la comunicazione strategica d'impresa nella logica narrativa: the corporate storytelling
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Università degli Studi di Foggia
Dipartimento di Economia
Corso di Laurea Magistrale in Marketing Management
Tesi di Laurea In
Comunicazione d’impresa
LA COMUNICAZIONE STRATEGICA D’IMPRESA NELLA LOGICA NARRATIVA:
THE CORPORATE STORYTELLING
Relatore: Laureando: Ch.ma Prof.ssa Enrica Iannuzzi Giuseppe di Brisco Correlatore: Felice Limosani
ANNO ACCADEMICO 2013/2014
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La Comunicazione strategica
d’impresa nella logica narrativa:
The corporate storytelling.
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Indice
Parte Prima
5 I Personaggi della tesi
7 Introduzione
La comunicazione strategica d’impresa nella post-modernità
13 Alcune riflessioni
15 Il ruolo strategico della comunicazione: le relazioni
20 La corporate communication: il management
27 Dal fare comunicazione all’essere comunicazione
30 Le imprese verso la co-creazione
36 La working consumer
39 Brand image Brand reputation Brand story
45 Un caso emblematico di co-creazione: Il Mulino che vorrei
Parte Seconda
S is for storytelling. La comunicazione nella logica narrativa.
50 Introduzione allo storytelling
56 Il contesto
58 Perché occuparsi di storytelling
59 La storylistening trance experience
63 Perché ci piacciono le storie: da un punto di vista psicologico
64 Perché ci piacciono le storie: da un punto di vista pubblicitario
66 Il potere della narrazione e della contro narrazione: Ferrero - Brand Nutella
68 Il potere dello storytelling: un’infografica
70 Le storie sono strategie
76 Learning point
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Parte Terza
Lo storytelling in action
Trame Format Strutture
78 Le trame d’impresa più diffuse
82 Lo schema narrativo canonico
86 Christopher Vogler: Il viaggio dell’eroe
90 Christopher Booker: the seven basic plots
97 Gli ambiti di applicazione dello storytelling
100 I canali delle storytelling operations
107 Il piano per le storytelling operations
108 Vantaggi dello storytelling
112 Criticità e problematiche dello storytelling
116 Learning point
Parte quarta
Visual Digital storytelling
119 L’evoluzione dello storytelling
125 The power of visual storytelling
132 Digital storytelling
135 Digital storytelling e social media
138 Internet isn’t much without conversation di Felice Limosani
141 Dal digital al Transmedia storytelling
143 Transmedia e brand story
146 Brand gamification e advergame
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Parte quinta
Felice Limosani digital storyteller
147 Limos
150 Come realizzare i pensieri del mondo contemporaneo
153 Perché abbiamo bisogno di racconti?
Case History
156 Coca-Cola Journey: ecco come lo storytelling influisce sulle strategie
aziendali
160 Jack Daniel’s trasforma i discorsi da bar in brand storytelling
163 Narrazione e identità: Dove
166 Papa Francesco genio del marketing e dello storytelling di Bruno Ballardini
171 Conclusioni
175 Bibliografia
179 Sitografia e Videografia
184 Tools
185 Indice figure
186 Allegati
190 Ringraziamenti
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I personaggi della tesi:
Prof.ssa Enrica Iannuzzi (1975), Relatore. Ricercatore di Economia e
Gestione delle Imprese. Professore Aggregato di Comunicazione
d'impresa. Principali interessi di ricerca :comunicazione d’impresa
teorie organizzative, approccio neo-istituzionalista, governance
d’impresa , analisi delle relazioni intra e inter-organizzative,
ristrutturazione organizzativa e misurazione delle performance di
Ateneo, marketing relazionale.
Felice Limosani (1966), Correlatore. E’ creativo interdisciplinare. DJ e
producer negli anni '80/90. Nel 2000 ha fondato la start up SKYBAR
(Bain Cuneo Associati) creando per Nokia le prime app ludiche di
telefonia mobile. Innovatore della comunicazione artistica, i suoi
lavori sono riconosciuti per il coinvolgimento estetico ed emotivo del
pubblico. Esponente autorevole dello storytelling contemporaneo, le
sue Lectures sono richieste dalle principali università e accademie
europee. Opera in ambito internazionale sia per top brand che per
istituzioni culturali.
Giuseppe di Brisco (1974), Laureando in Marketing Management,
dopo quella in Economia Aziendale. Social media strategy, Marketing,
comunicazione politica e istituzionale. Strambo, a volte faccio sul
“serio”. Esplorativo sempre alla ricerca. Riflessivo. Unconventional
thinking. La politica è passione. La mia preferita: Ama il tuo sogno
seppur ti tormenta. Terra Madre la mia religione. Aspirante Manager.
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Ora vi racconto una storia: << Due bellissime
donne, vivevano in una casetta su una collina
al di sopra del villaggio. Un giorno decisero di
accertarsi chi delle due fosse la più bella.
Crearono quindi una gara che consisteva in
una passeggiata nella via principale del
villaggio. Da lì, dovevano riscontrare chi delle
due fosse la più apprezzata, chi avesse più
amici. La prima fu Verità. Si diresse nella via
principale del villaggio, e mentre la percorreva,
la gente si chiudeva nelle proprie case, serrava
le finestre, e i pochi rimasti per strada le
voltarono le spalle. Arrivata alla fine della via,
si chiese come poter fare per esser più
apprezzata. Decise allora di ripercorrere la via,
ma completamente nuda, convinta che avrebbe
attirato l’attenzione di tutti. E così fece. Ma in
realtà la poca gente rimasta fuori si chiude a
sua volta in casa, e le finestre vengono
sbarrate! Tornata dall’amica, Verità riferisce
che il paese era vuoto, e che tutti si erano
chiusi nelle proprie abitazioni.
La seconda bellissima donna, Storia, decide di
provare comunque. Passeggiando per la via, la
gente esce dalle proprie case, le corre in contro,
grida, è in festa. Verità ammette di aver perso
la gara, affermando che probabilmente “la
storia è più potente!”.
Storytelling la fabbrica delle storie
CHRISTIAN SALMON
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I N T R O D U Z I O N E
“Le nostre parole spesso sono prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo
consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le
abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole.
Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo
dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle. Solo dopo la manomissione, possiamo usare le
nostre parole per raccontare storie.”
La manomissione delle parole, Bur. G. Carofiglio
era una volta una bambina che tutti chiamavano… si, lo so,
avete già capito Cappuccetto rosso. Perché questa storia la
sappiamo tutti, in una versione o nell’altra, sia quella dei
fratelli Grimm o quella di Charles Perrault. La fiaba di Perrault, del 1697, è
più cruenta di quella dei fratelli Grimm, perché non prevede che arrivino né
cacciatori né boscaioli a portare in salvo bimba e nonna. E contiene pure
una morale esplicita: meglio non fidarsi degli sconosciuti, tantomeno di
quelli all’apparenza più miti e servizievoli. Quale che sia il valore di una
lettura freudiana delle fiabe, è però certo che rappresentano il nostro primo
incontro con la narrazione. Di lì in poi, gli anni della nostra formazione
sono tutto un ascoltare storie raccontate da altri o inventarle di sana pianta.
Le storie, insomma, il tempo che passiamo dentro mondi immaginari, sono
un pilastro fondamentale della nostra vita. (Editoriale n.115 di
Mente&Cervello, 27 giugno 2014 di Marco Cattaneo)
La storia che segue è la mia storia, una storia di ricerca sul mondo della
comunicazione strategica d’impresa in particolare sullo studio della
C’
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narrazione d’impresa: The corporate Storytelling. Questa storia, la mia,
incontra tante altre storie di studenti, ricercatori, lavoratori, imprese piccole
e grandi, designer, storyteller di professione, marketing manager, uomini di
cultura, istituzioni, politici, territori e soprattutto persone.
Le pagine che stringete tra le mani sono la sintesi di un lavoro, fatto con gli
studi di marketing management presso l’Università degli Studi di Foggia,
approfondito con un corso on-line della Ninja Academy in “Corporate
storytelling – Strategie e strumenti per la narrazione dei brand” in
compagnia con il Prof. Andrea Fontana e Massimo Lico, coordinato dalla
Prof.ssa Enrica Iannuzzi (relatrice, docente di Comunicazione d’impresa) e
con il grande contributo informativo e competenze di Felice Limosani,
amico storico, noto visual e digital storyteller di fama internazionale
(correlatore).
Quando ho cominciato a pensare a questo studio, tra orari di lavoro e il
proseguimento degli esami, non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte
tante idee, tante personalità, tanti ostacoli. Proverò con questa mia
introduzione, a dare un senso a tutto il lavoro. Come dicevo, è la mia
storia, ma dietro ogni impresa , grande o piccola che sia, ci sono tante
storie, che attendono di essere trovate, raccontate e condivise.
Il racconto e la narrazione aziendali sono ormai processi insiti nelle
pratiche quotidiane del marketing, della comunicazione, del Retail e della
gestione delle risorse umane. Che tu sia piccolo o grande, on line o off-line,
hai bisogno di raccontarti.
In questo scenario è emersa la dimensione personale delle imprese e si è
affermato il paradigma dell'impresa-persona (Barone, Fontana, 2005):
l'ultima decade ha infatti visto emergere una corrente post-moderna di
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scrittori accademici che vede le organizzazioni non solo e non tanto sotto i
tradizionali aspetti strutturali, orientati al processo e basati sul controllo ma
anche e soprattutto come sistemi viventi e fluenti, nei quali poter "parlare,
pensare, sognare, sentirsi esseri umani che lavorano, giocano, parlano,
ridono e scherzano tra loro" (Denning, 2001: 176).
Le organizzazioni sono infatti composte da individui, da insiemi di soggetti
diversi e in costante interazione tra loro: per questo motivo esse raccontano
una molteplicità di storie in cui si mescolano differenti linguaggi,
vocabolari e registri narrativi. Questi necessitano di integrazione e
coerenza, poiché solo così l'impresa potrà conseguire un significato
comune e avrà un'identità riconoscibile all'interno e all'esterno (Fontana,
2005). Con l'emergere di una visione delle organizzazioni come costruzioni
pluralistiche di storie multiple si afferma quindi anche una nuova
concezione della narrazione, che viene oggi rivalutata e considerata una
modalità efficace per una diversa ed innovativa comprensione, direzione e
gestione delle imprese.
Viviamo in una civiltà nuova, e ancora non ce ne rendiamo conto. Una
civiltà dove, per la prima volta, ci sono elementi di sostanza e di senso in
ambienti imprevedibili e per certi versi intangibili.
Il pubblico ha cessato di essere spettatore: sempre più è parte integrante dei
processi di un engagement atto alla conoscenza e alla condivisione. Ci
siamo ritrovati catapultati in un nuovo mondo, semi sconosciuto, in cui non
basta più informare, comunicare , coinvolgere, ma diventata necessario
NARRARE.
Ecco allora la svolta narrativa farsi largo. Ecco che aziende, organizzazioni,
persino agenzie politiche e mediatiche iniziano nel nuovo millennio a usare
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tecniche di narrazione per “posizionarsi” e “vendersi” . Nulla, forse, è
passato indenne attraverso la rivoluzione digitale. È cambiata la società, noi
stessi ci siamo modificati, abbiamo cambiato pelle e mente, abbiamo
acquisito nuovi schemi percettivi. In questa ottica, l’epicentro è la
rivoluzione digitale ma il centro esiste dalla notte dei tempi: è l’essere
umano! Gli strumenti veri dello storyteller sono il desiderio di
comprendere, re-immaginare e creare su scala umana morfologie proprie e
altrui (Felice Limosani).
Scopo di questo lavoro è quindi lo studio dello storytelling e delle sue
applicazioni all'interno delle organizzazioni. Così i brand iniziano a
raccontare storie. I prodotti iniziano a essere storie. E il marketing diviene
narrativo. Per la prima volta nel nostro Paese, si apre un nuovo territorio
teorico e pratico, in cui diventa fondamentale sapere: perché una persona
entra in sintonia con una narrazione e ne fruisce i contenuti facendoli suoi;
quali sono gli elementi principali e non trascurabili per costruire una
narrazione; quale è la fisica dell'ascolto narrativo. Ovvero come
l'ascoltatore entra in sintonia da un punto di vista fisiologico con una
narrazione e con i suoi elementi e come sia possibile misurarne in qualche
modo la fisiologia. Cercherò di rispondere alle seguenti domande cos’è un
racconto aziendale e come si costruisce? Quali sono gli strumenti più
idonei su cui far vivere e far circolare racconti d’impresa? Dove sta il
connubio tra comunicazione e racconto? Quando è un bene fare un
percorso di corporate storytelling e quando sarebbe meglio evitare?
L'argomento è analizzato sia da un punto di vista teorico che da una
prospettiva pratico-operativa. In questo elaborato si è voluto quindi unire la
teoria alla pratica dello storytelling, cercando sempre di mantenere un certo
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equilibrio tra questi due aspetti, nella convinzione che essi siano tra loro
complementari.
Queste in breve le linee guida che ci accompagneranno lungo questo
percorso alla scoperta della narrazione d’impresa e del racconto che è insito
in ciascuno di noi. La prima parte del lavoro si occuperà della
comunicazione strategica d’impresa in ottica corporate, lo storytelling nella
comunicazione d’impresa e dal fare comunicazione all’essere
comunicazione.
La seconda parte analizza dal punto di vista storico l’evoluzione della
narrazione indagandola per il suo potere emozionale . Si tracciano le linee
per definire lo storytelling, il contesto in cui opera, il perché occuparsi di
storytelling e perché da un punto di vista psicologico le storie ci piacciono.
Si parlerà della storylistening trance experience e del potere della
narrazione e della contronarrazione. Quindi le storie e le strategie, perché è
inutile negarcelo le storie non sono ingenue.
La terza parte si concentra sulla struttura del processo di narrazione
analizzando le trame più diffuse, i format più usati per costruire una
strategia di comunicazione narratologica; in particolare analizzeremo lo
schema canonico e il viaggio dell’eroe fino alla mappatura fatta da Booker
con il suo libro: the seven basic plots. Ci occuperemo a seguire degli ambiti
di applicazione dello storytelling, quali sono i canali delle storytelling
operations e i suo strumenti (cartaceo, relazionale, digitale). Come si
costruisce un piano di storytelling operation, i vantaggi e le maggiori
criticità dello storytelling evidenziate da Salmon.
La quarta parte è dedicata essenzialmente al potere delle immagini e come
esse vengono usate nello storytelling dai i visual per catturare l’attenzione
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ed emozionare; le immagini e le storie, le musiche e i colori vengono
digitalizzate e condivise attraverso la Rete attraverso strumenti
transmediali. In particolare si parlerà del rapporto tra digital e social media,
come si gestiscono le conversazioni e i tempi, fino ad arrivare
all’implementazione di una brand story guardando anche i processi di
gamification e advergame.
La quinta parte descrive il lavoro del digital storyteller Felice Limosani,
correlatore della mia tesi. Il racconto dell’artista si avvale di due Lectures:
essere reali con la fantasia e lo storytelling contemporaneo.
L’ultima parte della tesi è dedicata a quattro Case History.
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1. La comunicazione strategica d’impresa nella post-modernità.
1.1 Alcune riflessioni introduttive
n questi anni di forte cambiamento delle logiche economiche e dei
modelli di business si stanno modificando pure, radicalmente, i
modelli e le forme di comunicazione d’impresa. Complessità,
incertezza, ambiguità e cambiamento sono le parole chiave del contesto in
cui le imprese si trovano oggi a competere: la caduta dei classici paradigmi
organizzativi, la globalizzazione e l’aumento della competizione sui
mercati hanno fortemente destabilizzato l’ambiente interno ed esterno in
cui le imprese operano. In questo contesto fluido e metamorfico, le
modalità di gestione e di comunicazione delle aziende si sono dovute
modificare in maniera profonda per riuscire ad assecondare la necessità
degli attori organizzativi di trovare un nuovo modo per capirsi, conoscersi e
riconoscersi in questa mutevole condizione lavorativa; metamorfosi dovuta
anche all’avvento delle nuove tecnologie, delle nuove piattaforme
comunicative e dei social media che hanno determinato un contesto nel
quale la pubblicità classica sta perdendo molta della sua tradizionale
capacità di presa sul pubblico . Pur conservando una sua ragione d’essere (e
rimanendo per la verità ancora prevalente in termini d’investimento),
questa modalità di comunicazione intrinsecamente unidirezionale
rappresenta il passato. Il futuro è fatto di altre cose-particolarmente di tutte
le forme di relazione collaborativa, a due vie, tra imprese, marche e
pubblico che le nuove tecnologie della comunicazione rendono oggi
I
“La comunicazione è sostanza; più sostanza della cosa
comunicata.” C. Nigro
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possibile.1 In questo contesto emergono con sempre maggiore chiarezza
forme di comunicazione innovative come lo storytelling, il branded
content e il marketing non-convenzionale, tematiche che affronteremo in
questo e in altri capitoli.
Entrando nel vivo del discorso possiamo constatare che le organizzazioni
dovranno adattarsi ai nuovi mezzi di comunicazione, alla trasformazione
del mondo in una sorta di rete globale, creando delle culture convergenti e
generando nuove modalità di relazione.
Come ben sappiamo ogni individuo, azienda, ente o gruppo sociale
comunica per il semplice fatto di esistere. Questo è uno dei principi
fondamentali su cui si basano le teorie della comunicazione. Tuttavia la
teoria generale dei sistemi (General System Theory) di Ludwig Von
Bertalanffy (1968) definisce le organizzazioni come “ degli insiemi
complessi di parti interdipendenti che interagiscono per adattarsi ad un
ambiente in continuo cambiamento al fine di raggiungere i propri
obiettivi”. Infatti Ludwig Von Bertalanffy definisce il processo di
interazione tra le parti “organizzazione”2. In tal senso l’organizzazione
non è statica ma si comporta da agente dinamico presente nella società
come soggetto in crescita continua. Come tale, essa è centro vitale di
costrutti socio economici e porta con sé un frame di valori simbolici ( come
ad esempio il logo di un brand) dall’elevato valore cognitivo, entro i cui
confini si autodefinisce.
E’ facile comprendere che le aziende comunicano sempre: esse si
esprimono “non solo attraverso ciò che dicono intenzionalmente (ad
1 Paolo Bonsignore, Joseph Sassoon (2014) , Branded Content – La nuova frontiera della comunicazione d’impresa,
Franco Angeli – collana diretta da Vanni Codeluppi, Milano. 2 Franco Fontana ,Il sistema organizzativo aziendale,1993- Franco Angeli Editore.
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esempio, le proprie campagne pubblicitarie), ma anche attraverso quello
che mostrano (ad esempio il design dei prodotti, la forma degli edifici, la
disposizione degli uffici) e quello che fanno (il comportamento dei loro
membri)3.
Il punto su cui vogliamo soffermarci è il seguente: cosa comunica di
norma un’impresa?
In prima istanza possiamo dire che il contenuto dei suoi messaggi è teso ad
affermare gli elementi finali della sua attività e a mettere in luce il loro
valore, la loro efficacia, l’utilità e il rendimento. Si tratta del lavoro portato
avanti dall’apparato pubblicitario, da intendersi non soltanto a livello
referenziale ma anche valoriale: “il prodotto e il servizio si trasformano in
discorsi, spesso “storie”,”racconti” che, per quanto ancorate alla
concretezza dei loro presupposti di origine, se ne possono allontanare,
avviando una produzione di senso sempre più libera, sempre meno
materializzata, sempre più orientata in una prospettiva simbolica”.
Ad un secondo livello troviamo il discorso di marca, quel valore aggiunto
che si unisce al prodotto e lo rende unico nell’immaginario del
consumatore. Infine il terzo livello di messaggi che l’impresa porta in auge
è costituito dalla sua entità, il suo essere soggetto partecipe della vita
sociale sotto forma di identità aziendale o corporate identity. Nelle pagine
successive del nostro lavoro ci occuperemo di un importante passaggio che
lega la comunicazione aziendale intesa come corporate communication in
particolare con l’evoluzione del Marketing non convenzionale, la marca e il
potere dei consumatori, questo ci permetterà di ospitare il grande tema
3 Gianfranco Bettetini, Semiotica della comunicazione d’impresa, Bompiani, 2003, Milano Pg.40,60,65
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della narrazione d’impresa: lo Storytelling come nuovo approccio alla
comunicazione strategica.
1.2 Il ruolo strategico della comunicazione : le relazioni
Le profonde modificazioni che hanno interessato la moderna economia
d’impresa sottolineano la rilevanza che ha assunto la dimensione
relazionale dell’attività imprenditoriale, con riferimento alle relazioni di
business, alle relazioni di mercato, alle relazioni interne, a quelle sociali ed
istituzionali.
In questo contesto la comunicazione assume un ruolo fondamentale in
quanto rappresenta il “collante” delle organizzazioni sociali, strumento
fondamentale di coordinamento delle attività relazionali dell’impresa,
attraverso il quale attivare i contatti, gestire i rapporti, creare e mantenere la
fiducia, promuovere la co-evoluzione, esercitare strategie di influenza e di
condizionamento.4
Lo stesso Prof. G. Calabrese5 in un paper, costrutti, miti e strategie nella
comunicazione d’impresa, scrive: “la comunicazione è il collante sistemico
per antonomasia, il Graal che finalmente cuce insieme strategia e struttura,
lo strumento di salience management invocato dalle declinazioni normative
della Stakeholder Theory (Savage et al., 1991; Clarkson, 1995; Mitchel et
al., 1997; Polonsky e Scott, 2005), nonché la leva di implementazione
operativa delle ricadute provenienti dal dibattito sulla Corporate Social
Responsibility.”
4 Pastore A., Vernuccio M., Impresa e comunicazione principi e strumenti per il management ,Apogeo 2008
5 Mastroberardino P., Calabrese G., Cortese F. Costrutti, miti e strategie nella comunicazione d’impresa. Sinergie,
rivista di studi e ricerche. Università degli studi di Foggia- Dip. Economia Aziendale.
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La comunicazione, dunque, genera e sostiene le relazioni, sviluppa fiducia
e conoscenza, produce credibilità strategica e reddituale, contribuisce alla
costruzione della consonanza (compatibilità strutturale) e alla sua
evoluzione verso la risonanza( condivisione dei valori, obiettivi e strategie)
tra soggetti interagenti; per tale via essa concorre alla diffusione e alla
creazione di valore. Attraverso la comunicazione, l’impresa riesce a
generare e trasmettere ai pubblici di riferimento: dal “saper fare” al “far
sapere”.
Thierry Libaert6 e Karine
7 Johannes mettono a fuoco il concetto di
relazione come fondamento a cui la comunicazione d’impresa deve
puntare. Il “relazionarsi con”, è del resto, uno degli elementi del processo
comunicativo. Relazionarsi significa secondo Libaert costruire un legame,
mettere in comune degli interessi e degli obiettivi.
“Entrare in relazione con dei pubblici consiste per un’impresa
nell’oltrepassare il livello di transazione, l’atto di acquisto ed introdurre
una continuità, uno spessore temporale”.
Il compito dell’azienda in questo senso è coltivare tale legame attraverso le
pratiche comunicative, sino a giungere ad una personalizzazione degli
scambi e ad una conoscenza approfondita dei pubblici di riferimento.
Secondo due autori esperti nell’analisi dei contesti relazionali in ambito
aziendale, Ledingham e Bruning, la relazione si definisce in questi termini:
“il rapporto esistente tra un’organizzazione e i suoi pubblici di riferimento,
6 Thierry Libaert è uno specialista francese leader in comunicazione organizzativa . E 'docente di comunicazione organizzativa presso l' Université catholique de Louvain ( Belgio ), dove presiede il Laboratorio per l'Analisi dei Sistemi Organizzativi di comunicazione (LASCO) 7 Karine Johannes, Ph.D. Strategic communications consultant, Independent, Université Lumière de Bujumbura.
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in cui le azioni di ogni soggetto hanno un impatto sul benessere economico,
sociale, politico e/o culturale dell’altro”.
Partendo dall’idea di relazione, Libaert e Johannes ritrovano nella
corporate communication due radici comuni a tutte le teorie
precedentemente vagliate: il marketing e le relazioni pubbliche.
Dall’evoluzione di queste due discipline e con l’emergere intorno agli anni
’80 della concorrenza e della necessità di gestire i prodotti intangibili
dell’impresa (i suoi valori, la sua mission, la sua vision e la sua cultura) si
sono sviluppate progressivamente le teorie della corporate communication
e i concetti ad essa correlati: corporate image, identity e reputation. Uno
sviluppo relativo al passaggio da una logica di vendita ad una di
costruzione dell’identità e della relazione con l’altro. In quest’ottica se il
marketing si occupa principalmente di valorizzare i prodotti ed i servizi, le
relazioni pubbliche si impegnano a generare un contratto di fiducia con i
diversi pubblici e a comunicare la filosofia aziendale e i suoi valori.
Il paradigma della corporate communication si inserisce secondo Libaert
proprio in questo punto d’incontro tra i due poli sostenendo che entrambe
le aree debbano essere gestite in modo unitario, affinché i prodotti da un
lato siano compenetrati dalla filosofia aziendale e dall’altro mission e
vision si concretizzino nell’operare dell’azienda: in prodotti, servizi, nelle
modalità lavorative, nei rapporti con i clienti e i dipendenti.
Nella nuova era della relazione risulta infatti evidente come l’interesse
degli stakeholders vada al di là dei semplici prodotti e servizi e si porti più
sul processo di produzione, sulle politiche di prezzo, sulla coscienza
dell’azienda come soggetto attivo e responsabile nella società ( si veda il
concetto di Corporate Social Responsability). La società si è resa conto
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oggi più che mai del livello di interdipendenza presente fra organismi
pubblici e privati ed i singoli individui, per questo nuove sfide si
propongono oggi alle imprese e negli anni a venire.8
La sfida più difficile sarà sicuramente quella della sincerità e dell’apertura
alla relazione verso gli stakeholder, la comunicazione superlativa è
destinata al fallimento: la vera comunicazione sarà quella capace di
ritornare ai suoi valori essenziali. Questo è quanto sostiene Stéphane Billet,
presidente dell’agenzia di comunicazione francese Hill & Knowlton e
presidente del Syntec Conseil en Relations Publiques. A questa sfida per la
corporate communication se ne aggiungono altre tre, secondo Marianne
Kugler, docente del dipartimento di scienze dell’informazione e della
comunicazione presso l’università di Laval:
1. La necessità di rimanere visibili e credibili mentre si moltiplicano le
fonti d’informazione a causa dell’avvento dei nuovi media (blog,
Twitter, Facebook), che fanno aumentare la circolazione delle notizie
(vere e false) grazie alla modalità del passaparola (“I like” di
Facebook ne è un esempio palese
2. Creare una cultura d’impresa, e instaurare all’interno e all’esterno
un sentimento d’appartenenza mentre aumenta il cinismo dei
dipendenti nei confronti delle promesse dei leader non mantenute;
3. Raggiungere i pubblici di riferimento in un momento in cui le
persone sempre più disincantate preferiscono racchiudersi nella loro
individualità e nel loro piccolo. (facebook ne è un esempio palese);
8 Cristina Fona- Brandforum.it
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1.3 La corporate communication : Il management
I modelli di management della comunicazione aziendale proposti in
letteratura sono stati sviluppati con riguardo soprattutto all’immagine e alla
corporate identity .Tali modelli, non riguardano il processo di Corporate
Communication Management (CCM) in quanto tale. Tale processo non si
limita esclusivamente alla gestione della corporate identity ma si estende al
contributo della comunicazione alle decisioni di strategia aziendale
(Gregory et al., 2010; Invernizzi e Romenti, 2011a, 2011b) e alla gestione
delle relazioni con gli stakeholder e della corporate reputation (Gray e
Balmer, 1998; van Riel e Fombrun, 2007).9
Lo stesso Van Riel nel 1995 anno in cui venne pubblicata e tradotta
l’opera “Principles of corporate communication” s’impegna nella
teorizzazione del modello in questione fornendo alcune tra le più
importanti nozioni su cui si fonda. Van Riel definisce la corporate
communication come: “an instrument of management by means of
which all consciously used forms of internal and external
communication are harmonised as effectively and efficiently as possible,
so as to create a favourable basis for relationship with groups upon
which the company is dependent”.
E’ bene sottolineare che il termine corporate non è utilizzato da Riel nel
senso di corporation, ma in relazione al termine latino corpus, più vicino al
corrispettivo inglese “body”, ovvero corpo o meglio “che inerisce alla
totalità”. Infatti spiega Thierry Libaert “la corporate communication
designa la comunicazione in cui l’impresa parla di sé stessa, della sua
9 AGOSTINO VOLLERO Assegnista di Ricerca - Università degli Studi di Salerno - sinergie, rivista di studi e ricerche –
Fonte http://www.sinergiejournal.it/rivista/index.php/sinergie/article/view/680/461
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identità, della sua mission e dei suoi valori e si presenta come persona
morale, al di là dei suoi prodotti e servizi” quindi si mostra nella sua
totalità come soggetto facente parte della società. La sua vocazione
principale in questo senso risiede nell’affermare la personalità propria
all’impresa ed assegnargli una identità distinta e coerente favorendo le
relazioni con gli stakeholder aziendali e gestendo al meglio la sua
immagine e reputazione.
Nel corso degli ultimi anni, a partire dagli studi di PR, si è condivisa la
necessità di affrontare la comunicazione in base ad un approccio strategico
stakeholder-oriented . A livello di management strategico, la letteratura
ha evidenziato il ruolo rilevante e attivo del responsabile e dei consulenti di
comunicazione ai fini del governo delle organizzazioni complesse
(Invernizzi e Romenti, 2009). Alla comunicazione è stata, infatti, via via
attribuita la capacità di orientare i principali processi decisionali
aziendali, di supportare le decisioni di governo dell’organizzazione, al
punto che si è coniata in letteratura l’espressione “comunicazione
strategica”. Pur operando nell’ambito della funzione/dipartimento di
comunicazione aziendale (Steyn, 2003; van Riel e Fombrun, 2007;
Cornelissen, 2008), il responsabile (Chief Communication Officer) e/o i
consulenti di comunicazione sono entrati a pieno titolo nella “coalizione
dominante” chiamati a partecipare alle decisioni strategiche e a contribuire
al successo delle imprese (van Riel, 1995; Grunig et al., 2002; Argenti et
al., 2005; Goodman, 2006; Invernizzi e Romenti, 2009).
Le principali attività di comunicazione strategica svolte dal responsabile
e/o dai consulenti di corporate communication consistono nell’ascolto
organizzato (Invernizzi, 2004, 2005; Cornelissen, 2008; Golinelli, 2011) e
nella reflective communication (van Ruler e Verčič, 2005). In un’epoca
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caratterizzata dallo stakeholder management, la reflective communication
consente di prendere in considerazione i problemi e le aspettative degli
stakeholder e di individuare le modalità di adeguata interazione con gli
stessi. La comunicazione aziendale riesce così ad essere strettamente legata
alla gestione strategica dell’impresa e alle sue relazioni con gli stakeholder
(Steyn, 2003).
La concezione del ruolo strategico della comunicazione si contrappone alla
visione tradizionale che vede la comunicazione come un’attività, o meglio
una funzione organizzativa, sostanzialmente tattica (White e Dozier, 1992),
che fa largo ricorso ai practitioner e alle technicality di cui questi sono
dotati (Cornelissen, 2008).10
L’evoluzione della concezione della
comunicazione ha suggerito la necessità del passaggio da un management
della comunicazione di tipo tattico ad uno di tipo strategico (Holm, 2006).
L’idea di integrare il marketing e le public relation nell’ambito di un
unico strategic managing system di corporate communication (Varey,
1998; Varey e White, 2000) contribuisce al dibattito sul management
strategico della comunicazione. In tale sistema, le attività di comunicazione
sono costruite intorno a relazioni forti, durature e paritarie con i diversi
stakeholder group.
Tali relazioni si focalizzano sul coinvolgimento e sulla collaborazione degli
stakeholder attraverso l’adozione di un interactive approach (Varey, 1998).
La varietà derivante dalle esperienze dei diversi soggetti coinvolti e il
dialogo con i diversi pubblici contribuiscono alla definizione delle priorità
nel processo di comunicazione e sostengono il ruolo attivo del CCO (Chief
Communication Officer).
10
Prof. Alfonso Siano Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Salerno. Fonte http://www.sinergiejournal.it/rivista/index.php/sinergie/article/view/680/461
Pag
.23
Il processo di corporate communication management comporta varie fasi,
alcune delle quali consistono nello svolgimento delle attività di
comunicazione (strategica e operativa) e altre che comportano l’assunzione
delle decisioni in materia di comunicazione (strategiche e operative)
Figura 1 Il processo di corporate communication
L’ingresso dello storytelling è voluto e forzato in questa
figura, come nuova modalità di comunicazione rientrante
nella Communication strategy.11
11
Figura 1 (storytelling) mia elaborazione.
Pag
.24
Il processo ha inizio a livello di management strategico (governo) con
l’accennata attività di ascolto organizzato (environmental scanning),
destinata alla conoscenza delle aspettative dei pubblici esterni e interni
all’impresa e del loro giudizio circa la reputazione di quest’ultima.
In un ambiente sempre più interconnesso e interattivo si rende necessario
un approccio di tipo sense-adapt-in cui i communication director e i
consultant sono in costante ascolto dei differenti stakeholder group e
rispondono loro attraverso le forme ed i canali di comunicazione più
appropriati. L’approccio sense-adapt-respond favorisce la diffusione delle
abilità di comunicazione che valorizzano la comunicazione bidirezionale,
il dialogo e la cooperazione con gli stakeholder.
All’attività di ascolto segue l’attività strategico-riflettiva (reflective
communication), con funzione di information support in quanto ha la
finalità di trasferire ai membri della “coalizione dominante” le indicazioni
sulle aspettative e sulle percezioni dei pubblici, per orientare la vision
aziendale, per stimolare eventualmente la revisione del sistema dei valori
guida condivisi dai membri dell’organizzazione a base della corporate
culture, per consentire l’assunzione di strategie corporate e di business in
linea con le attese dei resource-holder. L’attività di ascolto organizzato e
l’attività riflettiva rappresentano le due fondamentali attività di
comunicazione strategica, per il fatto di coinvolgere membri della
coalizione dominante e di supportare le decisioni di quest’organismo di
governance (v. Tab. 1) (v.Tab.2)
Pag
.25
TAB.1 : PRINCIPALI ATTIVITA’ DI COMUNICAZIONE STRATEGICA SVOLTE DAI MEMBRI DELLA COALIZIONE DOMINANTE
MEMBRI DELLA COALIZIONE DOMINANTE COINVOLTI
ATTIVITA’ STRATEGICHE DI COMUNICAZIONE
Tutti i membri (soprattutto il CEO, il CCO, il CMO, i consulenti di comunicazione)
Attività di ascolto organizzato (environmental scanning): - conoscenza del contesto, identificazione degli stakeholder group e dei pubblici influenti - comprensione e interpretazione delle aspettative dei pubblici, rilevazione della percezione e del giudizio dei pubblici in merito alla reputazione dell’organizzazione
CEO, CCO, CMO, consulenti di comunicazione
Attività strategico-riflettiva (information support): - apporto di informazioni, nell’ambito della coalizione dominante, circa le aspettative dei pubblici influenti, per consentire opportuni cambiamenti e adeguamenti dell’organizzazione - contributo alla definizione dei valori guida (corporate culture), della vision e della strategia di corporate/business
Tabella 1 : Principali attività di Comunicazione Strategica svolte dalla coalizione dominante
la strategia di comunicazione trova attuazione attraverso le decisioni e le
attività operative di comunicazione (v. tab. 2). È compito del management
operativo sviluppare e gestire l’attività relazionale e di stimolo
all’estroversione. Le prime sono destinate a creare e instaurare relazioni
simmetriche e durevoli con gli stakeholder (Ledingham e Bruning, 2000;
Grunig, 2001; Ledingham, 2003). Le seconde servono a stimolare la
partecipazione attiva dei clienti e degli altri stakeholder, nell’ambito per lo
più dei social media e delle brand community. Questo stimolo mira ad
indurre la produzione di contenuti multimediali generati direttamente dagli
utenti (user generated) (Nova24 Le Idee, 2011).12
12 Le tab.1,2 sono miei adattamenti prodotti dal paper del Prof. Alfonso Siano Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Salerno. Fonte http://www.sinergiejournal.it/rivista/index.php/sinergie/article/view/680/461
Pag
.26
TAB.2 : PRINCIPALI ATTIVITA’ DI COMUNICAZIONE STRATEGICA SVOLTE DAI MEMBRI DELLA COALIZIONE DOMINANTE
MEMBRI DELLA COALIZIONE DOMINANTE COINVOLTI
ATTIVITA’ OPERATIVE DI COMUNICAZIONE
CEO, CCO, CHRO, consulenti di comunicazione
CEO, CCO, CMO, consulenti di comunicazione
Tutti i membri CCO, CMO, consulenti di
comunicazione
Attività relazionale: - diffusione dei valori guida, della mission e della vision (all’interno e all’esterno dell’organizzazione) - diffusione dei contenuti della strategia di corporate/business (all’interno dell’organizzazione) - sviluppo di relazioni simmetriche con gli stakeholder - attuazione di programmi di branding (ethical branding, employer branding, retail branding, brand extension, corporate trademark licensing, co-branding, ingredient branding, ecc.)
CCO, CMO, consulenti di comunicazione
Attività di stimolo all’estroversione: stimolare la partecipazione attiva dei clienti nei social media e nelle brand community, ai fini della produzione di contenuti user generated (contenuti multimediali generati dagli utenti)
Tabella 2 : Principali attività di comunicazione strategica svolte dalla coalizione dominante
Un punto in comune che manca alle tabelle (1,2) tra le principali attività di
comunicazione operativa è lo Storytelling, argomento che inseriremo per
completare e implementare il processo di comunicazione e di strategy
dell’impresa. Prima di immergerci nel mondo dello storytelling e della
narrazione d’impresa affronteremo nel prossimo paragrafo, a conclusione
del capitolo, passaggi importanti per comprendere l’era della post-
modernità, consumi, identità e brand, dall’immagine alla reputazione ( due
componenti importantissime della Corporate communication), il marketing
esperienziale: dalla co-creazione alla working consumers.
Pag
.27
1.4 Dal fare comunicazione all’essere comunicazione.
Le attività di consumo sono ormai un elemento centrale nella vita delle
persone: passiamo più tempo a consumare che a lavorare. Il consumo è
sempre meno una semplice attività volta a rispondere a necessità specifiche
e sempre più caratterizzato da aspetti edonistici, dalla ricerca di piacere e di
gratificazione. Consumiamo sempre meno da soli; il consumo è
tipicamente un fatto sociale: momenti, valori, significati condivisi con altri,
amici, familiari o persone che non conosciamo ma hanno, per esempio, una
nostra stessa passione; si pensi ad un concerto di Ligabue, alle iniziative in
memoria di De André, alle partite di calcio allo stadio. D’altro canto, anche
una partita vista a casa su Sky da soli diventa poi un fatto da raccontare,
discutere e condividere con gli altri, oltre che un’attività di consumo.13
Una volta per soddisfare le richieste dei consumatori più esigenti era
sufficiente fabbricare buoni prodotti e migliorare la qualità dei servizi.
Oggi questo non basta più. Si punta infatti all’esperienza globale, quella
che riesce a coinvolgere non solo i sensi, ma anche il cuore e la mente.
“L’economia- dice Felice Limosani – è di fatto nell’era della produzione
di esperienze: si è partiti dalle materie prime e dalla produzione di beni e
si è passati ai servizi come valore aggiunto. Ma oggi beni e servizi non
bastano più, mentre l’orientamento a produrre emozioni origina scenari
sempre nuovi”14
Il consumatore contemporaneo preferisce vivere immerso in esperienze di
consumo anziché acquistare meri prodotti e servizi. Il consumo post-
moderno si riassume così nell’immersione in esperienze costituite da 13
Carù A., Cova B., a cura di (2007), Consuming Experience, Routledge, London 14
http://www.felicelimosani.com/upload/7oO_141_7piZ.pdf
Pag
.28
incontri affascinanti, spettacolari, dalle mille sfaccettature. Il consumatore
oggi viene percepito come un essere emozionale, in cerca di esperienze
sensibili che lo facciano interagire con i prodotti e i servizi del sistema di
consumo. Tutto ciò conduce gli esperti di marketing a stemperare la visione
funzionalista e utilitaristica del consumo con una visione detta
esperienziale, la quale mette in rilievo i valori edonistici e la soggettività
dell’individuo. Tradizionalmente legata alla microeconomia e alla
psicologia ( sia comportamentista sia cognitivista), la visione funzionalista
del consumo si concentra sulla ricerca di informazioni e sul processo
d’influenza del consumatore, al fine di ottimizzare le transazioni di
individui considerati isolatamente. Nella prospettiva esperienziale, al
contrario, il consumatore non cerca tanto di massimizzare un profitto,
quanto di ottenere una gratificazione edonistica nell’ambito di un contesto
sociale. Il consumo scatena infatti sensazioni ed emozioni che, lungi dal
rispondere semplicemente a dei bisogni, vanno a toccare l’ambito della
ricerca identitaria del consumatore. Non si tratta più, semplicemente, di
“fare i propri acquisti”, ma di “vivere delle esperienze” e, più spesso, delle
esperienze “integrate”, poiché queste fanno appello a tutti i sensi
dell’individuo.
Il nuovo consumatore si muove dunque dinamicamente e può avere diverse
attitudini al consumo in relazione al diverso momento che sta vivendo e
condividendo con altre persone, potremmo definirli “momenti di vita” in
contrapposizione ai classici e ormai poco funzionali ”stili di vita”, tipici
del marketing tradizionale.15
15
Cova B., Giordano A., Pallera M., terza ed. aggiornata 2012 ( a cura di) : Marketing non-convenzionale
Pag
.29
Il marketing esperienziale si collega alle esperienze vissute dal
consumatore, le quali si generano quando egli si imbatte, subisce o vive
alcuni avvenimenti. L’esperienza di consumo si definisce come il momento
in cui si prova qualcosa di bello o di brutto, provocato intenzionalmente o
meno, come qualcosa che arricchisce il pensiero e che è decisivo per la sua
organizzazione. Queste esperienze, più che valori funzionali, possiedono
valori sensoriali, emozionali, cognitivi, comportamentali e relazionali. Il
consumatore non percepisce la situazione in termini di categorie
strettamente definite, ma in termine di consumo nel suo insieme. Per una
migliore comprensione delle tipologie di esperienza al consumo, si può
utilizzare il quadro semiotico dei valori delle esperienze.16
Figura 2 Tipologia delle esperienze di consumo
16 Cova B.,Louyot – Gallicher M. C (2006) Innover en marketing, Lavoisier, Paris.
PR
ATI
CA
Utile
Funzionale
Pratico
Tecnico
UTO
PIC
A
Evasione
Avventura
Sogno
Metamorfosi
Trasgressione
CR
ITIC
A
Essenziale
Sobrio
Basico
Economico
Necessario
Vantaggioso
LUD
ICA
Evasione
Divertimento
Scenografia
Gadget
Sorpresa
Provocazione
Humor
Pag
.30
L’oggetto dell’esperienza deve coniugare valori d’uso ( pratico e critico) e
valori esistenziali ( utopico e ludico). In parole povere, il consumatore
vuole tutto e il contrario di tutto: dall’oggetto dell’esperienza, e dal
marchio che lo produce, si aspetta non solo la riproducibilità
dell’esperienza e la diminuzione del rischio percepito, ma anche nuove
sensazioni, emozioni ed esperienze. Il marchio (brand) sarà allo stesso
tempo un dispositivo in grado di “industrializzare” le esperienze, ma anche
un attore capace di dare prova di fantasia. Il marketing esperienziale si
pone quindi il problema di come produrre, o co-produrre insieme al
consumatore, queste esperienze di consumo considerato che come abbiamo
più volte detto nel corso del capitolo il consumatore non è più un attore
passivo che reagisce a determinati stimoli, ma piuttosto un attore attivo
nonché il produttore delle proprie esperienze di consumo, le imprese
tuttavia hanno cercato di agevolare la realizzazione di queste esperienze.
1.4.1 Le imprese verso la co-creazione
In effetti, negli ultimi anni si è assistito a un crescente incremento da parte
delle imprese nel coinvolgere il consumatore nella definizione dell’offerta.
La co-creazione contempla un coinvolgimento del consumatore, il quale
collabora attivamente e arbitrariamente alla cogenerazione dell’offerta e del
valore in esso compreso. Ciò implica una illimitata libertà di azione alla
creatività dei consumatori, i quali possono così arricchire l’offerta
d’impresa con conoscenze e idee del tutto impreviste e imprevedibili.
Alcune figure qui a seguito spiegheranno al meglio l’evoluzione verso la
co-creazione (fig.3,4,5).
Pag
.31
Il Marketing tradizionale (Good- Dominant Logic, G-D Logic) risponde
alla logica del value-in- exchange ( valore dello scambio) fig.3, il valore è
impresso nei prodotti o servizi ed è completamente separato dal
consumatore.
Figura 3 La vecchia logica del Marketing (G-D-Logic)
Tratto comune dei nuovi approcci di marketing è la tendenza ad andare
verso il consumatore coinvolgendolo nei processi di creazione del valore.
Questa impostazione ha fatto emergere una nuova logica del marketing, la
Pag
.32
S-D Logic (Service- Dominant Logic) 17
, una logica in cui i meccanismi di
produzione del valore si liberano dal controllo esclusivo dell’offerta per
collocarsi invece nell’interazione tra imprese e consumatori, un
cambiamento di prospettiva che dall’idea di valore nello scambio (value-in-
exchange), propria del marketing tradizionale, si sposta verso l’idea di
valore nell’uso o nell’interazione ( value-in- use).
Figura 4 La nuova logica del marketing (S-D Logic)
La S-D Logic, risponde alla logica del value- in- use, il valore non è
incorporato nell’offerta ma viene co-creato dalle imprese e dai
consumatori, non è valutato su basi oggettive ma secondo la percezione del
consumatore. L’elemento di novità apportato dalla S-D Logic consiste
quindi nell’enfatizzare l’importanza delle conoscenze degli attori coinvolti
nel processo d’interazione. L’incontro e la condivisione di queste risorse
rappresenta il momento topico della co-creazione del valore. Nel marketing
17
Vargo S.L., Lush R.F. (2004), “Evolving to a New Dominant logic for Marketing”, Journa l of marketing, 68(1) pp.90-102
Conoscenze e
competenze del
consumatore.
Value proposition.
Conoscenze e
competenze
dell’impresa.
Co- Creazione di
Valore.
(Value- in- use)
Pag
.33
tradizionale ciò che costituisce oggetto di scambio sono le operand
resources (beni e servizi), nella nuova logica del marketing sono le operant
resources( conoscenze, abilità, competenze) a essere impiegate e condivise
da consumatori e imprese insieme per generare valore.
Ciò induce le imprese ad assumere un diverso atteggiamento verso il
mercato che dal modello “market to” della vecchia logica si sposta verso
un modello “market with”. Un ripensamento, dunque, della visione
kotleriana incardinata sui must pianificazione-gestione-controllo che
prescrivono un atteggiamento unilaterale dell’impresa verso il mercato, e il
debutto di un atteggiamento interazionale che chiama in causa i
consumatori come partner nella generazione del valore. Tale percorso ha
ridisegnato la funzione dell’impresa rispetto al mercato: nella service-logic,
infatti, l’impresa si limita ad avanzare una value proposition (Vargo e
Lusch,2004),una proposta di valore alla quale il consumatore partecipa e
collabora attraverso la sua percezione personale.
Anche se nella letteratura di marketing il tema della co-creazione è legato
in maniera stringente alle due tipologie classiche del valore, e cioè al valore
di scambio e il valore d’uso, oggi è possibile parlare di una nuova tipologia
del valore legata soprattutto al consumo: il valore del legame.18
Fig.4
A differenza del valore di scambio e del valore d’uso che fanno riferimento
principalmente al singolo individuo, il valore di legame emerge nel
momento in cui nella società si ricopre il bisogno di appartenenza.19
In una società dal sapore tribale e comunitario, i beni e i servizi del sistema
dei consumi non sono percepiti come valori primari, ma, piuttosto, sono
18
Cova B. (1997) “community and consuption”: towards a definition of the “linking Value” of product or services”, European journal of marketing, pp.297-316. 19
Maffessoli M.(2000a) L’istante eterno. Ritorno del tragico nel post-moderno, Sossella, Roma,2003.
Pag
.34
subalterni rispetto alla loro capacità di creare e di mantenere il legame
sociale. Questo significa che le tribù, avendo bisogno di consolidare e
affermare la loro unione , sono costantemente alla ricerca di tutto ciò che
garantisca la riaffermazione continua di tale unione: un luogo, un emblema,
dei rituali, dei riconoscimenti ecc.
Figura 5 Il valore del legame
Le sottoculture di consumo, le brand community e le tribù di consumatori
sono l’espressione più limpida di come i raggruppamenti di consumatori
intorno a uno specifico prodotto, una marca o un’attività di consumo in
genere contribuiscano a caratterizzarne l’immagine che socialmente ne
viene percepita. (v.fig.6) Sarebbe impossibile pensare alla Harley Davidson
senza il contributo degli HOG, alla Lego senza il contributo degli AFOL,
alla Nutella senza i nutellari…
I consumatori, perseguendo i medesimi interessi di consumo, generano
delle emozioni -ricordiamoci questa parola che ci tornerà utile quando
Marca/Prodotto V
alore d
i
legame.
Pag
.35
affronteremo nel prossimo capitolo la narrazione d’impresa e dei suoi
prodotti nella logica dello storytelling – di solidarismo condiviso attraverso
la creazione di mondi culturali frammentari, distintivi, autopoietici e a volte
effimeri.20
In questa prospettiva, i consumatori rilavorano attivamente i significati
simbolici codificati nei messaggi pubblicitari, nelle marche, nei punti
vendita o, in generale, nei beni materiali per realizzare i loro personali
obiettivi di identità e stili di vita, è la nascita del Prosumer.
Figura 6 Cultura, impresa e consumatori.
20
Codeluppi V. (2005) Manuale di sociologia dei consumi, Carrocci, Roma.
Consumatori occasionali.
Pag
.36
1.4.2 La working consumer.
Ritornando a quanto abbiamo detto nei paragrafi precedenti, e cioè alla
capacità dei consumatori di manipolare prodotti e servizi grazie al
contributo delle nuove tecnologie di comunicazione, dedichiamo questo
paragrafo al contributo che questi offrono a vari livelli nella
determinazione dell’offerta. La collaborazione dei consumatori nella
definizione dei prodotti e dei brand è stata di recente approfondita dalla
ricerca21
. In particolare, il termine impiegato per indicare tale fenomeno è
working consumer. I consumatori collaboratori prestano il loro savoir-faire
relativo all’offerta secondo diverse pratiche e diverse situazioni di
consumo. Nello specifico vengono individuate:
Consumption experience
Co-production in the service encounter
Consumer resistance
Service-Dominant Logic of marketing
Collaborative innovation
Consumer empowerment
Consumer agency
Consumer tribes.
Questi contributi dimostrano come il tema della partecipazione del
consumatore nella elaborazione dell’offerta d’impresa sia sempre più
centrale nelle dinamiche di consumo attuali. Il consumer made è un
tentativo di risposta alle più recenti mutazioni del consumatore. I
cambiamenti in atto nelle cosiddette società “post-moderne”, insieme alle
rivoluzioni tecnologiche cosiddette “post-industriali”( prime fra tutte
21
Cova B., Dalli D. (2009) “working consumer : the next step in marketing theory?, marketing theory, pp.315-39
Pag
.37
l’espansione di internet), fanno emergere consumatori sempre più capaci di
resistere alle iniziative di marketing delle aziende e in possesso di una
sempre maggiore competenza in merito ai prodotti e ai marchi che
utilizzano. “L’intersezione dei vari approcci consente di identificare quattro
tipi di strategie di collaborazione ( fig.7), che consentono di reagire alle
sfide poste dal nuovo potere del consumatore:
Figura 7 Tipologie di collaborazione consumer made
Co-innovazione : L’azienda coinvolge utilizzatori leader o comunità
di utilizzatori nel processo di progettazione del nuovo prodotto o
Co-Innovazione.
Progettazione guidata dal
consumatore
Co-Produzione
Esperienze prodotte dal consumatore
Co-immaginazione
Racconti dei consumatori
Co-Promozione
Concetti generati dal
consumatore
Controllo del Marketing (offerta e mix)
Controllo del consumo (esperienza e uso)
Pag
.38
servizio. Questo coinvolgimento può andare da un semplice voto sul
colore del futuro prodotto, come ha fatto Lenovo per il nuovo
ThinkPad IBM, alla creazione di una piattaforma interattiva di
progettazione del prodotto che consenta un vero e proprio design
partecipativo.
Co-promozione: L’azienda coinvolge un gran numero di
consumatori, generalmente attraverso un concorso, nella produzione
di immagini e filmati per le sue campagne pubblicitarie. Il richiamo
che si viene a creare costituisce già di per sé un’attività di
comunicazione.
Co-produzione: In questo caso il consumatore non fornisce un
contributo generico alla progettazione di un prodotto o di un marchio
o alla definizione di una campagna, ma partecipa nella sua qualità di
consumatore. A questo scopo, l’azienda sviluppa modalità che
consentano al consumatore di personalizzare l’offerta di prodotto, in
particolare tramite piattaforme di self-serving (in opposizione a
semplici dispositivi di self-service). A questo aspetto funzionale si
accompagna anche un aspetto simbolico: nel momento in cui non
offre l’immagine del prodotto come USP (unique selling proposition,
proposta unica di vendita), ma consente invece la libera associazione
del prodotto a un significato fluttuante, l’azienda offre ai
consumatori la possibilità di permeare la propria esperienza di
consumo con qualsivoglia significato essi desiderino, come nel caso
Pag
.39
di Red Bull22
- “strategia di costruzione del mito” che vedremo nei
prossimi capitoli quando parleremo di storytelling.
Co-immaginazione: L’azienda incoraggia lo sviluppo di tutto ciò che
può sollecitare l’interazione quotidiana entro comunità di
appassionati di un determinato marchio, prodotto o servizio. In senso
ampio, ciò significa coinvolgere le storie delle persone : cosa
sarebbe un marchio senza il racconto delle esperienze vissute dai
suoi più convinti consumatori? A tal scopo, l’azienda sviluppa
piattaforme comunitarie, che inducono gruppi di utilizzatori a
mobilitarsi per produrre e riprodurre narrazioni. On line queste
piattaforme si traducono in siti comunitari, che posso assumere
forme diverse, come “my nutella the community” o come desmoblog
(blog.ducati.com) oppure off line, quali per esempio i raduni di
appassionati e altri rituali, cui ciascuno può prendere parte creando
una propria storia e condividerla con quelle di altre persone.
1.4.3 Brand image brand reputation brand story.
Per rispondere ai bisogni esistenziali del consumatore, la marca (brand)
deve quindi diventare un elemento in grado di interpretare le sue esigenze e
di proporre coerenti nuove esperienze di vita. Tale creazione di relazioni
profonde e durature con l’individuo contemporaneo può avvenire solo se il
brand crea mondi e personaggi mutevoli, ma sempre attuali, che gli
22
www.redbull.com/it/it/events
Pag
.40
permettano di mantenere un senso di credibilità e autorevolezza23
; è
importante che la marca abbia “una storia da raccontare, che possa per un
tempo determinato sovrapporsi o confondersi con la storia dello
spettatore”24
. Il brand, pertanto, deve rielaborare continuamente il proprio
mondo vedendo il passato non solo come un serbatoio di ricordi, ma anche
un terreno da riscoprire in termini di stimolazione, ispirazione e creatività.
“I creativi leggono i sentimenti che la gente prova”25
Da sempre le marche hanno cercato di costruirsi un’immagine attraverso
gli strumenti del marketing, dall’advertising alle PR. Possiamo considerare
il concetto di brand image come la “marca che parla di sé”, che indossa un
bel vestito per piacere alla gente. Una forma piacevole che spesso è servita
a nascondere una sostanza non altrettanto splendente, come ci insegnano gli
scandali finanziari in cui sono state coinvolte alcune aziende come Enron e
Parmalat, oppure le campagne di boicottaggio che hanno colpito marchi
come McDonald’s, Nestlé, Shell, per citarne alcune.
23
Gnasso S., (2012) consumi e identità o della supremazia narrativa ai tempi della crisi. Lupetti editore, milano. Storyline collana diretta da Andrea Fontana. 24
Morace F., Società felici, Scheiwiller, Milano 2004 25
Felice Limosani in “ ink and water – don’t mix – The future / www.felicelimosani.com
Pag
.41
“ L’immagine è tutto. Anche troppo. Dopo anni, anzi decenni,
passati a inseguire falsi bisogni (e vere etichette) le nuove
generazioni stanno impadronendosi di una nuova consapevolezza :
la vita è fatta di sostanza, non solo di apparenza.”26
Al contrario dell’immagine, una buona reputazione è il risultato di un
processo di creazione collettiva della percezione del brand.
Andrea Semprini27
in una sua definizione di marca dice: “ Una marca è
costituita dall’insieme dei discorsi tenuti su di essa dalla totalità dei
soggetti (individuali e collettivi) coinvolti nella sua generazione”.
Sono quindi “le persone che parlano della marca” a creare una buona o
cattiva reputazione. Una reputazione dipende molto di più dalla sostanza
dei comportamenti dell’azienda che dall’apparenza delle dichiarazioni di
chi ne gestisce le attività di comunicazione. E se da un lato non risulta
particolarmente difficile aumentare nel breve periodo la propria visibilità in
termini di notorietà, la reputazione non può essere condizionata o
manipolata facilmente: la fiducia delle persone, anche se può essere estorta
nel breve periodo, non può essere acquistata con l’immagine.
26
Naomi Klein 2010, No Logo, Baldini&Castoldi –“ La Bibbia del Movimento antiglobalizzazione NYT” 27
Andrea Semprini è il maggior specialista italiano della marca. Dirige l'istituto di ricerca Arkema (www.arkema.com) e consiglia numerose grandi marche italiane e internazionali. Insegna all'Università IULM, nell'unica laurea specialistica italiana dedicata alle strategie di marca. Sullo stesso tema ha pubblicato Marche e mondi possibili (1993) e La marca (1997).
Pag
.42
Il concetto di brand reputation riconosce quindi il crescente potere di
accesso alle informazioni delle persone e la situazione di aumentata
“trasparenza” in cui si trovano le aziende al tempo di internet.
Oggi un’informazione che un tempo poteva essere tenuta nascosta o
comunque arginata localmente, si diffonde tra i nodi della rete a
velocità supersonica.
Non ci sono più segreti: il mercato on line conosce i prodotti meglio delle
aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, tutti, prima o poi,
possono venire a saperlo. Tuttavia la reputazione, come abbiamo detto, si
alimenta di comportamenti e non di dichiarazioni.
Per questo è importante per l’azienda controllare costantemente
l’applicazione di norme, principi etici, valori, diffondendone la cultura
dell’organizzazione e vigilando affinché i comportamenti siano coerenti
con i valori e con i principi dichiarati.
La reputazione del brand non deve però essere intesa esclusivamente in
termini etici e valoriali, ma dovrebbe essere anche valutata in termini di
rilevanza economica, culturale, simbolica.
Per esempio, Diesel si distingue come brand anche per il sostegno che offre
a tematiche sociali, come lo sviluppo sostenibile e il surriscaldamento
Pag
.43
globale, ma soprattutto per la capacità che ha di essere estremamente cool e
culturalmente attuale dal punto di vista della comunicazione e del design
dei suoi prodotti.
Più che alla semplice opinione positiva che le persone hanno sulla qualità
dei prodotti o dei servizi delle aziende, la reputazione ha a che fare con la
capacità di entusiasmare gli animi e di mobilitare le persone, in definitiva:
quando aziende e prodotti sono in grado di creare veri e propri sostenitori
del brand. Parliamo di brand advocancy: di come il brand è in grado di
alimentare consenso ed entusiasmo verso la propria causa, sostegno al
proprio” progetto di senso”, come direbbe Semprini.
Entusiasmare gli animi, emozionare e raccontarsi oggi è sempre più
frequente: le imprese si raccontano e raccontano i propri brand attraverso i
propri clienti (brand story). In meno di 15 anni il marketing è passato
prima da prodotto a logo, poi dal logo alla story; dal brand image a brand
story.
Pag
.44
Chiudo questo paragrafo con un’emozionante video28
di brand story della
British airways India che racconta la storia di una mamma indiana e di suo
figlio espatriato che ha nostalgia della propria casa nativa. Una storia
toccante dove il brand ( Voli British airways) è defilato rispetto alla storia e
la storia tocca tutti noi. Video cliccato da 1,3 milioni di visitatori.
Enjoy…
28
http://www.youtube.com/watch?v=WPcfJuk1t8s
Pag
.45
1.5 Un caso emblematico di Co-creazione:
Il Mulino che vorrei29
Chiudiamo questo capitolo con l’esperienza italiana di co-creazione di
maggior successo, Il mulino che vorrei. Nel marzo del 2009, Mulino
Bianco, endorsement brand della Barilla, da sempre all’avanguardia nel
campo del marketing e della comunicazione, ha deciso di inaugurare un
nuovo corso nel modo di relazionarsi con i consumatori.
Il Mulino che Vorrei è:
“un progetto che non parla, ascolta”;
“un progetto che non dice, fa”;
“un progetto che non insegna, impara”.
L’idea è quella di creare una piattaforma, o meglio un ambiente in cui
consumatori e impresa possano incontrarsi per discutere, condividere idee e
creare contenuti: si tratta quindi di un progetto che vuole aprire a processi
di co-generazione di contenuti lasciando cadere il tradizionale confine che
separa le imprese dal pubblico dei consumatori. In questo caso si va oltre la
classica implementazione della piattaforma relazionale, anzi, nel Mulino
che Vorrei proprio i sistemi di relazione costituiscono uno dei fattori
determinanti per la realizzazione del progetto, si pensi all’integrazione
delle idee espresse dai gruppi su Facebook come nei casi del Pan di Stelle o
del soldino. Tutto ciò rende il progetto un laboratorio di idee che va oltre la
pura valenza strumentale della cassetta dei suggerimenti.( v. Fig.8)
29
http://www.nelmulinochevorrei.it/
Pag
.46
Figura 8 La piattaforma : il mulino che vorrei
Il fatto che l’impresa sia coinvolta nella partecipazione rende il progetto
delicatissimo proprio perché la spinge a cedere parte delle sue prerogative
ai consumatori, con una perdita di controllo su alcune attività e alcuni
processi. Tutto ciò va oltre gli schemi tradizionali a cui le imprese da
sempre sono abituate.
Il progetto si è articolato in due tempi. Una prima fase di lancio, in cui il
Mulino Bianco si è presentata al pubblico spiegando i propri propositi ed
esponendo le ragioni dell’iniziativa:
“Vogliamo raccogliere le vostre idee, analizzarle e, compatibilmente
con la nostra missione, visione e valori, realizzarle insieme”.
“Non abbiamo pregiudizi, ci mettiamo in gioco: siamo pronti ad
ascoltare qualsiasi proposta, anche non coerente oggi con il nostro
lavoro”.
Pag
.47
“E chiediamo la vostra partecipazione: prenderemo in considerazione
tutte le idee, ma vi chiediamo di indicarci, votandole, le idee che
ritenete più interessanti”.
Saremo trasparenti e partecipativi: tutte le idee che valuteremo
riceveranno una risposta pubblica di fattibilità o meno.
Una seconda fase di carattere operativo in cui l’azienda, attraverso un
percorso articolato in più step, ha passato al vaglio le proposte dei
consumatori sulla base dei criteri specifici per poi pervenire alla
selezione delle idee da realizzare concretamente.
Prima fase: Valutazione.
Seconda fase: Fattibilità e stima del potenziale.
Terza fase: Realizzazione.
Dopo la pubblicazione di ogni idea, Mulino Bianco interviene
prendendo in carica le dieci più votate sottoponendole al processo di
valutazione. Durante tutto il percorso i partecipanti continuano ad
inviare le proprie idee e a votare quelle degli altri. Non appena una delle
dieci idee inizia la fase di realizzazione o viene scartata, quella più
votata in quel momento entra nel ciclo di valutazione. Per tutte quelle
idee che non possono o non potranno diventare realtà, dopo averle
valutate, Mulino Bianco s’impegna a dare una spiegazione esaustiva del
perché della mancata realizzazione.
Di seguito alcuni esempi delle idee in corso di valutazione e sviluppo.
Le idee dei consumatori realizzate:
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.48
Il Soldino!
Allora, dato che i nostalgici reclamano il soldino a gran voce, che ne
dite di fare un soldino con l’euro? A testimonianza del fatto che Mulino
Bianco è una certezza che ci accompagna da quando eravamo piccoli a
oggi che siamo genitori! Tutto passa…Mulino Bianco resta!
Nuove confezioni Pan di stelle luminose
Sarebbe bello fare in modo che le stelline delle confezioni merendine e
biscotti Pan di Stelle potessero essere fosforescenti o in qualche modo
luminose. Poterle vedere al buio credo sarebbe molto stimolante per i
piccoli, che una volta finito il pacco di biscotti o merendine potrebbero
ritagliarsi la carta e farsi il loro piccolo angolo di cielo stellato.
Le idee in fase di realizzazione:
Sosteniamo le Oasi WWF
Vorrei proporre un nuovo formato di biscotto a forma di panda
(utilizzando lo stesso impasto degli Abbracci) vendendoli con un
sovrapprezzo di 10-15 centesimi a pacchetto. I soldi raccolti andranno a
sostegno delle Oasi WWF Italia.
Le idee in fase di valutazione:
Un Mulino vero!
Costruire un vero mulino che possa diventare un parco dei divertimenti:
con giostre fatte con ingredienti giganti. Per esempio, farei gli
autoscontri con tazzine giganti e montagne russe a forma di merendine.
Pag
.49
Il Mulino che Vorrei è un esempio molto significativo di co-creazione (
co-generazione) di valore. Non s tratta semplicemente di un nuovo
modo di fare comunicazione impiegando le attuali tecnologie web, e
nemmeno un progetto innovativo di marketing.
In realtà il Mulino che Vorrei rappresenta un cambiamento di
prospettiva dell’azienda, un cambiamento che passa per un sostanziale
ripensamento del modo di intendere il mercato, i consumatori e il ruolo
dell’impresa. Anzi, proprio i risultati ottenuti e i contributi offerti dai
consumatori hanno fatto capire a Barilla che Mulino Bianco rappresenta
qualcosa di più che una semplice fabbrica di biscotti. Se si guarda alle
proposte avanzate dai consumatori, come il ritorno del Soldino o le
nuove confezioni luminose di Pan di Stelle, ci si accorge che queste idee
nascondono una carica di nostalgia e di sogno, chiaro segnale di come i
prodotti e la marca Mulino Bianco siano strettamente intrecciati con la
vita delle persone, con il loro passato e con le loro aspirazioni per il
presente e il futuro.
E’ proprio in questa nuova dimensione del consumo, e nella funzione
che esercita nel vissuto quotidiano delle persone, che si colloca
l’eccezionalità del progetto il Mulino che Vorrei, un progetto precursore
di un nuovo modo di intendere il marketing e che contribuisce alla sua
definizione in maniera propositiva e non più semplicemente facendo
ricorso alla negazione del passato (non – convenzionale)
Pag
.50
2. S is for Storytelling
La comunicazione nella logica narrativa.
2.1 Introduzione allo Storytelling.
in dall’antichità il coinvolgimento di un pubblico passa attraverso
la narrazione di storie: uno strumento universale e potente per
facilitare la condivisione di messaggi tra individui ed
organizzazioni.
Le storie hanno sempre avuto un valore fondamentale nei rapporti umani,
permettendo di diffondere la cultura, organizzare il mondo circostante,
creare l'identità sociale di ognuno, stabilire delle connessioni emotive e
soprattutto ricordare.
Dal tempo dei faraoni dell’antico Egitto, con le storie degli scribi che li
decantavano, alle saghe scandinave, dalle eziologie alle vite dei santi, fino
ai giorni nostri con lo sviluppo del digital storytelling, il potere
dell’immaginazione ha permesso all’uomo di inventare storie e trasmetterle
agli altri attraverso diverse modalità di trasmissione, dalla semplice oralità,
ai testi scritti, fino agli strumenti multimediali.
Narrare infatti è un’attività molto antica adoperata dall’uomo per
comunicare ai suoi simili la propria conoscenza e consapevolezza di eventi,
cose e persone.
S
“Dimmi e dimenticherò, mostrami e
forse ricorderò, coinvolgimi e
comprenderò“. Confucio.
Pag
.51
Narrare vuol dire “far conoscere”. Lo suggerisce anche l’etimologia
presente nel lessico latino, il verbo “narrare” deriva dalla radice
indoeuropea gnâ (accorgersi, sapere), da cui deriva anche il verbo latino
conoscere (cfr. Poggio 2004).
Un narratore quindi, attraverso informazioni note solo a lui, può rendere
partecipi della propria personale esperienza altre persone. La narrazione è
uno degli strumenti più utili alla condivisione dell’ esperienza del singolo
con una più ampia comunità.
Mediante la narrazione si viene a costruire una parte rilevante di quel
patrimonio di memorie e di esperienze che definiscono un’intera tradizione
culturale (miti, leggende, racconti).
In passato infatti la trasmissione delle conoscenze veniva esclusivamente
per forma orale (la parola), dato che la scrittura non si era ancora
sviluppata o era privilegio per poche persone, e quindi l’unico modo per
preservare la cultura e la memoria storica della società era quello di ripetere
costantemente i racconti in modo che divenissero delle tradizioni.
Il mistero racchiuso in ogni “parola” è ancora oggi uno dei temi più
dibattuti di tutta la storia dell’umanità. La sua capacità di incantare,
trasformare, persuadere, terrorizzare la rende uno strumento molto potente,
malleabile ma difficilmente controllabile.
Un tema certo non nuovo, le cui origini possono essere rintracciate già a
partire dalla cultura greco-romana, culla della retorica e della poetica,
patria di grandi filosofi e dei primi grandi poemi, da Omero a Virgilio. Lo
studio delle strutture e dei generi narrativi nasce da qui, per poi essere
ripreso intorno agli anni 60-70 del 900 ( Narratologia: termine coniato dal
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.52
filosofo Tzventan Todorov)30
ed esplodere nel nostro secolo dove la
riflessione è andata spostandosi in nuove aree di pensiero: dal folclore
all’antropologia, dalla comunicazione, alla psicologia, al marketing.
Ci si potrebbe chiedere per quale motivo sia emerso questo rinnovato
interesse nei confronti del racconto e come si sia sviluppato il pensiero nel
corso degli anni a tal proposito.
I perché possono essere molteplici ma derivano soprattutto da quanto
abbiamo detto all’inizio: da sempre la parola risulta essere uno strumento
che contraddistingue l’uomo, e che lo identifica come tale rispetto al
mondo animale, pertanto avere una padronanza dello strumento non solo è
importante oggi ma è un elemento strategico capace di creare a vari livelli
(aziendale, individuale, politico, sociale) un vero e proprio vantaggio
competitivo.
Questo è ancora più vero se pensiamo alla situazione attuale caratterizzata
da un overload informativo, un’overdose cognitiva che ha invaso tutti i
campi, grazie soprattutto all’evoluzione della tecnologia, madre dei social
network, dei blog e delle recenti applicazioni fruibili con semplici
apparecchi mobili.
Potremmo aggiungere : “Attraverso la narrazione, intesa come contesto
privilegiato di rielaborazione di dati e informazioni, è possibile attivare
veri e propri processi di costruzione di nuova conoscenza e
apprendimento. Ciò attiverebbe la capacità di mettere in relazione gli stati
interiori con la realtà esterna, di ricollegare il passato con il presente in
un’ottica di proiezione nel futuro e, infine, di rendere possibile la
30 Tzvetan Todorov ( bulgaro : Цветан Тодоров ) (nato il 1 marzo 1939) franco- bulgaro è uno storico , filosofo , critico letterario , sociologo e saggista. E 'autore di numerosi libri e saggi, con una influenza notevole in
antropologia , sociologia , semiotica , teoria della letteratura nel pensiero della storia e teoria della cultura .
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.53
percezione degli individui come soggettività dotate di scopi, valori e
legami. ”31
. La narrazione, o storytelling, è considerata uno dei meccanismi
più interessanti non solo come strumento di rielaborazione cognitiva dei
contenuti, valori, pratiche culturali, ma anche come dispositivo per
socializzare la conoscenza, condividerla e rielaborarla collettivamente.
Attraverso racconti, piccoli miti e “storielle”, infatti, sia nelle piccole
imprese sia nella grandi organizzazioni, circola gran parte dei saperi,
formali ed informali, delle istituzioni (Salmon, 2007).
Essa è da tempo oggetto sconfinato di studi da parte di diverse discipline:
ha svolto un ruolo centrale nella riflessione filosofico - semiologica
(Barthes, 1973; Greimas, 1983; Eco, 1979); gli psicologi ne hanno indagato
le potenzialità come strumento cognitivo e mnemonico (Bruner, 1986);in
ambito più specificamente sociologico è stato esplorato il ruolo delle storie
nel collocare socialmente i frame dell’esperienza individuale (Bateson,
1979); altre scuole si sono soffermate nello specifico sulle storie mediali,
evidenziando il ruolo della fiction televisiva nel raccontare, ma soprattutto
nel modellare, la realtà (Gerbner, 1985).
Viviamo in una dimensione narrativa. Dall’automobile alla camera da
letto, dai cellulari ai reality televisivi, la nostra vita quotidiana è
costantemente avvolta da una rete narrativa che filtra le nostre percezioni,
stimola i nostri pensieri, evoca le nostre emozioni, eccita i nostri sensi,
determinando risposte multisensoriali.
La narrazione è stata indagata per il suo potere emozionale, utile a costruire
una rete di valori, sottostanti ai fatti, che progressivamente alimentano
l’ossatura identitaria ed emozionale dell’individuo, riuscendo a veicolare 31
C. Petrucco e M. De Rossi, Narrare con il Digital Storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Carrocci Editore, 2009 cit. p.25
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.54
un insieme di credo e valori professionali, politici e identitari spesso più
forti di quelli basati sulla razionalità (Salmon, 2007).
Narrare con emozione sta a significare che raccontiamo esperienze
soggettive con elevata intensità, di breve durata, caratterizzata da un basso
controllo sul comportamento e da immediatezza.
Le emozioni determinano modificazioni nella fisiologia (cardiaco o del
ritmo come ad esempio aumento del battito cardiaco o del ritmo
respiratorio).
Lo storytelling è ormai pervasivo della vita umana, sia la nostra vita
personale che : quella di lavoro, perché la nostra realtà ha una struttura
discorsiva. Ma lo storytelling non è un semplice raccontare storie. E’ molto
di più. E ‘una disciplina e un metodo di lavoro.32
Siamo in un periodo di assedio testuale all’interno di un’economia del
simbolico: ogni sette anni l’insieme delle nostre conoscenze viene travolto.
Ogni diciotto mesi il potere elaborativo delle nostre “macchine” raddoppia.
Tutti i giorni, ogni nostro gesto di consumo (culturale, fisico, emotivo)
dipende da trame di desiderio non razionali che sono una sintesi decisionale
multisensoriale, che deriva dalla nostra memoria autobiografica, la quale è
di natura narrativa e funziona come una fiction su “format discorsivi” . Non
è forse vero che l’incitazione al consumo contemporaneo passa 32 Andrea Fontana Co-Founder Storyfactory e docente di "Storytelling e Narrazione d'Impresa" Università di Pavia Esperto di strategia aziendale, comunicazione d’impresa (aziendale e politica) e people engagement, con i suoi testi e le sue ricerche ha aperto in Italia il filone di riflessione e applicazione operativa sul “Corporate Storytelling”. Dal 2005 infatti insegna “Storytelling e Narrazione d’Impresa” all’Università di Pavia e dal 2001 “Metodologia della formazione” all`Università degli Studi di Milano-Bicocca. Direttore della collana editoriale Storyline, collana dedicata alle scienze della narrazione, che ha fondato e lanciato insieme all’editore Lupetti. E’ presidente dell’Osservatorio Italiano di Corporate Storytelling presso l’Università degli Studi di Pavia, e autore di numerosi testi di cultura manageriale. Ha scritto il primo manuale italiano sul corporate storytelling – Manuale di Storytelling, edito da Etas-Rizzoli, con cui ha pubblicato anche Story-selling e Storytelling Kit.99 esercizi per il pronto intervento narrativo.
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.55
dall’espressione di sé, che in fondo è un’incitazione (un po’ coattiva) a
raccontarsi? Come sottolineato da un profondo conoscitore di queste
dinamiche, ormai essere se stessi non basta più. Bisogna diventare la
propria storia.33
Abbiamo precedentemente detto che lo storytelling è molto di più del
semplice raccontare storie. E’ un approccio comune a molte scienze: dalla
sociologia all’economia, dalla giurisprudenza alle scienze politiche, lo
storytelling diviene anche una disciplina manageriale e organizzativa, che -
in questo “accerchiamento narrativo” – diventa strumento indispensabile
con cui essere ascoltati34
.
Un mezzo per sedurre e convincere, influenzare i pubblici di riferimento
(elettori e clienti), espandere le conoscenze, condividere esperienze e prassi
di lavoro. Formare identità istituzionali e personali. Riformulare decisioni
politiche ed economiche. Gestire controllo e potere. Un dispositivo
esistenziale e socio-professionale per costruire e governare il proprio
mindset di riferimento. Esiste quindi un connubio profondo tra narrazione,
business, organizzazione e potere? Nei prossimi paragrafi cercherò di
arrivare ad una risposta. L’escalation nell’interesse per la narrazione è
evidente in tanti ambiti della nostra società. Questo interesse e questa
diffusione sono naturali. In una società complessa, conoscitiva, a poteri
multipli, la narrazione è un sofisticato mezzo retorico di presidio e scambio
del potere, un modo per gestire la percezione dei pubblici che all’interno di
società conoscitive sono sempre più sofisticati ma anche sempre più
assuefatti. Come abbiamo precedentemente detto lo studio della narrazione
33
Salmon C.(2008) storytelling. La fabbrica delle storie, trad. it. Fazi, Roma. 34
C. Petrucco e M. De Rossi, Narrare con il Digital Storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Carrocci Editore, 2009
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.56
trova applicazione in vari ambiti anche lontani dalla loro origine iniziale.
Uno di questi ambiti si chiama impresa.
Adesso, dopo questo excursus concettuale, è venuto il momento di
occuparci più da vicino delle organizzazioni e dei tecno-sistemi che per
conservarsi, svilupparsi, innovarsi e competere, devono ormai vivere
narrativamente.
2.2 Il contesto
Ho voluto affidare la descrizione del contesto in cui operiamo alle parole di
Frank Rose35
partendo da questa domanda:
C'è un sottile filo conduttore che lega Omero a Batman? Forse sì, forse no.36
Il bello è che non ha la minima importanza. Il fattore comune tra i cantori
del passato e registi di oggi come Cristopher Nolan (l'autore dell'ultima
trilogia del Cavaliere Oscuro) è proprio l'arte di raccontare storie. Che si
tratti di una città sotto assedio da parte degli Achei o di una pericolosa
35 Antropologo digitale (come si definisce lui stesso sul suo sito), è uno scrittore e giornalista che si occupa di new media e del loro impatto sulla società. Ha pubblicato su «Wired», «Fortune», «The New York Times Magazine», e «Rolling Stone». - Frank Rose esplora i confini dello storytelling digitale anche nel suo blog Deep Media: una vera miniera da cui attingere ispirazione per immaginare il futuro dei film, della TV e anche del giornalismo. Omero raccontava le gesta di Troia, Christopher Nolan quelle di Gotham City: sebbene li separino millenni nelle loro storie c'è sempre spazio per la fantasia. Il suo ultimo libro: "Immersi nelle storie" di Frank Rose – Codice Edizioni, 2013. 36
http://www.festivalscienzalive.it/site/home/conferenze/articolo3010689.html
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.57
banda di criminali, il racconto delle gesta di eroi e antieroi passa sempre
attraverso meccanismi di coinvolgimento del pubblico.
Ma le storie cambiano, così come il modo di raccontarle: con il passare dei
secoli la recitazione in pubblico dei poemi epici è stata sostituita dalla
lettura solitaria dei libri. Al teatro si sono affiancati il cinema e la
televisione. Negli ultimi venti anni è arrivata Internet. Prima in sordina, poi
esplodendo attraverso il Web.
Le cose sono cambiate radicalmente, e il pubblico si è trasformato da
semplice ascoltatore ad attore in grado di dialogare con i propri eroi. È qui
che fa la sua comparsa Frank Rose, antropologo digitale e giornalista che si
occupa di new media.
Nel suo libro “Immersi nelle storie” ha raccolto le nuove frontiere della
narrazione, dai videogiochi fino alle serie televisive come Lost e Mad Men.
Ha cercato di immaginare cosa succede quando gli spettatori si appropriano
di pezzi di trama e cominciano a raccontarli a modo loro. Anche l'industria
dell'intrattenimento si è accorta del cambiamento di paradigma – da
ascoltatori passivi a utenti attivi – e ha iniziato a sperimentare nuove storie
sempre più interattive.
Il panorama del racconto multimediale ha assunto i colori più vari, dalle
web series diffuse su Youtube fino allo storytelling condiviso narrato da
centinaia di persone diverse. La storia non finisce qui, vedremo il tutto nel
quarto capitolo di questa tesi sul digital storytelling d’impresa.
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.58
2.3 Perché occuparsi di storytelling.
Prima di parlare delle tecniche del racconto dobbiamo affrontare una
questione di fondo: perché le storie funzionano? Come mai la narrazione è
così potente? La contro-narrazione. Cos’è l’ascolto e la sua memorabilità?
Sono state scritte tonnellate di pagine su questo tema. La domanda, però, è
meno banale di quanto potrebbe sembrare. Tutta la questione delle tecniche
del racconto parte da qui: come suscitare ascolto per la memorabilità.
Quante volte guardando un film o leggendo un romanzo, ci siamo sentiti
rapiti dalla storia? Questa particolare esperienza di ascolto prende un nome
specifico. Si chiama storylistening trance experience.
“Quando una persona racconta una storia e l’altra ascolta attivamente, i
loro cervelli iniziano immediatamente a sincronizzarsi”. 37
Figura 9 Storylistening trance experience
37
Stephens, Silbert, Hasson, 2011 – Osservatorio di corporate storytelling
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.59
2.3.1 Cos è la storylistening trance experience?
La trance narrativa da ascolto è infatti la conseguenza diretta di ogni
efficace operazione narrativa. Indipendentemente dall’intenzionalità che sta
dietro il racconto, quando ascoltiamo, vediamo o recepiamo una storia
cadiamo naturalmente in questo stato di coscienza alterato rispetto alla
norma, che porta a identificarci completamente con l’oggetto della
narrazione e con chi sta raccontando (storyteller), inducendoci a
sospendere la nostra incredulità.
E’ un meccanismo interessante.38
Come soggetti razionali siamo sempre critici, ma come soggetti psicologici
siamo portati ad annullare la nostra capacità critica e ad auto ingannarci.39
La narrazione e lo storytelling sfruttano – senza necessariamente
un’intenzionalità perversa – questa propensione al credere e
all’autoinganno volontario, consapevolmente attuato, perché partecipato,
nella costruzione di un “testo”. Psicologicamente, abbiamo bisogno di
credere a questa esigenza che richiede una struttura narrativa di risposta.
Per questo, se dobbiamo raccontare qualcosa dobbiamo partire da tale
bisogno fisiologico.
La trance d’ascolto è tutt’altro che una sensazione immediata. Esistono
alcune tappe che in un lasso temporale variabile ci fanno “perdere” in una
narrazione, indipendentemente che questa sia rappresentata da un libro, un
film, un comizio elettorale, un seminario accademico, un pettegolezzo tra
amici, un discorso commerciale, lo spot di un grande brand, e così via.
38
Fontana A., Storyselling – strategie del racconto per vendere sé stessi, i propri prodotti, la propria azienda,(2010) Rizzoli, Etas, Milano. 39
Goleman D., Menzogna, autoinganno, illusione, trad.it Rizzoli, Milano,1998
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.60
Queste tappe da conoscere se si vuole costruire un set di racconti
influenzanti, possono essere così suddivise (in figura). Le tappe di una
storylistening trance experience40
pur seguendo una linearità, dipendono
anche dalla narrazione che abbiamo di fronte, dalle sue caratteristiche e dai
media communication scelti per raccontarsi. Certo che se vogliamo
raccontare noi stessi, le nostre aziende o i nostri prodotti, l’arco di
esperienza della trance narrativa ci consegna alcune domande importanti in
ogni fase ( in corsivo):
Figura 10 Le tappe di una storylistening trance experience
Contatto : è il momento in cui entriamo fisicamente in contatto con
la narrazione attraverso i cinque sensi. Possiamo vedere, ascoltare,
gustare un oggetto narrativo;
D: in quale scenario narrativo fisico è immerso il mio interlocutore?
(cosa ascolta, sente, mangia, gusta, percepisce e così via);
Familiarità: è il momento in cui prendiamo confidenza con
l’oggetto narrativo, e così facendo iniziamo ad avere fiducia in esso;
40
Sturm B., “ The storylistening trance experience”, in journal of American Folklore,2000.
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.61
D:Quali sono i grandi temi esistenziali con cui posso entrare in
confidenza con il mio pubblico?(E’ interessato all’amore, al potere,
alla famiglia, al risparmio e così via);
Immersione: è il momento in cui “entriamo” completamente
nell’oggetto narrativo. Immergendoci in esso, ci perdiamo e la
narrazione prende vita.
D: come possiamo catturare le nostre audience? (in quale cultura
sono immerse e per cosa si emozionano?);
Identificazione: una volta che la narrazione prende vita e noi “siamo
dentro”, ci identifichiamo completamente con gli elementi del
racconto. Questi diventano parti integranti delle nostre autobiografie
e si “innestano” nelle nostre memorie fisiche, emotive e cognitive;
D: in quale momento biografico si trova il mio interlocutore e quali
problematiche di vita sta vivendo? (In modo tale da poter innestare
la mia proposta nel suo arco esistenziale);
Emersione: a un certo punto la narrazione giunge al termine, il libro
finisce, il film termina, il comizio si chiude, e piano piano
emergiamo dalla narrazione tornando al “mondo reale” e uscendo da
quello stato piacevole di perdita di noi stessi che aveva caratterizzato
le fasi precedenti;
D:torniamo alla dimensione fisica e chiediamoci quindi: cosa vivrà
l’interlocutore nel momento in cui uscirà dal mio mondo
narrativo?(dove si trova, cosa vedrà e ascolterà, come potrò
ulteriormente influenzare la sua esperienza spazio-temporale: nel
cinema, a scuola, alla stazione, nel punto vendita, e via dicendo);
Distanziazione: il tempo passa, la narrazione è terminata e ne
prendiamo le distanze, ce ne dimentichiamo, ma pur essendoci
Pag
.62
distaccati qualcosa rimane dentro e lavora. Ricordi di ogni tipo ci
seguono: profumi, personaggi, immagini, testi, contesti, figure,
frasi…
D: quali azioni posso fare per ri-attivare le memorie narrative del
mio interlocutore, su quali canali e con quali strumenti? (quali
action sequel progettare e attuare);
Trasformazione (relativa): a distanza di tempo, la narrazione ha
messo in moto alcune dinamiche psicologiche profonde
(assolutamente soggettive) che portano a piccoli o a grandi
cambiamenti interni. Una nuova idea che si insinua dentro di noi, un
nuovo modo di vedere le cose che mi porto sul lavoro, un nuovo
comportamento che decido di adottare. O anche semplicemente un
nuovo stato d’animo che mi porto a casa, che magari dura pochi
minuti ma che è stato comunque sintomo di una mia, pur breve,
trasformazione.
D: come rinforzare l’esperienza del microcambiamento interiore del
mio interlocutore? ( quale Customer user experience positiva ha il
soggetto dei miei prodotti, di me stesso, della mia azienda e come
rinforzare questo tipo di esperienza/percezione)
Questo arco di esperienza si ha quando la storia che ci viene narrata ci
appassiona. E una storia ci appassiona se ha determinate caratteristiche:
realismo, sense of wonder, emozione autobiografica e, soprattutto, resa del
sé, cioè quel processo attraverso cui sospendiamo la nostra incredulità, ci
arrendiamo alla storia e ci identifichiamo con l’oggetto del racconto.
Pag
.63
2.3.2 Perché ci piacciono le storie: da un punto
di vista psicologico.
Studi neuro-scentifici dimostrano che il nostro cervello è più incline a
ricordare storie piuttosto che fatti o dati e che, quindi, le informazioni con
cui si è entrati in contatto durante la giornata, vengono facilmente
dimenticate se non sono parte di una narrazione.
Perché?
La nostra mente ragiona narrativamente. Ciò che ci circonda viene
interpretato a livello di narrazione, le esperienze e le situazioni in cui ci
troviamo sono tutte storie in cui i vari elementi si ricollegano (in maniera
più o meno logica).
La nostra identità sociale è definita dalle storie che ci caratterizzano. Ci
poniamo nel mondo come un "carattere", che si definisce in base alle nostre
esperienze, relazioni ed atteggiamenti.
Le connessioni con gli altri si basano su storie ed esperienze vissute
insieme. Ci confrontiamo con la società in base alle storie che si creano
all'interno del nucleo di cui facciamo parte, la profondità dei rapporti che
abbiamo con gli altri è definita soprattutto dal modo in cui le loro storie si
collegano alla nostra.
Rappresentano il perfetto incontro tra logica e creatività. Le storie ci
permettono di dare un senso logico ai fatti, ma anche di interpretarli, di
legarli alle emozioni. In questo senso, la narrazione rappresenta uno stretto
collegamento tra i due emisferi del nostro cervello, tra la ragione e
l'emozione.
Pag
.64
Creano ordine, organizzando gli eventi in strutture logiche. Ci permettono
di capire gli eventi che accadono, di trovare spiegazioni, costanti, errori e di
sapere come comportarci in situazioni tra loro simili. Questo principio sta
alla base del senso di "conforto" che deriva dal trovarsi in una situazione
riconosciuta come familiare.
Creano connessione. Ci permettono di legarci emotivamente a persone o
avvenimenti molto lontani sia a livello fisico che culturale, creano empatia
con il personaggio, permettendoci di emozionarci con lui, soffrire, gioire,
piangere.
2.3.3 Perché ci piacciono le storie: da un punto
di vista pubblicitario.
Il valore della narrazione nel marketing sta nel poter sfruttare tutti questi
elementi a vantaggio del messaggio da trasmettere. Le storie non solo si
imprimono molto facilmente nella nostra mente, ma suscitano anche delle
emozioni, creando un legame tra chi le ascolta e chi le racconta (nel nostro
caso, il brand).
Quindi, reinterpretando i punti precedenti in un contesto pubblicitario, le
storie:
• Riproducono strutture di pensiero a noi familiari
• Definiscono "l'identità sociale" del brand
• Inseriscono il brand all'interno di un sistema di valori, umanizzandolo
Pag
.65
• Permettono di interpretare il suo senso logico a livello emotivo
• Restituiscono una sensazione di conforto riproducendo strutture narrative
familiari
• Ci legano emotivamente al personaggio della storia, e quindi al brand cui
è collegato
Risonanze magnetiche funzionali hanno mostrato che quando si tratta di
valutare un brand, il consumatore si basa sulle emozioni (sentimenti ed
esperienze personali) che associa alla marca piuttosto che sulle
informazioni (attributi del brand, statistiche, etc.) che ha a sua disposizione.
Inoltre, ricerche di mercato hanno dimostrato che la risposta emotiva ad
una pubblicità influenza l'acquisto molto più del suo stesso contenuto.
Ecco quindi come emerge la necessità per il brand di suscitare delle
emozioni nel consumatore creando un legame con lui.
Quale modo migliore di farlo se non con le storie? Un messaggio esposto
sottoforma di narrazione rende il suo significato immediatamente
percepibile, facilmente ricordabile ed altamente emozionale, superando le
barriere geografiche, linguistiche e culturali.
Pag
.66
2.4 Il potere della narrazione e della contro-
narrazione.
Quando decisi di studiare per questa tesi che avete nelle mani l’ho pensata
come un approccio teorico e pratico in modo da ottenere uno strumento
utile al fine di comprendere con esempi l’utilità dello storytelling. Di
seguito saranno descritti due esempi : il potere della narrazione e della
contro narrazione.
Case History: Ferrero- Brand Nutella
Non ci sono solo narrazioni, quello che sta accadendo oggi e che angoscia
le aziende e le organizzazioni corporate, ma fondamentalmente tutti noi, è
il fatto che esistono contro-narrazioni. Io non soltanto posso raccontare
qualcosa incrementandone il valore (economico, sociale ,ideale) a seconda
che questo qualcosa sia un brand, un prodotto, un territorio, una persona
ecc. ma posso anche contro-narrare (in positivo o negativo) e questo è un
altro motivo del perché stiamo parlando di storytelling.
Qui di seguito c’è un frame di un video che ci servirà a capire il potere
delle narrazioni e delle contro-narrazioni. Il video racconta Nutella come
un prodotto salutare: Claudio Silvestri cuoco della Nazionale di calcio “al
mattino non ho dubbi: frutta, latte, pane e nutella…”
Pag
.67
41
2011: Il potere della contro-narrazione. “ a me piac a Nutella”42
2014 Nutella si racconta nuovamente.43
41
Spot Tv Nutella Nazionale Italiana http://www.youtube.com/watch?v=wIN18YTlsXY 42
A' Mè Me Piac A' Nutell - Piccolo Lucio http://youtu.be/7WMaDyA8F0A 43
Nutella - 50 anni di Emozioni insieme http://www.youtube.com/watch?v=XiCgeBX8QfY
Nutella narrata da nutella, lo spot
mette in evidenzia l’aspetto
salutistico del prodotto: al mattino
non ho dubbi: frutta, latte, pane e
nutella…”
Il piccolo Lucio Vario un ragazzino
napoletano, paffutello, lancia un video
molto trash che diventa un cult con
milioni di view ( ad oggi sono
10.581.534) contro l’allora poche
migliaia di like del video original spot
Nutella.
Il potere della contro-narrazione della
Nutella fatta da questo video è una
derubricazione del raccordo primordiale
del prodotto. Lucio Vario riporta il
prodotto ad un abuso quasi smisurato
della Nutella, sicuramente non
salutistico.
Cosa accade oggi(una cronistoria).
Dopo circa tre anni nutella brand
Ferrero cerca di raccontarsi in maniera
diversa dopo l’episodio di contro-
narrazione del proprio prodotto.
Questo dimostra come il racconto di un
prodotto è in mano a tutti e non solo ai
brand. I brand sono costretti a reagire
ai racconti fatti dai consumatori.
Pag
.68
2.5 Il potere dello storytelling: un’infografica
Pag
.69
Pag
.70
2.6 Le storie sono strategie
Per poter generare un ascolto memorabile bisogna conoscere molto bene le
tecniche del racconto. I termini storia, discorso e narrazione, sono spesso
usati come sinonimi; anche io spesso in questa tesi li ho usati come
equivalenti, ma non sono la stessa cosa.
Secondo le definizioni che ci derivano dalle scienze del linguaggio e dalla
critica letteraria possiamo fare una prima distinzione:
Una storia (History) : è l’insieme degli eventi descritti secondo una
successione logica e cronologica, è il contenuto di un certo racconto.
Un racconto (story): è la forma del discorso con cui una certa storia
viene raccontata. E’ un’elaborazione di vicende reali e immaginarie.
E’ la forma del contenuto enunciato.
Una narrazione (narrative) : è l’atto attraverso cui una certa storia è
concretamente veicolata da qualche attore verso qualche pubblico.
Ma soprattutto: Una storia-narrazione è un media.
Pag
.71
La storia, infatti, è un media linguistico, in altre parole, se voglio
raccontare qualcosa a qualcuno devo avere un contenuto che poi elaboro in
una forma particolare di discorso (racconto) che a sua volta possiede una
trama e un genere, e che si posiziona nella memoria dei miei interlocutori
attraverso una procedura linguistica-iconica (immagini, parole, suoni,
atmosfere e così via. Una buona storia non solo risponde alla sete della
ragione, ma fa venire i crampi allo stomaco e fa battere il cuore. Per questo
manda in trance. Per costruire una storia d’impresa occorre avere una
strategia. Lo storytelling è prima di tutto un’attività strategica, perché la
narrazione è sempre un gesto strategico e un evento di interrelazione
sociale e istituzionale che qualche autore produce per qualche destinatario
che ascolta e poi interagisce interpretando. Il nostro obiettivo è generare
attenzione e memoria, e la narrazione produce, in un’audience, curiosità e
ricordo. Abbiamo detto che una storia è un gesto strategico e inventivo è
scritta o orale ed è sempre un prodotto e un processo: in altri termini, una
storia è un “cosa” e un “come”44
E’ un “cosa” perché è un atto comunicativo che contiene:
Un insieme di personaggi: che nel nostro caso potrebbero essere gli
individui, le aziende, i prodotti e i servizi;
Un’articolazione di temi: di base strategici per le intenzioni
comunicative.
Un sistema di azioni: cioè situazioni in cui un personaggio ha un
ruolo attivo, consapevole o inconsapevole;
Un’ambientazione spaziale e temporale: i luoghi e le cronologie in
cui la storia si svolge e viene raccontata;
44
Greimas A.,Courtes J., Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, trad.it. Mondadori, Milano, 2007.
Pag
.72
Una serie di avvenimenti: circostanze che capitano ai personaggi e
che essi subiscono all’interno di certi tempi storici;
Un pubblico specifico: le narrazioni, essendo gesti strategici, si
rivolgono sempre ad un ascoltatore ben definito.
Una storia è anche un “come”, perché a seconda del mezzo o del prodotto
comunicativo che si sceglie si possono avere esiti di efficacia diversi. Si
possono raccontare storie attraverso una docu-fiction, attraverso un
fumetto, una mail, un set di pro-card, un fotoromanzo, un ciclo di affreschi,
il teatro, un sito web, un biglietto da visita e via dicendo.45
E il mezzo il
”come” naturalmente influenza il ”cosa” (vedi figura11)
Figura 11 Le componenti principali di una storia
45
Eco. U., Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, Milano, 2000.
Sto
ria
"Cosa"
Personaggi
Temi
Azioni
Ambienti
Avvenimenti
Come""
Carta
Relazione
Digitale e visuale
Pag
.73
Le storie orientano, motivano, controllano e generano senso portando al
con-senso. Proteggono i confini delle identità. Ma se vogliamo costruire
una storia, oltre a considerare il “come” e il ”cosa”, dobbiamo chiederci,
oltre naturalmente al “chi” che rappresenta il nostro
target/consumatore/lettore a cui ci rivolgiamo, il “perché” di un racconto.
Possiamo affermare che esistono almeno quattro ragioni che orientano la
costruzione di una narrazione (per la promozione del consumo), generando
slancio e quindi motivandola:
Il controllo, che corrisponde alla necessità d sicurezza (narrazioni di
presidio): in questo senso le storie sono strumenti di mantenimento e
di circolazione statica dei saperi all’interno di società sociali
complesse. Quanto più una narrazione rimane stabile, tanto più
genera tradizione storica, controllo e inalterabilità sociale.
Lo sviluppo, che dà potere e che si collega alla necessità di costruire
il reale ( narrazioni di compimento) : in questo senso le storie sono
dispositivi pedagogici per diffondere pratiche morali/consumo, e per
farle diventare attività quotidiane
La cura, che è connessa alla necessità di esplorazione di piacere
(narrazione di dedizione): in questo senso le storie sono mezzi per
sanare, medicare e lenire i malesseri di un individuo o di un gruppo
sociale. Quanto più la narrazione riesce ad attenuare le ferite
dell’anima dell’interlocutore, tanto più questi sarà riconoscente e
fedele;
L’eccitazione, che corrisponde alla necessità di esplorazione e di
piacere (narrazioni di eccitamento): in questo senso le storie sono
strumenti di attivazione emozionale straordinaria per generare
sentimenti positivi e di investimento affettivo sulle cose. Quanto più
Pag
.74
la narrazione riesce ad “incendiare gli animi”, tanto più i miei
interlocutori saranno pronti a seguirmi nelle mie imprese.
Come possiamo vedere, la narrazione non è solo una critica letteraria,
ma uno dei modi attraverso cui comunichiamo strategie d’impresa e con
cui costruiamo la nostra identità corporate e ci autosperimentiamo a
livello sociale e organizzativo. La narrazione d’impresa alimenta non
solo la visione identitaria ma costruisce un vero e proprio rapporto
diretto con il lettore/consumatore.
In conclusione potremmo dire che un racconto individuale, d’impresa o
di prodotto è efficace quando : ( vedi figura12)
Figura 12 La narrazione funziona ed è efficace quando:
La narrazione funziona ed è efficace quando:
Intrattiene chi ascolta;
Viene ricordata (se il contenuto è memorabile);
Muove emozioni facendo identificare;
Genera appartenenza (e voglia di lasciarsi coinvolgere);
Aiuta la comprensione di eventi complessi;
Protegge i confini o esalta per superarli (a seconda degli scopi e delle necessità strategiche)
Manda in trance narrativa: generando la fisiologia "esperienza di perdersi"
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.75
La narrazione è ovunque:
“I racconti un punto di accesso….” Christopher Booker
Pag
.76
1. Lo storytelling aumenta la percezione di valore dell’oggetto narrato
(sia esso un brand, un prodotto, un territorio, ecc), questo plusvalore
è calcolabile ed è detto capitale narrativo.
2. Così come può aumentare il valore di un’oggetto, lo storytelling può
anche incidere sul suo disvalore: ciò accade con le contro-
narrazioni.
3. Le storie di vita degli stakeholder (sia interni che esterni) riferite al
brand aumenta il capitale narrativo del brand stesso, per questo
vanno fatte emergere strategicamente.
4. Lo Storytelling funziona perché il nostro modo di pensare è
narrativo: la narrazione dunque è un punto di accesso nella nostra e
nell’altrui mente.
5. La narrazione agisce sulla costruzione dell’identità; fa vivere
esperienze intense; rimane impressa nella memoria
6. Le tecniche di narrazione sono utilizzate in campi molto diversi
(consumi, intrattenimento, politica, ma anche economia, medicina,
didattica…) : la narrazione è ovunque, in ogni fenomeno
comunicazionale evoluto.
Cosa narrare con lo Storytelling ?
Brand
Prodotti/servizi
Persone
Spazi/Store/Mostre
Exhibitions
2.7 Il Potere della Narrazione
Learning Point
L
Pag
.77
3 Lo Storytelling in action
Trame Format Strutture
e organizzazioni sono “comunità umane basate su discorsi umani
che parlano di problemi umani”, e se le imprese, profit o meno
che siano, non organizzano questi discorsi, o muoiono o verranno
prese in ostaggio da altri attori sociali che sapranno organizzare i discorsi a
proprio uso e consumo.
Tutte le organizzazioni generando discorsi verso diversi interlocutori
(interni ed esterni), parlano dentro e fuori i propri confini per diversi e
validi motivi. Ma fondamentalmente comunicano per un’antica esigenza
retorica: convincere l’altro a fare quello che si desidera.
I discorsi che producono le organizzazioni sono sempre declinati secondo
trame più o meno specifiche e orientati a target o pubblici preordinati. E
siccome i discorsi contengono sempre propulsori biografici (vedremo nelle
pagine a seguire cosa sono), essi saranno sempre intessuti di spazio e tempo
e indicheranno come dovrebbe essere la nostra relazione con le cose.
Se queste persone (target/pubblici) sono i clienti interni, cioè il personale
dipendente, i discorsi, con le trame conseguenti, tendono a :
Informare, di solito su politiche e prassi di lavoro;
Motivare, tendenzialmente per accettare nuovi cambiamenti;
Orientare, generalmente verso l’assunzione di certi comportamenti;
Persuadere, abitualmente ad assumere certi atteggiamenti interni;
L
“Story is more powerful than the brand,
best story wins.” Tom Peters
Pag
.78
Promuovere, molto spesso servizi interni;
Far percepire certe nuove modalità fisiche di lavoro;
Se le persone (target/pubblici) sono clienti esterni, le cose si modificano ma
non più di tanto. I discorsi infatti tenderanno a:
Convincere a comprare i propri prodotti e servizi facendo leva sulla
razionalità e la logica;
Enfatizzare le componenti emozionali dei prodotti e dei servizi;
Persuadere nella legittimazione dei propri valori ideali;
Coinvolgere nell’esperienza di consumo, ormai teatralizzata e
montata ad arte per generare un riconoscimento tra le autobiografie
umane e le autobiografie delle marche-prodotti.
Tutte le organizzazioni hanno un estremo bisogno di comunicare per poter
sopravvivere e svilupparsi sui nostri mercati turbolenti, soprattutto in
questo momento storico – dominato dall’economia immateriale – dove pare
vincere o resistere chi è in grado di governare e raggiungere una
supremazia nel mondo simbolico-discorsivo. Quel mondo da dove
partirebbero gli impulsi all’acquisto.
3.1 Quali sono le trame d’impresa più diffuse?
In effetti le trame sono molteplici ed è sempre difficile generalizzare, ma
osservando la vita organizzativa ravvisiamo almeno quattro trame
ricorrenti e pervasive nei racconti istituzionali d’impresa (sia interni che
esterni). Esse riprendono le classiche trame indicate dalla retorica
Pag
.79
aristotelica, che il management dovrebbe presidiare e decidere di adoperare
più o meno strategicamente.46
Nei racconti infatti rientrano sempre matrici riconducibili:
All’epica
Al dramma
Al melodramma
Alla Commedia
Tuttavia, dobbiamo anche ammettere che le organizzazioni pubbliche o
private, profit e non profit, quando comunicano e generano discorsi lo
fanno attraverso precisi processi narratologici. Le organizzazioni che si
raccontano, e raccontano i loro prodotti e servizi, evocano sensazioni,
tracce emotive, traiettorie affettive che suggestionano la memoria
individuale e collettiva quindi il racconto diventa:
Un dispositivo per organizzare, progettare, dirigere meglio le attività
di lavoro;
Un sistema di manipolazione culturale della percezione.
Naturalmente conoscere il destinatario della mia narrazione è
fondamentale. Le migliori tecniche di persuasione antiche e moderne,
sfruttano l’analisi (auto)biografica. La prima cosa da fare se voglio fare
narrazione d’impresa è una profonda attività di intelligence sulle mie
audience. Conoscere e immaginare tutto del mio interlocutore. Un’attività
che aiuta, tra l’altro, a generare la trance narrativa da ascolto che abbiamo
visto nel capitolo precedente.
46
Garavelli B.M (1988), Manuale di retorica, Bompiani, Milano.
Pag
.80
Pertanto lo Storytelling diventa una strategia che potremmo riassumere con
tre regole basilari:
Quindi arrivare ad una strutturazione della strategia e del processo
specifico di corporate storytelling attraverso un meta-piano che potrebbe
essere questo qui di seguito:
Pag
.81
Primo step: Leggere il proprio lettore
Non esiste più il target anche se spesso ho usato questa parola per definire
o circoscrivere i consumatori. Tutto viene assorbito dal concetto di lettore
che interpreta e modifica, che partecipa attivamente alla narrazione.
Perciò occorre studiare il racconto di vita in cui il lettore è inserito,
Alessandra Cosso 47
nel suo libro “Raccontarsela” scrive: “Noi siamo
storie in continuo divenire, narriamo di noi, di chi incontriamo,
dell’ambiente in cui viviamo e che trasformiamo. Seguiamo un vero e
proprio copione…”In sostanza leggere il proprio lettore significa costruire
il copione di vita dei pubblici di riferimento, comprendere quali sono le
loro paure, quali le tensioni sociali in cui vivono, quali sono i grandi temi
esistenziali. Un esempio per capire meglio.
Quale è il copione di vita di un consumatore oggi in Italia:
Lettori Motivazioni/ spinte
Paure Temi Tesoro
Uomo 35 anni, single, sposato, oggi in attesa di occupazione.
Cura Potere Autoaffermazione Esplorazione Confronto
Donna, 40 anni, single, in carriera, ricopre la carica di marketing director in una grande azienda.
Cura Potere Autoaffermazione Esplorazione Confronto
Uomo, 75 anni in pensione, vedovo.
Cura Potere Autoaffermazione Esplorazione Confronto
47 Consulente d’impresa per i comportamenti organizzativi, è Professional certified counselor e giornalista professionista. Come Executive counselor, trainer e coach interviene nelle organizzazioni di lavoro per potenziare le competenze relazionali, facilitare l’espressione di sé e del proprio talento, favorire il benessere delle persone che lavorano. Il suo approccio è multidisciplinare e fa riferimento ad alcuni main focus: la cultura organizzativa, l’esplorazione e costruzione identitaria (individuale, di gruppo e organizzativa) e gli studi su scrittura efficace, linguaggio e narrazione applicati al mondo corporate. Docente di narrazione organizzativa presso Scuola Holden e di team coaching e counseling di gruppo presso il Centro Berne, dirige l'Osservatorio di corporate storytelling
dell'Università di Pavia. E' cresciuta in un ambiente internazionale e multiculturale ed è bilingue italiano-inglese.
Pag
.82
un possibile risultato…
Lettori Motivazioni/ spinte
Paure Temi Tesoro
Uomo 35 anni, single, sposato, oggi in attesa di occupazione.
Cura Potere
Solitudine Povertà
Lavoro Sostentamento
“Aiuto”
Donna, 40 anni, single, in carriera, ricopre la carica di marketing director in una grande azienda.
Potere Autoaffermazione Esplorazione
Vicinanza Fermarsi Tornare indietro
Presidiare Crescere di più Viaggiare Famiglia?
“Scoperta” “Forza”
Uomo, 75 anni in pensione, vedovo.
Cura
Malattia Povertà
Serenità Stare bene Solidità economica
“Vicinanza”
Secondo step: definire la core story
Ogni narrazione efficace si basa su una storia seminale, essa contiene
determinati elementi ed è sviluppata in base a specifici modelli e linee
narrative. Gli esperti del racconto usano uno specifico format per
organizzare e costruire le basi di una narrazione efficace. Questo schema si
chiama : Schema narrativo canonico.
3.2 Lo schema narrativo Canonico
Alcuni studiosi, come Propp, Bruner, Campbell e Vogler, da diversi punti
di vista disciplinari hanno fatto notare che ogni storia possiede al suo
interno alcuni elementi stabili che sono attivatori di dinamiche psichiche
profonde, che prima abbiamo chiamato: propulsori biografici.
Tali propulsori ricorrono in tutte le nostre narrazioni di vita e di lavoro.
Senza di essi non riusciremmo a riconoscerci e a decidere come agire. In
particolare nelle nostre narrazioni personali e professionali ricorrono spesso
propulsori riconducibili a questi elementi. Utilizziamo il seguente schema
per spiegarli meglio:
Pag
.83
Questi elementi sono propulsori biografici o attivatori di vita perché
mettono in moto dinamiche precise senza le quali non esisterebbe il
consumo contemporaneo (si veda la tabella) 48
48
Fontana A., Storyselling, Rizzoli, Etas, pag.62
Pag
.84
Tabella 3 Lo schema narrativo canonico, elementi e dinamiche.
Pag
.85
Possiamo fare due esempi concreti di schema narrativo canonico: l’uno
riguarda un famoso video degli hotel di lusso Shangri-La Resort49
, molto
bello dove sono ben visibili tutti gli elementi dello schema che abbiamo
appena visto; l’altro riguarda una nota azienda: Ikea.
Cosa racconta Ikea? Di essere protagonista di un’impresa sociale
fondamentale: democratizzare il design per portare felicità e bellezza nelle
case di noi tutti, combattendo di volta in volta contro vari “mostri”.
Certo, questo modello non riduce la complessità della vita umana, di
un’azienda o di un prodotto, e non può essere preso come un’esplicazione
totale dell’esistenza. E’ indubbio però che questo schema fornisce un buon
prototipo di comprensione del funzionamento della nostra vita di consumo
e di impresa.
Oggi un indispensabile format da inserire in tutti i discorsi di
influenzamento, di vendita e apprendimento, che abbiamo intenzione di
fare o attivare.
49
https://www.youtube.com/watch?v=J4jZ1UFR_Wc
Pag
.86
Figura 13 Un esempio di schema narrativo canonico- applicato a Ikea
3.3 Christopher Vogler : Il viaggio dell’eroe
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente è molto importante
considerare lo schema narrativo canonico, perché rappresenta le linee guida
di costruzione del sé (individuale, istituzionale organizzativo).
Lo schema narrativo canonico è una sorta di “metacopione” che
adoperiamo per definirci e raccontarci50
. Magari poi lo stravolgiamo, non lo
consideriamo e scegliamo altre forme di vita, ma esso ci aiuta
implicitamente a spiegarci meglio a noi stessi e agli altri perché “ciascuno
di noi non fa altro che raccontare e raccontarsi interminabilmente una storia
50
Bruner J., la fabbrica delle storie: Diritto, letteratura, vita trad.it. Laterza, Roma-Bari,2006.
Sistema Fornitori
Networ Logistico ecc.
Democratizzare il design.
"Qualità al miglior prezzo"
Competitors, mercato, lusso
Allegria,famiglia, bellezza ecc IKEA La noia
Tutti i prodotti e servizi
Il design di lusso a portata di tutti
Cliente Finale
Aiutanti Impresa Avversario
Trauma PROTAGONISTA- EROE Tesoro
Oggetti magici Sfida/obiettivo Beneficiario
Pag
.87
di se stesso nel mondo. Quindi possiamo dire che gli schemi narrativi
canonici sono un set di “rappresentazioni schematiche (o sceneggiature) di
natura semi-narrativa che i membri di una certa cultura hanno elaborato
sulla base di ripetute esperienze”51
Da Omero a Obama il format che comprende l’eroe che deve conquistare il
suo tesoro, vincendo le avversità della vita per compiere la sua impresa, è
un fondamento psicologico e dinamico di una narrazione efficace.
Joseph Campbell prima e Christopher Vogler poi hanno analizzato
specificatamente questa dinamica.
Lo studioso di mitologia comprata Joseph Campbell infatti ha sostenuto nel
suo celebre testo L’eroe dai mille volti che diversi miti, hanno in comune la
stessa struttura narratologica (monomito). Si tratta di una serie di eventi e di
episodi in successione invariate in ogni leggenda.
Influenzato dagli studi di Joseph Campbell, e dal suo L'eroe dai mille volti
(The Hero With a Thousand Faces, 1973), Vogler approfondisce la
struttura del mito a uso di scrittori di narrativa e cinema. I miti sono
qualcosa di cui la gente ha bisogno, momenti chiave di passaggio da uno
stadio della vita al prossimo, racconti che segnano la strada (come
nell'intervista di Bill Moyer a Cambell, The Power of Myth, 1988). Ogni
racconto ha quindi degli elementi universalmente rintracciabili nel viaggio
di un eroe, essi consistono di moduli (patterns) e varianti. Dunque è
possibile tracciare un atlante dei comportamenti di un eroe: una mappa per
il suo viaggio di trasformazione (cresce, cambia, fa un percorso da un
modo d'essere a un altro). Sono dodici fasi (stages) sul cui telaio stanno
appunto le molte possibili varianti ma, sintetizzando, si potrebbe dire che la
51
Volli U., Manuale di semiotica, Laterza, Bari-Roma,2007
Pag
.88
tesi di Vogler sia che la quasi totalità delle storie moderne si basino in
realtà su modelli di storie. Seguendo il modello di Vogler la Disney fu in
grado di uscire dal periodo nero in cui si era ritrovata negli anni Ottanta e
Novanta, producendo i film che l’aiutarono a risollevarsi, a partire dal Re
Leone su cui ha lavorato lo stesso Vogler.52
Secondo Vogler53
esistono delle tappe specifiche nel viaggio che un eroe
deve compiere e sette figure base (archetipi) , simili per certi versi allo
schema narrativo canonico. Queste tappe sono sintetizzate in figura 14
Figura 14 Le tappe del viaggio dell’eroe
52
Rimando per una descrizione dettagliata al testo: Vogler C., Il viaggio dell’Eroe, Dino Audino Editore, Roma, 1999. 53
http://it.wikipedia.org/wiki/Christopher_Vogler
Habitat iniziale del Protagonista
II. Richiamo all’avventura.
Il Protagonista è chiamato ad affrontare una sfida
III. Rifiuto del richiamo
Fase di resistenza al cambiamento
IV. Varco della prima soglia
Momento oltre il quale non si può tornare indietro
V. Prova Centrale
Il punto più pericoloso dell’avventura
VI. Ricompensa
Il protagonista vince un tesoro
superando una prova
VII. Compimento
Il protagonista raggiunge il suo
scopo e “cresce”
Pag
.89
Come si può vedere lo schema narrativo canonico, arricchito dalle
riflessioni di Vogler sul viaggio dell’Eroe, è insito nelle nostre dinamiche
educative e di consumo. Lo schema narrativo canonico e il viaggio
dell’eroe sono quindi elementi da considerare nel racconto pubblico.
Queste due componenti generano una ibridazione tra le tecniche della
sceneggiatura e la semiotica di stampo francese. Joseph Sassoon54
è stato il
primo a teorizzare questa ibridazione tra lo screenwriter e la semiotica
francese. A lui si deve questa felice fusione teorica e operativa attraverso il
metodo che Sassoon definisce: semioscreen.
Inoltre, la storia che raccontiamo su noi stessi, sulla nostra azienda o sul
nostro prodotto deve generare una trasformazione e deve parlare di un
cambiamento che sappia far identificare.
“I buoni racconti ci fanno sentire di aver avuto un’esperienza
soddisfacente e completa: abbiamo pianto, riso o fatto entrambe le cose.
Alla fine della storia si ha la sensazione di aver imparato qualcosa sulla
vita o su noi stessi.”(Vogler,1999, p.7)
In una narrazione completa bisogna mettere in moto la storia con un
“sistema di personaggi” per far partire la giusta strategia di
influenzamento, nel prossimo paragrafo a conclusione di questa parte
vedremo un ultimo format o mappa narrativa di Christopher Booker anche
essa geniale per la costruzione di storie di brand: The seven basic plots.
54 Joseph Sassoon ha insegnato a lungo Sociologia della comunicazione all'Università degli Studi di Milano. È presidente di Alphabet, istituto specializzato nella ricerca qualitativa e negli studi sulla comunicazione con sede a Milano. È esperto di semiotica e di storytelling e lavora come consulente e ricercatore su tutte le forme di comunicazione esterna dell'impresa. Opera per molte delle più importanti società nazionali e, per alcune società multinazionali, estende la sua attività a vari paesi europei, agli Stati Uniti ed ai paesi asiatici emergenti.
Pag
.90
3.4 Christopher Booker: The seven basic plots
Raccontare il brand attraverso 7 modelli narrativi .
Per quanto creativa e originale una storia possa sembrare, niente di quanto
viene raccontato è nuovo. Tutti i racconti, che siano quelli di Shakespeare o
quelli di Spielberg, possono essere ridotti a sette tipi di storie, sette trame
archetipiche che ricorrono nella narrazione. (in tabella 4)
La sfida per un creativo, per uno storyteller per un marketer non è quindi
quella di inventare una storia, ma scegliere quale tipo di storia sia più
adatta a raccontare il brand.
Tabella 4 I sette modelli narrativi di Christopher Booker
Pag
.91
Booker ha analizzato i motivi per cui gli esseri umani sono
psicologicamente programmati per immaginare storie in questo modo.
Questo è l’argomento55
del panel organizzato da Advertising Week in
collaborazione con l’agenzia TBWA, il suo presidente Rob Schwartz e i
due relatori, l’executive creative director di Droga5 Ted Royer e la
scrittrice e creativa Kathy Hepinstall .La discussione è stata costruita sugli
argomenti del libro The Seven Basic Plots di Christopher Booker, in cui
l’autore elenca i sette archetipi che ricorrono in ogni tipo di narrazione.
Di seguito sono elencate le sette trame con esempi di advertising che si
adattano a ciascuna di esse:
Sconfiggere il mostro
Tante sono le storie di principi e guerrieri coraggiosi costretti ad affrontare
un mostro, pensiamo a Beowulf o a Davide che sconfigge Golia. La storia
del perdente che, contro tutti i pronostici, sconfigge il suo avversario è un
classico. Questo tipo di plot è presente
anche nell’advertising, pensiamo allo
spot “1984″ di Apple56
contro il
Grande Fratello, e al tentativo di
American Express di affrontare il
Black Friday con “Small Business
Saturday”57
.
55 Quest’articolo è una libera traduzione di “7 Basic Types of Stories: Which One Is Your Brand Telling?” pubblicato in ottobre su ADWEEK da Tim Nudd. - Rob Schwartz, Ted Royer e Kathy Hepinstall ci spiegano come utilizzare i sette archetipi della narrazione per raccontare il brand. Fonte:http://www.ninjamarketing.it/2012/11/19/raccontare-il-brand-attarverso-sette-modelli-narrativi/ 56
http://www.youtube.com/watch?v=fq0fNQQPCrE Spot Apple 1984 contro il Grande fratello. 57
http://www.youtube.com/watch?v=rIYHjs1vEAo “Small Business Saturday – American Exspress”
Pag
.92
La rinascita
La storia di un rinnovamento. “La vita è meravigliosa” del 1946 è un primo
esempio dal cinema. I brand che raccontano storie di rinnovamento sono
Gatorade58
, la cui campagna “Replay” ha permesso a vecchi membri di
squadre sportive di riconquistare la loro giovinezza riaffrontando vecchi
nemici e Prudential59
, che presenta il pensionamento come l’inizio di un
nuovo capitolo, piuttosto che la fine di uno vecchio.
La missione
In quasi tutte le narrazioni, l’eroe deve superare una missione dal punto A
al punto B. “Il Signore degli Anelli” è il classico esempio. IBM60
e Lexus61
sono tra i brand che si sono dati una missione, come rendere il pianeta più
intelligente e perseguire la perfezione.
Missione IBM: L'Italia, insieme al Giappone, è il Paese in cui gli abitanti
sono più longevi. A Bolzano, quasi un quarto della popolazione ha più di
65 anni e quasi la metà del budget dei servizi sociali viene speso per la
terza età. Ci sono strutture dove gli anziani sono assistiti 24 ore al giorno,
ma sono costose per l'amministrazione, così come per agli assistiti e le loro
famiglie. È sicuramente meglio che una persona anziana possa vivere il più
a lungo possibile a casa propria, dove si sente a suo agio. IBM ha aiutato la
città di Bolzano a realizzare un progetto pilota in cui le case di un gruppo di
anziani sono state equipaggiate con un sistema di tele-monitoraggio: una
rete di sensori tiene sotto controllo ambiente, temperatura, presenza di CO2
58
http://www.youtube.com/watch?v=AHACqEjN8Eg - Gatorade Campagna Replay. 59
http://www.youtube.com/watch?v=SiEsm-UOioc - Prudential — Day One: Mujahid Abdul-Rashid 60
http://www.youtube.com/watch?v=NEF585_s7RA - Soluzioni per un pianeta più intelligente. 61
http://www.youtube.com/watch?v=EWQb7oXboh0 Lexus Ibrido per l’ambiente.
Pag
.93
e CO, oltre a eventuali perdite d'acqua, fughe di gas, ecc. In caso di valori
anormali, vengono attivati i processi opportuni e, grazie ad analisi
predittive, è possibile anticipare l'occorrere di alcuni eventi. Gli assistiti
possono inoltre interagire con personale socio-sanitario via touch-screen o
dispositivi mobili. Il risultato? Il Comune gestisce le risorse economiche e
umane in modo più produttivo. E gli anziani si sentono più sicuri.
Il viaggio e il ritorno
Come si suol dire, non è importante la destinazione, ma il viaggio. E ancora
più importante è il ritorno a casa. Tante sono le storie di trasformazione
attraverso un viaggio – e ritorno, dal classico “Il mago di Oz” al più recente
“Nel paese delle creature selvagge”.
La birra Corona62
è uno dei marchi che incoraggia a partire, esortando i
consumatori a “trovare la propria spiaggia” e tornare rinfrescato. Anche
Expedia63
ha costruito la sua nuova campagna attorno all’idea di cambiare
le proprie conoscenze attraverso il viaggio e il ritorno.
La commedia
L’altra faccia della tragedia, e l’ultimo dei grandi topoi della narrazione, è
forse il più difficile da fare bene, ma è anche quello più popolare nella
pubblicità, con Old Spice64
e Geico65
tra i marchi leader nel settore.
62
http://www.youtube.com/watch?v=z23TBvBJsCg - Corona Find Your Beach Campaign Case Study 63
https://www.youtube.com/watch?v=lSraAzQg_oY#t=10 -Expedia+ rewards | Safari :60 64
http://www.youtube.com/watch?v=rDiKff1iXWQ&list=PLoF_PWSjd6xV9Rk3mrNrmT9D0Oi2DNpx2 65
http://www.youtube.com/watch?v=0hWLQxkffFM -GEICO: Guinea Pigs Row Tiny Boat
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.94
La tragedia
Dai Greci a Shakespeare, le tragedie sono storie sul lato oscuro
dell’umanità e sulla natura futile dell’esperienza umana. La pubblicità
raramente utilizza questo tipo di storie, se non nel marketing sociale, dove
racconti deprimenti e scioccanti possono convincere le persone a prendersi
cura di un problema.
Dalle stalle alle stelle
In letteratura: Charles Dickens e Cenerentola. Nei film: “Una poltrona per
due”. In pubblicità: Chrysler66
, che rinasce dalle ceneri di Detroit, e
Johnny Walker67
, la cui storia è quella di un ragazzo di campagna
scozzese arrivato al successo mondiale.
Cosa ci suggeriscono Rob Schwartz, Ted Royer, Kathy Hepinstall ?
Rob Schwartz ha suggerito che le sette trame possono indicare un modello
utile a comprendere come la storia di un brand dovrebbe essere quando non
ce n’è una, o quando non è abbastanza forte. Durante il panel, sia Royer
che Hepinstall hanno parlato dell’importanza di generare storie potenti che
sembrino vere.
Ted Royer, Droga5, ha dichiarato: “Se lo facciamo bene, possiamo
raccontare storie davvero belle. Uno dei miei spot preferiti di tutti i tempi è
quello di Halo con le statuette di metallo. Hanno splendidamente
raffigurato di cosa si tratta il gioco… ho pensato che fosse affascinante,
66
http://video.repubblica.it/motori/caso-fiat-chrysler/86177/84566 Chrysler Detroit 67
http://www.youtube.com/watch?v=MnSIp76CvUI - Johnnie Walker - The Man Who Walked Around The World
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.95
meraviglioso e sorprendente. “Alla base di ogni brand”, Royer ha aggiunto,
“c’è una buona storia in attesa di essere raccontata”.
“Quando si inizia a lavorare con un cliente, non vogliamo fare un brief.
Non vogliamo chiedere semplicemente ‘Qual è il tuo problema?’ Vogliamo
chiedere ‘Perché la tua azienda ha iniziato? Qual è la tua mission?’ Si parla
di mission per tutto il tempo, ed è solo un altro modo di dire ‘Che tipo di
storia stai utilizzando? Che tipo di storia vuoi raccontare?’ Parte del
nostro lavoro come agenzia è quello di trovare quale sia il tipo di storia più
adatto.”
Una nuova difficoltà nell’era digitale è come i consumatori reagiscono e
rispondono alla storia . “La cosa divertente per me è quando una storia non
va secondo i piani“, ha detto Kathy Hepinstall. “Prima era una cosa a
senso unico, in cui l’azienda diceva ‘Noi siamo questo’ senza avere alcun
feedback. Ora, nell’era dei social media, questo è impossibile.”
Si riferisce ai recenti manifesti in crowdsourcing di Shell e l’incidente
Walmart/Pitbull come prova dei disastri che possono accadere quando i
marchi perdono il controllo delle loro storie.
Royer di Droga5 ha parlato poi della campagna “Day One” per
Prudential, che non considera solo la storia del brand, ma anche le storie
individuali delle 10.000 persone che vanno in pensione tutti i giorni, che
nutrono quel timore che Prudential vuole trasformare in ottimismo.
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.96
“Ci deve essere un modo, abbiamo pensato, di trovare una via di mezzo in
cui è possibile avere una conversazione aperta su questo periodo della vita,
su cosa può essere, su che cosa pensi che sia, e sul suo potenziale. Ecco
perché l’abbiamo chiamato Day One. Si tratta di una etichetta, ma è un
punto fisso nella vita di ognuno di noi. Tutti in questa stanza hanno un Day
one. E se lo vedono come un punto che si muove in avanti, come un punto
in cui ci può essere ottimismo, ci può essere rinnovamento, al lavoro non ci
saranno solo paura e confusione, allora penso che Prudential abbia una
mission al di là dei prodotti che vende. ”
Molte pubblicità sul pensionamento utilizzano il modello narrativo “dalle
stalle alle stelle”, con sacche da golf e yatch. Droga 5 ha cambiato modello,
scegliendo quello della “rinascita” per dare al brand maggiore
riconoscibilità.
I relatori hanno inoltre discusso del fenomeno dell’utilizzo del prodotto
come storia, in particolare, l’esempio di Nike FuelBand. Tale prodotto,
sviluppato dall’agenzia R/GA, incarna la brand mission di Nike, che è la
storia di una missione, quella della ricerca del corpo perfetto.
Le sette trame di base potrebbero dare ai creativi ispirazione quando
devono creare storie. La Hepinstall ha consigliato poi che a volte può
essere utile un focus verso l’esterno, allontanandosi dal marchio, verso i
consumatori, per comprendere le loro esperienze e le loro storie.
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.97
3.5 Gli ambiti di applicazione dello Storytelling
L’impresa con la sua identità specifica e la sua cultura vive, si sviluppa e si
consolida all’interno delle storie che è riuscita a far nascere, creando una
personalità narrante e narrabile, cioè una serie di segni distintivi critici
che contraddistinguono la sua “anima” e permettono il riconoscimento
interno ed esterno del suo valore. Il raccontare storie è parte della
condizione organizzativa, è cosa dannatamente seria che il management
non può lasciare al caso o, peggio, all’istinto. Infatti, chi possiede le
strutture narrative di un’organizzazione possiede i modi di costruire
significati perché – come abbiamo visto nei paragrafi precedenti – le
strutture narrative sono forme universali attraverso cui le persone
comprendono la realtà e la manipolano.68
Ogni impresa recita precisi
copioni condensati in formati specifici, e adopera particolari costrutti
narrativi. Se non si controllano e si governano o meglio non si presidiano
queste posizioni, l’organizzazione verrà inesorabilmente controllata e
dominata dalla supremazia narrativa di qualcun altro.( Salmon, 2008).
Oltre al presidio manageriale la condivisione di significati attraverso la
narrazione contribuisce alla formazione di comunità di riconoscimento
interno ed esterno, comunità di pratiche: perché condivide modi per gestire
i problemi, le situazioni tipiche, le routine; comunità di discorso: perché
condivide modalità comuni per parlare dei problemi, delle situazioni, di
quelle stesse routine. Governare la narrazione in un’impresa significa per il
management diventare “stratega mediatico” capace di favorire la
socializzazione delle conoscenze, la governance delle prassi di lavoro, la
68 Chomsky N. (1987), On power and Ideology, South End Press, Boston
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.98
percezione dei propri prodotti/servizi. Vuol dire insomma affrontare il
mutamento imprevedibile con processi di “management simbolico”69
Pensare all’organizzazione come racconto in cambiamento costante porta
quindi a riformulare le attività di:
Costruzione della corporate identity,
Comunicazione integrata,
Formazione,
Brand management,
Product design.
Attività che non possono più essere interpretate solo come fenomeni che
portano a soluzioni ma come eventi che generano orizzonti di senso in cui
proiettare le credenze individuali e collettive, ciò in cui si crede nonostante
tutto. Storie a cui ci si affeziona per agire. Lo Storytelling può essere
applicato in tante aree o funzioni organizzative. Schematicamente
potremmo vederlo applicato in sei grandi aree (in figura 15)
Queste sei grandi aree corrispondono poi ad attività manageriali specifiche
come:
Governance dell’identità e dell’immagine d’impresa,
Gestione del cambiamento interno/esterno,
Guida complessa delle relazioni istituzionali,
Presidio e sviluppo commerciale.
69 Invernizzi E. (1996), La comunicazione organizzativa nel governo dell’impresa, Giuffrè, Milano.
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.99
STORYTELLING
1. Strategic Statements
2. Brand Management
3.Internal Communication
4.Pubblic relation & advertising
5.Education & Training
5.Product design
Figura 15 Gli ambiti/aree di applicazioni dello Storytelling
Vedere l’organizzazione sotto questo punto di vista porta a ripensare i
ruoli:
Dei vertici aziendali e di chi declina le linee guida valoriali in
strategic statements ( che dovrebbero contenere un’alta densità
epica);
Della comunicazione interna e le sue capacità di orientare e
sensibilizzare i pubblici interni ( che dovrebbe suscitare un interesse
favoloso);
Del training e dello sviluppo organizzativo ( che oggi più che mai ha
l’esigenza di formare comportamenti e indicare atteggiamenti ad
estesa endurance eroica) ;
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0
Del brand management e della possibilità di creare una personalità
narrante capace di parlare all’animo delle persone (il cosiddetto
animadvertising);
Della comunicazione esterna con l’opportunità di fidelizzare i diversi
stakeholder esterni (generando un’identificazione discorsiva);
Della creazione di prodotti ( che necessitano sempre più di un nuovo
ordine narrativo che sappia generare distintività di scelta. Sono ormai
i consumatori che producono – raccontandoli – i propri prodotti o
servizi)
Pensare all’organizzazione come un set complesso di racconti declinati su
trame differenziate, posizionate su specifiche audience porta a rivedere le
attività di comunicazione interna ed esterna, formazione, envisioning,
brand management, marketing, product design, che non sono più
semplicemente funzioni che favoriscono il passaggio di informazioni, la
divulgazione delle conoscenze, l’approfondimento tematico e istituzionale,
l’apprendimento, la vendita di prodotti e servizi, ma diventano garanti
delle storie che accadono all’interno di un’impresa e che vanno raccontate
per generare un accesso profondo nella memoria individuale e collettiva.70
3.6 I canali delle storytelling operations
La flessibilità dello storytelling- in qualità di disciplina e approccio –
permette una sua declinazione molto ampia in una serie di strumenti
diversificata a seconda degli obiettivi e delle funzioni che scelgono di usare
un approccio story-driven. Prima, però, del parlare di l’organizzazione si
deve predisporre nell’ottica di parlare a, e dunque deve essere in grado di
esprimersi attraverso un ampio ventaglio di codici linguistici – nel
70 Fontana A., Manuale di storytelling (2009), Rizzoli, Etas, Milano
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1
prossimo capitolo vedremo visual e digital storytelling come terzo step
della strategia e del processo specifico di corporate storytelling – e
simbolici (brand), sapendo anche trasgredire questi stessi codici,
transitando cioè da un registro discorsivo ad un altro.
Per questo l’esito finale, il prodotto concreto, di una storytelling operation
è essenzialmente un “oggetto” (o serie di oggetti) fisico o virtuale che è la
sintesi di un’elaborazione che può essere declinata su tre canali:
Il canale cartaceo
Il canale relazionale
Il canale digitale
Una precisazione è dovuta, la narrazione non solo dovrà incarnarsi in
oggetti cartacei, relazionali, e/o digitali, ma dovrà tener conto della
temporalità strategica e della coerenza narrativa che ci si darà nel
diffondere e presidiare la propria core-story. La coerenza narrativa serve a
gestire la ripetizione della storia, perché ogni narrazione non solo è
soggetta a un uso, ma anche ad un ri–uso costante71
.
Più la mia coerenza narrativa sarà efficace più la mia storia terrà nel tempo
e non correrà il rischio di essere troppo distorta, visto che una caratteristica
delle narrazioni è anche quella di essere arricchite, integrate e rinnovate nel
divenire del tempo, il che è un bene. E ‘un male, invece, se vengono
alterate. Bisogna vigilare affinché l’uso e il ri-uso di una storia non si
trasformi in abuso. A quel punto occorre cambiare storia, perché non siamo
più noi gli autori della nostra narrazione. Qualcun altro se ne è-
evidentemente – impossessato. Tutto il raccontare è una fiction che ha al
suo interno processi di consenso sociale e politico e tutte le storie sono
71
Esposito E. ( a cura di) , Sul ri-uso. Pratiche del testo e della teoria della letteratura, Franco Angeli, Milano, 2007.
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2
collocate in un tempo storico72
, in uno spazio fisico o virtuale - di spazi
fisici ce ne occuperemo nel paragrafo dedicato al relation storytelling con
Felice Limosani73
- in una cultura specifica.
3.6. 1 Raccontare attraverso il canale cartaceo: il paper storytelling
Gli oggetti cartacei sono prodotti in cui la narrazione diviene elaborazione
letteraria. Possono essere diversi tipi di prodotti, interni o esterni, a seconda
dell’uso che se ne fa e dell’obiettivo di influenzamento che si desidera.
Ecco quindi concretizzarsi forme di racconti brevi sui biglietti da visita, su
promocard (cartoline pubblicitarie) con la storia dei prodotti e le loro
caratteristiche, su collane interne di libri aziendali che raccontano temi
rilevanti, o su opuscoli istituzionali che narrano – autobiograficamente- le
gesta d’impresa. Il canale cartaceo è da usare quando si vuole rendere una
testimonianza definitiva. E’ il più rigido dei canali. Ma è anche quello più
duraturo che colpisce più a lungo la memoria. Ad esempio: se si fa un
cofanetto di promocard in plexiglas- per presentare noi stessi, un prodotto,
un’azienda – difficilmente potrà essere ignorato. Questo è il lato efficace
del canale cartaceo. Il lato problematico risiede nel fatto che un opuscolo o
un biglietto da visita una volta fatti non possono essere più cambiati,
mentre un sito web si può aggiornare continuamente e una convention si
può “improvvisare”.
3.6.2 Raccontare attraverso il canale della relazione: Il relationship
storytelling
Ascoltare e rispondere sono prassi fondamentali per gestire il canale
narrativo della relazione individuale e/o istituzionale. Le situazioni
relazionali sono eventi in cui la narrazione viene usata soprattutto come 72
Denning S., The Spingboard. How storytelling Ignites action in Knowledge – Era Organizations; Boston 2001 73
www. Felicelimosani.com
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3
struttura e processo di lavoro, per esempio in percorsi di training, o in
occasioni sociali tipiche della comunicazione interna alle aziende come una
convention o un workshop che deve avere un alto impatto emotivo, oppure
nelle campagne sociali emotivamente forti come quella fatta da
un’organizzazione no profit libanese Kafa74
“impegnati nel raggiungimento
della parità di genere, contro ogni forma di discriminazione e nella
promozione dei diritti umani delle donne e dei bambini."
Riporto in figura un esempio di campagna sociale75
sulla violenza sulle
donne molto efficace e abbastanza scioccante :
Le cicatrici sono a forma di onde sonore per dimostrare come le parole
spesso sono più violente della violenza fisica.
“Not all violence is physical. The scars are shaped like the sound waves of the
violent words — pretty shocking and effective.”
74 http://www.kafa.org.lb/ 75 http://copyranter.blogspot.it/2011/03/beating-women-with-wordsdomestic.html
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4
Più recentemente il relationship storytelling è stato usato per la costruzione
dei musei aziendali che diventano sia un racconto esterno, sia un processo
di lavoro interno ( perché i pubblici d’impresa adoperano questi luoghi
come laboratori cognitivi per progettare prodotti/servizi o per elaborare
nuove pratiche). Il relationship storytelling è usato anche nella
rappresentazione di progetti culturali e artistici come quello promosso dal
gruppo Sole 24ore “ Il sole sui tetti” terrazze con vista e visioni coordinato
da Felice Limosani. Un’iniziativa culturale che nasce come
rappresentazione di un messaggio: il cambio di prospettiva tra concretezza
e immaginazione!
La prima edizione 2011 è stata ambientata su alcune delle terrazze più
belle di Firenze, tra viste panoramiche e visioni artistiche.
Un percorso di narrazione relazionale con la Città che si rinnova nel 2012
con la duplice installazione “luci e ombre”. Un progetto relazionale e
multimediale come un video mapping - on line - sull'alternanza di luce e
ombra del cortile interno del Palazzo e un evento on-air grazie alla
proiezione di raggi di luce che uniscono simbolicamente le torri e le cupole
di alcune delle piazze più belle di Firenze.
Partendo dal Forte Belvedere, il campanile della Basilica di Santa Croce, la
torre di Palazzo Vecchio e il campanile di Giotto in piazza del Duomo. I
raggi di luce bianca che uniranno i vari punti della città assumono la
valenza metaforica di una rete di energie, di nuovi punti di vista e di
bellezza. Dice Felice Limosani, curatore del progetto: "il Sole sui Tetti
nasce come la rappresentazione di un messaggio, il cambio di prospettiva
tra concretezza e immaginazione. L'installazione vive in due luoghi della
realtà. Quella dall'alto, spaziale, dell'immaginazione e quella dal basso,
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5
architetturale, solido, della concretezza. La vista dall'alto richiama una
prospettiva onnicomprensiva e d'insieme, mentre quella dal basso
suggerisce un'idea di partecipazione e di comunità. Due prospettive diverse
che singolarmente non bastano, perché tutto risulti chiaro e costruttivo. Due
aspetti divergenti ma creativi con al centro le persone, sia fisicamente nelle
piazze, sia virtualmente nella rete.
Due prospettive in equilibrio tra visione e realtà. Spazi d'incontro fisici e
virtuali, per lo scambio di opinioni, pensieri, intenzioni e desideri, per
innovare e migliorare il futuro. Se la luce del sole o di una candela,
muovono ombre, quella del laser è retta, netta, priva di compromessi. "Un
raggio di luce bianca unisce lassù i punti più alti della città, a cercare
laggiù le piazze di Firenze e del mondo".
C’è da dire, però che il canale relazionale è quello più evanescente. Rimane
poco nella memoria ma ha un grande impatto. Di solito si sceglie di
costruire eventi o situazioni sul canale relazionale per infiammare gli
animi, per mettere in evidenza la propria storia di vita, di azienda o di
Pag
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6
prodotto con tecniche narrative che impressionano ma che poi richiedono
un rinforzo costante con gli strumenti degli altri due canali: digitale e
cartaceo.
3.6.3 Raccontare attraverso il canale digitale: il digital storytelling
Questo argomento sarà trattato nel prossimo capitolo in maniera più
approfondita al momento possiamo dire che il digital storytelling prevede
la creazione di prodotti molto diversi e articolati, in cui la narrazione
diventa un copione digitalizzato che permette la condivisione di esperienze
e di conoscenze professionali.
Tabella 5 Strumenti di Storytelling declinati sulle diverse aree e canali organizzativi
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7
3.7 Il piano per lo storytelling operations
Cerchiamo di rispondere alla seguente domanda: Quali sono i capisaldi di
un piano di storytelling operations? Riportiamo nella figura una possibile
esemplificazione schematica di un piano narrativo, consapevoli delle
inevitabili mancanze e dei necessari aggiustamenti contingenti.
Un’impresa narrativa è allora una fate-sharing organizzation,
un’organizzazione narrativa in cui si condividono i destini.
Figura 16 Un piano di storytelling operation
L’organizzazione narrante è quindi un’organizzazione che tiene insieme
processi manageriali, letteratura, sviluppo organizzativo.
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8
E’ un’organizzazione che cambia, ma cambia attraverso processi narrativi
che derivano dalle storie di vita dei professionisti che la gestiscono e la
governano. E’ un’organizzazione narrativa perché s’interroga, induce nella
perplessità, senza rinunciare al dovere istituzionale dell’azione.
Interrogandosi, l’organizzazione manipola la simbolizzazione della propria
conoscenza sia esplicita che tacita della propria storia: la mette in dubbio,
la riconquista, la reinventa attraverso interpretazioni e re-interpretazioni.
Un’organizzazione che getta costantemente ponti tra passato e futuro, tra
memoria e progetto, nel tentativo di uscire dal limite omologante di un
“fare affaccendato” privo di scopo.
3.8 Vantaggi dello storytelling
Come abbiamo potuto ampiamente vedere sono finiti i tempi in cui era
la persuasione lo strumento prediletto per colpire i consumatori.
Adesso sono le storie a suscitare emozioni e a coinvolgere il pubblico76
Narrare è una necessità che ci portiamo dietro sin dagli albori della civiltà.
Non stiamo certo parlando di quei “c’era una volta” con i quali i nostri
nonni usavano cominciare le favole, ma dell’atto stesso di comunicare. Le
narrazioni però, hanno molte analogie con il business che, ora più che mai,
ha necessità di trasmettere emozioni per colpire dritto al cuore dei suoi
pubblici.
Eppure non molto tempo fa molti degli esperti in materia credevano al
paradigma antico per cui: il marketing deve essere chiaro, razionale ed
oggettivo, capace di persuadere, senza nessuno spazio per le emozioni. 76
http://www.ninjamarketing.it/2014/11/05/lo-storytelling-e-lo-strumento-giusto-per-creare-brand-value-e-battere-la-concorrenza/
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9
Errore madornale se consideriamo i trends in crescita di quelle azienda
all’avanguardia che hanno capito il vantaggio della “prima mossa”.
Sono molte le aziende che hanno fatto fortuna grazie allo storytelling. Una
fra tutte è Barbie, la famosa bambola della Mattel. La storia d’amore tra
Barbie e Ken, dal primo litigio alla riscoperta dell’amore, ha creato sui
social network un’incredibile interesse dei fans che hanno seguito con
passione le loro vicende amorose. Risultato: fedeltà dei consumatori e
acquisizione di nuovi.
Come sostiene l’autrice Annette Simmons nel suo libro Whoever Tells the
Best Story Wins: How to Use Your Own Stories to Communicate with
Power and Impact, l’obiettivo delle aziende è quello di attivare
l’immaginazione dei clienti (consumatori), così che possano ascoltare,
vedere, sentire, odorare, toccare e assaporare la nostra storia come se fosse
veramente successa loro.
In effetti lo storytelling non è esclusivamente il raccontare storie o
aneddoti, ma la creazione di rappresentazioni (testuali, visive,
sonore, percettive), che un brand o più semplicemente un
prodotto/servizio possono realizzare per emozionare e relazionarsi
meglio con un pubblico.
Uno storytelling può realmente aiutare ad impostare un business capace di
distinguersi dalla concorrenza, donando personalità al brand, con
l’obiettivo di creare engagement con i pubblici attraverso la loro risposta
emotiva e la loro immedesimazione alla storia.
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0
Attraverso la seguente infografica Lou Hoffman Ceo e Fondatore della
omonima agenzia Hoffman77
ci illustra quelle che sono le grandi
differenze tra una comunicazione classica e lo storytelling:
77 http://en.wikipedia.org/wiki/The_Hoffman_Agency
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1
1. Lo storytelling piace più dello spot pubblicitario
La prima sostanziale differenza è che il racconto di una storia è molto più
accattivante ed affascinante di una noiosa réclame pubblicitaria: a
nessuno interessa quanto il tuo brand sia figo, la gente desidera contenuti
interessanti.
Il messaggio deve essere in una forma discorsiva ed intuitiva, basta gerghi
tecnici che siano comprensibili solo dagli addetti ai lavori: in molti casi non
ci interessa il pieno potenziale di ciò che compriamo, ci interessa
l’emozione che il nostro acquisto ci può dare!
2. Lo storytelling mette in comunicazione il brand con il suo pubblico
La narrazione deve essere orientata verso l’esterno, verso il pubblico a
cui si vuole comunicare, non deve essere totalmente incentrata sul brand.
Deve esserci una narrazione, una storia. non si possono emozionare le
persone soltanto attraverso parole e slogan. Una comunicazione
aneddotica è molto più efficace di un banale messaggio pubblicitario.
3. Lo storytelling fa emergere i gusti dei consumatori
Il consumatore medio preferisce una storia eroica ed avventurosa, non un
racconto meccanico di avvenimenti: il messaggio deve mirare ad
intrattenere e non a vendere. Una comunicazione che sia avvincente e
non monotona farà ricordare il nostro brand e le vendite arriveranno dopo
come conseguenza.
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2
Per colpirci la narrazione deve essere stridente piuttosto che tranquilla, con
una stuttura complessa; deve riguardare la vita reale, non situazioni
surreali e deve contenere gli ostacoli che affrontiamo tutti i giorni.
4. Lo storytelling offre già molte case histories a cui ispirarsi
Molti brand hanno ormai abbandonato la loro tradizionale comunicazione
corporate per tramutare i loro comunicati in racconti, Coca Cola ha
addirittura trasformato il proprio sito in un giornale. Vedremo nelle
prossime pagine 4 brand story tra le quali Coca Cola journey, Jack
Daniel’s, Dove e Papa Francesco con la Misericordina.
3.9 Criticità e problematiche dello Storytelling
Abbiamo parlato dello storytelling come strumento efficace e
dell’organizzazione moderna come impresa-parlante: la narrazione è
ovunque e i flussi comunicativi ci circondano. Tuttavia in questi ultimi anni
numerose sono state le critiche rivolte allo storytelling provenienti da
diversi ambiti, la più celebre delle quali è da attribuirsi allo scrittore e
ricercatore francese Christian Salmon78
.
Vedremo di seguito quali sono le problematiche che si legano alla formula
dello storytelling e ne verificheremo la solidità.
1. Prima critica, e sicuramente, una delle più sentite è quella che fa dello
storytelling una pratica manipolatoria. Lo sottolinea molto bene Salmon nel
78 http://fr.wikipedia.org/wiki/Christian_Salmon
Pag
.11
3
suo libro, “Storytelling la machine à fabriquer les esprits”, nel quale mette
a nudo i meccanismi della narrazione del nuovo millennio, nelle
organizzazioni ed in politica (Bush, Obama…). Lo stesso Lausberg ci dice:
tutte le storie sono di per sé manipolatorie, ogni messaggio, ogni atto
comunicativo lo è in qualche modo, perché attraverso questo atto si tende a
far sì che il pubblico accetti il nostro punto di vista e compia una data
azione. “Lo storytelling [in particolare] fa perdere l’innocenza a ognuno
di noi quando crede di raccontare cose neutre (Wittgenstein). E chi lo
adopera è altrettanto responsabile di perdere questa innocenza,
assumendosi “la responsabilità prometeica” di generare percezioni e
visioni del mondo”79
. Tale responsabilità deve però essere presa in
considerazione sin da subito per poter operare con coscienza. E’ uno
strumento che deve essere utilizzato con un’etica ben precisa ed una
predisposizione per il vero. E’ fatto per incitare, incoraggiare, creare
coesione non per distorcere o falsare. Se usato in questo senso lo
storytelling può risultare addirittura controproducente.
Nel momento in cui lo storytelling viene utilizzato per piegare piuttosto che
per unire, risulta evidente che esso perde il suo valore, si rompe l’effetto
del meraviglioso ed i pubblici non credono più nella storia, addirittura la
aborrano.
D’altro canto e impossibile per un’organizzazione non comunicare se
stessa, non raccontare la propria storia nello tsunami narratologico odierno:
non lo può fare l’azienda, non può permetterselo il candidato o il politico
(si veda a questo proposito la differenza dell’esposizione mediatica alle
scorse elezioni quella di Matteo Renzi, Berlusconi e Beppe Grillo, in
79 Fontana A., Manuale di storytelling, op. cit. p. 14
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.11
4
allegato alla presente tesi un lavoro di comunicazione politica che ho
svolto con la prof.ssa Enrica Iannuzzi sulla comunicazione politica del
Movimento 5 stelle, alla luce dei risultati raggiunti). Pertanto è necessario
ricorrere alla propria eticità: tener fede ai valori dell’azienda, essere
trasparenti e chiari nel proprio modo di comunicare. Se lo storytelling e uno
strumento di comunicazione, ecco che la linea di confine sta proprio li,
nella differenza tra il verbo comunicare ed il verbo manipolare.
2. Seconda critica insita nel processo di storytelling e la difficoltà di
equilibrare le storie presenti nell’organizzazione. E’ innegabile che se
partiamo dal presupposto che l’azienda comunica, non troveremo soltanto
una voce univoca, una sola storia ufficiale; accanto ad essa corrono una
miriade di altre storie che provengono dalle esperienze interne all’azienda e
dai vissuti degli stakeholder interni80
. Come allineare le storie interne ed
esterne in un unico racconto omnicomprensivo? La novità della pratica
dello storytelling rispetto alle precedenti teorie narrative, sta nel fatto di
dover prendere coscienza del proprio pubblico di riferimento e di poterlo
fare attraverso diverse modalità. Se in narrativa parliamo di lettore
implicito, qui ci riferiamo ad un target preciso che possiamo studiare
attraverso studi qualitativi, indagini interne all’azienda, focus group…
Mentre lo scrittore si costruisce il proprio pubblico immaginandoselo ed in
parte costruendolo, in ambito organizzativo e possibile scannerizzare la
situazione ed una volta interpretati i dati e capite chi abbiamo davanti,
adattarci modellando la nostra storia, il nostro messaggio sul pubblico. Lo
storytelling è prima di tutto storylistening, dalla loro interazione può
80
Si veda BOJE D., Stories of the storytelling organization: a postmodern analysis of Disney as “Tamara-land”, in Academy of Management Journal, volume 38, numero 4, 1995, pp. 997-1035
Pag
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5
risultare un quadro esaustivo della situazione ed un percorso produttivo di
implementazione del racconto.
3. Terza critica, mossa soprattutto dalla classe dirigente, riguarda
l’efficacia dello strumento e la produzione di risultati tangibili in
termini di bilancio aziendale.
Dobbiamo partire dal presupposto che utilizzare lo storytelling in ambito
aziendale in modo serio, per ottenere risultati riconoscibili, richiede tempo,
impegno, dedizione, fiducia e risorse. Il tutto commisurato alla grandezza
dell’obiettivo da raggiungere. Ove l’operazione si stagli su attività di
advertising e di marketing (storytelling per il consumo), e facile trovare
strumentazioni che possano permettere una valutazione seria dei risultati
ottenuti, rispetto agli obiettivi preposti (gli indicatori possono essere
relativi al n° di visualizzazioni della campagna, all’aumento delle vendite
ecc...) Nei casi in cui l’operazione venga applicata a livello di principi
strategici, operazioni di management o training, e necessario attivare sin da
subito un sistema di monitoraggio che consenta di valutare i progressi
rispetto alla situazione aziendale iniziale (interviste, analisi di mercato,
ricerche quali e quantitative all’interno e all’esterno). In questo secondo
caso e difficile preventivare il trend di benefici a livello di bilancio
aziendale, ottenibili tramite un’operazione di storytelling.
Esso fa leva su valori intangibili la cui forza in termini di benefit
finanziario e ancora oggi tema di discussione. Nuovi studi devono essere
condotti per far luce su quest’ultimo punto, ciò che e chiaro e che lo
storytelling permette di strutturare in modo coerente l’insieme dei messaggi
dell’organizzazione, migliorando l’apparato comunicativo e rafforzando
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identità, immagine e reputazione. Un vantaggio competitivo che fa
dell’azienda un’impresa narrante e del leader un gatekeeper narrativo,
creando coinvolgimento ed incitando i diversi pubblici ad unirsi al racconto
in una sorta di narrazione corale.
Siamo giunti sin qui attraversando l’oceano della narrazione .Non vi è certo
qui la presunzione di essere stati esaurienti, sia per la vastità del tema in
questione, sia per gli innumerevoli studi che affrontano la narratologia e le
sue applicazioni: psicologia, letteratura, semiotica, linguistica, scienze
cognitive…
La nostra analisi della struttura narrativa si è basata su uno specifico
obiettivo che fa da sfondo all’intero lavoro: capire la narrazione,
comprenderne le forme e il funzionamento al fine di applicarla alla
comunicazione aziendale attraverso il corporate storytelling.
Vorrei quindi riassumere di seguito le principali caratteristiche proprie del
racconto, utili al nostro scopo, in modo tale da recuperare il filo conduttore
ed accompagnare il lettore nel prossimo capitolo all’insegna della moderna
pratica dello storytelling organizzativo in particolare sulla Brand
Narrative.
Secondo quanto visto sino ad ora, la narrazione:
3.10 Sintesi delle puntate precedenti
Learning Point
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è innanzitutto una metafora;
ma e anche un medium, “perché è lo strumento di mediazione e
riconoscimento tra soggetto ed oggetto della narrazione”;
è una modalità di comunicazione;
è uno strumento d’interpretazione della realtà, in quanto
conferisce senso strutturando i significati ed orientando l’uomo nel
mondo (codifica del reale);
permette di catalogare e comprendere le esperienze (conoscenza
funzionale);
coinvolge il pubblico, attivando una storylistening trance experience
, ovvero una trance narrativa ( meccanismo di auto illusione che ci
porta a credere, esperienza “del perdersi”, concetto che si rifa’ alla
sesta caratteristica individuata da Bruner, la referenzialità);
contiene sempre un messaggio. Per questo “i racconti non sono mai
innocenti: hanno sempre un messaggio, il più delle volte così ben
nascosto che nemmeno il narratore sa quello che sta perseguendo”;
è una forma strategica, coerente e ben strutturata (si veda il
modello vogleriano);
se il contenuto e memorabile, viene ricordata e tramandata;
genera appartenenza;
aiuta la comprensione di eventi complessi, permettendo di ordinare il
reale e coinvolgendo sprona all’azione.
La narrazione è uno strumento di comunicazione molto serio e
complesso: un excursus tecnico che appartiene da sempre all’umanità e che
oggi, nel mondo del web 2.0, dell’intertestualità e della convergenza
mediale, è sempre più attuale.
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Essa rappresenta, oggi più che mai “un sofisticato mezzo retorico di
presidio e scambio del potere, un modo per gestire la percezione dei
pubblici che all’interno delle società conoscitive sono sempre più
sofisticati ma anche più assuefatti”.
Risulta allora chiaro che la narrazione non e soltanto una questione di
letteratura: saperla utilizzare come mezzo di comunicazione efficace apre le
porte a nuove possibilità di costruire significati e raggiungere fette di
lettori, o di pubblico più ampie. Inoltre le storie sono vettori che ci
permettono di creare senso e quindi di mettere insieme i pezzi del puzzle
che costituisce la nostra identità, appoggiandosi alla memoria narrativa
costituita da topoi e schemi narrativi (i frame di cui parlavamo). L’uomo
vive di storie sin da piccolo ed ha un bisogno direi quasi naturale di
inserirsi all’interno di format narrativi: e un dato che non dobbiamo
sottovalutare, perché significa che la narrazione poiché è un qualcosa che ci
cattura e di cui necessitiamo per capire ciò che ci circonda, e un modo per
avvicinarci all’altro e per creare un ponte di contatto, uno spazio di
condivisione. Se le narrazioni ci aiutano a riempire le pagine bianche della
nostra biografia, è facile immaginare come ciò sia possibile anche per
narrare i brand, costituiti da una moltitudine di storie, di vite, aggregate
sotto il nome di una comunità, di un universo di senso particolare:
l’azienda. E ciò che cercheremo di spiegare nelle pagine che seguono,
andando ad analizzare la brand narrative e di come i brand catturano
attraverso le loro storie la vita di milioni di consumatori.
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4. Visual Digital storytelling
4.1 L’evoluzione dello storytelling
acciamo un passo indietro per comprendere fino in fondo
l’evoluzione che ha avuto lo storytelling, quindi consideriamo il
nostro punto di partenza quando , tra il 1930 e ‘40, lo storytelling
(in italiano narrazione) incontra, nella radio prima e nella televisione dopo,
il marketing e la comunicazione. In quegli anni, in America, i primi “Mad
men” strutturano, nei brevi passaggi pubblicitari, piccole storie
(generalmente a puntate) che raccontano qualcosa di un brand, al di là delle
semplici caratteristiche tecniche, in modo da creare, nel pubblico, curiosità,
aspettative, suspense e una forte fidelizzazione, precedente all’acquisto o
alla prova del brand, contribuendo a creare e/o a consolidare la reputazione
dello stesso. Il caso più emblematico di questo genere di storytelling è
rappresentato dalle “Soap Opera”. Nate, in America, come semplici
pubblicità a puntate finanziate dalle società produttrici di detersivi, nel giro
di pochi anni, divengono veri e propri format indipendenti, fino a
rappresentare un pilastro della programmazione del Piccolo schermo a
livello mondiale.
F
"si, tutti moriamo. Solo le storie non muoiono mai.
quelle vere e quelle finte, quelle assurde e quelle
verosimili, quelle tristi e quelle allegre. Non
cesseranno mai di essere raccontate. Le ritroveremo
ancora, leggermente cambiate o sempre uguali a se
stesse… pronte a regalarci nuove emozioni."
Dylan Dog
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L’Italia, arrivata con ritardo ai livelli americani, anche a causa degli effetti
devastanti sul territorio della Seconda Guerra mondiale, prima, e della crisi
petrolifera, poi, vede l’apice dello storytelling a metà degli anni settanta,
con la diffusione massiccia nelle case dell’apparecchio televisivo e con il
consacrarsi del Carosello (1957-1977), contenitore di storie (non solo
pubblicità), che per 20 anni, dalle 20.50 alle 21.00, “blocca” ed interessa
intere generazioni di fronte al Piccolo schermo.
Con gli anni ottanta, a causa del boom tecnologico ed economico-culturale
(diffusione di internet negli States, da un lato, e crescita improvvisa e quasi
senza regole del settore terziario nell’economia mondiale, dall’altro), il
successo dello storytelling vede, nell’ambito del marketing e della
comunicazione, una piccola flessione fino a quando il pubblico e lo stesso
advertising non virano prepotentemente, spostando il loro centro di
interesse ed economico sul Web. In un mondo che si muove a ritmi quasi
insostenibili, la stessa comunicazione si adegua e la pubblicità diventa di
tipo spot fatta di immagini e claim, atta a “colpire” (quasi stendere) chi
guarda.
Alla fine degli anni novanta nulla, alla radio, in televisione, sul Web, dura
più di un battito di ciglia. Le canzoni e lo storytelling vengono sostituite da
claim, immagini accattivanti e dai famigerati banner, poiché ora è la
quantità che conta, poiché il numero di persone che possono essere
raggiunte in pochi istanti è assolutamente inimmaginabile. Nel 1999 gli
utenti del web, ad esempio, sono stimati intorno ai 200 milioni.
Così sono la New Age e il Web2.0 che salvano lo storytelling e la
comunicazione di qualità riportando, grazie anche alla massiccia diffusione
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della banda larga e dei Social Network, i ritmi ed i modi ad un livello
sostenibile, esaltando nuovamente i contenuti e le cosiddette storie a
puntate. La quantità concede il giusto spazio alla qualità e la struttura stessa
della comunicazione si modifica. Il pubblico, da semplice fruitore di
informazioni, diviene in un attimo anche creatore delle stesse, potendo
assecondare, con poche semplici azioni (qualche click), quella voglia
irresistibile di condivisione ed interazione che da sempre domina l’animo
dell’uomo, nella sua veste di animale sociale.
Oggi l’enorme incremento del numero di autori porta ad avere all’interno di
tutti i media, web in testa, un notevole affollamento di contenuti, tanto che
le stesse regole dello storytelling si sono inevitabilmente dovute adattare.
Se all’inizio del secolo scorso, come visto, basta avere una storia da
raccontare , ora, la storia stessa deve essere raccontata seguendo delle
regole ben precise che coinvolgono, non solo la durata, la forma, ma anche
la nomenclatura stessa delle parole, dando vita a nuovi stili.
In televisione, alla radio, sui siti video sharing, lo storytelling a puntate
impazza in maniera virale, poiché il brand non è più il soggetto della
comunicazione, ma solo il punto a cui la storia stessa deve giungere per
comunicare il messaggio giusto. Così si diffondono le storie fantastiche,
imprevedibili, articolate, nella maggior parte dei casi intrise di effetti
speciali in grado di catturare il pubblico per la loro trama prescindendo dal
brand stesso. Si va, dunque, dal video realizzato interamente al computer
che racconta di notebook che si animano, dando vita a lotte sanguinarie di
fronte ai proprietari attoniti ed inconsapevoli - come nel caso della
campagna virale sul web di Apple (Mac vs Pc); per passare alla serie di
spot radiofonici della BMW Mini che raccontano un’eterna paradossale
scommessa di due amici circa il prezzo sensazionale della macchina del
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famoso brand tedesco (“Se mi trovi una mini che costa meno di 15k €
lavoro per un mese in un circo”… “signori e signore ecco a voi il
mungitore di elefanti”); per giungere alla geniale campagna “ADIDAS -
Impossible is nothing” che racconta semplici e commuoventi storie di
campioni affidando il legame con il brand al semplice logo che si dissolve
un attimo prima che le immagini svaniscano.
Sul web anche le regole dei testi si modificano. Con la diffusione dei web-
log (più comunemente chiamati blog) e dei social network (facebook in
primis, seguito a ruota da twitter) ogni singolo utente diviene editore e
pertanto lo storytelling sublima nella sua forma più pura: quella scritta. I
testi divengono racconti privati o esperienze di vita vissute, che possono
andare dalla ludica vacanza, alla seria e drammatica rivoluzione. Lo
storytelling acquista in questa sua forma una importanza storica che va al di
là del marketing e della stessa comunicazione, permettendo alle nuove
generazioni di acquisire un nuovo luogo dove poter compiere quelle
rivoluzioni socio-culturali ed economiche che i loro genitori avevano
saputo condurre solo attraverso le piazze, oppure arricchire,
semplicemente, le conoscenze altrui attraverso la diffusione delle proprie
professionalità (tutorial blog), acquisite nel corso del tempo. In questo
contesto i Social Media (blog, Facebook, Twitter, Friendfeed, etc.)
diventano trampolino di lancio di campagne di marketing e comunicazione
personalissime, rappresentando veri e propri aggregatori di notizie, che
invadono la scena del web, lasciando agli utenti il solo imbarazzo della
scelta.
In questo scenario, in cui il surplus di offerta informativa è tale da poter
mettere, addirittura, in crisi lo stesso web, un ruolo fondamentale lo hanno i
motori di ricerca (primo su tutti Google) e i relativi algoritmi, i soli
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veramente in grado di consegnare agli utenti gli strumenti giusti per
permettere loro la scelta ottima. Così anche il modo di presentare i
contenuti dello storytelling cambia la sua forma, assumendo quella tipica
del web, che partendo, comunque, da fattori indiscussi come la qualità ed
originalità vede l’aggiunta di concetti quali keyword, popolarità,
affidabilità, reputazione. Quest’ultima, in particolar modo, prerogativa e
filiazione immediata dello storytelling, contribuisce, in maniera massiva, ad
accrescere la visibilità di un brand all’interno del web, amplificando
esponenzialmente le connessioni, dello stesso, con gli stakeholders, e
determinando, prima, una più incisiva penetrazione all’interno del mercato
e, successivamente, posizioni privilegiate, di lungo periodo, nei confronti di
eventuali competitors81
.
Come abbiamo detto i nuovi media hanno agglomerato immagini, parole e
suoni mentre la nascita del blogging e l’evoluzione dei social network ci
hanno reso tutti copywriter di noi stessi e con la realtà aumentata possiamo
integrare la narrazione alla nostra vita.
Ma da buoni figli – o reduci – degli anni ’80 dobbiamo essere tutti
consapevoli che la vera star dello storytelling sarà per sempre
l’immagine82
, come dimostrato dal successo di Instagram, vimeo e dalle
mille App dedicate all’editing di foto e video.
81
www.comunicazioneitaliana.it 82
http://www.ninjamarketing.it/2014/05/02/levoluzione-dello-storytelling-dalle-pitture-rupestri-alla-realta-aumentata-infografica/
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Questa infografica risponde alla domanda cruciale del nuovo millennio:
come venivano raccontate le storie prima di Facebook, Twitter e Co. ?
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4.2 The power of visual storytelling
Storicamente “un’immagine vale più di mille parole”, questo oggi vale
anche per il web. In quest’ultimo caso però più che il concetto “vale” credo
sia più appropriato affermare che un’immagine “parla” e racconta,
descrive ed emoziona chi la osserva.
L’emozione che prova l’utente non rimane inespressa o un qualcosa di
personale, ma grazie all’azione di condivisione sui social questa immagine
parla ai contatti dell’utente che ha deciso di condividerla instaurando un
meccanismo di “simil-empatia” . Pam Grossman, direttore e visual trend di
Getty Images, conferma: "l'occhio dello spettatore è diventato molto più
sofisticato, ciò che vuole è qualcosa di reale”.
Nell'era dei Selfie e di Instagram la gente vuole qualcosa che le parli
personalmente. Le immagini che appaiono costruite o statiche non hanno
più risonanza. La gente vuole l'imprevedibile ,qualcosa di familiare ma
allo stesso tempo reale, momenti della vita di tutti i giorni. Momenti che
parlano dell'esperienza umana che, con il loro racconto del mondo in uno
scatto, creano emozione. L’immagine è diventata uno specchio di quello
che siamo. Questo tipo di connessione assicura un legame forte e stabile tra
l’utente e l’immagine e attraverso le immagini e le loro storie nascoste si
possono costruire strategie di marketing .
Di tutto questo ne parlano NewsCred e Getty image in uno studio83
,
affermando che le immagini sono determinanti nella costruzione di un
processo di promozione on line solo se l’immagine ha caratteri di:
83 http://www.slideshare.net/NewsCred/the-power-of-visual-storytelling-36047183
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Autenticità
Sensorialità
Archetipi e strutture narrative
Rilevanza
Autenticità
Le immagini autentiche penetrano nelle passioni e nelle emozioni di un
pubblico, permettendo loro di vedere qualcosa di se stessi ,trasformandosi
in veri e propri sostenitori della storia che si sta cercando di raccontare. Le
immagini di tipo User generated content (UGC) rivelano persone e luoghi
reali, veri momenti ed emozioni che stabiliscono un’ accresciuta intimità
digitale. L’utilizzo di immagini (UGC) aiutano i brand a “ mettersi nei
panni dell’utente” a parlare con loro, raccontare il loro mondo e a
rappresentarlo come lui lo rappresenta. Dal punto di vista comunicativo
l’autenticità risponde al concetto di “scendere dal piedistallo” e di mostrarsi
a nudo per come si è, senza artefici particolari.
Un articolo che contiene un’immagine ha il 94% in più di visualizzazioni
rispetto ad uno che non ne contiene.
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Sensorialità
Colpire e stimolare i sensi dell’utente per assicurarsi di generare in lui
emozione rappresenta il secondo elemento da tener presente. Trascorrendo
parecchio tempo immerso in un mondo digitale, l’utente si sposta da un sito
all’altro con una velocità molto elevata ed è sottoposto come abbiamo già
potuto vedere nel primo capitolo ad un overload informativo
impressionante.
Se il 40% delle persone risponde meglio alle informazioni visive rispetto ad
un testo normale, allora non è possibile presentare all’utente una sfilza
sconfinata di informazioni testuali perché non è quello che desidera e
quello di cui ha bisogno, quando è on-line.
Nei siti web, stimolare i sensi attraverso l’uso di immagini grandi, ad alte
risoluzioni evocative permette di migliorare notevolmente l’esperienza
dell’utente, un andare oltre i pixel, facendogli sentire l'odore e il tatto.
Quanti più sensi un visual è in grado di coinvolgere, più attenzioni riceve e
più informazioni conserva. Le nostre menti sono piene di informazioni, una
biblioteca visiva senza fine, che influenza tutto ciò che vediamo e tutto ciò
che abbiamo già visto.
La nostra cultura ha ceduto al sovraccarico di informazioni, ma i nostri
sensi ancora desiderano di essere stimolati. La tecnologia si è sviluppata
intorno a noi ad un ritmo tale che pochi hanno avuto la possibilità di
riprendere fiato. Ma c'è un fervido richiamo a tornare a dove eravamo;
Vogliamo la sensazione del fatto a mano, vogliamo i dettagli dei preziosi
momenti della nostra vita, quella di tutti i giorni. Vogliamo ciò che è reale
o per lo meno, ciò che sembra reale.
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Archetipi
Fondamentale diventa il concetto di archetipo (proprio quello introdotto da
Jung) che narra il mondo reale come fatto di rappresentazioni mentali
collettive innate e predeterminate di oggetti. Consideriamo che l’83% della
conoscenza umana deriva dal vedere, memorizzare e imparare a
conoscere la realtà, per questo è importante sempre presentare dei modelli
senza tempo ed universali che l’utente ha già imparato a conoscere e che
non gli siano stranieri.
Quando si sceglie di comunicare qualcosa attraverso un’immagine, sui siti
o sui social, diventa di vitale importanza considerare come essa venga
percepita dalle diverse tipologie di persone e diventa essenziale evitare di
parlare e narrare basandosi su stereotipi. Tenere conto della sensibilità di
ogni individuo a cui è destinata l’immagine è un passo fondamentale per
un’azienda nel considerare, e non urtare, i potenziali clienti.
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Rilevanza
Infine è importante, a seconda del periodo storico, fornire agli utenti
immagini che raccontino il mondo che li circonda, che siano rilevanti e
pertinenti con quello che si sta vivendo.
Sui social, le aziende che basano il piano editoriale sull’uso di immagini
che abbiano una rilevanza per gli utenti, nel 44% dei casi, li rendono
più propensi ad interagire con i brand. Diventa fondamentale imparare a
conoscere il proprio pubblico di riferimento, capire gli interessi e le
preferenze che mostrano e sulla base di esse, lavorare per costruire un
piano editoriale unico e dedicato a loro.
Questo processo è tanto più semplice da ottenere se ci si basa sui contenuti
più apprezzati sui social. Orientarsi e condividere delle immagini e capire
dove l’utente mostra maggior attenzione, può diventare un buon banco di
prova, essenziale, per poi raffinare una comunicazione più efficace sui siti
o anche nell’offline.
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4.3 Digital Storytelling
Premessa
Se consideriamo il consumatore come risorsa operante (non mero soggetto
passivo) all’interno dei processi di marketing, comunicazione, supporto,
vendita, appare chiaro come sia vitale per brand e marketer relazionarsi con
queste risorse come protagonisti attivi e produttivi di senso. I consumatori
sono integratori di risorse, non semplici destinatari passivi dei prodotti e
dei servizi che comprano: fanno review di prodotti, condividono opinioni,
fanno supporto ad altri consumatori, a volte sono utilizzatori innovativi,
talvolta sono soggetti esigenti o manifestamente critici, altre volte
veicolano e condividono i messaggi del brand o possono aiutare a fare co –
creation. Si comprende, allora, come sia assolutamente rilevante la capacità
di brand e marketer di progettare e implementare, curare e supportare tutte
le iniziative più opportune per coinvolgere e stimolare l’attivismo dei
consumatori e il loro coinvolgimento. Una digital marketing strategy è
chiamata a questo compito prezioso quanto complesso.
Grazie alle attività di engagement, il social customer, potenziato dalle
tecnologie digitali di rete (anche di natura social) e proattivamente
stimolato attraverso esperienze relazionali di natura diversa (storytelling,
contenuti virali, content marketing, attività di seo, sem, digital pr, mobile
app e realtà aumentata, brand community) diventa, inoltre, fonte preziosa
di informazioni e insight. Impiegando tecniche di analisi come il
monitoraggio delle conversazioni, osservazioni netnografiche ( ideatore :
Robert V.Kozinetz) , mappatura dei grafi sociali e degli influencer, brand e
marketer sono in grado di approfondire la conoscenza di preferenze e
attitudini e indagare trend emergenti riuscendo ad arricchire con un layer
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social il tradizionale customer database (social crm). Le opportunità vanno
bilanciate con potenziali ed effettive criticità che possono emergere nel
corso della relazione tra social customer e marketer. Brand e marketer
devono essere preparati e adeguatamente educati ad interfacciarsi con
questi nuovi consumatori potenziali e socializzati. La trasformazione
prodotta dal social business richiede la progettazione e l’adozione di una
social media governance e policy. Trasparenza, autenticità, qualità del
servizio e della relazione devono poggiare su solide linee guida che diano
sicurezza a employee e brand, anche in situazioni di crisi reputazionale.
Introduzione
Il digital storytelling utilizza strumenti digitali per creare storie
multimediali dal forte impatto emotivo da raccontare, condividere,
preservare. Le storie digitali basano il loro potenziale espressivo sulla
commistione di fotografie, abbiamo visto nel paragrafo precedente il potere
delle immagini e delle loro storie, filmati, musica e la voce stessa delle
persone, miscela che permette di rendere e narrare in modo vivido
esperienze, situazioni e riflessioni.
Gli strumenti digitali permettono una grande malleabilità di trattazione
degli elementi narrativi, che possono essere ricombinati e messi in
connessione con quelli di altre ministorie, attraverso il processo interattivo
e trasformativo di cui vengono a disporre gli autori e che dona nuove
sfumature di significato all’esperienza dello storytelling. L’idea
fondamentale del digital storytelling è che creare una storia attraverso
l’utilizzo delle tecnologie digitali possa rappresentare un processo di
riflessione e di apprendimento, intorno a temi e situazioni di svariata
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natura. La tecnologia digitale, questo l’assunto del digital storytelling84
, per
i costi sempre più accessibili, la relativa facilità di utilizzo, l’adattabilità, la
semplicità di correzione e modifica dei contenuti, oltre che di
archiviazione, duplicazione e distribuzione, permette l’accesso a nuove
modalità espressive per il racconto di sé a individui e comunità. Oggi il
digital storytelling viene sempre più utilizzato negli ambiti
dell’intrattenimento, dell’insegnamento e della formazione, per
promuovere e pubblicizzare, e anche le organizzazioni, pubbliche e private,
cominciano a farvi ricorso per motivare il loro capitale umano, per
condividere valori e favorire la partecipazione e l’identificazione, ma anche
per facilitare l’apprendimento di tematiche complesse.
Il digital storytelling è quindi appropriato per le presentazioni aziendali,
così come per il reclutamento di persone attraverso il sito web aziendale,
dove può anche venire utilizzato per far nascere una comunità di clienti
(brand communities ) che partecipino a uno scambio di narrazioni a tema
aziendale o di prodotto. Per questi motivi il digital storytelling viene
sempre utilizzato per la comunicazione del brand, per il marketing, come
strumento di comunicazione interna e/o di knowledge management.
Come abbiamo detto in gran parte della tesi è le scienze della narrazione, e
in particolare lo storytelling, si stanno affermando come strumenti preziosi
per proporre storie di marca (o di azienda) capaci di interessare e
coinvolgere gli utenti della rete.
La condizione perché possano realmente circolare è che non siano basate
sugli stessi presupposti e armamentari concettuali che hanno guidato per
decenni la comunicazione sui mezzi classici.
84 Fontana. A., Manuale di storytelling,(2009) Rizzoli, Etas, Milano
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Lontano dalla pubblicità vecchia maniera e dai suoi intenti persuasivi, lo
storytelling in chiave social deve:
tener conto della natura non lineare delle nuove piattaforme online
sposare le nuove modalità partecipative dando luogo a storie di
marca concepite nella logica della condivisione narrativa
giocare al meglio la declinazione delle storie in rapporto ai vari
media che attraversano (con grande attenzione al transmedia
storytelling)
entrare pienamente nel paradosso del virale, che riprende forme
antiche di comunicazione umana (word-of-mouth, trasmissione
orizzontale e bidirezionale) ma le potenzia con l’energia
moltiplicatrice delle nuove tecnologie
in questa prospettiva, capire e fare proprie le logiche profonde che
collegano storytelling e viralità.
4.3.1 Digital storytelling e Social Media
L’uso dei social media è una tendenza ormai inarrestabile in pressoché tutte
le imprese. Data la pervasività delle nuove piattaforme è assai probabile
che alcuni dipartimenti, linee di offerta o gruppi di dipendenti siano già
attivi in ambienti quali Facebook o Linkedin, con o senza l’approvazione
del management. In assenza di un framework strategico ciò espone
l’azienda a rischi potenziali, e al pericolo di non sfruttare al meglio le
opportunità delle nuove piattaforme.
Nelle imprese di dimensione internazionale un altro problema è dato dalla
possibilità che ogni paese proceda per la sua strada e implementi nei social
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media soluzioni ad hoc, che non consentono all’azienda di maturare una
competenza globale in materia. Tutto questo impone l’esigenza di dare
centralità alla definizione ed all’implementazione di una social media
strategy condivisa. Ecco i passaggi da tenere presenti per riuscire a farlo
con successo:
chiarire le finalità che ci si propone di raggiungere nel sostenere la
presenza online dell’azienda e delle sue marche, in rapporto agli
obiettivi di business;
non trascurare di sottolineare quali benefici possono derivare a tutti i
dipendenti che si impegnano nel supportare la visione strategica
stabilire le metriche e i KPIs che possono consentire di misurare le
performance ottenute, in modo da poter guidare costantemente la
strategia sulle azioni più efficaci.
I social media stanno cambiando profondamente le logiche del marketing e
più in generale della comunicazione, il modo in cui le aziende e i
consumatori si relazionano tra loro. In effetti, la velocità e la profondità
delle trasformazioni sono tali che le stesse nozioni di marketing e
consumatore appaiono largamente superate.
Scegliere cosa fare nei social media non è né ovvio né semplice. Molti
CEO e manager non sanno bene da che parte prenderli, e per buone ragioni.
Le soluzioni automatiche (l’uso di Facebook e Twitter, ad esempio) non
sempre sono le migliori.
Importanti questioni da porsi sono queste:
tutte le piattaforme lasciano spazio a una quantità di iniziative; quali
sono quelle veramente interessanti per i nostri clienti?
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nuovi social media nascono e diventano rapidamente popolari,
mentre altri declinano d’importanza; come affrontare questa marea
montante in continuo cambiamento?
anche le community rivelano una forte tendenza alla mobilità; come
seguirle quando si spostano e si ricostituiscono altrove?
Tenuto conto di tutto ciò, l’atteggiamento da adottare è il seguente:
relazionarsi ai social media in modo flessibile, aperto e aggiornato
monitorare costantemente dove sono i propri consumatori e cosa
stanno facendo
non dimenticare mai che i social media sono piattaforme di
comunicazione a due vie dedicare risorse e impegno adeguati per
stimolare un dialogo che dia voce agli utenti, coinvolgendoli in
conversazioni reali.
Il Social Media Marketing è naturalmente l’esecuzione della Social Media
Strategy, definita precedentemente. Oltre alle iniziative dialogiche coi
visitatori dei canali social, il Social Media Marketing utilizza iniziative di
Seeding, le App facebook, le App mobile, la georeferenziazione, la
Augmented reality.
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4.3.2 I mercati sono conversazioni: Internet
isn’t much without conversation di Felice Limosani
Dal Manifesto di Cluetrain85
prima tesi “i mercati sono conversazioni” a
Felice Limosani che ribadisce l’importanza del ruolo social e del tempismo
delle conversazioni, infatti lo stesso Limosani scrive:
Considerare la rete nel suo profilo social come un canale su cui pianificare
azioni di ogni sorta, non è del tutto sbagliato ma non è nemmeno tutto. Al
di là dei molteplici aspetti che i social network offrono, c’è una
componente, a mio avviso determinante, che è quella del tempismo delle
conversazioni. Non basta essere presenti sulle varie piattaforme.
L’immediatezza e la capacità di agire e interagire, saranno in chiave
creativa, indice di risultato.
Per farsi leggere e trovare quando ci è più congeniale, bisogna essere pronti
nel posto giusto con l’argomento giusto. Attenzione, dico argomento non
prodotto! Se l’obiettivo è farsi leggere con i fini più disparati, tempi e
argomenti, diventano due elementi inscindibili. Nel web un numero
impressionante di individui, postano storie e racconti. Condividono
pensieri ed emozioni ma anche consigli e pareri su prodotti e acquisti. Il
tutto basato sulla fiducia altrui. In questa prospettiva, come si connoterà il
mercato on line più di quanto non lo sia già? Oltre ai viral movie,
immagini e file di ogni sorta, il vero quid sono le conversazioni. Quelle
aperte, oneste, dirette, divertenti o anche scioccanti , stupefacenti e
irriverenti.
85 http://it.wikipedia.org/wiki/Cluetrain_manifesto
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L’importante è che non siano troppo avanti e nemmeno troppo indietro
rispetto al flusso degli argomenti. Lasciarsi andare nel flusso, soddisfa la
necessità di socializzare di cui l’uomo ha tanto bisogno. La scia delle
conversazioni infinite che spiegano o raccontano, con proteste, lamentele o
apprezzamenti, scherzose o seriose, ma sempre più e senza dubbi devono
essere vere e sincere. Attenzione! Non sono ammesse le conversazioni
falsificate e neanche posticipate. Meglio sarebbe se fossero conversazioni
che anticipano temi trasversali, capaci di aprire un flusso partecipativo.
Come al solito i grandi brand sono in ritardo sui costumi digitali,
esattamente come fecero circa 10 anni fa, non cogliendo per tempo l’
opportunità del commercio elettronico. Ritardo dopo ritardo, fatta
eccezione per poche realtà, eccoci che conversazioni “altre” parlano in
modo referenziale, senza umorismo, con monotona cadenza sulla missione
aziendale e altre banalità simili. La loro linea è congestionata, essi stessi
sono occupati in conversazioni dai toni vecchi, vecchie litanie a volte
vecchie bugie per un dialogo unidirezionale, senza vita. Non c’è da stupirsi
se la rete non ha molto rispetto e interesse per queste realtà incapaci di
conversare come si farebbe a cena con un amico. Parlando di tutto,
confrontandosi, scambiandosi idee, commenti, suggerimenti, racconti.
Immaginate come sarebbe se fossimo con qualcuno che ci parla solo di sé e
di quello che fa e noi potessimo solo rispondere “mi piace o non mi piace”.
Non è con un numero elevato di fun o di follower che si ottiene credibilità e
consenso. Il rapporto di fiducia con persone e consumatori si baserà sempre
più sulla verità, sui fatti, sul dialogo. Questo sarà il volano per lo sviluppo
delle imprese e per conquistare nuovi amici o consumatori. E non si creda
che ci sia molto spazio per i furbetti. Le conversazioni virtuali, si
accorgono in un istante quando chi parla è credibile, sincero, creativo, reale
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e viceversa. Un esempio per tutti? I bloggers o presunti tali. Fatta eccezione
di alcuni, per il resto la rete sa che i blogger recensiscono prodotti
“gentilmente offerti come regali”. Altro che innocenza del diario. Eppure si
potrebbe fornire conoscenza vera e propria invece che sfornare digital-talk
sterili o corrotti che sottovalutano i loro interlocutori letteralmente troppo
informati per cadere nella solita trappola. Ma c’è dell’altro. Nelle mie
conversazioni, dialogo sia con il Brand che con i suoi dipendenti.
Incredibile la divergenza che li contraddistingue, è come se non si
parlassero! La prima conversazione dovrebbe essere reale con i propri
collaboratori. Una sorta di collegamento ipertestuale con chi potrebbe
mediare attraverso dialoghi privati, valori comuni. Le aziende a loro volta
dovrebbero saper ascoltare attentamente entrambi. In questo modo essi
potrebbero parlare al mondo attraverso l’esercito dei collaboratori intra e
inter – connessi che dialogano direttamente online. In pratica due binari di
dialogo. Una all’interno dell’azienda, l’altro con il mercato. Grazie a
Internet, le conversazioni stanno aprendo nuovi modi per condividere le
conoscenze utili a una velocità sconcertante.
Ecco perché occorre alimentare questa modalità di scambio. Come diretta
conseguenza a quanto osservo, i nostri interlocutori fisici e virtuali, stanno
diventano sempre più intelligenti e veloci della maggior parte delle aziende.
Svariati milioni di persone che conversano on line vanno prese sul serio
quanto un editorialista “potente”. Parlare con il mercato non è più compito
del marketing ma delle persone, con un segreto: togliersi le scarpe alla
porta come fanno in Austria prima di entrare in casa d’altri.
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4.3.3 Dal digital al Transmedia Storytelling
Contenuti e conversazioni tra brand e persone, tra organizzazione e
individui diventano sempre più transmediali. Tra le varie definizioni con le
quali si analizzano i “consumatori partecipanti” della generazione
transmediale, quella formulata da Robert V. Kozinetz86
risulta ancora oggi
la più versatile e attuale perché identifica il pubblico di un brand, di un
prodotto o di un servizio come un insieme di community articolate ed
ecclettiche, dinamiche polivalenti, composte ciascuna da visitatori
occasionali, esploratori, infiltrati e fedelissimi.
Consumatori che nei “media incrociati” cooperano con diversi gradi di
coinvolgimento su diverse piattaforme e all’interno di storyworld
complessi, con la conseguenza che, rispetto all’advertising e al customer
relationship management tradizionali, il successo dell’azione promozionale
condotta nei loro confronti va valutato non solo in termini di gradimento e
fidelizzazione, ma anche di propositività, di caratteristiche della
performance e dell’engagement. Il rapporto tradizionale tra brand e
repertorio emozionale del consumatore individuato dalla già citata retorica
dei lovemark diviene infatti nel transmedia una relazione finalizzata a
rendere il brand un insieme di più universi narrativi e il consumatore uno
sperimentatore, un tutor, un giocatore, un supporter e altro ancora.
Un esempio?
Creato nel 2012 dall’agenzia newyorkese Barbarian Group per il colosso
americano dell’energia General Electrics, interessato allo sviluppo di
86
Robert V. Kozinets (BBA, MBA, Ph.D.) è un esperto riconosciuto a livello mondiale di social media, ricerche di mercato, e branding. La sua ricerca si è concentrata anche su innovazione, attivismo dei consumatori, e vendita al dettaglio. Le sue opinioni e il suo lavoro sono stati presentati sui media globali dal New York Times e News week alla Discovery Channel. http://kozinets.net/about
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un’immagine più vicina, quotidiana e “amica” per il proprio brand, GE
show87
un contenitore multimediale online che nel tempo ha raccolto al suo
interno finti documentari (mockumentary), giochi e applicazioni chiamati a
mostrare in modo informale e meno istituzionale tutte le attività del gruppo,
dalla motoristica ai servizi alle aziende o agli ospedali, all’aeronautica e
alle energie rinnovabili con il risultato di più di 30 milioni di contatti on
line raggiunti in pochi mesi. Nato come forma di storytelling finalizzata
alla creazione di un’immagine diversa per la corporation, il progetto ha
creato dunque un universo parallelo a quello mostrato dai media ufficiali,
anagraficamente trasversale e più vicino al pubblico, scavalcando
rapidamente il proprio obiettivo e offrendo allo stesso tempo all’azienda
un’ottima opportunità di brand activation88
agli occhi del suo pubblico “di
domani”: giovani famiglie. Influencer della comunicazione e giovani
(young adult) appassionati dei nuovi media.
87 http://www.ge.com/thegeshow/ 88 Giovagnoli M., Trasmedia- storytelling e comunicazione,2013, Apogeo Next Milano
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4.3.6 Transmedia e Brand story
Nel raccontare la storia di un brand o di un’istituzione , di un prodotto o di
un servizio attraverso sistemi comunicativi transmediali basati sullo
storytelling o sulla creazione di microcosmi narrativi, autori e producer
devono lavorare prestando molta attenzione innanzitutto a :
Il nome, il logo e la brand identity del prodotto, rispetto ai quali
possono creare marchi o titoli paralleli, ma non alterare direttamente
quelli originali;
Le idee, le suggestioni e le aspettative ”storiche” dei consumatori del
brand;
Il brand value, ovvero il valore e la reputation dei suoi prodotti,
individuati coerentemente nel proprio ruolo e segmento di mercato.
Il valore aggiunto offerto dai prodotti transmediali dall’uso delle brand
story è misurabile in termini di:
Brand experience, ovvero di sperimentazione diretta dal brand, di
engagement, durata, qualità e caratteristiche del consumo di tutte le
piattaforme del sistema comunicativo;
Brand activation, ovvero di implementazione e produzione
autonoma dei contenuti rivolti al brand da parte dei suoi utenti e
consumatori (sempre all’interno di spazi creativi individuati
dall’azienda);
Brand francise, ovvero di trasformazione del brand in un universo
più complesso e articolato, declinabile in diversi contesti
commerciali e mediali.
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Per intervenire su tutti questi aspetti simultaneamente su più
piattaforme, rispetto all’advertising tradizionale le brand story
transmediali sfruttano:
La strutturazione del racconto in diversi livelli narrativi cui
corrispondono diversi registri di comunicativi e opportunità
esperienziali per il pubblico;
L’uso limitato di personaggi e la presenza di almeno un “ruolo
libero” a disposizione dell’audience;
La valorizzazione degli early adopter89
presenti tra gli storici
fedelissimi del brand, indispensabili come tutor e come casse di
risonanza iniziali per ottenere la giusta interpretazione dell’azione
comunicativa
Facciamo un paio di esempi.
Ideata nel 2008 da Ileana Douglas, la webseries Easy to assemble90
racconta le avventure di un’impiegata Ikea e dei suoi bizzarri colleghi di
lavoro, tutti contraddistinti da insopprimibili ambizioni artistiche o attoriali.
Giunta alla sua quarta stagione e arricchita da presenze di attori e registi
prestigiosi, la serie è una brand story che opera un intelligente merging con
diversi generi televisivi in ogni episodio e punta tutto sulla vicinanza del
brand alle famiglie, pur essendo sostenuta da strategie transmediali solo in
casi particolari quali, per esempio, la proposta di affittare una parte della
89
Il termine early adopter ("utente precoce", a volte indicato come trendsetter) indica un utilizzatore di nuovi prodotti, di nuovi servizi o di nuove tecnologie subito prima della loro diffusione di massa. Quando si fa parla di early adopter, si fa riferimento, tipicamente, a utenti che contribuiscono allo sviluppo e al miglioramento dei servizi sperimentati fornendo un feedback disinteressato, utile per gli eventuali interventi correttivi, al produttore, distributore o agli addetti all'assistenza. Gli early adopter sono considerati dalle aziende e dai fornitori di servizi come una risorsa essenziale per la messa a punto e per la valutazione qualitativa dei prodotti. Il termine fu usato per la prima volta da Everett M. Rogers in Diffusion of Innovations (1962)[1]. http://it.wikipedia.org/wiki/Early_adopter 90 http://www.easytoassemble.tv/index.php
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propria casa al catalogo Ikea, da tenere in bella mostra a pagamento nel
proprio salotto, in camera da letto e così via.
Esempio di vera e propria rigenerazione (brand exploitation) ottenuta
grazie a un progetto di narrazione transmediale è invece quello ideato in
occasione del trentacinquesimo anniversario di uno dei prodotti di punta
della multinazionale del giocattolo Mattel: Hot Wheels91
, per il quale
l’agenzia Starlight Runner creò nel 2003 un massiccio sistema
comunicativo competitivo composto da trentasei fumetti, quarantadue
personaggi, cinque serie animate distribuite su Cartoon Network, una
campagna Happy Meal in partnership con McDonald’s, un gioco di carte,
quattro film, un videogioco, un sito ufficiale e una ricca serie di prodotti di
merchandise che, pur a fronte di grandi investimenti, hanno garantito alla
compagnia un incremento complessivo del 40% nel consumo del prodotto
nei due anni successivi.
Fig. Prodotti Mattel per il trentacinquesimo anniversario del brand Hot Wheels.
91 Hot Wheels è un marchio in scala 1:64 auto giocattolo in pressofuso introdotta dall’ americana Mattel nel 1968. E 'stato il principale concorrente della Matchbox fino al 1997, quando la Mattel ha comprato Tyco Toys , l'allora proprietario della Matchbox. Molte case automobilistiche hanno licenza Hot Wheels per fare modelli in scala delle loro automobili, consentendo l'uso del design originale modelli e dettagli.
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4.3.7 Brand Gamification e advergame
La declinazione transmediale in chiave ludica della brand identity di un
prodotto, di un’azienda o di un’istituzione consiste nell’integrazione di
prodotti o meccanismi di gioco nella sua comunicazione o promozione.
L’obiettivo di questo tipo di strategia è evidente: avvicinare il pubblico a
messaggi complessi in modo più leggero e confortevole; rimodulare temi
poco popolari o al contrario “troppo quotidiani” e, allo stesso tempo,
potenziare e ringiovanire attraverso “il gioco” la familiarità del brand con il
pubblico (customer engagement).
All’interno di sistemi di comunicativi transmediali rivolti alle imprese e
alla comunicazione istituzionale, la componente ludica può essere
esercitata attraverso tre operazioni fondamentali:
1. La creazione di un progetto di brand gamification che reinterpreti
l’attività, il ruolo e l’immagine della compagnia per mezzo di giochi
e videogame usati per illustrare, descrivere o sperimentare
direttamente le sue attività;
2. L’arricchimento dell’offerta pubblicitaria e promozionale del brand
con forme di gioco quali gli advergame, contenuti a carattere
narrativo e ricreativo consistenti in iniziative dal consumo
individuale o competitivo (giochi digitali a squadre, urban quest
ecc.)
3. La creazione di reality game dedicato al lancio di un prodotto o di
una qualsiasi iniziativa.
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5 Felice Limosani
Digital Storyteller
“Testa per aria piedi nel cemento” il suo motto. Ha
messo una fetta d’anguria in bocca al coccodrillo
della Lacoste, trasformato il foulard di Pucci in
enormi mongolfiere e per celebrare il mitico
gommino di Tod’s ha creato un mondo con 10.000
matite infilate nella carta geografica in modo che le
terre emerse risultassero fatte da piccole gomme
marroncine. Felice Limosani92
creativo, un geniale menestrello in grado di
raccontare storie emozionanti che si riverberano positivamente su aziende
e persone. Non a caso ha collaborato anche con marchi come Nokia, Pirelli,
Coca-Cola, Adidas, Alfa Romeo e tanti altri, marchi che entrano nel
quotidiano. Felice spiega: “Faccio lavorare l’immaginazione, utilizzo tutto
quello che ho a portata di mano per toccare le corde segrete
dell’emotività: luci, suoni, forme e colori, la tecnologia come il sogno, la
logica come l’istinto più irrazionale” In poche parole ha la tipica creatività
combinatoria degli artisti contemporanei. Il sociologo Francesco Morace, i
cui testi ho usato anche per scrivere questa tesi, l’ha scelto come suo
partner in uno studio sull’economia dell’emozione, lo definisce “ digita –
story- teller”. Con Lui l’11 novembre 2008 ha partecipato ad un 92 Emozionare per mestiere, l’articolo è di Daniela Fedi, Il Giornale della Domenica 2 novembre’08
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importantissimo seminario in occasione dell’apertura della Barcellona
Design Week dove Limosani ha preparato un’installazione nella prestigiosa
Fondazione Mies Van der Rohe della città Catalana. Sulla carta d’intentità
del nostro eroe alla voce professione c’è scritto “disc jockey” mestiere che
ha fatto ai massimi livelli per 18 anni dall’82 al 2000. E’ stato uno dei miei
Dj preferiti, ricordo benissimo all’inizio della sua carriera le bellissime
serate presso la Discoteca Metropoli e il Club Maracanà di Foggia.
Insomma sono stato un suo fan, oggi è correlatore alla tesi della mia
seconda laurea, forse quella più importante, quella in Marketing.
Felice Limosani nasce a Rignano Garganico provincia di Foggia nel ’66.
Secondo lui è “un posto meraviglioso in cui ci sono solo olive, capre e
Padre Pio”. Sognava di diventare violinista, una cosa davvero
irrealizzabile visto che la sua famiglia non navigava nell’oro e per studiare
musica a livello professionale ci volevano e ci vogliono un sacco di soldi.
Racconta: “vengo da una onesta stirpe di sarti, i nonni paterni erano Ebrei
emigrati dalla Grecia in Puglia e costretti a convertirsi al Cristianesimo
oltre a cambiarsi cognome per sfuggire alle persecuzioni razziali”
L’originario Limos, che in greco significa “fango”, fu trasformato in
Limosani ma il nucleo familiare continuò a lavorare d’ago senza peraltro
arricchirsi. “Ho assorbito la cultura del fare da mia madre, una donna
straordinaria per cui da bambino andavo sempre in merceria a comprare
le stoffe e i bottoni con cui lavorava a ciclo continuo” . Proprio a lei un
giorno disse” da grande voglio fare il Dj” perché aveva sentito parlare che a
New York c’era gente capace di far la musica con le mani poco prima di
vedere la febbre del sabato sera. Ad appena 16 anni è stato assunto al Raya
di Panarea dove sperimenta il genere “chill out” e “ambient”. Insomma
una carriera atipica quella di Limosani. Quando gli si chiede quale sia
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esattamente il suo lavoro si mette a ridere e commenta: “ Sono un direttore
creativo, sono un comunicatore che non usa la pubblicità, che mette
racconti e immaginazione laddove c’è un prodotto93
. Faccio video arte ( i
suoi lavori sono stati esposti alla Tate di Londra, al Centre Pompidou, al
Palais de Tokio) ma fondamentalmente sono un digital storyteller, un
moderno cantastorie” Cosa sia lo Storytelling è lui stesso a spiegarlo: “ E’
una forma di narrazione nata spontaneamente negli ultimi anni grazie alla
diffusione delle tecnologie digitali”. In pratica la storia comincia con le
parole, poi viene scritta e successivamente traslata in immagini, musiche e
testi per essere vissuta e condivisa nel web, nei cellulari, nell’Ipod o nei
computer. Oppure può diventare un’installazione, una performance, una
mostra.
“Nella comunicazione occorre avere qualcosa da dire oltre che da
dare. La brand story prevale sulla brand Image perché la prossima
sfida non sarà il nuovo prodotto ma la storia giusta” “Il lavoro deve
avere senso, deve essere abbinato al tempo e allo spazio in cui si
vive, animare l’immaginario, così la gente trova la scintilla di
connessione.”
Un’idea viene: “ con una buona dose di volontà e poesia” Chi progetta non
mi fa impazzire, preferisco chi lotta per concretizzare cosa ha sentito e
visto a occhi chiusi. Le idee arrivano restando fedeli a se stessi e gestendo
la paura come sentimento costruttivo, di verifica ma non di blocco. Quando
fai qualcosa di speciale, c’è sempre il rischio che non vada per il verso
giusto: sorgono dubbi e timori, ma è segno che sei ancora con i piedi per
93 Limosani, L’artista senza galleria “Sono un cantastorie digitale” - articolo di Repubblica Affari &Finanza del 7 dicembre 2009
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terra, sano” Il mio mondo in tre parole. “Semplice, visionario e ricco di
sentimento”.94
Non per caso è il curatore “ non convenzionale” presso la Fondazione la
Triennale di Milano con un compito non facile: aprire la strada e far
conoscere al pubblico l’Expo 2015, Conoscere, gustare, divertirsi. In
un’intervista a cura di Francesca Lombardi : Toccare con mano su Capri,
The Divine Coast alla domanda: “ E’ possibile assicurare a tutta l’umanità
un’alimentazione buona, sana, sufficiente e sostenibile? Limosani risponde
con due meta parole: Riflessione e Emozione.
Riflessione perché la Terra, dopo aver nutrito per millenni, ha bisogno di
nutrimento, fatto di rispetto, di atteggiamenti sostenibili, di tecnologie
evolute e di visioni nuove.
Emozione perché il nostro cervello è cablato con esse. L’arte e la creatività
sono un detonatore interiore capace di migliorarci e spingerci avanti. Solo
l’uomo, artefice fin qui di uno straordinario percorso d’evoluzione e
intervento sulla natura, può porre nuove domande oltre a dare risposte.
L’imperativo che auspico dopo riflessione e emozione è: azione!
Come dire essere reali con la fantasia.
Felice Limosani scrive: siamo imprigionati in strategie commerciali, in un
diffuso processo di omologazione dove la diversità tende a scomparire a
favore di una cultura commerciale gestita da pochissimi brand. Il 19% del
Pil mondiale è prodotto da soli 100 marchi. Entriamo in luoghi di consumo,
di vita culturale, di azione sociale, e siamo sempre più assediati da un
pensiero unico, monocorde, orientato semplicemente alla vendita e alla
facilità di pensiero. Dove tutto deve essere seducente, luccicante, non 94 Spie Moda a cura di Chiara Tronville, 23 Aprile 2001 d.repubblica.it
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creare problemi, non sviluppare dubbi, essere semplice e diretto. Viviamo
in una enorme prigionia commerciale fruitiva che non produce pensiero
evolutivo. Il risultato è una mortale carenza di diversità dove la ricchezza
tipologica si perde e diventa rarità. "The world is flat", recitava l'ultimo
libro di Thomas Friedman. Ma è davvero così? O in realtà è
incredibilmente ricco di vita, magari lontana dai centri di smistamento?
Quale potrebbe essere una strategia che rovesci l'equazione, dove i clienti
non siano più consumatori, ma siano persone attive, vive, vere trasformate
in ricercatori. Cosa succederebbe se l'esperienza del consumo si
trasformasse in una dimensione di arricchimento, non ovviamente delle
finanze di chi vende, ma di arricchimento culturale? Cosa succederebbe se
le tipologie si rovesciassero e se le funzioni venissero attivate? Se
generassero diversità di pensiero, artisticità, sviluppo di altre funzioni non
legate semplicemente alla vendita di un prodotto? Un approccio diverso
garantirebbe uno straordinario vantaggio in termini di comunicazione,
espansione, reciprocità. Una straordinaria opportunità per preservare
diversità e ricchezze tipologiche, aprendo nuove vie comunicative. La
diversità culturale amplia infatti la gamma di opzioni aperte a tutti; è una
delle radici dello sviluppo, del confronto, della relazione. Il lavoro dell'arte
laterale e dello sviluppo di un pensiero non convenzionale, con una
funzione (anche) economica, apre ad una nuova modalità di introdurre
componenti di cultura indipendente e non massificata anche nel
massmarket. Questo tipo di azione oggi sta diventando una buona pratica
che è in capo ai nuovi narratori contemporanei che utilizzano la globalità e
la potenzialità della diffusione istantanea di messaggi attraverso media
commerciali, per portare messaggio e arte. Su questo Gilles Clement ha
scritto pagine potenti e visionarie che vanno sotto il nome di "Terzo
Paesaggio". Il lavoro che dunque propongo costantemente negli ambiti più
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disparati, cerca proprio in questa diversità di pensiero la sua forza. Sono
opere in cui i soggetti vanno a generare nuove dimensioni estetiche e
stilistiche, nuove modalità di pensiero e di approccio, a rivedere i canoni
usurati e a rigirarli. Il tema infatti non è più di piegare le persone ad un
proprio messaggio ma al contrario invitarle a piegare il messaggio della
marca, del brand, del progetto alla loro curiosità e alla loro immaginazione,
scatenando proprio questa dimensione partecipativa nei processi creativi e
cognitivi. In questo caso non è semplicemente un'azione di comunicazione
ma un'azione profonda, vera e comunicativa. Non si tratta di azioni di
superficie e di grafica, più o meno brillante, quanto di aderire ad un
progetto che si percepisca come memorabile. Il narratore contemporaneo si
pone dunque come medium privilegiato nella creazione di una storia che
abbia i principi della fascinazione ma che contenga anche tutti i pilastri
dell' arte. Quindi nell’era dell’innovazione permanente l’incrocio creativo
tra arte, comunicazione e tecnologia sta tracciando un ampio insieme di
esperienze che caratterizzeranno il futuro, e in parte già delineano il
presente. Questo vale trasversalmente per i luoghi della cultura come per le
brand evolute, divenute veri laboratori di sperimentazione dei nuovi
linguaggi espressivi. In questi ambiti, sia pur diversi ma con denominatori
comuni, il pubblico ha cessato di essere spettatore. Sempre più è parte
integrante dei processi di un engagement atto alla conoscenza e alla
condivisione. In un progetto culturale non noioso o di comunicazione non
banale, diventa indispensabile mettersi in gioco con le idee, realizzare e
condividere narrazioni talentuose, su piattaforme differenti e con linguaggi
multipli. Questa nuova dimensione mi ha permesso si aprire la strada allo
storytelling contemporaneo. Una tecnica nata negli anni '50 come
strumento di “convincimento” politico e industriale trasformata in un atto
di “coinvolgimento” artistico e culturale ricco di estetiche. In questo
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scenario si concretizzano modalità ibride della relazione con il pubblico su
cui riflettere, con approcci dove essere reali con la fantasia è la sfida.
Dopo questa bellissima ed interessantissima lettura ho chiesto a Felice
Limosani: perché abbiamo bisogno di racconti?
In base alla mia esperienza di storyteller posso affermare con certezza che
la narrazione va a braccetto con l’emozione: la stessa che ci introduce alla
comprensione dell’altra metà del mondo cognitivo, cioè di quella patina
immateriale, simbolica, sensibile, affettiva, creativa, che sfugge alla rete
del pensiero razionale. La narrazione è un condensato di emozioni, le stesse
con cui il nostro cervello è cablato. Essere storyteller, prima che un
mestiere, è una vocazione abbinata a una mentalità precisa: cercare di
capire cosa sta per diventare il mondo. Lo storyteller attinge a linguaggi
passati ma scava e scova nel futuro simboli, poetiche, metafore, tecniche,
tecnologie e molto altro ancora. Inoltre, lo storyteller contemporaneo
differisce dal narratore tradizionale perché è cambiato, ed in maniera
radicale, il modo di fare esperienza.
Il mio storytelling si oppone senza riserva ad ogni forma di narrazione
subdola e fuorviante. Che si tratti di un brand, di una galleria d’arte, di una
fondazione o di un gruppo di amici, il ruolo dello storyteller nell’epoca
della produzione immateriale è quello di mettere in cornice un messaggio,
un’idea, una sensibilità, universalizzandola in modo che possa parlare a
tutti e a più livelli.
L’unica regola valida è: ridefinire ogni sapere in vista di un linguaggio
attraente e comunicare qualsiasi messaggio con trasparenza,
immaginazione ed estetica. Successivamente, sarà l’unione di talento ed
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intùito ad assemblare la giusta miscela crossmediale. Per questo, parlare di
“digital” storytelling non è tutto. Digitale, nella mia pratica, definisce solo
la formula di un atteggiamento, uno stile di pensiero che consiste
nell’immaginare la creatività come flusso, come gioco al rilancio, come
spostamento in avanti della soglia di percezione, come atmosfera ludica,
magnifica o semplicemente seduttiva. La trama è tipica
dell’argomentazione: un inizio, uno svolgimento, una fine. Invece, la mia
committenza mi chiede di muovere idee, attivare processi, spingere in
avanti, dare energia ed estetica ai luoghi, agli oggetti, al pubblico. In questa
ottica, la storia rappresenta una strada maestra carica di vissuto umano,
capace di irradiare energia (lo spirito), raccontare (la tecnica), esprimere
talento e unicità (l’arte).
Nulla, forse, è passato indenne attraverso la rivoluzione digitale. È
cambiata la società, noi stessi ci siamo modificati, abbiamo cambiato pelle
e mente, abbiamo acquisito nuovi schemi percettivi. In questa ottica,
l’epicentro è la rivoluzione digitale ma il centro esiste dalla notte dei tempi:
è l’essere umano! Gli strumenti veri dello storyteller sono il desiderio di
comprendere, re-immaginare e creare su scala umana morfologie proprie e
altrui. Con disinvoltura artistica e pragmatismo imprenditoriale
il mio modo di operare è molto diverso da quello che comunemente si
intende per storytelling. Dissociandomi dalla narrazione come tecnica
(spesso manipolatoria) della comunicazione a fini condizionanti, ho sempre
preferito raccontare con l’ampio spettro tonale dell’arte, del gusto e della
bellezza. Così, se lo storytelling, spesso, si appiattisce sulle modalità di
seduzione passiva del fruitore (all’interno di logiche unicamente
economiche), al contrario le mie intenzioni sono rivolte ad una dimensione
progettuale, in cui le tecniche di seduzione diventano proattive,
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coinvolgenti, partecipative. L’asse del giudizio si sposta così dall’autore al
fruitore, perché è chi osserva a decidere cosa e quanto vale.
Se, da una parte, le economie tendono a globalizzarsi, dall’altra tentano di
innovarsi puntando anche su aspetti immateriali che riverberano unicità. I
brand principali, le istituzioni culturali e più in generale le realtà
committenti hanno da poco appreso e compreso che la mancata qualità di
immaginazione nella propria organizzazione interdice l’accesso alle nuove
possibilità offerte dal mercato.
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Case History
La ricetta segreta della Coca Cola?
Coca- Cola Journey: ecco come lo storytelling influisce sulle strategie aziendali
“Se le persone ameranno la storia che racconti, ameranno senz’altro te”.
Niente di più vero nel mondo della comunicazione dei giorni nostri e
questo Coca-Cola lo sa. La grande azienda americana non ha certo bisogno
di presentazioni, il suo successo è “nella bocca di tutti” e vuole continuare
a far parlare di sé con altrettanto grandi campagne di comunicazione,
decidendo di investire sul grande trend del momento, lo storytelling,
portando una ventata di aria fresca sul suo sito aziendale.
Comprendendo a pieno il potere della comunicazione attraverso la
possibilità di raccontare storie, l’azienda ha dato una nuova veste al proprio
website, che ora presenta un nome diverso e non solo. Coca-Cola Journey
si presenta come una rivista digitale interattiva, ricca di contenuti che
toccano “a rotazione” temi come: cultura popolare, social media, brand
identity, marketing strategy, ricette e consigli per la carriera
professionale.
Il progetto Coca Cola Journey è stato definito dalla stessa azienda come «il
progetto digitale più ambizioso che abbiamo mai intrapreso» e si avvale,
oltre al personale interno di Coca Cola, anche del contributo di 40 blogger,
giornalisti e fotografi freelance.
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Il sito si rifà al magazine aziendale pubblicato dal 1987 al 1997 e
navigandolo troviamo, infatti, molto materiale inedito proveniente dagli
archivi Coca Cola.
Coca Cola Journey si presenta quindi come un vero e proprio esempio di
progetto legato al corporate storytelling, e non solo un mero sito “vetrina”.
Ashley Brown, Direttore della comunicazione digitale e dei social media di
Coca Cola Company, sostiene infatti:
“crediamo di essere il primo marchio a mettere in discussione il ruolo che
un sito aziendale dovrebbe avere e a sostituirlo con una rivista interattiva
focalizzata su contenuti reali. E’ un rischio, ma sono ansioso di vedere
cosa riserverà il futuro e come reagiranno i lettori. “
C’è dell’altro oltre le storie: il nuovo sito è nato dopo una moltitudine di
studi e approfondimenti. Coca-cola ha affrontato l’intero anno passato,
cercando di capire quali sono i contenuti più interessanti per il pubblico del
web e ne è uscito un prodotto molto interessante. Come nella maggior parte
degli studi commerciali, diversi sono stati i risultati sorprendenti e allo
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stesso tempo essenziali per lo sviluppo del nuovo sito. È stato proprio
attraverso il blog che il direttore della comunicazione di Coca-cola ha
affermato che: le storie che i lettori hanno amato ci hanno sorpreso del
tutto, e le storie che abbiamo pensato piacessero non sono andate tanto
bene, finendo al di sotto delle nostre attese. Numerose sono state le
modifiche fatte da Coca-Cola in base al feedback dei clienti, come
l’aggiunta di nuove categorie legate al cibo e alla musica.
Il Potere nelle mani del lettore
Caratteristica importante del nuovo sito è che i lettori vengono prima di
tutto. Ogni contenuto e post del sito si basa su un continuo feedback dei
consumatori. Gli articoli più cliccati e più commentati sono presi come
esempio per i post futuri: il sito evidenzia le storie più popolari, che a loro
volta danno una grossa mano ai blogger, i quali correggono il tiro sugli
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argomenti cui ispirarsi per i loro futuri post, al fine di ingaggiare ancora di
più i propri lettori.
La condivisione è sempre al primo posto. Ogni articolo ha i classici
pulsanti di condivisione che hanno lo scopo di promuovere i diversi post
con i social più noti. Tutto questo porta a un risultato finale pazzesco, che
coinvolge sempre di più il pubblico nel mondo Coca-Cola. Non solo
contenuti, ma anche un pacchetto multimediale di grande qualità. Ogni
contenuto, infatti, è continuamente accoppiato con immagini di livello,
agevolando il lettore a carpire i contenuti e invogliandolo così alla lettura.
Questo tipo di esperienza dimostra come, a volte, può essere molto utile per
le aziende fare un restyling del proprio profilo aziendale al fine di
avvicinarsi sempre di più ai clienti, offrendo loro un prodotto curato e
condivisibile. Non a caso i consumatori sono continuamente alla ricerca di
contenuti e informazioni virali, che facciano appello alle loro esigenze, e
qui lo storytelling può essere la risposta.
Coca-Cola è stata una delle società globali a fare da apripista con questo
innovativo metodo di marketing, attendiamo i successori e speriamo che
siano in grado proseguire e, perché no, migliorare in questo progetto.
Lo storytelling sta assumendo un ruolo primario nelle strategie di
marketing aziendali, che attraverso le storie raccontate cercano di
sollecitare il lato emozionale dei contenuti proposti; e Coca Cola Journey è
un esempio lampante di come questo possa diventare, all’estremo, il
cardine della strategia di comunicazione 2.0 aziendale!
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Case History
Jack Daniel’s trasforma i discorsi da bar in
brand storytelling.
L'operazione Tales of Mischief, Revelry and Whiskey parte proprio dai
racconti sentiti nei bar bevendo al bancone.
Esiste una taverna nel centro della mia città, nascosta nel dedalo dei vicoli
più antichi, dove persone di tutte le età si incontrano da centinaia d’anni. Il
pretesto è quello di bersi un bicchiere di vino, ma le vere motivazioni sono
altre. Qui puoi infatti incontrare avventori di ogni tipo, appoggiati ai lunghi
tavoloni di legno, che condividono entusiasti le proprie storie. Giovani
viaggiatori, anziani dal passato avventuroso, viandanti tuttologi di
argomenti sconosciuti ai più.
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L’operazione Tales of Mischief, Revelry and Whiskey parte proprio da
qui, dai racconti sentiti nei bar bevendo al bancone. Girando per locali,
pub, osterie e roadhouse in giro per gli Stati Uniti, Jack Daniel’s ha
raccolto, selezionato e pubblicato alcune delle storie più incredibili.
Ascoltatene qualcuna, navigando il sito favoloso
(www.barstories.jackdaniels.com) creato apposta per l’operazione, farcito
di musiche, suoni e chiacchiericcio tra i tavoli di sottofondo.
Jack Daniel’s si pone così come portavoce della gente comune, creando
uno storytelling multicanale che offre ampie garanzie di intrattenimento
originale.
E’ il trionfo dello storytelling: un buon concept, contenuti esclusivi, ritmo
incalzante, rapporto diretto con l’audience e tanta tanta creatività (si sa che
al bar le storie vengono sempre un po’ esagerate).
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Jack Daniel’s, brand americano leader nella vendita di whiskey, ha capito
il potenziale di questa narrativa da bar, e ne ha fatto un’operazione di
storytelling multicanale che ci proietta tutti per qualche minuto in una
bettola dell’Alabama ad ascoltare le storie del vecchio del paese.
Di seguito alcuni video95
che raccolgono le testimonianze96
(ne sono stati
girati 7 in totale). L’operazione ideale per i copywriter ed editor, che si
sono limitati a trascrivere e registrare le testimonianze della gente comune.
95
http://www.ninjamarketing.it/2014/09/26/jack-daniels-discorsi-da-bar-in-brand-storytelling/ 96
http://www.adweek.com/news/advertising-branding/how-jack-daniels-searched-all-over-country-best-bar-stories-160166
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Case History
Narrazione e identità :
Analizziamo ora un brand che è stato in grado di narrare la sua identità:
“Dove” (http://www.it.dove.com/it/) Questa marca ha saputo ascoltare il
suo pubblico (tendenzialmente femminile), evidenziando un malessere
latente, generato dal divario tra la bellezza femminile vera e quella
proposta dai media, orientata verso canoni estetici basati sulla eccessiva
magrezza, sul fotoritocco per eliminare qualsiasi forma di inestetismo o di
piccolo difetto, diffondendo così l’ideale di una donna perfetta. Trattandosi
esclusivamente di un canone aspirazionale inesistente realmente in natura
(anche le donne più belle qualche piccolo difetto lo hanno), si rileva nel
genere femminile da un lato una sorta di frustrazione dovuta
all’impossibilità di raggiungere questi canoni e dall’altro, un’insicurezza
diffusa, una ridotta capacità ad accettarsi così come sì è.
E “Dove “è stato in grado di rilevare questa percezione distorta della realtà,
egregiamente espressa in un video intitolato “Evoluzione”97
, dove
accompagna il suo pubblico su un set fotografico, svelando la
trasformazione di una bella donna, che, opportunamente truccata e foto-
ritoccata, diventa di una bellezza strepitosa. Si viene così catturati da una
storia creata solo attraverso l’uso di immagini e priva di narrazioni orali, ci
si immerge in questo processo di trasformazione e se ne esce consapevoli
che non sempre la bellezza a cui si assiste è reale.
97 http://www.youtube.com/watch?v=Ol_4UZuEmJA
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Dove ha ulteriormente approfondito il suo processo di individuazione di
messaggi in grado di soddisfare i bisogni latenti del proprio pubblico
femminile, focalizzando l’attenzione sulla mancata percezione della propria
bellezza, inserendo nella propria narrazione di Brand orientato alla
bellezza autentica, la sua natura eroica di paladino che combatte
sottilmente, in profondità per rendere le donne (da quelle ancora in boccio,
a quelle più mature) consapevoli della propria unicità, invitandole ad
imparare ad amarsi di più e ad apprezzarsi maggiormente. Anche questo
messaggio è stato trasformato in un video98
.
Le sequenze sono in grado di evidenziare il gap esistente tra la percezione
di noi stessi e come invece ci vedono gli altri. La prova “scientifica”
avviene grazie ad un ritrattista che disegnava due volte il volto di alcune
98 http://www.youtube.com/watch?v=DrGlJ0odXfM
Percezione distorta della realtà
Bellezza autentica
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donne senza averle precedentemente viste, prima basandosi sulla
descrizione della donna stessa, poi basandosi sulla descrizione fatta da una
terza persona. Ne risultavano due volti ben diversi tra loro: dal primo,
esteticamente meno piacevole, traspariva una maggior criticità delle
modelle verso se stesse, la capacità di individuare solo ed esclusivamente
aspetti negativi dei propri lineamenti e la tendenza anche a descriversi
ancor più negativamente; il secondo ritratto, invece, era rappresentativo di
una bellezza più piacevole e, soprattutto, maggiormente corrispondente alla
realtà.
E in questa opera di evangelizzazione della vera bellezza autentica, la cui
consapevolezza manca alla maggior parte dell’universo femminile, dove
sono i prodotti di Dove? Spariti completamente dal video: resta solo il
Brand a ricordare la narrazione di una marca che presta attenzione alla
bellezza femminile, quella autentica.
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Case History
Dal capo della Chiesa indicazioni e strategie
per chi è a capo di un’azienda. O vuole
convincere un pubblico.
a conquistato tutti con un “buonasera”. Piace perché rinuncia al
lusso. Ha rivoluzionato la Chiesa (fermezza con lo ior, i preti
spendaccioni e i pedofili), ma lo ha fatto senza abbandonare il
suo sorriso gentile. Da cardinale, si spostava solo sui mezzi pubblici. Lo
faceva perché è sempre stato un tipo sobrio, ma anche perché aveva capito
una delle strategie chiave del leader di oggi: ascoltare il proprio pubblico.
Pochi spunti e già si capisce come Jorge Mario Bergoglio, argentino di 77
anni, dal marzo 2013 noto come Papa Francesco, nella sua scalata ai vertici
della Chiesa abbia lasciato poco al caso: In lui istinto e ragione si sposano
in un mix tutto da copiare.
H
Foto del Papa super Eroe twittata dal Vaticano.
A lezione da Papa Francesco: genio del
Marketing e dello storytelling, in una
metafora di Bruno Ballardini.
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La presente intervista, comparsa su Millionaire di Novembre ‘14, a Bruno
Ballardini99
autore del Libro: Leader come Francesco, Piemme editore,
molto significativa per il lavoro che ho svolto in questa ricerca di tesi sulla
Comunicazione strategica e sullo storytelling.
La chiesa come brand, Il Papa come Ceo e la nuova strategia volta ad
un riposizionamento sul mercato. Ci parli di di questo parallelo?
“Seguendo la metafora, la più grande multinazionale della storia
distribuisce un prodotto, che si propone come il migliore: la dottrina. I
punti vendita sono le chiese sparse nei quattro continenti, la più capillare
rete di distribuzione mai vista. Questo prodotto, come il marketing più
avanzato ha escogitato solo alla fine degli anni ’80, è gratis, con garanzia
illimitata. Quello che si paga è la customer care, l’assistenza ai credenti,
che è disponibile solo nei punti vendita e solo con ricambi originali della
marca (il Magistero della Chiesa). Ora, se il prodotto entra in una fase di
crisi perché non è stato aggiornato per troppo tempo, occorre un’operazione
di riposizionamento per adeguarlo alle nuove esigenze della società. Non
basta un restyling. Occorre riunire un concilio, pardon, un consiglio di
amministrazione, in cui vengano tracciate le nuove linee di sviluppo del
prodotto in funzione delle esigenze dei consumatori”
99
Bruno Ballardini Pubblicitario, scrittore nasce a Venezia nel 1954. Mi sono laureato in Filosofia del Linguaggio con Tullio de Mauro e ho studiato composizione e musica elettronica con Franco Evangelisti. Come pubblicitario ho militato nelle più grande agenzie, ora mi occupo di comunicazione strategica e scrivo libri. Quelli a cui sono più affezionato sono due: uno del 1994 in cui ho dichiarato per primo la morte della pubblicità, uscito di nuovo recentemente in edizione aggiornata. E un altro del 2000 in cui ho dimostrato che è stata la Chiesa a inventare il marketing, libro tradotto in 11 paesi. Nel 2011 esce Gesù e i saldi di fine stagione (Piemme) ed è la risposta a una sfida che mi è stata lanciata da un cardinale. Si intitola. Spero di avergli risposto a tono. Il mio ultimo libro è del 2014 e s’intitola Leader come Francesco (Piemme).
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Quali sono le principali qualità di Papa Francesco?
“Il suo carisma e l’enorme preparazione acquisita non solo teoricamente,
ma soprattutto sul campo, che non si ferma all’erudizione e si fa prassi, si
applica alla risoluzione dei problemi, a differenza del Papa precedente che
era solo un teorico. Le azioni del Papa hanno un unico obiettivo: preparare
il terreno per le riforme. Ti conquista con un’irresistibile empatia. E la sua
rapidissima capacità decisionale che deriva da una formazione di tipo
militare, maturata in quella che potrebbe essere definita come la miglior
scuola di management: La Compagnia di Gesù. Questo produce uno stile di
leadership inusuale, efficacissimo, capace di spiazzare.”
Cosa Imparare dal Papa come leader?
“ Saper ascoltare è tutto per un leader. Francesco ha inaugurato il suo
papato con un’enorme operazione di auditing interno, affidandola a
consulenti esterni del calibro di Kpmg, Ernst & Young e McKinsey, per
una maggiore trasparenza. Ma anche a livello personale, ha un modo di
rapportarsi lontano anni luce da quello di chi parla solo ex cathedra”
Il Papa usa perfino lo Storytelling?
“L’ha fatto sin dal suo primo discorso. In quel “Buonasera….” C’era già
tutto il programma: riportare la Chiesa ai valori fondanti, alle cose
semplici, ai sentimenti. E ha continuato a farlo, narrando “un mondo
possibile”. Il fulcro dello Storytelling è “il ponte narrativo” che permette
al pubblico di arrivare nel nuovo mondo, lasciando quello vecchio. La
parola “pontefice” significa “costruttori di ponti”. In questo caso, il
costruttore sa farsi ponte egli stesso per guidare il gregge e portarlo in
salvo”.
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E rispetto ai suoi predecessori?
“Wojtyla ha fatto spettacolarizzazione del prodotto. In marketing si usa
fare così quando un prodotto è in crisi e deve essere aggiornato: si aumenta
la pressione pubblicitaria creando più attenzione intorno alla marca per
continuare a vendere, mentre si mette mano a un aggiornamento. Ma il
successivo amministratore delegato (Ratzinger) non l’ha fatto e ha dovuto
rassegnare le dimissioni: Francesco si è comportato come un “curatore
fallimentare” affiancando l’ultimo Ceo per traghettare la multinazionale
fuori dalla crisi”.
Quale è stata la cosa più rivoluzionaria che ha fatto?
“ Tutto quello che fa è rivoluzionario. Ma, nello stesso tempo, procede in
modo cauto. C’è un’ala conservatrice della Chiesa che non vuole nessun
cambiamento. Francesco parte sempre dalla customer Satisfaction. In
questo senso, il questionario on line inviato a tutte le diocesi del mondo nei
primi mesi del suo papato per conoscere le nuove istanze dei fedeli, è
un’iniziativa di crowdsourcing”
E l’uso di internet e i social?
“ E’ una delle sfide che Francesco ha accettato: usare i social e i
nuovi strumenti offerti da internet come mezzo di
evangelizzazione. Per fare questo occorre anche indicare un modo etico di
utilizzare la Rete: Papa Francesco è su Twitter con @Pontifex_it. Così è
nato Aleteia, il primo aggregatore globale dei Web cattolici, capace non
solo di attrarre pubblico, ma anche di fornire un “timone” etico per la
navigazione in Rete. E poi AdEthic, la prima media agency per la
pubblicità etica”
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Qual’ è la sua lezione più importante?
“ Il potere è, prima di tutto, saper servire. Servire gli altri, servire l’azienda.
Oggi molti manager non sono capaci di fare questo e si limitano a
esercitare il potere senza avere nessuna autorevolezza”
I segreti di Papa Francesco da copiare subito
Tratta tutti allo stesso modo, dal capo di Stato al barbone, dal singolo
alla folla, dal religioso al laico;
Rinuncia al lusso ( per i simboli niente oro, solo argento e semplici
calzature da prete al posto delle scarpine rosse di Prada del suo
predecessore);
Ascolta, si mescola alla gente, rivoluziona il protocollo, non mette
barriere tra se e gli altri;
Da vero leader, è il primo a dare l’esempio;
Pugno di ferro in guanto di velluto: inflessibile, ma anche sorridente
e gentile.
Agisce seriamente, senza prendersi troppo sul serio ( come quando
ha consigliato una “medicina spirituale”: la Misericordina100
100 http://www.youtube.com/watch?v=6orUWushNTk
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CONCLUSIONI APERTE
Siamo alla fine di un percorso, in questo viaggio abbiamo toccato tanti
temi accomunati da due tematiche di fondo: l’impresa e lo storytelling
come nuovo mezzo di comunicazione. Abbiamo parlato di storie e di
racconti, di narrazione e soprattutto di emozioni, atmosfere, suoni e
immagini. Quando si racconta in modo efficace si producono sempre effetti
performativi, estetici, etici. Estetici perché le storie efficaci funzionano e
sono “belle”. Hanno un non so che di perfetto. Generano presenza e non
assenza. Etici perché le storie che funzionano, consegnano sempre qualcosa
all’interlocutore. Se racconto qualcosa di me o dei miei prodotti devo
essere coerente con la narrazione che sto facendo, ma anche perché nessuna
narrazione può essere imposta, ma co-generata. Questo è un passaggio
importante. C’è una certa declinazione dello storytelling che vede oggi, in
questo dispositivo, uno strumento di manipolazione del consenso. In realtà,
essendo la narrazione parte del pensiero e della vita umana il problema non
sta tanto nella manipolazione del consenso quanto piuttosto nel grado di
partecipazione del consumatore, del cliente, del cittadino. Questa è la mia
consapevolezza. Possiamo dire che prima ancora di un bene o di un
servizio, noi compriamo una storia che ci rafforza o consola, inorgoglisce o
riscatta, si fa possedere, possedendoci. Ma le narrazioni, debbono essere
autentiche, coerenti, o meglio dire oneste.
La narrazione onesta, secondo Benjamin, deve essere utile, solida e
irripetibile. L’utilità della storia esiste se essa è tale da poter essere presa
per noi come punto di partenza e non di arrivo. In essa è insito l’invito a
proseguirla, contaminandola con la nostra reale esperienza di vita.
“Solida” è da intendere, invece, come sinonimo di autorevole, laddove
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l’autorevolezza è data dall’essere in grado di riferire il racconto alle storie
ultime, alla storia universale, all’ininterrotto ciclo vitale, costituito da
nascite e morti dall’origine dell’umanità ad oggi. Infine, “irripetibile” va
inteso come tensione all’unicità artistica, che va oltre il luogo e il tempo
della narrazione, verso una dimensione mitica e ideale per il compimento
del rito. Nell’epoca del prosuming e del networking sociale, in cui in un
batter di click le azioni di un’azienda sono rese pubbliche, non ci si può più
sottrarre come in passato. L’architettura della comunicazione aziendale,
dato il nuovo contesto, sta seguendo una parabola evolutiva secondo diversi
step che ne condizionano l’ascesa. Da questo punto di vista le parole chiave
del flusso comunicativo 2.0 sono le seguenti: partecipazione, dialogo,
interazione, ascolto e controllo. Se volessimo riassumere il tutto in un solo
vocabolo parlerei di relazione . Tale concetto è oggi centrale per ogni
attività comunicativa e si basa su un’attività di scambio di informazioni
reciproco. A questa parola aggiungerei poi l’idea di autorità (l’abbiamo
incontrata pocanzi), perché l’azienda non deve mai dimenticare il valore
dei propri messaggi e deve saper dosare con misura le proprie parole. Forse
è proprio l’idea di parola ad essere il centro del culto della comunicazione
oggi: saper comunicare in modo efficace significa dare l’importanza
necessaria ad ogni parola presente nel testo, nel comunicato stampa, nel
video, nel messaggio. Nel nuovo mondo dei social media, caratterizzato da
libertà di scelta, dialogo e partecipazione, le storie conservano tutto il loro
potere e lo storytelling di marca ha nuove opportunità di ispirare e
convincere i consumatori. Le marche tuttavia devono reinterpretare
profondamente il loro ruolo e capire come entrare in relazioni nuove con
gli utenti della rete – anche sul terreno simbolico. L’epoca in cui storie di
marca precostituite e di carattere invasivo potevano spingere
soddisfacentemente le vendite si sta esaurendo. La nuova realtà che il web
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rappresenta, specie tra le nuove generazioni, implica una radicale
trasformazione socioculturale nella quale il controllo dei processi
comunicativi si sta spostando in direzione delle audience. Ciò a sua volta
comporta la necessità di modi nuovi di ideare e diffondere storie di marca.
Attraverso i social media i consumatori, i cittadini sono posti ora nella
condizione di esprimersi in merito ai brand in misura mai sperimentata in
precedenza. Invero sulla Rete l’interesse e la passione per marche e
prodotti li inducono a farlo continuamente. Per le aziende la sfida da
raccogliere è quella di imparare a porsi all’ascolto e poi contribuire alle
conversazioni in atto, riposizionandosi come membri attivi di community
vitali, dialoganti, creative.
Il grande vantaggio che le imprese possono ricavare da queste nuove
tendenze è la possibilità che le proprie storie di marca nascano a partire
dalle aspettative sociali diffuse e attingendo pienamente alla ricchezza di
idee, immaginazione e cultura del pubblico. Soprattutto attraverso l’apporto
co-creativo degli utenti della rete, si apre la possibilità che lo storytelling di
marca riesca sempre più a esprimere i significati e i valori simbolici che un
brand possiede. In un processo di questo tipo gli individui componenti le
audience possono diventare non solo coloro che acquistano e consumano i
prodotti, ma anche gli storyteller, coloro che contribuiscono a ideare e
raccontare le storie di marche. Perché gli individui dovrebbero farlo?
Perché lo fanno già producendo forme molteplici di user-generated
content; e per il piacere di far vivere le marche che amano in mondi
immaginari e mitici ma dotati di senso, nei quali identificarsi per dare
maggior valore alle proprie esperienze di consumo. Il brand narrativo sarà
pertanto in grado di fare la differenza, specie in un mercato colmo di
messaggi e contenuti; sarà la molla che indurrà a scegliere un prodotto
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piuttosto che un altro. Le persone, infatti, filtreranno sempre di più le
informazioni disponibili, saranno sempre meno attente ad alcune forme di
messaggio, orientandosi verso prodotti con i quali condividono una storia,
verso ciò che è in grado di suscitare in loro più emozioni, con i quali si
identificano di più, in quanto si tratta di un brand che ascolta la sua
audience, che risponde ai suoi bisogni ed è in grado di mutare alcune
sfaccettature della propria personalità, per corrispondere meglio alle
esigenze rilevate. Il brand, la storia del brand, la sua unicità, il modo in cui
viene raccontato si trasforma quindi in un valore economico, in quanto è in
grado di generare ciò che è stato definito “capitale narrativo” (cit. Andrea
Fontana)
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http://www.ninjamarketing.it/2014/02/22/innamorarsi-di-un-brand-in-6-semplici-
mosse-infografica/
http://www.ninjamarketing.it/2014/03/13/il-potere-delle-storie-siamo-tutti-storytellers-
video/
http://www.ninjamarketing.it/2014/04/14/ecco-come-lego-ha-conquistato-il-cuore-dei-
consumatori-digital-intervista/
http://www.ninjamarketing.it/2014/04/15/8-consigli-per-fare-visual-storytelling-sui-
social-media/
http://www.ninjamarketing.it/2014/04/17/corporate-storytelling-consigli-per-
narrazione-di-successo/
http://www.ninjamarketing.it/2014/04/28/storytelling-prosciutto/
http://www.ninjamarketing.it/2014/05/01/amazon-storyteller-trasforma-le-tue-
sceneggiature-in-storyboard/
http://www.ninjamarketing.it/2014/05/02/levoluzione-dello-storytelling-dalle-pitture-
rupestri-alla-realta-aumentata-infografica/
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1
http://www.ninjamarketing.it/2014/05/05/corporate-video-storytelling-5-idee-per-i-
brand/
http://www.ninjamarketing.it/2014/05/20/storytelling-aziendale-5-strategie-utili-nei-
video/
http://www.ninjamarketing.it/2014/07/24/10-indispensabili-consigli-sul-content-
marketing/
http://www.ninjamarketing.it/2014/09/12/10-indimenticabili-campagne-di-experiential-
marketing/
http://www.ninjamarketing.it/2014/10/31/7-regole-corporate-storytelling-startup/
http://www.ninjamarketing.it/2014/11/07/coinvolgi-target-attraverso-lo-storytelling/
http://www.panorama.it/news/marco-ventura-profeta-di-ventura/che-cosa-e-storytelling/
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beppe-grillo/
http://www.psicologianeurolinguistica.net/2014/07/il-potere-delle-storie-come-le-
storie.html
http://www.seoposizionamento.it/brand-reputation/brand-reputation-online+i86.html
http://www.sherazadesalento.com/
http://www.siamotuttistoryteller.it/home/index.php/2014-04-02-15-39-19/item/345-
siamo-tutti-storyteller-il-format
http://www.siamotuttistoryteller.it/home/index.php/blog2/item/342-la-leopolda-delle-
meraviglie-spazi-che-raccontano-la-politica
http://www.sinergiejournal.it/pdf/88/02.pdf
http://www.spiweb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=4903:il-potere-
delle-storie-mente-e-cervello-luglio-2014&catid=726&Itemid=353
http://www.storyfactory.it
http://www.storytellinglab.org/
http://www.travelservicedesign.com/il-potere-dello-storytelling/
http://www.webinfermento.it/visual-storytelling/
http://www.webnews.it/2014/10/15/storytelling-pisa-internet-corporate/
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2
http://yourstoryworks.tumblr.com/
http://yourstoryworks.tumblr.com/post/98880914917/come-legare-il-brand-alle-
bellezze-italiane-anche-se
http://ypp.dmlcentral.net/publications/208
VIDEO
Spot Tv Nutella Nazionale Italiana
http://www.youtube.com/watch?v=wIN18YTlsXY
A' Mè Me Piac A' Nutell - Piccolo Lucio
http://youtu.be/7WMaDyA8F0A
Nutella - 50 anni di Emozioni insieme
http://www.youtube.com/watch?v=XiCgeBX8QfY
Apple - iPad Air - TV Ad -Your Verse
http://www.youtube.com/watch?v=jiyIcz7wUH0
American Stories, American Solutions: 30 Minute Special
http://www.youtube.com/watch?v=GtREqAmLsoA
Shangri-La "It's in our nature" - Bruno Aveillan
https://www.youtube.com/watch?v=J4jZ1UFR_Wc
Every Life Has a Story
https://www.youtube.com/watch?v=2v0RhvZ3lvY
Sito Ikea – analisi di un caso
http://www.ikeafamilylivemagazine.com/it/it/article/31430
The heroe journey (CrisVogler)
http://www.youtube.com/watch?v=SB_Q1gFsvIw
Kerakoll4takent
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3
http://www.kerakoll4talent.com/site/i-like-you/
Beautiful Lab
http://www.youtube.com/watch?v=ZpjtChOwnnw
Assassin Creed
http://www.youtube.com/watch?v=wmZ9GnY_Ekg
Lost experience
http://www.youtube.com/watch?v=6phwqrqlGwE
Album della gioia (Papa Francesco)
http://www.youtube.com/watch?v=fIHQWKiBN5g
Discorso del Papa sulla misericordina
http://www.youtube.com/watch?v=6orUWushNTk
Cospiracy For Good
http://www.youtube.com/watch?v=11nKB8XP55E
Discorso di Tim Kring(cospiracy for good)
http://www.youtube.com/watch?v=SZnfpaAkn4U
VideoNike
http://www.youtube.com/watch?v=3XviR7esUvo
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4
TOOLS: Dove fare Visual storytelling!
Buzztale: www. buzztale.com
Cityteller: http://www.cityteller.it
Edgar http://edgartells.me/stories
Fotobabble http://www.fotobabble.com/
Frametastic: https://itunes.apple.com/it/app/frametastic/id427063436?mt=8
Hipstamatic: http://hipstamatic.com
Instagram: http://instagram.com
KettleCorn: http://kettlecorn-edit.innovation-series.com
Maptia https://maptia.com/
My parade: www.myparade.com
Picframe: https://itunes.apple.com/it/app/picframe/id433398108?mt=8,
https://play.google.com/store/apps/details?id=nz.co.activedevelopment.picframe_androi
d&hl=it
PicMonkey: http://www.picmonkey.com
Reclog: https://reclog.me
Seejay http://www.seejay.co/
Steller: http://steller.co
Storehouse: https://www.storehouse.co
Storybird: http://storybird.com
Storyboardthat: http://www.storyboardthat.com
Storybyte http://storybyte.com/
Storyjumper http://www.storyjumper.com/
Storytelling for kids http://www.mystoryapp.org/index.html
Tell great story https://contently.com/
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5
Tibecafilm http://tribecafilm.com/online/competitions/6second,
TruScribe: http://www.truscribe.com
twitter: www.twitter.com
Vimeo: http://vimeo.com
Vine: https://vine.co,
Visual.ly: http://visual.ly
Wikihow : http://www.wikihow.com/Main-Page
INDICE DELLE FIGURE
Figura 1 Il processo di corporate communication 23
Figura 2 Tipologia delle esperienze di consumo 29
Figura 3 La vecchia logica del Marketing (G-D-Logic) 31
Figura 4 La nuova logica del marketing (S-D Logic) 32
Figura 5 Il valore del legame 34
Figura 6 Cultura, impresa e consumatori. 35
Figura 7 Tipologie di collaborazione consumer made 37
Figura 8 La piattaforma : il mulino che vorrei 46
Figura 9 Storylistening trance experience 58
Figura 10 Le tappe di una storylistening trance experience 60
Figura 11 Le componenti principali di una storia 72
Figura 12 La narrazione funziona ed è efficace quando? 74
Figura 13 Schema narrativo canonico- applicato a Ikea 86
Figura 14 Le tappe del viaggio dell’eroe 88
Figura 15 Gli ambiti/aree di applicazioni dello Storytelling 99
Figura 16 Un piano di storytelling operation 107
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ALLEGATI
1. Genesi e diffusione del M5S. In un Paper. Quotidiano
L’attacco
2. Storytelling: la nuova pietra filosofale della
comunicazione politica? Huffington post
3. Christian Salmon: "La politica è prigioniera dei
racconti dei suoi leader". Repubblica
4. Felice Limosani da Rignano. Un segno particolare:
artista. Corriere del Mezzogiorno
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Storytelling: la nuova pietra filosofale della
comunicazione politica?
di Huffington Post di Salvatore Santangelo 17 giugno 2014
Facendo una veloce ricerca su wikipedia, scopriamo che lo lo Storytelling
Management è una disciplina ampia e articolata che, basandosi sui principi della
narrazione applicata all'impresa, genera un vasto assortimento di strumenti, cartacei,
digitali e relazionali, che possono essere applicati a diverse aree o funzioni aziendali",
dai principi strategici fino alla formazione passando chiaramente per la comunicazione
integrata. L'estensore della "voce" espande questo concetto fino alla sfera politica,
sottolineando come "Le campagne elettorali - da quella di Clinton fino a quella di
Obama - ne hanno fatto ampio uso", mentre "In Italia il dibattito è ancora allo stato
nascente".
Un nuovo cono di attenzione è stato acceso dopo il discorso del premier Matteo Renzi a
ridosso dell'affermazione elettorale del Pd nelle elezioni europee.In particolare il Primo
ministro ha affermato che "conoscere il diritto amministrativo è importante, ma bisogna
imparare anche un 'racconto' da esprimere all'esterno, per poter tornare all'idealità". Su
questo blog ci siamo già occupati di "supremazie narrative"e del delicato rapporto tra
cultura mainstream e politica.
Per approfondire, e soprattutto per fare chiarezza rispetto a una serie di stereotipi e
semplificazioni, abbiamo deciso di parlarne con Andrea Fontana, che dello
storytelling politico e aziendale in Italia è stato un vero pioniere.
Cosa impariamo dalle ultime elezioni politiche e della netta affermazione
renziana?
Che avere un racconto politico da condividere con i propri elettori è ormai una necessità
fondamentale delle leadership politiche contemporanee. Occorre una narrativa
articolata: una rappresentazione contenutistica e visuale di sé e del destino politico che
si vuole costruire con i propri elettori. A dire il vero, lo sapevamo anche prima. Da
Berlusconi in poi era evidente. Ma rimaneva una verità sullo sfondo, in parte scomoda,
perché rimandava al berlusconismo e alle sue retoriche. Ora Renzi ha dimostrato in
modo definitivo, come d'altronde evidenzia il dibattito internazionale, che per generare
un legame e un'affinità con i propri elettori bisogna tenere presenti alcuni fattori dello
storytelling applicati alla politica quotidiana e al fatto che la personalizzazione narrativa
della sfera politica è ormai un fatto.
Per approfondire meglio, quali questioni?
Innanzitutto per fare un buon racconto politico non servono solo contenuti. Temi,
contenuti e valori sono necessari, ma non più sufficienti. Occorrono anche "persone":
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uomini o donne in carne e ossa che testimonino un racconto. Serve cioè uno storyteller
che sappia porgere i contenuti della propria proposta valoriale, che sia anche un leader e
che manifesti una leadership. Senza un catalizzatore che inneschi la miccia del racconto,
una narrazione politica non è credibile.
Quindi il ritorno dell'identità che conta?
Senza dubbio. È vero che - nella società liquida - è sempre più difficile distinguere le
politiche di centrodestra da quelle di centrosinistra, ma è indispensabile mettere bene in
evidenza la propria distintività (come stavolta ha fatto la Lega rispetto ad altri gruppi).
Poi, per fare un racconto e avere bravi storyteller contano la selezione e la formazione
politica. Un gruppo politico non può essere fatto da un solo leader, ma da una leadership
diffusa che si incarna in un soggetto che racconta e coinvolge, ma che permette ad altri
di portare testimonianza e compiere quel destino che si prefigura. E ancora, l'emozione
diventa fondamentale. I pubblici nell'arena politica contemporanea - purtroppo o per
fortuna - non sono interessati soltanto ai dibattiti, ma sono intercettati dalla "risonanza
emotiva". Che sia la rabbia, che sia la speranza, si vince se si riesce a sintonizzare
l'istinto con l'intuito, il cuore con la testa e poi con la pancia.
Questo perché non si può stare senza un "teatro"...
Occorre mettere in scena il proprio racconto di fronte ai propri elettori. La piazza -
nonostante l'importanza dei social media - torna a essere il luogo del confronto e
dell'ingaggio. Così la "mediasfera" non si sostituisce alla realtà ma l'affianca. E in questi
"teatri" vengono messi in risalto i problemi e le paure reali che contano. Nel proprio
racconto politico, infatti, oltre al destino che si propone ci devono essere i problemi dei
propri elettori. Bisogna dare risposte alla paure delle persone, altrimenti si cade nel
"politichese" inutile. Per sintonizzarsi bisogna stare con le persone e in mezzo alle
persone (forse andare nelle scuole non è la soluzione perfetta, ma sicuramente è un
gesto di vicinanza).
I problemi e le paure contano, ma non bisogna andare oltre un certo limite, giusto?
La rappresentazione del proprio racconto passa anche per le emozioni che si danno e
che si sanno condividere. Però la "dose emotiva" da condividere va calibrata con grande
maestria. Se carichi troppo poco il tuo racconto nessuno ti "sente" col cuore e la pancia
e quindi perdi elettorato. Se al contrario carichi troppo il tuo racconto, il rischio (come
accaduto a Grillo e al suo movimento) è quello di non reggere i traumi, di attivare
cambiamenti non sostenibili a livello emotivo che generano poi delusione e
frustrazione. Certo non parliamo qui degli elettori militanti, di quelli che ci sono
sempre, costi quel che costi, ma di quell'elettorato ondivago e ormai sfuggente a ogni
previsione statistica che decide all'ultimo minuto mettendo in fila in un attimo tutto
quello che ha visto e sentito (nel passato e forse nel futuro). Per cui dosare bene il
richiamo alle paure. Ed essere veloci. La velocità può fare la differenza: Renzi ha vinto
anche per questo. E in questo senso lo storytelling diventa fondamentale. Col racconto
si vince perché in quei pochi minuti è il racconto che viene evocato nella testa, nel cuore
e nella pancia dell'elettorato, e spinge a decidere o non decidere per un leader piuttosto
che per un altro.
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Christian Salmon: "La politica è prigioniera dei
racconti dei suoi leader"
Repubblica di ANAIS GINORI 24 Novembre 2014
Lo studioso francese spiega come i protagonisti di oggi, da Obama a Hollande,
cerchino il consenso solo con espedienti "narrativi"
PARIGI - SIAMO diventati tutti cannibali. Affamati di storie e colpi di scena,
divoriamo i nostri rappresentanti politici come fossero oggetti di consumo,
dimenticando che il piatto finale di questo banchetto funesto è la democrazia, il sistema
istituzionale che abbiamo faticosamente costruito. "Il dibattito delle idee è passato
dall'età della confronto a quello dell'interattivo, del performativo e dello spettrale"
racconta Christian Salmon, autore di numerosi saggi su censura e narrazione.
Dopo aver pubblicato qualche anno fa l'illuminante Storytelling, Salmon torna con un
nuovo libro dedicato all'assoggettamento dei politici alla narrazione e alla performance.
La politica nell'era dello storytelling è un'inchiesta sulla nuova generazione di uomini
pubblici, da Bill Clinton a Matteo Renzi, protagonisti di una commedia mediatica
permanente che li ha lentamente resi nudi e "potenti impotenti" come scrive Salmon.
"La comunicazione politica - continua - non mira più solo a formattare il linguaggio,
ma a incantare gli spiriti e sprofondarli in un universo spettrale di cui i politici sono al
tempo stesso performer e vittime".
L'obbligo della "narrazione" sta uccidendo la politica?
"Quando ho scritto Storytelling volevo allertare sui pericoli della narrazione nel
management, nel marketing, nella comunicazione politica. Ormai è cosa nota. Lo
storytelling ha invaso le nostre vite. È una sorta di pensiero magico usato dai
comunicatori, una vulgata che scredita ancora di più la parola pubblica. In questo nuovo
libro analizzo gli effetti dissolventi e divoranti dello storytelling sull'homo politicus e
sulla sfera pubblica".
Siamo assistendo a una 'cerimonia cannibale', titolo originale del libro?
"Il dramma che si recita non è altro che il divoramento dell'uomo politico per come
l'abbiamo conosciuto negli ultimi duecento anni. Per l'effetto combinato del
neoliberismo, le nuove tecnologie e la rivoluzione della comunicazione, la scena
politica si è spostata dai luoghi tradizionali dell'esercizio del potere verso quelli
performance come i media all news, Internet e i social network".
In cosa consiste la trappola della "insovranità"?
"La simbologia del potere funziona solo con una sovranità reale. La globalizzazione
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neoliberista e la costruzione europea hanno distrutto la sovranità degli Stati. È
scomparso il legame tra l'incarnazione del potere e il potere di agire. Da un lato ci sono
po- teri senza volto - i mercati, le agenzie di rating, Bruxelles - e dall'altro volti di
impotenti. Lo sviluppo dei social network e dei canali all news non ha fatto altro che
aggravare la situazione. Più gli uomini politici sono esposti mediaticamente, più la loro
impotenza è lampante. È un circolo vizioso ".
L'uomo politico è diventato un oggetto di consumo?
"Il tempo lungo delle deliberazioni democratiche ha lasciato il posto al tempo reale dei
canali di informazione. L'uomo di Stato si presenta ormai più come un oggetto di
consumo che come una figura autorevole: è diventato un artefatto della sottocultura di
massa e non è più visto come un'istanza produttrice di norme. Un personaggio di serie
tv sottomesso all'obbligo della performance".
Esistono delle eccezioni?
"Da Bill Clinton a Nicolas Sarkozy, passando per Tony Blair, George Bush e Barack
Obama, ogni capo di Stato è costretto a essere onnipresente fino a banalizzarsi,
sovraesposto sotto alla lente d'ingrandimento dei media. Si crea una distanza ravvicinata
persino oscena. Siamo passati dal 'doppio corpò del Re studiato da Kantorowicz al
'corpo aumentatò dei telepresidenti. È il corpo sudato di Sarkozy, quello spettrale di
Berlusconi. È la silhouette lunga di Obama, sottile quanto un logo. Gli uomini politici
diventano virtuali, angeli digitali. Subiscono fluttuazioni nei sondaggi con la stessa
volatilità di un'azione in Borsa. La simbologia del sovrano scompare".
François Hollande è un pessimo narratore?
"Ha perso la battaglia delle parole, adottando il linguaggio della destra sui temi
economici e senza riuscire a proporre un racconto alternativo che sia capace di dare
senso alla sua azione. Ha fallito anche sull'immagine. È precipitato nel bagno dell'acido
mediatico, com'era già successo a Clinton o a Berlusconi con il bunga bunga. Hollande
ormai appare slavato, senza più credibilità. Nudo".
Cosa pensa della sovraesposizione e del successo mediatico di Matteo Renzi?
"Il Titanic aveva un problema di iceberg. Non un problema di comunicazione. L'ha
detto Paul Begala (ex consigliere di Clinton, ndr.) a proposito dell'amministrazione
Obama. Vale anche per Matteo Renzi. Mi sembra impegnato in una fuga in avanti che
può creare un'illusione ma solo momentanea. Fa parte di quello che definisco 'paradosso
del volontarismo impotente'".
In politica, si tenta di mascherare la mancanza di autorità con il volontarismo? "Il volontarismo è la forma che assume la volontà politica quando il potere è privo di
mezzi. Viene esibita una volontà ancora più forte, raddoppiandone l'intensità, per
tentare di recuperare credibilità. Ma questa prova di forza non fa altro che accentuare il
sentimento di impotenza dello Stato. E si entra così in una spirale di perdita di
legittimità".
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Qual è la responsabilità dei media?
"La mediasfera è il teatro della sovranità perduta. È la ribalta per uno strip-tease in cui
l'homo politicus si spoglia a poco a poco dei suoi poteri, dei suoi attributi, del suo
prestigio, della sua maestà, fino a perdere dignità. È il prezzo da pagare per catturare
l'attenzione sempre più reticente dell'opinione pubblica. La ribalta di questo spogliarello
è la televisione. In verità, l'uomo politico sta forse scomparendo al culmine della sua
sovraesposizione mediatica. Parafrasando una formula di Martin Amis, direi: "He has
vanished into the front page". È scomparso in prima pagina".