lisa kleypas - audaci zitelle 01 segreti di una notte...

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Lisa Kleypas

SEGRETI DI UNA NOTTE D'ESTATE

Traduzione di Piera Marin

Agartha 037

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MONDADORI

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Copertina:

Art Director: Giacomo Callo

Image Editor: Giacomo Spazio Mojetta

Titolo originale: Secrets of Summer Night © 2004 by Lisa Kleypas © 2009 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano Prima edizione I Romanzi giugno 2009 Per abbonarsi: www.abbonamenti.it Finito di stampare nel mese di maggio 2009 presso Mondadori Printing S.p.A. via Luigi e Pietro Pozzoni 11, Cisano Bergamasco (BG) Stabilimento NSM viale De Gasperi 120 - Cles (TN) Stampato in Italia - Printed in Italy (www.librimondadori.it )

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SEGRETI DI UNA NOTTE D'ESTATE

A Julie Murphy, per esserti presa cura di Griffin e Lindsay con affetto profondo, infinita pazienza e straordinaria abilità... per aver usato i tuoi molti talenti per promuovere la mia carriera... perché sei un membro prezioso della nostra famiglia... e soprattutto perché sei tu. Con affetto, per sempre.

Prologo Londra 1841 Benché fin dalla più tenera età Annabelle Peyton fosse stata diffidata

dall'accettare denaro dagli sconosciuti, quel giorno fece un'eccezione... e scoprì ben presto che avrebbe fatto meglio ad ascoltare le raccomandazioni di sua madre.

Era uno dei rari giorni di vacanza da scuola di suo fratello Jeremy, e com'era loro abitudine, erano andati insieme a vedere l'ultimo spettacolo a Leicester Square. Avevano dovuto risparmiare per due settimane sul bilancio domestico per mettere da parte il denaro necessario a pagare i biglietti. Unici discendenti rimasti della famiglia Peyton, Annabelle e il

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fratello minore erano particolarmente legati l'uno all'altro, nonostante i dieci anni che li separavano. I due fratellini nati subito dopo Annabelle erano stati stroncali da gravi malattie infantili, e nessuno dei due era sopravvissuto abbastanza a lungo da compiere un anno di età.

— Annabelle — chiese Jeremy di ritorno dalla biglietteria. — Hai altro denaro?

Lei scosse la testa e gli lanciò un'occhiata interrogativa. — Purtroppo no. Perché?

Con un piccolo sospiro, Jeremy si scostò una ciocca di capelli biondi dalla fronte.

— Questo spettacolo costa il doppio degli altri: a quanto pare comporta spese molto maggiori delle produzioni consuete.

— La pubblicità sul giornale non parlava di prezzi maggiorati — replicò Annabelle indignata. — Accidenti! — mormorò a voce più bassa, allentando i nastri che chiudevano il borsellino, nella speranza di trovare una moneta dimenticata.

Il dodicenne Jeremy diede uno sguardo mesto allo striscione appeso nell'atrio del teatro circondato di colonne: LA CADUTA DELL 'IMPERO

ROMANO: GRANDE SPETTACOLO ILLUSIONISTICO CON VEDUTE IN

DIORAMA . Fin dal SUO debutto, quindici giorni prima, lo spettacolo era stato gremito di spettatori ansiosi di ammirare le meraviglie dell'impero romano e la sua tragica fine.

"È come tornare indietro nel tempo", commentavano i più, entusiasti, dopo avervi assistito. Gli spettacoli consueti erano realizzati appendendo un telo lungo le pareti di una stanza rotonda, per circondare gli spettatori con una complessa scena dipinta. A volte venivano utilizzati musica e particolari effetti di luce per rendere lo spettacolo ancora più coinvolgente, mentre un presentatore si spostava lungo lo scenario, descrivendo luoghi esotici e battaglie famose.

Secondo il "Times", tuttavia, quel nuovo spettacolo presentava delle vedute realizzate in diorama, il che significava che i teli dipinti erano di cotone sottile, trasparenti, illuminati davanti e a volte anche da dietro con luci filtrate in modo particolare. Trecentocinquanta spettatori assistevano allo spettacolo in piedi su una pedana centrale, manovrata da due uomini in modo da fare ruotare lentamente il pubblico durante la rappresentazione.

Il gioco di luci, specchi, filtri e recitazione da parte di attori che interpretavano il ruolo dei romani assediati creava un effetto che era stato definito come una "mostra animata". A quanto Annabelle aveva letto, i

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momenti finali dello spettacolo, che culminava con l'eruzione simulata di alcuni vulcani, erano talmente realistici che alcune delle donne presenti in sala erano svenute.

Prendendo il borsellino dalle mani di Annabelle, Jeremy lo chiuse tirandone i nastri e lo restituì alla sorella.

— Abbiamo soldi sufficienti a comprare un biglietto — disse in tono pragmatico. — Vai tu. Tanto a me lo spettacolo non interessava.

Sapendo che stava mentendo, Annabelle scosse la testa. — Assolutamente no. Tu vai a vedere lo spettacolo. Io posso andarci ogni volta che voglio: sei tu quello sempre impegnato con la scuola. E poi dura solo un quarto d'ora. Mentre tu sei dentro, io andrò a dare un'occhiata a qualche negozio qui intorno.

— A fare spese senza soldi? — chiese Jeremy con un accenno di scetticismo negli occhi azzurri. — Oh, sembra davvero un gran divertimento!

— Il divertimento consiste nel guardare le cose, non nel comprarle. — Questo è quello che dicono i poveri per consolarsi quando si trovano

a percorrere Bond Street. E poi non ti lascio andare in giro da sola: tutti i maschi presenti nelle vicinanze inizierebbero a ronzarti intorno.

— Non essere sciocco — mormorò Annabelle. Suo fratello sorrise. Accarezzò con lo sguardo il viso delicato della

ragazza, i suoi occhi azzurri e la morbida onda di riccioli castani che si intravedeva sotto la tesa del cappellino.

— Lascia perdere la falsa modestia. Sai bene che effetto fai agli uomini, e a quanto mi risulta non esiti a servirtene.

Annabelle reagì con un finto cipiglio. — A quanto ti risulta? Cosa ne sai tu di come mi comporto con gli uomini, dal momento che sei quasi sempre via?

L'espressione di Jeremy si fece seria. — Questa volta non tornerò a scuola: posso aiutare te e la mamma molto di più trovandomi un lavoro.

Sua sorella spalancò gli occhi.— Jeremy, non farai nulla del genere. Alla mamma si spezzerebbe il cuore e se papà fosse vivo...

— Annabelle, non abbiamo denaro. Non riusciamo nemmeno a rimediare cinque scellini in più per lo spettacolo...

— Bel lavoro troverai — disse Annabelle in tono sarcastico. — Senza un'istruzione e senza conoscenze utili... A meno che non aspiri a fare lo spazzino o il fattorino, farai meglio a restare a scuola finché non sarai

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qualificato. Nel frattempo, io troverò un ricco gentiluomo da sposare e tutto si sistemerà.

— Bel marito troverai senza una dote... Si fissarono accigliati, finché le porte si aprirono e la folla iniziò a

entrare nella rotonda. Passando con aria protettiva un braccio intorno alle spalle di Annabelle, Jeremy la fece allontanare dalla ressa.

— Dimentica lo spettacolo — le disse in tono quieto. — Faremo qualcos'altro. Qualcosa di divertente che non costi nulla.

— Per esempio? Ci fu un attimo di silenzio. Quando risultò evidente che nessuno dei due

era in grado di proporre alcunché, scoppiarono a ridere entrambi. — Signor Jeremy — risuonò una voce profonda alle loro spalle. Ancora col sorriso sulle labbra, lui si voltò verso l'uomo che l'aveva

apostrofato. — Signor Hunt! — esclamò con calore, porgendogli la mano. — Sono

sorpreso che vi ricordiate di me. — Anch'io: siete cresciuto parecchio dall'ultima volta che vi ho visto. —

L'uomo gli strinse la mano. — Siete in vacanza dalla scuola, immagino. — Sì, signore. Notando la confusione di Annabelle, Jeremy si chinò verso di lei, mentre

l'uomo dalla statura imponente faceva cenno ai suoi amici di entrare senza di lui.

— Il signor Hunt, il figlio del macellaio — le sussurrò. — L'ho incontrato una volta o due al negozio, quando mamma mi mandava a ritirare la carne che aveva ordinato. Sii carina con lui: è molto ricco.

Divertita, Annabelle non potè fare a meno di pensare che il signor Hunt fosse insolitamente ben vestito,

per essere il figlio di un macellaio. Indossava una giacca nera di buon taglio e un paio di pantaloni dalla linea morbida, secondo l'ultimo grido della moda, che tuttavia non mascheravano le linee asciutte e muscolose del corpo. Come la maggior parte degli uomini che entravano nel teatro, si era già tolto il cappello, rivelando una chioma di capelli scuri, leggermente ondulati. Era un uomo alto e possente, sulla trentina, dai lineamenti decisi, naso importante, bocca generosa e occhi così scuri che non si distinguevano le iridi dalle pupille. Un volto decisamente virile, con un pizzico di sarcasmo annidato in fondo agli occhi e agli angoli della bocca che non lasciava spazio ad alcuna frivolezza. Risultava evidente, anche a

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un osservatore superficiale che non era solito oziare: il suo corpo e la sua natura sembravano modellati dal duro lavoro e da una notevole ambizione.

— Mia sorella, la signorina Annabelle Peyton — disse Jeremy. — E questo è il signor Simon Hunt.

— Piacere — mormorò Hunt con un piccolo inchino. Benché i modi dell'uomo fossero impeccabili, qualcosa nel suo sguardo

scosse Annabelle, facendole avvertire un fremito alla bocca dello stomaco. Senza sapere bene perché, pur ricambiando il saluto con un cenno del capo, si ritirò verso la protezione offerta dal braccio del fratello minore. Con estremo disagio, si rese conto di non riuscire a distogliere lo sguardo da quello dell'uomo. Era come se tra loro fosse passata una corrente sottile di intesa. Non come se si fossero già incontrati... piuttosto, come se si fossero passati accanto molte volte, finché alla fine un Fato impaziente aveva fatto sì che i loro sentieri si incrociassero. Una sensazione strana, di cui non riusciva a liberarsi. Profondamente turbata, rimase prigioniera dello sguardo intenso di lui, finché le guance non le si imporporarono.

Hunt si rivolse a Jeremy, senza smettere di fissare Annabelle. — Posso accompagnarvi nella rotonda?

Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato, prima che Jeremy rispondesse, con studiata indifferenza.

— Grazie, ma abbiamo deciso di non assistere allo spettacolo. Hunt inarcò un sopracciglio scuro. — Ne siete certi? Sembra che sia

molto bello. — Il suo sguardo intuitivo si spostò dal viso di Annabelle a quello di Jeremy, cogliendo i dettagli che tradivano il loro disagio. La sua voce si fece sommessa, mentre si rivolgeva a lui. — Di certo non è conveniente parlare di argomenti del genere davanti a una signora. Tuttavia, non posso fare a meno di chiedermi... è possibile, giovane Jeremy, che l'aumento del prezzo del biglietto vi abbia colto alla sprovvista? Se così fosse, sarei lieto di prestarvi quanto vi manca...

— No, grazie — rispose Annabelle con decisione, dando un'energica gomitata al fratello.

Con una smorfia di dolore, Jeremy fissò il volto imperscrutabile dell'uomo.

— Apprezzo la vostra offerta, signor Hunt, ma mia sorella non vuole... — Non voglio vedere lo spettacolo — lo interruppe Annabelle in tono

gelido. — Ho sentito dire che alcuni degli effetti sono piuttosto violenti e possono scuotere i nervi a una signora. Preferirei di gran lunga fare una passeggiata nel parco.

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Hunt riportò lo sguardo su di lei, con una punta di derisione negli occhi. — Siete così fragile, signorina Peyton? Irritata dalla velata provocazione, Annabelle afferrò il braccio di Jeremy

strattonandolo con una certa energia. — È ora di andare. Non tratteniamo oltre il signor Hunt: sono certa che

desidera assistere allo spettacolo... — Temo che non ne trarrò alcun piacere — dichiarò Hunt in tono grave

— se non verrete anche voi. — Scoccò a Jeremy un'occhiata incoraggiante. — Mi dispiacerebbe che a causa di pochi scellini voi e vostra sorella veniste privati di uno svago pomeridiano.

Intuendo che il fratello stava per cedere, Annabelle gli parlò piano, ma con decisione, all'orecchio.

— Non ti sognare di permettergli di pagarci il biglietto, Jeremy! Ignorandola, lui guardò candidamente Hunt. — Signore, se accettassi la

vostra offerta di prestarmi il denaro, non so quando potrei rimborsarvi. Annabelle chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un gemito di

mortificazione. Cercava disperatamente di tenere nascoste a tutti le loro difficoltà economiche, e l'idea che quell'uomo sapesse che erano costretti a contare gli scellini era più di quanto potesse sopportare.

— Non c'è fretta — sentì rispondere Hunt con disinvoltura. — La prossima volta che tornerete a casa da scuola potete passare al negozio di mio padre e lasciare il denaro a lui.

— D'accordo, allora — concluse Jeremy palesemente soddisfatto, stringendo la mano all'uomo per sigillare l'accordo. — Grazie, signor Hunt.

— Jeremy... — iniziò a dire Annabelle, in tono sommesso ma furioso. — Aspettatemi qui — raccomandò loro Hunt dirigendosi verso il

botteghino. — Jeremy, sai bene che è sbagliato accettare denaro da lui! —

Annabelle fissò il volto del fratello, sul quale non si leggeva alcun pentimento. — Come hai potuto farlo? È una cosa sconveniente... E poi il pensiero di essere indebitata con un tipo di quel genere è intollerabile!

— Un uomo di che genere? — replicò con aria candida suo fratello. — Te l'ho detto, è molto ricco... Oh, immagino tu ti riferisca al fatto che è di bassa estrazione sociale. — Le sue labbra si incurvarono in un sorriso amaro. — Difficile fargliene una colpa, specialmente considerando che è ricco sfondato. D'altra parte, neanche noi rientriamo propriamente nella

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schiera degli aristocratici. Ci muoviamo sui gradini più bassi della nobiltà, il che significa...

— Come può il figlio di un macellaio essere ricco sfondato? A meno che la popolazione di Londra non consumi molte più bistecche e pancetta di quanto io sappia, un macellaio non può guadagnare più di tanto.

— Non ho mai detto che lavorava nel negozio del padre — la informò Jeremy con aria di superiorità. — Ho solo detto che l'ho incontrato lì. È un imprenditore.

— Intendi dire uno speculatore finanziario? In una società che considerava volgare anche solo pensare o parlare di

questioni commerciali, non c'era nulla di meno nobile di un uomo che si guadagnava da vivere facendo investimenti.

— Qualcosa di più — precisò suo fratello. — Ma immagino che non importi cosa fa, o a quanto ammonti il suo patrimonio, visto che è di umili origini.

Avvertendo una nota critica nella sua voce, Annabelle lo fissò socchiudendo gli occhi.

— Parli proprio come un democratico — disse in tono asciutto. — E non c'è bisogno che continui a trattarmi come se fossi una snob: avrei da ridire anche se fosse un duca a pagarci il biglietto.

— Ma molto di meno — commentò Jeremy, scoppiando poi a ridere nel vedere la sua espressione.

Il ritorno di Simon Hunt pose fine al loro battibecco. Scrutandoli con gli acuti occhi scuri, l'uomo fece un sorriso lieve.

— Tutto a posto. Vogliamo entrare? Annabelle si mosse bruscamente, spinta con discrezione dal fratello. — Vi prego, non sentitevi in obbligo di accompagnarci, signor Hunt —

disse, pur rendendosi conto di essere scortese: c'era qualcosa in lui che la metteva in allarme. Non le sembrava un uomo di cui potersi fidare. In realtà, nonostante gli abiti eleganti e l'aspetto impeccabile, non aveva un'aria particolarmente forbita. Era il tipo d'uomo con cui una donna di buona famiglia non avrebbe mai voluto restare sola. E la sensazione che le ispirava non aveva nulla a che vedere con la sua posizione sociale: era solo la percezione istintiva di una fisicità intensa e di un temperamento virile che le erano del tutto sconosciuti. — Sono certa — continuò a disagio — che desiderate riunirvi ai vostri compagni.

L'osservazione fu accolta dall'uomo con una incurante scrollata delle larghe spalle.

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— In questa folla non riuscirei mai a trovarli. Annabelle avrebbe potuto obiettare che, essendo uno degli uomini più alti tra i presenti, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a

individuare i suoi amici. Tuttavia era chiaro che discutere non sarebbe servito a nulla. Doveva assistere allo spettacolo con quello sconosciuto al suo fianco: non aveva scelta. Nel vedere l'eccitazione di Jeremy, tuttavia, parte del risentimento che provava svanì e quando si rivolse di nuovo a Hunt la sua voce si era addolcita.

— Perdonatemi. Non volevo essere scortese. È solo che non mi piace sentirmi in debito con persone che non conosco.

Lui le lanciò un'occhiata rapida ma penetrante. — Un sentimento che comprendo mollo bene — rispose, guidandola attraverso la folla. — Tuttavia, in questo caso non c'è alcun debito. E non siamo proprio estranei: la vostra famiglia si serve da anni nel negozio di mio padre.

Entrarono nel grande teatro circolare e salirono su una grande piattaforma delimitata da ringhiere e can-celletti in ferro battuto. Tutto intorno a loro si poteva ammirare l'accurata riproduzione di un paesaggio della Roma antica, dipinta su pannelli a una distanza di circa dieci metri dalla piattaforma. Lo spazio tra quest'ultima e i fondali era occupato da una serie di complessi macchinari che suscitavano commenti eccitati tra il pubblico.

Non appena gli spettatori ebbero riempito la piattaforma a loro destinata, nella stanza calò all'improvviso un buio profondo, che provocò sussulti di eccitazione. Con il tenue ronzio dei macchinari e un alone di luce blu che illuminava le tele dei fondali da dietro, il paesaggio acquistò un'illusione di realismo che lasciò Annabelle stupefatta. Avrebbe quasi potuto credere che si trovavano a Roma, in pieno giorno. Apparvero alcuni attori che indossavano toghe e calzari, mentre un narratore iniziava a raccontare la storia dell'antica città.

Lo spettacolo era molto più interessante di quanto Annabelle avesse immaginato. Tuttavia, non riusciva ad abbandonarsi completamente al piacere di assistervi perché avvertiva con grande intensità la presenza dell'uomo accanto a lei. Né l'aiutava il fatto che di tanto in tanto lui si chinasse a sussurrarle all'orecchio dei commenti salaci, fingendo di rimproverarla perché mostrava un interesse sconveniente per dei gentiluomini vestiti solo di federe da cuscino.

Per quanto Annabelle cercasse di trattenersi, le sfuggirono un paio di risatine, che le attirarono sguardi di disapprovazione dalle persone che le

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stavano accanto. E a quel punto, ovviamente, Hunt la rimproverò perché si permetteva di ridere durante una recita così seria, cosa che le fece venire da ridere ancora di più. Quanto a Jeremy, era troppo intento a contemplare lo spettacolo, allungando il collo per scorgere quali macchinari producessero gli effetti, per accorgersi delle manovre di Hunt.

Hunt non fece una piega quando un piccolo intoppo nel meccanismo di rotazione della piattaforma la fece oscillare leggermente. Alcune persone persero l'equilibrio, ma vennero subito sostenute da coloro che avevano accanto. Presa alla sprovvista dal movimento brusco della piattaforma, Annabelle barcollò e si ritrovò appoggiata al petto di Hunt, stretta nella sua presa lieve ma ferma. Non appena ebbe ritrovato l'equilibrio, lui la lasciò andare all'istante, chinandosi verso di lei per chiederle a bassa voce se stesse bene.

— Oh, sì — rispose Annabelle senza fiato. — Vi chiedo scusa. Sì, sono perfettamente...

Non riuscì a finire la frase e la sua voce si affievolì fino a un silenzio interdetto, mentre si sentiva invadere da un acuto senso di imbarazzo. In tutta la sua vita non aveva mai provato una reazione simile nei confronti di un uomo. Che cosa implicasse esattamente quella sensazione di improvviso bisogno, o in che modo fosse possibile soddisfarla, erano questioni che sfuggivano assolutamente alle sue limitate conoscenze in materia. Sapeva solo che per un attimo aveva sentito un desiderio disperato di continuare ad appoggiarsi a lui, di aderire a quel corpo asciutto e solido al punto da sembrare invulnerabile, che le offriva un porto sicuro in cui rifugiarsi mentre il pavimento le scivolava via sotto i piedi.

L'odore che emanava da lui, un misto di pelle maschile, cuoio lucidato e una lieve fragranza di biancheria inamidata, le aveva acceso i sensi, allettandoli con piacevoli aspettative. Quell'uomo era completamente diverso dagli aristocratici impomatati e cosparsi di colonia che Annabelle aveva cercato di accalappiare durante le sue ultime due Stagioni in società.

Profondamente turbata, fissò lo sguardo sulle tele del fondale, senza vedere né apprezzare il fluttuare di luci e colori che trasmetteva la sensazione che si avvicinasse la sera: il crepuscolo dell'Impero romano. Anche Hunt sembrava totalmente disinteressato allo spettacolo, chino verso di lei, lo sguardo fisso sul suo viso. Nonostante il suo respiro rimanesse lieve e regolare, ad Annabelle sembrò che avesse un ritmo leggermente più accelerato.

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Si inumidì le labbra secche. — Voi... voi non dovete fissarmi in quel modo.

Per quanto tenue fosse il mormorio, Hunt lo udì. — Con voi presente, non c'è nient'altro che valga la pena di essere guardato.

Annabelle non si mosse e non parlò, fingendo di non aver sentito il sussurro provocante, mentre il cuore le batteva più in fretta e le dita dei piedi le formicolavano di piacere. Com'era possibile che una cosa del genere le stesse accadendo in un teatro pieno di gente, con suo fratello proprio accanto a lei? Chiuse un istante gli occhi, per dominare una sensazione di capogiro che non aveva nulla a che vedere con il movimento rotatorio della piattaforma su cui si trovava.

— Guarda! — esclamò Jeremy entusiasta, dandole di gomito. — Stanno per mostrare i vulcani.

All'improvviso il teatro piombò nell'oscurità più totale, mentre da sotto la piattaforma si levava un terribile boato. Si sentirono molti gridolini di paura, qualche risata e parecchi sospiri emozionati. Annabelle si irrigidì di colpo, avvertendo la carezza di una mano che le percorreva la schiena. La mano di lui, che le scivolava con deliberata lentezza lungo la colonna vertebrale... il suo profumo, fresco ed eccitante nelle narici... e prima che potesse emettere un suono, la sua bocca che si impadronì di quella di lei in un bacio caldo e dolcemente invadente.

Annabelle era troppo sbalordita per muoversi, rimase con le mani sospese in aria, il corpo tremante sostenuto dalla lieve pressione che Hunt esercitava sulla sua vita, mentre le posava l'altra mano sulla nuca.

Annabelle era stata baciata prima di allora da pochi giovanotti inesperti che le avevano rubato un rapido abbraccio durante una passeggiata in giardino o nell'angolo appartato di un salotto. Ma nessuno di quei rapidi istanti di corteggiamento era stato lontanamente paragonabile a quanto le stava accadendo: un bacio così lento e coinvolgente da farla quasi impazzire. Fu invasa da un'ondata di sensazioni troppo intense e si ritrovò a fremere impotente tra le braccia di lui. Spinta dall'istinto, sollevò le labbra verso la carezza teneramente insistente di quelle di Hunt. La pressione delle labbra di lui aumentò, chiedendo di più e ricompensando il suo abbandono docile con un'esplorazione voluttuosa che le infiammò i sensi.

Proprio quando Annabelle stava per perdere del tutto la ragione, la bocca dell'uomo si staccò dalla sua all'improvviso, lasciandola attonita. Tenendole la mano posata con delicatezza sulla base del collo, Hunt si

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chinò verso di lei fino a sussurrarle con voce carezzevole nell'orecchio una frase che la lasciò stupefatta.

— Mi dispiace. Non sono riuscito a trattenermi. Poi la lasciò andare, e quando una luce rossa rischiarò finalmente il

teatro, era scomparso. — Hai visto? — chiese Jeremy entusiasta, indicando con un sorriso

felice la riproduzione di un vulcano che si ergeva proprio davanti a loro, con fiumi di lava che scivolavano lungo i fianchi. — Incredibile! — Notando

l'assenza di Hunt, sollevò le sopracciglia con aria interrogativa. — Dov'è il signor Hunt? Probabilmente ha ritrovato i suoi amici.

Con una scrollata di spalle tornò a immergersi nella contemplazione del vulcano, unendo i suoi commenti a quelli della folla stupefatta.

Con gli occhi spalancati e incapace di parlare, Annabelle si chiese se quanto le era appena accaduto fosse reale. Non poteva esserle davvero capitato di essere baciata da uno sconosciuto nel bel mezzo di un teatro. E baciala in quel modo, poi...

Evidentemente era quanto accadeva quando si permetteva a dei gentiluomini sconosciuti di pagarti qualcosa: si sentivano autorizzati ad approfittare di te. Quanto al proprio comportamento...

Confusa e piena di vergogna, cercò di capire perché mai avesse permesso a quello sconosciuto di baciarla. Avrebbe dovuto protestare e respingerlo. Invece era rimasta là, come inebetita, mentre lui... Il solo pensiero la fece rabbrividire. In fondo non aveva alcuna importanza come o perché Simon Hunt fosse riuscito ad abbattere di colpo tutte le sue difese. Il fatto era che l'aveva fatto, e di conseguenza era un uomo da evitare a tutti i costi.

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Londra Fine della Stagione 1843 Una ragazza determinata a trovare marito può superare qualsiasi

ostacolo, tranne quello della mancanza di una dote. Annabelle muoveva nervosamente il piede sotto la grande massa

candida delle gonne, sforzandosi di mantenere un'espressione composta. Nel corso delle sue tre fallimentari Stagioni in società, si era abituata a fare da tappezzeria. Abituata, ma non rassegnata. Più di una volta si era detta che meritava di meglio che starsene seduta nell'angolo di una sala su una sedia alta e rigida, sperando con tutte le sue forze in un invito che non sarebbe mai arrivato. E cercando di fingere che non le importasse, che le piacesse guardare le altre che danzavano e venivano corteggiate.

Con un sospiro profondo, si mise a giocherellare con il piccolo carnet da ballo che portava appeso al polso con un nastro. La copertina si apriva a ventaglio, rivelando un piccolo libricino dalle pagine sottili, color avorio. Su quelle pagine, avrebbe dovuto segnare i nomi dei gentiluomini con cui doveva danzare. Ora quella serie di fogli vuoti le sembrava una fila di denti, esposti in un sorriso di scherno. Chiuse il libricino con un colpo secco e rivolse l'attenzione alle altre tre ragazze sedute lì accanto, che cercavano, proprio come lei, di mostrarsi indifferenti a quanto capitava.

Sapeva perfettamente chi fossero. La notevole fortuna della famiglia della signorina Evangeline Jenner era stata accumulata sui tavoli da gioco e la ragazza non poteva vantare origini aristocratiche. Inoltre era estremamente timida e soffriva di balbuzie, cosa che rendeva la prospettiva di una conversazione una tortura tanto per lei quanto per il suo interlocutore.

Le altre due ragazze, la signorina Lillian Bowman e sua sorella minore, Daisy, non si erano ancora ambientate in Inghilterra e, a quanto sembrava, non ci sarebbero riuscite molto presto. Si diceva che la madre delle ragazze Bowman le avesse portate lì da New York perché in patria non avevano ricevuto alcuna offerta accettabile. Venivano chiamate ironicamente "le ereditiere delle bolle di sapone" o anche le "principesse del dollaro". Nonostante i loro lineamenti eleganti e gli splendidi occhi scuri, non avrebbero avuto maggior fortuna, lì dentro, a meno che non avessero trovato una madrina aristocratica che le sostenesse e insegnasse loro come integrarsi nella società inglese.

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Annabelle si rese conto che negli ultimi mesi di quella desolante Stagione loro quattro si erano spesso ritrovate sedute vicino durante i balli o le serate, sempre in un angolo o lungo una parete. Eppure raramente si erano parlate, intrappolate in una silenziosa e snervante attesa. Annabelle incrociò lo sguardo di Lillian Bowman, nei cui occhi scuri brillava un'inaspettata scintilla di umorismo.

— Almeno avrebbero potuto fare queste sedie più comode — mormorò Lillian — dal momento che mi sembra palese che siamo destinate a occuparle per tutta la serata.

— Dovremmo farci incidere sopra i nostri nomi — replicò asciutta Annabelle. — Dopo tutto il tempo che ci ho passato seduta sopra, questa sedia mi appartiene di diritto, ormai.

A Evangeline Jenner sfuggì una risatina soffocata e sollevò un dito guantato per sistemarsi la ciocca di capelli rosso tiziano che le era scivolata sulla fronte. Il sor riso le fece scintillare gli occhi azzurri e le imporporò le gote sotto la spruzzata di lentiggini dorate. Sembrava che un improvviso senso di solidarietà le avesse fatto momentaneamente dimenticare la timidezza.

— N-n-non ha alcun senso che voi siate qui a fare da tappezzeria — disse ad Annabelle. — Siete la ragazza più bella della sala: gli uomini dovrebbero sgo-gomitare per poter ballare con voi.

Annabelle si strinse nelle spalle con un gesto aggraziato. — Nessuno vuole sposare una ragazza senza dote — spiegò. Solo nelle favole i principi sposavano le fanciulle povere. Nella realtà, i duchi, i visconti e gli altri nobili si ritrovavano sulle spalle il pesante fardello economico di dover mantenere grandi tenute e famiglie allargate, oltre a sostenere i fittavoli. Un nobile ricco aveva bisogno di fare un buon matrimonio esattamente come uno squattrinato.

— Nessuno vuole sposare una ragazza americana che viene da una famiglia di nuovi ricchi — confidò loro Lillian Bowman. — La nostra unica speranza di trovare un posto in società sarebbe sposare un aristocratico con un solido titolo.

— Ma non abbiamo nessuno che ci sponsorizzi — aggiunse la sorella minore. Daisy era una versione in miniatura della sorella, con la stessa pelle candida, gli stessi capelli neri e gli occhi scuri. Sulle labbra le affiorò un sorriso malizioso. — Se per caso conoscete una simpatica duchessa disposta a prenderci sotto la sua ala, ve ne saremmo molto grate.

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— Io non voglio nemmeno trovare marito — confessò Evangeline Jenner. — S-s-to sopportando questa Stagione solo perché non ho altro da fare. So-sono troppo vecchia per andare ancora a scuola e mio padre... — Si interruppe e sospirò. — Be', devo resistere solo una Stagione, poi compirò ventitré anni e sarò una zitella conclamata. Non vedo l'ora!

— A ventitré anni si è già considerate zitelle, di questi tempi? — chiese Annabelle fingendosi allarmata. — Santo cielo, non avevo idea di essere più che sfiorita!

— Quanti anni avete? — chiese Lillian Bowman con aria curiosa. Annabelle lanciò un'occhiata a destra e a sinistra, per controllare che

nessun altro potesse sentirla. — Venticinque il mese prossimo. La rivelazione le attirò tre sguardi compassionevoli e Lillian, cercando

di consolarla, scosse il capo incredula. — Non ne dimostrate più di ventuno.

Annabelle strinse nervosamente nel pugno il suo carnet di ballo. "Il tempo sta volando via in fretta" pensò. Quella Stagione, la quarta per lei, volgeva rapidamente al termine. E non poteva imbarcarsi in una quinta Stagione: sarebbe stato ridicolo. Doveva procurarsi un marito, e subito. Altrimenti, non avrebbero più potuto permettersi di pagare la retta scolastica di Jeremy, e sarebbero stati costretti a lasciare la loro modesta abitazione per trasferirsi in una pensione. E una volta che si cominciava a scendere la china, non c'era più modo di risalirla.

Nei sei anni successivi alla morte del loro padre, stroncato da un attacco di cuore, le risorse finanziarie della famiglia si erano ridotte al minimo. Avevano cercato di dissimulare la loro situazione sempre più disperata fingendo di avere ancora una mezza dozzina di servitori, invece di una cuoca con un carico di lavoro eccessivo e un lacchè non più giovanissimo, rinnovando gli abiti lisi, girando la stoffa in modo da mostrarne il lato meno consunto, vendendo le pietre preziose dei loro gioielli e rimpiazzandole con imitazioni.

Annabelle era davvero stanca di quegli sforzi continui per ingannare tutti, mentre le sembrava che in realtà tutti sapessero che erano sull'orlo della bancarotta. Negli ultimi tempi aveva anche iniziato a ricevere offerte discrete da parte di uomini sposati, che le assicuravano con aria ammiccante che se aveva bisogno di aiuto non aveva che da chiedere, e loro sarebbero stati lieti di fornirlo. Non c'era bisogno di descrivere il genere di compenso che avrebbe dovuto offrire in cambio del loro "aiuto".

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Annabelle sapeva che aveva tutte le qualità per essere considerata un'amante di prima scelta.

— Signorina Peyton — chiese Lillian Bowman. — Che tipo d'uomo considerereste un marito ideale per voi?

— Oh — rispose lei con irriverente leggerezza. — Un qualunque aristocratico andrebbe bene.

— Uno qualunque? Non deve avere un bell'aspetto? Annabelle si strinse nelle spalle. — Gradito, ma non necessario. — Un carattere passionale? — chiese Daisy. — Decisamente non gradito. — Intelligenza? — propose Evangeline. Annabelle scrollò ancora le spalle. — Trattabile. — Fascino? — insistè Lillian. — Anche su quello si può trattare. — Non chiedete molto — osservò Lillian in tono asciutto. — Quanto a

me, aggiungerei un paio di condizioni. Il mio aristocratico dovrebbe essere bruno e bello, un ottimo ballerino... e non dovrebbe mai chiedermi il permesso, prima di baciarmi.

— Io voglio sposare un uomo che abbia letto l'opera completa di Shakespeare — disse Daisy. — Un uomo tranquillo e romantico... meglio se porta gli occhiali... a cui piacciano la poesia e la natura. Preferirei anche che non avesse troppa esperienza con le donne.

Sua sorella alzò gli occhi al cielo. — A quanto pare, non ci contenderemo gli stessi uomini.

Annabelle si rivolse a Evangeline Jenner. — Che tipo di marito andrebbe bene per voi, signorina Jenner?

— Evie — mormorò la ragazza, arrossendo tanto che il colore delle sue guance arrivò a stridere con quello acceso dei capelli. Fece un grande sforzo per rispondere, superando la sua estrema timidezza e un innato senso di riservatezza. — Immagino... che mi piacerebbe una persona gentile e... — S'interruppe e scosse la testa, sorridendo di se stessa. — Non so. Vorrei solo qualcuno che mi amasse. Che mi amasse davvero.

Quelle parole commossero Annabelle e la riempirono di malinconia. L'amore era un lusso a cui non si era mai permessa di aspirare: un elemento decisamente superfluo, dal momento che era in gioco la sua stessa sopravvivenza. Tuttavia, allungò la mano guantata per accarezzare quella della ragazza.

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— Spero che lo troverai — le disse con spontaneità. — Forse non dovrai aspettare a lungo.

— Vorrei che prima voi trovaste i vostri — rispose Evie con un sorriso timido. — Vorrei potervi aiutare in qualche modo.

— Sembra che abbiamo tutte bisogno di aiuto, in un modo o nell'altro — mormorò Lillian. Il suo sguardo si fermò su Annabelle con espressione amichevolmente pensierosa.

— Mmm... Non mi dispiacerebbe lavorare al tuo caso. — Che cosa? — Annabelle inarcò le sopracciglia, incerta se sentirsi

divertita o offesa. Lillian iniziò a spiegare. — Mancano poche settimane alla fine della

Stagione, e immagino che questa sia l'ultima, per te. In termini pratici, le tue aspirazioni di sposare un uomo del tuo rango svaniranno alla fine di giugno.

Annabelle annuì con aria mesta. — Allora propongo... — Lillian lasciò a metà la frase. Seguendo la direzione del suo sguardo, Annabelle vide una sagoma

scura che si avvicinava ed emise un gemito silenzioso. L'intruso era Simon Hunt, un uomo con cui nessuna di loro voleva avere

a che fare, e con ragione. — Tra parentesi — mormorò a voce bassa — il mio marito ideale

sarebbe l'opposto del signor Hunt. — Che sorpresa! — commentò Lillian sarcastica, perché la pensavano

tutte allo stesso modo. Si poteva perdonare a un uomo di essere un arrampicatore sociale, a

patto che possedesse maniere raffinate. Cosa che non si poteva certo dire di Simon Hunt. Non era possibile fare una conversazione garbata con un uomo che diceva sempre quello che pensava, a prescindere da quanto le sue opinioni fossero offensive o discutibili.

In un certo senso si poteva definirlo di bell'aspetto. Annabelle supponeva che alcune donne trovassero attraente la sua spiccata virilità. Lei stessa doveva ammettere che c'era qualcosa di affascinante nella vista di quel corpo possente, valorizzato dal contrasto di bianco e nero dell'elegante abito da sera. Tuttavia, le sue ipotetiche attrattive erano completamente oscurate dalla rozzezza del suo carattere. Non mostrava di possedere alcuna sensibilità, idealismo, pretesa di eleganza... Era tutto sterline e penny, calcolo bieco ed egoismo.

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Qualunque altro uomo nella sua situazione avrebbe avuto la decenza di sentirsi imbarazzato per la propria mancanza di raffinatezza, ma a quanto pareva Hunt aveva deciso di farne un vezzo. Amava deridere i rituali e le affettazioni degli aristocratici: i suoi freddi occhi neri scintillavano divertiti, come se si prendesse gioco di tutti loro.

Con gran sollievo di Annabelle, Hunt non aveva mai mostrato, né con un gesto né con una parola, di ricordarsi del giorno, tanto tempo prima, in cui le aveva rubato un bacio nel buio. Con il passare del tempo, Annabelle si era quasi convinta di essersi immaginata l'intera faccenda. Ripensandoci dopo tanto tempo, non le sembrava reale... soprattutto la propria appassionata reazione all'audacia di uno sconosciuto.

Senza dubbio, molte persone condividevano il disprezzo di Annabelle, ma con disappunto delle famiglie più aristocratiche di Londra, la presenza di Hunt era ormai un dato di fatto. Negli anni precedenti si era arricchito in modo straordinario, acquistando le quote di maggioranza di società che producevano attrezzature agricole, navi e motori per locomotive. Nonostante la sua mancanza di raffinatezza veniva invitato alle feste dell'alta società, essenzialmente perché era troppo ricco per poter essere ignorato.

Hunt incarnava la minaccia che l'iniziativa imprenditoriale rappresentava per l'aristocrazia terriera ancorata da secoli alla coltivazione delle proprie immense tenute. Di conseguenza, la nobiltà nutriva per lui una mal-

celata ostilità, pur sentendosi obbligata a consentirgli l'accesso alla loro esclusiva cerchia. Cosa anche peggiore, Hunt non fingeva nemmeno alcuna umiltà, ma sembrava piuttosto godere del fatto di farsi strada a forza in luoghi in cui non era gradito.

Nelle rare occasioni in cui si erano incontrati dopo quel pomeriggio, Annabelle l'aveva trattato con freddezza, scoraggiando ogni suo tentativo di avviare una conversazione e rifiutando sistematicamente di ballare con lui. Hunt sembrava divertito dal suo disdegno ed era solito fissarla con uno sguardo di palese apprezzamento che le faceva drizzare i capelli alla base del collo. Annabelle sperava che prima o poi perdesse ogni interesse nei suoi confronti, anche se per il momento continuava a mostrarsi fastidiosamente tenace.

In quel momento percepì il sollievo delle altre ragazze per il fatto che Hunt le avesse palesemente ignorate, concentrando la propria attenzione esclusivamente su di lei.

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— Signorina Peyton — la salutò. Sembrava che nulla sfuggisse allo sguardo acuto dei suoi occhi scuri: le maniche accuratamente rammendate dell'abito, il fatto che aveva usato una fila di boccioli di rosa per mascherare il bordo liso del corsetto, le perle finte che le pendevano alle orecchie.

Annabelle gi rivolse una gelida espressione di sfida. L'atmosfera tra loro sembrava carica di elettricità, di una specie di tensione primordiale.

— Buonasera, signor Hunt. — Mi concedete l'onore di un ballo? — chiese lui senza preamboli. — No, grazie. — Perché no? — Sono stanca. Hunt sollevò un sopracciglio. — Di cosa? Siete stata seduta qui tutta la

sera. Annabelle sostenne il suo sguardo senza vacillare. — Non sono tenuta a

darvi spiegazioni. — Credo che possiate farcela a ballare un valzer. Nonostante Annabelle si sforzasse di restare calma, la sua espressione si

accigliò. — Signor Hunt — cominciò in tono asciutto. — Nessuno vi ha mai detto

che non è educato insistere per indurre una signora a fare qualcosa che chiaramente non desidera fare?

— Signorina Peyton, se mi preoccupassi sempre di essere educato, non otterrei mai ciò che voglio. Pensavo semplicemente che poteste gradire una pausa dal vostro molo perenne a fare da tappezzeria. E se questa serata andrà come di consueto, la mia proposta è probabilmente l'unica che riceverete.

— Che modi affascinanti! — replicò Annabelle con ironica meraviglia. — Che sottile adulazione! Come potrei rifiutare?

Negli occhi dell'uomo si accese una scintilla. — Allora danzerete con me?

— No — sussurrò Annabelle con durezza. — Ora andatevene. Per favore.

Invece di allontanarsi imbarazzato dalla sua reazione, Hunt sorrise e i suoi denti bianchi scintillarono, in contrasto con l'abbronzatura del viso, conferendogli per un attimo un'aria piratesca.

— Che male può farvi un solo ballo? Sono un compagno piuttosto abile: potreste perfino trovarlo piacevole.

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— Signor Hunt — mormorò Annabelle sempre più esasperata. — L'idea di avervi come compagno in qualsiasi modo e per qualsiasi attività mi fa raggelare il sangue.

Chinandosi verso di lei, Hunt abbassò la voce in modo che nessun altro potesse sentire.

— Molto bene. Ma vi lascerò con un pensiero su cui riflettere, signorina Peyton. Potrebbe arrivare un giorno in cui non potrete più permettervi di rifiutare un'offerta onorevole da parte di uno come me... o anche una meno onorevole.

Gli occhi di Annabelle si spalancarono e un'ondata di indignazione le imporporò il viso. Era davvero troppo: essere costretta a fare da tappezzeria tutta la sera per poi venire insultata da un uomo che disprezzava.

— Signor Hunt, sembrate il cattivo in una rappresentazione di pessima qualità.

Il commento strappò un altro sorriso all'uomo, che dopo essersi inchinato con sarcastica cortesia si allontanò a grandi passi.

Ancora scossa dall'incontro, Annabelle rimase a fissarlo con occhi socchiusi.

Le altre ragazze tirarono un sospiro di sollievo nel vederlo andar via. Lillian fu la prima a parlare. — La parola no non sembra avere un

grande effetto su di lui, vi pare? — Che cosa ti ha detto prima di andar via? La frase che ti ha fatto

diventare tutta rossa — volle sapere Daisy. Annabelle tenne gli occhi bassi, fissando la copertina d'argento del suo

carnet da ballo e strofinandone un angolo leggermente scurito. — Il signor Hunt ha alluso al fatto che un giorno la mia situazione

potrebbe peggiorare al punto da costringermi ad accettare di diventare la sua amante.

Se non fosse stata tanto irritata, sarebbe scoppiata a ridere allo sguardo pieno di attonito stupore che si dipinse sulle loro facce. Ma invece di scandalizzarsi con verginale indignazione o lasciare cadere con tatto l'argomento, Lillian fece la domanda che meno si sarebbe aspettata.

— Ed è vero? — È vero che la mia situazione è disperata — ammise Annabelle. — Ma

di certo non diventerò mai la sua amante, né quella di alcun altro. Sposerei un contadino che coltiva barbabietole, piuttosto che arrivare a far quello.

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Lillian le sorrise con simpatia, colpita dalla nota di cupa determinazione che si avvertiva nella sua voce.

— Tu mi piaci — annunciò, per poi appoggiarsi allo schienale della sedia e accavallare le gambe con una disinvoltura totalmente inappropriata per una ragazza alla sua prima Stagione.

— Anche tu mi piaci — rispose Annabelle automaticamente, spinta dalle buone maniere. Ma mentre le parole le uscivano di bocca, si rese conto con sorpresa che rispondevano a verità.

Lillian la soppesò con lo sguardo. — Mi dispiacerebbe vederti finire dietro un mulo e un aratro in un campo di barbabietole, tu meriti un destino migliore.

— Sono d'accordo — commentò Annabelle in tono asciutto. — Che cosa vogliamo fare, allora?

Nonostante la domanda fosse stata posta in tono scherzoso, Lillian sembrò prenderla sul serio.

— Ci stavo proprio arrivando. Prima che venissimo interrotte, ero sul punto di farti una proposta: dovremmo fare un patto pei- aiutarci a vicenda a trovare marito. Se i gentiluomini giusti non cercano di conquistarci, saremo noi a conquistare loro. Otterremo maggiori risultati se uniamo le forze, invece di agire da sole. Inizie-remo dalla più grande, che a quanto pare sei tu, e procederemo fino alla più giovane.

— In questi termini, la cosa non sembra molto vantaggiosa per me — protestò Daisy.

— Invece è più che equa — la informò Lillian. — Tu hai più tempo di tutte noi.

— In che modo dovremmo aiutarci? — chiese Annabelle. — In qualunque modo sia necessario. — Lillian iniziò a scrivere

alacremente sul suo carnet di ballo. — Sopperiremo ai punti deboli di ognuna e ci daremo consigli e assistenza, quando serve. — Sollevò gli occhi con un sorriso. — Saremo come una squadra di Rounders.

Annabelle la scrutò con espressione scettica. — Ti riferisci al gioco in cui i gentiluomini colpiscono a turno una palla con una mazza di forma appiattita da un lato?

— Non solo i gentiluomini. A New York possono giocare anche le signore, a condizione che per l'eccitazione non dimentichino di tenere un certo contegno.

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Daisy fece un sorriso timido. — Come quella volta in cui Lillian si arrabbiò talmente per un tiro sbagliato che sradicò uno dei paletti che delimitavano il campo.

— Traballava di suo — protestò la sorella. — Un paletto traballante avrebbe potuto rappresentare un pericolo per i giocatori.

— Soprattutto dal momento che gliel'hai tirato addosso— osservò Daisy, ricambiando il cipiglio di Lillian con un sorrisetto ironico.

Soffocando una risata, Annabelle spostò lo sguardo dalla coppia di sorelle al viso vagamente perplesso di Evie. Non le era difficile immaginare che cosa la ragazza stesse pensando, ovvero che le due americane avevano molto da imparare, prima di poter attirare l'attenzione di qualche aristocratico da sposare.

Riportando l'attenzione sulle Bowman, non potè trattenere un sorriso alla vista della loro espressione piena di aspettative. Non si faceva fatica a immaginare le due ragazze che si presentavano ai balli con mazze da baseball e che correvano poi sui campi da gioco con le gonne sollevate fino alle ginocchia. Si chiese se tutte le ragazze americane fossero così disinvolte... Senza dubbio le due sorelle avrebbero terrorizzato qualsiasi educato gentiluomo inglese che avesse avuto il coraggio di avvicinarle.

— Non avevo mai pensato alla caccia al marito come uno sport di squadra — disse.

— Invece dovrebbe esserlo! —esclamò Lillian con convinzione. — Pensa a quanto più efficace sarebbe. L'unica possibile difficoltà potrebbe nascere se due di noi fossero interessate allo stesso uomo, cosa che però, considerati i nostri gusti, non sembra molto probabile.

— Allora stabiliremo di non competere mai per lo stesso uomo — disse Annabelle.

— I-in-noltre — intervenne Evie inaspettatamente — non faremo mai del male a nessuno.

— Molto ippocratico — approvò Lillian. — Secondo me ha ragione, Lillian — protestò Daisy, fraintendendo il

commento della sorella. — Non intimidire la poverina, per l'amor di Dio. Lillian sbuffò con aria seccata. — Ho detto ippocratico, non ipocrita,

sciocchina. Annabelle intervenne precipitosamente, prima che le due ragazze

iniziassero a litigare. — Allora dobbiamo concordare un piano d'azione: non sarebbe

conveniente per nessuna di noi avere obiettivi contrastanti.

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— E ci racconteremo tutto — aggiunse Daisy sollevata. — Anche i d-dettagli intimi? — chiese Evie timidamente. — Oh, soprattutto quelli! Lillian scrutò con occhio critico l'abito di Annabelle. — I tuoi vestiti

sono terribili — disse con decisione. — Te ne darò alcuni dei miei. Ho bauli pieni di roba che non ho mai indossato e non ne sentirò la mancanza. Mia madre non se ne accorgerà nemmeno.

Annabelle scosse la testa, grata per l'offerta ma al tempo stesso mortificata per le proprie difficoltà finanziarie.

— No, non potrei mai accettare un regalo simile, anche se sei mollo generosa...

— Quello azzurro, con il bordo color lavanda — disse Lillian a Daisy. — Te lo ricordi?

— Oh, quello le starebbe magnificamente! — approvò la sorella con entusiasmo. — Le donerà molto più che a te.

— Grazie — ribatté Lillian, lanciandole un'occhiata eloquente. — No, davvero... — protestò Annabelle. — E quello di mussola verde orlato di pizzo sul davanti — continuò

Lillian. — Non posso accettare i tuoi vestiti — insistette Annabelle a bassa

voce. La ragazza sollevò lo sguardo dagli appunti che stava prendendo. — Perché no? — In primo luogo, non potrei permettermi di ripagarti. E poi non

servirebbe a nulla. Un nuovo piumaggio non renderebbe più appetibile la mia mancanza di dote.

— Oh, il denaro — disse Lillian con la noncuranza che contraddistingueva solo chi ne possedeva in quantità. — Mi

ripagherai con qualcosa di infinitamente più prezioso dei soldi. Insegnerai a me e Daisy a essere... be', più simili a voi inglesi. Insegnaci le cose giuste da dire e fare, tutte quelle regole non scritte che a quanto pare infrangiamo ogni cinque minuti. Se possibile, potresti addirittura aiutarci a trovare qualcuno che ci prenda sotto la sua ala. A quel punto riusciremo a oltrepassare porte che al momento risultano sbarrate, per noi. Quanto alla tua mancanza di dote, tu pensa solo a prendere all'amo l'uomo giusto. A tirarlo in barca ti aiuteremo noi.

Annabelle la fissò interdetta. — Ma tu fai sul serio!

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— Certo che facciamo sul serio — rispose Daisy. — Sarebbe un sollievo per noi avere qualcosa da fare, invece di starcene qui sedute come sceme. Lillian e io siamo quasi impazzite dalla noia, durante questa Stagione.

— Anch'io — aggiunse Evie. — Be'... — Annabelle scrutò a uno a uno i visi pieni di aspettativa delle

ragazze, senza riuscire a trattenere un sorriso. — Se voi tre ci state, allora ci sto anch'io. Ma se intendiamo fare un patto, non dovremmo firmarlo col sangue o qualcosa del genere?

— Santo cielo, no! — esclamò Lillian. — Penso che possiamo fare un accordo senza bisogno di tagliarci le vene per questo. — Sollevò il carnet. — Ora immagino che dovremmo stilare un elenco dei candidati più promettenti rimasti in circolazione dopo la scorsa Stagione che... non sono molti. Vogliamo ordinarli in base al loro titolo iniziando dai duchi?

Annabelle scosse la testa. — Possiamo anche scattare i duchi, dal momento che non mi risulta che ce ne siano di papabili al di sotto dei settant’anni e ancora dotati di qualche dente.

— Così fascino e intelligenza sono trattabili, ma i denti no? — osservò pungente Lillian, facendola ridere.

— I denti sono trattabili, ma decisamente preferibili. — Allora d'accordo. Escludendo la categoria dei vecchi duchi sdentati,

passiamo ai conti. Per esempio, ci sarebbe lord Westcliff... — No, Westcliff no. — Annabelle fece una piccola smorfia. — È un

pesce lesso... e non ha alcun interesse per me. Mi sono praticamente gettata tra le sue braccia, quattro anni fa, quando ho debuttato in società, e lui mi ha guardata come se fossi qualcosa che gli era rimasta appiccicata a una scarpa.

— Allora dimentichiamo Westcliff. — Lillian sollevò un sopracciglio con aria interrogativa. — Che ne dite di lord Saint Vincent? Giovane, scapolo, bello come il peccato...

— Non funzionerebbe — disse Annabelle. — A prescindere da quanto possa essere compromettente la situazione, Saint Vincent non farebbe mai una proposta di matrimonio. Ha compromesso, sedotto e completamente rovinato almeno una dozzina di donne... L'onore non significa nulla per lui.

— C'è il conte di Eglinton — suggerì Evie esitante. — Ma è piuttosto... robusto e ha almeno cinquant’anni.

— Mettilo nella lista — rispose Annabelle. — Non mi posso permettere di fare troppo la schizzinosa.

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— Ci sarebbe il visconte di Rosebury — osservò Lillian aggrottando leggermente la fronte. — Anche se è un tipo piuttosto strano e dall'aria... cadente.

— Se è solido nel patrimonio, può anche essere cadente in tutto il resto — dichiarò Annabelle, facendo scoppiare in una risata le altre ragazze. — Segna anche lui.

Senza prestare attenzione alla musica e alle coppie che volteggiavano davanti a loro, lavorarono diligentemente alla compilazione della lista, a volte ridendo con tanta allegria da attirare gli sguardi incuriositi di quanti passavano lì vicino.

— State calme — le esortò Annabelle facendo uno sforzo per assumere un tono severo. — Non vogliamo che qualcuno sospetti che stiamo progettando qualcosa. Inoltre non ci si aspetta che le ragazze che fanno da tappezzeria a una festa si divertano tanto.

Cercarono tutte di assumere un'espressione seria, cosa che le fece esplodere ancora una volta in risate soffocate. — Oh, guardate — disse Lillian senza fiato, osservando la lista sempre

più lunga di possibili partiti. — Per una volta i nostri carnet da ballo sono pieni. — Scorrendo l'elenco di gentiluomini, si mordicchiò il labbro inferiore con aria concentrata. — Mi viene in mente che alcuni di loro probabilmente parteciperanno alla festa di fine Stagione di Westcliff, in Hampshire. Daisy e io siamo già state invitate. E tu, Annabelle?

— Conosco una delle sue sorelle. Credo di poterla convincere a invitarmi. La implorerò, se necessario.

— Metterò anch'io una parola buona per te — disse Lillian in tono fiducioso. Sorrise rivolgendosi a Evie. — E farò in modo che estenda l'invito anche a te.

— Come sarà divertente! — esclamò Daisy. — Allora è deciso. Tra quindici giorni invaderemo l'Hampshire e troveremo un marito ad Annabelle.

Allungarono le braccia e si strinsero le mani, sentendosi sciocche, frivole, ma anche decisamente rincuorate. "Forse la mia cattiva sorte sta per cambiare" pensò Annabelle, e chiuse gli occhi con una piccola preghiera speranzosa.

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2

Simon Hunt aveva imparato molto presto che, non avendogli il fato elargito sangue nobile, ricchezza o doni particolari, avrebbe dovuto lottare in un mondo spesso impietoso per dare una svolta positiva al proprio destino. Era dieci volte più aggressivo e ambizioso dell'uomo medio. In genere, le persone trovavano molto più facile assecondarlo che opporsi a lui. Benché fosse estremamente determinato, a volte addirittura spietato, il suo sonno non era mai turbato da rimorsi o sensi di colpa. Era una legge di natura che fossero i più forti a sopravvivere, e i più deboli, per quanto lo riguardava, facevano meglio a togliersi di mezzo.

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Suo padre era un macellaio che aveva mantenuto dignitosamente una famiglia di sei persone e l'aveva impiegato come suo aiutante non appena era diventato grande abbastanza da tenere in mano i pesanti strumenti del mestiere. Anni di lavoro nel negozio avevano dato a Simon le braccia robuste e le spalle possenti di un macellaio. Tutti si aspettavano che a un certo punto rilevasse l'impresa di famiglia, invece all'età di ventun anni aveva deluso suo padre lasciando il negozio, in cerca di un modo diverso di guadagnarsi da vivere. Dopo aver investito con successo i suoi pochi risparmi, aveva scoperto ben presto il suo vero talento nella vita: fare soldi.

Amava il mondo della finanza, l'elemento di rischio, l'intreccio di commercio, industria e politica... e aveva compreso immediatamente che la rete ferroviaria britannica in espansione avrebbe ben presto rappresentato lo strumento privilegiato per le banche di trattare con efficienza i propri affari. I trasferimenti di denaro e titoli, la creazione di opportunità di investimento a breve termine, avrebbero finito col dipendere sempre di più dal servizio ferroviario.

Seguendo il proprio istinto, Simon aveva investito ogni centesimo che possedeva speculando nel settore ferroviario, ricompensato da un'enorme quantità di profitti che aveva reinvestito immediatamente in una vasta gamma di settori diversi. A quel punto, all'età di trentatré anni, deteneva le quote di maggioranza di tre società manifatturiere, una fonderia e un cantiere navale. Veniva invitato, anche se con una certa riluttanza, alle feste degli aristocratici e sedeva al loro fianco nel consiglio di amministrazione di sei diverse società.

Dopo anni di accanito lavoro, aveva ottenuto quasi tutto quello che desiderava. Tuttavia, se qualcuno gli avesse chiesto se era un uomo felice, avrebbe storto il naso. La felicità, quello sfuggente risultato del successo, era un segno certo di appagamento. Ma per sua stessa natura, lui non si sentiva mai appagato o soddisfatto; né voleva esserlo.

Ciò nonostante, nell'angolo più riposto e segreto del suo cuore trascurato, si annidava un desiderio che non riusciva a

soddisfare. Lanciò uno sguardo guardingo dall'altro lato della sala, provando la

solita fitta acuta e intensa che la vista di Annabelle Peyton gli procurava ogni volta. Tra tutte le donne che aveva a disposizione, e non erano poche, nessuna aveva mai catturato la sua attenzione con la stessa sconcertante intensità. Le attrattive di Annabelle andavano oltre la mera bellezza fisica,

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benché fosse innegabile che da quel punto di vista il Creatore era stato molto generoso con lei.

Se nell'animo di Simon ci fosse stato un grammo di senso poetico, avrebbe potuto pensare dozzine di espressioni eloquenti per descrivere le sue grazie. Ma era un uomo profondamente prosaico e non era in grado di trovare parole adatte a descrivere l'attrazione che provava. Sapeva solo che la vista di Annabelle alla luce scintillante dei candelieri era uno spettacolo che gli mozzava il fiato.

Simon non aveva mai dimenticato il primo momento in cui l'aveva vista, in piedi davanti al teatro, intenta a frugare nel borsellino con una piccola ruga di disappunto sulla fronte. Il sole faceva scintillare i riflessi dorati dei suoi capelli castani e le illuminava la carnagione. C'era qualcosa di così delicato, di così vulnerabile in lei, nella sua pelle vellutata e negli splendenti occhi azzurri, in quella piccola ruga di concentrazione che aveva subito provato il desiderio di lisciare con una carezza.

Aveva immaginato che fosse sposata, ormai. Il fatto che i Peyton attraversassero un periodo di ristrettezze economiche non aveva alcun significato. Secondo lui qualunque aristocratico sano di mente non avrebbe po-tuto fare a meno di notare i pregi della ragazza e chiederla in moglie. Ma dal momento che erano passati due anni e Annabelle non si era ancora sposata, in Simon si era acceso un tenue barlume di speranza. Trovava commoventi il coraggio e la determinazione con cui quella ragazza si dedicava alla ricerca di un marito, la dignità con cui indossava abiti sempre più lisi, la stima che palesemente aveva ancora per se stessa, nonostante la mancanza di una dote.

L'abile determinazione con cui affrontava l'impresa di trovare marito gli faceva venire in mente un giocatore incallito intento a calare le sue ultime carte in una partita segnata dalla sconfitta. Annabelle era intelligente, accorta, salda nei propri principi e ancora molto bella, nonostante ultimamente la povertà le avesse indurito leggermente le linee degli occhi e della bocca. Egoisticamente, a Simon non dispiaceva affatto che si trovasse in difficoltà finanziarie, dal momento che quella circostanza gli offriva un'opportunità che non avrebbe avuto, altrimenti.

Il problema consisteva nel fatto che non aveva ancora trovato il modo di farsi desiderare da Annabelle, che sembrava palesemente disgustata da tutto quello che lui era e rappresentava. Simon sapeva bene che il suo carattere non era particolarmente accattivante. Inoltre, non desiderava diventare un gentiluomo più di quanto una tigre aspirasse a trasformarsi in

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un gatto domestico. Era solo un uomo con una grande quantità di denaro e la cocente frustrazione derivata dalla scoperta di non poter comprare la cosa che desiderava di più.

Fino a quel momento, la sua strategia era stata quella di aspettare pazientemente, sapendo che alla fine la disperazione avrebbe spinto Annabelle a fare cose che prima non avrebbe mai preso in considerazione. La povertà aveva la caratteristica di presentare una situazione in una luce del tutto nuova. Ben presto non avrebbe più avuto alcuno spazio di manovra e sarebbe stata costretta a scegliere tra sposare un uomo povero o diventare l'amante di uno ricco. Nel qual caso, Simon intendeva far sì che finisse nel suo letto.

— Una bella pollastrella, non è vero?— sentì commentare alle sue spalle. Si voltò per trovarsi di fronte Henry Burdick, il cui padre, un visconte, pareva fosse in fin di vita. Bloccato nell'interminabile attesa che il genitore tirasse finalmente le cuoia e gli permettesse di ereditare titolo e patrimonio, Burdick trascorreva la maggior parte del suo tempo ai tavoli da gioco e a caccia di gonnelle. Seguì la direzione dello sguardo di Simon fino ad Annabelle, intenta a parlare animatamente con le ragazze intorno a lei.

— Non saprei — rispose lui, con un moto di antipatia per Burdick e tutti i suoi simili, a cui la vita aveva offerto ogni sorta di privilegio su un piatto d'argento fin dal giorno in cui erano nati e che solitamente non facevano assolutamente nulla per giustificare l'imprudente generosità del fato.

Sul volto di Burdick, appesantito dall'eccesso di cibo e alcolici, si dipinse un sorriso.

— Ho intenzione di scoprirlo presto — disse. Non era il solo a nutrire quell'intenzione. Parecchi uomini avevano

messo gli occhi su Annabelle, con la bramosia di un branco di lupi che seguivano le tracce di una preda ferita. Nel momento in cui sarebbe stata più debole e meno capace di difendersi, uno di loro le avrebbe sferrato il colpo fatale. Tuttavia, come sempre in natura, sarebbe stato il maschio dominante ad averla vinta.

L'ombra di un sorriso aleggiò sulla bocca di Simon. — Mi sorprendete — mormorò. — Avrei supposto che una damigella in difficoltà suscitasse un senso di galanteria in gentiluomini del vostro stampo. Scopro invece che nutrite le disdicevoli intenzioni che ci si aspetterebbe da persone come me.

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Burdick fece una risatina, senza accorgersi dello scintillio minaccioso negli occhi scuri di Simon.

— Gentildonna o no, dovrà scegliere uno di noi, quando le sue risorse saranno esaurite.

— Nessuno di voi le proporrà il matrimonio? — Buon Dio, e perché mai? — Burdick si leccò le labbra pregustando

quello che aveva in mente. — Non ce alcun bisogno di sposare la pollastrella, quando ben presto sarà disponibile al giusto prezzo.

— Forse ha troppo senso dell'onore per ridursi a quello. — Ne dubito — replicò il giovane aristocratico con un sorriso cattivo.

— Le donne così belle e così povere non possono permettersi il senso dell'onore. Inoltre, si dice che abbia già concesso le proprie grazie a lord Hodgeham.

— Hodgeham? — Benché molto stupito, Simon mantenne un'espressione indecifrabile. — Che cos'ha dato il via a questa voce?

— La carrozza di Hodgeham è stata vista nei prati dietro la casa dei Peyton a ore strane della notte... e secondo alcuni dei loro creditori, a volte lui paga i loro conti. — Burdick s'interruppe e fece una risatina. — Per una notte tra quelle belle cosce vale la pena di pagare il conto del droghiere, non trovate?

La risposta istintiva di Simon fu un violento impulso a separare la testa di Burdick dal resto del corpo. Non capiva bene quanto di quella gelida furia fosse alimentata dall'immagine di Annabelle Peyton a letto con il porcino lord Hodgeham e quanto invece dal meschino godimento di Burdick nel diffondere un pettegolezzo con molta probabilità privo di fondamento.

— Penso che prima di distruggere la reputazione di una signora — disse in tono falsamente cortese — fareste bene ad avere in mano prove inconfutabili di quanto sostenete.

— Suvvia, i pettegolezzi non hanno bisogno di prove — replicò il giovanotto con una strizzata d'occhio.

— E presto il tempo rivelerà la vera natura della signora in questione. Hodgeham non ha i mezzi per mantenere una bellezza come quella e ben presto lei vorrà più di quanto lui sia in grado di dare. Secondo le mie previsioni, entro la fine della Stagione la ragazza approderà tra le braccia dell'uomo dal portafogli più gonfio.

— Quindi, tra le mie — commentò Simon a bassa voce.

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Burdick rimase interdetto e il sorriso gli svanì dal suo volto, mentre si chiedeva se aveva sentito bene.

— Che cosa... — Sono stato a osservare mentre voi e il branco di idioti a cui vi

accompagnate le avete dato la caccia per due anni — disse Simon, gli occhi ridotti a una fessura. — Adesso avete perso le vostre opportunità.

— Che diamine intendete con questo? — chiese Burdick in tono indignato.

— Intendo che infliggerò la forma più acuta di pena mentale, fisica e finanziaria a chiunque osi invadere il mio territorio. E alla prossima persona che ripeterà in mia presenza pettegolezzi infondati sulla signorina Peyton li ricaccerò in gola, insieme al mio pugno. — Il sorriso di Simon aveva qualcosa di minacciosamente ferino, mentre il suo sguardo si fissava sulla faccia interdetta di Burdick. — Ditelo a chiunque possa essere interessato — suggerì, quindi si allontanò, lasciando il piccolo bastardo pomposo a bocca aperta.

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Riaccompagnata nella sua casa in città dall'anziana cugina che a volte le faceva da chaperon, Annabelle entrò nell'atrio deserto dal pavimento in pietra. Si bloccò alla vista del cappello posato sul tavolino semicircolare addossato alla parete. Si trattava di un cappello a cilindro da gentiluomo, grigio e bordato di raso rosso cupo. Un oggetto dalla foggia elegante, in confronto a quelli neri e semplici che indossava la maggior parte dei gentiluomini. Annabelle l'aveva visto fin troppo spesso, posato su quel tavolo come un serpente attorcigliato.

Al tavolino era appoggiato un lussuoso bastone da passeggio col manico decorato di diamanti. Annabelle provava un enorme desiderio di colpire col bastone la cima del cappello, preferibilmente mentre si trovava sulla testa del proprietario. Lo ignorò e iniziò a salire le scale con un peso sul cuore e una ruga di preoccupazione in mezzo alla fronte.

Mentre arrivava al secondo piano, dove si trovavano le camere dei vari membri della famiglia, un uomo tardi iato apparve in cima alle scale. La scrutò con un sor-uso sgradevolmente affettato sul volto arrossato e umido, che tradiva uno sforzo recente, mentre una ciocca di capelli gli pendeva sbilenca sulla fronte, simile alla cresta di un gallo.

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— Lord Hodgeham — disse Annabelle in tono gelido, cercando di tenere a freno la vergogna e la rabbia che le ribollivano in petto. Hodgeham era una delle poche persone al mondo che sentiva di odiare davvero. Sedicente amico del suo defunto padre, di tanto in tanto si recava in visita a casa loro, ma mai in orari canonici. Veniva a tarda sera e, contro ogni regola del decoro, passava del tempo da solo in una stanza privata con la madre di Annabelle, Philippa.

Nei giorni che seguivano alle sue visite, Annabelle non poteva fare a meno di notare che alcuni dei loro conti in sospeso erano stati misteriosamente pagati e che uno o l'altro dei loro creditori più impazienti si era tranquillizzato. Inoltre, in quei giorni Philippa era insolitamente nervosa e intrattabile, oltre che taciturna.

Era quasi impossibile per lei credere che sua madre, che non aveva mai avuto un comportamento sconveniente, concedesse a qualcuno di far uso del suo corpo in cambio di denaro. Eppure quella era l'unica conclusione logica che si poteva trarre e che le riempiva l'animo di vergogna e rabbia impotente. Tale rabbia non era rivolta solo a sua madre: detestava anche la situazione in cui si trovavano e se stessa, per non essere ancora stata capace di procurarsi un marito. C'era voluto parecchio tempo perché si rendesse conto che, per quanto graziosa e affascinante potesse essere e per quanto interesse nei suoi confronti potesse dimostrare questo o quel gentiluomo, non avrebbe ricevuto alcuna proposta. Perlomeno, nessuna proposta rispettabile.

Dal giorno del suo debutto, Annabelle aveva dovuto lentamente accettare l'idea che il suo sogno di un corteggiatore bello e raffinato, che si innamorasse di lei e risolvesse tutti i suoi problemi, non era altro che una fantasia ingenua e priva di fondamento. Quella deludente consapevolezza si era fatta strada dentro di lei durante la prolungata mortificazione della sua terza Stagione in società. Adesso che era arrivata alla quarta, la sgradevole immagine di Annabelle-moglie-di-un-contadino era pericolosamente vicina a trasformarsi in realtà.

Con aria impassibile, cercò di oltrepassare Hodgeham in silenzio. L'uomo la fermò posandole una mano grassoccia sul braccio. Annabelle si ritrasse con tale disgusto da perdere quasi l'equilibrio.

— Non toccatemi — disse, fissando il volto rubicondo dell'uomo. Gli occhi azzurri di Hodgeham contrastavano col rossore del suo viso.

Con un sorriso studiato, posò la mano sull'estremità della ringhiera, impedendo ad Annabelle di procedere verso il pianerottolo.

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— Così poco ospitale — mormorò con l'incongrua voce tenorile che spesso caratterizza gli uomini alti. — Dopo tutti i favori che ho fatto alla vostra famiglia...

— Non ci avete fatto alcun favore — ribatté seccamente Annabelle. — Se non fosse stato per la mia generosità, già da tempo sareste finite in

mezzo a una strada. — State suggerendo che dovrei esservi grata? — chiese lei con voce

carica di odio represso. — Siete un lurido profittatore. — Non ho preso nulla che non mi sia stato offerto. — Hodgeham

allungò una mano ad accarezzarle il mento e il lieve contatto con le sue dita sudate fece ritrarre Annabelle con un moto di repulsione. — Per la verità, non è stato un gran divertimento. Vostra madre è troppo arrendevole per i miei gusti. — Si chinò verso di lei, finché il suo sgradevole odore, sudore sepolto sotto un'abbondante dose di colonia, non giunse alle narici della ragazza. — Forse la prossima volta proverò con voi — mormorò.

Senza dubbio si aspettava che Annabelle scoppiasse a piangere, arrossisse o lo implorasse.

— Siete un vecchio sciocco — rispose invece la ragazza in tono pacato. — Se dovessi diventare l'amante di qualcuno, non credete che potrei trovare molto di meglio?

Hodgeham atteggiò le labbra a un sorriso, anche se Annabelle notò con soddisfazione che gli ci era voluto un certo sforzo.

— Non è saggio da parte vostra indispormi. Con poche parole ben indirizzate, potrei rovinare per sempre la vostra famiglia. — Fissando il tessuto liso del corpino dell'abito di Annabelle, sorrise con malizia. — Se fossi in voi, non avrei quell'aria sdegnosa, con gli stracci e le patacche che avete indosso.

Annabelle arrossì e allontanò con un colpo brusco la mano dell'uomo, quando lui cercò di prenderla per la vita. Ridacchiando, Hodgeham scese le scale, mentre Annabelle rimaneva immobile, in silenzio. Quando sentì la porta d'ingresso aprirsi e poi chiudersi, scese di corsa le scale e girò la chiave nella toppa. Ansimante per la tensione e l'indignazione, posò i palmi delle mani sulla superficie della pesante porta di quercia e vi appoggiò la fronte.

— Adesso basta — mormorò, tremando di rabbia. Basta con Hodgeham, basta con i conti non pagati... Tutti loro avevano sofferto abbastanza. Doveva trovare immediatamente un uomo da sposare: la festa

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nell'Hampshire sarebbe stata la sua migliore occasione per risolvere finalmente la cosa. E se non ci fosse riuscita...

Fece scivolare lentamente le mani lungo il pannello, lasciando il segno sul legno scuro. Se non fosse riuscita a trovare un gentiluomo disposto a sposarla, poteva sempre diventare l'amante di qualcuno. Anche se a quanto pareva nessuno la voleva come moglie, sembrava che ci fosse un gran numero di uomini disposti a mantenerla nel peccato. Se fosse stata furba, avrebbe potuto guadagnare una fortuna.

Rabbrividiva all'idea di non poter più apparire in società, di essere messa al bando e stimata solo per via della sua abilità tra le lenzuola. Ma l'alternativa, ossia vivere virtuosamente in povertà e accettare lavori di cucito o di pulizie, oppure diventare una governante, era infinitamente più pericolosa: una giovane donna in quella posizione sarebbe stata alla mercé di chiunque. E la paga non sarebbe stata sufficiente a mantenere sua madre e Jeremy, che avrebbero dovuto a loro volta andare a servizio.

Il mattino seguente, Annabelle sedeva al tavolo della colazione stringendo una tazza di porcellana tra le dita gelate. Anche se aveva già finito il suo tè, la tazza era ancora calda. C'era una minuscola scheggiatura sul bordo e lei continuava a passarci sopra il polpastrello. Non alzò lo sguardo quando sentì sua madre entrare.

— Tè? — chiese con voce cautamente neutra. Philippa emise un mormorio di assenso. Riempendo un'altra tazza dalla teiera che aveva davanti, Annabelle la addolcì con una zolletta di zucchero e vi aggiunse un abbondante dose di latte.

— Non lo prendo più con lo zucchero — disse Philippa. — Ora lo preferisco senza.

Il giorno in cui sua madre avrebbe perso il gusto per le cose dolci, all'inferno avrebbero iniziato a servire bibite ghiacciate.

— Possiamo ancora permetterci lo zucchero per il tè — rispose Annabelle, mescolando rapidamente la bevanda col proprio cucchiaino. Sollevando lo sguardo, posò tazza e piattino sul tavolo davanti a lei. Come si aspettava, la madre aveva un'aria stanca e accigliata, e sotto la sua espressione amara si percepiva un profondo imbarazzo. Un tempo Annabelle avrebbe trovato inconcepibile che la donna affascinante e solare che era stata sua madre potesse avere dipinta sul volto un'espressione simile. E l'issando il suo volto si rese conto che anche il suo aspetto era altrettanto provato, che anche le sue labbra erano incurvate in un sorriso amaro di disillusione.

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— Com'era il ballo? — chiese Philippa, tenendo il viso vicino alla tazza di tè in modo che il vapore fumante le accarezzasse la pelle.

—Il solito disastro — rispose Annabelle, addolcendo la schiettezza della risposta con una risatina studiala. — L'unico che mi ha chiesto di ballare è stato il signor Hunt.

— Santo cielo — mormorò Philippa, bevendo una sorsata di tè bollente. — E tu hai accettato?

— Ovviamente no. Sarebbe stato inutile. Quando mi guarda, è evidente che ha in mente ben altro che il matrimonio.

— Anche gli uomini come il signor Hunt finiscono per sposarsi, però — ribatté Philippa, sollevando lo sguardo dalla tazza di porcellana. — E tu saresti una moglie ideale per lui. Potresti avere un'influenza benefica, addolcendo il suo carattere e aiutandolo a inserirsi più facilmente in società...

— Santo cielo, mamma. Sembra quasi che tu mi stia incoraggiando ad accettare le sue attenzioni.

— No. — Philippa prese il proprio cucchiaino e iniziò a mescolare il tè senza alcuna necessità. — No, se davvero trovi il signor Hunt così sgradevole. Tuttavia, se tu riuscissi a portarlo all'altare, avremmo risolto tutti i nostri problemi economici...

— Non è il tipo d'uomo che prende moglie, mamma. Lo sanno tutti. Per quanto io possa darmi da fare, non riuscirei mai a ottenere da lui una proposta rispettabile. — Annabelle iniziò a frugare nella zuccheriera con un paio di piccole pinze d'argento, in cerca della zolletta più piccola. Trovato un frammento di zucchero di canna, lo lasciò cadere nella tazza e ci versò sopra del tè caldo.

Philippa, sorseggiando il proprio tè senza sollevare lo sguardo a incontrare quello della figlia, spostò la conversazione su un altro argomento che Annabelle sentiva sgradevolmente connesso al precedente.

— Non abbiamo i mezzi per mantenere Jeremy a scuola, il prossimo trimestre. Sono due mesi che non pago la servitù. Ci sono conti...

— Sì, lo so — la interruppe Annabelle con un piccolo moto di irritazione. — Troverò un marito, mamma. Molto presto. — Si sforzò di fare un pallido sorriso. — Che ne dici di una gita nell'Hampshire? Ora che la Stagione volge al termine, molte persone lasceranno Londra in cerca di nuovi svaghi: in particolare una festa con battuta di caccia organizzata da lord Westcliff nella sua tenuta di campagna.

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Philippa la scrutò con nuovo interesse. — Non sapevo che il conte ci avesse invitato.

— Non l'ha fatto. Non ancora. Ma lo farà... e sento che la fortuna ci sorriderà, nell'Hampshire.

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Due giorni prima che Annabelle e sua madre partissero per l'Hampshire venne consegnata al loro indirizzo una grande quantità di scatole e pacchi di vario genere. Il valletto dovette fare tre viaggi per trasferirli tutti dall'atrio alla camera di Annabelle, al piano di sopra, dove li depositò formando una pila accanto al letto. Scartandoli con attenzione, Annabelle trovò almeno una mezza dozzina di vestiti che non erano mai stati indossati, taffe-tà, sete e mussole dai colori vivaci, con soprabiti in tinta bordati di morbido camoscio, e un abito da ballo di seta pesante color avorio, con il corsetto e le maniche decorati con delicati inserti di pizzo. C'erano anche guanti, scialli, sciarpe e cappelli di una tale bellezza che ad Annabelle venne quasi da piangere. Gli abiti e gli accessori dovevano essere costati una fortuna, senza dubbio nulla di speciale per le sorelle Bowman, ma per lei un recalo straordinario.

Prese il biglietto che le era stato recapitato insieme ai pacchi, ruppe il sigillo di ceralacca e lesse le poche righe vergate in una calligrafia decisa:

Dalle tue fate madrine, altresì note come Lillian e Daisy. Con l'augurio di una battuta di caccia fortunata nello Hampshire. P.S. Non finirà col mancarli il coraggio, vero? Annabelle rispose subito: Care fate madrine, il coraggio è l'unica cosa che mi è rimasta. Grazie infinite per gli abiti.

Sono estasiata all'idea di poter finalmente indossare di nuovo dei bei vestiti. È uno dei miei molti difetti amare tanto le cose belle. La vostra affezionata Annabelle

P.S. Vi rimando indietro le scarpe perché sono troppo piccole. E io che

avevo sempre sentito dire che le ragazze americane avevano i piedi grandi!

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La corrispondenza si infittì nei giorni seguenti: Cara Annabelle, da quando è un difetto amare le cose belle? Dev'essere senz'altro un'idea

inglese, dal momento che siamo certe che nessuno a Manhattanville l'ha mai pensata così. A proposito di quello che dicevi sui piedi, nell'Hampshire ti faremo giocare a Rounders con noi. Ti piacerà molto colpire palle con una mazza. Non esiste nulla che dia maggior soddisfazione.

Care Lillian e Daisy, accetterò di giocare a Rounders solo se riuscirete a convincere Evie a

unirsi a noi, cosa di cui dubito profondamente. E anche se non posso esserne certa senza aver prima provato, mi vengono in mente molte cose che danno maggiore soddisfazione di colpire palle con una mazza. Per esempio, trovare marito...

A proposito, che cosa si indossa per giocare a Rounders? Un abito da passeggio?

Cara Annabelle, si gioca in intimo, ovviamente. Non si può correre comodamente con le

gonne. Care Lillian e Daisy, la parola "intimo" non mi è familiare. Non vi riferirete alla biancheria

spero? Non voglio credere che stiate suggerendo che ci mettiamo a correre e saltare all'aperto in mutande come bambini selvaggi...

Cara Annabelle sapevi che la parola che usate voi inglesi per dire "mutande" in America

significa "cassetto"? A proposito, Evie ha detto di sì. Cara Evie, non credevo ai miei occhi quando le sorelle Bowman mi hanno scritto

per informarmi che hai acconsentito a giocare a Rounders in mutande. È vero? Spero che non lo sia, dal momento che ho vincolato il mio consenso al tuo.

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Cara Annabelle, ritengo che la frequentazione delle sorelle Bowman mi aiuterà a guarire

dalla mia timidezza. Rounders-in-mutande mi sembra il modo giusto per iniziare. Ti ho sconvolto? Non avevo mai sconvolto nessuno, prima d'ora, neanche me stessa! Spero tanto che tu sia impressionata dalla mia determinazione a gettarmi nel cuore delle cose.

Cara Evie, sono impressionata, divertita e un briciolo preoccupata dai guai in cui le

Bowman finiranno per cacciarci. Ti prego di dirmi dove mai troveremo un luogo in cui giocare a Rounders-in-mutande senza essere viste. Sì, sono assolutamente sconvolta, piccola svergognata!

Cara Annabelle, inizio a credere che esistano due tipi di persone: quelle che scelgono di

essere padrone del proprio destino e quelle che rimangono ad aspettare su una sedia mentre gli altri ballano. Preferirei appartenere alla prima categoria. Quanto al come e al dove si svolgerà la partita di Rounders, preferisco lasciare che se ne occupino le Bowman. Con tutto il mio affetto

Evie la svergognata

Nel turbinio di questi e altri messaggi scherzosi che le ragazze

continuarono a scambiarsi, Annabelle iniziò a provare una sensazione che aveva dimenticato da tanto tempo: il piacere di avere delle amiche. Quando le sue amiche del passato si erano inserite nella sacra esistenza delle coppie sposate, lei era stata lasciata indietro. Il suo stato di zitella, unito alla mancanza di denaro, aveva creato una voragine che l'amicizia non era stata in grado di colmare. Negli ultimi anni, Annabelle aveva imparato sempre di più a contare solo su se stessa e aveva finito con lo sforzarsi di evitare la compagnia delle ragazze con cui un tempo aveva chiacchierato, riso e condiviso segreti.

E adesso, in un colpo solo aveva acquisito tre amiche con cui aveva qualcosa in comune, nonostante i loro retroterra fossero molto diversi. Erano tutte giovani donne con speranze, sogni e timori... e tutte avevano contemplato più di una volta le lucide scarpe nere di qualche gentiluomo che oltrepassava senza fermarsi la fila di sedie su cui erano sedute in cerca

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di prede più promettenti. Le quattro ragazze non avevano nulla da perdere, nell'aiu-tarsi reciprocamente, e tutto da guadagnare.

— Annabelle — chiamò la voce di sua madre dalla porta, mentre lei riponeva con delicatezza le scatole di guanti nuovi in una valigia. — Devo farti una domanda e voglio che tu mi risponda sinceramente.

— Sono sempre sincera con te, mamma — ribatté Annabelle, sollevando lo sguardo dal suo lavoro. Si sentì invadere dai sensi di colpa quando vide il volto amorevole e logorato dalle preoccupazioni di Philippa. Eppure, era stanca dei sensi di colpa di Philippa e dei propri. Provava pietà e disperazione pensando al sacrificio che sua madre aveva fatto andando a letto con lord Hodgeham. Tuttavia, in un angolo remoto della sua mente si annidava lo sconveniente pensiero che dal momento che Philippa aveva scelto di fare una cosa del genere, non si capiva perché non avesse scelto almeno di sistemarsi come un'amante in piena regola, invece di accontentarsi delle esigue somme di denaro che le dava lord Hodgeham...

— Da dove vengono questi vestiti? — chiese Philippa, pallida ma decisa, fissandola dritto negli occhi.

Annabelle si accigliò. — Te l'ho già detto: me li ha mandati Lillian Bowman. Perché mi fissi in quel modo?

— È stato un uomo a darteli? Forse il signor Hunt? Annabelle rimase a bocca aperta. — Mi stai chiedendo se io ho... con lui? Santo cielo, mamma! Anche se avessi voluto farlo,

non ne avrei avuto la minima opportunità. In nome del cielo, come ti è potuta venire un'idea del genere?

La madre sostenne il suo sguardo senza esitazioni. — Hai nominato spesso il signor Hunt, durante questa Stagione. Molto più di qualunque altro gentiluomo. E questi abili sono evidentemente molto costosi...

— Non li manda lui — ribadì Annabelle con fermezza. Philippa sembrò rilassarsi, ma nei suoi occhi rimaneva l'ombra del

dubbio. Annabelle, che non era abituata a vedersi guardare con sospetto, prese un cappello e se lo posò graziosamente sulla testa. — Non vengono da lui — ripeté.

L'amante di Simon Hunt... Girandosi verso lo specchio, colse un'espressione stranamente irrigidita sul proprio viso. Immaginava che sua madre avesse ragione: ultimamente aveva menzionato spesso Hunt. C'era qualcosa in quell'uomo che faceva sì che il pensiero di lui con-tinuasse ad aleggiare nella sua mente a lungo, dopo ogni incontro. Nessun altro uomo che conosceva era dotato suo del fascino potente e malizioso e nessun altro

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uomo si era mai mostrato così apertamente interessato a lei. A quel punto, nelle ultime settimane di una Stagione fallimentare, Annabelle si trovava a considerare ipotesi su cui nessuna ragazza dotata di senso del pudore e della proprietà avrebbe dovuto anche solo soffermarsi col pensiero. Sapeva che, senza particolari sforzi, avrebbe potuto diventare l'amante di Hunt e porre fine a tutti i suoi problemi. Era un uomo ricco, le avrebbe dato qualunque cosa desiderasse, avrebbe pagato i debiti della sua famiglia e avrebbe acquistato per lei bei vestiti, gioielli, una carrozza, una casa in cambio di...

Quel pensiero le fece provare un brivido. Cercò di immaginare se stessa a letto con Simon Hunt, quali cose avrebbe potuto chiederle di fare, le sue mani, la sua bocca...

Arrossendo profondamente, scacciò quelle immagini dalla propria mente e iniziò a giocherellare con le rose di seta che adornavano la fascia del cappello che aveva in testa. Se fosse diventata l'amante di Simon Hunt, lui l'avrebbe posseduta completamente, a letto e fuori, e il pensiero di essere alla sua mercé era inquietante. Una vocetta ironica nella sua testa le chiedeva: "L'onore è davvero così importante per te? Più del benessere della tua famiglia? O della tua stessa sopravvivenza?".

— Sì — rispose Annabelle sottovoce, fissando il proprio viso pallido e determinato riflesso nello specchio. — Per ora, sì. — Per il futuro non poteva dir nulla. Ma fino a che le fosse rimasta anche una sola tenue speranza, aveva ancora il rispetto di sé... e avrebbe lottato per conservarlo.

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Non ci voleva molto a capire perché il nome dell'Hampshire derivasse

dal termine inglese antico "hamm", che indicava una marcita, ovvero un prato permanentemente irrigato. La regione era ricca di prati del genere, oltre che di vaste e lussureggianti zone boschive, un tempo terreno di caccia riservato della famiglia reale. Con il suo paesaggio segnato dal contrasto tra ripide scarpate e valli profonde e verdeggianti, solcato da fiumi zeppi di trote, l'Hampshire offriva notevoli possibilità di svago a qualsiasi amante della vita sportiva. La tenuta del conte di Westcliff, Stony Cross Park, era incastonata come un gioiello in una fertile valle attraversata da un fiume che serpeggiava dolcemente attraverso acri e acri di foresta. Sembrava che Stony Cross Park fosse sempre piena di ospiti, dal momento che Westcliff era un raffinato anfitrione e un grande amante della caccia.

Sembrava proprio che Westcliff meritasse la fama che ne decantava l'elevato senso dell'onore e gli alti principi morali. Non era il genere d'uomo che finiva coinvolto in scandali, dal momento che dimostrava sempre scarsa tolleranza per gli intrighi e la dubbia moralità della buona società londinese. Preferiva trascorrere la maggior parte del suo tempo in campagna, occupandosi dei propri affari e prendendosi cura dei fittavoli. A volte si recava a Londra per seguire altri affari o per occuparsi di questioni politiche che richiedevano la sua attenzione.

Era stato in occasione di uno di quei viaggi che Annabelle aveva conosciuto il conte, durante una serata. Anche se non si poteva definire bello in senso classico, Westcliff non era certo un uomo privo di attrattive. Era di statura media, ma dotato del fisico possente di uno sportivo e di un innegabile fascino virile. Il che, combinato con un immenso patrimonio personale e una contea e un titolo tra i più antichi di quelli di quasi qualunque altro aristocratico del regno, ne faceva lo scapolo più desiderabile d'Inghilterra.

Ovviamente, Annabelle non aveva perso tempo e aveva iniziato a civettare con lui fin dal loro primo incontro. Ma Westcliff era abituato a ricevere quel tipo di attenzioni da parte di giovani donne e l'aveva immediatamente bollata come una cacciatrice di marito, cosa che l'aveva ferita, benché corrispondesse a verità.

Da quando Annabelle era stata respinta da Westcliff, aveva fatto di tutto per evitarlo. Aveva invece molta simpatia per la sorella minore di lui, lady Olivia, una ragazza dal cuore gentile che aveva la sua stessa età ed era

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stata macchiata da uno scandalo, in passato. Proprio grazie alla gentilezza di Olivia, Annabelle ed Evie erano state invitate a quella festa. Per le tre settimane successive tutti i tipi di preda, a due o a quattro zampe, sarebbero stati braccati, a Stony Cross Park.

— Signora — esclamò Annabelle mentre lady Olivia si avvicinava per porgere loro il benvenuto. — Siete stata gentile a invitarci! Londra era assolutamente soffocante e il clima dell'Hampshire è esattamente quello di cui avevamo bisogno.

Lady Olivia sorrise. Nonostante fosse una ragazza non troppo alta e dai lineamenti piuttosto comuni, in quell'occasione aveva un'aria particolarmente graziosa e il suo viso irradiava felicità. Secondo Lillian e Daisy, lady Olivia era fidanzata con un milionario americano. "È un'unione d'amore?" aveva chiesto Annabelle nella sua ultima lettera alle sorelle Bowman, e Lillian le aveva risposto che a quanto si diceva era così. "Tuttavia" aveva aggiunto, "mio padre sostiene che l'alleanza tra le due famiglie comporterà senza dubbio dei benefici economici per lord Westcliff, che proprio pei questo avrebbe dato il suo consenso." Per il conte, il romanticismo passava decisamente in secondo piano rispetto alle considerazioni di carattere pratico.

Riportando la mente al presente, Annabelle sorrise mentre lady Olivia le prendeva le mani dandole affettuosamente il benvenuto. — E voi eravate esattamente quello di cui avevamo bisogno noi — esclamò. — Questo posto è infestato da maschi in cerca di svaghi di tipo sportivo. Così ho informato il conte che dovevamo assolutamente invitare delle donne per mantenere un'atmosfera almeno in parte civilizzata. Venite, lasciate che vi accompagni alle vostre stanze.

Sollevando leggermente le gonne dell'abito di mussola rosa salmone che le aveva regalato Lillian, Annabelle la seguì su per i gradini che conducevano all'atrio.

— Come sta lord Westcliff? — chiese mentre salivano lentamente la grande scalinata. — In buona salute, mi auguro...

— Mio fratello sta bene, vi ringrazio. Anche se temo che stia diventando matto per organizzare il mio matrimonio. Insiste per supervisionare personalmente ogni dettaglio.

— Una prova del suo grande affetto per voi — disse Philippa. Lady Olivia scoppiò in una risatina ironica. — È più una prova del suo

grande bisogno di controllare tutto quello che lo circonda. Temo che non

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sarà facile trovare una sposa dotata di un carattere abbastanza forte da tenergli testa.

Cogliendo un'occhiata allusiva da parte di sua madre, Annabelle scosse leggermente la testa. Non era bene incoraggiare le speranze di Philippa in quella direzione. Tuttavia...

— Mi capita di conoscere una ragazza mollo determinata ed estremamente affascinante, che non è ancora sposata — disse. — È americana...

— Vi riferite a una delle sorelle Bowman?— chiese lady Olivia. — Non ho ancora fatto la loro conoscenza, anche se il padre è già stato a Stony Cross Park.

— Entrambe le sorelle sono deliziose sotto ogni aspetto. — Eccellente. Forse abbiamo qualche speranza di trovare una compagna

adatta a mio fratello. — Quando giunsero al secondo piano, fecero una pausa per osservare il viavai di persone nell'atrio sottostante. — Temo che non ci siano tanti scapoli quanti ci si augurerebbe. Ma ce ne sono alcuni... per esempio lord Kendall. Sevi fa piacere, ve lo presenterò non appena ce ne sarà occasione.

— Vi ringrazio, mi farebbe molto piacere. — Temo però che sia estremamente riservato. Potrebbe non piacere a

una donna vivace come voi, Annabelle. — Al contrario — si affrettò a rispondere Annabelle. — Trovo il riserbo

una qualità estremamente attraente in un uomo. I gentiluomini capaci di dignitoso riserbo sono molto più piacevoli di quelli che non fanno che vantarsi e parlare di sé. — "Come Simon Hunt" pensò cupamente, "la cui alta opinione di sé non potrebbe essere più evidente".

Prima che lady Olivia potesse rispondere, il suo sguardo incrociò da lontano quello di un gentiluomo alto e biondo, fermo in piedi nell'atrio sottostante. La sua posa era elegantemente scomposta, con una spalla appoggiata a una colonna e le mani infilate nelle tasche del cappotto. Annabelle capì immediatamente che era americano. Lo tradivano il sorriso irriverente e gli occhi azzurri, la disinvoltura con cui indossava gli abiti di buon taglio. Inoltre, lady Olivia arrossì e prese a respirare in modo leggermente più veloce sotto lo sguardo che lui le rivolgeva.

— Vogliate scusarmi — disse con aria distratta. — Io... il mio fidanzato... sembra che abbia bisogno di me per qualcosa... — E si allontanò trasognata, mormorando confusamente che la loro stanza era la

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quinta sulla destra. Apparve immediatamente una cameriera che, con grande sollievo di Annabelle, mostrò loro dove dovevano andare.

— Ci sarà molta concorrenza per conquistare lord Kendall — disse Annabelle con aria preoccupata. — Spero che non sia già stato preso.

— Non può essere l'unico gentiluomo scapolo presente _ osservò Philippa in tono speranzoso. — Non bisogna dimenticare lo stesso lord Westcliff.

— Non farti illusioni in quel senso — la ammonì Annabelle in tono asciutto. — Il conte ha avuto una pessima impressione di me, quando ci siamo incontrali la prima volta.

— Questo non depone a favore delle sua capacità di giudizio — fu la risposta indignata di sua madre.

Con un sorriso, Annabelle le prese la mano guantata e la strinse con affetto.

— Grazie, mamma. Ma farei meglio a concentrarmi su un bersaglio più raggiungibile.

Mentre gli ospiti continuavano ad arrivare, alcuni si ritiravano nelle loro stanze per rinfrescarsi e fare un riposo pomeridiano, in previsione della cena e del ballo di benvenuto. Le signore desiderose di scambiarsi pettegolezzi si riunivano nel salotto e nella sala da gioco, mentre i gentiluomini giocavano a biliardo o fumavano nella biblioteca. Quando la cameriera ebbe finito di disfare i loro bagagli, Philippa decise di riposare un po' in camera. Era una stanza da letto piccola ma accogliente, con carta da parati floreale alle pareti e tende di seta azzurra.

Troppo impaziente ed eccitata per dormire, Annabelle si disse che probabilmente Evie e le sorelle Bowman erano già arrivate. Ma forse desideravano un po' di tempo per riprendersi dalle fatiche del viaggio. Così, piuttosto che sopportare ore di inattività forzata, decise di esplorare i dintorni del maniero. Era una calda giornata di sole e sentiva il bisogno di un po' di movimento, dopo il lungo tragitto in carrozza. Indossò un abito da giorno di mussola blu, sagomata da file di piccole pieghe aperte, e uscì dalla stanza.

Scivolò fuori da un ingresso laterale, dopo aver incrociato alcuni servitori strada facendo, e iniziò a camminare nella luce dolce del sole. C'era qualcosa di meraviglioso nell'atmosfera di Stony Cross Park. Si poteva facilmente immaginare che fosse un luogo magico situato in una terra lontana. Il bosco che lo circondava era così vasto e fitto da ricordare una foresta primordiale, mentre i dodici acri di giardino sul retro della

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dimora sembravano fin troppo perfetti per essere veri. C'erano boschetti, radure, laghetti e fontane. Era un giardino variegato, che alternava oasi di serenità a tratti tumultuosamente colorati. Un giardino anche estremamente curato, in cui ogni filo d'erba era tagliato con precisione, ogni angolo di siepe tosato perfettamente, come con un rasoio.

Senza cappello né guanti e animata da un'improvvisa ondata di ottimismo, Annabelle respirò a fondo l'aria fresca della campagna. Costeggiò il bordo dei giardini terrazzati sul retro del maniero e seguì un sentierino coperto di ghiaia che si snodava tra grandi aiuole di papaveri e gerani. L'atmosfera fu ben presto impregnata del profumo dei fiori, mentre il vialetto procedeva lun-go un muro a secco coperto da una cascata di rose bianche e rosa.

Rallentando il passo, attraversò un frutteto con antichi alberi di pero, che il passare del tempo aveva modellato in forme fantastiche. Poco più in là, una galleria di betulle argentate conduceva a filari di alberi che sembravano perdersi senza soluzione di continuità nel bosco sullo sfondo. Il sentiero terminava in un piccolo spiazzo rotondo, al centro del quale era collocato un tavolo di pietra. Avvicinandosi, Annabelle notò gli spessi mozziconi di due candele quasi del tutto liquefatte che erano state posate direttamente sulla superficie di pietra. Sorrise con un pizzico di malinconia, rendendosi conto che la solitudine di quella piccola radura doveva avere rappresentato lo scenario perfetto per un incontro romantico.

Incurante dell'atmosfera suggestiva del luogo, una fila di cinque grasse papere bianche attraversò la piazzola, diretta a un laghetto artificiale dall'altro lato del giardino. A quanto pareva, le papere erano abituate al viavai di visitatori di Stony Cross Park, perché passarono accanto ad Annabelle senza curarsi di lei. Starnazzavano animatamente, eccitate dall'approssimarsi dell'acqua, e procedevano in modo così scomposto che Annabelle non potè fare a meno di scoppiare in una risata.

Mentre stava ancora ridendo, sentì il rumore di passi pesanti sul piazzale coperto di ghiaia. Era un uomo, che evidentemente stava rientrando da una passeggiata nella foresta. Aveva sollevato il viso e la osservava sorpreso, lo sguardo fisso in quello di lei.

Annabelle si sentì morire. "Simon Hunt" pensò, sconvolta al punto da non riuscire a pronunciare

una parola nel vederlo lì a Stony Cross. L'aveva sempre associato alla vita di città, al chiuso, di sera, confinato fra pareti, finestre e colletti inamidati. Tuttavia, in quel contesto naturale illuminato dal sole, sembrava una

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persona completamente diversa. Il suo fisico dalle spalle possenti, che mal si adattava al taglio attillato degli abiti da sera, sembrava assolutamente perfetto per la giacca da caccia di lana ruvida e per la camicia slacciata sul collo, senza cravatta.

Era più abbronzato del solito e la sua pelle aveva assunto un colorito ambrato per via del molto tempo trascorso all'aria aperta. Il sole scintillava sui suoi capelli tagliati corti, accendendo riflessi nei folti ricci di un castano molto scuro. I suoi lineamenti, che la luce del sole metteva bene in evidenza, erano decisi e quasi scultorei nella loro nettezza. Gli unici tocchi morbidi del suo volto, la linea delle folte ciglia scure e la curva sensuale del labbro inferiore apparivano ancora più affascinanti perché facevano un netto contrasto con il contesto in cui erano inseriti.

Lui e Annabelle si fissarono in un silenzio perplesso, come se qualcuno avesse fatto una domanda alla quale nessuno dei due sapeva rispondere.

Il momento di imbarazzo si prolungò, finché lui non si decise a parlare. — Un gran bel suono — disse a voce bassa. Annabelle si sforzò di ritrovare la voce. — Quale? — chiese. — La vostra risata. Annabelle avvertì una fitta alla bocca dello stomaco, che non era né di

dolore né di piacere. Non aveva mai provato una sensazione di tale disarmante intensità. Senza rendersene conto, posò la mano su quel punto, appena sotto le costole. Lo sguardo di Hunt scrutò per un attimo la mano di Annabelle, prima di risalire verso il suo viso. Si avvicinò al tavolo di pietra, dimezzando la distanza che li separava.

— Non mi aspettavo di vedervi qui. — Il suo sguardo la percorse con una lentezza sconcertante. — Ma naturalmente si tratta del posto più logico per una donna nella vostra situazione.

Annabelle socchiuse gli occhi. — Nella mia situazione? — A pesca di un marito. — Non sono qui per pescare nessuno, signor Hunt. — Preparare l'esca — continuò Hunt. — Lanciare l'amo, riavvolgere il

filo e tirare su l'inconsapevole preda finché non giace boccheggiante sul ponte.

Le labbra di Annabelle si serrarono in una smorfia di tensione. — Potete tranquillizzarvi, signor Hunt: non ho alcuna intenzione di

privarvi della vostra preziosa libertà. Siete senza dubbio l'ultimo della lista.

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— Quale lista?— lui rifletté nel momento di cupo silenzio che seguì la sua domanda, dandosi poi la risposta da solo. — Ah, avete preparato una lista di potenziali mariti? — Aveva un'espressione divertita. — È un sollievo sentire che non sono stato preso in considerazione, dal momento che ho deciso di evitare di essere incatenato nel matrimonio. Ma non posso fare a meno di chiedermi chi ci sia in cima alla lista...

Annabelle si rifiutò di rispondere. Anche se detestava la propria abitudine di giocherellare nervosamente, non riuscì a trattenersi dall'iniziare a staccare con le unghie i resti della cera di una candela.

— Probabilmente si tratta di Westcliff — tirò a indovinare Hunt. Annabelle emise uno sbuffo indignato, appoggiandosi con la schiena al

tavolo. L'antica superficie di pietra era liscia e riscaldata dal tepore del sole.

— No di certo. Non sposerei il conte neanche se mi supplicasse in ginocchio.

Lui scoppiò a ridere alla palese bugia. — Un lord con il suo pedigree e con il patrimonio che ha? Non vi fermereste davanti a nulla pur di accalappiarlo. — Sedette con disinvoltura sull'altro lato del tavolo e Annabelle si trattenne dal ritrarsi, nonostante la sua vicinanza. Solitamente una conversazione tra un gentiluomo e una signora si svolgeva sulla base dell'implicita regola non scritta che ci fossero cose che un gentiluomo non avrebbe mai fatto: per esempio mettere in imbarazzo o insultare la donna in questione, o approfittare di lei in qualunque modo. Tuttavia, tali garanzie non esistevano con Simon Hunt.

— Perché siete qui? — gli chiese. — Sono amico di Westcliff — rispose lui tranquillamente. Annabelle non riusciva a immaginare come il conte potesse avere come

amico un uomo come Hunt. — Perché mai dovrebbe avere a che fare con uno come voi? E non

cercate di farmi credere di avere qualcosa in comune con lui: voi due siete diversi come il giorno e la notte.

— Si dà il caso, invece, che il conte e io abbiamo degli interessi in comune. Amiamo entrambi la caccia e condividiamo una sene considerevole di opinioni politiche. A differenza della maggior parte dei nobili, Westcliff non si lascia incatenare dalle restrizioni della vita aristocratica.

— Santo cielo! — esclamò Annabelle in tono derisorio. — Sembra che consideriate la nobiltà come una prigione.

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— In effetti, è così che la vedo. — Allora io non vedo l'ora di finire in carcere e buttare le chiavi. Quel commento lo fece ridere. — Probabilmente sareste un'ottima

moglie per un aristocratico. Avvertendo una nota di biasimo nella sua voce, Annabelle si accigliò. — Se disprezzate tanto gli aristocratici, perché passate tanto tempo con

loro? Gli occhi di Hunt scintillarono maliziosamente. — Hanno la loro utilità.

E non li disprezzo: però non desidero essere uno di loro. Nel caso che non l'aveste notato, l'aristocrazia, o quanto meno lo stile di vita che ha conosciuto fino a oggi, sta scomparendo.

Annabelle spalancò gli occhi per la sorpresa, sconvolta da quell'affermazione.

— Che cosa intendete dire? — La maggior parte dei nobili che possiedono grandi tenute stanno

vedendo andare in fumo i loro patrimoni, perché si trovano a dover mantenere un numero sempre maggiore di parenti. Inoltre devono fare i conti con i mutamenti dell'economia. Il predominio dei grandi proprietari terrieri sta volgendo al termine. Solo uomini come Westcliff, che è aperto a modi nuovi di fare le cose, riusciranno a sopravvivere al cambiamento.

— Con il vostro inestimabile aiuto, naturalmente. — Esatto — rispose Hunt con una tale soddisfazione che Annabelle non

potè trattenersi dal ridere. — Avete mai pensato almeno di fingere di provare un minimo di umiltà,

signor Hunt? Giusto per educazione... — Non credo nella falsa modestia. — Potreste piacere di più alla gente, se lo faceste. — A voi piacerei di più? Annabelle affondò le unghie nella soffice cera colorata e gli lanciò una

rapida occhiata per leggere nei suoi occhi fino a che punto la stesse prendendo in giro. Con grande stupore, si rese conto che era serio. Sembrava davvero interessato alla risposta. Mentre lo sguardo di quello strano uomo rimaneva fisso su di lei con grande intensità, con disappunto Annabelle si sentì arrossire. Non si sentiva affatto a proprio agio in quella situazione, intenta a conversare da sola con Simon Hunt mentre lui se ne stava lì, disinvolto e rilassato, accanto a lei come un pirata indolente e indiscreto. Lo sguardo le cadde sulla grande mano con cui si appoggiava al

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tavolo, una mano abbronzata, dalle dita lunghe, con le unghie tagliate cortissime.

— Piacere è una parola grossa — rispose, allentando la presa sul mozzicone di candela. Più cercava di non arrossire, più si sentiva avvampare il viso, che ben presto divenne scarlatto fino all'attaccatura dei capelli. — Immagino che potrei tollerare più facilmente la vostra compagnia se cercaste di comportarvi come un gentiluomo.

— Per esempio? — Tanto per cominciare, il modo in cui amate contraddire le persone... — La sincerità non è una virtù? — Sì, ma non aiuta a condurre una conversazione come si deve! —

Ignorando la risatina di Hunt, Annabelle continuò. — E il fatto che parliate così apertamente di denaro risulta molto volgare, specialmente nei circoli più esclusivi dell'aristocrazia. Le persone garbate fingono di non provare alcun interesse per il denaro, i modi di guadagnarlo o investirlo e tutte le altre cose di cui vi piace tanto discutere.

— Non ho mai capito perché la motivata ricerca della ricchezza debba essere ritenuta così disdicevole.

— Forse perché tale ricerca è accompagnata da molti vizi: avarizia, egoismo, falsità...

— Non sono difetti che ho. Annabelle sollevò le sopracciglia stupita. — Davvero? Hunt scosse lentamente la testa con un sorriso, mentre il sole accendeva

riflessi dorati tra i suoi capelli castani. — Se fossi avido ed egoista, terrei per me la maggior parte dei miei

guadagni. Invece i miei soci vi diranno che sono sempre stati generosamente ricompensati per i loro investimenti. E a detta di tutti, i miei impiegati sono molto ben pagati. Quanto alla falsità, mi sembra ovvio che io abbia piuttosto il problema opposto. Sono sincero, cosa pressoché imperdonabile in società.

Per qualche ragione, Annabelle non potè fare a meno di ricambiare il sorriso di quel mascalzone di umili origini. Si allontanò dal tavolo e si rassettò le gonne.

— Non sprecherò altro tempo a spiegarvi come comportarvi in modo educato quando é assolutamente ovvio che non avete alcuna intenzione di farlo.

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— Non avete sprecato il vostro tempo — disse Hunt, girando intorno al tavolo per raggiungerla. — Considererò molto seriamente l'ipotesi di cambiare atteggiamento.

— Non vi disturbate — rispose Annabelle, con l'ombra di un sorriso che ancora le aleggiava sulle labbra. — Temo che siate un caso disperato. Ora, se volete scusarmi, continuerò la mia passeggiata in giardino. Vi auguro un buon pomeriggio, signor Hunt.

— Lasciate che vi accompagni — propose lui. — Potete continuare la vostra lezione. Vi ascolterò perfino.

Annabelle arricciò il naso. — No, non lo farete — ribatté. Si avviò lungo il sentierino di ghiaia, consapevole dello sguardo di lui sulla sua schiena fino a quando non si addentrò nel boschetto.

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Poco prima di cena, all'inizio della festa, Annabelle, Lillian e Daisy si incontrarono nel salotto a pianterreno, una vasta sala costellata di sedie e tavoli in cui molti degli ospiti avevano scelto di riunirsi.

— Avrei dovuto immaginare che quel vestito ti sarebbe stato mille volte meglio di come sta a me — commentò Lillian Bowman con aria raggiante, abbracciando Annabelle per poi tenerla a distanza di braccia per osservarla meglio. — È una tortura essere amica di una ragazza così bella.

Annabelle indossava un altro dei suoi vestiti nuovi, un abito di seta gialla con ampie gonne di tulle su cui erano applicati a piccoli intervalli minuscoli mazzolini di viole di seta. Aveva i capelli raccolti in cima alla testa in un'elaborata acconciatura.

— Ho molti difetti — rivelò con un sorriso. — Davvero? E quali? — Di certo non sarò io a dirteli, se non li hai notati da sola.

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— Lillian parla a tutti dei propri difetti — disse Daisy con uno scintillio divertito negli occhi. — Ne è addirittura orgogliosa.

— Ho un pessimo carattere — ammise Lillian con aria compiaciuta. — E so imprecare come un marinaio.

— Chi ti ha insegnato a farlo? — chiese Annabelle. — Mia nonna. Era una lavandaia. E mio nonno era il fabbricante di

sapone da cui lei si riforniva. Dal momento che lavorava vicino al porto, la maggior parte dei suoi clienti erano marinai e scaricatori di porto, che le hanno insegnato espressioni talmente volgari che ti farebbero drizzare sulla testa anche i nastri che hai nei capelli.

Annabelle trattenne a stento le risa. Era assolutamente affascinata dallo spirito trasgressivo di quelle due ragazze, diverse da chiunque avesse conosciuto fino a quel momento. Purtroppo, era difficile immaginarle felici nel molo di moglie di un aristocratico. La maggior parte dei gentiluomini desiderava sposare una fanciulla tranquilla, elegante, riservata, il tipo di donna il cui unico scopo nella vita è mettere il marito al centro delle proprie ammirate attenzioni. Ma Annabelle, che apprezzava molto la compagnia delle sorelle Bowman, riteneva che sarebbe stato un peccato per entrambe rinunciare all'innocente spregiudicatezza che le rendeva così affascinanti.

All'improvviso vide Evie, che aveva fatto il suo ingresso nella sala con la riluttanza di un topo gettato in un covo di gatti. L'espressione della nuova venuta si distese quando le scorse. Mormorando qualcosa alla zia dall'aria arcigna che l'accompagnava, si diresse verso di loro con un sorriso.

— Evie! — squittì Daisy piena di gioia, facendo per lanciarsi incontro all'amica. Annabelle le afferrò la mano guantata e le parlò all'orecchio.

— Aspetta! Se attiri l'attenzione su di lei, potrebbe svenire per l'imbarazzo.

Daisy si fermò. — Hai ragione. Sono una vera selvaggia. — Questo non è vero, cara... — intervenne Lillian. — Grazie — rispose Daisy, piacevolmente stupita. — Sei solo una mezza selvaggia — finì la frase la sorella maggiore. Annabelle passò il braccio intorno alla vita snella di Evie. — Come sei

bella, stasera. — I capelli della ragazza erano raccolti sulla testa in una massa di scintillanti riccioli rossi fermati con forcine decorate di perle. La pioggia di lentiggini dorate intorno al naso non faceva che aumentare il

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suo fascino, come se la natura avesse ceduto a un momento di estro e avesse spruzzato su di lei qualche goccia di sole in più.

Evie si abbandonò al suo abbraccio come se fosse in cerca di conforto. — Zia F-f-florence dice che con i capelli pettinati in questo modo sembro una torcia accesa — disse.

Daisy si accigliò nel sentire quel commento. — Tua zia farebbe meglio a star zitta, dal momento che lei somiglia a uno gnomo.

— Daisy, smettila — la rimproverò Lillian con aria severa. Annabelle tenne il braccio guantato intorno alla villa di Evie, riflettendo

sul fatto che, da ciò che la ragazza le aveva raccontato, la zia Florence sembrava provare un piacere immenso nel minare quel poco di fiducia in se stessa che la ragazza aveva. Dopo che la madre di Evie era morta molto giovane, la sua famiglia aveva accolto l'orfana nel suo rispettabile grembo, e gli anni di critiche che erano seguiti ne avevano messo a dura prova l'autostima.

Evie si lasciò sfuggire un sorriso divertito, mentre osservava le sorelle Bowman.

— Non è uno gnomo. Secondo me somiglia di più a un orco. Annabelle scoppiò a ridere. — Ditemi, qualcuna di voi ha visto lord

Kendall? — chiese poi. — Mi hanno detto che è uno dei pochi scapoli presenti e, a parte lord Westcliff, l'unico che possa vantare un titolo importante.

— La competizione per Kendall sarà feroce — osservò Lillian. — Per fortuna Daisy e io abbiamo appena escogitato un piano per obbligare un gentiluomo ignaro a sposarsi. — Fece loro cenno con un dito di avvicinarsi.

— Non oso chiedertelo — disse Annabelle. — Ma come farete? — Lo attirerai in una situazione compromettente, e a quel punto noi tre

passeremo per caso di lì e vi sorprenderemo. A quel punto il gentiluomo sarà costretto, per ragioni di onore, a chiedere la tua mano.

— Brillante, non trovate? — chiese Daisy. Evie guardò Annabelle con aria dubbiosa. — Un po' s-s-subdolo, forse... — Senza forse — rispose Annabelle. — Ma temo di non riuscire a

pensare niente di meglio, e tu? Evie scosse la testa. — No — ammise. — La questione è: abbiamo un

bisogno così disperato di trovare marito da ricorrere a qualsiasi mezzo, onesto o disonesto che sia?

— Io sì — disse Annabelle senza esitazione.

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— Anche noi — aggiunse Daisy. Evie le guardò incerta. —Io non me la sento di mettere da parte ogni

scrupolo. Non mi piace l'idea di ingannare un uomo per indurlo a fare qualcosa che...

— Evie — la interruppe Lillian con impazienza. — Gli uomini si aspettano di essere ingannati in simili questioni. Sono più felici così. Se fossimo sincere e dirette, la prospettiva del matrimonio sembrerebbe troppo allarmante e nessuno di loro si sposerebbe mai.

Annabelle senato la ragazza con ammirazione. — Sei spietata — disse. Lillian sorrise dolcemente. — È una dote di famiglia. I Bowman sono

spietati di natura. Possiamo anche essere diabolici, quando le circostanze lo richiedono.

Ridendo, Annabelle tornò a rivolgersi a Evie, che aveva un'espressione accigliala e perplessa.

— Ascolta — le disse in tono dolce. — Finora ho sempre cercato di fare le cose nel modo giusto, ma non mi ha portato molto lontano. A questo punto sono disposta a provare qualcosa di nuovo. E tu?

Anche se non sembrava del tutto convinta, Evie si arrese con un rassegnato cenno di assenso.

— Questo è lo spirito giusto — la incoraggiò Annabelle. Mentre conversavano, un lieve mormorio attraversò la lolla all'ingresso

di lord Westcliff nella sala. Con la disinvoltura di chi è abituato a gestire le cose, il conte accoppiò rapidamente dame e gentiluomini per la processione che li avrebbe condotti nella sala da pranzo. Benché non fosse l'uomo più alto della sala, aveva una presenza carismatica che era impossibile ignorare. Annabelle si chiese perché alcune persone possedessero una simile qualità, qualcosa di indefinibile che dava un significato speciale a ogni loro parola o gesto. Lanciando un'occhiaia a Lillian, vide che aveva notato la stessa cosa.

— Ecco un uomo che ha un'alta opinione di sé. Mi chiedo che cosa potrebbe, ammesso che sia possibile, fargli abbassare la cresta.

— Non saprei— rispose Annabelle. — Ma mi piacerebbe assistere, se mai dovesse accadere.

Evie si avvicinò ad Annabelle e le tirò leggermente un braccio. — C'è lord Kendall, lì nell'angolo.

— Come fai a sapere che è lui? — Perché è circondato da una dozzina di ragazze in cerca di marito che

gli girano intorno come squali.

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— Ottima osservazione — disse Annabelle, fissando il giovanotto e la piccola folla che gli si agitava intorno. Lord Kendall, sembrava stordito dall'insolita quantità di attenzione femminile di cui era oggetto. Era biondo e snello, sul suo naso erano posati un paio di occhiali dalle lenti perfettamente pulite. Il riflesso delle lenti scintillava mentre spostava lo sguardo da un viso all'altro. L'interesse appassionato di cui un tipo timido e riservato come lui era oggetto dimostrava che non c'era afrodisiaco più potente dell'essere uno scapolo alla fine della Stagione. Kendall, che a gennaio non aveva suscitato interesse alcuno in quelle stesse ragazze, a giugno aveva acquistato un fascino irresistibile.

— Sembra simpatico — disse Annabelle con aria pensierosa. — Sembra anche un uomo che si spaventa facilmente — commentò

Lillian. — Se fossi in te, cercherei di sembrare il più timida e indifesa possibile, quando lo incontrerai.

Annabelle le rivolse un'occhiata ironica. — Indifesa? Non è mai stato il mio forte. Cercherò almeno di essere timida, ma non posso promettere nulla.

— Non credo che avrai alcun problema nel distogliere l'attenzione di Kendall da quelle ragazze e indirizzarla su di te — replicò Lillian con aria fiduciosa. — Dopo cena, quando i signori e le dame torneranno qui per prendere il tè e fare conversazione, troveremo un modo di presentartelo.

— Come farò a... — iniziò a chiedere Annabelle, ma si interruppe avvertendo un piccolo brivido sulla nuca, come se qualcuno le avesse passato un rametto di felce sulla pelle. Chiedendosi cosa mai avesse causato quella sensazione, si girò di scatto e incrociò lo sguardo di Simon Hunt.

Era in piedi dall'altro lato della sala, con una spalla appoggiata al lato di un pilastro, mentre un gruppo di uomini intorno a lui erano impegnati in una conversazione. Sembrava assolutamente rilassato, ma il suo sguardo era vigile, come quello di un gatto intento a valutare se balzare o no sulla preda. Era evidente che aveva notato il suo interesse nei confronti di Kendall.

"Maledizione" pensò Annabelle irritata, e gli voltò deliberatamente le spalle. Non poteva escludere che cercasse di metterle i bastoni tra le ruote. — Avete notato che c'è anche il signor Hunt? — chiese a bassa voce alle sue amiche, che spalancarono gli occhi sorprese.

— Il tuo signor Hunt? — chiese interdetta Lillian, mentre Daisy si voltava a destra e a sinistra cercando di individuarlo.

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— Non è mio! — protestò Annabelle, con un'espressione di tale disappunto da risultare comica. — Comunque sì, è dall'altra parte della sala. L'avevo già incontrato questa mattina, per la verità. Sostiene di essere un caro amico del conte. — Si accigliò e predisse con aria cupa quello che temeva sarebbe avvenuto. — Il signor Hunt farà di tutto per mandare a monte i nostri piani.

— Sarebbe davvero c-così egoista da impedirti di sposarti? — chiese Evie stupita. — Con l'intenzione di fare di te la sua... la sua...

— Mantenuta — completò la frase Annabelle per lei. — Non è affatto impossibile. Si dice che non si fermi davanti a nulla pur di avere quello che vuole.

— Sarà anche così — commentò Lillian, serrando le labbra in una smorfia determinata. — Ma non avrà te. Questo te lo posso garantire.

La cena fu servita in modo sontuoso, con una serie di enormi zuppiere e vassoi d'argento portati in una processione ininterrotta intorno alle tre lunghe tavole della sala da pranzo. Annabelle non poteva credere che gli ospiti cenassero in quel modo tutte le sere, ma il gentiluomo alla sua sinistra, il vicario della parrocchia, le assicurò che quella era la procedura consueta alla tavola di Westcliff.

— Il conte e la sua famiglia sono celebri per le loro cene e feste da ballo — disse. — Lord Westcliff è l'ospite migliore di tutta l'aristocrazia inglese.

Annabelle non si sentiva incline alle critiche. Era da molto tempo che non le veniva servito del cibo così buono. Gli spuntini tiepidi delle serate e delle feste londinesi non erano neanche lontanamente paragonabili a quel banchetto. Negli ultimi mesi, la famiglia Peyton non aveva potuto permettersi molto più che pane, pancetta e zuppa, con l'aggiunta occasionale di una sogliola fritta o di un po' di montone stufato.

Per una volta, fu lieta di non essere seduta accanto a un conversatore brillante, cosa che le permise di godere di lunghi periodi di silenzio durante i quali potè mangiare a piacimento. E dato che i camerieri continuavano a offrire agli ospiti sempre nuove pietanze, nessuno sembrò fare caso alla robustezza del suo appetito, sconveniente per una signora.

Divorò con entusiasmo un piatto di zuppa fatta con champagne e Camembert, seguita da delicate fettine di vitello accompagnate da una salsa alle erbe e da una delicata crema di verdure, pesce arrostito in ingegnose confezioni di carta che una volta aperte emettevano uno sbuffo di vapore fragrante, piccole palate al burro servite su un letto di crescione

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e, cosa più deliziosa di tutte, una mousse di frutta servita dentro un'arancia svuotata della polpa.

Era così intenta a gustare la cena che passarono parecchi minuti prima che si accorgesse che Simon Hunt era seduto alla tavola di lord Westcliff. Portandosi alle labbra un bicchiere di vino diluito con acqua, lo osservò con discrezione. Come al solito, era vestito con grande ricercatezza, in un abito da sera nero con un raffinato panciotto grigio, la cui seta riluceva. La sua carnagione abbronzata contrastava vivacemente con il candore del colletto inamidato e il nodo della sua cravatta era assolutamente perfetto. I ricci castani richiedevano un'applicazione di pomata, dato che una grande ciocca gli era già scivolata sulla fronte. Quella ciocca scomposta per qualche ragione la turbò, facendole provare l'impulso irresistibile di scostargliela dalla fronte.

Non le sfuggì che le donne sedute ai suoi lati erano in competizione per conquistare la sua attenzione. Annabelle aveva già notato in altre occasioni che le donne sembravano trovarlo piuttosto attraente. Sapeva esattamente perché: era quella combinazione di fascino peccaminoso, lucida intelligenza e disinvolta mondanità. Hunt aveva l'aria di un uomo che aveva visitato molte alcove e sapeva esattamente che cosa fare in tali occasioni. Una simile qualità avrebbe dovuto renderlo meno attraente, anziché aumentare il suo fascino. Invece andava scoprendo che c'era una bella differenza tra quello che sapevi andar bene per te e quello che in realtà desideravi. E anche se le sarebbe piaciuto poterlo negare, Simon Hunt era l'unico uomo che l'avesse mai attratta fisicamente con tale intensità.

Benché avesse condotto una vita sotto molti aspetti tutelata, conosceva i fatti essenziali della vita. Le sue rudimentali esperienze erano state accumulate sentendo menzionare alcune cose e facendo due più due. Era stata baciata da alcuni uomini che avevano mostrato un fugace interesse per lei, negli ultimi quattro anni. Ma nessuno di quei baci, per quanto potesse essere romantico il contesto o bello l'uomo in questione, aveva mai suscitato in lei il tipo di risposta che aveva avuto invece con Simon Hunt.

Per quanto ci avesse provato, Annabelle non era mai riuscita a dimenticare quel momento in quel teatro, la pressione lieve ed erotica della bocca di lui sulla sua, il piacere intenso suscitato dal suo bacio... Avrebbe voluto sapere perché mai fosse stato cosi diverso con quell'uomo, ma non c'era nessuno a cui potesse chiederlo. Parlarne con sua madre era fuori questione, dal momento che Annabelle non voleva confessarle di aver

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accettalo i soldi del biglietto da un estraneo. E non aveva intenzione di menzionare l'episodio alle altre ragazze, che evidentemente non ne sapevano molto più di lei su baci e uomini.

Quando lo sguardo di Hunt incrociò il suo, si rese conto con grande disagio che era rimasta a fissarlo. A fissarlo e a fantasticare. Anche se erano seduti a una notevole distanza l'uno dall'altra, avvertì subito una connessione immediata tra loro. Il viso di Hunt aveva un'espressione rapita e Annabelle si chiese che cosa, di quello che vedeva, lo affascinasse tanto. Arrossendo, distolse lo sguardo e immerse la forchetta in un pasticcio di porri e funghi con scaglie di tartufo bianco.

Dopo cena, le signore si ritirarono in salotto per bere tè e caffè, mentre i gentiluomini rimanevano seduti a tavola per un bicchiere di porto. La tradizione prevedeva che la comitiva si riunisse poi nel salone. Mentre gruppi di donne ridevano e chiacchieravano nel salotto, Annabelle si sedette con Evie, Lillian e Daisy.

— Avete scoperto nulla su lord Kendall? — chiese, nella speranza che una di loro potesse aver appreso qualche pettegolezzo durante la cena. — Ce qualcuna in particolare a cui potrebbe essere interessato?

— Fino a ora il campo sembra sgombro — rispose Lillian. — Ho chiesto alla mamma che cosa sapeva di Kendall — aggiunse

Daisy. — Mi ha detto che possiede una fortuna notevole e non è gravato da alcun tipo di debito.

— Come fa a saperlo? — chiese Annabelle. — Su richiesta della mamma nostro padre ha commissionato un rapporto

scritto su qualunque membro scapolo della nobiltà inglese. E l'ha memorizzato. Dice che il pretendente ideale per ognuna di noi sarebbe un duca caduto in miseria, il cui titolo garantirebbe ai Bowman il successo in società mentre il nostro denaro garantirebbe la sua disponibilità. — Il sorriso di Daisy si fece sardonico, e accarezzò con affetto la mano della sorella maggiore, prima di proseguire. — Hanno composto una poesia su Lillian, quando eravamo a New York. Se tu Lillian sposerai, un milione otterrai... L'espressione divenne così popolare da rappresentare una delle ragioni per cui siamo dovute partire per Londra. La nostra famiglia passava per un branco di idioti goffi e ambiziosi.

— Perché, non lo siamo? — chiese Lillian in tono amaro. Daisy incrociò il suo sguardo. — Per fortuna siamo partiti prima che ne

inventassero una anche su di me.

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— L'ho fatto io. Se Daisy sposerai, oziare tu potrai. — Daisy le rivolse un'occhiata eloquente e sua sorella sorrise. — Non preoccuparti. Alla fine riusciremo a inserirci nella buona società londinese, e allora sposeremo lord Indebitato e il marchese Taschevuote e otterremo finalmente il nostro posto di signore del castello.

Annabelle scosse la testa con un sorriso solidale, mentre Evie si allontanava mormorando qualcosa, presumibilmente per andare in bagno. Annabelle era quasi dispiaciuta per le Bowman, perché iniziava a capire che le loro possibilità di sposarsi per amore non erano maggiori delle sue.

— Entrambi i vostri genitori aspirano a farvi sposare qualcuno con un titolo nobiliare? — chiese. — Che cosa ne pensa vostro padre?

Lillian si strinse nelle spalle con aria indifferente. - Per quel che ricordo, non ha mai avuto un'opinione su qualunque cosa

riguardasse i suoi figli. Tutto quello che desidera è essere lasciato in pace in modo da potersi dedicare alla sua attività preferita: guadagnare ancora di più. Quando gli scrivevamo, ignorava regolarmen-te il contenuto della lettera, a meno che non ci capitasse di chiedergli se potevamo prelevare altri soldi dalla banca. In quel caso, rispondeva con una sola riga: prelievo consentito.

Daisy sembrava condividere l'umorismo amaro della sorella. — Credo che a papà vada bene che la mamma si occupi di trovarci marito, così è troppo occupata per seccare lui.

— Santo cielo — mormorò Annabelle. — E non pro-testa mai quando chiedete più soldi?

— No, mai — rispose Lillian, scoppiando a ridere davanti al suo sguardo di palese invidia. — Siamo disgustosamente ricchi, Annabelle, e ci sono anche tre fratelli più grandi di me, nessuno dei quali è sposato. Vorresti prenderli in considerazione? Te ne faccio spedire uno al di qua dell'Atlantico, se vuoi dargli un'occhiata.

— È una proposta allettante, ma no, grazie — rispose Annabelle. — Non voglio vivere a New York. Preferirei sposare un nobile inglese.

— È davvero così meraviglioso essere sposata con un nobile inglese? — chiese Daisy perplessa. — Abitare in una di quelle vecchie dimore piene di spifferi e con pessime tubature, dover imparare tutte quelle infinite regole sul modo corretto di fare qualsiasi cosa...

— Non sei nessuno, se non sei sposata con un nobile. In Inghilterra, la nobiltà è tutto. Determina il modo in cui ti trattano gli altri, le scuole che i

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tuoi figli frequenteranno, i luoghi in cui sarai invitata... ogni aspetto della tua vita.

— Non so... — iniziò Daisy, ma venne interrotta dal ritorno di Evie. Nonostante non mostrasse in alcun modo di avere fretta, i suoi occhi

azzurri scintillavano di eccitazione e le sue guance erano colorite per l'emozione. Prese la sedia su cui era seduta in precedenza e si appollaiò sul bordo, chinandosi verso Annabelle, sussurrando e balbettando.

— Ho d-d-dovuto tornare indietro a dirtelo: è solo! — Chi? — sussurrò Annabelle di rimando. — Chi è solo? — Lord Rendall! L'ho visto sul terrazzo sul retro. È seduto a uno dei

tavoli per conto suo. Lillian si accigliò. — Forse aspetta di incontrare qualcuno. Nel qual

caso, non sarebbe bene per Annabelle piombargli addosso come un rinoceronte alla carica.

— Forse potresti trovare una metafora più lusinghiera, cara — commentò Annabelle in tono quieto, ottenendo come risposta un sorriso.

— Mi dispiace. Solo, procedi con cautela. — Messaggio ricevuto — rispose Annabelle con un sorriso, alzandosi e rassettandosi le gonne. — Andrò a vedere com'è la

situazione. Ottimo lavoro, Evie. — Buona fortuna — disse Evie, e tutte incrociarono le dita,

osservandola mentre usciva dalla sala. Il cuore di Annabelle batteva all'impazzata, mentre procedeva attraverso

la casa. Sapeva bene che si stava muovendo al limite di un intricato labirinto di convenzioni sociali. Una signora non doveva mai cercare deliberatamente la compagnia di un gentiluomo; ma se si fossero incontrati per caso oppure fosse capitato loro di trovarsi sullo stesso divano, potevano scambiarsi qualche frase di circostanza. Non dovevano mai stare da soli, a meno che non stessero cavalcando o si trovassero su un calesse scoperto. Se a una ragazza accadeva di imbattersi in un gentiluomo mentre usciva a passeggiare in giardino, doveva avere cura di assicurarsi che la situazione non potesse apparire in alcun modo compromettente.

Ovviamente, a meno che non desiderasse essere compromessa. Avvicinandosi alla lunga serie di porte-finestra che si aprivano

sull'ampia terrazza dal pavimento di marmo, Annabelle scorse la propria preda. Come aveva detto Evie, lord Kendall era seduto da solo a un tavolo, appoggiato allo schienale della sedia, con una gamba allungata in modo

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rilassato. Sembrava che si stesse godendo un momento di tregua dall'atmosfera surriscaldata della casa.

Si diresse silenziosamente alla porta più vicina e scivolò fuori. L'aria era leggermente profumata di erica e mirto, mentre il rumore del fiume che scorreva al di sotto dei giardini offriva un sottofondo rilassante. Tenendo la testa chinata, Annabelle si strofinò le tempie con lo dita come se fosse afflitta da un fastidioso mal di testa. Quando giunse a circa tre metri dal tavolo a cui si trovava Kendall, sollevò lo sguardo e finse di sussultare, come se fosse sorpresa di trovarlo lì.

— Oh — mormorò. Non era affatto difficile sembrare senza fiato. Era agitata, sapendo quanto fosse importante fare una buona impressione. — Non mi ero resa conto che qui fuori ci fosse qualcuno...

Kendall si alzò e le lenti dei suoi occhiali scintillarono alla luce delle torce che illuminavano la terrazza. Aveva un fisico talmente esile da sembrare quasi privo di sostanza e la giacca gli ricadeva a piombo dalle spalle imbottite. Nonostante fosse circa dieci centimetri più alto di lei, non si sarebbe stupita che avessero lo stesso peso. Il suo atteggiamento era al tempo stesso diffidente e stranamente teso, come quello di un cervo pronto a una fuga precipitosa. Mentre lo osservava, dovette ammettere che non era il tipo d'uomo per il quale avrebbe provato una naturale attrazione. D'altro canto, non le piacevano i sottaceti. Ma se fosse stata sul punto di morire di fame e qualcuno le avesse allungato un barattolo di sottaceti, difficilmente avrebbe storto il naso.

— Salve — disse Kendall con una voce quieta e raffinata, anche se dal timbro un po' troppo acuto. — Non c'è bisogno di allarmarsi. Sono assolutamente innocuo.

— Su questo mi riservo di decidere — disse lei con un sorriso, seguito da una piccola smorfia, come se lo sforzo le avesse procurato dolore. — Perdonatemi per aver invaso la vostra privacy, signore. Desideravo respirare una boccata d'aria fresca. — Inspirò finché i suoi seni non premettero in modo invitante contro i confini del corsetto. — L'atmosfera all'interno è un po' soffocante, non trovate?

Kendall le si avvicinò tendendole una mano, come se temesse che potesse crollare a terra.

— Posso portarvi qualcosa? Un bicchiere d'acqua? — No, vi ringrazio. Pochi attimi all'aria aperta mi rimetteranno in sesto.

— Annabelle si adagiò con grazia sulla sedia più vicina. — Anche se... — Fece una pausa e si sforzò di sembrare imbarazzata. — Non è bene che ci

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vedano insieme senza uno chaperon. Specialmente dal momento che non siamo stati presentati ufficialmente.

L'uomo fece un inchino. — Lord Kendall, al vostro servizio. — Sono la signorina Annabelle Peyton — disse lei e lanciò un'occhiata

alla sedia vuota lì accanto. — Sedete, vi prego. Prometto che non appena la mia testa si sarà ripresa, sparirò immediatamente.

Kendall obbedì con cautela. — Non ce ne alcun bisogno. Rimanete pure quanto volete.

Era un inizio incoraggiante. Tenendo a mente il consiglio di Lillian, Annabelle soppesò la frase successiva con molta attenzione. Dal momento che Kendall era inseguito da uno stuolo di ragazze da marito, doveva distinguersi fingendo di essere l'unica non interessata a lui.

— Posso immaginare perché siete venuto qui fuori da solo — disse con un sorriso. — Nel tentativo disperato di non essere travolto da donne troppo entusiaste.

Lui le lanciò un'occhiata sorpresa. — In effetti, è così. Devo dire che non sono mai stato a una festa con un numero così elevato di donne eccessivamente... amichevoli.

— Aspettate la fine del mese. A quel punto saranno diventate talmente amichevoli che vi occorreranno una frusta e una sedia per tenerle a bada.

— Sembrate dare per scontato che io sia una specie di bersaglio per mire matrimoniali — commentò Kendall in tono asciutto, fingendo di ignorare quello che era già ovvio.

— L'unico modo in cui potreste essere un bersaglio più evidente di quanto non siate già, sarebbe dipingervi dei cerchi sul retro della giacca — disse Annabelle, facendolo ridere. — Posso chiedervi per quale altra ragione vi siete rifugiato su questo terrazzo, signore?

Lui continuò a sorridere e sembrò molto più a suo agio di quanto si fosse mostrato all'inizio. — Temo di non reggere il liquore. Riesco a bere solo una certa quantità di porto, e solamente per non essere scortese.

Annabelle non aveva mai incontrato un uomo disposto ad ammettere una cosa del genere. La maggior parte dei gentiluomini identificavano la virilità con la capacità di ingollare una dose di alcool sufficiente a far ubriacare un elefante.

— Vi fa star male? — chiese con aria comprensiva. — Come un cane. Mi hanno detto che la tolleranza aumenta con

l'esercizio, ma mi sembra un obiettivo inutile. Penso che ci siano modi migliori di passare il tempo.

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— Per esempio? Kendall soppesò la domanda con attenzione. — Una passeggiata in

campagna. Un libro che allarghi la mente. — I suoi occhi ebbero uno scintillio amichevole. — Una conversazione con una nuova amica.

— Anche a me piacciono queste cose. — Davvero? — L'uomo esitò, mentre il rumore del fiume e l'oscillare

delle fronde degli alberi sembravano sussurrare nell'aria. — Forse vi andrebbe di fare una passeggiata con me domani mattina. Ne conosco di bellissime nei dintorni di Stony Cross.

L'improvviso entusiasmo di Annabelle fu difficile da tenere a bada. — Mi piacerebbe — rispose. — Ma... se posso osare chiederlo, come la

metterete con il vostro... seguito? Kendall sorrise, rivelando una fila di denti piccoli e bianchi. — Mi aspetto che nessuno ci importuni, se partiamo abbastanza presto. — Io mi alzo sempre presto — mentì Annabelle. — E adoro camminare. — Allora facciamo alle sei? — Alle sei — confermò lei, alzandosi. — Devo tornare dentro,

altrimenti la mia assenza sarà notata. Mi sento molto meglio, comunque. Grazie per il vostro invito, signore. — Si concesse un piccolo sorriso civettuolo. — E per aver condiviso il terrazzo con me.

Mentre rientrava, chiuse per un attimo gli occhi ed emise un sospiro di sollievo. Era stato un buon inizio e suscitare l'interesse di Kendall si era rivelato molto più facile di quanto si aspettasse. Con un pizzico di fortuna e un po' di aiuto da parte delle sue amiche, poteva riuscire a sposare un nobile. E a quel punto tutti i problemi si sarebbero risolti.

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Quando la riunione del dopocena fu conclusa, la maggior parte degli ospiti iniziò a ritirarsi per la notte. Appena Annabelle fece il suo ingresso nel salone, vide che le sue amiche la stavano aspettando. Sorridendo alla vi-sia dei loro volti pieni di aspettativa, si recò insieme a loro in un angolo isolato in cui sarebbe stato possibile scambiare qualche parola in privato.

— Allora? — chiese Lillian. — La mamma e io andremo a fare una passeggiata con lord Kendall

domani mattina — disse Annabelle. — Da sole?

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— Da sole — confermò Annabelle.— Abbiamo deciso di incontrarci all'alba, per evitare di essere scortati da una schiera di donne a caccia di marito.

Se fossero state in un luogo privato, avrebbero potuto gridare dall'entusiasmo. Invece si accontentarono di scambiarsi sorrisi trionfanti, mentre Daisy batteva i pie-di in terra in una specie di danza della vittoria.

— C-come? — chiese Evie. — Timido, ma gradevole — rispose Annabelle. — E sembra dotato di

senso dell'umorismo, cosa che non avevo osato sperare. — E ha anche i denti! — esclamò Lillian. — Avevi ragione sul fatto che è molto timido. Sono certa che lord

Kendall non potrebbe essere attratto da una donna determinata. È cauto e parla a voce bassa. Sto cercando di mostrarmi molto docile, anche se forse dovrei sentirmi in colpa per ingannarlo così.

— Tutte le donne lo fanno, durante il corteggiamento... e anche gli uomini, se è per questo — commentò Lillian in tono pragmatico. — Cerchiamo di nascondere i nostri difetti e dire le cose che immaginiamo l'altro voglia sentire. Fingiamo di essere sempre amabili e di buon carattere e che non ci importino le piccole fastidiose abitudini dell'altro. Poi, dopo il matrimonio, diventiamo molto più severe.

— Però non credo che gli uomini debbano fingere tanto quanto le donne — replicò Annabelle. — Se un uomo è grasso, o ha i denti gialli, o non è particolarmente intelligente, è considerato lo stesso un buon partito; basta che sia un gentiluomo e abbia del denaro. Mentre le donne sono valutate in base a criteri molto più selettivi.

— Che è poi il motivo per cui siamo zitelle — disse Evie. — Non lo saremo ancora a lungo — promise Annabelle con un sorriso. La zia di Evie arrivò dalla sala da ballo: sembrava una strega, con un

abito nero che mal si adattava al suo colorito giallastro. — Evangeline — chiamò in tono severo, lanciando un'occhiata di

riprovazione al gruppo di ragazze mentre faceva a sua nipote cenno di seguirla. — Ti ho avvertita che non devi sparire in questo modo. Ti ho cercata ovunque per almeno dieci minuti, e non ricordo che tu abbia chiesto il permesso di incontrarti con le tue amiche. E tra tutte le ragazze con cui potevi legare... — Continuando a parlare con tono irato, la zia Florence si diresse a passi decisi verso la scalinata, Evie emise un sospiro e la seguì con aria rassegnata. Mentre la guardavano andar via, allungò una mano dietro la schiena e agitò le dita in segno di saluto.

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Lillian infilò il braccio in quello di Daisy. — Andiamo cara, prima che la mamma si renda conto che siamo sparite. — Si rivolse ad Annabelle con un sorriso interrogativo. — Vieni a fare due passi con noi, Annabelle?

— No, grazie. Mia madre mi aspetta ai piedi delle scale tra pochi minuti. — Allora buonanotte.— Gli occhi scuri di Lillian scintillarono. —

Quando ci sveglieremo, domani, sarai già andata a fare la tua passeggiata con Kendall. Mi aspetto un resoconto dettagliato a colazione.

Annabelle la salutò affettuosamente e osservò le due sorelle allontanarsi. Si incamminò lentamente e si fermò alla base dello scalone a spirale. A quanto pareva, come al solito Philippa ci stava mettendo un'infinità di tempo a concludere una conversazione nel salone. Ad Annabelle, tuttavia, non dispiaceva aspettare. In testa le si affollavano mille pensieri, comprese battute che avrebbero potuto divertire Kendall durante la loro passeggiata il giorno successivo o idee su come attirare su di sé la sua attenzione, nonostante la corte che molte altre ragazze gli avrebbero fatto nelle settimane seguenti.

Se fosse riuscita ad attrarlo e se le sue amiche fossero riuscite a mettere in atto il loro piano per incastrarlo, come sarebbe stato essere la moglie di un uomo simile? Sapeva d'istinto che non si sarebbe mai potuta innamorare di qualcuno come lui, ma giurò a se stessa che avrebbe fatto tutto il possibile per essere una buona moglie. Di certo, col passare del tempo, avrebbe finito per nutrire dell'affetto nei suoi confronti. Il matrimonio con Kendall poteva essere molto piacevole. La sua vita sarebbe stata comoda e sicura e non avrebbe mai più dovuto preoccuparsi se c'era cibo sufficiente da mettere in tavola. Cosa ancora più importante, Jeremy avrebbe avuto un futuro assicurato e sua madre non avrebbe più dovuto tollerare le ripugnanti attenzioni di lord Hodgeham.

In quel momento sentì il rumore di passi pesanti che scendevano le scale. In piedi vicino alla balaustrata, guardò verso l'alto con un sorriso e si sentì di colpo gelare il sangue nelle vene. Interdetta, si trovò davanti un volto grassoccio sormontato da una cresta cadente di capelli grigi. Hodgeham? Non poteva essere!

L'uomo raggiunse la base delle scale e si fermò davanti a lei, accennando un inchino con aria soddisfatta. Mentre Annabelle fissava quei gelidi occhi azzurri, ebbe la sensazione che il cibo che aveva mangiato si fosse compattato in una palla spinosa che le rotolava su e giù per lo stomaco.

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Com'era possibile che si trovasse lì? Perché non l'aveva incontrato prima, durante la giornata? Al pensiero che sua madre era sul punto di fare lo stesso sgradevole incontro, il sangue prese a ribollirle nelle vene. Quell'uomo insolente e volgare, che si atteggiava a loro benefattore e obbligava Philippa ad accettare le sue ripugnanti attenzioni in cambio di poche manciate di spiccioli, era apparso per perseguitarle nel peggior momento possibile. Nulla avrebbe potuto tormentare di più Philippa della presenza di Hodgeham a quella festa. Poteva rivelare in qualunque momento la natura della sua relazione con lei, poteva rovinarle con estrema facilità, e loro non avevano alcun mezzo per obbligarlo a tacere.

— Allora, signorina Peyton — mormorò mentre il suo viso rubicondo si arrossava di malevolo compiacimento.

— Che piacevole coincidenza che siate proprio voi la prima degli ospiti che incontro a Stony Cross Park.

Annabelle si sentì percorrere da brividi gelidi, mentre si costringeva a sostenere il suo sguardo. Cercò di bandire ogni emozione dalla propria espressione, ma Hodgeham sorrise con aria malvagia, evidentemente consapevole dell'ostilità e della paura che la divoravano.

— Dopo le fatiche del viaggio da Londra — continuò — ho scelto di cenare in camera mia. Mi dispiace non avervi incontrato

prima. Tuttavia, avremo molle opportunità di vederci, nelle prossime settimane. La vostra affascinante madre è qui con voi, presumo...

Annabelle avrebbe dato qualsiasi cosa per rispondere di no. Il cuore le batteva così forte che aveva l'impressione che non le arrivasse aria nei polmoni: si sforzò di pensare e parlare superando quel battito frenetico.

— Non osate avvicinarvi a lei — disse, sorpresa dalla fermezza della propria voce. — Non provate nemmeno a parlarle.

— Ah, signorina Peyton, voi mi ferite. Io, che sono stato l'unico amico della vostra famiglia in questi tempi difficili, quando tutti gli altri vi hanno abbandonato.

Annabelle lo fissava immobile, senza battere ciglio, come se si trovasse di fronte a un serpente velenoso che poteva attaccarla da un momento all'altro.

— Una fortunata coincidenza, non vi pare, quella di incontrarsi alla stessa festa? — rispose Hodgeham. Fece una risatina e il movimento gli fece scivolare sulla fronte una ciocca unta. Se la risistemò con il palmo grassoccio. La fortuna è stata benevola con me, concedendomi una tale vicinanza tra me e una donna che apprezzo enormemente.

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— Non ci sarà alcuna vicinanza tra voi e mia madre — disse Annabelle, stringendo forte la mano a pu-gno e cercando di trattenersi dall'usarla per colpire quel viso dall'espressione gongolante. — Vi avverto, signore: se osate importunarla in qualsiasi modo...

— Mia cara ragazza, non penserete che io mi riferissi a Philippa? Siete troppo modesta. Io intendevo voi. Vi ammiro da molto tempo. In realtà, non vedevo l'ora di dimostrarvi la natura dei miei sentimenti. Ora sembra che il destino ci abbia concesso un'opportunità perfetta per approfondire la nostra conoscenza.

— Preferirei coricarmi in un covo di serpi — replicò Annabelle in tono gelido, ma nella sua voce si avvertiva un tremito, e Hodgeham sorrise soddisfatto.

— Sulle prime protesterete, è naturale. Le ragazze come voi lo fanno sempre. Ma poi farete la cosa più sensata, quella più saggia, e scoprirete i vantaggi di diventare mia umica. Posso essere un amico prezioso, mia cara. E se mi soddisferete, vi ricompenserò generosamente.

Annabelle cercò disperatamente di trovare un modo per togliergli ogni speranza di poter far di lei la sua amante. La paura di sconfinare nel territorio di un altro uomo era probabilmente l'unica cosa che poteva tenere Hodgeham lontano da lei. Così si sforzò di prodursi in un sorriso sdegnoso.

— Vi sembra che io abbia bisogno della vostra cosiddetta amicizia? — chiese, sollevando con le dita le pieghe dell'elegante abito nuovo che indossava. — Vi sbagliate. Ho già un protettore, uno molto più generoso di voi. Così farete meglio a lasciare in pace me e mia madre, o dovrete vedervela con lui.

Annabelle vide la progressione delle emozioni che si succedevano sul viso di Hodgeham, dall'incredulità iniziale alla rabbia e

infine al sospetto. — Chi è? — Perché dovrei dirvelo? — chiese Annabelle con un sorriso gelido. —

Preferisco di gran lunga lasciarvi qui a domandarvelo. — State mentendo, lurida puttana! — Credete quello che volete — mormorò Annabelle. Le mani grassocce di Hodgeham fecero per chiudersi a pugno, come se desiderasse afferrarla e scuoterla fino a farla

confessare. Invece la scrutò, stravolto dalla furia.

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— Non ho finito con voi — bofonchiò, sputacchiando gocce di saliva dalle labbra carnose. — Non ho affatto finito. — Si allontanò bruscamente, troppo infuriato anche solo per fingere di accennare un saluto.

Annabelle rimase immobile. La sua rabbia sbollì, cedendo il passo un enorme senso di ansietà che la invase completamente. Quello che aveva detto a Hodgeham sarebbe bastato a tenerlo a bada? No, si trattava solo di una soluzione temporanea. Nei giorni a venire quel verme l'avrebbe tenuta d'occhio attentamente, analizzando ogni sua parola e ogni suo gesto per scoprire se gli aveva mentito sul fatto di avere un protettore. Poi ci sarebbero state minacce e frecciate, per farle cedere i nervi. Ma costasse quel che costasse, non poteva assolutamente permettergli di rivelare la relazione che aveva con sua madre. Avrebbe rovinato Philippa e di certo avrebbe mandato in fumo qualunque possibilità di sposarsi.

Nella mente le turbinavano pensieri inquieti, mentre se ne stava immobile, come paralizzata, finché una voce pacata non la fece sobbalzar e.

— Interessante. Di che cosa stavate discutendo voi e lord Hodgeham? Impallidendo, Annabelle si voltò, per trovarsi faccia a faccia con Simon

Hunt, che si era avvicinato silenzioso come un gatto. Le ampie spalle dell'uomo schermavano la luce che arrivava dal salone. Nella sua imponenza, appariva molto più minaccioso di Hodgeham.

— Che cos'avete sentito? — gli chiese d'istinto, maledicendosi dentro di sé per l'atteggiamento difensivo che la sua voce tradiva.

— Nulla — rispose lui in tono quieto. — Ho semplicemente osservato la vostra faccia mentre parlavate con lui. Eravate ovviamente sconvolta da qualcosa.

— Non ero sconvolta. Avete interpretato male la mia espressione, signor Hunt.

L'uomo scosse la testa e la sorprese sfiorandole con un dito la parte superiore del braccio, che il guanto lasciava scoperta.

— Quando vi arrabbiate, vi coprite di chiazze rosse. Abbassando lo sguardo, Annabelle vide una pallida macchia di colore, segno rivelatore della tendenza della sua pelle ad

arrossire a tratti come reazione a un'emozione violenta. La carezza lieve del suo dito le procurò un brivido e indietreggiò di un

passo. — Siete nei guai, Annabelle? — chiese piano Hunt. Non aveva alcun diritto di domandarle nulla con quel

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tono gentile, quasi preoccupato, come se fosse una persona a cui lei poteva chiedere aiuto... Come se lei sarebbe mai riuscita a indursi a farlo.

— Vi piacerebbe, non è vero? — ribatté. — Qualsiasi problema io possa avere, sarebbe un piacere infinito per voi: così potreste farvi avanti, offrire il vostro aiuto e approfittare della situazione.

Gli occhi di Hunt erano fissi su di lei. — Che genere di aiuto vi serve? — Nessuno, da voi — tagliò corto Annabelle. — E non usate il mio

nome di battesimo. Vi sarò grata se d'ora in poi vorrete rivolgervi a me come si conviene, o meglio ancora evitare del tutto di parlarmi. — Incapace di sostenere un minuto di più lo sguardo penetrante di lui, Annabelle gli passò accanto. — Ora, se volete scusarmi, devo andare a cercare mia madre.

Lasciandosi cadere sulla sedia accanto al tavolino da toeletta, Philippa fissò la figlia con aria attonita. Annabelle aveva aspettato che fossero al sicuro nell'intimità della loro camera prima di darle la terribile notizia. A Philippa servì più di un minuto per assimilare l'informazione: l'uomo che più temeva e detestava era a sua volta ospite a Stony Cross Park.

Annabelle si era aspettata che sua madre scoppiasse a piangere, ma sua madre la sorprese inclinando la testa da un lato e restando a fissare un angolo buio della stanza con un sorriso strano, tirato. Era un sorriso che Annabelle non aveva mai visto sul suo viso, prima di allora: esprimeva una sorta di amarezza rassegnata, la sensazione che non servisse a nulla cercare di migliorare la propria situazione, tanto alla fine il destino avrebbe inesorabilmente fatto il proprio corso.

— Vuoi che lasciamo Stony Cross Park? Possiamo tornare a Londra immediatamente.

La domanda aleggiò nell'aria per diversi secondi. Quando Philippa rispose, la sua voce era fioca, come se fosse persa nella contemplazione di qualcosa.

— Se lo facessimo, non avresti più alcuna speranza di sposarti. No, la nostra unica scelta è affrontare la situazione fino in fondo. Domani mattina andremo a passeggiare con lord Kendall: non permetterò che Hodgeham rovini quest'opportunità.

— Sarà una continua fonte di problemi — disse Annabelle in tono pacato. — Se non torniamo in città, il nostro soggiorno qui diventerà un incubo.

Philippa si voltò verso di lei con la stessa espressione scoraggiata.

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— Mia cara, se non troverai qualcuno da sposare, sarà quando torneremo a Londra che inizierà il vero incubo.

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Tormentata dall'angoscia, Annabelle dormì in tutto due o tre ore. Quando si svegliò aveva gli occhi segnati dal le occhiaie e il volto pallido e tirato.

— Maledizione — mormorò, inzuppando un panno nell'acqua fredda e usandolo per tamponarsi il viso.

— Così non va bene. Questa mattina dimostro un centinaio d'anni. — Che cos'hai detto, mia cara? — chiese sua madre con aria assonnata.

Era in piedi dietro di lei, con indosso una camicia lisa e delle pantofole consunte.

— Nulla, mamma. Parlavo tra me e me. — Annabelle si strofinò la faccia energicamente per riportare un po' di colore sulle guance. — Non ho dormito bene, questa notte.

Avvicinandosi, Philippa la osservò attentamente. — In effetti hai l'aria un po' stanca. Farò portare del tè.

— Chiedine una teiera grande — raccomandò Annabelle. Scrutando nello specchio i propri occhi venati di rosso, si corresse. — Due teiere.

Philippa sorrise con aria solidale. — Che cosa indosseremo per la nostra passeggiata con lord Kendall?

Annabelle strizzò il panno, prima di riporlo sul lavabo. — I nostri abiti più vecchi, direi, perché potrebbe esserci parecchio fango sui sentieri del bosco. Ma possiamo drappeggiarci sopra i nuovi scialli di seta che mi hanno regalato Lillian e Daisy.

Dopo aver mandato giù una tazza di tè bollente e aver dato qualche morso affrettato a una fetta di pane tostalo, Annabelle finì di vestirsi. Si osservò con occhio critico nello specchio. Lo scialle blu di seta annodato sulle spalle nascondeva bene il bustino liso dell'abito che indossava. E il cappellino nuovo, anche quello un regalo delle sorelle Bowman, le donava

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moltissimo, dal momento che la fodera violetta faceva risaltare l'azzurro dei suoi occhi.

Soffocando uno sbadiglio, si recò con Philippa sulla terrazza posteriore della villa. Era talmente presto che probabilmente la maggior parte degli ospiti di Stony Cross Park era ancora a letto. Solo alcuni gentiluomini che avevano deciso di andare a pesca di trote si erano presi la briga di alzarsi di buon'ora. Un piccolo gruppo faceva colazione ai tavoli esterni, mentre i loro servitori aspettavano poco lontano con canne da pesca e cestini.

La serenità della scena era turbata da un fastidioso clamore, assolutamente insolito per quell'ora del mattino.

— Santo cielo! — senti esclamare a sua madre. Seguendo la direzione del suo sguardo, Annabelle lanciò un'occhiata verso l'altra estremità della terrazza, sommersa da una cacofonia di ragazze dall'aria aggressiva, freneticamente intente a parlare, ridere e lanciare grido-lini. Circondavano qualcosa che rimaneva nascosto alla vista dalla piccola folla che lo assediava. — Che cosa ci fanno tutte qui? — chiese Philippa allibita.

Annabelle sospirò rassegnato. — Un battuta di caccia all'alba, temo. Philippa rimase a bocca aperta, fissando lo sconcertante gruppo di

ragazze. — Non vorrai dire... Credi davvero che il povero lord Kendall sia

imprigionato lì in mezzo? Annabelle annuì. — E da come si presenta la situazione, non rimarrà

molto di lui, quando avranno finito. — Ma aveva preso accordi per fare una passeggiata con te. Solo con te,

e con me come chaperon. Quando alcune delle ragazze notarono la presenza di Annabelle dall'altro

lato della terrazza, si strinsero ancora più affannosamente intorno alla loro preda. O Kendall aveva confidato stupidamente a qualcuno il loro progetto, o la frenesia matrimoniale aveva raggiunto un picco tale che non poteva più avventurarsi fuori dalla sua stanza, a qualunque ora del giorno o della notte, senza attirare su di sé una folla di donne.

— Non rimanere qui impalata — la spronò Philippa. — Vai a unirti al gruppo e cerca di attirare la sua attenzione.

Annabelle le rivolse un'occhiata dubbiosa. — Alcune di quelle ragazze hanno un'aria feroce. Non vorrei essere morsa.

Sentendo una risata a distanza ravvicinata, si voltò nella direzione da cui proveniva il suono. Come c'era da aspettarsi, Simon Hunt se ne stava vicino alla balaustrata del terrazzo e sorseggiava serenamente il suo caffè

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da una tazzina che quasi scompariva nella sua grande mano. Come gli altri pescatori, indossava un abito spor-tivo di tweed e lana grezza, con una camicia di lino col collo sbottonato. Lo sguardo di derisione che gli scintillava negli occhi rivelava chiaramente il suo interesse per la situazione.

Senza averlo deciso consapevolmente, Annabelle si avvicinò a lui. Fermandosi a pochi passi di distanza, appoggiò i gomiti sulla balaustrata, a contemplare lo spettacolo della nebbia del mattino.

Spinta dal desiderio di scuotere la sua irritante sicurezza, Annabelle non seppe trattenersi. — Lord Kendall e lord Westcliff non sono gli unici scapoli presenti a Stony Cross, signor Hunt. Viene da chiedersi perché voi non siate inseguito al pari di loro.

— È ovvio — rispose lui in tono ironico, portandosi la tazza alle labbra. — Non sono un nobile... e poi sarei un marito terribile. — Le lanciò un'occhiata obliqua. — Quanto a voi, nonostante la mia simpatia per la vostra causa, non vi consiglio di cercare di conquistare Kendall.

— La mia causa? — ripeté Annabelle, subito offesa dalla parola. — Che cosa intendete dire, signor Hunt?

— Voi desiderate il meglio per Annabelle Peyton. Ma Kendall non rientra nella categoria. Un'unione tra voi e lui sarebbe un vero disastro.

Annabelle si voltò a fissarlo socchiudendo gli occhi. - Perché? — Perché è troppo affabile per voi. — Hunt sorrise nel vedere la sua

espressione. — Non lo intendevo come un insulto. Non mi piacereste nemmeno la metà di quanto mi piacete se foste una donna affabile. Tuttavia, non siete adatta a Kendall, né lui andrebbe bene per voi, alla fine, finireste per ferirlo fino a che la sua anima di gentiluomo non si accascerebbe disfatta ai vostri piedi.

Annabelle provava il desiderio di cancellargli dalla fac-cia quel sorrisetto di superiorità con un ceffone, proprio lei che non aveva mai provato l'impulso di fare del male fisico a qualcuno. La sua rabbia non era affatto mitigala dal fatto che Hunt avesse ragione. Sapeva bene di essere troppo vitale e determinata per un uomo gentile e forbito come Kendall. Ma quelli non erano affari di Simon Hunt... oltre al fatto che né lui né alcun altro uomo le avrebbero offerto un'alternativa migliore.

— Signor Hunt — disse in tono garbato, fulminandolo con lo sguardo. — Perché non andate al...

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— Signorina Peyton!— La fievole esclama/ione giunse da una distanza di parecchi metri, e Annabelle vide lord Kendall affannarsi per emergere dalla massa di donne che lo circondavano. Aveva un aspetto disordinato e un'aria un po' provata quando riuscì finalmente a farsi strada fino a lei. — Buongiorno, signorina Peyton. — Si interruppe per sistemarsi il nodo della cravatta e raddrizzarsi gli occhiali sul naso. — A quanto pare non siamo gli unici che hanno avuto l'idea di fare una passeggiata, questa mattina. — Vogliamo fare lo stesso un tentativo?

Annabelle esitò, gemendo tra sé. Non avrebbe potuto concludere granché durante la passeggiata con Kendall, dal momento che sarebbero stati accompagnati da almeno due dozzine di donne. Sarebbe stato come cercare di conversare tranquillamente in mezzo a uno stormo di gazze. D'altro canto, non poteva certo rifiutare il suo invito, con il rischio che potesse offendersi e non rivolgergliene più un altro.

Sfoderò un sorriso radioso. — Ne sarei felice, signore. — Ottimo. Ci sono degli affascinanti esemplari di flora e di fauna che

vorrei mostrarvi. Sono un botanico dilettante e ho studiato attentamente la vegetazione originaria dell'Hampshire...

Le sue parole furono sepolte dal frastuono, mentre una folla di ragazze entusiaste si stringeva intorno a lui.

— Oh, quanto adoro le piante! — tubò una. — Non c'è neanche un arbusto che io non trovi affascinante.

— E la campagna sarebbe così poco attraente senza piante — cinguettò un'altra.

— Oh, lord Kendall — implorò una terza. — Dovete assolutamente spiegarmi la differenza tra flora e fauna...

La folla di ragazze portò via Kendall come se una corrente impetuosa lo trascinasse al largo. Philippa le seguì, determinata a favorire gli interessi di Annabelle.

— Mia figlia è probabilmente troppo modesta per confidarvi la sua grande sensibilità nei confronti della natura... — iniziò a dire.

Kendall lanciò uno sguardo impotente al di sopra della spalla, mentre veniva trascinato verso i gradini che scendevano dalla terrazza.

— Signorina Peyton? — Sto arrivando! —gridò Annabelle, mettendo le mani a coppa sulla

bocca per farsi sentire. La risposta di Kendall, se ce ne fu una, non si udì.

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Con movimenti lenti e rilassati, Simon Hunt posò la tazzina vuota sul tavolo più vicino e mormorò qualcosa al servitore che teneva la sua canna da pesca. L'uomo annuì e si ritirò, mentre lui raggiungeva Annabelle. La ragazza si irrigidì quando si accorse che le camminava a fianco.

— Che cosa state facendo? Hunt infilò tranquillamente le mani nelle tasche della giacca di tweed. — Vengo con voi. Qualunque cosa possa accadere al ruscello delle trote,

non sarebbe neanche lontanamente interessante quanto vedervi competere per conquistare l'attenzione di Kendall. Inoltre, le mie conoscenze di botanica sono tristemente esigue. Potrei imparare qualcosa.

Mordendosi le labbra per non rispondergli come meritava, Annabelle procedette risolutamente dietro Kendall e il suo seguito. Scesero tutti insieme i gradini della terrazza e si avviarono lungo un sentiero che portava nel bosco, dove faggi e querce torreggianti sovrastavano folti strati di muschio, felci e licheni. Sulle prime, Annabelle ignorò la presenza di Simon Hunt accanto a lei, camminando impassibile dietro il codazzo delle ammiratrici di Kendall, che si stava stancando molto, obbligato dalla buona educazione ad aiutare ora l'una ora l'altra delle ragazze a superare ostacoli all'apparenza assolutamente irrisori.

Un albero caduto, la cui circonferenza non superava quella del braccio di Annabelle, divenne un impedimento di tale enormità che tutte ebbero bisogno del suo aiuto per scavalcarlo. Ognuna divenne progressivamente sempre più inerme, finché il poveruomo fu costretto a trasportare fisicamente l'ultima di loro oltre il tronco caduto, mentre la fanciulla lanciava gridolini di finto sgomento stringendogli le braccia intorno al collo.

Camminando dietro di loro a una certa distanza, Annabelle rifiutò il braccio che Hunt le offriva e scavalcò tranquillamente il tronco da sola. Lui sorrise, osservando l'espressione tesa del suo viso.

— Mi aspettavo che a questo punto vi foste già fatta largo fino alla prima fila — osservò.

Annabelle fece uno sbuffo sdegnoso. — Non ho intenzione di sprecare energie a combattere con quel branco di oche. Attenderò che si presenti un momento più opportuno per farmi notare da Kendall.

— Lui vi ha già notata. Sarebbe dovuto essere cieco per non farlo. La domanda è perché pensate che riuscirete a ottenere una proposta di matrimonio da lui, quando non siete riuscita a convincere nessun altro a compiere questo passo nei due anni da che vi conosco.

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— Perché ho un piano — rispose Annabelle seccamente. — Spero che si tratti di qualcosa di subdolo e meschino. Non sembra

che abbiate ottenuto grandi risultati con l'approccio signorile. — Solo perché non ho una dote. Se l'avessi, sarei già sposata da anni. — Io ho del denaro. Quanto ne volete? Annabelle gli lanciò un'occhiata sarcastica. — Avendo un'idea

abbastanza chiara di che cosa chiedereste in cambio, posso tranquillamente dichiarare che non voglio nemmeno uno scellino da voi.

— È bello sapere che siete selettiva su chi frequentare. — Hunt scostò un ramo per lasciarla passare. — Dal momento che ho sentito un pettegolezzo che sosteneva il contrario, mi fa piacere scoprire che è infondato.

— Un pettegolezzo? — Annabelle si fermò in mezzo al sentiero e si girò a guardarlo in faccia. — Su di me? Che cosa potrebbe mai dire chiunque su di me?

Lui rimase in silenzio, scrutando il suo volto turbato. Intanto Annabelle cercava di capire a che cosa alludesse.

— Selettiva... — mormorò. — Su chi frequento? Questo vorrebbe dire che ho avuto dei comportamenti sconvenienti... — S'interruppe di colpo, mentre le compariva davanti agli occhi la massiccia e sgradevole immagine di Hodgeham. Hunt non potè fare a meno di notare il pallore improvviso del suo volto e la piccola ruga di preoccupazione che le apparve sulla fronte. Rivolgendogli un'occhiata gelida, lei si voltò, allontanandosi a passi lenti e pesanti lungo il sentiero coperto di foglie.

Hunt le tenne dietro, mentre giungeva fino a loro la voce distante di Kendall che teneva alle sue fervide ascol-tatrici una conferenza sulle piante che incontravano lungo il cammino. Orchidee rare, celidonie, diverse varietà di funghi... Il discorso era punteggiato continuamente da esclamazioni di entusiastica meraviglia da parte del suo pubblico.

— Queste piante inferiori — stava dicendo Kendall, che si era fermato a indicare uno strato di muschio e di licheni che ricopriva il tronco di una povera quercia — sono classificate come briofite e hanno bisogno di un ambiente umido per vivere. Se venissero private della protezione che offrono loro gli alberi del bosco, morirebbero sicuramente...

— Non ho fatto nulla di male — disse laconicamente Annabelle, chiedendosi perché mai dovesse importarle l'opinione di quell'uomo. Eppure, le importava abbastanza da chiedersi chi gli avesse riferito quel pettegolezzo. Era possibile che qualcuno avesse visto Hodgeham recarsi in

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visita a casa loro di notte? Sarebbe stato molto grave. Un pettegolezzo come quello poteva distruggerti la reputazione, ed era impossibile da smentire. — E non ho alcun rimorso.

— Che peccato! — disse lui in tono disinvolto. — Avere rimorsi è l'unico segno che si è fatto qualcosa di interessante nella vita.

— Quali sono i vostri rimorsi, dunque? — Oh, non ne ho neanch'io. — Una scintilla maliziosa gli brillò negli

occhi. — Non che non abbia provato ad averne, ovviamente. Continuo a fare cose indicibili nella speranza poi di pentirmene. Ma fino a ora... nulla.

Nonostante tutta la sua agitazione, ad Annabelle sfuggì una risatina. Un lungo ramo le sbarrava il cammino, e fece per scostarlo.

— Lasciate fare a me — disse lui spostando il ramo. — Grazie. — Annabelle gli passò accanto, osservando Kendall e le altre

ragazze in lontananza, quando all'improvviso sentì qualcosa che le pungeva il lato interno del piede. — Ahi! —esclamò. Si fermò in mezzo al sentiero, sollevando l'orlo della gonna per scoprire cosa le avesse provocato quel dolore.

— Che cosa c'è? — Hunt fu immediatamente al suo fianco e con una delle sue grandi mani le afferrò il gomito per aiutarla a mantenere l'equilibrio.

— C'è qualcosa che punge nella mia scarpa. — Lasciate che vi aiuti — disse lui, accucciandosi e prendendole tra le

mani la caviglia. Era la prima volta che un uomo le toccava una qualunque parte della gamba, e Annabelle arrossì violentemente.

— Non mi toccate lì — protestò con un veemente sussurro, rischiando di perdere l'equilibrio nel ritrarsi bruscamente da lui. Hunt non mollò la presa. Per evitare di cadere, Annabelle fu costretta ad appoggiarsi alla sua spalla. — Signor Hunt...

— Ho capito di cosa si tratta — la interruppe lui. Annabelle lo sentì sollevare il velo di cotone che le copriva la gamba. — Siete finita in un cespuglio di felci spinose. — Le porse qualcosa da osservare: un ciuffetto di scaglie appuntite che si erano infilale nella calza ed erano arrivate a pungerle il piede.

Sentendosi avvampare il viso, Annabelle continuò ad appoggiarsi alla sua spalla per non cadere. Era incredibilmente dura, la compattezza di ossa e muscoli evidente al tatto, perché non coperta da alcuna imbottitura della giacca. La sua mente allibita intanto cercava faticosamente di accettare il

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fatto che si trovava nel bel mezzo di un bosco con la mano di Simon Hunt sulla sua caviglia.

Notando il suo imbarazzo, lui sorrise. — Ci sono altre spine nella vostra calza. Devo toglierle?

— Fate presto — rispose Annabelle in tono affranto. — Prima che Kendall si volti e vi veda con le mani infilate sotto le mie gonne.

Soffocando una risata, Hunt si mise all'opera rimuovendo abilmente tutte le spine dalla calza. Mentre lui lavorava, Annabelle continuò a fissare il punto della sua nuca in cui le ciocche scure dei capelli si curvavano sulla pelle liscia e abbronzata.

Recuperando la scarpina che le aveva tolto, Hunt gliela infilò al piede con un inchino.

— Mia rustica Cenerentola — disse, dopodiché si rialzò. Mentre scrutava attentamente le guance scarlatte di Annabelle, nei suoi occhi si accese una luce di umorismo scherzoso. — Perché avete indossato delle scarpe così ridicole per una passeggiata nel bosco? Supponevo che avreste avuto il buon senso di scegliere degli stivaletti alla caviglia.

— Non possiedo stivaletti — rispose Annabelle, seccala all'idea che lui la ritenesse un'idiota incapace di scegliere le scarpe adatte per una passeggiata. — Quelli che avevo sono caduti a pezzi e non potevo permettermi di comprarne un paio nuovo.

Con sua grande sorpresa, Hunt non approfittò dell'occasione per prendersi gioco di lei. La sua espressione si fece imperscrutabile e rimase a osservarla per un lungo momento.

— Raggiungiamo gli altri — disse alla fine. — Probabilmente hanno scoperto una varietà di muschio che non abbiamo ancora visto. O, che Dio ci aiuti, un nuovo fungo.

Annabelle sentì allentarsi la tensione che le serrava il petto. — Quanto a me, spero in un lichene.

La sua stessa battuta le strappò un debole sorriso, e Hunt provvide a scostare un ramo che ostacolava il loro cammino. Seguendolo docilmente, Annabelle si sforzò di non pensare a quanto sarebbe stato piacevole starsene seduta sulla terrazza di Stony Cross Park con un vassoio di tè e biscottini.

Raggiunsero la cima di una collinetta e furono accolti dallo spettacolo sorprendente di un mare di campanule che ricoprivano il terreno. Era come finire all'improvviso in un sogno, con quel tappeto azzurro disteso fra i tronchi di querce, betulle e frassini. Il profumo delle campanule si

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espandeva ovunque e l'aria impregnata di quell'aroma riempiva piacevolmente i polmoni.

Fermandosi accanto a un tronco sottile, Annabelle vi passò un braccio intorno e rimase a fissare la distesa di campanule.

— Che spettacolo stupendo — mormorò con espressione radiosa. Sul suo viso l'intreccio dei rami creava un gioco di luci e ombre.

— Davvero. Ma Hunt stava guardando lei, non le campanule, e bastò un solo sguardo

per far accelerare il battito del cuore di Annabelle. Prima di allora, aveva colto sguardi di ammirazione sul viso di altri uomini, e a volte anche qualcosa che aveva riconosciuto come desiderio, ma nessuno di quegli sguardi era mai stato così intensamente intimo, come se Hunt desiderasse qualcosa di più complesso del mero uso del suo corpo.

A disagio, si allontanò dall'albero e si diresse verso Kendall, che stava parlando con sua madre mentre il gruppo delle corteggiatrici si era sparpagliato per raccogliere grandi mazzi di fiori. Molti altri fiori vennero calpestati e spezzati mentre l'orda delle devastatrici metteva insieme il proprio tesoro.

Kendall sembrò sollevato nel vederla avvicinarsi e ancora di più parve apprezzare il sorriso che gli rivolse. A quanto pareva, si aspettava che fosse risentita, come la maggior parte delle donne sarebbero state se fossero state invitate a una passeggiata per poi essere ignorate a favore di altre e più esigenti partecipanti. Poi il suo sguardo si posò sulla sagoma scura di Simon Hunt e nella sua espressione si fece strada un velo di incertezza. I due uomini si scambiarono un cenno di saluto. Hunt aveva l'aria sicura di sé, Kendall sembrava in qualche modo rattristato.

— Vedo che abbiamo attratto ulteriore compagnia — mormorò. Annabelle rivolse a Kendall il suo sorriso più smagliante. — Ovviamente — disse. — Voi siete il pifferaio magico, signore.

Dovunque andate, gli altri vi seguono. L'uomo arrossì, compiaciuto dalla facezia. — Spero che abbiate gradito

la passeggiata fino a questo punto, signorina Peyton. — Oh, sì — lo rassicurò Annabelle. — Anche se devo confessare di

essere finita in un cespuglio di felci spinose. Philippa la guardò preoccupata. — Mio Dio, ti sei fatta male, mia cara? — No, no, è stata una sciocchezza — rispose Annabelle. — Solo un paio

di graffi. E la colpa è del tutto mia: temo di avere scelto le scarpe

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sbagliate. — Allungò il piede per mostrare a Kendall una delle sue pantofoline, assicurandosi di esibire vari centimetri di caviglia aggraziata.

Lui schioccò la lingua con aria rammaricata.— Signorina Peyton, avete bisogno di calzature più robuste di quelle, per avventurarvi nel bosco.

— Avete ragione, ovviamente. — Annabelle si strinse nelle spalle, continuando a sorridere. — Sono stata sciocca a non pensare che il terreno sarebbe stato così accidentato. Cercherò di stare più attenta a dove metto i piedi, sulla via del ritorno. Ma queste campanule sono così celestiali che sarei disposta ad attraversare un intero campo di felci spinose per raggiungerle.

Allungando la mano verso una chiazza isolata di campanule, Kendall ne colse un rametto e lo infilò nel nastro che decorava il cappellino di Annabelle.

— Il loro azzurro non è intenso neanche la metà di quello dei vostri occhi — mormorò. Il suo sguardo si spostò in direzione della caviglia della ragazza, nuovamente coperta dall'orlo delle gonne. — Dovrete darmi il braccio mentre ritorniamo, per evitare ulteriori disavventure.

— Vi ringrazio, signore. — Annabelle gli rivolse uno sguardo ammirato.— Temo di aver perso alcune delle vostre osservazioni sulle felci. Dicevate qualcosa a proposito dell'asplenio, mi sembra, ed era un argomento assolutamente affascinante...

Kendall provvide galantemente a illustrare tutto quello che c'era da sapere sulle felci. Poco dopo, quando ad Annabelle capitò di girare lo sguardo all'indietro verso Simon Hunt, si accorse che se ne era andato.

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— Non vorremo farlo davvero? — chiese Annabelle in tono vagamente lamentoso, mentre le quattro ragazze procedevano lungo il sentiero che attraversava il bosco portando cesti e panieri. — Credevo che quando abbiamo parlato di giocare a Rounders-in-mutande facessimo tanto per dire.

— I Bowman non fanno mai tanto per dire, quando si tratta di giocare a Rounders — la informò Daisy. — Sarebbe un sacrilegio.

— A te piacciono i giochi, Annabelle — osservò allegramente Lillian. — E Rounders è il gioco più divertente di tutti.

— Mi piacciono quelli a cui si gioca seduti intorno a un tavolo. Decentemente vestiti.

— I vestiti sono molto sopravvalutati — fu l'enigmatica risposta di Daisy.

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Annabelle stava imparando che il prezzo da pagare per avere delle amiche era doversi adeguare di tanto in tanto ai desideri del gruppo anche quando andavano contro le proprie inclinazioni personali. Ciò nonostante, quella mattina aveva parlato da sola con Evie, cercando di tirarla dalla propria parte. Non riusciva a capacitarsi che quella ragazza così schiva intendesse davvero spogliarsi e rimanere con la sola biancheria intima all'aria aperta.

Ma Evie era assolutamente determinata ad assecondare il piano delle sorelle Bowman, a quanto pareva ritenendolo parte di un programma da lei elaborato per rafforzare il proprio carattere.

— V-v-voglio somigliare di più a loro — aveva confidato ad Annabelle.— Sono così libere e audaci. Non hanno p-paura di nulla.

Scrutando il viso pieno di entusiasmo dell'amica, Annabelle si era arresa con un sospiro.

— E va bene. Se nessuno potrà vederci, immagino che vada bene. Anche se non capisco a che cosa possa servire.

— Potrebbe essere divertente — aveva suggerito Evie, e la risposta di Annabelle era stata uno sguardo eloquente che l'aveva fatta scoppiare a ridere.

Il tempo, ovviamente, aveva deciso di assecondare appieno i piani delle sorelle Bowman: il cielo era azzurro e terso e nell'aria aleggiava una brezza leggera. Cariche di cestini, le quattro ragazze seguirono un sentiero infossato, che costeggiava dei prati irrigati punteggiati da boccioli rossi di drosera e sgargianti violette.

— Tenete gli occhi aperti e cercate di trovare un pozzo dei desideri — disse Lillian. — A quel punto, dobbiamo attraversare il prato oltre il sentiero e tagliare per il bosco. C'è un prato asciutto in cima alla collina. Uno dei servitori mi ha detto che non ci va mai nessuno.

— Ovviamente si trova in alto — osservò Annabelle rassegnata. — Lillian, com'è fatto il pozzo? È una di quelle piccole strutture in pietra con secchio e carrucola?

— No, è un grosso buco fangoso nel terreno. — Allora eccolo lì — esclamò Daisy, correndo verso la gorgogliante

pozza marrone. — Venite tutte, dobbiamo esprimere un desiderio a testa. Ho persino degli spilli da gettarci dentro.

— Come ti è venuto in mente di portare gli spilli? — le chiese la sorella. Daisy sorrise con aria maliziosa. — Mentre me ne stavo seduta con

mamma e le altre signore che cucivano, ieri pomeriggio, ho preparato la

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palla per giocare a Rounders. — Tirò fuori dal cestino una palla di pelle e la esibì con aria fiera. — Ho sacrificato un paio di guanti per farla, e non è stata un'impresa facile, ve lo assicuro. Le vecchie signore mi guardavano mentre la imbottivo di bioccoli di lana e a un certo punto una di loro non ha più resistito alla curiosità, è venuta da me e mi ha chiesto che cosa diamine stessi facendo. Ovviamente non potevo rispondere che era una palla per giocare a Rounders. Sono certa che mamma l'ha capito, ma era troppo imbarazzata per dire una parola. Così ho risposto all'anziana signora che stavo realizzando un puntaspilli.

Tutte le ragazze scoppiarono a ridere. — Deve aver pensato che fosse il puntaspilli più brutto che si fosse mai visto — osservò Lillian.

— Oh, su questo non ci sono dubbi. Credo che fosse dispiaciuta per me. Mi ha dato degli spilli da metterci e ha borbottato qualcosa su queste povere ragazze americane che non hanno alcuna abilità pratica.

Usando il bordo dell'unghia, Daisy sfilò gli spilli dalla palla di pelle e li diede alle amiche.

Posando il suo cesto, Annabelle prese uno spillo tra il pollice e l'indice e chiuse gli occhi. Ogni volta che se ne presentava l'occasione, esprimeva sempre lo stesso desiderio: sposare un nobile. Tuttavia, stranamente, quella volta un nuovo pensiero le si affacciò alla mente, proprio mentre lanciava lo spillo nel pozzo.

"Vorrei innamorarmi". Sorpresa da quell'idea incongrua, si chiese come avesse fatto a sprecare

un desiderio per qualcosa che era ovviamente del tutto sconsigliabile. Aprendo gli occhi, vide che le altre ragazze fissavano il pozzo con

grande solennità. — Ho espresso il desiderio sbagliato — disse agitata. — Posso averne

un altro? — No — rispose Lillian in tono pragmatico. — Una volta che hai

lanciato lo spillo, la cosa è fatta. — Ma non volevo esprimere quel desiderio — protestò Annabelle. — È

un'idea che mi è venuta in mente ali 'improvviso, ma non era affatto quella che avevo pensato di esprimere.

— Non discutere, Annabelle — le consigliò Evie. — Non vorrai contrariare lo spirito del pozzo, vero?

— Che cosa? Evie sorrise nel vedere la sua espressione perplessa.

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— Lo spirito che abita nel pozzo. È quello a cui chiedi di esaudire il desiderio. Ma se lo infastidisci, potrebbe decidere di chiedere un prezzo altissimo per farti ottenere quello che desideri. Oppure potrebbe trascinarti nel pozzo con sé, a vivere per sempre come sua c-c-consorte.

Annabelle fissò le acque torbide. Accostò le mani alla bocca per indirizzare esattamente la voce.

— Non devi esaudire il mio maledetto desiderio! — gridò allo spirito invisibile. — Lo ritiro!

— Non lo provocare, Annabelle! — esclamò Daisy. — E per l'amor del cielo, allontanati dal bordo di quel pozzo! — Sei superstiziosa? — le chiese Annabelle con un sorriso. Daisy le lanciò un'occhiataccia. — C'è una ragione per le superstizioni,

sai? In un dato momento, qualcosa di brutto è successo a qualcuno che stava in piedi accanto a un pozzo... proprio come te adesso. — Chiuse gli occhi, si concentrò intensamente, poi lanciò il proprio spillo nell'acqua. — Ecco qui. Ho espresso un desiderio a tuo beneficio, così non avrai più bisogno di andare in girò a lamentarti che ne hai sprecato uno.

— Ma come fai a sapere che cosa volevo? — Il desiderio che ho espresso è per il tuo bene — la informò Daisy. Annabelle emise un sospiro teatrale. — Odio le cose che sono per il mio

bene. Seguì un battibecco scherzoso in cui ognuna delle ragazze avanzò

ipotesi su cosa fosse meglio per le altre, finché Lillian non ordinò alle altre di smetterla, perché le impedivano di concentrarsi. Così rimasero in silenzio il tempo necessario per consentire a Lillian ed Evie di esprimere i loro desideri, dopodiché attraversarono il prato e si inoltrarono nel bosco. Ben presto raggiunsero una bellissima distesa di erba verde, inondata di sole, con un tratto d'ombra proiettata da un boschetto di querce a lato del prato. L'aria era lieve e profumata e talmente fresca che Annabelle sospirò con aria beata.

— Quest'aria non ha sostanza — si lamentò scherzosamente. — Niente fumo di carbone e nemmeno un po' di polvere. Troppo rarefatta per una londinese. Non riesco nemmeno a sentirla nei polmoni.

— Non è poi così rarefatta — replicò Lillian. — A tratti la brezza porta evidenti zaffate di pecora.

— Davvero? — chiese Annabelle annusando in giro incuriosita. — Io non sento niente.

— Perché non hai un buon naso.

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— Che cosa? — Oh, tu hai un naso del tutto normale — spiegò Lillian. — Sono io che

ho un buon naso. Sono particolarmente sensibile agli odori. Dammi qualunque profumo e posso scomporlo nei vari ingredienti. È come ascoltare un accordo musicale e identificarne tutte le note. Prima che partissimo da New York, ho anche aiutato a elaborare la formula di un sapone profumato, per l'industria di mio padre.

— Quindi credi che saresti in grado di creare un profumo? — chiese Annabelle affascinata.

— Penso di essere in grado di creare un profumo eccellente, ma nessuno di quelli che lavorano nel settore lo prenderebbe in considerazione, dal momento che l'espressione "profumo americano" è considerata un'assurdità. Inoltre sono una donna, il che mette in discussione la precisione del mio olfatto.

— Vuoi dire che gli uomini hanno nasi più raffinati delle donne? — Di certo lo pensano — rispose Lillian con aria cupa, tirando fuori dal

suo cesto una coperta da picnic. — Ma basta parlare di uomini e delle loro protuberanze. Vogliamo sederci al sole?

— Ci abbronzeremo — predisse Daisy lasciandosi cadere su un angolo della coperta con un sospiro di piacere. — E alla mamma verranno le paturnie.

— Che cosa sono le paturnie? — chiese Annabelle, incuriosita da quella parola che non conosceva. — Sedette sulla coperta accanto a Daisy. — Chiamatemi, se le vengono. Sono curiosa di vedere come sono.

— Mamma le ha di continuo — le assicurò Daisy. — Non temere, scoprirai che cosa sono le paturnie prima che ce ne andiamo dall'Hampshire.

— Non dovremmo mangiare prima di giocare — disse Lillian, quando vide Annabelle sollevare il coperchio di un cestino.

— Ho fame — rispose Annabelle, sbirciando con interesse all'interno del cesto, che conteneva frutta, formaggio, paté, fette di pane e diversi tipi di insalate.

— Tu hai sempre fame — osservò Daisy con un sorriso. — Per una persona così piccola, hai un appetito notevole.

— Piccola io? — ribatté Annabelle. — Se sei alta anche solo un millimetro in più di un metro e sessanta, mi mangio quel cestino da picnic.

— Allora farai bene a iniziare a masticarlo — rispose Daisy. — Sono alta esattamente un metro e sessantadue.

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— Annabelle, io non avrei tanta fretta di iniziare a rosicchiare il manico del cesto, se fossi in te — intervenne Lillian. — Daisy si solleva sulle punte ogni volta che viene misurata. La povera sarta ha dovuto rifare l'orlo a una dozzina di vestiti, grazie all'assurda caparbietà con cui mia sorella si rifiuta di ammettere di essere bassa.

— Io non sono bassa. Le donne basse non sono mai misteriose, eleganti o corteggiale da uomini affascinan-ti. E vengono sempre trattate come bambine. Mi rifiuto di essere bassa.

— Forse non sarai misteriosa o elegante — intervenne Evie. — Ma sei molto g-g-graziosa.

— E tu sei un tesoro — rispose Daisy, allungandosi per infilare una mano nel cestino dei viveri. — Forza, nutriamo la povera Annabelle: sento il suo stomaco che brontola.

Si lanciarono sul cibo con entusiasmo. Appena ebbero finito di mangiare, si sdraiarono pigramente sulla coperta e rimasero a guardare le nuvole e a parlare di tutto e di nulla. Quando il loro chiacchiericcio si ridusse a un quieto mormorio, un piccolo scoiattolo rosso si avventurò giù dalla quercia e si girò di fianco, osservandole con uno dei suoi scintillanti occhietti neri.

— Un intruso — commentò Annabelle con un leggero sbadiglio. Evie si sdraiò a pancia in giù e lanciò una crosta di pane verso lo

scoiattolo. L'animaletto si immobilizzò e rimase a fissare l'allettante offerta, troppo spaventato, però, per avvicinarsi. Evie inclinò la testa e i suoi capelli scintillarono al sole, come se qualcuno avesse rovesciato una cesta di rubini.

— Povero piccolo — disse dolcemente, lanciandogli un'altra crosta di pane. Questa gli atterrò parecchio più vicino e l'animale mosse la coda eccitato. — Sii coraggioso — lo spronò lei. — Vai a prenderla. — Con un sorriso paziente, gli lanciò una terza crosta, che atterrò a pochi centimetri dallo scoiattolo. — Sei un vero codardo. Non vedi che nessuno vuole farti del male?

Con un guizzo improvviso lo scoiattolo afferrò il pezzetto di pane e saltellò via. Sollevando lo sguardo con aria trionfante, Evie notò che le altre ragazze la fissavano strabiliate.

— C-c-che cosa ce? Annabelle fu la prima a parlare. — Poco fa, mentre parlavi con lo

scoiattolo, non balbettavi affatto.

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— Oh. — Imbarazzata, Evie abbassò lo sguardo e sorrise con tristezza. — Non balbetto mai quando parlo con i bambini o con gli animali. Non so perché.

Le ragazze ragionarono un attimo sulla sconcertante affermazione. — Ho notato che non balbetti molto anche quando parli con me —

osservò Daisy. Lillian non riuscì a trattenersi. — In quale delle due categorie rientri,

mia cara? Bambini o animali? La sorella rispose con un gesto della mano che ad Annabelle riuscì

completamente sconosciuto. Stava per chiedere a Evie se aveva mai consultato un dottore a riguardo,

ma la ragazza dai capelli rossi cambiò bruscamente argomento. — Dov'è la palla per giocare a Rounders, Daisy? Se non iniziamo presto,

finirò con l'addormentarmi. Comprendendo che Evie non desiderava più parlare della sua balbuzie,

Annabelle assecondò la sua richiesta. — Immagino che se proprio dobbiamo farlo, questo sia un momento

buono come qualunque altro. Mentre Daisy frugava nel suo cesto in cerca della palla, Lillian estrasse

un altro oggetto dal suo. — Guardate che cosa ho portato — disse con aria trionfante. Daisy scoppiò a ridere. — Una vera mazza! — esclamò guardando con

ammirazione il bastone appiattito da un lato. — E io che pensavo che avremmo dovuto usare un vecchio ramo. Dove l'hai presa, Lillian?

— Me la sono fatta prestare da uno degli stallieri. Sembra che appena possono sgattaiolino via per giocare a Rounders: sono dei veri appassionati di questo gioco.

— Chi non lo sarebbe? — chiese Daisy in tono retorico, iniziando a slacciarsi i bottoni del bustino. — La giornata è davvero calda: sarà un piacere liberarsi di tut-ti questi strati.

Mentre le sorelle Bowman si sbottonavano gli abiti con la disinvoltura di ragazze avvezze a spogliarsi all'aperto, Annabelle ed Evie si guardarono, incerte.

— Ti sfido — mormorò Evie. — Oh, santo cielo!— esclamò Annabelle con aria af-franta, iniziando a

sbottonarsi l'abito. Si era scoperta inaspettatamente pudica e il rossore del volto tradiva il suo disagio. Tuttavia, non voleva mostrarsi codarda quando anche la timida Evie Jenner era intenzionata a partecipare a quella

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ribellione contro le convenzioni. Sfilando le braccia dalle maniche dell'abito, si alzò lasciandolo cadere in un mucchio scomposto ai suoi piedi. Rimasta in camiciola, mutandoni e corsetto, i piedi coperti solo dalle calze e da pantofoline sottili, sentì la brezza rinfrescarle le braccia e le ascelle sudate, facendola rabbrividire di piacere.

Le altre ragazze si alzarono a loro volta e si liberarono dei vestiti, che rimasero ammucchiati al suolo come giganteschi fiori esotici.

— Prendi! — disse Daisy lanciando la palla ad Annabelle, che l'afferrò al volo. Raggiunsero il centro del prato, tirandosi la palla. Evie era la meno abile a lanciarla e afferrarla, anche se era evidente che la sua poca destrezza dipendeva dall'inesperienza, non dalla goffaggine. Annabelle, invece, aveva un fratello minore che l'aveva spesso eletta a compagna di giochi, così le tecniche di lancio della palla le erano note.

Era una sensazione strana e inebriante quella di muoversi all'aperto con le gambe non ostacolate dal peso delle gonne.

— Immagino sia così che si sentono gli uomini — disse, riflettendo ad alta voce. — Loro possono andare in giro in pantaloni. Si potrebbe quasi provare invidia per una simile libertà.

— Quasi? — chiese Lillian con un sorriso. — Senza dubbio io li invidio moltissimo. Non sarebbe bello se le donne potessero indossare i pantaloni?

— A me non p-p-piacerebbe affatto—disse Evie. — Morirei di vergogna se un uomo potesse vedere la forma delle mie gambe e del mio... — Esitò, in cerca di una parola per descrivere parti non menzionabili dell'anatomia femminile. — A-a-altre parti del mio corpo — concluse in tono lamentoso.

— La tua camicia è in uno stato pietoso, Annabelle — osservò con rude schiettezza Lillian.

— Non mi è venuto in mente di mandarti della biancheria nuova, anche se avrei dovuto pensarci...

Annabelle si strinse nelle spalle. — Non fa nulla, dato che questa è l'unica volta in cui qualcuno avrà occasione di vederla.

Daisy lanciò un'occhiata alla sorella. — Lillian, siamo state veramente ottuse. La povera Annabelle non è stata molto fortunata per quanto riguarda le sue fate madrine.

— Io non mi sono lamentata — disse Annabelle ridendo. — E a quanto mi sembra di capire, noi quattro siamo tutte nella stessa barca.

Dopo alcuni minuti di allenamento e una breve discussione sulle regole del gioco, le ragazze posarono i grandi cesti vuoti per segnare le basi e

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diedero inizio alla partita. Annabelle si posizionò con decisione su un punto che era stato designato come base di battuta.

— Io le lancio la palla — disse Daisy alla sorella. — Tu la prendi. — Ma io lancio meglio di te — obiettò Lillian, sistemandosi comunque

alle spalle di Annabelle. Tenendo la mazza al di sopra della spalla, Annabelle cercò di colpire la

palla lanciata da Daisy. Non ci riuscì e la mazza sibilò nell'aria descrivendo un semicerchio. Alle sue spalle, Lillian afferrò abilmente al volo la palla. — Era un buon colpo — la incoraggiò Daisy. — Tieni lo sguardo fisso sulla palla mentre arriva verso di te.

— Non sono abituata a stare ferma mentre mi vengono lanciati addosso degli oggetti — si difese Annabelle, impugnando nuovamente la mazza. — Quante volte ci posso provare?

— A Rounders, il battitore può cercare di colpire la palla all'infinito — rispose la voce di Lillian alle sue spalle. — Riprova, Annabelle, e questa volta cerca di immaginare che la palla sia il naso del signor Hunt.

Lei accolse il suggerimento con gratitudine. — Preferirei mirare a una protuberanza un po' più in basso. — disse, quindi fece oscillare la mazza mentre Daisy le lanciava nuovamente la palla. Questa volta il lato piatto della mazza colpì con uno schiocco sonoro. Con un grido di entusiasmo, Daisy corse a raccoglierla, mentre Lillian, che si stava rotolando dalle risate, la incitava.

— Corri, Annabelle! Lei ubbidì, girando intorno ai cesti e cercando di tornare alla base di

battuta. Daisy raccolse la palla e la lanciò a Lillian, che l'afferrò al volo. — Rimani alla terza base, Annabelle — gridò poi. — Vediamo se Evie

riesce a riportarti alla base di battuta. Nervosa ma determinata, Evie prese la mazza e si mise in posizione

sulla base di battuta. — Fa' conto che la palla sia tua zia Florence — le suggerì Annabelle,

facendola sorridere. Daisy lanciò una palla bassa, facile, mentre Evie faceva oscillare la

mazza. Non riuscì a colpire la palla, che atterrò con un colpo secco nel palmo di Lillian. Rilanciando a Daisy, Lillian corresse la postura di Evie.

— Allarga un po' le gambe e piega leggermente le ginocchia — le suggerì. — Brava ragazza! Ora guarda arrivare la palla e non la mancherai.

Purtroppo Evie la mancò più volte, finché il suo volto non divenne rosso per la frustrazione.

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— È t-t-troppo difficile — disse con aria mortificata. — Forse dovrei lasciar perdere e cedere il posto a qualcun altro.

— Prova ancora un paio di volte — insistette Annabelle, decisa a far sì che Evie riuscisse a colpire la palla almeno una volta. — Non abbiamo nessuna fretta.

— Non mollare! — la incoraggiò a sua volta Daisy.— Sei solo troppo tesa, Evie. Rilassati e smetti di chiudere gli occhi quando fai oscillare la mazza.

— Puoi farcela — aggiunse Lillian, scostandosi una ciocca di capelli scuri dalla fronte e flettendo le braccia snelle e muscolose. — L'ultima l'avevi quasi presa. Ricordati: non smettere... di guardare... la palla.

Con un sospiro rassegnato, Evie trascinò la mazza fino alla base di battuta e la sollevò ancora una volta. I suoi occhi azzurri si socchiusero, fissi su Daisy, mentre si preparava a ricevere il prossimo lancio.

— Sono pronta. Daisy lanciò con precisione e Evie fece oscillare la mazza con un

movimento fluido e determinato. Annabelle fu percorsa da un'ondata di soddisfazione quando vide la mazza colpire forte la palla, che solcò l'aria volando lontano, fino al boschetto di querce. Tutte iniziarono a lanciare grida di entusiasmo per quello splendido tiro. Sconvolta da quanto aveva fatto, Evie saltellava felice.

— Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta! — Corri intorno ai cesti! — le gridò Annabelle, tornando di corsa verso

la base di battuta. Raggiante, Evie fece il giro del campo improvvisato, tra lo svolazzare candido dei suoi indumenti. Quando raggiunse nuovamente la base di battuta, le ragazze continuarono a sai-lare e gridare senza nessuna ragione, se non per il fatto che erano giovani, sane e molto fiere di sé.

All'improvviso, Annabelle avvertì la presenza di una sagoma scura che saliva rapidamente il fianco della collina. Ammutolì di colpo nel rendersi conto che si trattava di uno... anzi, di due cavalieri che avanzavano lungo il prato.

— Sta arrivando qualcuno! — disse. — Due uomini a cavallo. Svelte, recuperate i vostri vestiti!

L'allarme interruppe di colpo le manifestazioni di giubilo delle ragazze. Si fissarono a vicenda con occhi sgranati, poi passarono precipitosamente all'azione. Lanciando gridolini, Daisy ed Evie iniziarono a correre verso i resti del picnic, dove avevano lasciato i loro abiti.

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Annabelle fece per seguirle, poi si fermò e si voltò di colpo quando i due cavalieri si fermarono proprio dietro di lei. Li scrutò preoccupata, cercando di capire che tipo di pericolo potessero rappresentare. Quando vide i loro volti e li riconobbe fu percorsa da un brivido gelato.

Lord Westcliff e, peggio ancora, Simon Hunt.

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Appena Annabelle incrociò lo sguardo stupefatto di Simon Hunt, le sembrò di non riuscire più a distogliere gli occhi dai suoi. Era come uno di quegli incubi da cui ci si sveglia sempre con un senso di sollievo, certi che una cosa così orribile non possa mai accadere nella realtà. Se la situazione non fosse stata completamente a suo svantaggio, avrebbe anche potuto

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apprezzare lo spettacolo di quell'uomo sempre così sicuro di sé rimasto letteralmente senza parole.

Sulle prime la sua espressione rimase vacua, come se fosse tremendamente difficile per lui registrare il fatto che Annabelle era in piedi davanti a lui con addosso solo una camiciola, i mutandoni e il corsetto. La scrutò lentamente da capo a piedi, poi il suo sguardo si fermò sul viso arrossato.

Dopo un momento di allibito silenzio, Hunt inghiottì più volte prima di riuscire a parlare con voce roca.

— Probabilmente farei meglio a non chiederlo. Ma che diamine state facendo?

Quelle parole sbloccarono Annabelle dalla sua temporanea paralisi. Non poteva certo rimanere lì a parlare con lui indossando solo la biancheria intima. Ma la sua dignità, o quel che ne rimaneva, le impediva di mettersi a strillare come un'oca e precipitarsi verso i propri vestiti come stavano facendo le altre. Trovando un compromesso, si diresse a passi decisi verso l'abito abbandonato a terra, se lo mise davanti per coprirsi meglio che poteva, quindi tornò a rivolgersi a Hunt.

— Stiamo giocando a Rounders — disse, con un tono di voce leggermente più alto del solito.

Lui scrutò la scena intorno a loro, prima di riportare lo sguardo su di lei. — Perché vi siete... — Non si può correre comodamente con le gonne — lo interruppe

Annabelle. — Pensavo che fosse evidente. A quell'informazione, Hunt voltò il viso, ma non abbastanza in fretta da

impedire ad Annabelle di scorgere il lampo del suo sorriso. — Non avendo mai provato, non posso che prendervi in parola. Alle sue spalle, Annabelle sentì Daisy rivolgersi a Lillian in tono

accusatorio. — Mi sembrava avessi detto che nessuno viene mai in questo prato! — Così mi è stato detto — replicò la sorella maggiore, la cui voce

giunse smorzata mentre si infilava nel cerchio formato dalle sue gonne e cercava di tirarle su.

Il conte, che non aveva aperto bocca fino a quel momento, parlò tenendo lo sguardo accuratamente rivolto verso il paesaggio in lontananza.

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— Le vostre informazioni erano esatte, signorina Bowman — disse in tono pacato. — Questo prato solitamente non è frequentato.

— Allora perché siete qui? — chiese Lillian con aria oltraggiata, come se fosse lei, e non Westcliff, la proprietaria della tenuta.

La domanda indusse il conte a voltarsi di scatto. Lanciò all'americana un'occhiata incredula, prima di distogliere nuovamente lo sguardo.

— La nostra presenza qui è puramente accidentale — replicò. — Desideravo dare un'occhiata alla parte nord-occidentale della mia tenuta. — Sottolineò la parola "mia" con garbata ma indubbia enfasi. — Mentre il signor Hunt e io stavamo procedendo lungo il sentiero, abbiamo sentito le vostre grida. Abbiamo pensato fosse il caso di controllare e siamo venuti fin qui con l'in-tenzione di offrirvi aiuto, nell'eventualità che ce ne fosse bisogno. Di certo non potevo immaginare che usavate questo prato per... per...

— Rounders-in-mutande — gli venne generosamente in aiuto Lillian, infilando le braccia nelle maniche del vestito.

Il conte si rivelò incapace di ripetere quell'espressione ridicola. Voltò il cavallo e pronunciò poche parole al di sopra della propria spalla.

— Ho intenzione di essere colpito da un attacco di amnesia entro i prossimi cinque minuti. Prima che questo accada, mi permetto di suggerire che in futuro vi asteniate da qualsiasi attività che richieda di denudarsi all'aperto, dal momento che i prossimi passanti po-trebbero non rimanere indifferenti come abbiamo fatto io e il signor Hunt.

Nonostante la cocente mortificazione, Annabelle dovette reprimere una risatina scettica sentendo il conte sostenere l'indifferenza del signor Hunt... per non parlare della sua. Di certo Hunt era riuscito a osservarla bene. E nonostante lo scrutinio del conte fosse stato meno palese, ad Annabelle non era sfuggito il fatto che prima di allontanarsi aveva trovato il modo di lanciare un'occhiata rapida ma accurata a Lillian. Tuttavia, considerando che era ancora svestita, non le sembrava il momento più adatto per rinfacciare al loro ospite le sue arie da cherubino e dargli dell'ipocrita.

— Grazie, signore — disse con una calma di cui si sentì molto fiera. — Adesso che ci avete dato questo ottimo consiglio, vi chiederei di concederci un po' di intimità per risistemarci.

— Con piacere — ringhiò Westcliff. Prima di allontanarsi, Simon Hunt non riuscì a trattenersi dal lanciare

un'ultima occhiata ad Annabelle, ancora in piedi con il vestito appoggiato davanti a sé. Nonostante la sua appai ente imperturbabilità, a lei sembrò

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che avesse il viso leggermente arrossato... e non era possibile equivocare lo sguardo rovente dei suoi occhi neri.

Avrebbe voluto possedere abbastanza autocontrollo per poterlo guardare con gelido disprezzo, ma si sentiva imbarazzata, scarmigliata ed emotivamente scossa. Hunt sembrò sul punto di dirle qualcosa, poi si trattenne e borbottò qualcosa con un sorrisetto autoironico. Il suo cavallo sbuffava e si agitava impaziente, e partì con entusiasmo quando lui lo lanciò al galoppo dietro quello di Westcliff, che era già arrivato a metà del prato.

Mortificata, Annabelle si rivolse a Lillian, rossa in viso ma padrona di sé.

— Tra tutti gli uomini che potevano sorprenderci in questo stato, perché dovevano essere proprio quei due?

— Hai ragione... — iniziò Lillian, ma si interruppe sentendo dei rumori soffocati provenire dal luogo dove avevano fatto il picnic. Evie si stava rotolando sulla coperta, mentre Daisy era in piedi accanto a lei con le mani sui fianchi.

Le raggiunsero di corsa e Annabelle si rivolse preoccupata a Daisy. — Che cos'ha? — L'imbarazzo è stato troppo grande per lei. È crollata. Evie rotolava su e giù per la coperta, il viso nascosto dietro un fazzoletto

da cui usciva solo un orecchio rosso scarlatto. Più cercava di controllare il riso isterico, più le veniva da ridere, finché non si ritrovò a boccheggiare disperatamente in cerca d'aria tra un sussulto e l'altro. Poco dopo riuscì ad articolare una manciata di parole.

— Che magnifica introduzione ai giochi di squadra! — esclamò. Dopodiché riprese a contorcersi dalle risate, mentre le altre ragazze rimanevano in piedi accanto a lei.

Daisy lanciò ad Annabelle un'occhiata significativa. — Quelle sono paturnie — la informò.

Hunt e Westcliff si allontanarono dal prato al galoppo, rallentando l'andatura dei cavalli fino al passo quando entrarono nel bosco per seguire un sentieri no contorto che lo attraversava. Per un paio di minuti nessuno dei due ebbe la voglia, e forse nemmeno la forza, di articolare parola.

Nella mente di Simon turbinavano ancora le immagini delle curve sode e sensuali di Annabelle Peyton racchiuse in vecchi capi di biancheria che si erano ristretti per i troppi lavaggi. Era un bene che lui e la ragazza non si fossero trovati da soli in una simile circostanza, perché era certo che in

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quel caso non sarebbe stato in grado di andarsene senza prima compiere qualche gesto barbarico. Sforzandosi di tenere a bada la propria immaginazione, lanciò un'occhiata a Westcliff, che sembrava pensieroso a sua volta. Era una cosa insolita, perché non era un tipo meditativo.

I due uomini erano amici da circa cinque anni, e si erano incontrati a una cena data da un politico progressista che entrambi conoscevano. L'autoritario padre di Westcliff era appena morto ed era passato a Marcus, il nuovo conte, il compito di farsi carico degli affari della famiglia. Aveva scoperto che il patrimonio familiare era solido in apparenza, ma in realtà fortemente compromesso, come un malato il cui aspetto sano non tradisce ancora la gravità delle sue condizioni.

Allarmato dalle perdite costanti che i registri contabili rivelavano, il nuovo conte di Westcliff si era reso conto di dover fare dei cambiamenti drastici. Era deciso a evitare la sorte di altri nobili che avevano passato la vita logorandosi per salvare un patrimonio familiare che andava scemando sempre più. A differenza di quanto illustrato dai romanzetti in cui innumerevoli aristocratici dilapidavano le proprie ricchezze ai tavoli da gioco, la realtà era che gli aristocratici moderni, più che scapestrati, erano semplicemente dei pessimi amministratori. Investimenti troppo prudenti, vedute antiquate e politiche I i-scali svantaggiose stavano lentamente erodendo le loro ricchezze e dando modo a una nuova classe di imprenditori di accedere ai livelli più alti della società.

Chiunque scegliesse di ignorare l'influenza delle scienze e del progresso industriale sulla nuova economia emergente era destinalo a rimanere irrimediabilmente indietro ed essere abbandonato al suo destino... e Westcliff non aveva alcuna intenzione di rientrare in quella categoria.

Quando lui e Simon avevano iniziato a frequentarsi, era evidente che ognuno dei due stava usando l'altro per ottenere qualcosa. Westcliff voleva trarre beneficio dal fiuto finanziario di Simon e Simon voleva un appoggio per entrare nel mondo delle classi privilegiate. Ma via via che imparavano a conoscersi, fu sempre più evidente che erano due uomini che si somigliavano sotto molti aspetti. Erano entrambi abili cavallerizzi e cacciatori, che avevano bisogno di frequente esercizio fisico per dar sfogo al vigore in eccesso.

Inoltre erano entrambi onesti e non inclini al compromesso, anche se Westcliff possedeva dei modi suf-ficientemente eleganti da far digerire meglio la propria intransigenza. Nessuno dei due era il tipo d'uomo che passava ore seduto a parlare di poesia e concetti sentimentali. Preferivano

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affrontare fatti e questioni concre-te e, ovviamente, discutevano con vero piacere di collaborazioni in affari presenti e futuri.

Dal momento che Simon continuava a essere un ospite regolare a Stony Cross e si recava spesso in visita anche nella residenza londinese di Westcliff, Marsden Terrace, gli amici del conte avevano finito gradualmente per accettarlo nella loro cerchia. Era stata una piacevole sorpresa per Simon scoprire che non era l'unico amico intimo di Marcus a non possedere un titolo nobiliare. Il conte anzi sembrava preferire la compagnia di uomini le cui prospettive del mondo si fossero formate al di fuori dei confini delle tenute di famiglia. In alcune occasioni aveva addirittura dichiarato di voler disconoscere il proprio titolo, ammesso che una cosa del genere fosse possibile, dal momento che era profondamente contrario all'idea che i titoli nobiliari fossero ereditari.

Simon non aveva alcun dubbio che le sue dichiarazioni fossero sincere, ma riteneva che il conte non si fosse mai reso conto che il privilegio aristocratico, con tutto il potere e le responsabilità che ne derivavano, era una parte imprescindibile di lui. Titolare della contea più antica e onorata d'Inghilterra, Marcus era nato per servire le esigenze del dovere e della tradizione. La sua vita era sempre ben organizzata e piena di rigide scadenze, e lui era l'uomo più dotato di autocontrollo che Simon avesse mai conosciuto.

Al momento, però, il conte solitamente così controllato e razionale sembrava più turbato di quanto la situazione giustificasse.

— Dannazione! — esclamò finalmente. — Faccio occasionalmente affari con il padre. Come potrò guardare in faccia Thomas Bowman senza pensare al fatto che ho visto sua figlia in biancheria intima?

— Le figlie — lo corresse Simon. — Erano lì tutte e due. — Io ho notato solo quella più alta. — Lillian? — Sì, quella. — Il viso del conte aveva un'espressione estremamente

accigliata. — Santo cielo, non c'è da stupirsi che nessuna di loro sia sposata! Sono delle selvagge anche per gli standard americani. E il modo in cui quella donna mi ha parlato, come se fossi io a dover essere imbarazzato per aver interrotto i loro riti pagani...

— Adesso non esagerare — lo interruppe Simon, divertito dalla sua agitazione. — Quattro ragazze innocenti che saltellano su un prato non segnano la fine della nostra civiltà. E se fossero state delle contadinotte, non ti saresti scandalizzato tanto. Diamine, probabilmente ti saresti

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addirittura unito a loro. Ti ho visto fare con le tue amanti a feste e balli cose tali che...

— Ma loro non sono ragazze di campagna. Sono giovani signore, o almeno così si suppone. Perché mai, in nome del cielo, un branco di zitelle si comporta così?

Simon sorrise del tono sconvolto dell'amico. — La mia impressione è che siano diventate alleate proprio per la loro condizione di ragazze nubili. Per la maggior parte della Stagione scorsa sono state sedute senza parlarsi, ma sembra che ora abbiano fatto amicizia.

— A quale scopo? — chiese il conte con aria sospettosa. — Forse cercano solo di divertirsi un po' — suggerì Simon, colpito di

scoprire fino a che punto Marcus avesse preso a cuore la questione. Lillian Bowman, in particolare, sembrava averlo turbato profondamente. Il che era strano per uno come lui, che solitamente trattava le donne con serafica disinvoltura. A quanto ne sapeva Simon, nonostante fosse inseguito dentro e fuori dalla camera da letto da un gran numero di donne, non aveva mai perso il suo atteggiamento distaccato. Fino a quel momento.

— Allora dovrebbero darsi al ricamo, o a qualsiasi cosa facciano le donne per bene per divertirsi. Quanto meno potrebbero trovarsi un passatempo che non implichi correre nude per la campagna.

— Non erano nude — specificò Simon. — Con mio grande rammarico. — Questo commento mi obbliga a dire qualcosa. Come ben sai, non

sono solito dare consigli non richiesti... Simon lo interruppe scoppiando in una risata. — Marcus, dubito che tu

abbia passato un solo giorno della tua vita senza consigliare qualcosa a qualcuno...

— Offro consigli solo quando sono evidentemente necessari — ribatté il conte accigliato.

Simon gli lanciò un'occhiata sarcastica. — Allora dispensami le tue parole di saggezza, dal momento che a quanto sembra sarò obbligato ad ascoltarle, che io lo voglia o no.

— Riguarda la signorina Peyton. Se sei saggio, abbandona ogni idea su di lei. È una ragazza superficiale ed egocentrica più di qualunque altra persona che io abbia mai conosciuto. La facciata è attraente, te lo concedo, ma a mio parere non c'è nulla di valido sotto. Senza dubbio tu stai pensando di prenderla come amante, se non riesce ad accalappiare Kendall. Il mio consiglio è: non farlo. Ci sono donne che hanno infinitamente di più da offrire.

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Per un attimo, Simon rimase in silenzio. I suoi sentimenti riguardo Annabelle Peyton erano sgradevolmente complessi. Ammirava Annabelle, la trovava attraente e di certo lui non aveva il diritto di giudicarla severamente, se era diventata l'amante di un altro uomo. Ma ugualmente la possibilità concreta che avesse accolto Hodgeham nel proprio letto suscitava in lui un misto di gelosia e rabbia che lo sorprendeva.

Dopo aver sentito il pettegolezzo diffuso da lord Burdick, secondo cui Annabelle sarebbe diventata l'amante segreta di quel verme, Simon non era riuscito a resistere alla tentazione di verificarne la veridicità. Aveva chiedo a suo padre, che teneva i registri contabili con cura meticolosa, se qualcuno avesse mai pagato i conti della macelleria per i Peyton e lui gli aveva confermato senza alcun dubbio che di tanto in tanto lord Hodgeham aveva saldato i conti dei Peyton.

Benché quella non potesse essere considerata una prova conclusiva, dava certamente maggior consistenza alla possibilità che Annabelle fosse diventata l'amante di Hodgeham. E le risposte evasive di Annabelle durante la loro conversazione, il mattino precedente, non avevano fatto molto per contraddire la diceria.

Chiaramente la famiglia Peyton era in condizioni economiche disastrose, ma perché Annabelle per farsi aiutare avrebbe dovuto rivolgersi a un vecchio pallone gonfiato come Hodgeham rimaneva un mistero. D'altro canto, Simon sapeva bene che molte delle decisioni che si prendono nella vita, buone o cattive, dipendono semplicemente da circostanze occasionali. Forse Hodgeham era riuscito a farsi avanti in un momento in cui le difese di Annabelle erano indebolite e lei si era lasciata convincere a dare a quel vecchio bastardo ciò che voleva in cambio del denaro di cui aveva tanto bisogno.

Non aveva un paio di stivaletti... Dannazione! La generosità di Hodgeham doveva consistere davvero in ben poca cosa, se Annabelle aveva potuto comprarsi qualche vestito nuovo ma non un paio di scarpe decenti, e la sua biancheria era più o meno un mucchio di stracci. Se Annabelle doveva essere l'amante di qualcuno, tanto valeva che fosse la sua e venisse ricompensata adeguatamente per i suoi favori.

Ovviamente era ancora troppo presto per farle una proposta simile. Prima avrebbe dovuto aspettare pazientemente che Annabelle cercasse di convincere lord Kendall a farle una proposta di matrimonio. E lui non aveva alcuna intenzione di ostacolare i piani della ragazza. Ma se la cosa non fosse andata in porto con Kendall, intendeva farsi avanti con un'offerta

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molto migliore dell'accordo pidocchioso che aveva attualmente con Hodgeham.

Immaginando Annabelle nuda nel proprio letto, Simon sentì risvegliarsi la passione e si sforzò di riprendere il filo della conversazione.

— Che cosa ti ha dato l'impressione che io nutra un qualche interesse per la signorina Peyton? — chiese in tono disinvolto.

— Il fatto che sei quasi caduto da cavallo quando l'hai vista in mutande. La risposta gli strappò suo malgrado un sorriso. — Con una facciata

come quella, potrebbe anche non importarmi un accidente di quello che ce sotto.

— Invece dovrebbe — ribadì il conte con enfasi. — La signorina Peyton è un'opportunista come poche.

— Marcus, ti è mai venuto in mente che a volte potresti sbagliarti... su una cosa qualunque?

Il conte soppesò perplesso la domanda. — In effetti, no. Scuotendo la testa con un sorriso rassegnato, Simon spronò il cavallo a

un'andatura più veloce.

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Mentre le ragazze tornavano verso la casa padronale di Stony Cross Park, Annabelle si rese conto di provare un fastidioso dolore alla caviglia. Doveva essersela storta mentre giocavano a Rounders, anche se non riusciva a ricordare il momento preciso in cui era successo. Con un sospiro sollevò il cesto che teneva in mano e allungò il passo per raggiungere Lillian, che aveva l'aria pensierosa. Daisy ed Evie le seguivano a pochi metri di distanza, chiacchierando animatamente tra loro.

— Che cosa ti preoccupa? — chiese Annabelle a bassa voce. — Il conte e il signor Hunt... Credi che diranno a qualcuno di averci

viste oggi pomeriggio? Non gioverebbe molto alla nostra reputazione. — Non credo che Westcliff lo farebbe — rispose Annabelle dopo avere

riflettuto un momento. Mi è sembrato sincero quando ha fatto quell'osservazione sull'amnesia. E non sembra il tipo che va in giro a lare pettegolezzi.

— E il signor Hunt? Annabelle si accigliò. — Non saprei. Non mi è sfuggito il fatto che non

ha fatto alcuna promessa di non parlare dell'accaduto. Immagino che terrà la bocca chiusa, se si convincerà di avere qualcosa da guadagnarci.

— Allora dovresti chiederglielo tu. Non appena lo vedrai, questa sera al ballo, devi andare da lui e fargli promettere che non lo dirà a nessuno.

Pensando al ballo che si sarebbe svolto alla villa quella sera, Annabelle emise un mugolio di sconforto. Era abbastanza, anzi assolutamente certa che non sarebbe stata in grado di guardare in faccia dopo quello che era accaduto nel pomeriggio. D'altro canto, Lillian aveva ragione: non si

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poteva presumere che Hunt mantenesse il segreto. Quindi toccava a lei affrontarlo, per quanto l'idea la terrorizzasse.

— Perché io? — chiese, anche se conosceva già la risposta. — Perché tu gli piaci. Lo sanno tutti. Sarà molto più disposto a farlo, se

glielo chiedi tu. — Non farà nulla per nulla — mormorò Annabelle, mentre il dolore alla

caviglia aumentava. — E se mi facesse qualche proposta sconveniente? Ci fu un momento di silenzio, poi Lillian sorrise. — Potresti dovergli

lanciare un osso di qualche tipo. — Che genere di osso? — Be', lascia che ti baci, se serve per tenerlo buono. Allibita dal fatto che Lillian potesse fare un'affermazione del genere con

un'aria così disinvolta, Annabelle scosse il capo. — Santo cielo, Lillian! Non posso farlo!

— Perché no? Hai baciato qualcuno prima d'ora, no? — Sì, ma... — Un paio di labbra vale l'altro. Assicurati solo che nessuno vi veda e

sbriga la cosa il prima possibile. A quel punto, Hunt si placherà e il nostro segreto sarà al sicuro.

Annabelle scosse la testa con una risatina strangolala, mentre il cuore iniziava a batterle all'impazzata a quell'idea. Non potè fare a meno di ricordare il bacio segreto di tanto tempo prima nel teatro, i pochi secondi di devastante sconvolgimento sensuale che l'avevano lasciata scossa e senza parole.

— Dovrai solo specificare che un bacio è tutto quello che può aspettarsi da te — continuò Lillian. — E che la cosa non si ripeterà mai.

— Scusami se mi permetto di criticare il tuo piano, che fa più acqua di un colabrodo. Un paio di labbra non è affatto uguale a un altro, se capita che ci sia attaccato Simon Hunt! Inoltre, non si accontenterà mai di un semplice bacio, e io non posso certo offrirgli nulla di più.

— Lo trovi davvero così repellente? — chiese l'americana divertita. — In realtà, non è affatto male. Arriverei perfino a definirlo bello.

— È così insopportabile che non ho mai fatto caso al suo aspetto. Ma ammetto che sia... — Annabelle tacque imbarazzata, analizzando la questione con nuova e sconcertante accuratezza.

Ragionando obiettivamente, ammesso e non concesso che fosse possibile essere obiettivi su Simon Hunt, era effettivamente un uomo di bell'aspetto. La parola "bello" era solitamente usata per indicare una

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persona dai lineamenti delicati e dal fisico snello e proporzionato. Ma Hunt ridefiniva l'accezione del termine, con il suo aspetto deciso e dai tratti marcati, gli audaci occhi neri, la linea netta di un naso che non poteva che essere maschile e la bocca ampia, le cui labbra erano perennemente incurvate in un sorriso beffardo. Anche la notevole altezza e la carnagione abbronzata sembravano adattarglisi perfettamente, come se la natura avesse riconosciuto in lui una creatura a cui non si addicevano le mezze misure.

L'aveva fatta sentire a disagio dal primo momento in cui si erano incontrati. Benché Annabelle non l'avesse mai visto se non completamente vestito e assolutamente padrone di sé, aveva sempre avvertito che Hunt era addomesticato solo per metà. Il suo istinto più profondo le aveva rivelato che sotto quell'aria ironica si nascondeva un uomo capace di provare passioni di allarmante intensità, forse di arrivare perfino a essere brutale. Era un soggetto impossibile da controllare.

Massaggiandosi le tempie, Annabelle emise un gemito sofferente. — D'accordo. Gli parlerò stasera. Io... — Esitò un attimo. — Mi lascerò anche baciare, se sarà necessario. Ma lo considererò un pagamento più che sufficiente per tutti gli abiti che mi hai dato!

Sulle labbra di Lillian apparve un sorrisino. — Sono certa che troverai il modo di accordarti con lui.

Giunte alla villa si separarono, e Annabelle salì in camera sua per fare un riposino pomeridiano, nella speranza di riuscire a rimettersi in sesto prima della festa da ballo. Sua madre non c'era, probabilmente era andata a prendere il tè con le altre signore in uno dei salotti al pianoterra. Annabelle fu felice di non trovarla, perché la sua assenza le consentiva di cambiarsi d'abito senza essere costretta a rispondere a domande scomode. Nonostante Philippa fosse una madre affettuosa e generalmente permissiva, non avrebbe reagito bene alla notizia che sua figlia si era cacciata in un guaio insieme alle sorelle Bowman.

Dopo aver indossato della biancheria pulita, scivolò sotto le lenzuola stirate di fresco del suo letto. Con sua grande frustrazione, il dolore pulsante alla caviglia le impedì di dormire. Sentendosi stanca e irritabile, suonò il campanello e chiese alla cameriera di portarle l'occorrente per un pediluvio di acqua fredda. Appena l'acqua arrivò sedette con il piede a mollo per una buona mezz'ora. La caviglia si era decisamente gonfiata, spingendola a concludere cupamente che quella era stata una giornata particolarmente sfortunata. Imprecando sottovoce mentre si infilava una

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calza pulita sul piede gonfio, finì lentamente di vestirsi. Chiamò ancora una volta la cameriera perché l'aiutasse a stringere il corsetto e ad allacciare sulla schiena l'abito di seta gialla.

— Signorina... — mormorò la domestica preoccupata, scrutando il viso di Annabelle. — Sembrate un po' pallida. C'è altro che posso portarvi? La governante tiene un tonico nel cassetto per curare i disturbi delle signore...

— No, non si tratta di quello — rispose Annabelle con un sorriso tirato. — Mi fa solo male la caviglia.

— Allora vi porto del tè alla corteccia di salice — propose la ragazza, sistemandosi alle sue spalle per abbottonarle il vestito. —Vado subito di sotto a prenderlo, così potrete berlo mentre vi acconcio i capelli.

— Sì, grazie. — Annabelle rimase immobile mentre le abili mani della cameriera le allacciavano l'abito, poi si lasciò cadere con sollievo sulla sedia davanti al tavolo da toeletta. Fissò il proprio viso sofferente nello specchio dalla cornice elaborata. — Non ho idea di come abbia fatto a farmi male. In genere non sono goffa.

La domestica ravvivò il leggero tulle dorato che ornava le maniche dell'abito di Annabelle.

— Vi porto subito il tè, signora. Vi rimetterà in sesto. Non appena la ragazza fu uscita, Philippa fece il suo ingresso nella

stanza. Sorridendo alla vista della figlia che indossava l'abito da ballo giallo, si fermò alle sue spalle e incrociò il suo sguardo nello specchio.

— Stai benissimo, tesoro. — Non mi sento affatto bene invece — disse Annabelle in tono mesto.

— Mi sono storta una caviglia mentre passeggiavo con le altre zitelle, oggi pomeriggio.

— Dovete proprio definirvi in quel modo? — replicò sua madre con aria turbata. — Di certo potreste trovare un nome più accattivante per il vostro piccolo gruppo...

— Ma ci si addice. E se ti può far sentire meglio, uso quel termine con una buona dose di ironia.

Philippa sospirò. — Temo che la mia riserva di ironia sia momentaneamente esaurita. Non è facile per me vederti lottare e studiare strategie, mentre per altre ragazze nella tua condizione le cose sono molto più facili. Vederti indossare abiti prestati e sapere i pesi che ti porti dentro... Ho pensato mille volte che se solo tuo padre non fosse morto e se avessimo un po' più di denaro...

Annabelle si strinse nelle spalle. — Ma non è così mamma.

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Philippa le accarezzò con dolcezza i capelli. — Perché non resti qui a riposare, stasera? Ti leggerò qualcosa, e tu te ne starai sdraiata e con la caviglia sollevata...

— Non mi tentare! —esclamò Annabelle. — Non potrei desiderare niente di meglio, ma non posso permettermi di rimanere qui e perdere un'occasione di far colpo su lord Kendall. — "E trattare con Simon Hunt" pensò, sentendo crescere l'apprensione dentro di sé.

Dopo aver bevuto una tazza di tè di corteccia di salice, Annabelle riuscì a scendere senza soffrire troppo, anche se il gonfiore della caviglia non accennava a diminuire. Ebbe il tempo di scambiare qualche parola con Lillian, prima che gli ospiti venissero fatti accomodare nella sala da pranzo. L'esposizione al sole aveva colorito le guance di Lillian, i cui occhi scuri scintillavano alla luce delle candele.

— Fino a ora lord Westcliff ha fatto ogni sforzo possibile per evitarci — disse ad Annabelle con un sorriso. — Avevi ragione: da quella parte non sorgeranno problemi. Il nostro unico potenziale problema è il signor Hunt.

— Non c'è pericolo — affermò Annabelle con cupa determinazione. — Come ho promesso, gli parlerò io.

L'americana fece un sorriso sollevato. — Sei un tesoro. Quando presero posto alla tavola della cena, Annabelle fu sconcertata di

scoprire che era stata messa accanto a lord Kendall. In qualunque altra occasione ne sarebbe stata felice, ma in quella particolare sera Annabelle non si sentiva a suo agio. Non era in grado di sostenere una conversazione intelligente mentre la caviglia le pulsava dolorosamente ed era afflitta da un attacco di emicrania.

Decisamente non migliorava le cose il fatto che Simon Hunt fosse seduto quasi di fronte a lei e ostentasse un'aria insopportabilmente sicura di sé. A peggiorare ulteriormente la situazione, un vago senso di nausea le impedì di fare onore alla magnifica cena. Priva del suo consueto e robusto appetito, si limitò a sbocconcellare svogliatamente il contenuto del piatto.

Ogni volta che sollevava lo sguardo, scopriva quello penetrante di Simon Hunt fisso su di lei e si preparava a sopportare qualche frecciatina ironica. Per sua fortuna, invece, le poche parole che lui le rivolse si limitarono a osservazioni banali e chiacchiere poco impegnative, per cui Annabelle riuscì ad arrivare alla fine della cena senza incidenti.

Non appena la cena ebbe termine, dalla sala da ballo iniziò ad arrivare l'eco della musica e Annabelle si sentì profondamente sollevata all'idea che la serata danzante stesse per iniziare. Per una volta sarebbe stata felice di

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starsene seduta in disparte con le altre e riposare la caviglia mentre gli altri ballavano. Immaginava di aver preso troppo sole quella mattina, perché si sentiva girare la testa e avvertiva un malessere generale. Lillian e Daisy, invece, sembravano più in forma che mai. Purtroppo, la povera Evie era stata coperta da sua zia di feroci rimproveri, che l'avevano profondamente abbattuta e mortificata.

— Il sole le fa aumentare le lentiggini — spiegò Daisy ad Annabelle con aria triste. — La zia Florence ha detto che dopo la gita le sono spuntate più macchie di un leopardo e le ha proibito di avere a che fare con noi finché il suo incarnato non ritornerà normale.

Annabelle si accigliò, avvertendo un moto di solidarietà nei confronti dell'amica.

— Quell'odiosa zia Florence — mormorò. — È evidente che il suo unico scopo nella vita è far soffrire Evie.

— E ci riesce benissimo — concordò Daisy. A un tratto scorse qualcosa alle spalle di Annabelle che le fece spalancare gli occhi. — Oh, cielo! Il signor Hunt sta venendo da questa parte. Sto letteralmente morendo di sete, così andrò a cercare qualcosa da bere, lasciando voi due a...

— Lillian te l'ha detto — disse Annabelle in tono cupo. — Sì, e lei, Evie e io ti siamo davvero riconoscenti per il sacrificio che

farai per il nostro bene. — Sacrificio — ripeté Annabelle, a cui non piaceva il suono di quella

parola. — Non ti sembra di esagerare? Come ha detto tua sorella, un paio di labbra vale l'altro.

— Questo è ciò che ha detto a te — ribatté Daisy con aria maliziosa. — Ma a me ed Evie ha detto che preferirebbe morire, piuttosto che lasciarsi baciare da un uomo come il signor Hunt.

— Che cosa... — iniziò a dire Annabelle, ma Daisy era già scappata via ridacchiando.

Annabelle, che iniziava a sentirsi come un agnello sacrificale condotto al macello, sussultò nel sentire la voce grave di Simon Hunt vicino all'orecchio. Ebbe l'impressione che il suono profondo della sua voce baritonale le risuonasse lungo tutta la spina dorsale.

— Buonasera, signorina Peyton. Vedo che siete vestita di tutto punto... tanto per cambiare.

Stringendo i denti, Annabelle si voltò verso di lui. — Devo confessare, signor Hunt, che sono stupita del fatto che vi siate trattenuto per tutta la cena. Mi aspettavo una sfilza di commenti insultanti da parte vostra,

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invece siete riuscito a comportarvi come un gentiluomo per un'intera ora. Incredibile!

— È stato duro — riconobbe lui con aria seria. — Ma ho pensato di lasciare i comportamenti scandalosi a voi... — Fece una pausa. — Dal momento che ultimamente sembrate cavarvela molto bene in tal senso.

— Le mie amiche e io non abbiamo fatto nulla di male. — Ho forse detto che disapprovo il fatto che giochiate a Rounders senza

vestiti? — chiese Hunt con aria innocente. — Al contrario: sono assolutamente favorevole. In effetti, credo che dovreste farlo ogni giorno.

— Non ero senza vestiti — protestò lei in un sussurro irritato. — Avevo addosso la biancheria.

— Ah, era di quello che si trattava? Annabelle arrossì, mortificata del fatto che Hunt avesse notato le

pessime condizioni dei suoi indumenti intimi. — Avete detto a qualcuno di averci visto in quel prato? — chiese

nervosamente. Ovviamente, era la domanda che lui stava aspettando. Le sue labbra si

schiusero in un largo sorriso. — Non ancora. — Avete intenzione di dirlo a qualcuno? Hunt considerò la domanda con un'espressione pensosa, che non riusciva

a nascondere quanto quella situazione lo divertisse. — Proprio intenzione non direi... — Si strinse nelle spalle con aria

dispiaciuta. — Ma sapete come succede... A volte questo genere di cose tendono a scivolare di bocca durante una conversazione...

Annabelle socchiuse gli occhi. — Che cosa ci vorrebbe per farvi star zitto?

Lui finse di essere sconvolto da quell'approccio diretto. — Signorina Peyton, dovreste imparare a trattare queste cose con un minimo di diplomazia, non credete? Mi sarei aspettato che una dama raffinata come voi usasse un po' di tatto...

— Non ho tempo per la diplomazia — lo interruppe lei guardandolo con aria feroce. — Ed è ovvio che non terrete la bocca chiusa, a meno che non vi venga offerta una mancia di qualche tipo.

— La parola mancia ha delle connotazioni così negative — finse di protestare Hunt. — Preferisco chiamarlo un incentivo.

— Chiamatelo come vi pare — tagliò corto Annabelle impaziente. — Andiamo avanti col negoziato, d'accordo?

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— D'accordo. — L'espressione di Hunt era seria, ma un'espressione maliziosa si annidava in fondo ai suoi occhi scuri. — Immagino che potrei essere persuaso a mantenere il silenzio sulla vostra scandalosa scorribanda, signorina Peyton. Con un incentivo sufficiente, s'intende.

Annabelle rimase un attimo in silenzio, abbassando le ciglia mentre si concentrava per decidere che cosa dire. Una volta pronunciate, le parole sarebbero state definitive. Santo cielo, perché mai era toccato a lei comprare il silenzio del signor Hunt su una stupida partita di Rounders alla quale, per dirla tutta, non avrebbe neanche voluto partecipare?

— Se foste un gentiluomo — mormorò — non sarebbe necessario. La voce di Hunt vibrava di allegria repressa. — No, non sono un

gentiluomo. Ma devo ricordarvi che non sono stato io a correre mezzo nudo in quel prato, oggi pomeriggio.

— Volete star zitto? — sussurrò Annabelle precipitosamente. — Qualcuno potrebbe sentirvi.

Lui la osservava affascinato, con uno scintillio intenso negli occhi scuri. — Fate la vostra offerta, signorina Peyton. Con gli occhi fissi su un punto del muro alle spalle di lui, Annabelle

parlò con voce soffocata, mentre le orecchie le diventavano tanto roventi che avrebbero potuto bruciacchiarle i capelli.

— Se promettete di non far parola della partita... mi lascerò baciare. L'inspiegabile silenzio che seguì la sua dichiarazione fu un tormento, per

lei. Obbligandosi a sollevare lo sguardo, si rese conto di averlo sorpreso. Lui la fissava come se gli avesse appena parlato in una lingua straniera e non fosse certo della traduzione della frase.

— Un bacio — specificò Annabelle con i nervi tesi a causa della tensione palpabile che si avvertiva tra loro. — E non vi mettete in testa che solo perché ve lo lascio fare una volta, acconsentirò a una seconda.

Hunt rispose in tono insolitamente guardingo, come se stesse scegliendo ogni parola con grande cura.

— Avevo supposto che vi sareste offerta di ballare con me. Un valzer o una quadriglia.

— Ci avevo pensato — ammise Annabelle. — Ma un bacio è più pratico e anche molto più rapido di un valzer.

— Non come bacio io. — Non siate assurdo. Un normale valzer dura almeno tre minuti. Non

potete baciare qualcuno così a lungo. La voce di Hunt si fece impercettibilmente più roca, mentre rispondeva.

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— Se lo dite voi... D'accordo, accetto la vostra offerta. Un bacio per mantenere il vostro segreto. Stabilirò io quando e dove.

— Il quando e il dove saranno stabiliti di comune accordo — ribatté Annabelle. — Lo scopo di tutto questo è evitare che la mia reputazione venga compromessa: non permetterò che la mettiate a rischio scegliendo un luogo pericoloso o un momento inappropriato.

— Che negoziatrice, siete, signorina Peyton. Che Dio ci aiuti, se mai avrete l'ambizione di entrare nel mondo degli affari.

— No, la mia sola ambizione è quella di diventare lady Kendall — ribatté Annabelle con un tono falsamente amabile. Ebbe la soddisfazione di vedere sparire il sorriso dal volto dell'uomo.

— Sarebbe un vero peccato — commentò lui. — Per voi come per Kendall.

— Andate al diavolo, signor Hunt — sibilò lei, quindi si allontanò, cercando di ignorare il dolore intenso che le procurava la caviglia.

Mentre faceva ritorno alla terrazza sul retro del palazzo, si rese conto che le condizioni della sua caviglia etano peggiorate perché iniziò ad avvertire fitte lancinanti che le arrivavano fino al ginocchio.

— Accidenti — mormorò. In quelle condizioni, non avrebbe potuto fare grandi progressi con lord Kendall. Non era facile essere seducente mentre si sentiva sul punto di mettersi a gridare dal dolore.

Sentendosi di colpo esausta e sconfitta, decise di fare ritorno nella sua stanza. Ora che aveva risolto la questione con Simon Hunt, la cosa migliore che poteva fare era fare riposare la caviglia, nella speranza che la mattina dopo fosse in condizioni migliori.

A ogni passo il dolore diventava più forte, finché non iniziò a sentire rivoli di sudore gelido che le scivolavano

lungo la schiena tra le stecche del corsetto. Non era mai stata così male prima. Non solo le faceva male la gamba, ma le girava la testa e si sentiva tutta dolorante. All'improvviso, il contenuto del suo stomaco iniziò ad agitarsi. Aveva bisogno d'aria... doveva uscire al fresco e sedersi da qualche parte fino a che l'attacco di nausea non fosse passato. La porta del terrazzo le sembrava lontanissima, e si chiese se sarebbe riuscita a raggiungerla.

Per fortuna, le sorelle Bowman si erano mosse verso di lei non appena avevano visto che la sua conversazione con Simon Hunt si era conclusa. Il sorriso pieno di aspettativa di Lillian si smorzò non appena notò il suo sguardo sofferente.

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— Hai un aspetto terribile — esclamò. — Mio Dio, che cosa ti ha detto quel mostro?

— Ha acconsentito al bacio — rispose Annabelle sinteticamente, continuando a zoppicare verso la terrazza. Riusciva a malapena a sentire la musica dell'orchestra, tanto le pulsavano le tempie.

— Se l'idea ti terrorizza tanto... — iniziò a dire Lillian. — Non si tratta di quello — la interruppe Annabelle, esasperata dal

dolore. — È la mia caviglia. Ho preso una storta, stamattina, e ora riesco a malapena a camminare.

— Perché non l'hai detto subito? — chiese Lillian preoccupata. Il braccio sottile che passò intorno alla vita di Annabelle era inaspettatamente forte. — Daisy, vai alla porta più vicina e tienila aperta mentre scivoliamo fuori.

Le due sorelle l'aiutarono a uscire e Annabelle si asciugò con la mano guantata la fronte madida di sudore.

— Sto per sentirmi male — gemette, avvertendo un sapore amaro in bocca e delle contrazioni in gola. La gamba le faceva male come se ci fosse passata sopra la ruota di una carrozza. — Oh, Signore, non posso. Non posso farlo qui.

— È tutto a posto — disse Lillian, guidandola con decisione verso un'aiuola che costeggiava i gradini della

terrazza. Nessuno può vederti, cara. Sentiti male quan-to vuoi. Ci siamo Daisy e io a occuparci di te.

— Giusto — aggiunse Daisy alle sue spalle. — Le vere amiche sono sempre pronte a tenerti indietro i capelli mentre tu vomiti l'anima.

Annabelle avrebbe riso, se non fosse stata sopraffatta da un'ondata di nausea. Per fortuna non aveva mangiato molto a cena, così tutto si concluse molto rapidamente. Lo stomaco le si rivoltò e lei non potè fare altro che assecondarlo. Boccheggiando e sputando nell'aiuola, disse con voce flebile.

— Mi dispiace... Mi dispiace tanto, Lillian... — Non essere ridicola — fu la risposta della giovane americana.— Tu

faresti lo stesso per me, no? — Certo che lo farei... ma tu non saresti mai così stupida da... — Non sei stupida — ribatté Lillian con dolcezza. - Ti sei sentita male.

Ora prendi il mio fazzoletto. Ancora chinata in avanti, Annabelle prese il quadrato di lino ornato di

pizzo, ma sussultò quando sentì che era impregnato di profumo.

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— No, non posso. È per via dell'odore. Non ne avete uno che non sia profumato?

— Scusami — disse Lillian dispiaciuta. — Daisy, dov'è il tuo fazzoletto? — Niente da fare — fu la laconica risposta. — Dovrai usare questo, allora. È l'unico che abbiamo. A quel punto una voce maschile si introdusse nella conversazione. — Prendete questo.

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Troppo stordita per rendersi conto di che cosa stesse accadendo intorno a lei, Annabelle strinse il fazzoletto pulito che le era stato messo in mano. Grazie al cielo non aveva alcun profumo, a parte un vago accenno di amido. Dopo essersi asciugata prima il viso sudato, poi la bocca, fu in grado di raddrizzarsi e rivolgersi al nuovo arrivato.

Lo stomaco le si strinse nuovamente alla vista di Simon Hunt. A quanto pareva, l'aveva seguita sulla terrazza giusto in tempo per assistere a quell'umiliante spettacolo. Pensò che voleva morire. Se solo avesse potuto esalare l'ultimo respiro proprio in quel momento e dimenticare per sempre la consapevolezza che Simon Hunt l'aveva vista vomitare l'anima in un'aiuola...

Il viso di lui era del tutto inespressivo, a parte una piccola ruga tra le sopracciglia. Fu pronto a sostenerla, quando la vide vacillare.

— Alla luce del nostro recente accordo — mormorò — la cosa risulta molto poco lusinghiera, signorina Peyton.

— Oh, sparite — gemette Annabelle, abbandonandosi involontariamente contro il sostegno solido e rassicurante del suo corpo, mentre si sentiva

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assalire da un'altra ondata di nausea. Si portò il fazzoletto alla bocca e respirò solo dal naso, riuscendo a resistere finché la sensazione sgradevole non sparì. Si sentiva però invasa dalla debolezza più intensa che avesse mai provato e si rese conto che se lui non fosse stato lì, sarebbe già crollata al suolo. Santo cielo, che cosa le era successo?

Hunt fu pronto a stringerla di più. —Mi sembrava che foste pallida — osservò, scostandole gentilmente dalla fronte sudata una ciocca di capelli. — Che cosa succede, piccola? È solo lo stomaco o vi fa male da qual che altra parte?

Confusamente, nonostante quella terribile sensazione di malessere, Annabelle registrò con stupore l'epiteto affettuoso, senza contare il fatto che mai e poi mai un gentiluomo avrebbe dovuto fare esplicito riferimento a un qualunque organo interno di una signora. Tuttavia, al momento stava troppo male per riuscire a fare qualcosa di diverso che aggrapparsi ai risvolti della sua giacca. Concentrandosi sulla domanda che le era stata fatta, analizzò il caos che le si agitava in corpo.

— Mi fa male tutto — sussurrò.— La testa, lo stomaco, la schiena... ma specialmente la caviglia.

Mentre parlava, si accorse di avere le labbra intorpidite. Se le leccò a titolo sperimentale, allarmata nel rendersi conto che erano diventate insensibili. Se fosse stata anche solo un po' meno sconvolta, si sarebbe accorta che Hunt la guardava come non aveva mai fatto prima. In seguito, Daisy le avrebbe descritto con dovizia di dettagli che atteggiamento protettivo avesse lui mentre la abbracciava per sostenerla. Per il momento, tuttavia, Annabelle si sentiva troppo male per riuscire a percepire qualcosa di diverso dal malessere che la sconvolgeva.

Lillian parlò in tono brusco, avvicinandosi con l'intenzione di liberarla dall'abbraccio di Hunt. — Grazie per averci prestato il fazzoletto, signore. Potete andare, adesso. Mia sorella e io siamo perfettamente in grado di occuparci della signorina Peyton.

Ignorando la giovane americana, Hunt continuò a tenere le braccia intorno ad Annabelle, fissandone intensamente il volto pallido.

— Come vi siete fatta male alla caviglia? — le chiese. — Giocando a Rounders, credo... — Non vi ho visto bere nulla, a cena. — Hunt le posò la mano sulla

fronte, per controllare se aveva la febbre. Il gesto era incredibilmente intimo e familiare. — Avete bevuto qualcosa, prima?

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— Se intendete vino o alcolici, no. — Il corpo di Annabelle sembrava abbandonarsi lentamente, come se la sua mente avesse perso ogni controllo sui movimenti. — Ho bevuto del tè alla corteccia di salice in camera mia.

La mano calda di Hunt si spostò sul lato del suo viso, seguendo delicatamente la curva della guancia. Annabelle aveva freddo al punto da avere la pelle d'oca e tremare dentro l'abito umido di sudore. Avvertendo il calore invitante che irradiava dal corpo di lui, fu quasi sopraffatta dall'impulso di infilarsi dentro la sua giacca come un animale che si rifugia nella tana.

— St-st-sto gelando — sussurrò, e per tutta risposta le braccia dell'uomo la strinsero con maggior forza.

— Appoggiatevi a me — mormorò Hunt, riuscendo abilmente a sfilarsi la giacca senza smettere di sostenere il suo corpo tremante. La avvolse nell'indumento, che conservava ancora il calore della sua pelle, e Annabelle emise di rimando un gemito inarticolato di gratitudine.

Irritata dalla vista dell'amica tra le braccia di un avversario che detestava, Lillian parlò in tono impaziente.

— A questo punto, signor Hunt, mia sorella e io... — Andate a cercare la signora Peyton — la interruppe lui, con un tono

che la pacatezza non rendeva meno autoritario. — E dite a lord Westcliff che la signorina Peyton ha bisogno di un dottore. Lui saprà chi mandare a chiamare.

— E che cosa farete voi? — chiese Lillian, evidentemente poco abituata a ricevere ordini in quel modo.

Gli occhi di Hunt si socchiusero. — Io farò rientrare la signorina Peyton attraverso l'ingresso dei domestici sul lato della casa. Vostra sorella verrà con noi per evitare che la cosa possa apparire in alcun modo sconveniente.

— Questo dimostra quanto poco sapete di che cosa sia o non sia conveniente! — ribatté astiosamente Lillian.

— Non intendo discutere. Cercate di rendervi utile, d'accordo? Dopo aver esitato per un attimo, colma di tensione e di rabbia, Lillian si

voltò e si diresse a grandi passi verso le porte della sala da ballo. Daisy era palesemente ammirata. — Non credo che qualcuno abbia mai

osato parlare a mia sorella in quel modo. Siete l'uomo più coraggioso che io abbia mai incontrato, signor Hunt.

Lui si chinò per passare il braccio sotto le ginocchia di Annabelle. La sollevò senza sforzo, stringendo a sé una massa di membra tremanti e di

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gonne frusciami. Annabelle non era mai stata portata in braccio da un uomo e non riusciva a credere che la cosa stesse davvero accadendo.

— Credo... potrei camminare almeno per una parte del percorso — riuscì a dire.

— Non ce la fareste nemmeno ad arrivare in fondo alle scale della terrazza — rispose Hunt in tono pacato. — Concedetemi di dimostrare il lato cavalleresco della mia natura. Potete passarmi le braccia intorno al collo?

Obbedì, lieta di non doversi più appoggiare alla caviglia dolorante. Cedendo alla tentazione di appoggiare la testa sulla sua spalla, gli passò il braccio sinistro intorno al collo. Mentre Hunt la portava giù per le scale di pietra della terrazza, lei avvertiva il gioco dei suoi muscoli sotto la stoffa della camicia.

— Non credevo che aveste un lato cavalleresco — disse battendo i denti, mentre un'altra ondata di brividi gelati la faceva tremare da capo a piedi. — Pensavo che foste una vera canaglia.

— Non so come la gente possa pensare questo di me — rispose Hunt, guardandola con una scintilla ironica negli occhi. — Sono sempre stato tragicamente incompreso.

— Penso ancora che siate una canaglia. Hunt sorrise e se la sistemò più comodamente tra le braccia. — Evidentemente la malattia non ha intaccato la vostra capacità di

giudizio. — Perché mi aiutate, dopo che vi ho appena detto di andare al diavolo?

— gli chiese Annabelle in un sussurro. — Ho un preciso interesse nel mantenervi in buona salute. Voglio che

siate in piena forma quando riscuoterò il mio debito. Mentre Hunt scendeva gli scalini con passo deciso, Annabelle percepì la

grazia e l'agilità con cui si muoveva, non come un ballerino, ma piuttosto come un gatto in caccia. Dal momento che i loro visi erano molto vicini, notò anche che, per quanto attenta, la rasatura non era riuscita a far sparire del tutto l'ombra scura dei peli sotto la pelle delle guance.

Cercando una presa più sicura, gli passò meglio il braccio intorno al collo, finché non arrivò a sfiorare con le dita le ciocche di capelli che gli si incurvavano morbidamente sulla nuca. "Che peccato che mi senta così male" pensò. "Se non avessi tanto freddo e non mi sentissi tanto debole e stranita, potrei anche godermi il fatto di essere portata in braccio in questo modo".

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Quando raggiunsero il sentiero che costeggiava il fianco della villa, Hunt fece una pausa per permettere a Daisy di far loro strada.

— La porta di servizio — le ricordò, e la ragazza annuì. — Sì, so qual è — disse, lanciando un'occhiata da dietro la spalla,

mentre li precedeva sul sentiero. Il suo viso minuto era pieno di preoccupazione. — Non ho mai sentito che una caviglia storta faccia star male con lo stomaco — commentò.

— Sospetto che si tratti di ben altro che una caviglia storta — rispose Hunt.

— Pensate che sia stato il tè alla corteccia di salice? — chiese Daisy. — No, non avrebbe potuto causare una reazione simile. Ho un'idea di

quale potrebbe essere il problema, ma non potrò averne conferma finché non raggiungiamo la stanza della signorina Peyton.

— Come intendete trovare conferma della vostra idea?— chiese Annabelle preoccupata.

— Voglio solo dare un'occhiata alla vostra caviglia. — Hunt le sorrise. — Di certo meriterò almeno questo, dopo che vi avrò portata su per tre piani di scale.

In realtà, fu evidente che le scale non rappresentarono un problema per lui. Quando giunsero in cima alla terza rampa, il suo respiro non era nemmeno accelerato. Annabelle sospettava che avrebbe potuto fare quel percorso portandola in braccio per altre dieci volte, senza che sulla sua fronte apparisse una sola goccia di sudore. Quando glielo fece notare, Hunt rispose in tono pragmatico.

— Ho passato gran parte della mia vita a trasportare quarti di porco e di manzo per il negozio di mio padre. Portare voi è molto più piacevole.

— Che pensiero delicato — commentò a bassa voce Annabelle chiudendo gli occhi. — Qualsiasi donna sogna di sentirsi dire che è preferibile a una mucca morta.

Una risata fece sobbalzare il petto dell'uomo, che poi si girò per evitare che Annabelle sbattesse il piede contro lo stipite della porta. Daisy aprì la porta e rimase a guardare ansiosamente Hunt che trasportava Annabelle verso il grande letto coperto di broccato.

— Ecco qui — le disse, deponendola sul materasso e appoggiandole dietro la schiena un cuscino in più per aiutarla ad assumere una posizione semiseduta.

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— Grazie — mormorò Annabelle, fissando gli occhi scuri dalle lunghe ciglia al di sopra di lei.

— Voglio vedere la vostra gamba. Ad Annabelle sembrò che il cuore le si fermasse, nel sentire quella

dichiarazione spudorata. — Preferirei aspettare l'arrivo del dottore. — Non vi sto chiedendo il permesso. — Ignorando le sue proteste, Hunt

afferrò l'orlo delle sue gonne. — Signor Hunt! — esclamò Daisy inorridita, precipitandosi verso di lui.

— Non osate... La signorina Peyton è malata, e se non le togliete immediatamente le mani di dosso...

— Non c'è bisogno di starnazzare tanto — ribatté lui in tono sarcastico. — Non ho alcuna intenzione di attentare alla verginale virtù della signorina Peyton. Non ancora, per lo meno. — Il suo sguardo si spostò sul viso pallido di Annabelle. — Non vi muovete. Per quanto le vostre gambe possano essere graziose non scateneranno in me una frenesia... — S'interruppe, trattenendo bruscamente il respiro quando, nel sollevarle le gonne, scorse l'enorme gonfiore della caviglia. — Maledizione! Finora vi avevo considerata una donna piuttosto intelligente. Perché diavolo siete scesa dabbasso in queste condizioni?

— Oh, Annabelle — mormorò Daisy. — La tua caviglia ha un aspetto terribile!

— Non era così male, prima — spiegò lei sulla difensiva. — È peggiorata molto nell'ultima mezz'ora e... — Lanciò un grido di dolore e di allarme quando sentì la mano di Hunt insinuarsi sotto le sue gonne. — Che cosa state facendo? Daisy, non permettergli...

— Vi sto togliendo la calza — disse Hunt. — E consiglio alla signorina Bowman di non interferire.

Lanciandogli uno sguardo feroce, Daisy si mise accanto ad Annabelle. — Sono io che vi consiglio di stare attento a quello che fate, signor Hunt

— ribatté. — Non rimarrò qui con le mani in mano mentre molestate la mia amica.

Lui fece un sorrisetto sarcastico, mentre trovava il gancetto della giarrettiera di Annabelle e lo slacciava con destrezza.

— Signorina Bowman, tra pochi minuti saremo sommersi di visitatori, tra cui la signora Peyton, lord Westcliff e la vostra testarda sorella, seguiti a ruota dal dottore. Perfino io, seduttore esperto e spregiudicato, ho bisogno di un po' più di tempo per molestare qualcuno. — La sua

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espressione cambiò quando Annabelle emise un gemito sofferente, nonostante l'avesse toccata con grande delicatezza. Le abbassò abilmente la calza, facendo il più piano possibile, ma la pelle era così irritata che anche il contatto più lieve le causava un bruciore insopportabile. — State ferma, piccola — mormorò, sfilandole la calza di seta dal piede contratto per il dolore.

Mordendosi le labbra, Annabelle osservò la sua testa scura chinarsi ed

esaminarle la caviglia. La girò con delicatezza, facendo attenzione a non toccarla più del necessario. Poi si irrigidì, la testa sempre china sulla gamba.

— Proprio come pensavo. Chinandosi a sua volta in avanti, Daisy osservò il punto che Hunt le

indicava. — Che cosa sono quei segni? — È un morso di vipera — spiegò Hunt in tono calmo. — Si arrotolò le

maniche della camicia, scoprendo le braccia muscolose dalla peluria scura. Le due ragazze lo guardarono sconvolte. — Sono stata morsa da un

serpente? — chiese Annabelle incredula. — Ma... come? Quando? Non può essere... Me ne sarei accorta!

Hunt infilò la mano nella tasca della sua giacca in cui era ancora avvolta Annabelle, cercando qualcosa.

— A volle le persone non si accorgono del momento in cui vengono morse. I boschi dell'Hampshire sono pieni di vipere, in questo periodo dell'anno. Probabilmente è successo durante la vostra uscita di oggi pomeriggio.

Trovato quello che cercava, estrasse un piccolo coltello a serramanico e lo aprì, facendolo scattare.

Gli occhi di Annabelle si spalancarono per il terrore. — Che... che cosa state facendo?

Sollevando la calza che le aveva sfilato, Hunt la tagliò con decisione in due pezzi. — Preparo un laccio emostatico.

— P-p-portate sempre uno di quelli con voi? — balbettò lei. Le era sempre parso che avesse un'aria un po' piratesca, e in quel momento, in maniche di camicia con un coltello in mano, non faceva che rafforzare quell'impressione.

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Sedendosi accanto alla gamba distesa, Hunt le sollevò le gonne fino al ginocchio, quindi legò strettamente una delle due strisce di seta appena sopra la caviglia.

— Quasi sempre — rispose in tono pacato, concentrandosi su quello che stava facendo. — Essere figlio di un macellaio ha sviluppato in me una predisposizione a subire il fascino dei coltelli.

— Non avevo mai pensato... — Annabelle si interruppe ed emise un gemito soffocato, quando sentì la stretta della stoffa intorno alla gamba.

Lo sguardo di Hunt si sollevò immediatamente a incontrare quello di lei, e sul suo viso fu percorso da una nuova tensione.

— Mi dispiace — disse, passando con cautela l'altra metà della calza appena sotto il punto in cui era ferita. Le parlò, per distrarla mentre stringeva il secondo laccio. — Questo è ciò che succede a indossare quelle vezzose pantofoline all'aria aperta. Dovete aver calpestato un serpentello che dormiva al sole... e quando l'animale ha visto una di quelle deliziose caviglie deve aver deciso di dare un morsetto per assaggiarle. — S'interruppe, poi scosse il capo e abbassò la voce — Non che io possa biasimarlo.

Annabelle sentiva la gamba pulsare e bruciare, e il dolore le fece venire le lacrime agli occhi. Cercando di resistere alla mortificante tentazione di piangere, conficcò le dita nello spesso copriletto di broccato su cui era distesa.

— Perché la caviglia ha iniziato a farmi tanto male solo ora, se sono stata morsa nel primo pomeriggio?

— Possono volerci diverse ore perché il veleno faccia effetto. — Hunt si rivolse a Daisy. — Signorina Bowman, suonate il campanello per chiamare la servitù e dite che abbiamo bisogno di un infuso di attaccavesti.

— Che cose l'attaccavesti? — chiese Daisy sospettosa. — Una pianta. La governante ne tiene sempre un mazzetto seccato nella

dispensa, da quando il capogiardiniere è stato morso, l'anno scorso. Daisy corse a fare quanto le era stato detto, lasciandoli temporaneamente

da soli. — Che cosa è successo al giardiniere?— chiese Annabelle battendo i

denti. Era sopraffatta da violenti brividi, come se fosse immersa in una vasca d'acqua ghiacciata. — È morto?

L'espressione di Hunt non cambiò, ma lei vide che la domanda l'aveva fatto sussultare.

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— No — le rispose con dolcezza, avvicinandosi un po' di più. — No, piccola... — Prendendo tra le sue la mano tremante, ne riscaldò le dita con una stretta gentile. — Le vipere dell'Hampshire non producono veleno sufficiente a uccidere qualcosa di più grande di un gatto, o di un cane di piccola taglia. — Il suo sguardo era incredibilmente dolce. — Vi rimetterete. Vi sentirete molto male, nei prossimi giorni, ma dopo tutto tornerà normale.

— Non state solo cercando di essere gentile, vero? — chiese Annabelle in tono ansioso.

Chinandosi verso di lei, Hunt le sistemò con una carezza alcune ciocche scomposte. Nonostante la grandezza della mano, il suo tocco era leggero e delicato.

— Non mento mai per educazione — mormorò con un sorriso. — Uno dei miei molti difetti.

Dopo aver dato le disposizioni del caso a un lacchè, Daisy si affrettò a tornare al capezzale di Annabelle. Benché la vista di quell'uomo chino su di lei la inducesse a sollevare un sopracciglio, si astenne dal commentare.

— Non dovremmo fare un taglio sulla puntura per lasciare uscire il veleno? — domandò.

Annabelle le lanciò un'occhiata di avvertimento, e quando parlò la sua voce era roca.

— Non dargli idee, Daisy! Hunt sollevò per un attimo lo sguardo. — Non per un morso di vipera.

— I suoi occhi si socchiusero mentre riportava la sua attenzione su Annabelle, il cui respiro sembrava rapido e affannoso. — Fate fatica a respirare?

Lei annuì, sforzandosi di far entrare aria nei polmoni, che sembravano ridotti a un terzo della loro capacità consueta. A ogni respiro, sentiva come delle fasce che le stringevano il petto, fino ad avere l'impressione che le costole le scricchiolassero per la pressione.

Hunt le sfiorò il viso con delicatezza, accarezzandole con il pollice le labbra aride.

— Aprite la bocca. — Scrutando tra le labbra dischiuse della ragazza, annui soddisfatto — La lingua non accenna a gonfiarsi: andrà tutto bene. Ma dovete togliervi il corsetto. Giratevi.

Prima che Annabelle potesse aprire bocca, Daisy protestò indignata: — Aiuterò io Annabelle con il corsetto. Uscite dalla stanza, per favore.

— Ho già visto un corsetto, prima d'ora — la informò Hunt con ironia.

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— Non fingetevi deliberatamente ottuso, signor Hunt. Ovviamente, non era di voi che mi preoccupavo. Gli uomini non tolgono il corsetto alle signore per nessuna ragione, a meno che le circostanze non siano tali da farne una questione di vita o di morte, e ci avete appena assicuralo che non è questo il caso.

Hunt le lanciò un'occhiata esasperata. — Dannazione, ragazza... — Imprecate pure quanto volete — continuò Daisy implacabile. — La

mia sorella maggiore è in grado di farlo dieci volte più di voi. — Si eresse in tutta la sua altezza, anche se il suo metro e sessantadue centimetri di statura difficilmente avrebbero potuto impressionare qualcuno. — Il corsetto della signorina Peyton rimane dov’è fino a che voi non lascerete la stanza.

Hunt lanciò un'occhiata ad Annabelle, che boccheggiava disperatamente in cerca d'aria, troppo sconvolta per curarsi di chi fosse a toglierle il corsetto.

— Per l'amor di Dio — capitolò in tono impaziente, e si diresse a grandi passi verso la finestra, voltando loro le spalle. — Non sto guardando. Fatelo.

Rendendosi conto che quella era l'unica concessione che Hunt era disposto a fare, l'americana si adoperò senza perdere tempo. Tolse la giacca dal corpo irrigidito di Annabelle. — Scioglierò i lacci di dietro e lo farò scivolare via da sotto il vestito — mormorò. — In questo modo rimarrai coperta decentemente.

Annabelle non trovò fiato sufficiente per dirle che qualsiasi preoccupazione di modestia impallidiva in confronto al problema più immediato di non riuscire a respirare. Ansimando, si girò su un fianco e sentì le dita di Daisy che armeggiavano con la stoffa liscia del suo abito da ballo. I polmoni si contraevano nel tentativo frustrato di inspirare aria preziosa. Con un gemito di preoccupazione, iniziò ad ansimare sempre più forte.

Daisy si lasciò sfuggire un paio di imprecazioni. — Signor Hunt, temo che dovrò chiedervi in prestito il coltello: i lacci

del corsetto si sono annodati e non riesco... Oh! — L'esclamazione le sfuggì quando Hunt si avvicinò al letto, la spinse bruscamente da parte e si mise personalmente all'opera. Un paio di sapienti applicazioni del coltello e di colpo l'ostinato indumento allentò la sua stretta feroce contro le costole di Annabelle.

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Annabelle lo sentì sfilarle il corsetto, lasciando solo il velo sottile della camiciola a nascondere la pelle nuda allo sguardo di lui. Nelle condizioni in cui si trovava, quella parziale esposizione non le sembrò particolarmente grave. Tuttavia, in un angolo della mente sapeva bene che in seguito se ne sarebbe vergognata moltissimo.

Voltando Annabelle sulla schiena come se fosse una bambola di pezza, Hunt si chinò su di lei.

— Non cercate di respirare così forte, piccola. — La sua mano le si posò appena sotto il collo. Sostenendo il suo sguardo spaventato, iniziò ad accarezzarla con un lento movimento circolare. — Piano... Rilassatevi.

Con lo sguardo fisso sugli occhi scuri e scintillanti di lui, Annabelle cercò di obbedire, ma la gola le si stringeva a ogni respiro. Si sentiva sul punto di soffocare.

Hunt non le permise di distogliere lo sguardo dal suo. — Andrà tutto bene. Lasciate entrare e uscire l'aria. Lentamente... Così... Sì. — In qualche modo, la delicata pressione della sua mano sul petto sembrava esserle di aiuto, come se lui avesse il potere di indurre i suoi polmoni a riprendere a respirare al ritmo normale. — Il momento peggiore è questo — le spiegò.

— Oh, che meraviglia — cercò di ribattere in tono piccato Annabelle, ma lo sforzo le fece mancare il fiato, e riprese a boccheggiare.

— Non cercate di parlare, limitatevi a respirare. Ancora un respiro lento, profondo... un altro. Brava ragazza.

Man mano che Annabelle ricominciava a respirare normalmente, il panico che l'aveva assalita iniziò a dileguarsi. Hunt aveva ragione: era più facile, se non cercava di opporsi. Il suono del proprio respiro affannoso aveva come sottofondo il mormorio dolcemente tranquillizzante della voce di lui.

— Così va bene — le mormorava. — Proprio così. La sua mano continuava a muoversi con un lento movimento rotatorio

sul petto. Non c'era nulla di sensuale nel suo tocco: l'accarezzava come avrebbe accarezzato un bambino in fasce per calmarlo. Annabelle era strabiliata. Chi avrebbe mai immaginato che Simon Hunt potesse essere così delicato?

Colma al tempo stesso di confusione e di gratitudine, cercò di prendere la grande mano che si muoveva con tanta delicatezza sul suo petto. Supponendo che stesse cercando di respingerlo, Hunt fece per toglierla, ma si immobilizzò di colpo quando sentì le dita di lei stringersi attorno a due delle sue.

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— Grazie — mormorò Annabelle. Quel tocco lo fece irrigidire visibilmente, come se gli avesse trasmesso

una scarica elettrica lungo tutto il corpo. Rimase a fissare non il viso di Annabelle, ma le dita intrecciate alle sue, con l'aria di un uomo intento a cercare di risolvere un enigma complesso. Rimase assolutamente immobile e prolungò quel momento, abbassando le ciglia a nascondere la sua espressione.

Annabelle si passò la lingua sulle labbra aride, rendendosi conto che non avevano ancora riacquistato la sensibilità.

— Mi sento il viso intorpidito — disse con voce spaventata, lasciandogli andare la mano.

Hunt sollevò lo sguardo con l'espressione di un uomo che ha appena scoperto qualcosa di inatteso a proposito di se stesso.

— L'attaccavesti aiuterà. — Le toccò il lato della gola, facendole scivolare il pollice lungo la mandibola in un gesto che poteva essere classificato solo come una carezza. — Il che mi ricorda... — Lanciò un'occhiata al di sopra della propria spalla, come ricordandosi solo in quel momento della presenza di Daisy. — Signorina Bowman, quel dannato lacchè ha portato...

— È qui — rispose la ragazza, giungendo dalla porta con in mano il vassoio che le era stato appena consegnato. A quanto pareva, i due erano stati così assorti l'uno nell'altra da non accorgersi che il servitore aveva bussato alla porta. — La governante ha mandato un infuso che ha un odore terribile, e anche una boccetta che a quanto dice il lacchè contiene tintura di ortica. Sembra anche che il dottore sia appena arrivato e che stia per salire da un momento all'altro. Il che significa che dovete andarvene, signor Hunt.

L'espressione di lui si irrigidì. — Non ancora. — Adesso — insistette Daisy. — Almeno aspettate fuori della porta. Per

il bene di Annabelle. Sarà rovinata, se vi troveranno qui. Accigliato, Hunt si rivolse ad Annabelle. — Volete che me ne vada? In realtà, lei non lo voleva affatto. Al contrario, provava un desiderio

irrazionale di implorarlo di rimanere. Che assurdo scherzo del destino dover desiderare ardentemente la compagnia di un uomo che detestava! Ma i minuti appena trascorsi avevano stabilito un fragile legame tra loro, e si trovò nella strana posizione di non riuscire a dire né sì né no.

— Continuerò a respirare da sola — sussurrò alla fine. — Forse dovreste andare.

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Hunt annuì. —Aspetterò nel corridoio —disse in tono brusco, alzandosi dal letto. Fece cenno a Daisy di avvicinare il vassoio, continuando a fissare Annabelle. — Bevete l'attaccavesti, qualunque sapore abbia. Oppure tornerò qui e ve la caccerò giù per la gola.

Recuperata la giacca, uscì dalla stanza. Con un sospiro di sollievo, Daisy posò il vassoio sul comodino.

— Grazie a Dio — mormorò. — Non avrei saputo bene come convincerlo ad andarsene, se si fosse rifiutato di farlo. Ecco, lascia che ti aiuti a sollevarti un po' di più, poi ti metterò un altro cuscino dietro la schiena. La sollevò con facilità, dimostrandosi sorprendentemente competente. Prese la tazza piena di liquido fumante e gliel'ac-costò alle labbra. — Bevine un po', cara.

Annabelle inghiottì il liquido marrone scuro e rabbrividì. — Orribile! — Ancora — ordinò Daisy inesorabile, sollevando di nuovo la tazza. Annabelle bevve ancora. Aveva il viso così intorpidito che non si rese

conto che parte della medicina le era scivolata dalle labbra, fino a che Daisy non prese un tovagliolo dal vassoio e le asciugò il mento. Con cautela, si toccò con la punta delle dita la pelle gelata del viso.

— È una sensazione così strana... Non dirmi che ho sbavato, mentre il signor Hunt era qui...

— Certo che no — la rassicurò l'amica. — Sarei intervenuta immediatamente. Una vera amica non lascia che un'altra amica sbavi in presenza di un uomo. Anche se è un uomo che non desidera attrarre.

Sollevata, Annabelle si sforzò di bere ancora un po' di tisana, che sapeva di caffè bruciato. Forse era solo la sua immaginazione, ma le pareva di sentirsi già un po' meglio.

— Lillian deve averci messo una vita a trovare tua madre — commentò Daisy. — Non riesco a capire come possa tardare tanto. — Si tirò indietro per osservare Annabelle con occhi scintillanti. — Però sono contenta. Se fossero arrivati subito, avrei perso l'occasione di assistere alla trasformazione del signor Hunt da lupo cattivo a... be'... a un lupo un po' più simpatico.

Ad Annabelle sfuggì una risatina strozzata. — Sorprendente, non è vero?

— Assolutamente. Arrogante e imperioso. Come uno dei personaggi di quei torridi romanzetti che la mamma continua a togliermi dalle mani. È una vera fortuna che fossi presente, o ti avrebbe spogliata tutta. —

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Continuò a chiacchierare, aiutando Annabelle a bere altro infuso di attaccavesti e asciugandole il mento. — Sai, non avrei mai pensato di dire una cosa del genere, ma il signor Hunt non è terribile come credevo.

Annabelle provò a muovere le labbra, che le formicolavano perché iniziavano lentamente a riacquistare la sensibilità.

— Può rivelarsi utile, a quanto pare. Ma... non aspettarti che la trasformazione sia permanente.

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Erano passati a malapena due minuti quando Simon Hunt vide arrivare il

gruppo menzionato poco prima, composto dal dottore, lord Westcliff, la signora Peyton e Lillian Bowman. Con le spalle appoggiate alla parete, li osservò sorridendo tra sé dell'antipatia palpabile che aleggiava tra Marcus e la signorina Bowman, la cui evidente animosità reciproca rivelava che tra i due c'era stato un battibecco.

Il dottore era un vecchio gentiluomo dall'aria distinta che curava Westcliff e i suoi parenti da trent’anni. Scrutando Simon con gli occhi acuti che scintillavano nel volto rugoso, parlò con imperturbabile calma.

— Signor Hunt, mi hanno detto che avete assistito la ragazza e l'avete accompagnata in camera sua.

Lui descrisse concisamente le condizioni e i sintomi di Annabelle, omettendo di specificare che era stato lui e non Daisy a scoprire i segni del morso sulla caviglia di Annabelle. La signora Peyton lo ascoltò, pallida per l'agitazione. Acciglialo, lord Westcliff si chinò a mormorarle qualcosa all'orecchio; lei annuì e lo ringraziò distrattamente. Simon dedusse che Marcus aveva assicurato alla donna che sua figlia avrebbe ricevuto le cure migliori e tutta l'assistenza necessaria finché non si fosse rimessa completamente.

— Naturalmente non sarò in grado di confermare l'esattezza dell'ipotesi del signor Hunt finché non esaminerò la signorina — dichiarò il dottore. —Tuttavia sarebbe consigliabile iniziare a preparare un infuso di attaccavesti, nel caso che il malore sia stato effettivamente provocato da un morso di vipera...

— Ne ha già preso una tazza — lo interruppe Simon. — L'ho fatto preparare un quarto d'ora fa.

Il dottore lo scrutò con lo sguardo contrariato che ri-servava a coloro che si azzardavano a fare diagnosi senza una laurea in medicina.

— L'attaccavesti è un medicinale molto forte, signor Hunt, e potenzialmente dannoso, se somministrato a pazienti che non siano stati morsi da un serpente velenoso. Avreste dovuto aspettare di sentire il parere di un medico, prima di...

— I sintomi del morso di vipera sono inconfondibili — replicò Simon, augurandosi che l'uomo la smettes-se di discutere nel corridoio e andasse a fare il suo lavoro. — E io volevo alleviare il malessere della signorina Peyton il prima possibile.

I capelli grigi del vecchio gli calarono sulla fronte.

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— Siete piuttosto sicuro del vostro giudizio — fu la pungente replica. — Sì — rispose Simon senza battere ciglio. A quel punto il conte, con una risata soffocata, posò una mano sulla

spalla del dottore. — Temo che saremo costretti a rimanere qui a tempo indeterminato,

signore, se cercherete di convincere il mio amico che ha torto su qualcosa. Ostinato è l'aggettivo più gentile che si possa usare per descriverlo. Vi assicuro che impiegherete le vostre energie molto più utilmente prendendovi cura della signorina Peyton.

— Forse avete ragione — rispose il dottore piccato. — Anche se viene da pensare che la mia presenza sia superflua, alla luce

della diagnosi esperta del vostro amico. — Con quel commento sarcastico, il vecchio entrò nella stanza, seguito dalla signora Peyton e da Lillian Bowman.

Rimasto solo nel corridoio con Westcliff, Simon sollevò gli occhi al cielo.

— Vecchio bastardo bilioso — mormorò. — Non avevi nessuno di meno decrepito da chiamare, Marcus? Dubito che ci veda o ci senta abbastanza da fare la sua maledetta diagnosi.

II conte sollevò un sopracciglio, osservandolo con divertita commiserazione.

— È il miglior medico dell'Hampshire. Vieni di sotto, adesso. Ci berremo un brandy.

Simon guardò la porta chiusa. — Più tardi. Westcliff replicò con un tono ironicamente allegro e mondano. — Oh, scusa. Ovviamente preferisci restare dietro la porta come un cane

randagio che aspetta gli avanzi della cucina. Sarò nel mio studio. Fai il bravo ragazzo e corri giù ad avvertirmi, se ci sono novità.

Punto sul vivo, Simon lo fulminò con un'occhiata gelida e si staccò dalla parete.

— D'accordo — ringhiò. — Vengo con te. Il conte rispose con un cenno soddisfatto del capo. — Il dottore verrà da

me a fare rapporto appena avrà finito con la signorina Peyton. Mentre Simon accompagnava l'amico verso l'ampia scalinata, rifletté

cupamente su come si era comportato pochi minuti prima. Era un'esperienza nuova, per lui, lasciarsi guidare dalle emozioni invece che dall'intelletto, e non gli piaceva. Ma la cosa non sembrava avere molta importanza. Appena si era reso conto che Annabelle era malata, aveva

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provato un doloroso senso di vuoto ne! petto, come se qualcuno avesse rapito il suo cuore per chiedere un riscatto. Alla sua mente non si era affacciato neanche il minimo dubbio: era ovvio che avrebbe fatto tutto ciò che era necessario per farla stare bene. E nei momenti in cui Annabelle aveva lottato per riuscire a respirare, fissandolo con i grandi occhi pieni di dolore e paura, Simon avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Qualsiasi cosa.

Che Dio lo aiutasse, se mai Annabelle avesse scoperto quale potere aveva su di lui... un potere che minacciava seriamente il suo orgoglio e il suo autocontrollo. Desiderava possedere ogni parte del suo corpo e della sua anima, raggiungere con lei ogni possibile forma di intimità. La profondità sempre più vasta della sua passione per lei lo sconvolgeva. E nessuna delle persone che conosceva, men che meno il conte, avrebbe potuto capire.

Westcliff aveva sempre tenuto fermamente sotto controllo emozioni e desideri, dimostrando disprezzo per quanti si comportavano da sciocchi per amore.

Non che si trattasse di amore... Simon non aveva alcuna intenzione di arrivare fino a quel punto. Eppure era qualcosa di più del desiderio ordinario. Richiedeva come minimo il possesso indiscusso della donna in questione.

Sforzandosi di nascondere i propri sentimenti, seguì Westcliff nel suo studio.

Era una stanza piccola e austera, rivestita di lucidi pannelli di quercia e decorata solo da una serie di vetrate colorate su un lato. Con i suoi spigoli decisi e il mobilio spartano, lo studio non si poteva definire comodo. Tuttavia era un luogo dall'atmosfera decisamente virile, in cui si poteva fumare, bere e parlare apertamente. Sedendosi su una delle sedie di legno vicino alla scrivania, Simon accettò un bicchiere di brandy e lo mandò giù senza assaporarlo minimamente. Lo porse al conte, ringraziandolo con un cenno del capo e un sorriso, quando glielo riempì nuovamente.

Prima che Westcliff si lanciasse in una diatriba su Annabelle, Simon cercò di sviare la sua attenzione.

— Non sembra che tu vada molto d'accordo con la signorina Bowman — osservò.

Come tattica diversiva, la menzione del nome di Lillian Bowman risultò estremamente efficace. — Quella ragazzina maleducata ha osato dire che la colpa per la disavventura della signorina Peyton va attribuita a me — disse, versandosi a sua volta un bicchiere di brandy.

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Simon sollevò le sopracciglia, sorpreso — Come potrebbe essere colpa tua?

— A quanto pare, la signorina è convinta che, in quanto loro ospite, fosse mia responsabilità assicurarmi che la mia tenuta non brulicasse di serpenti velenosi, come si è espressa.

— Che cosa le hai risposto? — Le ho fatto presente che gli ospiti che usano rimanere vestiti quando

si avventurano all'aperto solitamente non vengono morsi da alcuna vipera. Simon non riuscì a trattenere un sorriso. — La signorina Bowman è solo

preoccupata per la sua amica. — Non può permettersi di perderne una, dato che di certo non ne ha

molte. Sempre sorridendo, Simon riprese a fissare il fondo del proprio bicchiere

di brandy. — Che serata dura hai avuto — commentò in tono ironico l'amico. —

Prima sei stato costretto a trasportare il giovane corpo nubile della signorina Peyton fino alla sua camera da letto, poi hai dovuto esaminarle la gamba ferita. Che terribile seccatura dev'essere stata per te!

Il sorriso di Simon svanì. — Non ho detto di averle esaminato la gamba. Il conte lo scrutò con uno sguardo penetrante. — Non ce n'è stato

bisogno. Ti conosco troppo bene per pensare che ti sia lasciato sfuggire questa opportunità.

— Ammetto di aver dato un'occhiata alla sua caviglia. E le ho anche tagliato i lacci del corsetto, quando è risultato evidente che non riusciva a respirare.

Lo sguardo di Simon sfidò il conte a sollevare obiezioni. — Che ragazzo servizievole — mormorò Westcliff. — Per quanto possa risultarti difficile crederlo, non traggo alcun piacere

lascivo dalla vista di una donna che soffre. Appoggiandosi allo schienale della sedia, Westcliff lo scrutò con uno

sguardo di fredda speculazione che lo irritò. — Spero che tu non sia abbastanza sciocco da innamorarti di quella

creatura. Conosci l'opinione che ho della signorina Peyton... — Sì, l'hai espressa ripetutamente. — Inoltre mi dispiacerebbe vedere uno dei pochi uomini di buon senso

che conosco trasformarsi in uno di quei deliranti idioti che se ne vanno in giro ad inquinare l'atmosfera spargendo ovunque i loro sentimenti...

— Non è amore.

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— Ma è qualcosa — insistette Westcliff. — Da quando ti conosco, non ti ho mai visto con un'espressione stucchevole come quella che avevi mentre te ne stavi lì in piedi davanti alla sua camera da letto.

— Stavo solo manifestando della compassione per un altro essere umano.

Il conte sbuffò irritato. — Nelle cui mutande bruci dalla voglia di infilarti.

La brutale veridicità dell'osservazione strappò a Simon un sorriso riluttante.

— Era un bruciore un paio d'anni fa — ammise. — Ora si tratta di un incendio di proporzioni devastanti.

— Santo cielo — mormorò il conte. — La tua debolezza consiste nella tua incapacità di resistere a una sfida. Anche quando la sfida non è degna di te.

Simon bevve un sorso del liquore, quindi posò il bicchiere. — Mi piacciono le sfide, ma la cosa non ha nulla a che vedere con il mio

interesse per lei. Prima di procedere, voglio che tu ammetta che in qualche momento della tua vita hai dato retta al desiderio e non al buonsenso. Perché se non l'hai mai fatto, è inutile parlare ancora di questo argomento.

— Ovviamente l'ho fatto. Chiunque abbia più di dodici anni l'ha fatto. Ma la funzione di un intelletto superiore è proprio quella di impedirci di continuare a ripetere errori del genere...

— Bene, è questo il mio problema — disse Simon in tono ragionevole. — Non m'importa di avere un intelletto superiore. Me la sono cavata piuttosto bene anche

con il mio, finora. La mascella del conte si irrigidì. — C'è una ragione per cui la signorina

Peyton e le sue voraci amiche non sono sposate. Portano guai. Se gli eventi di oggi non l'hanno chiarito, allora sei proprio senza speranza.

Come Simon Hunt aveva previsto, Annabelle si sentì molto male per diversi giorni. Il pessimo sapore dell'infuso di attaccavesti le era diventato ormai familiare, dal momento che il dottore le aveva prescritto di berne una tazza ogni quattro ore per il primo giorno e ogni sei ore in quelli successivi. Benché la medicina andasse effettivamente riducendo gli effetti del veleno, le scombussolava lo stomaco. Era esausta, eppure non riusciva a dormire bene, e nonostante desiderasse molto qualcosa che potesse alleviare la sua noia, sembrava che non riuscisse a concentrarsi su nulla per più di pochi minuti alla volta.

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Le sue amiche facevano del loro meglio per rallegrarla e intrattenerla, cosa di cui Annabelle era profondamente grata. Evie sedeva al suo capezzale e le leggeva un romanzo a tinte forti trafugato dalla biblioteca della tenuta.

Daisy e Lillian passavano spesso a raccontarle gli ultimi pettegolezzi e la facevano ridere con le loro impietose imitazioni dei vari ospiti. Su sua richiesta, la tenevano regolarmente aggiornata su chi sembrava in testa nella gara per conquistare l'attenzione di lord Kendall.

Annabelle sapeva che parte del suo malumore era causato dagli effetti del veleno del serpente, senza contare il disgustoso antidoto che era costretta a bere. Tuttavia, conoscere le cause della sua depressione, non faceva nulla per migliorarla. Quella sera, mentre se ne stava sdraiata a letto, le giunse attraverso la finestra aperta della camera da letto il rumore dell'orchestra e delle coppie che danzavano nel salone sottostante. Immaginando qualcuna delle altre pretendenti intenta a ballare un valzer tra le braccia di lord Kendall, continuò a rivoltarsi nervosamente tra le lenzuola, dicendosi che tutte le sue speranze di sposarsi erano ormai svanite.

— Odio le vipere — borbottò, osservando la madre che riordinava la collezione di oggetti posati sul comodino: cucchiai sporchi di medicina, bottiglie, fazzoletti, una spazzola e delle forcine. — Odio essere malata e odio passeggiare nei boschi... e più di tutto odio giocare a Rounders-in-mutande!

— Che cos'hai detto, mia cara? — chiese Philippa, smettendo per un attimo di riporre i bicchieri su un vassoio.

Annabelle scosse la testa, sopraffatta di colpo dalla malinconia. — Io... nulla, mamma. Stavo solo pensando che vorrei tornare a Londra

tra un giorno o due, non appena sarò in grado di viaggiare. È inutile rimanere qui. A questo punto qualcun'altra starà per diventare lady Kendall, e io non ho né l'aspetto né le energie per attrarre qualcun altro, senza contare che...

— Io non abbandonerei ogni speranza, ancora — disse Philippa posando il vassoio. Si chinò su Annabelle, acca-rezzandole dolcemente la fronte con materna sollecitudine. — Non è stato ancora annunciato alcun fidanzamento e lord Kendall ha chiesto spesso di te. E poi non dimenticare l'enorme mazzo di campanule che ha portato per te. Raccolte personalmente, a quanto mi ha detto.

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Annabelle lanciò un'occhiata stanca all'enorme composizione posata in un angolo della stanza, il cui profumo impregnava pesantemente l'aria.

— Volevo chiederti se potevi toglierle. Sono bellissime e ho molto apprezzato il gesto, ma l'odore...

— Oh, non ci avevo pensato — rispose immediatamente Philippa. Si affrettò a sollevare il vaso con la cascata di fiori azzurri e lo portò verso la porta. — Li metterò nel corridoio e chiederò a una cameriera di portarli via... — La sua voce si perse, mentre si allontanava.

Annabelle raccolse una forcina e si mise a giocherellare accigliata con il piccolo pezzo di metallo ricurvo. Il mazzo di fiori che le aveva mandato Kendall era stato uno dei tanti. La notizia della sua disavventura aveva suscitato un gran numero di manifestazioni di simpatia da parte degli ospiti di Stony Cross Manor. Perfino lord Westcliff le aveva inviato una composizione di rose di serra da parte sua e dei Marsden.

La profusione di vasi di fiori aveva dato alla stanza un aspetto funereo. Stranamente, però, Annabelle non aveva ricevuto nulla da Simon Hunt, né un biglietto né un fiore. Dopo il suo comportamento così premuroso, due sere prima, si sarebbe aspettata un minimo segno di interessamento. Si disse che probabilmente aveva deciso che lei era una creatura assurda e problematica che non meritava più la sua attenzione. Se le cose stavano così, avrebbe dovuto essere sollevata all'idea di non essere più tormentata da lui.

Invece, provava una strana tristezza e sentiva che gli occhi le si riempivano di lacrime suo malgrado. Non riusciva a capire se stessa. Non riusciva a identificare l'emozione alla base di quell'ondata di sconforto. Ma le sembrava di provare un desiderio intensissimo di qualcosa di indescrivibile. Se solo avesse saputo di che cosa si trattava. Se solo...

— Oh, be', questo è davvero strano. — Philippa sembrava davvero perplessa, mentre rientrava nella stanza.

— Ho trovato questi fuori della porta. Qualcuno li ha lasciati lì senza un biglietto e senza avvertire nessuno. E sono decisamente nuovi, a giudicare dell'aspetto. Pensi che siano di una delle tue amiche? Sì dev'essere così. Un regalo tanto eccentrico può venire solo dalle ragazze americane.

Sollevandosi su un gomito, si vide depositare in grembo due oggetti e rimase a osservare il regalo piena di stupore. Si trattava di un paio di stivaletti alla caviglia, legati insieme da un nastro rosso. La pelle era morbidissima, di un color bronzo molto alla moda, e lucidata fino a farla scintillare come metallo. Con tacchi bassi e suole solide, gli stivaletti

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risultavano pratici e al tempo stesso eleganti. Erano decorati con un delicato disegno di foglie che si estendeva fino alle punte. Fissandoli, Annabelle sentì una risata salirle in gola.

— Devono essere un regalo delle Bowman — disse, ma sapeva che non era così.

Gli stivaletti erano un pensiero di Simon Hunt, il quale sapeva bene che un gentiluomo non doveva mai e poi mai regalare un capo di abbigliamento a una signora. Annabelle si disse che doveva restituirli immediatamente, pur sorprendendosi a stringere con forza a sé le calzature. Solo Hunt poteva riuscire a donarle qualcosa di così pratico e insieme così sconvenientemente personale.

Con un sorriso sciolse il nastro rosso e sollevò uno degli stivaletti. Era davvero molto leggero, e vide alla prima occhiata che era del suo numero. Ma come aveva fatto Hunt a sapere quale misura chiedere, e soprattutto dove aveva preso gli stivaletti? Sfiorò delicatamente col dito i piccoli punti che univano la suola alla scarpa color bronzo.

— Come sono belli — osservò Philippa. — Quasi troppo belli per camminarci nella campagna fangosa.

Annabelle si portò uno stivaletto al naso, inspirando il profumo gradevole del cuoio nuovo e lucidato. Ne accarezzò il morbido bordo superiore, per poi sollevarlo davanti a sé ammirandolo come se fosse una scultura di inestimabile valore.

— Ne ho avuto abbastanza delle passeggiate in campagna—disse con un sorriso. — Questi stivali rimarranno sempre sui tranquilli sentierini del giardino.

Scrutandola con affetto, Philippa le accarezzò i capelli. — Non avrei mai pensato che un paio di scarpe nuove potesse

risollevarti lo spirito in questo modo; ma la cosa mi fa molto piacere. Vuoi che faccia portare della zuppa e del pane tostato, cara? Devi provare a mangiare qualcosa, prima della prossima dose di attaccavesti.

Annabelle annuì. — D'accordo. Prenderò della zuppa. Annuendo soddisfatta, la madre allungò la mano verso gli stivaletti. — Li metto nell'armadio... — Non ancora — mormorò Annabelle, stringendone uno con aria

possessiva. Philippa sorrise e andò a suonare il campanello per chiamare la

cameriera.

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Mentre Annabelle si distendeva di nuovo nel letto, accarezzando con la punta delle dita la pelle liscia degli stivaletti, si sentiva come se un gran peso le fosse stato tolto dal petto. Senza dubbio era un segno del fatto che gli effetti del veleno iniziavano a scemare, ma non bastava a spiegare perché di colpo si sentisse così sollevata e serena.

Avrebbe dovuto ringraziare Simon Hunt, naturalmente, e dirgli che il suo regalo era inappropriato. E se avesse ammesso di essere stato lui a lasciarle quel dono, Annabelle avrebbe ovviamente dovuto restituirlo. Un libro di poesie, una scatola di cioccolatini o un mazzo di fiori sarebbero stati un omaggio molto più adatto. Ma nessun regalo l'aveva mai commossa come quello.

Tenne con sé gli stivaletti tutta la sera, nonostante sua madre le avesse detto che posare un paio di scarpe sul letto portava sfortuna. Quando alla fine stava per cadere addormentata, con la musica dell'orchestra che le giungeva ancora attraverso la finestra, acconsentì a posarli sul comodino. Appena si svegliò, il mattino dopo, la loro vista la fece sorridere.

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La terza mattina dopo essere stata morsa dalla vipera, Annabelle si sentì finalmente abbastanza bene da alzarsi dal letto. Con suo grande sollievo, la maggior parte degli ospiti erano andati a una festa che si svolgeva in una tenuta vicina, lasciando Stony Cross Manor vuota e silenziosa. Dopo essersi consultata con la governante, Philippa sistemò la figlia in un salottino privato al piano superiore che si affacciava sui giardini. Era una stanzetta deliziosa, dalle pareti coperte di carta blu con motivi floreali alle quali erano appesi allegri ritratti di bambini e animali. Secondo la governante, il salottino era solitamente riservato all'uso privato dei Marsden, ma lord Westcliff in persona l'aveva messo a disposizione per la comodità di Annabelle.

Dopo aver sistemato una piccola coperta sulle ginocchia di Annabelle, Philippa posò una tazza di infuso di attaccavesti sul tavolino accanto a lei.

— Devi bere questo — disse con decisione, in risposta alla smorfia della figlia. — È per il tuo bene.

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— Non c'è bisogno che resti qui a sorvegliarmi, mamma. Sarò felice di stare un po' qui a rilassarmi, mentre tu andrai a fare una passeggiata o una chiacchierata con una delle tue amiche.

— Ne sei sicura? — chiese Philippa. — Assolutamente. — Annabelle prese la tazza con l'infuso e ne bevve

un sorso. — Sto bevendo la mia medicina, visto? Vai, mamma, e non preoccuparti per me.

— D'accordo — acconsentì Philippa, un po' riluttante. — Solo per poco. La governante ha detto di suonare il campanello sul tavolo, se vuoi chiamare qualcuno della servitù. E ricordati di bere quell'infuso fino all'ultima goccia.

— Lo farò — promise Annabelle, sfoderando un largo sorriso. Continuò a sorridere finché la madre non ebbe lasciato la stanza, quindi si allungò oltre lo schienale del divanetto e versò con cautela il contenuto della tazza fuori dalla finestra.

Con un sospiro soddisfatto, Annabelle si acciambellò in un angolo del divanetto. Ogni tanto un rumore che proveniva dall'interno della casa interrompeva il silenzio tranquillo della stanza: lo sbattere di un piatto, la voce della governante, il fruscio di una scopa usata per spazzare il tappeto del corridoio.

Appoggiando il braccio sul davanzale, si chinò in avanti per raggiungere un raggio di sole e lasciare che la sua luce calda le inondasse il viso. Chiuse gli occhi e ascoltò il ronzio delle api che si muovevano pigramente fra il tripudio rosa delle ortensie e i viticci delicati dei piselli odorosi che si arrampicavano sui bordi delle aiuole. Nonostante si sentisse ancora molto debole, era piacevole starsene seduta al sole, sonnecchiando come un gatto.

Ci mise un po' a reagire, quando sentì un suono che veniva dalla porta: un unico colpetto, come se il visitatore esitasse a interrompere il suo sogno a occhi aperti bussando con decisione. Sbattendo le palpebre sugli occhi momentaneamente accecati dal sole, Annabelle rimase seduta con le gambe ripiegate sotto di sé. La massa di puntini luminosi che le ostacolava la vista si diradò lentamente, e si ritrovò a fissare la sagoma scura e asciutta di Simon Hunt. Aveva una spalla appoggiala allo stipite della porta, in una posa disinvolta. La testa leggermente inclinata da un lato, la contemplava con espressione indecifrabile.

Il cuore di Annabelle iniziò a battere all'impazzata. Come al solito, Hunt era vestito in modo impeccabile, ma l'abbigliamento raffinato non riusciva

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a mascherare l'energia virile che sembrava emanare da lui. Allora ricordò la solidità dei muscoli delle sue braccia e del suo petto, che aveva avvertito mentre la trasportava, il tocco della sua mano... Non sarebbe più riuscita a guardarlo senza ricordare quelle sensazioni.

— Sembrate una farfalla volata in casa dal giardino — disse lui a bassa voce.

"Probabilmente mi sta prendendo in giro" pensò Annabelle, consapevole del pallore malsano del proprio incarnato. Imbarazzata, si portò una mano ai capelli, riordinandone le ciocche spettinate.

— Che cosa ci fate qui? — chiese. — Non dovreste essere alla festa dei vicini?

Non aveva inteso mostrarsi così brusca e poco accogliente, ma la sua consueta facilità di parola sembrava svanita. Mentre lo fissava, non potè fare a meno di ricordare il modo in cui le aveva massaggiato il petto con la mano. Quel pensiero la fece arrossire di vergogna.

Hunt rispose in tono garbatamente ironico. — Devo sbrigare degli affari con uno dei miei collaboratori, che dovrebbe arrivare da Londra questa mattina. A differenza dei gentiluomini in calze di seta i cui pedigree ammirate tanto, devo occuparmi di cose più serie che trovare il luogo adatto dove stendere la tovaglia per il picnic. — Staccandosi dallo stipite avanzò nella stanza, scrutandola con attenzione. — Vi sentite ancora debole? Presto andrà meglio. Come va la caviglia? Sollevate le gonne: credo che farei bene a dare un'altra occhiata.

Per un attimo lei lo guardò allarmata, poi scoppiò a ridere, quando vide l'espressione dei suoi occhi. Per qualche ragione, il commento audace dissipò il suo imbarazzo e la indusse a rilassarsi.

— Siete molto gentile — rispose in tono pacato. — Ma non ce ne bisogno. La caviglia va molto meglio, grazie.

Hunt sorrise, avvicinandosi a lei. — Sappiate che la mia offerta nasceva da spirito di puro altruismo. Non avrei tratto alcun piacere illecito dalla vista della vostra gamba scoperta. D'accordo, magari solo un piccolo brivido, ma l'avrei nascosto molto bene.

Afferrando lo schienale di una sedia, la spostò vicino al divanetto e sedette accanto a lei. La ragazza fu impressionata dalla disinvoltura con cui aveva sollevato il pesante oggetto di mogano intagliato, come se non pesasse più di una piuma. Lanciò una rapida occhiata al vano della porta. Finché rimaneva aperta, era un comportamento accettabile restare nel salottino a parlare con Hunt. Inoltre, sua madre sarebbe tornata ben presto

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a vedere come stava. Prima che accadesse, però, decise di sollevare l'argomento degli stivaletti.

— Signor Hunt — cominciò in tono guardingo. — C'è qualcosa che vorrei chiedervi...

— Sì? "Gli occhi sono decisamente il suo tratto più affascinante" pensò

Annabelle. Vibranti e pieni di vita, la inducevano a chiedersi perché mai le persone preferissero in genere gli occhi azzurri a quelli scuri. Nessuna sfumatura di azzurro avrebbe mai potuto esprimere l'intelligenza scintillante che si annidava nelle profondità degli occhi neri di Simon Hunt.

Per quanto si sforzasse, non riuscì a trovare un modo indiretto per chiedergli quello che voleva sapere. Dopo aver considerato e scartato silenziosamente una serie di frasi, si decise a fargli una domanda diretta.

— Siete stato voi a lasciarmi gli stivaletti dietro la porta. L'espressione di lui rimase impassibile. — Stivaletti? Non riesco a

capire che cosa significa, signorina Peyton. Intendete in senso metaforico o stiamo parlando di calzature vere e proprie?

— Stivaletti alla caviglia — disse Annabelle, fissandolo con sospetto. — Un paio nuovo, che è stato lasciato ieri davanti alla porta della mia stanza.

— Per quanto sarei delizialo di discutere con voi di qualunque capo del vostro guardaroba, temo di non sapere nulla di questi stivaletti. Tuttavia, sono sollevato all'idea che siate finalmente riuscita ad acquistarne un paio. A meno che, naturalmente, non preferiate continuare a fare da buffet itinerante per le creature selvatiche dell'Hampshire.

Annabelle lo osservò a lungo. Nonostante il suo diniego, c'era qualcosa che si annidava sotto quell'espressione neutra, uno scintillio divertito degli occhi...

— Quindi negate di avermi regalato degli stivaletti? — Nella maniera più categorica. — Ma, mi chiedo, se qualcuno volesse far confezionare un paio di

stivaletti per una signora di sua conoscenza, come farebbe a sapere la misura esatta del suo piede?

— Sarebbe una questione relativamente semplice — stette al gioco Hunt.— Immagino che una persona dotata di intraprendenza potrebbe semplicemente chiedere a una cameriera di ricalcare la forma della suola di un paio di pantofoline della signora. Poi potrebbe portare il disegno al calzolaio locale e fare in modo che per il calzolaio valga la pena di

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rimandare qualunque altro lavoro per realizzare immediatamente le scarpe nuove.

— Tutto questo significherebbe sobbarcarsi un bel po' di disturbo... per quella persona — osservò Annabelle.

Hunt le lanciò un'occhiata maliziosa. — Sempre meno che dover portare in braccio per tre piani di scale una donna ferita ogni volta che decide di uscire in pantofoline.

A quel punto lei si rese conto che non avrebbe mai ammesso di averle regalato gli stivaletti. Questo le avrebbe permesso di tenerli e non le avrebbe mai dato modo di ringraziarlo. Ma era sicura che fosse stato lui: glielo leggeva in faccia.

— Signor Hunt — disse di slancio. — Io... vorrei... — S'interruppe, incapace di trovare le parole, e rimase a fissarlo imbarazzata.

Provando pietà per lei, Hunt si alzò e andò dall'altra parte della stanza a prendere un piccolo tavolino rotondo. Aveva un diametro di una sessantina di centimetri ed era costruito con un particolare meccanismo che consentiva di girarne di volta in volta la superficie dotata di scacchiera per giocare a scacchi o a dama. — Giocate? — le chiese in tono casuale, posando il tavolino di fronte a lei.

— A dama? A volte... — No, non a dama. A scacchi. Annabelle scosse la testa, rannicchiandosi in un angolo del divanetto. — No, non ho mai giocato a scacchi. E non vorrei sembrare poco

collaborativa, ma... per come mi sento in questo momento, non ho alcun desiderio di provare qualcosa di così difficile come...

— Dunque è ora che impariate — dichiarò Hunt, dirigendosi verso una serie di scaffali su cui era posata una scatola di legno lucido. — Si dice che non si conosca mai davvero una persona finché non si gioca a scacchi con lei.

Annabelle lo osservava guardinga, provando una certa agitazione all'idea di essere sola con lui, tuttavia era assolutamente affascinata dalla sua deliberata gentilezza. Sembrava quasi che cercasse di indurla a fidarsi di lui. C'era una delicatezza, nel suo comportamento, che contrastava radicalmente con l'immagine dell'uomo cinico e dissoluto che aveva sempre avuto di lui.

— Voi ci credete? — gli chiese. — Ovviamente no. — Hunt posò la scatola sul tavolo e la aprì, rivelando

una serie di pezzi degli scacchi in ebano e avorio, intagliati con grande

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cura. Le lanciò uno sguardo provocatorio. — La verità è che non si conosce mai un uomo finché non gli si presta del denaro. E non si conosce mai una donna finché non si dorme nel suo letto.

L'aveva detto apposta per scandalizzarla, ovviamente. E ci riuscì, anche se Annabelle fece del suo meglio per nasconderlo.

— Signor Hunt — disse scrutando con aria severa i suoi occhi ridenti. — Se continuerete a fare osservazioni volgari, dovrò chiedervi di andarvene.

— Perdonatemi. — L'immediata contrizione di Hunt non la ingannò minimamente. — È solo che non riesco a resistere alla tentazione di farvi arrossire. Non ho mai conosciuto una donna che arrossisse quanto voi.

Il rossore che aveva colorito le gote di Annabelle si diffuse su tutto il viso.

— Io non arrossisco mai. È solo quando sono con voi che... — S'interruppe, fissandolo con un cipiglio indignato che lo fece scoppiare a ridere.

— Mi comporterò bene, per il momento — le promise. — Non ordinatemi di andar via. — Annabelle lo fissò con aria indecisa, passandosi una mano incerta sulla fronte, e il segno di quella sua fragilità fisica lo spinse a parlarle in tono ancora più gentile. — È tutto a posto — mormorò. — Lasciate che rimanga, Annabelle.

Sbattendo le palpebre, lei fece un debole cenno di assenso con il capo e si riappoggiò stancamente ai cuscini del divanetto, mentre Hunt preparava metodicamente la scacchiera. La delicatezza con cui toccava i pezzi era sorprendente, considerata la dimensione delle sue mani. "Mani potenzialmente spietate" pensò Annabelle. Abbronzate e virili, con una leggera peluria scura sul dorso.

Mentre Hunt era in piedi, così vicino a lei, Annabelle ne percepì il profumo intrigante, un accenno di amido e di sapone da barba che si legavano alla fragranza della fresca pelle maschile... e c'era anche un aroma più sfuggente, una sfumatura dolce nel suo alito, come se avesse mangiato di recente delle pere o una fetta di ananas. Quando sollevò lo sguardo verso il suo viso si rese conto di quanto poco gli ci sarebbe voluto per chinarsi e baciarla. Quel pensiero la fece fremere. In realtà, desiderava sentire il tocco della sua bocca, assaporare la punta di dolcezza del suo alito... Voleva che la stringesse di nuovo tra le braccia.

Rendersene conto la indusse a spalancare gli occhi. La sua improvvisa immobilità si trasmise immediatamente anche a Hunt. La sua attenzione si

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spostò dalla scacchiera al viso di Annabelle, sollevato verso di lui, e qualsiasi cosa lesse nel suo sguardo gli fece trattenere il respiro. Nessuno dei due si mosse. Annabelle non poteva far altro che aspettare in silenzio, affondando le dita nel rivestimento del divanetto e chiedendosi che cosa avrebbe fatto lui.

Infine Hunt ruppe la tensione facendo un respiro pro-fondo, poi parlò con voce leggermente roca.

— No... non vi siete ancora rimessa del tutto. Annabelle riuscì a malapena a sentire le parole al di sopra del battito

impazzito del proprio cuore. — C-c-che cosa? — chiese con un filo di voce, balbettando come Evie. Apparentemente incapace di trattenersi, lui le scostò una piccola ciocca

di capelli dalla fronte. La carezza lieve del suo dito produsse una sensazione bruciante sulla pelle liscia di Annabelle.

— So che cosa state pensando. E credetemi, sono tentato. Ma siete ancora troppo debole, e il mio autocontrollo non è al massimo livello, oggi.

— Se state insinuando che io... — Non perdo mai tempo con le insinuazioni — mormorò Hunt

riprendendo a collocare con cura i pezzi sulla scacchiera. — È ovvio che desiderate che vi baci. E lo farò con piacere, quando sarà il momento giusto. Che però non è ancora arrivato.

— Signor Hunt, siete il più... — Sì, lo so — la interruppe lui con un sorriso. — Potete risparmiarvi la

fatica di lanciarmi addosso epiteti insultanti, dal momento che li ho già sentiti tutti. — Sedendosi sulla sedia, le mise in mano un pezzo degli scacchi. Era di ebano intagliato, pesante e freddo, anche se la sua superficie liscia tendeva a riscaldarsi a contatto con la pelle.

— Non sono epiteti, quelli che vorrei lanciarvi addosso — disse Annabelle. — Basterebbero uno o due oggetti contundenti.

Hunt scoppiò in una risata profonda e le accarezzò col pollice il dorso delle dita, prima di ritirare la mano. Annabelle si sentì sfiorare dalla pelle callosa del suo dito, che le provocò una sensazione simile a quella della lingua ruvida di un gatto. Stupita della propria risposta a quel tocco, spostò lo sguardo sul pezzo degli scacchi che aveva in mano.

— Quella è la regina, il pezzo più potente della scacchiera. Può spostarsi in qualunque direzione e arrivare dove vuole.

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Non c'era nulla di allusivo nelle sue parole, ma quando parlava piano, come in quel momento, nella sua voce si avvertiva una nota roca che emozionava Annabelle al punto da farle arricciare le dita dei piedi nelle pantofole.

— Più potente del re? — chiese. — Sì. Il re si può muovere di un solo passo alla volta. Ma il re è il pezzo

più importante. — Perché è più importante della regina, se non è il più potente? — Perché una volta che il re viene catturato, la partita è finita. Riprendendo il pezzo che le aveva dato, Hunt le mise in mano un

pedone. Con le dita sfiorò le sue, indugiando in una rapida ma significativa carezza. Annabelle sapeva bene che avrebbe dovuto scoraggiare quell'oltraggiosa familiarità, tuttavia si ritrovò a osservare il pezzo quasi ipnotizzata, mentre le nocche delle dita le diventavano bianche per la stretta troppo forte con cui lo teneva. La voce di Hunt, bassa e vellutata, continuò la spiegazione.

— Quello è un pedone, che si sposta di una casella alla volta. Non può muoversi all'indietro né di lato, a meno che non stia mangiando un altro pezzo. Molti giocatori inesperti all'inizio della partita muovono molti pedoni, per controllare una porzione più vasta della scacchiera. Ma una strategia migliore è quella di utilizzare al meglio gli altri pezzi...

Man mano che Hunt continuava a spiegare come andasse usato ciascun pezzo, glieli metteva a uno a uno in mano. Annabelle era incantata dal tocco ipnotico delle sue mani, e i sensi si allertavano ogni volta in trepida aspettativa. Le sue consuete difese sembravano essersi polverizzate come chicchi di grano in una macina di mulino. Era successo qualcosa a lei, o a Hunt, oppure a entrambi, e quella cosa faceva sì che riuscissero a interagire con una facilità mai provata prima di allora. Annabelle non voleva incoraggiarlo, non poteva derivarne nulla di buono, e tuttavia non riusciva a non ricavare piacere dalla sua vicinanza.

Hunt la indusse a giocare una partita, aspettando con pazienza che lei considerasse ogni mossa possibile, offrendole suggerimenti quando lo richiedeva. I suoi modi erano così gradevoli e rilassanti che ad Annabelle quasi non importava chi avrebbe vinto la partita. Quasi. Quando mosse uno dei suoi pezzi in una posizione da cui ne attaccava due contemporaneamente, Hunt le rivolse un sorriso di approvazione.

— Questa si chiama una tattica a tenaglia. Come sospettavo, avete un talento naturale per gli scacchi.

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— Ora non avete altra scelta che ritirarvi — dichiarò Annabelle trionfante.

— Non ancora. — Hunt mosse un altro pezzo, in un'altra zona della scacchiera, minacciando la regina di Annabelle.

Studiando la mossa che lui aveva appena fatto, Annabelle si rese conto che Hunt aveva appena messo lei in condizione di doversi ritirare.

— Non è giusto — protestò ridendo. Intrecciò le dita, vi appoggiò sopra il mento e rimase a contemplare la

scacchiera. Trascorse un intero minuto, durante il quale prese in considerazione diverse strategie, ma nessuna le sembrava appropriata

— Non so che cosa fare — ammise alla fine. Sollevando lo sguardo a incontrare quello di lui, si accorse che la stava fissando in un modo strano, carezzevole e intento. Quello sguardo la toccò profondamente, e si ritrovò a inghiottire con forza, per scacciare una sensazione di dolcezza intensa, come se le colasse del miele lungo la gola.

— Vi ho stancata — mormorò Hunt. — No, sto bene... — Continueremo a giocare più tardi. Capirete meglio che mossa fare

dopo esservi riposata un po'. — Non voglio smettere — replicò Annabelle, seccata. — Inoltre,

nessuno di noi due ricorderà più la disposizione dei pezzi sulla scacchiera. — Me la ricorderò io. — Ignorando le sue proteste, Hunt si alzò e spostò

il tavolino di lato, fuori della sua portata. — Avete bisogno di dormire un po'. Vi serve aiuto per tornare al piano di sopra o...

— Signor Hunt, non ho alcuna intenzione di tornare nella mia stanza — dichiarò Annabelle in tono ostinato. — Non la sopporto più. In effetti, preferirei dormire nel corridoio, piuttosto...

— D'accordo — mormorò lui con un sorriso, rimettendosi a sedere. — Calmatevi. Non ho alcuna intenzione di costringervi a fare qualcosa che non volete. — Intrecciò le dita dietro la nuca e si appoggiò all'indietro con aria deliberatamente rilassata, osservandola però con uno sguardo attento.

— Domani gli ospiti torneranno in forze alla villa — osservò. — Immagino che presto riprenderete a dare la caccia a Kendall.

— Probabilmente — ammise Annabelle, coprendosi la bocca per nascondere uno sbadiglio insopprimibile.

— Voi non lo volete — disse a bassa voce.

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— Sì che lo voglio. — Annabelle sbadigliò di nuovo, appoggiando la testa sulle braccia conserte. — E anche se siete stato molto gentile con me, temo di non poter permettere che questo cambi i miei piani.

Hunt la fissò con lo stesso sguardo rilassato ma attento con cui aveva osservato la scacchiera.

— Neanch'io ho intenzione di cambiare i miei piani, piccola. Se Annabelle non tosse stata così stanca, avrebbe protestato per l'epiteto

affettuoso. Invece, rifletté sulle sue parole con aria assonnata. 1 suoi piani...

— Che consistono nel cercare di impedirmi di sposare lord Kendall — disse.

— Vanno un briciolo oltre quello — replicò lui, mentre un sorriso gli sollevava un angolo della bocca.

— Che cosa volete dire? — Non credo proprio che vi rivelerò la mia strategia. Ho bisogno di

tutto il vantaggio che riesco a conquistare. La prossima mossa spetta a voi, signorina Peyton. Ricordate solo che vi tengo d'occhio.

Annabelle sapeva che l'avvertimento avrebbe dovuto allarmarla. Ma si sentì invadere da un'immensa stanchezza e chiuse gli occhi per alcuni secondi. Aveva le palpebre pesanti per l'impellente bisogno di sonno. Fece uno sforzo estremo per aprire gli occhi, ma l'immagine dell'uomo le apparve sfuocata. "È un vero peccato che siamo costretti a essere avversari" pensò stancamente. Non si rese conto di aver pronunciato quelle parole ad alta voce finché Hunt non le rispose in tono gentile.

— Non sono mai stato vostro avversario. — Allora siete mio amico? — mormorò lei con aria scettica, cedendo

alla tentazione di chiudere nuovamente gli occhi. Questa volta il sonno l'attirò nel suo abbraccio accogliente così in fretta che ebbe appena il tempo di rendersi conto che Hunt le aveva posato la coperta sulle spalle.

— No, piccola — sussurrò Hunt. — Non sono vostro amico... Annabelle sonnecchiò tranquilla, svegliandosi giusto il tempo necessario

per accertarsi di essere sola nel salotti-no privato, per poi riassopirsi nel tepore del sole. Mentre il suo corpo si rilassava, abbandonandosi al sonno, si ritrovò all'interno di un sogno colorato, in cui tutti i suoi sensi erano acuiti e il suo corpo le sembrava leggero come se stesse galleggiando in un oceano caldo. Lentamente, intorno a lei si materializzarono delle forme...

Si aggirava per una casa che non le era familiare, una dimora elegante in cui i raggi del sole filtravano attraverso grandi vetrate. Le stanze erano

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vuote, non si vedevano ospiti né servitori. Da una fonte non visibile sgorgava una musica che si spandeva nell'aria, una musica triste e misteriosa, che la riempiva di uno strano senso di struggimento. Camminando da sola nella casa, trovava una sala spaziosa circondata di colonne di marmo, priva di tetto... Era a cielo aperto, leggermente ombreggiata da un banco di nubi. Il pavimento di legno sotto i suoi piedi era fatto da larghi riquadri bianchi e neri che ricordavano una scacchiera, con statue a grandezza naturale posizionate su alcuni dei riquadri.

Aggirandosi tra di esse con curiosità, Annabelle girava intorno a ciascuna per ammirarne il viso mirabilmente scolpito. Desiderosa di trovare qualcuno con cui parla-

re, una calorosa mano umana a cui aggrapparsi, attraversò la gigantesca scacchiera, cercando disperatamente tra le figure immobili finché non scorse una sagoma scura appoggiata con aria disinvolta a una colonna di marmo bianco. Il cuore cominciò a batterle all'impazzata; rallentò il passo, sentendosi invadere da un'ondata di eccitazione che le scaldò la pelle e la fece iniziare a respirare con un ritmo accelerato.

Era Simon Hunt, che camminava verso di lei con un sorrisetto. La afferrò prima che potesse ritrarsi e si chinò a parlarle piano all'orecchio.

— Ballerai con me, adesso? — Non posso — rispose Annabelle senza fiato, lottando per sciogliersi

dal suo abbraccio. — Sì che puoi — insistette gentilmente lui, mentre la sua bocca calda e

tenera le scorreva lungo il viso. — Metti le braccia intorno a me... Annabelle si divincolava nel suo abbraccio, ma Hunt rise dolcemente e

la baciò finché lei non si abbandonò completamente. — Adesso la regina è sotto attacco — mormorò, tirandosi indietro per

fissarla negli occhi con aria crudele. — Sei in pericolo, Annabelle... Di colpo la lasciò andare e lei si voltò per fuggire, andando a sbattere

per la fretta contro le statue. Lui la seguiva senza affrettarsi e la sua risata le risuonava nelle orecchie. Rimase a lungo dietro di lei, prolungando deliberatamente l'inseguimento, finché Annabelle non fu stanca, accaldata e senza fiato. Catturandola, finalmente, l'attirò a sé e la trascinò a terra. La sua testa scura le schermò la vista del cielo, mentre le si sdraiava addosso e la musica veniva sopraffatta dal battito convulso del cuore.

— Annabelle — sussurrava — Annabelle... Si svegliò, spalancando di colpo gli occhi nel viso arrossato dal sonno

quando si accorse che c'era qualcuno insieme a lei.

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— Annabelle— sentì chiamare di nuovo... ma non si trattava della roca e carezzevole voce baritonale del sogno.

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Quando Annabelle alzò lo sguardo, vide lord Hodgeham in piedi davanti a lei. Si tirò a sedere, indietreggiando il più possibile, quando si rese conto che non si trattava di un frutto della sua immaginazione, ma di una presenza fin troppo reale. Senza parole per la sorpresa, si ritrasse inorridita quando l'uomo allungò la mano grassoccia verso il pizzo che decorava il corpino del suo abito da giorno.

— Ho sentito dire che eravate malata — disse Hodgeham, osservando con sgradevole attenzione le sue forme. — Mi è dispiaciuto terribilmente scoprire che vi era toccato un simile incidente. Ma sembra che non ci siano

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stati danni permanenti. Siete... — Si interruppe per inumidirsi le labbra carnose. — Siete deliziosa come sempre, anche se forse un poco pallida.

— Come... come mi avete trovata, qui? — chiese Annabelle. — Questo è il salottino privato dei Marsden. Di certo nessuno vi ha dato il permesso...

— Me lo sono fatto dare da una persona della servitù — fu la compiaciuta risposta.

— Uscite subito, o mi metterò a gridare che mi state molestando. Hodgeham ridacchiò. — Non potete permettervi uno scandalo, mia cara.

Il vostro interesse per lord Kendall è evidente a chiunque. E sappiamo bene che il minimo accenno di disonore legato al vostro nome manderebbe a monte per sempre le vostre possibilità con lui. — Le sorrise in silenzio, rivelando una serie di denti gialli e irregolari. — Mia povera, graziosa Annabelle. So che cosa ridarebbe un po' di colore a quelle gote pallide. — Infilando la mano nella tasca della giacca, ne estrasse una grande moneta d'oro e gliela agitò davanti con aria invitante. — Un piccolo segno della mia solidarietà per quanto avete passato.

Il respiro di Annabelle si trasformò in un sibilo indignato quando Hodgeham si chinò verso di lei, stringendo la moneta tra le dita grassocce e cercando di infilargliela nel corpino dell'abito. Gli allontanò la mano con un gesto brusco. Nonostante fosse ancora debole, il colpo fu abbastanza energico da fargli volare di mano la moneta, che cadde sul tappeto con un tonfo ovattato.

— Lasciatemi stare — gli ordinò furiosa. — Puttanella altezzosa. Non hai bisogno di fingere di essere migliore di

tua madre. — Maledetto porco... — Maledicendo la propria debolezza fisica,

Annabelle lo colpì ripetutamente, cercando di impedirgli di chinarsi su di lei, tremando in tutto il corpo per l'orrore. — No! — gridò, coprendosi il viso con le braccia. Oppose una strenua resistenza, quando l'uomo le afferrò i polsi. — No...

Un suono metallico proveniente dalla soglia colse di sorpresa Hodgeham e lo indusse a voltarsi. Tremando dalla testa ai piedi, Annabelle guardò nella direzione da cui era giunto il rumore e vide sua madre in piedi con un vassoio in mano. Le posate d'argento erano cadute a terra quando Philippa si era resa conto di quanto stava accadendo.

Scosse la testa, come se le fosse impossibile credere che Hodgeham si trovasse lì.

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— Come osate infastidire mia figlia? — iniziò in tono feroce. Rossa di rabbia, posò il vassoio su un tavolo vicino, poi si rivolse all'uomo con furia composta. — Mia figlia è malata, signore. Non permetterò che la sua salute venga compromessa. Venite con me immediatamente e discuteremo la questione in qualche altro luogo.

— Non è di discutere che ho voglia — rispose Hodgeham. Annabelle vide una serie di emozioni diverse alternarsi in rapida

successione sul volto della madre: disgusto, risentimento, odio, paura... e alla fine rassegnazione.

— Allora, lasciate stare mia figlia — disse in tono gelido. — No! —gridò Annabelle sconvolta, rendendosi conto che la madre

intendeva appartarsi da sola con lui. — Mamma, resta con me. — Andrà tutto bene. — Philippa non la guardò, ma tenne lo sguardo,

privo di ogni espressione, fisso sulla sagoma robusta di Hodgeham. — Ti ho portato un vassoio con il pranzo, tesoro. Cerca di mangiare qualcosa...

— No. — Incredula, disperata, Annabelle vide sua madre uscire con calma dalla stanza, seguita da Hodgeham. — Mamma, non andare con lui! — Ma Philippa si allontanò come se non avesse sentito.

Annabelle non sapeva per quanti minuti fosse rimasta a fissare con occhi vacui la soglia vuota. Non aveva la minima intenzione di toccare il vassoio del pranzo. L'odore del brodo vegetale che aleggiava nella stanza le dava la nausea. Cupamente, si chiese in che modo fosse iniziata quella sordida relazione, se Hodgeham si fosse imposto a Philippa con la forza o se quel rapporto fosse nato di comune accordo. Ma comunque fosse cominciato, si era trasformato in un'orribile farsa. Hodgeham era un mostro e Philippa stava cercando di tenerlo buono per impedirgli di rovinarle entrambe.

Esausta e depressa, cercando di non pensare a quello che stava succedendo in quel momento tra sua madre e Hodgeham, Annabelle si sollevò dal divanetto. Fece una smorfia di dolore, avvertendo le fitte dei muscoli indolenziti. Le faceva male la testa, si sentiva stordita e voleva tornare nella sua stanza. Camminando come una vecchia malferma sulle gambe, arrivò fino al campanello e tirò il cordone. Dopo un tempo che le parve interminabile, non aveva ancora ricevuto risposta. Dal momento che gli ospiti erano fuori, la maggior parte del personale aveva avuto la giornata libera e le cameriere scarseggiavano.

Passandosi nervosamente le dita tra le ciocche scomposte, valutò la situazione. Nonostante si sentisse le gambe deboli, capì che potevano reggerla. Quella mattina, l'aveva aiutata sua madre a percorrere i due

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corridoi che separavano la loro stanza dal salottino dei Marsden. Ma a quel punto era quasi certa di poter coprire il breve percorso anche da sola.

Ignorando i puntini luminosi che le danzavano davanti agli occhi, lasciò la stanza a passi piccoli e incerti. Si tenne vicino al muro, in caso avesse avuto bisogno di un appoggio. Era strano ritrovarsi, per quel piccolo sforzo, ad ansimare come se avesse fatto una corsa di miglia. Irritata per la propria debolezza, si chiese mestamente se, dopotutto, non avrebbe fatto meglio a bere quell'ultima tazza di attaccavesti. Concentrandosi sul difficile compito di mettere un piede davanti all'altro, avanzò lentamente lungo il primo corridoio fin quasi a raggiungere l'angolo da cui partiva quello che conduceva all'ala est della tenuta, dove si trovava la sua camera. Si fermò, sentendo delle voci tranquille che provenivano dalla direzione opposta.

Sarebbe stata un'umiliazione essere vista da altri in quelle condizioni. Pregando che le voci appartenessero a qualcuno della servitù, si appoggiò al muro e attese immobile. Alcune ciocche di capelli le ricaddero sulla fronte e sulle guance accaldate.

Due uomini passarono davanti a lei nel corridoio, così immersi nella loro conversazione che non sembrarono accorgersi di lei. Sollevata, Annabelle pensò di essere riuscita a passare inosservata.

Ma non fu così fortunata. Uno di loro lanciò per caso un'occhiata nella sua direzione e la sua attenzione fu subito calamitata. Mentre le si avvicinava, Annabelle riconobbe l'elasticità virile dei suoi lunghi passi prima ancora di vederlo in viso distintamente.

Sembrava che fosse destinata a fare brutte figure davanti a Simon Hunt. Con un sospiro, si scostò dalla parete e cercò di apparire composta, anche se le gambe le tremavano.

— Buon pomeriggio, signor Hunt... — Che cosa fate? — la interruppe lui non appena le giunse accanto.

Sembrava seccato, ma quando Annabelle sollevò lo sguardo vide che la sua espressione era più che altro preoccupata. — Perché siete da sola nel corridoio?

— Sto andando in camera mia. — Annabelle sussultò debolmente quando lui le circondò con un bracciò la vita e con l'altro le spalle. — Signor Hunt, non c è bisogno...

— Siete debole come un gallino appena nato. Non è la cosa più sensata andare in giro da sola in queste condizioni.

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— Non c'era nessuno che potesse aiutarmi — replicò irritata Annabelle. Le girava la testa, e senza accorgersene si ritrovò appoggiata a lui. Il suo petto era solido e muscoloso, la stoffa della sua giacca fresca, a contatto con la guancia.

— Dov'è vostra madre? — insistette Hunt, scostandole dal viso una ciocca di capelli. — Ditemelo e io...

— No! — Annabelle sollevò lo sguardo allarmata, mentre le sue dita sottili si conficcavano inconsapevolmente nelle maniche della sua giacca. Santo cielo, l'ultima cosa di cui aveva bisogno era che Hunt si mettesse a cercare Philippa, che al momento era di certo in una situazione più che compromettente con Hodgeham. — Non andate a cercarla — disse brusca. — Io... io non ho bisogno di nessuno. Posso raggiungere la mia stanza da sola, se solo mi lasciate andare. Non voglio...

— D'accordo — mormorò Hunt, continuando a tenere le braccia intorno a lei. — Non andrò a cercarla. Calmatevi. — La sua mano continuava ad accarezzarla con movimenti lievi e rassicuranti.

Annabelle si abbandonò contro di lui, cercando di riprendere fiato. — Simon —sussurrò, vagamente sorpresa di aver appena usato il suo nome di battesimo, perché non le era mai capitato di farlo, nemmeno nell'intimità dei suoi pensieri. Inumidendosi le labbra secche riprovò, e con suo grande stupore, si sorprese a farlo di nuovo. — Simon...

— Sì? — Una tensione nuova percorse il corpo allo e robusto di Hunt, mentre la sua mano le sfiorava la testa nella carezza più lieve possibile.

— Per favore... portatemi nella mia stanza. Hunt la fissò con l'ombra di un sorriso che gli aleggiava sulle labbra. —

Piccola, vi porterei a Timbuctu, se me lo chiedeste. In quel momento, l'altro uomo che era nel corridoio li raggiunse e

Annabelle rimase delusa, anche se non sorpresa, nello scoprire che si trattava di lord Westcliff.

Il conte le lanciò un'occhiata di palese disapprovazione, come se la sospettasse di aver organizzato quella situazione appositamente.

— Signorina Peyton — disse in tono secco. — Vi assicuro che non c'era alcun bisogno che vi avventuraste lungo il corridoio senza essere accompagnata. Se non c'era nessuno con voi che potesse aiutarvi, vi sarebbe bastato suonare il campanello per chiamare qualcuno della servitù.

— L'ho fatto, signore — rispose Annabelle, sulla difensiva, cercando di staccarsi da Hunt, che non glielo permise. — Ho suonato e ho aspettato per almeno un quarto d'ora senza che arrivasse nessuno.

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Westclilf la scrutò con aria palesemente scettica. — Impossibile. I miei servitori accorrono sempre, quando vengono chiamati.

— Bene, a quanto pare oggi rappresenta un'eccezione — ribatté Annabelle. — Forse il campanello è rotto. O forse la vostra servitù...

— Calma — mormorò Hunt, facendole appoggiare nuovamente la testa sul suo petto. Benché Annabelle non riuscisse a vederlo in faccia, avvertì una nota di pacato avvertimento nella sua voce, quando si rivolse a Westcliff. — Continueremo la nostra discussione più tardi. Ora intendo accompagnare la signorina Peyton nella sua stanza.

— Non è un'idea saggia, a mio parere — disse il conte. — In questo caso, sono lieto di non aver chiesto il tuo parere. Si udì un sospiro represso da parte del padrone di casa, poi Annabelle

avvertì l'eco smorzata dei suoi passi che si allontanavano lungo il tappeto del corridoio.

Hunt chinò la testa e il suo alito caldo le sfiorò la punta dell'orecchio. — Adesso volete spiegarmi che cosa succede? Ad Annabelle sembrò che le sue vene si dilatassero, trasmettendo

un'ondata di piacere alla pelle infreddolita. La vicinanza di Hunt la riempiva al tempo stesso di piacere e di desiderio. Mentre la teneva stretta a sé, lei non potè fare a meno di ricordare il sogno, l'illusione erotica del corpo di lui premuto contro il suo. Era assolutamente sbagliato crogiolarsi nella fantasia di essere abbracciata da lui, pur sapendo che non avrebbe ottenuto nulla da quell'uomo, se non un piacere temporaneo, seguito da un disonore permanente. Riuscì a scuotere la testa per rispondere alla domanda che le aveva fatto, strofinando la guancia contro il risvolto della sua giacca.

— Lo immaginavo — commentò Hunt in tono asciutto. La lasciò per un attimo, valutando con uno sguardo le sue condizioni di equilibrio ancora precarie, quindi si chinò per sollevarla tra le braccia. Annabelle si arrese con un mormorio inarticolato e gli passò le braccia intorno al collo. Mentre la trasportava lungo il corridoio, lui continuava a osservarla quieto. — Potrei aiutarvi, se mi diceste qual è il problema.

Annabelle considerò per un momento l'ipotesi. Se avesse confidato la sue pene a Simon Hunt, l'unica cosa che avrebbe ottenuto sarebbe stata quasi certamente un'offerta di mantenerla in qualità di amante. E Annabelle detestava la parte di sé che si sentiva tentata da quell'idea. — Perché dovreste volervi far coinvolgere nei miei problemi? — chiese.

— Devo per forza avere un secondo fine, se desidero aiutarvi?

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— Sì — rispose Annabelle con aria cupa, facendolo ridere. La depose con cautela sulla soglia della stanza.

— Ce la late a mettervi il letto o devo rimboccarvi io le coperte? Benché il tono della sua voce fosse scherzoso, Annabelle sospettava che,

con un minimo di incoraggiamento, non avrebbe esitato a farlo. Scosse in fretta la testa. — No, sto bene. Per favore, non entrate. — Gli posò il palmo della

mano sul petto perché non varcasse la soglia. Per quanto la sua mano fosse fragile, fu sufficiente a fermarlo.

— D'accordo. — Hunt la scrutò attentamente. — Chiederò che venga mandata una cameriera ad assistervi. Anche se sospetto che Westcliff stia già facendo indagini in tal senso.

— Ho suonato per chiamare una cameriera — insistette Annabelle, imbarazzata dalla nota supplichevole nella propria voce. — Ovviamente il conte non mi crede, ma...

— Io vi credo. — Con grande delicatezza, Hunt spostò la mano di Annabelle dal proprio petto, trattenendo brevemente le dite snelle tra le sue, prima di lasciarle andare. — Westcliff non è l'orco che sembra. Bisogna frequentarlo, per poter apprezzare le sue qualità.

— Se lo dite voi — mormorò Annabelle dubbiosa, quindi gli fece un sospiro, rientrando nella sua camera da malata, buia e dall'aria viziata. — Grazie, signor Hunt. — Chiedendosi ansiosamente quando sarebbe rientrata Philippa, lanciò un'occhiata alla stanza vuota, poi si voltò nuovamente verso di lui.

Lo sguardo acuto di Simon Hunt sembrò cogliere ogni emozione che si celava dietro il suo viso tirato, e Annabelle percepì che c'erano un milione di domande che avrebbe voluto farle. Invece rinunciò. — Avete bisogno di riposare.

— Non ho fatto altro che riposare. Sto impazzendo dalla noia, ma il solo pensiero di fare qualsiasi cosa mi fa sentire esausta. — Chinando la testa, lei fissò i pochi centimetri di pavimento che separavano i loro piedi con estrema concentrazione, prima di fargli cautamente una domanda. — Immagino che non vi interessi continuare la partita a scacchi, più tardi...

Ci fu un attimo di silenzio, poi Hunt rispose in tono leggermente scherzoso. — Be', signorina Peyton, sono commosso al pensiero che possiate desiderare la mia compagnia.

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Annabelle non riuscì a indursi a guardarlo e, arrossendo cercò di scherzare. — Apprezzerei la compagnia del diavolo in persona, pur di poter fare qualcosa di diverso da stare a letto.

Ridendo, Hunt le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. — Vedremo — mormorò. — Forse passerò da voi più tardi.

Ciò detto, fece un piccolo inchino e se ne andò, percorrendo il corridoio con il suo solito passo elastico e deciso.

Troppo tardi Annabelle si ricordò di un evento musicale organizzato quella sera per gli ospiti, durante la cena. Di certo lui avrebbe preferito stare in compagnia degli altri ospiti piuttosto che giocare a scacchi con un'avversaria inesperta, malata e di cattivo umore. Arrossì di nuovo, desiderando poter annullare l'invito che le era venuto spontaneo fare: doveva essergli sembrata così patetica e disperata! Battendosi una mano sulla fronte, rientrò nella stanza e si lasciò cadere rigidamente sul letto sfatto.

Nel giro di cinque minuti sentì bussare alla porta e un paio di domestiche dall'aria mortificata fecero il loro ingresso.

— Siamo venute a riordinare, signorina — disse una delle due. — Ci ha mandato il padrone in persona. Ha detto che dobbiamo aiutarvi in tutto quello di cui avete bisogno.

— Grazie — rispose Annabelle, augurandosi che lord Westcliff non fosse stato troppo severo con le ragazze. Si sedette su una sedia, osservando il turbine di attività che subito seguì l'arrivo delle cameriere. A velocità quasi magica, cambiarono le lenzuola, aprirono la finestra per far entrare aria fresca, pulirono e spolverarono e infine portarono nella stanza una grande tinozza da bagno che cominciarono a riempire d'acqua calda. Una di loro aiutò Annabelle a togliersi i vestiti, mentre l'altra si procurava una pila di asciugamani e un secchio d'acqua per sciacquarle i capelli. Con un brivido di piacere, Annabelle entrò nella tinozza dal bordo di mogano.

— Vi prego, appoggiatevi a me, signorina — la esortò la più giovane delle due, porgendole il braccio. — Non siete ancora del tutto stabile, mi sembra.

Annabelle obbedì, poi si immerse nell'acqua, lasciando andare il braccio muscoloso della ragazza.

— Come ti chiami? — chiese abbassando le spalle fino a immergerle completamente nell'acqua fumante.

— Meggie, signorina.

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— Meggie, credo che mi sia caduta una sovrana d'oro sul pavimento del salottino privato dei padroni di casa: potresti andare a cercarla?

La ragazza le lanciò un'occhiata perplessa, certo domandandosi perché mai avesse lasciato una moneta preziosa sul pavimento e che cosa sarebbe successo se non l'avesse trovata.

— Sì, signorina. Chiaramente a disagio, fece una piccola riverenza e uscì in fretta dalla

stanza. Dopo aver immerso la testa nell'acqua, Annabelle si mise a sedere con il viso e i capelli gocciolanti, asciugandosi gli occhi con le dita mentre l'altra ragazza si chinava a strofinarle la testa con un pezzo di sapone.

— È bello sentirsi puliti — mormorò Annabelle, rimanendo immobile intanto che la domestica si prendeva cura di lei.

— Mia mamma dice sempre che non si dovrebbe fare il bagno quando si è malati — disse la cameriera con aria dubbiosa.

— Correrò il rischio — replicò piena di gratitudine, inclinando la testa all'indietro mentre la ragazza versava l'acqua per sciacquarle i capelli insaponati. Asciugandosi ancora una volta gli occhi, Annabelle vide che Meggie era tornata.

— L'ho trovata, signorina! — esclamò senza fiato, allungandole la moneta. Era possibile che non avesse mai tenuto in mano una sovrana, prima di allora, dato che in media le cameriere guadagnavano circa otto scellini al mese. — Dove devo metterla?

Potete dividerla tra voi due — disse Annabelle. Le ragazze la fissarono incredule. — Oh... grazie, signorina! —

esclamarono entrambe, con gli occhi e le bocche spalancate dallo stupore. Tristemente consapevole di quanto fosse ipocrita dar via il denaro di

lord Hodgeham, quando la famiglia Peyton aveva beneficiato del suo discutibile appoggio per oltre un anno, Annabelle chinò il capo, imbarazzata dalla loro gratitudine. Avvertendo il suo disagio, le domestiche l'aiutarono subito a uscire dalla vasca, asciugandole i capelli e strofinandole il corpo tremante, per poi aiutarla a indossare dei vestiti puliti

Rinfrescata ma stanca, Annabelle si infilò a letto tra le lenzuola candide. Sonnecchiò, mentre le cameriere rimuovevano la tinozza, solo vagamente consapevole del momento in cui uscirono in punta di piedi dalla stanza. Era ormai sera quando si svegliò, sbattendo le palpebre per abituarsi alla luce della lampada che sua madre aveva acceso sul comodino.

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— Mamma — mormorò, ancora insonnolita. Poi, ricordando l'incontro precedente con lord Hodgeham, riprese coscienza di sé. — Stai bene? Ti ha...

— Non desidero parlarne — disse Philippa a voce bassa, mentre il suo profilo si stagliava contro la luce do rata della lampada. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e la fronte solcata da piccole rughe di tensione. — Sto bene, mia cara.

Annabelle annuì, confusa e depressa, sentendosi at tanagliata da un acuto senso di vergogna. Si mise a sedere, sentendo la schiena rigida come se le fosse stata sostituita con una spranga di ferro. Ma a parte la rigidità dei muscoli indolenziti stava molto meglio e pei la prima volta da due giorni a quella parte il suo stomaco brontolava per la fame. Scivolò fuori dal letto, si diresse al tavolo da toeletta e afferrò la spazzola, iniziando a passarsela tra i capelli.

— Mamma... — cominciò con voce esitante — avrei bisogno di cambiare un po' scenario. Pensavo di tornare nel salottino dei Marsden e farmi portare lì un vassoio con la cena.

Philippa sembrò registrare distrattamente le sue parole. — Sì — rispose con aria assente. — Mi sembra una buona idea. Vuoi che venga con te?

— No, grazie... Mi sento bene e non è lontano. Forse vuoi stare un po' tranquilla, dopo... — Annabelle s'interruppe, a disagio, e posò la spazzola. — Torno tra poco.

Con un mormorio fioco, Philippa si lasciò cadere sulla sedia vicino al caminetto e lei intuì che si sentiva sollevata all'idea di rimanere un po' da sola. Dopo essersi intrecciata i capelli in una lunga treccia che le ricadeva su una spalla, Annabelle uscì dalla stanza, chiudendo silenziosamente la porta dietro di sé.

Non appena fu nel corridoio, sentì il brusio degli ospi-ti che cenavano nel salone. Al di sopra del rumore della conversazione e delle risate si percepiva un quartetto d'archi con un pianoforte di accompagnamento. Fermandosi ad ascoltare, rimase stupefatta nello scoprire che si trattava della stessa, triste melodia che aveva udito in sogno. Chiuse gli occhi e si concentrò nell'ascolto, mentre un'ondata di desiderio le faceva venire un groppo in gola. Quella musica la riempiva di un genere di desiderio che non avrebbe dovuto permettersi di provare.

"Mio Dio" pensò. "La malattia mi sta facendo diventare sdolcinata: devo riprendere il controllo di me stessa". Riaprì gli occhi e si incamminò con

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decisione, andando quasi a sbattere contro qualcuno che arrivava dalla direzione opposta.

Le sembrò che il cuore si espandesse dolorosamente nel petto alla vista di Simon Hunt nel formale contrasto di bianco e nero di un elegante abito da sera, con un sor-riso lieve e rilassato sulle labbra. La sua voce profonda le fece correre un brivido lungo la schiena.

— Dove pensate di andare? Così era venuto a cercarla, nonostante al piano di sotto ci fosse una folla

di persone eleganti con cui avrebbe dovuto socializzare. Conscia del fatto che il tremore che le faceva vacillare le ginocchia non aveva nulla a che fare con la malattia, Annabelle si mise a giocherellare nervosamente con la propria treccia.

— A... a farmi portare un vassoio con la cena nel salotto. Prendendola per un gomito, Hunt la fece voltare e la guidò lungo il

corridoio, rallentando il passo pei" uniformarlo a quello di lei. — Non vi serve un vassoio con la cena in salotto — la informò.

— Ah, no? Lui scosse la testa. — Ho una sorpresa per voi. Venite, non è lontano. —

Notando che lo seguiva senza sforzo, la osservò attentamente. — Il vostro equilibrio è molto migliorato da questo pomeriggio. Come vi sentile?

— Molto meglio — rispose Annabelle, arrossendo quando il suo stomaco brontolò rumorosamente. — Pei la verità, sono un po' affamata.

Hunt sorrise e la scortò verso una porta socchiusa. Facendole attraversare la soglia, la introdusse in una deliziosa stanzetta con le pareti foderate di legno di rosa intagliato e decorate di arazzi. Il mobilio ricoperto di velluto ambrato. Il tratto distintivo della stanza, però, era la finestra della parete interna che si apriva sul salone da ballo, due piani più in basso. La stanza rimaneva completamente nascosta alla vista degli ospiti nel salone sottostante, mentre la musica filtrava chiaramente attraverso l'ampia apertura. Con gli occhi spalancati dallo stupore, Annabelle si avvicinò a un piccolo tavolo, pieno di piatti coperti da cupolette d'argento.

— Non riuscivo a decidere che cosa potesse tentare di più il vostro appetito — disse Hunt. — Allora ho ordinato al personale delle cucine di mandare su un po’ di tutto.

Sopraffatta dalla commozione e incapace di ricordi re un'altra occasione in cui un uomo si fosse dato tanto da fare per rallegrarla, per un po' Annabelle non riuscì a profferire parola. Inghiottì più volte a vuoto, posando lo sguardo ovunque tranne che sul viso di lui.

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— È meraviglioso, lo... non sapevo che esistesse questa stanza. — Solo pochi lo sanno. La contessa a volte si siede qui quand'è troppo

indisposta per scendere nel salone. — Hunt le si avvicinò e le sollevò il mento, obbligandola a incontrare il suo sguardo. — Volete cenare con me?

Il battito di Annabelle era talmente accelerato lui doveva sentirlo sulle dita.

— Non c'è nessuno a farmi da chaperon — sussurrò. Hunt sorrise e lasciò cadere la mano che le sosteneva il mento. — Non potreste essere più al sicuro. Non vi sedurrei mai mentre siete

troppo debole per difendervi. — Un comportamento da vero gentiluomo. — Vi sedurrò non appena vi sentirete meglio. Trattenendo a stento un sorriso, Annabelle sollevò un sopracciglio. — Siete molto sicuro di voi stesso. Non avreste dovuto

dire: cercherò di sedurvi? — Mai preventivare un insuccesso, dice sempre mio padre. —

Passandole un braccio intorno alla vita, Hunt la condusse verso una delle sedie. — Volete del vino?

— Non dovrei — rispose Annabelle incerta, prendendo posto su una delle grandi sedie imbottite. — Probabilmente mi darebbe subito alla testa.

Lui versò un bicchiere di vino e glielo porse, sorridendo con un fascino malizioso che Lucifero stesso gli avrebbe invidiato.

— Prego — mormorò. — Mi prenderò io cura di voi, se doveste diventare un po' brilla.

Sorseggiando il vino dolce e corposo, Annabelle gli lanciò un'occhiata ironica.

— Mi chiedo quante volte la rovina di una signora sia iniziata proprio con questa promessa da parte vostra...

— Non ho mai causato la rovina di una signora — rispose Hunt sollevando i coperchi che coprivano i piatti e mettendoli da parte. — In genere le corteggio quando sono già rovinate.

— Ci sono molte di queste signore, nel vostro passato?— non riuscì a trattenersi dal chiedere Annabelle.

— Ce ne sono state un buon numero — replicò lui, senza dare l'impressione né di scusarsi né di vantarsi,

e incrociando senza esitare il suo sguardo. — Anche se ultimamente le mie energie sono state assorbite da un passatempo diverso.

— Che sarebbe?

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— Sto sovrintendendo allo sviluppo di una fabbrica per la produzione di locomotive in cui Westcliff e io abbiamo investito parecchio denaro.

— Davvero? — Annabelle lo fissò con crescente interesse. — Non sono mai stata su un treno. Com'è?

Hunt sorrise con entusiasmo quasi infantile. — Veloce. Eccitante. La velocità media di un locomotore per passeggeri è di circa cinquanta miglia all'ora, ma la "Consolidated" sta sviluppando il progetto di un locomotore a sei ruote motrici che dovrebbe raggiungerne settanta.

— Settanta miglia all'ora? — ripete Annabelle, incapace di immaginare di viaggiare a quella velocità. — Non può creare problemi ai passeggeri?

La domanda lo fece sorridere. — Una volta che il treno ha raggiunto la velocità di crociera, non si sente più la spinta.

— Come sono all'interno le carrozze per i passeggeri? — Non particolarmente lussuose — ammise Hunt, versando altro vino

nel proprio bicchiere. — Non consiglierei di viaggiare con un mezzo diverso da una carrozza privata, specialmente a una persona come voi.

— Una persona come me? — Annabelle gli rivolse uno sguardo risentito. — Se state insinuando che io sia viziata, vi assicuro che non è così.

— Dovreste esserlo. — Lo sguardo intenso di lui percorse il suo viso arrossato e il suo busto snello, per poi cercare di nuovo i suoi occhi. Nella sua voce c'era una nota di calore che le tolse il respiro. — Non vi farebbe male essere viziata un po'.

Annabelle inspirò a fondo, cercando di riprendere a respirare a un ritmo normale. Pregò in silenzio che lui non la toccasse, che mantenesse la promessa di non cercare di sedurla. Perché se l'avesse fatto... che Dio l'aiutasse, ma non era certa che sarebbe stata in grado di resistergli.

— La Consolidated è una vostra società? — chiese con voce incerta, cercando di riprendere il filo del discorso.

Hunt annuì. — È la controparte britannica delle fonderie Shaw. — Che appartengono al fidanzato di lady Olivia, il signor Shaw? — Esattamente. Shaw ci sta aiutando ad adattare il sistema americano di

produzione dei locomotori, che è molto più efficiente e produttivo del metodo inglese.

— Ho sempre sentito dire che i macchinari inglesi sono i migliori al mondo.

— Discutibile. Ma anche se fosse, raramente vengono prodotti su larga scala. Non esistono due locomotive prodotte in Inghilterra che siano

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esattamente uguali, il che rallenta considerevolmente la produzione e rende più difficile fare le riparazioni. Tuttavia, se riuscissimo a seguire l'esempio degli americani e produrre pezzi da assemblare utilizzando forme e misure prestabilite, potremmo costruire un locomotore in settimane invece che in mesi, ed effettuare le riparazioni a tempo di record.

Mentre parlavano, Annabelle lo osservava affascinata, perché non aveva mai sentito qualcuno parlare in quel modo del proprio lavoro. Nella sua esperienza, il lavo-ro non era un argomento di cui gli uomini amassero discutere, perché l'idea stessa di lavorare per guadagnarsi da vivere era un marchio distintivo dei ceti inferiori. Se un gentiluomo era costretto a lavorare, cercava di mantenere la cosa segreta e continuava a fingere che la maggior parte del suo tempo fosse impiegata in attività di mero svago. Ma Simon Hunt non faceva alcun tentativo di nascondere l'interesse per il proprio lavoro, e Annabelle trovava la cosa stranamente affascinante.

Su sua richiesta, lui continuò a parlarle delle proprie attività, raccontandole delle trattative per l'acquisto di una fonderia di proprietà delle ferrovie, da convertire sulla base del nuovo sistema ispirato al modello ame-ricano. Due dei nove edifici del cantiere erano già stati trasformati in una fonderia che produceva in serie bulloni, pistoni, bielle e valvole. Questi pezzi, insieme ad altri importati dalle fonderie Shaw di New York, venivano usati per assemblare locomotori a quattro o sei ruote motrici da vendere poi in tutta Europa.

— Quanto spesso andate a visitare il cantiere? — chiese Annabelle, assaggiando la costoletta di fagiano condita con una cremosa salsa di crescione.

— Ogni giorno, quando sono in città. — Hunt scrutò il contenuto del proprio bicchiere con espressione leggermente corrucciata. — In realtà, sono stato via troppo a lungo. Presto dovrò andare a Londra per controllare come procedono i lavori.

L'idea che presto se ne sarebbe andato avrebbe dovuto fare felice Annabelle. Simon Hunt era una distrazione che non poteva permettersi, e sarebbe stato molto più facile concentrare la propria attenzione su lord Kendall, se lui avesse lasciato la tenuta. Ciò nonostante, avvertì come un senso di vuoto, rendendosi conto di quanto apprezzava la sua compagnia e di come sarebbe sembrato triste e privo di vita Stony Cross Park, una

volta che lui fosse partito.

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— Tornerete prima che finisca la festa? — chiese, concentrandosi intensamente nell'impresa di sminuzzare un pezzetto di fagiano col coltello.

— Dipende. — Da che cosa? La voce di Hunt si fece molto dolce. — Se avrò o non avrò ragioni

sufficienti per tornare. Annabelle non sollevò gli occhi a incrociare i suoi. Rimase invece

immersa in un silenzio inquieto e volse lo sguardo incerto verso la finestra aperta, dalla quale arriva va la sontuosa melodia della Rosamunde di Schubert.

A un tratto si sentì bussare discretamente alla porta e un lacchè entrò a portare via i piatti. Tenendo il viso voltato, Annabelle si chiese quanto ci avrebbe messo In notizia che aveva cenato da sola in privato con Simon Hunt a fare il giro degli alloggi della servitù. Ma quando l'uomo fu uscito, lui le parlò in tono rassicurante, come se le avesse letto nel pensiero.

— Non dirà una parola a nessuno. Westcliff me lo ha raccomandato per la sua capacità di tenere la bocca chiusa sulle questioni confidenziali.

Annabelle gli lanciò un'occhiata preoccupata. — Allora il conte sa che io e voi stiamo... ma sono certa che non approva!

— Ho fatto molte cose che Westcliff non approva — rispose lui. — E neanch'io approvo sempre le sue decisioni. Tuttavia, al fine di mantenere un'amicizia che sta a cuore a entrambi, non ci pestiamo i piedi a vicenda. — Si alzò, appoggiò i palmi delle mani sul tavolo e si chinò verso di lei, coprendola con la sua ombra. — Che ne dite di una partita a scacchi? Ho fatto portare su una scacchiera, giusto in caso che...

Annabelle annuì. Mentre fissava i suoi espressivi occhi neri, pensò che quella era probabilmente la prima sera in tutta la sua vita di adulta in cui era completamente felice di essere dov'era. Con quell'uomo. Provava una curiosità intensa nei suoi confronti, un profondo bisogno di scoprire i pensieri e i sentimenti che si nascondevano sotto la sua immagine esteriore.

— Dove avete imparato a giocare a scacchi? — gli chiese, osservando i movimenti delle sue mani, mentre riposizionava tutti i pezzi del gioco esattamente dove si trovavano in precedenza.

— Mi ha insegnato mio padre. — Vostro padre? Le labbra di Hunt si curvarono in un sorrisetto ironico. — Un macellaio

non può giocare a scacchi?

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— Sì, certamente. Io... — Annabelle si sentì mortifica-ta dalla propria mancanza di tatto. — Mi dispiace.

Lui continuò ad accennare un sorriso, osservandola con attenzione. — Sembra che vi siate fatta un'idea sbagliata della mia famiglia. Gli

Hunt appartengono alla media borghesia. I miei fratelli, le mie sorelle e io abbiamo tutti frequentato le scuole. Ora mio padre ha preso a lavorare con sé mio fratello, che vive come lui sopra al negozio. E la sera giocano spesso a scacchi.

Rassicurata dall'assenza di risentimento nel tono, Annabelle prese un pedone e iniziò a rigirarlo tra le dita.

— Perché non avete scelto di lavorare per vostro padre, come ha fatto vostro fratello?

— Da ragazzo ero piuttosto ribelle — ammise Hunt con un sorriso. — Ogni volta che lui mi diceva di fare qualcosa, io cercavo di dimostrare che si sbagliava.

— E lui come reagiva? — chiese Annabelle con uno scintillio negli occhi.

— Sulle prime cercava di essere paziente con me. Quando non funzionava, optava per la tattica opposta. — Hunt fece una piccola smorfia al ricordo, poi sorrise con un po' di tristezza. — Credetemi, non è piacevole essere frustati da un macellaio: hanno braccia come tronchi d'albero.

— Posso immaginarlo — mormorò Annabelle, lanciando un'occhiata circospetta alle sue ampie spalle e ricordando la solidità compatta dei suoi muscoli. — La vostra famiglia deve essere molto fiera del vostro successo.

— Forse. — Hunt si strinse nelle spalle, poco convinto. — Purtroppo, sembra che le mie ambizioni ci abbiano allontanato. 1 miei genitori non hanno permesso che comprassi per loro una casa nel West End, e non capiscono perché io abbia scelto di vivere lì. Inoltre, non considerano le mie attività finanziarie una professione adeguata. Vorrebbero che mi occupassi di qualcosa di più... tangibile.

Annabelle lo fissò con intensità, intuendo quanto aveva sottaciuto nella breve spiegazione. Aveva sempre saputo che non apparteneva ai circoli aristocratici in cui spesso si muoveva. Tuttavia, fino a quel momento non le era venuto in mente che fosse altrettanto fuori posto nel mondo che si era lasciato alle spalle. Si chiese se non si sentisse mai solo, o se invece si tenesse troppo occupato per rendersene conto.

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— Non mi vengono in mente molte cose più tangibili di un locomotore da cento tonnellate — osservò, rispondendo al suo ultimo commento.

Hunt rise e allungò il braccio per prendere il pedone che Annabelle aveva ancora in mano. Per qualche ragione, Annabelle non riuscì a lasciar andare il pezzo d'avorio, così le loro dita si intrecciarono e rimasero unite, mentre i loro sguardi restavano fissi l'uno nell'altro in modo decisamente intimo. Era sconvolta dal calore che, a partire dalla mano, le si irradiava fino alla spalla e poi in tutto il corpo. Era come se fosse ubriaca di sole: sentiva il calore che traboccava in ondate di sensazioni e, insieme al piacere, avvertiva un'allarmante pressione dietro gli occhi che preannunciava le lacrime.

Attonita, ritrasse di scatto la mano da quella di Hunt e il pedone cadde risuonando sul pavimento.

— Mi dispiace — disse con una risatina incerta, all'improvviso spaventata da quello che poteva accadere se fosse rimasta ancora sola con lui. Si alzò goffamente e si allontanò dal tavolo. — Mi sono appena resa conto di essere molto stanca. A quanto pare, sembra che alla fine il vino mi abbia dato davvero alla testa. Devo tornare in camera mia. Penso che abbiate ancora molto tempo per socializzare con tutti gli ospiti al piano di sotto, quindi la vostra serata non è andata del lutto sprecata. Grazie per la cena, la musica e...

— Annabelle. — Hunt si mosse con grazia e rapidità, avvicinandosi a lei e posandole le mani sulla vita. La scrutò attentamente in viso, mentre una ruga perplessa gli si disegnava tra le sopracciglia. — Non avete paura di me, vero?

Lei scosse la testa senza parlare. — Allora perché quest'urgenza di andare via? Annabelle avrebbe potuto rispondere in mille modi, ma in quel momento non riuscì a farsi venire in mente alcuna

sottigliezza, arguzia o gioco di parole. Riuscì solo a rispondere, con la brutalità di un colpo di martello. — lo... non voglio questo.

— Questo? — Non diventerò la vostra amante — concluse. Esitò, poi la sua voce si

fece un sussurro. — Posso fare di meglio. Hunt soppesò l'audace affermazione con grande cura, continuando a

tenerle le mani intorno alla vita. — Intendete dire che potete trovare qualcuno da sposare — chiese alla

fine — oppure che intendete diventare l'amante di un aristocratico?

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— Che importanza ha? — sbottò Annabelle, allontanando le mani che la sostenevano. — Nessuno dei due scenari include voi.

Benché si rifiutasse di guardarlo in viso, sentì il suo sguardo fisso su di lei e rabbrividì, mentre il calore che aveva avvertito poco prima abbandonava bruscamente il suo corpo.

— Vi riaccompagno alla vostra camera— disse Hunt, senza manifestare alcun tipo di emozione, e la scortò verso la porta.

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La sera seguente, finalmente in grado di scendere nel salone insieme agli altri ospiti, Annabelle indossò un abito rosa formato da un gran numero di strati di garza trasparente. La vita era sottolineata da un'alta cintura di seta decorata con una grande rosa candida. Le gonne frusciavano delicatamente, quando camminava, e si lisciò gli strati superiori dell'abito, sentendosi come una principessa.

Troppo impaziente per aspettare la madre, che ci stava mettendo un'eternità a vestirsi, uscì presto dalla stanza, nella speranza di incontrare le sue amiche. Con un po' di fortuna, poteva anche capitarle di imbattersi in lord Kendall e trovare una scusa per appartarsi con lui qualche minuto.

Facendo attenzione a non sforzare la caviglia, si incamminò lungo il corridoio che conduceva al grande scalone. D'impulso, si fermò davanti al

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salottino privato dei Marsden, la cui porta era stata lasciata socchiusa, ed entrò cautamente. Il salotto non era illuminato, ma la luce che filtrava dal corridoio era sufficiente a rischiarare la sagoma scura del tavolino con la scacchiera nell'angolo. Avvicinandosi, Annabelle notò con un guizzo di piacere che la partita che stava giocando con Simon Hunt era stata ricomposta. Perché lui si era preso la briga di ricollocare tutti i pezzi nel posto in cui si trovavano, come se stessero ancora giocando? Si aspettava che lei facesse un'altra mossa?

"Non toccare nulla" si disse, ma la tentazione era troppo grande perché potesse resistere. Si concentrò, soppesando la situazione a mente fresca. Il cavallo di Hunt era in una posizione perfetta per mangiare la sua regina, il che implicava l'obbligo di spostare quel pezzo, oppure difenderlo. All'improvviso si accorse del modo migliore di proteggere la regina minacciata: fece scorrere in avanti una torre per mangiare il cavallo di Hunt, eliminando il problema alla radice. Con un sorriso soddisfatto, posò il pezzo mangiato a lato della scacchiera e uscì dalla stanza.

Scese la grande scalinata, attraversò l'atrio e percorse un altro corridoio che conduceva a una serie di sale. Il tappeto sotto i suoi piedi attutiva ogni rumore, ma all'improvviso ebbe la sensazione di avere qualcuno alle spalle. Lanciando un'occhiata dietro di sé, vide che lord Hodgeham la stava seguendo, muovendosi con una rapidità sorprendente per un uomo della sua stazza. Le sue dita tozze afferrarono il retro della cintura di seta di Annabelle, tirando con forza e obbligandola a fermarsi per evitare che la delicata striscia di tessuto si spezzasse.

Era il segno di quanto arrogante fosse diventato quell'uomo, che si permetteva di avvicinarla in un luogo pubblico, dove potevano facilmente essere visti. Senza fiato per l'indignazione, Annabelle si girò a fronteggiarlo. Si ritrovò davanti Io spettacolo del suo grosso torace strizzato in un aderente abito da sera, mentre l'odore untuoso dei suoi capelli cosparsi di colonia le assaliva le narici.

— Che deliziosa creatura — mormorò Hodgeham, nel cui alito si avvertiva un pesante aroma di brandy. — Vedo che ti stai rimettendo in forma. Credo che dovremmo riprendere la conversazione che stavamo facendo ieri, prima che fossi così piacevolmente distratto da tua madre.

— Voi, disgustoso... — iniziò Annabelle infuriata, ma l'uomo la interruppe afferrandole il viso con una mano

e stringendo forte.

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— Dirò a Kendall ogni cosa — disse, avvicinando gli occhi sporgenti a quelli di lei. — Con abbellimenti sufficienti a garantire che d'ora in poi guardi te e la tua famiglia con il massimo disgusto. — Il suo corpo massiccio la premette contro il muro, impedendole quasi di respirare. — A meno che — proseguì alitandole sgradevolmente sul viso — tu non decida di compiacermi come ha fatto tua madre.

— Allora andate a dire tutto a Kendall — disse Annabelle con occhi sfolgoranti di odio puro. — Ditegli tutto e fatela finita. Preferisco morire di fame sotto un ponte piuttosto che compiacere un porco rivoltante come voi.

Hodgeham la fissò con furia e incredulità. — Te ne pentirai — la minacciò, con le labbra umide di saliva.

Annabelle fece un sorriso sarcastico. — Non credo proprio. Prima che Hodgeham la lasciasse andare, Annabelle colse un

movimento con la coda dell'occhio. Voltando la testa, vide qualcuno che avanzava verso di loro: un uomo che si muoveva col passo agile e felpato di una pantera in caccia. Ai suoi occhi, doveva sembrare che lei e Hodgeham fossero avvinti in un abbraccio amoroso.

— Lasciatemi — sibilò a Hodgeham, spingendo con forza sul suo ventre prominente. L'uomo fece un passo indietro, permettendole finalmente di respirare, e le lanciò uno sguardo carico d'odio e di minacce prima di allontanarsi nella direzione opposta rispetto all'uomo che si stava avvicinando.

Sconvolta, Annabelle si trovò a fissare il viso di Simon Hunt, che la prese per le spalle. Fissava Hodgeham che si allontanava precipitosamente con uno sguardo duro, quasi sanguinario, che la fece raggelare. Poi si voltò a guardare lei in un modo che le tolse il fiato. Pri ma di quel momento, non aveva mai visto Hunt senza la sua consueta maschera di noncurante disinvoltura. Tutte le volte in cui l'aveva insultato, ferito o respinto con disprezzo, lui aveva reagito con un'irritante padronanza di sé. Ma sembrava che Annabelle avesse finalmente fatto qualcosa che aveva scatenato in lui una furia incontrollata.

— Mi stavate seguendo? — gli chiese simulando una calma che non provava e chiedendosi come avesse fatto Hunt ad apparire proprio in quel momento.

— Vi ho vista attraversare l'atrio e ho notato che Hodgeham vi veniva dietro. Vi ho seguita, perché volevo scoprire che cosa sta succedendo tra voi due.

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Annabelle lo scrutò con aria di sfida. — E l'avete scoperto? — Non lo so — fu l'inquietante risposta. — Ditemi, Annabelle, quando

avete detto che potevate fare di meglio, era questo che avevate in mente? Soddisfare di nascosto quella viscida palla di lardo, in cambio di una miserabile ricompensa? Non vi credevo tanto stupida.

— Voi, lurido ipocrita — sussurrò Annabelle furiosa. — Siete in collera con me perché sono la sua amante e non la vostra.

Bene, ditemi una cosa: perché dovrebbe avere importanza a chi vendo il mio corpo?

— Perché non volete lui — disse Hunt a denti stretti. — E non volete Kendall. Volete me. Annabelle non riuscì a distinguere il groviglio di emozioni che

l'attanagliava, né a capire perché mai quel confronto iniziasse a suscitare in lei un'ondata di sconvolgente euforia. Voleva colpirlo, scagliarsi su di lui, provocarlo fino a che gli ultimi frammenti del suo autocontrollo non fossero crollati.

— Lasciatemi indovinare: voi sareste disposto a offrirmi una versione più conveniente dello stesso accordo che si presume io abbia con Hodgeham? — Scoppiò in una risata sprezzante, quando lesse la risposta sul volto di lui. — La risposta è no. Così, una volta per tutte, lasciatemi in pace...

S'interruppe, sentendo il brusio di altre persone che si avvicinavano lungo il corridoio. Affranta ed esasperata, girò su se stessa in cerca di una porta in cui potersi infilare, per evitare di essere vista sola con Hunt. Passandole un braccio intorno alle spalle, lui la fece entrare rapidamente nella stanza più vicina e chiuse in fretta la porta alle loro spalle.

Vedendo un pianoforte e un gruppo di leggìi per spartiti musicali, Annabelle si scostò bruscamente da Hunt, che afferrò e raddrizzò al volo un leggio che Annabelle aveva rischiato di far cadere urtandolo.

— Se riuscite a sopportare di essere l'amante di Hodgeham — mormorò, seguendola mentre indietreggiava verso il fondo della sala — potete indubbiamente sopportare di essere la mia. Potete anche dire che non siete attratta da me, ma sappiamo entrambi che mentireste. Ditemi il vostro prezzo, Annabelle. Qualsiasi cifra. Volete una casa? Uno yacht? Facciamola finita con questa storia: ne ho abbastanza di aspettarvi.

— Che romantico! — commentò Annabelle con una risata incerta. — Mio Dio. La vostra proposta non ha neppure un briciolo di raffinatezza,

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signor Hunt. E vi sbagliate nel ritenere che la mia sola possibilità sia essere l'amante di qualcuno. Posso farmi sposare da lord Kendall.

Gli occhi di Hunt erano scuri e scintillanti come pietre vulcaniche. — Il matrimonio con lui si trasformerebbe in un vero inferno, per voi.

Non vi amerà mai. Non riuscirà mai neanche a conoscervi. — Non voglio l'amore — cominciò Annabelle, colpita dalle parole che

lei stessa stava pronunciando. — Voglio solo... — Tacque, avvertendo un dolore sordo al centro del petto, come un nucleo di gelo insopportabile. Fissando il volto indecifrabile di Hunt, provò ancora una volta a persuaderlo. — Voglio solo...

Dalla porta giunse un rumore. La maniglia iniziò ad abbassarsi. Sgomenta, Annabelle si rese conto che qualcuno stava per entrare nella stanza, e a quel punto tutte le sue speranze di sposare Kendall sarebbero svanite come neve al sole.

Reagendo d'istinto, afferrò Hunt per un braccio e lo trascinò insieme a lei verso una nicchia sotto la finestra, nascosta da pesanti tendaggi che scorrevano su un'asta di ottone. La nicchia conteneva solo un sedile sotto il vano della finestra, ricoperto da un cuscino di velluto, e alcuni libri appilati disordinatamente da un lato.

Chiudendo le tende con un gesto brusco, si gettò su ili lui e gli posò la mano sulla bocca proprio mentre alcune persone facevano il loro ingresso nella sala da musica. Annabelle udiva il suono smorzato di voci maschili e degli strani rumori che la lasciarono perplessa finché non sentì alcune note stridenti prodotte da corde di violino. Oh, Dio, i musicisti erano venuti in quella stanza per accordare gli strumenti prima dell'inizio del ballo. Con molta probabilità, stava per essere compromessa davanti a un'intera orchestra.

Dallo spiraglio al di sopra delle tende filtrava della luce appena sufficiente a rischiarare i loro volti, ma più che sufficiente per permettere ad Annabelle di cogliere il sorriso perfido che era apparso negli occhi di Hunt. Una sola parola da parte sua in quella circostanza compromettente, e Annabelle sarebbe stata rovinata. Gli premette con maggior forza la mano sulla bocca e con gli occhi a pochi centimetri di distanza da quelli di lui, lo fulminò con uno sguardo omicida.

Le voci dei musicisti si mescolavano al suono degli strumenti che venivano accordati. Le note si prolungavano fino a che non si fondevano in armonia e le dissonanze si ricomponevano nell'ordine. Chiedendosi se sa-rebbero stati scoperti, Annabelle fissava le tende senza vederle,

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pregando che rimanessero chiuse. Avvertì l'ali-to caldo di Hunt sulla mano e si rese conto che il viso di lui si era irrigidito. Voltandosi a guardarlo, si accorse che nei suoi occhi l'aria maliziosamente divertita ave-va ceduto il posto a uno sguardo molto più allarman-te. Restò pietrificata, mentre il cuore iniziava a batterle così in fretta da farle male, e rimase a fissarlo con gli occhi spalancati, mentre la mano libera di lui si sollevava lentamente.

Le dita di Annabelle erano ancora premute sulla sua bocca e Hunt iniziò a sollevarle una per una con delicatezza, iniziando dal mignolo, mentre il suo respiro le sfiorava la mano in sbuffi sempre più rapidi. Annabelle scosse lentamente la testa in un cenno di diniego e cercò di staccarsi da lui, nonostante le braccia di Hunt le cingessero la vita. Era in trappola, e non aveva modo di impedirgli di fare qualunque cosa volesse.

L'ultimo dito venne scostato e Hunt le allontanò la mano, per poi posarle la propria sulla nuca. Le dita di Annabelle scivolarono lungo le maniche di lui, mentre inarcava la schiena e lui rafforzava la presa sulla sua nuca. Non le faceva male, ma le impediva di muoversi o divincolarsi. Quando il viso dell'uomo si chinò verso il suo, Annabelle dischiuse le labbra in un gemito silenzioso e di colpo non fu più in grado di pensare.

La bocca di Hunt si posò sulla sua, gentile ma decisa, sollecitando una risposta. Annabelle si sentì invadere da un'ondata febbrile. Si sentiva bruciare tutta, incapace di tenere a freno un desiderio diverso da qualunque altro avesse conosciuto. Il ricordo del loro unico bacio non era nulla, paragonato a quello, forse perché Simon Hunt non era più uno sconosciuto per lei. Lo desiderava con un'intensità che la spaventava.

Le labbra di Hunt vagarono delicatamente su di lei, soffermandosi brevemente sul suo mento e sulla guancia e lasciando una scia infuocata dovunque si avventurasse, prima di tornare a concentrarsi sulla sua bocca, esercitando una pressione più esplicita. Annabelle sentì la punta della lingua sfiorare la sua, un tocco setoso e talmente inaspettato che si sarebbe ritratta, se lui non l'avesse tenuta così stretta.

L'elegante cacofonia prodotta dai musicisti le risuonava nelle orecchie, ricordandole la probabilità di essere scoperti da un momento all'altro. Si impose di abbandonarsi contro di lui, con il corpo tremante. Nei minuti che sarebbero seguiti, gli avrebbe permesso di farle qualunque cosa, purché non tradisse la loro presenza.

Hunt la assaporò di nuovo, frugandola con delicati movimenti della lingua. Annabelle era sconvolta da quell'esplorazione intima e ancor di più dalle inesprimibili sensazioni che si sprigionavano nei punti più vulnerabili

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del suo corpo. Si sentì invadere da un piacevole languore e vacillò nella sua stretta, cercandogli con le mani il collo, i capelli, infilando le dita tra le ciocche folte e setose.

L'indagine esitante delle sue mani gli strappò un sospiro profondo, come se quel tocco l'avesse scosso profondamente. Sollevò una mano verso il viso di Annabelle, accarezzandole la guancia, scostandosi da lei il minimo necessario per stuzzicarla e sollecitarla, catturandole dolcemente con la bocca il labbro superiore, poi quello inferiore, sfiorandola ovunque con baci lievi e caldi.

D'impulso, Annabelle gli si aggrappò attirandolo nuovamente a sé, e quando sentì che le catturava la bocca in un altro bacio profondo fu sul punto di lasciarsi sfuggire un gemito. Prima che il suono le sfuggisse di gola, si staccò da lui e nascose il viso sulla sua spalla.

Infilando la mano nella massa di boccoli fermati dalle forcine sulla nuca di Annabelle, Hunt le fece inclinare la testa all'indietro, esponendo la gola. Le sue labbra tracciarono un percorso rovente sulla pelle, partendo dal minuscolo incavo sotto l'orecchio destro e risvegliando terminazioni nervose particolarmente sensibili nel percorrere con la lingua la linea delicata di una vena. Le fece scivolare le mani lungo le spalle, seguendo col pollice la linea delle clavicole, esplorando con il palmo la fragile architettura del suo corpo. Esplorandole il collo col viso, scoprì un punto che la fece fremere di piacere e vi indugiò finché Annabelle non sentì un altro gemito che minacciava di sfuggirle dalle labbra.

Con mano leggera sfiorò la seta che le copriva il seno, una, due, tre volte. A ogni lento passaggio, il calore della sua pelle filtrava attraverso il tessuto sottile. Quando il capezzolo si inturgidì, lo accarezzò teneramente con il dorso delle dita finché non si inturgidì ancora di più. L'intensità sempre maggiore del bacio la indusse a reclinare la testa in una posizione di assoluto abbandono, offrendosi alle lente carezze della sua lingua e all'abile esplorazione delle sue mani. Non era previsto che accadesse quello, che i suoi nervi vibrassero di piacere, che il suo corpo fosse consumato da un tale ardore sensuale.

In quei momenti silenziosi, febbrili, Hunt le fece dimenticare ogni cosa: perse la consapevolezza del tempo, di dove fossero, persino di chi lei fosse. Sapeva solo che aveva bisogno di sentirlo più vicino, più in profondità, più stretto a lei... aveva bisogno della sua pelle, dei suoi muscoli contratti, della sua bocca che le tracciava percorsi di fuoco lungo il corpo.

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Gli afferrò la camicia e tirò finché non riuscì a sfilargliela dai pantaloni, scostando a piene mani la stoffa candida e inamidata nel disperato bisogno di raggiungere il calore della sua pelle. Simon sembrò comprende re che non aveva esperienza nel tenere a bada quel livello di desiderio. I suoi baci si fecero più lievi, le sue mani iniziarono a massaggiarle la schiena cercando di calmar la. Tuttavia, più lui cercava di sopire il suo desiderio, più lo riaccendeva, e la bocca di Annabelle prese a muoversi convulsamente sotto quella di lui, mentre il suo corpo si contorceva con un ritmo sempre più eccitato.

Quando la serrò forte tra le braccia Annabelle si sentì assurdamente riconoscente per la brutalità della sua stretta, per le braccia muscolose che, immobilizzandola, l'aiutavano a placare il tremito violento che la scuoteva.

Rimasero così per un tempo che sembrò interminabile, finché Annabelle non si rese conto confusamente che nella stanza era calato il silenzio. A un certo punto i musicisti avevano finito di prepararsi e se n'erano andati. Sollevando la testa, Hunt allungò con cautela una mano verso l'estremità di una tenda e la scostò leggermente. Verificato che la sala da musica era di nuovo deserta, riportò la sua attenzione su Annabelle, sistemandole con la punta del pollice una ciocca che le era scivolata su un orecchio.

— Se ne sono andati — sussurrò con voce roca. Troppo sbalordita per ragionare con coerenza, Annabelle continuò a

fissarlo in silenzio. Hunt le sfiorò con la punta delle dita la guancia accaldata, le labbra arrossale. Con un moto di disperazione, lei avverti l'immediata risposta del proprio corpo, il battito che accelerava con rinnovato vigore, l'onda di piacere che le percorse la pelle. Era il momento di allontanarsi, o presto la loro assenza sarebbe stata notata. Con sua grande vergogna, invece, rimase immobile, mentre il suo corpo assorbiva avidamente le sensazioni che le carezze di Hunt continuavano a suscitare in lei.

La mano di Hunt raggiunse il retro dell'abito, e Annabelle lo sentì armeggiare con dita esperte, mentre si chinava a baciarla nuovamente sulla bocca. Questa volta non riuscì a trattenere i suoni che le salivano alle labbra, i singhiozzi che le sfuggivano dalla gola, il sospiro di sollievo quando il corpino attillato del vestito venne allentato. L'ampia scollatura dell'abito le aveva impedito di indossare un corsetto con le coppe, e ne aveva quindi scelto uno che le lasciava liberi i seni sotto la camiciola.

Senza smettere di baciarla, Hunt l'attirò insieme a lui sul sedile imbottito sotto il vano della finestra. Se la fece sedere in grembo, abbassando con le

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dita il corpino allentato e lasciandosi sfuggire un mugolio di piacere, soffocandolo contro la bocca di lei, quando arrivò a scoprire la pienezza dei suoi seni. A un tratto, spaventata nel rendersi conto di che cosa gli stava permettendo, Annabelle cercò debolmente di allontanarlo. Hunt la sollevò un po' di più e posò la bocca al centro del suo petto, dove il cuore di batteva con un ritmo rapido e regolare. Poi, continuando a sostenerla con un braccio intorno alla vita, scese a esplorare con le labbra la soda rotondità del seno.

Al contatto di quel respiro appassionato con il suo capezzolo, Annabelle smise di agitarsi e rimase immobile, stringendo a pugno le mani. Lui lo circondò con la bocca, sfiorandolo dolcemente con la lingua finché la punta non divenne bagnata e inturgidita e Annabelle ebbe la sensazione che nelle vene le scorresse del miele rovente. Hunt le sussurrò parole rassicuranti, mentre con la mano le accarezzava il seno, stuzzicandone la punta umida con il pollice. Mormorando parole incoerenti, Annabelle gli passò le braccia intorno al collo e sussultò quando la bocca di lui si chiuse intorno all'altro capezzolo, mordicchiandolo delicatamente.

Un nuovo bisogno si risvegliò in lei, un impulso che le strappò mugolìi frementi dalla gola e la spinse a iniziare a contrarsi ritmicamente sulle sue ginocchia. A sua volta, Hunt sembrava tormentato dallo stesso bisogno impellente: Annabelle sentiva il suo cuore battere con forza e i suoi polmoni faticare a ogni respiro. Ma sembrava molto più capace di lei di trattenere la passione, e i movimenti delle sue mani e della sua bocca rimanevano controllati. Annabelle cercò di scostare i molti strati di seta del proprio abito, gli affondò le dita nelle maniche della giacca e del panciotto. Troppi vestiti dappertutto, e lei stava impazzendo dal desiderio di sentire la pelle di lui sulla sua.

— Piano, piccola — le sussurrò Hunt. — Calmati... No, resta ferma in braccio a me...

Ma Annabelle non riusciva a farsi obbedire dal proprio corpo; sembrava incapace di fermare il moto convulso dei suoi fianchi e i gemiti imploranti che le sfuggivano dalla bocca umida.

Hunt continuò a mormorarle parole dolci mentre le risistemava i vestiti, sollevandola delicatamente come se fosse una bambola, e le riallacciava l'abito. A un certo punto gli sfuggì anche una piccola risata incerta, come se fosse divertito dal proprio comportamento.

Più tardi, Annabelle avrebbe riflettuto sul fatto che sembrava sconcertato, proprio come lei; ma in un momento in cui ardeva di desiderio

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inappagato, non era in grado di analizzare i propri pensieri ingarbugliati. Quando il desiderio si placò e smise di far vibrare il suo corpo, si lasciò dietro una sensazione bruciante di vergogna.

Alzandosi bruscamente dalle ginocchia di Hunt, si girò dandogli le spalle, incerta sulle gambe tremanti. Riuscì a pronunciare solo due parole, che ruppero il silenzio teso.

— Mai più. Spingendo di lato la tenda, uscì dalla stanza più in fretta che potè e si

allontanò rapida lungo il corridoio.

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Dopo che Annabelle era fuggita dalla sala da musica, Simon era rimasto

lì per almeno mezz'ora, cercando di sopire la bruciante passione che provava e di lasciare che gli si raffreddasse il sangue in ebollizione. Si sistemò gli abiti e si passò una mano tra i capelli, ragionando mestamente sulla prossima mossa da fare.

— Annabelle — mormorò, più afflitto e confuso di quanto fosse mai stato in tutta la sua vita. Il fatto di essere ridotto in quello stato per via di una donna era sconvolgente. Proprio lui, noto come un negoziatore abile e accorto, le aveva fatto l'offerta più goffa possibile e aveva ricevuto un rifiuto netto. Nonché meritato.

Non avrebbe mai dovuto cercare di spingerla a stabilire un prezzo prima ancora che avesse ammesso che lo desiderava. Ma il sospetto che potesse andare a letto con Hodgeham... proprio Hodgeham, tra tutti gli uomini, lo aveva fatto quasi impazzire di gelosia, e tutte le sue capacità di giudizio gli erano venute meno.

Ripensando a com'era stato baciarla, accarezzare finalmente la sua pelle calda e levigata, Simon avvertì la passione montargli dentro di nuovo. Con la sua notevole esperienza, pensava di aver già sperimentato qualunque sensazione fisica. Ma era stato appena costretto a rendersi conto che andare a letto con Annabelle sarebbe stata una cosa completamente diversa. L'esperienza avrebbe coinvolto le sue emozioni, oltre che il suo colpo, emozioni così allarmanti che non riusciva ancora a indursi ad analizzarle.

L'attrazione tra loro era diventata pericolosa, per lui non meno che per lei. Ed era evidente che Simon aveva bisogno di rimettere le cose in prospettiva. Al momento, tuttavia, non riusciva a ragionare con lucidità.

Uscì dalla sala da musica imprecando sottovoce e raddrizzandosi il nodo della cravatta. La tensione che aveva ancora in corpo gli rallentava il passo, solitamente contraddistinto da falcate decise, e lo faceva sentire bramoso e irritabile, mentre si dirigeva verso la sala da ballo. L'idea di un'altra serata in società gli era insopportabile. Il suo tasso di tolleranza nei confronti delle feste che si prolungavano per giorni non era mai stato elevato: non era un uomo che apprezzava ore e ore di chiacchiere indolenti e svaghi oziosi. Se ne sarebbe già andato da un pezzo, non fosse stato per la presenza di Annabelle.

Meditando cupamente tra sé entrò nella sala e si guardò intorno, scrutando la folla. Individuò subito Annabelle, seduta in un angolo con

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lord Kendall al suo fianco. Kendall era palesemente infatuato di lei e il suo sguardo rapito tradiva senza ombra di dubbio il suo interesse. Lei aveva un'aria quieta e imbarazzata e sembrava avere difficoltà a incontrare lo sguardo pieno di ammirazione di Kendall. Parlava molto poco e se ne stava con le mani strettamente allacciate in grembo.

Gli occhi di Simon si socchiusero nell'osservarla. Era buffo che Kendall avesse finalmente iniziato a provare una vera attrazione per lei proprio nel momento in cui Annabelle si sentiva mortificata e incerta. Kendall avrebbe avuto una brutta sorpresa, in seguito, se Annabelle l'avesse preso al laccio, scoprendo che sua moglie non era la ragazza timida e ingenua che sembrava. Era una donna piena di spirito e di passione, una creatura decisamente ambiziosa che aveva bisogno di un compagno capace di tenerle testa.

Kendall non sarebbe mai stato in grado di gestirla Era troppo dolce per Annabelle, troppo mite e misurato, troppo intelligente nei modi sbagliati. Lei non l'avrebbe rispettato, né avrebbe mai tratto alcun piacere dalle sue qualità. Avrebbe finito col disprezzarlo proprio per le cose per cui avrebbe dovuto ammirarlo, e lui sarebbe inorridito davanti a qualità di Annabelle che Simon avrebbe saputo invece apprezzare appieno.

Distogliendo lo sguardo dalla coppia, si diresse dalla parte opposta del salone, dove Westcliff stava parlando con alcuni amici. Girandosi verso di lui, il conte lo scrutò.

— Ti stai divertendo? — Non particolarmente. — Simon si infilò le mani nella tasca della

giacca e lanciò un'occhiata al salone con aria insofferente. — Sono stato abbastanza a lungo nell'Hampshire. Ho bisogno di tornare a Londra a vedere che cosa succede alla fonderia.

— E la signorina Peyton? — chiese l'amico a bassa voce. Simon rifletté per un attimo. — Credo — rispose lentamente — che

aspetterò di vedere come va a finire il suo tentativo di conquistare Kendall. — Guardò Westcliff con un sopracciglio sollevato in segno di domanda.

Il conte gli rispose con un breve cenno dei capo. — Quando partirai? — Domattina presto. Westcliff fece un sorriso asciutto. — La situazione si risolverà — disse

in tono pragmatico. — Vai a Londra e torna quando ti sarai schiarito le idee.

Annabelle non riusciva a scrollarsi di dosso la tristezza che la opprimeva come un manto di ghiaccio. Aveva dormito male e aveva toccato appena la

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sontuosa colazione che era stata servita nella sala da pranzo. Lord Kendall aveva pensato che il suo aspetto e il suo atteggiamento dimesso dipendessero dalla recente malattia e l'aveva riempita di premure e attenzioni, finché Annabelle non aveva provato il desiderio di allontanarlo in malo modo.

Anche le sue amiche erano altrettanto soffocanti, con le loro gentilezze, e per la prima volta Annabelle non trasse alcun piacere dalle loro battute scherzose. Cercò di identificare il momento in cui il suo umore si era guastato e si rese conto che era successo quando aveva appreso da lady Olivia che Simon Hunt aveva lasciato Stony Cross.

— Il signor Hunt è andato a Londra per affari — aveva detto lady Olivia in tono disinvolto. — Non si ferma mai a lungo a queste feste; anzi c'è da stupirsi che questa volta sia rimasto tanto. Non è certo il tipo d'uomo

che ama oziare... Quando qualcuno aveva chiesto come mai il signor Hunt fosse partito

così all'improvviso, lady Olivia aveva sorriso, scuotendo la testa. — Oh, lui va e viene come un gatto randagio. Le sue partenze sono

sempre repentine, e sembra che non sopporti gli addii, di qualunque tipo. Così lui era partito senza dire una parola ad Annabelle, che di

conseguenza si sentiva abbandonata e ansiosa. Ricordi della sera prima (che serata terribile!) continuavano a girarle nella mente. Dopo quanto era accaduto nella sala da musica, si era sentita disorientata, così concentrata a pensare a lui da non riuscire quasi più a rendersi conto di quello che la circondava.

Aveva tenuto gli occhi bassi, per evitare di incrociare inavvertitamente i suoi, e aveva pregato in silenzio che non le si avvicinasse. Per fortuna si era mantenuto a debita distanza, mentre lord Kendall si era installato inamovibilmente al suo fianco, passando il resto della serata a parlarle di cose che lei non comprendeva e di cui non avrebbe potuto importarle di meno. L'aveva incoraggiato con mormorii innocui e sorrisi a mezza bocca, pensando cupamente che sarebbe dovuta essere entusiasta dell'attenzione che le stava dedicando. Invece, desiderava solo che se ne andasse.

Il suo atteggiamento dimesso a colazione sembrò attrarre Kendall ancora di più. Supponendo che quella docile facciata fosse frutto di una messinscena voluta. Lillian Bowman le aveva parlato di nascosto all'orecchio

— Ottimo lavoro, Annabelle. Ormai ti segue come un cagnolino.

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Lasciato il tavolo della colazione con la scusa di dover riposare, Annabelle si aggirò da sola per la casa, finché non giunse al salottino blu. Il tavolino con la scacchiera attirò la sua attenzione: si avvicinò lentamente, chiedendosi se una cameriera avesse finalmente rimesso a posto i pezzi del gioco o se qualcuno avesse interferito con la partita. No, era tutto esattamente come lo aveva lasciato, a parte un minimo cambiamento, Simon Hunt aveva spostato un pedone in una posizione difensiva, il che le offriva l'opportunità di rafforzare la propria difesa oppure di attaccare inseguendo la sua regina.

Non era la mossa che si sarebbe aspettata da lui. Pensava che avrebbe tentato un'azione più audace, più aggressiva. Studiando la scacchiera, cercò di comprendere la sua strategia. Aveva fatto quella mossa per indecisione o per noncuranza? Oppure aveva un obiettivo nascosto che le sfuggiva?

Fece per toccare uno dei pezzi, poi esitò e ritirò la mano. "È solo un gioco" si disse. Stava attribuendo troppa importanza a ogni mossa, come se ci fosse in palio chissà quale premio. Tuttavia rifletté attentamente sulla decisione da prendere, prima di allungare nuovamente la mano. Fece scivolare in avanti la sua regina a man-giare il pedone, provando un brivido di soddisfazione quando i due pezzi sbatterono l'uno contro l'altro, avorio contro ebano. Stringendo il pedone nel palmo della mano, lo soppesò per un attimo per poi posarlo con cura a lato della scacchiera.

Con il trascorrere dei giorni, divenne evidente che quel momento davanti alla scacchiera era stato l'unico istante di piacere che Annabelle aveva provato. Non si era mai sentita così prima: non era felice, né triste, né preoccupata per il futuro. Era semplicemente spenta; i suoi sensi e le sue emozioni sembravano paralizzati, fin-

ché non iniziò a chiedersi se le sarebbe mai più importato di qualcosa. Il senso di distacco era così intenso che

a volte aveva l'impressione di essere come estraniata da se stessa, intenta a osservarsi: una bambola meccanica che attraversava rigidamente ogni giornata.

Lord Kendall faceva coppia con lei sempre più spesso: danzarono insieme a un ballo, sedettero fianco a fianco durante una serata musicale e passeggiarono per il giardino mentre Philippa li seguiva discretamente, a una certa distanza. Lui era gradevole, rispettoso e dotato di un fascino quieto. Era talmente tollerante, in effetti, che Annabelle iniziò a pensare che quando lei e le sue amiche avrebbero fatto scattare la trappola su di lui,

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forse non se la sarebbe presa nemmeno troppo per dover sposare una ragazza che aveva inavvertitamente compromesso. Alla fine ci si sarebbe abituato e, da uomo ragionevole quale era, avrebbe trovato un modo di accettare la situazione.

Quanto a Hodgeham, era evidente che Philippa stava riuscendo a tenerlo lontano da lei. In qualche modo lo aveva convinto a non rivelare il loro segreto a lord Kendall, anche se si era rifiutata di riferirle i dettagli del colloquio che aveva avuto con lui. Preoccupata degli effetti negativi che quella tensione continua avrebbe inevitabilmente avuto su sua madre, Annabelle aveva provato ad avanzare l'ipotesi di andar via da Stony Cross Park. Tuttavia, Philippa non aveva voluto sentire ragioni.

— Riuscirò a tenere a bada Hodgeham — aveva dichiarato con fermezza. — Tu devi solo continuare con lord Kendall. È evidente a tutti che è infatuato di te.

Se solo Annabelle avesse potuto cancellare dalla propria mente il ricordo di quanto era accaduto nella nicchia della sala da musica, tutto sarebbe stato più semplice. Invece continuava a sognare quell'episodio con sconcertante chiarezza e si svegliava completamente sconvolta, con le lenzuola avvinghiate intorno alle gambe e la pelle che bruciava, come se avesse la febbre. Era tormentata dal pensiero di Simon Hunt, dal ricordo del suo odore, del suo calore, dei suoi baci provocanti... dalla durezza del suo corpo sotto l'elegante abito da sera nero.

Nonostante la promessa che le quattro amiche si erano fatte di raccontarsi ogni dettaglio delle loro vicende sentimentali, Annabelle non riuscì a confidarsi con nessuna di loro. Quello che le era successo con Simon Hunt era troppo privato e troppo personale. Non era qualcosa da sottoporre allo scrutinio di amiche zelanti che non avevano in fatto di uomini più esperienza di lei. Inoltre, se avesse cercato di spiegare loro quanto era successo, era sicura che non avrebbero capito. Non c'erano parole per descrivere un'intimità così travolgente e la confusione devastante che ne era seguita.

In nome di Dio, come poteva provare sentimenti del genere per un uomo che aveva sempre disprezzato? Per due anni aveva temuto di incontrarlo nelle occasioni sociali, ritenendo la sua compagnia la più sgradevole che si potesse immaginare. Adesso, invece...

Mettendo da parte quei pensieri angosciosi, un giorno si ritirò nel salottino dei Marsden, nella speranza di distrarsi leggendo qualcosa. Aveva sotto il braccio un pesante tomo, dal titolo inciso in lettere dorate

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sulla copertina: Reale Società Botanica - Scoperte e conclusioni dei rapporti presentati dai nostri rispettabili membri nell'anno 1843. Il libro pesava come un'incudine e Annabelle si chiese mestamente come avesse fatto chiunque a trovare tanto da dire su delle piante. Posandolo su un tavolino, fece per sedersi sul divanetto vicino alla finestra quando qualcosa sulla scacchiera in un angolo della stanza attirò la sua attenzione. Era la sua immaginazione o...

Socchiudendo gli occhi si avvicinò al tavolo e osservò la disposizione dei pezzi, che era rimasta immutata per tutta la settimana. Eppure c'era qualcosa di diverso. Lei aveva usato la regina per mangiare il pedone di Simon. Ora la sua regina era stata tolta dalla scacchiera e posala ordinatamente da un lato.

"È tornato!" pensò Annabelle, mentre un'emozione improvvisa si impadroniva di lei. Era certa che solo lui avrebbe toccato la scacchiera. Era lì, a Stony Cross. Il suo viso si fece pallido, a parte due chiazze di rossore sulle guance. Rendendosi conto che la sua reazione era esagerata, si sforzò di calmarsi. Il suo ritorno non signi-ficava nulla: non lo desiderava, non poteva averlo e doveva evitarlo a tutti i costi. Chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e attese che le pulsazioni del suo cuore recalcitrante riprendessero un ritmo normale.

Quando si fu finalmente ricomposta, osservò attentamente la scacchiera, cercando di capire quale fosse stata l'ultima mossa di lui. Come aveva fatto a mangiarle la regina? Calcolò rapidamente le precedenti posizioni dei pezzi. Poi capì: l'aveva attirata in avanti con il pedone, facendola arrivare nella posizione perfetta per essere mangiata dalla sua torre. E ora che la sua regina era stata eliminata, il suo re era minacciato e...L'aveva messa sotto scacco.

L'aveva ingannata con quell'umile pedone e adesso lei era in pericolo. Lasciandosi sfuggire una risata incredula, Annabelle voltò le spalle al tavolino e iniziò a passeggiare per la stanza. Nella testa le si accavallavano diverse strategie difensive, e cercò di individuarne una che lui non si aspettasse. Obbedendo all'istinto, si voltò e si diresse nuovamente verso la scacchiera, sorridendo nel chiedersi quale sarebbe stata la reazione di Hunt quando avesse scoperto la sua contromossa. Mentre allungava la mano verso la scacchiera, tuttavia, l'ondata di eccitazione si spense completamente e si immobilizzo, impietrita. Che cosa slava facendo? Continuare quella partita, mantenere anche quel fragile canale di

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comunicazione con lui era inutile. Anzi, era pericoloso. Non c'era scelta possibile tra la salvezza e la rovina.

La sua mano tremava un poco, mentre raccoglieva i vari pezzi uno dopo l'altro, posandoli nella scatola. — Ci rinuncio — disse distintamente, anche se con voce un po' strozzata. — Ci rinuncio.

Inghiottì di nuovo, cercando di sciogliere il groppo doloroso che le serrava la gola. Non era tanto sciocca da permettersi di desiderare qualcuno così palesemente sbagliato per lei. Dopo aver chiuso la scatola, si allontanò dal tavolino e rimase a fissarlo per un attimo. Si sentiva svuotata e terribilmente triste, ma risoluta. Quella sera. Il suo ambiguo corteggiamento di lord Kendall doveva concludersi quella sera. La festa era quasi finita, e ora che Simon Hunt era tornato, non poteva correre il rischio che un'altra complicazione con lui mandasse a monte tutti i suoi progetti. Raddrizzando le spalle, andò a cercare Lillian per comunicarle la sua decisione e stabilire con lei un piano d'azione. Quella serata si sarebbe conclusa con il suo fidanzamento con lord Kendall.

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— Il segreto è tutto nei tempi — disse Lillian, con gli occhi scintillanti di entusiasmo. Di certo non esisteva generale che avesse condotto una campagna con maggiore determinazione di quella dimostrata in quel frangente da Lillian Bowman. Le quattro ragazze erano sedute insieme a un tavolo sulla terrazza posteriore, munite di grandi bicchieri di limonata fresca, all'apparenza intente a oziare mentre in realtà stavano mettendo a punto il piano strategico per quella sera.

— Io suggerirò di fare una passeggiata in giardino prima di cena, per risvegliare l'appetito — disse Lillian ad Annabelle. — Daisy ed Evie acconsentiranno e porteremo con noi nostra madre e la zia Florence, insieme a chiunque altro stia conversando con noi in quel momento. E sperabile, quando raggiungeremo la radura dall'altro lato del boschetto di peri, che sarai sorpresa in flagrante delicto con lord Kendall.

— Cosa significa in flagrante delicto? — chiese Daisy. — Suona illegale. — Non lo so di preciso — ammise Lillian. — L'ho letto in un romanzo,

ma sono sicura che è proprio quello che ci vuole per compromettere una ragazza.

Annabelle rispose con una risatina poco convinta, desiderosa di riuscire a provare anche una minima parte dell'entusiasmo che le Bowman

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dimostravano per la situazione. Quindici giorni prima sarebbe stata fuori di sé dalla gioia. Ma adesso le sembrava tutto sbagliato. Non provava nessun gioioso senso di aspettativa all'idea di strappare finalmente una proposta di matrimonio a un aristocratico. Nessuna eccitazione, nessun sollievo, né alcun'altra emozione anche solo lontanamente positiva. Le sembrava solo un dovere sgradevole che andava compiuto.

Dissimulò la sua preoccupazione, mentre le Bowman tramavano e complottavano con la disinvoltura di esperti cospiratori. Tuttavia Evie, che era più perspicace di tutte loro messe insieme, aveva percepito le vere emozioni che si celavano dietro la facciata che Annabelle presentava.

— È quello che vuoi d-d-davvero, Annabelle? — le chiese a bassa voce. — Non sei obbligata a farlo, lo sai. Troveremo un altro partito per te, se non vuoi Kendall.

— Non c'è tempo di trovare qualcun altro — le rispose Annabelle in un sussurro. — No... dev'essere lui, e deve essere stasera, prima...

— Prima... — ripeté Evie, inclinando la testa e osservandola perplessa. Il sole le illuminava le lentiggini, facendole scintillare come polvere dorala sulla sua pelle vellutata. — Prima di cosa?

Mentre Annabelle rimaneva in silenzio, Evie chinò la testa e passò la punta di un dito lungo il bordo del bicchiere, raccogliendo i frammenti di polpa che vi erano rimasti attaccati. Le sorelle Bowman conversavano animatamente, analizzando la questione se il boschetto di peri era il luogo più adatto per tendere l'imboscata a Kendall. Proprio quando Annabelle iniziava a pensare che Evie avesse lasciato cadere l'argomento, l'amica le parlò di nuovo sottovoce.

— Hai sentito che il signor Hunt è tornato a Stony Cross, ieri notte molto tardi?

— Come fai a saperlo? — Qualcuno l'ha detto a mia zia. Incrociando il suo sguardo penetrante, Annabelle non potè fare a meno

di pensare che male sarebbe incolto a chiunque avesse commesso l'errore di sottovalutare Evangeline Jenner.

— No, non l'avevo sentito — mormorò. Inclinando leggermente il bicchiere della limonata, Evie scrutò nelle

profondità del liquido zuccherato. — Mi chiedevo come mai abbia lasciato cadere la tua offerta di dargli

un bacio — disse lentamente. — Dopo tutto l'interesse che ha d-d-dimostrato per te in passato...

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I loro sguardi si incontrarono e Annabelle sentì che il viso le diventava rosso. Implorò con gli occhi Evie di non aggiungere altro, scuotendo rapidamente la testa. Un lampo di comprensione balenò per un attimo sul viso dell'amica.

— Annabelle — disse lentamente. — Ti dispiace se questa sera non vengo insieme alle altre a sorprenderti con lord Kendall? Ci sarà un numero p-p-più che sufficiente di persone. Senza dubbio Lillian trascinerà con sé un'intera folla di ignari testimoni. La mia presenza sarebbe superflua.

— Certo che no — rispose Annabelle, poi fece un sorriso timido. — Hai degli scrupoli morali?

— Oh, no. Non sono un'ipocrita. Sono pronta a riconoscere la mia partecipazione alla congiura, e c-che io venga o non venga stasera, faccio comunque parte del gruppo. È solo che... — Si interruppe, poi continuò a voce più bassa. — Non credo che tu desideri davvero spo-sposare lord Kendall. E ora che ti conosco un po' meglio, io... io non penso che il matrimonio con lui ti renderebbe felice.

— Invece sì — ribatté Annabelle, alzando la voce al punto da attirare l'attenzione delle Bowman, che smisero di parlare e la fissarono incuriosite. — Nessuno risponde al mio ideale di uomo più di lord Kendall.

— È perfetto per te — concordò Lillian con decisione. — Spero che tu non stia cercando di spargere in lei il seme del dubbio, Evie. È troppo tardi. Non vogliamo certo gettare alle ortiche un piano perfetto proprio ora che abbiamo quasi ottenuto la vittoria.

Evie scosse immediatamente la testa e sembrò rattrappirsi sulla sedia. — No, non stavo cercando di... — La sua voce sfumò in un mormorio, e

lanciò ad Annabelle uno sguardo di scusa. — Non lo stava facendo — intervenne Annabelle in difesa di Evie,

producendosi in un sorriso volenteroso. — Ripassiamo ancora una volta il piano, Lillian.

Lord Kendall reagì con sorridente affabilità quando Annabelle gli propose di fare una passeggiata in giardino con lei, prima di cena. Il cielo iniziava a tingersi dei colori del crepuscolo e l'umidità calava lentamente sulla tenuta, senza che un alito di vento alleggerisse l'atmosfera greve. Dato che la maggior parte degli ospiti era in camera a prepararsi per la cena, oppure a oziare o sventolarsi con il ventaglio nella sala da gioco o nel salotto, i giardini esterni erano quasi deserti. Nessun uomo poteva

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ignorare a cosa mirasse una ragazza che in quelle circostanze si offriva di passeggiare da sola con lui. Kendall, che a quanto pareva non era contrario all'idea di rubarle un bacio, le permise di condurlo lungo il bordo dei giardini terrazzati, oltre il muro a secco coperto di rose rampicanti.

— Penso che avremmo dovuto procurarci uno chape-ron — le disse con un sorriso vago. — Tutto questo è decisamente sconveniente, signorina Peyton.

Annabelle gli rivolse un sorriso caloroso. — Venite via con me solo per un momento — insistette. — Nessuno se ne accorgerà.

Mentre Kendall la seguiva di buon grado, lei sentì aumentare gradualmente il senso di colpa, che le gravava addosso come un macigno. Si sentiva come se stesse conducendo un agnellino al macello. Kendall era un uomo gentile, e non meritava di essere obbligato a sposarsi con l'inganno. Se avesse avuto più tempo, avrebbe potuto lasciar progredire le cose naturalmente e ottenere da lui una proposta vera e spontanea. Ma era l'ultimo fine settimana della festa ed era essenziale costringerlo a impegnarsi. Se fosse riuscita a portare a termine quella parte del piano, le cose sarebbero diventate molto più facili, dopo.

"Annabelle, lady Kendall" si ripeté mentalmente con determinazione. Riusciva a immaginare se stessa nei panni di una rispettabile, giovane signora, che viveva nel mondo pacifico della buona società dell'Hampshire, si recava occasionalmente a Londra, ospitava il fratello a casa durante i periodi di vacanze scolastiche.

Annabelle, lady Kendall, avrebbe avuto una mezza dozzina di bambini dai capelli biondi, alcuni dei quali muniti di occhiali da vista come il padre. E Annabelle, lady Kendall, sarebbe stata una moglie devota, che avrebbe passato il resto dei suoi giorni a fare ammenda per il modo in cui aveva ingannato suo marito costringendolo a sposarla.

Raggiunsero la radura dietro il boschetto di peri, uno spiazzo rotondo ricoperto di ghiaia al centro del quale era collocato un tavolo di pietra. Kendall si fermò e guardò Annabelle, che si era appoggiata con la schiena al bordo del tavolo, in una posa studiata. Trovò l'ardire di toccarle una ciocca di capelli castani che le era ricaduta sulla spalla, ammirandone i riflessi dorati.

— Signorina Peyton — mormorò. — A questo punto deve esservi evidente che ho sviluppato una decisa preferenza per la vostra compagnia.

Il cuore di Annabelle iniziò a battere all'impazzata, finché ebbe l'impressione che le mancasse il respiro.

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— Io... io ho trovato un grande piacere nelle nostre conversazioni e nelle passeggiate che abbiamo fatto insieme — riuscì a dire.

— Siete così bella — sussurrò lui, accostandosi. — Non ho mai visto occhi così azzurri.

Un mese prima, Annabelle avrebbe dato qualsiasi cosa perché accadesse una cosa del genere. Kendall era un uomo gradevole, oltre che attraente, giovane, pieno di salute e titolato... E allora che cosa diamine c'era che non andava in lei? Tutto il suo essere si riempì di riluttanza quando lui si protese verso il suo volto teso e soffuso di rossore. Agitata, sconcertata, cercò di rimanere ferma. Ma prima che le loro labbra si toccassero, si ritrasse con un gemito soffocato e si voltò dall'altra parte.

Nella radura calò il silenzio. — Vi ho spaventata? — chiese Kendall. I suoi modi erano quieti e

gentili, ben diversi dall'atteggiamento arrogante di Simon Hunt. — No... non è quello. È solo che... non posso farlo. — Annabelle si

massaggiò la fronte per lenire l'improvviso mal di testa che le era esploso e rimase immobile, le spalle rigide sotto le morbide maniche a sbuffo dell'abito di seta color pesca. Quando riprese a parlare, la sua voce era piena di un senso di sconfitta e di disprezzo di sé. — Perdonatemi, signore. Siete uno dei gentiluomini più a modo che io abbia mai avuto il privilegio di conoscere. Ed è proprio per questo che devo lasciarvi, adesso. Non è giusto da parte mia incoraggiare il vostro interesse nei miei confronti, quando non può sfociare in nulla.

— Perché pensate questo? — chiese lui, visibilmente confuso. — Voi non mi conoscete davvero — rispose Annabelle con un sorriso

amaro. — Credetemi sulla parola, siamo una coppia male assortita. Per quanto io possa sforzai mi, alla fine non riuscirei a non ferire i vostri sentimeli ti, e voi sareste troppo educato per protestare. Così fini remino con l'essere infelici entrambi.

— Signorina Peyton — mormorò Kendall, cercando di trovare un senso in quella cascata di parole. — Non riesco assolutamente a capire...

— Non sono certa di capire nemmeno io. Ma mi di spiace. Vi auguro il meglio, signore. E vorrei... I desideri sono una cosa pericolosa, non trovate? — mormorò Annabelle, poi si allontanò in fretta dalla radura.

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Maledicendosi con tutta se stessa, Annabelle si incamminò a grandi passi lungo il vialetto che conduceva aliti casa. Non poteva crederci. Proprio quando aveva a portata di mano tutto quello che desiderava, aveva rovinato ogni cosa.

— Stupida — continuava a ripetersi sottovoce. — Stupida, stupida... Non aveva la minima idea di che cos'avrebbe detto alle sue amiche,

dopo che fossero arrivate alla radura trovandola deserta. A meno che Kendall non fosse rimasto dove l'aveva lascialo, con l'aria di un cavallo a cui avessero staccato il sacco con la biada dalla bocca prima che potesse cominciare a mangiare.

Annabelle giurò a se stessa che non avrebbe chiesto alle sue amiche di aiutarla a trovare un altro potenziale marito, dopo aver gettato al vento l'opportunità che le era stata offerta su un piatto d'argento. A quel punto, si meritava qualsiasi cosa le fosse accaduta. Affrettò il passo fin quasi a correre, determinata a raggiungere la sua camera. Era così concentrata sulla sua precipitosa ritirata che andò quasi a sbattere contro un uomo che camminava lentamente lungo il vialetto dietro il muro a secco. Fermandosi di colpo, si diede della stupida.

— Vi chiedo scusa — mormorò, e si accinse ad aggirarlo precipitosamente. Tuttavia, la sua inconfondibile statura e la vista delle grandi mani abbronzate che emergevano dalle tasche della giacca ne tradirono immediatamente l'identità. Attonita, Annabelle barcollò, facendo un paio di passi indietro, sotto lo sguardo intenso di Simon Hunt.

Si fissarono con espressione assente. Avendo appena lasciato lord Kendall, Annabelle non potè fare a meno di

notare le differenze tra i due uomini. Hunt, la cui carnagione appariva decisamente scura alla luce tenue del crepuscolo, aveva un aspetto imponente e virile, gli occhi di un pirata e l'aria spregiudicata e disinvolta di un re pagano. Era più arrogante, più selvaggio e meno raffinato che mai, ma nonostante tutto era diventato per lei l'oggetto di un desiderio così intenso e travolgente che era certa di aver completamente perso la testa. L'atmosfera intorno a loro era carica di elettricità e nell'aria aleggiavano passione e conflitto.

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— Che cosa c'è? — chiese lui senza preamboli, vedendola così turbata. Riuscire a trasformare il groviglio di emozioni che si agitavano dentro di

lei in frasi coerenti era impossibile. Ma Annabelle ci provò comunque. — Avete lasciato Stony Cross senza dirmi una parola. Lo sguardo di Hunt era duro e freddo. — Voi avete messo via gli

scacchi. — Io... — Annabelle distolse lo sguardo da lui, mordendosi un labbro.

— Non potevo permettermi distrazioni. — Nessuno vi sta distraendo, adesso. Volete Kendall? Prendetevelo. — Oh, grazie tante — sbottò Annabelle con aria sarcastica. — Siete

gentile a farvi elegantemente da parte, ora che avete rovinato tutto. Lui la fissò con attenzione. — Perché dite questo? Annabelle provò un'assurda sensazione di freddo, nonostante l'aria fosse

calda come in estate. Un tremito le scosse tutto il corpo, giungendo fino alla pelle. — Gli stivaletti che ho ricevuto in dono mentre ero malata — disse con aria sprezzante. — Quelli che indosso in questo momento, me li avete regalati voi?

— Ha importanza? — Ammettetelo! — Sono stato io — tagliò corto lui. — E con questo? — Ero con lord Kendall, pochi minuti fa, e tutto stava andando secondo

i piani, e lui era sul punto di... ma io non ci sono riuscita. Non sono riuscita a lasciare che mi baciasse mentre indossavo questi dannati stivaletti. Senza dubbio ora pensa che io sia completamente pazza, dopo il modo in cui l'ho lasciato. Ma in realtà avevate ragione: è troppo gentile per me. E sarebbe stata un'unione davvero infelice.

Annabelle tacque per riprendere fiato e colse un lampo nello sguardo di Hunt, immobile e all'erta come un predatore.

— Così, ora che avete scartato Kendall quali sono i vostri piani? Tornerete da Hodgeham?

Indignata da quella domanda sprezzante, lei strinse i pugni. — Se anche lo facessi, non sarebbe affare vostro. — Girò sui tacchi e

fece per allontanarsi. Hunt la raggiunse con due grandi falcate. La costrinse a girarsi verso di

sé, afferrandola per le braccia; poi scuotendola leggermente, le avvicinò la bocca all'orecchio.

— Basta con i giochi — disse. — Dimmi cosa vuoi. Ora, prima che perda quel poco di pazienza che ancora mi resta.

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Il suo odore fresco, pulito e meravigliosamente maschile, le fece quasi girare la testa. Voleva scivolare dentro i suoi vestiti, voleva che la baciasse fino a farle perdere i sensi. Voleva lo spregevole, arrogante, affascinante, diabolico e bellissimo Simon Hunt. Ma sapeva che sarebbe stato spietato con lei. Il suo orgoglio minacciato cercò di farsi valere, bloccandole le parole in gola.

— Non posso — mormorò con un filo di voce. Raddrizzatosi, lui la scrutò intensamente, mentre nei suoi occhi si accendeva una scintilla di perfido divertimento. — Puoi avere quello che vuoi, Annabelle, ma solo se riuscirai a

chiederlo. — Sei determinato a umiliarmi completamente, non è vero? Non mi

permetterai di conservare nemmeno un briciolo di dignità... — Io umiliare te? Dopo avere ricevuto per anni offese e insulti ogni

volta che ti chiedevo di ballare... — Oh, d'accordo — lo interruppe Annabelle esasperata, iniziando a

tremare dalla testa ai piedi. — Lo ammetto: ti voglio. Ecco, sei soddisfatto? Voglio te.

— Come amante o come marito? Lei lo fissò interdetta. — Che cosa? Simon la circondò con le braccia, stringendo forte il suo corpo tremante

contro il proprio. Non disse nulla, limitandosi a fissarla intensamente, mentre Annabelle cercava di comprendere le implicazioni della sua domanda.

— Ma tu non sei il tipo che si sposa — iniziò a dire con aria smarrita. Simon le accarezzò un orecchio, seguendone la curva delicata con la

punta del dito. — Ho scoperto che lo sono... se si tratta di te. La carezza lieve le incendiò il sangue, rendendole difficile pensare

razionalmente. — Finiremmo con l'ucciderci a vicenda entro il primo mese. — È probabile — concesse lui, sfiorandole la tempia con la bocca

sorridente. Il calore delle sue labbra le suscitò un'ondata di piacere in tutto il corpo. — Ma sposami ugualmente, Annabelle. Per come vedo le cose io, risolverebbe la maggior parte dei tuoi problemi, e non pochi dei miei. — La sua mano le scivolò lungo la schiena, calmando i suoi tremori. — Lascia che ti vizi — sussurrò. — Lascia che mi prenda cura di te. Non hai mai avuto qualcuno a cui appoggiarti, vero? Io ho le spalle larghe, sai? —

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Si lasciò andare a una risata profonda. — E potrei essere l'unico uomo tra quelli che conosci in grado di potersi permettere di sposarti.

Annabelle era troppo interdetta per raccogliere la provocazione. — Ma perché? — chiese, mentre la mano di Simon le saliva verso il

collo. Sussultò quando le sue dita si infilarono nel piccolo incavo dietro la nuca. — Perché offrirti di sposarmi quando potresti avermi come amante?

Simon le sfiorò la gola con le labbra. — Perché nei giorni scorsi mi sono reso conto che non posso lasciare dubbi nella mente di chiunque, soprattutto nella tua, sul fatto che tu appartieni a me.

Annabelle chiuse gli occhi, sentendosi invadere da un senso di euforia mentre la bocca di Simon risaliva lentamente fino alle sue labbra asciutte e dischiuse. Le strinse il corpo, morbidamente abbandonato, facendolo aderire al proprio, teso e vibrante di desiderio. Se c'era pos-sessività nel modo in cui lui 'a serrava, c'era anche un riguardo commovente nel modo in cui le sue dita esploravano i punti più sensibili della pelle esposta, sfiorandoli con carezze lievissime.

Annabelle lasciò che la inducesse a schiudere le labbra ed emise un gemito di piacere quando avvertì la delicata esplorazione della sua lingua. Simon la cosparse di teneri baci che assecondavano il suo desiderio, ma al tempo stesso la riempirono della struggente consapevolezza di vuoti che bramavano di essere colmati. Quando sentì il fremito appassionato del corpo di Annabelle contro il suo, la calmò con un bacio simile a una lunga carezza, stringendola in un abbraccio intenso. Accarezzandole la guancia arrossata con la mano, passò il pollice sulla pelle vellutata delle sue labbra.

— Dammi la tua risposta — sussurrò. Il calore della mano di lui sulla pelle le trasmetteva brividi di piacere, e

premette maggiormente la guancia contro il suo palmo. — Sì — disse con voce roca. Negli occhi di Simon si accese una luce di trionfo. Le inclinò la testa

all'indietro e la baciò di nuovo, sempre più profondamente. Il ritmo del loro respiro si fece più rapido e Annabelle iniziò a sentirsi girare la testa per il troppo ossigeno. Aggrappandosi in cerca di sostegno al suo corpo muscoloso, gli affondò le dita nei risvolti della giacca. Senza interrompere il bacio, Simon l'aiutò ad appoggiarsi a lui, facendole passare le braccia intorno al suo collo. Non appena fu certo che avesse ritrovato l'equilibrio, prese a baciarla con intensità sempre maggiore, finché l'azione sapiente della sua bocca non la portò a un totale abbandono sensuale.

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A un certo punto sollevò la bocca da quella di lei e mise a tacere il suo mugolio di protesta mormorandole sommessamente che avevano compagnia. Con aria confusa e sognante, sempre cinta nel suo abbraccio, Annabelle girò la testa e si guardò intorno. Si trovò davanti un gruppo di testimoni che difficilmente avrebbero potuto non notare una coppia che si abbracciava nel bel mezzo del vialetto che costeggiava il muro del giardino.

Lillian, Daisy, la loro madre, lady Olivia con il suo bel fi-danzato americano, il signor Shaw e perfino lord Westcliff in persona.

— Oh, mio Dio — gemette, e nascose il viso contro la spalla di Simon, come se chiudendo gli occhi potesse farli sparire tutti.

Si sentì arrossire fino alle orecchie quando Simon si chinò su di lei e con voce venata di divertimento mormorò: — Scacco matto.

Lillian fu la prima a parlare. — Ma che accidenti sta succedendo, Annabelle?

Facendosi piccola per l'imbarazzo, si obbligò a sostenere lo sguardo dell'amica. — Non sono riuscita ad andare fino in fondo — disse in tono di scusa. — Mi dispiace tanto: il piano era ottimo e voi avete fatto la vostra parte meravigliosamente...

— E sarebbe stato un grande successo, se tu non ti fossi messa a baciare l'uomo sbagliato! Per l'amor di Dio, che cos'è successo? Perché non sei nel boschetto di peri con lord Kendall?

Non era esattamente il genere di spiegazione che si è felici di dover dare davanti a una folla. Annabelle esitò e lanciò un'occhiata a Simon, che la scrutava con un sorri-setto ironico, apparentemente affascinato all'idea di sentire in quale spiegazione sarebbe riuscita a prodursi.

Calò un silenzio durante il quale lord Westcliff fece evidentemente due più due, spostando lo sguardo da Annabelle a Lillian con palese disgusto.

— Così è per questo che avete insistito tanto per fare una passeggiata. Voi due avevate ordito una trappola per compromettere Kendall!

— Facevo parte della congiura anch'io — dichiarò Daisy, decisa a prendersi la sua parte di colpa.

Westcliff sembrò ignorare il suo commento, continuando a fissare intensamente il viso di Lillian, che non tradiva il minimo pentimento.

— Santo cielo! Esiste bassezza a cui non arrivereste? — Se esiste — ribatté lei con aria impertinente — non l'ho ancora

scoperta.

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Se le circostanze non fossero state tanto umilianti per lei, Annabelle sarebbe scoppiata a ridere nel vedere l'espressione del conte.

Accigliata, Lillian tornò a rivolgersi ad Annabelle. — Potrebbe non essere troppo tardi per salvare la situazione — disse. — Faremo promettere a tutti di mantenere il segreto sul fatto di aver visto te e il signor Hunt insieme. Senza testimoni, il fatto non è accaduto.

Lord Westcliff considerò le sue parole con aria meditabonda. — Per quanto mi ripugni l'idea di concordare con la signorina Bowman

— disse in tono grave — sono costretto a farlo. La cosa migliore per tutte le persone coinvolte è ignorare l'incidente. La signorina Peyton e il signor Hunt non sono stati visti e, di conseguenza, nessuno è stato compromesso... il che significa che questa spiacevole situazione non avrà conseguenze.

— Oh, sì che Annabelle è stata compromessa — dichiarò Hunt con ostinata determinazione. — Da me. E non intendo evitare le conseguenze, Marcus. Io...

— Invece lo farai — gli intimò il conte in tono autoritario. — Che io sia dannato se ti permetterò di rovinarti la vita a causa di quella creatura, Hunt.

— Rovinarsi la vita? — ripeté Lillian indignata. — Al signor Hunt non potrebbe capitare di meglio che sposare una ragazza come Annabelle! Come osate insinuare che lei non sia alla sua altezza, quand’è assolutamente evidente che è lui quello che...

— No — la interruppe Annabelle. — Ti -prego Lillian... — Se volete scusarci — mormorò il signor Shaw con impeccabile

cortesia, non riuscendo a mascherare del tutto il sorriso divertito che gli affiorava alle labbra. Offrì a lady Olivia il braccio e fece un piccolo inchino, senza rivolgersi a nessuno in particolare. — Credo che la mia fidanzata e io ci asterremo dal partecipare al dibattito, sentendoci in qualche modo de trop. Ritengo senza dubbio di poter parlare a nome di entrambi, assicurandovi che intendiamo essere sordi, muti e ciechi come il celebre trio di scimmiette. — I suoi occhi azzurri ammiccarono divertiti. — Lasceremo a voi decidere con esattezza che cosa sia accaduto, visto e udito questa sera... Vieni, cara. — Incoraggiando lady Olivia a seguirlo, si incamminò insieme a lei verso la casa.

Il conte si rivolse alla signora Bowman, una donna alta dal viso volpino, che si era stampata in faccia un'espressione di inorridita indignazione, ma non aveva pronunciato parola, intenta com'era a non perdersi nulla di

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quanto stava accadendo. Come spiegò Daisy più tardi, la madre non si faceva mai venire le convulsioni alla metà di un atto, preferendo risparmiarle per l'intervallo.

— Signora Bowman, posso contare su di voi e chiedervi di mantenere il segreto sulla vicenda?

Se il conte, o qualunque altro uomo a portata di mano dotato di un titolo, avesse chiesto all'ambiziosa signora americana di mettersi a fare le capriole per il proprio divertimento, la donna si sarebbe probabilmente prodotta anche in un impeccabile salto mortale.

— Naturalmente, signore! Non diffonderci mai e poi mai un pettegolezzo così sconveniente. Le mie figlie sono due fanciulle innocenti. Mi addolora scoprire a che cosa le ha condotte la frequentazione di questa... questa ragazza priva di scrupoli. Sono certa che un gentiluomo dotato della vostra capacità di discernimento non possa non rendersi conto che i miei due angeli non hanno alcuna colpa di questa incresciosa situazione, e che sono state condotte fuori strada dalla giovane donna infida e calcolatrice a cui hanno cercato di dimostrare un po' d'amicizia.

Lanciando un'occhiata scettica ai due "angeli", Westcliff replicò con freddezza.

— Certamente. Simon, che aveva continuato a tenere con aria possessiva un braccio

intorno alla vita di Annabelle, li scrutò a uno a uno. — Fate come preferite. La signorina Peyton sarà compromessa questa

sera, in un modo o nell'altro. — Iniziò a tirarla, perché si incamminasse con lui lungo il vialetto. — Vieni.

— Dove stiamo andando? — chiese Annabelle opponendo resistenza, nonostante lui la tirasse per un polso.

— In casa. Dal momento che loro non sono disposti a fare da testimoni, a quanto pare dovrò corromperti davanti a qualcun altro.

— Aspetta! Ho già accettato di sposarti. Perché devo essere compromessa di nuovo?

Lui ignorò le proteste congiunte di Westcliff e delle Bowman con una replica laconica.

— Garanzia. Annabelle puntò i piedi, rifiutandosi di avanzare. — Non hai bisogno di

alcuna garanzia! Credi che infrangerei la promessa che ti ho fatto? — In una parola, sì. — Simon iniziò a trascinarla lungo il vialetto. —

Allora, dove possiamo andare? Nell'atrio, direi. Una marea di persone

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potranno fare da testimoni, se ti comprometto lì. Oppure nella sala da gioco...

— Simon— protestò Annabelle, mentre veniva trascinata in avanti senza cerimonie.

Sentirle usare il suo nome di battesimo lo indusse a fermarsi di colpo e a guardarla con uno strano sorriso.

— Sì, tesoro? — Per l'amor di Dio — sbottò Westcliff. — Rimandiamo tutto questo

alla serata di teatro amatoriale, d'accordo? Se sei così maledettamente determinato ad averla, Simon, tanto vale che ci risparmi ulteriori esibizioni. Sarò lieto di testimoniare da qui a Londra che l'onore della tua fidanzata è stato macchiato, non fosse altro che per avere un po' di pace qui intorno. Solo non chiedermi di farti da testimone alle nozze, perché non sono un ipocrita.

— No, solo un somaro — commentò Lillian sottovoce. Per quanto avesse pronunciato quelle parole in tono sommesso, lui le

sentì. Si voltò di scatto e il conte ricambiò l'espressione di finta innocenza di Lillian con un cipiglio minaccioso.

— Quanto a voi... — Allora siamo tutti d'accordo — lo interruppe Simon, prevenendo

l'inizio di quella che si sarebbe certamente rivelata una lunga discussione. Lanciò ad Annabelle un'occhiata di pura e mascolina soddisfazione. — Sei stata compromessa. Adesso andiamo a cercare tua madre.

Il conte scosse la testa con un'espressione di gelida indignazione di cui solo un aristocratico i cui desideri fossero appena stati calpestati senza alcuno scrupolo poteva essere capace.

— Non ho mai visto un uomo così contento di presentarsi ai genitori della ragazza che ha appena rovinato — commentò con aria grave.

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Quando le diedero la notizia, Philippa reagì con una calma sorprendente. Erano seduti tutti e tre nel salottino privato dei Marsden e quando Simon le annunciò che erano fidanzati e le spiegò le ragioni del fidanzamento, Philippa impallidì, ma non disse nulla. Nel breve silenzio che seguì, Philippa fissò Simon con grande attenzione, poi iniziò a parlare lentamente, soppesando le parole.

— Dal momento che Annabelle non ha un padre che la protegga, signor Hunt, spetta a me chiedere alcuni garanzie da parte vostra. Ogni madre desidera che sua figlia sia trattata con rispetto e gentilezza, e dovete con venire che le circostanze...

— Capisco — disse Simon. Colpita dalla sua serici a Annabelle lo fissò intensamente, mentre lui concentravi! tutta la sua attenzione su Philippa. — Vi do la mia parola che vostra figlia non avrà motivo di lamentarsi.

Un'ombra di tristezza attraversò il viso di Philippa e Annabelle si morse un labbro, sapendo quale sarebbe stato l'argomento successivo.

— Sospetto che voi siate già a conoscenza, signor Hunt, del fatto che Annabelle non ha una dote.

— Sì — rispose Simon in tono pragmatico.

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— E non fa alcuna differenza, per voi? — chiese Philippa con un leggero accento incredulo nella voce.

— Assolutamente nessuna. Ho la fortuna di poter prescindere da considerazioni di tipo finanziario, nella scelta di una moglie. Non mi importa se Annabelle viene a me senza uno scellino a suo nome. Inoltre, intendo rendere le cose più facili per la vostra famiglia: rilevare i debiti, pagare conti e creditori, rette scolastiche e tutto quello che serve a garantire che voi possiate godere di una situazione confortevole.

Annabelle vide le mani di Philippa, intrecciate in grembo, stringersi con tale forza che le dita divennero bianche, mentre nella sua voce si insinuava un tremito che poteva dipendere da eccitazione, sollievo, imbarazzo o da una combinazione delle tre cose.

— Vi ringrazio, signor Hunt. Voi capite di certo che se il signor Peyton fosse ancora con noi, le cose sarebbero molto diverse...

— Naturalmente. Seguì un breve silenzio, poi la donna proseguì. — Naturalmente, non

avendo una dote, Annabelle non ha alcuna fonte di reddito per le spese personali...

— Le aprirò un conto alla Barings. Inizieremo con... cinquemila sterline; basteranno? E rimpinguerò il conto di tanto in tanto, a seconda delle necessità. Naturalmente provvederò affinché abbia una carrozza e dei cavalli, vestiti, gioielli... e potrà aprire conti a suo nome in lutti i negozi di Londra.

Annabelle non notò la reazione di Philippa a quelle informazioni, perché la testa le girava come una trottola. Il pensiero di avere cinquemila sterline a sua disposizione, una vera fortuna, le pareva troppo bello per essere vero. Dopo anni di ristrettezze, avrebbe potuto andare dalle sarte migliori, comprare un cavallo a Jeremy e di arredare la casa di famiglia con mobili e accessori di lusso. Tuttavia, quella cruda discussione a proposito di denaro, subito dopo avere ricevuto una proposta di matrimonio, le dava la spiacevole sensazione di essersi venduta per interesse. Lanciando una timida occhiata a Simon, notò che nei suoi occhi aleggiava un lieve sorriso di scherno, che le era ormai familiare. "Mi capisce fin troppo bene" pensò.

Mentre la conversazione si spostava su avvocati, contratti e stipule, Annabelle rimase in silenzio, scoprendo che sua madre aveva la tenacia di un pitbull, quando si trattava di stabilire accordi matrimoniali. La discussione non fu di certo il massimo del romanticismo. Inoltre, ad

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Annabelle non sfuggì che Philippa non aveva chiesto a Simon se amava la ragazza che desiderava sposare e lui non aveva dichiarato nulla a riguardo.

Quando Simon se ne andò, Annabelle seguì sua madre nella loro stanza, dove avrebbero continuato a parlare. Preoccupata dalla sua calma innaturale, chiuse la porta e si chiese che cosa dirle, domandandosi se avesse delle riserve rispetto all'idea di avere per genero un uomo come Simon Hunt.

Non appena furono sole, Philippa si recò alla finestra, contemplò un attimo il cielo all'imbrunire, poi si coprì gli occhi con una mano. Allarmata, Annabelle sentì il suono di un singhiozzo soffocato.

— Mamma... — mormorò piena di esitazione, fissando la schiena rigida della madre. — Mi dispiace, io...

— Grazie a Dio — mormorò Philippa con voce tremante, senza dar mostra di averla udita. — Grazie a Dio.

Nonostante lord Westcliff avesse dichiarato che non avrebbe fatto da testimone a Simon nel giorno delle nozze, due settimane dopo giunse a Londra per partecipare alla cerimonia. Scuro in volto ma compitissimo, si offrì perfino di accompagnare Annabelle all'altare, facendo le veci del padre che la ragazza non aveva più.

Annabelle era fortemente tentata di rifiutare, ma l'offerta aveva reso Philippa talmente felice che si sentì costretta ad accettarla. E provò anche una certa soddisfazione nell'obbligare il conte a svolgere un ruolo significativo in una vicenda che con ogni evidenza disapprovava. Solo la lealtà nei confronti di Simon l'aveva condotto a Londra, rivelando l'esistenza tra i due uomini di un legame di amicizia molto più forte di quanto Annabelle credesse.

Anche Lillian, Daisy e la loro madre parteciparono alla cerimonia privata in chiesa, e la loro presenza venne resa possibile solo da quella di Westcliff. La signora Bowman non avrebbe mai permesso alle figlie di partecipare al matrimonio di una ragazza che non stava sposando un aristocratico e che rappresentava per loro un pessimo esempio. Tuttavia, qualunque opportunità di trovarsi a contatto con lo scapolo più ambito d'Inghilterra andava afferrata al volo. Il fatto che Westcliff fosse del tutto indifferente alla sua figlia minore e disprezzasse fieramente la maggiore era solo un piccolo impedimento che la signora Bowman era cer-ta di poter superare.

A Evie, purtroppo, era stato negato dalla zia Florence e dagli altri membri della famiglia della madre il permesso di partecipare. Aveva però

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mandato ad Annabelle una lunga lettera affettuosa e un servizio da tè di porcellana decorato con motivi floreali rosa e oro come regalo di nozze. Il resto della piccola comitiva era composto dai genitori e dai fratelli di Simon, che erano più o meno come Annabelle si aspettava che fossero.

La madre di Simon era una donna robusta dai lineamenti marcati, di buon carattere, che sembrava incline a pensare bene della nuora fino a che non fosse successo qualcosa che la convincesse a cambiare idea. Suo padre era un uomo alto e spigoloso, che non sorrise nemmeno una volta durante la celebrazione, anche se le pro-fonde righe di espressione che aveva intorno agli occhi rivelavano che era un uomo gioviale. Nessuno dei due genitori era particolarmente bello, ma avevano generalo cinque figli dall'aspetto notevole, tutti alti e con i capelli neri.

Se solo Jeremy fosse stato presente... Ma era ancora a scuola, e Annabelle e Philippa avevano ritenuto che fosse meglio per lui finire il trimestre e venire poi a Londra, una volta che gli sposi fossero tornati dalla luna di miele. Annabelle non era molto sicura di come avrebbe reagito Jeremy all'idea che Simon Hunt diventasse suo cognato. Anche se sembrava che a Jeremy Simon piacesse, il ragazzo era abituato da molto tempo a essere l'unico maschio della famiglia. Era probabile che avrebbe mal tollerato qualunque restrizione che Simon gli avesse imposto. La stessa Annabelle non era particolarmente entusiasta all'idea di dover sottostare al volere di un uomo che non conosceva poi così bene.

Quella realtà le era apparsa in tutta la sua evidenza la prima notte di nozze, mentre aspettava il suo sposo in una camera del Rutledge Hotel. Annabelle aveva supposto che lui abitasse in un palazzo privato, come molti scapoli, ed era rimasta sorpresa quando aveva scoperto che alloggiava invece nella suite di un albergo.

— Perché no? — le aveva chiesto Simon alcuni giorni prima, divertito dalla sua perplessità.

— Be', vivere in un albergo consente poca intimità... — Mi permetto di dissentire. Posso andare e venire a mio piacere senza

che uno stuolo di servitori spettegoli su ogni mio gesto. In base alla mia esperienza, vivere in un albergo ben gestito è di gran lunga preferibile a risiedere in una casa di città piena di spifferi.

— D'accordo, ma un uomo nella tua posizione deve avere un numero sufficiente di servitori pei- dimostrare agli altri il suo successo...

— Perdonami, ma ho sempre ritenuto che avesse sen so assumere dei senatori soltanto nel caso in cui fossero effettivamente necessari per

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svolgere del lavoro. Quale sia il vantaggio di esibire degli impiegati come eleganti accessori mi è sempre sfuggito... fino a ora.

— Ma non sono mica schiavi, Simon! — Considerando quanto sono pagati in media, la tua affermazione è

discutibile. — Avremo bisogno di assumere parecchie persone di servizio, se mai

vorremo vivere in una casa vera — aveva commentato Annabelle, piccata. — A meno che tu non intenda farmi mettere a quattro zampe a strofinare i pavimenti e pulire le grate dei caminetti.

Quel suggerimento aveva acceso negli occhi neri di lui una scintilla di malizioso divertimento che Annabelle non aveva compreso.

— Ho in mente di farti mettere a quattro zampe, tesoro, ma posso garantirti che non sarà per strofinare pavimenti. — Ciò detto, era scoppiato in una risata silenziosa alla vista della sua espressione perplessa. Attirandola a sé, le aveva dato un rapido bacio sulle labbra. Annabelle aveva cercato di divincolarsi.

— Simon, lasciami andare. Mia madre non approverà, se ci vedrà così... — Davvero? Potrei fare quello che voglio con te, adesso, e lei non

solleverebbe la minima obiezione. Accigliandosi, Annabelle aveva sollevato le braccia, frapponendole tra

di loro. — Tu, razza di arrogante... Dico sul serio, Simon! Voglio risolvere

questa questione: dobbiamo vivere per sempre in un albergo o comprerai una casa per noi?

Rubandole un altro bacio, lui aveva riso. — Ti comprerò qualsiasi casa desideri, tesoro. Meglio ancora, te ne

costruirò una nuova, dal momento che mi sono abituato alle comodità di una buona illuminazione e delle moderne attrezzature idrauliche.

Annabelle smise di agitarsi. — Davvero? Dove? — Immagino che potremmo acquistare un bell'appezzamento di terra

nelle vicinanze di Bloomsbury, o di Knightsbridge... — Che ne dici di Mayfair? Simon aveva sorriso, come se si fosse aspettato quella proposta. — Non dirmi che vuoi vivere in una piazza sovraffollata come

Grosyenor o St James, e vedere dalla finestra qualche pomposo aristocratico che passeggia nel suo giardinetto con la recinzione in ferro battuto...

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— Oh, sì, quello sarebbe perfetto — aveva cinguettato Annabelle, facendolo ridere.

— D'accordo, compreremo qualcosa a Mayfair, e che Dio mi assista. E potrai assumere tutti i servitori che desideri. Nota bene: non ho detto che servono, dato che a quanto pare quello è un elemento assolutamente irrilevante, per te. Nel frattempo, pensi di poter tollerare alcuni mesi al Rutledge?

Ripensando a quella conversazione, Annabelle ispezionò l'ampia serie di stanze, tutte lussuosamente arredate con velluto, pelle e mogano lucido. Doveva ammetterlo, il Rutledge spalancava prospettive nuove su come potesse essere un albergo. Si diceva che il suo misterioso proprietario, il signor Harry Rutledge, aspirasse a creare l'albergo più elegante e moderno d'Europa, combinando lo stile continentale con le innovazioni americane.

Il Rutledge era un edificio sontuoso collocato nel quartiere dei teatri, che occupava cinque isolati tra il Capitol Theater e la riva del Tamigi. Caratteristiche quali i materiali ignifughi utilizzati nella sua costruzione, i montacarichi per le vivande e un bagno privato per ogni suite, senza contare il rinomatissimo ristorante, avevano fatto del Rutledge il ritrovo preferito di facoltosi americani ed europei. Con grande gioia di Annabelle, le Bowman occupavano cinque delle cento suite di lusso dell'hotel, così lei, Lillian e Daisy avrebbero avuto frequenti occasioni per incontrarsi, dopo il suo ritorno dal viaggio di nozze.

Non avendo mai fatto un viaggio all'estero in tutta la sua vita, Annabelle era stata molto eccitata di scoprire che Simon aveva intenzione di portarla a Parigi per quindici giorni. Munita di un elenco di sarti, modiste e profumieri stilato dalle Bowman, che una volta erano state a Parigi con la madre, non vedeva l'ora di posare per la prima volta gli occhi sulla famosa "città delle luci". Tuttavia, prima della partenza, prevista per il mattino seguente, c'era ancora lo scoglio della prima notte di nozze da superare.

Indossando una camicia da notte impreziosita da abbondanti inserti di pizzo sul corpino e sulle maniche, si aggirava nervosamente per la suite. Alla fine si sistemò su una sedia accanto al letto e prese una spazzola dal comodino. Iniziò a spazzolarsi metodicamente i capelli, domandandosi se tutte le spose fossero così agitate e incerte, incapaci di stabilire se le ore seguenti sarebbero state da temere o da pregustare. In quel momento la chiave girò nella serratura e la sagoma scura e asciutta di Simon comparve sulla soglia.

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Annabelle sentì un brivido di eccitazione correrle giù per la schiena e si sforzò di continuare a spazzolarsi i capelli con gesti calmi, anche se stringeva il manico con tanta forza che le dita le tremavano. Lo sguardo di Simon vagò lungo gli inserti di mussola e pizzo che le coprivano il corpo. Ancora vestito con l'elegante completo che indossava alla cerimonia, si avvicinò lentamente e si fermò davanti alla sedia su cui era seduta. Con grande sorpresa di Annabelle, si inginocchiò perché i loro visi fossero allo stesso livello. Sollevò una mano verso la cascata scintillante dei suoi capelli e vi infilò le dita, osservando affascinato le morbide ciocche castane che gli scivolavano intorno alle nocche.

Nonostante Simon fosse ancora vestito di tutto punto, c'erano alcuni segni di rilassamento che attirarono l'attenzione di Annabelle: le corte ciocche di capelli che gli ricadevano sulla fronte, il nodo allentato della cravatta di seta grigia. Lasciando cadere a terra la spazzola, usò le dita pei' lisciargli i capelli in una timida carezza. Erano folti e lucidi e scorrevano morbidamente sotto le sue dita. Simon rimase immobile mentre lei gli slacciava la cravatta, la cui pesante stoffa di seta tratteneva ancora il calore della sua pelle. I suoi occhi avevano un'espressione che le fece venire una specie di solletico alla bocca dello stomaco.

— Ogni volta che ti guardo —mormorò — penso che non potresti essere più bella di così, e ogni volta mi dimostri che ho torto.

Lasciando pendere le due estremità della cravatta ai lati del collo, Annabelle sorrise del complimento. Sussultò appena quando sentì le sue mani stringerle la vita, mentre le rivolgeva un'occhiata interrogativa.

— Sei nervosa? Annabelle annuì, abbandonando le dita nelle mani di lui, che continuò a

tenerle e ad accarezzarle gentilmente. Poi le parlò lentamente, sforzandosi di scegliere le parole con particolare attenzione.

— Tesoro, deduco che le tue esperienze con lord Hodgeham non siano state piacevoli. Ma spero che mi crederai se ti dico che non deve sempre essere così. Quali che siano i tuoi timori...

— Simon — lo interruppe Annabelle con un tremito nella voce, fermandosi poi per schiarirsi la gola. — Sei molto gentile. E il fatto che tu sia disposto a essere così comprensivo riguardo... be', lo apprezzo molto. Ma temo di non essere stata del tutto sincera circa la mia relazione con Hodgeham. — Registrando l'assoluta immobilità di Simon non appena ebbe udito quelle parole e il modo in cui la sua espressione si era svuotata di ogni emozione, prese un respiro profondo per farsi coraggio. — La

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verità è che Hodgeham è venuto effettivamente a casa nostra alcune sere e ha occasionalmente pagato alcuni dei nostri conti in cambio di... di... — S'interruppe, sentendo che la gola le si contraeva fino a renderle difficile fare uscire le parole. — In realtà non era me che veniva a trovare.

Gli occhi scuri di Simon si spalancarono. — Che cosa? — Non sono mai andata a letto con lui. La relazione l'aveva con mia

madre. Lui rimase a fissarla attonito. — Santo cielo! — esclamò con un filo di

voce. — È iniziato tutto un anno fa — riprese Annabelle, leggermente sulla

difensiva. — La nostra situazione economica era disperata. Avevamo infiniti conti che non sapevamo come pagare. Il reddito che ci veniva dall'appannaggio vedovile di mia madre era molto diminuito perché era stato male investito. Lord Hodgeham stava alle costole di mia madre da parecchio tempo. Non so esattamente quando siano iniziate le sue visite serali... trovavo il suo cappello e il suo bastone nell'ingresso a orari strani e i debiti diminuivano un po'. Mi sono resa conto di che cosa stava succedendo, ma non ho mai detto nulla. Invece avrei dovuto. — Sospirò, massaggiandosi le tempie. — Alla festa, lord Hodgeham ha messo in chiaro che si era stancato di mia madre e voleva che

io prendessi il suo posto. Minacciava di raccontare tutta la storia... con abbellimenti, ha detto... e noi saremmo state rovinate. Io l'ho respinto, ma in qualche modo mia madre è riuscita a tenerlo buono.

— Perché mi hai lasciato credere che eri tu ad andare a letto con lui? Annabelle si strinse nelle spalle, imbarazzata. — Tu avevi immaginato

che fosse così, e non vedevo motivo di farti cambiare idea, perché non avrei mai immaginato che le cose andassero a finire in questo modo. Poi tu mi hai chiesto ugualmente di sposarti, cosa che mi ha indotto a pensare che per te non fosse particolarmente importante se ero vergine o no.

— Non lo era — mormorò Simon con una sfumatura strana nella voce. — Ti volevo in ogni caso. Ma ora che io... — Si interruppe e scosse la testa sconcertato. — Annabelle, tanto per mettere le cose in chiaro, mi stai dicendo che non sei mai stata a letto con un uomo, fino a ora?

Lei cercò di sfilare le mani dalla sua stretta, che si era fatta troppo intensa.

— Be'... sì. — Sì l'hai fatto o no non l'hai fatto?

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— Non sono mai stata a letto con nessuno — specificò Annabelle, rivolgendogli un'occhiata incerta. — Sei arrabbiato perché non te l'ho detto prima? Mi dispiace, ma non è il genere di cose che ti viene da buttare lì mentre si prende il tè, o quando ci si incontra nell'atrio... "Ecco

il tuo cappello... e, a proposito, sono vergine..." — Non sono arrabbiato. — Simon la scrutò con aria pensierosa. — Mi

sto solo chiedendo che cosa diamine fare con te, adesso. — La stessa cosa che avresti fatto prima che te lo dicessi? — chiese

Annabelle speranzosa. Simon si sollevò, la fece alzare in piedi e l'abbracciò con delicatezza,

come se avesse paura che potesse rompersi, se l'avesse stretta troppo. Accostò il viso alla luminosa cascata dei suoi capelli e inspirò profondamente.

— Troverò il modo di arrivarci — le disse con aria divertita. — Ma prima credo di doverti chiedere alcune cose.

Annabelle infilò le braccia dentro la sua giacca e le strinse intorno al torso snello e muscoloso. Il calore del suo corpo si era trasmesso alla stoffa sottile della camicia, e rabbrividì di piacere immergendosi nel tepore virile del suo abbraccio.

— Dimmi — lo incoraggiò. Fino a quel momento non aveva mai visto Simon anche solo

lontanamente a corto di parole, ma in quell'occasione lo sentì esprimersi con una insolita esitazione, come se si trovasse ad affrontare per la prima volta quel genere di conversazione. — Sai che cosa aspettarti? Hai tutte le... informazioni necessarie?

— Credo di sì — rispose Annabelle, e sorrise scoprendo che il cuore di Simon batteva molto rapidamente contro la sua guancia. — Mia madre e io abbiamo avuto una conversazione poco fa, dopo la quale sono stata seriamente tentata di chiedere l'annullamento.

Simon scoppiò in una risata smorzata. — In questo caso, farò meglio a far valere i miei diritti coniugali senza indugio. — Prendendo le dita di Annabelle nella sua mano calda e forte, se le portò alle labbra. Il suo respiro era bollente. — Che cosa ti ha detto? — mormorò tenendo le dita premute contro la propria bocca.

— Dopo avermi spiegato i fatti essenziali, ha detto che dovevo lasciarti fare quello che volevi e non lamentarmi se qualcosa non mi piaceva. Ha anche suggerito che se la cosa diventava troppo sgradevole dovevo cercare

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di concentrarmi col pensiero sull'enorme conto banca rio che hai aperto per me.

Annabelle si pentì di quelle parole nell'istante in cui ebbe finito di pronunciarle, timorosa che Simon potesse offendersi di tanta brutale sincerità. Ma lui aveva cominciato a ridere di gusto.

— Dovrò dunque corteggiarti sussurrando di trasferimenti bancari e tassi di interesse?

Girando la mano che Simon teneva nella propria, Annabelle gli sfiorò con le dita le labbra, indugiando sulle loro estremità vellutate, per poi accarezzargli la superficie virile e pungente del mento.

— Non sarà necessario. Puoi semplicemente dire le solite cose. — No, le solite cose non vanno bene per te. — Simon le sistemò una

ciocca di capelli dietro l'orecchio, poi con la bocca la incoraggiò a schiudere le labbra, mentre le sue mani cercavano la sagoma del corpo attraverso l'ampia profusione di pizzi. Senza il corsetto a comprimerle le costole, Annabelle avvertiva il suo tocco attraverso la stoffa sottile della camicia da notte. La carezza le fece provare un fremito di piacere, mentre le punte dei capezzoli diventavano straordinariamente sensibili. Simon si impossessò della massa soffice di un seno, sollevandola gentilmente dopo averla circondata con le dita. Annabelle trattenne il respiro per un attimo, quando lui le massaggiò con il pollice il capezzolo fino a renderlo piacevolmente sensibile.

— Di solito è doloroso per una donna, la prima volta — le mormorò all'orecchio.

— Sì, lo so. — Non voglio farti male. L'affermazione la sorprese e la commosse. — Mia madre dice che non

dura molto. — Il dolore? — No, tutto il resto — rispose Annabelle, facendolo ridere di nuovo, pur

senza capire bene perché. — Annabelle... Ti ho desiderata fin dal primo momento in cui ti ho vista

davanti a quel teatro, mentre frugavi nel borsellino in cerca di una moneta. Non riuscivo a toglierti gli occhi di dosso. Mi pareva impossibile che fossi reale.

— Mi hai fissato per tutto lo spettacolo — disse Annabelle, sussultando leggermente quando lui le mordicchiò il lobo dell'orecchio. — Dubito che

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tu abbia imparato alcunché sulla caduta dell'Impero romano.

— Ho imparato che tu hai le labbi a più morbide che

io abbia mai baciato.

— Hai un modo piuttosto inconsueto di presentarti.

— Non sono riuscito a trattenermi. Stare lì accanto a te, al buio, è stata la tentazione più forte che io abbia mai provato. Riuscivo a pensare solo a quanto eri adorabile e a quanto ti desideravo. Così, appena le luci si sono spente del tutto, non sono riuscito a trattenermi. — Nella sua voce si insinuò una nota di orgoglio maschile. — E tu non mi hai respinto.

— Ero assolutamente interdetta!

— È per questo che non ti sei opposta?

— No — disse Annabelle. — Mi è piaciuto il tuo bacio. Sai che è così.

Simon sorrise. — Avevo sperato che la cosa non fosse unilaterale. — La guardò negli occhi, avvicinando il viso. — Vieni a letto con me — sussurrò.

Annabelle annuì con un sospiro incerto e si lasciò condurre verso il grande letto matrimoniale coperto da una trapunta di pesante seta rossa. Dopo aver tirato indietro le coperte, Simon la depose sulle lenzuola candide, e lei si scostò per fargli posto. Poi la guardò, mentre finiva di spogliarsi. Il contrasto tra gli abiti di buon taglio, estremamente raffinati, e la schietta possanza virile del corpo che coprivano era sconcertante. Come si aspettava, aveva un torso molto muscoloso, con fasce di muscoli in rilievo sulla schiena e sulle spalle e un addome ben disegnato. La sua carnagione abbronzata sembrava, dorata alla luce della lampada, e la superficie delle spalle era lucidi e liscia come quella di una statua bronzea. Nemmeno la peluria scura che aveva sul petto, riusciva a dissimulare la struttura possente. Forse non si adattava molto all'ideale di moda dell'aristocratico pallido e sottile, ma nell'insieme Annabelle lo trovava splendido.

Quando Simon la raggiunse nel letto, si sentì invade re da ondate di

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apprensione mentre lui la prendeva tra le braccia.

— Mia madre non mi ha detto se... se stanotte c'è qualcosa che io debba fare per te-

Simon iniziò ad accarezzarle i capelli, massaggiandole la testa in un modo che la fece fremere tutta.

— Non devi fare nulla questa notte. Lascia solo che ti tocchi, che scopra alcune delle cose che ti danno piacere...

Allungò la mano verso la fila di bottoni di madreperla della sua camicia da notte. Annabelle chiuse gli occhi, quando sentì che la massa di pizzi le scivolava giù dalle spalle.

— Ricordi quella sera nella sala da musica? — mormorò, mentre Simon le liberava il seno dalla camicia da notte. — Quando mi hai baciato?

— Ogni torrido secondo — rispose lui in un sussurro. — Perché me lo chiedi? — Non riuscivo a smettere di pensarci — confessò Annabelle. Si sollevò

per aiutarlo a sfilarle del tutto l'indumento, arrossendo. — Neanch'io — ammise Simon. Le accarezzò un seno, soppesandone la

pienezza fino a che il capezzolo non divenne roseo ed eretto contro il palmo della sua mano.

— Sembra che siamo una combinazione infiammabile, anche più di quanto avessi immaginato.

— Non è sempre così, quindi? — chiese Annabelle, esplorando incerta i muscoli sodi dei suoi fianchi. Quella carezza, per quanto semplice, gli fece accelerare il ritmo del respiro, mentre si chinava su di lei.

— No — mormorò, posando una gamba lungo la linea di congiunzione delle cosce fermamente serrate di Annabelle. — Molto di rado.

— Perché... — iniziò a chiedere lei, ma si interruppe con un gemito quando Simon le percorse con la punta del pollice il contorno del seno. Poi le sue labbra calde si chiusero su un capezzolo eretto. Annabelle lanciò un piccolo grido soffocato, finché non fu più in grado di rimanere immobile sotto di lui. Aprì involontariamente le gambe e subito lui vi insinuò una delle sue cosce ricoperte di fitta peluria. Mentre lui percorreva lentamente con le mani e la bocca il suo corpo, Annabelle gli lasciò fare come desiderava, rabbrividendo di piacere nel sentire il contrasto di sensazioni generato della pelle ruvida del suo viso, non più perfettamente rasato come al mattino, e dal calore umido della sua bocca. Ma quando Simon

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raggiunse l'ombelico, infilando la punta della lingua nella piccola cavità, Annabelle rotolò su un fianco, allontanandosi da lui.

— No, Simon, io... Ti prego... Subito Simon si sollevò, attirandola tra le sue braccia e sorridendo nel

vedere il suo viso scarlatto. — Troppo? — chiese con voce roca. — Mi dispiace, per un attimo ho

dimenticato che tutto questo è nuovo, per te. Vieni, lascia che ti tenga. Non hai paura, vero?

Prima che Annabelle potesse rispondere, Simon posò le labbra sulle sue, mordicchiandole. I peli del petto le solleticavano il seno come velluto ruvido, e i suoi capezzoli vi si strofinavano contro a ogni respiro che faceva. Le sfuggirono piccoli gemiti gutturali, che tradivano il piacere che iniziava a pervaderla man mano che si lasciava andare. Inspirò profondamente quando un ginocchio di Simon si infilò più a fondo tra le sue gambe. Facendole allargare le cosce, fece scivolare le dita tra i soffici ricci del pube, esplorando le pieghe turgide del sesso. Allargandole con delicatezza, trovò il piccolo rigonfiamento setoso che sussultò al contatto con le sue dita, e prese ad accarezzarla proprio sopra quel punto con tocco leggero e rapido.

Annabelle mugolò, mentre il suo sesso si inumidiva e si surriscaldava. Sulla sua pelle candida apparvero chiazze di rossore, generato dall'eccitazione erotica. Simon cercò l'ingresso del suo corpo, infilando con delicatezza un dito nella fessura umida e lubrificata. Il cuore di Annabelle batteva all'impazzata, poi tutto il suo corpo si contrasse sentendo montarle dentro il piacere. Scostandosi da lui con un'esclamazione soffocata, rimase a fissarlo con gli occhi spalancati.

Simon era appoggiato su un gomito, con i capelli spettinati e lo sguardo acceso dalla passione e da un sottile divertimento. Sembrava sapere che cosa iniziava a succedere dentro di lei e fosse affascinato dalla sua innocente costernazione.

— Non scappare via — mormorò con un sorriso. — Non perderti la parte migliore. — Lentamente, l'attirò nuovamente sotto di sé, percorrendole il corpo con lunghe carezze. — Tesoro, non ti farò male — le sussurrò contro la guancia. — Lascia che ti dia piacere, lascia che entri dentro di te...

Quando la sua testa scura raggiunse il punto nascosto tra le sue cosce, Annabelle gemeva. La prese con la bocca, scostando i morbidi peli arricciati e le tenere pieghe rosate, accarezzandola con movimenti circolari

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della lingua. Annabelle cercò di ritrarsi, ma Simon le tenne fermi i fianchi con le mani, percorrendo con la lingua ogni lembo e fessura del suo sesso.

La vista della sua testa bruna tra le proprie cosce eccitò Annabelle profondamente. La visione della stanza le divenne sfuocata ed ebbe la sensazione di fluttuare attraverso strati di luci e ombre, conscia solo del piacere squisito che montava dentro di lei. Non poteva nascondersi a lui in alcun modo, non poteva far altro che arrendersi alla sua bocca esigente che le procurava un piacere sconcertante. Simon si concentrò sul punto più sensibile del suo sesso e lo leccò sistematicamente con tocchi lievi fino a che Annabelle non riuscì più a sopportarlo e sentì il proprio bacino sollevarsi spontaneamente, mentre iniziava a tremare convulsamente e un calore intenso le si sprigionava lungo tutte le membra scosse da un piacere intensissimo.

Le sue cosce erano intorpidite, quando Simon gliele fece spalancare, sfiorandola con la punta del sesso eretto.

Annabelle fece un sorriso incerto, mentre il suo sguardo incontrava quello di lui.

— Ho dimenticato tutto del mio conto in banca — disse, facendolo ridere.

Simon le accarezzò con il pollice la fronte accaldata, lungo la radice dei capelli. La pressione che Annabelle avvertiva tra le gambe aumentò, provocandole un primo accenno di dolore.

— Temo che adesso sarà meno piacevole, almeno per te. — Non m'importa. Io... sono solo felice che sia tu. Era un'affermazione strana per una sposa alla sua prima notte di nozze, ma Simon sorrise. Chinò il capo e iniziò a parlarle

all'orecchio, mentre spingeva per superare la barriera della sua verginità. Annabelle cercò di stare ferma, nonostante la tentazione istintiva di sottrarsi a quell'intrusione.

— Tesoro... — Simon iniziò a respirare a un ritmo più rapido e, fermandosi dentro di lei, sembrò doversi sforzare per mantenere il proprio autocontrollo. — Sì, così... ancora un pochino... — Avanzò con cautela, poi si trattenne di nuovo. — Un altro po'... — Cercò di avanzare pian piano, inducendo il corpo di lei ad accoglierlo gradualmente. — Ancora...

— Ancora quanto? — chiese Annabelle in un sussulto. Le sembrava troppo duro, la pressione era troppo intensa e si chiese ansiosamente come tutto ciò potesse mai essere altro che sgradevole.

Simon strinse i denti per lo sforzo di rimanere immobile.

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— Sono circa a metà — riuscì finalmente a dire, in tono di scusa. — Metà? — iniziò a protestare Annabelle con voce tremante, per poi

fare una smorfia quando Simon spinse ancora. — Oh, è impossibile. Non posso, non posso...

Ma lui continuò a spingersi sempre più in profondità. Pian piano il male diminuì, trasformandosi in un lieve e prolungato bruciore. Ad Annabelle sfuggì un profondo sospiro quando sentì il proprio corpo cedere e arrendersi all'inevitabile presa di possesso. La schiena di Simon era un'unica massa contratta di muscoli e il suo addome sembrava di legno scolpito. Immerso in profondità dentro di lei, mugolò, mentre un brivido gli percorreva la spina dorsale.

— Sei così stretta — disse con voce roca. — M-m-mi dispiace... — No, no — riuscì a dire lui. — Non deve dispiacerti. Mio Dio... — La

sua voce si incrinò, ubriaca di piacere. Si fissarono a vicenda, lei appagata, lui acceso di desiderio. Annabelle fu

invasa da una grande meraviglia nel rendersi conto di quanto Simon avesse capovolto le sue aspettative. Era stata certa che avrebbe usato quell'occasione per imporsi su di lei, e invece le si era accostato con una pazienza infinita.

Piena di gratitudine, gli strinse le braccia intorno al collo. Lo baciò, e gli percorse la schiena con le mani, giù fino alla curva soda dei glutei, incoraggiandolo timidamente, spingendolo a penetrarla più a fondo. La carezza sembrò annientare quel poco di autocontrollo che gli era rimasto. Con un gemito roco, Simon iniziò a spingere ritmicamente dentro di lei, tremando per lo sforzo di non farle male.

La violenza dell'orgasmo gli provocò un brivido intenso, e strinse i denti mentre le sue sensazioni esplodevano in una cascata di piacere sconvolgente. Affondando il viso tra le lunghe ciocche dei capelli di Annabelle, rimase immerso nel calore umido e accogliente del suo corpo. Passò parecchio tempo, prima che la tensione che gli irrigidiva i muscoli si allentasse e riprendesse a respirare a un ritmo regolare. Quando uscì con delicatezza dal suo corpo, Annabelle fece una piccola smorfia di dolore. Avvertendo il suo disagio, Simon le accarezzò un fianco con gentilezza, per confortarla.

— Potrei non lasciare più questo letto — mormorò, stringendola tra le braccia.

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— Oh, sì che lo lascerai — disse Annabelle con la voce impastata di stanchezza. — Domani devi portarmi a Parigi. Non intendo essere privata della luna di miele che mi hai promesso.

Sfiorandole i ricci scomposti, Simon rispose con un accenno di sorriso nella voce.

— No, mia dolce moglie, non sarai privata di nulla...

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Nelle due settimane della luna di miele, Annabelle scoprì di non essere nemmeno lontanamente la donna di mondo che credeva di essere. Con un misto di ingenuità e arroganza inglese, aveva sempre pensato che Londra fosse il centro di ogni cultura e conoscenza, ma Parigi fu una vera rivelazione. La città era sorprendentemente moderna e al suo confronto

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Londra appariva come una rozza cittadina di provincia. Tuttavia, nonostante il suo progressismo intellettuale e sociale, a Parigi le strade avevano un aspetto quasi medievale: scure, strette e contorte, si dipanavano tortuosamente attraverso isolati di palazzi dalle forme originali. Era un caotico e piacevolissimo assalto ai sensi, con elementi architettonici che spaziavano dalle guglie gotiche delle chiese alla grandiosa imponenza dell'Arco di trionfo.

Il loro albergo, il Coeur de Paris, era situato sulla riva sinistra della Senna, tra una sfavillante successione di negozi sulla me de Montparnasse e il mercato coperto di Saint-Germain, in cui era esposta una varietà straordinaria di prodotti, tessuti, merletti, oggetti d'arte e profumi esotici. Il Coeur de Paris era un palazzo, con suite progettate per il piacere dei sensi. La sala da bagno, per esempio, aveva il pavimento di marmo rosa e le pareti ricoperte da piastrelle italiane con un divanetto dorato in stile rococò su cui riposarsi dopo aver fatto il bagno. Non c'era una, bensì due vasche da bagno in porcellana, ognuna dotata di acqua calda e fredda.

Sul soffitto, in corrispondenza delle vasche, c'erano due affreschi ovali raffiguranti un paesaggio, per intrattenere chi faceva il bagno e aiutarlo a rilassarsi. Cresciuta nella convinzione inglese che il bagno fosse una necessità igienica da sbrigare nel minor tempo possibile, Annabelle rimase incantata nello scoprire che l'atto di lavarsi poteva diventare un piacere indolente.

Con grande gioia scoprì un uomo e una donna potevano sedere allo stesso tavolo in un ristorante pubblico senza dover chiedere una saletta riservata. Non aveva mai mangiato del cibo così buono: pollo con cipolline cotto nel vino rosso, polpette d'anatra rosolate al punto da risultare tenerissime sotto la crosta dorata, scorfano in salsa tartufata... E poi, ovviamente, c'erano i dolci: spesse fette di torta intrise di liquore e coperte di meringa e budini arricchiti con nocciole e gelatine di frutta. Osservando Annabelle che si torturava cercando di decidere quale dessert gustare ogni sera, Simon le garantì che c'erano generali che avevano condotto guerre ponderando le loro decisioni molto meno di quanto facesse lei davanti alla scelta tra la crostata di pere o il soufflé alla vaniglia.

Una sera la portò a uno spettacolo con ballerini scandalosamente svestiti e la sera dopo a vedere una commedia vivace, con battute salaci che non avevano bisogno di traduzione. Parteciparono anche a serate e balli organizzati da conoscenti di Simon. I più erano francesi, altri turisti o emigrati britannici, americani e italiani. Alcuni erano azionisti o membri

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del consiglio di amministrazione di società di cui Simon possedeva almeno una quota, altri avevano rapporti d'affari con le sue imprese navali e ferroviarie.

— Come fai a conoscere tanta gente? — gli aveva chiesto Annabelle stupita, quando alla prima festa a cui avevano preso parte si era accorta di quanti sconosciuti lo salutavano.

Simon era scoppiato a ridere e l'aveva presa in giro, insinuando che non si fosse mai resa conto che esisteva un mondo al di fuori dell'aristocrazia britannica. E in effetti era così. Fino a quel momento, Annabelle non aveva mai pensato a guardare oltre i confini ristretti di quella società esclusiva. Quegli uomini, come Simon, appartenevano a un elite prettamente economica, si davano da fare per accumulare ingenti fortune e molti di loro possedevano letteralmente città intere, sorte intorno a industrie in rapida espansione, miniere, piantagioni, mulini, magazzini, negozi e industrie; e raramente i loro interessi erano limitati a un solo paese.

Mentre le mogli andavano a far spese e si facevano confezionare abiti dai sarti parigini, gli uomini si ritrovavano nei bar o in sale private e intavolavano interminabili discussioni di affari e politica. Molti di loro fumavano tabacco in piccoli tubicini di carta arrotolata chiamati sigarette, una moda che era nata tra i soldati egiziani e si era diffusa rapidamente in tutto il continente. A cena, parlavano di cose che nessuno aveva mai menzionato davanti ad Annabelle prima di allora, eventi di cui non aveva mai sentito parlare e che certamente non erano riportati dai giornali.

Presto si rese conto che, quando suo marito parlava, gli altri uomini ascoltavano le sue opinioni e gli chiedevano consigli su di una grande varietà di argomenti. Forse Simon contava poco agli occhi dell'aristocrazia britannica, ma di certo esercitava una notevole influenza al di fuori di essa. Ora comprendeva perché lord Westcliff lo stimasse tanto. In realtà, Simon era a suo modo un uomo molto potente.

Notando il rispetto che gli altri uomini nutrivano per lui e lo stimolo a civettare che suscitava in altre donne, iniziò a considerarlo sotto una luce diversa. Cominciò anche a sentirsi piuttosto possessiva nei suoi confronti e si ritrovò a essere punta dalla gelosia quando una donna si sedette accanto a lui cercando di monopolizzare la sua attenzione o quando un'altra signora dichiarò con aria civettuola che Simon le doveva un valzer.

Al primo ballo a cui parteciparono, Annabelle si trovò in un'anticamera con un gruppo di giovani signore sofisticate, la moglie di un fabbricante americano di munizioni e due francesi sposate con commercianti d'arte.

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Sforzandosi di rispondere al fuoco di fila delle loro domande su Simon e riluttante ad ammettere quanto poco conoscesse il marito, si sentì molto sollevata quando l'oggetto dei loro discorsi apparve per reclamare un ballo con lei.

Vestito con un impeccabile abito da sera, Simon sa lutò educatamente le signore, tutte rossori e risolini, e si rivolse ad Annabelle. I loro sguardi si incrociarono, mentre dalla sala da ballo giungeva l'inizio di una melo dia struggente. Annabelle la riconobbe: un valzer molto popolare a Londra, così dolce e suggestivo che insieme alle sue tre amiche aveva decretato non esisteva tortura peggiore dover restare sedute su una sedia mentre veniva suonato.

Simon le porse il braccio e lei lo prese, ripensando alle mille volte in cui, in passato, aveva rifiutato sdegnosamente i suoi inviti a ballare con lui. Riflettendo sul fatto che alla fine l'aveva avuta vinta lui, sorrise.

— Riesci sempre a ottenere quello che vuoi? — gli chiese. — A volte ci vuole un po' di più di quanto vorrei — rispose Simon.

Mentre facevano il loro ingresso nella sala da ballo, le passò un braccio intorno alla vita e la guidò verso la massa fluttuante dei ballerini.

Annabelle ebbe un fremito di emozione, come se sentisse che erano sul punto di condividere qualcosa di più importante di un semplice ballo.

— È il mio valzer preferito — disse, abbandonandosi tra le sue braccia. — Lo so. Per questo ho chiesto che lo suonassero. — Come facevi a saperlo? — chiese lei incredula. — Te l'ha detto una

delle Bowman? Simon scosse la testa, mentre le sue dita guantate si chiudevano intorno

a quelle di lei. — In più di un'occasione, ho osservato il tuo viso mentre lo suonavano.

Sembrava sempre che fossi pronta a volare dalla sedia. Le labbra di Annabelle si schiusero in un sorriso sorpreso. Come aveva

fatto a notare una cosa così impercettibile? Lei era sempre stata scostante, eppure lui aveva notato la sua reazione a un particolare brano musicale e se ne era ricordato. Quel pensiero le fece venire le lacrime agli occhi, e distolse immediatamente lo sguardo, sforzandosi di dominare quell'involontaria ondata di commozione.

Simon la condusse tra le coppie che volteggiavano, mentre il suo braccio e la mano posata sulla schiena le offrivano guida e sostegno. Per Annabelle era facile seguirlo, lasciare che il proprio corpo si abbandonasse al ritmo stabilito da lui, mentre le sue gonne sfioravano il pavimento

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lucido e gli sferzavano dolcemente le gambe. Le sembrava che quell'incantevole melodia le entrasse dentro, sciogliendo il nodo che aveva in gola e riempendola di una gioia euforica.

Simon, dal canto suo, non poteva negare di provare un certo senso di trionfo, mentre la conduceva in giro per la sala. Finalmente, dopo due anni di tentativi, sta va ballando con lei il valzer che tanto aveva desiderato. Cosa ancora più soddisfacente, dopo quel valzer Anna belle sarebbe ancora stata sua: l'avrebbe riportata all'albergo, poi l'avrebbe spogliata e avrebbe fatto l'amore con lei fino all'alba.

Annabelle si abbandonava docilmente tra le sue braccia, la mano guantata posata con leggerezza sulla spalla. Poche donne erano riuscite a seguirlo nel ballo con tanta disinvolta facilità: era come se lei sapesse in che direzione l'avrebbe condotta prima ancora che lo sapesse lui. Il risultato era un'armonia fisica che consentiva loro di muoversi agilmente per la sala con la grazia di due uccelli in volo.

Non era rimasto sorpreso dalle reazioni dei suoi conoscenti nel vedere la sua novella sposa: molte congratulazioni, qualche sguardo di ammirazione e i commenti a mezza bocca di quanti avevano dichiarato che non gli invidiavano le difficoltà che avere una moglie così bella poteva comportare. Ultimamente Annabelle era diventata se possibile ancora più attraente, da quando diverse notti di sonno senza sogni avevano cancellato dal volto l'espressione tesa e preoccupata che aveva prima. A letto era affettuosa e a volte persino giocosa.

La notte precedente era montata a cavalcioni sopra di lui, coprendogli di baci il petto e le spalle. Simon non si aspettava una cosa simile, dato che le belle donne che aveva conosciuto in passato erano solite giacere immobili e lasciarsi adorare passivamente. Annabelle, invece, l'aveva accarezzato e stuzzicato fino a che non aveva più

resistito. Le era rotolato addosso, mentre lei rideva e protestava che non aveva ancora finito con lui.

— Ci penso io a finirti — l'aveva minacciata scherzosamente, per poi penetrarla fino a farla gemere di piacere.

Non si illudeva che il loro rapporto potesse essere sempre armonioso: erano entrambi troppo indipendenti e determinati perché non ci fossero degli scontri. Abbandonando il progetto di sposare un aristocratico, Annabelle aveva rinunciato al genere di vita che aveva sempre sognato e ora doveva cercare di abituarsi a un'esistenza completamente diversa. Con la sola eccezione di Westcliff e di un altro paio di amici di sangue blu,

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Simon aveva pochi contatti con i membri dell'aristocrazia. Il suo mondo era popolato principalmente di imprenditori come lui, poco raffinati nei modi e felicemente impegnati a guadagnare denaro.

Quella congrega di industriali non sarebbe potuta essere più diversa dalla cerchia di persone eleganti che Annabelle aveva sempre conosciuto. Parlavano a voce troppo alta e troppo a lungo e non avevano alcun rispetto per le tradizioni e le buone maniere. Simon non era del tutto certo che lei avrebbe finito con l'abituarsi a loro, ma Annabelle sembrava sinceramente intenzionata a provarci e lui comprendeva e apprezzava i suoi sforzi più di quanto lei avrebbe mai potuto immaginare.

Simon sapeva bene che episodi come quello che era stata costretta a sopportare due sere prima avrebbero fatto scoppiare in lacrime qualunque altra fanciulla con la sua educazione, eppure Annabelle se l'era cavata con ragionevole disinvoltura. Si trovavano a una serata organizzata da un ricco architetto francese e sua moglie, un raduno piuttosto caotico con vino a fiumi e un po' troppi invitati, nel quale aveva finito per regnare un'atmosfera di chiassosa licenziosità.

Simon l'aveva lasciata sola a un tavolo di conoscenti per pochi minuti, appartandosi un momento in privato con il padrone di casa, e quand'era tornato l'aveva trovata rossa in viso e, messa alle strette da due uomini che si stavano tirando a sorte il privilegio di bere champagne dalla sua pantofolina.

Sebbene la disputa fosse palesemente scherzosa, era evidente che i due contendenti che si litigavano il favore di Annabelle si divertivano molto a metterla in imbarazzo. Nonostante Annabelle cercasse di prendere la cosa alla leggera, quel gioco un po' spinto era per lei fonte di disagio e il sorriso che ostentava era palesemente tirato. Alzandosi dalla sedia, si era guardata intorno in cerca di un riparo.

Con aria disinvolta, Simon si era avvicinato al tavolo e le aveva fatto una carezza rassicurante lungo la schiena rigida, sfiorandole col pollice la base del collo, lasciata scoperta dalla scollatura del vestito. L'aveva sentita rilassarsi leggermente e anche il suo viso scarlatto aveva ritrovato il colorito abituale, quando aveva sollevato lo sguardo verso di lui.

— Stanno litigando su chi berrà dello champagne dalla mia scarpa — gli aveva detto agitatissima. — Non sono stata io a suggerirlo e non so come...

— Il problema si può risolvere facilmente — l'aveva interrotta Simon in tono pratico. Era ben consapevole del fatto che intorno a loro si stava radunando una folla ansiosa di scoprire se avrebbe dato in escandescenze

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per via delle audaci avances che gli uomini stavano rivolgendo a sua moglie. Gentilmente, ma con decisione, aveva scortato nuovamente Annabelle verso la sedia.

— Siediti, tesoro. — Ma non voglio... — aveva iniziato a dire lei, sussultando quando

Simon le si era accovacciato davanti. Allungando le mani sotto l'orlo delle sue gonne, le aveva sfilato entrambe le pantofoline di raso che indossava. — Simon! — Gli occhi di Annabelle erano spalancati dallo stupore.

Rialzandosi, lui aveva offerto una scarpina a ognuno dei due rivali, con un inchino ostentato.

— Potete avere le scarpe, signori, a condizione di non dimenticare che il loro contenuto appartiene a me. — Dopodiché aveva preso in braccio la moglie scalza e aveva lasciato la sala, tra le risate e gli applausi della folla. Mentre si dirigevano verso l'uscita, avevano incrociato il cameriere che era stato mandato a prendere la bottiglia di champagne. — Questa la prendiamo noi — aveva detto Simon e l'uomo, interdetto, aveva passato la pesante bottiglia ghiacciata ad Annabelle.

Simon aveva portato Annabelle in braccio fino alla carrozza, mentre lei stringeva la bottiglia in una mano e gli passava l'altro braccio intorno al collo.

— Mi costerai una fortuna in scarpe. Gli occhi di Annabelle scintillavano divertiti. — Ne ho delle altre in

albergo. Intendi bere lo champagne da una di quelle? — No, amore. Intendo berlo da te. Sulle prime Annabelle gli aveva lanciato un'occhiata interdetta, poi,

quando aveva capito quali fossero in realtà le sue intenzioni, aveva nascosto il viso contro la sua spalla, mentre le orecchie le diventavano scarlatte.

Ricordando quell'episodio e le ore piacevoli che erano seguite, Simon osservò la donna che aveva tra le braccia. La luce splendente di otto candelieri si rifletteva negli occhi di lei, accendendoli di piccole scintille che facevano somigliare le sue iridi azzurre a un cielo estivo stellato. Annabelle lo fissava con un'intensità che non aveva mai mostrato prima, come se desiderasse ardentemente qual- cosa che non avrebbe mai potuto avere. Quello sguardo toccò profondamente Simon, suscitando in lui un bisogno impellente di soddisfarla in ogni modo possibile. Qualunque cosa lei gli avesse chiesto in quel momento, gliel'avrebbe concessa senza la minima esitazione.

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Senza dubbio loro due rappresentavano un pericolo per le altre coppie che ballavano, dal momento che la loro visione della sala era leggermente sfocata e a Simon non importava in che direzione andassero. Continuarono a ballare finché gli altri ospiti non commentarono in tono asciutto che era piuttosto indelicato che marito e moglie rimanessero incollati per tutta la serata, e che presto, una volta conclusa la luna di miele, si sarebbero stancati della reciproca compagnia. Nell'udire quei commenti, Simon si limitò a sorridere, poi si chinò verso Annabelle.

— Ti dispiace di non aver mai ballato con me? — No — sussurrò lei. — Se non avessi rappresentato una sfida per te,

avresti perso tutto l'interesse. Con una risata, Simon passò il braccio intorno alla vita della moglie e la

condusse verso una delle pareti laterali della sala. — Non potrebbe mai succedere. Mi interessa tutto quello che fai e che

dici. — Davvero? E la convinzione di lord Westcliff che io sia superficiale ed

egocentrica? Mentre Annabelle si voltava verso di lui, Simon appoggiò una mano

sulla parete, accanto alla sua testa, e si chinò su di lei con atteggiamento protettivo. La sua voce era molto dolce.

— Marcus non ti conosce. — E tu sì? — Sì, io ti conosco. — Simon iniziò a giocherellare con una ciocca

umida di capelli che le si era attaccata al collo. — Sei sempre molto controllata. Non ti piace dipendere da nessuno. Sei decisa e determinata, sicura delle tue opinioni. Nonché testarda. Ma mai egocentrica. E nessuno con la tua intelligenza potrà mai essere definito superficiale. — Le accarezzò i ciuffi di capelli dietro l'orecchio. Nei suoi occhi si accese una luce scherzosa. — Sei anche deliziosamente facile da sedurre.

Annabelle lo colpì con il piccolo pugno. — Solo per te, però. Simon le afferrò il polso e le baciò le nocche. — Ora che sei mia moglie,

Westcliff si guarda bene dall'espri-mere anche la minima critica su di te e sul matrimonio in generale. Se lo facesse, metterei fine alla nostra amicizia senza pensarci due volte.

— Ma non vorrei mai una cosa del genere! Faresti davvero questo per me?

— Non c'è nulla che non farei per te — rispose lui. Era un giuramento sincero. Non era un uomo da mezze misure. In cambio della dedizione che

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aveva nei suoi confronti, Annabelle avrebbe potuto sempre contare sulla sua fedeltà e sul suo sostegno.

Annabelle rimase silenziosa a lungo, dopo quella frase, e Simon finì per concludere che fosse stanca. Ma quando quella notte fecero ritorno alla loro suite al Coeur de Paris, Annabelle si diede a lui con un fervore nuovo, cercando di esprimere con il corpo quello che non era in grado di dire a parole.

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Come aveva promesso, Simon si rivelò un marito generoso, ordinando in Francia una quantità spropositata di abiti e accessori che sarebbero stati spediti a Londra una volta confezionati. Quando portò Annabelle in una gioielleria, un pomeriggio, e le disse di scegliere tutto ciò che desiderava, lei si limitò a scuotere la testa, interdetta davanti alla profusione di diamanti, zaffiri e smeraldi sparsi sul panno di velluto nero. Dopo anni di gioielli falsi e abiti rivoltati, l'abitudine a fare economia era dura a morire.

— Non c'è nulla che ti piace? — la incoraggiò lui, sollevando una collana di diamanti bianchi e gialli incastonati a riprodurre un motivo floreale. Gliela appoggiò sul collo, ammirando lo scintillio delle pietre sulla pelle chiara. — Che ne dici di questa?

— Ci sono anche gli orecchini da abbinare, signora — disse il gioielliere in tono incoraggiante. — E anche un braccialetto a completare la parure.

— È bella — mormorò Annabelle. — Solo che mi sembra strano entrare in un negozio e comprare una collana come se fosse una scatola di biscotti.

Perplesso di fronte alla sua ritrosia, Simon la scrutò attentamente, mentre il gioielliere si ritirava con tatto nel retrobottega. Ripose con delicatezza la collana nell'astuccio e le prese la mano tra le sue, accarezzandole le dita.

— Che cosa c'è, tesoro? Ci sono altri negozi, se qui non trovi nulla di tuo gusto...

— Non si tratta di quello. Immagino di essermi così abituata a non comprare le cose, che ora mi è difficile abituarmi all'idea che posso farlo.

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— Confido che presto riuscirai a superare questo problema. Nel frattempo, sono stufo di vederti indossare gioielli falsi. Se non riesci a scegliere qualcosa, lascia che ci pensi io.

Simon si mise all'opera, selezionando due paia di orecchini di diamanti, la collana floreale, un braccialetto, due lunghe file di perle e un anello con un brillante da cinque carati. Sconvolta dalla sua disinvoltura, Annabelle cercò di protestare finché suo marito, ridendo, non le disse che a ogni sua obiezione avrebbe comprato qualcos'altro.

Annabelle tacque immediatamente e osservò affascinata i gioielli che venivano riposti in una scatola di mogano rivestita di velluto, con una piccola maniglia sul coperchio. Tutti, a eccezione dell'anello, che Simon le fece scivolare al dito, verificando che era troppo largo e restituendolo al gioielliere.

— Il gioielliere lo restringerà e ce lo manderà in albergo più tardi — spiegò Simon.

— E se andasse smarrito? — Che cos'è successo alle tue obiezioni? Nel negozio ti sei comportata

come se non lo volessi nemmeno. — Sì, ma ora è mio — rispose Annabelle con aria preoccupata,

facendolo scoppiare a ridere. Con suo grande sollievo, l'anello venne recapitato all'albergo quella sera

stessa. Mentre Simon dava una moneta al fattorino, Annabelle emerse in fretta dal bagno, si asciugò e si infilò una camicia da notte pulita. Quando Simon si voltò, dopo aver chiuso la porta, trovò sua moglie in piedi davanti a lui, con l'espressione eccitata di un bambino alla vigilia di Natale. L'anello scintillò, quando lo estrasse dalla custodia e lo infilò all'anulare di Annabelle, spingendolo accanto alla semplice vera d'oro che le aveva dato il giorno delle nozze.

Ammirarono insieme l'anello, finché Annabelle non gli gettò le braccia al collo con un'esclamazione di gioia. Prima che Simon potesse dire qualcosa si staccò da lui e prese a ballare eccitata a piedi scalzi.

— È così bello... guarda come luccica! Lo so bene che sembro orrendamente mercenaria. Non fa niente: sono mercenaria, tanto vale che tu lo sappia... Oh, quanto adoro questo anello!

Divertito dalla sua eccitazione, Simon l'attirò a sé. — Non ho alcuna intenzione di andarmene — la informò. — Ora ho l'opportunità di raccogliere i frutti della tua gratitudine.

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Entusiasta, Annabelle gli afferrò la testa e incollò la bocca alla sua. — E lo farai. — Lo baciò di nuovo con trasporto. — Adesso.

Simon rise a quell'assalto. — Senza dubbio, dovrei dire che la tua gioia è un compenso sufficiente. D'altro canto, se insisti...

— Insisto. Assolutamente. Annabelle si staccò da lui, corse verso il letto e si gettò all'indietro sul

materasso, atterrando a gambe e braccia aperte sul copriletto. Simon la seguì, affascinato dal suo comportamento giocoso. Era una Annabelle che non aveva mai visto prima, divertente e deliziosamente volubile. Mentre si avvicinava al letto, Annabelle sollevò la testa e lo incoraggiò. — Sono tutta tua. Inizia pure a raccogliere la ricompensa che ti spetta.

Simon si sfilò in fretta la giacca e la cravatta, più che disposto ad accontentarla. Annabelle si tirò su a sedere, osservandolo, con le gambe spalancate sotto la camicia da notte e i capelli che le ricadevano in morbide onde sulle spalle.

— Però, devi sapere che verrei a letto con te anche senza questo anello. — Sei gentile. Un marito è sempre lieto di sapere che viene stimato per

qualcosa di più dei suoi meriti finanziari. Annabelle percorse lentamente con lo sguardo il suo corpo muscoloso. — Tra tutti i tuoi meriti quelli finanziari sono probabilmente i minori. — Probabilmente? — Accostandosi al letto, lei le afferrò un piede nudo

e se lo portò alle labbra. — Forse intendevi dire sicuramente... Annabelle cadde riversa all'indietro, sussultando alla carezza calda della

sua lingua, mentre la camicia da notte le si sollevava fino alle cosce. — Oh, sì, sicuramente. Nel modo più assoluto... Il suo corpo, ancora umido per il bagno recente, conservava il profumo

delicato del sapone e quello intenso dell'essenza di rose. Eccitato alla vista della sue pelle rosea e liscia, Simon iniziò a baciarla, risalendo verso la caviglia e poi su fino al ginocchio. Poi si inginocchiò tra le sue gambe aperte sollevandole la camicia da notte e baciandole ogni centimetro di pelle, risalendo fino a raggiungere il ciuffo di peli umidi e scintillanti. Li sfiorò col mento e continuò a procedere, ignorando la flebile protesta di Annabelle. Affascinato dalla morbidezza della sua pelle, le baciò la vita e ogni piccolo rilievo delle costole, fino ad arrivare al petto, dove sentì il cuore battere rapido sotto le sue labbra.

Annabelle emise un gemito implorante, gli prese una mano e cercò di guidarla tra le proprie cosce. Opponendosi con una risata silenziosa, Simon le bloccò entrambi i polsi sopra la testa e posò la bocca sulla sua.

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Continuando a tenerle saldamente i polsi con una mano, le fece scivolare l'altra lungo il corpo, stuzzicandole i capezzoli con la punta delle dita. Poi l'accarezzò tra le gambe, apprezzando l'umidità setosa della sua carne. Il corpo di Annabelle si inarcò verso l'alto, le sue anche si protesero verso la mano di Simon, mentre i suoi polsi imprigionati si divincolavano dalla stretta. Ogni suo movimento comunicava il bisogno di essere posseduta e Simon sentì il proprio corpo irrigidirsi in un impeto di desiderio primordiale.

La penetrò lentamente con un dito e la sentì gemere contro la propria bocca. Sentendo che si faceva sempre più accogliente, aggiunse un secondo dito, accarezzan-dola con dolcezza fino a che non la sentì gonfia ed eccitata. Appena le liberò la bocca, Annabelle iniziò a implorarlo con frasi sconnesse.

— Simon, ti prego... ti prego, ho bisogno di te... —Tremò tutta, quando lui ritrasse le dita. — No, Simon...

— Taci. — Simon la prese per le ginocchia e la tirò delicatamente fino al bordo del letto. — È tutto a posto —sussurrò. — Penserò io a te. Lascia che ti ami in questo modo... — Quando i suoi fianchi raggiunsero il bordo del materasso, la fece girare, finché le natiche non furono rivolte verso l'alto. In piedi dietro di lei, si posizionò tra le sue cosce e il glande del suo membro eretto scivolò facilmente nell'apertura lubrificata. Afferrandola con decisione, la penetrò con un'unica spinta decisa, senza fermarsi finché non fu completamente dentro di lei. Si sentì invadere da un'ondata di calore, come se si fosse avvicinato a una fornace aperta, e il suo inguine si contrasse in un impeto di desiderio quasi troppo intenso da sopportare.

Annabelle rimase immobile, a eccezione dei pugni che stringevano la stoffa del copriletto. Preoccupato di poterle far male, Simon riuscì in qualche modo a controllare il desiderio feroce che provava.

— Tesoro, ti sto facendo male? — le chiese. Il movimento lo spinse ancora più a fondo dentro di lei e Annabelle fece una piccola smorfia. — Se vuoi, mi fermo.

Annabelle ci mise un attimo a rispondere, come se le ci fosse voluto un po' a comprendere la domanda, e quando finalmente parlò la sua voce era inebriata dal piacere.

— No, non fermarti. Simon rimase chino su di lei, penetrandola con spinte profonde che

indussero i muscoli interni di Annabelle a stringersi intorno al suo membro. Fremeva sull'orlo di un potente orgasmo, senza riuscire a

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raggiungerlo, e respirava affannosamente, spingendo con forza le natiche contro il suo inguine. — Simon...

Lui allungò la mano, trovando facilmente il punto in cui il suo sesso si era dilatato per accoglierlo, e il tenero rigonfiamento poco più su. Con la punta del dito, l'accarezzò delicatamente con piccoli movimenti circolari, cambiando ritmo finché non ne trovò uno che la fece gridare, contraendosi violentemente intorno a lui. Annabelle gemette e i movimenti convulsi del suo corpo divennero eccessivi per i sensi già fin troppo stimolati: Simon, che venne a sua volta, sprofondando nella morbidezza di quel corpo magnifico, mentre il piacere dilagava pulsando dentro di lui in onde incontrollabili.

Il momento più difficile della luna di miele fu una mattina in cui Annabelle disse sorridendo a Simon che trovava vero il vecchio detto secondo cui il matrimonio era la forma più alta di amicizia. Intendeva fargli piacere, ma lui reagì con sconcertante ostilità. Riconoscendo la nota citazione dello scrittore Samuel Richardson, commentò seccamente che sperava che i suoi gusti letterari migliorassero, in modo da risparmiargli simili pillole di filosofia spicciola tratte da romanzetti. Annabelle si chiuse in un gelido silenzio, incapace di comprendere le ragioni per cui quell'osservazione lo avesse irritato tanto.

Simon rimase fuori tutta la mattina e parte del pomeriggio e quando fece ritorno trovò Annabelle intenta a giocare a carte con altre signore in uno dei saloni dell'albergo. Accostandosi da dietro alla sua sedia, le posò la punta delle dita sulla curva della spalla. Annabelle avvertì attraverso la seta sottile dell'abito il tocco della sua mano, che suscitò in lei un'immediata reazione di languore. Tentata di mostrarsi ancora risentita per l'episodio di quella mattina, per un attimo pensò di scrollarsi la mano dalla spalla. Ma poi si disse che in fondo non le costava nulla dimostrare un po' di tolleranza.

— Buon pomeriggio, signor Hunt — mormorò, nel modo formale che la maggior parte delle coppie sposate usavano in pubblico. — Spero che abbiate gradito la passeggiata. — Maliziosamente, gli mostrò le proprie carte. — Guardate che cosa mi è capitato. Avete qualche consiglio utile?

Facendo scivolare le mani lungo i bordi della sedia, Simon si chinò per parlarle all'orecchio.

— Sì. Finisci la partita in fretta.

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Avvertendo gli sguardi curiosi delle altre signore, Annabelle mantenne un'espressione impassibile, anche se sentiva che stava iniziando ad arrossire.

— Perché? — chiese, mentre la bocca di Simon le sfiorava l'orecchio. — Perché farò l'amore con te tra cinque minuti esatti — sussurrò lui. —

Dovunque ci troviamo: qui, nella nostra suite, o sulle scale. Così, se gradisci un po' di intimità, suggerisco che tu perda questa partita in fretta.

"Non oserebbe" pensò Annabelle allarmata. D'altro canto, conoscendolo, non si poteva escluderlo...

Con quel pensiero in mente, calò una carta con mano tremante. La giocatrice dopo di lei impiegò un tempo infinito a giocare una delle sue e quella seguente s'interruppe per uno scambio di battute con suo marito, che era appena arrivato al loro tavolo. Annabelle iniziava a sudare freddo. La voce della ragione intervenne a calmarla, dicendole che per quanto Simon fosse audace non avrebbe fatto sesso con sua moglie sulla scalinata di un albergo. Tuttavia, la voce della ragione si affievolì di colpo, quando lui, dopo aver consultato l'orologio, le mormorò un avvertimento. — Hai tre minuti.

Annabelle avvertì una vergognosa pulsazione di piacere tra le cosce, segno che il proprio corpo reagiva alla promessa sensuale nella voce di Simon. Serrando con fermezza le gambe, attese con simulata compostezza che toccasse di nuovo a lei, mentre il cuore le batteva all'impazzata. Le giocatrici conversavano in tono rilassato, si sventolavano e si fecero portare dal cameriere un'altra caraffa di limonata ghiacciata. Finalmente, giunse il suo turno. Scartò la carta più alta che aveva, per poi pescarne un'altra. Si sentì invadere dal sollievo quando vide che non valeva nulla e posò sul tavolo tutte le carte che aveva in mano.

— Temo di aver perso — disse, cercando di impedire alla propria voce di tremare. — È stata una partita deliziosa. Vi ringrazio, ma ora devo andare...

— Restate per un altro giro — propose una delle giocatici, subito imitata dalle altre.

— Sì, vi prego! — Bevete almeno un bicchiere di vino, mentre finiamo questa mano. — Vi ringrazio, ma... Annabelle si alzò, sussultando nel sentire la lieve pressione della mano

di Simon sulla schiena. I capezzoli le si inturgidirono sotto l'abito.

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— Sono davvero esausta: ho ballato troppo ieri sera — improvvisò. — Devo riposare un po' prima di andare a teatro, questa sera.

Seguita da un coro di saluti e da alcuni sguardi d'intesa, Annabelle cercò di fare un'uscita dignitosa dal salone. Non appena raggiunsero la scalinata che conduceva ai piani superiori, tirò un respiro di sollievo e lanciò al marito un'occhiata di rimprovero.

— Se cercavi di mettermi in imbarazzo, ci sei riuscito... Che cosa stai facendo? — L'abito le si era allentato sulle spalle, e si rese conto sgomenta che Simon aveva iniziato a slacciarne i bottoni. — Non ci provare... No, fermati! — Corse via, ma lui le tenne dietro senza sforzo.

— Ti resta un minuto. — Non essere sciocco — replicò Annabelle. — Non possiamo

raggiungere la suite in meno di un minuto e tu non oseresti... — Si interruppe, lanciando un gridolino, quando lo sentì slacciare un altro bottone e si voltò per bloccargli le mani. Incrociò il suo sguardo e si rese conto con sgomento che aveva ogni intenzione di mettere in pratica quanto aveva minacciato. — Simon, no!

— Sì. I suoi occhi scintillavano come quelli di una tigre: ormai Annabelle

conosceva bene quello sguardo. Sollevandosi le gonne, si voltò e corse su per le scale, ansimando tra scoppi di risa ansiose.

— Sei impossibile! Lasciami stare. Se qualcuno ci vede in questo stato non te lo perdonerò mai!

Simon la seguì senza fretta apparente, ma d'altro canto lui non aveva una massa di gonne e sottogonne a ostacolarlo. Annabelle raggiunse il pianerottolo, girò l'angolo e proseguì, mentre le ginocchia le dolevano per lo sforzo di salire. Le gonne sembravano sempre più pesanti e i polmoni stavano per scoppiarle.

— Trenta secondi — disse la voce di lui alle sue spalle, mentre Annabelle raggiungeva finalmente la cima della seconda rampa di scale. Tre lunghi corridoi li separavano ancora dalla suite: non ce l'avrebbe mai fatta. Stringendosi al petto il vestito allentato, scrutò il corridoio su cui si trovava, precipitandosi verso la prima porta che riuscì a trovare, che si aprì su un piccolo ripostiglio privo di illuminazione. L'aria era impregnata dell'odore di biancheria inamidata e la tenue luce che filtrava dal corridoio le permise di vedere che la piccola stanza era piena di scaffali di lenzuola e asciugamani ordinatamente piegati.

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— Dentro — mormorò Simon, spingendola nello stanzino e chiudendo la porta dietro di sé.

Annabelle si trovò immersa nell'oscurità. Le veniva da ridere e cercò invano di tenere a bada le mani che la afferravano. Sembrava che a suo marito fossero improvvisamente spuntate più braccia di una piovra, che le slacciavano gli abiti e glieli toglievano di dosso prima che lei potesse difendersi.

— E se rimaniamo intrappolati qui dentro? — chiese Annabelle, mentre il suo vestito cadeva a terra.

— Butterò giù la porta — rispose Simon, sciogliendole i nastri dei mutandoni. — Dopo, però.

— Se una delle cameriere ci trova qui, ci butteranno fuori dall'albergo. — Credimi, le cameriere hanno visto cose ben peggiori. — Simon

calpestò il vestito di Annabelle, mentre le abbassava i mutandoni fino alle caviglie.

Lei avanzò ancora qualche protesta poco convinta, finché lui non le infilò una mano tra le gambe. A quel punto, opporsi ulteriormente le sembrò un atteggiamento futile. Dischiuse la bocca per accogliere il suo bacio. Il tenero ingresso del suo corpo si allargò facilmente per accoglierlo, e le sfuggì un gemito di piacere quando sentì le dita di Simon che lo allargavano.

Si strinsero con ardore uno contro l'altro, mentre i loro corpi si flettevano, si fondevano, e ogni bacio era un'esplorazione invadente che la eccitava ancora di più. Le dita di Annabelle afferravano convulsamente gli abiti di Simon, man mano che il desiderio aumentava fin quasi alla follia. Lui la penetrò con spinte profonde, con un ritmo insistente, finché il piacere non esplose e si propagò nel corpo di entrambi e i loro polmoni non inspirarono grandi boccate d'aria impregnata dell'odore della biancheria lavata e stirata, mentre le loro membra intrecciate si stringevano con forza, come a catturare le sensazioni.

— Accidenti — mormorò Simon qualche minuto dopo, non appena ebbe ripreso fiato.

— Che cosa? — chiese Annabelle, appoggiandogli languidamente la testa sul petto.

— Per tutto il resto della mia vita, non potrò più sen-tire l'odore dell'amido senza avere un'erezione.

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— È un problema tuo — replicò lei con un sorriso lieve sussultando quando sentì il membro del marito, ancora dentro di lei, sollevarsi nuovamente.

— Anche tuo — replicò Simon, prima che la sua bocca trovasse quella di lei nell'oscurità.

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Poco dopo essere tornati in Inghilterra, Simon e Annabelle furono costretti a fare i conti con l'interazione di due famiglie che non avrebbero potuto essere più diverse tra loro. La madre di Simon, Bertha, propose che andassero tutti a cena a casa loro per potersi conoscere meglio, cosa che non avevano avuto modo di fare prima del matrimonio. Nonostante suo marito l'avesse avvisata su che cosa aspettarsi, e lei a sua volta avesse cercato di preparare la madre e il fratello, Annabelle era incerta su quale sarebbe stato l'esito di quell'incontro.

Grazie al cielo, Jeremy si era completamente riconciliato con l'idea che Simon Hunt fosse diventato suo cognato. Negli ultimi mesi era diventato un adolescente alto e dinoccolato e scrutò attentamente la sorella mentre la abbracciava. I suoi capelli castani si erano molto schiariti per tutto il tempo che aveva passato all'aria aperta e gli occhi azzurri scintillavano nel viso abbronzato.

— Non credevo ai miei occhi, quando ho letto la lettera di mamma che mi comunicava che avresti sposato il signor Hunt — le disse. — Dopo tutto quello che hai detto di lui negli ultimi due anni...

— Jeremy! — lo rimproverò Annabelle. — Non provare a ripetere una sola parola!

Ridendo, il ragazzo continuò a tenere un braccio intorno alle spalle della sorella, mentre porgeva la mano a Simon.

— Congratulazioni, signore. In realtà, non sono stato affatto sorpreso. Mia sorella si è lamentata di voi troppo spesso e troppo a lungo, così avevo capito che nutriva dei sentimenti per voi.

Lo sguardo caldo di Simon si posò sul viso della moglie. — Non riesco a immaginare di che cosa potesse lamentarsi — disse con aria serafica.

— Credo che dicesse... — iniziò Jeremy, facendo una smorfia di dolore esagerata quando Annabelle gli sferrò una gomitata nelle costole. — D'accordo, sto zitto — aggiunse sollevando le mani in un gesto di difesa e ridendo mentre indietreggiava allontanandosi da lei. — Stavo solo facendo un po' di educata conversazione con il mio nuovo cognato.

— Fare un'educata conversazione significa parlare del tempo, o informarsi della salute di qualcuno — replicò Annabelle. — Non ripetere commenti potenzialmente imbarazzanti che la propria sorella ha fatto in confidenza.

Passando un braccio intorno alla vita della moglie, Simon l'attirò a sé. — Ho un'idea abbastanza chiara di quello che dicevi. Dopotutto, sei

sempre stata disposta a dirmelo anche in faccia.

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Jeremy, che non aveva mai visto sua sorella comportarsi così tranquillamente con un uomo e che aveva notato in lei parecchi cambiamenti, sorrise.

— Sembra che il matrimonio ti faccia bene. Proprio in quel momento, Philippa fece il suo ingresso nella stanza e si

precipitò verso la figlia con un gri-dolino di gioia. — Cara... Mi sei mancata tanto! — L'abbracciò stretta, poi si rivolse a

Simon con un caloroso sorriso. — Caro signor Hunt, bentornato a casa. Vi è piaciuta Parigi?

— Oltre ogni dire — rispose lui, chinandosi a baciare la guancia che gli veniva offerta. — Mi è piaciuto soprattutto lo champagne.

— Oh, certamente — rispose Philippa. — Sono certa che chiunque... Annabelle, cara, che cosa fai?

— Sto solo aprendo la finestra — rispose lei con voce strozzata. Il suo viso era diventato scarlatto al commento di Simon, che le aveva ricordato la sera in cui suo marito aveva utilizzato una coppa di champagne in modo estremamente creativo. — Fa un gran caldo, qui; perché mai si tengono chiuse le finestre in questo periodo dell'anno?

Mentre Simon e Philippa conversavano, Jeremy apri la finestra e sorrise quando Annabelle espose le guance arrossate alla fresca brezza esterna.

— Dev'essere stata una luna di miele notevole — mormorò. — Non si suppone che tu sappia cose del genere. — Ho quattordici anni, Annabelle, non quattro. Allora, perché hai

sposato il signor Hunt? Mamma dice che lo hai fatto perché ti ha compromesso, ma conoscendoti, le cose devono essere più complicate di così. Non li saresti mai lasciata compromettere, a meno che non lo volessi. — Abbandonando il tono scherzoso, il ragazzo prese un'aria più seria. — È stato per i suoi soldi? Ho visto i conti di casa: ovviamente non avevamo uno scellino neanche a piangere.

— Non è stato solo per i soldi. — Annabelle era sempre assolutamente sincera con il fratello, ma non le era facile ammettere la verità, nemmeno con se stessa. — A Stony Cross mi sono ammalata e il signor Hunt si è rivelato insospettatamente gentile con me. Poi, quando ho iniziato ad ammorbidirmi nei suoi confronti, ho scoperto che lui e io abbiamo una certa... Come dire... Una certa affinità...

— Intellettuale o fisica? — Jeremy riprese a sorridere, quando lesse la risposta nei suoi occhi. — Entrambe? Ottimo. Dimmi, sei...

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— Che cosa confabulate, voi due? — chiese Philippa, facendo loro cenno di allontanarsi dalla finestra.

— Stavo pregando mia sorella di non tiranneggiare il suo novello marito — rispose Jeremy, mentre Annabelle alzava gli occhi al cielo.

— Grazie — disse Simon con aria grave. — Come potete immaginare, ci vuole una buona dose di forza d'animo per resistere a una moglie simile, ma fino a ora sono riuscito... — S'interruppe con un sorriso, alla vista delle sguardo minaccioso di Annabelle. — Penso che tuo fratello e io faremmo meglio a scambiarci le nostre confidenze fuori, mentre tu racconti a tua madre tutto di Parigi. Jeremy, ti andrebbe di fare un giro sul mio phaeton?

Jeremy non aveva bisogno di ulteriori incoraggiamenti. — Prendo cappello e cappotto...

— Lascia stare il cappello — gli suggerì Simon in tono laconico. — Non ti rimarrebbe in testa più di un minuto.

— Signor Hunt — lo avvertì Annabelle correndo loro dietro. — Se menomerai o ucciderai mio fratello, rimarrai senza cena.

Simon le rispose qualcosa di indistinto da sopra la spalla e i due scomparvero nell'atrio.

— I phaeton sono calessi troppo leggeri e veloci e si capovolgono molto facilmente — disse Philippa preoccupata. — Spero che il signor Hunt sia un bravo conducente.

— Eccellente. Ha condotto il calesse fin qui dall'albergo a un'andatura così moderata che mi sembrava di viaggiare in una vecchia carrozza familiare. Ti garantisco che Jeremy non potrebbe trovarsi in mani migliori.

Nell'ora che seguì, le due donne rimasero in salotto a condividere il contenuto di una teiera e a parlare di tutto quello che era accaduto nei quindici giorni appena trascorsi. Come Annabelle si era aspettata, la madre non le fece alcuna domanda sugli aspetti più intimi della luna di miele. Invece, si interessò molto ai racconti di Annabelle, che le parlò dei molti stranieri che aveva incontrato e delle feste a cui avevano preso parte. Il mondo dei ricchi industriali era del tutto sconosciuto a Philippa, che ascoltò attentamente la lunga descrizione che ne fece Annabelle.

— C'è un numero sempre maggiore di queste persone che vengono in Inghilterra— osservò Philippa. — Lo fanno per procurarsi un titolo da abbinare alla loro ricchezza.

— Come le Bowman. — Sì. A quanto pare, a ogni Stagione siamo invasi da un numero sempre

maggiore di americani, e sa il cielo se non è già abbastanza difficile

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riuscire a sposare un aristocratico. Di certo non avevamo bisogno di tutta questa concorrenza in più. Sarò felice quando tutto questo fervore imprenditoriale si sarà placato e le cose torneranno a essere com'erano prima.

Annabelle sorrise, chiedendosi come poteva spiegare a sua madre che, da quanto aveva visto e sentito, il processo di espansione industriale era solo agli inizi e le cose non sarebbero mai più tornate quelle di prima. Iniziava a intuire la portata della trasformazione che le ferrovie, le navi a vapore e le industrie meccanizzate avrebbero portato in Inghilterra e nel resto del mondo. Erano quelli gli argomenti di cui Simon e i suoi conoscenti discutevano a cena, invece che dei temi prediletti dell'aristocrazia, quali la caccia e le feste in campagna.

— Dimmi, vai d'accordo con il signor Hunt? — chiese Philippa. — A vedervi, sembra di sì.

— Infatti. Anche se devo dire che è diverso da lutti gli uomini che tu e io abbiamo conosciuto fino a ora.

La sua mente funziona in modo diverso dalle loro. Lui è un progressista...

— Oh, santo cielo! — esclamò Philippa, vagamente sgomenta. All'improvviso, la loro conversazione fu interrotta da Jeremy, che

piombò rumorosamente nel salotto. Era spettinato e aveva gli occhi quasi spiritati.

— Jeremy! — esclamò Annabelle preoccupata, alzandosi di colpo. — Che cos'è successo? Dov'è il signor Hunt?

— Sta facendo camminare i cavalli intorno alla piazza per rinfrescarli. — Il ragazzo scosse la testa, quasi senza fiato. — Quell'uomo è un pazzo scatenato. Abbiamo rischiato di capovolgerci almeno tre volte, abbiamo quasi investito una mezza dozzina di persone e io non ho fatto altro che sobbalzare sul sedile, fino a coprirmi il sedere di lividi. Se mi fosse rimasto del fiato in corpo, avrei cominciato a pregare, perché era evidente che potevamo morire da un momento all'altro. Hunt ha i cavalli più scatenati che io abbia mai visto e lancia imprecazioni tali che ne sarebbe bastata una a farmi espellere dal college per sempre...

— Jeremy — iniziò a dire Annabelle in tono di scusa, affranta all'idea che Simon avesse trattato suo fratello in quel modo. — Sono davvero...

— È stato il miglior pomeriggio di tutta la mia vita! — continuò lui estasiato. — Ho pregato Hunt di portarmi ancora a fare un giro, domani, e lui ha detto che se avrà tempo lo farà senz'altro... Quell'uomo è una

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cannonata, Annabelle! Vado a bere un po' di acqua: ho due dita di polvere sulla gola. — Corse fuori con impeto adolescenziale, mentre sua madre e sua sorella rimanevano a fissarlo a bocca aperta.

Più tardi, quella sera, Simon portò Annabelle, Jeremy e Philippa nella casa sopra la macelleria, dove vivevano i suoi genitori. L'appartamento, composto da tre camere principali più una scala stretta che portava al grande piano superiore, era piccolo ma ben sistemato. Ciò nonostante, Annabelle notò lo sguardo di perplessa disapprovazione della madre, che non riusciva a capire perché

gli Hunt non avessero scelto di vivere in un bel palazzo o in un attico elegante. Più aveva cercato di spiegare a sua madre che gli Hunt non si vergognavano della loro professione e non avevano alcun desiderio di sfuggire all'onta di appartenere alla classe lavoratrice, più Philippa era sembrata confusa. Sospettando che fingesse appositamente di non capire, aveva rinunciato a discutere con lei della famiglia di Simon e aveva pregato Jeremy di controllare che Philippa non facesse commenti inopportuni davanti a loro.

Mentre salivano le scale che portavano dal negozio all'abitazione privata degli Hunt, Annabelle notò un leggero riserbo nei modi di Simon, unico segno dell'incertezza che doveva provare. Senza dubbio si chiedeva se lei e la sua famiglia avrebbero legato. Decisa a fare andar bene quella serata, atteggiò il viso a un sorriso solare, senza battere ciglio nemmeno quando sentì il caos che proveniva dalla residenza degli Hunt: una cacofonia di voci adulte, grida infantili e mobili rovesciati.

— Santo cielo! — esclamò Philippa. — Sembra una... — Una rissa? — le venne cortesemente in aiuto Simon. — Potrebbe

essere. Nella mia famiglia non è sempre facile distinguere la conversazione da un incontro di pugilato.

Quando fecero il loro ingresso nella stanza principale, Annabelle cercò di distinguere tra la massa di volti: c'era la sorella maggiore di Simon, Sally, madre di una mezza dozzina di bambini che al momento erano impegnati a correre e saltare per la casa come tori di Pamplona; il ma rito di Sally; i genitori di Simon; i suoi tre fratelli minori e una giovane sorella, di nome Meredith, la cui quieta serenità contrastava stranamente con il tumulto intorno a lei. Da quanto le aveva detto, Simon era particolarmente affezionato a Meredith, che era una ragazza tranquilla e studiosa, molto diversa dai suoi turbolenti fratelli.

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I bambini circondarono Simon, che si dimostrò sorprendentemente disinvolto con loro, lanciandoli in aria, controllando un dentino caduto di recente e intervenendo con un fazzoletto su un nasino gocciolante. I primi

cinque minuti furono piuttosto caotici, con le presentazioni gridate per sovrastare il rumore, i bambini che correvano su e giù e un gatto che miagolava indignato per essere stato morso da un cucciolo intraprendente. Annabelle si aspettava che più tardi la situazione si tranquillizzasse, ma la confusione regnò sovrana per tutta la sera. Ogni tanto notava il sorriso raggelato di sua madre, l'atteggiamento rilassato di Jeremy e la divertita esasperazione di Simon, che cercava invano di placare quel tumulto.

Il padre di Simon, Thomas, era un uomo robusto e imponente, con un'espressione austera che incuteva un po' di soggezione. Di tanto in tanto i suoi lineamenti si addolcivano in un sorriso, che non era accattivante come quello del figlio, ma gli conferiva un certo fascino. Annabelle riuscì ad avere uno scambio di opinioni con lui, mentre sedevano una accanto all'altro a cena. Purtroppo, invece, sembrava che le due madri non riuscissero a comunicare granché. Non tanto perché nutrissero una reciproca ostilità, quanto perché apparentemente del tutto incapaci di entrare in relazione. Le loro vite, le esperienze che le avevano formate e avevano plasmato il loro modo di pensare non sarebbero potute essere più dissimili.

La cena consisteva in alte bistecche ben cotte, accompagnate da pudding e da qualche verdura. Soffocando un sospiro di rimpianto al pensiero del cibo che avevano gustato in Francia, Annabelle si dedicò con impegno alla sua enorme fetta di carne.

A un tratto Meredith le rivolse timidamente la parola. — Devi dirci di più di Parigi. Presto mia madre e io visiteremo il Continente per la prima volta.

— Che meraviglia! — esclamò Annabelle. — Quando partirete? — Tra una settimana. Staremo via almeno un mese e mezzo, partendo da

Calais e arrivando fino a Roma. La conversazione sul viaggio continuò fino alla conclusione della cena,

quando una cameriera venne a sparecchiare, mentre la famiglia si riuniva in salotto per il tè e i dolci. Con grande gioia dei bambini, Jeremy si sedette insieme a loro sul pavimento vicino al caminetto, giocando con loro a shanghai e aiutandoli a tenere a bada il cucciolo. Annabelle era seduta nelle vicinanze e osservava i loro comportamenti scherzosi mentre conversava con la sorella maggiore di Simon. Non potè fare a meno di

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notare che il marito era scomparso con la madre, che evidentemente aveva molte domande da rivolgere al figlio maggiore sulle sue nozze affrettate e sull'andamento del matrimonio.

— Oh, accidenti — esclamò Jeremy. — Il cucciolo ha bagnato il pavimento.

— Per favore, qualcuno vada ad avvertire la cameriera — disse Sally, mentre i bambini ridevano per le pessime maniere dell'animale.

Dal momento che Annabelle era la più vicina alla porta, si alzò immediatamente. Entrando nella stanza accanto, trovò la cameriera ancora impegnata a sparecchiare i resti della cena. Non appena la ebbe informata del piccolo incidente, la ragazza si precipitò nel salotto con uno straccio. Annabelle stava per seguirla, quando sentì delle voci nella cucina adiacente e si fermò ad ascoltare, riconoscendo quella di Bertha, bassa e piena di disapprovazione.

— E lei ti ama, Simon? Rimase come pietrificata, in attesa della risposta. — Le persone si sposano anche per altre ragioni. — Allora non ti ama — fu la pacata conclusione di Bertha. — Non

posso dire di esserne sorpresa. Le donne di quel genere non... — Fai attenzione. Stai parlando di mia moglie. — È indubbiamente decorativa — insistette Bertha. — E va bene per fare bella figura alle serate mondane. Ma ti avrebbe

mai sposato senza il tuo denaro? Ti resterebbe accanto in momenti di ristrettezze o di difficoltà? Se solo avessi considerato con più attenzione una delle ragazze che ho cercato di presentarti. Molly Havelock. oppure Peg Larcher: brave ragazze, serie, che avrebbero saputo essere vere compagne...

Annabelle non era più in grado di sentire altro. Controllando l'espressione del viso, tornò in fretta nel rumore e nella luce del salotto. "Mi sta bene, così imparo a origliare" si disse con tristezza, chiedendosi se Bertha avrebbe potuto avere di lei un'opinione peggiore di quella. Quelle parole l'avevano ferita, ma doveva ammettere che non c'erano particolari ragioni perché lei dovesse piacere alla famiglia di Simon, soprattutto a sua madre. Di colpo si rese conto che aveva passato molto tempo a considerare i benefici che le sarebbero derivati dal matrimonio con Simon, ma non le era mai venuto in mente di chiedersi che cosa avesse lei da offrirgli in cambio.

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Turbata, si chiese se doveva riferire al marito quanto aveva sentito, ma subito decise che non era il caso. Affrontare quell'argomento l'avrebbe costretto a offrirle rassicurazioni, o a scusarsi al posto di sua madre, e nessuna delle due cose era necessaria. Sapeva che ci sarebbe voluto del tempo per dimostrare quello che valeva a Simon, alla sua famiglia e forse anche a se stessa.

Più tardi, quella sera, quando fecero ritorno al Rutledge, Simon le appoggiò le mani sulle spalle e la osservò con un lieve sorriso.

— Grazie — disse. — Per che cosa? — Per essere stata così cordiale con la mia famiglia. — Attirandola a sé,

le baciò la fronte. — E per aver deciso di passare sopra al fatto che sono così diversi da te.

Annabelle arrossì di piacere a quella lode, che la fece sentire subito molto meglio.

— Mi sono divertita — mentì, e lui sorrise. — Non c'è bisogno di arrivare fino a questo punto. — Be', forse c'è stato un momento, quando tuo padre disquisiva di

interiora, o quando tua sorella ha raccontato che cosa ha fatto il bambino nell'acqua del bagnet-to... Ma nell'insieme sono stati molto... molto...

— Rumorosi? — suggerì lui divertito. — Stavo per dire simpatici. Simon le accarezzò la schiena, massaggiandole i muscoli tesi sotto le

scapole. — Tutto considerato, stai prendendo piuttosto bene il fatto di essere

sposata con un borghese. — Non è poi così male — scherzò Annabelle. Gli accarezzò il petto con

un gesto sensuale, lanciandogli un'occhiata provocante. — Posso passare sopra a molte cose, in cambio di questo notevole...

— Conto in banca? Annabelle sorrise e gli fece scivolare la mano nei pantaloni. — Non mi riferivo al conto in banca — sussurrò, un attimo prima che la

bocca di Simon si posasse sulla sua. Il giorno seguente, Annabelle fu molto felice di ritrovarsi con Lillian e

Daisy, la cui suite era nella stessa ala del Rutledge della sua. Ridendo e lanciando gridolini di gioia mentre si abbracciavano, le tre ragazze fecero tanto di quel rumore che la signora Bowman mandò una cameriera a dir loro di stare tranquille.

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— Ho voglia di vedere Evie — si lamentò Annabelle, prendendo Daisy a braccetto, mentre si dirigevano verso il salotto della suite. — Come sta?

— Si è cacciata in un grosso guaio, quindici giorni fa, perché ha cercato di vedere suo padre — rispose Daisy. — Le sue condizioni sono peggiorate e lui è costretto a letto, ormai. Ma Evie è stata sorpresa mentre sgattaiolava fuori, e ora è tenuta sotto chiave dalla zia Florence e dal resto della famiglia.

— Per quanto? — A tempo indeterminato — fu la sconfortante risposta. — Che gente odiosa! — mormorò Annabelle. — Vorrei che potessimo

andare a salvarla. — Non sarebbe divertente? — chiese Daisy, entusiasta. — Dovremmo

rapirla. Porteremo una scala, la appoggeremo sotto la sua finestra e... — E la zia Florence ci lancerà addosso i cani — intervenne Lillian con

aria cupa. — Hanno due enormi mastini che fanno la guardia alla casa. — Daremo loro della carne drogata. E quando dormiranno... — Oh, piantala con i tuoi piani scriteriati! Voglio sapere della luna di

miele di Annabelle. Due paia di occhi scuri scrutarono Annabelle con interesse. — Allora? — chiese Lillian. — Com'è stato? Doloroso come dicono? — Forza, Annabelle - insistette Daisy. — Ricorda che abbiamo

promesso di dirci tutto! Lei sorrise, godendosi il fatto di conoscere qualcosa che era ancora un

mistero, per loro. — Be', in certi momenti è stato piuttosto doloroso — ammise. — Ma

Simon è stato molto gentile e... premuroso, e anche se non ho altre esperienze con cui fare il confronto, non riesco a immaginare che possa esistere un amante migliore di lui.

— Che cosa intendi? — chiese Lillian. Sulle guance di Annabelle si diffuse un vivace rossore. Esitante, cercò le

parole per spiegare qualcosa che all'improvviso le sembrava impossibile descrivere. Se ne potevano illustrare i dettagli tecnici, ma quelli non sarebbero di certo bastati a trasmettere la tenerezza di un'esperienza tanto privata.

— È un atto di un'intimità che va oltre l'immaginabile. Sulle prime vorresti morire di vergogna, ma poi ci sono momenti in cui è così bello che dimentichi il senso del pudore, e l'unica cosa che conta è essere vicino a lui.

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Per qualche secondo, le due sorelle rifletterono in silenzio sulle sue parole.

— Quanto dura? — chiese poi Daisy. Il rossore di Annabelle aumentò. — A volte solo pochi minuti, a volte alcune ore...

— Alcune ore? — ripeterono le due ragazze all'unisono, con aria sorpresa.

Lillian arricciò il naso disgustata. — Mio Dio, sembra una cosa orrenda. Annabelle rise nel vedere la sua espressione. — Non è affatto orrendo.

In realtà è decisamente piacevole. Lillian scosse la testa. — Troverò un modo affinché mio marito sbrighi

la faccenda in fretta. Ci sono cose molto più interessanti al mondo che passare ore a letto a fare quello.

— A proposito del misterioso gentiluomo che un giorno diventerà tuo marito, dobbiamo iniziare a studiare la strategia della nostra prossima campagna. La Stagione non inizierà prima di gennaio, il che ci lascia diversi mesi per prepararci.

— Daisy e io abbiamo bisogno di qualche aristocratico che sponsorizzi la nostra causa. E di lezioni di etichetta. Purtroppo, dal momento che non hai sposato un nobile, non hai una grande influenza sociale e noi siamo al punto di partenza. Senza offesa, cara.

— Figurati — replicò Annabelle con un sorriso. — Tuttavia, Simon ha degli amici aristocratici, in particolare lord Westcliff.

— No — disse Lillian con decisione. — Non voglio avere niente a che fare con lui.

— Perché no? L'americana sollevò un sopracciglio, come se fosse sorpresa del fatto

che ci fosse bisogno di spiegarlo. — Perché è l'uomo più insopportabile che ho mai conosciuto. — Ma è molto altolocato — insistette Annabelle. — Ed è il miglior

amico di Simon. Neanche a me è molto simpatico, ma potrebbe essere un alleato prezioso. Dicono che il titolo di Westcliff sia il più antico d'Inghilterra. Non esiste sangue più blu del suo.

— E lui lo sa bene — commentò Lillian in tono acido. — Nonostante tutti i suoi atteggiamenti populisti, si vede che è felicissimo di essere un aristocratico con un mucchio di sottoposti da comandare a bacchetta.

— Mi chiedo come mai non sia ancora sposato — osservò Daisy. — Nonostante i suoi difetti, bisogna ammettere che accalappiare lui sarebbe come pescare una balena.

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— Allora sarò lieta quando qualcuno lo arpionerà — borbottò Lillian, facendo scoppiare a ridere le altre due.

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Una piccola nube nella felicità di Annabelle era rappresentata dal fatto che, dal momento che suo marito non era un nobile né svolgeva una professione tra quelle considerate aristocratiche come il pastore, l'ufficiale di marina o il medico, spesso lei e Simon venivano esclusi dagli eventi mondani organizzati dall'alta società di cui Annabelle desiderava tanto far parte. Nonostante venissero invitati regolarmente dagli amici di lord Westcliff e da quanti erano finanziariamente obbligati nei confronti di Simon, Annabelle sentiva che i confini di classe e posizione sociale rimanevano invalicabili.

Il confronto con Lillian e Daisy, le era d'aiuto. Le sue amiche appartenevano alla nuova classe emergente di cui anche Simon faceva parte, e a differenza di Annabelle, non si crucciavano più di tanto di essere snobbate dagli esponenti delle famiglie più in vista dell'aristocrazia britannica, che trovavano spesso mortalmente noiosi e pieni di sé. Annabelle non si pentiva di avere sposato Simon, anche se soffriva nel sentirsi in qualche modo sospesa tra due mondi, il suo prima del matrimonio e quello di lui dopo, senza appartenere davvero a nessuno dei due.

Una sera, durante una piccola discussione, senza pensare, aveva espresso a Simon il suo malessere. L'espressione di lui non era cambiata, ma Annabelle aveva sentito di averlo ferito. Dispiaciuta, aveva cercato più volte di riprendere il discorso, ma il marito si era sempre rifiutato di parlarne, e nonostante il loro rapporto fosse ben presto tornato a essere apparentemente quello di sempre, c'erano momenti in cui Annabelle

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avvertiva che lui, forse per tutelarsi, manteneva una sia pur minima distanza tra loro. Tuttavia, non mancava mai di offrirle aiuto e sostegno incondizionati, ogni volta che ne aveva bisogno, e lo dimostrò ancora una volta la notte in cui i guai vennero da una fonte assolutamente inattesa.

Simon era rientrato tardi, dopo aver passato la giornata nel cantiere della Consolidated Locomotive. Fece il suo ingresso nella suite del Rutledge accompagnato da un odore pungente di polvere di carbone, olio lubrificante e metallo, con gli abiti decisamente provati da una giornata in fabbrica.

— Che cosa diamine hai fatto? — chiese Annabelle, divertita e allarmata al tempo stesso dal suo aspetto malridotto.

— Sono andato in giro per la fonderia — rispose lui, sfilandosi panciotto e camicia non appena varcata la soglia della camera da letto.

— Devi aver fatto qualcosa di più del semplice andare in giro. Che cosa sono quelle macchie sui vestiti? Hai l'aspetto di uno che ha costruito una locomotiva da solo.

— A un certo punto c'è stato bisogno di un po' di aiuto extra. — Simon lasciò cadere a terra la camicia, scoprendo un'ampia superficie di muscoli levigati. Sembrava particolarmente di buon umore. Era un uomo di grande fisicità e amava molto usare il proprio corpo, anche quando comportava qualche rischio.

Accigliata, Annabelle andò a riempirgli una vasca nell'adiacente sala da bagno e quando tornò lo trovò con indosso solo la biancheria intima. Aveva un livido grande come un pugno sulla gamba e il segno di una bruciatura sul polso, che la fecero sussultare.

— Sei ferito! Cos'è successo? Simon rimase per un attimo sconcertato dalla sua agitazione e dal modo

in cui si era precipitata verso di lui. — Non è nulla — disse, prendendola per la vita. Annabelle si liberò nervosamente delle sue mani e si inginocchiò davanti a lui per ispezionare il livido. — Come te lo sei fatto? — chiese con voce tremante, sfiorandolo con la

punta delle dita. — È successo alla fonderia, vero? Simon Hunt, voglio che tu stia alla larga da quel posto!

Simon la fece alzare, poi le sfiorò la nuca in una carezza rassicurante. — Ti stai agitando un po' troppo, per un livido e una piccola bruciatura,

non credi? — Le sfiorò la guancia con un bacio. — Non devi preoccuparti per me.

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— Qualcuno deve pur farlo. — Annabelle era fortemente consapevole della forza e della solidità del corpo di Simon, così vicino al suo. Aveva una struttura forte e al tempo stesso virilmente aggraziata. Ma non era invulnerabile né indistruttibile. Era solo un essere umano, e Annabelle capì quanto la sua incolumità e il suo benessere fossero diventati importanti per lei. Allontanandosi, andò a controllare il livello dell'acqua nella vasca.

— Odori come un treno. — Con una ciminiera molto lunga — aggiunse Simon, seguendola da

vicino. — Se stai cercando di fare lo spiritoso, non disturbarti. Sono furiosa con

te. — Perché? — chiese lui, abbracciandola da dietro. — Perché mi sono

ferito? Credimi, le tue parti preferite funzionano ancora tutte benissimo. — La baciò sul collo, mentre con la mano risaliva ad accarezzarle il seno.

— Il tuo bagno è pronto — lo esortò Annabelle, divertita suo malgrado, liberandosi dall'abbraccio e chinandosi a chiudere i rubinetti.

Simon si sfilò la biancheria, lasciandola cadere sul pavimento piastrellato, ed entrò nella vasca. Si abbassò con cautela, perché la vasca non era stata progettata per un uomo dal fisico imponente come il suo, ed emise un sospiro soddisfatto quando sentì l'acqua calda avvolgerlo. In piedi accanto a lui, Annabelle gli passò una mano tra i capelli.

— Aspetta. Non immergere il braccio nell'acqua: ti aiuto io a lavarti. Mentre lo insaponava, fece un piacevole inventario del corpo atletico del

marito. Passò lentamente le mani sulla superficie solida dei muscoli, che in alcuni punti era tesa e in rilievo, in altri liscia e compatta. Da quella creatura sensuale che era, Simon non fece alcuno sforzo per nascondere il piacere che provava, osservandola rilassato attraverso le palpebre socchiuse. Alle sue carezze i muscoli si irrigidirono e il respiro si fece più rapido, benché ancora controllato.

Il silenzio nella stanza era rotto solo dallo sciabordio dell'acqua e dal rumore dei loro respiri. Con aria trasognata, Annabelle gli infilò le dita tra i peli insaponati del petto, ricordando come le solleticavano il seno quando il corpo di lui si muoveva sul suo.

— Simon — sussurrò. Lui aprì gli occhi a incontrare il suo sguardo. Posò la mano sulla sua,

stringendosela al petto. — Sì?

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— Se ti succedesse qualcosa, io... — Annabelle si interruppe, sentendo bussare con energia alla porta della suite. Quel suono la richiamò alla realtà. — Chi potrebbe essere?

— Hai chiesto che ti portassero qualcosa? Scuotendo la testa, Annabelle si sollevò e prese una salvietta per asciugarsi le mani. — Ignoralo. Lei scosse il capo, mentre i colpi alla porta si facevano più insistenti. — Non credo che il nostro visitatore si arrenderà facilmente. Immagino

che dovrò andare a vedere chi è. Uscì dalla stanza da bagno e chiuse la porta dietro di sé, per dar modo a

Simon di finire tranquillamente di lavarsi. Poi si diresse verso la porta e l'aprì.

— Jeremy! — Il piacere per la visita inaspettata del fratello svanì non appena vide la sua espressione. Il viso di Jeremy era pallido e stravolto, la sua bocca serrata in una linea tesa. Non indossava cappello né giacca, e aveva i capelli completamente spettinati. — C'è qualcosa che non va? — gli chiese, facendolo entrare.

— Puoi ben dirlo. Notando il panico a malapena contenuto del suo sguardo, Annabelle lo

fissò sempre più preoccupata. — Dimmi che cos'è successo. Lui si passò una mano tra i capelli, che gli rimasero tutti dritti in testa.

— Il fatto è che... — Tacque con aria sgomenta, come se lui stesso non potesse credere a quello che stava per dire.

— Il fatto è che... — Il fatto è che... nostra madre ha pugnalato una persona. Annabelle lo guardò attonita. Lentamente, il suo viso si atteggiò a

un'espressione di rimprovero. — Jeremy — disse con fermezza. — Questo è lo scherzo più... — Non è uno scherzo! Magari lo fosse. Annabelle non fece alcuno sforzo per nascondere il proprio scetticismo. — E chi avrebbe accoltellato? — Lord Hodgeham. Un vecchio amico di papà... te lo ricordi? Annabelle impallidì di colpo, mentre un senso di orrore si faceva strada

dentro di lei. — Sì — sussurrò con un filo di voce. — Me lo ricordo.

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— A quanto pare è venuto a casa questa sera, mentre io ero fuori con degli amici. Sono tornato presto e non appena ho varcato la soglia ho visto il sangue sul pavimento dell'ingresso. Ho seguito le tracce di sangue fino al salotto. Lì ho trovato la cuoca che singhiozzava in preda a un attacco isterico mentre il lacchè cercava di pulire una pozza di sangue dal tappeto e la mamma se ne stava in piedi, senza dire una parola. Sul tavolo c'erano un paio di forbici insanguinate, quelle che usa quando ricama. Da quanto sono riuscito a capire interrogando la servitù, sembra che Hodgeham sia andato in salotto con la mamma, si sono sentiti i rumori di una lite, dopodiché lui è uscito barcollando con le mani premute sul petto.

La mente di Annabelle iniziò a lavorare a una velocità doppia rispetto al solito, mentre una serie di pensieri le turbinavano in testa all'impazzata. Lei e Philippa avevano tenuto nascosta la verità a Jeremy, che era sempre stato a scuola quando Hodgeham veniva a fare le sue visite. Per quanto ne sapeva lei, suo fratello non aveva mai saputo che Hodgeham fosse mai venuto a trovarle.

Sarebbe rimasto sconvolto se avesse scoperto che parte del denaro con

cui erano state pagate le sue rette scolastiche era stato ottenuto in cambio di... No, non doveva scoprirlo! Avrebbe inventato una spiegazione. Più tardi. In quel momento la cosa più importante era proteggere Philippa.

— Dov’è Hodgeham adesso? — chiese. — Quanto gravemente è rimasto ferito?

— Non ne ho idea. Sembra che sia uscito dal retro, dove lo aspettava la sua carrozza, e il cocchiere l'abbia portato via. — Jeremy scosse la testa, sconvolto. — Non so dove la mamma l'abbia colpito, né quante volte e soprattutto perché. Non parla... Si limita a fissarmi come se non ricordasse neanche il proprio nome.

— Dov'è adesso? Non dirmi che l'hai lasciata a casa da sola. — Ho detto al valletto di sorvegliarla e di non lasciarla mai... — Jeremy

s'interruppe e lanciò un'occhiata a un punto alle spalle di Annabelle. — Salve, signor Hunt. Mi dispiace di aver interrotto la vostra serata, ma sono venuto perché...

— Sì, ho sentito. La tua voce è arrivata nell'altra stanza. Simon era in piedi, intento a infilarsi con calma una camicia pulita nei

pantaloni, lo sguardo fisso su Jeremy. Voltandosi, Annabelle rimase raggelata alla vista del marito. A volte

dimenticava quanta soggezione potesse incutere, ma in quel momento, con

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quello sguardo determinato e un'espressione assolutamente impassibile, appariva spietato come un sicario.

— Perché mai Hodgeham è venuto a casa nostra a un'ora simile? — si chiese Jeremy ad alta voce, con il giovane viso stravolto dalla preoccupazione. — E perché la mamma l'ha ricevuto? Che cosa può averla provocata fino al punto di colpirlo? Lui deve averla oltraggiata in qualche modo. Forse ha detto qualcosa su papà, oppure potrebbe averle fatto delle avances... quel lurido bastardo!

Nel silenzio carico di tensione che seguì le ipotesi di Jeremy, Annabelle aprì la bocca per dire qualcosa, ma Simon la fermò

scuotendo leggermente la testa. Poi si rivolse a Jeremy con voce calma e controllata.

— Corri alle stalle sul retro dell'albergo e fai preparare la mia carrozza. Digli di sellare anche il mio cavallo. Dopodiché vai a casa, prendi il tappeto e gli abiti macchiati di sangue e portali alla fabbrica di locomotive, nel primo edificio del complesso. Di' che ti mando io e il responsabile non farà domande. C'è una fornace...

— Sì — disse Jeremy, che aveva capito al volo. — Brucerò tutto. Simon annuì brevemente e il ragazzo si diresse alla porta senza

aggiungere altro. Annabelle si rivolse al marito. — Simon, io... voglio andare da mia

madre. — Puoi andare con Jeremy. — Non so che cosa si debba fare con lord Hodgeham... — Lo troverò io — disse Simon con aria cupa. — Prega solo che la

ferita sia superficiale. Se muore, sarà molto più difficile coprire questo pasticcio.

Annabelle annuì, mordendosi le labbra. — Pensavo che ci fossimo finalmente sbarazzate di lui. Non avrei mai pensato che osasse molestare di nuovo mia madre, dopo che tu e io ci siamo sposati. Sembra che nulla possa fermarlo.

Simon la prese per le spalle e parlò, con una calma quasi inquietante. — Lo fermerò io. Puoi esserne certa. — Che cosa intendi... — Ne parleremo dopo. Adesso, prendi il tuo mantello. — Sì — sussurrò Annabelle, precipitandosi verso l'armadio.

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Quando lei e Jeremy arrivarono a casa della madre, la trovarono seduta sulle scale, con un bicchiere di liquore tra le mani. Sembrava una bambina smarrita, e ad Annabelle si strinse il cuore.

— Mamma — mormorò, sedendosi sul gradino accanto a lei. Le passò un braccio intorno alle spalle curve. Nel frattempo, con aria efficiente, Jeremy ordinò al valletto di aiutarlo ad arrotolare il tappeto del salotto e trasportarlo nella carrozza parcheggiata davanti alla casa. Nonostante la sua preoccupazione, Annabelle non potè fare a meno di notare che stava gestendo la situazione molto bene, per essere solo un ragazzo di quattordici anni.

Philippa sollevò la testa e la fissò con occhi smarriti. — Mi dispiace tanto.

— Non devi... — Proprio quando pensavo che tutto fosse finalmente a posto,

Hodgeham è venuto qui. Ha detto che intendeva continuare a farmi visita e che, se non avessi acconsentito, avrebbe rivelato a tutti quello che era accaduto tra noi. Ha detto che ci avrebbe rovinati e che mi avrebbe additato alla pubblica vergogna. Ho pianto, ho implorato e lui ha rìso... Quando ha allungato le mani su di me, mi è scattato qualcosa dentro. Ho visto le forbici sul tavolo, non ho potuto fare a meno di raccoglierle e... ho cercato di ucciderlo. Spero di esserci riuscita. Non importa che cosa mi succederà adesso...

— Calmati, mamma. — mormorò Annabelle abbracciandola. — Nessuno può rimproverarti per quello che hai fatto: lord Hodgeham era un mostro e...

— Era? — chiese Philippa attonita. — Allora è morto? — Non lo so. Ma tutto andrà a posto in ogni caso: Jeremy e io siamo qui

e il signor Hunt non lascerà che ti accada nulla. — Mamma — chiamò Jeremy, sollevando un'estremità del tappeto

arrotolato e trasportandolo con l'aiuto del valletto verso l'ingresso posteriore della casa. — Sai dove sono le forbici? — La domanda aveva un tono talmente casuale che si sarebbe potuto pensare che gli servissero per tagliare lo spago di un pacco.

— Le ha la cuoca, credo — rispose Philippa. — Sta cercando di pulirle. — D'accordo, me le farò dare da lei. — Mentre procedevano lungo

l'atrio, Jeremy raccomandò che desse- ro un'occhiata ai vestiti. — Tutto quello che è macchiato di sangue

dev'essere gettato via.

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— D'accordo, caro. Ascoltando quella conversazione, Annabelle non riuscì a non chiedersi

come fosse potuto accadere che lei e la sua famiglia si trovassero a conversare amabilmente su come fare sparire le prove di un omicidio. Al pensiero di aver provato un certo senso di superiorità rispetto alla famiglia di Simon, si sentì arrossire violentemente.

Due ore dopo, Philippa aveva finito di bere il suo liquore ed era stata messa a letto. Simon e Jeremy arrivarono a casa quasi contemporaneamente. Sostarono brevemente a parlare nell'ingresso. Quando Annabelle scese le scale, si fermò a mezza rampa, vedendo Simon stringere affettuosamente a sé il ragazzo con un braccio, mentre con l'altra mano gli scompigliava i capelli già spettinati. Il gesto quasi paterno ebbe un effetto rassicurante su Jeremy, che riuscì a prodursi in un sorriso esausto. Annabelle rimase immobile ad osservarli.

Era sorprendente che Jeremy avesse accettato Simon con tanta facilità, mentre lei si aspettava che si ribellasse alla sua autorità. Le faceva un effetto strano quel legame che si era subito creato tra loro, soprattutto sapendo che non era facile conquistarsi la fiducia di Jeremy. Fino a quel momento, non aveva pensato che sollievo dovesse essere per suo fratello avere qualcuno a cui appoggiarsi, una persona forte in grado di risolvere problemi che lui era ancora troppo giovane per affrontare da solo. La luce dorata della lampada dell'atrio faceva risplendere le ciocche lucide dei capelli di Simon e rischiarò la linea marcata dei suoi zigomi, quando sollevò il viso verso di lei.

Dominando un groviglio di emozioni contrastanti, Annabelle finì di scendere le scale.

— Hai trovato Hodgeham? Che cosa... — Sì, l'ho trovato. — Prendendo il mantello posato sulla ringhiera,

Simon glielo posò sulle spalle. — Vieni, ti racconterò tutto mentre torniamo a casa.

Annabelle si rivolse al fratello. — Jeremy, per te va bene se ce ne andiamo?

— Ho la situazione sotto controllo — rispose il ragazzo con aria decisa. Gli occhi di Simon scintillarono divertiti, mentre posava una mano sulla

schiena di Annabelle. — Andiamo — mormorò. Una volta che furono nella carrozza, lei iniziò a tempestarlo di domande,

fino a che lui non le tappò la bocca con una mano.

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— Ti dirò tutto, se riuscirai a stare buona per un minuto o due. — Annabelle annui sotto le sue dita e lui sorrise, togliendole la mano dalla bocca e chinandosi a rubarle un rapido bacio. Dopodiché si appoggiò con la schiena al sedile e la sua espressione tornò seria. — Ho trovato Hodgeham a casa sua, assistito dal suo medico curante. È stato un bene che arrivassi in quel momento, perché avevano già chiamato un poliziotto e stavano aspettando che arrivasse.

— Come hai convinto i suoi servitori a lasciarti entrare? — Ho spalancato la porta con uno spintone e sono entrato, chiedendo

che mi portassero da Hodgeham immediatamente. C'è stata una tale confusione che nessuno ha osato contraddirmi. Un valletto mi ha scortato lino alla camera da letto del piano superiore, dove il medico stava ricucendo la ferita. — L'espressione di Simon si venò di sarcasmo. — Ovviamente avrei potuto trovare la stanza da solo, seguendo gli strilli di quel bastardo.

— Quali che siano le sue sofferenze, non saranno mai abbastanza, per quanto mi riguarda. Come stava e che cos'ha detto, quando sei apparso nella stanza?

Simon fece una smorfia di disgusto. — Era una ferita alla spalla, piuttosto piccola. E la maggior parte di quello che ha detto non è ripetibile. L'ho lasciato blaterare per qualche minuto, poi ho chiesto al dottore di aspettare nella stanza accanto mentre scambiavo due parole in privato con lord Hodgeham. Gli ho detto che ero molto dispiaciuto di aver saputo dei problemi digestivi che

aveva avuto, un commento che l'ha lasciato interdetto, finché non gli ho spiegato che era nel suo interesse dire a parenti e amici che la sua indisposizione dipendeva da un'influenza intestinale e non da una ferita.

— E se non lo facesse? — chiese Annabelle. — Gli ho chiarito che se non l'avesse fatto l'avrei sbudellato come una

mucca da macellare. E che se avessi sentito anche il minimo pettegolezzo che infangasse la reputazione di tua madre, l'avrei ritenuto personalmente responsabile, e a quel punto di lui non sarebbe rimasto abbastanza nemmeno per la sepoltura. Quando ho finito, era così terrorizzato che aveva a malapena il coraggio di respirare. Credimi, non darà mai più fastidio a tua madre. Quanto al dottore, gli ho pagato la visita e l'ho convinto a dimenticare l'episodio. A quel punto me ne sarei andato, ma ho dovuto aspettare che arrivasse il poliziotto.

— E al poliziotto che cos'hai detto?

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— Che c'era stato un errore e che non c'era bisogno di lui. Per scusarmi del disturbo, gli ho detto di andare alla taverna dell'Orso Bruno, quando finiva il turno di servizio, e bere quanto voleva a spese mie.

— Grazie a Dio. — Oltremodo sollevata, Annabelle si strinse a Simon. Sospirò contro la sua spalla. — E Jeremy? Che cosa gli diremo?

— Non c'è bisogno che sappia la verità: servirebbe solo a ferirlo e a confonderlo. Per quanto mi riguarda, Philippa si è indignata, quando Hodgeham le ha fatto delle avances, e ha avuto una reazione eccessiva. — E adesso ho un suggerimento a cui vorrei che tu pensassi seriamente.

Chiedendosi se il suggerimento di Simon non fosse in realtà un velato ordine, Annabelle lo guardò.

— Quale? — Credo che sarebbe meglio se Philippa si allontanasse un po' da

Londra e da Hodgeham, finché non si saranno calmate le acque. — Allontanarsi quanto? E dove potrebbe andare? — Potrebbe unirsi a mia madre e a mia sorella nel loro giro sul

Continente. Partiranno tra pochi giorni. — È l'idea peggiore che io abbia mai sentito — esclamò Annabelle. —

Voglio che mia madre rimanga qui, dove Jeremy e io possiamo prenderci cura di lei. Inoltre, posso assicurarti che tua madre e tua sorella non sarebbero certo entusiaste della cosa...

— Manderemo con loro anche Jeremy. Ha tempo sufficiente, prima che cominci il prossimo trimestre, e potrebbe essere un'ottima scorta per tutte e tre.

— Povero Jeremy... — Annabelle cercò di immaginarlo a scortare il trio di donne in giro per l'Europa. — Non augurerei una sorte simile al mio peggior nemico.

Simon sorrise. — Probabilmente imparerà molte cose sulle donne. — Nessuna delle quali piacevole — ribatté Annabelle. — Perché credi

sia necessario allontanare mia madre da Londra? Lord Hodgeham rappresenta ancora un pericolo?

— No. Te l'ho detto: non oserà mai più avvicinarsi a Philippa. Tuttavia, se dovesse venir fuori qualche altro problema con lui, preferirei affrontarlo mentre tua madre è assente. Inoltre, Jeremy mi ha detto che è sconvolta. Comprensibile, date le circostanze. Qualche settimana in viaggio la farebbe sentire meglio.

Annabelle considerò attentamente la proposta e lini per ammettere che non era del tutto insensata. Era molto tempo che Philippa non faceva una

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vacanza. E se Jeremy fosse andato con lei, probabilmente sarebbe anche riuscita a tollerare la compagnia delle Hunt. Quanto ai desideri di Philippa, in quel momento sembrava troppo scossa per prendere qualsiasi decisione. Era verosimile che avrebbe acconsentito a qualunque proposta le avessero fatto lei e Jeremy.

— Simon... Stai chiedendo la mia opinione, o mi stai comunicando una decisione che hai già preso?

Lui la scrutò serio. — Quale risposta ti spingerebbe di più ad acconsentire? — Rise tra sé, leggendole la risposta in faccia. — Molto bene... Allora te lo sto chiedendo.

Annabelle sorrise e si strinse a lui. — Allora, se Jeremy è d'accordo, lo sono anch'io.

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Annabelle non aveva chiesto a Simon come Bertha e Meredith avessero preso la notizia dei loro nuovi compagni di viaggio, e in realtà non era affatto ansiosa di conoscere la risposta. L'unica cosa che contava era che Philippa sarebbe stata lontana da Londra e da tutto quello che poteva ricordarle lord Hodgeham. Sperava che sua madre tornasse rilassata e rigenerata da quel viaggio, pronta a iniziare una nuova vita. L'esperienza poteva perfino risultare divertente per Jeremy, che non vedeva l'ora di visitare alcuni dei luoghi che aveva studiato a scuola.

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Dal momento che mancava meno di una settimana alla partenza, Annabelle si lanciò nell'impresa di preparare i bagagli, cercando di prevedere tutto quello di cui avrebbero avuto bisogno durante le sei settimane del viaggio. Palesemente divertito dalla quantità di vettovaglie che Annabelle aveva procurato, Simon commentò che sembrava che dovessero aprirsi la strada lungo terre inesplorate, più che alloggiare in una serie di alberghi e pensioni.

— Viaggiare all'estero può essere scomodo, a volte — ribatté Annabelle infilando scatole di tè e biscotti in un sacchetto di pelle. Accanto al letto torreggiava già una pila di scatole e pacchi, mentre continuava a sistemare articoli di vario genere in mucchi ordinati. Tra le altre cose, aveva preso una serie di preparati dalla farmacia, lenzuola di scorta, libri e una collezione di cibi in scatola. Sollevando un barattolo di marmellata, lo osservò con occhio critico. — Il cibo è diverso, sul Continente...

— Già — ammise Simon con aria seria. — A differenza del nostro, si dice che abbia un sapore.

— E il clima può essere duro. — Cielo azzurro e sole splendente? Di certo vorranno evitarlo a tutti i

costi. Annabelle gli lanciò un'occhiataccia. — Di certo hai di meglio da fare,

che stare a guardare me che apro scatole. — Non quando lo fai in camera da letto.

Annabelle si raddrizzò, incrociando le braccia, e gli lanciò uno sguardo provocante.

— Temo che dovrai controllare i tuoi bassi istinti, signor Hunt. Forse non l'hai notato, ma la luna di miele è finita.

— La luna di miele non è finita finché non lo dico io — la informò Simon, afferrandola prima che riuscisse a sfuggirgli. Posò la bocca su quella di lei in un bacio appassionato, poi la spinse sul letto. — Il che vuol dire che non hai speranze.

Ridendo, Annabelle fu sommersa dal groviglio delle proprie gonne, finché non si ritrovò bloccata sul materasso, col marito sdraiato su di lei.

— Devo continuare a fare i bagagli — protestò, mentre lui si sistemava tra le sue gambe. — Simon...

— Ti ho mai detto che so slacciare i bottoni con i denti? Ad Annabelle sfuggì una risatina e cercò di divincolarsi, vedendo che

abbassava la testa verso il corpino dell'abito. — Non è un'abilità molto utile, direi.

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— È utile, in alcune situazioni. Lascia che te lo dimostri... Per quel giorno, la preparazione dei bagagli non procedette di molto. Alla fine, venne il giorno in cui Annabelle si ritrovò davanti alla porta

della sua casa di famiglia a salutare la madre e il fratello che si allontanavano in una carrozza che li avrebbe portati a Dover, dove si sarebbero incontrati con le Hunt per fare insieme la traversata verso Calais.

Simon era in piedi accanto a lei, con un braccio posato sulle sue spalle, mentre la carrozza girava l'angolo e si allontanava lungo la strada principale. Annabelle salutò ancora una volta con la mano, chiedendosi come se la sarebbero cavata senza di lei.

Una volta in casa, Simon chiuse la porta. — È la cosa migliore — le assicurò.

— Per loro o per noi? — Per tutti. Sono certo che le prossime settimane passeranno molto in

fretta. Nel frattempo, tu sarai molto occupata, signora Hunt. Tanto per cominciare, questa mattina stessa abbiamo appuntamento con l'architetto per definire il progetto della casa, poi dovrai scegliere tra due lotti che il nostro agente ha trovato a Mayfair.

Annabelle gli appoggiò la testa contro il petto. — Grazie a Dio. Iniziavo a disperare di poter mai lasciare il Rutledge. Non che mi sia dispiaciuto soggiornarci, bada bene. Ma ogni donna vuole una casa sua e... — S'interruppe, sentendo che lui iniziava a sfilarle le forcine dai capelli. — Simon — lo ammonì. — Non farlo. Ci vuole un sacco di tempo a rifare l'acconciatura e... — Sospirò e lo guardò con aria piena di rimprovero quando sentì che i capelli le ricadevano sulle spalle e le forcine precipitavano a terra tintinnando.

— Non posso farne a meno. Hai dei capelli così belli... — Simon se ne portò una ciocca setosa al viso, strofinandosela contro la guancia. — Sono così morbidi... e profumano come fiori. Come fai a dargli questo profumo così buono?

— Con un sapone — replicò Annabelle, nascondendo un sorriso. — Il sapone dei Bowman, per la precisione. Daisy me ne ha dato un po': il padre gliene manda casse da New York.

— Mmmh... Non sorprende che sia un milionario. Qualunque donna vorrebbe profumare così. Dove altro lo usi? — le sussurrò.

— Ti inviterei a scoprirlo, ma dobbiamo incontrare l'architetto, ricordi? — Può aspettare.

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— Anche tu — replicò Annabelle con aria severa. — Santo cielo, Simon, non si può certo dire che non abbia cercato di soddisfarti...

Lui le catturò la bocca in un bacio così intenso e coinvolgente, che Annabelle dimenticò qualsiasi pensiero razionale. Affondandole le mani nei capelli, la spinse con la schiena contro il muro e continuò a esplorarla con la lingua fino a che lei non si sentì quasi girare la testa e si aggrappò alle maniche della sua giacca. Gradualmente Simon si staccò.

— Non riesco a controllarmi, quando si tratta di te. Ogni minuto in cui non stiamo insieme, riesco a pensare solo a essere dentro di te. Odio tutto quello che ti tiene lontana da me.

Allungò le mano verso la sua schiena, strappandole i bottoni del vestito nella foga di slacciarli. Le sfilò l'abito dalle braccia, calpestandone deliberatamente l'orlo. L'indumento maltrattato si strappò e cadde a terra. L'attirò a sé, afferrandole il polso e guidandole la mano verso il proprio inguine.

— Voglio farti urlare e agitare e abbandonare tra le mie braccia — le sussurrò, graffiandole la pelle con la guancia non perfettamente rasata. — Ho bisogno di toccarti dappertutto, dentro e fuori, fin dove riesco ad arrivare...

Rendendosi conto che era sul punto di venire posseduta nell'ingresso della sua casa di famiglia, Annabelle si sottrasse al suo abbraccio. Anche nei momenti di maggiore eccitazione, Simon le era sempre sembrato in grado di controllarsi, di tenere a freno la propria passione. Non aveva mai temuto che potesse non essere gentile con lei, fino a quel momento. Aveva un aspetto quasi selvaggio, il viso animato da un'espressione oscura che non le era familiare. Sentì il cuore batterle all'impazzata e si passò la lingua sulle labbra secche.

— La mia camera... — riuscì a dire, voltandosi verso le scale. Iniziò a salire con le gambe che le tremavano. Dopo pochi scalini Simon la raggiunse, la fece voltare e prima che potesse emettere un suono, la sollevò tra le braccia trasportandola su per la rampa con incredibile facilità.

In camera da letto, la vista della sagoma scura di lui tra le pallide stoffe arricciate, i pizzi lisi e i primi lavoretti di cucito di quando era bambina suscitò in lei una strana emozione. Spogliandola in modo frettoloso, Simon la fece distendere sul letto, le cui lenzuola avevano un odore leggermente stantio, dato che non venivano usate da molto tempo. Annabelle ricambiò il suo impeto spalancando le braccia per stringerlo a sé, aprendo le gambe al minimo tocco di lui.

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Simon la penetrò con un'unica lunga spinta, e Annabelle si allargò nello sforzo di accoglierlo. Una volta dentro di lei si fece più delicato, e il suo impeto si trasformò in appassionata intensità. Sembrava che ogni dettaglio del suo corpo fosse studiato per darle piacere: i suoi muscoli possenti, la folta peluria che le solleticava dolcemente le punte dei seni, il suo odore e il suo sapore che le eccitavano i sensi.

Travolta da quella incredibile intimità, Annabelle sentì che le si riempivano gli occhi di lacrime, e Simon la confortò mormorandole cose dolci all'orecchio, mentre la penetrava a fondo, lentamente, prendendo di lei più di quanto Annabelle pensava fosse possibile dare. A un tratto emise un piccolo singhiozzo contro le sue labbra, implorandolo tacitamente di darle sollievo. Finalmente Simon accelerò il ritmo e la condusse a un orgasmo travolgente, unendosi a lei con un impeto esaltante e sconvolgente, nella sua potenza.

Pochi minuti dopo, mentre giaceva abbandonata contro di lui, con la guancia posata sulla sua spalla, Annabelle cercò di comprendere lo stupore dei propri sensi. Non si era mai sentita così appagata, con ogni nervo vibrante di piacere. Eppure aveva percepito qualcosa di nuovo nel modo in cui avevano fatto l'amore, una vetta che appariva in lontananza oltre il livello che avevano appena raggiunto, una possibilità non ancora realizzata che sembrava quasi alla loro portata. Una sensazione, un desiderio, un'emozione che non aveva ancora nome.

Chiudendo gli occhi, assaporò la vicinanza dei loro corpi, mentre quella promessa sfuggente aleggiava nell'aria come uno spirito benevolo.

Incuriosita dal progetto che occupava tanta parte dell'attenzione del marito, Annabelle gli chiese di poter visitare la fabbrica di locomotive, ricevendo come risposta rifiuti, diversivi e altre tattiche assortite per scoraggiarla. Quando capì che, per qualche ragione, lui non voleva portarla, divenne sempre più determinata ad andarci.

— Solo una breve visita — insistette una sera. — Voglio solo dare un'occhiata. Non toccherò nulla. Per l'amor di Dio, dopo averti ascoltato parlare della fabbrica di locomotive per tanto tempo avrò pure il diritto di vederla, no?

— È troppo pericoloso — rispose Simon in tono pacato. — Non c'è motivo che una donna vada in un luogo pieno di macchinari pesanti e tinozze da mezzo quintale piene di metallo fuso...

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— Sono settimane che mi dici quanto è sicuro quel posto e che non c'è ragione che mi preoccupi quando tu vai lì, e ora mi vieni a dire che è pericoloso?

Rendendosi conto dell'errore tattico che aveva commesso, Simon si accigliò.

— Il fatto che sia sicuro per me non significa che lo sia per te. — Perché no? — Perché sei una donna. Ribollendo come una delle tinozze di metallo fuso appena citate,

Annabelle lo squadrò socchiudendo gli occhi. — Ti risponderò tra un momento — disse a denti stretti. — Se riesco a

resistere alla tentazione di scagliarti addosso il primo oggetto pesante che mi capita a tiro.

Lui si aggirò per il salotto con aria frustrata, la tensione evidente in ogni linea del suo corpo. Alla fine, si fermò in piedi davanti a lei, che era seduta su un divanetto.

— Annabelle — cominciò in tono impacciato. — Visitare una fonderia è come scendere all'inferno. Cerchiamo di renderla il più sicura possibile, ma anche così è un luogo rumoroso, sporco e pieno di ostacoli. E... sì, può essere pericoloso. E tu... — S'interruppe, passandosi le dita tra i capelli e guardandosi in giro, come se avesse difficoltà a incrociare il suo sguardo. Con uno sforzo, si impose di continuare. —Tu sei troppo importante per me perché io possa farti correre rischi di qualunque tipo. È mio compito proteggerti.

Annabelle spalancò gli occhi. Era commossa e non poco sorpresa dal fatto che Simon avesse ammesso che lei era importante per lui. Mentre si fissavano, avvertì tra loro una strana tensione, non spiacevole, ma comunque sconcertante.

— Sono felice che tu mi protegga — mormorò. — Tuttavia, non desidero essere rinchiusa in una torre d'avorio. — Sentendo che Simon iniziava a vacillare, continuò in tono persuasivo. — Voglio sapere meglio quello che fai nelle ore in cui non sei con me. Voglio vedere questo posto, che è così importante per te. Ti prego.

Simon rimuginò in silenzio per un minuto. Quando rispose, aveva un tono leggermente risentito.

— D'accordo. Dal momento che è evidente che non avrò un momento di pace, altrimenti, ti ci porterò domani. Ma non dare la colpa a me se rimarrai delusa. Ti ho avvertito su cosa aspettarti.

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— Grazie — disse Annabelle soddisfatta, rivolgendogli un sorriso radioso, che si spense in parte quando sentì le parole che seguirono.

— Per fortuna, anche Westcliff verrà alla fonderia domani. Sarà un'ottima occasione per conoscervi meglio.

— Che piacere — disse Annabelle, cercando di non dare a vedere quanto poco la notizia la entusiasmasse. Non aveva ancora perdonato il conte per i giudizi taglienti che aveva espresso su di lei e per la sua convinzione che sposarla avrebbe rovinato la vita di Simon. Tuttavia, se lui pensava che la prospettiva di trovarsi in compagnia di un somaro pomposo come Westcliff sarebbe bastata a dissuaderla, si sbagliava. Passò il resto della serata a meditare su che peccato fosse che una moglie non potesse scegliere gli amici del marito al posto suo.

La mattina dopo, sul tardi, Simon portò Annabelle al cantiere della Consolidated Locomotive. La fila di enormi capannoni era irta di miriadi di ciminiere che emettevano un fumo che si spandeva ovunque. Le dimensioni della fabbrica erano maggiori di quanto si aspettasse Annabelle, che rimase senza parole davanti ai giganteschi macchinari che il cantiere ospitava.

Per prima cosa visitarono l'officina di assemblaggio, dove c'erano nove locomotori in stadi più o meno avanzati di produzione. Lo scopo della società era produrne quindici nel primo anno e raddoppiarne il numero l'anno successivo. Quando seppe che il costo per il funzionamento della fabbrica si aggirava intorno a un milione di sterline a settimana, con un investimento di capitali pari al doppio di quella somma, Annabelle fissò il marito a bocca aperta.

— Mio Dio — disse poi con voce roca. — Ma quanto sei ricco, esattamente?

Simon soffocò una risata a quella domanda. — Ricco abbastanza da tenervi ben fornita di stivaletti da passeggio, signora.

La loro seconda tappa fu il laboratorio in cui venivano esaminati i disegni dei pezzi da produrre per realizzare dei prototipi in legno che rispondessero alle specifiche indicate. In seguito, spiegò Simon ad Annabelle, i prototipi sarebbero serviti per costruire degli stampi nei quali il ferro liquido veniva fatto colare e raffreddare. Affascinata, Annabelle fece un mucchio di domande sul processo di fusione, su come funzionavano i vari macchinari e sul perché il ferro raffreddato in fretta fosse più resistente di quello raffreddato lentamente.

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Nonostante l'iniziale ritrosia, Simon sembrava contento di farle da guida e di tanto in tanto sorrideva nel vedere la sua espressione concentrata. La fece entrare con cautela nella fonderia e Annabelle scoprì che quando lui gliel'aveva descritta come la bocca dell'inferno non aveva esagerato tanto. La cosa non aveva nulla a che vedere con la condizione degli operai, che sembravano ben trattati, né con i locali in sé. Riguardava piuttosto la natura stessa del lavoro, una specie di caos coordinato in cui esalazioni di vario genere e rumori fragorosi, insieme al bagliore rossastro di enormi fornaci, fornivano uno sfondo movimentato agli operai coperti da pesanti abiti da lavoro e dotati di spranghe e mazze.

Spostandosi attraverso quel labirinto di fuoco e acciaio, i fonditori passavano accucciandosi sotto imponenti gru in movimento e tinozze piene di metallo fuso, fermandosi di tanto in tanto per lasciar passare enormi lastre di metallo che, oscillando, attraversavano loro la strada. Annabelle notò alcuni sguardi curiosi lanciati nella sua direzione, ma la maggior parte degli operai era troppo intenta al proprio lavoro per potersi permettere distrazioni.

Al centro della fonderia erano collocate altre gru che sollevavano carrelli pieni di ghisa grezza, ferraglia e carbone coke fino alla bocca di forni alti oltre sei metri. Il miscuglio di metalli veniva inserito nella bocca di ciascun camino, dove veniva liquefatto, spinto nei secchi di colata e versato infine negli stampi da altri macchinari in movimento. L'odore del combustibile, dei metalli e del sudore rendeva l'aria densa e pesante. Osservando il ferro fuso che veniva trasferito dai secchi di colata agli stampi, Annabelle si strinse istintivamente a Simon.

Lui le passò un braccio intorno alle spalle, mentre tentava di scambiare qualche parola gridata con il signor Mawer, il responsabile della supervisione.

— Avete visto lord Westcliff? — chiese Simon. — Doveva arrivare a mezzogiorno, ed è sempre molto puntuale.

L'operaio di mezza età si asciugò il volto sudato con un fazzoletto. — Credo che il conte sia nel reparto di assemblaggio, signor Hunt. Era preoccupato delle dimensioni dei nuovi stampi per i cilindri e voleva controllarli prima che fossero installati.

Simon lanciò un'occhiata ad Annabelle. — Usciamo — disse. — Fa troppo caldo e c'è troppo rumore, per aspettare Westcliff qui.

Sollevata all'idea di sottrarsi finalmente all'incessante fragore della fonderia, Annabelle acconsentì volentieri. Ora che aveva visitato il

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cantiere la sua curiosità era soddisfatta, e lei non vedeva l'ora di andarsene, anche se ciò avrebbe significato dover passare del tempo in compagnia di Westcliff. Mentre Simon si fermava a scambiare qualche parola con un tecnico, lei osservò un grosso mantice a vapore impiegato per soffiare aria a forza nel grande camino centrale. La spinta dell'aria faceva scorrere il metallo fuso in secchi di colata, ognuno dei quali conteneva circa cinquecento chili di liquido instabile.

Un cumulo di ferraglia venne infilato nella bocca sulla cima del forno: evidentemente era eccessivo, perché il caposquadra gridò qualcosa con aria alterata all'operaio che aveva caricato il carrello. Alcune grida di avvertimento da parte degli uomini in cima alla galleria annunciarono un altro sbuffo d'aria del mantice, e a quel punto avvenne il disastro. Il metallo liquefatto debordò dai secchi e scivolò in colate ribollenti lungo il camino, colpendo in vari punti i macchinari sottostanti. Simon si interruppe a metà di una frase e lui e il tecnico sollevarono simultaneamente lo sguardo.

— Gesù! — gridò Simon, e Annabelle intravide solo per un attimo il suo viso, prima che la spingesse a terra facendole scudo col proprio corpo. Nello stesso momento, due grumi di metallo fuso grossi come zucche caddero nei canali di raffreddamento sottostanti, provocando immediatamente una serie di esplosioni.

Seguì una successione di colpi fortissimi. Annabelle non aveva neanche fiato per gridare, mentre Simon si curvava sopra di lei, proteggendole la testa con le spalle. Dopodiché...

Silenzio. Sulle prime sembrò che la terra stessa avesse smesso improvvisamente

di girare. Disorientata, Annabelle sbatté le palpebre per schiarirsi la vista e venne accecata dal bagliore violento delle fiamme, contro cui le sagome scure dei macchinari si stagliavano come mostri in una miniatura medievale. Ondate intermittenti di calore la colpirono con tanta forza da rischiare di staccarle la pelle dal corpo. Un nugolo di schegge metalliche e viti volò nell'aria, come sparato da un cannone. Era circondata da immagini e in movimento convulso, tutte immerse in un silenzio straniante. A un tratto le sue orecchie furono assalite da un fischio acuto e prolungato.

Si sentì sollevare dal pavimento. Simon la tirò su, afferrandola per le braccia, con un unico potente strattone che la fece atterrare contro il suo petto. Le stava dicendo qualcosa. Annabelle non riusciva quasi a

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distinguere il suono della sua voce e iniziò a sentire gli scoppi di esplosioni minori e il ruggito delle fiamme che divoravano ferocemente l'edificio. Fissando il volto teso di Simon, cercò di comprendere le sue parole, ma venne distratta dalle punture di altri piccoli frammenti di metallo che le colpirono il viso e il collo come un nugolo di zanzare. Istintivamente, iniziò ad agitare scioccamente le mani, nel tentativo di allontanarle.

Simon l'afferrò e la trascinò attraverso quel pandemonio. L'enorme corpo cilindrico di una caldaia rotolò lentamente nella loro direzione, schiacciando tutto quello che incontrava sul suo cammino. Imprecando, lui la tirò indietro mentre il gigantesco oggetto le passava accanto. Dappertutto c'erano uomini che si accalcavano gridando, con gli occhi sgranati dalla paura, e si dirigevano caoticamente verso le uscite alle due estremità dell'edificio. Una nuova serie di esplosioni, accompagnata da grida roche, scosse la fonderia. Faceva troppo caldo per respirare e Annabelle si chiese confusamente se sarebbero bruciati vivi prima di riuscire a raggiungere la porta.

— Simon — gridò, stringendosi a lui. — Ripensandoci, ho deciso che avevi ragione.

— Su che cosa? — chiese lui, lo sguardo fisso verso la porta. — In effetti, questo posto è troppo pericoloso per me! Simon se la caricò in spalla, scavalcando braccia di gru cadute e pezzi di macchinari distrutti. La stringeva saldamente per le

ginocchia e Annabelle, sobbalzando impotente contro la sua schiena, notò dei fori insanguinati nella sua giacca e capì che l'esplosione gli aveva conficcato schegge di metallo e frammenti di vario tipo nella schiena, quando le aveva fatto scudo con il proprio corpo.

Superando numerosi ostacoli, finalmente Simon raggiunse la grande porta a tre ante della fonderia e la posò a terra, in piedi. Annabelle rimase interdetta, dato che la spingeva con forza verso qualcuno, gridandogli di prenderla. Voltandosi, scoprì che l'aveva affidata al tecnico. — Portatela fuori, Mawer — gli ordinò in tono perentorio. — Non fermatevi finché non sarà abbastanza lontana dall'edificio.

— Sì, signore. — L'uomo afferrò saldamente Annabelle. Mentre veniva condotta verso l'uscita, lei si voltò sconvolta verso

Simon. — Dove stai andando? — Devo assicurarmi che tutti riescano a uscire. Annabelle fu percorsa da un brivido di terrore. — No!

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Ti prego, vieni con me... — Arrivo tra cinque minuti — replicò lui bruscamente. Annabelle sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime di rabbia e

disperazione — Tra cinque minuti l'edificio sarà stato raso al suolo dal fuoco. — Non fermatevi! — gridò lui a Mawer, per poi girarsi e correre via. — Simon! — lo supplicò ancora Annabelle, vedendolo sparire

all'interno della fonderia. Fiamme crepitanti si levavano fino al soffitto e i macchinari scricchiolavano per l'intenso calore. Fumo nero usciva dalle porte, levandosi in nubi scure che contrastavano con le nuvole bianche sospese nel cielo. Annabelle si rese conto che era inutile cercare di resistere alla presa salda di Mawer. Inspirò grandi boccate di aria pulita, tossendo mentre i suoi polmoni irritati cercavano di espellere il fumo che avevano respirato. Mawer non si fermò fino a che non l'ebbe condotta su un vialetto coperto di ghiaia, ordinandole severamente di non muoversi.

— Uscirà — le disse in tono spiccio. — Restate qui e guardate se arriva. Promettetemi di non muovervi, signora Hunt. Devo controllare se i miei uomini ci sono tutti e non ho bisogno di ulteriori problemi da parte vostra.

— Non mi muoverò di qui — rispose Annabelle, tenendo gli occhi puntati sulla porta della fonderia. — Andate.

Rimase immobile a fissare l'edificio, mentre intorno a lei fervevano le attività. Alcuni uomini passavano di corsa, mentre altri si accucciavano accanto ai feriti. Alcuni erano rimasti immobili come statue, fissando inebetiti le fiamme. Il fuoco ruggiva con una potenza che faceva vibrare il suolo, acquistando forza sempre maggiore man mano che divorava la fonderia. Annabelle vide due dozzine di uomini trascinare vicino all'edificio un'enorme pompa, che evidentemente tenevano a portata di mano in caso di emergenza. La collegarono a una cisterna d'acqua sotterranea e, pompando tutti insieme, riuscirono a far sgorgare un getto che si levò in aria per una trentina di metri. Ma i loro sforzi risultarono del tutto inadeguati contro la vastità di quell'inferno.

Ad Annabelle ogni minuto che passava sembrava un anno. Sentì le sue labbra muoversi in una preghiera silenziosa "Simon, vieni fuori... Simon, vieni fuori..."

Sulla soglie della fonderia si stagliarono una mezza dozzina di sagome, con i volti e gli abiti anneriti dal fumo. Annabelle li scrutò ansiosamente uno per uno. Quando si rese conto che Simon non era tra loro, si girò a guardare verso la pompa. Gli uomini avevano diretto il getto verso

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l'edificio adiacente, nel tentativo di impedire all'incendio di diffondersi. Scosse la testa incredula, rendendosi conto che avevano dato per persa la fonderia, con tutto ciò che conteneva, compreso chiunque fosse rimasto intrappolato all'interno. Disperata, corse dall'altro lato dell'edificio, scrutando ansiosamente la folla in cerca di suo marito.

Scorse uno dei capisquadra che faceva la conta dei propri uomini e si diresse correndo verso di lui.

— Dov'è il signor Hunt? — chiese gridando. — C'è stato un altro crollo all'interno. Il signor Hunt stava aiutando a

liberare un operaio che era rimasto incastrato sotto i detriti. Da allora, nessuno l'ha più visto.

Nonostante il calore bruciante che irradiava dalla fonderia, Annabelle si sentì gelare fino alle ossa. La bocca le tremò. — Se fosse stato in grado di uscire l'avrebbe già fatto. Ha bisogno di aiuto. Qualcuno può andare dentro a cercarlo?

L'uomo la guardò come se stesse delirando. — Lì dentro? Sarebbe un suicidio. — Voltandole le spalle, corse in aiuto di un uomo che era crollato al suolo, infilandogli una giacca ripiegata sotto la testa. Quando si voltò nuovamente verso Annabelle, lei era sparita.

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Se qualcuno notò la donna che correva dentro l'edificio, non cercò di fermarla. Coprendosi la bocca e il naso con un fazzoletto, Annabelle si fece strada tra le nubi di fumo acre che le facevano sgorgare fiumi di lacrime dagli occhi. Il fuoco, che era iniziato dall'altro lato della fonderia, ora la stava attraversando, divorandola lungo il cammino in alte fiammate. Ancora più del calore rovente, faceva paura il rumore: il ruggito delle fiamme, i gemiti del metallo che si piegava, il fragore di macchinari che crollavano come giocattoli, lo scoppiettio delle colate di metallo liquefatto che ribollivano e di tanto in tanto lanciavano schizzi roventi.

Sollevandosi le gonne come meglio poteva, Annabelle procedeva inciampando nei detriti fumanti, e chiamando a gran voce il nome di Simon. Proprio quando stava iniziando a disperare, scorse un movimento tra le macerie.

Con un grido, si precipitò verso la lunga forma distesa a terra. Era lui, vivo e cosciente, con una gamba intrappolata sotto il braccio di acciaio di una gru caduta. Quando la vide, il suo viso sporco e annerito si contorse in una smorfia di orrore, e si sforzò di sollevarsi in una posizione quasi seduta.

— Annabelle! — gridò, scosso da violenti colpi di tosse. — Maledizione, no! Esci subito!

Annabelle scosse la testa, senza sprecare fiato a discutere. La gru era troppo pesante perché uno di loro due potesse spostarla: doveva trovare una leva con cui sollevarla. Stropicciandosi gli occhi che le bruciavano, frugò in mezzo a una pila di detriti da cui sporgevano pezzi di metallo e contrappesi. Tutto era coperto da uno strato di grasso e di sporco, su cui i piedi le scivolavano mentre si aggirava per l'edificio devastato. Si fece strada fin lì e trovò una pila di assi e spranghe spesse come il suo polso.

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Afferrandone una coperta di grasso, la sollevò trascinandola fino al punto in cui si trovava suo marito.

Una sola occhiata a Simon le fu sufficiente per capire che, se avesse potuto metterle le mani addosso, l'avrebbe uccisa all'istante.

— Annabelle! — ruggì, tra un colpo di tosse e l'altro. — Esci da questo edificio adesso!

— Non senza di te. — Annabelle si diede da fare per spostare un blocco di legno, in origine collocato alla base di qualche macchinario.

Contorcendosi e strattonando la gamba incastrata, Simon rovesciò su di lei una sequela di improperi e minacce, mentre Annabelle trascinava il blocco di legno oltre il punto in cui si trovava lui e lo accostava alla gru.

— È troppo pesante! — sbraitò, mentre lei si sforzava di sollevare la spranga. — Non riuscirai a smuoverla. Esci di qui. Accidenti a te!

Ansimando per lo sforzo, Annabelle appoggiò la spranga sul blocco di legno e ne infilò l'estremità sotto il braccio della gru. Spinse verso il basso con tutto il proprio peso. La gru rimase esattamente dov'era, incurante dei suoi sforzi. Con un gemito di frustrazione lottò cercando di fare leva, finché la spranga non emise uno scricchiolio di protesta. Era inutile: la gru non si muoveva.

Si sentì una nuova esplosione e altre schegge di metallo volarono nell'aria, costringendola ad accucciarsi. Avvertì un colpo, così violento da spingerla a terra. Il suo braccio fu percorso da un dolore bruciante, e abbassò lo sguardo per scoprire che una scheggia le si era conficcata nella carne, facendo sgorgare una scia di sangue rosso vivo. Si avvicinò strisciando a Simon, che l'afferrò e l'attirò contro il proprio petto, facendole scudo fino a che la pioggia di detriti metallici non fu terminata.

— Simon — disse Annabelle senza fiato, lo sguardo fisso negli occhi arrossati di lui. — Hai sempre un coltello, con te. Dov'è?

Lui si irrigidì, colpito dalle implicazioni della domanda. Soppesò per un attimo la possibilità che Annabelle gli aveva fatto balenare, poi scosse la testa. — No. Anche se riuscissi ad amputare la gamba, non riusciresti mai a trascinarmi fuori di qui. — La spinse via. — Non ce più tempo: devi uscire'da questo maledetto posto. — Quando lesse il rifiuto negli occhi della moglie, i suoi lineamenti si contorsero in un accesso di terrore. Non per se stesso, ma per lei. — Mio Dio, Annabelle — gemette, riducendosi a implorarla. — Non farlo. Ti prego. Se ti importa anche solo minimamente di me... — Un attacco di tosse gli scosse tutto il corpo. — Vai!

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Per un istante Annabelle fu tentata di obbedirgli, quasi sopraffatta dal desiderio di sfuggire all'incubo infernale della fonderia in fiamme. Ma quando si alzò barcollando e guardò in basso verso quell'uomo, così grande e forte, eppure in quel momento così indifeso, non riuscì ad allontanarsi. Afferrò ancora una volta la spranga e la risistemò sul blocco di legno, mentre la spalla ferita le bruciava selvaggiamente. Si sentiva pulsare il sangue nelle orecchie, cosa che le impediva di distinguere le grida di Simon dai rumori fragorosi dell'edificio che tremava intorno a loro. E forse era un bene, considerato che lui sembrava fuori di sé dalla furia.

Annabelle spinse e si appese alla leva, ansimando, fin quasi a farsi scoppiare i polmoni. La vista le si annebbiò, ma continuò a esercitare tutta la forza che le restava sulla spranga di ferro, sforzandosi di fare leva con il suo piccolo peso.

A un tratto, si sentì afferrare da dietro. Se le fosse rimasto anche solo un po' di fiato, avrebbe urlato. Terrorizzata, si irrigidì, mentre qualcuno la spingeva da parte, facendole lasciare la presa sulla spranga. Tossendo e ansimando, Annabelle fissò con gli occhi accecati dal fumo la sagoma scura e asciutta alle sue spalle.

— Solleverò io la gru. Andate a liberargli la gamba, al mio segnale. Riconobbe quel tono autoritario, prima ancora di scorgere il viso

dell'uomo."Westcliff" pensò interdetta. Si trattava in effetti del conte, con la camicia sporca e stracciata e il viso

imbrattato. Ma nonostante l'aspetto, aveva un'aria calma ed efficiente, quando le fece cenno di andare vicino a Simon. Sollevando la spranga con facilità, la sistemò abilmente sotto il braccio della gru. Nonostante non fosse particolarmente alto, il suo corpo elegante era robusto e molto muscoloso, plasmato da anni di duro esercizio fisico.

Quando spinse con forza sulla spranga, Annabelle sentì lo scricchiolio del metallo che si piegava e vide l'enorme gru sollevarsi di pochi, cruciali centimetri. Il conte diede con un grido il segnale ad Annabelle, che strattonò con tutte le sue forze la gamba di Simon, ignorando i suoi gemiti di sofferenza mentre scivolava fuori da sotto l'oggetto che lo bloccava.

Lasciando che il braccio della gru ricadesse con un colpo fragoroso, Westcliff corse ad aiutare Simon a rimettersi in piedi, infilandogli la spalla sotto al braccio per sostenerlo dal lato in cui era ferito. Annabelle gli si accostò dall'altro lato e fece una smorfia di dolore quando Simon la afferrò con forza, stringendo fino a farle male. Il fumo e il calore stavano per

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avere la meglio su di lei, impedendole di respirare e di pensare. Il suo corpo era scosso da violentissimi attacchi di tosse. Se fosse stata sola, non sarebbe mai più riuscita a ritrovare la strada per uscire dalla fonderia.

Il percorso tortuoso le sembrava eterno, i loro progressi minimi, mentre la fonderia si scuoteva e ruggiva intorno a loro come una belva all'inseguimento di una preda ferita che minacciava di sfuggirle. Lottò per non perdere conoscenza, mentre la sua vista era annebbiata da scintille di luce e da un'invitante oscurità che si apriva subito dietro di esse.

In seguito, non riuscì più a ricordare il momento in cui erano emersi dalla fonderia, con gli abiti fumanti, i capelli bruciacchiati e i volti anneriti. L'unica cosa che le rimase impressa nella mente furono le infinite paia di mani che si allungavano verso di lei, mentre le sue gambe doloranti venivano finalmente sollevate dal fardello del suo stesso peso. Crollando lentamente tra le braccia di qualcuno, si sentì sollevare, mentre i suoi polmoni si riempivano avidamente di aria pulita. Le venne passato uno straccio bagnato sul viso e mani sconosciute si infilarono nel suo vestito per slacciarle il corsetto. Non era in grado di preoccuparsene. Completamente stordita, si abbandonò a quelle cure energiche e inghiottì il contenuto del bicchierino di metallo che le venne portato alle labbra. Quando finalmente tornò in sé, sbatté ripetutamente le palpebre per permettere alla superficie irritata dei suoi occhi di reidratarsi.

— Simon... — mormorò, cercando di sollevarsi. Venne bloccata con delicatezza.

— Riposate ancora un minuto — le disse una voce profonda. — Vostro marito sta bene. Un po' pesto e bruciacchiato, me decisamente recuperabile. Non credo nemmeno che la sua dannata gamba sia rotta.

Quando finalmente riprese del tutto i sensi, Annabelle si rese conto con enorme stupore di trovarsi semisdraiata tra le braccia di lord Westcliff, per terra, con il vestito parzialmente slacciato. Osservando il viso scultoreo del conte, vide che aveva la pelle striata di nero e i capelli sporchi e spettinati. Il giovane aristocratico, dall'aspetto solitamente così impeccabile, aveva un'aria così cordiale, scompigliata e umana che Annabelle faticava a riconoscerlo.

— Simon... — sussurrò di nuovo. — Lo stanno caricando nella mia carrozza proprio in questo momento.

Inutile dire che è piuttosto impaziente che lo raggiungiate. Vi sto portando entrambi a Marsden Terrace: ho già mandato a chiamare un dottore che ci raggiunga lì. — Westcliff la sollevò un po' di più. — Perché siete entrata a

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cercarlo? Potevate essere una vedova molto ricca. — La domanda non era posta in tono di scherno: tradiva invece un apprezzamento che confuse Annabelle.

Invece di rispondere, fissò lo sguardo su una macchia di sangue sulla spalla del conte.

— State fermo — disse, afferrando con le unghie spezzate la punta di una sottile scheggia di metallo che gli sporgeva dalla camicia. La estrasse con un gesto deciso e lui fece una smorfia di dolore. Osservando la scheggia che Annabelle gli mostrava, scosse la testa lentamente.

— Santo cielo. Non me n'ero accorto. Stringendo il pezzetto di metallo tra le dita, Annabelle lo fissò. — E voi perché siete entrato, signore? — Mi hanno informato che vi eravate lanciata in un edificio in fiamme

per recuperare vostro marito e ho pensato di offrire i miei servigi: aprire una porta o spostare un ostacolo dal vostro cammino... quel genere di cose.

— Siete stato abbastanza d'aiuto — rispose Annabelle, adeguandosi al suo tono disinvolto, e Westcliff sorrise, con i denti bianchi che scintillavano nel viso annerito.

Poi l'aiutò a sedersi. Sostenendole la schiena con un braccio, le riallacciò il vestito con tocchi lievi e impersonali, mentre contemplava la portata della devastazione causata dall'incendio.

— Solo due morti e un uomo che ancora manca all'appello — mormorò. — Un miracolo, considerata l'entità dell'incidente.

— Questo rappresenta la fine della fabbrica di locomotive? — No, immagino che ricostruiremo tutto appena possibile. — Il conte

osservò il viso esausto di Annabelle. — Più tardi mi racconterete esattamente che cose successo. Ora,

permettetemi di portarvi alla carrozza. Annabelle sussultò quando Westcliff si alzò e la sollevò tra le braccia. — Oh, non c'è bisogno... — È il minimo che posso fare. — Westcliff le sorrise di nuovo, mentre

la trasportava senza alcuno sforzo. — Devo fare ammenda, per quanto vi riguarda. — Intendete dire che vi siete finalmente convinto che tengo davvero a

Simon e non l'ho sposato per interesse? — Qualcosa del genere. A quanto pare, mi sbagliavo su di voi, signora

Hunt. Vi prego di accettare le mie umili scuse.

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Sospettando che raramente il conte si producesse in scuse di qualsiasi tipo, e men che meno umili, Annabelle gli passò le braccia intorno al collo.

— Immagino che dovrò farlo, dal momento che ci avete salvato la vita. Westcliff se la sistemò più comodamente tra le braccia. — Allora...

pace? — Pace — acconsentì Annabelle, tossendogli contro la spalla. Mentre il dottore visitava Simon nella camera da letto padronale di

Marsden Terrace, Westcliff prese Annabelle da parte e si occupò personalmente di medicarle la ferita al braccio. Dopo aver estratto la scheggia metallica che le si era infilata sotto la pelle, cosparse la zona di alcol, mentre Annabelle stringeva i denti per il dolore. Poi cosparse il taglio con un unguento, lo bendò con mano esperta e offrì ad Annabelle un bicchiere di brandy per alleviare il suo disagio.

Se fosse stato lui ad aggiungere qualcosa al brandy, o se semplicemente la stanchezza ne avesse potenziato gli effetti, Annabelle non avrebbe saputo dirlo. Dopo aver mandato giù due dita del liquido ambrato, iniziò a sentirsi stanca e stordita. La sua voce era inequivocabilmente impastata, quando disse a Westcliff che per il mondo era stata una fortuna che lui non avesse intrapreso la carriera medica, argomento su cui il conte concordò con voce grave.

A quel punto Annabelle, barcollante, provò ad andare in cerca di Simon, ma venne dissuasa dalla governante e da due cameriere. Prima di rendersi conto di che cosa le stesse succedendo, venne lavata, infilata in una camicia da notte trafugata dal guardaroba dell'anziana madre di Westcliff e adagiata in un letto soffice. Non appena chiuse gli occhi, piombò in un sonno profondo.

Con suo gran disappunto si svegliò tardi, la mattina dopo, cercando di capire dove fosse e che cosa le fosse accaduto. Non appena le venne in mente Simon, saltò giù dal letto e senza prestare alcuna attenzione all'ambiente lussuoso in cui si trovava, corse a piedi nudi nel corridoio.

— Dov'è? — chiese alla prima cameriera che incontrò, la quale, benché sorpresa dall'improvvisa apparizione di quella donna scalza, scarmigliata e dal viso coperto di graffi, ebbe la presenza di spirito di capire chi cercare e l'indirizzò verso la camera da letto padronale alla fine del corridoio.

Quando giunse sulla soglia della camera, Annabelle vide Westcliff in piedi accanto a un grande letto in cui Simon giaceva semisdraiato, con la schiena appoggiata a una pila di cuscini. Era a torso nudo, e lei trattenne il fiato alla vista del gran numero di cerotti che gli erano stati applicati sul

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petto e sulle braccia, avendo idea della sofferenza che doveva aver sopportato per farsi estrarre tutte quelle scaglie metalliche. I due uomini smisero di parlare appena si accorsero della sua presenza.

Lo sguardo di Simon si fissò su Annabelle con un'intensità inquietante. Nella stanza aleggiava una nube invisibile di emozioni che suscitarono in entrambi una tensione estrema. Mentre scrutava il viso granitico del marito, Annabelle non riuscì a trovare parole appropriate. Assurdamente grata per la presenza di Westcliff, che le offriva la possibilità di un temporaneo diversivo, si rivolse per primo a lui.

— Signore — disse, scrutando i tagli e le bruciature che gli segnavano il volto. — Sembra che siate uscito sconfitto da una rissa da taverna.

Avvicinandosi, lui si produsse in un inchino impeccabile, poi la sorprese baciandole cavallerescamente la mano.

— Se avessi mai preso parte a una rissa da taverna, signora, vi assicuro che non ne sarei uscito sconfitto.

Quel commento strappò un sorriso ad Annabelle: solo ventiquattrore prima, aveva disprezzato l'arrogante disinvoltura del conte, che ora invece trovava quasi gradevole. Westcliff le lasciò andare la mano, dopo averle dato una stretta rassicurante.

— Con il vostro permesso, signora Hunt, mi ritirerò. Senza dubbio avete un paio di cose da discutere con vostro marito.

— Vi ringrazio, signore. Non appena il conte uscì, richiudendo la porta, Annabelle si avvicinò al

letto. Simon distolse lo sguardo da lei con aria accigliata. — La gamba è rotta? — chiese lei in tono brusco. Simon scosse la testa, lo sguardo fisso sulla carta da parati floreale che copriva le pareti della stanza. Poi parlò con la voce

arrochita dal fumo. — Starò bene. Lo sguardo di Annabelle indugiò sulla muscolatura possente del torso e

delle braccia, sulle lunghe dita della sua mano, sul modo in cui una ciocca scura di capelli gli ricadeva sulla fronte.

— Simon — disse dolcemente. — Non vuoi guardarmi? Gli occhi di lui si ridussero a due fessure, mentre la trafiggeva con uno

sguardo duro. — Vorrei fare più che guardarti. Vorrei strangolarti. Annabelle non chiese perché: lo sapeva già. Invece, aspettò con pazienza

mentre il marito si schiariva la gola irritata. — Quello che hai fatto ieri è imperdonabile.

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Annabelle gli lanciò un'occhiata sorpresa. — Che cosa? — Sdraiato a terra in quell'inferno ti ho fatto quella che pensavo fosse

l'ultima richiesta della mia vita. E tu non mi hai accontentato. — Per come sono andate le cose, si è scoperto che non era la tua ultima

richiesta — rispose Annabelle in tono ragionevole. — Sei sopravvissuto... e anch'io, e ora è tutto a posto.

— Non è tutto a posto! — ribatté Simon, il volto scuro di rabbia. — Per tutta la mia vita ricorderò come mi sono sentito al pensiero che tu stessi per morire con me e io non potessi fare un accidenti per impedirtelo. — Si girò dall'altra parte, cercando di dominare l'emozione.

Annabelle fece per sfiorarlo, poi si trattenne e la sua mano rimase come sospesa tra loro.

— Come potevi chiedermi di lasciarti lì, solo e ferito? Non potevo farlo. — Avresti dovuto fare come ti avevo detto! Annabelle non batté ciglio, comprendendo la paura che si annidava sotto la sua furia. — Tu non te ne saresti mai andato, se ci fossi stata io sul pavimento della fonderia. — Sapevo che l'avresti detto. Ovvio che non ti avrei lasciato. Sono

l'uomo. Si suppone che un uomo protegga la moglie. — E si suppone che la moglie lo aiuti come una compagna — ribatté

Annabelle. — Tu non mi stavi aiutando. Tu mi stavi facendo soffrire le pene

dell'inferno. Maledizione, Annabelle, perché non mi hai obbedito? Lei fece un respiro profondo prima di rispondere. — Perché ti amo. Simon continuò a rifiutarsi di guardarla, visibilmente sconvolto da

quelle parole. La mano che teneva sopra il copriletto si chiuse a pugno, mentre le sue difese iniziavano a incrinarsi.

— Morirei un migliaio di volte — le disse con un tremito nella voce — per risparmiarti il minimo dolore. E il fatto che tu fossi pronta a gettare via la tua vita in un sacrificio completamente inutile è più di quanto io possa sopportare.

Annabelle si sentì salire le lacrime agli occhi, mentre un senso di bisogno e una tenerezza infinita dilagavano dentro di lei.

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— Ho capito una cosa, mentre ero in piedi davanti alla fonderia, a vederla bruciare sapendo che tu eri lì dentro. Avrei preferito morire tra le tue braccia che affrontare tutta una vita senza di te. Tutti quei lunghissimi anni, tutti quegli inverni e quelle estati, un centinaio di stagioni in cui ti avrei desiderato senza poterti mai avere. Invecchiare, mentre tu rimanevi per sempre giovane nella mia memoria.

Annabelle si morse le labbra e scosse la testa, mentre le lacrime iniziavano a scorrerle lungo le guance.

— Mi sbagliavo quando ho detto che mi sentivo sospesa tra due mondi e non sapevo più quale fosse il mio posto. Ora lo so. È con te, Simon. Nulla ha importanza, all'infuori di te. Sei legato a me per sempre e io non ti ascolterò mai, quando mi dirai di andar via. — Riuscì a prodursi in un tremulo sorriso. — Così farai meglio a smettere di lamentarti, rassegnandoti al fatto che le cose stanno così.

All'improvviso, lui l'afferrò, attirandola a sé. Seppellì il viso nell'intrico dei suoi capelli ed emise un gemito rabbioso.

— Mio Dio, non posso sopportarlo! Non posso lasciarti uscire ogni giorno, con la paura che ti succeda qualcosa e la consapevolezza che ogni minima parte della mia sanità mentale dipende dal fatto che tu stai bene. Non posso provare un sentimento simile, è troppo forte... Maledizione! Mi trasformerò in un pazzo furioso. Non sarò più utile a nessuno. Se solo potessi ridurlo un po', se solo potessi amarti anche solo la metà di così... allora forse potrei conviverci.

Annabelle rise, emozionata per quella confessione, mentre un'ondata di gioia si impadroniva di lei.

— Ma io voglio tutto il tuo amore — disse. — Quando Simon sollevò la testa per guardarla, la sua espressione le tolse il fiato. Le ci vollero parecchi secondi per riprendersi. — Voglio tutto il tuo cuore e la tua mente — continuò. Poi abbassò la voce in tono provocante. — E anche tutto il tuo corpo.

Simon continuava a fissare il viso radioso della moglie, incapace di distogliere lo sguardo.

— È un pensiero rassicurante, considerato che ieri sembravi più che disposta a tagliarmi una gamba con un coltello da tasca.

Annabelle sorrise, accarezzando dolcemente la peluria che gli copriva il petto.

— La mia intenzione era conservare la quantità maggiore possibile di te e tirarti fuori di lì.

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— A quel punto avrei anche potuto lasciartelo fare, se avessi pensato che sarebbe servito a qualcosa. Sei una donna forte, Annabelle. Più forte di quanto credevo.

— No, è il mio amore per te che è forte. Non sarei in grado di tagliare la gamba di chiunque, sai?

—Se metterai a repentaglio la tua vita un'altra volta, per qualunque ragione, ti strangolerò. Vieni qui. — Afferrandole la testa con le mani, Simon la attirò a sé. Quando i loro nasi furono sul punto di sfiorarsi, fece un respiro profondo. — Ti amo, maledizione!

Annabelle gli sfiorò le labbra con le sue. — Quanto? Simon gemette, come se quel bacio lieve l'avesse toccato

profondamente. — Senza limiti. Più che per sempre. — Io ti amo di più — disse Annabelle, e posò la bocca su quella di lui.

Provò una sensazione di piacere squisito, unito a un senso di completezza, di perfetta realizzazione, che non avevano mai raggiunto, prima di quel momento. Si sentiva fluttuare come se la sua anima si fosse immersa nella luce. Sollevando la testa, capì dalla stupefatta lucentezza degli occhi di Simon che anche lui aveva provato la stessa cosa. C'era una nota nuova, diversa, nella sua voce, quando le parlò.

— Baciami ancora. — Non voglio farti male. Sono appoggiata alla tua gamba. — Non è la mia gamba — fu la maliziosa risposta, che le strappò una

risata. — Sei un uomo perverso! — E tu sei terribilmente bella — sussurrò Simon. — Dentro e fuori.

Annabelle, moglie mia, amore mio, baciami ancora. E non fermarti finché non te lo dico io.

— Sì, Simon — mormorò lei, obbedendo di buon grado.

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Epilogo

— No, non è quella la parte migliore — disse Annabelle eccitata, agitando la mano che stringeva i fogli in direzione delle Bowman per intimare il silenzio. Le tre ragazze si trovavano nell'appartamento di Annabelle al Rutledge, intente a sorseggiare vino dolce. — Lasciate che continui... — riprese, e proseguì nella lettura. — "Quando ci siamo fermati nella valle della Loira per visitare un castello del sedicesimo secolo in via di restauro, la signorina Hunt ha fatto la conoscenza di un gentiluomo inglese, scapolo, il signor David Keir, che sta accompagnando le sue due cugine minori nel Grand Tour. A quanto pare, è uno storico dell'arte, impegnato nella stesura di un'opera su non-so-cosa, e lui e la signorina Hunt hanno trovato molti argomenti di cui parlare. Le madri... d'ora in poi

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mi riferirò così alla mamma e alla signora Hunt, dato che sono diventate inseparabili al punto che sembrano avere una mente sola divisa in due corpi..."

— Santo cielo! — esclamò Lillian. — Ma tuo fratello scrive sempre frasi così lunghe?

— Zitta — la rimproverò Daisy. — Jeremy stava per dire che cosa pensano le madri del signor Keir. Continua, Annabelle.

— Sono concordi nel giudicare il signor Keir un gentiluomo compito e di aspetto piacente... — lesse Annabelle.

— Vuol dire che è bello? — chiese Daisy. — Decisamente. E Jeremy continua dicendo che il signor Keir ha

chiesto il permesso di scrivere a Meredith e intende farle visita, quando tornerà a Londra.

— Che bello! — esclamò Daisy, allungando il bicchiere a Lillian. — Versamene un altro, cara. Voglio brindare alla futura felicità di Meredith.

Tutte parteciparono al brindisi, e Annabelle posò la lettera con un sospiro soddisfatto.

— Vorrei poterlo raccontare a Evie. — Evie mi manca — le fece eco Lillian. — Forse presto i suoi

carcerieri... scusate... i suoi familiari ci permetteranno di andare a trovarla. — Ho un'idea — disse Daisy.— Quando papà arriverà da New York, il

mese prossimo, torneremo con lui in visita a Stony Cross. Ovviamente Annabelle e il signor Hunt saranno invitati, pervia della loro amicizia con lord Westcliff. Forse possiamo chiedere di includere nell'invito anche Evie e sua zia. A quel punto potremo organizzare un incontro ufficiale del nostro gruppo... oltre a un'altra partita di Rounders.

Annabelle emise un lamento teatrale, mandando giù il suo vino tutto d'un fiato.

— Che Dio mi protegga. — Posando il bicchiere su un tavolo vicino, si frugò in tasca e tirò fuori un minuscolo pacchettino incartato. — Questo mi fa venire in mente... Daisy, puoi farmi un favore?

— Certamente — rispose prontamente la ragazza, scartando il pacchettino. Sul suo viso si dipinse un'espressione perplessa alla vista della piccola scheggia di metallo. — Per l'amor del cielo, che cos e questa?

— L'ho estratta dalla spalla di lord Westcliff il giorno dell'incendio alla fonderia. Se non ti dispiace, portala con te a Stony Cross e gettala nel pozzo dei desideri.

— Che desiderio devo esprimere?

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Annabelle sorrise. — Esprimi per il buon vecchio Westcliff lo stesso desiderio che hai espresso per me.

— Il buon vecchio Westcliff? — ripeté Lillian storcendo il naso e guardando le altre due con aria sospettosa.

— Che desiderio hai espresso per Annabelle? — chiese alla sorella minore. — Non me l'hai mai detto.

— Non l'ho mai detto neanche all'interessata — mormorò Daisy, rivolgendo ad Annabelle uno strano sorriso.

— Come fai a sapere qual era? — L'ho intuito. — Sistemandosi più comodamente sul divano,

Annabelle si chinò in avanti. — Ora, a proposito di trovare un marito per Lillian, avrei un'idea interessante...

Lisa Kleypas

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Fortunata autrice di romanzi tradotti in tutto il mondo in una quindicina di lingue, Lisa Kleypas ha precocemente esordito come scrittrice all'età di ventun anni. Prima ancora, nel 1985, è stata Miss Massachusetts, concorrendo poi per il titolo di Miss America. Attualmente è sposata e ha due figli.

Potete visitare il suo sito internet all'indirizzo www.lisakleypas.com.

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I ROMANZI

Direttore responsabile: Luigi Sponzilli Editor: Sergio Altieri Coordinamento: Luca Mauri Collaborazione redazionale: Marzio Biancolinu Segreteria di redazione: Lorenza Giacobbi Periodico settimanale N. 864 - 1 giugno 2009 Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Milano n. 35 del 26 gennaio 1979 Redazione, amministrazione: Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. 20090 Segrate, Milano Sede legale: Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. via Bianca di Savoia 12 - 20122 Milano ISSN 1120-5199

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