moretti studi filosofici

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GIAMPIERO MORETTI DIONISIACO E SACRO TRA OTTO E NOVECENTO FINO A DE MARTINO A Sergio Givone per i suoi 70 anni Abstract: The essay titled The Dionysian and the Sacred Between the Years 1800 and 1900 to De Martino studies the relationship between the notions of “Dionysian” and “sacred” in the thought of the ethnologist Ernesto De Martino (1908-1965) and, in particular, in some of the studies he carried out in the 1950’s and 1960’s as well as in the historical/religious thought of German philosophers such as Rudolf Otto (1869-1937), Leo Frobenius (1873-1938), and Ludwig Klages (1872-1956) at the confluence of the 19th and 20th centuries. The attempt to clarify the similarities and differences between those two notions within a her- meutical perspective which is inevitably indebted to Nietzsche’s thought (1844- 1900) forms the core of this study. Keywords: Ethnology – History of religions – Nietzsche – Sacred – Dionysius and the mythical thought Vorrei cercare di circoscrivere il mio intervento il più efficace- mente possibile rispetto ad un tema così vasto e complesso. In pri- mo luogo mi sia consentito evidenziare che il fino a, nel titolo, seg- nala subito che non abbiamo dinanzi un percorso lineare, di facile individuazione; saremo piuttosto chiamati ad un’interpretazione per la quale forse i contorni del percorso stesso riusciranno a delinearsi, tra le asperità di un terreno molto frastagliato e pieno di insidie pro- prio per l’interprete. Tanto per fare un esempio, ed entrare così già in argomento, non prenderemo le mosse da un’analisi storico-criti- ca, e neppure da una definizione, di quel che si vuole qui intendere Studi Filosofici XXXV - 2013 Bibliopolis SF_XXXVI_OK_001_XXVIII 08/08/14 17:55 Pagina 181

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GIAMPIERO MORETTI

DIONISIACO E SACRO TRA OTTO E NOVECENTO FINO A DE MARTINO

A Sergio Givone per i suoi 70 anni

Abstract:The essay titled The Dionysian and the Sacred Between the Years 1800 and 1900to De Martino studies the relationship between the notions of “Dionysian” and“sacred” in the thought of the ethnologist Ernesto De Martino (1908-1965)and, in particular, in some of the studies he carried out in the 1950’s and 1960’sas well as in the historical/religious thought of German philosophers such asRudolf Otto (1869-1937), Leo Frobenius (1873-1938), and Ludwig Klages(1872-1956) at the confluence of the 19th and 20th centuries. The attempt toclarify the similarities and differences between those two notions within a her-meutical perspective which is inevitably indebted to Nietzsche’s thought (1844-1900) forms the core of this study.

Keywords: Ethnology – History of religions – Nietzsche – Sacred – Dionysius and themythical thought

Vorrei cercare di circoscrivere il mio intervento il più efficace-mente possibile rispetto ad un tema così vasto e complesso. In pri-mo luogo mi sia consentito evidenziare che il fino a, nel titolo, seg-nala subito che non abbiamo dinanzi un percorso lineare, di facileindividuazione; saremo piuttosto chiamati ad un’interpretazione perla quale forse i contorni del percorso stesso riusciranno a delinearsi,tra le asperità di un terreno molto frastagliato e pieno di insidie pro-prio per l’interprete. Tanto per fare un esempio, ed entrare così giàin argomento, non prenderemo le mosse da un’analisi storico-criti-ca, e neppure da una definizione, di quel che si vuole qui intendere

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se gna la

con dionisiaco e sacro. Partendo in tal modo rischieremmo infatti,nel primo caso, una forte genericità, mentre, nel secondo, una notev-ole apoditticità. Certo, nel corso dell’esposizione i termini dionisia-co e sacro verranno contestualizzati e dotati di un’esplicita valenzaermeneutica, ma, almeno inizialmente, e proprio rispetto al tema eda quel fino a (De Martino), mi sembra molto più opportuno chia-mare in causa la circolarità ermeneutica e la sua nota esigenza chevuole che spesso punto di partenza e di arrivo della riflessione sicambino di posto.

Nel 1959 De Martino pubblica sulla rivista Nuovi Argomentiun intervento importante, dal titolo Mito, scienze religiose e civiltàmoderna, e, negli stessi anni, un altro saggio intitolato Promesse e mi-nacce dell’etnologia, entrambi presenti nel volume Furore, simbolo,valore del 1962; è da quei due saggi che si decide qui di partire1,poiché essi, così ci pare, consentono di individuare, con una certaprecisione, per quanto il termine possa valere in ambiti come quelliqui affrontati, cosa De Martino intendesse con sacro (e dunque an-che cosa cercare lungo il cammino a ritroso fino a inizio Ottocento),e come tale cammino-ricerca intersechi il dionisiaco, in maniera dafar sì che da tale incrocio risultino anche lumi maggiori sulla po-sizione complessiva dello stesso De Martino. I due saggi si richia-mano tra loro non solo tematicamente, ma anche per l’impostazionedel problema, che è sostanzialmente il medesimo: nel caso del primodei due, vale a dire Mito, scienze religiose e civiltà moderna, si affer-ma fin dall’inizio che:

negli ultimi quarant’anni […] si è venuto affermando in Occidenteun vario movimento di pensiero che tende a rivendicare l’autonomiadella religione e del mito nel quadro di una tematica esistenzialisticaalimentata da un continuo riferimento alla concreta varietà dei feno-meni religiosi della storia umana [, movimento rappresentato da] et-

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1 E. DE MARTINO, Furore simbolo valore, Milano, Il Saggiatore 2013. Ne esisteanche un’edizione Feltrinelli, Milano 2002, con un’interessante Introduzione diMarcello Massenzio. Mi informa il Collega Pietro Angelini, i cui importanti studi suDe Martino sono ben noti, che il saggio Promesse e minacce dell’etnologia, effetti-vamente scritto nel 1961, consiste tuttavia nella versione variamente modificata diun precedente saggio intitolato Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni,in «Società», 3-1953, pp. 313-342.

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nologi come Frobenius, Jensen, Malinowski, Leenhardt, storici e fe-nomenologi della religione come R. Otto, Hauer, van der Leeuw,Eliade, W. Otto, Kerényi, sociologi come Lévy-Bruhl, Lévi-Strauss eCaillois, filosofi come Cassirer, Bergson, Bachelard, Gusdorf, psico-logi come Jung e Neumann [, i quali tutti] hanno inaugurato una va-lutazione della vita religiosa e del mito che, in netto contrasto con l’e-tà precedente, è orientata verso il riconoscimento di profonde moti-vazioni esistenziali del sacro, del mitico, del simbolico2.

Il secondo saggio, Promesse e minacce dell’etnologia, inizia a suavolta affermando che:

il risveglio di interesse per la materia etnologica nella cultura con-temporanea non è, in generale, accompagnato da una corrisponden-te consapevolezza del giusto significato da attribuire a questo risve-glio nel quadro del cosiddetto nuovo umanesimo3.

Se ora poniamo una accanto all’altra le due citazioni, veniamoimmediatamente condotti al cuore del problema di entrambi i saggi:è il sacro una dimensione metastorica, con la quale l’esistenza umanain quanto tale, quindi sempre e comunque, è chiamata ad entrare inrapporto, come in seguito ad una sorta di silenzioso quanto impe-rioso appello, oppure esso è da considerarsi un fenomeno variegatoe multiforme ma in relazione eminente con l’esistenza storica del-l’uomo, nel senso che, benché lo studioso chiami sacro tale fenome-no, questa definizione rinvia di fatto a molteplici forme del sacro, ir-riducibili ad unità, così che qualsiasi tentativo di oltrepassare la lin-ea della storia costituisce un movimento scientificamente indebito eingiustificato?

Esistenziale, e composti, è termine che compare spessissimo nelsaggio Mito, scienze religiose e civiltà moderna; il lettore ne restafrancamente colpito e non è semplice ricondurlo ad un orizzonte disignificato unitario. Esso vuol dire (per De Martino) individuale, sin-golare, personale, ma vuol dire anche (così crediamo) profondo, inti-mo, irriducibile. A ben vedere, l’esistenziale così inteso è però anchelo spazio irripetibile e autentico nel quale il sacro, ovvero una forma

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2 E. DE MARTINO, Op. cit., pp. 14-15. 3 Ivi, p. 75.

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li nea

di esso, compare; esistenziale è ciò che è indirizzato, diretto, verso ilsacro, o una sua forma storica, ma è anche ciò che dal sacro, o da unaforma storica di esso deve, per De Martino, in qualche modo pro-teggersi, per non esserne, se ci si passa il termine, inghiottito4: storia,in questo contesto, sembra allora essere la risposta attiva, scelta, del-l’individuo emancipato e culturalmente consapevole, affinché lecrisi, che gli individui e l’umanità sperimentano continuamente nel-la loro esistenza, non cerchino risposte, e magari persino le trovino,nell’abbraccio con l’irrazionale. Anche per questo le posizioni diFrobenius, in etnologia, e di Rudolf Otto, in ambito fenomenologi-co-religioso, appaiono a De Martino necessarie di approfondimentoe discussione. Kulturgechichte Afrikas di Leo Frobenius viene pub-blicato nel 1933, come il Dioniso di Walter F. Otto, sul quale torner-emo più avanti. Nello scritto Promesse e minacce dell’etnologia, DeMartino cita un lungo passo da questa ricerca di Frobenius del 1933,presentandolo come: «documento esemplare della minaccia ir-razionalistica dell’etnologia contemporanea». La preoccupazione diDe Martino nasce dal termine Ergriffenheit, da Frobenius utilizzatoper descrivere il modo in cui l’esistenza umana viene per così dire af-ferrata dalla realtà ad esso esterna (e implicitamente caratterizzatacome sacra), e quasi plasmata, incanalata verso una forma diciviltà/cultura. Se è l’essenza della pianta a ergreifen l’esistenzaumana, nascerà una civiltà vegetale (la quale si caratterizzerà conc-

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4 Problematica molto simile ci parve, a suo tempo, essere presente negli scrit-ti di Karl Kerényi, specialmente nel momento in cui li si metta a confronto con quel-li del suo sempre riconosciuto maestro Walter F. Otto e ci si concentri sull’espres-sione volutamente duplice con cui proprio Kerényi parla del mito come mito del-l’uomo (genitivo oggettivo e soggettivo, cioè). Eppure De Martino inserisce in unamedesima linea ermeneutica sia W.F. Otto sia Kerényi. Cfr. K. KERÉNYI, Scritti ital-iani (1955-1971), a cura di G. Moretti, Napoli, Guida 1993, pp. 5-15; W.F. OTTO, Ilmito, ed. it. a cura di G. Moretti, Genova il melangolo 2007², pp. 5-19, con ulteri-ori indicazioni bibliografiche. A. MAGRIS, nel suo un po’ troppo autoreferenzialeL’esperienza del divino in Carlo Kerényi, in Neuhumanismus und Anthropologie desgriechischen Mythos. Karl Kerényi im europäischen Kontext des 20. Jahrhunderts, acura di R. Schlesier e R. Sanchiño Martinez, Rezzonico, Locarno 2006, p. 17, nota,riconduce giustamente il termine esistenziale, così caro anche a Kerényi, all’in-fluenza (anche) di Karl Reinhardt. La vicinanza tra Kerényi e De Martino è a nos-tro avviso fra l’altro individuabile proprio nella preoccupazione di entrambi ditenere lontano la riflessione e la ricerca sul mito e sulla mitologia da qualsiasi aper-tura all’irrazionale.

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con cre ta men te

retamente attraverso l’agricoltura) se è l’essenza dell’animale ad af-ferrarla, prenderà forma una civiltà animale (caratterizzata infinedall’allevamento), e così via, nel caso in cui ad esempio sia il cosmoad afferrare l’esistenza; l’interesse preoccupato di De Martino è peròcome detto indirizzato sa concetto stesso di Ergriffenheit, afferra-mento, come dovremmo tradurre in italiano:

che cosa può essere, infatti, questa gratuita Ergriffenheit che sarebbeall’origine della creazione culturale, questo lasciarsi prendere, o addi-rittura ghermire, da un aspetto particolare della realtà? A quanto pa-re nulla di accessibile alla ragione storica, ma un prodigio e nulla più.L’essere-afferrati-da è semplicemente il rischio che sottende ogni vitaculturale5.

De Martino coglie molto lucidamente la posta in gioco. In-nanzitutto, non si accontenta della consueta traduzione italiana diErgriffenheit con commozione, ristabilendo, nella sua citazione daFrobenius, il vero significato del termine, che consiste precisamentenell’individuare, per la realtà esterna e indipendente dall’esistenzaumana, una origine del tutto autonoma e potente, la polarità attivadell’azione dell’afferrare; nella sfera esistenziale, individuale-colletti-va, viene còlta invece la dimensione passiva del rapporto di afferra-mento. E tuttavia: può una cultura-civiltà originarsi attraverso un af-ferramento, una spinta passiva proveniente dall’esterno? Nellaprospettiva neoumanistica di De Martino, chiaramente, no. Non so-lo non vi sarebbe spazio per l’elemento della scelta, della decisione,del taglio, della cesura fra natura da un lato e cultura dall’altro, maanzi, in tal modo, verrebbe sancita al più alto dei livelli, quello delsacro appunto, la prosecuzione della natura nella cultura, rendendoquest’ultima altresì necessaria. Pericolosa è inoltre per De Martinotale caratterizzazione dell’origine della cultura-civiltà anche perché,proprio nell’esperienza del sacro, verrebbe mantenuta sempre aper-ta verso di essa una strada non soltanto immaginata e poetata dal-

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5 E. DE MARTINO, Op. cit., pp. 89-90. Sia l’edizione di L. FROBENIUS, Storia delleciviltà africane, Torino, Bollati Boringhieri 1991² (la prima tr. it. è del 1950) sia quel-la, recentissima, L. FROBENIUS, intitolata più correttamente Storia della civiltàafricana, Milano, Adelphi 2013, presentano purtroppo la versione, a nostro avvisofuorviante, di commozione.

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l’invenzione mitica, ad esempio conservata in una leggenda popolaredai contorni indefiniti, una sorta di proiezione individuale-culturaleinsomma: se avesse ragione Frobenius, l’origine naturale della cul-tura e della civiltà verrebbe invece a presentarsi come un qualcosa disempre nuovamente attingibile al di là, – in questo caso un prima –del mondo storico dell’uomo. Del resto, poche pagine prima di quel-la citata da De Martino, Frobenius, come anche altrove, si esprimein maniera molto chiara in proposito. L’uomo – egli scrive –:

può comprendere il mondo dei fatti. Ma l’uomo è anche determinatodalla realtà. Lo sono anche tutti gli altri fenomeni; ma, più di ognialtro organismo, l’uomo è atto a recepire la realtà. Si può presumereche anche gli altri esseri abbiano questo dono in forma rudimentale.Ma esso giunse a compimento solo nell’uomo, in determinate fasidell’umanità. Recepire la realtà significa facoltà di essere commossi dal-l’essenza dei fenomeni – non dai fatti, ma dalla realtà che li determi-na – o, in altre parole, non dai fatti stessi, ma dall’essenza dei fatti6.

Se sostituiamo l’espressione essere commossi con quella giusta,e cioè essere afferrati, il quadro è sufficientemente chiaro. Nellaprospettiva di Frobenius, i fenomeni sono prodotti da una realtà cheprecede e si sottrae ai fatti, ai quali la scienza invece è spontanea-mente diretta e che essa effettivamente raggiunge e comprende, mada cui non viene afferrata, come invece l’uomo è predisposto ad essere.Frobenius chiamava Paideuma quella predisposizione, a metà tra ilfisico e lo psichico. Ora, al di là della differenza davvero frontalerispetto a De Martino, per il quale l’essere afferrati non solo non puòavere valenza o valore di cultura ma anzi ai suoi occhi è la trama diveri e propri:

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6 L. FROBENIUS, tr. it. cit., 2013, p. 33. Abbiamo optato per questa recentetraduzione poiché essa migliora in un paio di passaggi importanti quella prece-dente, ma, come si vede, non si spinge fino a restituire il senso dell’Ergriffenheit. Inproposito, è utile leggere il motto che R. Otto appone (in memoria di TheodorHaering) al suo Il sacro. Si tratta di un passaggio del Faust (II parte) di Goethe, nelquale, con riferimento all’umanità, è scritto che la parte migliore di quest’ultima,das Schaudern, Ergriffen fühlt [er = der beste Teil] tief das Ungeheuere. Ergriffen nonsignifica qui semplicemente commosso, bensì appunto afferrato in una parteci-pazione coinvolta che inizia (d)all’esterno, e non certo dall’interiorità commossa delsingolo.

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rischi esistenziali che le singole civiltà sono chiamate, ciascuna a suomodo, a ridurre e a risolvere, [in quanto] la condizione fondamenta-le della cultura non sta nell’essere afferrati o posseduti dall’essenza del-le cose, ma nell’afferrarla e possederla in termini operativi e di pen-siero, nell’istituire quel tanto di distanza da rendere possibile un agi-re»7,

al di là, come detto, di questa decisiva differenza, per Frobe-nius l’essere umano è veramente degno di tale nome soltanto nel-l’attimo del contatto immediato con quella sacra e segretamente at-tiva realtà, che determina i fatti e la storia anche umana, fatti cui lascienza è sì diretta, ma nei quali resta però imprigionata come se es-si e soltanto essi fossero l’ultima istanza della vita. Quell’attimo èfondazione poetica della cultura, potremmo aggiungere noi, inter-pretando Frobenius, in mancanza della quale, la civiltà stessa risultainautentica; per De Martino, invece, il contatto immediato tra es-senza dell’uomo e della realtà, va affrontato dialetticamente e for-giato culturalmente, sotto forma di civiltà, che quel contatto ram-memora ma da cui vuole tenersi prudentemente distante nelle ceri-monie. Per evitare di ricadere nell’indistinto originario, che come sivede De Martino non tanto nega quanto piuttosto vuole, se non pro-prio esorcizzare, quanto meno confinare nel sacro:

la vita culturale istituisce la protezione di dispositivi di ripresa e direintegrazione, fra i quali stanno il simbolismo mitico-rituale, il sa-cro, le forme magico-religiose8.

Il sacro è dunque per De Martino un dispositivo di riduzionedel rischio di precipitare nuovamente il livello di civiltà, dall’uomocosì faticosamente ed a gran prezzo raggiunto, nell’indistinto pre-culturale. Il sacro mantiene in qualche modo viva la memoria dell’o-rigine e tuttavia ne celebra il superamento nella cultura. Per Frobe-nius, invece, davvero sacra è la memoria dell’origine come qualcosache si perpetua silenziosamente ma ininterrottamente all’internodella cultura, che la plasma senza posa ma segretamente, e consentein ogni istante, nel rito e nel culto, quel reintegro nell’origine stessa

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7 E. DE MARTINO, Op. cit., p. 90.8 Ivi, p. 91.

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che per De Martino deve piuttosto essere rammemorato come per-duto affinché la civiltà prosperi e mantenga vivo il proprio telos. È inquest’orizzonte interpretativo che si comprende forse meglio sia l’in-teresse di De Martino per la psicoanalisi, e per il suo processo dirisanamento delle ferite individuali grazie alla reintegrazione dellapersonalità e della coscienza, spesso soggette al rischio di ricaderenuovamente preda di fantasmi originari (il cui esorcismo vale la ri-costruzione del sé, appunto), sia l’opposizione strenua dello stessoDe Martino ad ogni forma di relativismo culturale: Europa ed Occi-dente sono per lui civiltà che più di altre hanno operato l’esorciz-zazione dell’indistinto pre-culturale sviluppando un proprio telos, –anche questa, parola usata spesso da De Martino. Caratteristica nonsecondaria del telos consiste proprio nella rilevazione e nel supera-mento delle crisi, che periodicamente si presentano nella storia del-la cultura umana, all’interno di, e nel ricorso a, quei dispositivi, il cuistudio ha anche dato vita, all’apertura verso l’altro, alla ricerca del sénell’altro, insomma: alla nascita stessa dell’etnologia. Il possibile su-peramento di una crisi, cui ogni civiltà è esposta, è legato per DeMartino alla capacità che quella cultura in crisi ha di riappropriarsie di proseguire il telos interno a se stessa, telos tuttavia compiuta-mente storico, fatto cioè di scelte e di risoluzioni, non telos natural-istico, come invece quello di Frobenius. Se dunque è pernicioso, agliocchi di De Martino, considerare l’Europa e l’Occidente alla streguae sul piano di qualsiasi altra cultura, quasi tutte le culture fosserouguali e indifferenti quanto ad ethos e telos, un indifferentismo cheDe Martino vedeva spesso emergere -difficile dargli torto- nelle po-sizioni coeve dell’antropologia, specialmente di derivazione ameri-cana, e che egli respinge9, del pari gli è inaccettabile quell’evo-cazione dell’indistinto (indistinto e indifferente sono qui quasi

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9 «Non ha invece nessun senso la pretesa di collocare la cultura occidentalefra tutte le altre, e fingere di poter contemplare da apolide tutte le culture, in unasorta di oggettivismo culturale e metastorico», ivi, p. 103. «Malgrado gli elementinegativi, vistosi e spesso atroci, con cui la crisi si manifesta e minaccia, le alternativevitali che impegnano oggi il mondo si chiamano ancora Europa. Che si debba man-tener fede alla ragione, come telos dell’umanità rappresentato in modo eminentedall’Occidente, o che si debba invece abdicare davanti all’irrazionale e tornare afare di esso il tema fondamentale della vita: questa alternativa si chiama Europa»,ivi, p. 105.

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sinonimi) che Frobenius ammette invece come trama ineliminabiledi ogni cultura. A tal punto che, essendo per Frobenius l’indistintoil presupposto metafisico stesso dell’innata disposizione umana amettersi in contatto con l’origine, indistinto che però Frobenius, nel-la tradizione in cui è immerso e di cui egli costituisce un apice, chiama‘natura’, Frobenius risulta chiaramente essere ben più attratto dalfenomeno dell’eruzione di significato che non dal suo riversarsi nellediverse forme storiche delle varie culture e civiltà. Ed infatti non lastoria, come per De Martino, bensì il tempo come origine della sto-ria, è quel che interessa a Frobenius. Il tempo, raccontato dal mito,che allude tanto all’origine fuori da ogni tempo, quanto alla storiaumana nel tempo. Ci troviamo ora pronti a prendere in consider-azione il ruolo che De Martino assegna a Rudolf Otto, poiché il nu-minoso – almeno così ci sembra – assume precisamente l’aspetto diquel tempo delle origini che penetra nella storia per poi (apparente-mente) lasciarla a se stessa, dando vita ad un processo rammemora-tivo che è affidato alla fede cristiana e che non può dimenticare lapropria provenienza altra, persino alternativa, rispetto alla storia. Alcontempo va però sottolineato che De Martino ascrive al Cristianes-imo10 un ruolo certo non secondario nel processo che conduce l’Oc-cidente ad acquisire ed elaborare il proprio telos, una nozione poinon molto diversa da compito:

Effettivamente il cristianesimo, a differenza delle altre religioni del-l’ecumene, fa apparire la coscienza del tempo e della storia nel cuorestesso del suo simbolo mitico-rituale, e attraverso i temi della storiasanta, del sacrificio dell’Uomo-Dio come evento storico al centro deldivenire, e di un processo escatologico che si attua nel tempo, nonsoltanto dischiude di fatto la storia umana, ma alza il velo sulla sto-ricità della condizione umana e fonda de jure, nella prospettiva dellafede, il senso dell’opera, la coscienza della tensione fra situazione e va-lore11.

Il Cristianesimo costruirebbe dunque il proprio dispositivo delsacro a partire da una nozione di tempo che, vissuta esistenzialmente

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10 Operando conseguentemente una saldatura a nostro avviso davvero moltosolida tra la nozione di Europa e quella di Cristianesimo, in una prospettivaneoumanistica, naturalmente.

11 Ivi, p. 60.

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cri stia ne si mo
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con si de ra zio ne

come una frattura del circolo temporale dell’eterno ritorno che an-nulla il valore dell’agire, e interiorizzata invece come una freccia in-dirizzata senza possibilità di ripensamenti alla volta della Fine deiTempi, non pretende mai che l’esistenza umana si rivolga diretta-mente, se non nello spazio segreto ma privo di tempo e significatostorico della propria coscienza, all’indietro, verso quell’indistinto eindifferenziato che attenta alla storia e al suo percorso significativodi aperture e ricomposizioni di crisi; piuttosto, rivolge un appello al-l’istituto storico del sacro. Sempre e comunque? Non proprio, ed in-fatti i dubbi di De Martino a proposito di Rudolf Otto e della suanozione di sacro sembrano nascere proprio nel contesto di tale in-terrogativo.

Se ora torniamo al saggio del 1959 su Mito, scienze religiose eciviltà moderna, troviamo che De Martino parla di Otto partendodalla data della pubblicazione de Il sacro, il 1917, anno in cui:

ebbe inizio una rivoluzione destinata a imprimere nella vita cultura-le di una parte notevole del grande spazio eurasiatico un netto atteg-giamento di rifiuto rispetto alle forme tradizionali di vita religiosa,[anno in cui] un teologo e storico delle religioni dell’Università diMarburgo pubblicò un piccolo libro cui doveva toccare una straor-dinaria fortuna12.

Che vada mantenuto fermo, o meno, il collegamento tra la Riv-oluzione Russa e la pubblicazione de Il sacro, certo è che per DeMartino questo libro:

apre in un certo senso in Germania quell’epoca culturale che è carat-terizzata dalla crisi dello storicismo, dal passaggio dal protestantesi-mo liberale alla teologia della crisi e all’affiorare di una tematica esi-stenzialistica13.

In cosa consiste tale tematica esistenzialistica, che De Martinoaccosta esplicitamente ad una stagione culturale per la quale il «temadi uno specifico carattere dell’esperienza religiosa»14 significa del

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12 Ivi, pp. 17-18.13 Ivi, p. 18.14 Ibid.

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pari un’apertura verso l’irrazionale? Per rispondere adeguatamenteoccorre rifarsi all’affermazione esplicita di Rudolf Otto secondo cuii cosiddetti ‘predicati razionali’ della divinità: «tanto pocoesauriscono l’idea della divinità stessa, che anzi essi sono e valgonosoltanto in rapporto a un irrazionale». Poco più sopra, anziché diidea della divinità o del divino, Otto aveva parlato esplicitamente diessenza della divinità, che appunto da quei predicati razionali nonviene esaurita. Nel capitoletto successivo, poi, specificando ulterior-mente, Otto aggiunge che l’oggetto del suo discorso, il sacro, nonsolo ‘vive in tutte le religioni’ ma che egli tenterà di parlarne, di de-terminarlo, facendolo sentire, evidenziandone cioè il carattere di re-lazione col sentimento (Gefühl), che viene perciò fin dall’inizio pre-sentato come il veicolo legittimato, in modo probabilmente esclusi-vo, a dialogare con il sacro nella sua scaturigine extra-storica15. Sec-ondo De Martino:

questo radicalmente altro e ambivalente costituisce per l’appunto ilmomento irrazionale della complessa categoria del sacro, [momentoche, secondo Rudolf Otto,] si può rivivere e descrivere e suggerire inqualche modo, ma non propriamente rigenerare nel pensiero16.

Giungiamo così al punto centrale del nostro discorso. Quell’ir-riducibilità del sacro ai contenuti razionali delle religioni storiche,che Rudolf Otto vede come garanzia dell’autonomia, e in qualchemodo della libertà, del sacro stesso dall’uso spesso pernicioso chel’uomo può farne17, per De Martino rappresenta invece il segnale

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15 Cfr. di R. OTTO, Il sacro, tr. it. di C. Broseghini, R. Nanini, A. Natale Terrin,Brescia, Morcelliana 2011. Citiamo però qui da R. OTTO, Opere, a cura di S. Ban-calari, Pisa-Roma, F. Serra Editore 2010, pp. 203 e 205. Nell’altra traduzione ital-iana, di Morcelliana, troviamo nel capitolo decimo (Che cosa significa irrazionale?)la seguente ulteriore e importante specificazione da parte di Otto: «Assumiamocome ‘razionale’ nell’idea del divino ciò che di essa rientra nell’area chiara e com-prensibile della nostra capacità intellettiva, nell’ambito dei concetti familiari edefinibili. E riteniamo che attorno a questa zona di chiarezza concettuale si troviuna sfera misteriosa e oscura, che non si sottrae al nostro sentimento, ma al nostropensiero astratto, e che per questo chiamiamo ‘l’irrazionale’», Op. cit., pp. 97-98.

16 E. DE MARTINO, Op. cit., p. 19 (corsivo nostro).17 Kerényi avrebbe a tal proposito parlato, com’è noto, di tecnicizzazione del

mito.

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che la storia dell’uomo è esposta ad un rischio di bidirezionalità chela civiltà e la cultura umane non sono a suo avviso in grado di sop-portare. Nella vita dell’individuo singolo quel sottratto ed ir-riducibile assume i contorni del rimosso, di cui la psicoanalisi si oc-cupa nel tentativo di ricomporre la psiche individuale. Nella culturae nella civiltà umane, la porta aperta verso l’irrazionale appare in-vece a De Martino troppo rischiosa. Oltre quella porta non c’è in-fatti il sacro, o meglio, non c’è soltanto il sacro, ma c’è anche un al-tro: il dionisiaco. Non è infatti tanto, o soltanto, l’ipotesi dell’ir-razionale come essenza profonda del divino quel che, almeno così cisembra di poter dire, preoccupa De Martino, quanto soprattutto ilfatto che quell’essenza irrazionale assuma i contorni del naturale-dionisiaco e che il sacro possa diventare, consapevolmente o incon-sapevolmente, la strada per ricongiungervisi. E se, come si dicevapiù sopra, la psicoanalisi sembra rappresentare la possibilità dirisanare la frattura del sé con le proprie ineffabili profondità, la cul-tura e la civiltà hanno elaborato nelle religioni, e nel sacro concepi-to però unidirezionalmente, vale a dire dal divino alla storia (e lungoquest’ultima verso una attesa, nei fatti mai però raggiunta, fine deitempi), un processo di risanamento e riassorbimento delle cosid-dette crisi esistenziali della cultura; un processo che non può per-mettersi di lasciare aperta, e tanto meno percorribile, la strada versole profondità segrete, extrastoriche, di un divino concepito in formadionisiaca. Per usare l’espressione di De Martino, quella strada nonè rigenerabile nel pensiero, ovvero: il dionisiaco non è storicizzabile,dunque, miti e simboli hanno il compito, la missione culturale, di at-trarre il sacro nella storia e di ancorarvelo, trasformando il suo telosin valori di civiltà. Una posizione, quest’ultima, che non è però pri-va di conseguenze, e proprio nell’ambito etnologico e antropologicocosì caro allo stesso De Martino, il quale, a onor del vero, in queisaggi non parla espressamente di dionisiaco: se infatti per Rudolf Ot-to è il sentimento il veicolo esistenzialmente accreditato a condurrel’uomo nei pressi dell’irrazionale come essenza del divino, e se, comemeglio vedremo tra poco, effettivamente in Germania, tra Otto eNovecento, la figura di Dioniso è stata variamente studiata ed anal-izzata come una configurazione sentimentale-irrazionale di un divi-no altro rispetto all’Occidente, ecco che proprio al sentimento di-venta imputabile l’impossibilità di rigenerare l’irrazionale nel pen-siero; quel medesimo, fondamentale sentire, cui però l’etnologo e

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18 Mohr, Heidelberg 1809.19 Ci sia qui concesso di rinviare almeno ai seguenti lavori: A. BAEUMLER – J.J

BACHOFEN – F. CREUZER, Dal simbolo al mito, 2 voll., a cura di G. Moretti, Milano, Spi-rali 1983, con ampia Introduzione; F. CREUZER, Simbolica e mitologia, Roma, EditoriRiuniti 2004; G. Moretti, Heidelberg romantica. Romanticismo tedesco e nichilismoeuropeo, Brescia, Morcelliana 2013³, con bibliografia aggiornata sull’argomento. Nelnostro: Hestia. Interpretazione del romanticismo tedesco, Roma, Ianua 1988, alle pp.

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l’antropologo ricorrono volentieri nel momento in cui avvicinano laspontaneità dell’atteggiamento dei popoli naturali nei confronti deldivino.

Occorre però adesso cercare di raggiungere fondatamente unlivello interpretativo ulteriore, livello che iniziamo ad intravedereappena osserviamo che non fu certo casuale il fatto che il primo im-portante ripensamento attorno alla figura di Dioniso, in Germania,porti la firma del simbolico Friedrich Creuzer. Siamo nel 1809, e lapubblicazione cui ci riferiamo si intitola sì Dionysus, ma ha un sot-totitolo molto indicativo: sive Commentationes Academicae de rerumbacchicarum orphicarumque originibus et caussis18. La figura di Dion-iso, che Creuzer rilegge in maniera molto filologicamente paludata,viene in realtà saldamente inserita in un impianto metafisico difilosofia della storia che, partendo da Creuzer e passando (almeno)per Görres, arriva fino a Bachofen, prima di incontrare con Niet-zsche un’inversione radicale. La cifra, neppure troppo segreta di taleimpianto, è la seguente: agli albori dell’umanità il divino si è palesatoin una Uroffenbarung, che si è trasmessa nella storia segretamentequanto efficacemente, conferendo peraltro alla storia stessa undoppio volto: da un lato essa è allontanamento dall’origine simboli-camente sacra e rivelativa, dall’altro, con la Rivelazione cristiana,quella medesima origine va incontro ad un mutamento che, se fa in-camminare la storia stessa verso la Fine dei Tempi, e quindi ancheverso un inveramento superiore (di quel che all’origine era inizial-mente rivelato in maniera ancora soltanto esoterica), esercita tuttaviasull’uomo un fascino tanto costante e potente da costringerlo aguardare contemporaneamente in avanti e però anche all’indietro,affinché di quell’origine venga non solo serbata la memoria ma essastessa possa essere sempre, concretamente, riattualizzata (nel Sim-bolo cristiano). Creuzer, in parte insieme a Josef Görres, ricostruiscequesto grandioso cammino19, e indica nel destinale passaggio dal

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92-118, si trova il saggio Religioni misteriche e Cristianesimo nel romanticismotedesco, che affronta la tematica qui per forza di cose soltanto accennata.

20 Non ha perciò senso, in questo contesto, rifarsi a ricerche, pur molto ap-prezzabili, come ad esempio quella condotta da H. CANCIK nel suo Dioniso in Ger-mania, Roma, Rari Nantes 1988.

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simbolo esoterico originario al mito greco-ellenico (essotericodunque) il momento maggiormente significativo del cammino stes-so: poiché nel linguaggio romantico tedesco, di cui Creuzer è autoree portatore eminente, simbolo significa Oriente, Oriente significanatura, e natura significa ciò che fondando il tempo storico è sia fuorisia nel tempo, si comprende immediatamente come il passaggio dalsimbolo al mito abbia in sé quel duplice aspetto di decadenza e disperanza utopica che assume romanticamente i contorni del destino.Il destino dell’Occidente, nel suo contemporaneo tramontare, rifiu-tarsi di tramontare, e voler tramontare per trasformarsi in altro.Teniamo però fermo lo sguardo sul punto essenziale20: nella triadesimbolo-mito-storia, che la Romantik elabora e propone nelle suericerche al confine tra letteratura, storia delle religioni e filologia, ilmito svolge un ruolo dialetticamente intermedio, essendo visto daun lato come il prologo della storia e dall’altro come il ricordo dellarivelazione originaria (il simbolo) che precede e fonda ogni storia.Dioniso diventa allora il nome del simbolo che passeggia nella storiaattraverso il mito. Anzi, a ben vedere, più che passeggiare, Dionisodanza e folleggia miticamente nella storia. Proprio perciò il dionisi-aco non è mai compiutamente storicizzabile, nonostante quel chechiamiamo sacro non possa far altro che provarci.

La figura di Dioniso, nelle analisi comparative e universalis-tiche di Creuzer e di Görres, rappresenta anche il legame fisico, sen-sibilmente visibile e significativo, tra l’Oriente come alba della cul-tura in forma di natura, e l’Occidente come civiltà naturale ormaitrasformatasi in cultura. Dioniso diventa perciò sia la memoria del-l’Oriente e della natura in Occidente, sia il fondamento naturale chela civiltà occidentale è chiamata a preservare nel mito, nel simbolo enel rito, oltre che nel culto e nella sua accezione di sacro, affinché ladimensione apollinea dell’esistenza non prevalga al punto da farinaridire del tutto quel rapporto col sacro che pure sempre lo ali-menta. Bachofen, in quest’orizzonte ermeneutico di partenza, in-serisce una componente certo non del tutto nuova ma sicuramente

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dirompente nella lettura che egli ne offre. Si tratta, com’è noto, del-l’ipotesi di un inevitabile stadio matriarcale nel corso dello sviluppodella cultura umana da naturale a culturale. E il Cristianesimo?Dioniso, collegato come fa Creuzer con l’orfismo e con i culti mis-terici, che da Oriente sarebbero appunto pervenuti in Grecia, è ildio che, proprio per la sua valenza femminile, si trova misticamentecollegato al destino orfico-apollineo dell’anima, e quindi, secondoBachofen, al superamento del sensibile attraverso il sensibile, al su-peramento della materia (femminile) attraverso la materia. Agli occhidi Creuzer e di Görres i culti dionisiaci prefiguravano e preparavanoil terreno per l’avvento storico-essoterico della Rivelazione cristiana,la quale, tuttavia, e questo punto non è secondario, sarebbe già inqualche misura stata presente nell’originaria rivelazione naturale-ori-entale. Nell’orizzonte di questa Uroffenbarung il Cristianesimo as-sume il duplice ruolo di portare a maturazione storica quanto era giàinsito ab origine (ma prima del peccato originale), e di portarlo acompimento in senso ormai essoterico, superando cioè, nell’univer-salismo culturale della civiltà cristiana compiuta, quanto di locale elimitato era ancora invece presente nelle vicende cultuali limitate daun’esperienza del sacro legata fisicamente alle varie nature: le sedimistiche dei culti locali. Dal simbolo universale, ma esoterico orien-tale-naturale, al mito ellenico dilaniato dalla disputa tra misticismoesoterico-locale e religione apollinea essoterica ma priva di veritàoltremondana, al simbolo universale spirituale cristiano, mistico edessoterico al contempo. Questa la dinamica ( = storica) triade ro-mantica, che nella configurazione di una simbolica della storia si op-pone in anticipo alla filosofia della storia hegeliana. Bachofen la rin-forza, questa tripartizione storico-mitica, introducendo l’ulterioreelemento simbolico-originario dell’età matriarcale, indispensabilefondamento naturale-culturale della successiva età patriarcale-spiri-tuale. Egli opera però in maniera volontariamente meno metafisica epiù etno-antropologica, se ci si passa l’espressione un po’ azzardata.Individua cioè tratti matriarcali storicamente sempre presenti, o co-munque costantemente riaffioranti anche in età spirituale-patriar-cale, e, per quel che concerne il nostro tema, tratteggia in Dionisouna figura, la cui comparsa religioso-cultuale contestualizza storica-mente sia il possibile riemergere di fenomeni matriarcali, sia, all’op-posto, ma non paradossalmente, il loro possibile superamento.Dioniso assume insomma l’aspetto di una divinità sia femminile sia

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maschile, mantenendo gli aspetti religioso-cultuali che aveva ac-quisito con Creuzer e con Görres ma arricchendosi significativa-mente di questo ruolo intermedio tra maschile e femminile, tra ma-triarcato e patriarcato21. Ne emerge il contorno di un Dioniso fem-minile22 estremamente originale e non casualmente ben diverso dalprofilo del Dioniso di Nietzsche che inizia a delinearsi proprio neglistessi anni e nella stessa Basilea di Bachofen. Infatti, riconoscendo alfemminile l’essenziale, dinamico ruolo cultual-cuturale di favorire illegame tra natura e cultura attraverso la cura del sentimento reli-gioso, il Dioniso di Bachofen non può essere privo di quei tratti fem-minili che sempre Bachofen aveva riconosciuto come essenziali percontribuire in maniera fondamentale a trasmettere i principi dellareligione orfica a tutto il mondo antico: principi che naturalmenteper Bachofen provengono da Oriente e preludono al successivofiorire del Cristianesimo. Un problema ermeneutico, suscettibile ditrasformarsi facilmente in una contraddizione piuttosto evidente,nel sistema di Bachofen, sorge nel momento in cui il Cristianesimoprotestante, cui peraltro Bachofen ascrive un valore storicamenteenorme, sembra diretto ad eliminare al proprio interno qualunquerelazione con quel femminile, che invece il Cattolicesimo mantiene(il culto Mariano e l’esteriorità materiale-simbolica in genere). MaBachofen, lungo tutta la sua opera, assegna come compito al senti-mento interiore, spazio interiore e implicitamente protestante, latrasformazione del femminile, e di tutto quel che di materiale-esteri-ore esso conserva nella versione del Cristianesimo cattolico, in unpercorso spiritualmente immediato con il sacro, un percorso-contat-to la cui immediatezza il Protestantesimo, da Schleiermacher aRudolf Otto, rivendicherà sempre con fermezza, pur perdendo – oquasi – la memoria della sua provenienza. Il sentimento, in originecertamente femminile, ma a fine Ottocento ormai rivisitato spiri-tualmente in senso pienamente patriarcale e del tutto interiorizzato,quindi depurato di ogni aspetto materiale ed esteriore, si affermaperciò come il veicolo pressoché esclusivamente deputato al rappor-

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21 Ruolo intermedio che Dioniso, in Bachofen, condivide con il fenomenodell’amazzonismo.

22 Cfr. il nostro «Dioniso femmineo straniero. Il dionisiaco tra Bachofen, Ni-etzsche e Otto», in G. MORETTI, La segnatura romantica. Filosofia e sentimento daNovalis a Heidegger, Cernusco L., Hestia 1992, pp. 269-282.

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to con l’invisibile, e con il sacro, il totalmente altro rispetto allafinitezza umana. Rudolf Otto vi farà a sua volta appello.

Riportiamoci velocemente alla memoria alcune date: Das Mut-terrecht esce nel 1861 e gli scritti bachofeniani di carattere più etno-logico sono successivi al 1870; Nietzsche pubblica la Nascita dellatragedia nel 1872. Cosa accade tra Bachofen e Nietzsche, in relazionenaturalmente al rapporto dionisiaco-sacro? Qualcosa di molto par-ticolare, ma in qualche modo anche di atteso, di consequenzialerispetto alle posizioni di entrambi gli autori. Qualcosa, peraltro, chediverrà ben più evidente ed avrà ripercussioni in quasi tutte le disci-pline dello scibile soltanto dopo Nietzsche. Il dionisiaco ed il sacrosi scoprono incompatibili. I primi segnali di questa incompatibilità siavvertono già nel 1872, allorché Nietzsche propone una visione delrapporto Apollo-Dioniso che non soltanto consente una loro co-esistenza, ma per certi versi la richiede espressamente, una co-esistenza finalizzata allo scopo dell’azione artistica e creatrice in sen-so tradizionale-metafisico. Non è qui necessario ripercorre i punti-base dello scritto nietzscheano del 1872. Basterà sottolineare come,proprio mentre il dionisiaco diviene il tema attorno al quale il pen-siero di Nietzsche si coagula fino a diventare quell’esplosivoermeneutico che tutti conosciamo, gradualmente, ma decisamente,la coesistenza tra Apollo e Dioniso, in Nietzsche, diviene sempre piùincerta e problematica, e lo spazio del sacro tende ad essere oggettodi uno smascheramento radicale. Passaggio essenziale della critica diNietzsche alla metafisica ed al suo statuto conoscitivo, al pensierooccidentale come decadente è costituito precisamente dalla sua crit-ica al romanticismo come incubatore di entrambi (metafisica e deca-denza): proprio quella Romantik che, dal 1770 circa in poi, si eravariamente e ripetutamente incaricata di tenere aperto il passaggioreciproco tra il dionisiaco, come fattore naturale-vitale, indistinto masimbolicamente significativo, originario e propulsivo, e il sacro,come spazio civilizzatore e culturale, espressione di una linea chenon conducesse soltanto dall’uomo al mondo ma anche, e soprat-tutto, dal divino all’uomo. La percorribilità del passaggio dionisia-co-sacro manteneva aperto anche il flusso di interscambio tra lanatura come serbatoio di segreti significati universali extra-umani ela storia come campo d’azione umana libera ma anche sacralmenteorientata. Nel nome dell’insensatezza e della menzogna intrinseche,tanto del fatto quanto della nozione di natura e di cultura-civiltà,

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così come la filosofia occidentale li aveva prodotti ricorrendo allestrutture tradizionali platonico-cristiane, Nietzsche interrompe de-liberatamente quel passaggio. Il dionisiaco, ossia il fluire degli even-ti al di là di ogni sfera oggettiva di senso e significato, al di là cioè diun loro (degli eventi) valore indipendente dal quantum di azione vo-lente che il soggetto potenziato è chiamato ad immettervi nell’agonedell’esistenza, il dionisiaco è da Nietzsche liberato, emancipato dalpotere e dover-significare. Tale liberazione, i cui effetti si dispieganolungo tutto il Novecento e non cessano certo attualmente di farsiprepotentemente sentire, non abbatte soltanto lo spazio del sacroma finisce inevitabilmente per coinvolgere nella spirale dell’insen-satezza che ne scaturisce qualsiasi progetto umanistico dell’agireumano per valori. Dopo Nietzsche, lo spazio per un umanesimocome atteggiamento capace di operare come se la storia abbia unsenso e produca possibili valori in virtù del fatto gli esseri umani la-vorano liberamente ed attivamente a tale progetto, diventa qualcosadi molto stretto, e infine di meramente illusorio. Gli avvenimentitragici della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, e non soltan-to essi, sono lì a dimostrarlo. Nichilismo è la parola d’ordine allaquale secondo Nietzsche si sarebbe dovuto ispirare lo Übermenschresosi dominatore del dionisiaco, esso si è trasformato invece nelsuono che l’impotenza dell’ultimo uomo emette nel far fronte aldionisiaco liberato. C’è un nesso strettissimo tra la liberazione deldionisiaco operata da Nietzsche, frutto suo tentativo filosofico di in-canalarlo in una forma di nichilismo gestibile da una nuova figura diuomo, e l’impossibilità di coniugare dionisiaco e sacro senza chel’uno o l’altro prevalgano. Nichilismo, non a caso, è il nome che nellepagine di De Martino si intuisce sia alle spalle dell’indifferentismoculturale che appiattisce l’Europa ed il suo progetto nell’indifferen-za delle culture, una volta che esse siano poste tutte su di un medes-imo (e indifferente) piano, sia nell’apertura di credito verso il sacrocome irrazionale. E tuttavia: davvero la nozione di sacro di RudolfOtto rientra nell’orizzonte di apertura verso l’irrazionale, come DeMartino le imputa, o non piuttosto essa rappresenta un ultimo, es-tremo e per certi versi anche parzialmente fortunato tentativo diarginare il dionisiaco, ormai liberato sulla scena europea, mantenen-done a tale scopo proprio il legame con il sacro come motore possi-bile di civiltà? Lo spazio sentimentale, al quale Rudolf Otto affida ilrapporto col sacro come totalmente altro, viene pur sempre visto

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come uno spazio in grado accogliere tale alterità senza esserne in-ghiottita, ricorrendo peraltro a formazioni di valore perlomeno sim-ili a quelle di cui lo stesso De Martino affermava, ancora cinquantaanni dopo l’uscita del libro di Otto, l’importanza e l’indispensabil-ità. Non solo: davvero, come De Martino auspicava, è ancora possi-bile un neoumanesimo capace di orientare positivamente e sensata-mente verso il meglio le scelte dell’agire umano, particolarmente og-gi, in presenza dell’indebolimento notevole sperimentato da almenodue forti punti di riferimento che lo stesso De Martino mostrava diritenere invece essenziali per il suo progetto neoumanista, vale a diresocialismo e psicoanalisi?

Qualunque risposta si ritenga di dare agli interrogativi appenaformulati, e ad altri ancora che potrebbero legittimamente nascere,vale la pena, in conclusione, di gettare un velocissimo sguardo alletesi di due nietzscheani della prima ora, Ludwig Klages e WalterFriedrich Otto, i quali ebbero entrambi un ruolo non secondario neldibattito sul dionisiaco nei primi tre decenni del Novecento23. Purnella diversità, anche molto marcata, delle loro reciproche posizioni,un elemento di vicinanza tra di esse va qui menzionato, in quantoconcerne direttamente il nostro tema. Ambedue, intimamente con-sapevoli dell’importanza rivoluzionaria del pensiero Nietzsche, maaltresì non disposti a rinunciare al passaggio bidirezionale tra natu-ra-cultura rappresentato dal sacro, cercano di ricostituire il legamedi quest’ultimo col dionisiaco. Certo, strutturandolo nel segno deldionisiaco piuttosto che del sacro, a differenza di Rudolf Otto, cheperaltro non chiama mai il dionisiaco per nome. Sacro è allora perKlages il portato esistenziale stesso dell’essere umano autentico, nelsuo essere liberato dall’abbraccio spirituale-inautentico con ciò chesempre Klages chiama Geist e che assume proprio l’aspetto dellaciviltà privata del passaggio al dionisiaco, alla profonda significativ-ità della natura. Per Walter Otto, sacro è mitico ed attivo, operativo,essere-aperto dell’esistenza umana autentica al discorso naturale,dionisiacamente espresso e tuttavia sacralmente riconfigurato, for-mato, reso espressivo, tutto ciò nel recupero estremamente deciso

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23 Si rinuncia a parlare in questa sede dell’opera di autori quali J.W. Hauer,O. Höfler e P. Schneider, nonché dell’avventura del dionisiaco in Francia vissuta daCaillois, Bataille e altri ancora.

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tanto dell’impianto apollineo della civiltà e della cultura greche,quanto anche nella conservazione della forza dell’impostazionedionisiaca nietzscheana. Apollo, per Otto, è la volontà di potenza,grecamente sperimentata, capace di dare forma al dionisiaco indis-tinto e privo di forma; il sacro è l’esito di tale incontro della volontàche per i Greci prese la figura dei loro dèi. Per entrambi, come sivede, dionisiaco è quasi sinonimo di naturale nel senso di autono-mamente, spontaneamente significativo sul piano della storia. Ilsacro poggia per entrambi sul dionisiaco ma non viene da quest’ulti-mo cancellato, nemmeno nel pensiero di Klages, che, tra i due, è dicerto il più vicino alle tesi dionisiache di Nietzsche, ma da quest’ul-timo si distacca espressamente proprio in un punto essenziale:Klages non accetta (romanticamente) il verdetto nietzscheano sul-l’intrinseca insensatezza del mondo e della natura, la riduzione, del-l’esperienza esistenziale autentica del senso del mondo, a menzognae debolezza. Sull’importanza del ruolo della forma, concetto emi-nentemente goetheano che Walter Otto erge a spazio simbolica-mente esemplare, al cui interno il dionisiaco è trasformato in sacrodall’azione umana del culto e del rito, non è necessario insistere quiulteriormente24.

Il percorso che abbiamo cercato di compiere attraverso quelfilone della cultura otto-novecentesca che, così come ci si è presen-tato in alcuni momenti esemplari, ha infine avuto nell’opera di DeMartino, in relazione al rapporto dionisiaco-sacro, un particolare es-ito, è un percorso naturalmente suscettibile di integrazioni e cor-rezioni, di approfondimenti e di ampliamenti, anche notevoli. Tut-tavia, ci sembra di poter dire che almeno una linea essenziale, forte-mente emblematica, sia stata enucleata e presa in esame. L’irruzionedel dionisiaco sulla scena culturale di primo Ottocento e la suapotenzialità di destabilizzazione del rapporto dell’esistenza umanacon il divino nel sacro, sono emerse, crediamo, con sufficientechiarezza. Il dionisiaco, lungo tutto l’Ottocento, è stato variamente

24 Per quel che concerne L. KLAGES, cfr. La realtà delle immagini. Simboli ele-mentari e civiltà preelleniche, a cura di G. Moretti, Milano, Marinotti 2005; di W.F.OTTO, cfr. Dioniso. Mito e culto, tr. it. di A. Ferretti Calenda, Genova, il melangolo1990 [cfr. altresì la recente edizione tedesca di questo volume, W.F. OTTO, DionysosMythos und Kultus, Frankfurt a.M., Klostermman 2001, con una Postfazione di A.Stavru].

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sperimentato, e precisamente, se così possiamo esprimerci, sia comeveicolo mondano di valori e contenuti emancipatori, teso talvoltapersino a rendere superfluo il sacro (esautorato quanto a legame di-retto col divino, celebrato cioè nella sua veste e forma esclusiva-mente mondana), sia come rinforzo mondano-extramondano di unrapporto, ancora una volta quello dell’esistenza umana con il divino,che subiva ripetutamente l’attacco della secolarizzazione. Dinanzi alpericolo che il dionisiaco, sperimentato nella sua versione estrema,finisse, anche inconsapevolmente, per attrarre definitivamente ilsacro nel proprio raggio d’azione esclusivo, la strada della sepa-razione del secondo dal primo, proprio per l’accusa di irrazionalis-mo rivolta al dionisiaco, è stata variamente percorsa. Svincolare ilsacro dal dionisiaco allo scopo di proteggere quest’ultimo dall’im-plicita, paventata irrazionalità distruttiva del primo, non significaperò soltanto consegnare la storia a se stessa, al momento umanocome sua origine, suo scopo e mezzo, rendendola così autonoma,libera e del tutto emancipata dalla spinta oltremondana: significa al-tresì, inevitabilmente, rischiare di considerare arbitraria l’aperturadell’esistenza individuale nei confronti dell’origine divina della sto-ria, interpretando tale apertura come un prodotto esclusivamenteculturale e affidando di conseguenza la sua gestione all’istituzionesacra per eccellenza, la Chiesa, che è tale proprio in quanto da sem-pre storica e istituzionale. Un esito, quest’ultimo, che in Italia ha edha avuto ricadute certamente di non poco conto, in tutti i campi. LaGermania, di provenienza protestante, ha tentato con Rudolf Ottodi collegare dionisiaco e sacro come forme conciliabili di natura e cul-tura, ed sperimentato questo tentativo sulla scia della progressiva in-teriorizzazione della nozione di verità dell’esistenza scaturente ap-punto dall’appello che il Protestantesimo ha elevato, potente, al sen-timento individuale come fonte di verità religiose nascoste. Il senti-mento, riscoperto ad inizio Ottocento come facoltà esistenzialeumana in grado di accedere direttamente, senza mediazioni cultur-ali, al divino e all’irrazionale-naturale, si è così infine trovato acoabitare quasi alla pari con ciò da cui, lungo tutta la storia dell’Oc-cidente, era sempre stato tenuto distante: la verità, e per giunta nel-la sua forma religiosa, quindi superiore a quella mondana della scien-za, cui non di rado è stata, soprattutto nel Novecento, contrapposta.La pretesa di veicolare sentimentalmente, e politicamente, la veritànella storia, ha finito tuttavia paradossalmente per travolgere, e da

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ultimo annullare, il carattere stesso di verità sentimentale per la cuiaffermazione la Romantik aveva strenuamente combattuto, una ver-ità che per i romantici non poteva né doveva contrapporsi alla ver-ità del mondo, bensì armonizzarsi con essa ad un livello superiore,più profondo. La posizione inizialmente irreligiosa dell’Umanesimo,successivamente invece molto più disposta ad accettare la sepa-razione, e la differenza, tra natura e cultura, divino e umano, po-sizione sfociante infine nel neoumanesimo in cui De Martino si ri-conosce, ha avuto, dinanzi al problema del rapporto tra dionisiaco esacro, una vita relativamente più semplice. Il sentimento, e la fedecome sua espressione storicamente accettabile, non vengono quasimai vissuti esistenzialmente in maniera così estrema da percorrere,alla volta del divino, una loro strada autonoma, senza cioè l’aiuto ela guida dell’Istituzione storica da sempre prepostavi. La mistica neè certo un’espressione, ma molto elitaria e raffinata, se così possiamoesprimerci; la devozione popolare ne rappresenta la controimmag-ine, stemperata tuttavia dal suo aspetto locale e, per ciò stesso in-evitabilmente, limitato.

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Otto, Rudolf– 2010Opere, a cura di S. Bancalari, Pisa-Roma: F. Serra Editore.Otto, Walter Friedrich– 1990Dioniso. Mito e culto, tr. it. di A. Ferretti Calenda, Genova, il

melangolo (cfr. Id., Dionysos. Mythos und Kultus, Frankfurt a.M.:Klostermman 2001, con una Postfazione di A. Stavru).

– 2007²Il mito, ed. it. a cura di G. Moretti, Genova: il melangolo.

DIONISIACO E SACRO TRA OTTO E NOVECENTO FINO A DE MARTINO 203

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