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Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. DL353/2003 (conv. In L. 2702/2004 n. 46) art. 1 comm. 1 AUT. GIPA/C/PD/29/2011. In caso di mancato recapito rinviare a CMP Padova per la restituzione al mittente previo pagamento resi ORGANO UFFICIALE DELL’UNITALSI BIMESTRALE N°6 - NOV/DIC 2015 Ovunque nel cuore La Porta Santa della Misericordia

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O r g a n O u f f i c i a l e d e l l’ u n i Ta l S i • B i m e s t r a l e n ° 6 - n O V / D i C 2 0 1 5

Ovunque nel cuoreLa Porta Santa della Misericordia

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Sommario

L’8 dicembre Papa Francesco ha aperto la Porta Santa in San Pietro dando così avvio al Giubileo della Misericordia, un anno di grazia in cui riscoprire l’amore del Padre attraverso un cammino personale e comunitario di conversione e di perdono che faccia trovare la gioia dell’abbraccio con i fratelli.“Dio che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la miseri-cordia e il perdono, donaci di vivere un anno di grazia, tempo propizio per amare te e i fratelli nella gioia del Vangelo”, ha detto Papa Francesco davanti alla Porta Santa, nel rito dell’a-pertura.

Per vivere questo anno di grazia bisogna attraversare la Porta della Misericordia, a Roma, a Lourdes o nei Santuari loca-li, avendo il proposito di perdonare e la capacità di chiedere perdono, e parto proprio da una richiesta di perdono per le mie manchevolezze, per l’azione non sempre determinata, per qualche durezza, per i momenti di scoramento, per i ritardi e per la poca attenzione nei confronti di chi porta avanti le varie strutture dell’Associazione, assumendosi responsabilità e donando impegno del tutto volontariamente e gratuitamente.Tutti insieme siamo la struttura portante dell’UNITALSI, dal nostro impegno scaturisce l’opera che l’UNITALSI svolge nella Chiesa e nella Società, dalla nostra capacità di stare in-sieme ed in sintonia deriva l’azione di prossimità a chi vive le difficoltà della vita, dal nostro gioire anche nelle difficoltà vie-ne fuori l’immagine di un’associazione bella e capace di fare tanto bene, insieme potremo risolvere i problemi e dare quel colpo di reni necessario per rilanciare l’azione associativa. Il pellegrinaggio da oltre 110 anni è parte integrante dell’es-sere unitalsiano, in particolare il pellegrinaggio per e con i

fratelli ammalati e disabili, senza il pellegrinaggio e senza i fratelli che vivono la difficoltà della vita l’UNITALSI perde ogni caratteristica, semplicemente non ha ragion d’essere. Il termine “misericordia” allora ha per noi questo significato fondamentale: amore che dona attenzione alla miseria della persona umana e che si prodiga, si dà da fare, si fa vicino, si spende per chi questa miseria è forzato a vivere. Dobbiamo sentirci responsabili dell’altro ed adoperarci per portare gioia attraverso l’amore donato, perchè “La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi. Lui si sente responsabile, cioè desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare l’amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri.” (Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia n. 9). La nostra Associazione deve essere il luogo della misericor-dia, il luogo del riposo nel cuore di Dio, il luogo dove l’amore è percepibile, non è solo una parola vuota, e questo amore è reciproco, non solo un flusso verso qualcuno ma uno scambio continuo che dona e riceve, un modo di essere e di vivere che permea tutto.

Editoriale

Direttore responsabile: filippo anastasi

Caporedattore: Massimiliano fiore

Editore: u.n.i.T.a.l.S.i.(unione nazionale italiana Trasporti ammalati a lourdes e Santuari internazionali)

Redazione: fraternità, organo ufficiale dell’associazione è iscritta al roc n. 2397 c/o Presidenza nazionale uniTalSi in Via della Pigna 13/a 00186 roma Tel. 06.6797236,fax 06.6781421, [email protected]/c postale n° 10274009intestato a uniTalSivia della Pigna 13/a - 00186 rM

Hanno collaborato: card Beniamino Stella, Mons. luigi Marrucci, Mons liberio andreatta, Mons Tommaso caputo, Mons decio cipolloni, padre giulio albanese, padre andrè cabes, padre Vito Magno, Salvatore Pagliuca, don danilo Priori, federico Baiocco, alberto Bobbio, angela Maria cosentino, Maristella giuliano, alver Metalli, Paolo Poggio, enzo romeo, daniele rocchi.

Con approvazione ecclesiastica,rivista bimestrale, reg. n. 21 trib. Roma in data 5 gennaio 1988

Foto: alberto Pizzoli, caritas roma, Marco Mincarelli, lPJ Thomas carriere,archivio unitalsi.

Stampa: Mediagraf Spaviale della navigazione interna 89 35027 noventa Padovana (Pd) finito di stampare: gennaio 2016

Questo periodico è associato all’Uspi

800 062 026PrOntO Unitalsi

è un anno di grazia

di mons. luigi marrucci assistente ecclesiastico nazionalee salvatore Pagliuca Presidente nazionale

facebook pagina ufficiale

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[email protected] www.unitalsi.it

Il pellegrinaggio da oltre 110 anni è parte integrante dell’essere unitalsiano, in particolare il pellegrinaggio per e con i fratelli ammalati e disabili.Senza il pellegrinaggio e senza i fratelli che vivono la difficoltà della vita l’UNITALSI perde ogni caratteristica, semplicemente non ha ragion d’essere.

30AciTuTTOPiù SeMPlice Per chi guidaM. Giuliano

31BioeticauOMOe aMBienTecaMMinanOinSieMeA. M. Cosentino30-31

32 LeggereQuandO la fede Si fa SOcial

D ossier La Porta Santa della Misericordia

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Ovunquenel cuore

3Dossier La Porta Santa della Misericordia2 fraternità 06-2015

Monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, a cui il Papa ha affidato l’organizzazione del Giubileo, è assoluta-mente sereno e assicura che nemmeno lo inquieta la campagna elettorale a Roma che si svolgerà in pieno Giubileo. L’8 dicembre si è aperta la Porta Santa della Basilica vaticana e il Giubileo della Misericordia.L’Anno Santo è cominciato nel cinquantesimo anni-versario della chiusura del Concilio ecumenico Va-ticano II e durerà fino alla festa di Cristo Re, il 20 novembre 2016. Il rito di apertura della Porta Santa segue una tradizione antichissima, ma qualcosa è sta-to aggiornato. Secondo la descrizione fatta nel 1450 dal viterbese Giovanni Rucellai, fu papa Martino V nel 1423 ad aprire per la prima volta nella storia de-gli anni giubilari la Porta Santa nella basilica di San Giovanni in Laterano. Dal 1500 fino al 1975 la Porta Santa delle quattro basiliche romane era chiusa all’e-sterno da un muro e non da una porta. Il Papa ne ab-batteva una parte e i muratori completavano poi l’o-pera di demolizione. Nella notte di Natale del 1974, al momento dell’apertura della Porta Santa, Paolo VI venne sfiorato da alcuni calcinacci e detriti del muro gli rimasero sulle spalle. Naturalmente ci fu chi inter-pretò l’accaduto come un infausto presagio sul ponti-ficato di Montini.Dal Duemila, Giubileo del Millennio di Karol Wojty-la, non si usa più il martello, perché non c’è più un muro da abbattere ma una porta da aprire. E anche questa è una simbologia potente. Giovanni Paolo II ha semplicemente aperto i battenti, come ha fatto anche papa Francesco. Attraverso la Porta Santa passeran-no i pellegrini, che si saranno registrati o via Internet o negli appositi uffici in via della Conciliazione. Per loro sarà predisposto un percorso speciale lungo via della Conciliazione e poi in piazza San Pietro. Per i turisti che vorranno visitare la Basilica ne sarà predi-sposto un altro.

Una, cento, mille

La Porta Santa nell’ idea di Bonifacio VIII nel 1300 era una sola quella di San Pietro, qualche anno prima Ce-lestino V ne volle una nella basilica di Collemaggio all’ Aquila. Per varcarne la soglia bisognava andare pelle-grini lì, dove il Papa chiamava. Poi già con San Gio-vanni Paolo i Santuari, non tutti, e le basiliche romane e alcune cattedrali divennero tappe di pellegrinaggio e inizio di Giubileo.Francesco ha ideato la rivoluzione: il Giubileo della Mi-sericordia, da lui voluto in segno di pace, carità e ricon-ciliazione, è dove ci sia voglia di perdono e di amore. Le porte sante sono ovunque: nei santuari e nelle cat-tedrali, nelle carceri, negli ostelli dei poveri. Non è ne-cessario venire a Roma – ha detto il Papa – andate nel-le chiese. È davvero un Giubileo di tutti. Non servono raduni di massa, non occorre un pellegrinaggio spesso lungo e costoso. Basta la pace dell’animo e un cammino spirituale di conversione. La Porta Santa, per chi vuole, è dentro il proprio cuore.

F.A.

• IlGiubileodellaMisericordiaciricorda cheDiociaspettaabracciaaperte, comefailpadreconilfiglioprodigo.

• LamiavisitainAfricasiasegnodellastima dellaChiesapertuttelereligioni erafforziinostrilegamidiamicizia.

• LaPortaèGesù,eGesùègratis.

• IlGiubileoèintuttoilmondo, nonsoltantoaRoma.

• Unobiettivoperognigiorno: trasmettereunpo’dellatenerezzadiCristo achinehapiùbisogno.

• Tracristianiemusulmanisiamofratelli edobbiamocomportarcicometali.

• Anteporrelamisericordiaalgiudizio

• Vincereilnostroegoismocon“sì”quotidiani.

• Nonabbiamopaura,lasciamoci accarezzaredaDio.

• Dovunquec’èunapersona, laChiesaèchiamataaraggiungerla.

Le parole sono pietre francesco dixit…

D ossier

Come nel 2000, anche per il Giubileo della Misericordia sarà possibile per i pellegrini ottenere l’indulgenza non solo nelle diocesi del mondo, ma anche nei Santuari. In Italia sono cir-ca 1800, coordinati dal “Collegamento nazionale Santuari”, riunito in questi giorni a Roma per i 50 anni dalla sua fon-dazione. Il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, sottolinea: “I Santuari sono la sentinella della Chiesa, che apre le porte e che indica che là dove c’è Dio, dove c’è la Madonna, dove ci sono i Santi, c’è posto anche per noi”. “Penso che sarà un contributo molto importante, fondamentale, perché i Santuari - dice Stella - da sempre sono un po’ il rifugio di tanti penitenti. Dico rifugio, perché la gente ama andare nei Santuari: si sente bene, si distende, si consola, si corrobora”.I Santuari, afferma il cardinale Stella, sono “avamposti della misericordia”, in cui è possibile offrire un’opportunità pre-ziosa ai fedeli di avvicinarsi a Dio, accogliendolo e ascoltan-dolo. Luoghi di preghiera che sono anche “focolai di fede”, e “fonte di evangelizzazione”. In un momento come questo, dice ancora il cardinale Stella riferendosi alle crescenti pre-occupazioni per il terrorismo, “dobbiamo andare ai Santuari come sempre e più di sempre”, anche perché non ci sono minacce reali alla sicurezza.

Il rituale è cambiato

indulgenza plenariaanche in tutti i santuari

Cardinale Beniamino Stella

4 5fraternità 06-2015 Dossier La Porta Santa della Misericordia

D ossier

In un mondo in guerra, segnato dalla povertà, dalle migrazio-ni di massa, la misericordia è un valore di cui c’è estremo bi-sogno. Ad essa è dedicato il Giubileo Straordinario: un anno consacrato alla remissione dei peccati, alla riconciliazione. Un tempo speciale che la Chiesa offre per la conversione del popolo di Dio ed è caratterizzato dalla possibilità di ottenere l’indulgenza giubilare. Questa si ottiene compiendo il pel-legrinaggio in una chiesa giubilare, percorso che culmina nell’attraversamento della Porta Santa (o Porta della Mise-ricordia).

L’8 dicembre l’apertura della Porta Santa L’Anno Santo, indetto da Papa Francesco l’11 aprile con la bolla ‘Misericordiae Vultus’, è iniziato l’8 dicembre, solen-nità dell’Immacolata Concezione, con l’apertura della Por-ta Santa di San Pietro. Successivamente sono state aperte le porte delle altre tre basiliche pontificie romane: San Giovan-ni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura. Il 20 novembre 2016, Solennità di Gesù Cristo Signore dell’Universo, sarà la conclusione dell’Anno Santo.

Il primo giubileo tematico e decentrato della storia. Il 65° anno giubilare infatti è ‘straordinario’ non solo per-

ché non cade nei 25 anni canonici di distanza dal precedente (l’ultimo è quello indetto da Giovanni Paolo II nel 2000), ma anche perché sarà il primo Giubileo tematico (dedicato alla misericordia) e decentrato” della storia della Cristianità: con una decisione del tutto inedita, infatti, Papa Francesco ha voluto istituirlo in tutte le cattedrali del mondo: ogni Diocesi del mondo potrà aprire la sua Porta Santa. Questo significa che per ‘lucrare’ l’indulgenza, i fedeli non dovranno recarsi necessariamente nella Capitale, e passare attraverso una delle quattro porte capitoline e vaticane.

La prima Porta Santa a Bangui A conferma di questo spirito mondiale dato all’anno giubi-lare, Francesco ha deciso di andare ad aprire la prima Porta Santa non a Roma, ma a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, dove si è recato in visita ( come vi raccontia-mo in un altro articolo di Fraternità ) il 29 novembre. Sul sito del Giubileo c’è la mappa delle porte sante diocesane sparse nel mondo.

Dialogo con le altre fedi L’Anno Santo arriva in un momento storico delicatissimo, dove cresce l’ansia per il terrorismo e i conflitti tra popoli e fedi. La chiesa, nell’idea di Francesco, può e vuole ergersi a baluardo contro le differenze. Centrale a questo proposito il

richiamo del pontefice all’Ebraismo e all’Islam per ritrovare proprio sul tema della misericordia la via del dialogo e del superamento delle difficoltà che sono di dominio pubblico. Carcerati e malati Per l’Anno Santo il Papa ha pensato a tutti, anche agli anziani e ai malati che non potranno venire a Roma. Ai carcerati sarà dedicata una speciale giornata giu-bilare, e sono stati invitati ad attraversare la porta della cella come fosse una “porta santa”, di rinascita.

I Missionari della Misericordia Un ulteriore tratto di originalità del Giubileo è offerto dai Missionari della Misericordia che raggiungeranno le periferie del mondo. Francesco darà loro il mandato il mercoledì delle Ceneri con la celebrazione in San Pietro. Il Papa ha stabilito che i “missionari della misericordia” verranno inviati tra la gente nei luoghi della quotidianità e che venga concesso a chi lo chieda il perdono anche per i peccati più gravi, com-preso l’aborto, che per la Chiesa equivale al rifiuto della vita. Francesco, inoltre, ha disposto che per ottenere l’indulgenza si compiano gesti di carità verso i forestieri e i bisognosi e si contribuisca a fare in modo che i carcerati possano “trasfor-mare le sbarre in esperienze di libertà”.

I “Grandi eventi” Sono quelli per cui si prevede la massima affluenza di perso-

ne. Oltre all’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro l’8 dicembre, c’è l’esposizione delle spoglie di Padre Pio tra l’8 e il 14 febbraio e la canonizzazione di Madre Tere-sa di Calcutta nel mese di settembre. Poi la Giornata mondiale per la pace il 1 gennaio 2016; il Giubileo dei ragazzi e delle ragazze tra i 13 e i 16 anni il 24 aprile ; il Giubileo degli ammalati e delle persone disabili il 12 giugno ; la giornata mondiale della gioventù a Cracovia dal 26 luglio al 1 agosto; l’incontro con il mondo del volonta-riato il 4 settembre; il Giubileo dei carcerati in San Pietro il 6 novembre e la chiusura della Porta Santa il 20 novembre. Sul sito del Giubileo della Misericordia (www.im.va) è attivo il modulo per la registrazione dei pellegrini per partecipare agli eventi e prenotare il pellegrinaggio alla Porta Santa.

I 50 anni dopo il Concilio Vaticano II Questo Giubileo straordinario viene convocato a 50 anni dal-la chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, quello della grande svolta, dei cambiamenti, della modernizzazione. La capacità di dialogare col mondo e l’apertura a ogni uomo sono state le grandi sfide vinte dal Concilio Vaticano II. Per Francesco, la realizzazione di quel grande consesso storico non è stata ancora compiuta fino in fondo. Il Giubileo può essere l’occasione per percorrere quel tratto di cammino di riforma che ancora deve essere perseguito.

Un anno santo per cambiare il mondodi massimiliano Fiore Un’occasione data a tutti i fedeli per richiedere la remissione dei peccati e la penitenza. Per la prima volta, per volontà di papa Bergoglio, le Porte Sante saranno aperte in molte diocesi sparse in tutto il mondo.

6 7fraternità 06-2015 Dossier La Porta Santa della Misericordia

D

Bangui - dal nostro inviato. Papa Francesco non cessa mai di sorprendere il mondo! Il suo recente viaggio apostolico in Africa - prima in Kenya, poi in Uganda e infine nella Repub-blica Centrafricana - è stato davvero, in assoluto, quello che ha maggiormente reso intelligibile la profezia del suo mini-stero petrino. Tra le diverse chiavi di lettura, ce ne è una che accomuna i cattolici, i fedeli di altre confessioni cristiane e di religioni diverse e anche i non credenti: la consapevolezza, cioè, di aver assistito nel breve volgere di meno di una setti-mana, dal 25 al 30 novembre, a un avvenimento storico con il quale misurarsi. In effetti, si è trattato di un evento ecclesiale senza preceden-ti, per l’impatto della predicazione del papa e per l’accentuata riflessione sui temi ispirati alle sue due encicliche: Evange-lii Gaudium e Laudato Sii. Ma soprattutto per alcuni gesti, il più significativo dei quali è stato voler far partire, in antici-po, l’Anno giubilare in un luogo che appartiene ai bassifondi della storia. Francesco ha infatti aperto la prima Porta Santa non a San Pietro in Vaticano, ma nella cattedrale della capita-le centrafricana Bangui (per inciso, dedicata all’Immacolata Concezione di Maria, nella cui memoria liturgica, l’8 dicem-bre, la bolla d’indizione fissa l’inizio del Giubileo della Mise-ricordia). E subito dopo ha percorso le vie della città insieme con l’iman musulmano, quasi a dire al mondo che per la prima volta in oltre settecento anni nella storia giubilare (un istitu-to ebraico veterotestamentario, quello del Giubileo, di natura politica prima ancora che religiosa, trasferito dell’esperienza

cristiana nel 1300 da Bonifacio VIII) possono riconoscersi nell’Anno Santo della Misericordia non solo i cattolici, anche i fedeli di religioni diverse, insieme naturalmente ai cristiani delle altre confessioni. Del resto, è stato lo stesso Bergoglio, al suo rientro a Roma, a dichiarare che la tappa centrafricana, la terza del viaggio, compiuta nel cuore del continente, geogra-fico e non solo, «...era in realtà la prima nella mia intenzione, perché quel Paese sta cercando di uscire da un periodo molto difficile, di conflitti violenti e tanta sofferenza nella popola-zione. Per questo ho voluto aprire proprio là, a Bangui, con una settimana di anticipo, la prima Porta Santa del Giubileo della Misericordia, come segno di fede e di speranza per quel popolo, e simbolicamente per tutte le popolazioni africane, le più bisognose di riscatto e di conforto». Ben consapevole di visitare quelle che tante volte ha definito periferie esistenziali e geografiche della post-modernità, ha voluto aprire una porta alla speranza, con un gesto profetico e moralmente ineccepibile, contrapposto alle persistenti chiusu-re di quella che chiama “la globalizzazione dell’indifferenza”. Già a Bangui, parlandone come di una «capitale spirituale del mondo», Bergoglio aveva spiegato che «l’Anno Santo della misericordia viene in anticipo» perché «in questa terra sof-ferente ci sono anche tutti i Paesi che stanno passando attra-verso la croce della guerra». Attraverso cioè una sofferenza ingiusta che come spesso accade, non solo in Africa, vede i responsabili ammantare i loro interessi e la loro ferocia con blasfeme motivazioni pseudoreligiose.

una rivoluzione per la pace

La visita del Papa a Bangui, nella Repubblica Centroafricana

le radici della violenza

A devastare la Repubblica Centrafricana sono le milizie del-la Seleka (alleanza in lingua locale sango) formate in gran parte da jihadisti islamici, in maggioranza stranieri, e quelle sedicenti cristiane cosiddette Antibalaka (balaka, sempre in sango, è il nome di un coltellaccio che caratterizza l’equipag-giamento dei combattenti Seleka). Tanto più significativo, dunque, che le strade insanguinate di Bangui siano state per-corse insieme dal papa di Roma e dall’iman della città. Anche questo è stato un modo con il quale il pontefice ha affrontato la vexata quaestio del jihadismo che, come detto, dà segnali preoccupanti nella Repubblica Centrafricana e ha già da tem-po contaminato il Kenya, dove trova alimento, oltre che radi-ci, in una delle più annose crisi africane, quella della Somalia. Proprio in Kenya, infatti, si è manifestata più ancora che in patria la deriva terroristica assunta dalle milizie radicali so-male di al Shabaab, con stragi aberranti come quella degli studenti cristiani nell’università di Garissa lo scorso aprile, per non parlare di quella del centro commerciale Westgate di Nairobi nel settembre del 2013. A questo proposito, senza peli sulla lingua, Bergoglio ha ri-badito con forza uno dei suoi cavalli di battaglia e che cioè il nome di Dio «non deve mai essere usato per giustificare l’odio e la violenza», spiegando a chiare lettere che il dialo-go interreligioso «non è un lusso, ma è essenziale». Il tema è rovente non solo in Africa, ma anche in Europa e in altre parti del mondo perché acuisce la cultura del sospetto e della paura, sebbene nessuna persona anche minimamente infor-mata non abbia consapevolezza che dietro le quinte si celano interessi avulsi dalla religione in quanto tale. Basti pensare

alle immense ricchezze minerarie della Repubblica Centrafri-cana, che vanno dal petrolio all’uranio, oltre ai diamanti pre-senti nei grandi depositi alluvionali delle regioni occidentali del Paese. Anche le voci diventate a un certo punto insistenti di un rinvio del viaggio papale, soprattutto nella Repubblica Centrafricana, più che alla persistente violenza nel Paese era-no legate agli attentati terroristici che hanno insanguinato lo scorso novembre Beirut, Parigi e Bamako. Né erano mancati suggerimenti e pressioni, in un’apparenza di buon senso, per tale scelta «dettata dall’emergenza». Ovviamente – e l’avver-bio non è scelto a caso – Bergoglio ha deciso di non cambiare programma, rispettandolo alla lettera, nella consapevolezza che, di fronte alle intimidazioni dei violenti, occorre testimo-niare, sempre e comunque, il Vangelo della Pace. È importante ricordare che alla vigilia della sua partenza il papa aveva sentenziato «maledetti coloro che fanno le guer-re» durante un’omelia nella cappella della sua residenza a Santa Marta, in Vaticano. Sta di fatto che durante il suo viag-gio apostolico, da papa Francesco è arrivata la condanna del terrorismo è arrivata sempre insieme a quella della guerra e alla denuncia del commercio e del traffico di armi, dello sfrut-tamento indiscriminato delle risorse e degli squilibri sociali, e all’appello alle religioni a essere operatrici di pace e di unità e non strumenti di conflitto e divisioni. «La guerra è un affare, un affare grande. “Il bilancio va male? Facciamo una guerra”. Dietro ci sono interessi, vendita di armi, potere», ha detto ai giornalisti sull’aereo che lo riportava a Roma.

G.A.

di Giulio albanese direttore di Popoli e Missione

8 9fraternità 06-2015 Dossier La Porta Santa della Misericordia

“Abbiamo aperto la Porta Santa, qui e in tutte le cattedrali del mondo. Anche questo semplice segno è un invito alla gioia. Inizia il tempo del grande perdono. È il Giubileo della Mise-ricordia. È il momento per riscoprire la presenza di Dio e la sua tenerezza di padre. Dio non ama le rigidità. Lui è Padre, è tenero. Tutto fa con tenerezza di Padre”. Papa Francesco, nell’omelia della messa celebrata domenica 13 dicembre per l’apertura della Porta Santa di San Giovanni in Laterano a Roma, ha ricordato che “siamo anche noi come le folle che in-terrogavano Giovanni: ‘Che cosa dobbiamo fare?’ (Lc 3,10). La risposta del Battista non si fa attendere. Egli invita ad agire con giustizia e a guardare alle necessità di quanti sono nel bi-sogno. Ciò che Giovanni esige dai suoi interlocutori, comun-que, è quanto trova riscontro nella Legge”. A noi, ha prosegui-to il Papa, “viene chiesto un impegno più radicale”: “Davanti alla Porta Santa che siamo chiamati a varcare, ci viene chiesto di essere strumenti di misericordia, consapevoli che saremo giudicati su questo. Chi è stato battezzato sa di avere un impegno più grande. La fede in Cristo provoca ad un cammino che dura per tutta la vita: quello di essere misericordiosi come il Padre. La gio-ia di attraversare la Porta della Misericordia si accompagna

all’impegno di accogliere e testimoniare un amore che va oltre la giustizia, un amore che non conosce confini. È di questo infinito amore che siamo responsabili, nonostante le nostre contraddizioni”.

D

Cosa si prova, dopo 15 anni, ad essere ancora al timone di una organizzazione che ha da sempre gestito un grandis-simo flusso internazionale di pellegrini?Innanzitutto si prova una grande grazia di Dio, perché aven-do vissuto l’esperienza forte dei precedenti Anni Santi del 1975, 1983 e 2000, questo nuovo annuncio di Papa France-sco mi ha fatto ritornare nel cuore e nella mente le emozioni ma soprattutto le grandi esperienze di conversione che abbia-mo insieme vissuto durante i vari giubilei precedenti.

L’Opera Romana Pellegrinaggi è ormai rodatissima in tema di accoglienza di pellegrini: pensa potrà esserci un momento particolarmente complicato durante il prossi-mo Giubileo?Non credo che questo Giubileo abbia complicazioni partico-lari rispetto ai precedenti, perché il Papa contemporaneamen-te ha anche reso possibile di vivere questo Anno Santo nelle varie cattedrali delle diocesi del mondo e nei vari Santuari internazionali. Per questo non credo che ci saranno dei mo-menti particolarmente critici. Certamente ci saranno alcuni eventi che, anche grazie al carisma del Santo Padre, attire-ranno sicuramente molti pellegrini a Roma, ma credo che il flusso di pellegrini defluirà durante tutto l’anno santo senza creare particolari momenti di difficoltà. Calcoliamo un picco di massima affluenza in alcuni degli appuntamenti previsti, come quello dedicato alla santificazione di Madre Teresa di Calcutta e il giubileo dei bambini, ma difficoltà vere e pro-prie non le vedo.

Il momento personale dove potrebbero tremare le vene dei polsi al vice Presidente dell’Orp qual è? Credo che il momento più toccante - che costituisce anche l’elemento di novità di questo Giubileo - è il percorso che ogni pellegrino deve effettuare per passare la Porta Santa. È un cammino, così come voluto dal Papa, che nell’ambito del pellegrinaggio assume un’importanza essenziale. Il pelle-grinaggio, infatti, vive momenti distinti: la partenza, il cam-mino, le soste lungo il percorso e la meta finale. Dobbiamo offrire al pellegrino l’opportunità di vivere il percorso che da Castel Sant’Angelo, lungo via della Conciliazione, fino alla Porta Santa, lasciando il giusto tempo e lo spazio necessario per la riflessione, la preghiera, l’ascolto, grazie anche al sus-

sidio di maxi schermi che saranno allestiti lungo il percorso. Vorremmo che si evitasse un pellegrinaggio alla Tomba di Pietro “a volo di uccello, perché si perderebbe il senso più intimo del pellegrinaggio. Vorremmo che chiunque arrivasse alla Porta Santa lo facesse con una preparazione adeguata: prima di iniziare il percorso, ogni pellegrino devi essere con-sapevole di entrare in un’altra dimensione e di voler cambia-re vita, per poter arrivare alla fine a ricevere l’indulgenza.

Le porte sante sono tutte uguali, ma ce n’è una che Monsi-gnor Andreatta consiglierebbe dopo essere stati a Roma?La porta Santa della Carità, della Misericordia e del Perdono, perché è affine a chi vive l’esperienza del volontariato. In questi anni ho osservato da vicino le attività svolte dall’U-NITALSI e dalla Caritas: l’accoglienza durante le udienze generali del Santo Padre, l’accoglienza nei santuari, l’opera svolta a favore dei più poveri e degli ammalati. Credo, per-tanto, che la porta santa più “sentita” tra tutte le Basiliche di Roma sarà sicuramente la porta dei poveri, all’ostello in Via Marsala che Papa Francesco aprirà il 18 dicembre. In quell’occasione credo che Caritas e UNITALSI si sentiranno particolarmente coinvolte, in quanto quella porta racchiuderà il senso del loro servizio, del loro carisma e dell’impegno quotidiano dei propri volontari.

Il grande mosaico realizzato dal gesuita Marco Rupnik e benedetto dal cardinale Agostino Vallini, sovrasta la porta che papa Francesco ha varcato il 18 dicembre. Un monito a ricordare le tante povertà di cui farsi carico. Come il Buon Samari-tano. Come Gesù. Con l’auspicio, come ha ricordato il direttore della Caritas di Roma monsignor Enrico Feroci, «che non ci sia più bisogno di un posto come questo, perché Roma ha ripreso le relazioni con i suoi figli, perché ciascuno ha ritrovato la sua casa, il suo lavoro. In questi luoghi potranno dormire circa 200 persone, la mensa Giovanni Paolo II darà tra i 500 e i 600 pasti a sera. Ma quan-ti restano fuori? E quanti che hanno la possibilità di lavorare sono esclusi dal mercato del lavoro? Il rammarico è per tutti quelli che restano fuori e che invece dovremmo includere».

la soglia della carità

L’ostello degli “invisibili”

un invito alla gioia

San Giovanni in Laterano

la Porta Santa dei più poveri

Mons. Liberio Andreatta

Monsignor Andreatta, è vicepresidente e amministratore delegato di Opera Romana Pellegrinaggi. “Per Caritas e UNITALSI l’accoglienza del povero e dell’ammalato racchiude il senso del loro servizio”

10 11fraternità 06-2015 Dossier La Porta Santa della Misericordia

D

dietro le sbarre

L’8 dicembre una processione,a mo’ di pellegrinaggio,è partita dai singoli reparti, si è snodata lungo i corridoied ha raggiuntola chiesa centrale della casa di reclusione; qui, dopo il rito d’apertura della Porta Santa, si è celebrata l’Eucaristia.

Non era mai successo! Una delle prime Porte Sante, che si sono aperte l’8 dicembre, è quella del carcere romano di Rebibbia, dove sono rinchiuse 2.300 persone. Il cap-pellano Don Sandro Spriano spiega nell’intervista il sen-so di questa iniziativa senza precedenti.

La porta della cella diventa Porta Santa! Un’ imboscata della misericordia e di Papa Francesco!Sì, è cosi. Il carcere ha scippato un pezzo di Giubileo, mera-vigliando perfino noi cappellani, abituati ad essere conside-rati l’ultima spiaggia della pastorale diocesana! Perché una Porta Santa nel carcere significa soprattutto dare, a chi sta espiando la pena, la possibilità di trasformare in meglio la vita, di essere considerato alla pari dei fedeli di tutto il mon-do e di parlare di perdono, un concetto tutt’altro che scontato in questo luogo.

Don Sandro Spriano, cappellano di Rebibbia

Come i detenuti hanno accolto la notizia? Come sempre, non con particolare entusiasmo, perché il car-cere annulla le emozioni forti di tipo spirituale; occorrono tempi lunghi perché i detenuti comprendano il senso profon-do di un Giubileo. La loro aspettativa è piuttosto quella che il Giubileo si traduca in uno sconto di pena e diventi occasione di poter mettere i piedi fuori dal carcere. Sta a noi cappellani la fatica di far rientrare nel giusto binario il loro desiderio di libertà.

In concreto come è iniziato l’Anno Santo nel carcere di Rebibbia?Sacerdoti e volontari abbiamo coinvolto i detenuti nella ce-lebrazione di apertura della Porta Santa. L’8 dicembre una processione, a modo di pellegrinaggio, è partita dai singoli reparti, si è snodata lungo i corridoi ed ha raggiunto la chiesa centrale della casa di reclusione; qui, dopo il rito d’apertura della Porta Santa, abbiamo celebrato l’Eucaristia.

Ma cosa deve fare un detenuto per acquistare l’indulgen-za giubilare e in che senso va interpretato il pensiero del Papa quando si riferisce alla porta della cella?Se un detenuto ha veramente intenzione di pentirsi, di cam-biare vita, deve cominciare dal pellegrinaggio, che consiste nell’uscire dalla porta della propria cella per dirigersi verso la Porta Santa della Chiesa centrale del carcere: qui potrà ac-quistare l’indulgenza alle stesse condizioni di ogni altro fede-le, cioè confessandosi, comunicandosi, recitando il “Credo” e pregando per il Papa. Per la prima volta nella storia delle carceri, d’accordo con la direzione, noi cappellani abbiamo ottenuto per i detenuti la possibilità, in alcuni giorni della settimana, di recarsi liberamente in Chiesa. Abbiamo anche distribuito in tutte le celle la preghiera del Giubileo scritta da Papa Francesco, e prenderemo altre iniziative nel corso dell’anno.

I detenuti potranno, quindi, uscire dalla cella anche in tempi ordinariamente non consentiti?Esattamente. Ovviamente sarà una cosa da non fare tutti i giorni. Ad esempio il giovedì i detenuti del reparto G9, dalle 16 alle 17, se lo desiderano possono recarsi in Chiesa.Sono in calendario pellegrinaggi anche fuori dal carcere?Sì, vorremmo cercare di portare il maggior numero di detenu-

ti o a San Pietro o in una delle grandi Basiliche di Roma. In seguito chiederemo di guidare, almeno una volta nell’Anno Santo, la recita del Rosario che ogni giorno del Giubileo si tiene in Piazza San Pietro. In quella circostanza pensiamo di portare anche le famiglie dei detenuti. La stessa cosa, in un secondo momento, la faremo con tutti gli operatori e i diri-genti del carcere.

All’inizio accennava al desiderio dei detenuti di ottenere durante il Giubileo l’amnistia. Voi cappellani state pren-dendo iniziative in tal senso?Ci siamo consultati su questo punto, ma il silenzio assordante dei nostri politici ci fa ritenere assai improbabile l’amnistia. Stiamo allora puntando su una proposta da inoltrare al Capo dello Stato, perché, su segnalazione degli Istituti penitenziari, possa concedere autonomamente la grazia ai detenuti che lo meritano, che hanno compreso l’errore fatto e sono in via di maturare scelte diverse in un percorso virtuoso. Non saranno grandi numeri, ma nel Giubileo questo sarebbe un segno di misericordia e di giustizia.

E così per i detenuti, oltre alla Porta, si aprirebbe anche la Finestra! Speriamo, anche se qui le finestre hanno le sbarre!

di p.Vito magno giornalista radio Vaticana

13Dossier La Porta Santa della Misericordia12 fraternità 06-2015

La porta è una delle parole maggior-mente usate dall’inizio di questo Anno Giubilare della Misericordia. Papa Francesco ha infatti aperto la Porta Santa di San Pietro, segnando così un percorso lungo il quale ogni creatura ha la possibilità di incontrare Gesù, il volto autentico della Misericordia; pro-prio Gesù è la porta attraverso la quale entrare e fare esperienza della salvezza (cf Gv 10,9). Tuttavia, nell’immaginario collettivo, la porta serve per chiudere ad esem-pio una città o una casa e difendersi da coloro che non appartengono al nostro gruppo o con i quali non vogliamo en-trare in relazione; ma al tempo stesso la porta diventa varco di apertura quando intendiamo accogliere l’altro. Una porta, dunque, per proteggere ciò che riteniamo prezioso oppure un fin-to confine da sfatare per non rimanere

chiusi nel nostro egoismo. Poi ci sono altre porte, come quelle del cuore, che in questo Anno Giubilare vorremmo rendere ornate di misericordia per rico-noscere nel volto degli ultimi i tratti del Signore.Anche nella nostra Associazione c’è un continuo aprire e chiudere di porte, a persone, esperienze, valori: tramite la Scrittura vogliamo tentare di cogliere alcuni aspetti peculiari da riportare nel nostro vissuto associativo. È evidente che la porta è una tematica assai dif-fusa nella Bibbia: la porta viene usata nel suo significato metaforico e le por-te delle città diventano spesso scenari presso cui si svolgono avvenimenti im-portanti. Se ci fermassimo a considerare il primo e l’ultimo libro della Scrittura come le due porte del nostro libro sa-cro - la Genesi e l’Apocalisse, appunto - potremmo prendere alcuni passi assai

noti e condurre questa nostra breve ri-flessione.Non è difficile allora notare come le pri-me pagine della Scrittura si aprono con la “messa alla porta” dell’uomo: sin da subito la creatura si rivela incapace di stare nella relazione con Dio. L’uomo sceglie la strada della tentazio-ne piuttosto che fidarsi dell’accordo fat-to con Dio, il quale - tutto sommato - gli chiede semplicemente di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male (Gen 3,24). E Dio mette alla porta Adamo ed Eva, colpe-voli di avere scelto un altro invece che lui: una tentazione tutt’altro che scono-sciuta anche ai nostri giorni. È assai più facile ricercare la concretezza, il tutto e subito, cedere alla lusinga della lode, del delirio di onnipotenza, del protago-nismo, invece che avventurarsi in un cammino di fede che passa per la porta

stretta: «Entrate per la porta stretta, per-ché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stret-ta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano» (Mt 7,13-14). Tutte pecche che spesso si mascherano sotto spoglie subdole e traggono in in-ganno anche credenti avveduti. Creden-ti avveduti come noi dell’UNITALSI, che abbiamo il dovere di fare discerni-mento perché il rischio di scegliere “il frutto” sbagliato o - peggio ancora - di mettere alla porta le occasioni di cresci-ta spirituale lo corriamo sempre. La sto-ria dell’uomo, insomma, comincia con una uscita, ma già pregna della speran-za di un ritorno, perché la Misericordia di Dio non si ferma alle porte del limite umano. In questo viaggio ideale attraverso la Scrittura immaginiamo adesso di ap-

prodare direttamente in prossimità della Gerusalemme celeste ornata di dodici porte coi nomi delle dodici tribù di Isra-ele, dove viene reso a ciascuno per le sue opere (cf Ap 21,12 e 22,14). Ancora una volta, come credenti av-veduti dell’UNITALSI, non possiamo però incedere dimenticando la Miseri-cordia che ci è stata dispensata lungo il nostro peregrinare verso la meta, una Misericordia che ci permette di parlare di speranza anche quando affondiamo e brancoliamo nel buio. Triste sarebbe una Associazione che spera e fa memo-ria solo quando gli conviene, dimenti-cando che il cammino si fa insieme e la caduta di uno è in qualche modo una sofferenza per tutti.Grazie a Dio tra il libro dell’Esodo e quello dell’Apocalisse c’è una cerniera imprescindibile: Cristo Gesù! È lui che rende presente in mezzo a noi il volto autentico della Misericordia e traccia

quella via che apre il cuore alla speran-za di essere amati nonostante il limite del nostro peccato. La Misericordia è quindi la strada del-la relazione tra un Dio sempre fedele e una umanità spesso inaffidabile, e Cri-sto è il segno tangibile di un amore do-nato che non si lascia arginare dalle pa-stoie delle mancanze, ma sbaraglia con determinazione ogni ostacolo capace di nascondere la porta della salvezza. Non è insomma Dio a metterci alla porta, ma le nostre scelte! Semmai lui viene a raccoglierci e cercarci presso l’uscio: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qual-cuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).Mi piace allora pensare all’UNITAL-SI come una Associazione di credenti avveduti, di uomini e donne che si fer-mano presso la porta e fanno una seria revisione del cammino trascorso, get-tando le basi per un autentico percor-so di vita buona da fare assieme. Non persone che ancora non varcano la porta del fine mandato e già rientrano dalla fi-nestra pur di accaparrarsi un ruolo, ma cristiani maturi che sanno stare nella vita associativa come momento della più ampia relazione con Dio. Non burocrati spietati che mettono alla porta persone e talenti perché magari non fanno parte della cordata giusta, ma uomini responsabili che valorizzano i doni di ciascuno. Non governatori rigidi e distaccati, che fanno quadrare conti e inquadrano le coscienze, ma padri pre-murosi che si chinano sulle loro viscere di tenerezza.

Mi piace pensare all’UNITALSI. E all’UNITALSI come porta privilegia-ta presso cui scorgere il volto misericor-dioso di Gesù.

don Danilo Priori vice assistente ecclesiastico nazionale

Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano (Mt 7,13-14)

La porta del cuore ci porta ad avvicinarci agli altri e a non rimanere chiusi nel nostro egoismo

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apriamo a speranza e misericordia il nostro comune cammino

Riflessione

14 15fraternità 06-2015 Dossier La Porta Santa della Misericordia

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il segno sono i pellegrini

Mons. Rino Fisichella

Monsignor Fisichella, è tutto a posto?«La preparazione è stata completata anche dal punto di vista strutturale, anche se per noi la dimensione più importante è quella spirituale».

Come procede quest’ultima?«Molto bene. Abbiamo puntato molto sui sussidi preparati in collaborazione con la Società San Paolo. Si tratta di strumenti ben fatti che ho raccomandato a tutti i parroci e a tutte le asso-ciazioni e movimenti prima di intraprendere il pellegrinaggio verso Roma o prima di varcare la Porta Santa aperta in tutte le diocesi. Li abbiamo tradotti in dieci lingue e arriveranno in tutto il mondo».

Cosa significa “misericordia” per il pellegrino?«Accogliere gli altri, ascoltare le persone in ogni ambiente. Nel mio intervento al Sinodo ho spiegato che la misericordia si sperimenta in primo luogo in famiglia. La misericordia è uno stile, anzi prima ancora una visione profonda dell’uomo e del mondo. Non per nulla si parla di Vangelo della misericor-dia. Il Papa con la decisione di dedicare un anno alla centralità dell’accoglienza a partire dai segni, dai gesti, dall’impostazio-ne delle celebrazioni e dagli orientamenti pastorali, intende richiamare tutta la Chiesa a una conversione pastorale. La mi-sericordia non è un etichetta da appiccicare qui e là su alcu-ne opere, su alcune azioni di volontariato. Sono importanti le opere e le azioni, nessuno lo nega. Ma la misericordia è una persona, è il volto di Cristo con il quale ci incontriamo tutti i giorni faccia a faccia nelle parole del Vangelo».

È per questo che puntate anche sul riconoscimento dei pel-legrini?«Sì, vogliamo che la gente veda i pellegrini che camminano verso la Porta Santa. È un segno. E anche un invito a seguirli. A Roma si vedranno pellegrini in cammino e la città si dovrà interrogare sul significato di quel cammino verso la Porta San-ta del Vangelo della misericordia. Questa è la nostra speranza. Il segno non sono gli eventi, che pure ci saranno, ma i pellegri-ni che camminano. È la prima volta che si punta su questo fat-to. Ma non è una cosa nuova. I grandi Giubilei della tradizione della Chiesa erano caratterizzati da masse di pellegrini che

camminavano per le strade verso la Città santa. Oggi molte cose sono cambiate, ma quell’idea vale sempre. Per questo motivo abbiamo deciso di dare a tutti i pellegrini, anche se arrivano in auto, in treno o in aereo, la possibilità di sperimen-tare almeno per un pezzo di strada, tra Castel Sant’Angelo e la Basilica vaticana, il senso vero del pellegrinaggio, la simbolo-gia della fatica del camminare».

La campagna elettorale a Roma in pieno Giubileo rischia di disturbare questo clima?«Spero di no e mi auguro che nessuno disturbi nessuno. Con-fido nel senso di responsabilità di tutti, perché il Giubileo è anche un’opportunità per riflettere sul bene comune dell’ac-coglienza, del rispetto, del dialogo tra le persone, dell’aiuto reciproco. Ho fiducia in Roma e nei romani».

Cosa possono imparare i turisti dai pellegrini?«Credo che chi vedrà i pellegrini si interrogherà sul senso della ricerca di una vita più significativa, meno frettolosa, a servizio degli altri, di chi ha bisogno, dei poveri. I pellegrini, inoltre, potranno dimostrare la bellezza della comunità, del camminare insieme come popolo di Dio. Per questo è impor-tante prepararsi bene al Giubileo e al pellegrinaggio, che non è un semplice viaggio di piacere. Il pellegrinaggio è un cam-mino in preghiera. E tutti li vedranno camminare e pregare. Un esempio che può stimolare conversione».

E i gesti?«Il Papa, ogni mese, al venerdì, farà un gesto concreto di mi-sericordia. Il primo sarà il 18 dicembre con la visita e il pas-saggio della Porta Santa all’ostello della Caritas di Roma. È un invito a fare altrettanto per tutti noi».

di alberto Bobbio caporedattore di famiglia cristiana

“Un momento di piena sintonia con lo spirito della riforma dei mezzi di co-municazione vaticani chiesto da Papa Francesco”. Così monsignor Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro televisivo vaticano (Ctv) e prefetto della Segreteria per la Comunicazio-ne, in merito all’innovativa copertura mediatica realizzata in occasione del-la cerimonia di apertura della Porta Santa presieduta dal Santo Padre, che costituisce la prima diretta mon-diale via satellite in Ultra HD 4K della storia. “Una produzione straordinaria – precisa mons. Vigano – che è riusci-ta a mettere il Centro televisivo vati-cano e la Radio Vaticana assieme ad una serie di partner tecnologici di ec-cellenza come Sony, Eutelsat, Globe-cast e Dbw Communication, coinvol-gendo circa 100 persone impiegate complessivamente nel Tv compound allestito in Piazza del Santo Uffizio”. Sotto la guida del Ctv, il team ha con-tribuito alle operazioni di ripresa e di trasmissione dell’evento nell’ambito di un’infrastruttura tecnologica d’a-vanguardia composta tra l’altro da 3 satelliti Eutelsat ad ampia copertura; 19 telecamere Sony di ultima gene-razione; due modernissimi mezzi sa-tellitari di Globecast; diversi centri di controllo per la gestione del segnale collocati in varie parti del globo. Con l’aggiunta di altri sofisticati apparati, tale assetto ha supportato e integrato

le due rinnovate regie mobili del Ctv durante la diretta televisiva realizzata anche grazie all’impiego di 40 micro-foni di Radio Vaticanadislocati tra l’esterno e l’interno della Basilica di San Pietro. Il lavoro di cooperazione ha consen-tito di effettuare – al termine della ce-rimonia – un test della durata di una trentina di minuti di indubbio valore per la comunità scientifica: la prima trasmissione via satellite live in High dinamic range (Hdr), soluzione tecno-logica che permette di incrementare ulteriormente la luminosità, la gamma dei colori e il contrasto bianco/nerodelle immagini in Ultra HD 4K. “Non solo una produzione spettacolare ed immersiva – aggiunge mons. Viganò – ma una produzione che è arrivata anche nei luoghi della sofferenza. In-fatti, è stata distribuita sul canale Eu-telsat K41 e ricevuta su TV Sony UHD presso l’ospedale Gemelli di Roma e il carcere milanese di Opera. Dunque la tecnologia al servizio della tenerezza e della misericordia che Papa France-sco ci invita sempre a vivere”.

Infine, per garantire la massima dif-fusione dell’evento è stata incremen-tata l’estensione dell’abituale rete satellitare mettendo a disposizione di ciascuna emittente Tv del mondo il segnale multilingua in tutti gli altri for-mati televisivi, dall’Hd all’Sd.

Web,radio e tvin piena sintoniacon il voleredel Papa

Per il Giubileo della Misericordia, si è aperta anche simbolicamente al “Bambino Gesù” di Roma la “Porta della Speranza”, realizzata dai piccoli pazienti dell’ospedale pediatrico sot-to la guida dei maestri della “Scuola in Ospedale”, gestita dall’Istituto Com-prensivo “Virgilio”, e delle assistenti degli spazi ludici. Ne dà notizia, con una nota, lo stesso ospedale, pedia-trico, informando che “la porta dei bambini riproduce la Porta Santa di San Pietro, aperta dal Santo Padre il giorno dell’Immacolata, richiamando-ne il significato simbolico”. “L’obiettivo – prosegue la nota – è quello di regalare ai piccoli degenti e alle loro famiglie la sensazione di es-sere parte di una comunità di amore e

misericordia, meta verso cui conduce il cammino del Giubileo. Nel rispetto di tutte le religioni e di tutte le diver-sità”. “C’è un legame profondo – af-ferma don Luigi Zucaro, cappellano dell’ospedale – tra la conversione e ciò che noi soffriamo nelle situa-zioni particolari. La sofferenza non è solo dolore fisico, ma soprattutto sofferenza interiore per la mancanza di senso”. Anche la sede di Palidoro dell’ospedale Bambino Gesù divente-rà a tutti gli effetti luogo giubilare per diocesi di Porto-S. Rufina. Verrà infatti aperta la Porta della misericordia della cappella dell’ospedale, nel Padiglione Paolo VI. Sarà una delle quattro Por-te Sante designate dal vescovo Gino Reale.

il futuro è la speranza

Al Bambino Gesù

16 fraternità 06-2015 Dossier La Porta Santa della Misericordia 17

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Alle ore 11 di Martedi 8 dicembre 2015, Papa Francesco ha dato inizio al Giubileo della Misericordia, spalancando la Porta Santa di San Pietro. A quattro ore di distanza, Mons. Nicolas Brouwet, vescovo di Tarbes e Lourdes, ha aperto la Porta della Misericordia del Santuario Nostra Signora di Lourdes, accogliendo le migliaia di pellegrini accorsi, come ogni anno, da tutto il mondo per celebrare la solennità dell’Immacolata Concezione, a 161 anni dalla proclamazio-ne del dogma del Papa Pio IX.

Il consueto appuntamento con i fedeli a Lourdes si è con-centrato nelle giornate del 7 e 8 dicembre. Prima, infatti, si

è svolta la processione aux flambeaux, mentre la giornata di festa è iniziata con la celebrazione della Messa Internaziona-le nella Basilica di S. Pio X per poi terminare la sera, con la tradizionale fiaccolata in onore di Maria.

Tuttavia, l’evento che ha catturato l’attenzione generale è stata l’apertura della Porta giubilare, all’ingresso Saint Mi-chel, che ha segnato l’inizio dell’anno santo nel santuario mariano. Giunti alla Porta della Misericordia, Padre André Cabes, rettore del Santuario, ha letto la parabola della “pe-cora smarrita”, per poi lasciare la parola a Mons. Brouwet: «Oltrepassare questa porta significa che noi tutti permettia-

il giubileo inizia a saint michel

Lourdes

mo a Dio di entrare dentro di noi, significa passare attraverso Cristo per chiedergli di mostrarci la sua Misericordia. A volte, abbiamo delle ferite, delle fragilità e tutti, compreso me, abbiamo bisogno di lasciarci invadere dalla Misericor-dia. Abbiamo bisogno di lasciarci aiutare da Dio, così come fa il povero al bordo della strada, con il buon samaritano. Tuttavia, siamo anche chiamati ad offrire delle opere di Mi-sericordia, corporali e spirituali, così come ci ricorda Papa Francesco nella sua bolla d’indizione Misericordiae Vultus. Allora, lasciamoci illuminare dallo Spirito Santo, lasciamoci condurre dal Signore e permettiamogli di entrare in noi per scorgere se non ci siano porte chiuse che siamo chiamati ad

aprire». Il vescovo di Lourdes, subito dopo, ha varcato la soglia della Porta giubilare, per benedire l’acqua all’inter-no delle acquasantiere ai piedi del calvario bretone, seguito immediatamente dopo dai cappellani del santuario e dalla moltitudine di fedeli che non si son fatti scoraggiare dalla pioggia. Per ottenere l’indulgenza, i pellegrini dovranno attraversa-re la porta, confessarsi, pregare per le intenzioni del Papa e partecipare all’Eucaristia. Inoltre, potranno compiere opere di misericordia, di pietà o di penitenza. La carta delle cre-denziali sarà disponibile presso il Centro Informazioni del Santuario.

di Gaetano Pepe

18 19fraternità 06-2015 Dossier La Porta Santa della Misericordia

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Di quale porta si tratta, se non della Porta Santa?In passato veniva aperta solo a san Pietro e alle altre tre basi-liche maggiori di Roma, ma che ora Papa Francesco consente di aprire “in ogni chiesa particolare, nella cattedrale che è la chiesa madre o in una chiesa di speciale significato, perché sia la porta aperta della misericordia”.Prima di lasciarci entusiasmare da questo evento, che segnerà anche il Santuario di Loreto, chiesa cattedrale della Prelatura, è bene che ricordiamo il titolo che il Papa ha dato nell’indi-re questo straordinario Giubileo “il volto della misericordia”. Per chi va in cerca della misericordia, volendola identificare con qualche gesto di compassione o con qualche consolante parola, si ritrova subito davanti a Cristo, il vero volto della misericordia di Dio. Ci basti ricordare l’ostensione della Sa-cra Sindone per contemplare quel volto che risplende, mite, luminoso, velato di una profonda tristezza, ma allo stesso tempo da un’inconfondibile dolcezza, tanto che nel silenzio sembra ancora dirci “popolo mio, che male ti ho fatto, in che cosa ti ho contristato”.Questa Porta Santa si aprirà non per dare splendore al nostro santuario, ma al Dio della Misericordia.Per raggiungerla, dice il Papa, “ognuno dovrà compiere secondo le proprie forze, un pellegrinaggio”. Chi meglio dell’UNITALSI, nata per promuovere il pellegrinaggio, potrà compiere questo segno voluto dal Giubileo?Venga dunque in contro questa preziosa Associazione, me-diante un organizzazione che prevede la più ampia parteci-pazione di malati e del personale, rendendo possibile nono-stante le difficoltà dei mezzi di trasporto e di viaggio, questo itinerario, perché non pesi oltre i disagi che ognuno porta con se, il raggiungere il colle lauretano. Loreto, privilegiata per la Santa Casa che custodisce, lo è ancora di più per la presenza speciale di tanti treni malati che dall’8 magio 1936, rende così visibile il mistero del dolore e della misericordia. Questa città, con il suo santuario, deve farsi degna di accogliere questi spe-ciali pellegrini che restano una lezione di vita e di speranza.Penso con commozione a voi, carissimi malati, che per la pri-

ma volta accompagnati da barellieri e sorelle di assistenza sa-lirete le gradinate della basilica per entrare nella Porta Santa.

A voi viene chiesto di aprire il cuore alla misericordia del Si-gnore, degni sicuramente più di noi, perché purificazione, pe-nitenza e preghiera sono già incarnati nella vostra infermità.In quel passaggio vi viene chiesto di sussurrare: “con te croci-fisso, mio Signore, voglio dire sì a Dio come lo hai detto Tu e come lo ha detto Maria tua madre ai piedi della croce”.E voi che li accompagnerete, carissimi sacerdoti, medici, so-relle di assistenza e barellieri, nell’umiltà del cuore, sentite di ringraziare Dio, perché nella loro sofferenza, se lo volete, potete trovare ampia e intenza la misericordia di Dio, grazie a loro che scontano anche le nostre incoerenze di cristiani per le quali proviamo disagio e pentimento. Quale grande dono sa-rete, carissimi ammalati, in questo Anno Santo nel cuore di un santuario dove potrete trovare moltissimi pellegrini, spesso più curiosi che oranti. Lo sappiano i Padri Cappuccini, custodi del Santuario, lo sappiano i lauretani, che i malati sono una grazia ed una provocazione per quanti giungono al Santuario. Lo sappia l’UNITALSI in particolare, che celebrando l’ottan-tesimo dei treni malati a Loreto, non può dimenticare la fede che animava alle origini il pellegrinaggio, la carità autentica e sincera accompagnata da sacrifici e ristrettezze economiche. Questo spirito richiede oggi una trasparente e sobria gestione della carità utialsiana, sicuramente più florida di allora, per-ché l’efficienza dell’organizzazione non offuschi l’efficacia di un’azione pastorale rivestita di grazia e di spiritualità.

la prima volta di loreto

Si apre la Porta Santa

Le porte sante si sono aperte anche e soprattutto là dove più acuta è la sofferenza dei cristiani e dove le difficoltà di con-vivenza tra credenti di diverse fedi assume una dimensio-ne ben visibile. Le celebrazioni di domenica scorsa, in tanti luoghi del mondo dove appunto si sperimenta il dolore con frequenza quotidiana, si sono dunque incentrate sulla neces-sità urgente di misericordia. È accaduto a Gerusalemme, a Erbil, ad Aleppo e in molti altri luoghi del pianeta martoria-ti da conflitti, guerre, persecuzioni e povertà. Il patriarca di Gerusalemme dei Latini, monsignor Fouad Twal, aprendo la porta santa nella basilica del Getsemani, ha ricordato che «la città santa è la chiave per la pace in Medio oriente. La nostra Chiesa del Calvario non poteva che cominciare il suo cammi-no giubilare dal luogo dell’agonia di Gesù. Alla sofferenza di Cristo si somma quella di questa terra, di questa regione, la misericordia abbatte i muri, l’odio, l’ignoranza, l’indifferen-za, l’insensibilità e il disprezzo. Torniamo a Dio e al rispetto tra noi. Ci sono uomini, donne, bambini, innocenti che non hanno nulla a che vedere con queste guerre». La popolazione di Gerusalemme «si è preparata all’apertura della porta santa con la preghiera e poi con gesti di carità anche tra di noi. Con l’apertura delle nostre case agli stranieri, ai profughi che sono qui — ha spiegato il custode di Terra santa, padre Pier-battista Pizzaballa — non potendo accogliere i profughi che vengono dalla Siria per via della situazione politica».Un’altra città dilaniata dalla guerra e particolarmente biso-gnosa di pace è Aleppo, dove domenica scorsa è stata aperta la porta santa nella parrocchia di San Francesco, attaccata lo scorso 25 ottobre con un lancio di granate. Padre Ibra-him Alsabagh, parroco della comunità latina di Aleppo, non

ha dubbi nell’affermare che l’apertura della porta di questa chiesa rappresenta un’apertura sulla pace, sulla riconciliazio-ne e sul dialogo. «Ogni giorno — ha ricordato padre Alsaba-gh — lanciamo messaggi di riconciliazione, di speranza non soltanto ai cristiani, di carità. Stendiamo la mano non soltan-to ai nostri, ma anche alle persone che appartengono all’al-tra parte, a quelli più fondamentalisti, che per odio lanciano bombe cieche sulle abitazioni, sulle strade, sulle chiese, sulle moschee. Stendiamo sempre la mano — ha aggiunto — e abbiamo ogni giorno qualche messaggio che viene mandato a tutte le persone, a tutta Aleppo, ma anche a tutto il Medio oriente e a tutto il mondo».

Dall’Osservatore Romano

nelle terre della sofferenza

Gerusalemme e Aleppo

UNITALSI la varcherà con i suoi malati nell’ ottantesimo anniversario dei treni bianchi

di don Decio Cipolloni Vicario generale della Santa casa

IL CUSTODE DI TERRA SANTA Padre Pizzaballa, intervistato da Radio vaticana, ha ricordato che «la Terra santa, da generazioni e genera-zioni, vive un conflitto che sembra interminabile, che è a sfondo politico ma anche religioso, dove le comunità continuano a rinfacciarsi l’un l’altra torti e ingiustizie. Senza il perdono, senza la misericordia - ha aggiun-to - non si potrà parlare di giustizia, di cui abbiamo bisogno. E questo giubileo è l’occasione per aiutare anzitutto noi stessi, ma anche le comunità che vivono attorno a noi, a recuperare uno sguardo diverso, più libero, redento e misericordioso sull’altro».

20 21fraternità 06-2015 Dossier La Porta Santa della Misericordia

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Eminenza, quindici anni fa era il Segretario del Grande Giubileo. C’era un clima di grande festa, che oggi è diffi-cile percepire...Erano anni diversi dagli attuali quelli del Giubileo del 2000. Ora é diverso anche il contesto, reso più difficile dalle tensio-ni internazionali e da una secolarizzazione sempre più accen-tuata, che cerca di scardinare i fondamentali valori cristiani. Da qui la grande intuizione di Papa Francesco, che invita il mondo a riflettere sulle proprie condizioni, per cambiare stile di vita, per rinnovare il rapporto con Cristo e con la Chiesa, per invocare la Misericordia del Signore e trasmettere mise-ricordia ai fratelli. Una rinnovata evangelizzazione, dunque, per redimersi e perdonare.Come già nel 2000, il Santo Padre ha voluto che il Giubileo della Misericordia venisse celebrato a Roma e anche in ogni Diocesi. In tale ottica, si spiega come, con una decisione sor-prendente e bella, manifestata in occasione del suo viaggio in Africa, abbia voluto dare una testimonianza di grande Miseri-cordia, aprendo la Porta Santa del Giubileo nella Repubblica Centrafricana, anticipando così la solenne apertura a Roma.

Come si prepara un Giubileo?Intanto, c’è una preparazione spirituale in ogni chiesa locale,

come abbiamo fatto anche nella nostra Diocesi di Napoli. Dal punto di vista organizzativo, poi, la macchina è estremamente complessa, per la individuazione dei luoghi, per gli allesti-menti, per l’accoglienza dei fedeli. Anche le cose più sempli-ci, come l’approntamento di gadget o le previsioni atmosferi-che, richiedono una opportuna attenzione e misure adeguate.

Qual è il momento più complicato?Atteso il particolare momento che stiamo vivendo, certamente risulta complesso tutto il lavoro legato alla sicurezza, rispetto alla quale ogni minimo particolare ha una importanza enorme per le possibili, imprevedibili conseguenze, per cui occorre prevedere tutto un apparato di pronto intervento, non soltanto dal punto di vista medico, e preventivamente fare un lavoro di “bonifica” del luogo deputato all’evento.

E il più bello?La gioia che si prova nello svolgimento dell’evento program-mato: vedere che tutto fila liscio, che tutto risulta in ordine e che il popolo di Dio convocato vive con profondo raccogli-mento e intensamente la celebrazione.

Lei, all’interno dell’ Anno Santo, ha organizzato ben 52

Sarà una festadello spirito

Cardinale Crescenzio Sepe

il Buon Pastoreaspetta sull’uscio

Pompei

«Dio non si stanca mai di perdonarci!». Papa Francesco lo ha ripetuto più volte. Dio ci ama senza alcuna misura, fino a condividere la nostra umanità e a dare la sua vita per noi. Per questo abbiamo scelto, per la Porta Santa della Basilica del-la Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei, l’immagine del Buon pastore, che è Gesù stesso. Nessuno è escluso dal suo amore, tutti noi siamo quella pecora che carica sulle sue spalle. Non importa il numero o la gravità dei nostri peccati, Gesù ci viene a cercare ovunque: nelle nostre solitudini, nel-la stanchezza del lavoro quotidiano, nelle incomprensioni fa-miliari, nelle stanze dove gli ammalati vivono la sofferenza, nelle celle fredde dove i detenuti scontano la propria pena, nei luoghi dell’abbandono dove sopravvivono i più poveri. Egli è lì perché, come disse il Santo Padre nel Regina Coeli del 26 aprile, «non ha altra ambizione che quella di guidare, nutrire e proteggere le sue pecore. E tutto questo al prezzo più alto, quello del sacrificio della propria vita». All’immagine, incorniciata dalla ricostruzione dei mosaici che impreziosi-scono le cappelle laterali del Santuario, abbiamo aggiunto un passo tratto dal capitolo 10 del Vangelo di Giovanni: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo». È un modo per dire ai credenti: imitiamo Cristo nella nostra vita, rendiamoci strumento della sua misericordia, carichiamoci delle sofferenze del nostro fratello, non cediamo all’egoismo dell’indifferenza. In una parola: amiamo.

di tommaso Caputo

arcivescovo-Prelato di Pompei e delegato Pontificio

giubilei di categoria, adesso sarà tutto più ridotto. Meno festa e più spiritualità e misericordia...Spiritualità e misericordia sono i cardini di ogni Giubileo e così nel 2000. Se c’è stata festa, è stata festa dello spirito. Questo Giubileo della Misericordia voluto da Papa France-sco è un richiamo forte alla riconciliazione con se stessi e con Dio, che è possibile soltanto attraverso la rivisitazione della propria vita, il sacramento della confessione e l’invo-cazione della misericordia del Signore.

Cosa possono fare i volontari dell’ UNITALSI, che sa-ranno mobilitati?Possono fare tanto. Innanzitutto, nell’avvicinare e sensibi-lizzare le persone arruolate rispetto al significato del Giubi-leo e agli eventi giubilari, sollecitandone la partecipazione convinta e sentita, perché in ciascuno di noi possa nascere l’uomo nuovo. In fondo, si tratta di fare un’opera di evange-lizzazione, proprio nello spirito del Giubileo.

Inoltre, i volontari UNITALSI possono svolgere una pre-ziosa azione di accompagnamento spirituale e fisico che è, quindi, di servizio nella organizzazione e nello svolgimento degli eventi giubilari.

di Filippo anastasi

I volontari UNITALSI possono svolgereuna preziosa azionedi accompagnamento spirituale e fisico,che è, quindi, di servizionella organizzazione e nello svolgimento degli eventi giubilari.

23Dossier La Porta Santa della Misericordia22 fraternità 06-2015

Anno Santo straordinario e tematico, il primo di questo genere. Papa France-sco ci ha voluto richiamare ad una par-tecipazione non solo a celebrazioni ma anche e principalmente ad un percorso nell’avvicinamento al prossimo e a noi stessi secondo un cammino incentrato sulla misericordia.

Anche il primo anno santo “decentra-to” della storia della Cristianità: con una decisione del tutto inedita, infatti, Papa Francesco ha voluto istituirlo in tutte le cattedrali del mondo e non solo in queste, addirittura nella porta in al-luminio anodizzato del centro Charitas della stazione Termini di Roma. Centro di accoglienza per i poveri e diseredati che circolano attorno alla stazione e che cercano “rifugio”. E i medici? Potrebbe-ro avere un ruolo particolare? La prima risposta è certamente no, in primo luogo l’impegno dovrà essere quello di perso-ne che avranno, anzi avremo, di scavare dentro noi stessi alla ricerca della nostra via per esprimere un senso di misericor-dia, come già detto precedentemente, composto da miserere, aver pietà, e cor cuore.

E poi? Accompagnare, servire, acco-gliere, perdere il senso di onnipoten-za che spesso ci attanaglia e riscoprire quella condizione di povertà che sola permette alla persona di presentarsi spo-gliati di sovrastrutture date dal ruolo e dalla componente tecnica, che, se utile e anzi indispensabile nell’esercizio del-la professione, può renderci permeabili

all’incontro con il prossimo, ormai sem-pre più spesso radicalmente differente da noi.

In questo è fondamentale, a mio avviso. il richiamo del pontefice all’Ebraismo e all’Islam per ritrovare proprio sul tema della misericordia la via del dialogo e del superamento delle difficoltà che spesso ci rendono difficile anche la sola comunicazione. Se il misericordioso è colui che ha cuore per le miserie altrui i medici dell’UNITALSI come si possono preparare e cosa possono fare in questo Anno Santo?

Vorrei mutuare quello che accadde nel-la Firenze del XIII secolo quando per la prima volta fu usato il nome Misericor-dia per un ente assistenziale, fornendo cure gratuite ad ammalati e feriti, e prov-vedeva alla sepoltura dei poveri. Nome che ebbe un grande sviluppo, tanto da essere ancora oggi nome di confraternite di volontariato che operano nell’ambito dell’assistenza medica. Il tutto con un’e-stensione ulteriore, nella quale la mise-ricordia è diventata anche l’ambulatorio presso cui tale assistenza è prestata, e perfino in quasi tutta Italia sinonimo di servizio di ambulanza: mezzo di soccor-so come mezzo di misericordia.La speranza è proprio questa. Farsi stru-mento di misericordia nell’accoglienza del prossimo, senza distinzione alcuna. Impegnarsi all’interno dell’associazione con un rinnovato spirito di servizio, non carico di ruolo, ma carico di responsabi-lità fattiva tesa a fare il bene necessario. Avere occhi attenti e vigili che possano insegnarci a vedere un futuro che sep-pur difficile possa essere di libertà per l’uomo. Significative sono le parole che il Papa ha rivolto ai detenuti nella possibilità di un riscatto personale: “e ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà”. E questo può valere anche per chi è prigioniero della propria malattia.

di Federico Baiocco responsabile nazionale Medici uniTalSi

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Tornare alle radici delle antiche “misericordie”

Il servizio dei medici

Ho avuto l’opportunità di raccontare il Giubileo del 2000 da un punto di vista diverso. Lontano dai media center e dalle celebrazioni ufficiali. Ho seguito il Grande Giubileo di inizio millennio da una prospettiva tutta particolare: quella dei mar-ciapiedi zeppi di pellegrini, dei maxischermi, dei ragazzi ac-campati sugli ultimi fili d’erba del prato verde di Tor Vergata. Sono passati quindici anni. Un tempo piccolo per la Storia, ma un’enormità se si prendono in considerazione altri para-metri: quello del cambiamento dei costumi, quello del modo di vivere, di viaggiare, di assistere e di partecipare ad eventi pubblici. Per questi motivi, l’Anno Santo straordinario sarà profondamente diverso dal grande Giubileo del 2000.L’11 settembre, inteso come spartiacque storico, non era im-maginabile nemmeno nei peggiori incubi dei servizi segreti di tutto il mondo. Il Papa, il Vaticano, pur da sempre obiet-tivi sensibili per la sicurezza, non erano ancora al centro di quel costante attacco mediatico da parte del cosiddetto stato islamico. Città come Parigi, Londra, Madrid, non erano state ancora ferite da attentati di massa come quelli avvenuti negli anni successivi. Fu un anno, quell’incredibile 2000, in cui l’entusiasmo per il grande evento religioso e per l’inizio del nuovo millennio, si incrociò con una serie di fattori esterni positivi. Fu un anno vissuto senza l’ansia delle bombe, senza il peso della crisi economica, senza zone rosse. Fu un anno in cui Roma, la

Città-Mamma che da millenni accoglie i pellegrini, ebbe il tempo e la forza di prepararsi e aprirsi, mostrando il suo volto più bello. I ragazzi con lo zaino non facevano paura, i militari erano in caserma: l’aggettivo “straordinario”, utilizzato solo per descrivere la costante moltitudine di pellegrini - alla fine furono più di 25 milioni - in cammino verso e per la Città Eterna.I mesi che ci apprestiamo a vivere, in una Chiesa sempre più aperta al mondo, ma anche sempre più esposta alle intempe-rie che dal mondo arrivano, saranno mesi particolari. “Quello della Misericordia – sono parole del Prefetto della Capitale Franco Gabrielli – sarà il primo Giubileo ai tempi dell’Isis”. Il piano predisposto dal Ministero dell’Interno per la sicu-rezza di Roma, prevede il dispiegamento di 24mila persone in uniforme, compresi i 1.226 militari dell’operazione “Stra-de sicure”. Ci saranno i lagunari dell’esercito a pattugliare il Tevere, ci sarà l’aeronautica a sorvegliare lo spazio aereo, ci saranno le forze speciali di polizia e carabinieri pronte a in-tervenire. La vera sfida laica del Giubileo Straordinario sarà questa: quella di aprire e di non chiudere. Quella di continua-re a vivere da buon cristiani e da bravi cittadini, in una città che ha sempre accolto e mai rifiutato.E non a caso papa Francesco ha voluto rivolgere quell’appel-lo a “Tenere aperte le porte delle chiese”.Avere paura, significa aver già perso.

senza paura come nel duemila

Cronache del Giubileo

di Paolo Poggio inviato rai news

24 25fraternità 06-2015 Dossier La Porta Santa della Misericordia

Porte che si aprono per accogliere un’umanità smarrita, che ha bisogno di riconciliazione. Con se stessa, innanzi tutto; e con il creato, di cui ci sentiamo padroni pur essendo soltanto custodi. L’invito giubilare partito da Francesco è per i creden-ti, certo. Ma è rivolto anche all’uomo e alla donna in quanto tali, nessuno escluso. A qualunque latitudine vivano, sotto qualsiasi cielo. Ed ecco, allora, che Roma si incrocia con le “periferie” del mondo. Ecco che la prima porta santa è aperta dal papa a Bangui, la capitale del Centrafrica, uno dei paesi più poveri del pianeta, martoriato da una guerra ammantata da motivazioni religiosi, che ha visto finora cristiani e musulma-ni gli uni contro gli altri. Francesco con i suoi gesti disinnesca conflitti, spegne rancori, smorza le tante angosce che attana-gliano il mondo in questo momento storico. «Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato» ha detto nell’omelia della messa, l’8 dicembre. E all’appello i fedeli hanno risposto con la loro presenza com-posta e partecipe, offrendo un colpo d’occhio di piazza San Pietro che è stata la migliore risposta ai burattinai del terrore. La «guerra mondiale a pezzi», come la chiama Francesco, è dentro le nostre città, con la minaccia subdola del fondamen-talismo jiahdista. Le misure di sicurezza si sono innalzate ai massimi livelli, serve la consapevolezza di ciò che sta acca-dendo, ma guai se vivessimo un Giubileo blindato. Al contra-rio, grazie all’Anno Santo si deve creare un canale di compas-sione che attraversi il pianeta, per irrigare terre rese arse dalla violenza, e prima ancora dall’indifferenza e dall’egoismo de-gli uomini. Questa è la proposta giubilare, sfida a tutto campo – religiosa, certo, ma anche sociale e antropologica – in una società che la sete di denaro e potere insieme all’odio inte-gralista vorrebbero paralizzare. Così è stato fin dal principio, all’epoca dell’Antico Testamento, quanto il jobel annunciava un anno di liberazione per gli schiavi e gli oppressi, si condo-nava il debito e si poteva ricominciare una nuova vita. Papa Bergoglio vuole che ognuno possa fare personalmen-te l’esperienza della misericordia. Solo sperimentando su se stessi il perdono si è capaci di essere misericordiosi verso gli altri. Dopo aver spinto la Chiesa gerarchica a riflettere su questo aspetto, specie in ambito familiare, convocando due Sinodi, Francesco si rivolge ora alla Chiesa-Popolo di Dio.

C’è una continuità che parte da lontano, dalla conclusione del Concilio Vaticano II, avvenuta giusto cinquant’anni fa: la grande assise avviata da Giovanni XIII e proseguita da Paolo VI sancì l’apertura al mondo contemporaneo e il ritorno alla dimensione sinodale. Non più solo un vertice che decide per tutti, ma un’Ecclesia incarnata nei quattro angoli del pianeta, capace di far sentire la sua voce, aiutando così il papa a con-durre la barca di Pietro. E poi l’accentuazione della carità, l’attenzione agli ultimi, la porta santa che si apre anche all’o-stello Caritas della Stazione Termini, i detenuti che celebre-ranno il loro Giubileo col papa nella basilica vaticana o nelle cappelle dei rispettivi istituti di pena. In piazza di Spagna, davanti all’obelisco dell’Immacolata, circondato dai malati accompagnati dai volontari dell’UNITALSI, ha pregato per gli emarginati, i profughi, gli immigrati. «Sotto il tuo manto c’è posto per tutti, perché tu sei la Madre della Misericordia».I raduni di massa non saranno la cifra questo Anno Santo, eppure a Roma non mancheranno gli appuntamenti di gran-de richiamo per le folle. Due in particolare: l’ostensione del corpo di padre Pio, che sarà esposto in San Pietro dall’8 al 14 febbraio; e la canonizzazione a settembre di madre Teresa di Calcutta, «la matita di Dio».Il Giubileo di Francesco è un anno di misericordia che vuole espandersi dalle cattedrali e dai santuari di ogni diocesi per arrivare in ogni recesso. Torna ad avere un senso l’incipit del-la Gaudium et Spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tri-stezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genu-inamente umano che non trovi eco nel loro cuore». Francesco invita a «uscire dalle secche» per andare incontro all’uomo là dove vive, con lieto entusiasmo. Una provocazione alla gene-rosità fraterna e una scommessa sul nostro futuro.

di enzo romeo Vaticanista Tg2

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una sfida a tutto campo

Contro violenza, indifferenza e egoismo

Una Porta Santa aperta nella prigione a cielo aperto più gran-de del mondo. Ma a varcarla sono stati poco meno di 200, tan-ti sono i fedeli della piccola comunità cattolica della Striscia di Gaza, tutti raccolti nella parrocchia della Sacra Famiglia, nella zona di al-Zeitun, il quartiere orientale. “Un piccolo gregge” guidato dal parroco, padre Mario da Silva, religioso brasiliano dell’Istituto del Verbo Incarnato, che ha preso il posto del confratello argentino padre Jorge Hernandez. Con il resto della popolazione palestinese della Striscia, oltre 1,5 milioni di abitanti tutti di fede musulmana, le poche fami-glie della parrocchia condividono le drammatiche condizioni di vita. Le guerre, ben tre in nove anni (2006, 2008-2009 e 2012), scoppiate tra Hamas, che governa la Striscia, e Israele, dopo il ritiro di quest’ultimo nel 2005, hanno lasciato tante vittime, macerie e un popolo in ginocchio, privato di acqua, luce, carburante, materiali per la ricostruzione e generi di pri-ma necessità. Asfissiati dal blocco israeliano in atto dal 2007, che limita fortemente ogni accesso sia di merci che di uomini, i gazawi vivono prigionieri nella loro stessa terra.L’odio cresce tra le macerie. “Qui c’è tanto da fare – spiega padre Mario – nelle zone più colpite di Beit Lahiyah, Beit Ha-noun, Shujaya, Khan Younis e Rafah la ricostruzione, dopo i bombardamenti dell’ultimo conflitto, procede con lentezza. La disoccupazione è drammatica. Quella giovanile si attesta al 40%. Non ci sono soldi per vivere. E i giovani non possono emigrare perché non viene loro permesso. Possiamo contare solo sugli aiuti umanitari esterni, quando viene concesso di entrare nella Striscia”.

Sostegno alla società gazawa giunge anche dalla comunità cristiana locale grazie “alle cinque scuole che gestisce, a un ospedale, a una casa di accoglienza e ad altri segni visibili come la clinica mobile di Caritas Gerusalemme”. Si tratta di gesti concreti, aggiunge padre Mario, “resi possibili solo gra-zie a tante Chiese del mondo.Vivere in questa grande prigione a cielo aperto non fa che alimentare nella popolazione risentimento, rancore e senso di impotenza”. E racconta di tre ragazze palestinesi di fede cristiana che vo-gliono sposarsi in una località venti km fuori dalla Striscia. “Sto cercando di ottenere per loro un visto per uscire. Il ri-fiuto israeliano di concederlo acuisce sentimenti di rancore e di odio dovuti alla mancanza di libertà”. E “l’odio che si percepisce a Gaza è davvero grande” riconosce senza trop-pi giri di parole il parroco. “Nel nostro piccolo cerchiamo di spargere semi di perdono e di riconciliazione, innanzitutto fra di noi. Tra i cristiani possiamo predicare il Vangelo ma non tra i musulmani con i quali cerchiamo di tessere rela-zioni di rispetto e conoscenza anche attraverso la solidarietà. Muoversi in questo clima di odio è difficile, e sono convinto che più di tante parole valga l’esempio. Vivere in armonia ci fa stare meglio soprattutto se intorno a noi trionfano abusi e ingiustizie”.Giubileo, tempo di grazia. L’apertura del Giubileo della Mi-sericordia, indetto da Papa Francesco, dice padre Mario è, per i cristiani di Gaza, “come un bicchiere di acqua fresca per l’assetato, un tempo di verifica e di impegno per proseguire con coraggio sulla strada tracciata dal Vangelo”. “E pensare – rivela sorridendo – che all’inizio erano due le Porte Sante previste nella diocesi: una a Nazareth e l’altra nella basili-ca del Getsemani, presso l’Orto degli Ulivi, a Gerusalemme. Abbiamo detto al patriarca Fouad Twal che sarebbe stato im-possibile, per noi, uscire dalla Striscia per venire a celebrare il Giubileo. Così ha voluto che nella nostra parrocchia fosse aggiunta una terza porta santa. Ora davanti al piccolo gregge di Gaza c’è un Anno Santo tutto da vivere. “Ma come si può parlare di perdono a un popolo arrabbiato? Seguendo l’esem-pio di Gesù – è la risposta secca di padre Mario – anche lui viveva in un tempo di dominazione e di ingiustizia.

la prigione a cielo aperto

Gaza

di Daniele rocchi giornalista Sir

26 fraternità 06-2015

Anche nell’Iraq devastato dalla guerra si aprono le por-te sante del Giubileo della Misericordia. A varcarle una comunità cristiana composta in gran parte da sfollati. A Baghdad come ad Erbil. Nel capoluogo del Kurdistan iracheno sono riparati oltre 120mila cristiani in fuga dai terroristi dello Stato Islamico. Per loro una porta santa a forma di tenda e tante iniziative di solidarietà. Con un pensiero rivolto “ai nostri fratelli musulmani”.foto di Daniele Rocchi

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una tenda “santa” per dimenticare l’isis

Iraq

maria rosaria ricci “aderisco perché so che chi è dietro la mia carrozzina mi dona le proprie gambe e le mani, col cuore per spingermi aiutan-domi a camminare, a camminare lontano. Perché ho riscoperto il dono della Vita e del al suo donarsi! che l’amore è l’unico linguaggio verbale e non verbale capace di far spezzare ogni tipo di catene, affos-sate e soffocate da Suoni potenti e prepo-tenti del Mondo!aderisco perché è attraverso l’uniTal-Si che ho incontrato il Signore, colui che silenziosamente intreccia i nostri destini umanamente inspiegabili, elevandoci a lui come note per una Musica dolce e soave!!!!!!!grazie famiglia unitalsiana

alberto Pisani guarda con bontà, o Padre, questi tuoi figli che si impegnano nella nostra asso-ciazione uniTalSi; confermali nel loro proposito con la tua benedizione, perchè partecipando alla mensa della Parola e del Pane, siano testimoni credibili di cari-tà e servizio, e portino nel mondo la gioia del Vangelo.” una scelta di vita!Sorelle e fratelli della Sottosezione di go-rizia celebrano la giornata dell’adesione e con l’occasione eleggono il nuovo con-siglio.

Valentina Catania Per me indossare la divisa è come indos-sare l’abito più bello del mondo, l’emozio-ne e la gioia invade tutto il mio cuore e tut-to il mio essere ogni volta che la indosso per me è come se mi rivesto dell’amore di cristo lui ci veste del suo amore per po-terlo donare agli altri.

livia la Ferla #aderiscoxkè ...hai preso il mio tempo e il mio spazio, sei il sangue che scorre nelle mie vene, una delle parti migliore di me!

Pier Pagani #aderiscoxkè dalla vita ho avuto tanto e vorrei aiutare un’esercito che non ha avu-to nulla...

nunzia labate hai chiamato ognuno di noi ha presta-re servizio. insegnaci Maria ha prestare servizio in silenzio con umiltà, insegnaci l’amore incondizionato e senza riserve. insegnaci a diventare Veri Volontari di Vita ,ad essere operatori di Pace, a diventare dei Veri figli di dio. eccomi sono pronta.

Giusi lanzafame È stato proprio lì in quella grotta con quel silenzio e quell’atmosfera di meditazione che ho capito che tu Maria sei li sempre in quell’abbraccio d’amore di cui non posso fare a meno.

GIoRnAtA DeLL’ADeSIone

alcuni commentisull’hashtag lanciato sui social

28 29fraternità 06-2015 Dossier La Porta Santa della Misericordia

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Antartide, base Esperanza - Blocchi di ghiaccio che galleg-giano come sugheri di polistirolo; l’aereo sorvola radente le acque gelide della baia Esperanza. La linea dell’orizzonte si avvicina, la costa ghiacciata è adesso un filo sinuoso che ac-quista spessore con il diminuire della distanza. Il velivolo sale di quota, scavalca l’altezza del pack. Pochi minuti ancora e gli sci prendono contatto con il ghiacciaio, il motore tossisce, la struttura vibra come le lamelle di un organo, le eliche strat-tonano fino a fermarsi. L’aereo scivola lungo la parete liscia verso il basso dove dei gatti delle nevi aspettano il carico.

Su questo stesso Hercules modello ’67 di fabbricazione Lockheed è stato trasportato lo zucchetto di Papa Francesco e “congelato” nella base Esperanza, mezz’ora di volo da Ma-rambio radente i ghiacciai con un piccolo twinotter. Lo dette il Papa nel mese di ottobre del 2014 al Generale dell’esercito argentino Horacio Formica presente ad una messa in vaticano. Lo zucchetto papale ha compiuto le sue belle dieci ore di volo in un cofanetto di vetro ed è sbarcato tra i ghiacci per essere esposto nella cappella “Nuestra Señora de Lujan” della base Marambio con tanto di benedizione in pergamena per il per-sonale che vi lavora.

Si sbarca. Gli snowcat percorrono l’ultimo tratto verso la base in un saliscendi che segue la bizzarra formazione del ghiac-cio. Ed ecco la base Esperanza, un complesso di una quaranti-na di edifici arancioni costruiti per resistere a venti gelidi che possono raggiungere i 200 chilometri all’ora. Si capisce il lemma della base: «Permanencia, un acto de sa-crificio». Venne fondata in un giorno come oggi, il 17 dicem-bre 1952 – compleanno di Francesco Papa – da una pattuglia guidata dal generale argentino Edgar Leal, con tanto di saluto alla bandiera e inno. Prima di lui una baleniera svedese restò stritolata dal ghiaccio e l’equipaggio cercò rifugio in questo punto. Si vede ancora la prima edificazione in pietra dove tra-scorsero un anno e sopravvissero incredibilmente,Oggi, nella base Esperanza, ci vivono una sessantina di perso-ne, militari e civili, in appoggio alle attività scientifiche e per la manutenzione delle strutture. E mentre la base americana McMurdo Station chiude le porte della “Chapel of the Snows” e il sacerdote Dan Doyle torna casa, nella base argentina Esperanza si intensificano i servizi religiosi. “Effetto France-sco” scherza padre Leonidas Adrian Torres che si è fatto le sue belle dieci ore di volo in Hercules dal continente per venire a celebrare sul posto delle prime comunioni e un matrimonio.

il giubileo alla fine del mondo

Reportage dal Polo Sud

di alver metalli

foto di leonardo Proverbio

Un rito sobrio: la messa, il dialogo con i comunicandi, l’euca-restia impartita sullo sfondo maestoso della baia popolata di pinguini, i padroni di casa indiscussi di queste lande gelate e che la Chiesa non ha mai abbandonato.Il primo a mettere piede in una base Antartica fu un gesuita, che a bordo di una nave da trasporto sbarcò all’Osservatorio meteorologico delle isole Orcadas del Sud, sotto sovranità ar-gentina. Da buon pioniere della fede nel continente dei ghiacci piantò una croce di legno di 8 metri d’altezza costruita nel collegio gesuita di Buenos Aires, dove Bergoglio abitò in gio-ventù. Le cronache antartiche assegnano a questo eroico sa-cerdote la celebrazione della prima messa il 20 febbraio 1946, a mezzanotte, su un altare portatile, davanti all’equipaggio di una nave. Lasciò sul posto l’immagine della Madonna di Lujan. San Francisco de Asís, nella base Esperanza dove ci troviamo, è il nome scelto per la prima cappella di rito cattolico a queste

latitudini. Oggi è tirata a nuovo per un matrimonio, una coppia che qui, tra i ghiacci dove ha trascorso l’anno di servizio, ha deciso di regolarizzare la convivenza. Un matrimonio antar-tico che smentisce la fama di “continente degli uomini soli”. Si prega, si canta, si tira il riso. Padre Leonidas Adrian Torres apre una immaginaria porta della misericordia. «El Jubileo es en todo el mundo, no solo en Roma» ha ripetuto papa Fran-cesco in queste ore. Ad un centinaio di metri di distanza tra-smette Radio “Arcángel San Gabriel”, la prima e unica radio nel continente. Ricordano con emozione l’elezione a Papa del loro concittadino Mario Jorge Bergoglio. Scelto dai cardinali “dalla fine del mondo”, una espressione divenuta famosa e che qui ha una letteralità incomparabile. Interruppero la program-mazione abituale – santorale, gesta e biografie degli esplora-tori antartici – e quando superarono il contraccolpo si misero a cercare materiale per commentare l’evento.Auguri Santo Padre.

Nell’unica cappella cattolica permanente tra i ghiacci dell’ Antartide è stato portato lo zucchetto di Papa Francesco,si è aperta una Porta Santa, si sono celebrati un matrimonio e alcune prime comunioni.

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di maristella Giuliano comitato di redazione della rivista giuridica on line della circolazione e dei Trasporti aci (www.rivistagiuridica.aci.it)

Dal 5 ottobre 2015 il certificato di proprietà dei veicoli è divenuto digitale. Come è già accaduto per il contrassegno assicurativo, è stata avviata la dematerializzazione del certificato di proprietà dei veicoli, una vera e propria rivoluzione nel mondo delle pratiche auto, che interessa oltre 40 milioni di automobilisti e possessori di veicoli in generale. Ma andiamo per ordine. Il tutto parte dal Codice dell’Amministrazione Digitale introdotto con il Decreto legislativo n. 82/2005, con il quale il Governo ha avviato il processo di sburocratizzazione e ammodernamento della Pubblica Amministrazione, tramite la digitalizzazione dei procedimenti amministrativi e dei relativi documenti.

L’Automobile Club d’Italia è stata una delle prime ammini-strazioni a raccogliere la sfida, attuando il programma di di-gitalizzazione con investimenti e risorse proprie. In sostanza, a partire dallo scorso 5 ottobre, il certificato di proprietà non è più stampato, ma è prodotto digitalmente e conservato da

ACI nei propri Archivi magnetici. Il nuovo certificato di pro-prietà digitale non muta il suo pregresso valore giuridico, e rimane l’unico documento idoneo ad attestare la proprietà di un veicolo, ma cambia solo la veste: prima cartecea, ora digi-tale. A livello pratico chiunque ha intenzione di acquistare un veicolo, nuovo o usato, non riceve più il documento cartaceo, ma una ricevuta dell’avvenuta registrazione, che contiene un codice di accesso personalizzato, tramite il quale è possibile visualizzare il certificato on line. Il certificato digitale può es-sere visualizzato in qualsiasi momento mediante smartphone o altro dispositivo idoneo, o collegandosi al sito www.aci.it nella sezione “Consulta il Certificato di proprietà digitale” e seguendo le relative indicazioni. Una volta ottenuto il certifi-cato digitale, se si necessita di ulteriori successive formalità, è sufficiente presentare soltanto la targa del veicolo e un do-cumento di identità. La smaterializzazione di tutti i certificati di proprietà, ossia anche di quelli emessi prima del 5 ottobre 2015, avverrà progressivamente al momento del compimento di ulteriori formalità. I vantaggi per i cittadini che scaturiscono da tale innovazione, sono molteplici sotto vari punti di vista: prima di tutto Il certificato digitale non può essere smarrito o sottratto e di conseguenza non può neanche essere contraffatto e utilizzato per attività illecite. Le denunce di smarrimento in Italia ammontano a circa 300.000 l’anno e per ognuna di esse deve essere sporta denuncia di smarrimento/furto alle Auto-rità di PS, e deve anche essere richiesto il duplicato al PRA. Tutto questo lavoro indotto, con il certificato digitale non avrà più motivo di esistere, perché lo stesso è custodito in sicurez-za negli archivi dell’ACI ed è in ogni momento visionabile, con conseguente risparmio di tempo (per il cittadino e per le imprese), di denaro (stimato in 4,5 milioni l’anno), di risorse ambientali (conseguenti all’eliminazione di 30 milioni di fogli di carta), senza pensare poi agli obblighi di conservazione a carico degli Uffici connessi alla gestione dei modelli cartacei (ad es armadi blindati, serrature particolari, ecc.). Il Certificato Digitale è, il primo passo del più ampio progetto strategico dell’ACI, Semplific@uto che interessa anche 5.500 agenzie che effettuano, su tutto il territorio nazionale, l’intermediazio-ne tra il PRA e i cittadini. Una grande rivoluzione verso la semplificazione, in coerenza con la missione di ACI di pre-sidio dei molteplici versanti della mobilità e di promozione e sviluppo dell’automobilismo.

Aci

tutto più semplice per chi guida

Uomo e ambientecamminano insieme angela maria Cosentino docente di Bioetica

Bioetica

La questione climatica è di grande at-tualità. L’accordo “storico” concluso alla Conferenza di Parigi sul clima (30 novembre - 12 dicembre 2015), firmato dai 195 Paesi presenti, per contenere la temperatura globale al di sotto dei 2 gra-di rispetto ai livelli preindustriali, per al-cuni aspetti è vincolante sulla carta, ma per altri è dipendente dalla volontà delle singole nazioni. La complessa intesa sollecita alcune ri-flessioni di carattere scientifico ed etico non solo sui reali interessi economici, politici e ideologici in gioco, ma anche sui necessari cambiamenti di mentalità e di stili di vita da assumere - a livello per-sonale e comunitario - verso un nuovo modello di sviluppo più equo, inclusivo e sostenibile (dal momento che i Paesi più vulnerabili risentono maggiormen-te degli effetti relativi ai cambiamenti climatici e all’inquinamento). Questi obiettivi possono essere realizzati anche con il ricorso alle energie rinnovabili (solare, eolica, idrica, geotermica e da biomassa) “pulite” ma per ora costose e la riduzione di quelle non rinnovabili (carbone, petrolio, gas) inquinanti ma meno costose. In riferimento alla causa (antropica o naturale) del riscaldamento climatico, tuttavia, il dibattito scientifico è ancora aperto. Infatti, pur in presenza di un pensiero unico a sostegno della causa antropica, è impossibile accertare il nesso diretto di causa-effetto tra le at-tività umane e i cambiamenti climatici1. Il clima, per sua natura, è variabile ed è sempre cambiato. Anche nel passa-to si sono registrati periodi caldi (per esempio, durante il periodo della civiltà assiro-babilonese e quello medioeva-le) coincisi, tra l’altro, con periodi di

sviluppo. Inoltre, in occasione di una precedente Conferenza (Copenaghen 2009), i dati sul clima sono stati forzati (climagate) e negli ultimi 15 anni le tem-perature registrate non sono aumentate come previsto dai modelli matematici. Il clima, infatti, è influenzato da nume-rosi fattori complessi, alcuni dei quali poco conosciuti, impossibili da preve-dere con gli attuali modelli. Però, indi-pendentemente dalla causa, è possibile adattarsi all’impatto dei cambiamenti e mitigarli, per esempio, con la foresta-zione, la lotta alla deforestazione, l’ef-ficienza energetica e la prevenzione di costruzioni in zone a rischio. Se l’origine dei cambiamenti climatici fosse soprattutto naturale e non antropi-ca, i risultati sul clima sarebbero incerti anche con il ricorso alle energie rinno-vabili (sulle quali alcuni politici hanno costruito la carriera, analogamente a co-loro che hanno conseguito il potere con il controllo delle risorse fossili che non intendono abbandonare); si compren-de perciò la difficoltà dei Paesi in via di sviluppo ad aderire ad un impegno obbligante a ridurre l’uso del carbone, soprattutto perché sarebbe limitante per conseguire quel progresso che altri Paesi hanno già raggiunto. Ciò dovrebbe indurre i governi ad atti-vare il principio di responsabilità comu-ne ma differenziata secondo le rispettive capacità e condizioni, e ad assumere un modello di sviluppo che, con il passag-gio graduale alle rinnovabili e alle tec-nologie che non inquinano, diventi più sostenibile a livello economico, ecologi-co e sociale. La sostenibilità, però, deve essere sgan-ciata dal controllo demografico (con-

traccezione, aborto e sterilizzazione), “soluzione” sostenuta da una pressante visione antinatalista neomalthusiana2. La responsabilità etica, infatti, richiama a contrastare sia la cultura dello spreco verso i beni superflui e gli alimenti (1/3 del cibo viene sprecato eppure potrebbe essere sufficiente per le persone indi-genti) sia la cultura dello scarto verso le persone più deboli e indifese (neo-concepito, disabile, anziano, malato, po-vero), spesso vittime della stessa logica del rifiuto. Perciò, la Laudato sì di Papa Francesco, sulla cura della casa comune della stessa famiglia umana, esorta per coerenza, al rispetto per la natura (am-bientale), come pure al rispetto per la natura umana (nella sua unità di corpo e anima, declinata come maschio e come femmina) e a quello per la vita umana (dal concepimento alla morte naturale). Questi importanti passaggi dell’encicli-ca, posti a freno di invasive colonizza-zioni ideologiche (oggi sempre più lega-te a lobby finanziarie) potrebbero essere maggiormente valorizzati. L’enciclica, competente su fede e mora-le (non sulla scienza), dopo aver solleci-tato a riflettere sul tipo di mondo che si intende lasciare alle generazioni future (cf. n. 160), invita al dialogo tra le va-rie discipline ed esorta verso le buone pratiche che attivano circuiti virtuosi ad ogni livello. Infine, propone una conver-sione ecologica di ispirazione giudaico-cristiana nella quale l’uomo si comporta non da padrone con atteggiamento pre-datorio, ma da custode responsabile di tutto il creato (uomo compreso), secon-do uno stile di vita che consente di recu-perare un equilibrio più sano e armonio-so con la natura e il Creatore.

1 Cf. M. GIACCIO, Il climatismo: una nuova ideologia, 21esimo secolo, Milano 2015.2 Cf. A.M. COSENTINO, Cambiamenti climatici e controllo demografico, Ateneo Pontifico Regina Apostolorum, Roma 2014.

Leggere

No a «riempire» internet di contenuti religiosi. Sì alla creazione di «spazi di net-working» per quanti si avvicinano alla fede.Antonio Spadaro, gesuita, direttore della rivista La Civiltà Cattolica, primo inter-vistatore di papa Francesco, indaga il rapporto tra fede cristiana e social media nel suo nuovo libro Quando la fede si fa social. Il cristianesimo al tempo dei new media (Editrice Missionaria Italiana, in libreria da questa settimana).Spadaro, consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura e di quello per le Co-municazioni Sociali, precisa la «natura» di internet: «La differenza tra reale e virtuale, che alcuni insistono candidamente a proporre, non esiste. Vive semmai, quella tra fisico e digitale, due diverse maniere di un’unica “esperienza” umana».Per questo il credente non deve pensare di «evangelizzare» Internet immetten-do nella rete contenuti religiosi, bensì utilizzando la Rete per creare comunione: «Evangelizzare non significa fare “propaganda” del Vangelo. Non significa “tra-smettere” messaggi di fede. Il Vangelo non è un messaggio tra i tanti altri. Dun-que evangelizzare non significa “inserire contenuti dichiaratamente religiosi” su Facebook e Twitter. E la verità del Vangelo non trae il suo valore dalla quantità di attenzione (dei “mi piace”) che riceve».Ecco dunque il ruolo della Chiesa nella Rete: « È chiamata a essere una “condivi-sione” del Vangelo in una realtà complessa. Spesso risulta molto efficace un mes-saggio discreto capace di suscitare interesse, desiderio della verità e muovere la coscienza». Di qui una proposta concreta da parte di Spadaro: «Un compito per la Chiesa d’oggi, impegnata nella “nuova evangelizzazione”, potrebbe essere quello di creare, fra gli altri, anche spazi di networking in cui le persone si avvicinino alla fede e possano affrontare le loro domande più profonde in un clima che permetta di costruire relazioni significative».

Quando la fede si fa social

32 fraternità 06-2015

Vigilia di Natale del 1949 sono un bam-bino e mi ritrovo nel mezzo di un av-venimento mondiale. Sono una “voce bianca” del Coro della Cappella Si-stina, sono contralto. Siamo vestiti da chierichetti, veste rossa e cotta bianca. Ci dirige uno dei più grandi musicisti del Novecento si chiama Lorenzo Pe-rosi. Noi cantiamo cose scritte da lui o da Pierluigi da Palestrina, l’inventore del canto polifonico. Tutte queste cose - dell’importanza di Perosi e di quello che ha rappresentato Palestrina - io e tutti i miei compagni allora le ignora-vamo. A cerimonie così siamo abitua-

ti, ma sentiamo che quella è una serata speciale. Il Papa bussa col martelletto alla porta murata e dall’altra parte fan-no cadere la muratura, il Papa entra in San Pietro benedicente e noi dietro a lui gli cantiamo il Tu es Petrus composto da Perosi, che poi è l’atto fondativo del-la Chiesa cristiana, quando Gesù dice a Pietro “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia chiesa, e ti darò le chiavi del regno dei Cieli e le forze del male non prevarranno su di lei...”.Sono passati molti anni da quella vigilia di Natale, io ho fatto un lungo e com-plesso percorso di vita ma quel bambi-

no non ha dimenticato quella serata e non ha dimenticato il Tu es Petrus e lo canta fin da quando era piccolo al suo nipotino che si chiama Pietro. Ho visto come centinaia di milioni di persone questo Papa Francesco stra-ordinario che ha riacceso le speranze del mondo, che rifà lo stesso percorso di allora, tutto con meno sfarzo e mag-giore semplicità come è nello stile di Francesco. Il “Tu es Petrus “non è stato cantato. Ma io l’ho fatto ugualmente. C’era gente e non ho potuto farlo a pie-na voce, l’ho cantato mentalmente, ma l’emozione è stata la stessa.

il mio Giubileo di bambinoRicordo

di Giancarlo Governi scrittore