n. 6 / 2011 a g o s t o / s e t t e m b r e · 2019. 12. 28. · n. 6 / 2011 a g o s t o / s e t t...

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N. 6 / 2011 AGOSTO/SETTEMBRE Anno XIX - N. 6 - Agosto/Settembre 2011 - SPEDIZIONE IN A. P. - 45% - ART. 2 COMMA 20/b LEGGE 662/96 - FILIALE DI ALESSANDRIA Storia e Tradizioni L’apicoltura italiana festeggia i 150 anni dell’Unità d’Italia S i T di i i Varroa Infezioni virali e perdite invernali di colonie d’api Visto per voi Che ruolo gioca la varroa nella scomparsa delle api?

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VarroaInfezioni virali e perdite invernali di colonie d’api

Visto per voiChe ruolo gioca la varroa nella scomparsa delle api?

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1L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Sommario

Editoriale di F. Panellapag. 2

pag. 48 La posta dei lettori di U. Grassone

pag. 51 Dai nostri lettori

pag. 52 Notizie in breve

pag. 23

EUROPEAN DOCUMENTATION

IN APICULTUREFOR PRESS AND INFORMATION

Ai sensi dell’art. 13 del DLgs. 30.6.2003 n. 196,informiamo che i dati personali degli abbonatisono trattati da Aspromiele - Associazione Pro-duttori Miele Piemonte - in forma automatizzatae utilizzati per l’invio della rivista, di materialeamministrativo, commerciale e promozionalederivante dalla nostra attività. Ai sensi dell’art. 7del suddetto DLgs. gli abbonati hanno il dirittodi conoscere, aggiornare, rettificare o cancellarei propri dati e di opporsi per motivi legittimi alloro trattamento.

Amministrazione e RedazioneCorso Crimea 69, 15121 AlessandriaTel. e Fax 0131-250368e-mail: [email protected] youtube: unioneapicoltorifacebook: Lapettegola Và

ProprietàASPROMIELE, Via Drovetti 5, Torino

Direttore ResponsabileM. Carpinteri

RedazioneF. Panella, R. Barbero, C. Olivero,S. Curti, M. Gotti, L. Allais, A. Raffinetti,U. Grassone, A. Fissore, P. Faccioli, A. Lazzati, L. Piana, R. Polide, G. Guido

ImpaginazioneS. Curti

StampaTipografia Canepa, Via Perfumo 40/a, Spinetta M.go (AL)

Spedizione in abbonamento postale -45% - art. 2 comma 20/b legge662/96 -15121 filiale di AlessandriaAutorizzazione del Tribunale di Cuneon. 463 del 27/02/92

Abbonamento annualeeuro 30,00 per 9 numeri. Da versare sul C.C.P. n. 23728108 intestato ad ASPROMIELE, Via Drovetti 5 - 10138 Torino.Arretrati euro 3,50.

Questo numero è stato chiuso in redazione mercoledì 13 luglio 2011

ANNO XIX - NUMERO 6AGOSTO/SETTEMBRE 2011sommarioIn copertina

Le api e gli apicoltori commemoranoe festeggiano l’Unità d’Italia e il“Movimento Apistico Italiano” che neè scaturito. Quale migliore emblemadella statua di uno dei Padri dellaPatria, Giuseppe Garibaldi apicultore(come si autodefiniva) “baciata infronte” dall’irrefrenabile fenomenodella riproduzione della vita?(Foto di Lorenzo Fratino).

Lavori in apiarioSettembre/ottobre

di U. Grassone, A. Fissore e D. Greco

pag. 10 Il progetto “Apenet-Toscana”: considerazioni sui risultati delprimo anno di attività

di G. Formato

pag. 38

pag. 43 Visto per voi

VarroaInfezioni virali e perdite invernali di colonie d’api

di A. Imdorf e P. Neumann

pag. 6

Che ruolo gioca la varroa nella scomparsa delle api? di M. Gotti

Musei dell’apicolturaUna storia rivissuta passo passo

di P. Faccioli

pag. 33 Ambasciatori dei mieliMiele mille fiori della Valle d’Aosta di S. Gallo

pag. 17 Storia e TradizioniL’apicoltura italiana festeggia i 150 anni dell’Unità d’Italia

di F. Ridolfi

Documento di Unaapipag. 5

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L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Editoriale

Editorialea cura di F. Panella

Il primo gran successo lo festeggiava l’edito-riale dell’ottobre 2008, God save the Queen; ilsecondo intitolato Due a zero, dicembre 2008,festeggiava la vittoria sul campo del Tar delLazio; l’aggiudicazione dello scudetto ambien-tale 2009 sanciva, a gennaio 2009, l’ulteriorevittoria su un campo di gioco ancor più ostico,quello del Consiglio di Stato. La contabilità api-stica quindi annotava e salutava con un belQuattro a… zero, a ottobre 2009, il rinnovodella sospensione e la possibilità di… un altroanno di vita per l’apicoltura nelle terre del mais!Infine, a settembre 2010, un titolo emblematicoCappotto? Salutava l’auspicato rinnovo dellasospensione fino al 30 giugno del 2011.

Commentavo l’ultima battaglia vinta “Nondemorderanno: (per loro ndr) è “scontato”che presto i concianti killer saranno ri-auto-rizzati, attenuando “forse” il solo effetto tos-sico in fase di semina”.

Alla scadenza del 30 giugno e ancora unavolta ai potenti e prepotenti è andata male,anzi malissimo!

Gli è andata male grazie all’indispensabilelavoro di comunicazione, sensibilizzazione epressione, realizzato principalmente da Unaa-pi, ma non solo... Perché la scienza, la scienzavera e non prezzolata per fare “studi” addome-sticati, la scienza che fa ricerca e si pone que-siti continua ad accertare e convalidare effettiinaccettabili degli insetticidi sistemici. Perchéla maggior parte delle Regioni del mais si sonopronunciate per la sospensione e due, l’EmiliaRomagna e la Toscana, hanno assunto posi-zione “senza se e senza ma”: ritiro definitivodell’autorizzazione.

Nell’impudente prepotenza che è loro abituale,pensavano di poterla spuntare con la consue-ta arma: l’aut aut, o i concianti o l’ “indomabi-le” diabrotica... Invece la coltivazione del maissenza concianti va alla grande. Smascherato ilgioco hanno allegramente ribaltato l’argomen-tazione: o i concianti o i ferretti e i virus delmais. Ovviamente hanno trovato - e pagato? -scienziati, comunicatori ed esperti che inaccorata cantoria non han perso occasioneper invocare la “ indispensabilità dei concianti.La nuova argomentazione di marketing è pla-tealmente contraddetta dai dati ufficiali sullaquasi irrilevanza dei danni per il mais delle sud-dette “piaghe”. Gli è andata male perché,anche ammesso e non concesso che sia pos-

SEI A ZERO!Rinnovata, ancora, la sospensione degli insetticidi sistemici del mais.

2

La prepotente, perfidamente organizzata, umanasete di profitto (“costi quel che costi” a prescin-dere dal futuro) come può essere definita se non:

lucida, irresponsabile e criminale demenza?

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3L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Editoriale

sibile ridurre l’emissione tossica del 90-95%,pur con quantitativi così ridotti di contamina-zione ambientale è provato (non lo dubitiamoanche da Apenet) si manifestano effetti subletali inaccettabili sulle api.

Certo non demordono, sono persino riusciti afar spostare la scadenza della nuova sospen-sione in tempo utile per riprovare a immetterele loro stratossiche molecole in commercio nel2012.

Non demordono nel riproporre il giochettodelle tre carte. Per rendere il rischio “accetta-bile” e ottenere l’autorizzazione ci si basa sullafalsificazione della dose letale 50% di riferi-mento, si assume, infatti, quella della singolaape, uno dei vari componenti l’alveare, comese fosse quella dell’animale in questione:l’alveare.

Di converso l’accertamento di effetti cronicie comportamentali sulle singole api non èconsiderato di provata, rilevanza e ricadutaper la colonia. Con tale procedura, totalmentemancante di consequenzialità logica (che con-traddice ogni buon senso precauzionale) glieffetti accertati sulle api, quali: disorientamen-to, perdita di memoria a breve-medio e lunga,convulsioni, sinergia con patologie, non sareb-bero di rilievo e tali da evidenziare effetti inac-cettabili sulle colonie d’api e quindi su tutti gliimpollinatori.

Ora, al 31 di ottobre, che ci aspetta? La bat-taglia apistica deve non solo essere in grado diproseguire e di tenere botta, ma anche saperfar crescere il livello dell’iniziativa. Sul pianocomunitario le proposte che abbiamo avanza-to, grazie all’iniziativa dell’European Beekee-pers Coordination, vedono alcuni primi impor-tanti risultati sia da parte della CommissioneEuropea e sia del Parlamento Europeo. A livel-lo di principio e di obiettivi si riconosce, final-mente, la necessità di accertare tutti gli effetti,anche nel tempo, sulle colonie. Tra questi primipassi “di principio” e la messa in atto di proce-dure efficaci e validate ci vorranno almeno varianni, in cui è indispensabile gli apicoltori orga-nizzati sappiano mantenere costante capacitàd’implacabile iniziativa, critica e di propostapositiva.

Una nuova mobilitazione dell’apicoltura ita-liana per la prossima scadenza di ottobredovrà realizzarsi quindi per portarsi a casaun’altra, ulteriore e bella vittoria!

Consentitemi in chiusura alcune telegrafichenote, finalmente dedicate alla stagione in atto.L’esito finale della produzione dell’acacia faipotizzare una possibile espansione tendenzia-le delle zone di potenziale produzione. L’ottimaproduzione anche nell’est d’Europa potrebbe

comportare un ridimensionamento delle quo-tazioni per questo miele, ma l’andamento d’in-sieme della quotazione delle varie tipologie dimiele, negli scambi mondiali di miele non sem-bra indirizzato verso flessioni significative. Pre-occupa, quantomeno in gran parte del Pie-monte, l’inconsueta scarsità delle scorte neinidi all’inizio di luglio. Lo scarso, se non nullo,in molti contesti raccolto di miele di castagno,oltre che dall’andamento climatico potrebbedipendere dall’espansione dell’infestazionedella vespa cinese, il cinipide che sta riducen-do buona parte dei quasi 800.000 ettari dibosco delle nostre dorsali montane, in un pae-saggio desolante. Auguriamoci che questonon metta a rischio la produzione di uno deimonoflora più tipici e di crescente apprezza-mento! La produzione dell’eucalipto è a suavolta messa in discussione dall’infestazione diun altro parassita d’importazione, la psilla, cheaddirittura porta a morte le ombrose alberate.La preoccupazione per quest’altra eccellenzamonofloreale dello stivale non può esserecerto attenuata dalla momentanea produzionedi melata conseguente all’infestazione paras-sitaria.

Le preoccupazioni nell’epoca moderna dellaglobalizzazione si moltiplicano, ma con esse,come l’apicoltura italiana ha saputo dimostra-re, anche le opportunità! Valga quindi per tuttiquanto propostoci da un grande Uomo:

Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci.

Mahatma Gandhi

La ricerca scientifica indipendente, quella vera e non dedita a “dimostrare” subdolamente quanto “d’interesse per chi paga”, con studi

diversi e convergenti, ha accertato che infime somministrazioni di insetticidi sistemici

provocano nelle api vari e micidiali effetti, con fra l’altro induzione di sviluppo di patologie,

quali il nosema…

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• Egregio Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali,On. Francesco Saverio Romano• Egregio Ministro della Salute,

Prof. Ferruccio Fazio• Egregio Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare,

On. Stefania Prestigiacomo• Egregio Assessore Risorse Agroalimentari Regione Puglia,

Dott. Dario Stefano

LORO SEDI

Oggetto: autorizzazione all’uso dei concianti del mais contenenti i principi attivi Imidacloprid, Clothianidin, Thiamethoxam e Fipronil

Nel ringraziare sentitamente per la decisione precauzionale, assunta lo scorso 22 giugno in merito alla sospensione del-l’impiego dei cosiddetti “concianti del mais”, in unitaria rappresentanza del settore apistico, desideriamo evidenziare lemotivazioni che consentono, a nostro avviso, di assumere una decisione di definitivo ritiro dell'autorizzazione d'uso deiconcianti del mais.• Sentenza del febbraio 2011 del Consiglio di Stato della Repubblica di Francia sull’illegittimità dell’autorizzazione alcommercio del prodotto Cruiser.

• Reiterato accertamento in Slovenia, nella primavera 2011, di gravi fenomeni di spopolamento di interi apiari nella regio-ne di Pomurje, cui ha fatto seguito il ritiro dell’autorizzazione d’uso, anche nel Paese confinante, dei concianti neuro-tossici.

• Piena operatività dal 14 giugno 2011 del Regolamento 1107/2009/CE.• Mancanza di una corretta valutazione degli effetti cronici e subletali dei concianti in oggetto e grave carenza della valu-tazione dei quozienti di rischio secondo i criteri richiesti dalla norma.

• Scarsa significatività e incidenza dei parassiti e delle patologie del mais, diabrotica, elateridi e virus nelle tre stagioniproduttive contrassegnate in Italia dal divieto d’uso dei concianti sistemici.

• Riconferma, vasta e di campo, dell’efficacia della rotazione e delle buone pratiche agronomiche coerenti con l’approc-cio di lotta integrata alle patologie e parassitosi del mais.

• Netto e incontestabile miglioramento nelle ultime tre stagioni - 2009, 2010 e 2011 - dello stato di salute e di buonaproduttività degli allevamenti apistici.

• Evidenze accertate in merito ai gravi fenomeni di contaminazione delle api provocate dalle polveri tossiche prodottedai cantieri di semina.

• Non sufficiente efficacia della asserita riduzione della contaminazione, tramite l’applicazione di deflettori alle seminatri-ci, rispetto all’accertamento del possibile rischio di effetti inaccettabili sulle api, e quindi sull’insieme degli insetti eforme viventi non targhet, anche a fronte di limitate percentuali di emissione tossica.

Tutto ciò considerato le sottoscritte organizzazioni apistiche sono a proporre che sia adeguatamente valutata, in consi-derazione della pluralità e convergenza delle ragioni su elencate, l’assunzione della decisione del definitivo ritiro dell’au-torizzazione d’uso dei succitati preparati fitosanitari.In fede,

IL DOCUMENTO

Diego Pagani Presidente Conapi

Francesco PanellaPresidente Unaapi

Raffaele CironePresidente Fai

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6 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Varroa

Da alcuni anni, in Europa e in altre zone del mondo, si registrano perdite di colonie, soprattutto durante le fasi di invernamento e svernamento. Si individuano molteplici possibili motivi che, nella maggior parte dei casi, non sono supportati da fatti concreti. Un’unica cosa è certa: questi fattori scatenanti hanno notevolmente accorciato l’aspettativa di vita delle api invernali, causandola perdita di quelle dinamiche che una colonia mantiene per anni durante la propria vita, e quindi il collasso della stessa. La principale causa di tale situazione continua a essere ritenuta la presenza di acari varroa e di virus.

a diversi studi emerge chegli acari della varroa e ivirus potrebbero avere un

ruolo nella perdita delle colonie;nel caso dei virus, però, non visono purtroppo dati concreti chelo confermino. A mancare sono,in particolare, analisi che tenganoconto di tutti gli stadi del collassodelle colonie (sana, indebolita emorta). È, infatti, importante, chevengano studiate anche le colo-nie indebolite, già che i viruspotrebbero anche attaccare lecolonie solo poco prima dellaloro morte, come succede peraltri parassiti. Se i virus si trovas-sero in maggiori quantità nellecolonie morte o indebolite rispet-to a quelle sane, si avrebbe unaltro indizio che essi sono corre-sponsabili del collasso delle colo-nie. A tale scopo, il Centro diricerche apicole (Cra) ha avviato,negli inverni 2005 e 2006, unostudio per analizzare l’infezione divirus delle api in colonie morte,indebolite o sane pubblicandonenel frattempo i risultati in una rivi-sta scientifica. Di seguito si rias-sumono i punti più salienti di talestudio.

Struttura sperimentaleNegli inverni 2005 e 2006sono stati raccolti campioni diapi da 337 colonie, provenientida 55 apiari in 8 Cantoni dellaSvizzera. In base allo stato di salute dellecolonie si sono suddivisi i cam-pioni nei tre gruppi riportati diseguito.1) Gruppo morto (nessuna o

poche api in vita).2) Gruppo indebolito (popola-

zione indebolita con elevatamoria di api).

3) Gruppo sano (colonie di apisvernate regolarmente).

Per ogni colonia sono stateraccolte e conservate, fino almomento dell’analisi, a unatem pe ratura di -20°C, 100 api. Nella prima fase, i campioni sonostati analizzati dal punto di vistaqualitativo in base alla presenzao meno di sequenze di geni dei 4virus di seguito elencati.1) Virus delle ali deformate

(Dwv).2) Virus della paralisi acuta

(Apv).3) Virus della paralisi cronica

(Cpv).

4) Virus dell’ape del Kashmir(Kbv).

Si sospetta che tutti questi quat-tro virus provochino perdite diapi. Nella fase conclusiva dellostudio si è determinata la porta-ta dell’infestazione nelle coloniein cui è stata confermata la loropresenza. Ulteriori informazioni sui metodidi analisi possono essere con-sultate nell’articolo originale.

I risultati più salienti Dei 337 campioni analizzati, 120provenivano da colonie morte,72 da colonie indebolite e 145da colonie sane. Tra i virus inosservazione sono stati rilevatisolo il Dwv e l’Apv, mentre il Kbve il Cpv erano assenti. In generale, nel gruppo di colo-nie morte, la presenza di Dwv oApv era decisamente più impor-tante rispetto a quella riscontratanel gruppo indebolito e in que-st’ultimo decisamente maggiorerispetto a quella nel gruppo sano(tabella 1). Nello specifico, aparte un’unica eccezione, inentrambi gli anni si è rilevataun’infezione di Dwv e Apv quan-

INFEZIONI VIRALI E PERDITE INVERNALI DI COLONIE D’API

di Anton Imdorf e Peter Neumann

D

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7L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Varroa

Anno Totale Stato di salute

2005

2006

Numero colonie

% DWV% APV

Numero colonie

% DWV% APV

45 41 71

100 90,2 50,7

71,1 63,4 4,2

75 31 74

100 64,5 50,0

84,0 90,3 31,1

157 75.238.9

18073.3

63.3

Morte Indebolite Sane

Tabella 1 - Numero delle colonie analizzate in base allo stato di salute e relativa infezione di Dwv e Apv in percentuale.

titativamente molto più elevatanel gruppo morto rispetto aquello indebolito e in quest’ulti-mo, a sua volta, una quantitàdecisamente superiore rispettoa quella rilevata nel gruppo sano(figg. 1 e 2). Nel 2006 la differenza di portatadell’infezione di Dwv riscontratatra le colonie indebolite e quellesane non è stata significativa. Ingenerale, l’infezione di Dwv èstata in entrambi gli anni supe-riore di quella di Apv.

Cosa significano questi risultati?Il presente studio è l’unico, alivello mondiale, che dimostrauna correlazione tra le perditeinvernali di colonie di api e la loroinfezione da Dwv e Apv. È dimostrato che entrambi que-sti virus possono essere tra-smessi dall’acaro varroa. La significativa differenza di infe-stazione registrata tra di loro neidue anni lascia supporre chel’infestazione e la moltiplicazionedei virus siano state influenzateda fattori sconosciuti.Poiché a priori è impossibilesapere dove si verificheranno leperdite di colonie, vi sono pur-troppo poche informazioni sul-l’infestazione di varroa dellecolonie in esame.In poche colonie morte i cam-pioni sono stati analizzati ancherispetto alla presenza di acaririlevando, senza eccezioni, unaelevata infestazione di varroa. Questi e altri studi, pertanto,lasciano supporre che un’infe-stazione di varroa di ampia por-tata, unita alla presenza di virus

può accorciare l’aspettativa divita delle api invernali e, di con-seguenza, essere una causadelle perdite di colonie in inver-no. Una constatazione interes-sante è che la presenza di virusè stata riscontrata anche in unaparte delle colonie sane, ma innumero molto esiguo. La domanda sorge pertantospontanea: perché in alcunecolonie i virus si riproduconocopiosamente e in altre no, nono-stante la loro presenza sia accer-tata?Che ruolo svolge, in tutto que-sto, il sistema immunitario a livel-lo di colonia e di singole api?Alcuni studi statunitensi lascianosupporre che la varroa possamodificarne la funzione. Tale modifica potrebbe essere,assieme alla trasmissione, unimportante elemento da analiz-

zare più in dettaglio nell’ambitodi progetti futuri. In Europa cen-trale e occidentale si sono regi-strate a più riprese ingenti per-dite di colonie in fase di sverna-mento già prima della diffusionedella varroa, il che fa conclude-re che non solo i virus, maanche altri agenti patogeni,quali batteri o funghi (per esem-pio Nosema) potrebbero incide-re notevolmente.Lo stesso dicasi per gli agentiambientali: dopo un raccolto dibosco copioso e tardivo,soprattutto se in concomitanzadi melate, si sono sempre regi-strati problemi con lo sverna-mento. In entrambi gli annioggetto di studio, però, non sisono osservati simili raccoltiproblematici. Quali cause diperdita delle colonie si menzio-nano spesso anche altri possi-

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8 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Varroa

bili fattori, quali l’insufficienteapprovvigionamento di polline el’inquinamento ambientale dapesticidi, senza che però visiano prove concrete correlateallo svernamento. La positivacorrelazione tra lo stato di salutedelle colonie e l’infezione di Dwve Apv non provano il rapportocausa-effetto tra virus e perditadi colonie. L’infezione potrebbe semplice-mente essere la conseguenza enon la causa di un problema disalute.Per tale motivo, al Centro diricerche apicole si continuano a

svolgere esperimenti volti achiarire questi aspetti.Riassumendo, si può affermareche i dati qui presentati corrobo-rano l’opinione secondo la qualele infezioni virali delle api incido-no sulle perdite invernali molto dipiù rispetto a quanto finora sup-posto. Per quanto gli ultimi nessi tra leinfezioni di virus e di varroa e leperdite di colonie non sianoancora stati chiariti, per gli api-coltori la conclusione è una sola:in generale, bisogna ridurre alminimo l’infestazione di varroadurante tutto l’anno attraverso la

giusta gestione dell’azienda el’utilizzo di metodi di lotta appro-priati.

RingraziamentiCogliamo l’occasione per ringra-ziare gli ispettori delle api e gliapicoltori che hanno raccolto icampioni di api. Senza la loropreziosa collaborazione nonsarebbe stato possibile condur-re uno studio di tale portata.

Anton Imdorf, 3127 MuhlethurnenPeter Neumann,

Centro di ricerche apicole,ALP, 3003 Berna

Figura 1 - Valore mediano dell’entità dell’infezione virale di Dwv e Apv nei diversi gruppi con diversi stati

di salute nel 2005 (il valore mediano è quelloche si trova a metà tra il 50% di colonie con infezione elevata e il 50% di colonie con bassainfezione). Si rileva chiaramente che la presenza diDwv è molto più importante nelle colonie morte

e indebolite che non in quelle sane. L’Apv si registrainvece spesso solo nelle colonie morte.

Figura 2 - Valore mediano dell’entità dell’infezionevirale di Dwv e Apv nei diversi gruppi con diversi stati di salute nel 2006 (il valore mediano è quello

che si trova a metà tra il 50% di colonie con infezioneelevata e il 50% di colonie con bassa infezione). Il Dwv registra una presenza decisamente piùimportante nelle colonie morte. Come nel 2005,

l’Apv si rileva invece spesso solo nelle colonie morte.

Stato di salute delle colonie

Quantità di virus in migliaia

Stato di salute delle colonie

Api Regineselezionate

di razza ligustica

da Maggio a Settembre

Quantità di virus in migliaia

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10 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Varroa

Marco Pietropaoli1, Franco Corrias1, Giuseppe Ragona1, Antonella Cersini1, Giusy Cardeti1, Flavia Taccori1, Irene Tellini1,Aldo dal Prà1, Andrea Lombardi1, Giusy Brocherel1, Marcella Milito1, Alessandra Giacomelli1, Valeria Antognetti1, Silvia Puccica1, Marina Cittadini1, Ugo Marchesi1, Giovanni Ragionieri1, Martina Fortini1, Francesco Scholl1, Giovanni Brajon1, Andrea Maroni Ponti2, Giovanni Formato1

1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle RegioniLazio e Toscana

2 Ministero della Salute,

IntroduzioneIl Dipartimento dello Sviluppo Eco-nomico della Regione Toscana hasostenuto un progetto biennale dimonitoraggio sullo stato di salutedelle api denominato “Apenet-Toscana”. Tale progetto, coordina-to dall’Istituto Zooprofilattico Speri-mentale delle Regioni Lazio eToscana (Izslt) è stato realizzato incollaborazione con l’Amministra-zione Provinciale di Siena, l’Asso-

ciazione Regionale Produttori Api-stici Toscani (Arpat), l’AssociazioneApicoltori Provincie Toscane (Aapt)e Toscana Miele-Apa (AssociazioneProduttori Apistici).Il presente articolo si pone l’obietti-vo di commentare i risultati sullamoria degli alveari evidenziate nelprimo anno di attività del progetto:da giugno 2009 ad aprile 2010. Perdettagli più approfonditi sui mate-riali e metodi si rimanda all’articolo

IL PROGETTO “APENET-TOSCANA”: CONSIDERAZIONI SUIRISULTATI DEL PRIMOANNO DI ATTIVITÀUna recente indagine europea dell’Efsa ha vagliatogli strumenti di conoscenza e monitoraggio dello stato

dell’apicoltura nei vari paesi Ue. Fra quelli che hanno risposto, ne è stato giudicato accettabile solo uno. E’ per questo interessante conoscere i risultati di alcuneprime, limitate ma significative iniziative, avviate nel nostro paese, tese alla conoscenza dello stato delle api.

Figura 1 - Distribuzione degli apiariafferenti ai quattro moduli toscani:modulo di Firenze (stelle rosse);

modulo di Arezzo (stelle azzurre);modulo di Siena (stelle verdi) emodulo di Lucca (stelle gialle).

La bibliografia dell’articolo puòessere richiesta in redazione

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che verrà pubblicato sulla rivistaApoIdea relativamente al progettoApenet.

Materiali e metodiIl protocollo adottato dal progettoApenet-Toscana è sovrapponibile aquello del progetto Apenet nazio-nale, al fine di poter integrare i datiottenuti dai due studi.Il primo anno di attività del progettoregionale, iniziato nel giungo 2009,è stato realizzato nelle province diFirenze, Arezzo e Siena, identificatecome “moduli”, ciascuno costituitoda 5 diversi apiari da 10 alveari, perun totale di 50 alveari a modulo.Dall’estate 2010 il monitoraggio haincluso altri 5 apiari, venendo così acostituire il nuovo “modulo” diLucca (figura 1). Il monitoraggio haprevisto sopralluoghi presso leaziende in quattro diversi periodidella stagione apistica (giugno ‘09,agosto ‘09, ottobre ‘10 ed aprile‘10) per rilevare: le caratteristichegeografico-ambientali dei diversiapiari, le capacità gestionali degliapicoltori (soprattutto nella lotta allavarroa), la forza degli alveari, i com-portamenti anomali delle api non-ché i fenomeni di mortalità o spo-polamento degli alveari. Sono statianche realizzati campionamenti didiverse matrici (api adulte, cera epolline) per la ricerca di pesticidi,diagnosi di nosemiasi, verifichepalinologiche e chimiche su polline,diagnosi di virosi delle api e dimalattie della covata. In caso diriscontro di malattie denunciabilidelle api, si è provveduto ad allerta-re tempestivamente i Servizi Veteri-nari delle Aziende Usl competentiper il territorio.

Risultati1. Mortalità degli alveariLa mortalità cumulativa invernale1evidenziata sui 150 alveari monito-rati è stata pari al 28% (42 alvearimorti su 150). Nello specifico, èstata registrata una mortalità cumu-lativa invernale media del 38% nelmodulo di Arezzo, del 30% nelmodulo di Siena e del 16% nel

modulo di Firenze. Nel grafico 1sono riportati i valori di mortalitàcumulativa invernale riscontrata persingolo apiario.

2. Prodotti fitosanitari/acaricidiNel primo anno di monitoraggionon sono stati segnalati casi diavvelenamento delle api in conse-guenza di trattamenti agricoli conprodotti fitosanitari; anche la ricercadi residui dalla cera ha dato sempreesito negativo per i pesticidi utilizza-ti in agricoltura intensiva, neonicoti-noidi inclusi.Per quanto invece concerne la pre-senza di residui di prodotti acaricidisomministrati dagli apicoltori aglialveari per la lotta alla varroa, nei

campionamenti di settembre enovembre 2009 in un apiario delmodulo di Firenze ed in un apiariodel modulo di Arezzo sono staterilevate tracce di clorfenvinphos,coumaphos e fluvalinate dalla cera(tabella 1).

3. VirosiLa ricerca dei principali virus delleapi, diagnosticati mediante Retro-Transcriptase Polymerase ChainReaction end point (Rt-Pcr) ha con-fermato la presenza di tali patogeniin tutti gli apiari oggetto del monito-raggio ed i risultati relativi alle posi-tività rinvenute in ciascun modulosono riportate nella tabella 2. Com-plessivamente i virus di più frequen-

100%

90%

80%

70%

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%

50%

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0% 0% 0% 0% 0%

50%50% 50%

80%

30% 30%

40%

10%

Apiari modulo di Firenze Apiari modulo di Arezzo Apiari modulo di Sienan. 1 n. 2 n. 4 n. 5n. 3 n. 1 n. 2 n. 3 n. 4 n. 5 n. 1 n. 2 n. 3 n. 4 n. 5

Morta

lità: n

. alve

ari m

orti/t

otale

Grafico 1 - Mortalità cumulativa invernale evidenziata negli apiari dei tre moduli toscani.

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9

10 11 12 13

5 5

12

10

5

Giug

no 20

09

Lugli

o 200

9

Agos

to 20

09

Sette

mbre

2009

Ottob

re 20

09

Nove

mbre

2009

Dice

mbre

2009

Genn

aio 20

10

Febb

raio

2010

Marzo

2010

Aprile

2010

7

3

Modulo di Arezzo

Modulo di Siena

Modulo di Firenze

Tabella 1 - Risultati della presenza di acaricidi rinvenuti nella cera.

Grafico 2 - Andamento della mortalità evidenziata nel primo anno di monitoraggio nei 3 moduli.

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te riscontro (tabella 2 e grafico 2)sono stati quello del’ala deforme(Deformed Wing Virus, Dwv –53,28%) e della covata a sacco(Sacbrood Virus, Sbv – 45,98%);seguiti dal virus della cella reale nera

(Black Queen Virus, Bqcv –24,08%) e dal virus della paralisiacuta (Acute Bee Paralysis Virus,Abpv) – 26,27%). Il virus della para-lisi cronica (Chronic Bee Paralysis,Cbpv) è stato evidenziato nel

18,97% dei campioni. Invece, non sono mai stati eviden-ziati il virus della paralisi acuta israe-liana (Israelian Acute Paralysis Virus,Iapv), chiamato in causa nei feno-meni di moria degli alveari in altriPaesi, ed il virus Kashmir (KashmirBee Virus, Kbv), chiamati in causaper giustificare fenomeni di moriadegli alveari in altri Paesi.Andando infine a verificare l’anda-mento presentato dalle principalivirosi delle api nel corso della sta-gione apistica (grafico 4), si puòevincere che in primavera sono pre-senti tutti i virus e, soprattutto, ilDwv ed il Sbv; in estate vi è ungenerale aumento della presenzavirale negli alveari, ad eccezione delDwv che tende invece a diminuire;in autunno, torna a ridursi la presen-za dei virus, ad eccezione del Dwvche aumenta.

Tabella 2 - Campioni positivi per virosi nei diversi moduli del progetto.

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

45,98%

0%

53,28%

0% 0% 0% 0%

24,08%

18,97%

26,27%

DWV SBV ABPV BQCV CBPV KBV IAPV

Grafico 3 - Positività ai principali virus delle api evidenziate nel primo anno di monitoraggio.

12 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Varroa

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13L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Varroa

4. NosemiasiPer la nosemiasi, la tecnica diagno-stica adottata è stata quella delRestriction Fragment Lenght Poly-morphism – Polymerase ChainReaction (Pcr – Rflp). In nessunalveare è stato evidenziato Nosemaapis (N. apis), mentre Nosemaceranae (N. ceranae) è stato rinve-nuto, sebbene non costantementedurante il corso dell’anno (tabella 3e grafico 5), in tutti gli apiari.

5. VarroatosiDurante le attività di monitoraggiorealizzate in apiario, per 21 volte èstata segnalata infestazione massi-va2 da Varroa destructor: 15 voltenel modulo di Firenze; 2 volte nelmodulo di Arezzo e 4 volte nelmodulo di Siena.

6. Peste americana ed europeaIn tre apiari è stata diagnosticata lapeste americana per un totale di 9alveari interessati, rispettivamentenelle provincie di Arezzo (3 alveari),Firenze (3 alveari) e Siena (3 alveari).

7. Caratteristiche geografico-ambientali dei diversi apiari ed esitidelle analisi palinologiche.Le colture più presenti negli arealiattorno agli apiari del modulo diFirenze erano: l’olivo, le colturecerealicole, foraggiere e la vite. I ter-ritori che invece circondavano i 5apiari del modulo di Arezzo presen-tavano colture foraggiere e silvicole,seguite da cereali. Le colture piùpresenti infine nel modulo di Sienaerano quella silvicola e di oleagino-se, anche di cereali, vite e olivo. Lerilevazioni geografiche ambientalihanno permesso di verificare comenel modulo di Firenze gli apiari insi-stevano in media sia su terreni agri-coli per il 54% (in due apiari è statopossibile verificare l’incidenza mas-sima dell’80%) che non coltivati peril 46% (ad esempio boschivi odurbanizzati). Sempre nello stessomodulo, l’esame palinologico haevidenziato la predominanza di:Nepitella (menta) nell’apiario 1;Castanea negli apiari 1, 2, 3 e 4;Olea (ulivo), Chenopodiaceae eLabiate nell’apiario 5; Hedera negliapiari 2, 3 e 4; Brassicaceae nel-l’apiario 3; Labiate nell’apiario 5.Solamente come presenza minoreè stato possibile rinvenire polline diZea Mais nell’apiario 4. Le rilevazio-

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%

18,75%

11,43%

0%

54,76%

Arezzo

Siena

Firenze

primavera estate autunno

33,33% 31,43%

22%

13,68%

7,89%

Tabella 3 - Percentuale di alveari positivi (metodo Pcr-Rflp) al Nosema ceranae.

100%

80%

70%

90%

60%

50% 40%

30%

20%

10%

0%

ABPV

primavera estate autunno

% P

ositi

vità CBPV

DWV

BQCV

SBV

Grafico 4 - Andamento stagionale delle virosi nel primo anno di monitoraggio.

Grafico 5 - Andamento stagionale dell’infezione da Nosema ceranae nei tre moduli durante il primo anno di monitoraggio.

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ni geografiche ambientali nel modu-lo di Arezzo, invece, hanno permes-so di verificare come in tale modulogli apiari insistevano in media sul32,4% di terreni agricoli (in un apia-rio è stato possibile verificare l’inci-denza massima dell’80%) e sul67,6% di terreni non coltivati, men-tre l’esame palinologico ha consen-tito di evidenziare la predominanzadi: Castanea negli apiari 2 e 3; Ono-brichis (lupinella) nell’apiario 1; Trifo-lium pratense, Eucaliptus ed Ericanell’apiario 4; Genista (ginestra)nell’apiario 5; Hedera negli apiari1,2,3 e 5; Composite, Brassicace-ae, Hedera e Rubus nell’apiario 2.Nel modulo di Siena, infine, le rileva-zioni geografiche ambientali hannopermesso di verificare come in talemodulo gli apiari insistevano inmedia sul 62% di terreni agricoli (inun apiario è stato possibile verificarel’incidenza massima del 100% erispettivamente del 95% e dell’85%in altri 2 apiari) e sul 38% di terreninon coltivati, mentre l’esame palino-logico ha evidenziato la predomi-nanza di: Melitotus nell’apiario 1;Lotus nell’apiario 2; Hedera ed Ericanell’apiario 1, 2, 3 e 4; Hedysarum,Helianthus annus (girasole), Senecioe Labiate nell’apiario 4; Robinia eBrassica nell’apiario 5; Composite eMercurialis nell’apiario 5.

Considerazioni1. Mortalità invernale e patologieriscontrate in apiarioI valori di mortalità invernale presentiin letteratura e riferibili alle regioni delcentro Italia si attestano tra l’11% edil 23% (Mutinelli et Al., 2010). In ben9 dei 15 apiari toscani (60%) sog-getti al monitoraggio è stata supera-ta tale soglia di mortalità “fisiologi-ca”. Anche i valori di mortalitàcumulativa invernale media delmodulo di Arezzo e Siena superanoquelli riportati in letteratura: 38% perArezzo e 30% per Siena. Lo stessomodulo di Firenze, che ha presenta-to una mortalità cumulativa inverna-le media del 16%, in due apiari ha

superato i suddetti valori (vedi l’apia-rio n. 3: 30% e l’apiario n. 5: 50%).E’ quindi possibile affermare che èstata di fatto rilevata una “mortalitàanomala” nei moduli toscani duran-te il primo anno di monitoraggio.

2. Prodotti fitosanitari/acaricidiNegli apiari soggetti a monitoraggionon è stato possibile apprezzarealcun caso di avvelenamento acutoo cronico, né la presenza di residuidi prodotti fitosanitari dalla cera.Sono invece stati rinvenuti nellacera residui di acaricidi di sintesiimpiegati dagli apicoltori per la lottaalla varroa. Questo fenomeno evi-denzia da un lato il ricorso a tratta-menti illeciti, dall’altro la necessità diregistrare nuovi preparati per la lottaa questo parassita.

3. VirosiProvando ad interpretare l’anda-mento stagionale della presenza deidiversi virus evidenziati negli alvearitoscani (grafico 3), in estate si è veri-ficato un aumento generalizzatodelle virosi, con l’unica eccezionedel Dwv, probabilmente correlatoall’aumento della popolazione divarroa. La positività per il virus Dwvaumenta invece in autunno e prima-vera, periodo che solitamente coin-cide con un aumento dell’infesta-zione da parte del N. ceranae.

4. NosemiasiE’ stato interessante verificare l’ele-vata presenza del N. ceranae negliapiari toscani: tutti sono risultatipositivi al microsporidio nel corsodella stagione apistica. Inoltre, ilmonitoraggio ha consentito di verifi-care l’andamento stagionale di que-sto patogeno: è fortemente presen-te in primavera, per poi diminuiregradualmente fino all’autunno, con-fermando i dati già noti in letteratura.

5. VarroatosiLa presenza di infestazioni massiveda parte di V. destructor negli apiarisoggetti a monitoraggio è stata evi-

denziata più volte nel corso dellevisite in apiario e la difficoltà di con-tenimento di questo parassita èdimostrata dal ricorso a sostanzeacaricide illegali o impiegate inmaniera non appropriata nel tentati-vo di debellare l’infestazione.

6. Peste americana ed europeaNegli apiari soggetti a monitoraggionon è stato possibile chiamare incausa la peste americana o la pesteeuropea per spiegare fenomeni dimoria superiori alla media: come ènoto, questo può avvenire solo lìdove vengono commessi gravierrori gestionali (come ad esempiol’inappropriata gestione di sostanzead attività antimicrobica a dei faviinfetti) da parte degli apicoltori.

7. Caratteristiche geografico-ambientali dei diversi apiari ed esitidelle analisi palinologiche.Sebbene le rilevazioni geografico-ambientali abbiano dimostrato unadiscreta presenza (in media del49,5%) di aree coltivate attorno agliapiari oggetto del monitoraggio,dalle analisi palinologiche è statopossibile rilevare nel modulo diSiena pollini derivanti da coltivazionidi girasole e, solamente in un apia-rio del modulo di Firenze, una bassapresenza di pollini di mais.

RingraziamentiSi ringraziano i tecnici apistici chehanno realizzato i campionamentiprevisti dal progetto Apenet pressole aziende apistiche che hanno ade-rito al monitoraggio: Giorgio Andre-ozzi (Toscana Miele), Federica Men-cherini (Aapt), Paolo Piazza (Arpat),Nicola Quilici (Toscana Miele), Sere-na Rocchi (Provincia di Siena) eMirko Sbragi (Aapt). Si ringraziainoltre il Dipartimento dello SviluppoEconomico della Regione Toscanaper il finanziamento del progettoApenet-Toscana.

14 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Varroa

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• VENERDÌ 9 SETTEMBRE 2011 •ore 10:00 - Fortezza - Apertura Mostra Mercato.ore 17:00 - Fortezza - Inaugurazione della XXXV Settimana del Miele da parte di autorità istituzionale.ore 20:00 - Consegna del premio “Ape d’Oro” ad un giornalista e ad un apicoltore che si sono distinti parti-colarmente per la loro attenzione verso il settore.

• SABATO 10 SETTEMBRE 2011 • ore 9:00 - Fortezza - Apertura stand Mostra Mercato.ore 9:30-13:00 - Teatro degli Astrusi - Conferenza Internazionale sulle politiche apistiche

Saluto del Presidente A.S.G.A., Hubert CiacciSaluto del Sindaco di Montalcino, Maurizio Buffi

“Tuteliamo le nostre api dai nemici naturali e non: chimica, burocrazia, parassiti”• L'impegno dell'Europa per la salvaguardia dell'apicoltura

Paolo De Castro - Europarlamentare Presidente Commissione per agricoltura e sviluppo ruraleCsaba Sàndor Tabajidi - Europarlamentare Commissione Agricoltura

in alternativa Astrid Lulling - Europarlamentare

• Le iniziative delle istruzioni toscane a tutela del settore apisticoGianni Salvadori - Assessore Regionale all'agricoltura

Annamaria Betti - Assessore all'agricoltura Provincia di Siena

• L'azione comune degli apicoltori europeiEtienne Bruneau - Presidente Copa-Cogeca

in alternativa Francesco Panella - Presidente Unaapi

• Psylla e Cinipide due parassiti che possono influenzare la produzione del mielePio Roversi - Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria di Firenze

• Le api si difendono da sole dalla varroa? Nuove conoscenze su etologia dell'ape e della varroaStefano Turillazzi - Università degli Studi di FirenzeClaudio Ciofi - Università degli Studi di Firenze

• Gli apicoltori possono difender le api dalla varroa? Il punto sull'Apibioxal e le nuove tecniche di lottaGaetana Ferri - Ministero della Salute

in alternativa Giovanni Guido - Unaapi e Gianfranco Cadeddu - Chemicals Life

ore 17:00 - Fortezza - Premiazione degli elaborati degli alunni della Scuola elementare di Montalcinoore 18:00 - Teatro degli Astrusi - Le Città del Miele: “Il Miele del Sindaco” Premiazione di un miele particola-re che esalti il suo legame con il territorio d'origine ore 18:30 - Teatro degli Astrusi - Premiazione dei vincitori del Concorso internazionale dei mieli “RobertoFranci”.

• DOMENICA 11 SETTEMBRE 2011 •ore 9:00 - Fortezza - Apertura stand Mostra Mercato.ore 14:00 - Fortezza - Consegna attestati di partecipazione agli espositori. ore 19:00 - Fortezza - Chiusura Mostra Mercato.

All’interno della Fortezza sarà allestito un punto informativo con la presenza di esperti assaggiatori; i visi-tatori potranno così effettuare una degustazione guidata dei mieli e ricevere notizie sulle proprietà dei pro-dotti dell’alveare. Sarà presente un esperto apicoltore che darà informazioni a coloro che vorranno ini-ziare l’attività apistica. Per tutta la durata della manifestazione saranno mostrate le più moderne attrezza-ture apistiche e sarà presente un tavolo per la contrattazione di partite di miele toscano. Nello stand dedi-cato all’esposizione degli elaborati redatti dagli alunni della scuola elementare di Montalcino, tutti i bam-bini potranno divertirsi a disegnare il coloratissimo popolo delle arnie. In occasione della Mostra, gli esercizi commerciali di Montalcino allestiranno vetrine ispirate al mondodell’apicoltura.

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17L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Storia e Tradizioni

n questo 2011 si festeggiano i150 anni dell’Unità d’Italia. Glisparpagliati staterelli italiani, le

diverse tradizioni e culture, allaricerca di un’identità comune,raggiungono finalmente in un cre-scendo di eventi, nel 1861, l’Unitàe l’Indipendenza. Il concetto di aggregazione eunificazione era nato moltoprima. L’insieme di intenti, dipensiero, di volere e di agire inun’unica direzione da parte dipersone e tradizioni, anchemolto distanti culturalmente esocialmente, portò all’auspicatasoluzione: l’Unità d’Italia. Non fu un processo facile. Aldilàdella retorica post-risorgimentale,il raggiungimento di un tale“obiettivo irrealistico e impossibi-le” richiese sacrifici e capacitàimmani. Non è quindi né retoriconé inutile ricordare e onorare,quali Padri della Patria, quantisono riusciti a lasciarci una cosìimportante eredità. Ritengo chenelle azioni del presente e negliobiettivi per il futuro dobbiamosempre tenere nel debito conto diquesto lascito. Con il non semplice e non scon-tato processo d’unificazione cul-turale, di omogeneizzazione terri-toriale, di trasformazione normati-va e politica, viene avviata l’impe-tuosa ricerca delle soluzioni prati-che per il consolidamento e losviluppo della Nazione: estensio-ne dei diritti, unificazione moneta-ria, adozione del sistema metricodecimale, alfabetizzazione e inte-grazione linguistica, rete ferrovia-ria e viaria, riforma agraria, produ-

zione industriale ed energetica,poste, comunicazioni, servizi…Nello studio e nella ricerca sullastoria del nostro piccolo settoreapistico/agricolo mi sono soffer-mato più volte a riflettere suinfluenza e importanza di questaaspirazione di unitarietà nellacreazione di una dimensione “ita-liana” della “famiglia apistica”.Necessariamente sintetico, pro-pongo una pietra miliare, e riferi-mento epocale, per i primi vagitidella nostra apicoltura nazionale.La storia del movimento apisticoitaliano, infatti, a mio parere, traeorigine nel 1805, significativamen-te dal Regno d’Italia di Napoleo-ne. La politica napoleonica, tral’altro, si caratterizza anche per lapromozione dell’apicoltura e perl’incentivazione della produzione,in grande stile, di miele, anche percontrastare lo strapotere dell’In-ghilterra, monopolista nella pro-duzione e commercializzazionedello zucchero di canna, prodottoa basso costo anche grazie alla“economicità” dello schiavismo.A Milano nel 1811 viene ristampa-to a larga tiratura il libro “Coltiva-zione delle api pel Regno d’Italia”di Carlo Amoretti. Di rimando nel1818, con la stessa scintilla di rin-novata curiosità per le api e la loro“coltivazione”, a Napoli, vieneristampata la grande opera dipadre Tannoia “Delle api e loroutile e della maniera di ben gover-narle”.A Firenze, l’Accademia dei Geor-gofili, il più antico centro di ricercaagricola del mondo, sviluppa ini-ziative apistiche specifiche, per

l’innovazione e la trasformazione“razionale” dell’apicoltura.Nel periodo napoleonico (1805-1814) il prof. Filippo Re, agrono-mo e scienziato, assume la titola-rità della cattedra di agricolturadell’Università di Bologna, ruoloche ricoprirà autorevolmente perun lungo periodo, divenendo rife-rimento della modernizzazionedel primario comparto produttivo.Coordinando, tra l’altro negli annidal 1809 al 1814, l’inchiestaagraria del Regno d’Italia. Il suoorientamento non consente frain-tendimenti: “Non vi ha ramo diagricoltura che non si potesseperfezionare con minore spesa econ maggior vantaggio di quellodella coltivazione delle api, eppu-re non ve ne ha forse alcuno piùtrascurato”.Questi primi fermenti contribui-scono a far crescere l’interessedelle classi e dei ceti dominanti ecolti. A partire dai religiosi chetraggono ragione di nuovo inte-resse, nonché di nuova capacitàdivulgativa, dalla radicata con-suetudine della pratica tradiziona-le di “allevamento” delle “pec-

L’APICOLTURA ITALIANAFESTEGGIA I 150 ANNIDELL’UNITÀ D’ITALIA

L’evoluzione e l’esistenza stessa dell’apicoltura italiana è parte indissolubile

del processo nazionale avviato 150 anni or sono con l’Unità d’Italia.

di Fausto Ridolfi

I

Fratelli d’Italia, l ’Italia s’è desta

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chie” nei monasteri. Una nuova e diversa sete dicuriosità e conoscenza pervadenon solo i tradizionali soggetticonsueti all’apicoltura rustica. Laforte spinta alla scoperta delvivente coinvolge parte importan-te dei ceti “alti”, nobiltà inclusa,partecipi del nuovo orizzontedelle conoscenze di stampo illu-minista. Partecipi alla scopertadello sconosciuto, poiché troppopiccolo, vi sarà poi anche tutta laschiera dei chierici laici: maestri,educatori, borghesi emergenti…Dando vita, tra l’altro, alla diffusa“moda” dell’apicoltura dei giardi-ni, con begli apiari, come nuovoambito di curiosità e di formazio-ne “esemplare”, ispirandosi spes-so a quelli ben più antichi deimonasteri.Gli alveari vengono sovente “bat-tezzati” scrivendo nella parte

anteriore il nome delle città italia-ne o dei più rinomati “Maestridelle api”.La caduta di Napoleone (1814)non interrompe il rinnovato inte-resse e la focalizzazione per lamodernizzazione dell’apicoltura.Interesse che incentra gran partedi esperienze e confronto tantonella ricerca della “migliore arnia”semirazionale, quanto nell’edizio-ne, traduzione e confronto dimanuali d’apicoltura. Non a casoil Padre della Patria per eccellen-za, Giuseppe Garibaldi, proprio apartire da questi primi fermentiintorno alla nuova fascinanteopportunità di riscatto, si appas-siona al punto di farne poi, a finecarriera, in quel di Caprera, “atti-vità d’apicultore professionale”.Il subitaneo rimbalzo nel 1851,dalla Germania e dagli Stati Uniti,dell’importante osservazione/scoperta dello spazio d’apetrova ampio riscontro anche nel-l’Italia risorgimentale, capacefinalmente di proiettarsi nelladimensione internazionale.Il 1860 è anno magico, annofatale: l’Italia è finalmente unita elibera.Un apicoltore, Luigi Sartori,patriota, di provata esperienzaapistica, emigra dal suo Trentinoancora sotto “l’odioso tallone”,per aprire a Milano nel 1861,un’attività professionale speciali-stica d’apicoltura.L’importante missione del Sartoriera proporre, all’apicoltura delneonato Paese, la razionalitàdell’alveare Sartori, rispettoso

dello spazio d’ape, con 30 favid’uguale misura, intercambiabili.Si confrontano in quel periodo inItalia, più di 36 tipi di arnie, dalletradizionali alle semirazionali, aquelle di “moderna e razionaleoriginalità”, con gran difficoltàd’indirizzo per l’effettivo migliora-mento della pratica apistica.Qualche anno dopo, a Dolo(Venezia), nel 1865, il maggioreVon Hruska inventa lo smielatoreche estrae il miele dal favo con laforza centrifuga. La scoperta è geniale, ma subiràaspre contestazioni, tant’è chel’inventore morirà in miseria,mentre tutti i costruttori di mate-riale apistico, soprattutto d’ol-treoceano, si danno alla costru-zione e commercializzazione inserie degli smielatori, senzapagar nulla per i diritti dell’inven-zione. Forse a tal esito contribui-sce anche la non eccezionalefunzionalità dell’ufficio brevetti delneonato Stato Italiano.Nel 1867, nel contesto e spinta diun nuovo modo di trovarsi e difare insieme, che vede l’impegnodelle varie nascenti correnti dipensiero (socialisti, cattolici, anar-chici, repubblicani) nasce final-mente a Milano, la prima asso-

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Illustrazione di arnie razionali, con strumentario,e progetto di apiario,

da “Annuali dell’Agricoltura del Regno d’Italia,

a cura di Filippo Re, 1806.

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ciazione nazionale apistica, espli-citamente di cultura germanica.Già dalla denominazione indica lapropensione propulsivo/pedago-gica delle classi “medio-alte” perl’elevazione delle “popolazionirurali”: Associazione centrale diincoraggiamento per l’apicolturain Italia.In effetti, esplica un’eccezionalepromozione dell’apicoltura razio-nale e sviluppa un’azione di con-tinuo impulso pubblicando, dal1868, la rivista mensile: “L’Api-coltore”. E’ questo il primo perio-dico, dei molti che seguiranno,pieno di indicazioni, informazioni,accesi scontri di personalità dalpiglio risoluto e intransigente sullavalidità delle proprie opinioni.In quel periodo viene condivisa ediffusa la più bella, ancora insu-perata, definizione dell’ape: “Ilmio non sol, ma l’altrui ben pro-curo”. Si devono all’Associazionecentrale anche i primi congressinazionali: Milano 1871, Firenze1874…, con la chiara volontà diun lento, ma inesorabile proces-so unificatore dell’apicoltura ita-liana per superare il particolari-smo di tradizioni, pratiche, normedominanti in precedenza nellevarie regioni e staterelli. Cresce una comune coscienzaapistica, con confronto e realiz-zazioni, in cui il manuale è il mat-tone, l’edificio di riferimento econdivisione. Grande successo eriscontro per quei tomi che rie-scono a proporre illustrazioni efigure, in particolare i pianicostruttivi degli attrezzi e deglialveari, da creativamente ripro-durre in economia a casa.Il Prof. Giovanni Canestrini, titola-re della cattedra di agricolturaall’università di Padova, emeritotraduttore e competente divulga-tore delle teorie di Darwin in Italia,sa cimentarsi nella proposta edi-toriale che ottiene meritato e uni-versale successo. Il manuale“Apicoltura”, edito e capillarmen-te diffuso dall’editore Hoepli,vede la prima edizione nel 1880,cui seguiranno innumerevoliristampe e puntuali aggiorna-menti, ultimo quello del 1965.Generazioni e generazioni di api-coltori italiani hanno studiato e tro-vato risposte ai loro quesiti in que-ste pagine; questo manuale, oltre

ad assumere l’indiscutibile qualifi-ca di “classico irrinunciabile”, for-nisce un enorme contributoall’uniformazione della pratica api-stica su tutto il territorio nazionale.Opportunità peculiare dell’apicol-tura Italiana, negli ultimi squarcidell’ottocento, è l’esportazione eriproduzione di api regine ligusti-che, in virtù delle particolari carat-teristiche di adattabilità nelle varielatitudini e delle ottime capacitàproduttive. Alcuni apicoltori sanno compren-dere e cogliere questa nuovaoccasione, specializzandosiquindi in questo allevamento ericevendone notevole riscontro eapprezzamenti lusinghieri. Bastiin proposito ricordare quello di C.Dadant nel 1913, indirizzatoall’azienda Penna definita “Il piùbell’allevamento di api regine almondo”.Fra i primi a produrre api regineligustiche, in particolare perl’esportazione, Lucio Paglia diCastel San Pietro Terme (Bo)che, nel 1870, avvia un’aziendacon un apposito stabilimento,strutturato su criteri modernissimiper l’epoca. Un particolare curio-so: l’expo di Parigi del 1889 (percui viene costruita la Tour Eiffel) èl’occasione per Lucio Paglia perproporre con una cartolina pub-blicitaria della sua azienda, infrancese, l’offerta di api regine emiele….al mondo. Già, le cartoli-ne, altro piccolo, ma indispensa-bile fattore comunicazionale dei

“tempi moderni” nonché d’identi-tà nazionale. Le Poste Italianepropongono un prodotto innova-tivo e modernissimo: la cartolinapostale prepagata; con pochidenari si possono inviare mes-saggi ovunque. Diviene veicolopubblicitario apprezzato e moltoutilizzato, in cui l’immagine delleapi ricorre sia per la raccolta difondi, sia per la moderna costru-zione d’immagine aziendale, enon solo per realtà economicheapistiche come quella di LucioPaglia.La zecca nazionale nel coniare leLire è parte fondante d’aggrega-zione della nazione e, in ben 2casi, tale funzione è assolta pro-ponendo la laboriosità e utilitàdelle api: nei 10 centesimi coniatinel 1920 con ape e fiore e nelle 2lire del 1952. Non a caso monetedi piccolo taglio, coniate in milionidi esemplari, quotidianamentesotto lo sguardo di ogni stratodella popolazione.Nel 1904, a Ravenna, in occasio-ne del III Congresso apisticonazionale, il prof. Carlo Carlini saproporre autorevolmente l’esi-genza di standardizzare le misuredell’arnia. Si arriva così incredibil-mente a decidere di adottare l’Ar-nia Italica, con melari dedicati;decisione che richiede una pro-lungata “digestione” fino alla defi-nitiva ufficializzazione al Congres-so di Brescia del 1932, con ladenominazione di Arnia Univer-sale Italo Dadant-Blatt-Carlini.

Cartolina promozionale del 1889 dell'azienda di Lucio Paglia. Con la traduzione Lucio diventa Lucien e Castel San Pietro Terme: Chateau St.Pierre.

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Mai scelta fu più azzeccata eforiera, fino ai giorni nostri, di van-taggi e opportunità sia per la dife-sa sanitaria delle api, sia soprat-tutto per la “creazione” e qualifi-cazione di mieli differenziati evariegati.Nel frattempo illuminati, comePiana e altri, impiantano le primeaziende apistiche moderne e“industriali”. Fra questi vi è chi,come i F.lli Gardini di Ravenna,impiegano per la prima volta, nel1902, il carro automobile per ilnomadismo; altro caposaldo perlo sviluppo di un possibile profes-sionismo apistico.Nel 1925, a seguito d’estenuantidiscussioni, convegni e contrap-posizioni, viene finalmente pro-mulgata dallo Stato la primalegge nazionale sull’apicoltura,cui faranno seguito aggiorna-menti normativi e attività associa-tive e istituzionali che contribui-ranno, nel bene e… nel male, acreare una comune concezionegiuridica dell’apicoltura.Don Angeleri, da quel di Torino,con il suo carisma e la sua rivista,diviene motore e riferimento perogni contrada del Belpaese delmovimento apistico nazionaleper l’abbandono del bugno e losviluppo di pratiche gestionalimoderne e razionali. Nello sfacelo del secondo dopo-guerra e nello sforzo della rico-struzione si colloca, abbiamoragione di ritenere non a caso,nel 1949, l’inaugurazione aCascia (in onore di S. Rita protet-trice degli apicoltori e degliImpossibili) della bellissima fonta-na delle api. Fontana ai giorninostri un po’ abbandonata e tra-scurata che però tutt’oggi recainciso sulla pietra: “Con il contri-buto degli apicoltori d’Italia”.Nell’elenco dei sottoscrittoricompaiono i più bei nomi del-l’apicoltura di quel tempo e, fattosignificativo di non poco conto, ditutte le regioni d’Italia. Ne fu pro-motore il conte Zappi Recordati. Alle non poche difficoltà perl’agricoltura tutta, e per l’apicol-tura in particolare, agli anni delboom economico segue neglianni settanta l’importante primaaffermazione di una declinazioneaziendale e produttiva dell’apicol-tura: una attività non solo più

rivolta al prevalente autoconsu-mo e a una limitata integrazionedi reddito rurale. Alcuni precurso-ri con lo sviluppo delle loro azien-de apistiche svolgono un impor-tante ruolo leader di stimolo cheporterà gran parte della apicoltu-ra produttiva, allora in via diespansione, a uscire progressi-vamente dal ristretto orizzontelocale. Spariranno via via i “rac-coglitori di indifferenziato miele”.Una parte del comparto produtti-vo imparerà a costruire un nuovomodo di mettere in comune leconoscenze tecniche, a qualifica-re e differenziare, grazie ancheall’unitario segno distintivo“Made in Italy”, le produzioni api-stiche del nostro comune, vario ebellissimo, anche apisticamente,Stivale. Fino alla capacità, unicain Europa, di costruire grandiaziende, la più significativa diforma cooperativa con dimensio-ne addirittura nazionale, capaci ditrasformare e proporre il prodottoal consumo. Né si può scordare il ruolo fonda-mentale giocato dagli innumere-voli convegni, grazie ai quali final-mente buona parte dell’apicoltu-

Cartolina "interventista" 1915.L'Italia è rappresentata da

un’ape con la bandiera italiana.

Cartolina con Appello alla sot-toscrizione nazionale, promos-sa dal governo Nitti nel 1920.

Cartolina per la "Ricostruzioned'Italia", il Paese è l'alveare con i suoi operosi cittadini.

Le "eccellenze d'Italia" coniatedalla zecca con, in buonacompagnia di spiga, e ulivo, l'apeitaliana, proposta nelle 2 lire.

Ape su fiore nei 10 centesimi inbronzo del 1920

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ra italiana effettua l’indispensabileinvestimento sia per essere tem-pestivamente informata, sia perelaborare e costruire propri eautonomi progetti, obiettivi e azio-ni nazionali. Convegni eredi diquel lontano fermento del 1867della Associazione per l’incorag-giamento dell’apicoltura, checonfluiscono e contribuiscono siain attività di formazione continua-tive, sia soprattutto nella costru-zione di una specifica rete di tec-nici apistici professionali, qualeindispensabile strumento dell’atti-vità comune e associata. A tuttociò corrisponde lo sviluppo di unabella e propulsiva “industria italia-na” di produzione e fornitura diattrezzatura apistica.A fine novecento, alle falcidied’api e apicoltori provocate dallavarroa e poi dalla resistenza agliacaricidi, l’apicoltura italiana sidistingue per la capacità di cer-care e trovare, grazie alla condivi-sione delle esperienze, le soluzio-ni per cercare d’adeguarsi allasfida e quindi salvare il salvabile.A tale sforzo partecipano poi

sempre più diversi soggetti, enti eistituzioni, con ad esempio l’orga-nizzazione del movimento italianodei concorsi del miele che fannocapo a quello nazionale di CastelSan Pietro Terme, che svolgonoun impareggiabile ruolo di aggior-namento e “educazione” dei pro-duttori apistici. Per non parlare poidell’unico al mondo: il “Movimen-to delle Città del Miele”.Grazie a questo spirito di condivi-

sione e di spinta vitale, l’apicolturaitaliana riesce oggi, sempre più, arapportarsi con sfide varie e impe-gnative, incluse quelle normative,veterinarie… dimostrando disaper giocare addirittura un deter-minante ruolo di riferimento nel-l’apicoltura europea e mondiale.D’altra parte, come ha saputo esa dimostrare con la battagliasugli insetticidi neurotossici, lapossibilità di futuro sta tutta nellacapacità di unitario progetto eazione dell’insieme dell’apicolturaitaliana.Le nostre radici sono profonde esolide; l’albero è verde e resisten-te alle intemperie. Questo pote-vano sperare i Padri dell’apicoltu-ra italiana?

Viva l’ape.Viva l’apicoltura italiana.

Viva l’Italia.

Fontana delle api, in Cascia,dedicata a Santa Rita, protettricedegli apicoltori. Incisi nella pietra inominativi di quanti hanno contri-buito all'opera: apicoltori d'ogniregione d'Italia.

Musa delle api o Melissa che invitale api nello stivale.

Foto e cartoline personali non utilizzabiliper riproduzioni.

Made in Italy

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Lavori in Apiario

SETTEMBRE/OTTOBREAL CENTRO/NORD

di U. Grassone e A. Fissore

L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Lavori in apiario 23

Antonio Cunegonda, apicoltoreper hobby.Eccoci a settembre. Le produ-zioni di miele, nella maggiorparte del nord Italia, possonoconsiderarsi concluse e, dalpunto di vista apistico, dobbia-mo ancora porci un solo, ma

letteralmente vitale, obiettivo:mettere le api nelle migliori con-dizioni possibili per prepararsi alperiodo autunno-invernale, pre-supposto indispensabile peraffrontare con serenità la prossi-ma stagione produttiva.Le domande che in questomese il nostro amico Antonio cipone vertono, per l’appunto,tutte intorno al tema dell’inver-namento delle api e, sintetica-mente, sono riassumibili in qualioperazioni occorre effettuaredopo i trattamenti estivi controla varroa: l’opportunità di nutrirele api, il vantaggio che si puòavere restringendo le api su

meno favi, come risolvere i casidi orfanità... Contrariamente al solito, nellarubrica di questo mese, dediche-remo meno spazio alle rispostespecifiche, perché riteniamo utileprovare ad affrontare il problema“invernamento” in modo unitario,ossia come un mosaico per la cuirealizzazione serve che combaci-no molti tasselli. L’occasione per cercare diavere una visione più d’insiemeci è fornita da quanto leggeretenel box di approfondimento. In questa prima parte dei lavori,cercheremo, quindi, di darerisposta ad un solo quesito.

Una buona postazione da svernamento:al riparo dai venti dominanti ma senzaristagno di umidità. (Foto U. Grassone)

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L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Lavori in apiario

A settembre siamo ancora intempo per sostituire le regine?Nel caso in cui ci si accorga diorfanità, come si può intervenire?

Settembre è un ottimo mese perprocedere alla sostituzione delleregine. Le colonie sono general-mente ben disposte ad accettareuna nuova regina e raramentel’operazione non va a buon fine(ci piace immaginare che siaforse perché si rendono conto

che l’allevamento, in questo fran-gente, di una regina, sia per lascarsità di fuchi che per la sem-pre minor disponibilità di polline enettare, presenta troppi rischi). Ilproblema, quindi, non è tanto lastagione, quanto la qualità dellaregina che andremo ad inserire.L’ultimo periodo utile di feconda-zione può non dare, infatti, buonirisultati; per questo motivo, spes-so si tende ad inserire reginefecondate in periodi precedenti e

conservate fino a settembre o inpiccoli nuclei creati apposita-mente (operazione alla portata diqualsiasi apicoltore) o in “banchedelle regine” (sistema più com-plesso e adottato dai riproduttoridi regine). Un caso più critico da questomese in avanti è rappresentato,invece, dalle orfanità. Dato ilperiodo e la scarsità di fuchi èmeglio evitare di lasciare alleva-re una cella: nella migliore delleipotesi la regina rischia dinascere troppo tardi e di malfecondarsi, riproponendo il pro-blema più avanti nel tempo. Inquesti casi (soprattutto se lacolonia è orfana da tempo)spesso risulta difficoltoso inter-venire anche con l’inserimentodi regine acquistate. Triste adirsi e a farsi, ma sovente risul-ta più conveniente procederealla riunione dell’alveare orfanoa un nucleo. Come abbiamopotuto constatare all’inizio dellaprimavera, è sempre utile poterdisporre di alcuni nuclei di scor-ta, anche se non si intendeaumentare il nostro “parco api”.Se non vengono impiegati perrisolvere orfanità autunnali tar-dive, li inverneremo e sarannosicuramente comodi nella sta-gione successiva.Infine una curiosità: talvolta nelperiodo tardo estivo-autunnalepuò accadere di vedere due regi-ne che convivono pacificamenteall’interno di una stessa famiglia:non è necessariamente imputa-bile ad un nostro difetto visivo,ma è un fenomeno che si verificacon una certa frequenza. In que-sti casi inverneremo normalmen-te la famiglia; saranno le api, almomento opportuno, a deciderequale delle due regine tenere:solitamente in primavera, allaprima visita, la selezione è giàstata operata.

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Prestare sempre attenzione aisaccheggi! Nell’immagine le apisembrano voler entrare anchenei fusti di miele ormai chiusi.(Foto U. Grassone)

Settembre: ultimi momenti per sostituire le regine che presumibilmente non cisoddisferanno il prossimo anno.(Foto U. Grassone)

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25L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Lavori in apiario

Il dott. Paolo Detoma, biologo presso l’Asl di Biella e presidente dell’Asso-ciazione Apicoltori Biellesi, ha gentilmente accettato di collaborare con lanostra rubrica.Tutto nasce nella primavera 2011, a seguito di un suo interessante inter-vento in un convegno presso la Cooperativa Piemonte Miele (CN). Il pub-blico è rimasto colpito dalla sua relazione; se ne parla tra amici e colleghie da qui nasce la nostra richiesta di poter condividere le riflessioni con tuttii lettori di L’Apis. Pubblichiamo quindi volentieri quanto ci ha inviato.

Il titolo dell’incontro cui mi è stato chiesto di partecipare a Fossano all’inizio di quest’anno avreb-be dovuto essere “L’invernamento quale pratica per prevenire le possibili malattie delle api”. Misono permesso di ribaltarlo, proponendo “La lotta alle malattie delle api quale pratica per unbuon invernamento”, convinto come sono che la disposizione delle famiglie, la coibentazionedelle arnie o il restringimento delle porticine, pur avendo un ruolo non marginale, siano moltomeno importanti rispetto al controllo della varroa e del nosema che ultimamente hanno strettoun’alleanza micidiale.Dobbiamo infatti considerare l’inverno come una fase particolare del ciclo annuale di una famigliad’api: in questo periodo le api sono obbligate a vivere molto più a lungo del solito perché il ricam-bio è scarso o nullo. Varroa e nosema, con meccanismi diversi e molte volte in cooperazione, neaccelerano l’invecchiamento portando le famiglie al collasso prima che possa essere sostituitala popolazione con nuove nascite.La risposta di molti apicoltori nel momento in cui i trattamenti tampone estivi si sono rivelati insuf-ficienti è stata l’aumento nella produzione di nuclei in modo da compensare le perdite invernali;ciò comporta maggior lavoro, maggiori costi e molto spreco di materialeCapire i meccanismi che stanno alla base delle perdite e comportarsi di conseguenza vuol diregarantirsi sonni tranquilli, ma vuol dire anche che dobbiamo preparare l’invernamento moltotempo prima e cioè in piena estate.

La lotta alla varroaI meccanismi con cui la varroa influisce sull’inver-namento sono molteplici e noti, ma val la pena diricordarne i principali:1) indebolimento delle api per sottrazione di emo-

linfa. Probabilmente non è il fattore principalevisto che negli anni ‘80 riuscivamo a salvarefamiglie con carichi, in autunno, di oltre 10 milavarroe.

2) Inoculazione dei virus più svariati (Dwv, Kbv,Iapv, Abpv, Bqcv, tanto per citarne alcuni) ingrado di far danni rilevanti.

3) Inoculazione di fattori che deprimono il sistemaimmunitario dell’ape favorendo l’insorgenza dialtre patologie.

4) Accumulo, soprattutto nella cera, dei prodottiantivarroa utilizzati negli anni.

5) Stimolo alla deposizione tardiva da parte delleregine, sia per compensare le perdite che per un fattore irritativo provocato dal parassita.

L’ultimo punto è da tenere nella massima considerazione poiché è risaputo che le api che nutro-no covata hanno una speranza di vita anche di cinque volte inferiore rispetto a quelle che nonhanno mai nutrito e ciò può spiegare molti collassi.Portare le api all’invernamento con un carico di varroe inferiore alle 10 unità non può prescindereda un trattamento estivo molto efficace che, al momento, si può realizzare solo con il bloccodella deposizione.La quasi trentennale esperienza biellese sul confinamento della regina, nata dopo aver ascoltatonei primi anni ‘80 le profetiche teorie del prof. Raffaele Bozzi di Pistoia, ci hanno portato a modi-ficare nel tempo la tecnica in funzione di una sempre migliore efficacia. Siamo infatti convinti cheil blocco debba anche funzionare da trappola per ridurre il carico del parassita. Per questoattualmente utilizziamo una superficie di confinamento corrispondente ad una facciata di un tela-io da melario dove la regina può liberamente deporre e dopo 21 giorni buona parte delle varroesono in quella covata.

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26 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Lavori in apiario

Il nosemaIl nosema, nelle sue due varianti (N. apis e N. ceranae), è unparassita molto diffuso, al punto che su un trattato di patologiaapistica molto autorevole si legge che è presente “ ovunque losi vada a cercare”. Migliaia di campionamenti fatti negli anninell’area biellese non possono che avvalorare questa tesi vistoche ci troviamo di fronte ad una percentuale di positività supe-riore all’80%. Positività cui non sempre corrisponde una malattiaconclamata perché ci troviamo di fronte ad un opportunista cheapprofitta di momenti di debolezza dell’ospite per sferrare il suoattacco. Rispetto all’invernamento, prima dell’avvento della var-roa, gli apicoltori nostrani suddividevano il territorio in zone “danosema” (dalle quali fuggire) e zone “nosema free” in cui concentrare le postazioni invernali.Era evidente che la differenza fosse legata alla disponibilità di polline nel periodo tardo estivo in gradodi favorire l’accumulo di sostanze di riserva nelle api svernanti.Ultimamente le cose sono cambiate perché anche le zone “nosema free” hanno anch’esse eviden-ziato pesanti perdite di famiglie a causa del parassita. Siamo convinti che la causa sia sempre daattribuire alla disponibilità di polline, acuita da un maggior consumo derivante dai danni causati dallavarroa. Pur non tralasciando di indagare su altre variabili, quali l’esposizione (nel 2007, su una perditainvernale globale di alveari nella provincia del 18,29%, oltre il 50% erano esposti ad est) o l’altitudine(le maggiori perdite si sono verificate nella fascia del castagno), è sull’alimentazione che abbiamoconcentrato i nostri sforzi cercando di capire se un maggior apporto proteico potesse effettivamentemigliorare la sanità delle api. C’è da premettere che il fabbisogno alimentare delle api è molto com-plesso perché accanto alle proteine, che devono avere una equilibrata composizione in aminoacidi,è necessario che siano presenti anche vitamine, sali minerali, steroli, acidi grassi insaturi, antiossidantie altro ancora. Nemmeno i pollini sono tutti uguali rispetto alle proprietà nutrizionali, passando daeccezionali ad estremamente scarsi, quasi privi di valore alimentare.Un integratore promettente ci sembrava potessero essere le alghe unicellulari che di fatto possonoessere assimilate a pollini senza corteccia; in effetti i risultati erano ottimi, ma le difficoltà di manteni-mento di colture pure, dopo due anni di prove, ci hanno momentaneamente consigliato di accanto-narle. Più interessanti, anche dal punto di vista economico, pare siano integratori a base di soia (rigo-rosamente biologica) in cui il seme subisce un processo fermentativo che inattiva gli antinutrienti erende più digeribili gli altri costituenti.Restano ancora aperti alcuni problemi legati alla legislazione sui mangimi e integratori veterinari, macredo che si sia sulla strada buona.

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L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Lavori in apiario

di D. GrecoLAVORI AL SUD

OTTOBRE

Lentamente e inesorabilmente ciavviamo alla chiusura della sta-gione apistica, ma attenzioneperché ottobre è un mese delica-to. Vediamo il nostro A. Pinacome si accinge ad affrontarlo.

A. Pina: le famiglie dopo il bloccodi covata estivo sembrano inbuona salute; hanno bisogno diqualche intervento? Una volta accertato che la reginaè in buona salute, con una depo-sizione coerente con il periodostagionale, conviene dare un’oc-chiata alla consistenza delle scor-te. Non è raro durante questomese che nelle zone meridionalivi siano lunghi periodi di beltempo, con temperature grade-voli. Questo consente alle api disfruttare eventuali fioriture autun-nali di crucifere varie, di inula,edera, ecc., andando a rimpin-guare le scorte di miele per l’in-verno. Se invece ottobre saràbrutto, freddo e piovoso, le apiavranno poche occasioni di usci-re, con il rischio di predisporsi perl’inverno con una quantità discorte insufficiente. Cosa che ciobbligherà a intervenire con nutri-zioni che reintegrino la quantità discorte necessaria.

A. Pina: come valutare qual è laquantità giusta di miele nel nidoper affrontare l’inverno?In generale le due sponde lateralibelle “pesanti” più le corone dimiele sopra i favi di covata, nellamaggior parte del meridione,sono sufficienti a passare l’inver-no senza problemi. La postazioneha comunque un’incidenzaimportante per quanto riguarda ilfabbisogno di miele per il periodoinvernale. Esposizioni degli alvearia nord, ombreggiamenti diffusiper buona parte della giornatapossono gravare pesantementesull’entità delle scorte necessarie,oltre che a provocare un ritardonello sviluppo primaverile.

È opportuno quindi scegliere perlo svernamento dell’apiario luoghipossibilmente soleggiati e riparatidai venti freddi. In ogni caso, se sivaluta che la quantità di scorte èinadeguata (e in alcune annatepuò capitare), non c’è altra solu-zione che intervenire con unanutrizione integrativa.

A. Pina: è importante la covataallevata in questo periodo?Nel corso di questo mese, se,come detto precedentemente, legiornate sono favorevoli, vi è unabuona disponibilità di fioriture divario tipo che offrono alle api unpascolo abbondante e nutriente.Questo stimola naturalmente unadeposizione intensa da partedella regina che può arrivare acovare fino a 5-6 favi. Tutta que-sta covata è importante in quantodarà origine alle api “invernali”,quelle che devono vivere più alungo per permettere alla famigliadi passare il periodo freddo nelmigliore dei modi. Tanto megliosono nutrite con nettare e soprat-tutto polline, tanto più a lungovivranno. È importante anche chesiano per la maggior parte “sane”e che quindi non abbiano subitoforti danneggiamenti dalla varroa.

Se la presenza di tanta covata èun fatto propulsivo per la consi-stenza della popolazione dellafamiglia, lo è anche per lo svilup-po dell’acaro che, in questa sta-gione, trova le condizioni ottimeper continuare a riprodursi; tral’altro negli ultimi 3-4 anni sem-bra che l’acaro, anche quandopresente in numeri apparente-mente non eccessivi, sia capacedi indebolire le api adulte apren-do la strada allo sviluppo diNosema ceranae, durante ilperiodo invernale, o alla pesteeuropea nella primavera succes-siva. Può sembrare una coinci-denza, ma spesso e volentieri losviluppo di quest’ultima patolo-gia è più frequente o probabile inquegli apiari che durante l’au-tunno hanno subito una presen-za di varroa eccessiva.

A. Pina: si finisce sempre a parla-re di varroa….Purtroppo sì. I danni provocati daquesto parassita sembrano, nelcorso degli anni, aumentati. Sem-bra quasi che (ma forse è propriocosì…) con i continui trattamentifatti negli anni trascorsi, la varroasi sia selezionata, privilegiando gliindividui con fase foretica breve

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L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Lavori in apiario

con minori probabilità di rimanereesposti all’attacco delle molecoleantivarroa. È importante mante-nere basso il livello di infestazio-ne; da qui la forte rilevanza deltrattamento estivo, tra luglio eagosto.

A. Pina: un giovane apicoltore fafatica a programmare lo sviluppoaziendale in queste condizioni…Non solo un apicoltore alle primearmi, ma anche aziende consoli-date e con anni di esperienzahanno grosse difficoltà. C’è dadire però che l’utilizzo del bloccodi covata ha fornito un consisten-te aiuto nel mantenimento delproprio patrimonio apistico (che èdiventato il primo obiettivo perun’azienda apistica…). Indubbia-mente questa pratica comportaun aumento del lavoro in apiario,compensato però dalla soddisfa-zione di vedere le proprie apisane, vitali e produttive. Ottenutoquesto siamo già a metà del-l’opera; il resto lo farà la stagione,le fioriture, il nostro lavoro, ecc.L’importante secondo me è nonporsi obiettivi eccessivi o risultatiassoluti che verrebbero puntual-mente disattesi. La stagione

appena trascorsa ad esempio èstata, nella mia realtà aziendale,dal punto di vista della produzio-ne di miele a dir poco deludente,ma su questo non si può fareniente; ci si deve rimboccare lemaniche, accudire al meglio leproprie api, affinché restino vive eprospere, ed attendere la stagio-ne successiva.

A. Pina: tornando alla varroa, hobisogno di intervenire?Lo dicevo prima; se hai effettuatoun tampone estivo efficace, conblocco di covata, e abbattimentodel 90% degli acari presenti, nonc’è necessità di intervenire. Lastagione fredda è alle porte ebisogna conservare le armi adisposizione per il trattamento dipulizia invernale. La non ripetibilitàdel prodotto a base di ossalicosomministrato gocciolato, sullestesse api, ci impone di attendereil momento migliore. Nel corsodel prossimo mese arriverà ilmomento di effettuare il bloccoinvernale seguito appunto daltrattamento di pulizia. Oltretutto inquesto momento la consistentepresenza di covata costituisce unulteriore difficoltà all’efficacia di

qualsiasi trattamento. A menoche non si voglia anticipare ilblocco di covata invernale, masarebbe ammissibile solo in con-dizioni drammatiche e vorrebbedire che in estate siamo interve-nuti con scarsi risultati, convienestare buoni e attendere il prossi-mo mese.

A. Pina: come posso rimediaread eventuali orfanità?Le orfanità in questo periodonon lasciano molta scelta. O sitrova una regina feconda daacquistare presso qualche alle-vatore del Sud (e in genere èpossibile trovarla, specialmenteentro metà mese) o altrimenticonviene smontare la famigliariunendola ad altre più deboli.Affidare una cella reale in questecondizioni è un’operazione conuna probabilità di riuscita moltobassa; per fronteggiare emer-genze del genere si possonopreparare alcuni nuclei durantela stagione che ci serviranno dascorta di regine nel momento incui ne avremo bisogno.

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30 Miglioramento genetico delle api

COSI'... FECONDO LE MIE REGINE MADRI

Un allevatore di regine nelle Alpi racconta la sua stazione difecondazione “isolata”.

Disse Mou: non penso di essere il migliore, ma penso che nonci sia nessuno meglio di me! Questa frase rappresenta bene lamia presunzione in fatto di api...Dopo anni di riflessioni su come portare avanti un piano di lavo-ro selettivo, sono giunto alla conclusione di provare ad allestireuna stazione di fecondazione isolata. Non è invece forsemeglio l'inseminazione strumentale? Ho scelto l’opzione della stazione isolata per diverse ragioni: ilmio territorio mi aiuta, non ho tempo di apprendere bene la tec-nica dell’inseminazione strumentale e infine perché con l'inse-minazione l’uomo sceglie la genetica, invece con la fecondazio-ne naturale in stazioni isolate si possono condizionare caratterigenetici, profittando però della selezione naturale dei migliorifuchi che si “aggiudicano” l’accoppiamento.

AMBIENTELa mia stazione di fecondazione isolata è posta a 1.500 m dialtitudine; a nord e a est il pendio sale fino a 1.700 m e da lì inpoi s’innalza una parete verticale con un bel dislivello; a sud ilcrinale montano prosegue per circa 8/10 km con altitudine chevaria da 1.700 m a 1.400 m e infine, a ovest scende conboschi misti fino a 500 m (1.000 metri di dislivello), per giungeredove ho la mia sede aziendale e la maggior parte dei miei apia-ri. Quindi i fuchi più vicini sono quelli di un mio apiario di 50alveari posto a 4 km di distanza con un dislivello di 1.000 m.Negli alveari di quest’apiario cerco di allevare sempre regineappartenenti ai ceppi che poi andranno a fare fuchi nella sta-zione isolata. Gli altri apiari sono posti a oltre 5/6 km e semprecon il medesimo dislivello. Gli apicoltori più vicini sono a 5/6 kmdalla stazione; con apiari sempre posti nel fondovalle (e contutti ho un buon rapporto di scambio e collaborazione. Offroloro le mie regine a prezzo di favore, e, inoltre, negli ultimi anni

sono tutti diventati miei aiutanti occasionali...ennesima conferma che per fare qualcosanella vita coltivare i buoni rapporti è fonda-mentale). Va ricordato poi che in queste zonenon si effettua alcun tipo di nomadismo(aspetto di non poco conto...).

LA STAZIONEE' posta in una conca molto protetta dallecorrenti montane, esposta a sud. La flora pre-sente è quella varia e ricca dei pascoli monta-ni con lamponi, mirtilli selvatici e molto abetebianco che offre (a volte) molta melata... La fauna invece... (orso bruno), mi obbliga a

A partire dal numero 4 Maggio 2011, L’Apis ospita, in uno spazio dedicato, i contributi di quanti impegnati nel complesso campo della preservazione, riproduzionee selezione del patrimonio genetico apistico presente e utilizzato negli allevamenti produttivi apistici in Italia. Tali contributi, oltre a rispecchiare la varietà di orientamenti presenti nel comparto apistico su tali delicate e complesse problematiche, non saranno probabilmente coincidenti ed espressione di un unicoindirizzo, come non necessariamente rifletteranno un orientamento editoriale.

L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011

apigeneticaallevamentoselezione

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31L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Miglioramento genetico delle api

proteggere la stazione con recintoelettrificato (vedi foto).Porto su gli alveari generalmenteverso fine maggio. La stazione rima-ne attiva in genere fino ai primi diagosto. E' popolata da 20-30 nucleidi fecondazione e 10-15 alveari tuttimuniti di un favo da fuco. Il favo perla deposizione maschile viene inseri-to 30-35 giorni prima, fine aprile, everrà continuamente deposto manmano che i fuchi sfarfallano. In casodi bisogno nutro con sciroppo e pol-line per evitare che la deposizione siblocchi, soprattutto nel mese di luglio. Gli alveari che andranno nella stazione isolata sono tenuti lontani (2-3 km)da altri alveari anche in aprile e maggio per evitare, per quanto possibile, deriva di altri fuchi. Inoltre le regine diquesti alveari sono “tutte sorelle”. Quando si popolano i nuclei di fecondazione è opportuno che si utilizzino le apidegli alveari già impegnati nella produzione di fuchi selezionati. In alternativa si possono raccogliere api “filtrate”da un escludi regina, per evitare la presenza di linee genetiche indesiderate nella stazione di fecondazione. Perverificare l'effettivo isolamento della stazione è utile far fare, sulle api che nascono dalla nuove regine fecondatenella stazione, l'esame dell’indice cubitale (diversi laboratori in Italia fanno quest’analisi).

COME IMPOSTO IL LAVOROAdotto il sistema selettivo per linee (modello Ruttner). Il mio “parco madri” è composto da circa 25-30 regine divaria età, appartenenti a 3 linee genetiche (A, B, C) diverse e selezionate negli anni precedenti per determinatecaratteristiche. Anno 1 - A fa fuchi selezionati per la stazione. Da A, B e C allevo regine da fecondare nella stazione. Anno 2 - B fa fuchi selezionati per la stazione. Da A, B e C allevo regine da fecondare nella stazione.Anno 3 - C fa fuchi selezionati per la stazione. Da A, B e C allevo regine da fecondare nella stazione.Come si può notare ogni anno c'è un incrocio in “consanguineità”, utile per fissare caratteri scelti e voluti. Finito ilciclo di tre anni si riprende dall’inizio il giro. Importante è lavorare su molte madri 5/10 per linea e utilizzare figlieper i fuchi (5-15) non “imparentate” con le linee di partenza. Logicamente si scelgono per rimpiazzare le regine“morte per vecchiaia”, le migliori di ogni linea e una parte di esse (il 20-30%) dovrà essere del gruppo fecondatoin consanguineità. Per valutare le regine uso schede valutative che riguardano la produzione di miele, per il restolascio tutto alle “mie sensazioni” (sanità tolleranza zero, devo lavorare senza maschera...). Tutto questo “solo” perprodurre 40-60 regine.Si può obiettare che forse non ci sono distanze sufficienti per garantire un isolamento totale, ma poi bisognaanche essere pratici, ogni zona ha le sue caratteristiche difficilmente confrontabili e assai difficilmente si possonomettere in campo le “condizioni ottimali” coma da “ricetta”, valida per tutti ma che nessuno può applicare.Spero di essere stato sufficientemente comprensibile. E’ difficile, infatti, sintetizzare in poche righe un argomentotanto vasto e complesso. Buona stagione a tutti

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Siamo presenti

alla Fiera di Lazise

“I Giorni del Miele”

30 settembre/

1-2 ottobre

2011

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32 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Pubblicità

i giorni del miele

Fiera Nazionale di apicoltura per l’agricoltura

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L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Ambasciatori dei mieli

Ambasciatori dei mielidi Stefano Gallo

MIELE MILLE FIORI DELLA VALLE D’AOSTA

Inquadramento geoclimaticoLa Valle d’Aosta è la regionealpina per antonomasia. Situa-ta nell’estremo settore nord-occidentale dell’Italia è racchiu-sa a nord dal cantone svizzerodel Vallese, a ovest dalla Savoiafrancese, a sud ed est confina

con il Piemonte.La valle centrale e le valli lateralicostituiscono il bacino idrogra-fico della Dora Baltea ed è cir-condato dalle montagne piùalte d’Europa (Monte Bianco,Cervino, Monte Rosa e GranParadiso) che superano i 4.000m slm. L’intero territorio rag-

giunge una altitudine mediasuperiore ai 2.000 m slm. Quote così elevate, e soprattut-to così continentali, contribui-scono in modo determinantealla formazione di un clima tipi-camente alpino con inverni rigidie lunghi ed estati fresche ecorte.

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Millefiori… mille volte diversi per ogni territorio. Con questo gioco di parole si vuole anticipare la complessità degli innumerevoli fattori che caratterizzano una regione.

E’ indispensabile, per poter comprendere le caratteristiche del miele che viene prodotto in questaregione, un excursus delle specifiche caratteristiche geografiche, climatiche e vegetazionali.

Anche in montagna a volte bisogra trovare i compromessi tra alpicolturae apicoltura, le arnie sui massi non ostacolano il pascolo,ma la comodita e una altra cosa.... (Foto di Stefano Gallo)

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34 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Ambasciatori dei mieli

Le temperature medie giornalie-re nel periodo invernale, per ren-dere un’idea delle condizioninelle quali vivono le api, delmese di gennaio si attestanoattorno ai -10° C, ovviamentecon punte molto inferiori nelleore notturne. Le temperaturediurne estive si attestano sui 25-28° C con una elevata escursio-ne termica tra il giorno e la notte.Le nevicate sono abbondanti,ma le precipitazioni nel resto del-l’anno sono generalmente scar-se non più di 550-600 mmannui. Un altro fattore climatico sfa-vorevole per l’attività apistica èla forte ventosità del periodoestivo.

Aspetti vegetazionaliDal punto di vista bioclimatico laregione può essere suddivisa indue settori. Il primo occupa laporzione della valle centrale finoalla gola di Montjovet ed ècaratterizzato da un clima piùumido con tendenze sub-ocea-niche con minori escursioni ter-miche e precipitazioni più rego-larmente distribuite. Il secondosettore comprende la maggiorparte della regione a montedella gola di Montjovet in cui lavalle assume una direzione est-ovest; qui le precipitazioni sonomolto scarse e le grandi diffe-renze termiche stagionali confe-riscono un clima di tipo steppi-co. L’andamento da oriente adoccidente della valle caratteriz-za notevolmente l’aspetto dellavalle con un versante rivolto

pienamente a Sud e uno piena-mente a Nord. Questi due ver-santi vengono chiamati inpatois (lingua franco provenza-le): adret il versante assolato edenvers quello in ombra. Lecaratteristiche completamentediverse dei due versanti diffe-renziano la vegetazione, le colti-vazioni nonché l’apicoltura.L’adret è il versante più assola-to, ricco di prati e con boschi dilatifoglie a roverella, sostituitenel piano montano dal pino sil-vestre e successivamente dallepeccete ad abete rosso. Graziealle grandi opere di canalizza-zione irrigua denominate Rûs,risalenti all’alto Medioevo e tut-tora utilizzate, il paesaggio risul-ta rigoglioso e verdeggiante,nonostante l’aridità del clima.Nel versante opposto i pratisono pressoché assenti e leconifere iniziano dal fondovalle.Dal punto di vista apistico è evi-dente il minor interesse.

Situazione ApisticaÈ la regione più piccola d’Italia,3.263 km² di superficie, eanche quella meno popolata,128.000 abitanti. Un’apicolturafatta da circa 400 apicoltori conun patrimonio apistico di 7.000arnie. La produzione si attestatra i 1.000 e 1.200 q (dati2009). I mieli prodotti in Valled’Aosta sono il rododendro, ilcastagno, il tarassaco, il tiglio eil millefiori (70% circa del totale).Nell’ultimo decennio un buonnumero di apicoltori effettua il

nomadismo nel limitrofo Pie-monte per la produzione sul-l’acacia.Dai numeri suddetti si deducefacilmente che l’apicolturaregionale è di tipo hobbistico.

Il miele millefioriE’ sicuramente il miele maggior-mente prodotto in Valle d’Ao-sta; quasi un terzo dei 326.000ettari della superficie regionalesono infatti coperti da prati sta-bili. L’accezione millefiori è peròtroppo vasta; le combinazionipossibili sono infinite e occorrerestringere il campo di indaginee meglio definire le categorie dimillefiori. In ambito regionale un primopasso è stato effettuato nel-l’ambito del concorso regionaledei mieli della Valle d’Aosta incui i millefiori vengono suddivisiin “scuro” e “chiaro”. Questadifferenziazione cromatica nesottintende anche una botanicao altimetrica: in pratica il mille-fiori scuro ha presenza di casta-gno e/o melate mentre il mille-fiori chiaro richiama un miele dialta montagna. Non sempreperò questa suddivisione è cor-retta e, a mio avviso, per unaregione di montagna sarebbepreferibile distinguere i millefiorisulla base delle fasce altitudinaliin cui sono prodotti. Da consi-derare inoltre che nessun api-coltore mette in etichetta la dici-tura “miele chiaro” e tantomeno“miele scuro”; dizioni quindi chein definitiva non avrebberoalcun significato promozionale.Di fatto la valle d’Aosta è unaregione completamente mon-tuosa ma, si sviluppa in altitudi-ne dai 345 metri dell’imboccodella valle, sino ai cosi detti“quattromila”. Una ipotesi disuddivisione potrebbe esserequella del miele millefiori di fon-dovalle o semplicemente mille-fiori da quello prodotto in mon-tagna e in alta montagna.A livello comunitario il limite pre-

In montagna sono diffusesopratutto le piccole postazionidi 10-15 alveari. (Foto di Stefano Gallo)

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35L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Ambasciatori dei mieli

visto per definire la montagna èdi 600 m slm; una ulteriore divi-sione è situata ai 1.500 m slmper differenziare la bassa dall’al-ta montagna. Questi parametri,utilizzati già per altri scopi, sipossono ben adattare al mielemillefiori. Schematizzando:

fino a 600 m slm millefiori

da 600 a 1.500 m slmmillefiori di montagna

oltre i 1.500 m slm millefiori di alta montagna

Il millefiori prodotto sotto i 600metri è un millefiori precoce. Giàverso il 15 aprile possiamo col-locare i melari; le poche acaciepresenti nel fondovalle possonodare il loro apporto, ma non alpunto da ottenere mieli uniflora-li. La smielatura viene pertantoritardata sino a metà giugno. Inquesto periodo le api bottine-

ranno principalmente sul primosfalcio dei prati permanenti, ric-chi in specie nettarifere. Nellazona chiamata Bassa Valle lapresenza di castagno è cospi-cua e può, quando non si attua-no le tecniche per ottenere ilmiele monoflorale di castagno,caratterizzare notevolmente ilmillefiori.Nella fascia altitudinale superio-re il raccolto inizia normalmenteai primi di maggio con la fiorituradel tarassaco. La produzione diquesto miele monoflorale èincostante e di difficile realizza-zione. Molti non lo smielano ecosì il tarassaco, oltre a conferi-re colore e bella cristallizzazio-ne, finisce anche per caratteriz-zare con il suo pronunciato pro-filo questi mieli millefiori.I mieli di montagna normalmen-te sono più chiari rispetto aquelli di fondovalle e più delicatiman a mano che si saleI mieli di alta montagna vengono

prodotti in un periodo moltobreve, tra giugno e luglio, neipascoli alpini e hanno spessocome componente principale ilrododendro. Sono molto delicatie spesso con una nota fruttatadovuta al lampone. Le speciepresenti sono quelle tipiche deipascoli di alta quota con legu-minose e altre specie. In realtàl’apicoltore che porta le api aqueste altitudini aspira al mieledi rododendro, ma questa pro-duzione è molto aleatoria e nontutti gli anni è possibile; il pro-dotto che si ottiene è più com-plesso dal punto di vista aroma-tico; a volte poi la presenza dimelate di conifere contribuiscea scurire il miele, a modificarne ilprofilo e a renderlo piu comples-so ed armonico, caratteristicapropria dei millefiori.

Millefiori particolariIn alcune zone la prevalenza diparticolari essenze botaniche

Pascolo alpino in piena fioritura a 1850 metri nella Valtournenche. (Foto di Stefano Gallo)

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36 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Ambasciatori dei mieli

può ulteriormente caratterizzarecon una certa regolarità il mille-fiori locale.Nei prati umidi presenti nelfondo delle valli laterali, oltre i1.000 m di quota e soprattuttonelle valli d’Ayas e di Gresso-ney, troviamo in abbondanza laBistorta (Polygonum bistorta),molto visitata dalle api e grandeapportatrice di nettare, checonferisce al miele una colora-zione chiara e un particolaregusto fruttato.Il versante orografico sinistrodella vallata centrale è caratte-rizzato dalla presenza di Timo(Thymus vulgaris), particolar-mente diffuso nei comuni diSaint Denis e Verrayes. Questapianta spontanea colonizza iversanti assolati e aridi; cresce apartire dal fondovalle sino ai1.600 m slm con una fiorituragraduale, che inizia in primaverae si protrae sino all’inizio del-l’estate alle quote più alte. I mieliprovenienti da questa zonahanno la caratteristica di posse-dere colorazioni più intense contoni aranciati e un profilo olfattivoe gustativo molto pronunciato,intenso, pungente quasi ammo-

niacale per la presenza del timoassociato a volte al tarassaco.Sempre nel versante orograficosinistro della Dora Baltea (adret),ma a quote oltre i mille metri, sitrovano diverse zone foraggerecostituite da prati asciutti o pocoirrigati nei quali è molto rappre-sentata la lupinella (Onobrychisssp). Queste aree si trovano sianell’alta che nella media valle.L’abbondanza di questa forag-gera ha, in passato, addiritturapermesso di ottenere mieli uni-florali di lupinella; si tratta dieventi sporadici ed eccezionali.In ogni caso il millefiori che siproduce è caratterizzato dallenote vegetali presenti nei mieli dileguminose, ma anche fruttateche ne arricchiscono il profilo.Questo miele ha una ottima cri-stallizzazione e un colore moltochiaro.

Cristallizzazione e consumatoriIl millefiori cristallizzato è di granlunga il miele più richiesto dallapopolazione locale; è quello cheevoca memorie infantili, il cosi-detto “miele di una volta” pro-dotto dall’unica smelatura che

nell’apicoltura tradizionale veni-va effettuata a fine stagione.Questo prodotto sta ottenendonegli ultimi anni sempre maggioriconsensi, soprattutto al di fuoridell’areale di produzione, graziealla partecipazione ai concorsinazionali, quale il Grandi mielid’Italia di Castel San PietroTerme, dove negli ultimi annidiversi produttori hanno ottenu-to le tre gocce d’oro nella cate-goria Millefiori di alta montagna.Il miele millefiori di montagna,assieme a quello di castagno edi rododendro, rientra nell’elen-co dei prodotti agroalimentaritradizionali della Valle d’Aosta,riconosciuto dal Ministero dellePolitiche Agricole, Alimentari eForestali.L’apicoltura valdostana è unarealtà particolare, fatta di piccolinumeri, ma di grandi qualità,caratterizzata da situazioni estre -me sia geografiche che climati-che. Sfruttando l’esperienza degliapicoltori locali si possono tutta-via ottenere prodotti unici e parti-colarmente caratterizzati dal terri-torio alpino.

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38 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Musei dell’apicoltura

l museo dell’apicoltura diOderzo viene ancora unavolta da rammaricarsi che a

fruire di tanta abbondanza di testi-monianze e vivi documenti sianoquasi soltanto scolaresche, chesicuramente lo apprezzano e netraggono curiosità, un senso dibellezza e di meraviglia, e forsequalche fondamentale ispirazioneper la vita, ma non saranno mai ingrado, quanto lo sarebbe un api-coltore, di apprezzare tanti dettaglinell’evoluzione del nostro lavoro,molti dei quali sono ancora ogget-to di attualissima riflessione. Se il90% dei 1.500-2.000 visitatoriannuali sono costituiti da scolare-sche, ci sono comunque anche

apicoltori che arrivano a Oderzoanche da Finlandia, Francia,Ungheria, Austria, Germania,Inghilterra, Corea (questi ultimiattraverso l’Università di Udine).Solo gli italiani sono pochissimi.Quegli apicoltori che arrivano finqui rimangono però affascinatidalla sapienza e dall’ingegno chepresiedono alle tante varianti edevoluzioni dei nostri strumenti dibase: “Passano un’arnia alla volta,se la aprono, la guardano den-tro… non dovrebbero, dovrebberochiedere, ma io li lascio fare per-ché vedo che fanno con delicatez-za, aprono il pezzo, è bello anchevederli…” mi racconta ClaudioGraziola, uno dei creatori del

UNA STORIA RIVISSUTA PASSO PASSO

ADa una cultura del servizio e del dono ha preso forma il museo di Oderzo.

MUSEI DELL’APICOLTURA

E’ DI TE CHE RACCONTAQUESTA STORIA

di Paolo Faccioli

In alto a sinistra - Guido Fregonese, alla presenzadi Antonio Perissinotto (a sinistra) e Claudio Graziola (a destra) mentre ricostruisce un bugno in paglia. Fregonese è morto e a lui è stato dedicato il Museo. (Foto del Museo)Sotto a destra - Il piccolo apiario annesso al museo, dove i visitatori, protetti dietro a unoschermo, possono assistere alleoperazioni di apiario. Agli alunnidelle scuole viene di solito allungato un favo di miele perfargliene prelevare un assaggiocon un dito. Fuori stagione, il contatto dal vivo con le api ègarantito da un’arnia d’osservazione collocata all’interno dell’edificio e con uscita delle api all’esterno. (Foto del Museo)A sinistra - Alcuni tra i circa 40alveari rustici presenti nelMuseo, alcuni ricostruiti, ma la maggior parte originali, di provenienza sia dal territorioche da varie parti del mondo,che testimoniano l’uso di una grande varietà di materiali e di tecniche di costruzione. (Foto di C. Ottolina)

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39L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Musei dell’apicoltura

museo. D’altra parte, è propriodall’ambito della scuola che nascel’ispirazione che ha portato allacreazione di questo museo. E’l’anno scolastico 1979-80. Clau-dio Graziola, allora insegnante diEcologia agraria all’Istituto Profes-sionale Agrario di Piavon, sfiora inuna sua lezione l’argomento api.Da giovane aveva frequentatol’Istituto Agrario di San Micheleall’Adige, maturando un grandeinteresse per le api dal professoreFerrari, che ne era appassionato.L’intervento di un suo alunno, figliodi un apicoltore, che invoca prote-zione e attenzione ecologicaanche per le api, è il fiocco di neveall’origine di una valanga. Claudiosi rivolge subito a due apicoltoridella zona, Guido Fregonese eToni Perissinotto, invitandoli inclasse a tenere una lezione. I due,senza grandi “effetti speciali” tec-nologici, solo con l’aiuto di qual-che quadro didattico e della lorocontagiosa passione, entusiasma-no gli alunni. In breve Claudioottiene dal suo preside l’autorizza-zione ad acquistare un piccoloapiario scolastico. E’ da GuidoFregonese che impara l’arte, tra-smettendola subito ai suoi alunni,con cui passa piacevoli ore dietroalle api, nonostante l’apicolturanon sia esattamente parte dei pro-grammi scolastici. I giovani, quasitutti figli di agricoltori, costituisconoun substrato fertile per questainnovazione. Il passo successivo èdi ottenere dal preside l’uso diun’aula, per collocarvi quadrididattici e materiali di esposizione,che Guido e Toni già usavano in

mostre itineranti nella zona. Al pre-side, Claudio chiede anche dipoter utilizzare l’Aula Magna per leriunioni del gruppo di apicoltoridella zona, saldando così insiemel’attività didattica all’ambiente deiproduttori. Alla prima aula se neaggiunge una seconda, per ospi-tare i materiali in continua espan-sione; comincia così l’organizza-zione di corsi di aggiornamento,conferenze e mostre itineranti, cheli portano non solo nei paesi deidintorni, ma anche a Faenza,Montalcino, Piacenza. Come sicostituisce il patrimonio di base diun museo? Guido, Toni e Claudioprendono una strada che marcal’originalità del museo di Oderzo:da disegni ricavati da libri emanuali (primo tra tutti “L’Uomo el’Ape” di Marchenay), ricostruisco-no i materiali raffigurati. Si trasfor-mano in falegnami, in cestai, infabbri, in lattonieri; riproduconomodelli diversi di arnie e bugnirustici, affumicatori, gabbiette,

leve, nutritori, rivivendo la storiapasso passo per farla poi riviveread altri. E’ proprio questo cherende il museo di Oderzo un pic-colo capolavoro di didattica: lanecessità di mostrare certe evolu-zioni, certe varianti dei nostri stru-menti di base viene prima dell’ac-quisizione di pezzi storici, antichi orari. Il museo non dipende quindidalla casualità di questa o quella

L’ingresso dell’edificio comuna-le occupato da Croce Rossa, Protezione Civile e Museo.

(Foto del Museo)

Sotto a sinistra - La serie dellearniette riprodotte in tutti i dettaglie accessori in scala 1:3 per scopididattici. (Foto di C. Ottolina)

Sotto a destra - Tre modellistorici di arnie perfettamente ricostruite in tutti i dettagli a partire dai disegni dei manuali: la Sartori verticale, creata nel1860, la Langstroth, creata nel1851 e la Dzierzon creata nel1845. Claudio Graziola è autoredi una storia dell’apicoltura italia-na vista attraverso l’evoluzionedell’arnia. (Foto di C. Ottolina)

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40 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Musei dell’apicoltura

acquisizione, non è costretto acolmare con le parole i vuoti e leassenze, crea fin dall’inizio un per-corso didattico. Stupenda è laserie di arniette (dalla Langstrothalla Dadant e alla Tonelli) in scala1:3 con miniature di apiscampi,telaini con fogli cerei, escludiregi-na: facili da trasportare per lemostre itineranti, facili da osserva-re insieme cogliendo le differenzecon un solo colpo d’occhio.Anche l’evoluzione dell’apiscampoha uno spazio dedicato; vi compa-re una gamma di modelli che vadall’americano Porter del 1865all’italiano Malagola modificato del1990. Altri spazi sono dedicati ainutritori, alle gabbiette per regine,alle stampatrici di fogli cerei. Natu-ralmente c’è anche abbondanza dipezzi originali, ma quelli sonovenuti col tempo, aggiungendosi aun piccolo patrimonio originale,man mano che al museo arrivava-no visitatori che spontaneamenteaderivano al progetto con undono. Questo è un altro elementodi originalità del museo di Oderzo:“Qua non c’è niente di comperato”

dice orgogliosamente Claudio, ètutto costruito da noi o regalato dachi veniva e proponeva. Se qual-cuno mi diceva “dammi qualcosa”gli rispondevo “o lo lasci qua rega-lato o niente da fare. Qui non sicommercia niente, si regala o sioffre. Solo i libri sono comperati”.In un piccolo magazzino sonoconservati i “doppioni”, materialidestinati a essere conferiti (rigoro-samente in regalo), a chi volesseutilizzarli con lo stesso spirito.Questo fondamento di gratuità edi servizio permea anche altriaspetti della vita del museo. Imembri della piccola associazio-ne locale di apicoltori, per esem-pio, non sono tenuti a pagarequote sociali o altro, ma a fornire,quando si presenta la necessità,una prestazione professionale aseconda delle loro competenze:chi è falegname ha riparato le per-siane, fatto le scaffalature o le cor-nici per i quadri didattici; chi èidraulico ha riparato un lavandino;chi è imbianchino ha messo anuovo i muri. Il trasloco dalle auledell’Istituto Agrario all’attualesede, un edificio di proprietà delComune di Oderzo, è avvenutocon l’aiuto di tutti i diciotto mem-

bri del gruppo. In più il museo èstato donato al Comune e, comeancora più orgogliosamenterimarca Claudio, è “il primomuseo pubblico di apicoltura inItalia”. L’unica clausola imposta alComune all’atto della donazione èche il museo fosse sempre gesti-to esclusivamente da apicoltori,specificamente quelli del gruppo“opitergino-mottense”, quelli cioèdi Oderzo e della vicina Motta diLivenza. Un gruppo tenuto voluta-mente ristretto, senza la seduzio-ne di fare numero, ma di averepiuttosto affiatamento e qualitàdell’impegno, di sentirsi felici diessere al servizio, di percepirecome “un onore il gestire un’istitu-zione così bella e rara”. Al Comu-ne non vanno a mungere denaroindiscriminatamente, ma mandanouna nota spese ragionata con lespese essenziali per organizzare ilconvegno annuo. Per altre spesefanno affidamento sulle offertespontanee dei soci. Le assembleeavvengono direttamente nella piz-zeria vicina al museo; vi partecipa-no anche il sindaco e l’assessore,dopodiché “i paga tuti ala romana,anca l’assessore”. Il locale delComune, che il museo condivide

A fianco - L’arnia originale modello Berlepsch, parte di un capitale di 3000 arnie cedute dall’Austria all’Italia come pagamento dei danni della guerra 1915-18. (Foto di C. Ottolina)

Sotto a sinistra - Alcune tra le 59 diverse arnie presenti nel museo, tra cui spiccano in primo piano l’arnia Berlepsch originale, nel ripianoalto due arnie Muck provenienti dall’Alto Adige. (Foto di C. Ottolina)

Sotto a destra - In primo piano una serie di stampatrici per fogli cerei,la prima in basso viene dall’Ecuador ed è dotata superiormente di un piccolo impianto di circolazione di acqua fredda per facilitareil solidificarsi della cera. Nella teca di vetro oltre le stampatrici si intravede lo strumento, metà leva metà martelletto, costruito artigianalmente da un apicoltore della zona per lavorare alle api quando si trovava in prigionia in Russia. (Foto di C. Ottolina)

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DOVE COME QUANDO E COS’ALTRODOVE COME QUANDO E COS’ALTRO

Per visitare il museo occorre telefonare ad Antonio Perissinotto 3394339401 o Claudio Graziola3483029484. La frazione Piavon di Oderzo è, in auto, a circa un’ora e mezza di distanza da Venezia, un’ora daPadova, due ore e mezza da Bologna, quaranta minuti da Treviso, due ore da Verona, un’ora da Belluno, un’orae un quarto da Udine, un’ora e venti da Aquileia, meno di un’ora da Jesolo. Poco più di due ore e mezza di autoseparano il museo di Oderzo da quello di Lavarone (TN), con cui è gemellato, e tre ore e tre quarti da quello diSopra Bolzano (BZ). Raggiunta Oderzo, si esce in direzione Cessalto (dove c’è il casello dell’autostrada Trieste-Venezia). In alternativa da Cessalto si raggiunge Oderzo passando per la frazione Piavon, il museo è allora sulladestra, segnalato. E’ il posto ideale per chi, pur vivendo lontano, sta magari gustandosi una vacanza nel norddella costa adriatica, o ha programmato un fine settimana romantico o artistico a Venezia e può concedersi unadeviazione storico-apistica. Per chi è accompagnato da qualcuno meno appassionato di lui all’apicoltura, Oder-zo offre la possibilità di visitare il “Cason de Piavon” proprio nella stessa frazione del museo, una costruzionerurale stupendamente restaurata, quasi un monumento alla vita contadina (http://www.casonpiavon.it), unmuseo archeologico e una serie di siti archeologici.Per chi volesse mangiare o passare la notte, l’offerta èricca, ma a noi che abbiamo chiesto in giro sono stati particolarmente consigliati: albergo Primhotel 3 stelleVia Capitone 16, tel. 0422710142 [email protected]; affitta camere + ristorante Al Sansovino Via per Piavon 25,tel. 0422713507; pizzeria e ristorante Nuovo Ronche Via Ronche di Sopra 26, Piavon tel. 0422752133.

con la Croce Rossa e la ProtezioneCivile, è un caseggiato collocato inuna campagna ormai fittamenteantropizzata, una volta ricca invecedi siepi e alberate, tant’è che gliapicoltori usavano arnie a dodicitelaini per raccolti assai più consi-stenti di quanto non siano ora: fini-ta la fioritura del tiglio, che segueall’acacia e al tarassaco, non c’èpiù altro. Dominano la vite e il mais;anche la melata è andata affievo-lendosi. Il paesaggio agricolo èandato appiattendosi; le capezza-gne e le strade in terra battuta, checorrevano lungo le testate deicampi, sono state spazzate via; ildrenaggio tubolare, per cui unfosso unico basta, ha causato lasparizione dei fossi. Una delleprime attività del gruppo locale diapicoltori, nei primi anni 80, è statamonitorare l’impatto dei pesticidisulle api, in collaborazione conClaudio Porrini e Giorgio Celli, sta-bilendo una quindicina di postazio-ni fornite di gabbie di Gary, in tempiin cui era assolutamente pionieristi-

co farlo. Tra i tanti oggetti esposti,due assumono per Claudio un par-ticolare valore affettivo: un attrezzoche unisce una leva a un piccolomartello, fabbricato a mano dal-l’apicoltore Ronchese, del vicinopaese Ormelle mentre era in prigio-nia in Russia durante l’ultima guer-ra, e l’arnia modello Berlepsch,regalata dall’apicoltore Rusalem,che faceva parte di un corredo di3000 alveari che l’Austria ha cedu-to all’Italia per pagare i danni diguerra dopo la prima guerra mon-diale. Siamo vicini alle sponde delPiave; un ricordo apistico cherimanda alla Grande Guerra haun’evidenza particolare. La biblio-teca è ricca di 160 volumi, tra cuialcune rarità di grande pregio, cheemanano un profumo di carta anti-ca, come i volumi del Tannoja“Delle api e loro utile e della manie-

ra di ben governarle” edito a Napolinel 1801, il “Modo pratico per con-servare le api” di Luigi Savani, editoa Milano nel 1811, il manuale diApicoltura di Luigi Sartori (1866), il“Trattato completo di apicoltura” -1931 di E. Alphandery e l’introvabi-le, anche se non antichissimomanuale di Don Angeleri, “Cin-quant'anni fra le api e gli apicoltori”. Questi libri vengono concessi inconsultazione. A tre studenti, chehanno utilizzato i materiali delmuseo per le loro tesi, è stato chie-sto di lasciare in cambio i volumi daloro prodotti alla biblioteca delmuseo; diverse persone che chie-dono pagine specifiche di alcunidei testi, le ricevono in fotocopia oin allegato a una e-mail. Il catalogocompleto è sul sito del museo:www.museoapicoltura.it.

Ancora Toni Perissinotto e Claudio Graziola (con qualchecapello bianco in più) insieme aCarlo Ottolina. Alle spalle di Toni,scolpito su una lastra di pietra aforma di cella reale, il motto

“Cercando il mio ben l’altrui pro-curo”, che ben si adatta sia alle

api che allo spirito con cui il grup-po di apicoltori di Oderzo gesti-sce il museo. (Foto di C. Ottolina)

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Visto per voia cura di M. Gotti

L’acaro varroa (Varroa destructor),dopo il suo arrivo in Europa, èstato nei primi tempi facilmentecontrollato con uno o due tratta-menti acaricidi all’anno senza par-ticolare difficoltà. Con il passaredegli anni le perdita di coloniesono aumentate a dispetto dimisure e di trattamenti acaricidipiù intensivi. Dal 2006, in varieparti del mondo, si sono manife-state elevate mortalità di alveari, lecui cause non sono tuttora chiare.Le perdite sono state attribuitealla mortalità invernale e a unnuovo fenomeno chiamato Ccd

(Colony Collapse Disorder.)Molti scienziati, non trovando unfattore chiave per lo spopolamen-to degli alveari, hanno ipotizzatol’interazione di più cause (multifat-torialità). Tra questi fattori, la var-roa può giocare un ruolo rilevanteper quanto riguarda le perditeinvernali.L’articolo prende in considerazio-ne come la varroa contribuiscaalla perdita delle colonie. Non cisono dubbi che le cause sianodiverse. Tra queste, le mortalitàinvernali e il Ccd sono quelle piùfrequentemente citate.

Nei primi report del Ccd dagliUsa, un’interessante osservazio-ne è stata che il livello di varroanelle colonie collassate non eratale da potersi considerare dan-noso per la colonia.Tre differenti analisi sono statecondotte sulle colonie con sintomida Ccd.1. Approccio metagenomico per

cercare eventuali patogeniassociati al Ccd. Il risultato èstato che solo un organismo èrisultato strettamente correlatoal Ccd, il virus israeliano dellaparalisi acuta (Iapv).

CHE RUOLO GIOCA LA VARROA NELLA SCOMPARSA DELLE API?

(Varroa mites and honey bee health: can Varroa explain part of the colony losses? Yves Le Conte, Marion Ellis, Wolfgang Ritter)

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Spesso nel cercare spiegazioni sul fenomeno globale della scomparsa delle api sono state tirate in ballo la varroa e la presunta incapacità

di gestirla da parte degli apicoltori. In questo articolo gli autori analizzano le possibili interazioni tra la varroa e la scomparsa delle api.

L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Visto per voi

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2. Approccio genetico con l’indi-viduazione di sessantacinquemarker per il Ccd che non hadato prevalenza di risposteimmunitarie specifiche.

3. Studio epizootico che ha rileva-to che le colonie colpite da Ccdhanno un maggior numero dipatogeni rispetto al controllo.Questo fatto ha suggeritoun’interazione tra i patogeni ealtri fattori stressanti; tra questipuò essere coinvolto anche ilparassitismo da acari.

Un punto importante è dato dalfatto che gli studi mostrano lostato delle api nel momento in cuivengono campionate, ma la var-roa può già aver avuto un ruoloprima del campionamento, peresempio causando immunode-

pressione, permettendo così losviluppo di patogeni. In ogni caso,non ci sono prove evidenti di tuttociò, anche se l’ipotesi che il Ccdsia dovuto alla varroa e alla suacapacità di sopprimere la rispostaimmunitaria delle api non possaessere esclusa.La mortalità invernale delle colonieè ben conosciuta dagli apicoltorie… perdite sono inevitabili. Fino avent’anni fa perdite del 5-10%erano considerate accettabili.Oggigiorno in molte aree le perdi-te superano spesso il 20%.Cause differenti possono spiegarela mortalità invernale: morte delleregine, mancanza di adeguate scorte alimentari, poca popolazio-ne autunnale, carestia, patogeni eparassiti, compresi i trattamentitardivi o inadeguati per il controllodella varroa.Per analizzare le cause delle mor-talità invernali è importante consi-derare come e quando la perditaavviene e i sintomi manifestati.Un gran numero di api morte sulfondo o davanti all’arnia fa pensa-re a morte per fame o nosema.Presenza di favi con miele e cova-ta fanno invece pensare alla var-roa. Spesso queste coloniehanno il 100% delle api infettatedai virus delle ali deformate (Dwv)e della paralisi acuta (Abpv).Anche nelle colonie colpite daCcd, gli alveari presentano scortee covata abbandonata, ma, incontrasto con quanto scrittoprima, disopercolando la covatanon c’era varroa a sufficienza perspiegare la scomparsa delle api.L’azione di suzione della varroaprovoca diversi danni fisici alle api(meno proteine e minor peso) einterferisce con lo sviluppo degliorgani. La varroa e i virus che tra-smette contribuiscono alla nasci-ta di api deformi (api piccole conaddome corto e ali deformi), conminore longevità, capacitàd’orientamento e durata di volo.Gli acari indeboliscono il sistemaimmunitario delle api c riducendol’attività della colonia.Un gran numero di virus, inclusiDwv, Abpv, virus della paralisicronica (Cbpv), virus della paralisilenta (Spv), virus della cella realenera (Bqcv), virus del Kashmir(Kbv), virus delle ali nebulose(Cwv) e virus della covata a sacco

(Sbv) sono stati associati con varigradi di infestazione da varroa. Ilruolo dell’acaro nel trasmetterequesti virus da api malate ad apisane è ormai noto. La varroa sinutre sulle larve e sulle api adulte,passa velocemente da un’ape aun’altra trasmettendo i vari virus.Alcuni di questi possono anchereplicarsi nella saliva delle api. Lavarroa può trasmettere i virusanche con il cibo larvale prodottodalle nutrici, con il seme dei fuchio uova infette.E’ da sottolineare che i sintomiclinici morfologici, come le alideformate e l’addome corto, sisviluppano solo quando il virusDwv è associato con la varroa,risultando letale per le api. Abpv eDwv sono altamente patogeniper le api quando vengono veico-lati dalla varroa; entrambi i virussono stati recentemente correlaticon le mortalità invernali.Per ultimo la presenza simultaneadella varroa e dei virus gioca sicu-ramente un ruolo maggiore nelcollasso della colonia rispetto alsolo acaro.Le colonie non trattate di solitovanno incontro alla morte in unperiodo che può andare dai seimesi ai due anni. Risulta quindievidente che la varroa è una seriaminaccia per l’apicoltura mondia-le e può decimare le coloniecome già avvenne negli Usadurante gli inverni del 1995-96 edel 2000-2001, con perdite dal50% al 100% degli alveari. Lostesso avvenne in Europa setten-trionale nell’inverno del 2002-2003 e nell’Europa meridionalenel 2005. Risulta quindi ovviochiedersi quale sia il ruolo dellavarroa nelle recenti perdite di apinel mondo.La varroa è presente da molti anniin quei paesi che registrano oraun incremento nella perdita dellecolonie. Essendo un dato di fattoche la varroa può essere control-lata, si può speculare sul fattoche le perdite siano solo in partedovute all’acaro. Se cosi è, checosa è cambiato? La biologiadella varroa o l’ambiente in cuiopera? Che cosa può spiegare leperdite di alveari che vent’anni fanon avvenivano?Potenziali cause possono esserei cambiamenti nella biologia del-

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Api colpite dal virus della paralisi acuta (Abpv).

Virus della covata a sacco (Sbv).

Visto per voi

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l’acaro e delle api. Effetti possonoessere attribuiti anche ai tratta-menti acaricidi.Riguardo alla varroa e al suo ospi-te, la variabilità genetica di Varroadestructor potrebbe spiegare ladiversa virulenza e quindi la diffe-rente perdita di colonie in baseall’aplotipo coinvolto. I due mag-giori conosciuti nel mondo sono ilcoreano e il giapponese. Nuoviaplotipi più aggressivi potrebberospiegare le recenti perdite di colo-nie. Nuovi aplotipi di varroa sonostati descritti in Asia; nulla èconosciuto sulla loro virulenza aldi fuori del loro continente. Larecente scoperta in Spagna del-l’aplotipo giapponese dimostracome il commercio favorisca ladiffusione nel mondo di parassitie patogeni. Da tenere presentianche eventuali mutazioni favoritedalle modalità di riproduzionedella varroa (accoppiamento fra-tello-sorella). Mutazioni favorevoliall’acaro possono averne modifi-cato il comportamento e la ripro-duzione.Rispetto alla dinamica dellapopolazione di varroa, va osser-vato che ai tempi del suo arrivo inGermania, dopo quattro annid’infestazione, si contavano daisette agli undicimila acari percolonia e si considerava comesoglia di intervento acaricida unacaduta giornaliera superiore alle200 unità. Oggigiorno gli apicol-tori tedeschi iniziano a trattarequando la caduta giornalierasupera le dieci varroe e la coloniacollassa con 3000 acari. Tuttoquesto si può spiegare solo con ilfatto che vent’anni fa le varroeerano molto meno virulente e chese non sono infestate dai virus le

api sono in grado di tollerarnepopolazioni più elevate. Anche inquesto caso l’interazione tra viruse varroa potrebbe spiegare laperdita delle colonie (ad esempiocon Iapv).Un’altra valutazione da fare èse il controllo della varroa conacaricidi è ancora una sceltasostenibile.Quando la varroa è arrivata inEuropa nel 1970, il suo controllocon acaricidi chimici era facile edefficace. Nel 1995 ci sono stati iprimi casi di resistenza ai piretroi-di, che poi ha coinvolto anche glialtri acaricidi impiegati. Non esisteun acaricida che garantisca uneffetto letale del 100%; gli acariche sopravvivono, generazionedopo generazione, sviluppanoresistenza. Sostanze naturalicome timolo e acido ossalico nonhanno finora causato resistenza,ma in alcune situazioni non sonosempre efficaci. La mancanza diacaricidi veramente validi per ilcontrollo della varroa permettealle popolazioni del parassita diraggiungere livelli tali da provoca-re il collasso della colonia, diretta-mente, per effetto della loro mol-tiplicazione, o indirettamente,abbassando la capacità immuni-taria delle api e la diffusione deivirus.Tuttavia, la resistenza della varroaagli acaricidi ha favorito l’escala-tion di applicazioni di prodotti chi-mici, con aumento sia delle dosiche dei conseguenti residui nel-l’alveare che, anno dopo anno, siaccumulano spaventosamentenella cera. Uno studio recente sul sinergi-smo tra fluvalinate e couma-phos, dimostra un notevole

aumento della tossicità del fluva-linate sulle giovani api in coloniein precedenza trattate con cou-maphos avvertendo che la mor-talità delle api può avvenireanche con la presenza disostanze in dosi sub-letali, sequeste sono presenti contempo-raneamente nell’alveare.Anche sostanze alternative,come il timolo, possono vedercrescere i loro residui nella ceradopo anni di utilizzo e diventaretossiche per le api. Il riciclo dellacera per la produzione di foglicerei contribuisce al ritorno degliacaricidi nell’alveare, favorendofenomeni di resistenza; ma piùpreoccupante è che questi resi-dui in dosi anche minime posso-no avere un effetto sinergico ediventare tossici con l’entratanell’alveare di pesticidi provenientidall’ambiente esterno, a volteanche in concentrazioni notevoli.L’entrata nell’alveare di pesticidi,quale fattore di stress, diventa piùgrave in presenza di residui diacaricidi, creando un possibilesinergismo letale. I residui dipesticidi e acaricidi aumentanocon il passare del tempo e orasono maggiori di venti anni fa.Questo fatto potrebbe spiegareparzialmente le massicce morie dialveari. Per gli oli essenziali e gliacidi organici va considerato chehanno anche un potere disinfet-tante e, sebbene possano agireanche su altri patogeni, alteranola microflora dell’alveare che,come dimostrato, è importantecontro alcune patologie (adesempio riducendo la suscettibili-tà alla covata calcificata).Per l’analisi delle perdite di colo-nie vanno considerati anche gli

Api colpite dal virus della delle ali deformate conseguente ad infestazione di varroa (Dwv).

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effetti indiretti delle pratiche apisti-che, in primis i trattamenti per ilcontrollo della varroa.A volte, la scarsa capacità degliapicoltori nel gestire la varroa puòin alcuni casi spiegare la mortalitàdi alveari. A volte questo è causa-to da raccolti tardivi estivi chefanno ritardare i trattamenti al finedi non inquinare il miele, con laconseguenza di consentire allepopolazione di acari di raggiunge-re negli alveari un livello critico.Recenti notizie su colonie di apiche coesistono con la varroasenza alcun trattamento di sortapossono aiutare a capire la biolo-gia e la coevoluzione di api e var-roe, ma queste informazionivanno prese con cautela perchéspesso le colonie resistenti, spo-state in altre aree, non hannodimostrato la stessa resistenza.Per esempio, spostare le api suun raccolto che prima non erapresente, può rompere l’equilibrioche si era instaurato in quella par-ticolare zona a sfavore delle api.Inoltre, le colonie che mostranoresistenza spesso non hannocaratteristiche gradite agli apicol-tori, come scarsa capacità pro-duttiva oppure troppa aggressivi-tà. Riguardo all’ambiente in cuiagisce la varroa, fattori come ilcambiamento delle condizioni cli-matiche con inverni più miti, pos-sono comportare lunghi periodi diallevamento della covata, chepossono far aumentare dramma-ticamente l’infestazione da varroa.Va però considerato, per contro,che estati più lunghe potrebbero

aumentare la capacita di raccoltodelle api, rendendole in grado disopportare maggiori livelli di infe-stazione. Rispetto ai fattori siner-gici, le colonie morte con i sintomidel Ccd mostrano covata operco-lata con basse infestazioni da var-roa, indicando che questa non èrilevante per le perdite e che nonpuò esserne l’acaro la causa.Uno studioso suggerisce inveceche il Ccd potrebbe essere dovu-to all’interazione tra due parassiti:la varroa e l’acariosi, dimostran-done la loro sinergia biologica e iconseguenti effetti deprimentisulla colonia.Che dire quindi dell’interazione trala varroa e altri fattori stressanti?Molti possono essere i fattoricoinvolti nelle perdite delle colo-nie: patogeni, pesticidi e ambienteinteso come clima.Per trovare studi che indicano lavarroa come causa di alte morta-lità bisogna andare molto indietronel tempo (Ritter 1984), anche serecentemente sono state indicatecome causa di alta mortalità inver-nale in Canada e Norvegia.Come procedere quindi neglistudi sulla scomparsa delle api?Vanno sviluppate strategie di con-trollo della varroa che non preve-dano applicazioni di acaricidi o leriducano al minimo per evitareeffetti indesiderati.L’invasione della varroa ha uneffetto sia fisico che fisiologico epotenzialmente deprime il sistemaimmunitario delle api permettendoai patogeni di moltiplicarsi. Questainterazione tra l’acaro e altri pato-

geni, in particolar modo con i viruse con Nosema ceranae, va stu-diata per quantificare il loro ruolo.Va inoltre indagata l’interazionedella varroa con gli acaricidi e coni pesticidi che sono buoni candi-dati visto il già dimostrato effettosinergico tra neonicotinoidi enosema.Inoltre è risaputo che, come suc-cede per le api colpite da nose-ma, i loro corpi grassi si riduconoin egual modo quando sono infe-state dalla varroa e questo lerende più suscettibili ai pesticidi. La riduzione dei corpi grassidovuta all’infezione da nosema èun fattore fondamentale nelle per-dite e sembra che lo stesso possaessere causato dalla varroa nellacovata.Risulta logico supporre che lacovata allevata in un ambientecontaminato, come possonoessere le celle di cera, possaessere più sensibile agli effetti deipesticidi rendendola più debole esoggetta ad attacchi di patogeni. Per capire a fondo il problemadelle mortalità, vanno ulterior-mente studiate le interazioni trapatogeni, parassiti e pesticidi,cosa che richiede una grandemole di lavoro.L’articolo originale è visionabile alseguente url: http://www.apido-logie.org/index.php?option=com_article&access=standard&Ite-mid=129&url=/articles/apido/full_html/2010/03/m09176/m09176.html

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L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 La posta dei lettori

La posta dei lettoria cura di U. Grassone

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LE API MANGIANO LE CILIEGIE?Buongiorno, è possibile che le api si mangino le ciliegie? Quest’anno mi è capitato di ricevere lamenteledal vicino di casa in quanto si è trovato il suo albero di ciliegie letteralmente invaso dalle api. Non sonoriuscito a dargli una spiegazione. Grazie.

Riccardo C. (AL)

Le api, è ormai ampiamente dimostrato non intaccano la frutta e quindi neppure le ciliegie, così comenon mangiano né intaccano l’uva, altra vecchia diatriba. Quest’anno è stato notato, che in certe zone,in concomitanza con la maturazione delle ciliegie,soprattutto le varietà più tardive, si siano verificateevidenti spaccature delle bacche eccessivamenterigonfiate dalle abbondanti piogge. Il liquido zuc-cherino che ne fuoriusciva ha attirato le api, come altriinsetti che, come loro, sono dotati di apparato boccale solosucchiante.Normalmente all’occhio dei profani questi fenomeniportano a concludere che l’ultimo insetto visto sulfrutto sia la causa primaria della marcescenza delfrutto stesso.Patologie, eventi atmosferici e irruzioni divespe e calabroni, questi si dotati di apparatoboccale masticatore, sono invece le verecause da ricercare.

SMELATURA CONTO TERZISono un apicoltore con regolare laboratorio di smielatura. Un collega mi ha chiesto la cortesia diprestargli locale e attrezzature in quanto lui non è al momento attrezzato. E’ fattibile? Come possorendere il tutto regolare? Vi ringrazio per la preziosa risposta. Distinti saluti.

Salomone S.

E’ sicuramente fattibile e la situazione del suo collega è tutt’altro che rara in apicoltura. Le alternativesono sostanzialmente due: comodato d’uso gratuito o fattura di conto lavorazione.Il comodato d’uso gratuito si presta maggiormente nelle situazioni di collaborazione che si protraggonoper molti anni: il comodante, colui che cede in uso gratuito, rende disponibile al comodatario locali edattrezzature al fine di consentirgli le operazioni di smielatura e/o confezionamento del proprio prodotto.Il contratto di comodato, che può avere validità per più anni, deve essere registrato presso l’Ufficio delRegistro a fronte di una tassa di registrazione di 168 euro. In questo caso il comodatario è responsabiledel proprio prodotto dal campo al vasetto. Una precisazione: essendo il contratto di comodato “a usogratuito”, non si deve evidenziare corresponsione né in denaro, né in altra forma.L’alternativa, meno vincolante per entrambe le parti, è rappresentata dal rapporto di conto lavorazione.L’apicoltore terzo che necessita di lavorazione, consegna presso il laboratorio di smielatura i propri mela-ri con relativo Ddt su cui ha apposto la dicitura “conto lavorazione”. Il proprietario del laboratorio avràcura di ben segnalare la presenza di melari di terzi presso il proprio magazzino e in laboratorio, con

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L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011La posta dei lettori

apposita cartellonistica e, terminata la smielatura e ilconfezionamento del prodotto, emetterà regolare fatturaper “prestazione di smielatura vostro prodotto”. Dalpunto di vista fiscale, si potrà configurare l’occasionalitàdella prestazione (il classico favore…del tutto ecceziona-le) oppure la presenza di una vera e propria attività con-nessa (nel caso, ad esempio, tutti gli anni la stessa per-sona si presenti per la smielatura). Nel primo caso la fat-tura emessa segue la numerazione delle altre fatture eavrà la dicitura “prestazione occasionale di …”, Iva 20%.Nel secondo caso, invece, andrà aperta presso l’ufficioIVA una cartella relativa ad attività connesse all’attivitàagricola (lavorazione conto terzi), le fatture relative a que-ste lavorazioni seguiranno propria numerazione, del20% di Iva andrà versato il 50% e ai fini Irpef questaattività verrà tassata per un importo pari al 25%dell’incassato.La responsabilità igienico sanitaria relativa allalavorazione del prodotto ricade in questo caso sucolui che effettua la smielatura.

LE LARVE SUI FRASSINIBuongiorno, vorrei sottoporvi una questione. Uno dei miei apiari si trova sotto un impianto di frassini chegià lo scorso anno è stato invaso da milioni di bruchi verdi che in un battibaleno si sono divorati tutte lefoglie, lasciando la pianta praticamente scheletrita. Il proprietario dell’impianto ha avuto indicazione ditrattare le piante con un prodotto dal nome Diflubenzuron. Quest’anno non ha fatto in tempo, ma mi hachiesto di informarmi per tempo sulla possibile tossicità per le mie api che si trovano proprio sotto a que-ste piante, in modo da mettere in conto un loro eventuale spostamento in vista del prossimo anno.Vi ringrazio se potete darmi indicazioni utili in merito.

Racco R. (TV)

L’insetto a cui il lettore si riferisce penso sia la Tentredine nera del frassino (Tomostethus nigritus), che sievidenzia in modo significativo nella sua forma larvale di piccolo e vorace bruco verde, che ricopre let-teralmente le piante attaccate e da queste cade a terra. Proviene dall’Europa dell’Est, dove è già pre-sente in modo massiccio da diversi anni, e si sta spostando via via verso ovest. In Italia è possibile tro-varlo dal Friuli (dove ha già provocato seri danni nel 2005) al Piemonte. Si tratta di un fitofago che puòsvolgere fino a tre generazioni l’anno, pertanto risulta di fondamentale importanza la tempestività dell’in-tervento: le severe defogliazioni che i frassini subiscono possono, infatti, concretamente portare allamorte dell’esemplare infestato sia per impossibilità di fotosintetizzare, sia per l’enorme dispendio ener-getico necessario nel ricostituire la chioma fogliare. Il prodotto indicato per i trattamenti, in effetti, è pro-prio il diflubenzuron, che sembra aver avuto successo. Si tratta di un anti-ormone giovanile sintetico, ini-bitore di crescita di molti insetti, soprattutto dell'ordine dei Ditteri. Agisce come larvicida, per ingestione,e ovicida, per penetrazione attraverso il corion delle uova. In relazione al suo meccanismo d'azione, l'ef-

fetto del Diflubenzuron non è mai immediato, ma comincia a rendersi visibile dopo qual-che giorno.

Dal punto di vista degli effetti sulle api, nonostantele schede di sicurezza dei prodotti assicurino chequesto principio attivo sarebbe assolutamenteinnocuo per i pronubi, è da tener presente che,invece, anche i regolatori di crescita hannomostrato effetti indesiderati nei confrontidelle api. Il diflubenzuron, nello specifico,ha mostrato effetti negativi a breve termi-ne sulla forza della colonia (numero diadulti e larve), un impatto limitato nellungo periodo e nessun effetto sullasopravvivenza delle regine. In ogni caso amio parere sarebbe conveniente e assolu-tamente consigliabile provvedere allo spo-stamento dell’apiario subito prima dei trat-tamenti sull’impianto arboreo.

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50 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Manifestazioni

“METTI IL MIELE IN TAVOLA”Ghemme 16 ottobre 2011 - XVI edizione

“Mieli Tipici Piemontesi” “Concorso Franco Marletto” XIII edizione

La Regione Piemonte, le Province e le Cciaa di Novara e del VCO, Apromiele, l'Associazione Apicoltori Nova-resi, Mielenatura e il Comune di Ghemme, promuovono un concorso per incentivare la produzione del mieledi qualità e valorizzare le produzioni tipiche piemontesi. Gli apicoltori che intendono partecipare al concorsodovranno far pervenire entro le ore 12 di giovedì 15 settembre 2011 per ogni campione in concorso:

• una campionatura di 2 confezioni da 500 g ciascuna, in idonei vasi di vetro, completamente anonimi;• scheda di partecipazione debitamente compilata;• quota d'iscrizione unica di euro 10,00 a parziale copertura delle spese di analisi da versare al punto diraccolta sottoelencato.

I campioni, corredati della documentazione di cui sopra vanno consegnati presso:

• Associazione Apicoltori Novaresi - Borgomanero c/o Coldiretti via dei Mille 24; • Aspromiele Sezione di Alessandria - Corso Crimea 69;

• Aspromiele Sezione di Asti - Corso Cavallotti, previo appuntamento; • Aspromiele Sezione di Cuneo - Piazza Foro Boario 6;

• Aspromiele Sezione di Torino consegnandolo al Dott. Allais tel.335.6126582. • Oppure potranno essere spediti al Comune di Ghemme (NO) - Municipio di Via Roma 21, allegando la fotocopia del bollettino di conto corrente postale che attesta il versamento della quota d'iscrizione.

La quota per i campioni in concorso andrà versata sul CCP n. 15043284 intestato all'Associazione Apicoltori della Provincia di Novara oppure consegnata presso i punti di raccolta sopra elencati.

Sono ammessi i campioni di miele: • Prodotti in Piemonte da produttori piemontesi. • Provenienti da partiteprodotte nel 2010. • Estratto da favi mediante centrifugazione. • Con contenuto di acqua inferiore al 18%. • Concontenuto di idrossimetilfurfurale (HMF) inferiore a 10 mg/kg.I campioni di miele che corrispondono alle caratteristiche sopra richieste verranno valutati da giurie composteda Assaggiatori iscritti all'Albo Nazionale. Ogni campione verrà giudicato nell'ambito della categoria dichiarata(monoflora o poliflora). Verranno valutate le caratteristiche visive, olfattive, gustative e tattili nel caso di mielicristallizzati. Verranno inoltre eseguite le analisi utili al fine di una migliore valutazione della qualità. A tutti iconcorrenti il cui prodotto verrà riconosciuto perfettamente rispondente ai migliori standard qualitativi, verràassegnato un attestato di qualità.

La premiazione avverrà a Ghemme nel pomeriggio di Domenica 16 ottobre in occasione della sedicesimaedizione di METTI IL MIELE IN TAVOLA.

Sarà possibile visitare le cantine dell'antico ricetto, le mostre di miele natura, e i laboratori di degustazione.

SCHEDA DI PARTECIPAZIONE AL 13° CONCORSO “MIELI TIPICI PIEMONTESI”Da compilare ed inviare insieme con ogni campione (una scheda per ogni tipo di miele)Nome e cognome o ragione sociale della ditta …........…………………............………..…..........Via .........………………..................... Cap …………… Comune ………..........….....………...…....Provincia ………. Tel. …...............................................................……….............………..............

Categoria d’appartenenza del campione: r monoflora (quale) ……………… r poliflora

Caratteristiche della zona di produzione:

r pianura fino a 500 m. Comune di…………………………r prealpi da 500 a 1000 m. Comune di………………………… r montagna oltre 1000 m. Comune di…………………………

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51L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Dai nostri lettori

dai nostri lettoriISOLA DEL GIGLIO:

PARADISO DELL’APICOLTURA

L’isola del Giglio è tra le più suggestive dell’arcipelago toscano.In primavera è una tavolozza di colori di fiori di ogni tipo, ove si pra-tica un’apicoltura difficile da realizzare per le condizioni del terrenoe per la scarsa viabilità, ma di grande soddisfazione perché la natu-ra e le sue aromatiche fioriture sono una risorsa ideale per le api.All’isola del Giglio, viene prodotto un miele biologico di altissimaqualità, grazie ad un clima mite e alla grande professionalità degliapicoltori della cooperativa.

Tre le fasi della stagione apisti-ca: cominciando dalla primave-ra con grandi fioriture di cisto edi fiori contemporanei, prose-guendo poi con il rovo selvaticoed efflorescenze di erbe aroma-tiche, finendo poi con il corbez-zolo e altre fioriture autunnali etardivi.

Gli apiari, anche se posizionati a mano in posti quasi irraggiungibili,godono di una flora molta variegata,nonostante la scarsità di pioggia incerti mesi estivi.Pochi giorni di visita nell’isola sonobastati per essere conquistati da unanatura selvaggia e affascinante, cheha lasciato un segno indelebile neimiei pensieri.

Carlo Ottolina

Pochi giorni di visita nell’isola sono bastati per essere conquistati da una natura selvaggia ed affascinan-te, che ha lasciato un segno indelebile nei miei pensieri

Carlo Ottolina

Concetta Rossi e TarcisioSolari c.d.a CooperativaGreppe del Giglio.

(Foto archivio Apicoltura Ottolina)

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52 L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011 Notizie in breve

notizie in breve

I fiori s’adornano di luce riflessa per attrarre e sedurre gli insetti impollinatori

Un equipe di ricerca dell’Università di Cambridge ha presentato un’importantericerca alla mostra della scienza organizzata quest’estate dalla Royal Society diLondra. Lo studio ha accertato una qualità finora sconosciuta di alcuni comunifiori da giardino: riflettono la luce come le bolle di sapone o la parte lucida di unCD. Si è quindi determinato che l'iridescenza dei tulipani e di altri fiori è funzionalead attirare l'attenzione delle api e altri insetti impollinatori.

Studio scientifico: dai mieli un’ottimo scudo contro i super batteri

Che il miele avesse proprietà dieteiche e nutrizionali importanti è cosa nota a tutti così come proprietà anti-batteriche e difensive del nostro sistema immunitario. Oggi, grazie ad uno studio di un gruppo italianofacente capo all'Università "La Sapienza" di Roma, abbiamo conferma di salutari e importanti attività anti-microbiche di questo preziosissimo alimento naturale. Lo studio ha accertato che alcune varietà di mielerelative a due specie botaniche, eucalipto e timo presentano, una spiccata attività battericida. Non sonocerto gli unici perchè, se pur in modo ridotto, presentano queste stesse proprietà anche quello provenien-te da fiori di arancio e limone. Tale attività non solo sarebbe squisitamente e direttamente battericida mainterferirebbe anche in un particolare sistema di comunicazione batterico, conosciuto come "quorum sen-sing" un meccanismo di regolazione trascrizionale attraverso il quale popolazioni di batteri della stessaspecie comunicano tra loro riconoscendo molecole-segnale, grazie alle quali possono colonizzare siti delnostro organismo. L'aspetto interessante è stato poi quello di evidenziare come una miscelazione di mielicon queste proprietà sia poi in grado di amplficarne l'attività proprio come accade quando si sommini-strano sinergicamente antibiotici di vario tipo per potenziare l'azione antibatterica in corso di infezione.L'individuazione di mieli con spiccata attività battericida sembra aver trovato riscontri positivi anche neiconfronti di colonie batteriche notoriamente antibiotico-resistenti, una vera piaga soprattutto nei paesiindustrializzati e occidentali dove la selezione di ceppi sempre più difficili da debellare sta creando grossiproblemi in campo medico e farmacologico, come conseguenza di un disinvolto e spregiudicato abusodi antibiotici fatto in un recente passato.

(Tratto da Scienza dell'alimentazione - articolo del Dott. Stelio Alvino)

Grazie a un diverso campo visivo le api controllano la velocità del volo

A differenza degli esseri umani, le api hanno un campo visivo che con-sente loro di evitare gli ostacoli. Una recente ricerca di specialisti in Bio-robotica dell’Istituto di Scienze Motorie (Cnrs/Aix-Marseille II Università)ha determinato che, attraverso il flusso ottico percepito, le api controllanola loro velocità di volo, cambiandola secondo la vicinanza degli ostacoli,sia in orizzontale che in verticale. Si sa che il comportamento sensomo-torio delle api si avvale di un sistema nervoso composto da centomila aun milione di neuroni. Come fa una piccola creatura come un’ape, con un così piccolo cervello, a effettuareun tale livello di controllo sul volo ed evitare gli ostacoli? Quando l'insetto è in volo, nel suo campo visivo l’im-magine dell'ambiente si muove da davanti a dietro, creando un flusso ottico, che determina la velocità ango-lare dei contrasti ambientali che passano nel suo campo visivo; questi flussi ottici dipendono dal rapportotra la velocità e la distanza dalla superficie più vicina.

Proteine del veleno d’ape utilizzate quali eccezionale sensore di esplosivi

I ricercatori del Mit, Massachusetts Institute of Technology, hanno sviluppato un nuovo sensore concapacità straordinarie nel rilevare singole molecole di esplosivi, come ad esempio del TNT. Gli ingegnerichimici hanno coperto dei nanotubi di carbonio (che sono cilindri cavi di carbonio puro, dello spessoredi un atomo) con frammenti delle proteine del veleno delle api. Le proteine reagiscono agli esplosivi e,quindi, possono essere utilizzate, con la spettrometria di massa, quali rivelatori d’esplosivi per analizzareparticelle cariche d’aria.

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53L’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 2011Notizie in breve

notizie in breve

L’orso va per miele in Carnia

Prima attacchi a cervi e daini in un allevamento sul monte Arvenis e poi gli alveari del-l’allevatore Garibaldi a poca distanza da Paluzza. L’orso ha scardinato il carrello, dovesi trovavano 20 arnie, ha sradicato un’arnia e rigirato il resto. L’apicoltore GiuseppeGaribaldi ha dichiarato alla stampa locale: “Ha fatto un disastro. Ci sono impronte,peli, l’orso avrà preso un numero impressionante di punture con tutte quelle api. Ci èandato giù pesante ma, è suo pieno diritto, è il suo territorio. Siamo noi che abbiamoantropizzato ogni ambiente naturale. L’orso non ha meno diritto di me di stare qui edà una bella immagine della Carnia che deve vivere la sua presenza come un’occasione di valorizzazione».Sulla non pericolosità dell’orso per l’uomo rassicura il professor Stefano Filacorda dell’Università di Udine cheribadisce quanto l’animale sia schivo. E dalla Regione dal 2009 provengono gli indennizzi che coprono i danniprovocati da grandi carnivori (orso, lince, lupo) e ora, con un progetto comunitario, anche opere di preven-zione, come recinti elettrificati che vengono concessi in comodato gratuito.

L’apicoltura italiana piange Giorgio Celli

Il professor Giorgio Celli si è spento oggi a Bolo-gna, a 76 anni, nel reparto di Terapia Intensivadell’Ospedale Sant’Orsola in cui era ricoveratoda un mese, a seguito di complicazioni insortedopo un intervento cardio chirurgico per l’inseri-mento di alcuni by pass.La sua è una biografia piena: scienziato, intellet-tuale eclettico, docente, grande comunicatore,poeta, parlamentare, cantore della vita, entomo-logo, romanziere, etologo, uomo di spettacolo.Ma ciò che più resta nel cuore e nel ricordo degliapicoltori italiani è l’innovativo e irruente vento diun nuovo approccio ecologico.Proprio a partire dall’osservazione e conoscenza dell’ape e della sua complessa interazione conl’ambiente, Giorgio ha saputo sviluppare e proporre una nuova e diversa visione olistica dell’am-biente e della relazione tra uomo e complessità dei fenomeni naturali.Giorgio è morto, lo piangiamo. Le sue intuizioni, il suo approccio la sua proposta ci fanno non soloriflettere, ci fanno sorridere, ci fanno sperare.

Ciao Giorgio,avere a che fare con te non è mai stato né facile né scontato,

è stato ed è, invece, sempre e solo incanto e stimolo entrare in relazione con il tesoro, il movimen-to d’idee, proposte e conoscenze che sei stato capace di coltivare, indicare e sviluppare.

Francesco Panella, Novi Ligure 11 giugno 2011

Dall’India tsunami di miele (cinese) sugli USA

Miele (con gran probabilità cinese) di pessima quali-tà, contaminato da metalli pesanti, antibiotici è trian-golato dall’India, per aggirare la tariffa doganale degliStati Uniti. L’importazione di miele “indiano” esporta-to negli Stati Uniti quest’anno è salita a oltre 60 milio-ni di sterline, con notevoli quantità di miele chiaro,atipico e quindi assolutamente improbabile per un

paese tropicale come l’India. L’incremento di mieleesportato negli Usa è successivo al divieto d’impor-tazione dall’India nell’Unione europea, del 15 giugno2010, a causa della mancanza di tracciabilità, adul-terazione e contaminazione da metalli pesanti e anti-biotici. Questo tsunami di miele “indiano”, in coinci-denza con il raccolto scarso di miele negli Stati Unitie in Canada, può rientrare in un tentativo deliberatodi abbattere i prezzi all’ingrosso del miele negli StatiUniti. (da American Bee Journal)

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Notizie in breveL’Apis | N. 6 AGOSTO/SETTEMBRE 201154

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Il Parlamento Europeo delibera diritto di vietare la coltivazione Ogm

Il Parlamento europeo ha votato l’emendamento che permette agli stati membri di vietare la coltivazionedelle piante transgeniche nel proprio territorio in base ai loro impatti sul sistema agricolo, ambientale e socio-economico. I deputati si sono espressi con una maggioranza schiacciante (548 voti a favore, 84 contrari e31 astenuti), per la riforma della legislazione esistente in materia di Ogm che passerà ora al vaglio del Con-siglio. Se sarà approvata, gli Stati potranno scegliere di mettere al bando le semine biotech per ragioni ditutela ambientale, come la resistenza ai pesticidi, l'invasività di certe colture, la minaccia alla biodiversità, lamancanza di informazioni sufficienti sulla particolare pianta transgenica, nonché per salvaguardare la produ-zione convenzionale e biologica da possibili contaminazioni da Ogm. Potranno inoltre contare su una solidabase legale per non incorrere nelle sanzioni lanciate dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto), esi-gere maggiori informazioni da parte delle industrie biotech per condurre ricerche indipendenti sui rischi eadottare misure di responsabilità civile per i casi di contaminazione. Tra i criteri del divieto non rientrano, però,le motivazioni di natura sanitaria che, essendo parte integrante della procedura di autorizzazione degli Ogm,rimangono di competenza dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa), incaricata della valutazio-ne dei rischi, e della Commissione. Un sistema da tempo criticato, per le notevoli carenze sul piano scien-tifico e del conflitto di interessi, rispetto al quale gli stessi esponenti del Parlamento Ue hanno rinnovato larichiesta di un aggiornamento delle linee guida. Attualmente sono ammesse alla coltivazione in Europa solodue colture transgeniche, la patata Amflora arricchita di amido e il mais Mon810.

Abbiamo conosciuto Lorenzoin occasione della prima “Fieradell’apicoltura” organizzata daAspromiele nell’autunno del1995 a Torino. Era stato uno dei più strenuisostenitori dell’iniziativa e inquella occasione ne apprez-zammo la professionalità el’entusiasmo. Quello stessoentusiasmo che ritrovammoanni dopo, quando ci proposealcuni articoli sulle sue espe-rienze di volontario in Africa asostegno per la diffusione epromozione dell’apicoltura. Presenza fissa, con il suostand, in tutte le manifestazioniapistiche nazionali. Vogliamoricordarti così, mentre ti aggiritra gli stand a curiosare e aparlare con i tuoi amici e cono-scenti.Alla moglie Manuela, alle duebellissime bimbe, alla signoraIda, tutta la redazione diL’Apis si stringe in un abbrac-cio forte. Ciao Lorenzo.

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