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IL GIORNALE DELL’INFORMATION & COMMUNICATION TECHNOLOGY DAL 15 AL 28 GENNAIO PAG.2 focus Telecom O ra che la fine dell’anno ha regalato nuovi assetti al vertice di Telecom Italia, si può guardare in termini concreti al più importante dei temi in agenda per il 2007: la realizzazione della grande rete di nuova generazione, che dovrà essere la colonna delle telecomunicazioni italiane del futu- ro, portando i servizi più sofisticati nelle case dei clienti. Proprio la lunga fase di incertezza sull’or- ganizzazione dell’ex monopolista, a quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni, ha fatto sì che il dialogo fra Telecom e Authority, fondamentale per gli sviluppi della nuova infrastruttura, sia rimasto sostanzialmente sterile nel corso del 2006, limi- tandosi ad alcune disamine tecniche. Le decisioni appena prese dal gruppo guidato da Guido Rossi consentono invece di entrare in medias res, non so- lo perché creano le condizioni per una discussione finalmente operativa, ma anche perché attraverso di esse si possono già leggere implicitamente alcu- ne scelte fondamentali già compiute. MODELLO OPEN REACH Il nuovo organigramma di Telecom Italia, an- nunciato il 21 dicembre scorso, oltre a confermare la permanenza al vertice dell’amministratore dele- gato Riccardo Ruggiero (che indiscrezioni sempre più insistenti davano in bilico in seguito a dissidi con il vicepresidente operativo Carlo Buora) di- vide l’azienda in quattro business unit: telefonia fissa, mobile, rete e servizi di Ict per top client. Il primo segnale è ovviamente il rafforzamento di Ruggiero, da cui le quattro unità operative di- pendono, che favorisce un’integrazione sempre maggiore fra fisso e mobile. La costituzione di un’apposita divisione per la rete fa pensare che sia proprio questa la forma prescelta per garantire pa- rità di accesso ai concorrenti, come richiesto dal- l’Authority. Niente società autonoma, dunque, e tanto meno cessione al di fuori del gruppo. La rete di nuova generazione sembra destinata ad essere realizzata da una business unit di Telecom Italia, a cui evidentemente dovranno essere dati strumenti in grado di garantirne l’effettiva indipendenza, sul modello della “open reach” britannica, frequente- mente presa ad esempio. Ma ci sono anche altri segnali che si possono leggere in controluce. La riorganizzazione di Tele- com Italia (parte di un sommovimento interno ab- bastanza ampio, che ha comportato spostamenti di attività importanti come la contabilità regolatoria, la regolamentazione internazionale, i rapporti con l’Antitrust, nonché la “promozione” a condirettore della divisione Public affairs, a fianco di Franco Brescia, del responsabile Affari legali Roberto Perrella) dovrebbe rappresentare il definitivo ac- cantonamento di ogni ipotesi di cessione di Tim. L’IPOTESI TIM BRASIL Gli esperti, a partire dal docente del Politecnico di Milano Maurizio Dècina, che da mesi lavora sull’argomento, ripetono sempre più spesso che una delle caratteristiche tecniche più importanti delle reti di nuove generazione è proprio l’in- terconnessione fra fisso e mobile, “che consente la gestione integrata di telefonia, videocomu- nicazione, messaggistica e accesso a Internet”. Difficile, dunque, che l’ex monopolista possa fare una scelta in così palese controtendenza rispetto all’evoluzione della tecnologia. Poiché, però, i problemi finanziari che hanno portato il gruppo in fibrillazione (essenzialmente dovuti alle diffi- coltà di conciliare l’abbattimento del debito con la distribuzione di robusti dividendi ed i necessari investimenti richiesti dalla rete del futuro, in una fase di forte calo dei margini per tutto il settore) non sono affatto risolti, è ancora attuale l’ipotesi di una vendita di Tim Brasil, caldeggiata soprattutto da Buora. Per la stessa ragione torna d’attualità anche la vendita di Telecom Italia Media e de “La 7” che vi è contenuta. Anche se quel che se ne può ricavare non è certo tale da incidere in modo significativo sui conti, si tratta comunque di un’attività (in per- dita) sempre meno strategica per il colosso delle telecomunicazioni, che dal business televisivo proprio non riesce a trarre soddisfazioni. Né via etere né, a quanto pare, via Internet, visti i delu- denti risultati della Iptv. PARITÀ DI ACCESSO Resta così la grande sfida della rete di nuova generazione, che dovrebbe consentire a Telecom Italia di mettere una marcia in più al business telefonico, anche grazie alla maggiore libertà commerciale (e a una più consistente remunera- zione del capitale) che l’Authority dovrebbe rico- noscerle in cambio degli ingenti investimenti da effettuare e alla parità di accesso che consentireb- be ai concorrenti. Anche se le cose ora dovessero mettersi a marciare spedite la ricerca di un assetto definitivo richiederà comunque non meno di 12- 18 mesi. Per arrivare a quale approdo? Sul tavolo, anche se questo aspetto non ha suscitato finora una grande attenzione, ci sono diverse ipotesi, sia dal punto di vista tecnico che per l’ammontare degli investimenti necessari. Le strategie per il 2007 dell’ex monopolista sono già ravvisabili nel nuovo organigramma e nella business unit dedicata alla rete Stefano Caviglia Regolamentazioni e riassetti in vista della fibra che porterà nuovi servizi nelle case degli utenti italiani La nuova partita di TI Quanta deregulation in cambio della NGN? QUANTO? L’ipotesi più evoluta prevede di arrivare con la fibra fino al basamento degli edifici, con un costo di circa 800 euro a famiglia o ufficio collegato Dai 7,5 ai 15 mld i costi dell’infrastruttura Ma il nodo è il livello di libertà commerciale che l’Authority dovrà riconoscerle Le mille vite di Riccardo Ruggiero A lla fine, per porre termine alla ridda di indiscrezioni che rischiavano di destabilizzare il vertice, a Telecom Italia si sono affidati a un comunicato stampa. Era il 21 dicembre, l’Ita- lia si stava preparando a festeggiare il Natale, ma in azienda il clima non era affatto sereno. Indiscrezioni di stampa sempre più numerose e battenti davano l’ad Riccardo Ruggiero in disgrazia e in partenza. I nomi dei successori si rincorrevano come i fiocchi di neve che invece mancavano sulle montagne. Di qui la scelta del comunicato chiarificatore per ribadire un modello organizzativo con “quattro business unit (fisso, mobile, rete e Top Client/ICT) alle dirette dipendenze dell’Amministratore Delegato Riccardo Ruggiero, il quale risponde al Vice Presidente Esecutivo Carlo Buora, in piena sintonia e secondo i criteri di trasparenza, flessibi- lità ed efficienza già delineati”. Ruggero era stabilizzato, le indiscrezioni stoppate. Per ora. E dagli Usa si fa largo la guerra Net neutrality S aranno i proprietari delle reti oppure le compa- gnie che le percorrono, portando i loro servizi ai clienti, a dettare le regole del Web dei prossimi anni? Dal modo in cui si risolverà questo quesito (e la sfida fra i due diversi tipi di soggetti che sottende) dipendono le maggiori incognite sul funzionamento e le caratteristi- che dell’Internet del futuro: se continuerà ad essere un insieme unico oppure si sdoppierà in due campi distinti, uno gratis e l’altro a pagamento; se sarà regolato come una sorta di servizio universale, in cui l’accesso è dovu- to praticamente a tutti, oppure potrà essere sottoposta a limiti; se funzionerà da incubatore per altre decine o centinaia di Google, Skype, eBay, pronte a crescere in modo ancor più spettacolare grazie all’uso gratuito della rete, oppure sarà il regno delle grandi società di telecomunicazioni, dai cui investimenti molto di tutto questo dipende. Il problema si porrà inevitabilmente con la diffusione dei nuovi servizi video. Per consentire la visione della tv via Internet in qualità soddisfacente serve una banda molto ampia, fra i 15 e i 30 Mega, e di conseguenza sono richiesti forti investimenti sulle reti: da 500 a 1.000 dollari per cliente. È logico che le società di telecomunicazioni cerchino di rendere remunerative queste risorse, specie in Ameri- ca, dove sono sottoposte all’attacco delle tv via cavo da una parte e degli operatori Internet dall’altra. Il primo tema all’ordine del giorno, dunque, è se e quando le grandi compagnie telefoniche che hanno a disposizio- ne una rete riusciranno a farsi pagare dalle compagnie Internet (oltre che dai loro omologhi privi di rete) per servizi che richiedono una banda particolarmente eleva- ta, com’è appunto la tv in streaming. Non per niente la discussione ha preso avvio negli Stati Uniti, dove si fa riferimento a questo argomento come al dibattito sulla “net neutrality” e le rispettive lobby hanno cominciato da mesi ad incrociare le armi in parlamento. Il primo round si è concluso con una netta vittoria dei colossi delle tlc a scapito dei produttori di servizi e con- tenuti. Il Senato Usa ha bocciato all’inizio dell’estate la proposta di aggiungere alla riforma delle tlc una norma sulla parità di trattamento di tutti i contenuti di Internet. E c’è chi sostiene che dipenda anche da questo l’anda- mento difforme delle due famiglie di titoli in Borsa, con Verizon, At&t e le altre baby bells che hanno messo a Il web fra servizio universale e a pagamento La diffusione di servizi video fa rimbalzare anche in Europa la polemica fra web company e società di Tlc per il dominio del business su Internet

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IL GIORNALE DELL’INFORMATION & COMMUNICATION TECHNOLOGY IL GIORNALE DELL’INFORMATION & COMMUNICATION TECHNOLOGYDAL 15 AL 28 GENNAIO

PAG.2

focus Telecom

Ora che la fine dell’anno ha regalato nuovi assetti al vertice di Telecom Italia, si può guardare in termini concreti al più importante dei temi in

agenda per il 2007: la realizzazione della grande rete di nuova generazione, che dovrà essere la colonna delle telecomunicazioni italiane del futu-ro, portando i servizi più sofisticati nelle case dei clienti. Proprio la lunga fase di incertezza sull’or-ganizzazione dell’ex monopolista, a quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni, ha fatto sì che il dialogo fra Telecom e Authority, fondamentale per gli sviluppi della nuova infrastruttura, sia rimasto sostanzialmente sterile nel corso del 2006, limi-tandosi ad alcune disamine tecniche. Le decisioni appena prese dal gruppo guidato da Guido Rossi consentono invece di entrare in medias res, non so-lo perché creano le condizioni per una discussione finalmente operativa, ma anche perché attraverso di esse si possono già leggere implicitamente alcu-ne scelte fondamentali già compiute.

MODELLO OPEN REACH Il nuovo organigramma di Telecom Italia, an-

nunciato il 21 dicembre scorso, oltre a confermare la permanenza al vertice dell’amministratore dele-gato Riccardo Ruggiero (che indiscrezioni sempre più insistenti davano in bilico in seguito a dissidi con il vicepresidente operativo Carlo Buora) di-vide l’azienda in quattro business unit: telefonia fissa, mobile, rete e servizi di Ict per top client. Il primo segnale è ovviamente il rafforzamento di Ruggiero, da cui le quattro unità operative di-pendono, che favorisce un’integrazione sempre maggiore fra fisso e mobile. La costituzione di un’apposita divisione per la rete fa pensare che sia proprio questa la forma prescelta per garantire pa-rità di accesso ai concorrenti, come richiesto dal-l’Authority. Niente società autonoma, dunque, e tanto meno cessione al di fuori del gruppo. La rete di nuova generazione sembra destinata ad essere realizzata da una business unit di Telecom Italia, a cui evidentemente dovranno essere dati strumenti in grado di garantirne l’effettiva indipendenza, sul modello della “open reach” britannica, frequente-mente presa ad esempio.

Ma ci sono anche altri segnali che si possono leggere in controluce. La riorganizzazione di Tele-com Italia (parte di un sommovimento interno ab-bastanza ampio, che ha comportato spostamenti di attività importanti come la contabilità regolatoria, la regolamentazione internazionale, i rapporti con l’Antitrust, nonché la “promozione” a condirettore della divisione Public affairs, a fianco di Franco Brescia, del responsabile Affari legali Roberto Perrella) dovrebbe rappresentare il definitivo ac-cantonamento di ogni ipotesi di cessione di Tim.

L’IPOTESI TIM BRASIL Gli esperti, a partire dal docente del Politecnico

di Milano Maurizio Dècina, che da mesi lavora sull’argomento, ripetono sempre più spesso che una delle caratteristiche tecniche più importanti delle reti di nuove generazione è proprio l’in-terconnessione fra fisso e mobile, “che consente la gestione integrata di telefonia, videocomu-nicazione, messaggistica e accesso a Internet”. Difficile, dunque, che l’ex monopolista possa fare una scelta in così palese controtendenza rispetto all’evoluzione della tecnologia. Poiché, però, i problemi finanziari che hanno portato il gruppo in fibrillazione (essenzialmente dovuti alle diffi-coltà di conciliare l’abbattimento del debito con la distribuzione di robusti dividendi ed i necessari investimenti richiesti dalla rete del futuro, in una fase di forte calo dei margini per tutto il settore) non sono affatto risolti, è ancora attuale l’ipotesi di una vendita di Tim Brasil, caldeggiata soprattutto da Buora.

Per la stessa ragione torna d’attualità anche la vendita di Telecom Italia Media e de “La 7” che vi è contenuta. Anche se quel che se ne può ricavare non è certo tale da incidere in modo significativo

sui conti, si tratta comunque di un’attività (in per-dita) sempre meno strategica per il colosso delle telecomunicazioni, che dal business televisivo proprio non riesce a trarre soddisfazioni. Né via etere né, a quanto pare, via Internet, visti i delu-denti risultati della Iptv.

PARITÀ DI ACCESSO Resta così la grande sfida della rete di nuova

generazione, che dovrebbe consentire a Telecom Italia di mettere una marcia in più al business telefonico, anche grazie alla maggiore libertà

commerciale (e a una più consistente remunera-zione del capitale) che l’Authority dovrebbe rico-noscerle in cambio degli ingenti investimenti da effettuare e alla parità di accesso che consentireb-be ai concorrenti. Anche se le cose ora dovessero mettersi a marciare spedite la ricerca di un assetto definitivo richiederà comunque non meno di 12-18 mesi. Per arrivare a quale approdo? Sul tavolo, anche se questo aspetto non ha suscitato finora una grande attenzione, ci sono diverse ipotesi, sia dal punto di vista tecnico che per l’ammontare degli investimenti necessari.

Le strategie per il 2007 dell’ex monopolista sono già ravvisabili nel nuovo organigramma e nella business unit dedicata alla rete

Stefano Caviglia

Regolamentazioni e riassetti in vista della fibra che porterà nuoviservizi nelle case degli utenti italiani

La nuova partita di TIQuanta deregulationin cambio della NGN?

QUANTO? L’ipotesi più evoluta prevededi arrivare con la fibra fino al basamento degli edifici, con un costo di circa 800 euro a famiglia o ufficio collegato

Dai 7,5 ai 15 mld i costi dell’infrastruttura Ma il nodo è il livello di libertà commercialeche l’Authority dovrà riconoscerle

Le mille vite di Riccardo RuggieroAlla fine, per porre termine alla ridda di indiscrezioni che rischiavano di destabilizzare il

vertice, a Telecom Italia si sono affidati a un comunicato stampa. Era il 21 dicembre, l’Ita-lia si stava preparando a festeggiare il Natale, ma in azienda il clima non era affatto sereno. Indiscrezioni di stampa sempre più numerose e battenti davano l’ad Riccardo Ruggiero in disgrazia e in partenza. I nomi dei successori si rincorrevano come i fiocchi di neve che invece mancavano sulle montagne. Di qui la scelta del comunicato chiarificatore per ribadire un modello organizzativo con “quattro business unit (fisso, mobile, rete e Top Client/ICT) alle dirette dipendenze dell’Amministratore Delegato Riccardo Ruggiero, il quale risponde al Vice Presidente Esecutivo Carlo Buora, in piena sintonia e secondo i criteri di trasparenza, flessibi-lità ed efficienza già delineati”. Ruggero era stabilizzato, le indiscrezioni stoppate. Per ora.

E dagli Usa si fa largola guerra Net neutrality

Saranno i proprietari delle reti oppure le compa-gnie che le percorrono, portando i loro servizi ai

clienti, a dettare le regole del Web dei prossimi anni? Dal modo in cui si risolverà questo quesito (e la sfida fra i due diversi tipi di soggetti che sottende) dipendono le maggiori incognite sul funzionamento e le caratteristi-che dell’Internet del futuro: se continuerà ad essere un insieme unico oppure si sdoppierà in due campi distinti, uno gratis e l’altro a pagamento; se sarà regolato come una sorta di servizio universale, in cui l’accesso è dovu-to praticamente a tutti, oppure potrà essere sottoposta a limiti; se funzionerà da incubatore per altre decine o centinaia di Google, Skype, eBay, pronte a crescere in modo ancor più spettacolare grazie all’uso gratuito della rete, oppure sarà il regno delle grandi società di telecomunicazioni, dai cui investimenti molto di tutto questo dipende. Il problema si porrà inevitabilmente con la diffusione dei nuovi servizi video. Per consentire la visione della tv via Internet in qualità soddisfacente serve una banda molto ampia, fra i 15 e i 30 Mega, e di conseguenza sono richiesti forti investimenti sulle reti: da 500 a 1.000 dollari per cliente.

È logico che le società di telecomunicazioni cerchino di rendere remunerative queste risorse, specie in Ameri-ca, dove sono sottoposte all’attacco delle tv via cavo da una parte e degli operatori Internet dall’altra. Il primo tema all’ordine del giorno, dunque, è se e quando le grandi compagnie telefoniche che hanno a disposizio-ne una rete riusciranno a farsi pagare dalle compagnie Internet (oltre che dai loro omologhi privi di rete) per servizi che richiedono una banda particolarmente eleva-ta, com’è appunto la tv in streaming. Non per niente la discussione ha preso avvio negli Stati Uniti, dove si fa riferimento a questo argomento come al dibattito sulla “net neutrality” e le rispettive lobby hanno cominciato da mesi ad incrociare le armi in parlamento.

Il primo round si è concluso con una netta vittoria dei colossi delle tlc a scapito dei produttori di servizi e con-tenuti. Il Senato Usa ha bocciato all’inizio dell’estate la proposta di aggiungere alla riforma delle tlc una norma sulla parità di trattamento di tutti i contenuti di Internet. E c’è chi sostiene che dipenda anche da questo l’anda-mento difforme delle due famiglie di titoli in Borsa, con Verizon, At&t e le altre baby bells che hanno messo a

Il web fra servizio universale e a pagamento

La diffusione di servizi video fa rimbalzare anche in Europa la polemica fra web company e società di Tlc per il dominio del business su Internet