le reti matrimoniali del patriziato veneziano

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1 LE RETI MATRIMONIALI DEL PATRIZIATO VENEZIANO IL DESTINO DEMOGRAFICO NEL SETTECENTO Una ricerca specialistica approvata dal Prof. Derosas dell’Università Ca’Foscari di Venezia. STORIA MODERNA Ricerca storica di Antonio Borrelli ABSTRACT: In questa ricerca si intende analizzare il peso esercitato dalle rete matrimoniale, in una realtà molto delicata e complessa, in particolare quella presente nella Venezia del Settecento. Introducendo il lettore nella dimensione famigliare tipica dell’età moderna, si intende analizzare la rete sociale aristocratica veneziana attraverso l’analisi delle reti matrimoniali. Non bastarono le alleanze matrimoniali, le abili strategie e limitazioni per evitare il declino stesso della Serenissima Repubblica. Il divario socio-economico era molto ampio nel patriziato stesso, un sistema sociale ormai vecchio e parassitato, non ancora pronto alle sfide imposte. Non bastò la figura dell’ultimo Doge Lodovico Manin, uomo nuovo al potere, per evitare la disfatta totale. Il fallimento della politica matrimoniale, un mancato rinnovamento della classe politica e le disuguaglianza nel sistema oligarchico veneziano, comportò un lento inesorabile declino: un destino demografico. «I ga fato Dose un furlan, ła Republica ła xé morta!» - Pietro Gradenigo di Rio Marin

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In questa ricerca si intende analizzare il peso esercitato dalle rete matrimoniale,in una realtà molto delicata e complessa, in particolare quella presente nella Venezia delSettecento. Introducendo il lettore nella dimensione famigliare tipica dell’età moderna, si intende analizzare la rete sociale aristocratica veneziana attraverso l’analisi delle reti matrimoniali. Non bastarono le alleanze matrimoniali, le abili strategie e limitazioni per evitare il declino stesso della Serenissima Repubblica. Il divario socio-economico era molto ampio nel patriziato stesso, un sistema sociale ormai vecchio e parassitato, non ancora pronto alle sfide imposte. Non bastò la figura dell’ultimo Doge Lodovico Manin, uomo nuovo al potere, per evitare la disfatta totale. Il fallimento della politica matrimoniale, un mancato rinnovamento della classe politica e le disuguaglianza nel sistema oligarchico veneziano, comportò un lento inesorabile declino: un destino demografico.

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LE RETI MATRIMONIALI DEL PATRIZIATO VENEZIANOIL DESTINO DEMOGRAFICO NEL SETTECENTO

Una ricerca specialistica approvata dal Prof. Derosas dell’Università Ca’Foscari di Venezia.

STORIA MODERNARi

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ABSTRACT: In questa ricerca si intende analizzare il peso esercitato dalle rete matrimoniale, in una realtà molto delicata e complessa, in particolare quella presente nella Venezia del

Settecento. Introducendo il lettore nella dimensione famigliare tipica dell’età moderna, si intende analizzare la rete sociale aristocratica veneziana attraverso l’analisi delle reti

matrimoniali. Non bastarono le alleanze matrimoniali, le abili strategie e limitazioni per evitare il declino stesso della Serenissima Repubblica. Il divario socio-economico era molto ampio nel

patriziato stesso, un sistema sociale ormai vecchio e parassitato, non ancora pronto alle sfide imposte. Non bastò la figura dell’ultimo Doge Lodovico Manin, uomo nuovo al potere, per

evitare la disfatta totale. Il fallimento della politica matrimoniale, un mancato rinnovamento della classe politica e le disuguaglianza nel sistema oligarchico veneziano, comportò un lento

inesorabile declino: un destino demografico.

«I ga fato Dose un furlan, ła Republica ła xé morta!» - Pietro Gradenigo di Rio Marin

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Una cospicua letteratura scientifica, negli ultimi anni, si è occupata della famiglia nell’età moderna.

Molti studiosi hanno analizzato le varie componenti presenti: identità, comunità di appartenenza e

ritualità. Studi antropologici, storiografici, sociologici e psicanalitici hanno messo in evidenza la

componente sociale del matrimonio. Nel campo della storiografia bisogna ricordare il lavoro prezioso

sulla famiglia moderna, svolto dalla studiosa italiana Silvana Seidel Menchi2. Notevoli risultano essere

le ricerche svolte da Giovanni Levi3 e Gérard Delille, per comprendere l’ambiente famigliare italiano

nel periodo moderno. Altro studioso italiano come Marzio Barbagli4 ha evidenziato i momenti chiave di

transizione della famiglia moderna. Il territorio italiano, così immerso nel proprio particolarismo

culturale, offre differenti scenari possibili. La sfera matrimoniale rimane senza dubbio uno dei temi

maggiormente discussi e controversi in ambito storiografico, tanto da risultare molto affascinante

addentrarsi in questo scenario complesso e lontano dall’attuale società. Le alleanze matrimoniali erano

significanti per una serie di vicende emblematiche, che caratterizzarono un “trend” sociale, economico e

politico; infatti il periodo moderno rimane rappresentativo nel suo susseguirsi di vicende e varie

congiunture storiche, poiché la società europea viene coinvolta in una rapida evoluzione.

LA FAMIGLIA NELL’ETÀ MODERNA: SIGNIFICATI, RELAZIONI E POTERI.

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La famiglia durante l’epoca moderna era sicuramente differente da come oggi invece viene

interpretata. Durante il periodo moderno, la famiglia rappresentava un vero sistema-mondo, dove si

annodavano interessi sia pubblici che privati. Dal periodo successivo al Medioevo, conosciuto come

Rinascimento e celebrato da artisti e letterati come una renovatio culturale, che spezzava le catene

imposte al pensiero dal Medioevo, non si vide la rivalutazione del ruolo della donna appartenente ai ceti

sociali medio-bassi. La donna appartenente ai ceti sociali alti, invece poteva iniziare a godere di un

minimo di autonomia confermata dalla possibilità di studiare e condurre una vita più autonoma, sempre

limitata dalla morale comune, mentre quella appartenente ai ceti sociali medio-bassi era costretta a

vivere nella netta subordinazione alla figura maschile. La figura della donna2 nello stereotipo dell’epoca

moderna veniva rapportata sempre e solo in relazione al suo rapporto con un uomo: una vita da figlia,

sorella, moglie e madre. Il matrimonio diviene la tappa culminante nella vita di una ragazza, e per

raggiungere tale scopo non esita ad essere anche impiegata in un lavoro lontano dalla sua famiglia

d’origine e dalla sua terra natia, pur di mettere insieme la “dote”: uno strumento indispensabile per

contrarre il matrimonio.

Una donna lavorava prima di contrarre matrimonio, ma raramente dopo, a meno che la famiglia non

versasse in condizioni economiche disperate e anche in questo caso il suo ruolo era subordinato alla

gestione del suo guadagno da parte del marito. Difficilmente si poteva concepire una donna che non

fosse stata sposata e che non avesse avuto dei figli. Questa visione ristretta dei compiti femminili,

perennemente incentrati sulla cura dei figli e del marito, della casa e dei vari doveri ad essa connessi,

determinava una sorta di schiavitù domestica alla quale era difficile sfuggire, e faceva della maternità

una funzione sociale in cui la donna trovava la sua unica dimensione. Una diversa situazione investiva

la donna appartenente ai ceti alti: donne intellettuali ed ereditiere affollavano i maggiori salotti d’Europa

in epoca moderna. La cultura maschilista coeva lascia allo studioso un messaggio evidente: la funzione

della donna era quella di restare al suo posto. Tutto questo viene enfatizzato anche dalle immagini

popolari della donna in quanto personaggio negativo,

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come ad esempio la bisbetica, la strega o la vedova che mina l’equilibrio di una determinata

comunità; tuttavia non mancano anche esempi positivi con l’immagine dell’eroina.

Le eroine popolari erano veri soggetti ammirati, non tanto per quello che facevano, ma per la loro

devota sofferenza. Per le donne il martirio2 era praticamente la sola via utile per raggiungere la santità e

molte sono le leggende di vergini martiri difficili da distinguere l’una dall’altra, eccetto che per il tipo di

morte o di tortura a cui le eroine andavano incontro: come S.Agata a cui fu portato via il seno, S.

Caterina decapitata, S. Lucia a cui furono strappati gli occhi, e così via. Di particolare popolarità godette

nei Paesi Bassi, in Francia e in Germania la storia di Genoveffa di Brabante, che, erroneamente veniva

accusata di adulterio e in seguito cacciata di casa dal marito, venne da questi abbandonata nella foresta

finché si scoprì la sua innocenza. Una passività analoga dimostrano due eroine che presero spesso il

posto di sante nei paesi protestanti: la casta Susanna e la paziente Griselda, ambedue celebrate nei

drammi tedeschi, nel teatro inglese dei burattini, nelle ballate svedesi, nei libretti popolari danesi. La

stessa passività la si ritrova nella stessa Madonna, personificazione dell’obbedienza attraverso

l’Annunciazione o del paziente soffrire con la Crocefissione di Gesù.Altro stereotipo femminile durante

il periodo moderno è quello della donna malvagia: una figura scomoda di femmina seduttrice,

maliziosa e sobillatrice.

Riassumendo quanto detto in precedenza, l’opinione maschile e quindi il pensiero comune di

una comunità moderna sulla figura della donna si evidenziava attraverso queste due categorie: la donna

passiva e la donna malvagia. Come evidenzia Peter Burke3, un «problema femminile» esiste per gli

storici e per gli antropologi. La cultura delle donne non era la stessa di quella dei loro mariti, padri, figli

o fratelli perché, sebbene vi fosse molto in comune fra loro, parecchio era anche quello da cui le donne

venivano escluse: le corporazioni, ad esempio, e spesso anche la confraternite, come pure il mondo della

taverna, non erano fatti per loro. “Esclusione e passività” furono le parole che dominarono la vita delle

donne nella difficile Europa moderna. Ovviamente esistono anche alcune particolarità rispetto al trend

generico europeo: ad Amsterdam nel 1630, il 32% delle spose sapeva scrivere, ma bisogna ricordare

che i Paesi Bassi rappresentano un luogo favorevole di interscambio culturale all’epoca.

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Il cristianesimo aveva già da tempo contribuito a fare della cultura europea più che un complesso

unitario: in tutta Europa venivano dovunque celebrate le stesse feste e venerati gli stessi santi maggiori.

Il matrimonio era strettamente correlato nel rapporto tra casa e famiglia e l’idea stessa di casa.

Non era solamente una funzione religiosa, ma anche uno strumento di controllo sociale, che diveniva

indispensabile per la preservazione della comunità stessa: esemplare può essere la partecipazione allo

Charivari. Questa processione era caratterizzata da gesti, musiche e grida, indirizzata contro le vedove o

vedovi che si risposavano, ma non solo anche alle mogli infedeli. Ovviamente lo scenario matrimoniale

si diversificava a seconda dei tempi e della zona, differenziandosi in particolare nella suddivisione

Nord/Sud e Ovest/Est del Vecchio Continente. Il matrimonio non aveva solo funzione religiosa, bensì

attuava una funzione sociale vera e propria. Per esempio a Parigi, verso il 1770, le autorità

denunciavano una situazione particolare: un grande numero di poveri che non erano uniti in

matrimonio, per questo motivo vennero invitate le autorità religiose a provvedere con matrimoni

gratuiti per conservare l’ordine sociale. Non sempre si ritrova questo atteggiamento delle autorità verso

gli indigenti, per esempio in Inghilterra la situazione non era analoga: indigenti ed emarginati non

potevano sposarsi perché costava troppo. Questi vincoli spezzati sono un problema da non sottovalutare

in una buona analisi storica: precarietà abitativa e familiare si intrecciano, poiché sposarsi era una forma

di garanzia sia per l’individuo che per la società stessa. Cosa caratterizzava il matrimonio nel periodo

moderno?

Il matrimonio durante il periodo moderno era un “matrimonio a tappe”, cioè la situazione si

diversificava molto da quella attuale. I matrimoni legittimi avevano un’importanza centrale rispetto ai

rapporti patrimoniali dei membri della famiglia: un padre poteva volontariamente lasciare qualcosa in

eredità ad un figlio “bastardo”, ma erano i suoi figli “legittimi”, vale a dire nati nell’ambito del

matrimonio, che avevano diritto di succedere ai genitori ereditandone i beni, come conferma anche

Raffaella Sarti2 nelle sue ricerche. Esistevano inoltre limitazioni alla possibilità di legittimare i figli

“bastardi”. Per la gente coeva, il matrimonio non era un evento puntuale, in virtù del quale si era

inesorabilmente tutt’a un tratto marito e moglie.

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Era piuttosto un “matrimonio a tappe”, che si snodava attraverso una serie di check-points

accompagnati da svariati riti e cerimonie. I rituali che scandivano la formazione delle nuove coppie

erano vari e diversificati a seconda della zone e non di rado anche delle persone coinvolte, mentre le fasi

erano più o meno le stesse dappertutto, anche se alcune volte certe venivano saltate. Il procedimento

solitamente era il seguente: una volta avviati i contatti tra le famiglie o tra i due diretti interessati, se

c’era l’accordo si arrivava alla promessa di matrimonio, che già costituiva un impegno formale.

Per comprendere la mentalità dell’epoca, basta riflettere sulla parola italiana «sposi»2 , che deriva dal

verbo latino spondeo, «promettere»; dunque si può cogliere l’importanza stessa anche della promessa di

matrimonio, in tempi ravvicinati seguiva lo scambio dei consensi. I due promessi dichiaravano cioè

reciprocamente di prendersi come marito e moglie, suggellando spesso la loro unione con un anello: una

pratica comune nell’Europa cristiana. C’erano poi le nozze, cioè i festeggiamenti connessi al

trasferimento della sposa nella dimora dove avrebbe abitato la nuova coppia. Essi potevano durare vari

giorni, ma talvolta venivano ridotti al minimo o addirittura soppressi per la povertà degli sposi, la loro

estrema giovinezza o altri determinati motivi. Prima o dopo le nozze, ma non dappertutto, la coppia

veniva benedetta da un prete. Questo iter prolungato poteva dare origine ad affermazioni ai nostri giorni

incomprensibili: «Ha preso moglie ma non hanno ancora fatto il matrimonio», si dice di un uomo ad

Augusta nel 1528. «Andrò alla chiesa e per le strade con il corteo nuziale, secondo l’usanza cristiana,

con mio marito con il quale ora sono sposata», sostiene una donna della stessa città. Come sottolinea

Raffaella Sarti3 attraverso le sue ricerche sulla vita casalinga durante l’epoca moderna, le tradizioni

locali e comportamentali avevano precise ripercussioni nell’individuo stesso all’interno della sfera

matrimoniale. Molto diversa e meno ambigua era la concezione che dell’essere sposati aveva la Chiesa,

che considerava il matrimonio un sacramento, non un affare mondano. Secondo la concezione che essa

si era sforzata di imporre in tutt’Europa dal XI secolo, il matrimonio era, molto semplicemente, l’unione

consensuale di un uomo e di una donna. Per sposarsi era dunque sufficiente non essere legati da vincoli

di parentela in un grado proibito, essere in età nubile, 12 anni per le ragazze e 14 per i ragazzi, per

dichiarare reciprocamente e liberamente di prendersi come coniuge pronunciando i cosidetti “verba de

praesenti”.

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La Chiesa incoraggiava il fatto che tale dichiarazione fosse fatta in chiesa, alla presenza del prete e di

testimoni e con il consenso dei genitori; tuttavia, pur considerandoli “illegittimi”, riteneva validi e

vincolanti anche i matrimoni privi di qualsiasi forma di pubblicità (matrimoni segreti), Per sposarsi

secondo la Chiesa, non era insomma necessario essersi preventivamente impegnati con una promessa,

né avere il consenso dei genitori, né c’era bisogno di prete, testimoni, dote, anelli o festeggiamenti. I

“verba de praesenti” erano considerati impliciti, quando ad una promessa di matrimonio seguivano dei

rapporti sessuali o la coabitazione (matrimonio presunto). Una donna che fosse stata conosciuta

carnalmente da un uomo dietro promessa di sposarla avrebbe d’altronde potuto legittimamente chiedere

alle autorità competenti il mantenimento della promessa: in linea di massima questo principio restò

valido anche dopo la sistemazione matrimoniale operata dal Concilio di Trento da un lato e dai

riformatori protestanti dall’altro, ovviamente pur con differenze tra una zona e l’altra. Rispetto alle

tradizioni e quanto stabilito dalle leggi civili, la Chiesa proponeva un matrimonio tutto incentrato su un

solo momento, lo scambio dei consensi, piuttosto che allungato in una serie di tappe, come nella

tradizione popolare.

Ciò, senza dubbio, da un lato permetteva di distinguere in modo più netto tra relazioni matrimoniali e

convivenze. Dall’altro affidava solo all’assenza di dichiarati propositi matrimoniali la distinzione del

concubinato dai matrimoni segreti; infatti bisogna ricordare che le relazioni concubinarie erano in parte

accettate nel mondo laico, ma erano condannate dalla Chiesa. Gli sposi erano i protagonisti indiscussi

della scena matrimoniale, limitando così il carattere del matrimonio quale evento collettivo e sminuendo

il ruolo del riconoscimento sociale quale ingrediente di un’unione valida e vincolante. Negli statuti

bolognesi del 1454 si stabilivano che scambio di consensi, anello e pubblicità fossero i tre requisiti di un

matrimonio valido. Nel contempo, permettendo ai giovani di sposarsi senza l’approvazione dei genitori,

sottraeva il matrimonio al controllo delle famiglie, per le quali esso era tradizionalmente un mezzo per

stringere alleanze e per creare parentele in base a motivi di interesse.

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Importante è comprendere che la concezione ecclesiastica del matrimonio si scontrava spesso con la

legislazione civile: per esempio, in Francia nel 1556 i matrimoni conclusi contro la volontà dei genitori,

per i maschi di età inferiore ai trent’anni e le femmine fino ai venticinque, vennero dichiarati illeciti e

puniti diseredando i disubbidienti. Interessante fu l’ingresso di Lutero nella scena matrimoniale: il

matrimonio non è considerato un sacramento. Questo comporterà alle dure condanne e riforme contro la

dottrina eretica di Lutero, attraverso norme precise relative al matrimonio da parte della Chiesa di

Roma. Attraverso il processo storico conosciuto come Controriforma, la Chiesa cattolica riafferma il

valore sacramentale del matrimonio, in particolare nell’ambito del grande sforzo di riorganizzazione e

razionalizzazione messo in atto durante il Concilio di Trento (1545-63). Da questo momento si

stabiliscono norme volte ad unificare le cerimonie nuziali. Il punto di partenza dell’intervento era

rappresentato proprio dai matrimoni segreti e da quelli conclusi senza il consenso dei genitori. La

Chiesa cattolica ribadiva sempre la condanna di chi sostiene «erroneamente che i matrimoni contratti da

figli di famiglia senza il consenso dei genitori siano nulli». Tuttavia imponeva un nuovo cerimoniale

volto ad eliminare la possibilità che due persone si sposino in modo valido e vincolante, scambiandosi il

consenso sole solette in mezzo a un campo o in una cucina. In base alle nuove norme, prima che sia

contratto un matrimonio, nella parrocchia in cui ciascuno dei due nubendi risiedevano, il curato doveva

annunciare il progetto «tre volte pubblicamente nella chiesa, durante la messa solenne, per tre giorni di

festa consecutivi». Dopo le pubblicazioni, se non c’era opposizione legittima, si procedeva alla

celebrazione del matrimonio al cospetto del parroco con due o tre testimoni. Tutti i matrimoni contratti

senza tale formalità venivano dichiarati nulli, anche se restava la possibilità di sposarsi di nascosto,

purché davanti a prete e testimoni. Allo stesso tempo veniva ribadito il principio di una sessualità

legittima, da esercitare solo all’interno del matrimonio; dunque in questo modo la Chiesa cattolica

condannava con rinnovato vigore la prostituzione e il concubinato. Ecco dunque che una parte dei

matrimoni celebrati con il vecchio sistema diventano unioni concubinarie, e relazioni di concubinato un

tempo tollerate si trasformavano in meretricio. Naturalmente le nuove regole richiesero un po’ di tempo

per imporsi. A Siena si denunciarono 291 coppie di concubini tra il 1604 e il 1628, 78 tra il 1629 e il

1653, solo 21 nei 120 anni successivi, tra il 1654 e il 1773.

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Come sottolinea attraverso questi dati Raffaella Sarti, l’andamento rifletteva lo zelo iniziale di chi

doveva imporre le nuove regole nonché la presenza, nella prima fase, di unioni che nella situazione

precedente sarebbero stato considerate veri matrimoni. Profondo sintomo di un cambiamento del modo

di concepire il matrimonio e di intendere il ventaglio delle possibili relazioni umane. Non si può certo

dimenticare che le “vecchie tradizioni” non si lasciavano sempre cancellare facilmente; infatti nelle

campagne friulane ancora nel Settecento era viva la consuetudine di considerare come legame

matrimoniale a tutti gli effetti lo scambio di una promessa, in particolare seguito dalla consumazione di

rapporti sessuali. Differente, per esempio, era la situazione nello stesso periodo in certe aree dell’Austria

o Baviera, dove i rapporti sessuali tra persone non sposate continuavano a venir considerati leciti o

almeno tollerati. Altra cosa importante da evidenziare: la lotta al concubinato non veniva combattuta

dappertutto con lo stesso vigore, per esempio in Spagna era ritenuta uno strumento di adeguamento

sociale tra classi sociali miste. Con nuove direttive del Concilio di Trento, la Chiesa romana organizzò

una nuova politica unitaria in materia matrimoniale.

Non si possono negare contrasti con persone e tradizioni insite nelle differenti zone, anche le autorità

secolari erano interessate a mantenere un certo controllo sulla materia. Emblematica fu l’istituzione del

matrimonio civile nel 1782 da parte dell’imperatore d’Austria Giuseppe II, ma ancora più significativa

fu l’impronta sulla scena matrimoniale della Francia rivoluzionaria: il matrimonio viene considerato un

contratto e per questo si introduce anche il divorzio (1791-92). Una cosa è certamente chiara, se nella

prima età moderna i confini tra matrimonio e convivenza sono piuttosto labili, in seguito si ha, dunque,

tanto in area cattolica quanto in area protestante, l’imposizione di norme più rigide e chiare. Sia la

Riforma che la Controriforma attuano inoltre un più rigoroso controllo sulla morale sessuale. Purtroppo

permane la persistenza in varie zone di antiche tradizioni, come l’esclusione di una parte della

popolazione dalla possibilità di sposarsi, per legge o di fatto, comportando di conseguenza di relazioni

extra-coniugali. Considerando la diversità nell’interpretazione del matrimonio, non è difficile cogliere la

pluralità delle relazioni in gioco all’epoca: non tutti nascono da un padre e una madre regolarmente

sposati. Cattolicesimo e protestantesimo danno al matrimonio un diverso valore.

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Nonostante una maggiore apertura alla vita coniugale rispetto al passato, il Concilio di Trento

riafferma la superiorità della “verginità” rispetto al matrimonio e conferma l’obbligo al celibato per il

clero regolare e secolare. Nell’Europa cattolica, infatti, conventi e monasteri in età moderna accolgono

quote non indifferenti di popolazione maschile e femminile. Per alcune fasce sociali, come la nobiltà,

l’esigenza di non disperdere il patrimonio condanna al celibato una percentuale sensibile dei figli, che

così finiscono in buona parte per ingrossare le fila della popolazione religiosa: le ragazze solo quelle del

clero regolare, gli uomini anche quelle del clero secolare. Non è dunque del tutto vero ciò che si è

spesso sostenuto, cioè che la Riforma avrebbe completamente eliminato il convento come strumento di

controllo sociale: rimane la sua funzione sociale di controllo e certamente si riconferma una valida

alternativa alla vita familiare. Sulla scena hanno cominciato a profilarsi le figure di giovani costretti dai

genitori a sposarsi con una certa persona per ragioni di interesse, ma anche quelle di poveri

impossibilitati a regolarizzare i loro amori poiché privi di mezzi. Il convento diviene un simbolo nell’età

moderna, attraverso il suo ruolo sociale; infatti molte ragazze adolescenti, prima di decidere il “loro”

futuro (negli interessi della famiglia d’origine), erano «lasciate» in convento per scegliere il loro futuro.

Il convento diviene strumento di controllo sociale e di minaccia per preservare l’ordine comunitario.

Il controllo esercitato dal convento è diretta conseguenza del concetto di “onore”, per le donne, il tutto

era collegato alla sessualità: bisognava conservare la verginità. Secondo la tradizione ricorrente fornita

dall’uso contemporaneo del termine «Famiglia»2, di solito si intende l’insieme costituito da

un gruppo determinato di persone che vivono congiuntamente aventi in comune la discendenza,

dimostrata o stipulata, da uno stesso progenitore o progenitrice nel caso di famiglia matriarcale, da una

unione legale o da una adozione. Tra i membri di una famiglia si individuano varie relazioni e gradi

di parentela. Nella cultura occidentale, una famiglia spesso è definita in modo specifico come un gruppo

di persone affiliate da legami consanguinei o legali. Molti antropologi sostengono che la nozione di

"consanguineo" deve essere intesa in senso metaforico; alcuni sostengono che ci sono molte società di

tipo non occidentale in cui la famiglia viene intesa attraverso concetti diversi da quelli del "sangue".

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I teorici del conflitto considerano la famiglia come un’unità nella quale sono continuamente in gioco

tensioni di diverso genere. Proprio il conflitto di potere tra uomini e donne all’interno della famiglia è

uno dei problemi più studiati dai teorici del conflitto. La famiglia pare, infatti, essere l’istituzione

sociale in cui più di ogni altra si svolge la lotta quotidiana tra i sessi. Già in passato Friedrich Engels2

aveva sostenuto che il matrimonio rappresenta “la prima forma di lotta di classe che appare nella storia

in cui il benessere e lo sviluppo di un gruppo sono acquisiti attraverso la miseria e l’oppressione

dell’altro”. I rapporti tra coniugi nel matrimonio, affermava Engels, sono il modello sul quale si sono

fondate le altre forme di oppressione, e in particolare tra capitalisti e proletari. Questa idea è stata

sviluppata tra gli altri da Randall Collins3, il quale ritiene che all’origine della lotta per il potere sia la

forza fisica maggiore degli uomini, che permette a questi di avanzare diritti sessuali sulle donne. Il

matrimonio sarebbe originariamente un contratto che impone il rispetto di questa pretesa. La genesi di

tale parola «famiglia» si ha nella sua derivazione passata: «Familia» deriva da «famuli». Tutte queste

parole, direttamente o indirettamente, derivano come detto in precedenza dal latino familia.

In origine familia ricorreva in riferimento al gruppo di servi (famuli) dipendenti da un unico padrone.

Presso i Romani gli schiavi divenivano uno status della ricchezza, assumendo anche il significato di

“patrimonio”.Il suo campo semantico si allargò pure in altre direzioni: per designare da un lato tutti

coloro che dipendevano dallo stesso padre di famiglia, ovvero il paterfamilias, fossero essi servi, figli o

altri; dall’altro tutti coloro che discendevano da un unico capostipite, che erano cioè stati, realmente o

potenzialmente, sottomessi ad un comune paterfamilias ormai estinto. Era dunque la dipendenza, non la

convivenza, l’elemento che accomunava i diversi significati che il termine aveva in latino. Non stupisce,

in quest’ottica, che il concetto di paterfamilias non corrispondesse esattamente con la paternità

biologica: il paterfamilias era colui che ricopriva autorità nell’ambito domestico, e poteva anche non

avere figli.Il significato etimologico della parola «Familia» torna in primo piano nel Medioevo, quando

essa indica prevalentemente il complesso dei dipendenti di un signore.

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Ed è soprattutto con tale significato che risulta inizialmente attestato, dal Trecento e ancora nel

Cinquecento, il termine francese “famille” o quello inglese “family”. Anche quando non erano impiegati

in tale accezione i termini europei derivati dal latino familia avevano spesso un significato differente da

quello attuale. «Famiglia è figliuoli, la moglie, e gli altri domestici, famigli e servi», scrive Leon

Battista Alberti nel Quattrocento: «Famiglia sono i figliuoli, che vivono, e stanno sotto la potestà, e

cura paterna, comprendendosi anche moglie, e sorelle, e nipoti del padre, e gli tenesse in casa», recita

la prima delle definizioni del termine riportate nelle quattro edizioni del Vocabolario degli Accademici

della Crusca, apparse tra il 1612 e il 1738. Diverse l’una dall’altra queste due definizioni sono

accomunate dal fatto di considerare come famiglia solo gruppi più o meno estesi di persone dipendenti

dal padre, non una comunità comprendente il padre stesso. In altri casi l’elemento della convivenza

balza in primo piano a scapito dell’elemento gerarchico, fornendo così un’immagine di famiglia un po’

più consona alla sensibilità odierna, seppur in genere non ristretta ai soli genitori e figli. Secondo

Giovan Battista Assandri, la famiglia è «uno accoppiamento de compagnie de persone, sotto un sol tetto

naturalmente unite, ad uso e commodo scambievole, nelle opere necessarie e cotidiane».

Comune al passato e al presente è invece la possibilità di usare il termine famiglia nel senso di stirpe.

Non bisogna sottovalutare il fatto che il termine “famiglia” poteva avere diversi significati e

interpretazioni. A favore del diffondersi della parola “famiglia” da un lato e, dall’altro, a sostegno

dell’idea che la comunità domestica gerarchicamente strutturata composta di padre, moglie, figli e servi

rappresenti una cellula fondamentale della vita associata militano altri fattori: ruolo del capofamiglia in

ambito educativo, religioso e sociale. Le direttive religiose investivano il capofamiglia di compiti di

controllo morale e religioso su tutti i conviventi, regole presenti nel mondo cattolico e ancor più nel

mondo protestante, dove scompare la figura del confessore e del padre spirituale che dall’esterno della

compagine familiare consiglia e dirige il tutto. Leggi e consuetudini davano così al padre potere

correzionale su tutti i suoi sottoposti, che gli devono obbedienza; gli permettevano di influenzare in

modo determinante il destino della prole con le sue scelte; impedendo ai figli di famiglia conviventi con

il padre, anche se adulti, di vendere, comperare o fare testamento senza la sua autorizzazione; dunque

stabilivano che la moglie non poteva disporre liberamente del suo patrimonio. In questo scenario

complesso, molto lontano e differente rispetto a quello odierno, si instaurano veri intrighi amorosi,

relazioni di carattere socio-economico e scontri per il potere all’interno delle famiglie: differenze ricche

di disagi vengono a galla, partendo dal matrimonio arrivando fino all’eredità contestata.

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Le networks matrimoniali sono oggetto di studio da diverso tempo; infatti basta ricordare la ricerca

effettuata sulle 20 famiglie londinesi da Elisabeth Bott, attraverso l’analisi delle dimensioni e natura

della segregazione coniugale, che quantificava la relativa compattezza delle reti in questione. Notevoli

sono state le ricerche svolte da Sandro Guzzi-Heeb sulla parentela in una valle alpina nel 19° secolo,

oppure l’indagine di Cyril Grange, che era incentrata sulla comprensione delle reti matrimoniali intra-

confessionali dell’alta borghesia ebraica parigina del XIX secolo. In questa ricerca si vogliono cogliere i

meccanismi di una rete di alleanze familiari, che ne determinavano le strategie e direzioni nelle

genealogie del patriziato veneziano settecentesco. Le misure dell’analisi di rete2 e le procedure per la

loro elaborazione sono state effettuate mediante il software UCINET3.

La diffusione delle tecniche e delle procedure sviluppate nell’ambito dell’analisi relazionale, negli

ultimi anni, ha raggiunto una fase di progressivo consolidamento; difatti attraverso la crescente

disponibilità di programmi per l’elaborazione dei dati relazionali, il ricercatore può compiere la scelta

più opportuna alle proprie esigenze. L’elaborazione dei dati è stata effettuata con la sesta versione del

software UCINET, iniziando dalla costruzione della matrice dei dati. Nonostante il mercato offrisse un

panorama ampio di programmi disponibili, la scelta di questo software è dovuta e giustificata dal

consistente numero di procedure, non statistiche e statistiche, in esso disponibili. Per questo motivo lo si

può considerare il più completo ed aggiornato strumento di analisi disponibile sul mercato. La

potenzialità dell’analisi delle reti, attraverso l’uso di UCINET, permette allo studioso di familiarizzare

con tecniche di analisi delle reti sociali, composta da un linguaggio altamente tecnico e matematico.

RETI MATRIMONIALI: LA NOBILTÀ VENEZIANA SETTECENTESCA.

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Il primo passo fondamentale è la definizione del tipo di dati per i quali l’analisi delle reti sociali è più

appropriata. I dati in possesso, derivano dall’opera del Nani2, aiuteranno nella comprensione delle

networks matrimoniali presenti nella società veneziana del Settecento: le relazioni di potere, le varie

alleanze, le strategie. Riprendendo quanto osservato da Sandro Guzzi-Heeb, anche nella Venezia del

‘700, come nella Bagnes del XIX secolo, la parentela rituale interagiva con la solidarietà parentale e

fattori ideologici, formando reti sociali dense, per lo più basate su comuni orientamenti politici. Tali

ambienti (milieus) favorirono la costruzione di fazioni politiche, costituendo una rete sociale densa

imperniata sul conflitto ideologico e comportando una graduale scomparsa del patriziato veneziano

stesso.

La Venezia settecentesca3 non era solamente una vittima predestinata del decadimento politico, ma

anche sociale dovuto al notevole peggioramento delle condizioni sanitarie4 generali; dunque era

inevitabile un declino economico, demografico e un destino avverso nella strategia matrimoniale delle

varie casate veneziane. Il Seicento si chiuse in maniera molto negativa per la Serenissima Repubblica,

uscita ridimensionata dopo il lungo conflitto con l’Impero ottomano, nonostante facesse parte della

Lega Santa. Il crollo dello Stato da Mar, in realtà, iniziò già con il decentramento delle attività

economiche dovuto alla Rivoluzione atlantica del XVI secolo. Venezia sopravviveva come la propria

classe dominante, attraverso una struttura in notevole difficoltà. La profonda lacerazione interna del

corpo aristocratico e l’estrema polarizzazione fra gli interessi dei diversi gruppi, alla fine comportò il

tramonto della Repubblica di San Marco. Enormi spaccature fra le diversi classi aristocratiche,

insanabili a causa dei vari interessi in gioco, allontanavano quelle riforme che sarebbero servite per

salvaguardare gli interessi stessi della Serenissima Repubblica. L’incapacità sul piano politico, il ruolo

passivo della compagine aristocratica veneziana, non riuscirono ad evitare gli avvenimenti del maggio

1797. Questo fallimento della Repubblica, senza opporre resistenza alle truppe francesi, derivava dalle

strategie matrimoniali coeve.

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Escludendo il costo sociale dovuto alle epidemie, molto presenti in questo periodo, si è indirizzata

l’analisi dei dati attraverso alcuni momenti-chiave della Serenissima Repubblica nel ‘700. Il primo

momento-chiave, fattore genesi, organizzazione socio-politica della nobiltà veneziana, ovvero il periodo

che va dalla Pace di Carlowitz del 1699 fino alla Pace di Passarowitz del 1718. Sono stati presi in

analisi i matrimoni avvenuti nel periodo 1699-1718, in modo da poter comprendere le varie strategie in

gioco. In questo periodo di grandissima crisi, vengono registrati moltissimi matrimoni.

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Come si evince dalla Figura 1, elaborata incrociando le date matrimoniali con le famiglie, si può

notare l’incremento di matrimoni dopo il 1699, data che coincide con la Pace di Carlowitz del 1699. La

cosa più interessante è il biennio 1716-1718, dove si può cogliere una notevole quantità di matrimoni,

un periodo molto favorevole per le alleanze matrimoniali già iniziato nel 1710. Nel gruppo 1

risiedevano tutte quelle famiglie ricche e appartenenti all’élite aristocratica. Nel gruppo 2 risiedevano

tutte quelle famiglie che avevano più del loro bisogno, ovvero le famiglie senatorie; mentre nel gruppo

3 risiedevano famiglie che avevano il loro bisogno, in pratica membri delle Quarantie (organi giudiziari

di media importanza). Il gruppo 4 rappresentava quelle famiglie che avevano meno del loro bisogno,

infine il gruppo 5 il gruppo 6 condividevano una situazione comune di povertà.

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L’estrema condizione di povertà era il riflesso dell’ingiusta suddivisione patrimoniale, all’interno del

ceto aristocratico veneziano molto incerto sulla propria condizione. Inevitabilmente la seconda guerra

della Morea aveva rivelato le debolezze veneziane in ambito militare. Con la conclusione della pace di

Passarowitz, la Serenissima Repubblica si trovò dalla parte dei vincitori grazie all’alleanza con il potere

austriaco, ma si vide privata dei frutti della vittoria che non si era conquistata con le proprie forze. Un

rilevante problema economico per i futuri “serenissimi interessi”2, che nel lungo periodo hanno inciso

sul malcontento del ceto patrizio veneziano. Un forte desiderio di ritornare una “grande potenza”

commerciale, che rimase intatto sino già all’elezione del doge Marco Foscarini: illusione durata a lungo,

nonostante la minacciosa situazione internazionale coeva.

Il ceto patrizio veneziano non ebbe coscienza della tempesta rivoluzionaria, che si sarebbe scatenata

a breve. Nell’Europa dell’Illuminismo, il declino politico di Venezia e della storia del suo patriziato può

equivalere ad un vero e proprio “suicidio”: un destino demografico accompagnato dal tramonto delle

Repubbliche aristocratiche europee. Nonostante il concetto riassunto nella formula «uguaglianza di

Dominio in disuguaglianza di fortune», le notevoli differenze economiche ebbero un peso determinante

nel crollo del sistema veneziano, ma ancor più le strategie matrimoniali insite nella società nobiliare.

Infatti esistevano moltissime distinzioni e differenze fra i beni di fortuna, l’età e la distribuzione del

potere tra il patriziato veneziano. Lo “spirito di famiglia” determinava i rapporti sociali, attraverso

un’altra dimensione familiare, ambienti denominati milieus, dove si progettavano le varie strategie,

come quella matrimoniale per esempio.

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Per comprendere cosa fossero le milieus, ambienti strategici dal punto di vista politico, bisogna

ripercorrere un altro momento chiave per la Serenissima Repubblica nel ‘700: l’ingresso in scena di

Lodovico Manin. Disponendo di una fonte molto interessante, come la ricerca2 svolta dalla Prof.ssa

Raines, si può evidenziare la rete dei sostenitori politici nella Venezia settecentesca e cogliere quali

meccanismi matrimoniali si celassero dietro. Interessante è notare che da diverso tempo, la vita politica

veneziana era frutto di una cultura plurisecolare del potere: esistevano meccanismi nati per bloccare

eventuali concentrazioni di potere, favorendo una graduale creazione di una rete sofisticata di

dipendenze. Il patrizio e il suo ramo (nucleo abitativo) dovevano affermare il proprio status in questo

delicato sistema politico, un sistema dentro il sistema costituito da opposte fazioni del patriziato.

Questo rapporto clientelare, insieme ai retroscena, favoriva alleanze e scambi di favore. Grandi abilità

personali, utili per evitare il blocco imposto dalle leggi veneziani sul broglio, escluso ufficialmente dalla

sfera politica, ma in realtà presente grazie alla creazione di una lobby per rendere vincente un

procedimento elettorale della fazione stessa. Sottili giochi di potere, basati sui legami di parentela della

“Casata”, che attraverso una politica matrimoniale molto attenta agli interessi in gioco, stringeva

alleanze con nuove famiglie di status vario nel blocco votante. Le famiglie di alto livello, che sono il

fulcro di un fazione, non stringeranno legami con famiglie rivali, ma con quelle di livello inferiore, in

particolare i quarantiotti e i barnabotti già escluse dalle logiche dall’alta aristocrazia veneziana.

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Le leggi della Repubblica di San Marco vietavano la creazione di fazioni; dunque i legami fra il

patrono e la sua clientela assumevano solo una connotazione sociale, in apparenza innocente, attraverso

una ritualizzazione della vita privata. Di notevole impatto in questa vicenda erano le funzioni religiose,

dove si evidenziava il legame di fazione fra le famiglie: battesimi e matrimoni, erano considerate

situazioni molto vantaggiose. Non bisogna dimenticare il problema settecentesco veneziano delle forme

della sociabilità2 patrizia, sulla promiscuità dei ceti e sulla pericolosa libertà delle donne. La voce della

ragione di Stato si fece sentire negli anni cruciali di questo fenomeno, gli anni Settanta del secolo, con

alcuni interventi, volti a regolamentare la visibilità femminile in città nei caffè e nei teatri, e nello stesso

tempo a ristabilire alcune distinzioni tra i ceti anche attraverso l‟abbigliamento. La ragione di Stato fu

invece restia a intervenire direttamente nella questione matrimoniale, nelle mani piuttosto benevolenti

dell’autorità ecclesiastica, che limitò a sorvegliare e a punire, sotto le pressanti richieste dei padri, i

matrimoni tentati, cercando di evitare nozze con azioni correttive. L’intervento più decisivo fu infatti

quello riguardante i matrimoni clandestini dei patrizi nel 1739 che dovevano essere denunciati al

Consiglio dei Dieci e agli Inquisitori di Stato. I rischi di una politica matrimoniale così restrittiva erano

ormai evidenti. Molte donne allontanate dai padri potevano essere accolte dalle famiglie: non era una

novità che i patrizi sposassero donne non nobili e gli avogadori erano ora piuttosto di manica larga nel

giudicare la possibilità di una di queste donne di essere «abile a procreare figli per il Maggior Consilio».3 Un decadimento del patriziato veneziano, in particolare della propria identità e memoria storica, che

partiva dalla sfera privata investendo la sfera pubblica. Nonostante l’attività frenetica di amici, patroni e

clienti, il sistema patrizio stessa implodeva sotto gli effetti della cultura illuminista. Il potere degli

antichi patriarchi veneziani era indebolito, criticato e ridicolizzato dalla cultura illuminista e dalle

pratiche comuni: i giovani patrizi potevano contare sull’opinione pubblica.

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La cultura del ‘700 affrontava uno scontro tra Ragione di Stato e ragione famigliare, dove interessi

pubblici e privati crearono un destino demografico per il ceto patrizio stesso. Nel caso veneziano, come

sottolinea lo studioso Volker Hunecke:

[…] Senza dubbio non erano pochi i patrizi che si ribellavano contro lo spirito e le forme della tradizione familiare patrizia, che non condividevano o aborrivano lo spirito di patria e di famiglia orientato alle norme del

passato e che consideravano con indifferenza il destino della loro casa e della loro patria. Tuttavia finora non è assolutamente dimostrato che i casi di comportamento non conformista abbiano costituito una pericolosa

minaccia per il modello famigliare patrizio o addirittura per la Repubblica.2

Questa “questione morale” influiva direttamente sul destino politico del ceto patrizio veneziano,

ovvero il futuro della Serenissima Repubblica, con un problema che sfociava nella politica matrimoniale

stessa. Tale aspetto evidenziava che non solo le sconfitte militari, la crisi economica e il fallimento della

politica estera influivano pesantemente sulla Serenissima. Una struttura patrizia, inferiore rispetto al

passato, che non ha saputo rinnovarsi a seconda delle circostanze, forse troppo persa dietro alle lotte

intestine tra fazioni politiche. Particolarmente emblematico è il quadro delineato dalle stime riportate da

Volker Hunecke, dove si può notare un calo generale che coinvolgeva tutte le Case.

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Lodovico Manin incarna nella propria vicenda personale, in maniera chiara, l’importanza dei legami di

parentela e clientela utili per raggiungere i vertici della politica veneziana. Sposare Elisabetta Grimani

del ramo ai Servi fu davvero una mossa strategica: l’unione con una casata tra le prime della

Repubblica, ampliò una serie di legami di parentela molto importanti. Elisabetta Grimani ai Servi

portava in dote eccezionale a Lodovico Manin, senza dubbio, l’appartenenza al gruppo delle famiglie

ducali del Settecento: i Mocenigo di San Stae, i Pisani di San Vidal, i Loredan di San Stefano, i Corner

della Regina, i Foscarini ai Carmini, grazie ad un rituale matrimoniale che estendeva i rapporti di

patronage.

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Il matrimonio Manin-Grimani rappresentava l’unione formale al blocco votante della fazione Pisani-

Mocenigo-Corner, attraverso legami di parentela diretta e indiretta, che denotava già in partenza la

futura sfera d’influenza del futuro Doge Manin. Inevitabilmente da come si può evincere dal grado di

centralità, differenziato graficamente nella fig.3, Lodovico Manin apparteneva alla fazione più potente

nel Settecento veneziano.

Il prestigio lo si può dedurre, semplicemente, con una breve analisi superficiale della fig.4: il nodo

Manin è connesso con ogni nodo presente, così risulta essere connesso sempre, svolgendo un ruolo

centrale grazie ad un percorso raggiungibile dagli altri nodi presenti. Uno degli usi principali della teoria

dei grafi nella Social Network Analysis consiste nell’identificazione degli attori più importanti di una

rete sociale (Wasserman, 1998). Sono state date molte definizioni del concetto di importanza, tuttavia

tutti gli indici nati per misurare questo concetto hanno in comune il tentativo di localizzare la posizione

dell’attore in relazione a quella degli altri nella rete.

Figura 4

Prestigio e importanza del

personaggio Lodovico

Manin

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Ripercorrendo le “classi” 1-2 composte secondo il Nani, ovvero la  posizione nella classificazione del

ceto patrizio, poi incrociando i dati relazionali dedotti dall’analisi documentaria, in seguito appare un

denso scenario clientelare nel contesto in questione.

Da quanto si può desumere osservando la fig.5, i favori politici possono coinvolgere le famiglie della

sfera dei Mocenigo-Pisani-Corner, grazie alle posizioni stesse dei singoli attori. Vengono create quattro

macro-aree, composte da attori come Pisani, Manin, Mocenigo e Corner. Questi nodi divengono centro

di smistamento di favori politici, che coinvolgono anche famiglie dei rami più poveri. L’appartenenza

del Manin alla sfera dei Mocenigo-Pisani-Corner, dimostra che ormai è saldamente unito alla fazione

stessa. Certamente tutte le relazioni presenti dimostrano l’appartenenza a quelle che vengono

denominate milieus, dove convergono micro interessi con macro interessi socio-economici.

Page 24: Le Reti Matrimoniali del Patriziato Veneziano

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L’analisi delle varie realtà matrimoniali della prima e seconda “classe” dedotta dal Nani, dimostra

l’esistenza di un ceto aristocratico – nelle alte sfere – molto compatto, dove esisteva una forte pressione

(il concetto di lobby) nell’adeguarsi alle varie finalità politiche. Non tutti i giovani patrizi hanno potuto

“scalare” i vertici, come nel caso di Lodovico Manin; infatti egli conquistò la carica di procuratore di

San Marco per merito, grazie ai legami di parentela raggiunti dal suo matrimonio con una Grimani, una

grandissima vittoria per una famiglia nobiliare dalle radici nel Friuli. Il passaggio da “protetto” a

patrono era il punto di non ritorno nell’ascesa politica di un patrizio della Serenissima. Nella seguente

rete sociometrica (fig.6), si può cogliere l’importanza dell’alleanza trasversale Manin-Mocenigo

S.Samuele per l’ascesa politica del futuro “ultimo Doge” della Serenissima.

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Le relazioni si intensificano nell’analisi dei rapporti tra la prima e seconda classe, si riesce a cogliere la

struttura dell’azione socio-politica del Manin, come ribadita dalle fonti. Nella struttura “mista” prima-

seconda classe, si ha la composizione di relazioni dense, dove si esercita una forte pressione sui membri

appartenenti, come si può vedere dalla elaborazione dei dati.

Il ruolo influente giocato dai Corner-Mocenigo-Pisani, sul tessuto sociale del ceto patrizio della prima/

seconda classe, appare molto chiaro. L’intreccio e incrocio delle relazioni attraverso cui tutte le azioni

patrizie vengono organizzate, corrispondono agli interessi di ogni singola casata: in questo scenario

Manin riesce a comprenderne i meccanismi sociali.

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Le reti matrimoniali del patriziato veneziano del Settecento dimostrano di essere molto compatte,

favorendo densi rapporti sociali disuguali a causa del grosso divario economico. L’aristocrazia

veneziana non riesce a modificare la propria identità, sorpassando il blocco del vecchio patriziato e la

tipica gestione degli affari di Stato. Dai dati in possesso, dopo l’elaborazione dei sottogruppi delle prime

tre classi, si può rappresentare graficamente la situazione della fazioni patrizie opposte a Venezia

durante il periodo 1748-1796.

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Come sottolineato anche dalla Raines, la fazione di parentela, composta da famiglie di tutte le classi

– secondo la divisione del Nani – aveva un punto debole nella propria struttura: poteva garantire

l’adesione completa delle fasce deboli, per una carica ambita da un patrizio dei “grandi”, perché la

decisione era stata pilotata. Problematica l’assegnazione di una carica a un barnabotto o quarantiotto,

perché la maggior concorrenza evitava ogni possibilità di un accordo fra le micro-fazioni. La solidarietà

di classe oltrepassava il muro della fazione di parentela, creando così un fronte unico di malcontenti.

Fin troppo pericolosi per le famiglie dell’alta sfera patrizia, che di fronte alla nobiltà inferiore si univa

per mantenere lo status quo. In mezzo si trovavano le famiglie patrizie di medio livello, micro-centri di

potere, che dovevano assorbire le pressioni dall’alto e dal basso inevitabilmente. Purtroppo la cattiva

situazione economica degli anni ’70 della Serenissima Repubblica, inasprì il conflitto tra le fazioni;

l’appartenenza alla fazione non corrispondeva sempre ad una corretta distribuzione del potere. Non è

del tutto sbagliato ipotizzare, almeno per gli ultimi decenni del ‘700, una gestione plutocratica dei

poteri e interessi della Repubblica.

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Nonostante i recenti progressi tecnologici, ancora oggi alcuni ricercatori diffidano dall’uso di uno

strumento utile come UCINET; tuttavia altri studiosi considerano la SNA come un insieme di metodi e

tecniche relativamente innovative che possono essere usate all’interno di diversi frames di ricerca e di

analisi. Nella teoria delle reti sociali - social network theory - la società è percepita e studiata come una

rete di relazioni, più o meno estese e strutturate. Il presupposto fondante è che ogni individuo – attore - si

relaziona con gli altri e questa sua interazione plasma e modifica il comportamento di entrambi. Lo

scopo principale dell'analisi delle reti è appunto quello di individuare e analizzare tali legami – ties - tra

gli individui - nodes. Come spesso si ribadisce, l’elemento discriminante è costituito dalla natura

dell’oggetto della ricerca, su cui si pesa la valutazione del ricercatore che stabilisce,

pragmaticamente, quale sia il disegno di ricerca più consono alla soddisfazione delle esigenze

conoscitive di partenza. In questa ricerca si è cercato di analizzare il peso esercitato dalle reti

matrimoniali, in una realtà molto drammatica per il ceto patrizio, come il drastico crollo demografico nel

Settecento. Inevitabilmente una drastica diminuzione della popolazione aristocratica, dovuta ad agenti

esterni come il declino dell’identità patrizia, ma ancor di più collegata ad agenti interni come la lotta tra

fazioni, che logorava la classe politica veneziana.

La cosa interessante, dalle stime desunte, è il calo vertiginoso nella frequenza dei matrimoni,

cambiamenti che hanno influito direttamente sulla rete patrizia. Non bastarono le alleanze matrimoniali,

accompagnate da strategie a tavolino e limitazioni per evitare il declino stesso delle casate della

Serenissima Repubblica. Un sistema sociale allo sbando, che non avrebbe mai resistito all’ondata

napoleonica, poiché non adeguato nelle stesse relazioni e legami, troppo vecchio e parassitato. Tutto

questo era riflesso nella politica matrimoniale patrizia settecentesca. Nemmeno Manin, ultimo Doge

della Serenissima, ma primo Doge straniero, vero uomo nuovo al potere, riuscì ad evitare una disfatta

totale. Amaro destino demografico scritto ancora prima dell’arrivo delle truppe napoleoniche, dove un

dannoso comportamento matrimoniale dei patrizi – attraverso una politica di limitazione matrimoniale da

parte delle classi alte – inaugurava la fine stessa della Repubblica.

CONCLUSIONE

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