutto l’orizzonte.-Signor Shem! - disse Taruk -Io mi chiedo invece come possiate rimanere ateo! Non vedete

l’impronta di Dio, in questa mano di sabbia e vento, che spezza in due il possente deserto? “Una colonna di cenere che era oscura per gli uni, e luminosa per gli altri...”

-La mano di Dio! - disse Shem, a mezza voce, quasi che parlasse con sé stesso -Ma io mi chiedo, di quale Dio? E per chi è luminosa questa nube di tempesta, se per noi è oscura?

Taruk non rispose. Persino Barluga non aveva voglia di bestemmiare, poco prima di entrare nelle correnti tempestose, che alcuni pirati e marinai del cielo chiamavano “demonio”, o “la strega”, e alcuni addirittura “Shibartz”.

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Capitolo 12 La vedetta

-Chiudi! Chiudi quel boccaporto! Il grido arrivò da molto distante, da sopra di lui. Sendo era nella sua cabina, disteso nella

cuccetta.Chi poteva aver scioccamente lasciato aperto un boccaporto? Il Kerberos rollava come un bastone gettato in un mulinello e sinistri rintocchi metallici

venivano a intervalli da qualche parte dalla profondità della nave. TONG TONG TONG! Una Magillu imperiale poteva permettersi di entrare quasi diritta attraverso la tempesta, ma il

Kerberos doveva seguire il vento, e infilarsi nella corrente, per non venire fatta a pezzi. Sentiva la nave accellerare, mentre stava allineandosi alla muraglia di caligine nera, un mutevole muro di polvere premuto da venti così violenti da sollevare il deserto di sotto come un mare in tempesta.

-Chiudi! Chiudi! TONG, TONG! , gli rispose il rintocco delle campane fantasma del Kerberos.

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Capitolo 13 Una diversa percezione del mondo

Fuori degli stretti oblò scorreva l’incalcolabile distesa del deserto che si estende a nord-est della Mesopotamia, verso il confine con la Baktriana. Non c’era solo sabbia, naturalmente; lunghe cordigliere di rocce rosse, colline bruciate ed erose, serpenti verdi sinuosi, che riflettono il riflesso del sole e qua e là bacini verdi che quei fiumi alimentano... solitari in mezzo alla desolazione.

Abit avrebbe voluto stare appiccicata tutto il tempo all’oblò, ma una perigliosa scelta la stava dilaniando dall’interno. In quel momento, infatti, si trovavano, lei e Zeta (e l’uomo, quel Sendo, appoggiato allo stipite della porta d’ingresso, voltato di spalle, che guardava il corridoio, fortemente seccato di dover far la “balia” alla mocciosa con le corna), nelle cucine del Kerberos. Sul ponte numero due, uno stanzone con due linee di fornelloni al centro, di metallo cromato e lucido (liberato dalla doll da secoli di sporco secolare), le cucine erano l’antro delle meraviglie per Abit.

File di padelle e di strumenti da cucina stavano appesi alla parete di destra, ancorati con pesanti magneti, in maniera tale che non volassero in giro durante le manovre più pericolose. Due oblò sulla parete di destra, invece, che occhieggiavano a tutto ciò che Abit aveva sempre desiderato vedere.

Ma dietro di lei, sul ripiano della cucina si stava però compiendo un miracolo incredibile: Zeta stava cucinando. Profumi che non aveva mai creduto possibile esistessero sulla terra la stavano facendo impazzire. Cosa stava cuocendosi in quel pentolone? E in quella padella, cos’è che sfrigolava in maniera così invitante, che dico, così irresistibile?

Lo stomaco ebbe la meglio sull’occhio e Abit si aggrappò con entrambe le mani al bancone della cucina, e fissando in maniera famelica i prodotti dell’arte di Zeta, esclamò: -Zeta cara, fammi assaggiare questa cosa deliziosa!

Zeta si voltò appena e con faccia inespressiva (ora indossava una cuffia che teneva dentro i lunghi capelli e un grembiule ricamato, molto grazioso10) tese il cucchiaio di legno, da cui aveva appena pescato nel pentolone, verso Abit. Abit aprì la bocca come un megaterio affamato e ingollò tutto, bollente com’era. Zeta ebbe qualche difficoltà a ritirare il cucchiaio.

E Abit, portandosi le mani alle guance, con gli occhi chiusi e la faccia in solluchero, esclamò: -Mmmm! Ma cos’è questo? Il cibo degli dei? Una delizia piovuta dal cielo?

-È soltanto zuppa di fagioli liofilizzati...! - commentò, asettica, Zeta.-Io non ho mai mangiato niente di più buono! - luccicò da ogni suo poro la Oni.-Dovevi mangiare veramente male, a Babilonia! - commentò Sendo, fissandola in modo

piuttosto sconcertato, e non perché a Babilonia mangiasse male -Che cosa facevi laggiù... intendo dire, con quelle corna e tutto il resto!

Abit dimenò la coda e disse: -Signore, prima vivevo con i nonni...-Nonni? -Sì...-Cioè, Oni come te? Abit pensò. Poi disse: -Credo proprio di sì, signore! Sendo rispose: -Puoi non chiamarmi “signore”? -E come devo chiamarla? -“Sendo” sarà sufficiente...Zeta infilò distrattamente un altro mestolone pieno di brodaglia in bocca ad Abit, che dovette

ingollarlo, quando stava invece per rispondere. E con la bocca mezza piena, disse: -I nonni sono morti e... (munch munch)... poi sono stata catturata da della brutta gente, e venduta... (munch munch)... a un malvagio gestore di un circo... dove mangiavo pane raffermo, e dovevo saltare sulle schiene dei leoni!

-E ora sei finita nelle mani dei pirati... - commentò, asciutto, Sendo.-Potrebbe essere peggio! - esclamò Abit, finendo di buttar giù la zuppa -Potrei essere ancora

10 Si può dire che una non piccola parte delle finanze dei pirati se ne vada, ben poco produttivamente, in vestiti e altri amenicoli, buoni solo per “decorare” il loro cuoco...

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a Babilonia, non aver mai visto il cielo, e non aver nemmeno una guscio di noce da mangiare! Zeta la guardò soppesandola con i suoi occhi elettronici; -Dopo ti farò provare del lokum! -

disse infine.-E che cosa sarebbe, Zeta cara? -Una specie di dolce, cosparso di zucchero, profumato di acqua di rosa, pistacchio, mandorla e

cannella! -Non so cosa sia questo “pistacchio”! - rispose Abit -Ma solo l’assonanza dei nomi mi fa venire

l’acquolina in bocca! - e dopo queste parole, subito, la sua testa formò questo pensiero: “ma sicuramente anche Ayane e Alice avranno fame! ”; ma la sua boccaccia non la tradì, perché proprio mentre stava per aprirla e spiattellare la presenza delle due clandestine a tutti i pirati del mondo, Zeta le infilò in bocca un’altra badilata di zuppa.

Sendo a quel punto disse: -Zeta! Se continui così non ce ne sarà più per il resto della ciurma! -Non ho fatto solo zuppa... - rispose serafica Zeta.-Se continui così finiremo le scorte ancora prima di essere a metà strada verso Aleppo! -

esclamò Sendo.Abit ascoltava tutta orecchie; e ingollato il boccone, disse: -È così distante questa cosa...

Alepo? -Aleppo! - la corresse Sendo -E non è una “cosa”, ma una città! Abit lo fissò dubbiosa. -E cosa sarebbe quella faccia? - disse Sendo.-Mi stai prendendo in giro, Sendo! - esclamò Abit, saputella -Questa nave vola! Ci mette

pochissimo a viaggiare, ad attraversare spazi distanti: basta guardare dal... come si chiama...! -Oblò... - suggerì Zeta.-... dall’oblò! - continuò Abit -Per vedere quanta terra abbiamo già superato! E poi laggiù in

fondo si vede già il cielo che si curva... sicuramente raggiungeremo presto il limite dove è appoggiato per terra!

Sendo e Zeta si guardarono, ed era ben strano, vedere una automaton doll fare una faccia come quella. L’uomo si passò una mano sulla faccia e sospirando, disse: -Il cielo non sta appoggiato da nessuna parte: e lo vedi “curvo” solo perché la Terra è curva!

-La Terra? ! - fece Abit, grattandosi la fronte.Sendo si infilò una mano nel cespo dei capelli, turbato; entrò nella cucina, prese un’arancia

dal cesto, e mostrandola ad Abit, disse: -Vedi, la Terra è tonda come questa arancia! Noi ora siamo qui, per esempio... - e indicò un punto a metà -... immagina di guardare davanti a te, stando in piedi su questa arancia!

Abit fece una faccia sofferente. -È difficile stare in piedi sopra a un’arancia! - disse.-Non in senso letterale! - gridò Sendo, che già cominciava a perdere la pazienza -Se guardi

diritto davanti a te, avrai l’impressione che la terra giri per di sotto... e finisca là davanti! Ma in realtà non è vero, perché come vedi, l’arancia continua...

Abit fissò molto concentrata l’arancia; in realtà non aveva capito di preciso dove volesse andare a parare Sendo, ma di sicuro era una qualche spiegazione ingegnosa, che avrebbe dovuto comprendere velocemente, per il suo bene, ora che era sotto il cielo.

-Hai capito? - fece Sendo.Abit rispose: -No! Cosa vuol dire che il cielo non si appoggia da nessuna parte? Come fa a

stare su, allora? Sendo sbuffò. -Il cielo... - prese a dire, incagliandosi a ogni parola, come un rimorchiatore che

cerca di trainare una petroliera nelle secche -... è uno spazio vuoto che circonda questa arancia... l’arancia è la Terra, fatta di pietre, alberi, laghi, mari e città! Non si appoggia, perché non è un tetto! È fatto di aria, e circonda la Terra, capisci?

Abit stava compiendo uno degli sforzi più grossi della sua vita; con la fronte imperlata di sudore, disse: -E quanto grande sarebbe questa arancia... cioè, questa Terra?

-Tanto grande che questa nave volante, scassata com’è, ci metterebbe almeno 80 giorni a fare il giro completo! - esclamò Sendo.

Abit impallidì. Era così grande il mondo esterno? ! Doveva necessariamente rivedere tutte le sue scale di valori!

Si sedette sconfortata e confusa sul piccolo sgabello della cucina.

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Sendo e Zeta la guardarono per un pezzo, finché lei riprese a parlare, e disse: -E tutto questo spazio... è pieno solo di sassi, sabbia e pirati? !

Sendo scoppiò a ridere. -Perché ridi? - sbottò la Oni, drizzando la coda.-Ah ah! - rispose Sendo -Certo che rido! Non ho mai sentito una domanda del genere in tutta

la mia vita! -Mooo! - fece Abit, offesa.Sendo rispose: -Pensavo di aver visto di tutto, ma una mocciosa così ignorante è una novità

quasi... rinfrescante! - poi aggiunse: -Adesso ti faccio vedere io, che cos’è il mondo! - e così detto uscì di fretta, dimenticandosi con ogni probabilità che era di guardia alla ragazza (o meglio, che doveva piantonarla perché spillasse i segreti dell’oro degli Oni).

Abit disse: -Zeta cara, cosa succede al signor Sendo? Zeta rispose: -Il padrone è come un bambino, giovane Abit! Ma ecco che subito tornarono da distante i rapidi passi di Sendo. E lui comparve sulla soglia.

Aveva in mano un astuccio di legno, e disse: -Qua, Abit! Vieni a vedere! - proprio come si comanderebbe a un cagnolino.

Abit era abituata a scattere e subitò si precipitò. Sendo aprì l’astuccio e ne tirò fuori una carta ingiallita, che più probabilmente non era nemmeno carta, ma forse pergamena. La dispiegò sul ripiano della cucina e sotto gli (anzi, l’unico) occhi di Abit, aprì una largo e scuro foglio, pieno di disegni bizzarri, serpentine, dossi rugosi, grandi occhi piatti, e tanti tremolanti sarabocchi colorati.

-Che cos’è questo? - fece Abit.-Una carta del mondo, o meglio, di una parte di esso... - disse Sendo -... queste sono

montagne, questi segni lunghi sono fiumi, e queste sono foreste... - indicò con il dito.-Il mondo? - ripeté Abit, che non capiva.-Hai mai fatto dei disegni? - chiese allora lui.-Certo! Ho una certa capacità, se devo dire il vero! - rispose Abit, gonfiando il petto.-E allora questo è un disegno... che rappresenta, in piccolo, un pezzo di mondo! Abit spalancò l’occhio. E disse: -E quindi...! -Vedi? Qui c’è questo disegno che significa “città”! E sopra c’è scritto “Babilonia”: ogni luogo

disegnato sulla mappa esiste nella realtà... qui è solo rappresentato in piccolo, in “scala”, altrimenti non si potrebbe fare un disegno così grande, che possa contenere tutto il pianeta! - rispose Sendo.

-Oooo! - esclamò Abit, che aveva finalmente compreso -E questi scarabocchi sopra, che cosa sono, nomi?

-Sì...! -È un vero peccato che Abit non riesca a leggere questi eleganti svolazzi! - rispose Abit.-Sono “eleganti svolazzi” persiani! - disse Sendo -Infatti la carta è stata prodotta a

Byzanthium11; là ci tengono a questo genere di cose. Infatti nota con che cura è stata prodotta: una carta babilonese è molto più asettica, e non comprende affatto le terre a nord, Balmung e tutto il resto!

-Ci sono allora delle differenze, tra questa parte qui, e quest’altra? - disse Abit, puntando il dito -A me sembra che le “montagne” siano simili, e i fiumi anche!

-Ma non la gente che abita questi posti... - osservò Sendo.-E cos’è questo “carattere” diverso, qui, sui margini? - chiese ancora Abit, ora dimentica

persino del cibo e di Ayane e di Alice -Sono nomi anche questi? -No! - rispose Sendo -Sono note scritte a mano da certi loschi pirati che possedevano questa

carta prima di me... in effetti questo documento ha forse più di cento anni! Vedi? Riporta ancora come esistente la città di Mari, che però è stata seppellita dall’eruzione del vulcano... e intorno a Babilonia non è segnata alcuna tempesta. Al giorno d’oggi si pensa che quella tempesta sia sempre esistita, ma guardando questa carta mi sono sempre chiesto se invece non sia un fenomeno molto più recente...! E poi sono segnati i nomi più importanti, per l’Impero Bizantino,

11 A Byzanthium infatti si rifugiarono molti sapienti persiani, matematici, astrologi caldei, cartografi e poeti, dopo che nell’anno 504 l’Impera-tore aveva promulgato un editto che vietava l’utilizzo di tutte queste pratiche, perché ritenute troppo “affini” alla magia. Questa legge, e l’Imperatore che l’aveva promulgata, sono decadute da molto tempo, ma l’afflusso di sapienti giovò oltremodo all’Impero Bizantino.

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di montagne e fiumi, ma nel resto del mondo non è segnato quasi nessun altro nome, perché, credo, i compilatori della carta forse non li conoscevano neppure. E poi ci sono anche altri errori, ma in definitiva questa carta è una rappresentazione abbastanza fedele del mondo là fuori...!

-Oooo! - disse ancora Abit, con i lucciconi nell’occhio, vividi come costellazioni brillanti nel cielo scuro.

Allora Sendo le spiegò la carta delle Terre Centrali, come la si può vedere nella seguente pagina:

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-Come puoi vedere, giovane Abit! - diceva Sendo, con l’aria da maestrino, mentre Zeta aveva le mani tutte impastate nel pane che stava facendo per il lokum, e il sole saettava dal di fuori in dardeggianti lampi -Ci sono diverse regioni... la prima che vedi, è questa, che si chiama “Impero Meccanico di Babilonia”. Tutto il deserto meridionale è occupato da questo “regno”, ed è anche il luogo dove ora noi ci troviamo. Perché “meccanico”, dirai tu? Perché dopo che il mondo, come si racconta, venne distrutto dalla magia, la gente dei deserti non volle più sentirne parlare, e ripose ogni fiducia nella macchina, nell’ingranaggio e nel ferro, nei rugginosi macchinari! La capitale, ovvero la città più importante, usava essere Babilonia, dove si rifugiarono i primi uomini subito dopo il disastro... ma come hai visto tu stessa ora è in rovina, e l’Imperatore non vi risiede neppure; egli adesso vive con tutta la sua corte e con i terribili Sacerdoti Meccanici a Uruk, la città di carbonchio, dalle mura antiche come il tempo!

Abit seguiva attentissima. Sendomir prese fiato, e disse: -L’Impero non è nemmeno molto unito, a dire il vero: vedi questi nomi, Atriana, Susiana, Drangiana e il resto? Sono i nomi delle provincie, o satrapie, in cui era diviso l’Impero. Ora, di fatto, sono paesi quasi indipendenti: infatti la Susiana e l’Atriana si fanno guerra come se non fossero parte dello stesso Impero...

Qui nel lontano est invece c’è questo bizzarro regno, che noi qui chiamiamo “Terre Sprofondate”, perché, in effetti, molto di quella terra sprofondò molti secoli orsono... molte di quelle terre tutt’ora vengono sommerse dal mare acido che le circonda e ci sono intere città e paesi che punteggiano delle loro rovine sommerse la regione... vedi il nome “esotico” che la gente di là ha dato al proprio paese? “Yuhi No Kuni”, che nella loro lingua bizzarra significa “Terra del Tramonto”. Quella gente infatti viene da molto lontano, o almeno così dicono, da un paese situato nell’estremo oriente, oltre l’Ind, che prima ancora della Catastrofe sprofondò nel mare...

E prese a raccontarle molto altro, come un fiume incessante di parole, uno dei torrenti estivi del deserto che esplodono all’improvviso dal nulla dopo la rara pioggia e trascinano tutto via con essi.

Abit lo ascoltava affascinata e dimentica persino di che cosa volesse dire respirare. Dormì nella voce di Sendo sotto il cielo stellato, sulla cresta di una duna; vide le carovane degli antichi cammellieri proiettare ombre sulle piste che conducono ai Regni Neri, cariche di avorio, ritornando poi con misere fila di schiavi. Vide le lucenti torri di Byzanthium, che si dice siano fatte dell’oro rubato in un antico regno, ora scomparso nel fuoco. Vide la città di Susa, che assomiglia a un giardino, dove cervi giganteschi pascolano sotto gli antichi alberi, tra i palazzi e i templi.

Vide la tetra Balmung, dove nelle scure città di pietra grigia si riflettono fuochi fatui, contro lo scintillare di imponenti ghiacciai; e l’ancor più tetra Heimskringla, dove la notte dura sei mesi all’anno. E poi percorse i freddi altopiani chiamati i “Regni Erranti”, un immenso mare d’erba che si estende tra Balmung e Corvinthium, dove osservò la luna posarsi stanca sul colmo delle colline assieme ai nomadi selvaggi, dalle loro tende rotonde. Sussurrano nella notte, stretti gli uni agli altri, vicino ai loro fuochi; nel buio sagome gigantesche si muovono. Ma non grandi come buoi, e nemmeno come il megaterio, Abit può sentirlo: sono entità colossali.

Al mattino gigantesche impronte disseminano di crateri la piana e a volte, in un rapido aprirsi delle nuvole in cima alle basse cime coperte di neve, brilla una forma gigantesca... una città con le gambe! Ma subito la visione si chiude, vorticanti nebbie ricoprono l’orizzonte, la terribile visione scompare come un sogno.

I nomadi adorano come dei quelle visioni: perché esse sono le città delle terribili Shibartz! -Abit! Ehi, Abit! Abit si scosse e le visioni si dissolsero davanti ai suoi occhi. Il signor Sendo la fissò per un pó,

infine disse: -Ti sei addormentata con gli occhi aperti, giovane Abit? -Ho visto i tetti d’oro delle città! - esclamò Abit -E il vento che muove come un mare la

prateria! E anche i castelli con le gambe, che camminano tutto il tempo nella notte, sotto cortine di luci verdi e blu... come tende tirate nel cielo!

Sendo la guardò di nuovo, apparentemente turbato. Zeta, invece, disse: -Ci sono dei visitatori, padrone!

Dal corridoio venivano i rumorosi passi dei due pirati che quel giorno erano di corvè, per

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portare in tavola la cucina di Zeta. I pirati che erano così fortunati da andare nelle cucine e poter incontrare “da soli” la doll di solito avevano facce da ebeti e si comportavano come degli sciocchi a una fiera.

Ma la delegazione che entrò dalla porta quel giorno aveva delle lunghe facce tetre, che non lasciavano presagire nulla di buono.

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Capitolo 14 Fantasmi

(Sogdiana - Cielo a Nord della Montagna di Fuoco)Con il mezzo mozzicone di candela in mano, nei riflessi che gli scolpivano la faccia come un

brutto sogno, il marinaio disse: -Il pozzetto di trinchetto si era già riempito quattro volte, quella notte, e i fulmini scendevano a destra e a sinistra come se il cielo stesse per cascare a terra. Che dico, cielo e mare erano totalmente confusi, in un’unica massa informe di acque nere, che cadevano dall’alto o salivano dal basso, da sembrare un’unica maledetta onda ululante. Le onde si alzavano come mostri mugghianti e il fondo del mare si spalancava sotto la sottile chiglia della nave, una bocca mostruosa pronta a divorarla!

In tutta la nave risuonavano sinistri scricchiolii, mentre i marinai dall’uniforme rossa trattenevano il fiato, fissando il mozzicone di candela gettare tutt’intorno ombre inquietanti.

-Il mozzo Azuf, fradicio di pioggia, si trascinava miseramente sotto-coperta, quando lo sentì...Il giovane marinaio, il mozzo di bordo, dalla faccia magretta e la frangia che ricadeva su di un

occhio, deglutì vistosamente.-Il gemito di una voce... una voce di donna! - ripeté con occhi di fuoco il marinaio -Ma come

era possibile... forse il suono del vento prendeva forme strane, soffiando contorto dentro ai boccaporti? Allora il mozzo Azuf si diresse con i piedi pesanti come pietre, ondeggiando a destra a sinistra mentre le onde rovesciavano come volevano la nave... si diresse al ponte... da dove proveniva quel lamento...

I marinai avevano occhi vitrei, nei quali si riflettevano i guizzi della candela.-E nel deserto ponte degli ufficiali... chiamò, con la vocetta fessa: “C-c’è qualcuno? ”, ma

nessuno rispose... e poi! - e di colpo alzò la voce, facendo quasi pisciarsi addosso il povero Azuf -Il rumore, ecco! E si voltò di scatto verso il condotto, e vide...!

Non si sentiva nessuno respirare, si erano tutti dimenticati come si faceva! -E vide il boccaporto di dritta mezzo aperto, e il vento entrava ululando, misto a pioggia

ghiacciata! - esclamò il marinaio, di colpo con voce atona-Azuf si rilassò, e preso un gran respiro di sollievo, si avvicinò al boccaporto per chiuderlo del

tutto... e mentre passava di fronte alla cabina dell’ufficiale pilota, vide distrattamente che la porta era socchiusa... non era bene che la porta fosse aperta, in mezzo a una tempesta, e fece per chiuderla: quando diede mano alla maniglia però, vide che dentro alla stanza c’era un largo fagotto bianco, tutto umido d’acqua... che il pilota avesse lasciato aperto anche l’oblò, si chiese sconcertato Azuf! - il tono dei voce del marinaio si abbassò di almeno due ottave -Entrò verso il fagotto, ma l’oblò era sigillato... e allungò la mano verso la forma, e il cuore d’un tratto gli esplodeva nel petto, quando toccò la stoffa... - un sordo crepitio diedero le assi di legno del ponte superiore -... e lo spaventoso ghoul in forma di donna si voltò ad azzannarlo alla gola! - gridò improvvisamente il marinaio e nello stesso momento un vecchio sotto-ufficiale balzò sul mozzo, urlando.

Il povero mozzo gridò come un maiale che viene scannato, e questa volta se la fece addosso sul serio!

-Ahr ahr! - risero i marinai -Senti che puzza! Dove ha lasciato il mozzo tutto il suo coraggio, nelle mutande? !

I marinai ridevano, ma il mozzo si sentiva vergognosissimo. Si alzò tremante e uscì dalla cambusa in tutta fretta, ma le risate cattive lo inseguirono fin di fuori, fin sul ponte laterale, cosparso di lieve e scintillante brina. La notte era profonda, e fredda, e respirò a pieni polmoni, cercando di scuotersi, ma l’agghiacciante paura, e la mortificante vergogna, erano rimasti appiccicati come la materia immonda ai sui pantaloni.

Con quante precauzioni la madre, e preghiere, e moniti, gli aveva consegnato quella divisa? Era di suo padre, che aveva servito, come lui adesso, sull “Gazella di Susa”, la nave del Re. E lui aveva sporcato in quel modo quella divisa!

Lontano rosseggiava un singolo pennacchio rossastro, che gli parve tutto d’un tratto un segno foriero di sfortuna. Era sicuramente la Montagna di Fuoco, quella, che splendeva nel mare della

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notte. Udì un rumore, e si volse di scatto, verso il ponte dietro di lui, sulla balustra e la passeggiata che gli stavano sopra, e la vide. Simile a un’apparizione, bianca come uno spettro, ma non era un ghoul, né uno spirito del vento.

La principessa Hourì, bella, diafana, che brillava come una stella pallida nella notte nera.Rimase paralizzato; sperava ardentemente che la principessa non guardasse in basso, a quel

misero giovanetto che se l’era fatta addosso. Ma la principessa in effetti fissava lo sguardo lontano, forse al pennacchio rosso della montagna laggiù. Una voce profonda, roca, di qualcuno che non vedeva, disse nel vento dietro di lei: -Mia signora, le notti sono molto fredde... rientrate, vi prego!

Ma lei lo ignorò, e invece, dopo qualche attimo, inaspettatamente, si levò un canto dolcissimo, come d’usignolo, e al mozzo ci vollero alcuni istanti per capire che era la principessa che aveva preso a cantare:

Gioisci, gioisci, perché il nostro piccolo è nato;tenero e piccolo come un germoglio, lo cullo con mani pallide.È il suono del vento, che batte contro le canne? È il canto risuonante di un cardellino tra le stoppie? È il battere leggero della pioggia tra i rami del bosco? Hanno paura coloro che vivono nel buio di ogni piccolo rumore,ma non così avrà paura il mio piccolo, perché vivrà nella luce.Ha solo bisogno di una mano paterna, e di una benedizione di Dio,prima che sia inviato nel mondo, prima che discenda la strada,lungo la china, giù dalla casa dove ondeggiano le canne

Le ultime note della vibrante e cristallina voce rimasero sospese ancora per qualche secondo sulla notte, sulla grande nave da guerra volante, sulle bandiere rosse sventolanti nell’aria negra, sui portelloni aperti, entro cui era entrata senza troppo rumore, sui marinai, che avevano ascoltato immobili, sul cuore del giovane mozzo.

Una piccola lacrima di commozione si formò non benvenuta nella sua pupilla destra, perché persino uno di bassa estrazione come lui conosceva la triste sorte della principessa Hourì. La voce roca riprese a parlare, spezzando l’incantesimo nel quale il giovane era aviluppato: -Mia signora, vi prego rientrate... e non è bene che cantiate nell’aria fredda, e che i marinai vi sentano, voi che siete una principessa!

Il mozzo non sentì la risposta della principessa, sentì soltanto le sue vesti frusciare, perché non guardava neppure più in alto. Per la principessa, che cosa avrebbe fatto, lui, piccolo mozzo? Si immaginò di morire con il fucile in mano, con la spada sguainata, per lei, e lei lo guardava diventare pallido, e dalle sue piccole labbra uscivano parole di conforto, per il piccolo mozzo morente!

Ma prima doveva ripulirsi la divisa: scacciò le lacrime intrise di sogni romantici, e non si avvide neppure, come non se ne avvide la vedetta sonnacchiosa, delle basse e lunghe luci che d’un tratto zampillarono molto vicino alla terra, nel buio dietro la loro scia.

(Baktriana - A ovest di Ancyra dai tetti di rame)Il sole calava rapidamente, gettando lunghe ombre oblique nella piccola cabina. Sendo era

seduto, e fissava il proprio tavolo, un pezzo unico di metallo, fissato con grossi bulloni alla parete. Diversi oggetti lo riempivano, tra cui la sua grossa pistola, tutta smontata, perché quando erano entrati i due pirati stava appunto provvedendo alla sua manutenzione.

Il sole ombroso allungava le sagome dei componenti della pistola, come allungava le occhiaie sotto gli occhi delle due canaglie. Uno era magro, scavato, con la barba ispida, rarefatta, come se fosse cresciuta a ciospi, come l’insalata nell’orto; l’altro era più grassoccio, dall’aria perennemente sporca: anche se fosse stato buttato in una tinozza piena di detergente per motori, dava l’impressione che sarebbe rimasto unto come un suino.

E questi due pezzi di galantuomo erano venuti da Sendo per un motivo preciso. Se fossero andati da Ator, questi avrebbe riso di loro, e sarebbero diventati lo zimbello del Kerberos. Se fossero andati da Shem, questi sarebbe diventato pallido come la morte e avrebbe preso a

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salmodiare le sue superstizioni. Se fossero andati da Taruk, probabilmente adesso avrebbero avuto del piombo sotto forma di pallottole nel culo.

E se fossero andati da Barluga, bhé, ora avrebbero avuto verosimilmente il cranio fracassato.Dopo aver quindi mostrato quelle loro facce da funerale alla mensa di Zeta (perché erano

proprio loro due i fortunati responsabili della corvé quel giorno), non avevano potuto sottrarsi dal chiedere al meno peggio, almeno secondo loro... già, chiedere che cosa?

Il sole diede gli ultimi sprazzi e si sentiva solo il ronzio dei motori, il flebile sbattere delle ali del Kerberos, qualche strano lontano suono, che non era rumore di ingranaggi, né bestemmia umana, ma forse stridere di maiali. Il pirata magro si passò nervosamente le mani sulle brache, e fu allora che Sendo sbottò: -E dunque? Cosa diavolo volete da me, canaglie? !

I due poveri pirati balzarono sull’attenti (Sendo li aveva infatti lasciati in piedi, e non solo perché non aveva sedie oltre alla sua in quella cabina), e quello grasso, squittì: -S-si... si tratta di... si spettri, signore!

-Di... che cosa! ? - sbottò Sendo.-Spiriti, creature del deserto, ghoul! - strillò quello magro.-Ma di che cosa andate cianciando, pezzi di idioti? ! - esclamò Sendo.-Di notte... da quando abbiamo lasciato Babilonia...! - prese a dire, con gli occhi posseduti dal

fuoco del terrore il ciccione -Si sentono strani rumori sulla nave! -Sono i maiali... non avete notato che abbiamo la stiva piena di grugnenti suini? ! - sbottò

Sendo, dando una significativa occhiata ai vestiti unti del pirata.-Ma questi sono... rumori di... donna! - gridò l’altro, torcendo le mani come dentro al torchio

dell’inquisitore di Corvinthium.-E cosa vorrebbe dire... “rumori di donna”? ! - esplose Sendo.-Voci di donna! - sbottò il ciccione.-Voci sospese sotto il ponte, che escono dai tubi! - si fece avanti il magro.-E poi...! - rincalzò il ciccione.-E poi? ! - fece Sendo, gli occhi penetranti come due aghi.-E poi qualcosa utilizza i gabinetti del ponte inferiore! - disse il magro -Quelli che sono stati

chiusi, e che nessuno usa mai! Ho sentito io, con queste mie orecchie, rumore di passi, e il suono dell’acqua che viene scaricata fuori...!

-Con quelle tue orecchie, schiantate dal rhum! - berciò Sendo -Passi? Lo sciaquone? E mi dite a che cosa servirebbe andare al bagno a un fantasma? !

-E-e tutto questo succede da quando...! - prese a gridare il ciccione, del tutto indifferente alle ben ponderate parole di Sendomir -Da quando è stata presa a bordo la ragazza-demonio!

-Sono spiriti, spiriti del deserto! - ribatté l’altro.-Anche la Tempesta era più furiosa del solito... gli spiriti, gli shai-tan dell’aria, ci hanno preso

di mira! Sendo non aveva tempo di pensare alle sciocchezze sputate da quei due, ma se anche gli altri

imbecilli della ciurma si fossero fatti venire gli stessi pensieri... che cioé Abit avesse portato gli spiriti sulla nave? ! Chi lo avrebbe sentito Barluga? E non perché allo scimmione importasse degli spiriti, ma perché non voleva rogne, e un equipaggio ammutinato per via delle superstizione era di certo una grossa rogna.

Di fatto aveva anche capito che cosa fossero questi “spiriti”. Non aveva parlato Abit di “amici”? Ayane e Alice, aveva detto. Due donne. E che cosa nascondeva Zeta in quei cesti che le aveva visto nascondere frettolosamente in cucina? Cibo, senz’altro.

Quei fantasmi erano molto terreni e materialistici! Sicuramente se Barluga le avesse scoperte, le avrebbe... no, scuoiate vive magari no, ma

essendo due donne...-Ho capito...! - disse allora Sendo -Mi occuperò personalmente della questione...! Le due canaglie sembrarono visibilmente sollevate; e Sendo pensò: “cosa sono quelle facce da

ebeti? ! Mi avete preso per un esorcista? ! E non sono nemmeno un membro di questa ciurma! Altro che risolvere! ”; però disse: -Ma quanti hanno sentito questi rumori, e hanno dei sospetti?

Il ciccione disse: -Noi, e gli altri del turno di notte...! Allora rispose: -Ascoltatemi bene: non parlatene con nessuno! Intesi? Lo sapete come è fatto

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lo scimmio... volevo dire, il capitano! Se questa storia arriva alle sue orecchie, le mascelle cominceranno a saltare!

I due poveracci si esibirono in rapidi cenni di assenso con il capo.-... mi occuperò io di questi... “spettri”, potete starne sicuri! - concluse, e si alzò, sperando di

poterli finalmente scacciare fuori del suo cubicolo.Quei due sembravano sul punto di dire qualcos’altro, ma Sendo li scacciò via con ampie

manate, badando bene peraltro di non toccarli troppo. La porta si aprì, e si richiuse subito dopo sulle loro brutte facce, con le bocche aperte per dire qualche altra manfrinata.

Sendomir si risedette. Fissò i pezzi scomposti della pistola, e siccome era ormai buio, accese la lanterna elettrica. Quelle due clandestine erano un grosso problema. Ma non si sentiva di infierire ancora su Abit: se avesse trovato un modo perché l’inutile mocciosa con le corna potesse entrare nelle “grazie” dello scimmione, forse la situazione non sarebbe precipitata in quella cisterna di liquame dove prometteva di finire, annegandoli tutti, lui compreso.

“Oro”: ecco la parola magica.Aprì il cassetto davanti a lui, sulla mensola, dove teneva il suo scatolotto con le mappe. Quelle

“cianfrusaglie” erano una delle poche cose che si può dire amasse collezionare. Anche “libri”, è vero, ma quelli erano molto voluminosi da portare in giro, e a Babilonia (nell’Impero Meccanico e nei Deserti) erano ormai una merce rarissima.

Le mappe erano vecchie, cenciose, ingiallite, di carta, di pergamena e di pelle di vitello. Con un vago odore di sandalo e di inchiostro, che poi colava sul fondo della scatola di legno, macchiandone gli angoli di blu notte. Le macchie erano state antichi percorsi carovanieri, nomi di paesi che sospettava scomparsi da tempo, e puntini che indicavano città in rovina, che parevano dover prendere vita sotto agli occhi.

E per Abit avevano davvero preso vita sotto i suoi occhi. Che fosse sul serio una Oni? Scacciò quel pensiero; dove aveva visto nella sua collezione di mappe, una carta che

sembrava una vera mappa del tesoro? Era totalmente falsa, ma sarebbe servita perfettamente allo scopo...

Improvvisamente dall’interfono (un tubo di ottone forgiato a forma di pesce abissale, che pendeva appena sopra il battente della porta12) venne un gracchiante raspare elettrostatico. E poi, con voce sonora e minacciosa: -Allarme! Emergenza! Ai vostri posti, bastardi!

La rude e violenta vociaccia di Shem! Sendomir balzò in piedi. Un incendio? Le clandestine? Una rivolta di maiali? Rapidi passi in

corsa, e un fracasso di piedi inguainati negli stivali, che risuonavano come rintocchi di grandine sui pavimenti di ferro del Kerberos, furono una prima rapida risposta.

Il brutto grugno del maiale fissò Alice con due occhietti porcini, ritirati e umidicci, a causa della lucetta che gli stava sparando diritto nella pupilla.

La bestia prese ad agitarsi, e altre sagome, più in là, nel buio, presero a muoversi. Alice si mise il dito sulla bocca e disse: -Sshht!

Il maiale pareva troppo assonnato per mettersi anche a grugnire, il che era una fortuna. Soprattutto se consideriamo quali fossero le intenzioni della bionda ragazza dal naso sporco. -Bel maialino, bella porchettina...! - disse a mezza voce, accarezzando la testa del maialetto, con un orribile ghigno stampato in faccia.

Nell’altra mano teneva un largo coltellaccio, che aveva giusto “preso in prestito” dalle cucine della nave.

Il maialino diede un timido grugnito, mentre Alice lo accarezzava. -No, no, non fare rumore... vieni con la cara Alice, bella porchetta! - disse, con tono “rassicurante”.

Infatti, non che quelle cose che trovava nella cesta (che mani misteriose lasciavano davanti al portello del loro nascondiglio, ogni notte) non fosse buono, commestibile, nutriente... ma vivaddio! , non si può mica mangiare solo “pane” tutti i santi giorni! E quel grugnire continuo di maiali le impediva anche di dormire, durante la notte: era un suo pieno diritto prendersi un quartino di chiappa, una bistecchina di maiale, una succulenta bracciola fresca, per ripagarsi?

12 Una volta il Kerberos era stato nelle mani di Markon il “mago”, che aveva un gusto particolare per le decorazioni a pesce abbissale, o altre idiozie del genere, e come risultato diverse parti della nave ora erano divenute barocche “opere d’arte”.

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Avvenne tutto in un attimo. Alice stava armeggiando intorno alla testa del maiale, cercando di non far svegliare tutto il branco, compresa la madre che verosimilmente era la grossa sagoma direttamente a destra, quando una sagoma nera balzò fuori dal buio, proprio alle sue spalle, menando un duro e nodoso bastone.

Alice colse il movimento con la coda dell’occhio e si schivò in tempo, evitando che la sua testa venisse spaccata in due come una polpetta. Ma il bastone andò diritto diritto a schiantarsi contro la sbarra di metallo che rinchiudeva gli animali nei box e diede un sonorissimo, alto e squillante, colpo di GONG.

In un attimo le bestie erano tutte sveglie e cominciò un concerto furente di grugniti, di pedate e di raschiare di zanne contro le pareti di ferro. I maschi erano in furia, le femmine roteavano gli occhi come impazzite, i maialini stridevano come anime dell’inferno! La lucetta che Alice teneva finì per terra, ma di colpo si accesero tutte le luci elettriche sul soffitto, e una voce cruda gridò, dal fondo della stiva tramutata in stalla: -Che succede qui? !

Nella luce improvvisa Alice si trovò a fissare non un grosso e brutto pirata, ma un ragazzetto grande come lei, con un bastone in mano e una zazzera di capelli che gli ricopriva gli occhi. Il ragazzo roteò il bastone e dimostrò una certa capacità nel farlo. Alice evitò alcuni colpi mortali, schivando a destra e a sinistra, rannicchiata per terra come una specie di scimmia, il coltello tenuto sotto il corpo. Il bastone si diresse diritto verso il suo stomaco e lei vibrò il coltellaccio nello stesso momento: acciaio inox e legno cozzarono violentemente e schizzarono via trucioli come schizzi di pioggia.

Alice sfruttò l’energia cinetica del colpo per proiettarsi indietro, ma la portata del bastone era ben più ampia di quella del suo coltello e un altro colpo arrivò da destra e dall’alto verso il basso. Alice si appiattì per terra, i capelli biondi che roteavano nell’aria come una coda di fuoco.

-Che succede? ! Chi è quella? ! - gridò un pirata, che stava correndo verso i due combattenti, una pistola in pugno, la faccia stravolta.

Alice gli diede una rapida occhiata; nel suo schivare e muoversi, che era un flusso continuo di movimenti, introdusse improvvisamente un balzo in avanti. Superò sulla destra il ragazzo armato di bastone e puntò diritto con il coltello scintillante sul pirata. Questi gridò, senza riuscire a decidere se sparare o... la ragazza prevenne qualsiasi sua ulteriore azione, sullevando la gamba. Il coltello era solo un diversivo: il pirata fissava ancora la lama, che Alice gli arrivò sotto e lo calciò precisamente sulla bocca dello stomaco con la piena pianta del piede. Il pirata andò giù come una mela cotogna che casca dall’albero e proprio la sua massa ingombrante si trovò di colpo in mezzo tra il giovanotto focoso con il bastone e Alice.

Alice indirizzò al ragazzo un’occhiatina birichina e lo lasciò là, piantato, con il suo bastone ancora in mano, impossibilitato a correrle dietro. Lei invece usò le sue magre e agili gambe per lanciarsi fuori dalla stiva con quanta energia aveva in corpo. Un gran frastuono di stivali in corsa, un grido dietro di lei... -Lassù! - gridarono vociacce di pirata, mentre balzava sulle scale metalliche.

Tornare da Ayane? Avrebbero scoperto il loro nascondiglio... doveva far perdere le sue tracce, ma era più facile a dirsi che a farsi, visto che stava su di una nave, una nave sospesa in cielo!

Svicolò un angolo, ed ecco una frotta di pirati con barbe malfatte, occhi come di fuoco, armi spianate. La fissarono per alcuni istanti, stupefatti. Il primo gridò: -L-lo spettro!

Il secondo esclamò: -Il ghoul! Il terzo colpì molto forte con il calcio della pistola in testa il primo, e berciò: -Una fottuta

clandestina! Addosso, pendagli da forca! La reazione dei pirati era stata troppo lenta e Alice era già fuggita nella direzione opposta,

correndo a quattro zampe come un grosso felino. Scale, nero ferro, tubature e bestemmie! Arrivò sul lungo corridoio e una porta inondò di luce la semi-oscurità. Per un istante vide un cespo di capelli neri, un volto stupefatto... ma non si fermò nemmeno un secondo.

Come poteva farsi vedere in quello stato, senza nemmeno un vestito pulito e decente addosso? !

Superò la porta come uno schizzo di luce, una saetta di capelli biondi, infilò il primo boccaporto verticale diritto sopra di lei, e si arrampicò su tubi e valvole come un ragno, come una scimmia arboricola. Ma appena sbucò di sopra (qualsiasi posto fosse “sopra”) un braccio grande

Page 96: La Canzone di Hourì

come una trave l’afferrò per la collottola e la scagliò a terra, mozzandole completamente il fiato.Si trovò a fissare un vago soffitto di tubi contorti, e la faccia incredibile di un uomo scimmia,

due occhi che sembravano la porta dell’inferno, la bocca la finestra per l’abisso. E questi gridò: -E che diamine di bestia sei, nano? !

“Nano”? ! Questo era l’insulto finale! Con le lacrime agli angoli degli occhi per il dolore, nella mente di Alice presero a bruciare candelotti di fuoco e sulle punte delle sue dita cominciarono a formicolare sottili fiammelle... ma d’un tratto erano balzati tutt’intorno pirati.

E venne riempita di calci e pugni con una furia bestiale.-Ghoul! -Spettro! E: -Basta, idioti! - risuonò un grido gigantesco. Chi era stato a gridare...? ! Aveva la testa

piena di botte e il cranio probabilmente fessurato di calci, il mondo girava vorticosamente.E con un occhio che già si gonfiava, tutto nero, le labbra sanguinanti e bozzi dovunque, fu

appesa a testa in giù, per una gamba, nell’aria fredda e negra all’albero di mezzana, tra le antenne radio. E ghignanti pirati la fissavano con facce demoniache da tutti i lati.

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Capitolo 15 Gioco di pugnali

-Io dico di scuoiarla viva! -E io dico prima di passarcela, questa mocciosa! -Silenzio, animali! - gridò Taruk, e tutti si ritirarono indietro -La punizione per i clandestini è

sempre la stessa, come stabilito dal “Codice”! E un vecchio pirata, che era sul Kerberos da tanto tempo che pareva essere quasi divenuto

parte del mobilio, assentì gravemente e disse: -Appesi per una notte all’albero, e poi abbandonati nel deserto, con una borraccia d’acqua e una pistola, con un colpo solo!

Era un bel guaio, si disse Sendo, che si sentiva sprofondato nella metaforica pozza del liquame fino alle ginocchia. Barluga non diceva nulla, era Taruk a condurre la situazione, e lui non aveva un buon rapporto con il secondo di Barluga, quel logoro, scuro, allampanato avvoltoio. Di solito Taruk lo evitava, come lui evitava l’alto e severo pirata: era uno di quei rapporti che cominciano con poche parole e finiscono con dirne nessuna, e cercare di avere a che fare con quell’uomo era come giocare a scacchi con una statua di pietra, e senza poter usare il cavallo e la torre.

-Con le botte che le avete dato...! - disse -Non supererà nemmeno la notte! Altro che lasciarla nel deserto con un colpo in canna! Tanto vale finirla subito!

La ragazza era vestita con uno sformato giaccone bianco (che era stato bianco, per essere precisi), brache spaiate, scalza, piuttosto sporca... girava immobile, con le braccia ricadute in basso, appesa per la gamba, come morta, intorno al baricentro del suo stesso peso. Da sotto la ciospa di capelli lunghi e sporchi si vedeva una guangia rossastra, mezza nera, labbra tumefatte, il naso sanguinante.

Non ci erano andati di mano leggera, quella banda di canaglie.-E cosa proponete di fare? - disse allora Taruk, rivolto a Sendo -Di ucciderla qui, sul posto? Lo disse come se fosse una constatazione, una proposta come le altre, come parlare del

tempo: “nuvoloso, oggi” oppure “ho male al ginocchio, gli uccelli volano bassi... verrà a piovere!”.-Cos’è tutta questa voglia di uccidere, scuoiare, appendere ai pennoni? - fece Sendo.-Fin dalla fondazione del mondo, questa è la pena per i clandestini... - disse, sicuro, torvo,

dannatamente nero, Taruk -... questa è una nave di pirati, saccheggiamo, rubiamo, ammazziamo: non diamo passaggi!

-Da che mondo e mondo...! - rispose Sendo -... i clandestini finiscono a pelare patate! Nessuno nella discarica la vedrà qui, appesa, e non sarà di esempio proprio per nessuno, se è questo l’obiettivo!

Taruk sorrise, di un sorriso asciutto, desertico. Senza alcuna allegria: era solo uno snudare di denti. -Se ci sono altri clandestini, vedendola così appesa, verranno fuori subito, risparmiandoci la pena di cercarli!

-Se io fossi un clandestino, non uscirei allo scoperto neppure per un sacco d’oro! - si sentì dal fondo, e forse era la voce di Ator.

Sendo fu quasi grato al tarchiato pirata, per quel commento, ma era a corto di argomenti. C’era una sola soluzione, per dire la verità. Dare mano alla pistola, puntarla in faccia a Taruk, e cercare di portare via il culo da quella situazione. Non era propriamente una “soluzione”, era piuttosto un suicidio, considerato anche il fatto che la pistola giaceva ancora in pezzi sul suo tavolo, in cabina.

In fondo al gruppetto, il pirata magro e brutto, disse: -Allora i fantasmi... erano delle clandestine!

-Senza dubbio! - rispose il suo compare, il pirata grasso -Sei stato uno sciocco, a credere a quelle storie sugli spettri!

-Ma se eri tu che avevi cominciato! - ribatté l’altro.Sendomir li sentiva con la coda dell’orecchio e sapeva che tra pochi secondi la situazione

sarebbe ulteriormente peggiorata. Perché anche Taruk li sentiva, come li sentiva lui, e quando si fossero messi a dire “... ma il signor Sendo aveva detto che ci avrebbe pensato lui...”

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Ma non riusciva a pensare a nulla di sensato.-Per fortuna che ti ho fermato, quando volevi andare a raccontarlo al signor Taruk! - disse il

grasso.-Sono io che ti ho detto di non farlo! - continuò inesorabile quello magro.E dentro di sé Sendo sentiva una voce distante continuare a ripetere quella stupida

canzoncina, di quando era piccolo:

Cinque scimmie si mettono le mani sugli occhimentre Jafar si infila nel pozzo;tre gattini miagolano disperatimentre Jafar cade nel pozzo!

-Oh! - esclamò invece il pirata grasso -Cos’è stato? ! Sendo si voltò a guardare, e assieme a lui anche Taruk. C’era qualcosa sul ponte? No, il

ciccione indicava il vuoto del cielo, l’aria al di là del Kerberos. Puntini luminosi saettavano nella notte, fiori di fuoco sbocciavano nel buio.

La notte dei deserti è per lo più assoluta; i centri abitati sono dispersi su migliaia di chilometri e le corazzate volanti che solcano il cielo sono le poche navi dei nobili... o le navi pirata.

-Che cosa può essere? Fuochi d’artificio? - disse il pirata magro.-È una battaglia, idioti! - gridò Barluga, colpendolo con tanta fuoria sul coppino da buttarlo

disteso per terra. E subito, smanacciando e imprecando, esclamò: -Leviamoci da questa rotta, Ator, Taruk! Non ho nessuna voglia di farmi traforare le chiappe da qualche proiettile vagante!

Taruk si era già mosso, verso il portellone, spingendo a calci la ciurma di poco disciplinati pirati.

-Ma... e cosa ne facciamo di quella donna? ! - gridò qualcuno, che non aveva rinunciato all’idea di una simpatica (dal suo punto di vista) ammucchiata di gruppo.

-Rimarrà a marinarsi all’aria fresca! - gridò Taruk -E adesso ai vostri posti, giù, giù canaglie! O appendo anche voialtri al palo, come tanti salami!

Nel parapiglia infernale che ne seguì solo un uomo rimase indietro. Non appena le grida e il vociare dell’equipaggio si smorzò e si disperse nel ventre della nave (il portellone era proprio una botola aperta proprio sul piano del ponte superiore, e i pirati erano scesi giù proprio come formiche che si rovesciano in un pozzo) Sendo pensò di udire persino i boati lontani della battaglia.

Qualcuno moriva, là fuori, in quella notte. Un fiocco rosso eruttò più in alto degli altri, simile agli spettacoli di fiamme della Montagna di Fuoco. Forse era stato centrato il motore di una grossa nave. Sendo aveva visto solo una volta una Magillu in fiamme... i detriti che scappavano riucchiati dall’aria, mentre il colosso inclinava il muso verso la terra. Le fiammate che esplodevano dalle spaccature sulla superficie, come getti di magma. Diede mano al coltello, mentre pensava ai marinai che per salvarsi dal fuoco si lanciavano fuori, nell’aria buia, nel vuoto.

Si arrampicò sull’antenna, che era fredda come l’abbraccio della morte, lasciando la pelle delle dita sul metallo opacizzato dalla brina. Tagliò appena la corda che teneva la gamba della ragazza e scese. La strattonò un attimo da sotto e la corda cedette. Le cadde addosso e l’afferrò al volo. Non pesava molto, era tutto ossa e vestiti, quella donnona.

I capelli biondi gli ricaddero in faccia e se li scostò rapidamente. Erano forse rari come le corna in testa, a Babilonia, ma anche Abit aveva i capelli giallicci: dentro alla città potevi trovare praticamente qualsiasi cosa!

Raggiunse rapidamente il portellone, balzò di sotto, il corridoio superiore, che passava sotto al ponte, era deserto, e come al solito, ben poco illuminato. Fece due passi e si arrestò di botto, perché dal nulla qualcosa di freddo e acuminato gli si era premuto contro la schiena. In poche parole, un coltello.

Si buttò d’improvviso in avanti e nello stesso tempo diede un calcio alle gambe del suo assalitore... o meglio, questa era la sua intenzione, perché dove avesse le gambe l’assalitore non lo sapeva per certo, e stava pure portando il peso morto della ragazza. E infatti la sua mossa non riuscì affatto.

Il suo calcio attraversò solo l’aria, sbilanciandolo ancora di più. Sarebbe caduto, come un pero!

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Con una torsione estrema del corpo riuscì a non cadere di faccia, ovvero addosso alla stessa donna che teneva in braccio, ma di schiena, dando così un botto sonoro! Stava trattenendo il fiato, per non farsi uscire l’aria dai polmoni, ma l’urto fu ugualmente duro e ancora prima che potesse reagire, era steso per terra, con una donna svenuta in braccio, e un’altra donna che gli premeva un ginocchio sul braccio libero e un coltello alla gola.

E Sendo disse: -Sono sicuro che possiamo discuterne in maniera civile! Gli occhi neri, ma al contempo di fuoco, della donna, che parevano luccicare al buio, non

sembravano avere intenzione di discuterne civilmente. -Cosa avete fatto ad Alice? ! - sibilò.-Non sono abituato a fare conversa...! Ah! - il coltello spillò una goccia di sangue dalla sua

gola -Se mi tagli la trachea parlerò ancora di meno! -Tu sei Sendomir... non è vero? - sibilò il risposta la pantera.-Sì, ma come fai a sapere che...! Ehi! - esclamò dolorante, quando quella torse il ginocchio

proprio sulla carne del suo avambraccio.-L’avete riempita di botte! - esclamò la donna.-Non io! - rispose Sendo -E ti vorrei far notare che sono quello che l’ha tirata giù dal pennone! -Proprio la riunione che si aspettava! - disse l’altra, in maniera del tutto misteriosa -Presto,

portami subito da Abit...! Dove la tenete rinchiusa? ! -Potrebbe essere una buona idea alzarsi, che ne dici? - suggerì Sendo, neutro.La ragazza lo guardò ferocemente, poi tolse il coltello dal suo collo e si alzò, sempre

fissandolo.Sendo avrebbe potuto ricorrere a svariate opzioni che avrebbero potuto portarlo a disarmare

quella vipera; ma ne valeva la pena? Se si fossero messi a lottare sicuramente i pirati li avrebbero sentiti, e addio al meraviglioso piano che si stava andando a formare nella sua brava testa.

-Seguimi! - disse allora, fingendosi il più mansueto dei bastardi di questo mondo. Prese di nuovo in braccio la donna svenuta, con delicatezza, e l’altra osservò: -Almeno ha avuto il suo “portata in braccio come una principessa”... peccato che non possa accorgersene...!

Sendo disse: -Ma che vai cianciando? ! -Cammina! - rispose bruscamente lei, puntando in aria il coltello.Sendo si incamminò, rapido, perché se qualche pirata li avessi sorpresi, sarebbe successo un

disastro. Non c’era bisogno di ricordarselo, ad ogni modo. Ma i pirati erano tutti corsi, sotto i calci di Taruk, a far smuovere il Kerberos da quella porzione di cielo, e infatti la nave prese a vibrare tutta e di colpo si inclinò di lato, cambiando rotta. La donna dietro di lui non se l’aspettava e perse l’equilibrio. E nonostante quello che si era appena ripromesso di fare, Sendo colse subito l’attimo.

Si girò scattando come un coltello a serramanico, e potendo usare solo i piedi, mirò con un calcio alto alla mano che teneva il coltello.

Ora, quando si maneggia un coltello, un pugnale, o un’altra arma corta del genere, sono necessarie almeno due requisiti: sangue freddo, perché le distanze devono essere chiuse in un attimo, e distrarre al contempo l’avversario da ciò che si tiene in mano. In un secondo il nemico si troverà la gola tagliata, o la lama piantata da sotto in su nelle budella, senza aver capito da dove sia arrivato quel freddo pezzo di metallo.

E quella donna le aveva tutte quelle qualità. Perché quando Sendo era a metà del suo colpo, la donna era scomparsa dal suo campo visivo. Un rapido movimento a destra... come aveva fatto ad essere al suo fianco? !

Si era forse spinta contro la parete, nel momento stesso in cui vi cadeva contro, usando come una catapulta il movimento della nave?

“Ci sa fare, questa donna! ” pensò Sendo, fulmineamente, mentre la ragazza compariva di colpo dentro alla sua guardia. Gli buttò in faccia la propria schiena, e Sendomir capì che stava nascondendo il coltello con il suo corpo, e avrebbe cercato di pugnalarlo al basso ventre. Sia perché era più bassa di lui... sia perché c’era l’altra donna, in mezzo, tra loro due, che teneva ancora in braccio.

Sendomir era disarmato; con il calcio ancora fermo a mezz’aria saltò su di un piede solo, cercando di guadagnare spazio, e quindi indietro. Ma la donna era come un serpente e gli rimase

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incollata. Il pugnale stava certo saettando, tenuto al contrario, proprio sotto il filo della schiena della svenuta... poteva scagliare la donna addosso alla sua assalitrice, ma Sendo non voleva fare del male a nessuna delle due.

C’era una sola cosa che poteva fare...!

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Capitolo 16 I coltelli tacciono

Umiliata, confusa e decisamente arrabbiata, Ayane fissò con odio inarrestabile la schiena dell’uomo, mentre dava due calci alla pesante porta blindata.

E da dentro venne una sottile voce: -Sei tu, padrone? -Apri subito! - esclamò il maledetto uomo.La porta si aprì, appena uno spiraglio, e gli occhi rotondi e vuoti della donna artificiale

sbirciarono fuori.-Che ti prende? ! - fece l’uomo -Fammi entrare! -Hai deciso di venirmi a trovare? - rispose, atona, la donna androide; ma Ayane percepì nella

voce apparentemente inespressiva una certa minaccia -Padrone, ti devo ricordare che divido la stanza con una giovane ragazzina?

Sbottò Sendomir -Cosa ti credi che sia venuto a fare? ! La doll fissò la ragazza svenuta che il “padrone” teneva tra le braccia, e con faccia sempre

immota disse: -Capisco: pensavo che il padrone avesse finalmente deciso di tornare a trattarmi come una donna, ma vedo che è troppo occupato a portare in giro altre ragazze svenute... - disse, neutra.

-Fammi entrare, per la barba di Iblis! - berciò Sendo, che aveva finito tutta la pazienza.La doll si fece allora finalmente da parte e aprì la porta.Ayane sentì la voce nota di Abit, che diceva: -Che succede, Zeta? Anche Ayane entrò, e la vena sulla sua tempia, ingrossata e pulsante, prese a pulsare ancora

più forte, minacciando di scoppiare. La stupidissima ragazzina, ben lungi dall’essere in un bagno di lacrime, disagiata (come per esempio, due donne a caso, costrette a stare tre giorni a fare la muffa in una dannata stiva pirata) e infelice, era là fresca, satolla, vestita con un pigiama frou frou (di fattura austriaca), piuttosto largo sul petto (e in tutti gli altri compartimenti, a dire il vero), con la spazzola in mano, che sagomava la stupida bocca in una grande “O” di sorpresa.

-Ayane! - esclamò -Oh, come sono contenta! Sei venuta a trovarmi? ! Ma che cosa è successo ad Alice? !

Ayane chiuse la porta dietro di sé, fissò la Oni con occhi che avrebbero fuso il burro in un congelatore, e sbottò: -“Trovarti” un cavolo! Libera quel letto!

Abit scattò come un soldatino sorpreso con gli stivali sporchi: mollò la spazzola e corse a togliere dal lettone la massa di cianfrusaglie che vi erano sparse sopra (per lo più il contenuto dei bauli di Barluga). Sendo distese delicatamente Alice sul letto libero e fissato sia Zeta che Abit (che lo guardava spaventata, ma non di lui, bensì di Ayane), e la stessa Ayane, mise le mani sui fianchi, e disse: -Ora, state ferme qui...!

-Con il cavolo! - urlò Ayane.Lo stupido, nefando uomo la guardò, e poi con occhietti ridotti a fessure, disse: -E dove

vorresti andare? -E tu, invece, dove vorresti scappare? - rispose infuocata lei.-A raccogliere la mia roba... - rispose, secco, Sendo -... soprattutto pistola e fucile: e preparare

una di quelle lancie, o scialuppe, come vuoi chiamarle... o vuoi aspettare qui che venga lo scimmione, per chiederti se la cena era di tuo gradimento, e se preferisci il deodorante al sandalo o alla menta in bagno? !

-Ce ne andiamo? - strillò Abit.-E tu che cosa centri con noi? ! - gridò nello stesso momento Ayane.Sendo ignorò entrambe, e rivolto a Zeta, disse: -Metti insieme la tua roba e... - la fissò

decisamente -... e non fare quella faccia: non è questo il momento per essere arrabbiata! La faccia dell’automaton doll era del tutto liscia, inespressiva.-Cerca di fare qualcosa per le botte di Alice! - disse lui -Si chiama così, no? Quando saremo in

salvo, puoi anche prendermi a pugni, calci, a morsi... versarmi zuppa bollente nei pantaloni, quello che vuoi, ma adesso siamo con le chiappe sulla graticola, hai capito?

-Ne devo presumere che stiamo per abbandonare la compagnia dei signori pirati? - osservò

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Zeta.-Già, e non saranno contenti! - rispose Sendo, e senza frapporre ulteriori indugi, né aspettare

altre risposte da Ayane o Abit, uscì di filato. Chiuse la porta con un sonoro CLANCK, ma poi la riaprì subito e rivolto a tutte e tre, sibilò: -E per l’amor di Dio, state qui ferme, in silenzio!

Ma improvvisamente la doll fece un passo avanti, e toccandogli un braccio, lo bloccò, e disse: -Padrone, stai attento questa notte!

Sendo disse: -Cosa dici? Attento a che cosa, allo scimmione? La doll non rispose, ma lo fissò con gli occhioni inespressivi (e vagamente imploranti).-Che problemi avete, voi donne? ! - imprecò Sendo e uscì sul serio, sbattendo la porta.Ayane, che non aveva nessuna intenzione di stare là a fare la bella statuina, si volse con tono

pratico a Zeta, e disse: -C’è una cassetta per il pronto soccorso? Zeta la fissò come se dovesse farle un ritratto, pur rimanendo un pezzo di gesso inespressivo.

E riscuotendosi da una specie di immobilità che l’aveva colta dopo quello strano discorso, disse: -Affermativo: ce ne sono nella cassa sopra l’armadio, signora...

-Ayane, mi chiamo Ayane! -Allora provvederò, signora Ayane... - rispose -... a completare l’ordine del padrone, curando le

ferite di questa... - esitò, prima di dirlo, come se non fosse sicura che fosse il termine giusto -... donna!

-Aspetta! Lo sai fare? Zeta si alzò in punta di piedi a prendere la cassa dei medicinali, e intanto disse: -Sono in grado

si cucinare, cucire, rammendare, fare conversazione, suonare e cantare, nonché prestare primo soccorso a feriti di varia natura; ho anche ricucito il padrone, una volta, quando si era squarciato la schiena a causa di una scheggia vagante!

-Ricucito? - fece Abit, fissando preoccupata Alice, sempre incosciente, non osando avvicinarsi neppure -Con l’ago e il filo? !

-Esatto! - rispose Zeta, con la cassa in mano.-Ma le bambole si ricuciono con il filo, non le persone! - esclamò la Oni, completamente

terrorizzata.-Via! - esclamò Ayane, scostando con impazienza la mocciosa di mezzo -Ora vediamo cosa

fare...! Zeta portò la cassa ai piedi del letto e sotto gli occhi acquosi di Abit scoprirono il povero corpo

di Alice. Oltre alla faccia tumefatta aveva tutte le costole già nero-viola, come la tavolozza di colori di un pittore decadentista, che dipinge solo nature morte.

-Cani pirati! - sbottò Ayane.Zeta toccò con il dito il costato di Alice. -Non ha le costole rotte... - disse.-E tu come fai a dirlo? -Sono una automaton doll, ho diversi “sistemi” integrati per...! -Va bene, va bene! Ma guarda come l’hanno ridotta! -Ma che cosa è successo? ! - si intromise Abit, che non sapeva più dove mettere le mani e se

le torceva come se stesse impastando il pane.-Che questa stupida...! - prese a berciare Ayane, mentre cercavano di frizionare e tamponare

le ferite di Alice -È uscita di soppiatto mentre dormivo, dal nostro nascondiglio... per andare a mangiare uno dei maiali!

-Intero? ! - strabuzzò gli occhi Abit.-Non è questo il problema! - gridò Ayane -E ovviamente l’hanno beccata e riempita di botte!

L’hanno anche appesa a un albero del ponte superiore! -Mio dio! - esclamò Abit -E l’hai salvata tu, Ayane cara? ! -No, quel Sendo...! - rispose, asciutta, Ayane.Abit lasciò trascorrere alcuni secondi, e poi disse: -Ma allora avete fatto amici...! -ASSOLUTAMENTE NO! - gridò Ayane.-Eh? ! Ayane ribolliva. Maledetti uomini! -L’ho minacciato con il coltello...! - disse, sotto lo sguardo fisso di Zeta, mentre bendavano

Alice -Ma quella serpe ha cercato di colpirmi, approfittando di una manovra di questa stupida

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baracca volante, e...! -E poi che cosa è successo? ! - fece Abit.Ayane sentì il sangue salirle violento al volto. -E stavo per accoltellarlo, ma...! -Come! E perché dovevi accoltellare il signor Sendo? ! - strillò Abit -Ayane, non si fanno

queste cose! Ayane si distolse un attimo dal suo lavoro, e voltasi a fissarla, disse: -Abit, come sarebbe? !

Devo prenderti a pugni? -Ma il signor Sendo è un amico! -Tu sei amica di tutti, animali, uomini, anche degli oggetti inanimati! -Ma perché ti arrabbi tanto? - fece la povera Oni, coprendosi la testa con le mani, come se

effettivamente la ragazza le stesse rovesciando un secchio di insulti solidi addosso.-Perché...! -Perché...? Il coltello nella sua mano destra, che correva diritto proprio in mezzo alle gambe del

maledetto uomo. Non poteva bloccarla, anche se avesse avuto le mani libere. Gli avrebbe trafitto una mano, tagliato un dito, squarciato il braccio... lo avrebbe comunque reso inoffensivo! Ma improvvisamente il dannato aveva mollato Alice e il suo braccio era saettato verso Ayane...!

-Il mio...! - disse Ayane, fermandosi a metà.-Il tuo...? - fece Abit, con il dito in bocca.Il maledetto uomo le aveva strizzato con tutta la larga mano il “posteriore”! Ayane, colta

completamente di sorpresa, aveva gridato come una verginella sorpresa a fare il bagno da un bruto e aveva perso persino il coltello. Si era voltata con occhi di fuoco contro l’uomo e quell’idiota sorrideva!

Zeta la fissava con occhi acquosi. Abit tirò su con il naso, e disse: -Il signor Sendo è pieno di risorse!

Zeta rispose: -Il padrone trova sempre soluzioni inaspettate! Ayane esplose: -Questa vostra discussione mi sta facendo impazzire! Datemi una mano a

girare questo pesce lesso! Si riferiva, ovviamente, ad Alice, ma in quel momento con un singulto e una colpo di tosse,

Alice tornò improvvisamente al mondo dei vivi e saettando gli occhi in giro per la stanza, gridò: -I maiali! Dove sono i miei maiali? !

Abit la abbracciò, strappandole un grido di dolore. -Alice! Cara! - esclamò.-Abit! Che cosa succede? - rispose quella -Mi sento tutta un livido! E cosa ci faccio, così

conciata, che sembro una mummia? Ah, è vero, i pirati mi hanno riempito di botte! Ma dove sono?

Ayane fece per rispondere, quando la nave diede un violento scarto a sinistra e rischiò quasi di finire a gambe all’aria. Zeta cadde in avanti e rovinò addosso ad Alice.

-Cosa diavolo fanno, con questa nave? ! - esclamò Ayane, abbarbicata al mappamondo inchiodato nel pavimento.

-Precipitiamo? ! - esclamò Abit.Rispose allora Zeta, impassibile: -Manovre di evasione, giovane Abit!

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Capitolo 17 La Gazzella ferita

Ator, a gambe larghe davanti al timone, diede un colpo secco alla barra, e gridò: -Non riusciremo ad evitarli! Sono diritti sulla nostra rotta!

-Ator, figlio di una buona donna! - gridò Barluga, in piedi, con i denti snudati -Non sai più come si manovra una nave? Cosa sono queste manovre da femmina? !

-Capitano! - gridò Shem -Abbiamo la stiva piena di maiali! Non possiamo imballarli come delle casse... se facciamo una manovra troppo secca rischiamo di precipi...13!

La voce secca di Taruk lo interruppe: -Anche il capitano lo sa, signor Shem! Si sta solo sfogando: e ad ogni modo il signor Ator dovrebbe essere in grado di condurre manovre anche peggiori, non è vero?

Ator ridacchiò. -In fondo quei proiettili non erano diretti a noi! - esclamò -Sparano come dei dannati, quelli là dietro! - indicò con la testa il buio, dietro la scia rossa di fuoco che si stava avvicinando da babordo, veloce come una cometa -Non si preoccupano neppure di dove vadano a finire i loro colpi!

-Uno di quei colpi a casaccio ci ha quasi traforato! - disse Shem -Se avessero mirato, cosa sarebbe successo? !

-Che avremmo ballato un pò di più! - rise Ator.-Cosa fanno quegli idioti? - tagliò corto Barluga -Ci stanno venendo praticamente addosso!

Sarebbe buona norma precipitare per i fatti propri, senza fare tutto questo casino! Non terminò la frase. Sul ponte comparve un trafelato Sendo, con un bozzo sanguigno in

fronte, che gridò: -Si può sapere che state facendo, quassù? Mi si è quasi aperta la testa in due, a forza di sbattere contro le pareti!

Taruk indicò la Magillu in fiamme, che stava sfrecciando praticamente quasi al loro fianco. Un’altra bordata di lampi bianchi attraversò il cielo. Due superarono la Magillu ferita, uno, completamente fuori mira, passò il muso del Kerberos di non più di una trentina di metri.

-Woa! - gridò Sendo -Sparano anche a noi? -No, hanno solo una pessima mira! - rispose Ator -E non credo che quella Magillu segua noi

apposta, capitano: devono aver perso completamente il controllo! Taruk sollevò il cannocchiale e, postosi davanti al finestrone, fissò lo sguardo sulla cometa in

fiamme. -Molto vecchio stile, signor Taruk! - commentò Ator.-Non avrei bisogno di usare questo affare...! - rispose quello -Se la strumentazione di bordo di

questa bagnarola funzionasse ancora! - e poi, dopo un attimo, disse ancora: -Susa! Quel rogo volante porta gli emblemi di Susa! È una nave reale, per giunta!

Barluga imprecò: -Non voglio essere coinvolto di più del necessario in questo casino! Girate la prua dall’altra parte, e...!

Ma Sendo, che si stava massaggiando il cranio ferito, improvvisamente ebbe un luccichio negli occhi, ed esclamò: -Aspetta, scimmione!

-Aspettare che cosa? - berciò la grossa scimmia -Lo sai che casino c’è sotto... abbattere una nave reale! Questo fottuto accidente puzza di guai Imperiali!

-Proprio per questo! - esclamò Sendo, facendo un passo avanti -Innanzitutto quelli di là che stanno sparando, ci hanno notato... non è che possiamo dire “non ho visto nulla”!

-E secondo me... - fece Shem, cupo -... non passeranno molti secondi che non decidano di farci chiudere gli occhi per sempre!

-Giusto! - rispose Sendomir -Ma ti ricordi, vecchio pirata, del perché te ne puoi andare in giro liberamente sul tuo catorcio, sicuro che una corazzata imperiale non ti usi come bersaglio per il tiro al piattello?

-“Lettera di corsa”... - mormorò Taruk.La famosa “lettera di corsa” era un speciale documento. Molto tempo fa i pirati erano saliti dal

mare al cielo. Si procuravano con il furto violento e la rapina le navi Magillu a spese

13 Per gli antichi velieri uno dei motivi principali di affondamento era appunto il rovesciarsi caotico e violento del carico non ben assicurato dentro alla tempesta, che spostava in maniera irrecuperabile il baricentro della nave, facendola ribaltare.

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dell’Imperatore, e poi allegramente saccheggiavano i suoi porti, le sue navi mercantili, le sue oasi, ed erano diventati un problema molto gravoso. Nel frattempo l’Impero doveva impiegare tutte le sue risorse nella guerra contro l’allora fiorente Impero Bizantino (che si era alleato con la famosa “lega di Balmung”, cioè quasi tutti i paesi del nord); se avesse potuto impiegare tutte le sue risorse contro i pirati, l’Imperatore avrebbe avuto ragione di quella marmaglia in poco tempo, ma non poteva semplicemente farlo. E allora il Grande Sacerdote, l’uomo più saggio dell’Impero, suggerì: se la pirateria fosse stata dichiarata “legale” i pirati avrebbero potuto menare le loro chiappe sporche su di una corazzata volante a patto che non saccheggiassero il loro stesso paese, ma quello dei nemici. In poche parole, facessero tutte le loro attività ladresche e violente, ma su Byzanthium e le navi di Balmung.

I pirati però hanno vita breve e sono rapidi a scordarsi le loro promesse. Perciò le “lettere di corsa” non si attribuirono a un uomo, ma a una nave. Barluga ne possedeva ovviamente una che risaliva, macchiata e consunta, a quasi duecento anni prima: il Kerberos, in quanto tale, era il “soggetto legale” depositario della lettera. Mai i burocrati Bizantini avrebbero pensato che le loro fini dispute legali, i loro sottili giochi di parole, sarebbero stati usati contro di loro, per creare un nemico formidabile, un nemico che non conosceva bandiera, fedeltà, che incendiava e distruggeva qualsiasi nave, porto o fortezza, soltanto per la brama dell’oro!

E dopo la lunga guerra, i pirati non avevano smesso di saccheggiare e menare quelle loro chiappe in giro per i cieli, anche se erano ormai diventati quasi folklore, gentaglia che cercava tesori dentro a rovine perse nelle giungle, si arrischiava in sortite sulle rotte del Mare delle Luci Oscure a sorprendere navi Frisiane o Austriache, o a “commerciare” i rifiuti di Babilonia, come Barluga

Ma cosa intendeva dire Sendo, in questo particolare momento? Barluga, per quanto uno scimmione, aveva capito. Perché la lettera, se dava la libertà ai pirati

di andare dove volevano, comportava anche degli obblighi.E infatti esclamò: -Non ho obbligo di assistere una nave imperiale! Per quanto ne so,

potrebbero essere Atriani, o le stesse maledette navi dell’Imperatore, che sparano da laggiù! -Ma non dire sciocchezze! - esclamò Sendo -La guerra tra Susa e Hatra è finita...! E ci

sarebbero bandiere sventolanti, non sorci nascosti nel buio, che sparano a casaccio, per paura di farsi vedere! Quella laggiù è marmaglia come noi, che probabilmente viene pagata molto bene... ma non verrà pagato altrettanto bene, se non meglio, quel pirata che dovesse salvare la vita di un pezzo grosso di Susa?

Shem disse: -Odio ammetterlo, capo, ma il dannato uomo non ha tutti i torti! E Taruk aggiunse: -Erano insegne reali, quelle... io credo che quel tizzone infiammato sia la

“Gazzella di Susa”, la nave del Re in persona! E allora Barluga diede un pugno violento su uno dei quadri del ponte di comando, e gridò:

-Siete tutti contro di me! E va bene, bastardi! Andiamo a mettere della polvere nera in culo a quei sorci dalla pessima mira! Forza, branco di smidollati!

Ator sorrise malignamente: -Maiali o non maiali, farò ballare questa signorina! -Sendomir! - ululò Barluga -Occupati del cannone! -perché io? - sbottò Sendo -Da quando sono un tuo sottoposto? -Da quando mangi a sbaffo sulla mia nave! - replicò.-La torretta principale... - cominciò però Shem -... è ancora scollegata dal quadro comandi...

bisogna operarla ancora manualmente! -Al diavolo questa bagnarola! - gridò Sendo -Mandatemi due uomini alla torretta! - e

voltandosi e correndo giù per le scalette che scendevano dal ponte di comando, scomparve come uno sbuffo di fumo.

-Perché mandi quel cane, a fare questi lavori? - chiese Shem.-Perché è l’unico di voi marmaglia ad avere l’occhio come quello di una lince...! - sbottò

Barluga -E sa come si usa un maledetto cannone! E adesso avanti, non perderò il mio pessimo umore, finché non vedrò uomini saltare in aria! E chissà che questa volta ci guadagnano sul serio qualcosa sopra!

-Agli ordini! - gridò Ator, girando tutto il timone, con un sogghigno orrendo, e puntando bruscamente la punta del Kerberos contro la notte alle spalle della scia di fuoco lasciata dalla

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Gazzella di Susa.La voce di Taruk gracchiò per tutta la nave: -A tutti gli uomini, ai posti di combattimento! I pirati si guardarono in faccia l’un l’altro, e un ghigno molto simile a quello che era comparso

sulla faccia di Ator si disegnò anche su quei volti da capestro. Si rammollivano, come datteri in acqua, a trasportare maiali o immondizia, ma se si trattava di abbordaggi, assalti e fatti sanguinosi, era tutto un altro discorso. Erano pur sempre pirati!

Sendomir passò attraverso un gruppo di omaccioni, e gridò ai due più grossi: -Bat, Sek! Venite con me! C’è da lavorare di cannone!

I due energumeni misero su una atroce spaccatura in mezzo alla faccia, che doveva essere un sorriso. Bat era grosso, calvo, con una bandana intorno al cranio, e proveniva dalle isole lontane, a sud dell’Ind, dove sono tutti cannibali. Sek era un nero, ex schiavo, che si era guadagnato il posto sulla nave dopo aver spezzato il collo al suo precedente proprietario, cioè, in senso lato, un sergente di marina, perché era impiegato come uomo di fatica ai pezzi su di una Magillu imperiale.

Sendo fece strada, fino al portello che faceva accedere ai pezzi. Siccome il sistema di comando dei cannoni del ponte di comando non funzionava, come quasi tutto in quella bagnarola, si doveva accedere a una delle due torri rotanti, che montavano cannoni “Gilgamesh” da 150 mm14, e operare da quella postazione.

Aprì il portello della prima torretta. L’odore si polvere e di olio lubrificante gli venne incontro, lo avvolse. Quasi si sentì a casa, come quando era un soldato. Sotto la cupola della torretta c’era la postazione di tiro, con la sedia per i comandi manuali e la plancia. Accese i relè e girò la chiave; la corrente elettrica riempì i quadri del pezzo. Con un sottile svaporio elettrico emerse dalla plancia un rettangolo verdastro, un segnale trasparente, sospeso per aria, dove cominciarono a disegnarsi linee e numeri.

Sotto di lui si apriva un pozzetto, che si illuminò di una forte luce elettrica: i due giganti, Bat e Sek, si infilarono là dentro. Infatti le due canne andavano caricate dei proiettili manualmente, e proprio a questo servivano i due pirati, che si indaffararono subito a riempire il montacarichi15 di proiettili e cariche.

Sendo regolò le prime impostazioni sul monitor e, afferrato il corno di metallo al suo fianco, che, disegnato in stile barocco, non era altro che il comunicatore. -Lassù! - esclamò -Sono in posizione! Passatemi le coordinate!

Il Kerberos stava puntando veloce come una scheggia, fendendo in due la notte, verso tre sagome nere che saettavano là davanti, in bilico tra la sagoma della mezza luna e il pennacchio distante della Montagna di Fuoco. Saette bianche, tre, quattro, urlarono nel vento a destra e a sinistra, questa volta il bersaglio era il Kerberos. Taruk fissò lo sguardo attraverso il binocolo, che nel visore gli restituì numeri di velocità, angoli e altitudine.

-Sono tre vascelli: il primo a tribordo, a due minuti! Velocità relativa... 15 nodi! - esclamò.Sendo infilò l’occhio nel telescopio, posto proprio al centro della massa della strumentazione

della torretta. Inquadrò vagamente il punto di spazio nero che le coordinate di Taruk gli aveva urlato, ma ora doveva individuare il punto preciso... la torretta si mosse sui suoi pistoni e ghiere, girò dell’angolo giusto, le due canne si sollevarono e si allinearono, con sonoro schianto metallico, alzo 15 gradi.

E Sendo con l’occhio strizzato individuò il fiorire di un colpo, bianco lampo, schizzare dal buio, e nel lampo vide la sagoma di un leggero incrociatore, che teneva anche le luci di posizione spente, per non farsi puntare. Ma Sendo gridò: -Caricate!

-Caricato! - gridò Bat.-Pronto al fuoco! - gridò Sendo, al ponte di comando.Pochi secondi, prima che la nave tornasse nel buio, nel lampo che si spegneva, e cambiasse

rotta! -Fuoco! - gridò la vociaccia di Barluga direttamente nelle orecchie di Sendo. Ma Sendo aveva

già premuto il grilletto.

14 Un calibro più grande renderebbe pericoloso sparare da un vascello di basso tonnellaggio come il Kerberos, perché il peso del cannone sa-rebbe eccessivo, e il rinculo minerebbe seriamente la stabilità della nave. Le grandi corazzate imperiali infatti montano cannoni di media sui 350 mm, anche se la più recente nave, la “Vendetta dell’Imperatore”, monta mostruosi cannoni da 460 mm.

15 Il sistema automatico meccanico che fa salire il necessario per il tiro nelle canne era ovviamente non funzionante.

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Le due canne risuonarono come una campana e una colonna di fiamma per canna esplose in aria. I proiettili fischiarono come serpenti, attraversarono il cielo come comete, e la notte divenne silenziosa. Sendo contò 1, 2, 3, 4... i secondi nei quali i proiettili attraversarono lo spazio.

E poi un urto, una sagoma nera sprizzò scintille e si piegò sotto il colpo. Una colonna di fuoco si alzò nel mezzo della notte e l’incrociatore rimase per qualche secondo sospeso in aria, illuminato a giorno dal fuoco. Ma subito dopo si inclinò in avanti, come una sedia a dondolo, dopo essere stato spinto indietro dalla forza del colpo, ed esplose in una palla di fuoco.

Taruk tolse finalmente il binocolo dagli occhi, e disse: -Le altre due navi si sono ritirate...! -Di solito non occorre sparare nemmeno un colpo! - rispose Ator.Barluga si sedette, o meglio, si lasciò cadere, con un sonoro schiocco, sul suo seggiolone di

comando, e disse: -Dipende da chi è il loro capitano... probabilmente preferivano saltare in aria, piuttosto che vederselo di fronte!

Suonò l’interfono e Taruk sollevò l’apparecchio. -Che succede? -Signore! Abbiamo un problema...! -Con cosa? ! -I maiali signore... con tutto quel ballare... qui sta scoppiano un casino! -Al diavolo i maiali! - esclamò Barluga -Signor Ator, gira la nave, e vai dietro a quel forziere di

soldi incendiato... e spero per tutti che sia pieno di soldi, questa volta! -Speriamo che non bruci prima! - gridò Shem -Guardate che fiammate! La Gazzella ferita caracollava sempre più bassa nel cielo, in linea retta di fronte a sé. Il

Kerberos affannò i suoi motori all’inseguimento, ma cosa avrebbero fatto i pirati, per salvare il loro potenziale guadagno?

(Con questo, pensò poi Sendo, questa bagnarola dovrà per forza fermarsi, e qualcuno dovrà pur sbarcare...! )

E ripulendosi la faccia dal nero fumo che lo aveva fatto diventare come un Saimat schivò altri due pirati, che gridavano per i corridoi: -Bel colpo, signor Sendo!

-Sì sì! - rispose lui, evitandolo i loro tentativi di abbracciarlo, stringergli la mano e tutto il resto.

Corse velocemente verso la stanza del capitano, che in quel momento, all’insaputa di tutti, era divenuta il paradiso delle donne.

-Zeta, Zeta! - disse, bussando -Sono io! La porta si aprì subito, questa volta. D’un tratto gli venne in mente che forse non era una

buona idea lanciarsi dentro così disarmato. Quella Ayane poteva essere là in agguato con qualsiasi tipo di arma in mano!

Ma Ayane non era in agguato dietro la porta. Zeta, l’inespressiva automaton doll, balzò invece su di lui come un predatore delle steppa e ficcando le sue piccole bianche mani nelle sue, lo fissò con un diretto sguardo dei suoi grandi e vuoti occhi diritto in faccia.

-Che... che cosa succede? ! - esclamò Sendo.-Padrone, ti prego, salva la ragazza! - disse Zeta, con addirittura una nota di vago calore nella

voce.-La ragazza? ! - fece lui -Quale ragazza? ! - e sollevò lo sguardo e interrogò senza parlare le

altre tre donne presenti.Quella dagli occhi di fuoco disse: -Ha cominciato improvvisamente a tenersi quelle sue

orecchie di plastica! E a dire... che la “ragazza” stava soffrendo...! Disse quella con il solo occhio d’ambra: -Sendo, Zeta cara sembra così preoccupata, non l’ho

mai vista così! La donna dagli occhi blu, invece, distolse immediatamente lo sguardo da lui e si avvoltolò di

fretta nella coperta, perché era ancora mezza nuda e bendata come una mummia.A Sendo parve che un vago ricordo si accendesse da qualche parte in fondo alla sua mente,

ma l’automaton doll tornò subito all’assalto, spegnendo la lucetta della memoria come soffiandoci sopra.

-Le fiamme stanno per divorare tutto! - esclamò Zeta.Un pensiero attraversò la mente di Sendo. -Vuoi dire sulla corazzata in fiamme? !

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Zeta fece un segno di assenso, il volto impassibile, e per questo motivo ancora più urgente.Sendo non le chiese “come fai a sentire da qui”, ma disse invece: -Abbiamo guadagnato del

tempo; potremmo avere una buona occasione per fuggire, quando il Kerberos atterrerà! -No, padrone, tutto questo non ha importanza! La principessa Hourì è importante, adesso! -

rispose Zeta.-La principessa... Hourì? - esclamò Sendo -E io dovrei saltare su di una Magillu in fiamme che

sta per schiantarsi, per salvare questa principessa? Con tutte le principesse che ci sono al mondo? Proprio io? Adesso? !

Zeta non disse altro, ma lo fissò, e i suoi occhi vuoti erano invece pieni di luce, e di scie elettriche.

Allora Sendo sbottò: -Che diavolo! Possibile che voi altre dobbiate mandare sempre all’aria tutto quanto?

-Che dici? - esclamò Ayane, che non comprendeva affatto quello che stava succedendo.Sendo mollò le mani di Zeta e si volse verso la porta, e disse: -State chiuse qui dentro, e se...

viene qualcuno, sparategli! Abit allora sentì un forte colpo nell’occhio bendato, e Maruru si agitò in preda a un’agitazione

e a una furia crescente. E senza sapere bene perché, fece un balzo in avanti e disse: -Vengo anch’io signor Sendo!

-Cosa? ! - urlò Ayane -Hai preso un colpo su quella tua stupida testaccia? ! Abit disse: -Sento che è importante! Sendomir fissò lo sguardo sulla mocciosa e rispose a sua volta: -Va bene, ma muoviti! Abit rispose raggiante: -Sì! - e si stava per infilare su di una dannata Magillu in fiamme! Incurante che l’uomo fosse là a guardarla fece volare per aria il pigiama e come un piccolo

tornado si era già infilata maglia, short e scarponi.-Non se ne parla nemmeno per sogno! - gridò di nuovo Ayane, ma Zeta la bloccò e prima

ancora che potesse fare un passo, la porta si era già chiusa dietro a Sendo e alla stupida Oni.-Mollami! Quella scema si farà ammazzare! - gridò la ragazza.Ma anche da dietro una mano l’afferrò per la spalla, e aveva la forza come di una morsa.

-Lasciala andare! - disse Alice.-Lo sapevo che non potevo fidarmi di te! - ruggì Ayane -Lo capisci in che situazione siamo? A

questo punto l’idea di quel maledetto uomo era la migliore! Che vi è preso a tutte quante? ! -Abit è sopravvissuta per anni da sola a Babilonia! - esclamò Alice -E c’è Maruru! Lo sai che

se la caverà meglio di noi! Ayane era senza parole, anche perché la sua faccia diceva: “non è di questo che mi sto

preoccupando! ”Ma Alice guardò ancora Zeta, e disse: -È importante, vero Zeta? Lei mosse il capo.-Si dice che la automaton doll... - disse dunque Alice -... abbiano dei sensi così potenti che

possano sentire anche il destino, e lo svolgersi della conocchia delle Parche! Se lei dice che è importante, deve esserlo sul serio!

-Ma che idiozie andate dicendo? ! Che cosa può saperne... questa doll? ! - berciò Ayane.Alice rispose: -Quali erano le probabilità che Abit giungesse al mio rifugio, nel buio? O che tu,

prima, la incontrassi, Ayane? E che finissimo proprio su questa nave, dove si trovava Sendomir? E ancora prima, che Sendomir incontrasse questa automaton?

-Sinceramente, non me ne importa nulla! - gridò la ragazza.Alice sorrise, lasciandole la spalla: -Mi aspettavo una risposta del genere! Ma ormai, vedi, Abit

è andata... vuoi inseguirla nel corridoio pieno di pirati? ! Ayane ribolliva come una pozza di magma, tanto che non riuscì nemmeno a rispondere e

diede improvvisamente un violento pugno alla porta della cabina.Invece la bionda strega si abbandonò sul letto e disse: -Deve far male dare un pugno a quella

porta di ferro! - e all’occhiata orrenda della donna soggiunse: -Vorrei andare anch’io, ma sembra che non sia il mio momento... adesso non riuscirei nemmeno a guardalo in faccia, l’uomo! Ah, me misera! Me ne dovrò stare qui! Non siamo due povere derelitte, Zeta? E lo hai mandato a salvare l’ennesima principessa! - e si premette la faccia contro il cuscino.

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Zeta non disse nulla, ma si limitò ad annuire, e fissò il vuoto al di là della stupefatta Ayane, oltre la parete di metallo, alla notte al di fuori, ai suoni che solo lei poteva sentire.

Afferrò il fucile, ma lasciò la pistola: non aveva davvero tempo per rimontarla ora! Saltò fuori della stanza e si guadagnò più di un’occhiata strana, anzi, di più, allucinata, quando

attraversò i corridoi del Kerberos con la mocciosa cornuta alle calcagna.Le lance erano disposte sotto il ventre della nave e bisognava uscire da uno dei portelloni

inferiori, per montare su di una stretta passerella sospesa nel vuoto. Quando arrivò proprio sopra a uno di quei portelli afferrò la prima “cornetta” del ricevitore (ce n’erano sparse dovunque sul Kerberos, ovviamente nei posti strategici), e gridò al ponte di comando: -Ehi, lassù! Sto per uscire... sganciate la lancia quattro!

Dopo qualche scarica elettrostatica, arrivò la voce di Shem: -Tu cosa? Dove stai andando? -Quella Magillu si schianterà! - rispose Sendo -Salgo a bordo per recuperare... ehm... la nostra

cassa del tesoro, prima che diventi un mucchietto di cenere! Silenzio.Poi rumori vari, scatti e fruscii sonori e infine venne la vociaccia di Barluga in persona: -Cosa

sono tutte queste iniziative personali? ! Da quando in qua ti è venuta così tanta voglia di muovere quel tuo prezioso culo? !

-Andiamo! - gridò Sendo, per sovrastare il rumore del vento che si infilava nel portello: infatti con una mano lo stava già aprendo, a scanso di equivoci -È stata un’idea mia quella di “investire” su questo casino; o vuoi che quei due proiettili li abbiamo spesi per nulla? ! - e poi soggiunse: -Ah, e mi sto portando dietro anche la ragazzina Oni...!

Non era necessario che lo dicesse, ma prima che allo scimmione venisse voglia di andare a vedere la donna appesa al pennone, o cosa faceva la mocciosa con Zeta, era meglio dargli altro a cui pensare (ammesso che la scimmia pensasse).

-Tu cosa? ! - gridò lo scimmione.-Fammi gli auguri, vecchio mio! - disse Sendo, chiudendo il ricevitore.Abit disse: -Il signor Barluga non sembrava contento! -Non preoccuparti, non lo è mai! - rispose, scendendo giù.Forse pensava che la ragazzina si sarebbe scoraggiata, a quel punto. Il vuoto li attendeva di

sotto, una voragine nera di vento urlante, e si doveva camminare su di una stretta e scivolosa, ghiacciata passerella. Ma la Oni saltò dietro a lui con ben più agilità e sicurezza di quanto non potesse averne lui stesso e non c’era nemmeno un’ombra di paura nel suo occhio d’oro (che tra l’altro, mandava anche bagliori al buio).

“Oh, dovevo immaginarlo! La mocciosa sa il fatto suo! ” pensò, e le disse: -Ci vedi bene lo stesso, con un occhio solo?

-Non ti preoccupare, signor Sendo! - rispose -Ad ogni modo, non è che ho un occhio solo... - si toccò la benda -... ci vedo anche con l’altro, ma non è prudente, con tutto questo buio, che me la tolga!

Che cosa voleva dire? Ignorò quelle parole, perché improvvisamente sulla destra comparve una fiammata e finalmente la posizione relativa del Kerberos mutò, mostrando l’inferno di fuoco appresso al quale stava volando.

Grande tre volte il Kerberos, sei ponti di acciaio rosso, il muso diretto verso il suolo, simile a quello di una cryo-balena. Era massiccio, e squadrato; una larga “fessura” passava nel mezzo di esso, che normalmente sarebbe luccicata di luci dorate, ma che ora era quasi del tutto spenta. Era il ponte di comando quello, che aveva preso una bordata diretta, e un largo foro nelle vetrate mostrava il ponte sconvolto, sventrato.

Le tre torri sul dorso, cilindriche, erano avvolte nelle fiamme come una città incendiata, il fumo che si annodava in spirali convulse intorno alle masse degli anelli di energia che sostenevano la nave in cielo. Ancora per poco.

I sei ponti erano squarciati di fori e di fuoco, e Sendo vide piccole sagome agitarsi là in mezzo, e detriti volare neri in aria, come calabroni impazziti. E anche alcune sagome umane cadevano, a tratti, nel vuoto, come una nevicata di morte.

La nave stava perdendo quota, ma non così velocemente come temeva Sendo; tuttavia la

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situazione era disperata. Rapidamente diede mano al portelletto della lancia, un sottile e lungo naviglio, simile a un sigaro, o piuttosto a una teredine, considerato come stava attaccata sotto il ventre del Kerberos.

E una voce orribile lo raggiunse alle spalle. Sendo si voltò e vide tutta la passerella piegarsi sotto la grossa massa di Barluga in persona. -Dove stai andando, con quella mia pentola di soldi? ! - gridò.

Si era infilato la pesante casacca che aveva rubato a un ufficiale imperiale, con cui aveva avuto una “discussione” in merito alla lecità o meno del furto di un generatore di fotoni; i bottoni spaiati luccicavano nel riverbero delle fiamme e il suo volto scimmiesco faceva ancora più paura del solito. Indicò Abit, la “pentola di soldi”.

-Se hai paura che te la rubi, vieni anche tu, scimmia! - gridò Sendomir.-Ci puoi giurare, piccolo spergiuro bastardo! - gridò lo scimmione.Sendo aprì la porta e fece sgattaiolare dentro la povera Oni, che era rimasta congelata

dall’apparire del capitano berciante. -Il capitano se ne va così, lasciando la sua nave? ! - esclamò Sendo.

-Al diavolo! Monta, cane! - gridò la scimmia.Barluga, scommise Sendo, non aveva lasciato alcun ordine ai suoi ufficiali. Se pure fosse

morto, quelli avrebbero detto due parole su di lui, scolandosi del pessimo rhum alla sua salute, e poi avrebbero scelto un nuovo capitano, senza scomporsi troppo. Erano fatti così, quella feccia pirata!

-Visto che ci sei, pilota tu questo affare! - disse Sendomir.L’abitacolo di comando era naturalmente troppo stretto per il grosso scimmione, ma si sedette

ugualmente, con le ginocchia quasi sotto il mento e prese a dare pedate e calci ai comandi, e gridò: -Signor Ator, sgancia questo aggeggio!

-Ahie ahie! - si udì la voce di Ator.La lancia venne sganciata in mezzo alle scintille del rilascio delle ganasce di blocco e precipitò

nel vuoto. Una versione in miniatura del motore del Kerberos era montata anche su di essa e non appena Barluga fece accendere i motori il vascello prese a levitare in aria. Barluga diresse la cloche in basso e subito la lancia schizzò in avanti, come un proiettile nero.

Abit si aggrappò a Sendo. -Non è ancora il momento di spaventarsi, mocciosa! - esclamò Barluga, dirigendosi come un missile verso il fianco della Gazzella di Susa.

-Là! - esclamò Sendo, indicando con un braccio e tenendo con l’altro la povera Abit -C’è un varco dove agganciarci!

-Guarda qua! - esclamò Barluga. Diresse diritto la lancia nel mezzo di una nube di fumo e fiamme e l’attraversò in un risucchio di caligine come un trapano idraulico trapassa una tavola di legno. -Arpione! - disse, sganciando l’arpione di attracco, in pratica un razzo attaccato a una catena. Con un sibilo rosso volò diritto dentro a un grosso foro annerito del terzo ponte, schiantandosi e rimanendo incastrato nella paratia di acciaio. La torsione del cavo strattonò in maniera orribile la lancia, ma era costruita proprio per questo. La forza di ritorno esercitata sul cavo fece rimbalzare indietro la navetta e solo il controllo del vecchio pirata non la mandò a schiantarsi contro il corpo della Magillu. Insomma, non troppo almeno.

La lancia entrò diagonalmente su quella che era stata la balconata di mezzo, dove gli ufficiali passeggiavano per sgranchirsi le gambe; l’energia che si faceva beffe della gravità venne deviata da Barluga tutta sul fianco destro della navetta e questa parve sul punto di spezzarsi a metà, sotto le selvagge forze contrapposte. Ma poi si adagiò tremando sul ponte sconquassato di proiettili.

Sendo e Abit, rivoltati sotto sopra, si alzarono dal mucchio nel quale erano finiti, e Sendo disse: -Questo sarebbe un attracco? !

-Dei migliori! - fece Barluga, di ottimo umore, saltando giù dall’abitacolo.Uscirono dalla lancia per trovarsi sul ponte mezzo carbonizzato. Qualcosa di nero (la superficie

della terra), cominciava a sagomarsi davanti e c’era puzza di gasolio carbonizzato, di morte, un rumore fischiante di vento e di crepitare violento di fiamme. E Barluga disse: -Muoviamoci... troviamo il pezzo grosso che pare più ricco in questo rottame, o diventeremo pane bruciato e pressato in men che non si dica!

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-Aspetta! - esclamò Sendo. Zeta aveva detto di salvare questa principessa... ma ora che era sulla nave, come fare a trovarla?

Ma fu Abit a parlare, a sorpresa. Fece un passo avanti, con la coda diritta e una mano premuta sull’occhio malmesso, e disse: -Seguitemi!

-Cosa? - fece Barluga--Stiamole dietro! - disse Sendo.Abit corse attraverso la breccia di proiettile e si infilò, sicura, proprio come se sapesse sul

serio dove stava andando, giù nel terzo ponte. Dovunque c’erano segni di distruzione, ma Sendo vide subito che non erano stati soltanto i colpi dall’esterno a ridurre in quello stato la nave.

I corridoi larghi e spaziosi, coperti di pregiati tappeti e le scale di collegamento tra un ponte e l’altro, erano devastati, crivellati di proiettili, e c’erano segni di battaglia dovunque. E c’erano anche dei cadaveri, sparsi a terra. Soldati e marinai di Susa. Sendo bloccò per un braccio Abit, che correva troppo baldanzosa in avanti, e disse: -Aspetta!

Si chinò su di un povero ragazzetto, la zazzera di capelli scomposta sul viso, il fucile ancora in mano, stretto come in una morsa, che non era neppure riuscito a usare. Un largo squarcio sul petto. Non una fucilata, ma nemmeno una coltellata.

Anche Barluga era diventato guardingo, con le gambe larghe, divaricate, pronto a scattare. -Che diavolo è successo qui? ! - esclamò.

-Talpe... - mormorò Sendo.-Merda! - imprecò il gigantesco pirata.Abit li fissava senza capire, e del tutto inorridita, per quel morto là disteso. Sendo le fece un

cenno: -Sai dove si trova la principessa? -Quale principessa? - fece Barluga.Abit lo ignorò: -Maruru dice che è in fondo a queste scale...! - con la mano premuta

sull’occhio, indicò l’ampia scalinata davanti a loro -Ma ci sono anche diverse altre persone e... e qualcosa di grosso e non naturale, là sotto!

Barluga la fissò intensamente. -L’hai portata per questo, Sendo? - sbottò -Sta usando qualche magia, la streghetta Oni?

-Stai dietro a me, Abit! - disse invece Sendo, imbracciando il fucile, e ignorando a sua volta la scimmia, si lanciò verso le scale.

Un bagliore rossastro proveniva dal ponte inferiore, ma non erano gli incendi. Doveva essere il lampeggiante di emergenza. Una voce femminile, metallica, continua a ripetere stracci di parole, e quando si avvicinarono alla scalinata di collegamento, sentirono che era un messaggio pre-registrato che continuava a ripetere: -Schianto imminente, si prega di raggiungere le più vicine scialuppe di salvataggio e mettersi in salvo! Schianto imminente...!

E una grandinata di spari.E grida umane.Sendo fu con due balzi in fondo all’ultimo gradino. C’era un incrocio a T, da una parte un

corridoio invaso di fumo, dove erano saltate tutte le luci, dall’altra un corridoio illuminato dai lampi rossi dei lampeggianti, dall’ultima, lungo la gamba della T, un’alta galleria decorata di stucchi in oro... e una scena da far accapponare la pelle.

Proprio in fondo, di fronte a una ricco portone, che doveva essere le camere reali, un ufficiale, con la scimitarra alzata, gridò: -Uomini, fuoco, fuoco!

I quattro poveri soldati, con le mascelle serrate come morse sparavano senza nemmeno mirare. Da un punto ancora più oltre, nero come carbone, lampeggiò improvvisamente un singolo faro rotondo, alto che quasi sfiorava il soffitto.

Balzò fuori un colosso mostruoso, un goffo, grottesco mostro dal carapace di crostaceo, nodose piccole gambe, un braccio ridicolmente piccolo e uno enormemente grande, con artigli lunghi due metri, conici, d’acciaio. Sulla testa cilindrica, meccanica, l’unico occhio rotondo bruciava come un faro.

I proiettili dei soldati di Susa ribalzarono via sul corpo meccanico del mostro, che si lanciò come un demolitore contro di loro. Sendo sapeva già che non potevano fermarlo in alcun modo; per quel genere di mostro erano necessari proiettili militari perforanti!

E così i soldati volarono in tutte le direzioni, squarciati in un unico momento di terrore

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artigliato.-Merda! - prese a gridare Barluga, perché dopo aver spazzato via i coraggiosi soldati il mostro

li adocchiò con quel suo occhio ciclopico.Ma fu Abit a fare un passo avanti. Sendo fece per correre ad afferrarla, ma la ragazzina

strappò la benda dall’occhio e un miracolo, o un prodigio infernale, avvenne. La massa nera, di notte e di Sogni morti, balzò fuori dal suo occhio!

Occhi bianchi, code saettanti, zanne di ferro nero! La bestia generata di buio (anche se parzialmente trasparente, attraverso le basse e scattanti

luci elettriche), in due balzi fu addosso alla Talpa e la rovesciò in un mucchio di schegge di legno schizzanti in ogni direzione. La gigantesca e pesante Talpa venne rovesciata, tale era la forza del mostro!

Sendo era rimasto a bocca aperta, ma Abit gridò: -Presto, Maruru ha detto che il fuoco si sta avvicinando... la principessa è dentro quella stanza!

La maledetta mocciosa aveva preso a dare ordini! Ma Barluga gridò: -Sia maledetto, se la ragazzetta non è un acquisto migliore di te, Sendomir! “Magia! ” imprecò Sendo “Un acquisto che fi farà correre nel culo tutti i Sacerdoti

dell’universo! ”; ma un soldato che non sa reagire agli imprevisti, non è un soldato che vive a lungo. E subito esclamò: -Scimmione, alla porta!

Barluga corse come un ariete verso la porta, senza curarsi di prendere ordini da Sendo. Oltre il limite del fumo, sagome immense si confrontavano in uno scontro titanico, convulse volute di fumo, occhi brucianti, schianti apocalittici e ringhi d’inferno!

E il pirata sfondò la porta con un solo colpo delle sue possenti spalle. Uscì dall’arco di vista di Sendo, che si accorse subito di un altro rumore, orribile, che veniva dall’altro corridoio, quello buio.

-Altre Talpe! - gridò -Ma che diavolo succede in questo inferno! Abit! Abit si voltò, era come in trance, che osservava il punto nero dove era scomparso Maruru.-Abit! - ripeté Sendo -Ci stanno per tagliare la via di fuga! Dì a quel tuo... il diavolo mi porti! ,

demone, che...! -E cosa posso dirgli? ! - rispose Abit, che stava rapidamente perdendo il suo coraggio (e non

c’era affatto da fargliene una colpa... e d’altro canto teneva quel mostro dentro al suo stesso occhio! ) -Come faccio a comandare a Maruru? !

“Bella domanda! ” si disse Sendo. Occhi infernali saettarono nel buio del corridoio... allora imprecando afferrò Abit per la vita e caricandosela in spalla, vide che lo stesso Barluga, in una nuvola di fumo, era uscito dalla stanza reale, portando due fagotti, uno grande e uno piccolo, sotto le braccia grosse come travi.

-Da quella parte! - gridò Sendo, correndo verso di lui -Corri da quella parte! Dietro di noi...! -La lancia, è nella direzione opposta...! -Dietro di noi, ci tagliano la strada...! - e subito dietro le parole di Sendo comparve

nell’incrocio a T una massa ondeggiante di mostri.Barluga non disse nessun’altra parola. Si involò dietro alla scia di distruzione lasciata da

Maruru e dalla Talpa, ed era follia anche quella! Ma tra la morte sicura e una morte probabile, era sempre meglio scegliere la seconda.

Attraversarono il fumo, corsero appaiati, mentre il corridoio si riempiva dietro di loro di teste coniche cozzanti le une contro le altre. Diritto di fronte un’esplosione... una sezione del pavimento crollò d’improvviso e la nera sagoma di Maruru balzò indietro, dal bordo frastagliato della fossa che si era aperta.

Sendo sentì nella mente... “Di qua, uomo! ” E pensare che dopo il fuoco della Shibartz, pensava che non avrebbe mai più visto altre cose più assurde.

-Segui il demone, Barluga! - gridò allora.-Una degna guida, per sprofondare all’inferno! - gridò ridendo lo scimmione.Maruru saettò giù per un’altra scalinata e dentro il ventre affumicato della Gazzella di Susa.

Un incredibile terremoto attraversò tutta la nave, facendo quasi cadere Barluga e facendo invece cascare Sendo. Lanciò in aria la povera Abit, che però atterrò con una piroetta. -Signor Sendo! Muoviti! - esclamò.

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Sendomir fece un gigantesco sforzo per rimettersi in piedi e per rimanerci, mentre il piano della nave (era forse quello un hangar? ) si inclinava paurosamente verso sinistra, verso il basso.

Barluga raggiunse quello che Maruru già stava avviluppando, tramutato come in un denso fumo. -Questo demone riconosce le scialuppe di salvataggio? - gridò il pirata.

Erano più che altro rotonde capsule, con un portello rivolto verso l’hangar, tutte in fila incassate nella parete. In poche parole, scialuppe ad eiezione. Il pirata quasi divelse il portello e vi cacciò dentro il fagotto grande e il fagotto piccolo, con “cura”, e poi prese per la testa Abit e fece per cacciare dentro anche lei.

-Aspetta! Il signor Sendo...! - starnazzò la ragazzina, ma Barluga replicò: -Lascia che si arrangi! Dentro, subito! - e la spinse dentro a forza.

Forse si stava chiedendo che cosa fare con Maruru, ma quello divenne un vortice di fumo, e come gli antichi geni della bottiglia delle storie spirò dentro l’abitacolo in un piccolo tornado.

-Uno spirito del vento! - gridò Barluga e rivolto a Sendo, che ancora arrancava a pochi metri di distanza: -Muovi quel tuo culo! Qui stiamo per finire tutti in...!

L’enorme esercito di Talpe era straripato in cima all’entrata dell’hangar e per un secondo parvero quasi incastrate le une sulle altre, nel tentativo di passare tutte insieme. Ma un secondo dopo esplosero letteralmente attraverso il varco, come un massa di marmellata in ebollizione che esplode di colpo. Sendo non si guardò indietro: con il ponte ormai inclinato quasi di 20 gradi fece un ultimo balzo e afferrò l’enorme mano dello scimmione.

E venne gettato da quello diretto nell’ormai compresso abitacolo.-Addio! - ruggì Barluga, chiudendo il portello in faccia alle Talpe.Con il piede, tutto sottosopra, la testa schiacciata in basso tra le gambe della povera Abit,

Sendo tirò la spoletta che faceva sganciare in aria la scialuppa.E vennero scagliati nell’aria vorticante.

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Capitolo 18 La principessa Hourì

-Hourì! Hourì! - chiamò quella voce.Il mare ricopriva le rovine torreggianti, ma non era il fondo del mare quello che vedeva...

quello era un “mare nel cielo” e l’ammasso di edifici crollati erano le città orribili dove gli occhi umani non dovrebbero mai posarsi. Le città degli Dei nel mondo del Sogno!

Nel mezzo delle rovine passava un corteo di giganti, i mantelli come frammenti del cielo notturno, il capo torreggiante incendiato di fuoco, e le loro ombre ondeggiavano su di lei, mentre abbandonavano la città condannata.

-Hourì! Hourì! Non doveva ascoltare quella voce! Si coprì con tutte le sue forze le povere orecchie, ma il

suono entrava nella sua anima.E una forma saettava tra gli edifici incendiati, una forma nera, un brulicare di vermi e di

oscurità.Cercava lei, solo lei! Ma da profondi abissi di tenebra sorse un fuoco. No, due fuochi, bianchi e incandescenti.

Erano due occhi come metallo fuso e una belva spaventosa saettò fuori dalle nebbie nere, un leone dalla criniera come onde del mare in burrasca, le stelle del cielo marino che lo coronavano come un diadema. E appena lo vide con i suoi occhi ciechi l’essere di vermi fuggì, rintanandosi dentro al disgustoso buio.

Il leone balzò allora su di lei e con un urlo...... spalancò gli occhi e vide due occhi di fuoco, bianchi, lampeggiare in alto, dentro a una

gigantesca sagoma nera! Balzò a sedere, con un acuto dolore nella testa e nella schiena, ma sopra di lei non c’era

nessun occhio e nessun mostro. Tronchi neri, ammassati e crollati gli uni sugli altri, come travi di un soffitto selvaggio. Uno

spicchio di cielo ancora nero, inframmezzato da una riga viola, o forse rosa, incastrato tra colossali pareti, occhieggiava in alto in alto.

Parole distorte giunsero alle sue orecchie, ma non capì che cosa significassero (forse “no, Maruru, così la spaventerai...! ”, ma che senso avevano? ! ). Sentì poi il profumo di una spezia rara. Una vaga memoria del balcone di marmo rosa, e il volto dello zio dai baffoni grandi mentre si chinava su di lei, per dirle qualcosa. Ecco, era il profumo del suo colletto, della sua colonia! E girando la testa si accorse di essere seduta su di un letto di muschio rigoglioso.

Era proprio il muschio a emanare quel “vecchio” profumo.Fu in quel momento che una larga faccia, allegra e bianca, comparve riempiendo tutto il suo

campo visivo, con occhi color dell’ambra, luminosi come oro dentro al sole, e spalancando la bocca, gridò: -Signor Sendo! Si è svegliata! Si è svegliata!

La principessa Hourì, perché era davvero una principessa, di sangue che era stato principesco per generazioni e generazioni, emise un gridolino che di principesco aveva ben poco e si ritrasse di un metro buono, di fronte alla sconosciuta dagli occhi che sembravano un incendio.

La misteriosa ragazza rimase ferma dov’era, rannicchiata in modo strano, come un ranocchio. Si voltò a fissare un punto oltre di lei, poi borbottò: -Ma dove sono finiti quei due? - e tornò a fissare proprio la principessa in maniera intensa. E dopo qualche attimo disse, con voce limpida: -Posso toccare i tuoi orecchini?

La principessa si portò istintivamente le mani alle orecchie -C-cosa? No! - esclamò impaurita, cercando di ritrarsi.

La ragazza fissava i suoi orecchini e la collana d’oro che girava due volte intorno all’esile collo e i vestiti intessuti di fili d’oro come se bruciasse di quella vista; e infine esclamò: -E perché no? Non voglio rubarteli! - e allungò già la mano sporca verso di lei.

-A-a! - gridò Hourì, spaventata -Non toccarmi! La ragazza fece una faccia sorpresa, poi forse sofferente, infine lasciò cadere la mano e

mettendosi un dito nel naso, con espressione corrucciata, rispose: -Oh, così la povera Abit fa così

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tanta paura? - e poi soggiunse: -Ma Abit non è ricca e bella come te! Non ho mai ricevuto nemmeno una piccola cosa luccicosa in tutta la sua vita!

La principessa era completamente stupefatta. Non sapeva dove fosse. Non sapeva chi fosse la sconosciuta. Non ricordava nulla, se non gli ultimi brandelli dell’orribile “sogno”.

E l’altra ragazza disse improvvisamente: -Come ti chiami? ! La principessa non era certo abituata a maniere così spicce e ineleganti! -I-io... - prese a dire

incerta.-Sì? ! - fece l’altra, sporgendosi verso di lei.La principessa prese coraggio e tutto d’un fiato si presentò proprio come le aveva insegnato il

suo precettore: -Il mio nome è Barmakyian Malake16 Hourì! L-la Settima Gemma nata sull’albero di Pramukh e Oro Incastonato nel...!

-Una gemma? ! - sbottò la sconosciuta, evidentemente sorpresa -Io ho visto pietre preziose e anche sassi senza valore, ma tu mi sembri proprio una ragazza... oppure gli sciocchi occhi di Abit mi tradiscono?

-A-abit? - fece interdetta la principessa.-Sì, è il mio nome! - disse allegramente la ragazza, indicandosi.Hourì non era in grado di capire che cosa stesse succedendo e rimase a fissarla con occhi

fessi, passandosi un dito sulle labbra screpolate e martoriate. La allora balzò in piedi, esclamando: -Hai sete? Aspetta, ti porto dell’acqua! Il signor Sendo ha detto che si poteva bere! - ma a metà del movimento rimase per qualche attimo perplessa, con il dito puntato sotto il naso, e la coda ritta -Parlo della sorgente, sai...? - e con un rapido balzo corse verso il fondo della... della radura?

Hourì si guardò finalmente intorno. Una foresta? Gli “alberi” erano rigide colonne di pietra, le cui cime spaccate stavano diventando rosa, come la punta di tizzoni accesi. L’alba era prossima, ma su che mondo alieno stava sorgendo? Come una cattedrale in rovina tutt’intorno si levavano gli alberi pietrificati e altrettanti, tronchi e rami, giacevano scomposti al suolo, coperti di uno spesso strato di muschio. Nonostante non vi fosse la copertura di veri rami la notte sembrava aver trovato il suo ultimo rifugio in quel luogo, perché l’oscurità era fitta in ogni direzione; quando guardò al di là della cortina di tronchi che circondava la radura, vide solo una schiera infinita di alberi pietrificati e crollati, in ogni direzione, e un buio denso e compatto, come fissare l’imboccatura di una miniera di carbone. Nella radura c’era una visibilità migliore soltanto perché il sole stava facendo timidamente capolino dall’altro, e perché era stata posta una lampada elettrica nel mezzo, che illuminava la scena in modo irregolare e malsano.

Come tizzoni scagliati qua e là da un incendio tornarono improvvisamente alla memoria l’urlo delle sirene, le esplosioni, il fuoco! E ricordi ancora precedenti, il letto alto, suo padre dalle mani ridotte a radici nodose per la febbre, i volti morti di dolore! Ma la faccia della misteriosa ragazza comparve nuovamente di fronte a lei, vicinissima. Gli occhi ambrati erano fissi su di lei come due grosse radici conficcate nella terra.

Le porse una borraccia. -Bevi! - disse -Sa un pò di ferro, ma è buona! Hourì si accorse tutto d’un tratto che stava ardendo. Afferrò con entrambe le mani la

borraccia, ma poi si fermò di colpo, con il contenitore freddo tra le mani scorticate.-Bevi, bevi! - la incitò Abit.Avvicinò la borraccia alle labbra e prese a bere a piccoli sorsi; il fuoco abbandonò la sua gola e

la principessa chiuse addirittura gli occhi, perché le sembrava di non aver mai bevuto nulla di più buono e dissetante in tutta la sua vita.

Riaprì gli occhi e vide che quella Abit la fissava ancora, accoccolata sui talloni, le braccia avvolte intorno alle ginocchia, sorridendo, e agitando la coda come una specie di cagnolone. -Era buona? Stai meglio? - disse.

-Ah... s-sì...! - rispose, restituendo in maniera vergognosa la borraccia. La sua dignità regale era del tutto squagliata sotto lo sguardo di Abit, ma valeva ancora qualcosa, in quel momento? ! Aveva ancora gli occhi pieni di fuoco e le orecchie piene delle grida dei soldati e dei cortigiani!

Si sentì rivoltare lo stomaco, ma non tanto da non fermare il suo povero sovraccarito cervello. Perché... che cos’era quel posto? Che cosa era accaduto alla nave? Dov’erano i suoi?

16 “Principessa”.

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Con voce ancora molto malferma, allora disse: -Abit... hai detto che ti chiami così, vero? -Sì, giovane Hourì! - esclamò Abit -Hai bisogno di qualcos’altro? “Giovane Hourì”? ! -Ah... - rispose la “giovane” Hourì -... che posto è questo? Dimmi: che ne è stato della nave

volante dove viaggiavo? E della gente che era con me, i soldati, le guardie e il mio seguito? Il chiaro viso di Abit si rannuvolò e guardando per terra, disse: -Quando salimmo a bordo, la

nave bruciava... e la gente era tutta morta...! Indicò il cielo sopra agli alberi, verso la direzione dalla quale il sole stava arrivando. -Per

fortuna siamo riusciti a recuperarti, che eri svenuta, e siamo sfuggiti ai mostri meccanici! “Mostri meccanici”? ! “Tutti morti”? ! -In un lampo siamo montati sulla “scialuppa” e siamo riusciti a sfuggire al fuoco, volando nel

cielo! - la ragazza agitò ancora più vigorosamente quella sua sottile coda -Lo schianto con il terreno è stato terribile, ma la scialuppa si è gonfiata... per di dentro, intendo! Mi sono trovata la testa immersa in un cuscino che quasi mi ha soffocato e non me la sono rotta proprio per questo motivo! Altrimenti non credo che ne sarei uscita illesa!

Hourì la stava fissando con occhi grossi sconvolti.Ma Abit continuò, e disse: -Uscimmo dalla capsula e allora... c’era nel cielo una cometa di

fuoco, come una stella che cadeva giù dal cielo! Abbiamo guardato in su e il cielo era tutto di fuoco: la luce era così brillante che potevo guardare in faccia il signor Sendo, come se fosse giorno! Ma la scia è scesa sempre più bassa, con un fischio assordante... e poi è scomparsa alla vista, dietro le cime degli alberi. Allora abbiamo sentito un boato terribile e la terra ha tremato come se dovesse schiantarsi! È salita un colonna di fiamme che abbiamo visto attraverso i tronchi, così alta da fa paura... e il signor Barluga ha detto: “Adesso sì che siamo nella cacca! ” o qualcosa del genere...! Io pensavo alla nave e alla gente, ma il signor Barluga e il signor Sendo hanno il cuore duro come il marmo, o forse ne hanno viste un mucchio di cose come queste: si sono messi subito in moto e hanno trovato questa radura, dove hanno deposto te e quell’altra persona... - indicò a destra, dove un fagotto ricco-vestito stava disteso, un braccio fasciato legato intorno al collo, una vistosa fasciatura che gli copriva quasi tutta la testa, che passava fuori soltanto la bocca.

-Fadwa! - gridò la principessa Hourì, facendo per saltare in piedi. Ma le forze la tradirono e ricadde miseramente.

-Non alzarti! - esclamò Abit, con sguardo compartecipe delle sue sofferenze (o almeno questo era quello che Hourì era disposta a leggere nella sua faccia) -Sei ancora debole! Per fortuna c’erano medicine e bende e roba del genere nella capsula, e il signor Barluga, nonostante l’aspetto poco rassicurante sembra essere molto abile nel rimettere “a posto” la gente! Quella signora non è “in pericolo di vita”, almeno così ha detto il signor Sendo!

Hourì si impietrì. -Hai detto che ci sono altri come... te, qui? “Barluga”... “Sendo”? - esclamò.-No, non sono come me...! - rispose Abit, indicandosi le corna. Ma Hourì ancora non riusciva

ad afferrare che cosa le sfuggisse, che cosa ci fosse di strano in quella ragazza.-Cosa vuoi dire? - chiese Hourì, confusa -Non riesco a capire... chi siete voi? Non siete miei

soldati...! Ma proprio in quel momento le acute orecchie di Abit colsero qualcosa, e disse: -Oh! Stanno

tornando! E di là a pochi attimi due figure spaventose comparvero sul limitare della radura. Due uomini.

Uno vestito alla maniera degli uomini blu. L’altro enorme, orribile. La principessa trattenne il fiato, impallidendo: gli uomini blu avevano la fama di essere cacciatori spietati, uomini che lasciavano i bambini a disputarsi il cibo con i cani in una fossa, ed erano poco meno selvaggi dei Saimat. E l’uomo che pareva una scimmia doveva essere un selvaggio della peggior specie, un uccisore di bambini nella culla.

Quello blu disse: -Per il momento non ci sono grane, là fuori, ma faremo meglio a muoverci! E quello gigantesco: -Per la barba di Lammasu! Quante volte a seguire le tue idee ne è

venuto qualcosa di buono? Quanto veloce credi che potremmo muoverci, trascinandoci dietro quei due pesi morti?

L’uomo blu rispose: -Costruiamo una barella per la donna ferita... - portava sotto il braccio un

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fascio di bastoni, che sembravano fascine di legna: -Con queste e il ricco mantello che si porta addosso possiamo costruire una barella!

-E la mocciosa? - fece il gigante, e Hourì smise del tutto di respirare.-Signor Sendo! - disse Abit -La principessa si è svegliata! Ma dove eri finito? Quello che era il “signor Sendo” si avvicinò, con grande terrore della principessa, e disse:

-Raccoglievo questa roba... e cercavo di capire dove diamine fossimo caduti...! -E lo hai capito? - fece Barluga.-No, non di più di quanto lo abbia capito tu! Barluga ringhiò, ma Abit disse: -Insomma, mentre vi divertivate mi avete lasciato qui da sola! Sendo sospirò e disse: -Non ti avrei lasciata qui da sola se non ci fosse Maruru, non credi? ! E Barluga disse: -Quel tuo demonio mi ha sorpreso, mocciosa! Per fortuna che non ti ho

venduta, non sono particolarmente contento di avere a che fare con la stregoneria...! “Stregoneria”! , boccheggiò Hourì.-... ma ci hai salvato decisamente le chiappe! - continuò il gigante -Questo è quello che ci si

aspetta da una Oni, per gli artigli di Rabisu! E questa volta la principessa Hourì saltò sul serio in piedi.Le corna! La coda! Gli occhi d’oro! -Oni! - gridò Hourì, puntando il dito sulla stupefatta Abit -Sei... sei una Oni! -A-a? ! - fece Abit.Le lacrime salirono copiose agli occhi della piccola Hourì e ormai abbandonato ogni contegno

regale afferrò le mani di Abit, nonostante fossero sporche come il peccato, e gridò: -Le leggende erano vere! La Porta nel Cielo esiste veramente!

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Capitolo 19 Un grido nella foresta

Probabilmente il cervello di Abit non doveva funzionare molto bene. Forse erano state tutte quelle botte subite nello schianto della scialuppa?

Quella principessa, tutta coperta di oro, era in piedi che la indicava, con il dito puntato! “Oni”, aveva gridato. Cosa c’era di così straordinario? La cupa gente vedeva in lei un mostro, o un oggetto da vendere. Cosa poteva mai vederci una principessa? E cosa poteva mai essere la “porta nel cielo”? !

Ma negli occhi della ragazzina stavano passando mille pensieri, Abit li vedeva correre come le scie infuocate degli ascensori di Babilonia. E negli occhi nerissimi parve accendersi una luce, che sembrava la luce della speranza. Fissò lo sguardo ora su Sendo, ora su Barluga e parve soppesare i due uomini. C’era ancora una certa quantità di paura sulle curve della sua fronte, ma Abit la ammirò, per quelle spalle che tentava di tenere diritte.

E la principessa disse: -Voi... chi siete? Perché mi avete portato via dalla mia nave? Siete gente di Hatra?

Il signor Sendo guardò il signor Barluga, e poi disse, inchinandosi: -No, mia principessa, non siamo Atriani...

Abit vide che le spalle di Hourì rilassarsi; la principessa quindi disse: -Perché mi avete salvata? Con una voce pacata, profonda e sofisticata, che quasi fece trasalire Abit, Sendo rispose:

-Perché siamo leali sudditi della vostra maestà! “Leali sudditi”? ! E dunque, con arte consumata, disse: -Viaggiavamo verso Aleppo, solitaria nave dentro al

vuoto mantello della notte, quando vedemmo fuochi nella notte. Cosa poteva essere? La nostra nave si avvicinò e scoprimmo la battaglia che infuriava e il vessillo della vostra nave sventolare disperatamente in mezzo alle fiamme! Come potevamo rimanere inerti, di fronte a tanto oltraggio? Fidando nella forza della giustizia e delle nostre armi ci siamo lanciati su quel branco di cani infami che vi circondavano da ogni lato e li abbiamo scacciati! Ma la nave era ormai un rogo... ciononostante siamo saliti a bordo, solleciti non per la nostra vita, ma per quella di Vostra Grazia. Sebbene non sapessimo che proprio Voi foste a bordo, il Gioiello della casa di Susa! Altrimenti la nostra giusta furia contro quegli infedeli saccheggiatori sarebbe stata mille volte più terribile!

Cosa diamine stava dicendo il signor Sendo? ! E ancora quella storia dei “gioielli”! Ma improvvisamente l’ingenua Abit capì che Sendo stava spudoratamente mentendo: oh, quanto era furbo, il signor Sendo! Non c’era da meravigliarsi che avesse messo nel sacco anche Ayane! Diede una rapida occhiata alla principessa, e con una certa soddisfazione, notò che la ragazzina, per quanto coperta di oro brillante, era completamente ammaliata dal discorso del signor Sendo.

E lui aggiunse, con uno svolazzo della mano e un inchino elaborato:- Io sono Sendomir Nibiru, suddito della corona di Susiana! Questa è la giovane Abit, la nostra... ehm... “incantatrice Oni”...!

“Incantatrice”! -E questo è il prode Barluga, comandante del Kerberos, dei pirati del Cigno Nero! - e diede

un’occhiata significativa al grosso pirata, che Abit interpretò come “almeno inchinati, grossa scimmia! ”.

La principessa Hourì fissò lo sguardo sul grosso Barluga, e in quel momento i bottoni della giacca militare parvero luccicare come monete d’oro. Gli occhi di Hourì luccicarono ancora più intensamente e disse con tutto il cuore: -Il mio nome è Malake Hourì, della casata di Barmakyian, Settima Gemma di Pramukh; la nostra grazia è grata per il vostro atto di coraggio, capitano Barluga!

Che parole degne di una vera principessa! Ma Abit tremò vistosamente, perché lo spaventoso scimmione che fissava la mocciosa sicuramente avrebbe risposto in questa maniera: “Bando alle ciance! Quale gioiello? ! Sei la nostra pentola dei soldi, mocciosetta! ”.

Povera Hourì! Ma la reazione del pirata la lasciò stupefatta. Persino il signor Sendo sbarrò gli occhi, come se

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gli fosse venuto un colpo apoplettico.Perché il colosso dalla faccia di scimmia guardò giù alla piccola bambina, che avrebbe potuto

infilarsi in bocca in un sol boccone. E con un’espressione incredibile stampata sul volto il gigante si inchinò, battendosi il pugno sul petto, e con una voce seria che non pareva neppure lui, disse: -Al vostro servizio, Malake!

E Hourì, con gli occhi raggianti, stese la sua manina e disse: -La Nostra Grazia è lieta di accogliervi al Nostro servizio, Capitano!

Il signor Sendo fece per aprire la bocca e rispondere, ma improvvisamente dalle profondità della foresta venne un grido, alto e sonoro, che avrebbe potuto essere un qualche tipo di uccello, ma quanto doveva essere grosso, per risuonare così gigantesco e feroce?

Hourì sobbalzò terrorizzata e Barluga scattò subito di nuovo in piedi. Si voltò verso Sendo e gridò: -Questo brutto verso mi riporta alla mente cose ben poco piacevoli, lo ricordi anche tu, vecchia canaglia?

Abit rivolse i suoi poveri occhi spaventati su Sendo, e questo disse: -Raccogliete le vostre cose, presto! Andiamo via di qui!

Abit esclamò: -Signor Sendo, che cos’è stato quel verso? Era una bestia? Sendo si voltò brevemente. -Una bestia sì, ma con due braccia e due gambe... Saimat, mia

giovane Abit! “Saimat”! Una parola che per Abit non voleva assolutamente dire nulla! Ma le facce dei due

uomini parlavano anche troppo bene! E doveva significare qualcosa anche per il suo nero leone dei sogni, perché Maruru comparve

improvvisamente in mezzo a loro, sorgendo come dal suolo. Alla sua vista la povera Hourì divenne bianca come la morte stessa, roteò gli occhi indietro e ondeggiò come la fiamma di una candela percossa dal vento. Barluga si lanciò sollecito e l’afferrò con il suo grosso braccio, riempiendo la faccia del signor Sendo di una strana espressione sardonica.

Barluga gli restituì uno sguardo assassino, ma fu Maruru a “parlare”, nelle teste di tutti loro. “Molti uomini! ” esclamò “Hanno seguito la cometa di fuoco... e c’è anche uno stregone con loro!”

-Come? Uno stregone? - sbottò Sendo -E tu come fai a saperlo? Abit trattenne il fiato. Il signor Sendo aveva un grande coraggio a parlare in quella maniera a

Maruru! Ma Maruru non lo sbudellò; disse invece: “Tu sei l’uomo che ha guardato il fuoco della

Shibartz! Sei quello che gli Uomini Blu hanno chiamato ’Uno-Senza-Paura’, non è vero? ”-Oh! - esclamò il signor Sendo -E chi te lo ha detto? Non credo che nessuno dei miei

“conoscenti” abbia in uso di parlare con grossi e spaventosi leoni parlanti! Rispose il leone: “Tutto ciò che viene sussurrato nel Sogno, io posso vederlo: e gli Uomini Blu

percorrono spesso quelle vie! ” e poi soggiunse: “Quanto alla tua prima domanda, in realtà lo stregone non è qui con loro, ma segue con la mente quegli uomini, al modo della loro magia. E non solo la cometa di fuoco ha attirato la sua attenzione, ma anche questa ragazzina: poco fa ha cercato la via nei suoi Sogni e ha tentato di assalirla... se non fosse stato per me ne avrebbe divorato la mente come un verme divora una mela! ”

Evidentemente anche Hourì doveva sentire quello che “diceva” Maruru, perché questa volta divenne blu e svenne sul serio. Barluga allora la prese in braccio ed esclamò: -Tutto questo parlare di Sogni è veramente interessante, ma volete stare qui a discuterne direttamente con i Saimat? !

-No! - rispose secco il signor Sendo, dando un’ultima occhiata di sguincio allo spaventoso leone -Ma non abbiamo nemmeno costruito la barella per la donna ferita!

“La porterò io sulla schiena”! rispose Maruru.-Sollecito da parte tua! - disse il signor Sendo.Maruru mostrò l’orribile fila dei suoi denti, in quello che forse era un sorriso, ma anche no, e

disse: “Non mi importa molto di voi ometti, io ho obblighi nei confronti solo di Abit! Ma non mi va che l’ ’uomo blu’ muoia qui; nemmeno io voglio attirarmi l’odio di una Shibartz! ”

Il signor Sendo lo fissò molto perplesso, ma era un uomo d’azione, perciò non si perse in ulteriori inutili formalismi. Disse a Barluga: -Aiutami a caricare la donna!

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Si misero di gran impegno, solo Abit rimase là come una scema, inginocchiata vicino alla svenuta Hourì (che era stata adagiata con gran cura da Barluga), a chiedersi che cosa stesse succedendo.

“Uno-Senza-Paura”? “Shibartz”? “Saimat”? In pochi attimi Sendo aveva in mano il suo fucile e vi aveva appeso in fondo la lampada

elettrica. Barluga aveva raccolto Hourì. Maruru portava sulla schiena Fadwa e i lunghi ciuffi di pelo sulla sua schiena si contorsero per aria come ombre schiacciate da un fascio di luce e si legarono come corde intorno alla donna, fissandola per bene. Quella poveraccia gemette, ma era ancora incosciente, e fu una fortuna per lei, ragionò Abit!

Svegliarsi sulla schiena di Maruru non doveva essere un’esperienza particolarmente rilassante per i nervi!

-Andiamo! - esclamò Sendo.Ma a questo punto Abit sbottò: -Andiamo... dove? ! Si può sapere che cosa sono questi

Saimat? Un nuovo alto grido risuonò tra gli alberi. Più vicino del precedente. E un secondo rispose, al di

là della loro posizione, molto fievole, ma non per questo meno spaventoso.Abit si congelò sul posto e Sendo disse: -Sono dei selvaggi! Ma cosa perdo tempo a spiegarti?

Corri! Di certo non vuoi che ti acchiappino, vero? Lo sai che cosa fanno quei “demoni” alle mocciosette belle fresche? !

Abit non aveva ulteriore bisogno di essere convinta. Maruru schizzò davanti a tutti, anche se con un’insolita cura nella sua corsa solitamente tempestosa, sicuramente perché non voleva “danneggiare” la ferita che portava sulla schiena. Era lui a fare strada e nessuno ebbe nulla da ridire. Se c’era “qualcuno” che poteva avere speranze di saper come fare a eludere i battitori Saimat era di certo la soprannaturale creatura.

Prese una direzione obliqua, direttamente opposta al sole che stava sorgendo, immergendosi come un proiettile nero dentro alla nera e tetra foresta. Ma la “foresta” non era un luogo facile da attraversare. Tronchi morti, divenuti pietra da eoni, erano dovunque, rendendo il suolo un incubo di buche e fosse. E altre piante erano cresciute tra il muschio, creando un altro strato di bosco, infido per ogni tipo di piede che non fosse quello del leone. Erano “piante” con le squame, felci mostruose, rampicanti dalle spine lunghe un braccio, colonne vegetali orrendamente carnose, con grandi petali rossi in cima, simili a bocche, e ancora serpeggianti radici come mangrovie, che nascondevano nei loro anfratti corpi globosi simili a giganteschi occhi. Insetti stecco grossi come la testa di Abit pendevano tra i tronchi senza foglie e l’aria era pesante, satura di umidità e di libellule gigantesche. I millepiedi erano così grossi da essere lunghi come il braccio della Oni.

Persino Abit cominciò a faticare, anche perché non era affatto abituata agli ambienti “naturali”, come si ricorderà e dopo non molto vide Maruru come una fiammella nera ondeggiante davanti a sé, rimpicciolito per la lontananza, e gridò: -Aspetta! Maruru!

Il suo grido suonò completamente sordo, come se il bosco intorno mangiasse i suoni. Non aveva però assorbito le grida dei Saimat! E Abit rabbrividì... quali uomini potevano vivere, e cacciare, in quella mostruosa foresta?

Maruru si fermò e voltò la sua grande testa, e disse: “Vedo che i soffici piedi degli uomini non sono in grado di tenermi dietro! ”

Abit si voltò a sua volta e vide che Sendo e Barluga arrancavano ancora più indietro di lei, evidentemente affannati, rossi come due peperoni.

Ma avevano “sentito” Maruru; Sendo mugugnò: -Certo, se avessimo quattro gambe come il prode leone...! Ma noi siamo fatti di carne, non siamo fatti di aria e di stregoneria!

“Anche tu quando sarai morto, sarai fatto d’aria! ” rispose Maruru “Vuoi aspettare qui gli ’uomini antichi’ per vedere come si sta a essere composti di vento? ”

Il signor Sendo esclamò: -Al diavolo! Abit pensò: “cosa vorrà dire ’uomini antichi’ ”? Le rispose, soltanto a lei, la voce profonda di Maruru: “Quelli che i nostri possenti uomini

chiamano Saimat sono i resti di un’umanità precedente a quella di oggi, che non ha mai conosciuto né la civiltà né la cultura... discendono direttamente da quegli esseri primordiali che disputavano il cibo con il terribile smilodon sotto a stelle molto diverse da quelle di oggi! ”

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-Non possiamo continuare così! - esclamò invece Barluga, con il fiato meno corto di Sendo, ma di certo la sua gigantesca statura non lo aiutava in quell’intrico soffocante e claustrofobico -Quelle canaglie sono come scimmie! Sono molto più veloci di noi! E non so nemmeno dove stiamo andando!

Disse Maruru, tornando indietro: “Vi sto guidando per il percorso più breve attraverso due gruppi di battitori! Se avessi voluto portarvi alla perdizione, come leggo dai tuoi pensieri, grande uomo scimmia, vi avrei già mangiati io, senza darmi troppi pensieri! ”

-Dobbiamo farci prendere per i fondelli da questa bestia? ! - sbottò Barluga.“Con quella vostra puzzolente e ferrosa scialuppa siamo precipitati nel bel mezzo di un

territorio di caccia...! ” rispose Maruru “... abbiamo allertato tutti gli ’uomini antichi’ da qui ai confini di Talos! ”

Abit si sorprese; Maruru sembrava sapere benissimo dove fossero, ed era un grosso leone, un sogno, mentre lei, che era di carne e ossa, non sapeva nulla del mondo!

Maruru riprese: “Gli ’uomini antichi’ non vedono l’ora di poter massacrare un pò di quelli che loro chiamano ’i degenerati’ e sono capaci di tenerci dietro anche per settimane, pur di soddisfare i loro istinti bestiali! ”

-Questo lo sapevamo già da noi! - ruggì Barluga -C’è qualcosa che il nostro spirito ci possa raccontare di nuovo, come per esempio fuggire da questa situazione merdosa? !

“C’è una sola soluzione, uomo scimmia: attraversare Talos e raggiungere la vostra cosa-meccanica-volante! ” rispose Maruru.

-Non ci arriveremo mai! - disse Sendo -Non sappiamo nemmeno dove sia ora il Kerberos: prima io e Barluga ci siamo arrampicati anche su di uno di questi stupidi alberi, ma non si vede nulla in cielo... né una luce e nemmeno uno stupidissimo lumino! Dovrebbero aver capito più o meno dove siamo precipitati, ma del Kerberos non v’è alcuna traccia!

-Sempre molto positivo, eh Sendomir Nibiru? - sbottò Barluga.Ma Maruru esclamò: “Zitti! Un gruppo di uomini e i loro segugi sono molto vicini... ci stanno

per tagliare la strada! ”Sendo esclamò: -Ci serve un posto rilevato! Maruru! “Poco più avanti! Corri uomo blu! ” esclamò il leone.I due uomini presero una corsa indiavolata e Abit fu alle loro calcagna, con gli occhi vitrei. Il

signor Sendo aveva gli occhi come quelli di uno sparviero e il signor Barluga era fosco come una torre di fumo nero. Lei invece era terrorizzata come una pseudo-gazzella sorpresa dal cacciatore, ma in cuor suo ammirò improvvisamente i due uomini, che erano pronti e coraggiosi come Maruru.

E con la mente piena di orrori vorticanti non vide una buca nel terreno, inciampò e volò in avanti. Sendo la afferrò al volo, la rimise in piedi e sollevando lo sguardo attonito scoprì che erano sbucati senza che lei neppure se ne accorgesse in una vasta distesa di rovine, dove alberi squamosi contorti emergevano dal paludoso terreno soffocando giganteschi obelischi e masse di macigni muschiati.

Maruru corse lungo un tronco abbattuto che saliva fino in cima a una poderosa struttura e gli uomini gli furono alla calcagna: Abit arrancava dietro a loro. Dove era finita la sua agilità? Le sue gambe erano rese frolli dalla paura!

Il signor Sendo l’afferrò per un braccio e la tirò dietro a sé. -Non preoccuparti, giovane Abit! - esclamò, guardando diritto in faccia i suoi occhioni spaventati -Io e Barluga qui abbiamo già affrontato una volta questi selvaggi e per quanto siano delle bestie, cascano come tutti quando gli infili una pallottola nel cranio!

-Ma quell’altra volta...! - gridò Barluga, poggiando la svenuta Hourì sul cocuzzolo della rovina -... ne siamo usciti vivi solo perché quella tua doll ha richiamato gli “artefici”, o come diavolo si chiamano! Altrimenti adesso saremmo due spiedi infilzati su uno dei loro bracieri!

“E questa volta ci sono qui io! ” esclamò Maruru “Afferrate questa donna! ” disse, lasciando cadere nelle rapide mani dello scimmione la ferita.

-Stai dietro di me, Abit! - disse Sendo, puntando un ginocchio per terra e imbracciando il fucile.

Abit si nascose letteralmente dietro le sue spalle e non osava nemmeno respirare. La foresta

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primordiale era immobile e silenziosa, buia come il primo giorno del mondo. Il sole era soltanto un riflesso lontano, che penetrava soltanto con una vaga luce diffusa. E non si potevano muovere fronde o spezzare rami, perché non ve n’erano. Così, senza nessun preavviso, né un suono né un cambio nella forma delle ombre, improvvisamente al limite opposto delle pozze d’acqua emersero un gruppo di uomini. Abit si era immaginata un gruppo di mostruose scimmie preistoriche e invece vide dei nerboruti omaccioni dalla pelle non più scura di quella del signor Sendo, completamente nudi eccetto per degli astucci di legno che portavano legati da un laccio intorno ai fianchi, coperti di scarificazioni, armati di archi corti, lance dalle punte di pietra legate sulla schiena, occhi come spilli malvagi dentro alle larghe facce.

Due uomini tenevano al “guinzaglio” tre orribili bestie. Erano forse cani, ma Abit non aveva mai visto neppure un cane normale, quindi quello che vide furono soltanto degli enormi quadrupedi dal pelo corto, le teste sproporzionate e orrendamente deformi, dove la pelle sembrava ritirarsi indietro sul cranio, quasi a lasciare tutte le mandibole fino alle fosse degli occhi nude come un teschio.

Gli occhi bruciavano di follia e i Saimat non riuscirono a trattenerli ulteriormente, non appena fiutarono a poche decine di metri gli uomini. Trascinarono a terra i loro padroni, si liberarono delle corde e scattarono in avanti latrando e sbavando.

“Lasciateli a me! ” ruggì Maruru, lanciandosi come una nera nube di morte. I “cani” erano bestie completamente folli e non si fermarono nemmeno un secondo, nonostante la terribile Paura che stava correndo loro incontro sui curvi tronchi. In un attimo vi fu un feroce latrare e schiantare di mascelle. Gli artigli di Maruru saettarono sul muso del primo cane e gli lacerarono quasi in due la testa in un alto fiotto di sangue. Ma come se non sentisse il dolore la bestia gli si rovesciò addosso con tutto il suo peso e trascinò giù il leone dal tronco. Gli altri due, che correvano dondolando sulle nodose zampe sugli altri tronchi più in alto e a fianco, scartarono di lato e si gettarono dall’alto, attratti dalla “preda” più vicina.

Ma Maruru non era una “preda”. Con un tonfo sonoro cascarono dentro alle acque verdastre prima il cane ferito e poi Maruru e sopra a loro le altre due bestie. Scoppiarono alte fontane di schizzi insanguinati e la violenta lotta riempì di tuoni tutta la foresta.

Nemmeno gli uomini rimase fermi; gridando parole orrende nel loro linguaggio incomprensibile scattarono in avanti, verso Abit e gli altri. Il fucile del signor Sendo tuonò, un uomo, due, caddero a terra, volando indietro come pupazzi di stoffa, archi di sangue e di cervella che volavano in alto. Ma gli altri avanzavano, gettandosi dietro ai tronchi e scagliavano frecce. Le punte di pietra rimbalzarono inoffensive intorno a loro, ma anche il fucile di Sendo spaccò in due soltanto una radice, in un’esplosione di corteccia.

Poi Abit udì un rumore dietro di sé e si voltò appena in tempo per vedere il gigantesco Barluga saltare giù roteando il suo poderoso coltello. Tre Saimat erano arrivati proprio dietro di loro, come se fossero sbucati dal tronco stesso degli alberi! Un lampo luccicante volava in aria... un rapido bagliore sopra la testa di Abit. La ragazza si lanciò su Sendo e lo spinse via, premendo con tutto il suo peso e quella freccia di pietra si conficcò nel legno con un rumore sordo, proprio dove prima c’era la schiena di Sendo.

Il signor Sendo la fissò stupito per qualche attimo, ma in quell’attimo nel quale il suo fucile rimase silenzioso successero molte cose.

Barluga aveva sollevato un uomo sopra la testa e lo scagliava contro gli altri come se fosse una pagliuzza.

Hourì si svegliò di colpo.I Saimat correvano lungo il tronco diritto di fronte a loro, con le lance alzate e gli occhi di

fuoco.L’acqua nello stagno esplose improvvisamente di una violenza inaudita e una grossa,

spaventosa, massa nera scagliosa frustò in aria, così in alto da andare a colpire i Saimat che correvano. Fissarono la scena come immobili nel tempo, con gli occhi sbarrati, poi molti di loro vennero spazzati via dall’orrore sorto dalle acque. Lo stagno era sconvolto da una lotta invisibile, i cani non si vedevano e la cosa di scaglie, spessa (e sanguinante) saettò nuovamente in mezzo a schizzi altissimi sotto le acque.

Sendo si riprese dalla sorpresa e rimise mano al fucile e scaricò colpi precisi di morte in mezzo

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alle fila scomposte dei Saimat. Ma il grilletto risuonò a vuoto e quattro uomini erano rimasti. Il primo scagliò la sua lancia gridando con la bocca aperta quanto una fornace. La lancia passò appena sopra alla testa di Hourì, schivandola per un pelo. Abit le fu al fianco, ma cosa poteva fare? Subito i quattro erano a un passo da loro e Sendo prese il fucile per la canna e con il calcio deviò la prima lancia.

Nello scontro corpo a corpo non era forte come Barluga, eccelleva nella mira... e nella velocità con il pugnale. Ruotando su sé stesso improvvisamente nella sua mano brillò la larga lama del suo coltello, dove andò diretta a conficcarsi la gola del Saimat in corsa. Ma uno dei selvaggi balzò sullo stretto spiazzo proprio davanti alle due ragazze, brandendo un pugnale di osso dalla punta seghettata.

Abit lo fissò in un interminabile attimo di terrore, ma la vista improvvisa delle corna e degli occhi di ambra bloccò a sua volta il Saimat. Persino quei selvaggi si raccontavano storie spaventose sugli Oni e lo stupore misto a paura del Saimat le salvò la vita.

Perché un attimo dopo comparve una sagoma enorme dietro di lei e Barluga, che aveva perso il coltello dentro lo sterno di un selvaggio, brandì un enorme pezzo di tronco strappato a forza e lo vorticò come un mulinello contro il petto del Saimat. L’uomo strabuzzò gli occhi e volò indietro come se fosse stato investito da un elefante e cadde ridotto a un mucchio grottesco nello stagno, tra alti spruzzi.

Abit era sconvolta dall’inaudita dimostrazione di pura forza bruta del pirata, ma il cuore le batteva con una violenza spaventosa, e non solo per il terrore. Anche tutti i nemici che avevano circondato Sendo giacevano morti; l’uomo aveva una striscia rossa sul braccio mentre lo scimmione perdeva un rivolo di sangue dalla larga fronte.

Ma l’orda di Saimat era completamente schiantata. Sentì la principessa che singhiozzava contro il suo petto e le passò una mano nei capelli, sotto il ricco velo e la tiara. -Hourì, Hourì! Calmati! - disse piano -È tutto finito!

“No! ” risuonò la voce di Maruru. Come una cometa comparsa nel buio balzò fuori dallo stagno, arrampicandosi faticosamente sulle rocce. Con una zampa evidentemente ferita e orbo di un occhio, da cui colava sangue nero, fece gridare la povera Abit: -Maruru! Sei ferito!

“Non ti preoccupare per me! ” esclamò il leone “Il mio corpo non è costituito di carne come il vostro! ”

-Il nostro corpo invece non è così conveniente! - latrò Barluga, reso ancora più spaventoso dal sangue che gli velava il volto distorto dalla furia e dalla violenza dello scontro -E cosa diavolo era quella cosa che hai trovato là sotto?

“Diciamo che non vorreste cadere in quelle acque! ” rispose il leone “E che i Saimat e i loro segugi non sono le cose più vecchie di questa foresta! Ma voi forti uomini mi sembrate sconvolti... potete ancora proseguire? ! ”

Barluga emise un sordo ringhio, ma Sendo, ansimando come un mantice, che stava ancora finendo di caricare di nuovo il suo fucile, disse: -No! La nostra unica fortuna, se vogliamo chiamarla così, è che i Saimat di qui non sono mai venuti a contatto con la civiltà, perché altrimenti non ci avrebbero tirato frecce dalla punta di pietra, ma fucilate! - sollevò il fucile in aria -Questo è un fucile Saimat, che ho preso a uno dei guerrieri delle tribù che abitano le “paludi” di Ur; saranno anche dei selvaggi, ma non ho mai trovato un fucile migliore di questo... quando dai loro in mano un’arma, anche se la vedono per la prima volta, potete stare sicuri che la sapranno usare meglio di voi! - prese un lungo respiro, cercando di recuperare il giusto ritmo di respirazione -... anche se abbiamo sterminato un gruppo di caccia, non abbiamo fatto altro che far imbestialire ancora di più tutti gli altri che ci stanno venendo dietro!

-Cosa vuoi dire, maledetto Sendomir? - ruggì Barluga.-Voglio dire che la prossima volta ci sorprenderanno in mezzo agli alberi...! - rispose -E dopo

ancora in un modo ancora diverso, se saremo ancora vivi...! Forse io e te ce la potremmo fare, vecchio mio, ma non portandoci dietro le tre femmine! E una di loro è anche ferita!

Cosa stava dicendo il signor Sendo? Che non avevano alcuna speranza? Ma Barluga lo fissò gravemente e poi pescando un fazzoletto sporco (che sembrava una

vecchia camicia macchiata di olio di motore) dalla tasca si pulì il sangue dalla faccia e disse: -Va bene, maledetto! Ho capito quello che vuoi fare!

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-Co-cosa? - esclamò Abit -Che cosa vuoi fare, signor Sendo? Sendo non la guardò, ma fissando il calcio sbeccato del fucile, dopo l’impatto con la lancia

Saimat, rispose lentamente: -Maruru, porta via le donne! Tu riuscirai senz’altro a lasciarti indietro quei selvaggi!

Abit saltò in piedi. -No! - gridò.Ma Maruru rispose: “L’Uno-Senza-Paura non ha parlato in maniera sbagliata! ” e soggiunse:

“Non posso portare i due uomini, ma le due mocciose e la ferita, per quanto faticoso e con questa zampa danneggiata, sì! Posso fuggire in mezzo alla foresta e lasciarmi alle spalle gli uomini antichi! ”

-Ma vi farete ammazzare! - strillò la povera Abit -Che razza di gran piano sarebbe questo? ! -Oh, insomma! - sbottò il signor Sendor -Perché voi femmine non potete semplicemente

accettare la cosa per quello che è, ed evitare tutto questo caos? -Perché è una cosa idiota! - esplose Abit.-Abbiamo per assurdo più possibilità di sopravvivere così! - rispose Sendo -O pensi di saperne

di più di due canaglie che passano il loro tempo a spaccare facce? -Non ne so di più per niente! - rispose la Oni -Ma non sarei venuta con voi, se avessi saputo

che volevate solo farvi sbudellare! -Giovane Abit, se tu non fossi venuta, saremmo morti ancora prima, schiacciati dalla “talpe”!

- rispose Sendomir -E spero che tu non voglia veramente mettere in discussione il fatto che in una situazione come questa due uomini grandi e forti come noi possano anteporre la propria schifosa pellaccia a quella di due ragazzine e di una donna ferita?

-Non è questo il punto! - gridò -Non ho pensato nemmeno per un secondo a una cosa del genere! Lo vedo anche da sola che il signor Sendo e il signor Barluga non sono dei codardi che abbandonano fanciulle in pericolo!

Barluga si grattò la ferita, a disagio. -Questa mocciosa deve aver mal interpretato qualcosa...! - disse.

Sendo sospirò e disse a sua volta: -Adesso mi metti in imbarazzo! Ci hai guardati bene? Siamo due canaglie della peggior specie, altro che...!

Ma anche la principessa aveva qualcosa da dire. Si alzò tentennate al fianco di Abit e cercando di sembrare coraggiosa e di non guardare la grande bestia nera, disse: -Capitano Barluga, non crederete sul serio che io permetta di lasciarvi qui a farvi ammazzare da... - girò un vitreo sguardo intorno, perché vi erano almeno sei cadaveri scomposti tra le pietre e i contorti alberi -... da questi selvaggi!

Il signor Barluga doveva essere proprio strano quel giorno, perché invece di sbraitare che “nessuna maledetta mocciosa gli diceva cosa fare”, disse invece, con voce quasi umana: -Mi unisco, per una volta, a quello che ha detto Sendomir Nibiru: non abbiamo tempo per discuterne, vostra altezza!

-Ma voi siete un pirata! - sbottò Hourì -Non un mio servitore! E allora Barluga gettò la testa indietro e rise, e la sua risata grassa riempì la tetra foresta. La

principessa lo fissò con occhi sgranati, ma prima che potesse dire qualsiasi altra cosa, l’orribile richiamo di caccia dei Saimat risuonò ancora nel folto degli alberi preistorici.

Barluga quindi l’afferrò senza troppi complimenti e la piazzò nonostante si agitasse come un piccolo demonio sulla larga schiena di Maruru, che non fece un solo respiro. E lo scimmione disse: -Un giorno arriverete a pensare... “non vorrei mai aver incontrato quello scimmione! ”, ve lo assicuro, Malake!

Hourì non riuscì a trovare una risposta.Sendo raccolse Fadwa e disse ad Abit: -Presto! Non stare là impalata! Vuoi veramente finire i

tuoi giorni in questo posto? Non avevi detto che volevi vedere cosa c’era fuori di Babilonia? -Ma...! “Dagli retta, Abit! ” disse Maruru “Gli uomini sanno che cosa stanno facendo! ”.Abit si sentiva una gigantesca codarda, ma i rumori dei tamburi e dei fischi dei Saimat

risuonavano forti; balzò sulla schiena del leone, cercando di tenere con un braccio Hourì e Fadwa, ma si accorse che la donna si era svegliata, e con occhi stanchi fissava sia lei che la principessa, e già con il suo braccio sano stava cercando di sostenere, o forse di trattenere, Hourì, che pareva

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sul punto di balzare giù dal leone.-Vai, maledetto leone! - gridò Sendo.E in un lampo, prima che chiunque potesse dire o fare qualsiasi cosa, Maruru spiccò il balzo

attraverso gli alberi. Abit volse lo sguardo indietro, nel vento, e vide rimpicciolirsi in un attimo Barluga e Sendo. Si girò di scatto e si strinse contro Fadwa e la principessa: -Non farci cadere, Maruru! - implorò.

Maruru non rispose, ma rallentò per un attimo il suo passo furente, reso pericolosamente ondeggiante dalla zampa ferita. In quel momento sagome scure saettarono tra gli alberi e scintillarono le armi di ossidiana di tetri bagliori. Orde di Saimat correvano silenziosi e invisibili come pantere tra le felci: il signor Sendo e Barluga non potevano avere speranze contro tutti quegli avversari!

Ma il leone nero puntava avanti come una saetta, Abit non poteva far altro che stringersi alla sua schiena con quante forze possedeva.

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Capitolo 20 Nel cuore di Talos

Maruru spiccò un balzo attraverso un albero colossale, che viveva ancora nonostante il foro largo quanto il leone che le termiti giganti avevano scavato nel mezzo. Grida e frecce rimbalzarono intorno a loro, ma nessun dardo riusciva a raggiungere gli scatti furenti del leone.

Poi, proprio di fronte a loro, comparvero sul bordo di acque stagnanti e verdi mangrovie non meno di sette uomini. Maruru li puntò direttamente e loro sollevarono le lance acuminate contro di lui.

Abit non gridò neppure, si tenne a Fadwa e ad Hourì con ogni oncia di forza. All’ultimo momento il leone, anche se la zampa non funzionava bene, spiccò un balzo prodigioso nel lampeggiare della pietra nera delle acuminate armi. Saltò sopra il letto di punte e con un allungo straordinario precipitò dieci metri più in là, direttamente dentro allo stagno.

L’acqua cosparsa di spore entrò in un fiotto in bocca ad Abit, riuscendo quasi a soffocarla. Si innarcò indietro sulla schiena di Maruru, rivolta agli uomini rimasti sulla riva. Molte frecce lampeggiarono in aria e una era diretta proprio contro la sua faccia. Ma le code di Maruru si sollevarono come fruste fuori dell’acqua, spezzandola al volo.

Tuttavia Abit sentì un suono sordo e voltatasi si accorse con orrore che una stecca spezzata vicino alla coda sporgeva dalla spalla di Fadwa. La donna si era chinata su Hourì, proteggendola dalla pioggia mortale. Ma ora perse ogni forza per quel colpo e scivolò di lato, verso l’acqua. Abit l’afferrò per i vestiti e con uno sforzo sovraumano riuscì a tenerla su.

-Maruru! Andiamo via di qui! - gridò la ragazza.Il leone nuotò via tra alti spruzzi e le frecce dei Saimat caddero inoffensive dietro di loro, fuori

portata. Maruru nuotò sotto l’arco delle mangrovie, sotto la cortina di liane e montò su di un isolotto solido. Poi spiccò rapidi balzi attraverso i radi banchi di terra emersi, allontanandosi sempre di più dai battitori.

Abiti teneva Fadwa con i muscoli che le dolevano ormai più di un coltello rovente piantato nella carne, ma non mollò la presa. Da sotto l’abbraccio della donna la principessa diceva qualcosa che il vento fischiante in corsa le imperdì di sentire, ma sentì il basso mormorare di Fadwa: -Andrà tutto bene, piccola mia... andrà tutto bene...!

Maruru si fermò e il silenzio era grande, in quel luogo che avevano raggiunto. Come colonne di una cattedrale immensi e radi tronchi senza rami, squamati, sorgevano in una fitta oscurità dagli stagni d’acqua immota. Insetti luminosi pullulavano nei recessi degli alberi, come luci fantasma. In qualche maniera Abit e Hourì dalle mani rigide come sassi poggiarono al suolo Fadwa, ma molto sangue aveva sporcato tutta la ricca veste e la donna, sotto le bende, era mortalmente pallida.

“La freccia ha trapassato un polmone! ” disse Maruru nella testa di Abit “Non possiamo fare nulla per lei! ”

Abit si sentì ghiacciare quel poco di sangue che le rimaneva, ma la principessa, ancora più pallida di lei, si gettò ad abbracciare le ginocchia di Abit e gridò: -Tu sei una Oni! Tu la puoi salvare!

Ma Abit distolse lo sguardo e rispose: -Mi dispiace, Hourì, io...! -No! - gridò tra le lacrime la piccola principessa -La magia degli Oni può tutto! Fadwa mi ha

raccontato tutte le storie... gli Oni sono grandi stregoni! Possono compiere qualsiasi miracolo! Ma la sottile ed esangue voce di Fadwa la chiamò. -Principessa Hourì! La principessa si volse e cadde in ginocchio al fianco della sua dama di compagnia. Fadwa non

aveva che la forza di girare i luminosi occhi verso di lei. -Prendi la mia mano, piccola principessa! Hourì la prese e Fadwa disse ancora: -Non posso più accompagnarti... non più oltre di così,

piccola mia! Ma... - un’incredibile sofferenza sconquassò il suo bel visto, ma si sforzò di finire quello che aveva da dire -... ma ora hai trovato l’Oni... non disperati mai piccola mia, come ti ho insegnato! D’ora in poi ti accompagnerò... in un altro modo... sarò sempre con te... non avere mai paura, piccola Hourì!

-No! Fadwa! - gridò la principessa, ma gli occhi di Fadwa erano già vitrei e spenti e fissavano

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il vuoto.Abit distolse lo sguardo. Ora, per la prima volta, aveva capito che cosa significasse la morte.Hourì si lanciò sul petto di Fadwa e piangendo disperatamente urlò: -No! No! Non lasciarmi

anche tu! Le sue povere piccole spalle erano scosse da singhiozzi molti più grossi di lei, ma che cosa

poteva dire o fare Abit? Solo una cosa.-Hourì, non possiamo stare qui! - disse Abit.-No! Non voglio andare via! - pianse Hourì - Basta, basta! Non ne posso più! Che senso ha

avuto... tutto quanto? ! Anche Fadwa è morta! Sono morti tutti...! Sarebbe... sarebbe stato meglio se fossi morta anche io!

Allora Abit venne presa dall’ira per la prima volta in vita sua e presa Hourì per le spalle la tirò in piedi e le rifilò un violento manrovescio in faccia. La ragazzina cadde indietro e la sua preziosa tiara e il velo volarono in aria e cadde sul muschio.

-Che idiozie stai dicendo? - gridò Abit -Fadwa è morta per te! La principessa si poggiò la mano sulla guancia e con occhi pieni di ira gridò: -Perché non hai

fatto nulla per salvarla? Non sei una Oni? Dov’è la tua magia? ! -Io sono una Oni! - gridò allora Abit -Ma non ho nessuna magia! E se anche fossi stata una

grande maga... ci sono cose che semplicemente non si possono evitare! Le persone muoiono! - le lacrime le salirono agli occhi -E non c’è nessuna magia che possa portarle indietro!

Hourì scoppiò a piangere in modo miserevole, ma Abit non osava allungare una mano verso di lei. Nonostante la principessa fosse coperta di oro e di ricchi vestiti erano solo una bambina molto più giovane di lei; ma non c’era nulla che potesse fare per lei. Assolutamente nulla.

Ma finalmente il tetro stagno finì di essere sommerso dei singhiozzi di Hourì e quando gli occhi le si furono completamente disidrati, Abit tornò con il fazzoletto che le aveva regalato Ayane intriso di acqua dello stagno e con mani tentennanti prese a ripulirle la faccia. Faceva sempre così, la nonna, dopo che la piccola Abit aveva pianto. La principessa si lasciò fare, pareva del tutto svuotata. E infine disse Abit: -Hourì, dobbiamo andare via!

-Non voglio lasciare Fadwa qui, senza seppellirla! - rispose quella con un filo di voce.Abit non sapeva come fare, ma finalmente Maruru, che era stato in disparte fino ad allora, si

avvicinò e disse: “Se alla piccola principessa non urta, la ricoprirò con la mia pelliccia vivente, fatta di sogni! ” Abit lo guardò, e vide che l’occhio era tornato sano, e anche la zampa “Nessun animale o uomo riuscirà a toccarla, il suo corpo sarà per sempre intatto! ”

Hourì rispose: -In questa orribile foresta? Vorrei averla riportata a Susa, a casa sua! E invece dovrà rimanere per sempre qui?

Abit, che non poteva fare a meno di sentirsi in colpa, interloquì dicendo: -Hourì, lo faremo! Quando torneremo indietro la porteremo con noi!

“Quando torneremo indietro? ” fece Maruru.-Sì! - disse Abit -Ci ho pensato! Non voglio che il signor Sendo e il signor Barluga muoiano! “E cosa vorresti fare tu, ragazzina? ” esclamò Maruru.-Non lo so cosa posso fare, ma di sicuro non voglio avere il rimpianto di non aver fatto nulla! -

rispose coraggiosamente la Oni -E poi ci sei tu, prode Maruru! Maruru brontolò come un tuono lontano e infine disse: “Per i patti che i tuoi antenati hanno

stretto con quelli come me, io devo fare quello che mi dici, Abit! Ma questo segnerà la tua morte! E sai cosa accadrà allora? ”

Abit rispose: -No! ribatté il leone: “La tua anima non andrà nel tetro e grigio mondo sotterraneo, ma la mangerò

in un solo boccone appena uscita dal tuo corpo! ”-Vuol dire che mi mangerai? - disse -Sarebbe questo il “patto” di cui parlavi? A me va bene lo

stesso, non ho paura di Maruru! Maruru la fissò, poi disse: “Parli così perché non sai ancora nulla: e come credi di poter

impedire a un intero esercito di uomini antichi di mangiare il cuore ai due uomini? ”-Ci servirebbe dell’aiuto! - disse allora lei, grattandosi il mento e dimenando la coda. Ma che

idee potevano venire alla sua sciocca testa di legno? Ma ecco che invece un pensiero le venne.

Page 128: La Canzone di Hourì

-Maruru! - esclamò -Tu non sei, come dicevi, una creatura del Sogno? “La definizione non è esatta, ma possiamo dire di sì! ”-E quindi non puoi muoverti nei sogni e avvertire Alice della situazione nella quale ci

troviamo? - rispose Abit, eccitata -Lei è una Shibartz! Non ho capito bene che cosa voglia dire, ma di sicuro lei conosce la magia, o quello che è! Dovresti essere in grado di contattarla... e lei potrebbe dirlo ai pirati e venire ad aiutarci! Dopotutto Barluga è il loro capitano, no?

Hourì spalancò gli occhi come se avesse visto per davvero sorgere, come il sole del mattino, la Porta nel Cielo; e il leone rispose: “Una Shibartz non è molto diversa, in realtà, da un Sogno personificato; in realtà io e lei siamo fatti della stessa materia. Quindi sì, potrei anche andare a ’chiamarla’... non so che cosa potrebbe scatenarsi dopo, ma sono convinto che sarebbe inutile spiegarti quanto sia spaventosa la furia di una Shibartz! ”

Disse Abit: -E perché dovrebbe infuriarsi tanto? “Perché l’uomo blu è l’uomo che l’ha salvata e che lei stava cercando! Non sarà contenta di

sapere che i Saimat vogliono scuoiarlo e infilarlo nelle braci! ”-Oh! - esclamò Abit -Questo spiega molte cose! Ma dimmi, Maruru caro, la furia di una

Shibartz è peggiore della tua? E Maruru sorrise, se si può chiamare sorriso l’aprirsi delle sue fauci e lo scintillare delle zanne.

“Piccola furba donna, no di certo! ”-E allora saranno i Saimat ad avere paura di noi! - concluse Abit, con cupa ferocia.La principessa allora disse: -Andiamo a salvare il capitano Barluga? -Vieni anche tu? ! -Non posso certo rimanere qui da sola! - rispose in fretta -Anche se sono inutile... - fissò i suoi

piedi -... se tu davvero puoi portare una Shibartz, allora le leggende non sono false! E io potrò vedere questi selvaggi che hanno ucciso la mia Fadwa bruciare del suo fuoco!

“Così si parla, piccola donna! ” esclamò Maruru “Quindi andremo a caccia, una Oni e un Mangiatore di Sogni, come fu nei tempi primordiali, giovane Abit? ”

-Sì Maruru! - esplose Abit.La principessa allora si tolse la collana e gli orecchini, e li mise tra le mani di Fadwa. E Abit

disse: -Cosa fai? -A me non serve tutto questo oro! - rispose -E questi orecchini me li regalò Fadwa! - e rivolta

alla donna dal volto immobile e ormai privo di ogni sofferenza, disse: -Fadwa, tesoro del mio cuore! Scusami se ho perso il coraggio! Ti guro che sarò degna del nome di Susa! Sei stata come una madre per me, non ti dimenticherò mai! - e l’abbracciò forte, suscitando l’invidia di Abit, perché lei non aveva mai avuto nessuno da abbracciare e chiamare “madre”.

Ma era vile da parte sua provare invidia per Hourì! -Andiamo? - chiese.Hourì si alzò e cercando di tenere le spalle diritte fece un rapido e tremante cenno di assenso

con il capo.Allora Maruru ricoprì con il suo mantello Fadwa dal ricco vestito.La foresta risuonava ancora del profondo richiamo di tamburi lontani.

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Capitolo 21 Luci impaurite

Maruru disse che la notte stava scendendo. Hourì non poteva dirlo con certezza, la luce nella foresta era sempre la stessa, ma doveva necessariamente fidarsi delle parole dello spaventoso leone.

Dentro alla sua testa, in quel modo che la lasciava ogni volta sconcertata, arrivò la voce che era come il crepitare di fuoco tra le foglie secche: “Io posso correre tutta la notte, ma voi siete delicate come due uccellini appena usciti dal nido! Troverò un posto dove possiamo riposare! ”

Degli orribili selvaggi non vi era nemmeno l’ombra, ma per quanto ne sapeva la principessa anche quel sasso o quel tronco potevano essere un Saimat mimetizzato. Dove trovare un luogo sicuro per la notte?

Qualcuno avrebbe potuto accusare la principessa di essere una bambina spaventata. Potevano farlo, perché tutto quello che le rimaneva in quel momento era soltanto il suo orgoglio, che però stava andando in pezzi molto velocemente, e il dolore alla parte terminale della schiena, poiché il galoppo del leone era furioso e instabile. E vedere selvaggi e pericoli mostruosi era una prerogativa delle bambine spaventate. Ma poteva benissimo essere che i Saimat si nascondessero sotto le foglie, che non fosse solo la sua immaginazione sovraeccitata: non molto tempo prima il leone si era immobilizzato di botto e Abit le aveva fatto cenno di smettere anche di respirare.

Erano rimasti fermi in quella maniera per quasi un minuto, prima di tornare a muoversi. Poi Abit era balzata giù, correndo poi verso la grossa macchia di alberi a destra, e Maruru, senza lasciar scendere la principessa, aveva cominciato a camminare in ampi cerchi intorno a certe pietre spaccate che sporgevano dal terreno muscoso.

Abit tornò indietro, e disse: -Dimmi Maruru, quando gli uomini camminano in quella maniera, cosa vuol dire?

Quali uomini? Hourì non aveva visto nessuno! Rispose il leone: “Stanno tornando ai loro villaggi; hanno riposto le frecce nelle faretre oliate e

fasciato i piedi con foglie di kakos: la caccia è finita! ”-Ma il signor Sendo? - sbottò Abit.“Non ho sentito suonare i corni rossi...! ”-Che cosa vuol dire? “Che la caccia è terminata con la morte della preda! ” rispose rapido Maruru “Perciò direi che

hanno deciso di farli prigionieri! Un destino certo peggiore della morte! ”-Ma tu stai pensando anche a qualcos’altro, Maruru! - lo interrogò la Oni.“Ho visto troppi cacciatori, oggi! ” rispose “Credo che tutti i villaggi di Talos si siano uniti in

questa caccia! Ed è un fatto strano, da qualsiasi parte lo si guardi! ”Abit non disse più nulla, ma rimontò in groppa al leone. Solo allora Hourì si arrischiò a

chiedere: -Ma cosa vuol dire “gli uomini camminano in quella maniera”? Io non ho visto nulla! Disse Abit: -Nemmeno io li ho visti! Parlo delle loro tracce! -E come fanno delle impronte a dirti come camminavano? ! - esclamò la principessa.-Non so bene come risponderti! - ammise la Oni -Ma vedi laggiù, quella fossa sotto a quel

tronco? -Sì, e allora? -Quella non è una fossa! - disse -È l’impronta di una zampa! -Non è possibile... è più grande delle zampe di Maruru! - ansimò la povera principessa.-Bho, sarà qualche grosso animale, sì... - disse Abit, grattandosi dietro il corno destro -... però

quello che volevo dire è: vedi come è schiacciata dietro, mentre è poco premuta davanti? Questo vuol dire che chi l’ha lasciata aveva qualche difficoltà a camminare... forse era ferito! E poi nota quelle spore cresciute dentro l’orma: è vecchia almeno di due giorni!

Hourì si sentì molto sollevata che qualsiasi cosa avesse lasciato quell’impronta fosse ora molto lontana, ma questo non bastò a calmarla. -Ma non ha alcun senso! Come fa Maruru a sapere che hanno infilato le frecce nella faretra, solo dalle impronte? ! E neppure si vedono queste orme! -

Page 130: La Canzone di Hourì

sbottò.Abit la fissò perplessa e Maruru disse: “Se hai una buona guida, ragazzina, è bene seguire

quello che dice! O preferisci camminare da sola in questa foresta, sperando di non incontrare l’idra che ha lasciato quelle orme, o i Saimat, per chiedere loro come fanno a camminare lasciando tracce che solo un Oni o un mostro come me possono seguire? ! ”

Allora Hourì si zittì di colpo e non parlò più per tutto il resto del giorno, finché Maruru non aveva parlato della notte imminente, e ancora dopo, quando disse: “Questo potrebbe essere un buon posto! ”

La principessa alzò lo sguardo e vide venirle incontro, nella tetra penombra, una grande massa marrone-grigio, ben più grande delle piante preistoriche tutt’intorno. Dapprima la scambiò per una montagna, spalancata in ampie grotte sulla foresta. Ma poi si accorse delle costole puntate verso il cielo oltre le cime degli alberi; e le cavità nereggianti, troppo regolari, che punteggiavano l’interno della struttura.

Una grande nave volante schiantata. No! Ben più grande di qualsiasi nave avesse mai visto e dalla forma diversa da quelle che andavano e venivano ogni giorno nel porto di Susa. Il ventre spaccato era divenuto caverna, il dorso era divenuto corallo preistorico e muschio irto di alberi di un altro tempo. Era come pietra ed era fusa in maniera indistinguibile con il terreno dove si era schiantata. Anche il terreno sconvolto, il cratere dell’impatto, era stato assorbito con il tempo dalla foresta.

Disse nella sua mente la voce di Maruru, che pareva averle letto il pensiero: “Quando questa costruzione dell’uomo si schiantò qui, non vi era ancora la foresta! Anzi, questo luogo era ricoperto dalle acque! ”

Acque? Quando Talos era il grande mare centrale che separava i deserti dalla nazioni del nord? Quindi... durante la Catastrofe? Che bisogno c’era in quel tempo di morte di navi così grandi?

“Queste navi non andavano in cielo, andavano oltre, tra le stelle! ” rispose misteriosamente il leone “Cercavano di sfuggire a un mondo condannato! Ma, come vedi, non andarono lontano! ”.

E Abit, del tutto ignara dei destini di antichi uomini e delle ere passate, disse: -Cosa sono queste... delle grotte?

-No, è un relitto! - esclamò Hourì.-Ooo! - disse Abit, con la bocca larga e sciocca aperta.“Là dentro dovremmo poter dormire tranquillamente! ” disse Maruru “L’antico materiale di cui

è costruita è molto resistente e offre una buona schermatura contro le radiazioni del Sogno, nonché dalla mente degli stregoni Saimat! ”

-Ci stanno ancora cercando? - esclamò Abit.“Già tre volte la sua vista ci ha sorvolato! ” disse seccamente il leone “Ma non ci ha scorto,

perché finché siete con me siete nascoste come da un velo di tenebra! Ma di notte le vostre piccole menti vagano lontano dal corpo, come candele lasciate alla deriva su di un fiume nero! La sua mente non riuscirà però a penetrare dentro a quelle pareti! ”

La principessa aveva capito solo metà della spiegazione del leone, ma vide che Abit non aveva capito proprio nulla. Gli Oni non avrebbero dovuto essere signori della magia e del Sogno? Forse non tutte le leggende erano vere: forse quel che rimaneva degli Oni erano soltanto rovine e ragazzine come Abit, che non conoscevano nulla degli antichi segreti. Se fosse stati così, allora tutto era perduto!

Oh, sciocca Hourì! Era già tutto perduto! Come poteva fare la differenza la piccola Abit? Ora che aveva incontrato una Oni, scopriva che non era molto diversa da lei. E come lei, era impotente, incapace di fare qualsiasi cosa.

Il viso sofferente di Fadwa invase improvvisamente i suoi pensieri. “Non perdere la speranza!”... le sue ultime parole vorticavano nella sua testa come puntini neri, come vespe. E si accorse d’un tratto di essere sfinita, che ogni singolo pensiero era come un chiodo incandescente che si andava a conficcare nel cervello.

Quasi si lasciò cadere come un peso morto dal dorso di Maruru e Abit, balzata dietro a lei, la guardò con occhi preoccupati. -Stai bene? - disse.

Stare bene? Come poteva? !

Page 131: La Canzone di Hourì

-S-sto benissimo! Non aiutarmi! - disse; di lei era rimasto in vita solo il fatto di essere una principessa. A cosa altro poteva appendersi, come un uomo sull’orlo di un precipizio che si aggrappa all’erba senza radici?

Si sedette sotto l’ombra del relitto, dentro al ventre spalancato. L’interno era quasi come quello di una vera grotta e crollò su quello che parevano i resti di grosse casse di metallo. Abit la stava ancora fissando preoccupata, ma Maruru disse: “Abit! Io vado a cercarvi qualcosa per riempire quei vostri piccoli stomaci! Prendi quelle foglie scagliose che vedi sparse in giro all’imboccatura e trova una qualche forma di stanzino o cabina più in alto! Ci farai un giaciglio con quelle foglie! ”

E senza attendere neppure la risposta balzò fuori nel buio, scomparendo, o meglio, fondendosi con la notte in un attimo.

Abit allora si mise diligentemente a raccogliere foglie, fino a riempirsi le braccia. Hourì la invidiò: da dove prendeva tutta quella energia? !

Poi la Oni si avvicinò, e disse: -Hourì, cerchiamo un posto più riparato, come ha detto Maruru! La principessa si alzò a fatica e la seguì, come un androide. L’area dentro alla nave non

presentava scale o altri sistemi per salire dentro al corpo del relitto, solo fori nel “soffitto”, fosse circolari poste ad almeno tre metri dal suolo. Arrampicandosi sui rampicanti che pendevano dai fori era forse possibile arrivare là in alto, ma quelle liane erano dense di spine seghettate, purpuree, e non sembravano promettere niente di buono. Abit le osservò criticamente e poi sbuffò: -Come pretende che salga lassù, con le braccia piene di foglie? !

Poi però scorse qualcosa più avanti e corse fino alla parte di fondo, che era un muraglione di muschio e radici; queste ultime parevano anzi una specie di cascata di legno, che scendeva rigogliosa dalle fessure nella volta. Si mise a grattare la superficie verde con un piede e dopo un poco comparve qualcosa di grigio. Una specie di portellone. E un maniglione attaccato su quello. Abit si tolse lo scarpone destro, strusciandolo contro la gamba, e con le dita del piede afferrò il maniglione.

-Aspetta! - esclamò Hourì -È pericoloso! -Eh? - fece la Oni, qualche frazione di secondo prima che la maniglia cedesse e lei volasse

indietro a gambe all’aria, in una pioggia di foglie uncinate.La principessa si ritrovò sepolta sotto Abit e le foglie; al suo grido e al fracasso del portellone

che cedeva, ci fu un fuggi fuggi generale di piccole cose nere su tra le liane. Dietro alla marea di insetti spuntarono poi diverse cose più grosse, che uscirono come una processione dal fondo dei buchi neri; erano simili a ragni, grandi come un pugno. Avevano un corpo globoso che prese subito a spandere una diafana luce interna. Si appesero alle liane e rimasero là, come delle specie di lampadari addobbati per la festa e tutta la volta ne fu illuminata.

E Abit, distesa con la schiena sopra di lei, che fissava a sua volta la scena, esclamò: -Ah! Hai visto? Che strani animali!

Io non li chiamerei “strani animali”! -Fanno luce! Saranno commestibili? Commestibili! Allora la principessa disse: -Scusa, Abit! -Oh, e di che? - fece quella.-Stiamo andando a salvare il capitano e il signor Sendo...! - replicò -E io mi sto comportando

come una mocciosa! Invece tu sei tanto coraggiosa... che... ma cosa potevo aspettarmi di meno da una Oni?

-Non credo proprio di essere molto coraggiosa! - rispose Abit, voltando la testa verso di lei; si trovò quegli occhi ambrati incredibilmente vicini -Se lo fossi stata, sarei rimasta con il signor Sendo! E mi puoi spiegare perché hai tutto questo interesse per gli Oni?

Hourì sbatté le palpebre, sorpresa. -Vuol dire che non sai nemmeno chi sei? - esclamò.-Tutti continuano a ripetermi questa storia degli Oni! - sbottò Abit -Ma io non ne sono nulla! Non erano proprio così le storie! Nelle storie che aveva sentito, che Fadwa le raccontava da

vicino al letto, sfrigolava l’acciaio e lampeggiavano lampi, e gli Oni erano ammantati d’oro liquido. Ed erano storie di eroi! Invece, ecco una ragazza con la faccia sporca che apriva le porte con i piedi, ecco che cos’erano gli Oni!

Page 132: La Canzone di Hourì

La principessa sospirò e disse: -Allora cerchiamo un posto che vada bene a quel leone dalla bocca larga! E poi ti dirò tutto quello che so!

-Ah! Questo è parlare! - saltò in piedi la Oni.Il portellone che la sciocca ragazza aveva divelto era forse un boccaporto, pensò Hourì.

Siccome la nave doveva essersi rovesciata su di un fianco forse quel boccaporto era stato un tempo posizionato sul soffitto. Lei e Abit guardarono dentro, nel polveroso buio.

-Servirebbe una luce! - disse Hourì.-Io ci vedo abbastanza bene! - rispose Abit.La principessa guardò i suoi occhi d’ambra e sospirando disse: -Non ho degli occhi come i tuoi! Allora Abit si grattò il mento e poi fece una faccia furba. -Guarda! - disse, e voltasi corse verso

le liane. Con agilità scimmiesca si arrampicò sulla prima, evidando di afferrare proprio le parti piene di spine. La principessa la guardò preoccupata che potesse cadere, ma Abit era agile come proprio come una scimmia. Raggiunse quasi la cima e rimase a un braccio di distanza dalle grosse bestiacce luminose. E in un lampo fece saettare la mano e afferrò una di quelle bestie globose, che quasi non provò neppure a scappare. Forse erano abituati a cacciare piccoli insetti, alla maniera dei ragni, non di essere acchiappati a loro volta da grossi mammiferi!

Saltò giù e tenendo la creatura, che aveva ripiegato le zampe sotto il ventre, pur emettendo ancora luce. E disse, piantandola quasi in faccia a Hourì: -Così ci potrai vedere anche tu!

Hourì fece un balzo indietro e disse: -S-sì, ma tienila tu! E non sventolarmela sotto il naso! -Umu! - rispose Abit e fece strada nel nero condotto.Hourì sospirò e facendo appello a tutto il suo coraggio la seguì. Il passaggio era polveroso,

invaso di spore e di strane cose soffici sotto le mani; procedevano infatti carponi, perché era molto basso. Avanzarono con quella loro luce stentata, come una lontana stella nel mare infinito della notte, per diverso tempo, finché non sbucarono in un ambiente più grande, i confini del quale Hourì non riusciva nemmeno a immaginare. Abit disse: -Là vedo una scaletta!

La principessa non poteva che seguirla, fidandosi di lei. La “scaletta” era una scala a pioli. Salirono per una decina di gradini, prima di trovarsi su di una larga piattaforma. Molte “cose” scapparono via nel buio non appena vi misero piede, ma dopo qualche istante si accesero altre luci tutto intorno a loro.

Forse richiamate dalla luce del loro simile, altre creature globose erano emerse dalle radici che invadevano il fondo della piattaforma, che ora divennero visibili anche alla principessa. Allora Abit andò a deporre la bestia sulle radici, mentre le altre si ritraevano appena alla sua presenza. L’animale poggiò le orrende zampe in maniera incerta, poi scomparve come una saetta tra i rami. La altre creature rimasero dov’erano. Evidentemente non vedevano in Abit un nemico, o qualcosa che potesse mangiarle.

Ma Hourì disse: -Abit! Non ci mangeranno nel sonno, questi ragni? Abit rispose: -Non credo! Vedi, non hanno neanche la bocca! Io credo che si nutrano di

umidità! -E come fai a dirlo? -Ci sono creature simili anche a Babilonia! - rispose la Oni -Ecco, quelle hanno le ali, ma fanno

luce come queste: non hanno la bocca e trattengono l’acqua con il dorso luminescente! -Io credevo che la luce servisse ad attirare le prede! - osservò Hourì.-È un’idea molto interessante! - rispose Abit, battendo le mani -Infatti questo è il metodo che

usano certe altre bestie... ma quelle sono carnivore! Il peggiore di tutti è un coso con una specie di tubo in testa, su cui sta sospesa in fondo una palla che fa luce. Chi si avvicina troppo fa la conoscenza con la sua bocca piena di zanne: anzi, bisogna dire che quegli animali sono praticamente tutto bocca!

La principessa però aveva avuto una specie di folgorazione. -Babilonia! - gridò.-Eh? - fece Abit -Cosa succede? -Ma certo! - disse Hourì, prendendo a camminare in tondo sulla piattaforma, parlando da sola,

le braccia conserte, il mento in aria. Proprio come soleva fare Fadwa. -Babilonia! E dove altro sennò? Dove altro potevano trovarsi gli ultimi Oni?

Abit la fissava con il dito puntato sulle labbra, perplessa.Ma la principessa si fermò di botto ed esclamò: -Abit, siediti là!

Page 133: La Canzone di Hourì

La Oni si sedette di riflesso. Improvvisamente la giovane Hourì aveva un’autorità portentosa, sembrava tornata ad essere una vera principessa!

Ed essa chiese ad Abit: -Raccontami! Cosa facevi a Babilonia? E come ne sei uscita? Hourì vide che aveva fatto centro: gli occhi della ragazza si illuminarono e nonostante udisse i

distinti suoni del suo stomaco vuoto arrivare fino a lei parve non badarvi e attaccò subito con grandissima foga. Abit doveva amare particolarmente raccontare storie. E lo fece in modo assolutamente naturale: Abit le raccontò della sua solitaria infanzia, delle vuote volte, del buio, della paura che vive in Babilonia, e delle meraviglie che faticava persino a mettere in parole. Una ragazza così sola non doveva forse provare un grande piacere per il solo fatto di poter parlare con qualcuno? Per Hourì, sempre circondata di cortigiani, di maestri e di valletti, che aveva ancora un padre e che aveva sempre avuto Fadwa al suo fianco, quella rivelazione della solitudine di un essere umano la colpì molto duramente.

Sì, Abit era una Oni, ma non era un essere di leggenda grondante magia e mito... era una ragazza sola. E capì che forse era anche più sola di ogni altro essere vivente: perché forse era proprio l’ultima dell’intera sua razza.

Come si sarebbe sentita lei al suo posto? Oh, forse lo capiva benissimo: adesso Fadwa se n’era andata. Forse suo padre era già... morto, mentre lei era in viaggio. E non le rimaneva più nessuno, anche se fosse stata ancora circondata di valletti, cortigiani e maestri!

Ma ricacciò indietro le lacrime che le sorsero negli occhi: doveva essere forte! E non poteva essere da meno di Abit che, nonostante stesse raccontando fatti orrendi, come quello di essere stata venduta come schiava, continuava a sorridere.

-Una schiava! - esclamò Hourì, sinceramente inorridita -Com’è possibile che un essere umano possa essere venduto come se fosse un oggetto? !

-Giovane Hourì! - rispose Abit -È una cosa molto comune! Il signor Sendo mi disse che esistono schiavisti anche nel mondo di fuori!

La principessa si vergognò; era soltanto una ragazzina viziata, che non sapeva nulla? E così com’era aveva preso quella decisione terribile, che alla fine aveva ucciso la sua Fadwa!

Abit tuttavia continuò con il suo racconto, dei tristi giorni del circo, della sua amicizia con Ayane, del ritorno alla casa del “nonno”, dei malvagi cacciatori di ratti, del prode Maruru che l’aveva salvata. E poi di Alice e dei tunnel che conducevano all’esterno, degli uomini di fuori, i pirati, il signor Sendo e il Kerberos!

Hourì non sapeva se credere a tutto quello che stava raccontando la Oni, ma in fondo, dopo aver visto Maruru, tutto era possibile. Anche l’amicizia con una Shibartz! Allora cominciò a tornarle una mesta speranza: le Shibartz sono creature spaventose a cui si fa ricorso per spaventare i bambini che fanno i capricci, forse più leggendarie degli stessi Oni, ma se era possibile “fare amicizia” con una di esse, non era forse Abit un essere speciale, una vera Oni? E la sua “capacità” di parlare con il “nonno” (Hourì aveva una vaga idea di che cosa potesse essere il “nonno”, ma non lo disse ad Abit) e di riattivare i colossi di metallo, non erano forse tutte prerogative degli Oni, come dicevano le antiche storie?

Ma proprio quelle parole del nonno, quello vero, di Abit, le facevano sobbalzare il cuore e mulinavano nella sua testa come tumultuose ondate di marea. “Vai nel cielo”!

Abit esclamò: -Questa è la storia di come sono uscita da Babilonia! Ma tu, giovane Hourì, avevi promesso che mi avresti spiegato perché ti interessano tanto gli Oni!

Allora la principessa si riscosse e sedutasi finalmente a sua volta, proprio di fronte ad Abit, prese un gran respiro e disse: -Bene, mia Abit, ora ti dirò che cosa sono gli Oni per noi, che non ne abbiamo mai visto uno! Gli Oni sono creature che vivono nelle leggende. Sono leggenda vivente. Questo per i saggi e per i sapienti, ma anche per gli uomini comuni. E gli uomini comuni quando pensano agli Oni pensano a tesori, avventure e mistero!

-Come! Io non so nulla di tesori! - sbottò Abit -È già tanto se posso permettermi di avere questi vestiti addosso! - e soggiunse: -E cos’è poi un “tesoro”?

Rispose Hourì, sospirando: -Cos’è un tesoro? Per alcuni, vediamo, sono le porte d’oro di un palazzo, o ancora forzieri ricolmi di monete nascoste nel fondo di antiche catacombe. Ma per altri i “tesori” degli Oni non sono soltanto beni così materiali. Sono le loro conoscenze, la loro tecnologia, la loro magia e anche... purtroppo le armi che hanno lasciato dietro di sé! - e poi,

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piano, soggiunse: -Oppure la leggendaria Porta del Cielo! -Una Porta... nel Cielo? - esclamò Abit.Questo era il momento decisivo e Hourì si augurò di avere la forza per andare fino in fondo.

Poi rispose: -Si tratta di un’antica leggenda, che è molto ben conosciuta a Susa, la mia patria; questa storia narra di come gli Oni siano stati la prima razza a salire sulla terra dopo la scomparsa delle creature rettiliformi di Valusia e l’ultima razza a scomparire nuovamente sotto il mare quando il mondo finirà. Essi, gli Oni intendo, scoprirono per primi i grandi Dei che dormivano al di là del tempo e costruirono “macchine” in grado di asservire il Sogno; erano già vecchi quando arrivarono i primi uomini e si dice che insegnarono loro i cammini del Sogno...

Abit lo ascoltava trascinata dalle sue parole come polvere di metallo da una calamita. La principessa vedeva chiaramente che aveva completamente catturato il suo interesse. Forse stava ingannando la ragazza: ma doveva essere spietata, nonostante il bene che le aveva fatto Abit.

-E cosa successe loro? - esclamò Abit, fissandola intensamente -Perché non sono più qui? -Nessuno lo sa! - rispose la principessa -Si dice che, per sfuggire alla distruzione del mondo,

scapparono oltre le stelle. Ma altri dicono che morirono tutti ben prima della Catastrofe e che anzi furono proprio loro a provocarla. E ancora, che distrussero sé stessi molto prima che gli uomini costruissero la loro prima città, facendo inabissare i continenti e affondando il mondo di allora nelle acque! Ma quello che tutti si dicono sicuri di sapere è che lasciarono dietro di sé infinite leggende, di città sparse negli angoli più oscuri del mondo, colme di tesori e di pericoli. Spesso puoi sentire di un Satrapo o di un Sultano che organizzino una spedizione nelle Giungle del Sud, o di nobili della fredda Balmung, che guidano manipoli di avventurieri dagli occhi febbrili dentro alla foresta di Duana. A quanto ne so, ben pochi ritornano, e non uno di loro torna più ricco di come quando fosse partito! Nessuno ha mai trovato le antiche città, che si dice siano fatte di rubini e di oro. Ma di tutte le leggende che parlano di tesori, nessuna è più misteriosa di quella che narra della Porta del Cielo!

-E cosa sarebbe mai? - chiese Abit, al colmo della tensione.-Conosci le storie secondo le quali il mondo sta per finire? ! - chiese allora la principessa.-Cosa? No di certo! Per me il mondo fino a ieri era il soffitto di Babilonia! - rispose

onestamente la ragazzina.-Per tutto l’Impero, ma anche a Balmung, nell’Ind, e forse a Novomagus... - riprese allora lei

-... profeti di sventura percorrono le strade gridando che la fine è vicina: segni si sono visti nel cielo, tuoni si sono sentiti sotto le montagne, le acque dei mari si stanno ritirando a ogni stagione e... intorno al fuoco, a bassa voce, si raccontano storie ancora più oscure!

-Cosa intendi? Hourì fece un grave cenno di assenso con il capo. In verità queste storie spaventavano anche

lei, ma in quel momento non poteva permettersi di essere una ragazzina di dodici anni, ma una principessa.

E disse: -Esseri che erano stati dimenticati, persino nelle leggende, tornano a strisciare fuori dai boschi e dalla caverne... fuori da luoghi come questo, la foresta del lago Talos! - fece un largo gesto della mano, per comprendere tutto il buio intorno a loro -Ma si parla pur sempre di superstizioni di gente ignorante. Eppure una “minaccia” ben più concreta agita i sogni di questo vecchio mondo. Non uno dei maghi indovini di Balmung, non un solo prete veggente di Corvinthium, non un solo astropate di Babilonia riesce più a vedere nel futuro. Indovini e sognatori un tempo erano capaci di indovinare forme oscure, come sagome nella nebbia, nelle spire caotiche e multiformi del futuro: ma ora in tutte le menti dei sapienti del mondo c’è solo tenebra... e un’oscura premonizione di disperazione e morte!

Quelle erano le stesse parole, più o meno, con le quali una veggente degli Uomini Blu aveva terrorizzato la corte di Susa, anni addietro, prima di essere scacciata da suo padre. Allora, quando suo padre era ancora fiero e forte e le pareva solido come una montagna!

Ma Hourì continuò: -Ma esiste questa leggenda... un’antica convinzione che gli Oni, poco prima della distruzione del mondo, quando il Sogno si riversò sulla Terra cambiando ogni cosa, fuggirono attraverso il cielo, attraverso la Porta da essi stessi creata. Fuggirono dalla distruzione, andarono in un altro mondo; non si sa chi cominciò a raccontare questa storia, neppure gli uomini blu (che si dice siano tutti profeti) conoscono il nome del primo veggente che “sognò” questa

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visione! - una pausa -Tutti credono che se ci fosse anche un solo Oni rimasto nel mondo, solo quell’Oni sarebbe in grado di aprire nuovamente quella Porta! - fissò direttamente lo sguardo negli occhi di Abit -Ma naturalmente nessuno ha mai più visto un Oni vivo da secoli e secoli... non saprebbero nemmeno riconoscerlo, se lo vedessero: io però ho sentito la precisa descrizione del loro aspetto da parte della veggente degli uomini blu, e tu... tu ci assomigli decisamente molto, Abit!

La ragazza più vecchia si ritrasse istintivamente; Hourì sapeva che i suoi occhi stavano bruciando!

Ma Abit si riprese e disse: -E tu... perché stai cercando questa unica povera Oni, che poi sarei io? Pensi che io sappia aprire la Porta in Cielo?

Hourì scattò in avanti, afferrandola per un braccio. -Abit! Gli Oni si nascosero oltre il Cielo! Aprire la Porta vuol dire... vuol dire andare dove loro andarono, fuggire dal mondo condannato, oppure... oppure scoprire i loro segreti più grandi! - i suoi occhi bruciavano, la sua stretta sul braccio di Abit doveva essere dolorosa, ma continuò, come posseduta da un demone -Il segreto della Vita e della Morte, un potere così grande che... che potrebbe guarire un’intera nazione! E farla grande, rigogliosa e splendida su tutte le altre! Guarire tutti i mali della gente, far scomparire la guerra, estirpare la fame e la povertà! Pensa a quale miracolo potrebbe essere, Abit!

Ma Abit si ritrasse ancora e strappandole la mano dal braccio esclamò: -Ma questo è il potere che può avere Dio, Hourì! Cosa potrebbero farsene degli uomini... o delle povere ragazzine come me? !

Hourì sentì la gola secca, le tempie pulsare come il martello del fabbro sull’incudine. -Abit! Cosa importa? Dio ci ha abbandonati! La mia povera terra di Susa langue inaridita; i campi sono distese di sabbia, la gente muore di fame! La guerra ha sterminato le città e i villaggi! Io...! - ma qui si bloccò, incapace di pronunciare quella frase -... il mio paese muore, e gli sciacalli di Hatra vengono a pasteggiare sulle rovine di Susa, offrendo falsi sorrisi e false promesse di pace! Ma se avessimo il potere degli Oni... potremmo scacciare quella gente dalla nostra terra, la gente tornerebbe e a vivere, e io... io...!

Ma Abit questa volta si protese verso di lei e afferrandola per una spalla la scosse, e gridò: -Hourì! I tuoi occhi mi fanno paura!

La principessa Hourì lo sapeva; ma sapeva anche di non poter più rimanere in silenzio. Che non poteva più trattenere dentro di sé quel peso che stava portando. E gridò: -Abit, non capisci! L’unica salvezza per Susa, per la mia gente... quello che ha chiesto in cambio Gothra di Hatra per salvarci...! È la mia mano! È me stessa! Io devo sposare quel mostro! - e non appena pronunciò quelle parole si coprì il viso con le mani e scoppiò in singhiozzi, spaventando tutte le creature globose, che si ritirarono dentro le loro tane tra le radici. La luce si abbassò di molti toni e nella penombra gli occhi di Abit bruciavano più che mai.

Ma con quegli occhi luminosi ella disse: -Sposarti? Non sei troppo giovane? E questo Gothra, chi è?

Hourì, scossa di singhiozzi, rispose: -Gli Atriani sono mostri! Sono violenti, credono solo nella guerra! E Gothra è il loro Re spietato: si dice che... che porti nel suo letto ogni notte una ragazzina diversa e che questa... non venga mai più rivista al mattino!

Abit ebbe un fremito; sollevò la mano, l’abbassò. La sollevò ancora e finalmente l’appoggiò sulla sua spalle. E disse, piano: -Hourì, mi dispiace; anche se io volessi... io non so proprio nulla di questa Porta nel Cielo! Non posso aiutarti in alcun modo!

La porta della speranza si chiuse. Ma in fondo sapeva già, nel suo povero piccolo cuore, che era folle credere.

Ma nonostante tutto Abit le si sedette a fianco e prendendola per le spalle la abbracciò, e disse: -Ma non c’è altro modo per evitare che questo... Gothra... insomma...!

Hourì sentì la fiele salirle fino in gola. Disse: -No, cara Abit! Mio padre, se fosse ancora sano e forte, si sarebbe alzato e avrebbe colpito a morte il messaggero con le sue mani non appena questo portò la sua proposta! Ma è debole e malato, forse è già morto, mentre io sono qui a piangere come una codarda, lontano da lui!

-E allora perché?

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-Sono stata io stessa a dare il mio assenso! - gridò Hourì -Perché Susa muore e solo Hatra può salvarci! E io non potevo permettere che...! - i singhiozzi interruppero le sue parole. Le creature globose intanto uscirono di nuovo dalle loro tane, curiose; e assieme a quelle c’erano altri animaletti pelosi, curiosi anche quelli delle due strane creature che avevano invaso il loro regno. Fissarono con occhietti lucidi le due ragazze e Hourì dalle piccole spalle scosse dal pianto.

Abit le accarezzò la testa e finalmente la principessa riuscì ancora a dire: -Io mi sentivo tanto coraggiosa, credevo di fare bene, che avrei dovuto sacrificarmi, che era questo quello che una vera principessa deve fare! Ma dopo tutto quel fuoco e le facce dei morti... e questa foresta e... Fadwa, io... io ho paura Abit! Come posso fare? ! E tuttavia mi ostinavo a credere nelle storie, a credere che prima di entrare nel palazzo di Hatra sarebbe comparso un eroe, qualcuno che mi avrebbe salvata! Che sarebbe venuto un mio messaggero a dire “abbiamo trovato l’Oni”! E quando nella foresta mi sono trovata di fronte a te... non credevo ai miei occhi! Possibile che ci fosse ancora speranza? ! Che tra tutti i luoghi del mondo, dovessi finire proprio di fronte all’ultimo Oni del mondo? - prese un gran respiro, per calmarsi -Ma l’illusione è finita: anche tu sei come me, una povera ragazza che non può fare nulla... - fissava il pavimento, la povera Hourì, incapace di guardare negli occhi Abit -... ah, quanto è stata sciocca e boriosa la principessa di Susa! Dopotutto, che male ci sarà mai nel finire nelle mani di Gothra? Quante altre principesse hanno sofferto lo stesso destino? La mia vita in cambio di Susa! Non è uno scambio tutto sommato equo, Abit? - disse la principessa, sollevando lo sguardo patetico su di lei.

Ma la Oni la abbracciò forte, avvolgendole la testa, ed esclamò: -Che stai dicendo, sciocca Hourì? Che va bene che tu ti sacrifichi? E cosa racconteremo a Fadwa? O agli uomini che sono esplosi sulla tua nave volante?

-Ma perché tutti loro dovevano morire...? - esclamò Hourì -Cosa sono io... per giustificare la morte di tutti loro?

-Ah! - esclamò Abit -Sei una principessa, ma sei proprio sciocca! Perché ti vogliono bene, e che altro?

La principessa Hourì non seppe proprio che cosa rispondere. Intanto forti colpi si sentirono in alto e acque scure presero a gorgogliare negli anfratti. All’esterno, sulla vasta distesa di Talos, doveva cadere una fitta pioggia.

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Capitolo 22 La canzone di Hourì

-Perché viaggiavi su quella nave, Hourì? - chiese Abit.La principessa disse: -Perché nonostante la mia decisione, il mio povero padre pensò che

fosse troppo crudele il mio destino. Perciò, incurante della sorte di Susa, ordinò che venissi portata all’oasi di Shiwa, dove vanno tutte le spose regali in vista del matrimonio, per essere purificate. Ma quella è una terra sacra: egli pensava che neppure il tetro Suldr avrebbe osato profanarla!

-Chi è Suldr? - chiese Abit.-Uno dei generali di Gothra... - rispose Hourí -... famoso per la sua abilità con la spada quanto

lo sia per la sua spietatezza! -E questo malvagio non sarebbe venuto a Shiwa? - chiese ancora Abit.La principessa scosse la bella testa e rispose: -Mio padre aveva progettato che dopo la

purificazione le sacerdotesse di là non mi consentissero più di partire; gli Atriani sarebbero stati ingannati e non avrebbero potuto possedermi. E in quel tempo egli credeva che i messaggeri sarebbero tornati...!

-I messaggeri? - esclamò la Oni -Che messaggio dovevano portargli? Hourì sospirò. -I messaggeri inviati ai quattro confini dell’Impero Meccanico, e l’eroe che

proprio mio padre fece chiamare! - disse -Coloro che avrebbero dovuto cercare l’Oni e portarlo dal Re!

-L’Oni! - esclamò Abit -Quindi anche tuo padre crede nella leggenda? -Oh, Abit! - rispose forte la principessa -Chi non crede nei miracoli, quando non c’è più alcuna

speranza? Ma come vedi, i suoi messaggeri e l’eroe possono cercare finché vogliono... altri, che non saranno i cantori di Susa, tesseranno un poema sulla loro vana ricerca! L’Oni è qui con me, eppure io non sono neppure arrivata a Shiwa!

-Perché hanno abbattuto la tua nave? - disse Abit -Ma chi è stato? Hourì sospirò amaramente. -Pirati, canaglie! - disse -Io credo che siamo stati traditi: qualcuno

ha tradito me e mio padre, qualcuno che conosce i nostri segreti; ha informato Hatra del piano di mio padre e quei malvagi, per non sporcarsi le mani, avranno pagato dei pendagli da forca per fare il lavoro al posto loro!

-Ma saresti morta! - sbottò Abit -Che interesse potevano avere nell’ucciderti? O la sciocca testa di Abit non capisce più nulla?

La principessa sorrise tristemente e rispose: -Perché non conosci quanto possono essere violenti i fuorilegge che infestano il nostro Impero! Oh, scusa, Abit, tu in fondo lo sai meglio di me! Ma non tutti sono come il capitano Barluga...!

Abit allora pensò che Hourì doveva avere un alto concetto del violento e grosso pirata, ma non disse nulla, per non distruggere la sua illusione. E la principessa continuò dicendo: -Io conosco il nome di quel maledetto che ha tradito la mia fiducia, e quella di mio padre! Dahyuni17 Gericom, il suo nome possa essere portato via dagli artigli di Erimmu!

-Povera Hourì! - esclamò Abit, stringendo la sua mano -E ora che farai? Cercherai di andare comunque a Shiwa?

Rispose Hourì, con gli occhi che le scintillavano: -Shiwa! L’ultimo posto sacro del mondo, dove uccelli verdi cantano tra le fronde di alberi dalle foglie d’oro! Quanto vorrei vedere quelle fonti e l’antico tempio in mezzo al bosco! Ma che senso avrebbe adesso? Abit! - e prese forte quella sua mano -Vieni con me piuttosto a Susa!

-Io? ! -Tu sei l’Oni! - ribatté -Lo so che le leggende forse sono del tutto false... ma quanta speranza

non porterà la tua presenza nei cuori della mia gente? -Ma rimarranno molto delusi, quando vedranno che non posso fare nulla! - protestò la

ragazza.

17 Storpiatura “moderna” di “satrapo”, alto funzionario Imperiale.

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-Chi può dirlo? - esclamò Hourì -Potrebbe persino darsi che quel miracolo avvenga, dopotutto... trovarti proprio qui, pur in questa tragedia! Non credi che sarebbe più assurdo pensare che tutto questo sia un caso, una confusione senza senso, piuttosto che vedervi in realtà un segno ben preciso del destino?

“Un segno del destino”, pensò Abit! Non aveva forse detto qualcosa del genere anche Zeta? Proprio la automaton doll aveva pronunciato il nome della principessa... “salva la principessa, Sendo! ”. Che dunque tutto quello che stava succedendo avesse un senso profondo? Che fosse tutto collegato alla sua venuta nel mondo di fuori, a quello che aveva detto il nonno?

La Porta nel Cielo. Il nonno aveva detto che avrebbe attraversato il cielo. Ma aveva parlato anche della terribile Hora, che non aveva la minima idea di che cosa fosse.

Però lo stesso nonno aveva detto che Maruru era un mostro, una creatura del male, e invece l’aveva salvata innumerevoli volte.

Abbracciò allora Hourì e disse: -Se vuoi che io venga a Susa, giovane Hourì, io verrò! Ma prima dobbiamo salvare il signor Sendo e il signor Barluga!

La piccola principessa si guardò le ginocchia. -Noi? Salvarli? - disse -Comincio a perdere di nuovo il coraggio, Abit! In fondo sono solo una bambina... cosa mai posso fare? Vedi, Susa è un paese molto grande e innumerevoli sono le sue genti. Ma la guerra contro Hatra e contro Austria l’hanno resa come uno spettro, una landa desolata. E anche una guerra è una cosa molto grande, ben più grande della piccola Hourì!

Anche antiche ombre, non viste dalle due ragazze, si erano avvicinate, per ascoltare la triste storia della principessa. Persino quegli antichi spettri provarono indignazione, nonostante fossero morti da lungo tempo, per il duro destino di una così graziosa principessa! Erano quegli uomini che avevano, con la loro follia, distrutto l’antico mondo e che non erano riusciti a fuggire dalla Fine. Eppure anche loro comprendevano la sofferenza di Hourì. Ma si ritrassero improvvisamente sorpresi, quando Abit esclamò con voce argentina: -Giovane Hourì! Tu sei molto piccola e anche Abit è solo una mocciosa dalla testa dura come il legno! Ma c’è il prode Maruru, che ha la bocca così grande che sono sicura potrebbe mangiarsi intero questo traditore Gericom e questo spietato Suldr! E quella “marmaglia spietata e senza morale”, come ha detto Ayane, i pirati; non so bene cosa sia la “morale”, ma credo che non sia un complimento quello che ha detto la focosa amica mia! Eppure il signor Sendo e il signor Barluga sono quel tipo di persone imbecilli che rimangono indietro in mezzo a orde di selvaggi per salvare una singola ragazzina! E c’è l’intelligente Ayane, Alice la Shibartz! Perché pensi di dover affrontare da sola tutti i tuoi mostri?

Ancora parlava che arrivò come un vento nero il prode Maruru, e i vuoti fantasmi fuggirono tra le ombre al suo passaggio. Ed egli disse: “Che hai da gridare tanto, Abit? Vuoi svegliare tutti i fantasmi di questo luogo? ”

-Maruru! - esclamò Abit -Stavo confortando la giovane Hourì! “Tu, proprio tu la confortavi? ” riprese il leone.-Tu sapresti farlo meglio? ! - rispose Abit.Maruru rise, facendo diventare piccolissima la principessa dietro alla schiena della Oni. E

disse: “Hai proprio ragione! Io sono una spietata belva e i miei artigli non servono ad accarezzare, ma a squarciare! E invece la piccola Abit, che cosa è riuscita a fare, che non ha artigli né zanne? È riuscita a confortare la principessa? ”

-Ah! Questo non lo so! - ammise Abit.Hourì invece rispose: -Le tue parole mi sono state molto più che di conforto, Abit! Ma vorrei

avere anche io gli artigli e le zanne come Maruru! -Oh! - esclamò Abit -E a che ti servirebbero? Tu sei già un principessa! -Abit! - esclamò Hourì, cercando un timido sorriso -Comincio proprio a pensare che tu sia una

sciocca! -Come! Perché? - si scandalizzò la Oni -Stai cominciando a parlare come Ayane! Rispose Hourì, alzandosi e andando sull’orlo della balconata circondata di radici e di insetti

luminosi: -Vorrei conoscere questa tua amica Ayane! Deve essere una persona molto interessante!

-E questo cosa te lo fa pensare? - replicò Abit, ma la principessa non rispose e invece, sorridendo, per la prima volta! , unì le sue mani sul petto e chiudendo gli occhi prese a cantare,

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nel vuoto e antico silenzio della nave distrutta:

Gioisci, gioisci, perché il nostro piccolo è nato;tenero e piccolo come un germoglio, lo cullo con mani pallide.È il suono del vento, che batte contro le canne? È il canto risuonante di un cardellino tra le stoppie? È il battere leggero della pioggia tra i rami del bosco? Hanno paura coloro che vivono nel buio di ogni piccolo rumore,ma non così avrà paura il mio piccolo, perché vivrà nella luce.Ha solo bisogno di una mano paterna, e di una benedizione di Dio,prima che sia inviato nel mondo, prima che discenda la strada,lungo la china, giù dalla casa dove ondeggiano le canne

La sua voce si mescolò con la pioggia che cadeva nei torrentelli dentro all’astronave, la ascoltarono gli spettri, si diffuse nei vuoti androni, dove nessun orecchio vivente era in ascolto. E quando finì, Abit esclamò: -Hourì! È una canzone molto bella! Ma perché hai cantato?

-Per ringraziarti, Abit! - rispose sorridendo -Adesso sono pronta! Andiamo nel fondo della foresta e salviamo i due coraggiosi uomini! Anche se rimango sempre la piccola Hourì... non posso sempre nascondermi dietro mio padre o dietro le mura di Susa! Anche tu hai trovato il coraggio di lasciare Babilonia e cercare il cielo, e non sapevi che cosa avresti trovato!

Persino gli spettri annuirono, gravi, al coraggio della piccola principessa.Ma Maruru scosse il capo selvaggio: sarebbe bastato il “coraggio” alla principessa, in quel

mondo violento, o alla giovane Abit?

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Capitolo 23 Coup d’État

-Cosa facciamo, signor Taruk? - chiese per quella che doveva essere la decima volta Shem, con il grosso binocolo appiccicato alla faccia.

Era sudato come uno straccio lasciato a frollire in un secchio pieno d’acqua, il gigantesco pirata; il sistema di areazione del Kerberos era infatti saltato e sul ponte di comando faceva un caldo d’inferno, quasi come essere in una giungla.

L’impressione era rafforzata dalle lunghe fronde verdeggianti che accerchiavano da ogni lato i finestroni del ponte. Il dannato “lago” Talos; un’immensa e putrida distesa di foreste preistoriche, intervallata di depressioni salate dove non avrebbe potuto sopravvivere nemmeno il demonio e altopiani ricoperti di quella specie di giungla. E appena fuori da quell’acquitrino che si stendeva nel bel mezzo del deserto, nel fondo di quello che un tempo era stato un mare, c’erano solo sassi e sabbia.

Almeno la foresta offriva una qualche tipo di nascondiglio, a differenza del deserto.E la giungla là era quasi normale. Almeno non erano piante con le squame, come nel centro di

Talos.Dove, con ogni probabilità, il capitano Barluga aveva finito i suoi giorni.In altre circostanze Taruk avrebbe già pronunciato alcune parole di commiato per lo

scimmione, con la mano sul suo libro nero, mentre Ator si scolava due o tre bottiglie di liquore scadente. E avrebbero volto la prua verso tutt’altra destinazione.

Invece stavano nascosti come dei conigli, come dei topi di fosso.-Non vedo altre navi! - disse di nuovo Shem, asciugandosi un’altra volta il sudore con un

panno che ormai era quasi più imbevuto della sua stessa faccia.-Lo consumerete, quel binocolo! - sbottò Ator, seduto, o meglio, sprofondato, ai piedi del

posto del capitano, con una bottiglia vuota rotolata al fianco e un’altra, mezza piena, nella grassa mano.

-E voi tra poco sarete così pieno di alcool che se mi dovessi accendere un sigaro rischierei di farvi esplodere! - ribatté selvaggiamente il gigante.

Taruk capiva molto bene il loro stato d’animo. Nonostante fosse abbottonato fino al collo sentiva anche lui la pressione del caldo eccessivo, ma quel cielo senza nemmeno una nuvola, sopra alle fronde, poteva essere una promessa di morte.

-Tutta colpa di quelle femmine! - esclamò Shem -Lo dicevo che avere delle donne a bordo porta sfortuna!

-Tutta colpa di questo ferrovecchio! - ribatté Ator, roteando in aria la bottiglia -Quando quei cani di schiavisti ci hanno beccato all’alba, con il sole in faccia, se non fossimo stati seduti su di una bagnarola come questa magari non dovremmo nasconderci come talpe!

-Se fossimo stati veramente montati su di una bagnarola, adesso saremmo morti! - sentenziò Taruk.

Le vele nere di Rukor lo schiavista. Due navi di classe Aleph e diverse fregate. Avevano attaccato di sorpresa, potendo contare su di una superiore potenza di fuoco e sulla gittata maggiore dei cannoni. Ator ovviamente “scherzava”: se non fossero stati loro e quello il Kerberors adesso sarebbero a far compagnia alla Gazzella di Susa in quella spettacolare palla di fuoco che aveva squarciato la notte. Quando avevano perso ogni contatto con Barluga.

Se il capo fosse stato là, che cosa avrebbe fatto? Avrebbe bestemmiato, certo. Avrebbe preteso di avere la testa di Rukor su di un vassoio, o forse meglio, in un secchio, entro il tramonto. No, pensa Taruk, pensa! Lascia perdere lo scimmione, che Dio possa accoglierlo in qualche maniera in un inferno non troppo bruciante, come fare a uscire da quella situazione? Analizza i fatti: lo schiavista era di fretta, la notte che lasciammo Babilonia. Vedemmo bene le luci della sua nave lampeggiare non molto dietro di noi. Dove andava così veloce? All’appuntamento con la Gazzella?

Ma perché? Perché affondare una nave reale? E soprattutto, per conto di chi? Quelle erano domande senza risposta; lo schiavista dalla barba nera di sicuro non avrebbe

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risposto, a meno che non lo trovasse divertente: ma in quel caso Taruk sarebbe stato legato a un asse di legno, con Rukor e i suoi disgustosi negri di fronte e non pensava di volere delle risposte, se quello fosse stato il prezzo. Doveva concentrarsi sull’unico fatto certo di cui era a conoscenza: avevano affondato una nave di Rukor. Rukor era tornato per finire il lavoro interrotto sulla Gazzella, ma quella era già divenuta una chiazza rossa nel centro di Talos. E quindi... cosa gli rimaneva da fare?

Eliminare i testimoni.Cioè loro.Perché allora, dopo averli costretti in un angolo, non venivano a finirli? Taruk, cosa insolita

per lui, si concesse un breve sorriso, una specie di cicatrice sul suo volto nero come quello di un corvo. Perché gli avevano affondato altre due corvette e ridotto a un uno scolino il ponte di una delle due navi. I rampini che pendevano scomposti sul ponte superiore, come una rete di liane, quel grosso squarcio dai bordi frastagliati sul fianco annerito, una falla nel motore principale e sei pirati morti erano stati il prezzo. La nave ammiraglia di Rukor aveva provato l’arrembaggio. Forse volevano prendere vivo Barluga. O la automaton doll. Ma non avevano fatto i conti con la ferocia della risposta...

Ma Taruk si accigliò; in realtà non era nemmeno sicuro di chi fosse stata, quella “risposta”. Perché improvvisamente i corvi e i rampini avevano preso fuoco e aveva visto distintamente, dal corridoio del ponte superiore, volare via in aria molti schiavisti, che agitavano le braccia nel vento, avvolti di fuoco. Era stato pronto a complimentarsi con qualsiasi pirata avesse avuto la brillante idea di usare dei lanciafiamme contro quella marmaglia, ma nella concitazione della fuga non era stato veramente possibile capire che cosa fosse successo.

E... avevano quel tipo di armi a bordo? E Shem disse di nuovo: -Cosa facciamo, signor Taruk? Questa volta Taruk fu sul punto di rispondere sul serio, quando un grande trambusto scoppiò

nell’anticamera del ponte di comando e si sentirono prima un grido, poi uno sparo che risuonò come un colpo di campana per tutta la nave e poi un boato fortissimo. Taruk e Ator avevano già la pistola in mano, quasi che si fosse materializzata dal nulla, e Shem fece saettare la lama a biscia del suo kriss.

Ma quello che comparve sulla soglia del ponte era qualcosa che nessuno dei tre si aspettava. I due grossi marinai di guardia crollarono in avanti, come se fossero stati spinti dentro a forza dalla mano di un gigante, con gli occhi rivolti sul bianco, i capelli diritti come se avessero infilato le teste in una gabbia elettrostatica. Dietro a loro non comparvero immani energumeni e neppure schiavisti assassini e infine neanche grossi cannibali entrati in qualche modo dalla giungla sulla nave.

Ma tre donne.La automaton doll, che rimase in piedi sullo sfondo, le mani conserte sul grembo. Un’altra

donna, che il diavolo si portasse Taruk fino nel girone dei congelati nel ghiaccio, con i tratti esotici e due occhi neri che parevano due pietre incandescenti. E infine con un piede poggiato sulle natiche di uno dei pirati abbattuti, i pugni conficcati nei fianchi, tutta avvolta di bende, strafottente, mocciosa, bionda, l’ultima: si guardò intorno come se fosse la regina dell’universo e posato infine lo sguardo su Taruk, esclamò: -Bene, signori! Cosa vogliamo fare?

Shem era il ritratto dello sconvolgimento; Ator calcolò al volo le misure della donna esotica e fischiò piano (senza mai abbassare la pistola), Taruk, doveva ammetterlo, era sorpreso. Anzi, stupefatto!

-Tu non sei quella clandestina che abbiamo appeso all’albero ieri notte? - disse allora il nero pirata.

-Credo proprio di sì, signor pirata nero come un corvo! - rispose gettando all’indietro una ciocca dei giallissimi capelli, come se effettivamente non avesse due pistole puntate addosso. E tra le bende che la coprivano sotto il vestito come una mummia si notava che le ecchimosi e le botte erano già, inverosimilmente, tutte scomparse.

-E cosa devo pensare di questa vostra... intrusione? - chiese allora con voce pericolosa Taruk, guardando sia Zeta, sia la donna dagli occhi esotici. Ma una gli restituì uno sguardo del tutto spento, l’altra si limitò ad appoggiarsi con fare apparentemente noncurante alla parete e non si

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degnò nemmeno di battere le ciglia. Nascondeva senz’altro un coltello. Taruk decise che era quella a cui sparare per prima.

Ma la bionda disse improvvisamente parole completamente oltraggiose: -È molto semplice! Prendiamo possesso di questa nave!

A Taruk quasi scivolò la pistola di mano e Ator fischiò.-Ritengo che siate pazze! - sbottò allora Taruk -Voi tre donne... anzi, due donne e una doll...

che cosa vorreste fare? Un largo e spaventoso sorriso si disegnò sulla faccia della bionda, che stese una mano in

aria... e subito dal nulla fiamme eruppero dalle dita, una palla di fuoco roteante divampò sospesa sopra al suo palmo e lei esclamò: -No! Una donna, una doll e una Shibartz!

Ator si pietrificò, Shem perse il pugnale; persino la donna perse parte della sua compostezza nel fissare quella palla di fuoco. Gli omaccioni sotto il piede della Shibartz gemettero come bambini, mettendosi le braccia sopra le teste.

E Taruk fissò il diavolo negli occhi; allora abbassò la sua pistola e disse: -Suppongo che questo sia il migliore strumento di negoziazione che abbia mai visto!

La palla di fuoco si spense come se non fosse mai esistita e la donna disse: -Sono contenta che siate un uomo ragionevole, nonostante siate un pirata!

Ator abbassò anche la sua arma e pallido come un morto, disse: -Signor Taruk! Ma quella è veramente una strega? !

I tatuaggi di Shem erano divenuti come linee e disegni demoniaci, di un nero-rosso, acceso, tanto l’uomo era pallido. E non riuscì nemmeno a parlare.

Taruk disse: -Lo avete visto! Quel fuoco non mi sembra un trucco! - e rivolto alla Shibartz, vera o presunta che fosse, disse: -Sei venuta per vendicarti che ti abbiamo appeso all’albero?

-Vorrei farlo! - esclamò sinceramente quella -Ma poi chi condurrebbe questa nave? -Condurre... questa nave? ! - esclamò Taruk (notò un movimento impercettibile in Zeta, là

dietro, come se la doll stesse per dire qualcosa) -E a cosa può servire una nave a una Shibartz? ! La strega tese la mano e disse: -Mi chiamo Alice, ad ogni modo...! Taruk la fissò inespressivo. Stava pensando: come posso fare a piantarle una pallottola in

fronte? E rimpiangeva di non averla buttata giù dalla nave la notte precedente. E chi l’aveva tirata giù? L’altra donna? Zeta?

Alice sospirò, abbassò delusa la mano che aveva teso in segno di amicizia, e disse: -Forse voi sopravalutate una Shibartz; dopotutto mi avete riempita di pugni e appesa all’albero, non è forse vero? Questo vuol dire... ah! , ci avete pensato, vero? - esclamò, notando l’impercettibile movimento della palpebra di Taruk.

Il pirata infatti aveva già compreso che quindi, strega o non strega, una pallottola ben piazzata avrebbe sortito lo stesso effetto che aveva solitamente con ogni altro essere vivente. Cioè ammazzarla.

Ma sarebbe stato così veloce? -Io non ci proverei... - disse Alice -... dovete sollevare la pistola, mirare ed essere sicuro che io

non mi sposti! Invece a me basta solo pensarlo, per darvi fuoco! Piccole gocce di sudore presero a scendere sulla fronte di Taruk; disse: -Di questo passo non

andremo da nessuna parte; a cosa ti serve questa nave? -Mi serve per recuperare il mio uomo! -Che cosa? ! -Sendomir Nibiru... e anche il vostro capitano scimmione! Questa volta i tre pirati si guardarono negli occhi, stupiti come non mai in tutta la loro nefanda

carriera di pirati. Il nero pirata si riprese per primo, e disse: -E cosa ne sai tu del nostro... ehm... capitano? !

Alice alzò il mento in aria, completamente tronfia. -Forse non lo sapete, ma la giovane Oni, che si chiama Abit... bhè, diciamo per semplicità che ha certi poteri magici... il suo nero servitore cammina nei sogni e poco fa è venuto a dirmi che gli uomini sono in terribile pericolo!

Taruk mosse il dito sul grilletto, senza tuttavia muovere il braccio. -E con questo? -Sei veloce a capire, oppure tutta la questione della magia non ti tocca? - fece Alice.-Non posso dire di non aver capito vagamente cosa tu stia dicendo... - rispose quello -... ma

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come posso sapere che sia vero? E soprattutto, cosa dovrebbe comportare per noi? Alice si mise un dito sulle labbra. -Non ti interessa del tuo capitano? -In che guaio si sarebbe cacciato? - ribatté Taruk.-Hanno salvato la giovane principessa di Susa... - rispose Alice -... ma sono precipitati con una

scialuppa nel bel mezzo di quella foresta... uh, come si chiama, Ayane cara? - disse rivolgendosi alla donna dietro di lei.

-“Talos”... - mormorò lentamente quella.Si chiama Ayane, dunque. Non si era sbagliato, Taruk, un nome dalla Terre Sprofondate.

Quella donna non era molto a suo agio, in compagnia della Shibartz (al diavolo! , era come stare in presenza di una favola, come parlare con Satana in persona! Ed era reale quel momento? ). Ma non sembrava nemmeno averne paura.

Donna notevole.Ma non era quello il momento per pensare alle donne.Alice disse di nuovo: -La foresta pullula però di Saimat, che a quanto mi ha detto Maruru...Taruk strinse gli occhi.-Ah! Il leone nero, il servitore di Abit! - specificò Alice -Il mostro mi ha detto che questi

Saimat sono delle belve umane; Sendomir e Barluga hanno fatto fuggire Abit e la principessa, ma sono stati catturati vivi dai Saimat!

Finalmente a Shem si sciolse la lingua. -In questo caso è bel che morto! Anzi, peggio che morto! - esclamò.

-Non ancora, pare... - rispose Alice -... ma lo sarà presto, se...-Ancora non ho capito cosa dovremmo centrare noi! - interloquì Taruk.Alice parve delusa; si passò furiosamente una mano tra i capelli scarmigliati e voltasi verso

Ayane disse: -Io non sono brava con questo genere di discorsi! Allora Ayane, decisamente contrariata, con le labbra serrate, che avevano perso tutto il

sangue, fece un passo avanti, e disse: -A me non interessa di voi pirati, ma la sciocca, stupida, imbecille Abit ha deciso di salvare il vostro inutile capitano! Se fosse qui, l’avrei già spellata a forze di sberle, ma se voglio essere io a strozzarla, e non un Saimat qualsiasi, devo prima metterle le mani addosso! - si volse ad Alice -Questa qui ha preso a sbraitare che dovevamo andare subito a salvare gli “uomini”, ma io ho fatto notare che anche se abbiamo a disposizione una... Shibartz... - e qui si fermò, fissando Alice in modo intenso.

-Oh via! - sbottò Alice -Cosa avresti fatto, se te lo avessi detto subito? -Sarei scappata a gambe levate! - rispose quell’altra, e Taruk non si sentiva di biasimarla, se

lo avesse fatto anche in quel momento; ma la donna continuò dicendo: -Ma dopo essere rimasta chiusa con te tutti quei giorni nella stiva credo di aver capito che se mai una Shibartz è un mostro che mangia bambini, tu di sicuro sei l’ultimo gradino della loro società! Sei una povera sciocca che non è molto diversa da una contadinotta persa dietro il primo uomo appena decente che è passato per il suo cortile!

A Taruk quello sembrava un insulto bello e buono, ma Alice batté le mani giuliva e disse: -Questo mi conforta non poco, Ayane! Temevo che adesso mi avresti odiata!

Taruk non sapeva se quella Ayane odiasse la Shibartz, ma di certo stava ribollendo, trattenendosi a stento.

Ma qualsiasi cosa pensasse della strega, disse invece: -Siccome non abbiamo idea di come sia la foresta là fuori e non è nemmeno lontanamente ipotizzabile che andiamo noi tre da sole a stanare un’intero villaggio di Saimat... senza contare che poi dovremmo tornare anche indietro e senza una nave volante non ce ne andremo intere! Insomma, il genio qui... - indicò Alice -... ha pensato di “chiedere l’aiuto dei pirati”...

-Io ho sentito distintamente che diceva “prendiamo possesso della nave”, o mi sbaglio, signor Taruk? - disse Ator, che si stava riprendendo. Taruk voleva colpirlo in faccia; quell’uomo tarchiato era un vero capolavoro: ora che stava assimilando la Shibartz, un pò alla volta, con una specie di “strana donna”, cominciava nuovamente a comportarsi come lo sciocco che era.

-Sottigliezze! - esclamò Alice -Ci sono due vie, per come la vedo io! O ci aiutate, anche nel vostro interesse, di vostra volontà, oppure vi dovrò costringere a farlo, bruciando un pó di chiappe!

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-Nel nostro interesse? - disse con un’occhiata micidiale Taruk.Ayane disse: -Anche ammesso che non proviate molto amore nei confronti del vostro

capitano, sinceramente, come pensate di uscire da questa situazione? Se non ho capito male siete qui seduti come grossi fagiani in attesa di farvi acchiappare! Ma se ci pensate appena un attimo: cosa volevano i vostri nemici, da quella nave di Susa? La principessa; la quale è tutt’ora dispersa nella foresta. Recuperare Barluga significa recuperare lei; non vorrei essere proprio io a dirlo, ma non vi sembra una decente “merce di scambio”?

Taruk rifletteva, molto velocemente. -Vuoi dire di scambiare questa principessa con la nostra salvezza? - disse.

-No! - rispose Ayane -Voglio dire di riportarla viva a Susa, dove sicuramente persino degli avanzi di galera come voi potrebbero essere ricompensati!

-E con le navi di Rukor, cosa facciamo? - sbottò Shem.-Alcuni dei loro pirati sono già stati cucinati a dovere...! - buttò là Alice, con una faccia

orrenda.Quindi si spiegava anche il fuoco che aveva impedito agli schiavisti di abbordare il Kerberors.

Era una brutta situazione, pensò Taruk: si poteva dire che fossero quasi in debito con la Shibartz. Non che i pirati, ad ogni modo, tendessero a onorare i debiti in maniera particolare!

Ma Taruk era un pirata particolare a sua volta.-Quindi recuperiamo la scimmia... - disse -... sperando che orde su orde di Saimat non ci

scuoino il culo? E poi cerchiamo di sfuggire ad altrettante orde di pirati? E cosa quadagnamo? -Una principessa, una simbolica medaglia per aver compiuto una buona e cavalleresca

impresa... - prese a dire Alice, sorridendo -... e la capacità offensiva di una Oni e di una Shibartz! - facendo un balzo indietro afferrò per le spalle Zeta e aggiunse: -E ricordate che questa doll appartiene a Sendomir! Vorreste perdere la vostra cuoca? !

-Potere offensivo? - sbottò Ayane -Non vorrai rimanere con questi... questi pirati? ! Alice rispose: -Perché no? Se Sendo vuole fare il pirata... a me sta bene! Non sarebbe una

cosa estremamente divertente ed eccitante? ! Ayane era rimasta senza parole, ma Taruk ne aveva ancora. Disse: -Ma di preciso, chi è per

una Shibartz quel Sendomir Nibiru? Alice rispose: -L’uomo che mi ha salvato dai Sacerdoti Meccanici! Dunque quella assurda storia che si raccontava sul conto di Sendomir era vera? ! Davvero

quell’uomo aveva rapito una Shibartz da sotto il naso dei Sacerdoti? ! Ma ancora più notevole... quella stessa strega era tornata a cercarlo? ! E allora Taruk sbottò in una sonora risata, che agghiacciò le vene sia ad Ator che a Shem, che

non lo avevano mai sentito ridere in vita loro. -Sendomir Nibiru! Quel pazzo! Dicono che il fuoco di una Shibartz possa raggiungerti anche al di là dell’inferno...! Ma di solito si parla solo di vendetta in quelle storie... in questo caso invece si tratta di amore? Cosa hai intenzione di fare, quando gli metterai le mani addosso? Arrostirlo come una torcia? !

Alice arrossì in maniera del tutto naturale, proprio come una contadinotta qualsiasi. -Perché dovrei arrostirlo? - sbottò -Si arrostiscono le quaglie, lo stinco di maiale! Ma io mica voglio mangiarlo!

-Mmm... - fece Taruk, divertito. Dio, da quanto tempo non rideva? Una nave piena di streghe. Una principessa. La sua morale gli diceva che avrebe dovuto allestire subito un rogo e preparare una pallottola per ogni singola testa di strega, ma dall’altra parte c’era la possibilità di guadagno, e soprattutto, la possibilità di far saltare le chiappe a Rukor.

Nessun pirata scapperebbe mai di fronte a possibilità come queste! A quel punto Zeta si fece avanti di alcuni passi e inchinandosi rispettosamente, disse:

-Aiuterete il mio padrone? -Cosa ne pensate? - chiese Taruk.Ator disse: -Se quella donna meccanica me lo chiede così, cosa posso rispondere? Shem disse: -Porta male portare delle donne su di una nave, ma porta ancora più male

rifiutare una strega! Quindi Taruk disse: -Credo che accettiamo la tua proposta, Shibartz! Però sappi che non

appena ne avrò l’occasione cercherò di piantarti una pallottola nel cuore!

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-Ahr ahr! - rise Alice -Per me sta bene! Non mi aspetto niente di meno!

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Capitolo 24 Presentimento oscuro

La pioggerella bagnò il naso di Alice; in realtà non era nemmeno pioggia, ma un denso banco di umidità condensata. Si fermò per strofinarsi la faccia e ne approfittò per dare uno sguardo introno a quella bizzarra foresta.

Per chi ha vissuto molti anni ai margini di una foresta fungoide anche una massa di alberi preistorici forse non era così sorprendente. Ma come ogni albero ha delle radici, così quella foresta doveva pur essersi generata da qualche evento molto particolare. I funghi di Babilonia erano cresciuti tutt’intorno a un antico meccanismo dei sogni. Alice aveva visto i resti di mura e statue; aveva percepito l’energia magica che si sprigionava dal centro delle rovine, dove i funghi erano mostri altri trenta piani, carnosi e pulsanti (e forse anche intelligenti). Non credeva che nessuno, nemmeno i cacciatori di syym abissali, si fossero mai spinti così tanto nelle profondità della foresta fungoide. Nemmeno lei, tuttavia, aveva avuto molta “voglia” di vedere più da vicino le rovine. Per quanto possa sembrare assurdo una Shibartz non trae il minimo piacere nel trovarsi nelle vicinanze del Sogno. Pur essendo generate da esso, ci sono tutta una serie di motivi di una certa rilevanza perché se ne tengano lontane...

-Perché ti sei fermata? - disse una voce dietro di lei; gli uomini, i pirati, del piccolo gruppo di ardimentosi che stavano sfidando la foresta e i suoi nascosti pericoli, erano tutte ombre scure alle sue spalle. Erano infagottati in pesanti teli cerati, umidi come la pelle di una rana della giungla.

-Stavo pensando...! - rispose Alice.-Che evento bizzarro! - sbottò la sagoma, con l’inconfondibile poco buona attitudine nelle

relazioni umane di Ayane -E cosa può mai pensare una Shibartz, dentro a questa notte umida e appiccicaticcia, dentro a una foresta piena di cose schifose, attorniata da orribili uomini che rispondono al nome di pirati? !

Alice si voltò a guardarla da sotto il suo cappuccio; aveva ragione Abit quando diceva che la ragazza non sapeva come fare a rilassarsi.

E disse: -Ti ha sconvolta così tanto sapere che sono una...- non terminò la frase.Ayane si strinse nelle braccia: -“Quella cosa” viene usata per spaventare i bambini che non

vogliono andare a dormire; e di solito si ritiene che sia una cosa peggiore del demonio in persona: credi che possa avere il diritto di essere un poco... “sconvolta”?

-Ma io non faccio del male a nessuno! - sbottò Alice -Mi hai mai vista mangiare bambini? -Dillo ai pirati a cui hai fritto le chiappe! E non ti conosco da così tanto tempo da poterlo dire

con certezza: non ci sono neppure “bambini” sul Kerberos! - esclamò Ayane; Alice gonfiò le gote, offesa e la donna dagli occhi infuocati arricciò le labbra.

-Insomma... non sei nemmeno “normale”! - esclamò.-Neanche Abit...! - rispose lei sempre offesa, e diede una manata in aria per scacciare

un’invisibile ragnatela. Era stato soltanto un velo di nebbia, appiccicoso come colla, ma Alice odiava le cose appiccicose.

-Questo non risolve niente, anzi, complica ancora di più le cose...! - sospirò Ayane -Io vorrei soltanto essere il più lontano possibile da tutto questo!

-Ti lamenti tanto...! - fece Alice -... ma non stai prendendo così male la situazione! -E come avrei dovuto prenderla? -Accoccolandoti qui in un angolo e mettendoti a piangere? - suggerì lei, con uno sguardo

perfido.Strane luci si accesero negli occhi di Ayane, ma non rispose. Infatti una grossa figura

dondolante si era avvicinata: l’enorme pirata della Gedrosia, Bat, disse con voce cavernosa: -Il signor Taruk chiede perché ci siamo fermati!

Alice si era quasi dimenticata di essere alla testa della spedizione! I pirati non si fidavano di lei (ovviamente, ma non li rimproverava certo per questo, considerato chi fosse) e preferivano avere la sua schiena a portata di pistola. E se qualche pericolo si fosse palesato là davanti era meglio che fosse lei la prima a scontrarvisi. Non era un comportamento molto gentile, in verità... Sendo, per esempio, non l’avrebbe mai tratta così, ne era sicura, ma doveva tenere duro, visto

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che quella missione aveva come obiettivo proprio di salvare le stupide chiappe dell’uomo in questione.

Tuttavia c’era anche da dire che Taruk, l’uomo nero, non era uno stupido: Alice e Ayane stavano davanti perché la Shibartz sembrava poter seguire le tracce di Abit (e questo era vero, sebbene non fossero propriamente “tracce” nel terreno) e la donna di Yhui sembrava un leopardo, silenziosa e invisibile, una bestia da preda. Quello che non vedeva Alice, come pozze di sabbie mobili e distese di piante carnivore, le vedeva l’altra donna e quasi fosse un Saimat lei stessa faceva seguire al drappello la strada più “sicura”. Era un compito molto delicato, considerato che la colonna era molto lunga, e non era composta da soli umani...

Uno strido ovattato provenne dalla coda del drappello, molto lontano, dentro al buio e alle contorte sagome degli alberi.

Alice lo registrò, capendo che i loro compagni “non umani” avevano qualche rimostranza...-Pensavo di fermarci un attimo...! - rispose allora -Credo che siamo molto vicini ad Abit; ma

c’è anche qualcosa che non mi convince... devo riflettere per qualche minuto! Dì al signor Taruk che faccia rilassare un pò gli uomini... e non solo gli uomini...!

Bat era rimasto a qualche metro da Alice; anche un colosso come lui non aveva molta voglia di avvicinarsi a una Shibartz, sebbene fosse alta nemmeno la metà di lui e avesse quel faccino sporco e poco serio. Rispose: -Riferisco! - e con molto sollevio si allontanò indietro.

-“Credi” che Abit sia vicina? - obiettò Ayane. Nonostante tutto quello che aveva detto, lei non sembrava aver voglia di scappare da lei come un coniglio di fronte a un lupo. Questo fece sorridere Alice, che rispose: -Credo che si trovino in una zona “schermata”... ma ho capito la direzione, più o meno, quindi tra poco...

-Schermata? Che cosa vuol dire? -Che tutte quelle brutte creature che spaventano i bambini “sentono” coloro che sono toccati

dal Sogno! - rispose -Li “vedono” con occhi che non sono occhi come le fiammelle si scorgono a chilometri di distanza nel buio: pensa a Hourì e ad Abit come dei fuochi accesi di lontano nella giungla: un leopardo li vedrebbe dalla cima del suo albero, vero?

-E perché Abit dovrebbe emettere luce? ! - sbottò la ragazza.Alice la fissò in modo accondiscendente e disse: -È una metafora! E io non so spiegarti di

certo dei concetti così difficili! Tu li senti, no, gli odori? Pungenti, forti o sgradevoli. Ecco un’entità vivente, come gli esseri umani o una stega, che sono immersi nel Sogno, possono essere sentiti, come se ne sentisse l’odore. Mi capisci? In questa foresta non ci siamo solo noi; già due volte ho sentito l’alito di una “presenza” che...

-Una Presenza? ! - sbottò Ayane, guardandosi subito intorno.-Ma nella tua terra non ci sono “spiriti”? O cose del genere? Leggende e storie e favole, non

parlano di spettri e di mostri sovrannaturali? - disse allora la ragazza bionda.Ayane sbuffò. E rispose: -Adesso ho capito! Ti riferisci a cose come Obake, Yurei ed Oni? Quel

genere di cose? -Non conosco nemmeno uno di questi nomi! - disse Alice -Ma immagino che tu abbia capito:

solo che lo “spirito” che sta “vagando” come una “voce” o, se preferisci, “vento”, tra questi alberi, non è uno spirito disincarnato. È l’occhio rapace di uno stregone Saimat, che sta cercando Abit e Hourì, come ha detto Maruru!

-Ma quindi può vedere anche noi? - esclamò Ayane -Il nostro piano a sorpresa è già compromesso!

Alice agitò un dito in aria e con aria saccente disse: -No, perché non ci vede molto bene. Riesce a vedere le fiammelle che ti dicevo, ma non le opache forme degli uomini comuni... - e soggiunse, come un inciso: -... ma non dovrebbe tuttavia cercare un certo tipo di aiuto per vedere meglio! Sciocco stregone! - e poi continuò dicendo: -Ad ogni modo se anche tra di noi ci fosse qualcuno di “speciale”... - fissò Ayane, chissà perché, dicendolo -... con un riflesso nel Mondo del Sogno molto forte, non lo vedrebbe, finché ci sono io!

L’altra ragazza sembrò ignorare del tutto i sottintesi di quell’occhiata; rispose subito: -La “persona” più luminosa qui dovresti essere tu! Se Abit è una fiammella, tu non dovresti essere un incendio? !

Alice distolse lo sguardo; -In realtà le Shibartz non emanano alcuna luce...

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-Cosa vuol dire? - chiese subito Ayane, ma la ragazza bionda disse subito: -La mia sola presenza “nasconde” come un paravento anche la vostra; lo stregone ci è passato sopra, ma non ha visto nulla. Però non è lui la cosa che mi preoccupa...!

-E cosa sarebbe mai? - disse la ragazza -Cosa c’è di peggiore di uno stregone o di un mago? ! Alice fece un sorriso triste; -Hai dimenticato... di una “Shibartz”! - e poi soggiunse: -Non sei

curiosa di sapere perché qui, sul letto di questo mare asciutto, crescano queste bizzarre piante? -Sinceramente no! - sbottò -Vorrei solo andarmene! -Io me ne preoccupo, invece! - rispose Alice -Guarda laggiù! Vedi quelle gobbe! Quelli non

sono alberi...! -E che cosa sono? - disse Ayane, subito in allarme.-Sono “grotte”, e sono molto antiche... credo che si estendano per molti chilometri nel

sottosuolo... - assunse un’aria remota, con gli occhi che sembravano baluginare di luci distanti -In quelle cavità vivevano antichi spiriti, che erano vetusti e contorti quando ancora l’uomo non aveva preso a Sognare. Non c’è da stupirsi che fossero esseri grotteschi e folli: coloro che Sognarono le loro simmetrie spaventose non erano umani, ma esseri che per la fortuna dell’uomo sono stati cancellati dalla Terra da moltissimo tempo! Alcuni di questi... “Dei”... dormono ancora sotto questi alberi, sotto la foresta preistorica... prima il mare sommergeva i loro pensieri blasfemi, ma ora sono molto vicini all’aria del mondo! Credo che siano proprio creature come queste... la “causa” di questa bizzarra foresta...-

-V-vuoi dire? - fece Ayane, sbiancando -Che sotto i nostri piedi ci sono mostruosità abominevoli che fanno crescere questa foresta orrenda?

Alice sorrise di un sorriso tirato. -Non proprio... non sono nemmeno sicura se questi “spiriti” ci siano ancora... è solo una sensazione la mia... come un velo d’olio che si spande sopra una pozza d’acqua pura... ma se ci sono, non sono “sottoterra”... dormono nel Sogno! D’altronde è anche vero che più si scende nelle profondità della terra più il confine tra “realtà” e Sogno diventa labile...!

Ayane scosse la testa: -Non capisco nulla di quello che dici! Alice rispose: -Oh, non importa, probabilmente non lo so nemmeno io che cosa sto dicendo! -Ma hai detto che avremmo dovuto preoccuparci! La ragazza dai capelli gialli, ora molto appicicati alla fronte, sospirò e disse: -Io mi sto

preoccupando! Non credo che la giovane Ayane dal cuore focoso debba preoccuparsi di cose che riguardano maghi, mostri e Dei preistorici!

La faccia di Ayane, la “ragazza dal cuore focoso”, non prometteva nulla di buono. Tuttavia non esplose in qualche violenta invettiva, ma si limitò a dire: -Lascerò le cose dei maghi, degli stregoni e degli Dei antichi a chi se ne intende! Cosa spetta sapere a questa umile ragazza, invece?

-Che gli stregoni Saimat... - disse Alice -... giocano con un fuoco molto pericoloso! È meglio se certi Sogni vengano lasciati al loro riposo, non sono come oggetti antichi scovati sottoterra, che risplendono al sole appena scavati! Sono masse nere e contorte, che possono portare soltanto male a questo mondo!

-Non è un buon auspicio! - disse Ayane, tetra.-No, non lo è...! - replicò -Ma con ogni probabilità mi sbaglio: quei maghi non saranno così

sciocchi, non credi? Ah, ma guarda! Viene il Re! Ayane si voltò a guardare e i pirati gridarono. Una grande belva, che pareva incarnare la

notte, comparve tra gli alberi, occhi saettanti, brucianti, e due code sventolanti nella pioggia.-Si è degnato di arrivare... Maruru! - esclamò Ayane.

-Si è degnato di arrivare... Maruru! - esclamò la donna dagli occhi come il fuoco.La grande belva si fermò torreggiante sulle due donne, ma nessuna delle due sembrava

terrorizzata quanto gli uomini.-È quello il “demone” della Oni? ! -Hai visto come lo ha guardato... e che cosa ha detto, quella donna? Ha un coraggio del

diavolo! -O è una strega anche lei...! - rispose dietro alla spalla dei pirati Taruk.

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Gli uomini saltarono sul posto, per la sorpresa, quasi che il leone demoniaco fosse comparso alle loro spalle d’improvviso. -Capo, questo affare è... - prese a dire Bat, ma il grosso pirata non aveva un vocabolario molto esteso -... è un affare fottuto!

-Per una volta sono d’accordo con voi marmaglia! - esclamò il nero pirata -Ma vi ricordo che a noi non interessano i fatti soprannaturali: ma solo i soldi che ci verranno dal recuperare quella principessa! Ricordate?

Disse il pirata che aveva parlato per primo: -È difficile ricordarselo, con quel mostro davanti agli occhi!

-Prega che non ti senta, allora! - sbottò Taruk.Ma Bat alzò una mano, e disse: -Ascoltate! Taruk tese le orecchie; non sentiva assolutamente nulla. No, ecco... un’eco distante di...-Tamburi Saimat! - esclamò il vecchio pirata che aveva lodato il coraggio della donna di Yuhi

-Sono vicini... e sono molti! Ho impressione che il nostro capitano sia ormai un grosso piccione che gira sulla graticola!

-Un buon motivo per afferrare questa principessa, e...! - berciò Bat, ma Taruk alzò la mano e disse: -La strega ha detto che vuole indietro il “suo uomo”! Volete mettervi di mezzo alla strada di una Shibartz? - persino uno come Taruk aveva sentito le infinite storie sulle Shibartz: l’assedio di Marduk in confronto era una festa per bambini! Ma la strega, in fondo, non voleva lui -Vi ricordate che cosa è successo al vostro culo? E se Sendomir Nibiru fosse ancora vivo... volete perdervi la scena in cui la strega se lo porterà diritto all’inferno?

Un largo sorriso si disegnò sulle facce dei pirati. Subito sostituito tuttavia da maschere tese e grige. I tamburi suonavano sopra agli alberi; -Sempre se i Saimat non appenderanno anche noi sopra a una pozza di fuoco infernale! - sputò il vecchio marinaio.

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Capitolo 25 Intermezzo

Taruk disse: -Andiamo a sentire che cosa ci dice il mostro con due code! Sotto gli occhi sconvolti dei suoi uomini Taruk camminò fino al monticello dove stavano le

donne e il mostruoso leone. Non si stupiva che lo guardassero con quelle facce: ma lui era protetto dalla Fede, pensava, e le ombre del male non lo avrebbero potuto toccare. O meglio: potevano ucciderlo, bruciarlo, ma non corrompere la sua anima.

Quando fu vicino si accorse che il leone non era arrivato da solo. Infatti dalla sua groppa stavano scendendo due ragazzine. Rimase di colpo immobile: quale nuova progenie infernale aveva di fronte?

Ma una delle due gli era già nota, era la ragazza Oni; questa saltò subito tra le braccia di Ayane prima ancora di toccare terra con i piedi. -Ayane cara! - gridò -Quanto volevo vederti! Ho avuto una paura orrenda!

Ayane, la donna, perse parte del suo contegno focoso, e visibilmente imbarazzata, passò una mano sulla testa della ragazza. E disse: -A-anch’io sono contenta di vederti! - ma poi il suo sorriso di sollievo si tramutò in un attimo in uno sguardo spaventoso, degno di una annya.

-Brutta stupida! - gridò -Altro che “ho avuto una paura orrenda! ” Ti rendi conto di che guaio...!

-Ah! - gridò la Oni, coprendosi la testa -Scusami Ayane! Ma io...! -Suvvia, Ayane! - si intromise Alice -È viva e vegeta, no? -Ma vai al diavolo anche tu! - sbottò la ragazza dagli occhi orientali, che ora bruciavano come

due fuochi infernali.-Non sei molto ragionevole, adesso, cara Ayane! - sbottò Alice, ma Taruk non aveva tempo

per quelle scenette. Si fece avanti e disse: -È tuo, quel mostro, strega? Abit fece un salto indietro, nascondendosi dietro ad Ayane, come se fino a pochi istanti fa non

fosse proprio lei quella che voleva colpirla.“Faresti meglio a informarti bene con chi stai parlando, prima di dire ’mostro’, uomo! ” risuonò

una voce secca come ghiaccio che si spezza nella sua mente.-Sei entrato nella mia mente, demone? - sibilò Taruk, girando gli occhi cupi sull’imponente

bestia che torreggiava su di loro.-Lui è Maruru! - si affrettò a dire Abit -E non è il “mio mostro”! È un nobile Re! Taruk fece per rispondere, quando vide anche la seconda ragazza. Un pirata, ben indietro,

esclamò: -Quella sarebbe la principessa? ! È solo una mocciosa... totalmente mocciosa! La bambina indossava ricchi vestiti, molto rovinati, aveva i capelli tutti scomposti e aveva un

aspetto assolutamente tragico. Fissava con sospetto mascherato da sussiego i pirati, in particolare Taruk. Bhè, se aveva avuto il coraggio di montare sulla schiena di quel mostro, di certo doveva avere del sangue reale da qualche parte!

-Voi siete la principessa Hourì, immagio? - disse Taruk, inchinandosi brevemente, rigido come uno spaventapasseri -Io mi chiamo Taruk, sono il secondo del... capitano Barluga!

Gli occhi della ragazzina si illuminarono. Taruk sbattè le palpebre; pochi attimi prima erano due larghi pozzi spaventati e tremolanti, ma improvvisamente ora brillavano come due pezzi d’oro luccicante che, ficcati in fondo a un bacile, riemergono velocemente alla luce del sole sprizzando bagliori.

-Vi prego, nobile Taruk! - esclamò, camminando un passo avanti e giungendo le mani. I piccoli ciondoli d’oro che erano rimasti nel suo vestito tintinnarono a quel movimento, brillando brevemente nel buio. Taruk sussultò: ma non per la vista dell’oro!

“Nobile”! -Hai sentito, ha detto “nobile! ” - sentì un pirata mugugnare, là dietro.Lo ignorò; infatti aveva la vista piena della principessa bambina. -Salverete il prode capitano

Barluga? - disse la principessa, con la vita negli occhi.-Pr-prode? ! - gli si strozzò la voce in gola, al povero Taruk! -Mi ha difesa contro le orde dei Saimat! - esclamò la principessa -È rimasto indietro nella

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foresta, da solo con il signor Sendomir, accerchiato da orde di selvaggi! -Il capitano... ha fatto che cosa? ! - ansimò il nero pirata.-Hai sentito? Lo scimmione...? ! - borbottarono i pirati, fuori campo.La principessa avanzò ancora di un passo. Adesso era Taruk che dovette indietreggiare di un

passo.La principessa si volse poi alla massa di brutte facce assiepate dietro alla figura nera del

pirata e con voce squillante disse: -Vi ringrazio, siete accorsi in mio aiuto e... - si avvicinò ancora di un passo, fissando il primo pirata di fronte, che aveva un volto sfregiato di cicatrici da far paura -... e quello che si dice sui “pirati” deve essere del tutto falso! Alla mia corte si dice che sono uomini spietati, privi di onore! Ma voi, nonostante... l’aspetto... siete coraggiosi uomini che siete venuti nella bocca del leone per salvare il vostro nobile capitano, e me!

I pirati la fissarono sconvolti; e poi il primo si tolse il cappello in maniera goffa e impacciata. E anche gli altri rimasero ammutoliti a guardarla con gli occhi spiritati: in quel momento dentro la pioggerella sottile il vestito della principessa ai loro occhi era splendido come un torrente d’oro e i suoi capelli bagnati e dimessi sembrarono una corona di carbonchi.

Ayane mormorò: -Non posso crederci! Ha asservito tutti quei pirati! -È una vera principessa! - gonfiò il petto Abit, come se fosse merito suo.Allora Alice si fece avanti, e inchinandosi in maniera elegante, come se non facesse altro in

tutta la sua vita, disse: -Mia principessa, io sono Alice! Hourì la guardò con occhi che non poterono evitare di essere colmi di disagio e paura, ma con

voce quasi ferma, riuscì a dire: -Voi... siete una Shibartz? -Lo sono! - rispose in maniera allegra Alice.Persino in quel frangente, la ragazzina riuscì a sorridere, e cercando di eseguire un inchino a

sua volta, rispose dicendo: -Ah! Secondo le storie, credevo che aveste le corna, zampe di capra e che vi uscisse fuoco dalle narici!

-Ah ah! - rise di cuore Alice, con i pugni nei fianchi -Quella con le corna dovrebbe essere Abit! O pensate che Abit sia un mostro?

-No! - scosse il bel capo Hourì, sinceramente sconvolta -Abit... non è un mostro! -L’apparenza inganna! - rispose la strega -Io per esempio sembro molto più “umana” di Abit,

ma sono molto più un “mostro” di lei! Questa frase lasciò confusa la povera principessa, ma Taruk si era in fretta ripreso, e disse:

-L’apparenza inganna veramente: non si direbbe, dal vostro aspetto dimesso, che siate una principessa reale!

Hourì distolse grata lo sguardo da Alice e rivolta a Taruk, rispose: -Potete pure dire che sono una bambina e che non ho nulla di regale in questo momento! Io... non ho nulla da offrire a voi pirati... eppure il capitano Barluga mi ha salvata! Ma ora è lui che ha bisogno di aiuto!

Taruk era prontissimo a darle ragione; anzi... le avrebbe dato il cuore, strappandoselo dal petto, se glielo avesse chiesto! Forse anche quella principessa... era una strega? Doveva essere caduto vittima di un incantesimo! Non c’era altra spiegazione!

Guardò appena sopra la bassa testa della principessa e vide che la vera strega, quella dall’aspetto di una donna bionda, lo fissava sorridendo in maniera sardonica.

-A cosa... state pensando, ah...! - chiese Hourì.-Taruk! - rispose in fretta -È il mio nome: ma prima di pensare al nostro capitano, mi trovo

costretto a preoccuparmi della vostra salute, Malake! - e rivolgendosi indietro alla sua marmaglia, gridò: -Ca... equipaggio! Trovate subito dell’acqua, per la principessa!

I pirati rimasero immobili per alcuni secondi, poi esplosero in una ridda di grida e, spintonandosi l’un l’altro, cominciarono a berciare:

-Io ho un fazzoletto... quasi pulito, principessa! -Prendete dell’acqua... dalla mia borraccia! -Io... ho delle gallette di riso, vostra altezza! -Ecco, io...! - cominciò a dire la povera Hourì, ma improvvisamente Ayane si parò davanti a

tutti e gridò: -Accidenti a voi, uomini! Non spaventatela! Non vedete che facce da canaglie che avete? Questa è una principessa, non una delle ragazzette con cui siete abituati a trattare!

I pirati balzarono indietro, spaventati. Taruk li fissò tutti, con sguardo di fuoco: e fissò con

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sguardo di fuoco Ayane e stava per rimettere in riga quella sfrontata donna, che invece fu proprio la principessa a parlare. -Ah, fermatevi! - disse Houì alla ragazza -Non parlate così!

-Ragazzina! - sbottò Ayane -Sei stata morsa da Abit? Anche tu hai perso ogni ragionevolezza?! Guarda bene chi hai di fronte!

Taruk non credeva alle sue orecchie: quella femmina non aveva rispetto per niente e nessuno! Ma Hourì rispose: -L-lo vedo...! Ma... questi uomini... non possono essere giudicati per il loro

aspetto: di certo la vita è stata molto dura con loro: ma non vedete con che coraggio sono venuti fin qui? Ci sono uomini nobili, sotto questi stracci!

Ayane la fissò completamente priva di parole e i pirati gridarono: -Principessa! - e in un attimo erano tutti come dei bambini. Persino lo Sfregiato, cominciò a piangere come un moccioso!

-Ora basta! - gridò invece Taruk -Tornate ai vostri posti, marma...! - lo sguardo severo della principessa si posò su di lui, e corresse al volo quello che stava dicendo -... uomini, tornate a occuparvi della colonna! Non abbiamo finito di marciare per stanotte!

-Cosa farete, per aiutare il capitano e il signor Sendo? - chiese dunque la principessa, che evidentemente considerava Taruk il capo.

Invece fu Alice a parlare: -Abbiamo un piano! -Non lo chiamerei “piano”...! - rispose il nero pirata.-... è sempre meglio di entrare sparando e gridando nel villaggio in faccia a mille Saimat

feroci! - sbottò Ayane. Infatti il “piano” era stato congegnato in parte da quella femmina.Taruk, ad ogni modo, ne aveva abbastanza. No, non di quelle streghe, ma di quella donna

sfrontata. -Donna! - esclamò -Non hai detto che a te interessava soltanto di questa... Oni? ! Cosa ti trattiene ancora qui?

Gli occhi della ragazza sprizzarono scintille: -Cosa mi trattiene? Te lo dico subito, arrogante canaglia! Ehi, Abit! - chiamò -Abbandonerai il “signor Sendo”?

Abit strabuzzò gli occhi. -Sei impazzita, Ayane cara? - gridò -Come potrei abbandonare il signor Sendo?

-E se ti legassi e chiudessi dentro a un sacco? -Non oserai farlo! Ayane sospirò e sventolando le mani in aria, tornò a rivolgersi a Taruk. -Vedi? - disse -È anche

un mio affare, questo pasticcio! A Taruk non era mai successo di rimanere senza parole; quel giorno succedeva in

continuazione. Che veleno aveva sulla lingua, quella donna di Yuhi, da renderlo incapace di pensare?

Doveva sostenere anche il peso dello sguardo confuso della giovane principessa. Ma venne “salvato” proprio da quella “persona” dalla quale meno desiderava essere salvato. Alice battè le mani e disse: -Possiamo smettere di litigare, e dedicarci al salvataggio dei nostri due “nobili” uomini?

Ayane la fissò scontrosa, Taruk la guardò con occhi omicidi. Ma la Shibartz non batté ciglio e continuò dicendo: -Abbiamo un intero villaggio pieno di Saimat inferociti e uno stregone malvagio, per le mani! Se avete così tante energie, cercate di utilizzarle contro di loro, che ne dite?

Con grande coraggio la principessa si rivolse a lei e chiese: -Ma non potreste, voi che siete una strega, spazzare via quella gente malvagia?

-Non essere così sanguinaria, Hourì cara! - esclamò Alice -Di morte, coltelli e pistole si occuperanno questi signori... io sono qui per occuparmi di quello che mi compete... e cioè di quello stregone! - e poi le fece l’occhiolino -Per questo, tu starai con me!

Le povere spalle della principessa sussultarono a quelle parole e il pirata nero vide l’occhiata divertita della maledetta strega.

Taruk non era propriamente un uomo d’onore. Ma non avrebbe lasciato quella piccola principessa nelle mani di una Shibartz dannata dall’inferno!

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Capitolo 26 La luna di fuoco

Un sapore metallico in bocca, misto a schifo. Sangue. Il suo. La nausea che pulsava dietro i bulbi oculari e una cacofonia distorta che gli sfondava il cranio.

Tese istintivamente i muscoli, ma venne percorso da fitte di dolore nauseanti. I polsi erano stretti da corde, la schiena schiantata contro un crudo palo di legno.

-Oh! Finalmente ti sei svegliato! - tuonò una orrenda voce vicino a lui.Forse era così orrenda perché aveva le orecchie fracassate dal suono di flauti e tamburi, o

forse Barluga aveva sempre avuto una voce come quella. Era legato di fianco a lui, a un tronco doppio il grande del suo, incrostato di vecchio sangue. Anche lo scimmione era coperto di sangue rappreso, nudo fino alla cintola, un vistoso taglio sulla faccia, dalla bocca all’occhio sinistro.

E un’orda di uomini nudi, dagli occhi come saette, gridavano, balzavano e cozzavano lance di pietra tutt’intorno ai pali dove erano legati.

Sendo provò a rispondere allo scimmione, ma la sua voce gli suonò stridula come il gracchiare di un corvo: -Credevo che il mondo al di là fosse un pò meglio; cosa ho fatto di male per finire all’inferno con te? !

Barluga rispose: -Sfortunatamente per noi non siamo morti! Non ti ricordi? L’ultimo assalto di questi cani selvaggi!

Sendo scosse la testa, come un ubriaco, cercando di scacciare le mosche che gli ronzavano nel cranio. -Ricordo vagamente una fiumana nera balzare fuori da tutti i lati e tu ricoperto di ometti come un tronco pullulante di formiche giganti! Poi qualcuno deve avermi colpito in testa... e non molto delicatamente! - disse.

Barluga rispose: -Questi cani selvaggi ci hanno trascinato fino al loro villaggio: vogliono mettere su un bello spettacolo per noi! Guarda come saltano! E ho intravisto prima anche uno dei loro sciamani demoniaci; eccolo! Guarda i teschi rimpiccioliti su quel bastone! Di sicuro ci vuole far uscire le budella con un argano e legarcele attorno al collo! - e infatti in mezzo alla sarabanda demoniaca era emerso un uomo più alto, coperto di un mantello di piume colorate, con la maschera di un demone uccello rosso sul volto e il terrificante scettro delle Teste Umane nella destra.

Sendo fu costretto a guardare. Il villaggio dei Saimat, se non era dunque l’inferno, era comunque qualcosa di molto simile. I pali sacrificali stavano piantati su di un modesto rilievo posto al centro dell’insediamento, ma era l’univo spiazzo abbastanza largo. Era come una radura in un bosco: alberi ormai morti, alberi ancora vivi, crescevano dentro il villaggio. Le capanne di legno squamato erano costruite sopra ai tronchi, a volte le rozze porte erano ricavate proprio nelle pareti legnose e da ogni “capanna” si dipartiva un intrico di passerelle sopraelevate che non si accontentava di serpeggiare a terra (i larghi canaloni tra gli alberi, forse, si allagavano periodicamente? Ma erano stupidi pensieri per uno che stava per vedere le sue budella appese a un argano! ), ma anche a diversi metri dal suolo. Le capanne infatti si arrampicavano sui massicci tronchi come escrescenze fungoidi, altrettanto decrepite e malsane. Non c’era una sola costruzione che non fosse accesa come un lampadario costoso di Kamaria: ogni soglia era illuminata da almeno due grandi e fumose torce; le passerelle erano appese di torce e pure la massa di demoni urlanti che saltavano tutt’intorno ai pali, e nei canaloni, come pure sulle passerelle, anche quelle più alte, portavano quasi tutte una torcia.

Chissà se tutto quel legno poteva bruciare, pensò Sendo.Probabilmente non avrebbe la fortuna di godersi la scena, se mai fosse avvenuta.Guardando più in là scorse vaghe grosse e massicce forme... il villaggio era circondato da

un’alta palizzata (che serviva a tenere fuori... che cosa? Era alta almeno cinque metri! ), ma non erano solo tronchi di legno. Un grosso, storto, alto e nero “portale” giganteggiava persino sugli alberi; era decisamente antico e un muro antico quanto lui si distaccava per perdersi nel buio più assoluto. La palizzata era stata costruita proprio nei buchi di quel muro colossale. Sendo aveva visto altre volte mura come quelle: mura fatte con massi ciclopici, coperti di muschio e muffa, antiche come il tempo.

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E sì, di solito in luoghi abbandonati da Dio e dagli uomini, dove la gente dotata di senno non và a meno di non avere una canna di pistola puntata alla tempia.

In questo caso più che una canna, centinaia di lance, centinaia di occhi indemoniati e la maschera terrificante di uno stregone Saimat che chiedeva con larghi gesti di un bastone coperto di teschi il loro sangue, per offrirlo alle sue ferine divinità dell’oltremondo!

-Siamo fottuti, vecchio mio! - sibilò Sendo.-Bastardi ometti scuri! - ruggì Barluga, dando un fortissimo strattone alla corda; ma nemmeno

la sua forza eccezionale riuscì a sortire il minimo effetto e i suoi sforzi ottennero soltanto ghigni sinistri da parte dei Saimat più vicini -Ammazzateci subito, voi e i vostri balletti e i vostri diavoli! E soprattutto... uccidete prima quello mingherlino!

-Barluga! Bastardo! - esclamò Sendo -Credevo che volessi essere tu ad ammazzarmi! -Quando proveranno a strapparti le braccia mentre sei ancora legato a quel palo...! - berciò lo

scimmione, con uno sguardo folle sul brutto muso -... forse potrò afferrarne uno, o sfondare a testate il cranio a uno o due di questi cani!

-Sfondaglielo prima che mi strappino le braccia! -No, mi godrò lo spettacolo! - ringhiò Barluga -Di chi è la colpa se sono legato a questo palo?

Tu e il tuo debole per le femmine! -Preferisci che ci sia quella principessina, legata al palo, in mezzo a questi selvaggi? - esclamò

Sendo.-Al diavolo! Lammasu mi porti all’inferno! - belò la scimmia -La mocciosa no! I canti osceni salirono di un’altra ottava, lo sciamano roteava nel cerchio il suo bastone

orrendo. La tensione stava salendo, presto quella massa di belve si sarebbe lanciata sui due “uomini degenerati” e il sangue sarebbe stato versato.

Era forse l’ultima occasione per Sendo. Allora chiese: -Prima che quello sciamano richiami qualche osceno mostro dalla foresta per cavarci gli occhi, dimmi Barluga, perché ti sei ammansito come un gattino, grande, grosso, bestemmiatore e incivile come sei, di fronte a quella ragazzina?

Barluga rispose: -Nessuno mi ha mai chiamato “capitano”! E non stiamo parlando di una baldracca di un qualche postribolo, ma di una principessa reale!

Sendo scoppiò a ridere e fece balzare indietro gli uomini più vicini. L’uomo degenerato era impazzito dal terrore? ! Ma Sendo era invece ora completamente lucido. Tanto lucido che, nonostante le braccia indolenzite e quasi insensibili legate dalle corde, sentì subito il tocco leggero di qualcosa che gli toccava le dita.

Girò lo sguardo sopra alla spalla e rimase di sasso. Nella zona buia tra i grandi pali sacrificali c’era una figura dagli occhi ambrati, con le corna, un coltellaccio in mano, che pareva tanto essere proprio il suo.

-Abit! - sibilò Sendomir, sconvolto -Cosa diavolo ci fai qui? ! -Signor Sendo! - rispose giulivamente Abit -Come sono contenta di vederti vivo! Sono venuta

a salvare te e il signor Barluga! -Ma sei pazza? ! - strillò quasi Sendo.Barluga girò appena lo sguardo su di loro, e disse: -Cosa strilli, uomo? ! I cani selvaggi si

accorgeranno della mocciosa! -È tutto quei quello che hai da dire, maledetta scimmia? ! - berciò Sendo.-Non sprecare tempo a parlare! - esclamò Barluga -Mocciosa, taglia prima le mie corde! -No, le mie! - esclamò precipitosamente Sendo.-Insomma! - sbottò Abit -Comportatevi come due adulti! I selvaggi cominciarono a raccogliere tizzoni accesi dai grandi fuochi e presero a salmodiare

un’oscena melodia, una specie di incantesimo.Sendo esclamò: -Comincia da chi vuoi, basta che lo fai in fretta! -Dove hai lasciato la principessa? - chiese Barluga, mentre Abit cominciava a tagliare proprio

le sue corde.-È qui, fuori dall’accampamento! - rispose -Assieme a Maruru; io sono strisciata di ombra in

ombra, dopo aver scalato la palizzata. Nessuno mi ha vista, erano tutti intenti a ballare intorno ai due forti uomini legati che litigano come bambini: e poi non è facile scoprire una Oni nel buio che non voglia farsi vedere! In una lunga capanna qui dietro ho trovato il tuo coltello e il tuo fucile,

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signor Sendo! - e lasciò cadere vicino alla base del palo proprio la sua vecchia arma.-Hourì è qui? - esclamò invece Sendo -Mi spieghi che cosa non era chiaro in “scappate, porta

via la principessa”? ! Abit terminò con le corde di Barluga e si mise di buona lena su quelle di Sendo. E disse:

-Guarda che non c’è soltanto il signor Sendo qui che “ha un cervello furbo”! Ma ora smettetela di guardare dalla mia parte, altrimenti ci scopriranno!

-Adesso spaccherò loro il cranio! - berciò Barluga, ma Abit esclamò: -Non fate nulla! Tra poco succederà un grande casotto, e allora balzate via quando i selvaggi non se l’aspettano!

-E chi lo farà questo “casotto”? - esclamò lo scimmione.E invece Sendo chiese: -Lo farà Maruru? Come hai fatto a convincerlo a tornare indietro? Ma

soprattutto... non credo che ne potremo uscire vivi lo stesso! Siamo nel cuore del territorio dei Saimat, e come prima non potevamo fuggire, ora tanto meno!

-Signor Sendo, non preoccuparti, c’è un piano! - sbottò Abit.-E di chi è, questo “piano”? - esclamò Sendo -Spero non tuo! Abit tagliò l’ultimo refolo, e lo fissò imbronciata. Non pareva proprio consapevole di essere nel

mezzo di un villaggio pieno di selvaggi assassini. -Signor Sendo, non mi starai dando della stupida? ! No, non è mio, comunque... è di Ayane e del signor Taruk!

-Quel prete mancato del diavolo è qui? ! - urlò Barluga.-Ora mi devo ritirare... - sibilò Abit -... aspettate il momento giusto! Ti lascio il coltello, signor

Sendo! - e scomparve indietro nell’oscurità, proprio come un’ombra, come un fantasma.-Abit, ehi Abit! - chiamò Sendo, ma era proprio scomparsa.-Aspettate il momento giusto! - esclamò Barluga -Adesso anche quella mocciosa dà ordini? !

- ma Sendo vide che era contento come un discolo alla Parata del Re. Da bestia in trappola, ora era divenuto una bestia con le zanne libere e un muro su cui piantare la schiena.

Un grosso energumeno la cui pelle brillava al fuoco di sudore come se fosse coperto di brina liquida cominciò a roteare due torce fiammanti proprio davanti a lui e rivolse la testa indietro in un ululato demoniaco. Sendo rabbrividì fino alle midolla: non era neanche sicuro di riuscire a correre, si sentiva pesante come un macigno. Lo sciamano avanzò infine nello spazio proprio di fronte ai pali sacrificali e la folla smise di urlare. I flauti si zittirono, i tamburi presero un ritmo lento e cupo come il rintocco di tuoni dall’abisso degli inferi.

Lo stregone sollevò verso gli astanti il malvagio scettro di teste; poi lo rivolse contro i due uomini legati e da sotto la sua maschera vennero parole pronunciate in una lungua che nel mondo di fuori nessun orecchio aveva sentito da millenni, che avevano il gusto di piccoli fuochi stretti contro l’imboccatura di grotte, di occhi di bestia che lampeggiano nel buio nella foresta, di foreste primordiali dove l’uomo era soltanto una preda. Si infilarono nelle orecchie di Sendo come aghi velenosi e il dolore nel suo cranio prese a pulsare ancora più dolorosamente. Sendomir conosceva quel dolore e no, non era il dolore di una mazzata in testa. Era la sua mente che si ribellava al Caos spaventoso che si stava avvicinando... la parete della realtà che diventava sottile, mentre le parole antiche dello sciamano richiamavano il maledetto Sogno nel mondo. Credette quasi di vedere, nel fumo contorto e nei lampi del fuoco, quelle sagome spaventose che erano i demoni del Sogno aleggiare intorno alla testa dello stregone.

Ma sotto il rimbombo dei tamburi, gli pareva anche di udire un distante stridere, come di milioni di voci demoniache che...

E un rombo sordo di tuono, che non erano i tamburi, non era la sua testa spaccata.Anche lo stregone forse lo udì, perché interruppe il suo incantesimo e sollevò il mascherone e

la testa al vento, come una bestia che fiuta una traccia.E anche i tamburi tacquero e tutti i selvaggi levarono gli occhi al cielo, con l’orecchio teso.-Ma cosa dia...? - sussurrò Barluga, incapace di terminare la frase.Il terreno rombava, era un vero tuono! E il ragliare demoniaco ora era pienamente udibile.-Quella strega Oni ha chiamato i diavoli dell’inferno? ! - sibilò Barluga.-No! - gridò Sendo -Non sono demoni... sono maialiii! E in quell’istante la vedetta Saimat dall’alto della palizzata che circondava il villaggio, si alzò

in piedi di scatto, si guardò intorno come un folle, senza capire... e un attimo dopo esplose in aria, con tutto il muro di legno, in una tempesta rombante di legno e schianto.

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Una torma di maiali, di mostri giganteschi irruppe guidata da un animale furente e selvaggio dentro al villaggio e addosso agli uomini. I Saimat urlarono come impazziti, ma prima che potessero anche solo capire che cosa stesse succedendo vennero travolti. Le passerelle vennero demolite come da una piena estiva dei violenti torrenti pensili del deserto, trascinando tra i rottami gli uomini. Le capanne più in basso vennero segate all’altezza dei pali che le sostenevano e crollarono con un rovinoso fragore. Le passerelle di corda che erano collegate a quelle vennero tirate giù a forza... i Saimat precipitarono al suolo come frutti maturi abbattuti dalla tempesta!

L’ondata di bestie era diretta come un proiettile esplosivo proprio contro Sendo e Barluga. I due uomini balzarono in piedi, si voltarono e gambe rattrappite o muscoli bloccati o meno corsero nella direzione opposta come due comete.

-Abit! Maledizione a te! - gridò Sendomir.-Risparmia il fiato e corriii! ! - gridò Barluga.Saimat urlanti correvano come scheggie di qua e di là, proprio in mezzo ai loro piedi, ma

Barluga menava manate colossali, facendoli volare via dal suo percorso come pagliuzze. Ma la torma di maiali inferociti stava guadagnando terreno senza nemmeno rallentare, nonostante la distruzione che stavano facendo fulminare sul villaggio.

“Quassù! ” gridò una voce nelle loro teste.Sulla cima della gran capanna del Grande Capo, che con il suo tetto spiovente era in parta

scavata dentro al tronco di un gigantesco albero nero, ma in parte si espandeva in tetti e impalcati aerei ben al di fuori della pianta, girandole intorno come una specie di pergola aerea, un’ombra più nera della notte oscurava la luce dei fuochi e delle stesse stelle. Sendomir e lo scimmione però preferirono quell’ombra alla morte zannuta che stava dietro di loro. Si lanciarono sui tronchi rozzamente incastrati e si arrampicarono come due scimmie. La marea suina evitò all’ultimo istante i pilastri esterni della capanna e si diressero decisi, come un rotolare di sassi e di slavina, a devastare il resto del villaggio.

-Maruru! - gridò Sendo, mezzo appeso al tetto, con una gamba che pendeva ancora giù nel vuoto -Di chi è stata la grande idea? !

“Il grande uomo preferiva essere mangiato dai mostri del Sogno? Sei sempre in tempo, lo sai!” rispose Maruru, con il suo “sorriso” inquietante da demone.

Un boato spaventoso segnò l’uscita dei maiali attraverso la palizzata opposta del villaggio.-Sbaglio, o c’era un moccioso in groppa a una di quelle bestie? ! - gridò Barluga, che

sembrava molto ridicolo appeso all’angolo della capanna, come un marinaio appeso a un pezzo di relitto in mezzo al mare.

-Un moccioso? Io non ho visto nulla, ma...! - cominciò a dire Sendo, ma in quel momento accaddero molte cose.

I Saimat si alzarono, quelli ancora in grado di farlo, e si guardarono intorno con gli occhi fuori dalle orbite. Ma un colosso (il capo villaggio? ) emerse da sotto le rovine di una capanna e prese a urlare come il demonio in persona. I Saimat risposero gridando come ossessi. Un gruppo, in risposta ai gesti e alle urla del “capo”, corse verso il fondo del villaggio, che era stato risparmiato dalla carica dei maiali, un altro si lanciò verso una lunga e bassa capanna, da dove già stavano uscendo altri selvaggi, con le braccia piene di archi e lance.

E poi dal primo squarcio nella cinta difensiva arrivarono gli spari. Sendo aguzzò gli occhi malmessi e vide una sagoma nera e alta irrompere con una pistola per mano, seguita da una tormenta di canaglie gigantesche che fecero fuoco dalle loro bocche di cannone come se fosse scoppiato un temporale di grandine e fulmini.

E sempre nello stesso momento, sul tetto delle vicinissime capanne, cominciarono a comparire altri uomini scuri, che puntarono tutti gli occhi accecati dall’odio contro Sendo e Barluga, appesi come sardine stese ad essiccare.

E infine, tre ululati spaventosi squarciarono la notte.

Sendomir si issò sul tetto della capanna con qualche difficoltà, non solo perché era pesto e contuso, ma anche perché teneva fucile e pugnale nelle mani. Mise il piede sul tetto di rami squamosi che sembrava abbastanza solido da poterlo reggere e fissò i selvaggi radunarsi sui tetti di fronte e sulle passerelle sopra e intorno a loro, con gli archi pronti. Maruru voltò il suo regale

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capo di leone verso di loro e i Saimat impietrirono: un uomo bianco con l’acciaio tonante nelle mani e il Mangiatore di Sogni erano là di fronte, stagliati contro i fuochi rossi.

Abit aveva lasciato un sacchetto con dei proiettili: non sapeva ancora se doveva colpire in testa la ragazza per non avergli detto dei maiali o se darle un buffetto sulla guancia, se l’avesse rivista. Afferrò il primo proiettile e sperò di essere più veloce delle frecce dei selvaggi... altrimenti non si sarebbero stati né buffetti né pugni.

Ecco che invece, ai Saimat che già incoccavano le frecce, si presentò un altro problema, che li distrasse decisamente dal compito di ammazzare Sendo. Una sagoma oscura balzò dal tetto vicino, arrivata chissà da quale ombra. Baluginò dell’acciaio, mentre un Saimat si voltava con la lancia in mano e fendeva l’aria contro la testa dello sconosciuto. L’ombra si abbassò evitando l’arma e vibrò qualcosa di brillante dal basso verso l’alto. Il selvaggio cadde giù dal tetto, ma già un altro puntò la lancia contro il nemico, con tanta forza da sollevare schegge di legno squamoso tutt’intorno. L’ombra balzò indietro, schivando forse per un dito la punta d’osso della lancia, ma ancora prima di toccare “terra” all’indietro già balzava in avanti con il pugnale basso, piegata in due, in un’unica forma, come lo scorrere dell’acqua in un ruscello.

Sendo non perse tempo a contemplare la scena: piantò il ginocchio sul tetto, prese la mira e fece fuoco. L’arma tuonò e un guerriero cadde sbalzato indietro. I suoi proiettili saettavano nell’aria, abbattendo selvaggi tutt’intorno al turbine di pugnalate e fendenti e brillare di lance che nel centro del tetto Saimat e il misterioso guerriero stavano roteando.

O meglio, Sendo avrebbe dovuto dire “misteriosa guerriera”.Nonostante fossero invasati e in numero superiore i Saimat si persero d’animo di fronte a quel

massacro e si lanciarono giù dal tetto, cercando la salvezza. L’ombra invece saltò con grande agilità sul tetto e si aprì il fazzoletto che le copriva la faccia.

Sendo disse: -Ricordami, Ayane, di non voltarti mai le spalle, quando hai un mano un coltello! -Lo hai già fatto, ricordi? - rispose lei, ansimando solo leggermente -E non fa differenza,

davanti o dietro: la prossima volta, che potrebbe essere anche molto presto, te lo pianterò in mezzo a quegli occhi da stupido!

-E chi sarebbe questa donna? - fece Barluga, che era rimasto tutto il tempo appeso, senza muovere neppure un muscolo per aiutarli.

-Una delle tue clandestine! - rispose Sendo.-Ahr ahr! - rise il pirata -La mia ciurma di canaglie si ingrandisce ogni giorno di più! -E chi vorrebbe far parte della tua ciurma, scimmione? ! - sbottò Ayane, con occhi peggiori di

quelli di un Saimat invasato.Barluga non rispose; si lasciò cadere a terra con un solo salto e si voltò a fissare il villaggio

devastato, con un ghigno soddisfatto sul volto scimmiesco, reso ancora più orribile dal sangue rappreso, dalle ferite e dal luccichio omicida negli occhi.

Lo vide stare in piedi così, una torre di scimmiosa violenza pronta a scatenarsi, in mezzo al fumo, alle grida dei morenti, allo scoppio delle armi da fuoco e agli schizzi di sangue dei Saimat che crollavano in ogni direzione. Taruk gridò ai suoi: -Laggiù, la maledetta scimmia! Forza uomini, facciamo rimpiangere a questi selvaggi di non aver scoperto le armi da fuoco!

Erano solo dieci pirati, ma disposti come un cuneo; non appena gli uomini all’esterno raggiungevano il fondo del tamburo delle armi venivano sostituiti da quelli all’interno, e avevano il tempo di ricaricare. Avanzavano a passo spedito e costante in mezzo alla folla di nemici, come una colata di ferro bruciante.

Ma improvvisamente un ruggito mostruoso incrinò l’aria. Taruk ebbe appena il tempo di voltare lo sguardo verso destra che vide tre selvaggi volare in aria e da dietro balzarono fuori come locomotive tre incubi incarnati. Dopo aver visto il “demone” della strega Oni pensava di aver visto già, per quel giorno, un numero sufficiente di mostruosità, ma evidentemente il peggio doveva ancora venire.

Tre... “cose”... che dovevano essere qualcosa di simile a dei “cani”... ma grossi come corazzati. Un Saimat, rimasto paralizzato là vicino, arrivava a stento, in altezza, alla schiena di uno dei mostri. E quello, con una noncurante mossa della testa sproporzionata, si voltò e lo tranciò in due con un morso.

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-Megaiene! - gridò Taruk, ma di sicuro non aveva mai visto bestie grandi come quelle.Non appena i tre colossi scorsero i pirati si voltarono tutti in quella direzione e latrando della

loro isterica risata si lanciarono sbavando verso di loro.-Uomini! Fuoco! - gridò Taruk, ben sapendo che ne avrebbero potuta abbattere forse soltanto

una, prima di venire sventrati dalle fauci delle altre.“È venuto il momento di incontrarti, mio Dio? ! ” si chiese, nello scoppio delle sue pistole

contro il brutto muso della mega-iena più vicina.Una forma nera divorò la luce tutt’intorno a loro. La bestia della strega Oni balzò dal nulla,

affondando speroni e zanne nella schiena di uno dei mostri. La mega-iena si voltò come una serpe a mordere a sua volta e le due creature si rotolarono nella polvere in uno schianto che fece tremare la terra.

Un’altra mega-iena piombò in mezzo agli uomini. Taruk balzò via, ma gli cascarono entrambe le pistole.

Si alzò subito, ma di fronte a lui c’era la bocca ansimante e crivellata di colpi del mostro.“Con cosa si ammazza un mostro del genere? ! ” gridò nella sua mente.E la risposta arrivò subito. Un largo, grosso tronco, strappato dalle rovine delle capanne

divelte, si abbatté come il maglio del fabbro, come la furia del Dio d’Israele, sul piatto muso e venne un distinto e rovinoso suono di ossa infrante.

Barluga roteò quell’arma come se fosse una sottile lancia, gonfiando i muscoli e gridò: -Bestie immonde, questa notte non vi riempirete lo stomaco della carne dei miei uomini!

Ecco uno dei pochi motivi per cui riusciva ad apprezzare quello scimmione... perché aveva una soluzione semplice e immediata pronta per ogni situazione!

Ma l’esultanza durò solo un momento.Un vento violento sollevò un furente banco di polvere ferendogli gli occhi. La bestia che era

crollata con il cranio spaccato di fronte a lui ebbe un fremito violento e con occhi brucianti di luce aliena balzò nuovamente in piedi.

Taruk la fissò impietrito, ma il mostro parlò. -Ometti degeneri! - parlò con una spaventosa voce cavernosa e metallica -Le vostre armi di tuono e di metallo non possono nulla contro le Antiche Parole: io cammino nei Sogni e vi strapperò le carni di dosso, vi strapperò la tremante anima dal corpo e la getterò urlante nelle Fosse di Abzu, dentro all’abbraccio di Ereshkigal!

Il gigantesco palo di Barluga però si sollevò nuovamente e spappolò del tutto la testa della mega-iena che ancora parlava. E lo scimmione tuonò: -Vacci tu nel tuo abisso! E portaci tutti i maledetti stregoni!

Ma pur ridotta a una massa sanguinolenta, la “testa” continuava a parlare! -La luce del tuo lil è opaca e oscura, sciocco uomo! - sibilò la voce -“Forti” uomini, verrete divorati dalla Morte incarnata! Il Dio della foresta, nostro Padre, mi darà la forza!

Taruk non dovette sprecare tempo a pensare che cosa intendesse la voce infernale con “morte incarnata”. Perché anche tutti i Saimat morti si stavano rialzando, con luci mostruose negli occhi.

-Viaaa! - gridò -Via da questo posto! - e persino Barluga non ebbe nulla in contrario.

Un Saimat ritornato dal mondo dei morti, con una spaventosa lacerazione di zanna di cinghiale sul collo che sembrava la spaccatura di un canyon, si avventò su di lui cercando di azzannarlo con la foga di un cane rabbioso.

Sendo vibrò con tutte le sue scarse forze il calcio del fucile in faccia al mostro. La spaccatura nel collo era così profonda che il colpo gli staccò la testa sul colpo. Ma il corpo morto continuava ad artigliare a vuoto l’aria! Lo colpì di nuovo al petto, lanciandolo di sotto.

Ma decine di mani fameliche si stavano arrampicando oltre il bordo del tetto.Sentì la schiena di Ayane che si piantava contro la sua. Sendo allora disse: -Questi mostri sono

lenti! Tu puoi saltare e correre via! -E tu, grande uomo dalle gambe di gelatina? Hai così voglia di farti mangiare? - sbottò la

donna.-In questo momento non sono in grado di correre per più di dieci metri! -E allora chiudi quella boccaccia! - esclamò Ayane -C’è una sola cosa che odio più degli

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uomini in quanto tali... e sono gli stupidi che vogliono fare gli eroi! -Se uno di questi cosi ti morde... - rispose Sendo, a denti stretti -... credo che sarà lui a morire

avvelenato...! Ayane non rispose, ma non era quello il momento per fare salotto; tre mostri si arrampicarono

finalmente sul tetto e si avventarono con foga animalesca. Ogni cosa aveva assunto una tinta irreale: anche le luci dei fuochi erano divenute opache e un miasma opaco sembrava avvolgere le teste dei mostri, spirava come vento visibile tra le capanne e soffiava sul villaggio, e anche il cielo era trasformato, la luna una maschera orribile.

Era come essere stati trasportati all’inferno da vivi. Con le braccia pesantissime Sendo vibrò il fucile come una mazza contro i morti viventi: non provavano nessun dolore e nessuna paura, ma solo fame, non era possibile neppure respingerli indietro.

“Verso l’alto! ” gridò il ruggito mentale di Maruru.Sendo alzò gli occhi e vide che il grande leone era tornato; uno squarcio nella pelliccia sul

fianco mostrava ondeggianti e rapidissimi punti neri, come fumo vorticante sopra a una fornace.“Su! ” gridò ancora più forte.Sendo allora afferrò la mano si Ayane che si volse con un gridò, quasi conficcandogli il

pugnale in un occhio.-Non sono uno dei mostri! - gridò lui.-Che cosa... aspetta! - gridò la ragazza.Ma con una forza insospettabile, che dragava fino in fondo tutte le sue energie rimanenti, lui

la trascinò in mezzo a una fila di braccia adunche e occhi penzolanti e famelici. -Salta! - gridò. Saltarono dal tetto su di una specie di mensola di legno, che correva a spirale intorno al massiccio tronco squamato.

Casette, mensole e appendici di passerelle salivano lungo l’albero. Sendo si infilò il fucile a tracolla sulle spalle e spiccò un altro salto: si afferrò agli assi inferiori della capanna che pendeva sopra le loro teste. Ayane fu molto più agile di lui. Mani furiose si levarono sotto di lui, ma i morti viventi non sembrarono in grado di saltare. Si accavallarono gli uni sugli altri spintonandosi e molti caddero di sotto. Sendo si issò a fatica sul pavimento (la capanna era una specie di “veranda”, aperta su due lati) e fu Ayane, questa volta, a prenderlo per la collottola e a strattonarlo.

-Muoviti! - gridò.Quella “veranda” era collegata all’albero di fronte da una passerella sospesa. Che in quel

momento pullulava di zombie. Maruru, che stava appollaiato come un gufo gigantesco sul tetto, sopra di loro, balzò giù su di quelli e, soltanto con il suo peso e con lo sventagliare delle sue grosse zampe, fece ondeggiare con così tanta violenza la passerella che i morti viventi volarono via in tutte le direzioni.

La passerella ondeggiava ancora come un serpente tagliato in due, che già Ayane vi metteva il piede sopra. -Al diavolo! - gridò Sendomir, precipitandosi dietro a lei.

Il mondo roteò; sotto di lui ondeggiarono fuochi, occhi verdi in una moltitudine orripilante... si trascinò inciampando, strisciando e tirandosi con le braccia fino all’alta estremità, con una velocità che non credeva fosse possibile.

-Muoviti! - gridò ancora Ayane. Alzò gli occhi, non appena mise il suo ubriaco piede sulla “solida” pavimentazione della capanna dall’altro lato.

Quasi gli caddero le ginocchia. Prima si era chiesto se tutto quel legno avrebbe potuto bruciare. La risposta era sì. Bruciava molto bene, anzi.

Di fronte a lui si stendeva una vertiginosa corsa. Capanne e strutture si rincorrevano su e su tra gli alberi neri, dentro a una ragnatela di passerelle. Gli zombie sciamavano da tutti i lati. E non c’era una sola capanna e passerella che non fosse in fiamme. Era come osservare la strada per l’inferno, vedere da vivo i condotti infuocati che si scagliano negli abissi. Non che sarebbe rimasto vivo a lungo, beninteso.

Dietro di lui i morti avevano “imparato” a saltare; nuova luce verde brillava nelle pupille paonazze di fame e acquattati come cani, con le giunture ripiegate in modi impossibili, saltavano e si aggrappavano come una schiera di ragni.

Ayane, di fronte, non esitò. Si lanciò su per le scalinate infernali.

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E lui fece altrettanto.

I suoi occhi scrutavano, tesi e stanchi, le tenebre contorte della foresta.Quando aveva sentito tanta paura? Quando tanta stanchezza? Il primo dei pirati della sua scorta, che di certo non si lavava da molto tempo, esclamò:

-Sentite, che fracasso! Li sentivano bene tutti; un alto scoglio dominava i contorti alberi di sotto. Un tronco

serpentino creava quasi un ponte tra la cima della roccia coperta di muschi, grosse strutture fungoidi e alberi biancastri e la roccia di fronte, uno squadrato ammasso di rovine. Il gruppetto stava su quello spuntone di roccia e da quella altezza si udivano molto bene i tamburi, a volte lontane grida, che si riverberavano sulla foresta ora più vicini ora più lontani. E grandinate di spari. E grida orripilanti. I begli occhi di Hourì forse credevano di intravedere il riflesso rosso del fuoco, stagliato contro la cappa di tronchi squamosi, ma forse era solo un’illusione.

Ma non era “illusione” la sensazione di dolore lancinante che provava alla base del cranio, come avere uno spillone conficcato nella spina dorsale. Sentiva come il gonfiarsi di un vento malsano, come l’agitarsi di una volontà terribile che cercava, tastava, si dimenava come un verme privo di testa sotto le radici, tra i tronchi, dentro all’aria.

-Non preoccuparti... finché ci sono io... non può “sentirti”! - disse una voce dietro di lei; la bionda strega, con quei capelli che aveva visto soltanto in certi libri (erano molto più gialli di quelli di Abit), seduta su di un masso, intenta a mangiarsi l’unghia del pollice (sporco).

Lo stregone Saimat. Parlava di quello.Accanto a lei Abit, in piedi, si torceva le mani. -Saranno riusciti a fuggire? - si lamentò. Era

forse la cinquecentesima volta che diceva quelle parole.Cosa dire della Oni? Era andata e venuta da un accampamento pieno di Saimat feroci come

se nulla fosse! O almeno così era parso alla principessa. Ma come faceva lei a “non preoccuparsi”? Come fare a non essere terrorizzata? Lasciata da “sola” con... quella seduta sul sasso era... era una Shibartz!

Ma, piccola Hourì, sei tu forse migliore di quella “strega”? Perché il formicolio che sentiva nella testa era proprio quello, magia. Era normale per un essere umano percepire questo tipo di cose? O non era piuttosto anche lei un essere anormale, un mostro?

Questo pensiero era forse il colpo di grazia definitivo per il suo già compromesso equilibrio mentale; e a questo si assommavano il buio, le grida, l’attesa! Da un momento all’altro i suoi sensi le dicevano che poteva scatenarsi un orrore che i suoi occhi non avrebbero potuto sostenere. Di nuovo, quella sensazione, la sensazione di non poter fare nulla. Persino Abit faceva cose “incredibili” e notevolmente coraggiose. E lei invece era lasciata indietro: l’unica cosa che poteva fare era tremare, in compagnia di un gruppo di cenciosi pirati.

Ah sì, e di quella strega.Qualcosa prese ad arrampicarsi sui rami; aveva occhi brillanti nel buio e si muoveva come una

pantera. I pirati della sua “scorta” imbracciarono i fucili.-Che diavolo...! - gridò il pirata.Hourì gridò, cadendo indietro. La creatura spiccò un balzo innaturale, occhi verdi di fiamme

infernali sprizzavano dalla faccia e un singulto, una specie di latrato, proruppe dalla bocca. Il fucile fece fuoco... carne esplose, ma la creatura toccò il suolo e come se non fosse stata affatto colpita balzò ancora avanti.

-Indietro! - gridò Alice.Fiamme vive proruppero dal nulla e avvilupparono l’essere. Si dimenò come una farfalla presa

nella tela del ragno, roteando le braccia infuocate in aria.Mise un piede sull’orlo dello sperone e scivolò, cadde all’indietro e precipitò giù, scintillando

come un tizzone ardente.I pirati erano accasciati a terra, come un mucchio di stracci, Alice in piedi, con uno sguardo tra

il corrucciato e il disgustato.E come una diga che finalmente crolla sotto la spinta di un’alluvione, Hourì esclamò: -Alice!

Cosa sta succedendo? Cos’era quella cosa? ! - ma tutte le sue domande si scontrarono come tronchi trascinati dalla corrente in una strettoia tra due sassi sulla faccia spaventosa di Alice, che

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sbottò: -Era “guai grossi”...! E guarda quanti altri ne stanno portando quegli sciocchi! Hourì guardò automaticamente giù, verso il tronco e le rovine dall’altra parte. Nella notte si

muovevano delle figure. Aguzzò i suoi poveri occhi.Uomini! Un gigante correva davanti a loro, come una scimmia, toccando quasi la terra con le

braccia. Di primo acchito pensò a quanto fossero ridicoli, quegli uomini, a correre in quella maniera forsennata. Ma poi dietro di loro scorse quello da cui stavano scappando.

Come il mare notturno si scorge pullulante dalla riva, indovinando le onde soltanto per il brillare sotto le stelle e la luna delle cime fatte di spuma, alla stessa maniera una marea di corpi come ondate biancheggiavano in riflessi di ossa, metallo, monili e corpi cosparsi di ocra bianca. Ma erano ben poco umani: correvano come ragni, come cani, con le giunture piegate in modo spaventoso.

La povera principessa rimase a bocca aperta, inchiodata a terra dal terrore.Gli uomini e il gigante raggiunsero l’albero. Senza rallentare si lanciarono sul tronco e lo

risalirono. Uno di quelli più indietro scivolò e cadde con un urlo incontro al buio, ma nessuno di loro si fermò o si guardò indietro.

In un tempo che a Hourì parve incommensurabilmente breve gli uomini, i pirati, erano già balzati sullo scoglio.

-Signor Taruk! - esclamò il pirata che prima aveva parlato.-E il nostro capitano! - disse un altro, che possedeva tutti i crismi del pirata: benda sull’occhio

(un fazzoletto sporco, in verità), una mano artificiale meccanica. Era quello che aveva sparato.-Oi! - esclamò invece Alice -Dove sono Sendo? E Ayane? ! Barluga, nudo fino alla cintola, coperto di sangue rappreso, con la faccia da cui ne sgorgava di

fresco, era la visione stessa della violenza, della furia. E sollevò il braccio destro e afferrata la povera Abit come se fosse un sacco, se la infilò sotto al braccio.

-Waa! Che stai facendo? ! - gridò Abit.Alice fece un passo avanti: -Che diavolo stai facendo, pirata? La voce della strega era carica di minaccia e di certo non era una minaccia vuota di

significato. Nonostante la piccola ragazza arrivasse appena al petto del grosso scimmione.-Sei tu la Shibartz? - sbottò Barluga -Mingherlina come sei? -Metti giù Abit! - riprese Alice -E dove sono il mio umano e Ayane? ! Soltanto Taruk e Barluga sostennero lo sguardo della strega; gli altri pirati erano fiacchi e

terra, erano come corde di canapa lasciate a frollare sotto la pioggia.-Se vuoi il tuo umano, puoi andare a servirti in mezzo a quelli! - ruggì Barluga, indicando

dietro di sè, la marea di morti che stava per raggiungere il tronco.-Capitano! - lo premette Taruk, dando un’occhiata preoccupata indietro.-Oh? E avete più paura di quei morti che di me? - disse Alice, con un terribile fuoco negli

occhi.Ma in un attimo Taruk mosse la mano; la pistola nascosta nell’ampia manica brillò e un colpo

secco partì. Un sottile strato di aria più densa, che sembrava il tremolare di aria riscaldata, aleggiò davanti alla faccia di Alice, ma il proiettile lucente lo attraversò come se non esistesse e la strega fece soltanto a tempo a spalancare gli occhi per la sorpresa che venne colpita in pieno. Cadde indietro per l’urto e ancora prima che toccasse terra, Barluga afferrò Hourì, che era rimasta paralizzata come una statua di ghiaccio, e gridò: -Principessa, scusate i modi bruschi, ma come vedete andiamo di fretta!

E se la caricò sulla spalla, come se fosse un pupazzo.-Capitano...! - gridò sconvolta Hourì.-Gli affari sono affari, principessa! - esclamò e dando una pedata spaventosa al pirata a fianco

di lui, gridò: -Via! Se ci tenete alla vostra pellaccia schifosa! Hourì venne portata via come un sacco. Negli occhi il corpo bianco di Alice distesa a terra.

-Perché l’avete uccisa? ! - gridò, ma le sua grida si perdevano nel vento. Le gambe lunghe e massicce del pirata macinavano metri come se fossero munite di reattori.

Le arrivò all’udito la voce soffocata di Abit, ma non capì che cosa avesse detto.-Non lo capite? - sentì la voce di Taruk, l’uomo nero -La strega voleva usarvi come esca! C-cosa? !

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-Credete che vi avesse lasciato da sola indietro per che motivo? - continuò, con un certo affanno per la corsa il pirata -Lo stregone avrebbe cercato di venire a prendervi... e lei ne avrebbe approfittato per colpirlo!

-Come potete dire una cosa del genere? ! - griò la principessa, provando ad alzarsi sulla spalla di Barluga.

Dal basso vide la faccia di Taruk, che correva a fianco dello scimmione, indurirsi. -Perché questo è il piano che avevamo deciso insieme!

Hourì ricadde sullo scimmione. -E cosa volete da me, adesso? ! - disse sommessamente.Siccome era molto vicino all’orecchio della scimmia, questo la udì e rispose: -Che la smettiate

di agitarvi, con tutto il rispetto! Ah! , piccola ingrata! - gridò poi. Abit lo stava mordendo a sangue alla mano.

-Lasciami andare, scimmioneee! ! - gridò la povera Oni.-Fate silenzio! - gridò quello, facendo perdere momentaneamente l’udito alla principessa -Non

avete visto che cosa abbiamo di dietro? ! Se riusciamo a salvare la pelle...! Io vi sto solo salvando il didietro, mocc... ragazzine!

No, più verosimilmente stava salvando il suo “investimento”, pensò amaramente la principessa. Alla fine era stata venduta dal suo stesso paese, dai suoi funzionari, e ora i pirati, che non erano certo persone migliori di quelli, avrebbero fatto lo stesso! E lei aveva persino pensato di tornare a “salvarli”... che potessero esserci persone “nobili” che valesse la pena di...!

Misera sciocca, Hourì voleva gridare, dare testate contro un sasso! Ma a che cosa sarebbe servito? Non le avrebbero nemmeno permesso di uccidersi! Ma forse ci avrebbero pensato i morti viventi che urlavano dietro di loro; sì, perché Alice

aveva ragione. Ora che era lontana dalla Shibartz lo stregone poteva vederla come si vede un incendio da una torre.

Come in risposta ai suoi pensieri una colonna di fuoco esplose nella notte dietro di loro. Piccole sagome nere, di forma vagamente umanoide, volavano in aria contro il fuoco come cenere.

Qualche pirata inciampò e cadde nel buio, fuori vista, ma Taruk si limitò a guardarsi indietro e disse praticamente: -Evidentemente una pallottola d’argento non basta a uccidere una Shibartz!

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Capitolo 27 Un Dio e una Shibartz

Sendomir fissò stupefatto la porta. Pochi istanti prima pullulava di braccia come un’erruzione di vermi da un tronco marcio. Ora i buchi frastagliati nel legno erano vuoti e un silenzio di morte era caduto su tutto.

-Ma che cosa succede? ! - esclamò.Un tonfo sul soffitto della capanna, l’ultima del villaggio, posta proprio sull’ultimo albero prima

delle mura e della palizzata, dalla quale non era possibile né saltare né uscire. Dove si erano asseragliati per l’ultima resistenza contro l’orda di morti viventi.

Passi pesanti sul tetto e dalla finestra sospesa sul vuoto saltò dentro, con “gioia” di Sendo, il grosso leone, che aveva la peculiare capacità di allungarsi e restringersi come voleva.

-Maruru! - esclamò Ayane, buttando a terra la rozza ascia di pieta che teneva ancora in mano -Che cosa è successo? Dove sono i morti? !

Rispose secco il leone: “Hanno trovato una preda più interessante di noi! ”-Cosa? - fece Sendo.Maruru ringhiò, gli occhi sfolgorarono e l’uomo fece un involontario scatto all’indietro. “Quella

bestia di Barluga ha preso la principessa e Abit, e le sta trascinando attraverso la foresta! ”-Eh? ! - gridò Ayane.“Lo sciocco pirata la sta trascinando via da Alice... ora la principessa è completamente visibile

per lo stregone, e sta dirottando tutto il suo lil contro di lei! ”“Lil”? ! pensò Sendo, ma Ayane fece saltare in aria i suoi pensieri. -Che stai dicendo, leone? -

gridò -Maledetti pirati! Come ho potuto essere così sciocca da fidarmi? ! Fissò con furia Sendo, ma quello alzò le mani e disse: -Cosa centro io? -Siete tutti della stessa pasta! “Smettila di strillare, donna! ” disse Maruru; Sendo non lo aveva mai visto così nervoso.-Non puoi correre da Abit e dalla principessa e... ehm... - quello che avrebbe fatto poi il leone

era ampiamente immaginabile. Non che fosse particolarmente attaccato allo scimmione, ma, come dice il detto, chi semina tempesta...

“No! ” urlò il leone “Quella sciocca mi ha ordinato... salva Ayane e il signor Sendo! Rimani con loro, diavolo! ”

-Con la mente? - chiese ingenuamente Sendo.-E tu devi obbedirle? ! - fece Ayane; il leone la fissò con occhi brucianti quanto i fossati

dell’inferno. Allora soggiunse: -Non ti resta che farci salire in groppa! “Donna, non sono un somaro! ”-Non lo hai già fatto in passato? - sbottò Ayane -Saresti già scappato nella notte, se Abit non ti

avesse detto, prima dello scontro, che voleva vivo il “signor Sendo”, vero? Per quanto ti dia fastidio, adesso se vuoi obbedirle, la cosa migliore da fare è farci montare sul tuo groppone e portarci da lei!

Maruru ringhiò basso e Sendo credette che avrebbe mangiato in un sol boccone Ayane. -Non si può dire che tu non abbia coraggio! - osservò.

-Silenzio! È tutta colpa tua! Per salvare le chiappe a chi, siamo in questa situazione? ! - berciò la donna.

-Chi vi ha chiesto di venire qui? ! - gridò lui -E ad ogni modo... “Alice”... non è quella che era stata appesa al pennone? Perché dovrebbe centrare qualcosa con lo stregone?

Ayane si rabbuiò. -Lo scoprirai presto, sciocco! - gridò e rivolta al leone, disse: -Inseguiamo quei pirati, prima che i Saimat morti o vivi decidano di tornare indietro!

Maruru scoprì le sue zanne spaventose, ma non c’era molto che potesse fare.Ma Sendo si chiese cosa avesse in mente Ayane: voleva forse “salvare” Abit da Barluga?

Forse dimenticava che quello che possedeva una nave era la scimmia, non loro! In termini strettamente tecnici era proprio lui quello che stava realmente salvando le due ragazzine!

Il meglio che potevano fare era in realtà riuscire a raggiungerli e non farsi lasciare indietro; proprio questo stava facendo in realtà montare la furia in corpo a Sendomir. Quella scimmia

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bastarda lo aveva lasciato alla mercè dei Saimat! E mirava senz’altro a tenersi Zeta, dopo averlo “tolto di mezzo”!

-Muoviamoci! - sbottò allora -Voglio vedere da vicino la faccia di quello scimmione mentre gli pianto una pallottola tra gli occhi!

Alice era furiosa. Si massaggiò la fronte dove stava crescendo un bel bernoccolo e fissò disgustata lo sguardo sui corpi carbonizzati intorno a lei. Davano un puzzo da voltastomaco. Ma almeno un centinaio di loro stava correndo dietro a quegli idioti dei pirati.

Poteva benissimo lasciare che se li mangiassero, ma come fare con Abit e la principessa? E cosa fare con Sendo? Doveva rincorrere Barluga, per friggergli il cervello, o per salvare le

ragazze? O tornare indietro sperando che l’uomo fosse ancora vivo? Alice fissò lo sguardo nel fondo della tetra foresta; chiuse gli occhi e cercò con la mente il

possente Re della Notte.Come una nebbia nera vide correre la sua fiamma. “Maruru! ” disse.Un tumultuosa massa di pensieri violenti le sommerse il cervello, tanto che dovette lottare per

non essere sopraffatta di visioni di omicidio e di sangue. Chiuse fuori la maggior parte del flusso leonino18, e nel caos riuscì soltanto a “sentire”: “Sei ancora viva? ! ” sibilò il leone “Abit mi sta facendo tribolare le meningi con i piagnistei sulla tua morte! ”

Alice rispose: “Piantala di pensare a cose violente! Mi vuoi far esplodere il cervello? ” e soggiunse: “E come fa Abit a parlare con te, senza impazzire, quell’ingenua ragazza? ”

“Gli Oni sono così abituati al dominio dei loro schiavi...! ” ironizzò ferocemente Maruru “Che ormai i loro duri crani sono efficacemente schermati contro i pensieri delle bestie demoniache del Sogno! ”

Sbottò Alice “Ma perché non sei con lei? ”Un blob di sagome disegnate nel sangue, un vapore di morte nerastra ondeggiò contro le

difese mentali della bionda strega. “Quella sciocca mi ha ordinato di stare con la donna e il tuo umano! ” berciò Maruru.

“Ah! Sono vivi! ” esultò Alice “E tu stai facendo il bravo gattino ubbidiente? ” lo punzecchiò.Questa volta parve che Maruru avesse scelto con cura le immagini di omicidio che ribollivano

come serpenti incandescenti ai margini della sua coscienza; immagini di roghi di streghe.“Non sei divertente! ” osservò Alice.“Nemmeno tu! ” rimbottó come una vecchia suocera il gatto.Alice sollevò il naso (quello reale, quello attaccato alla sua faccia) e annusò l’aria umida. Non

era un buon odore quello che sentiva.“Maruru! ” chiamò, secca.“Cosa vuoi? ” rispose “Sono molto occupato a correre in questa stupida foresta con due umani

sulle spalle! Vorrei farli cadere, ma non sai quanto danneggi il mio essere non obbedire agli ordini della mocciosa! E se non la raggiungo in tempo, rischio di rimanerne separato! ”19

Alice disse: “Dovrete pensare voi alle ragazze! ” e sbottò: “Quei pirati dalla testa di noce! Avrei potuto colpire lo stregone facilmente, usando la principessa! Invece adesso... sarà quantomeno... seccante! ”

“Che diavolo succede? ”“Demoni! ” esclamò “Non penserai che uno stregone, più o meno umano, possa sostenere

tanti morti viventi? Ha risvegliato un Dio della foresta... e sai che cosa voglia dire! ”Maruru non rispose.“Per questo odio gli stregoni! ” esclamò Alice di nuovo “Non si sporcano mai le mani, loro! ”20

“Se si tratta di un Dio potente non ha fatto un buon affare, altro che non sporcarsi le mani! ” rispose il leone.

18 Non è saggio aprire completamente la mente a un’entità antica e malvagia come il Predatore dei Sogni, persino per una Shibartz! 19 Maruru si riferisce all’innata capacità degli Oni di “evocare” il Sogno; siccome i Sogni non hanno abbastanza Essenza o Materia (cioè, se vo-

gliamo, energia) per sostenersi nella bidimensionale e gretta “realtà”, parte di questa Essenza viene suppletita dall’Essenza dell’evocatore medesimo. Se Maruru si trovasse troppo distante da Abit perderebbe la sua sostanza, senza peraltro poter tornare nel Sogno, fintanto che non sia “congedato” in modo proprio (cosa che l’ingenua e ignorante Abit non sa nemmeno che cosa voglia dire, ad ogni modo).

20 Nel senso che utilizzano schiavi demoniaci per utilizzare la magia; invece i Sacerdoti Meccanici richiamano il Sogno dentro alle macchine. È Sogno più grezzo e meno “personificato” di qualcosa con un nome come Dei, Demoni o Concetti, che dormono nel Sogno. Alice, essendo una Shibartz, non ha bisogno di prendere il Sogno da un’altra fonte... lei stessa è Sogno!

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“Il suo lil è già consumato! ” ribatté Alice “Non esiste neppure più come uomo21... non so perché abbia osato tanto... doveva odiare veramente gli uomini civilizzati! O forse pensava di poterlo controllare: povero sciocco! Così facendo ha aperto una porta che non può essere chiusa! ” e aggiunse ancora: “Devi pensarci tu, dalla tua parte, alle ragazze! Ha visto la mia fiammata di prima: un grosso e grasso Dio che non vedeva questo mondo da milioni di anni ha fatto un buco nella realtà, grazie a lui, e sta puntando diritto nella mia direzione...! ”

Maruru rispose rapido: “Farò quello che posso, ma sono appesantito da questi umani! ”Rispose la strega: “Mi affido a te! Non lasciare Abit! ” e poi: “Se le cose si mettono male...

fidati di Sendo! ”“Cosa? È solo un uomo! ”Un lungo silenzio, colmato da grige forme confuse. Poi il leone disse: “Non starai dicendo sul

serio! ”“Basta parlare, arriva! ”, Alice interruppe bruscamente il contatto con il Re.Prima si sentirono scimmie e bestie squittire impaurite nel buio. Poi uno sciame di insetti

volanti, di topi e di altri mammiferi sciamò come ondate di tempesta per ogni dove, scappando come impazziti.

Il rimbombo di corpi enormi che crollavano fece tremare il suolo della foresta, ma in maniera del tutto assurda più il frastuono si avvicinava, più sembrava diventare più attituito.

Infine qualcosa luccicò, laggiù, nelle tenebre.Avanzava scivolando tra gli alberi e tutta la foresta, che pure ne era stata partorita, si ritraeva

al suo passaggio. Poiché era un essere nato nel sogno, impastato con le folli visioni di menti da lungo tempo scomparse sotto terra, era figlio dell’aria e del buio, e non aveva gambe. Soltanto un corpo massiccio che si confondeva con le tenebre (non era chiaro dove iniziasse il Dio e dove cominciasse la tenebra della foresta). Ali che abbracciavano il buio, o forse un mantello di oscurità. Anche la testa era piccola e distorta, sembrava un’appendice flaccida appesa senza un senso sulla sommità del torso. L’unica caratteristica che era ben evidente, distinta, netta e gigantesca, erano le due “zampe” protese in avanti, come due chitinose zampe di ragno, dagli speroni luccicanti.

Non faceva rumore, non sibilava, non emetteva versi gutturali, la foresta era completamente silenziosa anche per la sua parte, cosicché la scena del colosso mostruoso che saettava tra i tronchi era totalmente surreale. Non che, ad ogni modo, sarebbe stato possibile udire qualcosa: la massa di “lil” compressa che il mostro si trascinava dietro e tutt’intorno, ingolfava ogni angolo della foresta di una pressione tale che avrebbe schiantato i timpani di qualsiasi creatura vivente.

Era sufficiente l’onda d’urto frontale del lil per schiantare, in un silenzio assordante, alberi secolari.

Alice non rimase in cima alla rupe.Scattò indietro.Ma non per fuggire.Perché sapeva che quel mostro, libero da ogni vincolo (lo stregone aveva usato sé stesso

come una “porta”, e quella “porta” non poteva più essere richiusa), avrebbe rincorso per prime Abit e la principessa... e poi avrebbe mangiato ogni essere vivente che avesse incontrato, pur di sostenersi nel mondo della realtà.

-Prendimi, mostro! - gridò Alice, balzando come il vento.Alice poteva balzare giù dallo scoglio come il vento, e di roccia in albero in albero in roccia,

perché non era un essere umano. Sotto i suoi piedi saettavano fiamme ardenti. Il Dio deforme senza nome percepì la sua essenza... e con un ruggito che non poteva essere udito si lanciò al suo inseguimento.

La velocità del mostro era tale che l’avrebbe raggiunta in poco tempo, ma la densità del suo stesso lil gli impediva le manovre. Ad Alice non importava se l’avesse raggiunta o meno, non prima almeno che lo avesse trascinato il più lontano possibile dai pirati e da Sendo.

Il suo piccolo piede poggiò su di un’inclinata e regolare superficie. Incrostata di ogni sorta di

21 Il contatto con il Sogno distrugge la realtà, piegandola e disfacendone la trama. Le menti dei maghi in genere diventano, dopo un pò, nulla di più che tane di ragno, anche letteralmente. Per uno stregone delle civiltà selvagge il contatto con il ”lil“, come chiamano il Sogno (cioè ”vento“) li consuma nel canto, finché diventano sottili come aria, soltanto voce che si perde nel vento.

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antico corallo e muschio e pietra. Sagome lunghe e artificiali si levavano dappertutto, con i ponti che erano rimasti sotto un mare antico per migliaia di anni, e ora riposavano sotto l’aria aperta; un cimitero di relitti sulla terra ferma. Erano di così tanti tipi e tempi diversi che vi erano persino antichissime navi di legno ormai pietrificato; ed erano tutti sparsi in maniera caotica, come se il mare non si fosse semplicemente asciugato sopra di loro, ma ondate colossali o terremoti spaventosi li avessero trascinati come legnetti alla deriva a incastrarsi tra gli scogli e la sabbia della riva; alcuni erano anche incastrati tra i rami colossali, sollevati da terra e svettanti contro il cielo nero con il fasciame sventrato.

Il Dio arrivò come una valanga di fango. Il suo lil compresso speronò il muso di un’antica petroliera e tonnellate di acciaio coperto di corallo volarono in aria. Il mostro piombò su di Alice, sollevando una delle sue zampe in un balenante attacco.

-Non così veloce! - gridò Alice.Stese le mani in avanti, le fiamme eruppero nella realtà, fiamme che non erano propriamente

“fuoco”, ma un frammento di energia primordiale del Sogno.Come fruste dotate di vita propria volarono contro il ponte del rimorchiatore su sui era

atterrata e si avvinghiarono alle barre di metallo corroso che formavano il suo scheletro. Non aveva abbastanza forza, qui nella realtà, per manifestare vere lame (o braccia) di fuoco. Gli artigli massicci del Dio erano molto più forti, perché si portava dietro un’intera massa di Sogno22. Le serviva una materia reale e più solida per sostenere l’urto del Dio. Le sue fiamme divelsero l’acciaio e si avvolsero attorno al metallo, portando la sua temperatura da pochi gradi all’inferno. Alice manovrò le barre ricoperte di fuoco contro la zampa del colosso come se fossero delle gigantesche mazze.

Il mostro aveva una massa gigantesca e un lil soverchiante... e le barre surriscaldate così improvvisamente non erano esattamente di adamantio. Si spezzarono con un colpo secco.

Ma Alice stava già sollevando altre fiamme e altro fasciame, paratie, pennoni... vennero sollevati contro le falcate devastanti del Dio come scudi. Si spezzarono, si divelsero, volarono in pezzi in ogni direzione. Ma ogni strato trapassato erano fiamme, metallo fuso incandescente che pioveva come lapilli di magma. Anche le zampe di ragno si consumavano e con l’ultimo colpo persero ogni forza e penetrazione. Rimbalzarono indietro con un sinistro schianto contro un portellone d’imbarco (di un grosso relitto che stavo sotto al rimorchiatore) che mostrava ancora tracce del simbolo della compagnia navale. Una mezzaluna rossa.

Alice lo prese come un buon augurio, ma il pezzo quadrato di metallo era così grosso, spesso e pesante da lasciarla senza fiato. E ad aggiungere peso vi era anche il puntale dello sperone spezzato del mostro, rimasto conficcato nell’acciaio.

Il Dio, invece, incurante di un dolore che non poteva sentire, cieco soltanto di fame e di visioni allucinate, si raccolse su sé stesso come un ragno che balza e fu di nuovo all’attacco.

Alice danzava roteando un pennone come una lama e difendendosi con il portellone come uno scudo; la sua corsa all’indietro, spinta dalla violenza del Dio, era così veloce e tesa da sembrare un unico lungo salto.

Passò sotto un arco di radici e di legno, da cui pendevano come frutti fossili, incastrati tra i rami, relitti stritolati. Il Dio le tenne dietro, facendo esplodere in mille pezzi radici e barche.

Atterrò nel centro di un intrico di navi che sembravano state compresse insieme da un vortice titanico, o stritolate dalla mano di un gigante grande come il mondo. Il ponte dell’incrociatore resse il suo peso. Non quello del mostro. Sprofondò con il corpo e le “ali” fin dentro al centro della nave, in una nuvola di ruggine e polvere metallica.

Alice ne approfittò subito. Con uno sforzo supremo divelse la torre di cannoni binata che giganteggiava dietro di lei e la scagliò in un tripudio di fiamme nella voragine aperta dal mostro.

22 Le più antiche credenze relative alla magia ritengono che l’uomo sia in grado di intervenire sulla realtà con l’immagine, la parola, l’imitazio-ne. Da questo si sviluppa l’alchimia e la credenza nelle formule magiche. Altre antiche credenze sostengono che la realtà possa essere pie-gata al volere dell’uomo solo tramite la convocazioni di spiriti, che a volte sono definiti soltanto come “demoni”, altre volte in mille maniere diverse. Niente di tutto questo è veramente falso, nè veramente vero: tutto deriva dal Sogno. Per alcuni il “Sogno” è la mente collettiva degli esseri viventi, per altri un mondo di energie primordiali... forse solo gli antichi saggi degli Oni, se fossero ancora al mondo, potrebbero dare una risposta. Per la maggior parte degli esseri viventi non si può che parlare di “un pallido riflesso nel Sogno”, come se la carne fosse traspa-rente e una pallida fiammella ondeggiasse di dentro. Altri esseri, come un Dio, non solo sono composti solo di Sogno, e ben poco di carne, ma se ne portano addosso una quantità così spaventosa che quello che nella realtà, normalmente, sarebbe solo “fumo” (non è forse per que-sto che i saggi chiamano quell’altro mondo, Mondo del Sogno, perché è labile e fuggevole come sogni, come fumo sottile? ), intorno ad esso è invece solido come la più solida e “reale” delle pietre di quarzo.

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Non poteva udire lo schianto, perché non vi erano suoni, ma di sicuro fu tremendo perché lo scafo vibrò completamente, a un passo da disintegrarsi.

Per un attimo sperò di aver creato abbastanza danni al Dio23, ma non fu così fortunata. In una pioggia di metallo e detriti la nave venne spaccata in due e il ponte superiore con la torre di mezzo volarono in aria. Alice balzò via saltando tra le schegge. Saltò via usando gli stessi detri più grossi come trampolini, ma questo non doveva servirle a molto. Nella nube vorticante saettarono forme velocissime: all’ultimo momento la strega vide balenare una grande sagoma e riuscì soltanto a parare con il suo scudo dal simbolo della mezzaluna prima di venire schiantata.

E venne schiantata sul serio. La quantità di forza cinetica diretta contro di lei fu terribile. Volarono lei e il portellone fino a schiantarsi attraverso la torre di comando di un brigantino, in mezzo a una cascata di frantumi. Il portellone si conficcò decisamente, come un coltello nel burro, a forse trenta centimetri dalla sua testa, sprofondando fino alla chiglia. E rimase là, vibrante di spasmi metallici. Anche la sua testa vibrava di spasmi.

Il suo abito, che in cuor suo riteneva fosse anche un buon abito, era tutto stracciato. Dalla gamba sinistra nuda fino alla coscia si stava allargando per terra una vasta pozza di sangue.

Trovò quasi strano fissare il sangue uscire in quella maniera: un essere umano sarebbe stato, in quel frangente, ridotto a poltiglia. Lei non era affatto umana, eppure sanguinava. Era sangue rosso quello che appicicaticcio si stava riversando tra le scanalature e le brecce nel pavimento distrutto del ponte.

Diritto di fronte a lei prue poppe e ponti volavano in aria sotto i colpi di un mulinare di infinite braccia. No, forse non erano “infinite”. Giusto otto in più, che con le due iniziali, facevano dieci.

“Che brutto modo di morire! ” si disse Alice “Non che, beninteso, io possa morire sul serio... ma non vedrò mai più Abit, e nemmeno lo sciocco Sendomir, che non mi ha neppure riconosciuta!”

Ma non stava pensando di “morire” perché il Dio l’avrebbe sventrata. Stava pensando a come non fosse fatta di Sogno meno del Dio: ma il Dio non doveva mantenere una coscienza, una “Alice persona”, e un corpo umano. Poteva fondersi, restringersi, mutarsi e incavarsi nel Sogno quanto voleva. Ora, invece, Alice se voleva ucciderlo definitivamente, doveva abbracciare come lui il Sogno. Come quando, moltissimi anni fa, era uscita come una sagoma di fiamma dalle sale del Tempio del Culto della Mano Spezzata24. Allora era del tutto incurante di perdere la sua coscienza, di tornare a essere un agglomerato incoerente di Sogni.

Poi, però, proprio quel giorno di molti anni fa, aveva incontrato Sendo.Ma il Dio, incurante di tutti i suoi pensieri, avanzava inesorabile, distendendo braccia,

distruggendo ogni cosa.“C’è poco che possa fare! ” si disse, cercandosi di mettersi almeno a sedere.Come una fresa, o una sega circolare che ingoia in mezzo a una nuvola di segatura uno dopo

l’altro i tronchi, il Dio si erse macinando la chiglia di un relitto che giaceva come spalmato su di uno sperone roccioso, e anche la pietra venne schizzata in aria.

Si levò sopra la cabina distrutta, incombendo su Alice, dieci braccia che si sollevavano all’indietro prima di scattare come trappole a morsa.

-Oh...! - mormorò Alice -... questa è proprio la fine! E quando le braccia piombarono in basso, successe qualcosa di inaspettato.Alice mosse il braccio destro.Il brigantino sotto di lei si gonfiò ed esplose in un torrente di fasciame. In mezzo ai due getti di

fiamme brillò per un attimo un oggetto lucido, splendente come un diamante attraversato dalla luce. Prima di venire scagliato dall’eruzione di fiamme contro il corpo nero del Dio.

Prima che le braccia scendessero...... l’oggetto lucido, che Alice aveva tornito dentro a fiamme bianche, scomparve nel nero

corpo. Era quello sperone che era rimasto conficcato nello “scudo”! Il “proiettile” attraversò il corpo del mostro come la luce scappa nelle stanze buie attraverso

le assi sconnesse di un’antica casa. La forza cinetica spinse indietro il grande corpo e le braccia si

23 Perché non fosse più in grado di mantenere la sua presenza nella realtà.24 Quando cioè, “allevata” dal Culto come un simulacro divino, era stata scagliata come un’arma contro i nemici; i soldati dell’Impero, che ve-

nivano a portare la giustizia dell’Imperatore. Tra quei soldati vi era anche Sendomir Nibiru.

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allargarono come petali di un anemone marino nella brezza delle correnti. Il lil soffiò impetuoso, venne risucchiato dentro quel foro lasciato dal proiettile improvvisato di Alice. Si precipitò come una cascata, risucchiando anche pezzi di relitti, rami, macigni. Il Dio cadde all’indietro, in un gigantesco fragore. Ora i suoni ritornarono udibili, il crepitare e lo schiantare di relitti divelti riempì del suo clangore assordante la foresta.

Il mostro era precipitato fuori della vista di Alice, in una nuvola di polvere nera. La strega si concesse un breve sorriso; -È finita... per te! - soggiunse.

Ma era così sfinita, così stanca, ferita e dolorante che, nonostante il suo corpo non umano avesse arrestato la fuoriuscita di sangue e già le ferite si stessero richiudendo da sole a velocità sorprendente, si sentiva come uno straccio buttato in fondo a un catino, sporco e impregnato di catrame!

In realtà le forze, ovvero il Sogno, la stavano davvero abbandonando.-Credo che dopotutto non riuscirò sul serio a rivedere quello sciocco di Sendomir! - disse ad

alta voce.Ma non c’era nessuno là intorno che potesse ascoltarla.

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Capitolo 28 Vele Nere

Taruk si volse brevemente a guardare indietro, oltre il bavero della giacca.Vide soltanto facce terrorizzate. E molto meno numerose di quante fossero all’inizio.Soltanto Barluga continuava a correre, là davanti, come se non fosse un uomo, come se fosse

un’automa alimentato da una fornace atomica. Con una mocciosa per braccio, la prima, priva apparentemente di vita, che pendeva da sopra la sua spalla come una costosa bambola dai ricchi vestiti, la seconda, che ancora non aveva smesso di mordere, graffiare, dimenare la coda.

La coda. Probabilmente Taruk non si sarebbe mai abituato a quella cosa.Ma in fondo... meglio una femmina con la coda che gli abomini ritornati dall’inferno che li

stavano braccando.Aveva visto cosa succedeva quando una massa di loro si rovesciava su di un uomo. Nemmeno

un branco di Segugi di Phrygia poteva essere così famelico e brutale.Ma dietro di loro, per la prima volta, non vide membra contorte, occhi fosforescenti, corpi

grotteschi in corsa. E nemmeno vi erano altri gruppi che li stessero per intercettare sui fianchi, come nell’ultimo assalto dove avevano perso quasi tutti gli uomini.

Il gigantesco Bat gridò: -Abbiamo seminato quei cani? Prima che l’imponente capitano pirata (che sarebbe stato imponente anche sopra il

gigantesco negro, se avesse camminato con un’andatura meno curva) potesse ringhiare qualche risposta, fu proprio una delle due “rapite” a gridare: -Stupidi imbecilli di pirati!

-È questo il modo di rivolgersi a chi ti ha salvato, piccola ingrata? - berciò allora Barluga, fermandosi, finalmente.

-Semmai sono io, la sciocchissima Abit, che ho salvato, te, accidenti di scimmione! - gridò, fuori di sé per la rabbia, la Oni. Abit non si sarebbe mai permessa di parlare in quel modo, ma da più di un’ora pendeva sotto il braccio del gigante, sballottata di qua e di là come un sacco, senza contare che doveva essersela presa a morte per il “tradimento” nei confronti dell’ “amica” Shibartz, di Sendo e dell’altra sfortunata donna, Ayane.

Taruk non la biasimava.Ma Abit non aveva finito. -Perché hai lasciato indietro Alice, Ayane e il signor Sendo? ! - gridò,

scalciando come un’ossessa.-E cosa vuoi? ! - latrò il pirata -Che mi preoccupi di una stramaledetta Shibartz? ! Ed è colpa

di Sendomir se si è perso in quel maledetto villaggio! -Ma quale “colpa”! - strillò Abit -Adesso saremmo tutti morti, mangiati come stuzzichini di

carne, come pasticcini al miele con lo zenzero, se non fosse stato per Alice! Taruk si avvicinò: -Cosa vuoi dire, strega? - disse.-Credete che i morti si siano stancati di inseguirci, perché avevano il fiatone lungo? - sbottò

Abit riuscendo a sollevare la faccia diritto contro il naso del capitano -C’era un demone, un Dio, in questa foresta! Non avete sentito le esplosioni? Si è scontrato con Alice, Alice lo ha “ucciso”... altrimenti questi morti infernali sarebbero ancora alle nostre calcagna25! E voi l’avete lasciata indietro a morire!

Taruk ebbe un fremito ben poco coraggioso. La Shibartz? Il demone? E aspetta: come faceva a saperlo la streghetta Oni? Erano forse in comunicazione... certo, proprio come aveva “parlato” con qualche mezzo magico con la Shibartz, perché potessero trovare Abit nella foresta, ovviamente anche ora erano in grado di comunicare con la magia! Si diede dello stupido; e subito prese mano alla pistola (una delle tante che teneva nascoste da tutte le parti sotto alla palandrana) per darle un botto in testa.

Svenuta... sarebbe riuscita ancora a parlare con la strega? Ma un’occhiata devastante di Barluga lo bloccò con la mano in tasca.-Quale demone? - chiese lo scimmione.-Adesso non ha importanza! - gridò, prossima alle lacrime, la Oni -Tanto voi farete sempre

25 Abit intende dire che il “lil” necessario per “tenere in vita” i morti viventi era tutto ricavato dal Dio: distrutto, o meglio, scomposto il corpo “fisico” della creatura in questo mondo, anche il “lil” è scemato, abbattendo di fatto gli esseri ritornati dalla tomba.

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quello che volete, non è vero? Prima che Barluga potesse rispondere in qualche maniera sicuramente violenta l’altra

mocciosa, che pendeva più in alto, senza vita, sulla spalla del pirata, sollevò di scatto la testa e con un filo di voce esclamò: -Che cos’è questo?

Taruk si volse intorno, con gli occhi puntati come quelli del falco. Di cosa parlava la principessa? Non c’era nulla di strano. Alberi squamosi, felci giganti, sassi muschiati, buio.

Ah, no, qualcosa di strano c’era. Non lo aveva notato subito perché da un pezzo non li sentiva. Era anche comprensibile: erano stati inseguiti per miglia da progenie infernali, quindi quasi aveva preso per assodato la sua totale assenza.

L’assenza di suoni, di richiami degli animali.Nessun verso di cicala-drago. Nessun latrato di segugi-faccia-di-teschio. Nessun ronzare di

ape, libellula... nessun richiamo di scimmie primordiali.Sulla pista sconnessa che stavano seguendo non vi era neppure il fuggevole lampo di

un’ombra, la corsa di uno scoiattolo scagliato.Ma se i morti viventi erano rimasti indietro, crollati sotto il peso della loro stessa stregoneria,

adesso che cosa...? ! Il suo occhio si posò per una frazione di secondo su di un largo cespuglio di Caytonacea

Florida e il cespuglio gli restituì lo sguardo.Un colpo secco attraversò l’aria e soltanto per un estremo riflesso Taruk si gettò di lato. Il suo

cappello volò in aria, traforato da un preciso e bruciacchiato foro di proiettile.Decine di cespugli e di sassi si animarono all’improvviso e avevano le mani e nelle mani

portavano fucili e pistole. E sui dorsi delle mani il tatuaggio del teschio con i denti. Il segno degli schiavisti di Rukor.

-Merda! - gridò Barluga.

Albeggiava.Una striscia bianca a oriente disegnava un orlo latteo-rosato sulle cime degli alberi e sulle

punte delle rocce spaccate che punteggiavano in maniera apparentemente caotica la vasta piana. Sul limitare delle prime pietre la foresta scemava del tutto, quasi all’improvviso, come se fosse stata tagliata via con un colpo d’ascia.

Il lungo prato ondulato pendeva verso sinistra su di un burrone profondo e totalmente nero, di cui si cominciavano a immaginare i contorni solo grazie alla prima tremula luce che stava annunciando il giorno.

La fiancata metallica del Kerberos cominciò a passare dal nero opaco a un timido grigio. Due pirati stavano sul ponte superiore. Avvolti in una coperta stinta, con il moccio al naso, freddi come quarti di manzo dentro a una cella frigorifera.

-Ehi! - disse il primo, con la barba ispida, la faccia magra, scavata -Dai ancora un’occhiata! -Bha! - disse il secondo, con la faccia unta, grassoccio, strappando dalle mani del primo il

binocolo -Cosa ci sarà da vedere? I maiali che ragliano? -I maiali grugniscono... - disse il primo -... sono gli asini che ragliano...-Sei tu l’asino! - gridò il secondo, colpendolo in testa con il binocolo.Quello magro lo fissò risentito, ma quello grasso si mise il binocolo sulla faccia.Maiali. Certo.Dalla cima del prato, dove era stazionato il Kerberos, si dipartiva una distesa verdeggiante,

dove lampeggiavano diversi acquitrini poco profondi. Nella luce incipiente si cominciavano a distinguere diverse forme. Grossi culi ispidi. Schiene pelose. I maledetti maiali.

Erano arrivati dalla foresta come una valanga di carne qualche ora prima e avevano mandato all’aria il provvisorio accampamento che i pirati avevano installato tra le rocce, ai piedi del Kerberos. Il signor Ator aveva avuto il suo bel daffare a correre avanti e indietro e a gridare come una quaglia, ma quelle orride bestie avevano deciso che ne avevano avuto abbastanza di correre e quel pezzo di terra adesso era loro.

Quel moccioso, il pastore di maiali, Jaffar, si era portato dietro ovviamente solo i maschi focosi per la “missione” che aveva elaborato il signor Taruk e la festosa e grugnente rimpatriata di femmine e cuccioli con i prodi “uomini” che erano andati a massacrare Saimat nella foresta

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doveva essere stata molto commovente. Se eri un maiale, si capisce.Gli umani si erano dovuti ritirare nel Kerberos, a guardare scontenti la notte crollare sulle loro

tende sfondate (i maiali avevano divelto le lampade elettriche e rivoltato i bracieri, primitivo sistema per fare luce, ma molto efficace nelle maledette fredde notti26) e ora non c’era molto da vedere se non le loro maialesche forme punteggiare il prato. Ci poteva essere un compito peggiore di quello?

Gli ordini di Ator erano stati chiari: “Il capitano e gli altri sono ancora in quella dannata foresta! Il moccioso27 dice che se la stavano cavando bene, l’ultima volta che li ha visti! Merda, avrei voluto esserci anch’io, per spaccare un pò di crani di quella feccia Saimat! Ad ogni modo: ora voi salite lassù e puntate quei vostri occhiacci: due cose dovete guardare! Se si accendono luci in cielo e se il capitano emerge da quella fottuta foresta! È chiaro? ! ”

Non c’era un modo migliore per accorgersi se fossero arrivate le navi di Rukor? E il capitano sarebbe arrivato lo stesso, se non era morto, anche se loro non fossero rimasti

lassù a congelarsi le palle! Il pirata magro gridò: -Guarda! Che roba! Al ciccione venne un mezzo infarto. Vele nere? Barluga? Saimat? ! Ma il magro indicava la forra spaccata. Ora che la luce diventava concreta i profili delle rocce

perdevano mano a mano la loro indefinibilità: da informi torre di roccia divennero corpi e facce. Due giganteschi torsi femminili si fronteggiavano da una parte e dall’altra della valle con facce ieratiche e severe. La tetra foresta giungeva fin sull’orlo della piana passando attraverso i due speroni di roccia, che erano in realtà due statue colossali: grandi piloni di pietra emergevano ora tra gli alberi, ora come isole sull’erba libera, e anche quei massi erano parte di qualche gigantesco lavoro dell’uomo. Forme umane mangiate dal tempo, erose fino a diventare irriconoscibili, pezzi di colonne e arcate consumate, sospese nel nulla.

Il pirata grasso esclamò: -Che mi venga un accidente! Cosa sono quelle fottute rovine? Il pirata magro invece disse: -Se non sono un paio di tette gigantesche, quelle! - riferito ai

seni rocciosi delle due statue.E il pirata grasso aggiunse: -E che mi venga un altro accidente, se quello laggiù non è

Barluga! Nell’aria echeggiò un lontano rumore, come un crepitare secco. I maiali, pur senza muoversi,

sollevarono le orecchie in aria. Il pirata grasso invece quasi staccò un orecchio al suo compagno nella fretta di roteare il binocolo per portarselo agli occhi. Era proprio Barluga! Nell’immagine ingrandita era mosso e sfocato, ma era proprio lo scimmione. Portava sulle spalle due culi di mocciosa... no, c’erano attaccate anche le mocciose a quei culi! E dietro Taruk, senza cappello, e altre facce da postribolo ben note. Erano meno di quello che si aspettava e parevano avere una fretta dannata.

Poi un altro crepitio trafisse l’aria incerta del mattino. Il pirata puntò lo sguardo dietro di loro... e dapprima non vide nulla, ma poi improvvisamente dalla muraglia nera, alta e orrenda della foresta sciamarono fuori un’orda di mostri orribili. Cos’erano quelle innaturali bestie, incrocio di piante e uomo? !

Idiota! Sono fottuti pirati! I fucili crepitarono ancora e il pirata gridò: -Presto, il signor Ator!

-Il Kerberos! - gridò Taruk.Come l’Arca di Utaphistim in cima al monte sacro della leggenda la sgangherata massa della

nave riposava solenne in cima alla piana cosparsa di sassi, che era ancora tutta buia, mentre il sole illuminava soltanto l’arca di metallo.

-L’hanno visto anche loro! - gridò Barluga.I loro inseguitori si erano arrestati per qualche attimo al limitare della foresta; ma poi quello

che doveva essere il capo prese a gridare una quantità irriverente di bestemmie e gli uomini, strappandosi di dosso il travestimento, si misero a gridare e come una valanga di pendagli da

26 Nonostante dentro alla foresta vi sia una clima consono alla flora del giurassico, il punto di atterraggio del Kerberos è sciaguratamente fuo-ri; per qualche bizzarra e stregonesca anomalia di Talos non fa affatto caldo.

27 Jaffar.

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forca si riversarono dietro di loro.-Non mollano! - gridò Taruk.-Rukor li scuoierà vivi se non ci prendono! - gridò lo scimmione.Lo scimmione aveva un mezzo sorriso, che serviva soltanto a farlo apparire più brutto. Ma

sapeva bene che la distesa di sassi davanti a loro non offriva nessuna copertura. Potevano gettarsi dietro ai massi, ma sarebbero stati raggiunti. Gli inseguitori erano più di venti e con ogni probabilità sarebbero stati fatti a pezzi comunque. Dovevano correre, arrivare a portata del Kerberos: due cannonate ben piazzate avrebbero risolto la situazione, ma... ma la piana era più lunga di quello che sembrava e loro correvano da tutta la notte.

E c’era anche da considerare che se i pirati di Rukor erano là, appostati dove la foresta terminava, voleva dire che le navi del maledetto schiavista non erano lontane.

-Correte! - ululò lo scimmione -Anche se vi si dovessero staccare le gambe dalle chiappe! Aveva gettato entrambe le ragazze sulle spalle, come due sacchi. Abit sollevò la testa, guardò

indietro, e gridò: -Mettimi giù! Io corro più veloce di voi! -E dove vorresti scappare, maledetta! ? - gridò Barluga.E la principessa: -Abit, vuoi abbandonarmi anche tu? ! -Non puoi continuare a portare tutte e due e anche correre! - strillò la Oni -Così moriremo

tutti! -Zitta mocciosa! - gridò il pirata -E smettila di sbattere quella tua coda sulla mia faccia! Chi ti

credi che io sia? Quella marmaglia qui di dietro me la posso mangiare a colazione! Abit gridò qualche insulto tremendo, che Barluga non udì affatto perché una quantità di fischi

e di scoppi rimbalzarono tutto intorno a lui. Le zolle di terreno esplosero sotto le fucilate.-Tra quelle rocce! - urlò Taruk.Una grandinata di proiettili sprizzò scintille ricoprendoli di una pioggia di fuoco.-Hanno una pessima mira...! - disse ridendo il pirata che chiudeva la loro fila; poi si passò una

mano sulla spalla ed era tutta rossa: -O forse... no... - e crollò al suolo, morto.-Kyaa! ! - gridò la povera Hourì.-Capitano, se tieni le mocciose in quella posizione, si beccheranno un proiettile! - esclamò

Taruk.Barluga fece per rispondere un insulto molto colorato, quando si vide tagliare la strada da un

altro nemico.

Una striscia biancastra stava facendo impallidire di un bianco latteo la criniera della foresta, come accadeva da moltissimi eoni, come sarebbe successo ancora per mille anni nel futuro.

La mostruosa sagoma nera, a forma di leone, gigantesco, che correva sull’alto crinale spezzato di rocce, balzava proprio appena al di là della linea precisa disegnata dal sole. Due umani, due figurette striminzite, sedevano sulla sua ampia schiena, tenendosi bassi sul pelo nero, in una maniera che doveva sembrare dall’esterno molto epica, ma che in realtà era motivata dal solo terrore di cadere a terra.

Maruru, il leone, si fermò per qualche attimo su di uno sperone di roccia che pendeva sopra a un ripidissimo pendio; forse la cresta di un’antica dorsale sottomarina. Sul pendio gli alberi erano radi e lo erano anche le concrezioni fungoidi: infatti quelli erano i margini occidentali di Talos. Oltre il crinale si stendevano aspre formazioni rocciose, dove la vita scemava dalla proliferante foresta preistorica ai più prosaici vermi terricoli e infine a scorpioni e sabbia e pietre.

Ma al leone non interessava la geografia.“Eccoli! ” esclamò, parlando nella mente dei due umani.Sendomir puntò il braccio; da una parte la foresta nera, che da là in poi si estendeva indietro

come un mostro ribollente di vapore e di piante tetre, dall’altra la pianura desolata, cosparsa di pietre e di acquitrini. Le rocce spuntavano qua e là come ossa sparse per un cimitero, mentre gli alti speroni (sui quali spiccavano due gigantesche statue, che Sendo, impegnato con ben altri pensieri, appena guardò una seconda volta) emergevano in mezzo all foresta e poi fin dentro all’altopiano come costole spaccate fuori da una cassa toracica sfondata.

In quel maestoso e grande scenario si scorgevano cinque piccole figure umane che correvano.

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Dietro altre piccole figure nel mezzo delle quali brillavano riflessi d’acciaio.Da quell’altezza era chiara la vera estensione dell’altopiano; era troppo largo perché i fuggitivi

potessero arrivare con le chiappe sane a quella grande nave volante che era adagiata dal lato opposto, il Kerberos.

-Non ce la faranno mai! - esclamò Sendo.La donna seduta dietro di lui si riscosse; era rimasta come ipnotizzata a fissare le due statue

colossali.-Cosa facciamo? - disse.Sendormir disse: -Maruru, riesci ad afferrare le due mocciose e a scappare via con loro? “È quasi l’alba! ” rispose il leone “Mi dissolverò come fumo nel vento ai primi raggi del sole!”28

-E allora facciamo in fretta! - gridò l’uomo.Sentì un movimento dietro di lui; Ayane aveva capito. Se Maruru avesse strappato dalle mani

di Barluga le due ragazze avrebbe dovuto mollare a terra loro due. E due paia di gambe umane non corrono veloci come le zampe possenti del leone.

Ma Ayane non disse nulla.Perciò Sendomir gridò: -Vai! Maruru si lanciò come il vento nero che sale poco prima dell’alba.Sendomir provò l’impulso di chiudere gli occhi, ma li tenne invece ben aperti. Il leone balzava

giù da un pendio dove un cavallo si sarebbe rovesciato, e invece la bestia innaturale saltava come uno stambecco, con una forza spaventosa, senza decellerare di un pelo, anzi, prendendo sempre più velocità.

D’un tratto il leone correva sul piano. Saettò tra le grosse rocce sparse e balzò al di là di un acquitrino. E pochi istanti dopo comparvero davanti a loro i pirati in fuga.

Vide la faccia dello scimmione allargarsi per lo stupore e poi tramutarsi in un largo sorriso... un ghigno a metà tra il ringhio di un gorilla inferocito e la felicità di uno sposo che va al proprio matrimonio.

Non un connubio molto felice, soprattutto sulla faccia di Barluga.Venti, dieci metri...! Barluga lasciò cadere a terra entrambe le mocciose stupefatte e sollevò

le possenti braccia. Nello stesso momento Maruru scartò di lato: Sendo balzò giù approfittando del momentum assieme ad Ayane, diritto in faccia a Barluga!

-Sendomir! - gridò Barluga.-Barluga! - gridò Sendo, schiantandosi contro la faccia del pirata con un pugno.Barluga non si mosse nemmeno, come una quercia non si scompone per uno scoiattolo che le

balza tra i rami. Abbattè il suo pugno su Sendomir con violenza, ma si schivò all’ultimo istante.(E qualche metro più avanti Ayane, balzata in modo molto più acrobatico e leggiadro di lui

dalla schiena di Maruru, aveva colpito con un calcio volante Bat, lasciandolo in ginocchio. Balzò su Taruk con il pugnale snudato, ma il pirata nero non sapeva solo adoperare la pistola. Fulminò con il suo corto spadino in una pioggia di scintille e...)

Sendo non vedeva neppure quello scontro violento che avveniva a pochi metri da lui.Non vedeva nemmeno la principessa, rimasta a terra ai piedi dello scimmione. E neanche Abit,

che si stava alzando allora con il naso che colava sangue.-Capitano! - strillò uno dei pirati superstiti, voltandosi sconvolto indietro e vedendo che gli

inseguitori stavano guadagnando terreno.Ma Barluga non vi badò. -Sendomir Nibiru! - gridò -Pensavo che la tua carcassa pendesse

scuoiata a qualche albero Saimat e invece sei qui! Non ti ha portato con sé all’inferno quella strega?

-Di che strega farnetichi, scimmione? - gridò Sendo a sua volta -Ci sarei rimasto, appeso a un albero, se fosse stato per te! E adesso tira fuori il tuo coltello, e facciamola finita una volta per tutte!

28 Per dovere di chiarezza: le due creste rocciose, che culminano con gli speroni dove sono state ricavate le statue fronteggianti, si estendono da nord verso sud. Un fiume serpeggia nella foresta ed esce alla base dello sperone ovest, cadendo nella forra che è ben visibile dal Kerbe-ros. Il canyon delimita a ovest la piana, la quale comincia proprio sotto i due speroni ed è anche il luogo dove la foresta cessa. In qualche ma-niera misteriosa infatti le statue e le rovine paiono bloccare le energie magiche che a Talos hanno generato la foresta preistorica. Il Kerberos si trova quindi a sud, in fondo all’altopiano; Maruru è arrivato percorrendo il crinale est, tenendosi fuori della portata del sole: scendendo ver-so la piana è ovviamente riparato dall’alba, in quanto è ancora ferma in cima alla cresta. Nell’altopiano il sole non è ancora giunto...

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-Proprio qui? ! - esclamò Barluga.(Sottofondo di grida e cozzare di acciaio).-Di sicuro non monterò di nuovo sulla tua bagnarola...! - gridò Sendo -... con un traditore

infame come te! E volevi anche tenerti le due ragazze! -E cosa intendi fare con quelle canaglie qui dietro? ! Maruru ricomparve come sorto dal nulla. Balzò in mezzo ai pirati stralunati, rovesciò a terra

Taruk che ancora combatteva contro Ayane. Barluga si volse come una serpente: aveva già il pugnale in mano. Lo vibrò contro la testa del leone, ma Sendo gli si era già lanciato addosso a sua volta. Le due lame cozzarono con il rumore di una sega circolare sull’ardesia.

-Cane! - urlò Barluga.-Porta via di qui le donne! - gridò invece Sendo al leone.Sendo intendeva tutte le donne, ma Maruru si lanciò sulla sola Abit. L’afferrò con le ganasce e

tenendola in bocca scartò via.“Merda! ” si disse Sendo. Ma adesso non poteva correre dietro al leone maledetto.Il pugnale di Barluga per poco non gli portò via un occhio. Il pirata lo caricò come un cinghiale

e Sendo venne spinto indietro. Un rapido movimento a destra... la lama di Ayane brillò contro il gigante. Il coltello colpì il suo bersaglio, conficcandosi nel fianco, ma come se non fosse altro che la puntura di un’ape lo scimmione afferrò il braccio della ragazza e con una prova di forza disumana la sollevò da terra e la fece volare a gambe all’aria lontano.

Sendo si lanciò in avanti, ma Barluga fece lo stesso. Sangue zampillò. Un taglio segnò bruciante la carne sulla spalla di Sendo. Una riga rossa si dipinse sul petto nudo della scimmia.

Gli occhi di Barluga bruciavano come le fiamme dell’inferno, ma una fucilata scartavetrò la spalla del gigante. Si voltò come una belva. I pirati di Rukor balzarono in avanti, con la bava alla bocca e dimenticandosi anche delle armi da fuoco si scagliarono con coltelli e sciabole in pugno su di loro.

Il primo coraggioso o impazzito pirata venne schiantato dal pugno dello scimmione. Abbatté la sua mano enorme dall’alto e con un suono orrendo di ossa crepate gli conficcò quasi la testa tra le spalle.

Due uomini lo assalirono, con le lunghe spade ricurve. Barluga era come la furia della natura; venne colpito ancora al petto e sulla gamba, ma non indietreggiava di un passo.

Infatti, quasi tra le sue gambe, a terra, dietro di lui, la principessa rimaneva immobile, con le braccia sulla testa, scossa da convulsioni.

Una canaglia ruotò intorno al gigante per vibrare una pugnalata... ma il coltello di Seno si conficcò nel suo fianco con precisione e forza devastanti.

Altri due omaccioni con le barbe ispide e nere come blocchi di carbone si lanciarono da due lati diversi su di lui. Sendo schivò, rotolò su di un fianco. Nel momento in cui si rialzava colpì dal basso verso l’alto con il coltello dalla larga lama. Sentì un grido, la resistenza della carne e il suono di tessuto strappato.

Un uomo crollò a terra alla sua destra. L’altro lo colpì al viso con un calcio. Lui attutì l’urto lanciandosi istintivamente indietro, ma l’occhio sinistro prese a pulsare e la vista gli divenne opaca. Ma si accoccolò su sé stesso e con il coltello diritto in avanti come una baionetta si buttò sull’avversario. Lo prese in pieno, buttandolo a terra, ma ancora prima di toccare il suolo l’uomo era già morto. Il pugnale di Sendo aveva attraversato lo stomaco, dal basso, e raggiunto il cuore.

Sendo si alzò a fatica, strappando il pugnale. Sollevò lo sguardo. Barluga aveva ammazzato i suoi due avversari, ma altri tre gli si stavano facendo addosso.

Vide Bat ergersi sollevando sopra la testa un pirata e scagliarlo contro altri due. Un altro arrivò da dietro e lo pugnalò alla schiena. Bat cadde in avanti, ma all’ultimo momento roteò un pugno titanico all’indietro schiantando la faccia del nemico e facendolo volare indietro.

Ayane e Taruk erano poco più avanti, spalla contro spalla, che stavano duellando disperatamente contro cinque uomini.

Un grido traforò le orecchie di Sendo. Il comandante del gruppo di assalitori si lanciò verso di lui con la spada alzata, e dietro di lui altri tre uomini correvano sbraitando e lanciando bestemmie.

Ma improvvisamente si bloccò, con la bocca ancora aperta... i suoi lo guardarono confusi, poi

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videro qualcosa alle spalle di Sendo e si fermarono anche loro, con le facce attonite.Cos’era quel rombo che stava salendo dal terreno? Sendo si voltò di scatto e vide una nube di zolle nere scagliate in aria. Un’orda di corpi

giganteschi lanciati in corsa. I maiali! -Sulle rocce! - gridò.Barluga lo sentì e non gli ci volle molto per disimpegnarsi dai suoi assalitori, visto che anche

loro avevano visto le bestie in carica e stavano già scappando. Afferrò la povera Hourì, che a quel punto era diventata sul serio poco più che un sacco, e si lanciò verso le rocce scolpite.

Sendo mulinò le gambe. Un pirata gli si parò di fronte, in corsa, e lui lo stese con un pugno. Si buttò sulla prima pietra abbastanza alta e si mise a scalarla, mentre il rombo della carica diveniva sempre più assordante.

Si era appena issato sulla cima della pietra, tenendosi con entrambe le mani alla testa molto rovinata di un guerriero dall’elmo con le corna, che la massa di carne maialesca si riversò sotto di lui. Come un fiume che ha rotto gli argini si schiantarono sui pirati di Rukor che ancora stavano correndo e li fecero volare in aria come fuscelli. Superarono il gruppo di rocce dividendosi come rivoli di un torrente montano; Sendomir guardò su, oltre la coda della massa di maiali e vide Maruru che saettava dietro di loro, con Abit attaccata al suo collo in modo ben poco dignitoso, mordendo l’aria e dimenando le code.

“Quel bastardo! ” pensò Sendo “Non era più facile portare via le ragazze, che cercare di ammazzarci tutti? ! ” poi pensò che più probabilmente quello era stato un “ordine” di Abit. “Dovrò tirare le orecchie a quella stupida! ”... si disse. Sempre che fosse ancora vivo per farlo!

L’occhio sinistro era ormai gonfio e non ci vedeva più da quella parte. Ma anche così vide che non era solo in cima al masso. Dall’altro lato, appeso come lui alla maniera di un panno steso ad asciugare, il comandante dello sfortunato gruppo di pirati lo fissava.

-Hai ancora voglia di combattere? - lo sfidò, spavaldo, Sendo.-Io no di certo... - rispose -... ma loro sì! Sendo si voltò, guardando in aria dove guardava l’uomo... due navi volanti. Una faceva

sventolare la bandiera nera di Rukor, l’altra la bandiera con il teschio di cinghiale di Hatra. E contemporaneamente due grandi esplosioni sconvolsero il terreno, scaraventando i maiali in ogni direzione.

Ma il Kerberos rispose al fuoco delle navi. Un colpo ben assestato fece sprizzate una colonna di fuoco nel fianco della nave pirata, tuttavia la pesante e corazzata nave di Hatra aveva cannoni molto più possenti. Un singolo colpo prese in pieno il ponte del Kerberos e divelse completamente la batteria di cannoni. Anche da quella distanza Sendo vide gli uomini correre su e giù dal ponte incendiato con le pompe.

-E tu, hai ancora voglia di combattere? - fece l’uomo, sardonico.Sendo gli rifilò un pugno in faccia, facendolo volare indietro.Balzò giù dalla roccia. Poco più avanti scorse Barluga, Taruk, Ayane e la principessa, che si

stavano calando da un macigno scolpito come un leone. Corse verso di loro e quasi inciampò sul corpo di Bat. Il gigante era morto; era già morto quando era stato pugnalato, ma la carica dei maiali avevano completato orrendamente l’opera. Sendo si chinò a chiudere i suoi occhi rivolti vitrei verso il cielo.

Un’altra cannonata sconquassò il terreno udì lo stridere altissimo dei maiali.E poi un altro grido: a destra un plotone di uomini stava avanzando. Erano soldati della

Legione, soldati di Hatra. Le loro fusciacche rosse risaltavano sulle corazze nere. Le sciabole tintinnavano all’unisono con la loro marcia marziale. Parevano del tutto incuranti delle cannonate, della mandria di maiali e dei maiali singoli separati che correvano tutt’intorno come impazziti. Sendo si appiattì contro i resti di una statua, di cui rimaneva soltanto la gigantesca spada conficcata nel terreno.

Barluga fece una faccia terribile e Sendo gli gridò: -Barluga, fermo! I soldati che stavano avanzando si arrestarono. Quello che pareva un comandante si fece

avanti e gridò: -Feccia! Restituite la principessa! La principessa, che giaceva contro Taruk, volse uno sguardo terrorizzato su Barluga. Sendo si

chiese come potesse ancora riporre qualche speranza nello scimmione... o forse Hatra era una

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scelta così spaventosa da farle preferire la scimmia? La scimmia aveva già deciso per tutti, ad ogni modo: -Venite a prendervela, canaglie! - gridò.Come era potuto andare tutto così orrendamente storto? ! Se Maruru si fosse trascinato

dietro le donne, almeno adesso quelle sarebbero state “in salvo”! Il fucile di Sendo era caduto dal dorso di Maruru, quando era saltato, e ad ogni modo non

aveva più proiettili. Li aveva tutti infilati nel corpo dei maledetti Saimat non morti.I soldati avanzarono sprezzanti29, ma in un istante Maruru fu loro addosso.Si volsero tramortiti dalla sorpresa, ma prima che potessero reagire il leone aveva decapitato

un uomo e fatto volare un altro, con il petto squarciato. Il leone saettò via, correndo tra le pietre.-Sparate! Sparate! Colpite quella cosa! - gridò il loro comandante, ma dall’aria che avevano i

soldati lo avrebbero fatto anche senza un suo ordine.I colpi rimbalzarono intorno a Maruru. Abit, che non era mai scesa dalla sua schiena, si

appiattì contro il grande collo. Indicò con il dito un punto avanti. Il leone scattò in quella direzione, riparandosi tra le rocce.

Sendo vide poi Barluga e gli altri che approfittavano dell’occasione per correre nella direzione opposta... ma lo scimmione era ferito gravemente, il Kerberos in fiamme... non c’era modo di fuggire!

E lui che cosa avrebbe fatto? I soldati non lo avevano ancora visto, ma era impossibile uscire da quella situazione con le

ossa intatte! Poi il caso decise per lui.Maruru infatti ricomparve come uno spettro nero. I soldati si disposero in fila con una velocità

quasi inumana. Dopo pochi istanti avevano già fatto fuoco. Maruru scartò di lato, e sembrò che le esplosioni dei proiettili sul terreno lo stessero inseguendo, dotate di volontà propria.

Ma il sole aveva già disceso a metà la china del crinale.Maruru cambiò direzione improvvisamente. Con due balzi innaturali fu addosso ai soldati: con

un colpo ben preciso spazzò via il comandante che ancora abbaiava ordini. Si buttò in mezzo ai soldati... molti colpi lo raggiunsero al corpo e Sendo vide sangue nero schizzare... ma lui parve non accusare il colpo... tre uomini volarono in aria e lui passò attraverso la formazione come un coltello rovente nel burro.

Per quanto ben addestrati i soldati della Legione si persero d’animo; un uomo, il granatiere, in preda al panico, sganciò il lanciarazzi dalla schiena. Il suo più vicino gridò: -Fermo, cosa fai? !

Ma lui imbracciò il tubo, sganciò la sicura con le mani tremanti e gridò: -Va all’inferno, mostro! Un lampo; un coltello da lancio volò in aria. Sendo era corso fino a dieci metri dai soldati... ma

la distanza, la stanchezza e l’occhio pesto... non colpì l’uomo, urtò il lanciarazzi e mentre l’uomo premette il grilletto di riflesso... il colpo venne scagliato alla cieca.

Tutti i soldati si buttarono a terra terrorizzati. Il proiettile, con una coda di fumo nero dietro, partì diritto in avanti, Maruru lo vide e lo schivò, anche se le sue zampe sembrarono improvvisamente più lente. Ma poi il diabolico ordigno fece una curva secca, si avvitò su sé stesso e... tornò indietro!

I soldati della Legione gridarono e si sparpagliarono ai quattro venti. Sendo cercò la fuga. Quasi che inseguisse proprio lui il proiettile zig-zagò alle sue calcagna come un cavallo ubriaco lanciato in corsa. Sendo era fuori della copertura dei massi; mulinò le gambe come un forsennato nella aperta piana e d’un tratto... il missile si impennò in aria. Sendo si fermò (intorno a lui diversi soldati stavano ancora rotolando, inciampando e correndo).

I missile perse ogni spinta, rimase sospeso come un riflesso solare in cima al cielo per qualche micro-secondo, poi cadde.

Sendo si voltò per correre, ma inciampò in un soldato che era caduto a terra.Il proiettile toccò il suolo a sei metri da lui ed esplose in una palla di fuoco accecante.Sendomir non vide più nulla.

29 Non potevano usare i fucili, di cui andavano famosi o meglio famigerati, perché potevano rischiare di colpire la principessa, naturalmente.

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Capitolo 29 Crollo

Era stata lavata e ricoperta di ricche vesti e di gioielli. Il sangue era stato ripulito dal suo viso. Era come una splendente gemma... solo che la luce era tutta esterna.

Dentro la pietra era opaca e nera.Le doppie porte si aprirono e venne fatta entrare in uno sfarzoso salotto. Tappeti spessi e

preziosi ricoprivano tutto il pavimento; arabeschi sul soffitto e un brillante lampadario pendeva dal soffitto. C’era un imponente tavolo al centro, presso il quale sedeva un uomo vestito da militare della Legione. Il kaftano da campo rosso e nero, la corazza composta da bande di metallo intessute sul pettorale, la scimitarra al fianco, i lustri stivali di cuoio. Il volto dell’uomo era quasi avvenente e gli occhi erano grigi e molto belli: tuttavia erano anche duri come un pugnale.

L’uomo contrastava singolarmente con l’ambiente intorno a lui; sembrava un pezzo di mobilio fuori posto, un uomo che si sarebbe trovato a suo agio in una tenda nel deserto, non in mezzo a quello sfarzo.

O forse no.Perché nella parete dietro di lui campeggiava un quadro gigantesco. E non era Gothra di Hatra

l’uomo dipinto, ma proprio lui stesso, in abiti da sultano, la mano sulla scimitarra, il piede sulla testa di un servitore negro inginocchiato.

Il sole morente entrava dall’unico finestrone incendiando tutto di rosso.E l’uomo disse: -Finalmente posso fare la vostra conoscenza, principessa! La principessa avanzò fino al centro della sala con tutta la dignità che ancora ricordava di

avere, e disse: -Sembra un momento felice per voi, Dahyuni Sultr Al Kama! Ma vi assicuro che per me non lo è affatto!

-Avete ottenuto una lingua veramente sfrontata! - disse un’altra voce, bassa e servile -Cosa direbbe la vostra tutrice, Fadwa, se potesse sentirvi, o il vostro povero padre? Quest’uomo vi ha salvato dalle grinfie dei feroci pirati!

L’uomo che avanzò e che Hourì non aveva notato entrando (perché era il tipo di uomo che scompare nello sfondo, quello che non si osserva una seconda volta) era in verità alto e robusto, per avere una voce così servile. Era vestito al modo dei satrapi di Provincia, con babucce di seta. Aveva una folta barba corta, baffi spessi che continuava a stirarsi con il dito e le mani piene di anelli. Il suo sorriso sardonico e sfrontato aveva sempre innervosito la principessa, ma mai come ora. L’uomo vide lo sguardo furioso della ragazzina e per tutta risposta i suoi occhi da sparviero, con due contrastanti borse nere di sotto, brillarono ancora di più.

-Fadwa è morta... - rispose secca la principessa.-Oh, questo mi procura un vivo dolore! - rispose l’uomo, senza provare neppure a fingere

-Cosa hanno fatto quei terribili pirati? ! -Sono stati i Saimat! - sbottò la principessa -E quei pirati in realtà mi hanno salvata da loro! E

adesso, Gericom, ditemi che cosa ne avete fatto? Ma fu Suldr a parlare: -Vostra altezza, questo è davvero bizzarro: non mi direte che nutrite

qualche forma di riconoscenza verso dei volgari pirati? -Ne nutro più di quella che potrei provare per molte delle persone che si trovano in questa

stanza! - rispose Hourì.Uno degli uomini della Legione, che stavano in piedi dietro a lei sbottò: -Ragazzina! Lo sai con

chi stai parlando? ! Un rumore secco... il tappo della bottiglia appoggiata sul tavolo era saltato. Sultr, con modi

posati e calmissimi si versò da bere, e poi fissando il liquore nel bicchiere che sembrava sangue vivo nel sole, disse: -Sono sicuro che un buon soldato della Legione non oserebbe mai alzare la voce su di una principessa imperiale, vero Gogel?

Gogel impallidì vistosamente. -Signore! - rispose -Io stavo parlando soltanto per il vostro onore!

-Il mio onore è al sicuro... - mormorò Sultr -... e per inciso la principessa può dire quello che vuole, proprio perché è una principessa. Mi ero aspettato di incontrare una cerbiatta spaventata,

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ma vedo che mi sbagliavo... questo rende le cose... - sorrise, e bevve il suo liquore -... molto più interessanti...

Hourì rabbrividì a quelle parole, ma non c’era molto che potesse fare, se non rimanere in piedi fingendo di non aver paura.

-Sono stati quei pirati a insegnarvi a rispondere in questa maniera? - chiese allora Sultr.-Io so solo che ora sarei morta, se non ci fossero stati loro! -Perché li difendete? - chiese Gericom, untuoso, guardando verso Sultr -Lo sapete che quel

Barluga è un pendaglio da forca della peggior specie? Uno di quelli che bruciano navi, saccheggiano villaggi e stuprano le ragazzine?

No, non lo sapeva nemmeno Hourì perché volesse difendere i pirati. Ma suo padre aveva detto che ogni debito era un debito d’onore.

-Lo avete assalito in venti dei vostri soldati, che già era ferito! - rispose Hourì -E molti dei vostri sono caduti a terra con la faccia spaccata! - che stupida: come poteva aver trovato ancora eroico il vecchio scimmione, dopo tutto quello che era successo? -Spero che non lo abbiate ucciso!

Sultr rise, facendo venire i brividi dal fondo della schiena fino alla nuca alla povera principessa. -Ucciderlo? Sarebbe più facile uccidere un toro con uno scopetto che non ammazzare un uomo come quello! - appoggiò il bicchiere -Ma ascolterò la vostra accorata richiesta: dopotutto i pirati non hanno fatto altro che applicare la loro lettera di corsa e di fatto vi hanno portato fuori da quella foresta... - i suoi occhi si incupirono -... dove altri invece sono riusciti a farvi quasi ammazzare! - il suo sguardo infuocato saettò sopra a Gericom, che si ritrasse quale verme che era.

Così era stato davvero quell’infame del suo primo ministro a usare quegli altri pirati, a incendiare e distruggere la sua nave?

Hourì fremette... se solo avesse saputo maneggiare un pugnale come sapeva fare quella donna, Ayane! Adesso si sarebbe presa la sua vendetta.

E invece dovette rimanere in piedi, in mezzo a quegli uomini: libera di dire quello che voleva, perché era una principessa, ma niente di più che un grazioso soprammobile, in realtà.

-Anche se hanno sbagliato... “qualcosina”... - rispose con un vilo di voce Gericom, riferendosi probabilmente agli infami schiavisti di Rukor -... non hanno diritto alla ricompensa che avevo loro promesso?

-Hatra non pagherà per quelle canaglie! - rispose Sultr, bevendo un sorso del suo liquore -Dovrete pensarci voi, Dahyuni Gericom!

Gericom era decisamente a disagio, perché evidentemente non aveva di che pagare, quel verme, i violenti schiavisti.

-Daremo invece la grazia ai pirati di Barluga! - disse invece Sultr, infine -E gli restituiremo la loro nave! È accettabile, per voi?

-S-sì...! - rispose, ben sapendo che non era in suo potere decidere proprio nulla.Sultr fece un cenno all’altro soldato e quello si girò per andare, quando però Gericom sollevò

una mano e disse: -Nobile signore, io so che nella ciurma di quelle canaglie ci sono però due donne: una è una scolopendra, una serpe in verità... - e mentre lo diceva Gogel si passò la mano sulla benda che copriva una ferita molto fresca sopra al sopracciglio destro -... e l’altra è un’automaton doll...!

-Un’automaton doll, in una nave pirata? ! - sbottò Sultr -Sarà in condizioni pietose! Come potrebbe interessarti?

Gericom disse: -Pietose, davvero! - e soggiunse -Ecco, se potessero, queste due donne di poco conto, essere... diciamo... “cedute”, al nostro Rukor, come unico compenso... non credo che questo possa essere definito deplorevole, dico bene, mio signore?

-No! - scattò Hourì, completamente disgustata e terrorizzata.-No? - fece Sultr -Ho già dimostrato generosità nel salvare quelle indegne canaglie; e non

voglio che si dica che Hatra non mantiene le sue promesse! Diamo queste “donne” al nostro Rukor!

Hourì esplose. -Vi rendete conto che state praticamente dicendo chiaramente che avete pagato quei pirati per darmi la caccia? !

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Non c’era traccia di sorriso sulla faccia di Sultr: -No, principessa... sto dicendo che pago quei pirati perché li ho mandati a cercarvi... perché, proprio voi, con le vostre... diciamo “velleitarie” pretese... stavate pensando di poter offendere il mio signore, Gothra, sottraendovi al matrimonio, dico bene?

-I-io... - mormorò la principessa -... non mi sto sottraendo affatto...! Sultr sorrise questa volta: -Non dovete crucciarvi troppo, principessa! Spero che questo vi

abbia fatto capire che non è saggio sprecare in troppi pensieri... la vostra bella testolina! Confido che d’ora in poi non desidererete intraprendere altre... imprese non consone alla vostra diginità? Oppure vi troverete ancora in preda a quei selvaggi, ai banditi e a quanto altro di orribile c’è nel mondo là fuori... non preoccupatevi: sarete in buone mani! Ci penserà Hatra, d’ora in poi, a proteggervi! Non dovrete più uscire dal vostro dorato palazzo! - bevve un altro sorso -Che dico, non dal “vostro”... dal palazzo reale di Hatra!

Hourì cercò disperatamente di ricacciare indietro le piccole lacrime che le stavano salendo agli occhi, per non darla vinta almeno su quello.

Ma Sultr continuò inesorabile: -Vi comporterete da principessa, quale siete, dunque? -Sì...! - mormorò la povera Hourì.-Mi fa piacere sentirlo! - rispose l’uomo -Il vostro sposo, il mio signore Gothra, vi aspetta

impaziente a Susa! Hourì quasi cadde per terra per la sorpresa.-A Susa? - quasi gridò.-Ah, voi non potete saperlo! - rispose l’uomo, con un sorriso mellifluo -Il vostro matrimonio si

terrà a Susa: Susa è già sotto il nostro protettorato: sapete, c’erano state alcune sommosse... e per il bene dei cittadini... non potevamo certo chiudere gli occhi su di una situazione così pericolosa, per il nostro vicino!

Hourì prese a tremare incontrollabilmente; non le riuscì neppure di non mostrare a quegli uomini schifosi che non aveva paura.

La promessa fatta a Fadwa suonò come uno scherno atroce; la sua tomba era la pelliccia di un mostro dentro alla foresta terribile e lei era perduta. Anzi, non lei: aveva già deciso di sacrificarsi... ma lo aveva fatto per Susa. E invece era già tutto finito!

Con le assurde storie sul coraggio aveva preso in giro Fadwa; ma anche Fadwa alla fine, l’aveva sempre presa in giro... perché, cosa ci poteva mai essere di vero in quelle stupide storie di eroi e di giustizia che le aveva sempre raccontato?

Mia cara Fadwa, non esiste alcuna giustizia, non esiste alcun eroe! Gericom allora si inchinò, e disse: -Posso allora concluso l’affare? Le due donne verrano

consegnate a Rukor? -Sia come desideri, Dahyuni! - rispose Sultr.Gericom sorrise alla principessa, mentre usciva inchinandosi, come un avvoltoio era il suo

sorriso.In quel momento la principessa decise che il ministro l’avrebbe pagata, in qualche modo.

Avesse dovuto diventare l’essere più laido di questa terra e compiacere il rivoltante Gothra in tutto... avrebbe trovato il modo di usare il loro stesso potere contro quegli uomini maledetti. Quella era l’unica giustizia!

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Qui finisce la prima parte di “La canzone di Hourì”. La povera principessa dovrà corrompere sé stessa per ottenere la sua vendetta o al mondo esisteranno ancora

improbabili eroi? E Abit, Sendomir e Alice, saranno riusciti a salvarsi?

Prossimamente, l’incandescente Parte Seconda, dove troveremo

tutte le rispose a queste domande!