la vallis salinarum o piana di gioia tauro o semplicemente la · quadam vero die, cum oppidum...

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1 VALLIS SALINARUM di Giuseppe Riso La Vallis Salinarum o Piana di Gioia Tauro o semplicemente La Piana, si affaccia sul Mar Tirreno, che ne delimita il versante occidentale, con coste basse e sabbiose, mentre per il resto è circondata da una corona di montagne : a Nord-ovest il Monte Poro, a Nord-est gli altopiani della Serra, ad Est il Dossone della Melia, che collega la Serra all’Aspromonte, e a Sud il massiccio dell’Aspromonte. La Vallis Salinarum vista da un satellite

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VALLIS SALINARUM

di Giuseppe Riso

La Vallis Salinarum o Piana di Gioia Tauro o semplicemente La

Piana, si affaccia sul Mar Tirreno, che ne delimita il versante occidentale,

con coste basse e sabbiose, mentre per il resto è circondata da una corona di

montagne : a Nord-ovest il Monte Poro, a Nord-est gli altopiani della Serra,

ad Est il Dossone della Melia, che collega la Serra all’Aspromonte, e a Sud

il massiccio dell’Aspromonte.

La Vallis Salinarum vista da un satellite

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Il termine latino Vallis Salinarum, necessariamente ci riconduce alla

storia di Roma, non necessariamente alla caput mundi all’apice della sua

gloria, ma con molta probabilità alla Roma degli anni della decadenza,

quando già la sua potenza era al tramonto, e al sale, quotidiano condimento

di ogni piatto.

Il sale, sia agli albori della grandezza di Roma che al suo tramonto,

fu essenziale ai suoi abitanti e alle sue legioni. Serviva a conservare i cibi,

particolarmente le carni e il pesce, ed era un minerale essenziale per i

legionari obbligati a lunghe marce e ad enormi fatiche nei loro spostamenti

da una provincia all’altra dell’Impero. Non per nulla il loro salario era

costituito sia dal soldo, da cui il termine “soldato”, che da dischetti di sale,

da cui il termine “salario”, e ciò malgrado la civiltà romana fosse basata

sull’olio di oliva, essenziale sia come condimento che come elemento base

per la salute del corpo. Col passare degli anni, però, e con l’avanzare di

nuovi popoli, un’altra civiltà si fece avanti, non più basata sull’olio, ma sui

grassi animali, derivati, per la maggior parte, dal maiale. Questo tipo di

alimentazione, in modo particolare per le popolazioni rurali del Sud, si

sarebbe protratta fino a poco dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questi

popoli, con nuovi modelli di vita, che si affacciavano alla Storia, avrebbero

dato la loro nuova impronta a tutta l’Europa a venire. Le campagne,

affidate ai veterani, erano molto curate e da esse si traeva ogni sussistenza,

ma con l’avanzare di Unni, Vandali, Longobardi e Goti, gli incolti

presero il sopravvento. Le marine vennero, particolarmente dal VI° secolo

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in poi, devastate e depredate, fino a quasi metà Ottocento, da Turchi e

Arabi. Le popolazioni, terrorizzate, furono costrette e ritirarsi in zone

collinari, lasciando alla malaria e all’abbandono le zone marine e le pianure

retrostanti le coste. I porti si insabbiarono e scomparve ogni forma di

scambio con popolazioni d’oltremare. L’unica merce che si scambiava e

che veniva trasportata lungo le incerte vie romane, lasciate ormai

all’abbandono, era il sale, unico bene per cui si sfidava l’impossibile.

Questo minerale, raccolto in vasche ad evaporizzazione lungo la riva del

mare, non veniva custodito in ripari vicino ai luoghi di estrazione, ma era

trasportato all’interno in luoghi sicuri, più tutelati e adatti a rendere

possibile un trasporto verso i luoghi di consumo. Non sono rimasti resti

archeologici, manufatti, officine o depositi a causa degli sconvolgimenti

tellurici che si sono succeduti nei secoli. Solo i cognomi o lo toponomastica

ci possono dare qualche suggerimento, ad esempio i cognomi Maduli o

Manuli che stanno ad indicare manus, un distaccamento di legionari. Le

popolazioni sarebbero ridiscese lungo le coste solo ai primi del Novecento

e solo allora sarebbero sorti i centri di Siderno Marina, Gerace Marina

(l’attuale Locri), Ardore Marina, Bovalino Marina, etc. Perciò, anche se

l’Impero di Roma era sul finire le sue strade servivano ancora a rifornire

sconfitti e vincitori di un minerale essenziale alla vita. E in Calabria una

fonte di approvvigionamento era lungo le coste dell’attuale Golfo di Gioia

Tauro e i depositi erano all’interno, verso Radicena, l’attuale Taurianova,

dove il sale veniva immagazzinato. Quando un grosso quantitativo era

pronto per la spedizione, si apprestava una carovana che prendeva il via a

Drusium, l’attuale Drosi, vicino Rizziconi, e da lì, lungo la Via Popilia,

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arrivava fino a Roma. Sarà una ricostruzione di fantasia, ma la logica ci

porta a ritenere che questo dovette essere l’iter del sale verso Roma in quel

torno di tempo. E’ stata una affermazione assurda quella che ha fatto il

prof. Gehrard Rohlfs, compianto studioso della lingua e degli usi dei

calabresi, allorché ha asserito che il nome della regione derivava “dalle

numerose paludi formate dai ristagni fluviali nella zona di Gioia Tauro”.

Dobbiamo chiarire una volta per tutte che tale affermazione è sbagliata in

quanto il termine Vallis Salinarum riporta ad acque salmastre e non ad

“acque fluviali” (sic). Trattavasi di “saline” e da che mondo e mondo in

questi siti vi si trova acqua di mare e non acque dolci stagnanti. Ed ancora

pur se fossero state acque salmastre stagnanti alle foci dei fiumi Budello e

Petrace esse avrebbero dato tutt’al più il nome solo alla zona di Gioia

Tauro e non a tutto un comprensorio di località dove oggi si trovano

Cittanova, Taurianova, Rizziconi, Gioia Tauro, Oppido, Terranova Sappo

Minulio, Molochio, Varapodio e perfino Delianuova. Che sia così, è

sufficiente controllare gli Atti notarili e tutti gli altri documenti conservati

negli Archivi Vaticani e riportati alla luce dal Prof. Guillou e da Padre F.

Russo, le cui pubblicazioni vengono custodite in ogni biblioteca locale. Ed

è proprio da ricerche del prof. A. Guillou che veniamo a conoscenza

dell’esistenza di un documento di epoca bizantina e redatto in lingua greca,

che contiene una donazione da parte di una certa Theodote, figlia di

Egidari, alla Chiesa Madre di Oppido, di una proprietà che costei

possedeva nell’Eparchia delle Saline nel paese chiamato Dapidalbo che

non è altro che l’odierna Delianuova. Apprendiamo anche che la Vallis

Salinarum, in epoca precedente la conquista normanna, era una Eparchia,

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come dice il prof. Beniamino Mustica rifacendosi ad un documento notarile

bizantino, “letteralmente Sopra comando delle Saline (…) comandata da un

Eparko : ne facevano parte i paesi (ghorìa) (…) compresi tra Radicena e

Sinopoli”.

In tutti i secoli precedenti l’anno Mille, La Piana o Piana di Gioia

Tauro, che qualcuno, localmente si ostina a definire Piana di Palmi o di

Rosarno, nomi assolutamente inesistenti, si chiamò Vallis Salinarum e

Taurianova fu il suo baricentro, o meglio Radicena, da Radix. Si chiamò

Valle delle Saline anche agli inizi dell’epopea normanna, quando fu al

centro delle loro conquiste. Citiamo, uno per tutti, Guglielmo Malaterra,

monaco normanno, il cronista di tale epopea. Nel suo Gaufredi Malaterrae

De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi

Ducis fratris eius (Edizione:Rerum Italicarum Scriptores 2, V 1, E.

PONTIERI 1928) al Cap. XIX del Secondo Libro dice che il Conte Ruggero,

avendo saputo che era arrivata in Calabria, “dalla Normandia, la sua

promessa sposa, si precipitò nella Valle delle Saline, presso San Martino,

ove sposò legalmente la fanciulla. Da lì la condusse a Mileto, la capitale,

con gran concerto di musici, per procedere alla solenne celebrazione delle

nozze”.1

Ed ancora nel Cap. XXXIII del primo Libro sappiamo che “mentre

il Conte Ruggero si trovava all’assedio del Castello di Oppido, venne

informato che il Vescovo di Cassano e il Governatore di Gerace si erano

precipitati ad assediare il castello che si trovava nella Valle delle Saline,

chiamato San Martino, nell’anno 1058 dell’incarnazione divina. Essendo 1 Sul punto ecco il testo latino : “Sic legatus quidam, a Calabria veniens, nuntiavit

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stato riferito ciò a Ruggero, costui, ritiratosi dall’assedio, a marce forzate si

precipitò in San Martino a soccorrere gi assediati. Dato l’assalto, diede

inizio al combattimento e circondò quasi tutti. Permise che a stento si

salvasse uno solo : con le armi e i cavalli di quelli fece ricchi i suoi. Per cui

la Calabria sebbene non del tutto assoggettata, tuttavia atterrita per la sua

presenza pensò, da allora in poi, di irritarlo meno di prima”.2

Non passò molto, però, che il termine Vallis Salinarum venne

sostituito prima con la dizione di Planities Sancti Martini, data ancora la

perdurante importanza politica e militare dell’enorme fortificazione sita nel

territorio dell’attuale Taurianova che merita un discorso a parte ed anche a

causa della probabile decadenza delle saline, inghiottite da qualche

maremoto o tempesta e mai più ricostruite. Col passare del tempo, anche il

Castello di San Martino venne abbandonato e il sito fortificato, a

protezione del territorio e ad imposizione della presenza e dell’imperio dei

conquistatori, passò ad una nuova fortificazione che venne costruita ex

novo su un piccolo promontorio sul Marro poco più a monte, più

facilmente difendibile e con le retrovie protette dal castello di Santa

2 A riguardo si veda GUGLIELMO MALATERRA, OP.CIT., Libro I,Cap.. XXXII : “Quibus expletis, Rogerius, Guillelmo fratri cum gratiarum actione Scaleam rediens, rogatus a Guiscardo, in Calabriam venit. Castrumque Melitense, a fratre sibi haereditaliter deliberatum, habens, rebelles Calabros circumquaque impugnare coepit. Quadam vero die, cum Oppidum castrum oppugnaret, episcopus Cassanensis et Giracii praesopus, quem nos praepositum dicimus, maximo exercitu concitato, castrum, quod Sancti Martini dicitur, in valle Salinarum positum, oppugnatum vadunt, anno Dominicae incarnationis MLVIIII. Quod cum Rogerio nuntiatum fuisset, ab obsesso recedens, citato cursu, ubi eos esse audivit, advolat. Impetu facto, certamen iniit, omnesque quasi circumagens, vix unum evadere permisit: de quorum spoliis et equis et armis omnes suos abundantes fecit. Quamobrem Calabria, etsi non ex toto oboediens, tamen a vicinitate eius tremula, minus eum prior irritare praesumebat.”

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Cristina : Terranova. Da questa nuova città fortificata venne il nuovo nome

della Piana, Piana di Terranova. Fu anche capitale dello Stato di

Terranova, o meglio di un immenso feudo la cui esistenza si sarebbe

protratta fino all’eversione della feudalità nel 1806 e che anch’esso merita

un discorso a parte.

Torniamo di nuovo alle saline sul golfo di Matauros e teniamo in

mente le vie di comunicazione che i Romani utilizzavano per poter

trasportare il sale e per mettere in comunicazione la Capitale dell’impero

con la periferia. Non dimentichiamo che essi furono grandi costruttori di

ponti, di strade e di città, naturalmente riconducibili alla dominazione di un

territorio. Infatti quando i Romani conquistavano una nuova provincia

provvedevano a costruire un sistema radiale di strade e a capo di ogni

estremità vi ponevano un accampamento. Era anche logico che il

capoluogo di ogni provincia venisse collegato con una strada diretta a

Roma. Una sola via, la Salaria, non ebbe mai grande importanza militare,

ma venne costruita semplicemente perché doveva essere utilizzata per il

trasporto del sale dalle saline della costa tirrenica, principalmente da Ostia,

alla Capitale. Ci si può chiedere perché. E diciamo subito che il nome

deriva dal latino sal, salis, perché su quella strada viaggiava il sale, proprio

il sale che oggi utilizziamo nelle nostre cucine che allora aveva un valore

enorme. Quando Ostia, nella tarda romanità, verso la fine dell’Impero,

probabilmente verso il V° o VI° secolo, si trovò col porto interrato e con il

mare che progressivamente regrediva, senza più nemmeno saline,

probabilmente si rese necessario trovare nuove fonti di

approvvigionamento.

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Veduta delle rovine del Porto di Ostia nell'anno 1582, al tempo di Papa Gregorio XIII, a dimostrazione che era all’interno e non più a contatto col mare (affresco di A. Danti nella Galleria delle carte geografiche del Museo Vaticano).

Roma, anche se in decadenza, aveva bisogno di sale, come lo ebbero

tutte le popolazioni mondiali fino ad un paio di decenni or sono. La

dipendenza dal sale, in modo esasperato, atto a conservare alimenti, finì

solo allorché vennero inventati i frigoriferi a basso costo e ogni famiglia,

ancorché modesta fu in grado di preservare i cibi a lunga scadenza. Prima

di ciò il metodo migliore di conservazione era il sale. Principalmente la

conservazione delle carni, particolarmente quelle di maiale, dalla tarda

romanità in poi, dipesero dal sale. Infatti la carne di suino costituì per secoli

la fonte principale di sopravvivenza di migliaia di famiglie nelle lunghe

stagioni invernali. Dalle nostre parti, ci sono persone di una certa età che

ricordano ancora il monopolio da parte dello Stato, l’esosità dello stesso nei

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confronti di questo bene e il conseguente contrabbando da parte delle

“bagnarote” sullo Stretto di Messina. Eh sì. In Sicilia, luogo di grande

produzione, il costo era minimo, non essendo soggetto a tasse statali, ma al

di qua dello Stretto veniva venduto solo nelle rivendite autorizzate ad un

prezzo esorbitante in rapporto al suo costo di estrazione. Allo scalo di Villa

San Giovani era uno spettacolo continuo : “bagnarote” cariche di sale che

fuggivano o che si nascondevano e finanzieri che le inseguivano.

Le saline che riteniamo fornissero il sale necessario alla popolazione

romana non più proveniente da Ostia, o per lo meno in minima parte (altre

saline erano situate sulla costa adriatica), si trovavano sull’attuale Golfo di

Gioia Tauro. Esse andavano, con molta probabilità, dall’attuale Nicotera

Marina alla foce del Petrace. Non oltre. E da lì il sale veniva trasportato e

immagazzinato in qualche luogo all’interno, protetto dalle legioni o da

qualche distaccamento di soldati romani. Non sappiamo dove potesse

esserci un accampamento o una qualche fortificazione non molto distante

da Drusium che era la statio di partenza del sale verso Roma. Solo la

toponomastica può aiutarci: può essere stata Radicena, da Radix, il punto di

partenza di un bene così prezioso? Forse, ma qualunque nome può essere

valido, non certo Matauros, perché luogo soggetto a scorrerie di pirati. Non

vi sono altri luoghi intermedi, e Radicena3 è l’unico sito che ha radice

romana in un mare di nomi greci. Probabilmente da qui, con carovane

protette da soldati, il sale intraprendeva la via del Nord. Non abbiamo

3 Da precisare che Radicena oggi è Taurianova insieme all’altro Comune Jatrinoli, il cui topos è greco, ed è pure da precisare che San Martino, il centro più importante in passato, è stato aggregato in qualità di frazione a Jatrinoli sin dall’erezione di quest’ultima a Comune nel 1807.

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documenti o resti di manufatti umani dell’epoca che possano suffragare

queste supposizioni perché i terremoti ciclici che si sono verificati nell’arco

di due millenni e una storia fatta di secoli di abbandono e povertà hanno

fatto scomparire ogni traccia degli insediamenti antichi. Solo qualche

piccolo residuato greco riaffiora ogni tanto. Per il resto solo la

toponomastica ci può soccorrere come già detto. Comunque, ecco il perché

del nome di Vallis Salinarum dato al club. Questo termine si richiama

all’odierna Piana, o meglio alla Piana di Gioia Tauro come i cartografi la

designano oggi, nel suo periodo migliore e senza alcun dubbio più

prospero.

A questo punto si deve fare necessariamente una digressione sul sale,

prima di continuare il discorso sulle strade e sui luoghi da dove questo

minerale veniva spedito.

Il sale ha fatto la storia dell’umanità essendo stato sempre un bene

prezioso e unico. Infatti, il suo bisogno da parte degli umani ha fatto la

storia. Le civiltà sono sorte in Africa, Cina, India e nel Medio Oriente

intorno a ricchi depositi di sale. Nei tempi più antichi l’uomo cacciatore ne

ricavava il suo fabbisogno dalla carne cruda. Quando, però, cominciò a

diventare agricoltore e così trarre il suo sostentamento dai cereali (dalla

carne solo marginalmente), iniziò a ricercare questo prezioso minerale.

Altri punti salienti sul sale , per quanto ne sappiamo, sono i seguenti:

In Cina, verso il 2700 a.C., venne pubblicato il Peng-tzao-kan-mu, il

più antico trattato di farmacologia. Una gran parte di questo trattato

presentava più di 40 tipi di sale e includeva descrizioni di due metodi di

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estrazione di questo minerale. L’imperatore cinese YU, nel 2200 a.C. dalle

tasse sul sale trasse la maggior parte delle sue entrate.

Nell’antichità il sale fu sempre importante economicamente. Gli

antichi Greci scambiavano i loro schiavi contro adeguate quantità di questo

minerale. In tutti i periodi storici venne anche usato come moneta in molte

località. Ai tempi dell’antica Roma i legionari venivano pagati

parzialmente con dischetti di sale, un salarium, da cui è derivata il termine

moderno salario. Fu il re Anco Marzio (640-616 a.C.) a fondare la prima

colonia romana ad Ostia a causa delle saline che visi trovavano.

C’è da tenere presente che nell’Etiopia del ventesimo secolo si

usavano dischi di sale come moneta e rilevanti quantità di questo minerale

venivano custodite nel tesoro di Stato. Ancora oggi, tra le popolazioni

indigene, è usanza pagare il prezzo di una sposa con determinate quantità di

sale. Nel passato anche nel vicino Sudan il sale si scambiava con oro

essendo alquanto scarso.

Il sale ha svolto un ruolo cruciale anche nelle religioni dei popoli. Ci

sono più di trenta riferimenti al sale nella Sacra Bibbia. Agli Israeliti era

richiesto di includere sale tra le loro offerte. E negli antichi templi ebraici

era inclusa una stanza del sale. Forse come retaggio dei loro padri

maggiori, come li definì Papa Giovanni Paolo II, per secoli i sacerdoti

cattolici hanno messo un pizzico di sale sulla lingua di ogni bambino al

momento del battesimo pronunciando le parole rituali : “Ricevi il sale della

saggezza”. Nella Bibbia si ricorda anche come la moglie di Lot avendo

disobbedito all’ordine di Dio di non voltarsi indietro a guardare la

distruzione di Sodoma, sia stata trasformata in una statua di sale. Il sale ha

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avuto anche un’importanza militare. Per esempio è ricordato che migliaia

di soldati di Napoleone morirono durante la ritirata di Russia a causa della

mancanza di sale. Evidentemente il sale veniva usato per curare i feriti

dopo interventi chirurgici come cicatrizzante delle ferite. In campo militare

c’è da ricordare ancora che i generali nordisti, durante la guerra di

Secessione americana nel 1866 fecero in modo di sabotare la produzione di

sale degli stati sudisti perché erano consapevoli che avrebbero minato le

capacità di resistenza. Infatti sia l’esercito e sia i civili avevano bisogno di

sale non solo per mantenersi in salute ma anche per conservare gli alimenti

necessari ai soldati al fronte e alla popolazione civile ed anche per lavorare

le pelli.

Migliaia di insediamenti ebbero origine dalla possibilità di avere sale

a disposizione, fosse esso di origine marina che di cava. Ad esempio per

migliaia di anni nuclei hanno costituito i loro insediamenti vicino alle fonti

di approvvigionamento del prezioso minerale.

Vicino ad Hallein in Austria l’attività mineraria per l’estrazione di

salgemma ebbe inizio verso il 6700 a.C. Reperti archeologici che vanno dai

tempi dell’antica Roma al Medio Evo sono stati rintracciati e per parecchi

anni questa città fu il centro del commercio del sale in Europa tanto da dare

il nome alla regione e alla sua capitale Salzburg, cioè Salisburgo.

Le tasse sul sale hanno costituito, in passato, o almeno fino a pochi

decenni or sono, una ricca fonte di entrate e molto spesso le tasse hanno

portato a ribellioni per l’esosità imposta dai sovrani. Ad esempio in Gran

Bretagna, durante il Settecento i maiali e i bovini cominciarono a morire a

causa della mancanza di sale nella loro alimentazione. Gli agricoltori non

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avevano le possibilità economiche di comprarlo a prezzi elevati. Ci furono

rivolte e alla fine il parlamento abolì le alte tasse sul sale.

Una tra le tante cause della Rivoluzione francese fu anche la tassa sul

sale che colpiva in misura elevata i ceti più poveri della nazione. La nuova

Assemblea si premurò di abolirla nel 1790 rendendo il sale disponibile alle

classi più povere.

Fu nel 1930 che il Mahatma Gandhi intraprese una Marcia di 200

miglia fino al mare per protestare per la tassa sul sale imposta dagli inglesi

ed ordinò che non si raccogliesse più il sale della propria terra per gli

occupanti della stessa finché non avessero ottenuto l’indipendenza.

Il Canale Erie, vicino la città di Syracuse, a New York, aperto nel

1825, fu conosciuto come “il canale costruito col sale”perché il materiale

trasportato per la maggior parte era il sale.

Tornando alla nostra Piana, il sale le diede un nome adeguato in

tempi non sospetti e si trovava non certo nelle “acque stagnanti dei fiumi”,

ma in un territorio racchiuso tra l’Aspromonte e il mare.

Lo specchio di mare antistante la Vallis Salinarum era ideale per

costruirvi delle saline. Da questi luoghi partivano le carovane con il

prezioso bene verso Roma e le altre località prescelte dall’amministrazione

dell’Impero. Al nome primigenio, cioè Vallis Salinarum, venne in seguito

aggiunto quello di Sancti Martini, quando questa località venne ad

assumere alla fine dell’Impero una funzione maggiore. In seguito assunse

altri nomi, e quello che negli ultimi due secoli si riscontra è sempre quello

di Gioia, poi diventato Gioia Tauro.

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Si potrebbe obiettare che non vi sono mai state strade in Calabria e

che questa fu sempre isolata. Si può affermare, invece, che le legioni di

Roma e i suoi consoli avevano provveduto a costruirvi un’arteria che, bene

o male, insicura come non mai, è durata fino alla fine dell’Ottocento,

allorché si costruì una ferrovia litoranea e una strada adiacente, l’attuale

statale litoranea 118. L’attuale autostrada venne costruita solo alla fine

degli anni Sessanta del secolo appena trascorso. Prima ancora c’erano stati

i greci che avevano colonizzato tutto il meridione d’Italia. Le loro stationes

erano i porti e le varie polis che vi creavano erano insediamenti ex novo o

filiazioni di altre colonie. Le strade interne erano i greti dei torrenti.

Gente anziana, verso gli anni cinquanta del Novecento, diceva che un

viaggio per Reggio Calabria durava due giorni ed era molto insicuro a

causa dei banditi che infestavano il percorso. Dall’attuale Taurianova si

andava al Ponte Vecchio, si attraversava un ponte di fortuna sul Petrace, e

da lì, dopo aver raggiunto Seminara, si saliva verso la dorsale

aspromontana. Si attraversavano i piani di Solano da dove si scendeva per

attraversare a guado o su qualche ponte di fortuna, la fiumara di Favazzina

presso il passo Tremula e da lì si risaliva per raggiungere la Statio ad

Mallias. Da qui bisognava dirigersi verso Fiumara di Muro, da dove

toccava Campo, sopra Villa San Giovanni. A questo punto il percorso si

divideva in tre rami : uno verso l’imbarco di Cannitello (ad columna), il

secondo verso l’imbarco di Catona (ad statuam) ed il terzo, infine,

attraversava un torrente presso Catona, nelle vicinanze di Santo Cono di

Rosalì e giungeva a Modenella dove a sua volta si diramava in tre

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direzioni : una si dirigeva verso Reggio, la seconda verso il campo

fortificato di Arghillà ed infine la terza verso Calanna.

La costruzione era stata autorizzata nel 132 a.C. dalla magistratura

romana e doveva servire a congiungere stabilmente Roma con la civitas

foederata Regium, situata nell’estrema punta dell’Italia. Ad iniziare la

costruzione della strada fu il Console Lucius Popilius Laenas, ma venne

portata a termine dal pretore T. Annius Rufus, motivo per cui è anche

definita come via Annea. Naturalmente con la decadenza dell’Impero la

strada andò in rovina e in certi punti venne ridotta a tratturo, ma fino alla

fine dell’Ottocento venne utilizzata per raggiungere Reggio. Il percorso è

rintracciabile ancora oggi, malgrado non vi siano vestigia dell’antichità, o

se vi sono, sono da trovare nelle profondità del terreno.

Arrivati al Petrace, laddove oggi c’è la chiesetta non consacrata di

Salvatore Pellegrino, si gira a destra per una strada, alquanto dissestata, che

conduce alla statale 111, poco prima dei fabbricati dell’ENEL, qualche

chilometro prima di arrivare all’ingresso dell’Autostrada. Oltre, la Via

Popilia proseguiva fino alla prima stazione di posta romana rintracciabile

anche oggi : Drusium, l’attuale Drosi, vicino Rizziconi, già menzionata.

La Via Popilia iniziava a Capua, ad un incrocio con la Via Appia, e

si dirigeva a Sud, verso la Calabria che apparteneva alla Regio III. Le

principali stationes sono indicate in un cippo coevo che venne rinvenuto a

Polla. Partendo da Capua erano : Nuceria, Moranum, Cosentia, Valentia, ad

Fretum, ad Statuam, Regium.

Il cosiddetto Lapis Pollae, così chiamato perché rinvenuto nella

località di S. Pietro di Polla, nella parte settentrionale del Vallo di Diano,

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dice4: “Costruii la via da Reggio a Capua e in questa via posi tutti i ponti, i

milliari e i tabellarii. Da questo punto a Nocera 51 miglia, a Capua 84

miglia, a Morano 74 , a Cosenza 123, a Vibo Valentia 180, allo Stretto,

presso la stazione di Ad Statuam, 231, a Reggio 237. Distanza totale da

Capua a Reggio: 321 miglia. E io stesso, in qualità di pretore in Sicilia,

diedi la caccia e riconsegnai gli schiavi fuggitivi degli Italici, per un totale

di 917 uomini, e parimenti per primo feci in modo che sul terreno

appartenente al demanio pubblico i pastori cedessero agli agricoltori. In

questo luogo eressi un foro e un tempio pubblici”.

Calco dell'iscrizione di Polla

4 Così nel testo originale : “Viam fecei ab Regio ad Capuam et / in ea via ponteis omneis, miliarios / tabelariosque poseivei. Hince sunt Nouceriam meilia LI, Capuam XXCIIII, / Muranum LXXIIII, Cosentiam CXXIII, / Valentiam CLXXX [[---]], ad Fretum ad / Statuam CCXXXI [[---]], Regium CCXXXVII. / Suma af Capua Regium meilia CCCXXI [---]. / Et eidem praetor in / Sicilia fugiteivos Italicorum / conquaeisivei redideique / homines DCCCCXVII eidemque / primus fecei ut de agro poplico / aratoribus cederent paastores. / Forum aedisque poplicas heic fecei”.

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Il documento, una lastra in marmo di 70 cm. di altezza e 74 cm. di

larghezza, ha un carattere composito: nella prima parte presenta la struttura

di un'iscrizione relativa ad opera pubblica, ricordando la costruzione della

via, con i suoi ponti e i suoi milliari; segue una sezione che potremmo

definire itineraria, che ricorda le distanze tra il punto in cui l'iscrizione era

collocata e le città di Nuceria e Capua verso nord, Muranum, Cosenza,

Vibo Valentia, lo Stretto (si menziona qui la stazione di Ad Statuam,

probabilmente identica con la mansio ad Columnam di cui si è detto a

proposito di uno dei percorsi dell'Itinerarium Antonini) e Reggio verso sud,

infine la distanza totale da Capua a Reggio. Nella parte finale il documento

assume i caratteri di un elogio, nel quale l'autore ricorda di aver restituito,

nella sua qualità di governatore della Sicilia, ai legittimi proprietari 917

schiavi fuggitivi e di aver distribuito, per la prima volta, porzioni di terreno

demaniale agli agricoltori, togliendolo ai pastori. Infine l'anonimo

magistrato segnala di aver fondato un foro nel luogo in cui si trovava il

documento, dunque uno spazio per gli scambi commerciali, che poteva

divenire punto di attrazione e di coagulo per una realtà urbana, e un tempio.

Il problema maggiore del nostro documento è dato

dall'identificazione del suo autore, il cui nome forse era ricordato su un

altro blocco di testo, andato perduto, identificazione da cui dipende la data

di costruzione della strada. Molte sono le ipotesi avanzate dagli studiosi a

questo proposito. La più fondata è forse quella di T. Mommsen, che

individuava il personaggio in P. Popilio Lenate, console del 132 a.C.: una

costruzione della via in tale periodo in effetti farebbe corrispondere gli

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episodi di fuga di schiavi, cui l'iscrizione accenna, alla grande rivolta

servile in Sicilia del 135-132 a.C., gli interventi sull'ager publicus alle

distribuzioni del demanio pubblico che, a seguito della legge agraria di

Tiberio Gracco, sono attestati con certezza nella regione. Lo stesso

toponimo di Polla forse sottintende quello di un Forum Popilii attestato

nella Tabula Peutingeriana e ci riporterebbe dunque all'attività di un

membro della gens Popilia; del resto nella stessa iscrizione si ricorda

l'erezione di un forum. La strada da Capua a Reggio, dunque, è

generalmente chiamata nella letteratura scientifica Via Popilia. Ma non

mancano le ipotesi alternative: alcuni studiosi ritengono che l'iscrizione,

per i suoi caratteri paleografici e linguistici (in particolare la comparsa del

dittongo ei per i lunga e di ou per u; le consonanti non geminate, come per

esempio in suma per summa; e ancora la forma arcaica af per ab), vada

posta nella prima metà del II sec. a.C. e identificano il costruttore con un

M. Popilio che fu console nel 173 a.C. La scoperta, nei pressi di Vibo

Valentia, di un milliario con il testo CCLX / T(itus) Annius T(iti) f(ilius) /

pr(aetor, ha indotto altri studiosi ad identificare con il console del 153 a.C.

T. Annio Lusco il costruttore della strada, che a questo punto dovrebbe

essere chiamata non Popilia, ma Annia. E’ anche probabile che P. Popilio

Lenate non sia riuscito a terminare la sua opera prima della scadenza del

suo consolato del 132 a.C. e che la strada sia stata terminata da uno dei

pretori del 131 a.C., che si chiamava T. Annio Rufo.

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La regio III dell'Italia augustea. Il tracciato della Via Popilia dovrebbe essere spostato un po’ più ad est, al punto in cui confluiscono nel Petrace, il fiume di Oreste, gli affluenti Marro, Razzà e Boscaino. Infatti il vecchio percorso romano è poco più a valle, in località Ponte Vecchio. Andrebbe rivisto anche il percorso del Petrace. In verità non nasce dal Montalto, come la Carta vuol fare intendere.

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A conferma del tracciato di tale strada abbiamo un documento

eccezionale che si trova al museo di Stato di Vienna e che viene

comunemente definito Tavola Peutingeriana. Questo documento, definito

anche Carta di Peutinger è una copia della Carta Itineraria militare

Romana che l’Imperatore Teodosio il grande aveva fatto redigere nel

periodo 379-395, allo scopo di facilitare il movimento delle legioni di

Roma. Questa carta Itineraria, unica nel suo genere, costituita da 12 fogli di

cui uno è andato smarrito, fu rinvenuta nel 1507 presso la Biblioteca di

Worms in Germania e subì vari passaggi. Malgrado gli errori di

trascrizione dovuti ai vari copisti che l’hanno copiata nei secoli, ancora

oggi sono leggibili e chiari i nomi delle stationes lungo le strade. E’ chiaro

che ad ogni statio doveva esserci un albergo o locanda, dei mulattieri e

forse anche dei soldati per la protezione del luogo.

Che la Via Popilia fosse l’unica via romana che conduce all’estremo

lembo d’Italia, da dove facilmente ci si poteva imbarcare per l’Africa, lo

dimostra la marcia degli spartachisti o meglio della rivolta degli schiavi.

Spartaco, uno schiavo trace, si ribellò ai romani nel 72 a. C. e con

altri schiavi riuscì ad opporsi alle legioni di Roma infliggendo loro anche

sconfitte di rilievo. La rivolta si estese a macchia d’olio e gli schiavi ribelli

riuscirono ad impossessarsi di buona parte del meridione della penisola. Il

Senato di Roma., timoroso che marciassero sulla capitale, fece armare un

esercito di 40.000 soldati e li mandò incontro ai ribelli. Costoro cercarono

invano di trovare delle navi per potersi imbarcare alla volta dell’Illiria,

l’odierna Jugoslavia, ma vennero traditi e costretti a scendere sempre più

giù nella penisola, lungo la Via Popilia. La loro disperata fuga verso la

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libertà finì probabilmente alla Statio di Drusium, dove uscirono e si

diressero verso le montagne. Andare oltre non era possibile perché c’era il

mare e loro non avevano navi. Tradizioni cittanovesi (basti citare a

riguardo lo storico locale D. Raso) e il Prof. Carmelo Turano di Reggio

Calabria hanno espresso il parere che sullo Zomaro si possano trovare i

resti di fortificazioni riconducibili alla rivolta degli Schiavi. Secondo questi

storici locali gli schiavi ribelli si asserragliarono per l’ultima ed estrema

difesa. Soccombettero e per ordine di Marco Licinio Crasso vennero tutti

crocifissi lungo la Via Popilia prima e la Via Appia poi fino alle porte di

Roma. Non si salvò nemmeno uno dalla feroce repressione romana.

Secondo gli storici la storia va rintracciata e delineata attraverso fonti

quali manufatti, opere e scritti, nonché su idee filosofiche. Invece noi

abbiamo impostato il nostro discorso sul sale per il semplice motivo perché

riteniamo che la sopravvivenza, lo sviluppo e la decadenza della civiltà di

intere popolazioni dipendano anche e principalmente da un elemento

essenziale come il sale.

Quella del sale è una voce trascurata. Ecco perché insistiamo sul

termine e sulle ricerche che andrebbero fatte sulla Vallis Salinarum.

Concludiamo affermando che abbiamo letto che nel 2003 Il Ministero

dell’Economia e delle Finanze, Il Ministero per i Beni e le Attività

Culturali e la Regione Calabria hanno stipulato un accordo di programma

quadro, con uno stanziamento di 150.000,00 Euro per ricerche e studi sulla

Vallis Salinarum o Piana di Gioia Tauro. Onestamente non abbiamo

saputo se e come questa somma sia stata spesa e nel caso lo sia stata

saremmo vivamente interessati ai risultati raggiunti.

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Tabula Peutingeriana, Museo di Vienna Questo documento mostra il tracciato della via romana e i porti lungo le coste.