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Jazz Experiences New Orleans Revival

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short story of new orleans jazz style revival, by 1940 until today

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Page 1: New Orleans Revival - Gino Romano

Jazz ExperiencesNew Orleans Revival

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Dal 1899 “A. De Frede Editore” - NapoliVia Mezzocannone, 69 Tel./Fax +39 081.5527353 - [email protected]

Stampa: A. De Frede Napoli, ottobre 2012

ISBN 978.88.89976.xx.xFotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dell’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000.Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02.809506, e–mail:[email protected].

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A Gianmaria e Fabrizio

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INDICE

pag.

L’evoluzione della musica jazz 9

Gli stili nel jazz 21

Il revival 25

I protagonisti 35

I comprimari 69

Il revival in Europa 73

Il repertorio e suggerimenti bibliografici 97

Le etichette discografiche 103

Un percorso di ascolto 107

Conclusioni 115

Indice dei nomi 117

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New Orleans, 1950 - Skyline

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L’EVOLUzIONE DELLA MUSICA JAzz

La nascita della musica jazz è un fenomeno complesso da spie-gare in modo corretto, se si vuole evitare la banale generalizzazione secondo la quale essa fu il prodotto del melting pot di New Orleans teso solo a massimizzare il divertimento1. Di sicuro più lineare ne è l’evoluzione negli anni successivi2, della quale brevemente seguiamo l’excursus, tracciato in modo schematico nella figura della pagina seguente.

Da New Orleans a Chicago

A fine Ottocento ed inizi del Novecento il jazz muove i primi passi a New Orleans; musica soprattutto nera, musica soprattutto di classe e non di razza. Per vari motivi, alla fine degli anni ’10, New York e maggiormente Chicago3, rappresentarono il nuovo punto d’incontro tra blues, orchestre sincopate e ragtime, con una assoluta

� È possibile avere uno schema succinto ma puntuale nel volume di Gino Romano “Jazz Experiences - Alle radici di un inedito: jazz in prospettiva” - De Frede Ed., Napoli 20�2

2 Marshall Stearns – Storia del Jazz – Eli, Milano �958Gerard Montarlot – Le Jazz et ses musiciens – Hachette, Paris �963Alyn Shipton – Nuova storia del Jazz – Einaudi, Milano 20��3 Chicago, capitale dell’Illinois, situata sulle rive del lago Michigan ed im-

portante nodo ferroviario e stradale, divenne, alla fine del primo decennio del ‘900, il rifugio dei musicisti che, rimasti senza lavoro a causa della chiusura dello Storyville di New Orleans (voluta dalle autorità militari statunitensi all’entrata in guerra degli U.S.A. per non turbare i militari di leva nella città), vi trovarono ospitalità nei numerosi club, music-hall e locali, nell’ambito della più generale migrazione delle popolazioni nere verso le terre del Nord.

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L’evoluzione della musica jazz 11

interrazzialità: inizialmente neri, creoli, immigrati europei (molti gli italiani) ma quasi subito anche bianchi americani, si dedicarono a questo nuovo genere musicale, di sicure radici africane ed europee, ma assolutamente americano.

Al termine di “orchestra sincopata” cominciò a sostituirsi sempre più frequentemente quello di “orchestra jass o jazz”, che suonava musica comunque sincopata, da parte di suonatori quasi esclusi-vamente bianchi, ma che iniziava a presentare una sia pur minima componente di improvvisazione e di assolo: questa musica fu definita dixieland, termine coniato sulla scia della orchestra di Nick LaRocca, la Original Dixieland Jass Band.

Musicalmente parlando, il genere dixieland si differenzia dal con-temporaneo genere New Orleans per la superiore cultura musicale classica dei musicisti bianchi rispetto ai neri.

Grazie ad una maggiore padronanza tecnica degli strumenti do-vuta a studi classici e non da autodidatti, nelle parti scritte e nei giri armonici si ritrovano elementi un po’ più colti rispetto al parallelo genere nero.

Il dixieland quindi affiancava il New Orleans classico pionieristico, ma quest’ultimo alla fine degli anni ’10 iniziò a tramontare: ciò che determinò la diffusione del “dixieland jazz” in tutti gli Stati Uniti fu l’introduzione del disco, rappresentando il primo caso in cui il diffondersi di un nuovo genere musicale dipese da questo nuovo supporto per l’ascolto della musica.4

In precedenza, una nuova forma di musica o di ballo avrebbe richiesto lo spostamento dei suoi protagonisti abbligati a muoversi di persona nel resto del paese.

L’industria del disco intuì che era più semplice far viaggiare la musica anziché far viaggiare i musicisti e ciò determinò il successo

� Sulla evoluzione puntuale della aggettivazione “jass”, “jazz”, “dixieland” o “creole” accanto alla parola Band, si veda l’esaustivo articolo “The same by any name ?” di John Joyce in The Jazz Archivist, Vol II, n°�, may �987 pagg. �-8

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del supporto e della musica su di esso registrata. Il mercato era so-stanzialmente monopolio di Victor e Columbia e fu mantenuto tale fino quasi alla fine degli anni ‘20.

Il fascino di vedere i protagonisti dal vivo rimaneva alto, ma le esibizioni iniziarono a diventare sempre meno indispensabili, anche grazie alla crescente diffusione della radio.

In questo contesto i musicisti neri, ovunque e prescindendo dalla discriminazione razziale, evitavano inizialmente di registrare la loro musica, soprattutto perché gelosi del proprio stile e per la paura di essere copiati. Differenza sostanziale: l’improvvisazione. Grazie all’improvvisazione il blues e il jazz enfatizzavano il ruolo dell’esecutore a un grado mai raggiunto ed ognuno di loro temeva un’appannamento della propria fama se il suo assolo fosse stato riprodotto da altri.

In ogni caso però i grandi musicisti di New Orleans tendevano sempre più a spostarsi a Chicago5: ne erano principali esponenti King Oliver, Jelly Roll Morton, Louis Armstrong, Johnny Dodds, Jimmy Noone.

Dalla immancabile contaminazione tra dixieland e New Orleans in breve nella città si venne a creare un nuovo genere, il genere New Orleans di Chicago.

5 Oltre la chiusura di Storyville il fenomeno della migrazione da NO a Chi-cago fu sostanziato dall’aspetto economico. Secondo vari musicisti negli anni dieci e venti del secolo scorso a New Orleans si poteva guadagnare da �.25$ a 2.50$ per un ingaggio che durava dalle 8 di sera alle � del mattino. King Oliver a New Orleans guadagnava 25 $ a settimana, Kid Ory ne guadagnava �7.50 e George “Pops” Foster guadagnava solo 9.50$ .

Se pensiamo che, una volta emigrato a Chicago, Sidney Bechet fu in grado di guadagnare 60$ a settimana, possiamo capire perché si ritenga che le vere ragioni della migrazione dei musicisti di New Orleans a Chicago fossero stretta-mente economiche. John Chilton - Sidney Bechet: The Wizard of Jazz - Da Capo Press, New York �996.

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L’evoluzione della musica jazz 13

Partendo dal modello di improvvisazione collettiva dello stile New Orleans, a poco a poco, la sensibilità bianca derivata dai mo-delli musicali europei e folcloristici dello hillbilly e skiffle� introdusse soluzioni armoniche più raffinate e -quindi- la valorizzazione dell’ele-mento solistico. Esso all’apice dello stile di Chicago, si tradusse nella preponderanza dell’improvvisazione del singolo e nell’ emergere del sassofono, nonché nella nascita delle grosse formazioni (Big Band ), annunciando così il jazz degli anni Trenta e lo stile swing.

Tra i solisti di spicco: Bix Beiderbecke, Muggsy Spanier, Bud Freeman, Pee Wee Russell.

Chicago fu, dunque, un centro che segnò profondamente l’evo-luzione del jazz e rimase costantemente un significativo punto di riferimento per i musicisti, tanto è vero che, negli anni ‘60, diverrà uno dei più importanti luoghi in cui si cristallizzeranno le tendenze d’avanguardia musicalmente e politicamente più radicali della cultura nero-americana, delle quali l’ Art Ensemble of Chicago rappresenterà il gruppo emblematico.

Meno interessante fu la vita jazzistica di New York: fino ai primi anni ’30 dominavano essen-zialmente le orchestre commerciali, ma -per fortuna- anche pianisti come J.P. Johnson e Fats Waller. Poi iniziarono ad affermarsi le grandi

6 Suoni degli strumenti di origine rurale o contadino.

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orchestre di maggiore caratura quali quelle di Fletcher Henderson, Luis Russell, Duke Ellington. Esecuzioni quindi di ampio respiro, quasi musica da concerto.

Il boogie-woogie e lo swing

Tra la fine degli anni ’20 e gli anni ’30 si diffondeva un nuovo stile musicale: il boogie-woogie .

Questo è uno stile per pianoforte, diventato molto popolare quando i pianisti neri nel Texas cominciarono a sviluppare una forma più veloce e ritmata di blues con note basse fortemente ritmate e continuamente ripetute, 8/8 per battuta.

Lo scopo era d’intrattenere la gente nei juke joints dei bar. A quei tempi questo nuovo tipo di musica fu designata con svariati nomi: fast blues, rolling blues, the dozen, shuffle ecc. fino alla famosa registrazione “Pinetop’s Boogie Woogie”.

In questa composizione, che risale al 1928, si spiegava come ballare quella musica e fu così che il genere prese il nome di Boogie Woogie, rimasto in auge fino a metà degli anni ’40.

*******

Sempre verso la metà degli anni venti gli stili degli anni prece-denti sembravano essere superati e già da più parti si delineava un nuovo stile che, confluendo con la musica suonata alla maniera di New Orleans e Chicago diede origine ad uno dei più importanti momenti del jazz, quello della sua massima affermazione di pub-blico: lo swing.

In quegli anni iniziò una seconda migrazione dei musicisti che si spostarono da Chicago a New York ed a Kansas City.

La parola swing, per lungo tempo parola chiave del jazz, viene impiegata in due accezioni diverse:

- swing inteso come elemento di intensità ritmica della musica

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L’evoluzione della musica jazz 15

jazz, difficilmente riproducibile sul pentagramma e soggetto pertanto ad una forte personalizzazione da parte dei musicisti (in termini tecnici, due crome sono suonate come una terzina di crome con le prime due note legate);

- swing inteso come lo stile musicale degli anni trenta, con il quale il jazz raggiunse il massimo successo commerciale.

La caratteristica peculiare della affermazione dello stile swing è costituita dalla formazione delle Big Band, dovuta principalmente alla esigenza di creare un rilevante volume sonoro per locali da ballo molto ampi.

Dal 1925 al 1929, nelle città di Harlem e Kansas City, le grandi orchestre di Duke Ellington e Fletcher Henderson impostarono un radicale rinnovamento del jazz, con la messa a punto del linguaggio orchestrale.

Sempre a Kansas City si affermarono alcune delle più importanti grandi orchestre, come quella di Benny Moten o quella di Count Basie, e trovarono il loro momento di gloria i grandi solisti Ben Webster, Coleman Hawkins e Lester Young, o le grandi cantanti come Billie Holiday .

Bisognerà comunque attendere il superamento della crisi econo-mica per assistere al rilancio in grande stile del jazz, quando, verso la metà degli anni trenta, raggiunse con lo swing il suo culmine com-merciale, segnando contemporaneamente la sua decadenza, logorato dal suo stesso successo, nel momento in cui le esigenze di guadagno ebbero il sopravvento sulla spontaneità e vitalità delle origini.

Tra gli anni 1935 e 1946 lo swing delle big band divenne il ge-nere più popolare degli Stati Uniti: oltre ad Ellington e Basie furono assoluti protagonisti di questo periodo anche Benny Goodman, Tommy Dorsey, Jimmy Dorsey, Glenn Miller.

Kansas City vide anche nascere una vera e propria scuola solistica che formerà alcuni dei grossi nomi del jazz moderno, uno tra tutti: Charlie Parker .

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Comunque -come già detto- con l’avvento della seconda guerra mondiale e le conseguenti difficoltà economiche si ebbe l’inizio del declino dell’ “Era swing”.

Dal bebop al fusion. Il revival

Quando l’insoddisfazione dei solisti per il ristretto ambito loro con-cesso nelle big bands, raggiunse il culmine, questi si ritrovarono a cercare rifugio, al termine del lavoro in orchestra, nei piccoli jazz-club, che nel

frattempo si erano molti-plicati, proponendo ogni sera le loro performance; lì, superando gli stereotipi musicali a loro imposti dalle esigenze del pubbli-co, prepararono la prima vera grande rivoluzione, non solo stilistica, ma an-che culturale, del jazz.

Nei piccoli club di Harlem, dopo il lavoro regolare nelle orchestre,

molti solisti si riunivano in piccole formazioni con le quali sperimen-tavano nuove soluzioni armoniche e nuovi arrangiamenti, anche per superare l’insoddisfazione delle limitazioni subite nelle big band.

Si sviluppò così un movimento musicale che, partendo dalla esigenza di individuare nuove forme di espressione, si trovò alle prese con l’ambizioso progetto di conferire al jazz la qualifica di forma d’arte a tutti gli effetti, al di fuori del giro di affari legato allo swing e ai gusti del pubblico, affermando, al contempo, la pretesa del popolo nero e delle classi emarginate della società americana di accreditare i valori della propria cultura ed il superamento dei pregiudizi razziali.

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L’evoluzione della musica jazz 17

Nacque il bebop, una forma di jazz caratterizzato da tempi veloci e improvvisazione, basato sulla struttura armonica piuttosto che sulla melodia. Il bebop era drasticamente diverso dalle composizioni schematiche dell’era dello Swing, ed era caratterizzato da tempi ve-loci, armonie complesse, e melodie complicate. Le sezioni ritmiche scandivano essenzialmente il tempo. La musica risultava piuttosto aggressiva, il bebop sembrava una corsa, nervosa e spezzettata.

Quello dei boppers divenne un vero e proprio movimento culturale e di tendenza che accumunava le posizioni di “elitismo” artistico dei musicisti neri, all’esistenzialismo delle giovani generazioni america-ne che si ribellavano al mondo borghese, razzista e perbenista delle generazioni precedenti.

Un movimento che si esprimeva non soltanto con la musica, ma anche con una propria originale immagine che si traduceva nell’imitazione di modelli di vita senza regole e limitazioni, il cui riferimento era costituito dal personaggio emblematico del bop, Charlie Parker .

Altri boppers di spicco furono Dizzy Gillespie e Thelonius Monk, Charlie Christian e Kenny Clarke.

Intorno all’idea di rivolta nei confronti dello swing commercia-le e di una radicale trasformazione delle intenzioni dei musicisti, si formò, con i contributi più disparati e senza un organico pro-gramma, uno stile dal fraseggio nervoso e frammentato, basato sulla disintegrazione della melodia, giocato su velocissimi cromati-smi, nuove soluzioni armoniche e ritmiche furiose.

Ciò provocò la reazione immediata del pubblico, disorientato dal nuovo linguaggio proposto dai boppers, e non ancora pronto

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all’impatto con l’ideologizzazione della musica, specialmente il pubblico dei neri.

Gli stereotipi dello swing ed il loro superamento attraver-so il bebop si tradussero, così, in un consistente ritorno al jazz delle origini, con una rilevante rifioritura, non

soltanto americana, degli stili New Orleans ed -in misura minore- del dixieland.

Era il revival, sia del New Orleans sia del dixieland, che avrebbe attraversato gli anni dal ’40 al ’60 come alternati-va consistente al bop, per riprendere quota dopo un breve

“assopimento” alla fine degli anni ’50.Di fatto esso non si è mai concluso.

Il bebop avrebbe avuto una fase di assestamento per fare posto a soluzioni armoniche più razionali ed equilibrate, con ritmiche rilassate e la riscoperta della melodia.

Miles Davis, Lennie Tristano e quindi Lee Konitz, Gerry Mulligan, Dave Brubeck, il Modern Jazz Quartet di John Lewis e Milton Jackson avrebbero sviluppato queste esperienze più spon-tanee, creando il movimento cool .

La sintesi dell’esperienza davisiana e di quella più propriamente cool comportò la nascita, sulla costa occidentale della California, di una corrente stilistica, prevalentemente bianca, denominata, appunto, West Coast, che tra il 1952 ed il 1958 vide in primo piano l’orchestra di Stan Kenton e solisti come Shelly Manne, Shorty Ro-gers, Jimmy Giuffre, i quali proposero una musica che non obbediva ad alcuna regola ben definita, ma contenente elementi unificanti e riconoscibili, con una caratterizzazione stilistica peculiare.

Con il cool la musica jazz si trasforma completamente da musica da ballare a musica da ascoltare.

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L’evoluzione della musica jazz 19

Ulteriori sviluppi sempre più classicheggianti ma con forti espressioni della scansione ritmica quali quelli dell’ Hard bop (Max Roach, Clifford Brown, Art Blakey, Art Farmer) o nuove espe-rienze -definite Modali- basate su pochissimi accordi sui quali si improvvisa su scale al di fuori del maggiore/minore (Miles Davis, John Coltrane, Herbie Hancock, Chick Corea, Keith Jarrett, Gary Burton) avrebbero rappresentato terreno fertile sul quale il jazz si sarebbe incamminato.

Parallelamente l’approfondimento radicale degli elementi modali introdotto nel jazz, porterà alcuni solisti a raggiungere dimensioni sempre più libere e meno convenzionali, sulle orme del sassofonista John Coltrane.

In ogni caso, dopo gli anni settanta, la modalità diverrà parte integrante del jazz contemporaneo, stemperandosi nelle diverse concezioni stilistiche, principalmente il free jazz.

Nel 1960 Ornette Coleman utilizzò per primo la accezione di free jazz, incidendo, con quel nome, uno storico album nel quale due quartetti contrapposti, partendo da una modalità e da una scansione ritmica predeterminate, improvvisano liberamente svincolandosi, mano a mano, dalle stesse.

Da questo esperimento, si svilupperà una tendenza che, cercando la rottura completa ed incondizionata con quanto fatto in prece-denza nel jazz - stili, forme e strutture - cercherà la propria strada al di fuori dell’armonia e della ritmica prestabilite, lasciando al solista unicamente la sua più libera improvvisazione.

Successive esperienze di meditazione e contemperamento di tali esperienze prenderanno il nome di fusion e di acid jazz...

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GLI STILI NEL JAzz

Per rendere più chiare le differenze di base tra i diversi stili nel corso della rapida evoluzione del jazz, diamo di seguito alcuni sem-plici e brevissimi elementi che aiuteranno a fare chiarezza.

Va innanzitutto detto che l’evoluzione si basa sempre (anche se non avvertita subito) sul filo conduttore e unificante che consiste nell’ usare come base di partenza il materiale pre-esistente (o ma-teriale originale scritto nello stile). Questo atteggiamento consente una maggiore libertà, mano a mano che il fenomeno evolve, di concentrarsi sull’improvvisazione.

Ciò è quanto avvenuto fin dagli inizi, basati sulla tradizione orale popolare, fino agli anni ‘60 con Bob Crosby.

Successivamente, come nella musica classica, si è avvertita la necessità di disintegrare il background strutturale, allo scopo di creare un linguaggio nuovo , in linea con la ridefinizione di un’arte moderna.

Non più arte popolare quindi, ma musica come fenomeno arti-stico, con la consapevolezza di questa transizione epocale.

Possiamo seguire questa transizione, vedendo le differenze tra i principali parametri musicali di ogni stile.

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NEW ORLEANS classic [1910 - 1925]

TEMPO : 4/ 4FRONT LINE (Sezione melodica): composto da Cornetta [me-

lodia], Clarinetto [obbligato di una ottava più alto], Trombone [controcanto alla melodia]

SEzIONE RITMICA: Tuba, Banjo, BatteriaStile PERFORMANCE : improvvisazione di gruppo su una base

armonico triadicaSTRUTTURA : polifonicoIMPROVVISAzIONE: parafrasi melodica della melodia originale – chorus brevi, non più di un breve anello di congiunzione

CHICAGO [1920 - 1928]

TEMPO : 4/ 4FRONT LINE : uguale al New Orleans , ma con l’aggiunta di Sax

e TrombaSEzIONE RITMICA: Basso, Piano, Chitarra/BanjoStile PERFORMANCE : improvvisazione di gruppo STRUTTURA : polifonicoIMPROVVISAzIONE: evidenza del solista; variazioni armoniche

basate sugli accordi; enfasi dei virtuosismiNota : prende il nome di DIXIELAND se suonato da musicisti

bianchi

SWING 1935-1945]

TEMPO : 2/ 4, più spinto come musica da balloFRONT LINE (Sezione melodica): sezioni più ampie di ance e

ottoni SEzIONE RITMICA: Basso, Batteria, Chitarra, Piano

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Gli stili nel jazz 23

Stile PERFORMANCE : gruppo ampio di musicisti; l’arrangiatore diviene figura centrale

STRUTTURA: omofonicaIMPROVVISAzIONE: enfasi dei solisti, ma rigorosamente entro

i limiti dell’arrangiamento

BE BOP [1945-1950]

TEMPO : sostanzialmente 2/ 4FRONT LINE (Sezione melodica): Tromba e Sax, talvolta ampliata

senza regole fisse SEzIONE RITMICA: Basso, Batteria, Chitarra, Piano; la funzione

del basso è ridefinita e più evidenteStile PERFORMANCE : melodia/solo/melodia, il solista è figura

centraleSTRUTTURA: omofonicaIMPROVVISAzIONE: completamente orientata al solista, su

molti chorus

COOL [1950-1955]

TEMPO : 2/ 4 o 4/4FRONT LINE (Sezione melodica): piccoli gruppi anche con stru-

menti inusuali SEzIONE RITMICA: variabile, anche senza piano o senza bat-

teriaStile PERFORMANCE : melodia/solo/melodia, il solista è figura

centraleSTRUTTURA: polifonicaIMPROVVISAzIONE: completamente orientata al solista, artico-

lata su molti chorus

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New Orleans Revival24

SAN FRANCISCO [1940-1960]

Tutto è sostanzialmente come nello stile New Orleans. Carat-teristiche distintive sono: basso tuba che suona sulle battute 1 e 3, mentre il banjo suona la 2 e la 4, il piano in stile ragtime, la batteria enfatizza la sonorità dei piatti e della nacchera di legno, il finale è raddoppiato. Infine è ovviamente più dominante un arrangiamento moderno. È suonato da bianchi.

* * * * * *Ulteriori evoluzioni e variazioni relative a stili successivi non

sono funzionali in questo contesto, per cui ci asteniamo da altre schematizzazioni.

Come si è visto molti cambi, ma graduali e nessuno rigetta to-talmente lo stile precedente.

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IL REVIVAL

Il fenomeno revival in America

Generalmente ignorato o esposto in pochissime righe nei vari testi sulla storia del jazz, vi fu -alla fine degli anni ’30- un fenomeno successivamente rivalutato dai critici e dagli storici del jazz: il revival del genere New Orleans e dixieland.

Infatti, mentre incominciava quella evoluzione musicale che, in un’ottica di forte innovazione, avrebbe portato al bebop, erano sempre attive quelle spinte che potremmo definire conservatrici, ma che guardavano agli anni di King Oliver, del giovane Armstrong, di Jelly Roll Morton, come all’ “età dell’oro del jazz”, già accreditata quindi come periodo classico, sia pure dopo pochi anni.

Con il consenso, anzi, sotto la spinta di critici 1, appassionati e

� Due nomi su tutti: William Bill Russell e Hugues PanassièWilliam Bill Russell (Canton, Missouri - �905-�992) - William Russell è sta-

to uno storico e collezionista del jazz che ha concentrato la propria attività sullo stile tradizionale di New Orleans. La Fondazione “William Russell Jazz Collection” documenta la sua vita di studioso durante la quale ha accumulato una vasta col-lezione di cimeli jazz tra cui strumenti musicali, dischi, rotoli pianoforte, spartiti, fotografie, libri e periodici. La sua collezione ripercorre l’evoluzione del jazz a New Orleans e segue il movimento di musicisti a New York, Chicago, California ed oltre. Essa comprende non solo le note di ricerca, ma anche audiocassette, programmi, manifesti, corrispondenza, film, biglietti da visita, appunti, note di copertina, ritagli e album. Russell è stato amico di molti dei grandi musicisti tra cui Louis Armstrong, George Lewis, Mahalia Jackson, e Baby Dodds.

Grande parte del lavoro di Russell è incentrata sulla vita di tre persone, Ma-nuel Fess Manetta, Bunk Johnson e Jelly Roll Morton. Ha intervistato Ma-

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New Orleans Revival26

collezionisti (i quali cercavano inizialmente di recuperare e docu-mentare -registrandole- le voci ed i suoni di tale periodo), alimentata da una certa saturazione da parte del pubblico del genere swing e da un contemporaneo disorientamento nei riguardi del nascente bebop (visto da molti come una involuzione piuttosto che una evoluzione, sia pur rivoluzionaria dello swing), riprese con vigore una attenzione al repertorio del vecchio stile, interpretato sia dai vecchi musicisti sia da musicisti della generazione successiva.

Nuove composizioni andarono ad arricchire il repertorio classi-co e -come contemporaneamente avveniva per il bebop - molti dei musicisti più giovani ebbero una forte reazione alla “gabbia” degli arrangiamenti rigidi dello swing e si dedicarono alla reinterpretazione

netta a lungo sulla sua vita di musicista e sui primi giorni del jazz. Manetta aveva fatto parte della Band del leggendario Buddy Bolden. Russell ha quindi lavorato a lungo a un libro su Jelly Roll Morton e la sua collezione comprende molta musica manoscritta e lettere di Morton.

Russell è stato infine determinante nel far rivivere la carriera di Bunk John-son nel �939, proprio a seguito di colloqui con Armstrong che ne ricordava le qualità. Ritrovato Johnson (al quale fu necessario fornire dentiera e tromba), Russell fondò la Music American Records proprio allo scopo di registrare soprat-tutto Bunk Johnson, ma anche Wooden Joe Nicholas e Kid Shots Madison, anche loro protagonisti e testimoni del periodo classico.

Hugues Panassiè (Paris, France - �9�2-�97�) - Senza dubbio è stato il primo grande non americano critico di jazz. Aveva studiato sassofono e a scrivere la musica a �8 anni. E ‘stato uno dei fondatori e presidente in seguito di “The Hot Club De France” ed ha curato la rivista mensile Jazz Hot dal �936-�9�7. Ha anche scritto il libro Le Jazz Hot, sul jazz degli anni ‘30 affrontando il tema di questa musica come una forma d’arte seria.

Panassiè ha anche organizzato una serie di piccoli gruppi con varie sessioni di registrazione: da segnalare quella nel �938 con Mezz Mezzrow, Tommy Ladnier e Sidney Bechet, questi ultimi due riscoperti andando in America alla ricerca delle radici del jazz e -ove possibile- registrarle. E’ stato un dichiarato, impeni-tente scrittore anti-bebop, denunciando più volte tale scuola come l’antitesi del jazz. La vasta collezione privata Panassiè risiede ora nella Discoteca Municipale a Villefranche-de-Rougergue..

Page 27: New Orleans Revival - Gino Romano

Il revival 27

di temi classici di New Orleans, ma resi più moderni grazie alle parti sempre più ampie di improvvisazione ed assolo.

Si ebbe quindi il fenomeno che sotto la denominazione di re-vival, abbracciava di fatto tre linee di pensiero e quindi scuole, o “correnti”, musicali:

- Band formate o dirette da musicisti (di prima genera-zione, essenzialmente neri) che proseguivano nella tradizione, mai abbandonata negli anni;

- Band formate o dirette da musicisti (di prima o seconda generazione, soprattutto neri) che si riportarono ad una fase prece-dente della propria carriera o iniziarono il vecchio stile con approccio più nuovo;

- Band formate da musicisti (di seconda generazione, soprattutto bianchi) che rielaboravano in maniera consapevole ed intellettualizzata il repertorio degli anni ’20, con una maturazione musicale di grande spessore, ricca di qualità, di relax e di freschez-za. Fu tale il livello di qualità e novità portato dai rappresentanti di questa scuola, che fu definita con un proprio nome, giustificato dalla città dove operavano i principali rappresentanti: San Francisco style, sulla costa occidentale.

Per una definizione più puntuale, di chiarificazione più che di approccio classificatorio (sempre pericoloso in temi quale questo), va anche distinta in due momenti fondamentali la prima scuola, quella delle band che proseguivano nella tradizione.

Nella prima generazione cosiddetta “storica” o “pionieristica” che sostanzia la prima scuola, si distinguono più esattamente:

- a una prima generazione, di ormai pochi anziani musi-cisti, che non avevano mai smesso di suonare secondo i canoni della scuola classica;

- b una prima generazione, sostanzialmente di riscoperta, sostanziata da anziani musicisti, non più in attività da anni, ritrovati

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New Orleans Revival28

1b

Musicisti che nonavevano mai

interrotto l’attività.Stile NO

Louis ArmstrongJelly Roll MortonJosephWingyManoneAvery Kid Howard

Musicisti cheavevano interrottol’attività, riscoperti

Stile NO

Sidney BechetTommy LadnierGeorge LewisWilliam Gary Bunk JohnsonHenry Kid RenaErnest PunchMillerEdward Kid Ory

Musicisti anziani, cheriprendono il vecchiostile, o più giovaniche vi si dedicano.Stile NO, Dixie

FrancisMuggsy SpanierBob CrosbyWild Bill DavisonMax KaminskiGeorge BrunisSharkey BonanoPete Fountain

1a

2

Musicisti giovani cherielaborano il jazznero della Chicago

anni ‘20Stile Chicago

Lu WattersTurk MurphyBob HelmBob Scobey

3

Correnti del RevivalCaratteristiche, rapporto band bianche/nere,

principali esponenti

1b

Musicisti che nonavevano mai

interrotto l’attività.Stile NO

Louis ArmstrongJelly Roll MortonJosephWingyManoneAvery Kid Howard

Musicisti cheavevano interrottol’attività, riscoperti

Stile NO

Sidney BechetTommy LadnierGeorge LewisWilliam Gary Bunk JohnsonHenry Kid RenaErnest PunchMillerEdward Kid Ory

Musicisti anziani, cheriprendono il vecchiostile, o più giovaniche vi si dedicano.Stile NO, Dixie

FrancisMuggsy SpanierBob CrosbyWild Bill DavisonMax KaminskiGeorge BrunisSharkey BonanoPete Fountain

1a

2

Musicisti giovani cherielaborano il jazznero della Chicago

anni ‘20Stile Chicago

Lu WattersTurk MurphyBob HelmBob Scobey

3

Correnti del RevivalCaratteristiche, rapporto band bianche/nere,

principali esponenti

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Il revival 29

da critici e studiosi o rievocati dal pubblico e dalla critica2.Nella tabella a lato , vi è un puntuale schema delle scuole ed una

attribuzione dei principali esponenti a ciascuna di esse. Numerosità ed importanza di essi fanno sì che gli verrà dedicato più avanti un capitolo specifico, con brevi schede per ciascuno di quelli di maggior rilievo.

Era chiaro che in un contesto così articolato, per un fenomeno visto solo come nostalgico, vi fosse anche un ampio coinvolgimento di musicisti a malapena definibile come jazzisti, soprattutto tra le riscoperte. Certamente non bastava essere nati a Crescent City ed avere suonato, magari come seconda o terza cornetta, in una brass band di infimo ordine, per essere un jazzista di razza. Molti musicisti “riscoperti” erano di basso profilo musicale, ma a volte con doti di intrattenitore tali da far credere al grosso pubblico di stare ascoltando old jass piuttosto che del vaudeville di bassa levatura.

Questi personaggi hanno finito per rappresentare una zavorra pesantissima agli occhi della critica colta3, e di conseguenza un

2 Ad una così articolata ma pur tuttavia semplice schematizzazione si sareb-be arrivati solo nel corso degli anni. Ancora in pieno Revival (secondo il nostro schema), cioè nel �955, Livio Cerri riconosce come Revival il solo periodo 39-��, quello della riscoperta dei vecchi musicisti neri di New Orleans, dando anche una connotazione negativa al termine. Cerri infatti traduce con “riesumazione” quella che più correttamente è da leggersi come “resurrezione” o riscoperta. Tut-to il periodo dalla fine anni ’30 in poi, di scuola bianca, Cerri lo definisce come “rinascita del dixieland”, disconoscendo sostanzialmente i valori innovativi della terza scuola ed assimilando a “musica da circo” altre riproposte, non eccelse ma interessanti.Il termine resurrezione è invece proposto da Brian Rust.Livio Cerri – Antologia del Jazz – Nistri Lischi Editori, Pisa �955, pagg. 32 e segg, 82 e segg.; Brian Rust –Brian Rust – Recorded Jazz: a critical guide – Pelican Books, Baltimora �958, pag 88

3 Andrè Hodeir (Paris, France, �92�-20��), grande musicologo francese vo-tato al jazz, addirittura si scaglia contro gli appassionati del jazz “c’era una volta”, per i quali l’antico è migliore del classico, e il primitivo migliore dell’antico ed

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fenomeno iniziato circa nel 1940 e -come prima fase- so-pitosi solo alla fine degli anni ’50, storicamente interessante in quanto punto di divaricazione del Jazz (rivoluzione verso il bop o revisione critica del classico) è stato quasi ignorato dagli addet-ti ai lavori, che generalmente ne hanno banalizzato ed omologato i contenuti, sintetizzati in poche righe delle storie musicali.

Operando i necessari “distin-guo” è invece possibile avere un quadro storicamente e musicalmente chiaro di un genere che, pur essendo purtroppo ancora oggi appesan-tito dalla presenza di musica e formazioni solo commerciali che nulla hanno a che vedere con il jazz, si ripropone ciclicamente anche per la carica di simpatia ed entusiasmo che produce e che -unitamente ad un repertorio facile da assimilare- rappresenta il primo passo verso l’ascolto di buona musica.

Si parla infatti anche di un secondo revival o anche -e meglio- di una mai esaurita vena del primo. Tra l’altro, in tale contesto, esistono oggi molte nuove formazioni che hanno un approccio strettamente filologico alla musica di determinati, ristretti periodi, con produzio-

ecco quindi che “sono state cantate le lodi di certi cornettisti decrepiti, sdentati e sfiatati, che se anche avessero ritrovato la tecnica e l’entusiasmo dei venti anni, non sarebbero tornati ad essere che gli utili ma infinitamente modesti iniziatori del tempo che fu, superati da ogni punto di vista”. Naturalmente i giovani mu-sicisti, postisi a fianco dei veterani in questo movimento, non rappresentano altro che “dilettantismo di tipo studentesco”. A mio avviso giudizio eccessivo, ingiusto, miopemente generalizzante.Andrè Hodeir – Uomini e problemi del jazz – Longanesi, Milano �958, pagg. ��-�6

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ne di musica eccellente e momenti di interesse superiori a quanto contenuto negli old originals.

In ogni caso il revival diede anche una vigorosa spinta alla creazio-ne di numerose formazioni di dilettanti bianchi ed alla pubblicazione di riviste destinate ai collezionisti di dischi.

Gli anni ’50 avrebbero visto il fenomeno estendersi in Europa, an-che sulla scia dei concerti europei di alcuni Big (Louis Armstrong4, Sidney Bechet5, Kid Ory6 ed i componenti delle loro formazioni,

� Louis Armstrong aveva iniziato nel �933 con tournèe dell’Orchestra in Svezia e Danimarca, seguite nel dicembre del ’3� dalla Francia (Salle Pleyel, Parigi). Nel �935, ancorchè sconsigliato a causa del fascismo in Italia, diede due concerti a Torino, il �5 e �6 gennaio. La formazione non è sicura! Dati i tempi, non vi fu chi curò la trascrizione del programma. Di massima dovevano far parte del gruppo: LA, J.Hamilton, L. Thompson, tp; L. Guimaraes, tb; P. Duconge, cl; H. Tyree, s. alto: A. Pratt, s. tenore ; H. Chittison, p : M. Jefferson, g: O. Arago, cb; O. Times , btr. Come detto erano Louis Armstrong e la sua Orchestra: gli All Stars erano lontani da venire in Italia: �5 anni! Armstrong sarebbe tornato nel �9�9 (con Teagarden, Bigard, Hines, Shaw e Cole) , nel �952 (con Young, McCracken, Napoleon, Shaw e Cole), nel �955 (con Young, Hall, Kyle, Shaw e Deems), nel �959 (con Young, Hucko, Kyle, Herbert, Barcelona), nel �962 ( con Young, Darensbourg, Kyle, Cronk, Barcelona) ed infine nel �968, stanco e malato (non per concerti ma per partecipare a Sanremo). Naturalmente negli stessi anni ed anche in altri, aveva continuato a suonare con grande frequenza in tutta Europa e … nel mondo. Europa, Africa, Australia, Giappone, … ovunque. Ambassador Satch! Grande Louis !

5 Sidney Bechet era venuto in Europa già dal �9�9, in Inghilterra, come membro dell’Orchestra Willie Marion Cook: successivamente le tourneè con pro-prio gruppo -ad iniziare con il�922- furono più ravvicinate, di lunga durata e ad ampio raggio (arrivò anche in Russia nel �926). Sempre più spesso residente per lunghi periodi in Francia, che alternava ad altrettanto lunghe permanenze a New Orleans vi si stabilì definitivamente nel �9�7. Bechet diede �0 concerti in Italia tra il �952 ed il �958: quello torinese del �95� è l’unico dato con una Band italiana, la Milan College Jazz Society.

6 Kid Ory ha compiuto i suoi tour europei nel �956 e nel �959. Nel set-tembre del �956 alla Salle Pleyel, Kid Ory e la Creole Jazz Band presentavano

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oltre a Teddy Buckner, Sidney e Wilbur De Paris ed altri ancora fino a George Lewis)7, ed anche dei viaggi di alcuni giovani musicisti europei negli USA, mossi dalla curiosità per il fenomeno ( ad es. Ken Colyer, del quale si parlerà più avanti).

In ogni caso il New Orleans revival della prima fase dimostrò che gran parte del mondo bianco cominciava ad apprezzare la musica che i neri americani avevano eseguito venti o trenta anni prima. Anche la vendita di una certa tipologia di dischi, fin da allora evidenziò come il fenomeno fosse costante o in lenta, ma duratura crescita.

Inoltre il fenomeno portò l’attenzione anche su grandi musicisti dell’epoca non classificabili nel revival, quale Fats Waller (1904 -1943), assolutamente trasversale a tutti i generi.

Come già accennato l’interesse verso questo genere musicale cominciò a scemare alla fine degli anni ’50, ma il fenomeno non poteva dirsi concluso. Anzi. Agli albori del ’60 , si può affermare che iniziava una seconda fase: si rinverdiva improvvisamente in molti giovani musicisti il desiderio di studiare, approfondire, recuperare e -soprattutto- suonare il jazz delle origini.

Inizialmente furono solo pochi nomi di ultima generazione (i ventenni degli anni ’60) a dedicarsi ad esso, ma nel tempo il numero è cresciuto abbastanza da consentire innanzitutto la distinzione critica (che era mancata negli anni ’40) tra gruppi dilettantistici e gruppi di valore professionale attribuibili alle varie “scuole”. Anche della prima e seconda scuola, secondo il nostro schema, perché in quegli anni erano ancora attivi o da riscoprire alcuni nomi del jazz d’epoca, non certo stelle di prima grandezza ma comunque interessanti da ascoltare quali contributo allo studio della musica delle origini.

una formazione composta da A. Alcorn tp, P. Gomez cl, Cedric Heywood p, W.Braud b e Minor Hall btr. Nel �959, con Henry Red Allen alla tromba, Ory oltre alla Francia diede concerti anche in Inghilterra.

7 George Lewis lasciò New Orleans nel �957 per concerti in Inghilterra (con la formazione di Ken Colyer) e nel �959 per concerti in Scandinavia (con la formazione di Arne “Papa” Bue Jensen) , Germania e Inghilterra.

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Nel 1961 a New Orleans, nel Quar-tiere Francese, è sorta una struttura con sala musicale che ha come mission la custodia e la protezione del jazz fin dalle sue radici: la Preservation Hall8. Fin dal ‘61 si sono esibiti in questa sala musicisti dei primi anni del jazz ancora in attività, molto noti o anche

meno conosciuti e che hanno ricevuto popolarità grazie alle esibi-zioni nella Hall. Molti di loro hanno sostanziato la prosecuzione del revival fino ai nostri giorni, creando sempre nuovi fan. Citiamo adCitiamo ad esempio Percy Humphrey, Albert Burbank, Sweet Emma Brown, Kid Sheik Colar, Captain John Handy.

8 La Preservation Hall è stata oggetto di un capitolo del volume: G.Romano – Jazz Experiences. Le Brass Band – De Frede ed., Napoli 20�2. Se ne riporta uno stralcio. “La Preservation Hall in New Orleans è un locale al numero 726 di St. Peter Street, al centro del Quartiere Francese, in una traversa tra Burgundy Street e Royal Street, fondato nel 1961, per custodire e proteggere il jazz tradizionale,.La costruzione che ospita il locale è storica, in quanto creata nel 1817 dalla mitica M.me Agathe Fanchon, ... le origini di esecuzioni musicali alla Preservation Hall risalgono all’inizio del 1960 insieme con l’apertura di una galleria d’arte gestita da un imprenditore locale, Larry Borenstein. Questi aveva organizzato inizialmente solo per alcuni delle jam session, ma lo scopo era solo quello di attirare potenziali clienti alla galleria. Sempre più persone cominciarono ad arrivare più per la musica che per l’arte. Allan Jaffe, vecchio suonatore di tuba in Pennsylvania, ha quindi assunto la gestione della sala e ne ha fatto una famosa istituzione. Per aiutare a for-nire alle generazioni più giovani lo spirito vivente della musica di New Orleans, la Preservation Hall ha creato anche un programma per giovani musicisti per favorire l’apprendimento degli elementi essenziali della più antica tradizione Brass Band..Presso la PH si è costituita una Band: la Preservation Hall Jazz Band che, oltre a suonare nel locale, ha intrapreso viaggi internazionali allo scopo di portare la musica di New Orleans nel mondo..”

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I PROTAGONISTI

Siamo chiari: questo capitolo non è un catalogo né una rassegna.Nelle brevissime note che seguono saranno riportati esclusiva-

mente alcuni cenni strettamente legati all’ambito del revival, relativi all’attività dei protagonisti soprattutto della prima fase, diciamo 1940-1960 circa. Impensabile tracciare sia pur sintetiche biografie o discografie, ampiamente disponibili nelle numerose edizioni a stampa o elettroniche, o estendere le note a protagonisti degli anni successivi o assolutamente contemporanei, considerando che il fe-nomeno perdura. È sufficiente inserire il titolo di un brano del jazz tradizionale su YouTube e vedere quante formazioni lo eseguono …. e sono solo una parte!

Ne potrebbe discendere una domanda, neanche tanto malcelata, sulla utilità del capitolo.

La risposta è che un volume quale questo si rivolge anche agli iniziati, oltre che ai jazzofili. Disporre, sia pure in forma di abbozzo, di un percorso guidato attraverso i protagonisti e le opere esplicativi di un fenomeno, ne facilita di certo la voglia di ulteriore compren-sione e di approfondimento. In definitiva qualsiasi fenomeno, anche musicale, si riassume nell’opera dei suoi creatori. Giusto quindi ricordarli comunque.

L’ordine di presentazione segue quello riportato secondo la logica di scuola o corrente esposta in precedenza. Va evidenziato che è difficile fare attribuzioni assolute: come vedremo nei profili che seguono, c’è sempre una certa presenza di una scuola nell’altra, soprattutto quando contigue, ma non solo.

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Scuola 1 (a) – Musicisti che non hanno mai interrotto l’attività, suonando in stile New Orleans

Jelly Roll Morton – (Ferdinand Joseph LaMenthe, 1885-1941)

Grande pianista, compositore e band lea-der creolo nato a New Orleans, che aveva contribuito ad evolvere il ragtime con il blues. Già attivo a Storyville, aveva viag-giato per tutta l’America -tenendo sempre New Orleans come punto costante di rife-rimento- registrando quelle che resteranno testimonianze pregevoli della musica delle origini. Ha suonato in varie formazioni: solo, trio, complesso, orchestra, sempre con grande espressività.

Dopo numerosi anni di successo, nei quali ebbe ad autodefinirsi “inventore del jazz”, ebbe un appannamento di popolarità verso la metà degli anni trenta. Nel 1938 la sua attività musicale era cessata quasi del tutto, tranne qualche disco inciso con Wingy Manone.

L’etnologo Alan Lomax 9 lo incontra nel 1937, quindi lo intervista nella primavera del 1938 e lo invita a registrare le sue memorie per i Folk Song Archives della Library of Congress di Washington. Il risultato sarà una raccolta di 128 brani nei quali Morton ripercorre la propria vita musicale, con perfezione formale assoluta.

La nuova popolarità lo promuove a personaggio centrale del

9 Alan Lomax (�9�5-2002) è stato un etnomusicologo, antropologo e pro-duttore discografico statunitense. I viaggi di studio lo portarono a raccogliere materiali sonori in quasi tutto il mondo, dalla Spagna alla Gran Bretagna, al sud America. Fu l’inventore di un controverso sistema di classificazione degli stili del canto popolare, detto Cantometrics. Insegnò in varie università statunitensi, tra cui la Columbia University. In Italia nel �95�, ha raccolto note pubblicate nel volume “L’anno più importante della mia vita” (Il Saggiatore, 2008)

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revival, il che lo porta a incidere nuovamente con Sidney de Paris, Sidney Bechet e zutty Singleton.

Tenta di formare di nuovo un’orchestra più strutturata, ma muore per un attacco di asma nel 1941, comunque sostanziando i primi anni del revival.

È ricordato anche per aver composto numerosi brani, molti dei quali divenuti classici obbligati del repertorio del revival, quali Doctor Jazz Stomp, Wolverine Blues, Milenberg Joyce.

Louis Daniel Armstrong, Satchmo – (1901-1971)

La storia del jazz. Un monumento. Qualsiasi aggettivo positivo è inferiore alle sue doti. Ed è anche il musicista in assoluto sul quale si è scritto maggiormente. Lungi dal volerne ripercorrere la carriera, si può solo ricordare che la longevità artistica di Satchmo gli ha fatto attraversare tutti gli stili dall’arcaico allo swing, sempre con tocchi di personalità assoluta, fantasia senza limiti, innato senso dell’armonia, senza necessariamente attribuirgli una specifica appartenenza.

Lui È il jazz.Nei primi anni del periodo di nostro interesse (1937-38) Louis,

pur permanendo nella band di Louis Russell arricchitasi di elementi importanti quale J.C. Higginbotham, Albert Nicholas ed Henry Allen, o con una grande orchestra con il proprio nome, aveva già

reinserito i vecchi numeri nel suo reper-torio, naturalmente reinterpretandoli: Confessin’, West End Blues, Our Monday date. Da lì iniziò uno spostamento verso la formazione con pochi elementi, che suonava soprattutto temi classici del jazz tradizionale: quello che aveva suonato ai primordi a New Orleans.

Nel ’40 incise un album con Sidney Bechet e zutty Singleton: l’album “New

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Orleans Jazz” riesce perfetto. Dopo un periodo di silenzio, la guerra è iniziata e con essa anche un restrittivo divieto di incidere dischi, ecco il fa-moso, memorabile Jazz Concert 1945 organizzato dall’Esquire 10.

Dal 1946, a guerra finita e quindi senza le limitazioni alle attività disco-grafiche che vi erano state (ne erano esclusi i soli V-Discs, destinati alle forze armate) Armstrong riprese a suonare, ma ormai quasi sempre con

un piccolo complesso, inizialmente e brevemente con Kid Ory, altro protagonista del revival.

L’idea fu del suo impresario Joe Glaser, il quale aveva intuito che Armstrong non poteva tornare ad associarsi ad orchestre di diverso indirizzo. Occorreva un piccolo gruppo, di stampo tradizionale, forte di buoni nomi, che presentasse ad alto livello i classici del jazz e qualche motivo in voga.

Quindi nel 1947 nasce la formazione che prenderà il nome di The All Stars: LA, tr; Jack Teagarden, tb; Barney Bigard, cl; Dick Cary , p; Morty Cobb, cbs; Sidney Catlett, btr.

Cobb fu sostituito dopo pochi mesi da Arvell Shaw e comunque negli anni la formazione avrebbe avuto numerosi cambiamenti, non sempre di altissima qualità, ma anche con l’innesto di eccellenti vec-chie glorie le quali che avrebbero contribuito a portare Armstrong a trionfare su tutti i palcoscenici del mondo, facendo vivere al pubblico

�0 Esquire - Rivista maschile statunitense, fondata da David A. Smart e Arnold Gingrich nel �933. Si occupa prevalentemente di moda maschile. La ri-vista ha avuto tra i suoi collaboratori scrittori come Ernest Hemingway, William Faulkner, John Steinbeck, Thomas Wolfe, John Dos Passos,Truman Capote e Norman Mailer.

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il clima poetico del jazz antico. In repertorio una rassegna quasi completa dei cavalli di battaglia

del vecchio stile: Muskrat Ramble, New Orleans Functions, When The Saints, 12th Street Rag, Baby won’t you please come home, Bill Bailey, St Louis Blues, Careless love, Mahogany Hall Stomp, Potato Head Blues, Basin Street Blues, High Society, Savoy Blues, Dippermouth Blues, St James Infirmary, Down by the Riverside, Royal Garden Blues, West End Blues, Stompin’ at Savoy.

Nella ampia produzione discografica 11 si ricordano, significativi per il revival, i dischi: “LA & All Stars play W. C. Handy” (1954), “Louis Armstrong plays Fats Waller” (1955), “Satchmo plays King Oliver” (1959), ed altri 4 microsolco riuniti in un unico album “Sa-tchmo: a musical autobiography” (1957), contenenti tutti i successi del 1923-33, con introduzioni narrate dallo stesso Armstrong.

Armstrong ha anche inciso due microsolco con complessi formal-mente del genere revival quali i Dukes of Dixieland (1959 e 1960) ed un brano con Bobby Hackett (1962).

Chiaramente un personaggio come Satchmo non poteva restare circoscritto ad un solo stile. Già egli era ormai divenuto un entertainer più che un musicista, adorato dal pubblico, quindi sia in quegli anni sia nei successivi avrebbe concesso molto al popolare o al commerciale. Ed anche al jazz moderno: si sarebbe perfino esibito (presumibilmente a malincuore) con Dizzy Gillespie (che lo rispettava moltissimo), con Gerry Mulligan, con Dave Brubeck. Ma sempre ad un altis-simo livello per quanto riguardava la qualità musicale e senza allontanarsi dal proprio modo di suonare. Del resto Armstrong,

�� Per una discografia assolutamente completa di Louis Armstrong, vedi http://www.michaelminn.net/armstrong/index.php

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senza farne mistero, fu ostile al bop fin dall’inizio. Egli non ha mai cercato di cambiare il proprio stile e, per conto suo, il jazz moderno poteva anche non essere mai esistito.

Da ricordare che fu una intervista rilasciata da Louis Armstrong a Bill Russell nel 1938, che stava preparando insieme a Frederick Ramsey il volume Jazzmen, a risvegliare nell’ autorevole intervista-tore l’interesse per il modo di suonare dei pionieri del jazz, segna-tamente di Bunk Johnson del quale Satcmo aveva tessuto l’elogio, L’intervista rappresentò un input fondamentale per la scuola che abbiamo definito 1 (b), quella della “riscoperta”. Quindi un ulteriore contributo di Satchmo alla … Causa.

Joseph Wingy Manone – (1904-1982)

Trombettista e cantante di New Or-leans12 di grande qualità e successo oltre che di grande simpatia, senza essere una Top Star. Dopo aver iniziato sui battelli del Mississippi a New Orleans, Wingy13 iniziò a girare molto: Louisiana, Texas, Missouri, Chicago, New York . Si fermò a lungo in quest’ultima città acquisendo una ottima reputazione di leader di piccoli complessi che suonassero soprattutto in stile dixieland. In effetti fu realmente uno dei pochi musi-cisti bianchi ad avere assimilato lo stile New Orleans, che si avverte costante in tutta la sua vasta produzione.

Negli anni ’30 ha inciso anche con Benny Goodman e Red Ni-

�2 Di origini siciliane, il vero cognome era Mannone.�3 Il soprannome gli fu dato a causa della perdita del braccio destro a seguito

di un incidente automobilistico, quando aveva nove anni. Ha sempre usato una protesi che non evidenziava la disabilità.

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chols. In quell’anno registrò il brano Tar Paper Stomp che è la base del brano di In The Mood, che avrebbe spopolato nella versione riarrangiata da Joe Glaser (il manager di Louis Armstrong) e lanciato da Glenn Miller nel 1939. Nello stesso anno incise anche Up The Country Blues, un eccellente esempio di stile classico.

Tutti i brani da lui composti sono tra l’altro ricchi di humour e nonsense. In particolare quella The Isle of Capri che, nel 1934 con Matty Matlock al clarino e zutty Singleton alla batteria, avrebbe riscosso un successo internazionale. Scritta sulle note di una famosa ballata italiana, piena di doppi sensi e volgarità, si diceva che per questo motivi gli autori fossero infastiditi dalla popolarità raggiunta dal brano, nonostante gli ampi diritti riscossi.

Nel 1940 si spostò a Los Angeles, apparendo in un film di Bing Crosby, Rhythm on the River, il che ne aumentò la popolarità, per cui fu chiamato in molte trasmissioni radiofoniche.

Nel 1950 si stabilì quasi definitivamente nel Nevada, a Las Vegas, dove ha sempre continuato ad avere quel successo che gli ha consen-tito di far passare gli anni, senza mai cambiare stile, suonando fino a poco prima della scomparsa i brani classici del Trad in formazioni con ottimi musicisti.

Ha effettuato molte tournèe in Europa, facendosi spesso accompa-gnare dalle più importanti band revival locali. Ad esempio ha suonato in Italia con la Roman New Orleans Jazz Band e con Lino Patruno e la Milan College Jazz Society, in Svezia con Papa Bue’s Viking Jazz Band, con Sidney Bechet e Joe Venuti in Francia.

Ha scritto una autobiografia Trumpet on the Wing (1948), uno dei libri più funny sul mondo del jazz di quegli anni.

In effetti si può affermare che Wingy Manone rappresenti l’esempio più puro della scuola che abbiamo definito: mai smesso di suonare con il proprio stile, mantenendo ed aumentando il successo dagli anni ‘40 fino a metà degli anni ‘70 , proponendo New Orleans e dixieland. Un vero protagonista del revival.

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Avery Kid Howard – (1908-19��)

Brillante trombettista di New Or-leans, messosi in mostra in importanti brass band quali Eureka e Tuxedo, dalla fine degli anni ’20 al 1943 suona sempre nell’orchestra di Sam Morgan presso il Palace Theatre di New Or-leans, ma non tralascia di esibirsi con altri musicisti del calibro di Capt. John Handy e Jim Robinson.

Il suo stile è fortemente ispirato dall’Armstrong del 1937-1940. Nel 1943 entra a far parte del gruppo di George Lewis, con il quale suonerà per i successivi venti anni. Dopo una breve sospensione di circa due anni dovuta a motivi di salute, si esibisce alla Preservation Hall con regolarità, fino all’anno della scomparsa nel ’66.

Brian Harvey gli dedica nel 2008 una approfondita biografia: The Hottest Trumpet. The Kid Howard Story.The Kid Howard Story.

Scuola 1 (b) – Musicisti riscoperti, suonano in stile New Orleans

William Gary Bunk Johnson – (1879-1949)

Per quanti il revival è rappresentato solo ed esclusivamente dai vecchi musicisti, riscoperti dai critici alla fine degli anni ’30, Bunk Johnson ne è il rappresentante principale, avendo suonato con il leggendario Buddy Bolden nella Eagle Brass Band, poi dimenticato per lunghi anni, quindi tornato in auge nel 1940 grazie a Bill Russell, che lo ritrovò a lavorare nelle risaie di New Iberia, una cittadina nelle vicinanze di New Orleans, dove era nato.

Come dichiarato dallo stesso Satchmo, Bunk fu ispiratore dello

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stile del giovane Louis Armstrong 14.Per consentirgli la ripresa fu necessario fornirlo di una protesi

dentaria e ricomprargli la tromba: per la prima necessità, vi fu l’aiuto diretto del fratello di Sidney Bechet, dentista.

Gli amatori del revival ne hanno fatto una loro icona, anche se ci si è resi conto che non tutto quanto riferito o fatto -anche nel passato- da Johnson fosse oro. Iniziando dalla data di nascita che probabilmente è di dieci anni successiva. Bunk alzava di dieci anni la propria l’età per giustificare una sua maggiore presenza ed un ruolo più significativo svolto negli anni della nascita del jazz, la fine dell’800. Anche sotto il profilo musicale il comportamento era

strano: quando poteva, sceglieva quasi sempre jazzisti moderni per la formazione del proprio complesso, trovandosi a suo agio in brani con lunghi assolo, non in linea con lo stile New Orleans.

La band ricostruita da Russell e Wil-liams che avrebbe fatto la prima serie di storiche incisioni nel febbraio del 1942 per la American Music (creata da Russell) era composta da: Bunk, cn; Jim Robin-son, tb; George Lewis, cl; Walter Decou, p; Lawrence Marrero, bjo; Austin Young,

cbs; Ernest Rogers, btr. I primi brani brani incisi, nell’ordine, furono: Maple Leaf Rag,

Shine, Weary Blues, Make Me A Pallet On The Floor, I’m So Glad I’m Brownskin.

�� Park Brek – Downbeat Archives – 6/�/�939 - This Isn’t Bunk: Bunk Taught Louis. [….Said Louis: “Bunk, he’s the man they ought to talk about. What a man! Just to hear him talk sends me. I used to hear him in Frankie Dusen’s Eagle band in �9��. Did that band swing! How I used to follow him around. He couldHe could play funeral marches that made me cry.” ]

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A seguito del grande successo iniziò una serie di tournèe e con-certi, che lo portò ad incidere moltissimo, con frequenti cambi di formazione. Ha avuto modo di registrare anche con altri veterani Top, quali -in differenti occasioni- Kid Ory, Mutt Carey, Sidney Bechet, Paul Barbarin, Baby Dodds, Albert Nicholas.

Nel gennaio del 1945 aveva inciso anche un Basin Street Blues con Armstrong, nell’Auditorium Municipale di New Orleans, con una formazione stellare: Louis Armstrong , tr; J.C. Higginbotham, tb; Sidney Bechet, cl; James P. Johnson, p; Ricard Alexis, cbs; Paul Barbarin, btr, special guest Bunk Johnson, tromba.

Tra dicembre 1943 e febbraio 1944, Bunk ha inciso oltre 20 brani con Turk Murphy e la Yerba Buena Jazz Band, esponenti di punta della “scuola 3”, quella più evoluta, a conferma di quanto detto sopra sulle preferenze di Bunk per una musica più moderna. Quelle registrazioni rappresentano sostanzialmente il meglio della sua produzione, e lui stesso asserì che la YBJB era la migliore formazione con cui avesse collaborato.

Nel dicembre del 1947 tenne un applauditissimo concerto alla Carnegie Hall a New York. Fu l’ultima registrazione. Colpito da un ictus, si spegneva dopo circa un anno.

Una eccellente discografia completa, ampiamente indicizzata per una più puntuale ricerca al suo interno, è quella del sito http://www.weijts.scarlet.nl/bjd.htm . Molto documentata anche la pagina del sito svedese a lui dedicato: http://www.fellers.se/Bunk/Welcome.html

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Sidney Bechet – (1897-1959)

Grandi qualità di ispirazione e tecnica strumentale fanno di Sidney Bechet uno tra i più affermati artisti del jazz di New Orleans. Il linguaggio lirico, amabile, seducente, arricchito da virtuosismi di altissimo livello del suo clarino o del sax soprano lo rendono noto ed apprezzato fin da giovanissimo. Nel 1932 forma, con Tommy Ladnier alla tromba, il com-plesso dei New Orleans Feetwarmers, con i quali incide in numerose occasioni.

Scioltisi i Feetwarmers nel 1935, torna nell’orchestra di Noble Sissle, ma la sua fama comincia ad appannarsi, finchè nel 1938 è costretto a un momentaneo ritiro dalle scene.

La musica in voga era lo swing delle grandi orchestre, le big band bianche di Benny Goodman, Artie Shaw, Glenn Miller ed altri. Lo stile fiorito di Bechet forse apparve almeno momentaneamente superato, e l’orchestra di Noble Sissle era di certo legata a uno stile musicale meno fluido dello swing... Bechet si adattò ad aprire una sartoria.

Alla fine del 1938, spinto da Panassiè, riprende ad incidere con la Blue Note, iniziando a far decollare, insieme a Tommy Ladnier e Mezz Mezzrow, il New Orleans Revival . Fece gruppi anche con Muggsy Spanier ed Eddie Condon 15, con incisioni di grande

�5 Qualche lettore già acculturato potrebbe sorprendersi nel non ritrovare in questo breve saggio dei richiami più puntuali ed una scheda tra i Protagonisti dedicata ad Albert Edwin Eddie Condon (�905-�973). Di fatto, pur essendo stato eletto vessillifero del revival alla fine degli anni ’�0, Condon -chitarrista e banjoista- fu soprattutto un modesto strumentista ma potente uomo di affa-ri ed impresario, legato anche ad ambienti della malavita, che contribuirono a

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qualità, che contribuirono alla diffusione del fenomeno.Queste incisioni fruttarono un ritorno di fama per Bechet, che

tornò a suonare in pubblico, apparendo al Nick’s nel Village e per-fino alla Town Hall, continuando ad incidere per la Blue Note per

tutti gli anni ‘40. In questi gruppi di studio comparvero i trombettisti/cornettisti Wild Bill Davison, Sidney De Paris, Max Kamin-sky, Frankie Newton, il clarinettista Albert Nicholas, il trombonista Vic Dickenson, il pianista Art Hodes, il contrabbassista Pops Foster, il batterista Sidney Catlett, e numerosi altri.

Nel 1949 partecipò ad una serie di concerti di jazz alla Salle Pleyel di Parigi. Il successo fu talmente ampio che Bechet decise di stabilirsi definitivamente in Fran-

cia, suonando soprattutto con formazioni locali e contribuendo a far nascere il revival europeo.

In Francia compose il brano di gusto francese Petite Fleur, cer-tamente non in linea con la tradizione, ma che è divenuto noto in tutto il mondo.

La forza e la singolarità della personalità musicale di Bechet sono evidenti in tutte le sue registrazioni. Gli esistenzialisti francesi arri-varono a soprannominarlo le dieu, il dio. È stato l’unico musicista che, quando ha suonato con Louis Armstrong non è mai finito in secondo piano, ma ha con vigore esposto la propria presenza musicale e questo sia nei primissimi anni (1923-1925 con Clarence Williams), sia nelle ultime occasioni di suonare insieme in pieno revival 1�.

costruirgli una popolarità immeritata. Musicalmente ha espresso solo o quasi, musica commerciale.

�6 È sufficiente ascoltare:

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Tommy Ladnier – (1900-1939)

Da molti ritenuto inferiore solo ad Arm-strong ed Oliver, dopo ampi successi riscossi negli anni venti a Chicago, New York ed anche in concerti europei, si ritira. Siamo negli anni della grande depressione e Lad-nier deve adattarsi a fare il lustrascarpe nelle strade di New York. Sporadicamente incide con Bechet nei New Orleans Feetwarmers e quindi nel gruppo ricostituito ad hoc da Panassiè nel 1938, che lo cerca nelle strade insieme a Mezz Mezzrow per riportarlo a suonare stabilmente. Si costituisce così il gruppo Mezzrow-Ladnier con Bechet, Teddy Bunn, Manzie Johnson. Naturalmente il livello non è quello del 1932, in ogni caso Comin’On On the Comin’On e Revolutionary Blues possono essere considerati i primi dischi del Revival, e Ladnier ne diviene quindi una figura meritatamente centrale.

La prematura morte nel 1939, per un attacco cardiaco, interrompe la carriera di un eccellente musicista, destinato comunque a lasciare il proprio nome in grande evidenza nella storia del revival e del jazz.

Ottimo il sito www.tommyladnier.mono.net/8824/Tommy%20Ladnier%20Homepage per gli approfondimenti sulla sua figura.

Texas Moaner Blues (�92�) www.youtube.com/watch?v=wv8v05Eeiuc;2:�9 Blues (�9�0) www.youtube.com/watch?v=ff1HF8GR_tk.

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Milton Mezz Mezzrow - (1899-1972)

Eccellente clarinettista di Chicago, da genitori russi, venne rilanciato nel 1945, con una formazione in perfetto stile New Orleans, dopo un’assenza di molti anni dalle scene: anche lui aveva condiviso l’esperienza di Ladnier e Be-chet del 1938, coordinata da Hugues Panassiè, conosciuto in un viaggio a Parigi nel 1929, ma problemi giudiziari ne avevano fatto perdere le tracce.

In prigione, dal ’40 al ’42, aveva organizzato la band dell’istituto peni-tenziario a New York.

All’uscita dal carcere, dopo aver ripreso a suonare con Art Hodes, piano, senza mettersi in particolare evidenza, incontrò un ingegnere elettronico, John van Beuren, con il quale organizzò una piccola casa discografica - la King Jazz - che nel 1945 riuscì ad incidere 25 dischi. Nella piccola band oltre Mezzrow, suonavano Lips Page, Sidney Be-chet, Sammy Price, Sidney Catlett o Baby Dodds. Di qui il ritorno ad un certo successo, ulteriori interviste con giornalisti e critici del jazz, che ne rilanciarono con vigore la figura di “clarinettista bianco che suonava come i neri di New Orleans”.

Di nuovo sulla cresta dell’onda, ebbe un grande successo personale al Festival del Jazz di Nizza del 1948. Quindi, alla fine di quell’an-no, si trasferì in Francia dove oltre a suonare si dedicò anche alla organizzazione di concerti con jazzisti di rilievo, accolti con grande favore dal pubblico.

Viene ritenuto il continuatore dello stile di Jimmie Noone, uno

dei più grandi clarinettisti di New Orleans.

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Lascia una interessante testimonianza del jazz delle origini nella sua autobiografia, scritta con Bernard Wolfe 17, Really the Blues, del 1946 18.

Edward Kid Ory – (1889-1973)

Il celebre trombonista creolo di LaPlace (Louisiana, non lonta-no da New Orleans), uno dei “mostri sacri” delle origini del jazz, inventore dello stile tailgate, componente di formazioni storiche quali gli Hot Five di Louis Armstrong o accompagnatore di Jelly Roll Morton, o in orchestra con King Oliver, si era ritirato nel 1929 per dedicarsi all’allevamento di polli.

Fu Barney Bigard nel 1942 a proporgli il rientro, con una for-mazione snella. Esordì quindi in radio nelle trasmissioni di Orson Welles e fu un successo, amplificato dalla presenza in alcuni film. Grazie anche alla accorta gestione della band, divenne subito un ambasciatore del revival, dal 1943 al 1966, anche con acclamatissime tournèe in Europa ed in Giappone. Nel ’43 al Geary Theatre di San Francisco ha inciso anche con Bunk Johnson.

La formazione della Kid Ory’s Creole Or-chestra (non molte le sostituzioni negli anni, solo qualche alternanza) ha avuto nomi come Mutt Carey, Ed Garland; i cornettisti Alvin Alcorn e Teddy Buckner; i clarinettisti Omer Simeon, Darnell Howard, Jimmie Noone, Albert Nicholas, Barney Bigard, e George Probert; Buster Wilson, Cedric Haywood e Don Ewell al piano; Minor Hall come bat-

�7 B. Wolfe, scrittore, era stato segretario di Leon Trotsky, durante l’esilio in Messico di quest’ultimo nel �937

�8 È stato tradotto in italiano e pubblicato da Longanesi nel �967, con il titolo I Primi del Jazz. Ecco i Blues.

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terista. Nomi che -insieme al tailgate di Ory- hanno garantito un sound costante di elevata qualità e con una propria assoluta identità, che hanno garantito un successo senza pause.

Singolari alcune sue performance creole, quali Eh la Bas , Blanque Touquatoux, Creole song, Creole Bo Bo, che aggiunsero il fascino del creole patois alla gioiosa musica del revival. Per quanto riguarda i suoi dischi, la quasi totalità fu incisa per la leggendaria Good Time Jazz, etichetta totalmente votata al revival.

Fu anche autore di brani classici quali il celebre Muskrat Ramble, che scrisse nel 1926 per Louis Armstrong.

Si ritirò definitivamente nel 1966.Ricchissima la documentazione sul sito a lui dedicato: http://www.

fellers.se/Kid/Welcome.html

George Lewis – (1900-19�8)

È forse l’ “incarnazione” del revival. Dopo essere stato un noto clarinettista nelle più importanti brass band di New Orleans quali la Eagle ed aver suonato con Buddy Petit e Kid Ory negli anni ’20 senza mai lasciare New Orleans, dal 1926 scompare dalla scena fino al 1942, quando il “riscoperto” Bunk Johnson lo chiama a far parte della propria formazione. Resta con Bunk fino al ritiro di quest’ultimo, assumendo quindi la leadership del gruppo, e continuando a suonare nei locali di Bourbon Street ed in trasmissioni radiofoniche.

La prima formazione con la quale incide per la Vogue sotto suo nome fin dal maggio del 1943 , G.L. and His New Orleans Stom-pers, era composta da Kid Howard, tr; Jim Robinson , tb; G.L., cl; Lawrence Marrero, bjo; Chester zardis, cbs (poi sostituito da Alcide Slow Drag Pavageau); Edgar Mosley, btr. Tutti elementi che suonavano contemporaneamente anche con Bunk, e che sarebbero rimasti legati a Lewis anche dopo l’abbandono e la scomparsa dello stesso.

Strepitoso il repertorio, composto da tutti i grandi classici quali Milenberg Joys, Walking With The King, Gettysburg March, Just A

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Closer Walk With Thee, See See Rider, Ice Cream , Heebie Jeebies, O’l Man Mose, Mamma Don’t Allow It, Canal Street Blues, Bill Bailey, Over The Waves, High Society, I Can’t Escape From You, Careless Love e decine di altri. È da ricordare il vezzo di suonare talvolta in trio, da ricordare il vezzo di suonare talvolta in trio, con gli stupendi esempi di Burgundy Street Blues e Over the Waves.

Il numero di maggio del 1950 di LOOK19 gli dedicò un corposo articolo corredato dalle fotografie di Stanley Kubrik 20 , e la rivista -distribuita a livello internazionale- ne incrementò la popolarità. Da quel momento tra concerti, tour, anche in Europa e in Giappone, presenze alla Preservation Hall, inizierà una attività incessabile compresa una forte attività di-scografica, che lo porterà anche

ad essere il modello di assoluto riferimento per i giovani gruppi di musicisti europei.

Lewis non è un virtuoso e compensa con ritmo, soul, feeling, qualche debolezza tecnica: è quello che qualcuno definisce “effetto Bing”21. La sua musica infatti, a detta di tutti i critici più quotati,

�9 Look fu una rivista americana fondata nel �937, e andata in stampa sino al �97�. Fondata da Gardner “Mike” Cowles, junior con suo fratello John, fu il primo direttore della rivista. Fra gli altri al successo della rivista collaborò Stanley Kubrick.

20 Stanley Kubrik - (�928-�999) Regista, considerato tra i maggiori cineasti della storia del cinema. La sua carriera parte nel �9�5 con una straordinaria foto di un edicolante rattristato della notizia della morte del presidente Roosevelt.

2� Quando al manager di Bing Crosby veniva chiesto circa il tremendo suc-cesso di Bing, era solito rispondere: “... Beh, lui rende facile il suo modo di cantare, che sembra si stia facendo la barba.” George Lewis fa lo stesso “effetto”, George suona così facilmente che sembra essere facile imitarlo. Questo è sbaglia-

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nello svolgersi con semplicità, resta una delle migliori testimonianze del Jazz tradizionale poichè, quando ascoltata, cattura completa-mente per vitalità, qualità degli assolo, atmosfera rilassata. Tutte le qualità del Traditional.

Bob Dylan lo cita in una sua canzone High Water dell’album Love and Theft (Columbia 2001), brano dedicato a Charlie Patton, bluesman definito anche “padre del blues”. A testimonianza di una fama mai regredita.

Henry Kid Rena (1900-1949)

Stella precoce della scena jazz di New Orleans, suona con proprie formazioni e con l’ Eureka Brass Band, fino al 1932, anno in cui formò una propria brass band, la Pacific Brass Band. La Grande Depressione del ’29, finì per colpirlo du-ramente, al punto che smise del tutto di suonare. Venne riscoperto nel 1940 da uno scrittore, Heywood Hale Broun jr, che gli chiese di registrare 8 pezzi.

La neonata Kid Rena’s Delta Jazz Band venne assemblata con KR, cnt; Jim Robin-

son, tb; Louis Big Eye Nelson e Alphonse Picou, cl; Willie Santiago, g; Albert Glenny, cbs; Joe Rena, btr.

Dopo alcune prove a casa di Willie Santiago, il 21 agosto, pres-so l’Hotel Roosvelt, registrate dalla stazione radio di New Orleans WWL-FM105, iniziarono le sessioni di registrazione.

to!. Per un clarinettista può anche essere difficile da raggiungere una tecnica ad alto livello, il gioco veloce tutte le scale e gli arpeggi o di avere il miglior suono in tutti i registri, ma è quasi impossibile suonare con la “voce” di George Lewis. Si deve avere una sensibilità elevata e “qualcosa da dire” ed il suo ritmo, soul e feeling erano praticamente unici.

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I brani scelti furono: Milenburg Joys, Clarinet Marmalade, Get-tysburg March, Lowdown Blues, High Society, Panama, Weary Blues, Get it Right, tutte pietre miliari del repertorio Trad.

Nonostante la scadente qualità della registrazione il ritorno di Rena ebbe successo, ma non vi fu modo di continuare con le inci-sioni.

Dopo qualche anno di discreti successi, con la propria band o suonando con altri gruppi, smise nuovamente di suonare nel 1947, a causa dell’alcool. Muore nel 1949.

Ernest Punch Miller – (1894-1971)

Dopo i primi anni a New Orleans, nel ’19 lasciò la Louisiana per spostarsi a Chicago, entrando a far parte della band di Jelly Roll Morton. Smise di suonare negli anni ’30 ed è uno degli esempi di riscoperta tarda.

La sua presenza negli anni ’40 è infatti del tutto modesta anche se stori-camente interessante e qualitativamente eccellente (ad esempio, nel 1942 suona con Big Bill Broonzy, nel 1947 con Edmund Hall e Albert Nicholas). Non viene però considerato, in quegli anni un “padre del revival”.

Viene sostanzialmente rilanciato del tutto negli anni a seguire quando affiancò George Lewis nella tournèe in Giappone del 1963, e successivamente quando comincia a far parte degli ospiti “rego-lari” della Preservation Hall ( dell a quale si parlerà più avanti) fino al 1971.

Un contributo alla sua notorietà negli ultimi anni gli viene data dalla visibilità che gli dà Big Bill Bissonnette con l’operazione Jazz Crusade. Anche di Bissonnette parleremo tra qualche pagina.

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Punch, notissimo per la sua diteggiatura veloce che aveva “brevet-tato” in un vero e proprio metodo personale per tromba, ha lasciato numerose testimonianze del suo stile eccellente, ma comunque non ha mai quel tocco tale da renderlo un “maestro” assoluto. Ha inciso molti dischi e numerosi sono i video disponibili su YouTube.

Scuola 2 – Musicisti che modificando il loro stile attuale, tornano allo stile New Orleans

Francis Muggsy Spanier - (190�-19�7)

Finissimo cornettista e…opportunista, originario di Chicago, ritenuto il migliore fino alla comparsa di Bix Beiderbecke. Sempre gradito al pubblico,dal 1926 fino al 1938, modificava il proprio stile con il passare degli anni per adeguarsi alle orchestre nelle quali si esibiva (Ted Lewis, Ben Pollack), le quali si erano evolute nel senso di presentare sempre musica eccellente inizialmente con taglio dixieland, poi con connotazioni swing.

Dopo l’interruzione di circa un anno per motivi di salute (un incidente automobilistico prima, poi un’ulcera perforata) riprese la carriera nell’aprile del ’39 e, pensando che il vecchio stile -che iniziava a riaffacciarsi- potesse fare di nuovo successo, ripropose con il proprio gruppo, Muggsy Spanier’s Ragtime Band, un suono incentrato sugli ottoni, con un rigoroso 4/4: una copia perfetta dello stile di King Oliver a Chicago. L’esperimento riuscì e Spanier fece registrare il tutto esaurito in vari concerti a Chicago ed a New York.

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Ripropose i grandi classici degli anni ’20, inizialmente sedici brani tra i quali At The Jazz Band Ball, Dippermouth Blues, Livery Stable Blues, Riverboat Shuffle, Sister Kate, Lonesome Road. Questi furono curati dalla Bluebird e il gradimento del pubblico fu tale che essi furono raccolti in un album chiamato “The Great 1�”.

Per motivi forse economici o forse perché aveva immaginato -sbagliando- che il fenomeno revival potesse essere solo transitorio, alla fine del ’39 tornò da Ted Lewis ed ai complessi swing, in ogni caso sempre apprezzato dal pubblico. Una meteora nel revival, ma in ogni caso un grande jazzista.

George Robert Bob Crosby – (1913-1993)

Il fratello più giovane e meno noto di Bing22, nato a Spokane, Washington, sale agli onori del dixie e dello swing dirigendo a Chi-cago l’orchestra che era stata di Ben Pollack ed in cui suonavano Jack Teagarden, Glenn Miller, Benny Goodman solo per citarne alcuni. Nel 1937, al repertorio abituale dell’orchestra swing, Bob inizia ad aggiungere brani suonati da una formazione ridotta, (incentrata sulla “tripletta” tromba, trombone , clarino) che finiscono col rappresen-tare il momento più popolare ed applaudito dei concerti.

22 Harry Lillis Crosby, noto come Bing Crosby (�90�-�977) è stato un atto-re e cantante statunitense. La sua incisione di White Christmas, la canzone scritta da Irving Berlin, è uno dei dischi più venduti di tutti i tempi.

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Il gruppo fu “istituzionalizzato” con il nome di Bobcats, una piccola band dentro la grande band che cristallizzò il proprio dixieland con forti connotazioni New Orleans quando, nel 1938, entrarono a farne parte Irving Fazola al clarino e Ray Bauduc alla batteria. Fino al 1943 i Bobcats mantennero lo stile polifonico del jazz classico, accreditandosi come esponenti del Traditional Revival. Gli arrangiamenti erano curati da Yank Lawson, tromba, e Matty Matlock, clarino.

Quando dopo qualche anno il successo iniziò a calare, la band fu rivitalizzata negli anni ’60 da Yank Lawson, e da Bob Haggart, basso, i quali -facendo parte dei Bobcats dall’inizio- pur dando il loro nome alla band, Lawson-Haggart Jazzband , hanno mantenuto vivo il nome di Bob Crosby fino agli anni ’70.

William Wild Bill Davison – (190�-1989)

Eccellente, poliedrico cornettista che, provenendo dall’Ohio, iniziò ad emergere negli anni ’20 suonando nei locali malfamati

di Chicago ed affermandosi nel 1945, quando iniziò a suonare con Eddie Con-don a New York, continuando fino al 1957. Celebre il suo vibrato, che esaltava in modo particolare sui tempi lenti.

Gli era stato necessario attendere molti anni prima di affermarsi a causa di un incidente automobilistico occorsogli a Chicago nel 1932 nel quale Davison guidava e Frank Teschemacher, giovane

clarinettista emergente, molto amato dal pubblico, perse la vita. L’incidente gli alienò i favori del pubblico per molti anni.

Agli inizi degli anni’40, suonando -sia pure sporadicamente- in differenti complessi Trad ma accompagnando sempre stelle di prima grandezza del revival, su tutti Sidney Bechet nel 1940, il suo nome

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divenne in breve noto e direttamente associato al revival. Anche per lui i numerosi tour in America ed Europa, anche in

Italia dove suona ed incide con Lino Patruno e la Milan College Jazz Society, ne resero il nome assolutamente familiare. In tutti gli anni a seguire rimane tra i musicisti più affermati del genere revival, con-siderando anche che dal 1965 al 1975 ebbe modo di suonare con almeno 100 band differenti, e di registrare oltre 800 brani diversi in 20 album.

Willam Hal gli ha dedicato una biografia, The Wildest One, Avondale Press, 1996.

Max Kaminski – (1908-1994)

Di Brokton, Massachussets. Trombettista noto negli anni ’20 per aver suonato con Eddie Condon ed anche con la Original Dixieland Jazz Band. Pur continuando la carriera collaborando con eccellenti musicisti quali Tommy Dorsey e Benny Carter (tp, sa), alla metà degli anni ’30 si esibiva quasi esclusivamente in band commerciali da ballo.

Nel 1942 tornò al dixieland, per poi riproporre gradualmente il jazz delle origini, riprendendo stile e repertorio di Buddy Bolden, Freddie Keppard, Louis Armstrong e King Oliver fino agli anni ’60.

Ha lavorato ed inciso con Bechet, Brunies, Hodes, Teagarden. Nel ’57 è stato acclamato in Europa, in un tour con Teagarden ed Earl Hines. Nel 1964 ha pubblicato il volume autobiografico My Life in Jazz (Da Capo Press, Cambridge-USA).

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George Brunies – (1902-1974)

Grande trombonista degli anni ’30, iniziò da giovanissimo, agli albori del jazz a New Orleans pri-ma, quindi a Chicago, suonando con i New Orleans Rhytm Kings 23, e successivamente con Ted Lewis ed Eddie Condon. Seguì sostanzialmen-te i movimenti di Muggsy Spanier, insieme al quale acquisì notorietà, rientrando nell’ambito del revival, e

suonando anche nelle band di Art Hodes. Alla fine degli anni ‘40, al culmine della notorietà, venne definito da pubblico e critica “the King of Tailgate Trombone”, lo stile che Kid Ory aveva creato, lanciato e che continuava a suonare, mentre nel frattempo Brunies già non era più un revivalist ! Così come Spanier, anche Brunies era tornato allo swing ed al commerciale.

Comunque eccellente la produzione discografica di quel breve periodo, così come per Spanier.

Joseph Sharkey Bonano – (1904-1972)

Rientra tra i pochi revivalist recensiti da The Jazz Archivist , che lo cita tra i nomi di riferimento per l’attività che stava svolgendo nella New Orleans del 1960 24. Bonano, ottimo trombettista, agli inizi

23 I New Orleans Rhythm Kings (soprannominati Nork ) sono stati una delle più importanti jazz band dei primi anni a metà degli anni �920. La band era una combinazione di New Orleans e Chicago composta da soli musicisti bianchi. La loro seduta di registrazione nel �923 con Jelly Roll Morton è forse il primo disco con formazione razzialmente mista.

2� Jazz in New Orleans at 1960s – Review in The Jazz Archivist, vol. X, may-dec �995.

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della carriera aveva addirittura sostituito in alcune occasioni Bix Beiderbecke nei Wolverines ed anche Nick LaRocca nella ODJB, prima di entrare a far parte di grandi orchestre commerciali (L. Brownlee, J. Du-rante, Pollack). Nell’immediato dopoguerra fece numerosi tour in Europa , Asia , Sud America, per poi stabilirsi definitivamente a New Orleans nel 1949, riproponendo lo stile classico. Si racconta (è una leggenda

metropolitana ?) che Arturo Toscanini, dopo averlo ascoltato, gli proponesse una prova con l’Orchestra del Covent Garden di New York, al termine della quale il Maestro avrebbe ripreso i propri trombettisti per non essere capaci di riprodurre le sonorità espresse da Bonano.

Spesso in formazione con Bonano, come clarinettista, un altro noto revivalist: Pete Fountain.

Pierre Dewey Pete Fountain – (1930)

Brillante clarinettista del quartiere Creolo di New Orleans, aveva iniziato a formarsi ed a suonare swing, per poi fondare nel 1951 il complesso dei Basin Street Six, in stile prettamente New Orleans, stile nel quale avrebbe continuato a lungo. Ha inciso più di 100 album, ma spesso si è allontanato dal classico per proporre altra musica o un New Orleans commerciale. Ha tenuto il suo ultimo concerto da ottantenne, nel 2010 a Hollywood. Ha suonato spesso insieme al suo amico Al Hirt (1922-1999), anch’egli di New Orleans, trombettista che ha rappresentato solo un fenomeno di virtuosismo commerciale.

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Scuola 3 – Musicisti di più recente generazione che rielabora-no il genere New Orleans

Lucius Lu Watters - (1911-1989)

Trombettista californiano di Santa Cruz, con grande amore per la musica di New Orleans, dopo aver suonato in varie orchestre -anche con Bob Crosby- fondò nel 1940 la Yerba Buena Jazz Band con la quale si esibì al Dawn Club di San Francisco. La band era formata totalmente da musicisti bianchi, ma musica e stile erano quelli di King Oliver, ai quali

si aggiungeva una fase creativa con arrangiamenti nel tempo via via più complessi. Watters riuscì quindi a creare un proprio repertorio di composizioni originali, totalmente basate sullo stile King Oliver anni venti, arrangiate in stile più maturo e moderno.

Ricordiamo, tra tutte, Emperor Norton Hunch , Annie Street Rock e Big Bear Stomp.

“Volevo rimanere ancorato al vecchio stile di Oliver e Armstrong ed estenderlo in modo creativo, pur restando all’interno della tradizione….. La gente pensa che una bella melodia debba essere facile da ricorda-re…beh! È una qualità importante , ma una bella melodia ha bisogno anche di complessità e di un contenuto che la renda sorprendente.” 25

Modificò anche il modo di disporre la band di fronte al pubblico: la sezione ritmica davanti e quella melodica dietro. Una rivoluzione! Era invece un modo ottimale per evitare che la sezione ritmica perdes-

25 John Buchanan -Emperor Norton’s Hunch. The story of Lu Watter’s YBJB - Hambledon Production, Middle Dural �996.

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se il “tempo” non riuscendo a sentire chi suonava davanti (i night club non erano certo sale da concerto….).

La selezionatissima formazione creata da Watters era composta da Watters e Bob Scobey, tp; Turk Mur-phy, tb; Ellis Horne, cl; Wally Rose, p; Clarence Hayes, Russ Bennett, bjo; Dick Lammy, cbs; Bill Dart, btr.

Negli anni successivi, in registrazio-ni musicalmente più interessanti, Horne venne sostituito da Bob Helm. Di fatto avevano creato uno stile: lo stile San Francisco. Lu sciolse la band nel 1950 e si ritirò dal mondo musicale nel 1957, dedicandosi ai suoi studi di geologia, con importanti riconoscimenti professionali nel settore scientifico.

Riapparve dopo qualche anno, ma in modo occasionale, per inci-dere un disco con Bob Helm e suonare con Turk Murphy al fine di sostenere la causa antinucleare. La discografia completa è reperibile sul sito : http://www.jazzdisco.org/lu-watters/discography/

Melvin Edward Turk Murphy – (1915-1987)

Nato a Palermo, California. La sua carriera di trombonista nel revival, stile San Francisco, inizia nel ’40 insieme a Lu Watters. Si rivela negli anni virtuo-so del trombone e grande arrangiatore di brani, lavorando non solo per la propria band 26 .

Quando Lu Watters scioglie la Yer-

26 Murphy ha firmato arrangiamenti molto famosi e di grande successo, quale il Mack The Knife di Louis Armstrong del �955.

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ba Buena Jazz Band, nel 1950, Turk ne rileva il gruppo che prende il nome di Turk Murphy’s Jazz Band, con qualche sostituzione. Di fatto: Bob Scobey, tp; TM, tb; Bob Helm, cl; Burt Bales, p; Harry Mordecai, bjo; Dick Lammi, cbs.

Il sound è molto del tipo marchin’ band, nonostante gli acuti e i virtuosismi di Helm.

Murphy fu grande amico di Ward Kimball, disegnatore della Di-sney e trombonista dei Firehouse 5+2, nella cui musica si avvertono gli echi dello stile di Lu Watters e Turk Murphy.

La band ha sempre avuto largo gradimento da parte del pubblico: Murphy ha quindi continuato l’attività con successo fino al 1987. Nello stesso anno a gennaio tenne un concerto alla Carnegie Hall, per poi morire a maggio a causa di un tumore al polmone.

Bob Scobey - (191�-19�3)

Nato a Tucumcari nel New Mexico, inizia la carriera a metà anni ’30 suonando nei night di San Francisco. Nel 1938 diventa seconda tromba nella band di Lu Watters, ma nel ’49 lascia il gruppo per un litigio con i componenti

della sezione ritmica, e forma il proprio gruppo Bob Scobey’s Frisco Band, che segue comunque i nuovi canoni del revival in stile San Francisco della Yerba Buena Jazz Band.

Anche il suo gruppo ha un ottimo successo e nel 1953 si esibi-scono in un concerto al Civic Auditorium di Pasadena (California), in cui Armstrong canta con loro 27.

27 La notizia è riportata nella biografia He rambled ! (Pal Publisher, �976), curata dalla moglie Jan , ma non vi è traccia nelle più importanti discografie e biografie di Louis Armstrong.

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Ha continuato a suonare fino al ’63, soprattutto presso il proprio club che aveva aperto a Chicago nel 1960, il Bourbon Street Club, sempre apprezzato dagli appassionati di revival.

Bob Helm - (1914-2003)

Clarinettista di Lu Watters, esaurita l’esperienza con la YBJB organizzò a fine anni ’50 una propria formazione, Bob Helm’s Riverside Roustabouts, che aveva mantenuto lo stile nuovo creato da Watters e ne diventa anch’egli ambasciatore.

Nel 1950 incide, in una sessione priva-ta, una serie di poesie di Weldon Kees 28, con Kees al piano ed Helm con clarino e washboard29.

Alterna numerosi ritiri ad altrettanti ritorni, tutti di successo, anche negli anni ’80 e ’90.

Firehouse 5+2 30 (1952 - 1972).

Siamo agli inizi degli anni ’50. Un gruppo di disegnatori della Disney, diretti dall‘ eccellente trombonista Ward Kimball (1914-2002), si organizza in una band che all’inizio suona un po’ di

28 Weldon Kees (�9��-�955). Poeta, scrittore, sceneggiatore, pittore, critico letterario americano, personaggio culturale tra i più importanti in lingua inglese, del secolo scorso.

29 Washboard (termine di lingua inglese traducibile con tavola per il buca-to) è uno strumento musicale a percussione della famiglia degli idiofoni il cui uso ha avuto origine nella città statunitense di New Orleans nella prima metà del XX secolo. È stato ideato utilizzando appunto un’asse del tipo di quelle adopera-te per lavare il bucato che erano in uso presso le massaie di molti paesi e a volte anche nelle lavanderie pubbliche.

30 http://www.firehousefiveplustwo.com

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tutto: jazz tradizionale, ballate, canti popolari, nei quali venivano inframezzate trovate commerciali -kitch, ma divertenti- quali una sirena d’automobile, la campana di allarme del carro dei pompieri, l’abbigliamento da pompieri anni ’10 ed altro. Se da un lato questo faceva storcere la bocca ai puristi, vanno riconosciuti l’ entusiasmo per lo stile jazzistico Trad, il contributo dato per avvicinare il pubblico ad un certo tipo di musica31, delle eccellenti prestazioni musicali e la totale buona fede dell’approccio. Infatti avrebbero suonato per anni a Disneyland e quindi la loro attività va vista in questa ottica di promozione del marchio Disney in una cornice di divertimento, della quale non facevano mistero, a cominciare dal nome del gruppo.

Popolarissimi, al punto di essere considerati istituzione nazio-

nale (!) , hanno inciso 13 album (di cui due, appunto, dedicati ai temi dei film Disney o colonne sonore del Disney Park) restando in attività fino al 1972. Compaiono anche in alcuni film Disney ed in un cartoon, “Goofy. How to dance” del 1953.

3� Incluso chi scrive, nel �956.

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Nella loro ampia produzione, alcuni brani sono interpretati con uno stile assolutamente inconfondibile, perfetto nell’arrangiamento, indimenticabile per l’ascoltatore.

La formazione iniziale era: Danny Alguire, cn; Harper Goff, bjo; Ward Kimball, tb, sirena, effetti sonori; Clarke Mallery, cl; Monte Mountjoy, bt; Erdman (Ed) Penner, bss /tuba; Frank Thomas, p.

* * * * * *Non è possibile in questa sede soffermarsi su tutto il panorama mu-sicale offerto dalla seconda fase, cioè il periodo dal 1960 in poi.

Fa comunque piacere ricordare l’opera fondamentale svolta nei primi anni del 1960 da un giovane trombonista di New Orleans, William Big Bill Bissonnette (1937), appassionato entusiasta del-

lo stile New Orleans, che avendo creato un proprio gruppo -Easy Riders Jazz Band- ed una pro-pria etichetta discografica (Jazz Crusade), votatosi al recupero di informazioni e testimonianze del periodo aureo, è riuscito a coordinare un’operazione di nu-merose incisioni con nomi storici ancora in attività, inserendoli nel proprio gruppo e coinvolgendoli anche in numerose tournèe. Tra

questi George Lewis, Thomas Kid Valentine, Kid Sheik Colar, Jim Robinson, Punch Miller, solo per citare i più importanti,. A que-sto materiale ha affiancato una nutrita mole di registrazioni che è riuscito ad acquisire e pubblicare, al punto che la Jazz Crusade può oggi vantare un catalogo di oltre 150 artisti.

Bissonnette, ancora in attività, è spesso in Europa (Francia e Danimarca), per suonare con formazioni locali.

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Nel 1992 ha pubblicato le proprie memorie in The Jazz Crusade (Special request books), vera e propria fonte inesauribile di infor-mazioni sul jazz delle origini, ed ha rilanciato l’attività della casa discografica registrando oltre 100 session della propria formazione anche in accompagnamento di grandi nomi e di altri musicisti storici del periodo classico.

Nella Easy Riders Jazz Band sono stati spesso presenti due musicisti di assoluto valore.

Il primo, Samuel Sammy Rimin-gton (1942), clarinettista inglese di grande classe ed eleganza, che aveva suonato anche con Ken Colyer dalla fine dei ’50 fino al ’65 , anno del suo trasferimento negli USA, approdato quindi al gruppo di Bissonnette.

Il secondo è uno dei migliori cornettisti del revival più recente, in attività continua dal ’60 ad oggi, con doti di grande sensibilità musicale, squisito fraseggio, rispetto della tradizione senza forzature: Fred Vigorito (1943). La personale amicizia con questo eccellente revivalist, mi ha dato la possibilità di chiedere allo stesso un breve profilo della sua attività. Con la consueta gentilezza mi ha accon-tentato e lo riporto così come ricevuto.

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I protagonisti 67

Hi Gino,I hope this is what you are looking for.Best Regards,Fred

Fred Vigorito(Cornet&Leader,GuilfordCT.,USA)-IhaveledtheGal-vanized Jazz Band, Connecticut’s number one Jazz band, since 1971. Since my retirement from the Southern New England Telephone com-pany in 1995 I have been a full-time musician, playing the music that I love, New Orleans Jazz. Studying cornet beginning at age 9, I played first cornet, first chair in Connecticut’s All-State Band as a high school freshman. I have been playing New Orleans Jazz since 1963 when I joined Big Bill Bissonnette’s Easy Rider Jazz Band. I am featured on more than 50 recordings, my most memorable be-ing a 1965 GHB recording at Preservation Hall with jazz veterans Jim Robinson, Albert Burbank, Creole George Guesno, Alcide “Slow Drag” Pavajeau and Don Ewell. I also recorded with the great George Lewis, Louis Nelson, Kid Thom-as, Emmanuel Paul, Sammy Rimington and others. Other musicians tell me I play a hot, driving cornet style, and I’m flat-tered by those comments! My major influences include Louis Armstrong, Kid Thomas, Kid How-ard, Wild Bill Davison, Bobby Hackett, Muggsy Spanier, and Thomas Jefferson. For the past 8 years, I have been a featured guest performer in France with JP Allessi’s French Preservation New Orleans Jazz Band, and in Denmark with the New Orleans Delight Jazz Band. I look forward to many more years of playing this wonderful, happy music!

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Tra i protagonisti attuali, solo una breve nota per i Bratislava Hot Serenaders (Repubblica Slovacca): sono ritenuti essere la più famosa orchestra jazz del mondo; con una formazione di 18 ele-menti, dal 1992 eseguono con crescente successo jazz degli anni ‘20, con grande rigore stilistico dalle orchestrazioni all’uso di strumenti d’epoca, fino al look.

Infine una segnalazione su una voce che -a mio avviso- sarà una protagonista in futuro. La si comincia a conoscere diffusamente grazie al web.

Il suo nome è Meschiya Lake ed è accompagnata dal gruppo Little Big Horns (http://www.meschiya.com/) da lei stessa creato nel 2009. Meschiya cantava per le strade di New Orleans fino al 2011 (vedi numerosi video su YouTube), ma ha già iniziato a prendere il volo….. voce strepitosa, e lo stile dei Little Big Horns ci conferma che il revival continua ad essere più che vivo…

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I COMPRIMARI

Il successo di una formazione è certamente frutto delle qualità musicali, della tecnica, del carisma e dal nome del leader unite alle capacità organizzative del suo impresario, quando questa figura non coincide con il leader stesso. Riuscire a creare formazioni perfetta-mente equilibrate tra sezione melodica e sezione ritmica, con tutti i musicisti in perfetta sintonia con stile e repertorio, non è sempre semplice o facilmente realizzabile. È sempre stato così e questa regola è ancora vigente.

Di conseguenza il successo di un gruppo è certamente sotteso dal Protagonista, ma è ampiamente supportato dagli altri musicisti che -a volte- sacrificano totalmente il proprio nome a vantaggio del nome dell’intera formazione e del leader.

Appare quindi giusto ricordare alcuni nomi non sempre citati nel testo, che hanno contribuito a fare la storia ed a creare la leggenda del primissimo revival. Il termine “comprimari” suona , ed è, cer-tamente riduttivo per molti dei musicisti ricordati di seguito, ma si perdonerà la dizione se si terrà a mente che in questa sede li stiamo rapportando ai solisti monumentali dell’intera storia del jazz e solo relativamente al periodo del revival.

Jelly Roll Morton, Red Hot Peppers (1939) Significativa la presenza di Sidney Bechet, clarino, ed inoltreSignificativa la presenza di Sidney Bechet, clarino, ed inoltre Henry Red Allen, tromba (190�-19�7) Sidney de Paris, tromba (1905-19�7) Fred Robinson , trombone (1901-1984)

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Claude Jones, trombone (1901-19�2) Albert Nicholas, clarino (1900-1973) Wellman Braud, chitarra (1891-19��) zutty Singleton, batteria (1898-1975)

Louis Armstrong, The All Stars (1947) La formazione è a pagina 36; significativa la presenza di Jack Teagarden, trombone (1905-19�4) – indimenticabili anche

i suoi duetti cantati con Satchmo Earl Hines, piano (Earl Hines, piano (1903-1983) Sidney Catlett, batteria (1910-1951) Cozy Cole, batteria – (1909-1981)

Wingy Manone, His Cats (1940) Joe Marsala, clarino (1907-1978) Johnny Guarnieri, piano – (1917-1985) discendente della

celebre famiglia Guarneri di Cremona, costruttori di violini George Wettling, batteria (1907-19�8)

Bunk Johnson, varie formazioni 1942-1947 la formazione è a pagina 41; significativa in seguito la presenza

anche di Jimmy Archey, trombone (1902-19�7) Jim Robinson, trombone (1892-197�) Edmond Hall, clarino – (1901-19�7) presente anche con gli All

Stars di Armstrong dopo il 1947Omer Simeon, clarino (1902-1959)Alton Purnell, piano (1911-1987)

Lawrence Marrero, banjo – (1900-1959) già citato ma “colonna” di numerose sezioni ritmicheWellman Braud, basso (1891-19��)George Pops Foster, basso (1892-19�9)

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I comprimari 71

Alcide Slow Drug Pavageau, basso – (1888-19�9) vale quanto detto per Marrero

Cyrus SantClair, bassotuba (1890-19�1) Warren Baby Dodds, batteria (1898-1959) Paul Barbarin, batteria – (1899-19�9) nome storico dalle Brass

Band al revival

Sidney Bechet, New Orleans Feetwarmers (1941)Oltre a Tommy Ladnier alla trombaTeddy Nixon, trombone Henry Duncan, pianoErnest Meyers, bassMorris Morland , batteriaDi nessuno è stato possibile ottenere dati anagrafici certi.

Mezz Mezzrow, His Orchestra (1951, Parigi) Lee Collins, tromba (1901-19�0) - nome storico di New Or-

leans Mowgly Jospin, trombone (1924-2003) Guy Lafitte, clarino (1927-1998) Andrè Persiany, piano (1927-2004) zutty Singleton, batteria (1898-1975)

Muggsy Spanier, his Ragtimers (1944) Pee Wee Russell, clarino (1906-1969) – di scuola swing, ma

fortemente influenzato dallo stile New Orleans di Alcide Yellow Nunes di NO

Miff Mole, trombone (1898-19�1) Eddie Condon, banjo (1905-1973) Gene Schroeder, piano (1908-1974) Bob Haggart, basso (1914-1998) George Wettling, batteria (1907-19�8)

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Resta da ricordare qualche nome di quei musicisti non a lungo presenti in una singola formazione di rilievo, ma che collaborando con più protagonisti (e non solo) hanno comunque contribuito a creare l’ordito sul quale questo fenomeno proveniente da New Orleans, ha potuto riprendere ad essere intessuto negli anni ’40 ed a continuare nel tempo.

William Buster Bailey, clarino (1902-19�7)Danny Barker, banjo (1909-1994) Mutt Carey, tromba (188�-1948)Dick Cary, piano (191�-1994)Bob Casey, basso (1909-1974)Oscar Papa Celestin, tromba (1884-1954) Cutty Cuttshall, trombone (1911-19�8)Joe Darensbourg, clarino (190�-1985)Vic Dickenson, trombone (190�-1984)Ed Garland, basso (1895-1980)Jay C Higginbotham, trombone (190�-1973)Art Hodes, piano (1904-1993)Percy Humphrey (1905 -1995) William Humphrey, clarino (1900-1994)Don Kirkpatrick, piano (1905-195�)John Lindsay, trombone e basso (1894-1950)Louis Kid Shot Madison, tromba (1899-1948)Benny Morton, trombone (1907-1985)Alphonse Picou, clarino (1878-19�1)Sammy Price, piano (1908-1992)Lester Santiago, piano (1898 ? -19�5)Bud Scott, chitarra (1890-1949)Jabbo Smith, tromba (1908-1991)

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IL REVIVAL IN EUROPA

In Europa si guardava con grande interesse al jazz e gli artisti che dall’America venivano sul continente a dare concerti ricevevano ottime accoglienze, rese ancora migliori dalla relativa assenza della segregazione razziale e dei pregiudizi che ancora imperavano in America32.

Questo fece sì che molti jazzisti intraprendessero lunghe tourneè in Europa stimolando la nascita di molti gruppi di ammiratori ed imitatori.

Questa relazione del jazz con l’Europa avrebbe subito una battuta d’arresto nel corso del secondo conflitto mondiale solo per riprendere con ancora maggior vigore negli anni del dopoguerra.

In particolare negli anni del New Orleans Traditional Revival, sulla base dell’entusiasmo di giovani musicisti, si formarono complessi più o meno professionali, che rappresentarono un primo seme di diffusione del jazz classico. Tale seme avrebbe germogliato rapida-mente ed i gruppi creatisi avrebbero fatto proseliti.

Molti appassionati degli anni ’50, che avevano iniziato creando un piccolo complesso trad solo per divertimento o passione, sono poi rimasti sulla breccia per molti anni successivi, con un grado crescente di professionalizzazione.

Ecco quindi una rassegna di nomi e gruppi, articolati per na-zionalità.

32 Nazismo e leggi razziali fasciste sarebbero venuti rispettivamente nel �933 e nel �938.

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Inghilterra - Nel Regno Unito, il pianista George Webb (1918-2010) formò i suoi Dixielanders nel 1943. Il suo materiale di base erano le prime registrazioni di Oliver, Morton e Armstrong. I Dixielanders fecero alcune registrazioni per la Decca. Il trombettista Humphrey Lyttelton (1921-2008) si unì alla band e ne assunse la lea-dership. Nel 1949, la band realizzò anche alcune registrazioni storiche con Sidney Bechet.

La band di Lyttelton ha continuato a registrare molte sedute per l’etichetta Parlophone, producendo anche un brano che raggiunse il Top 20 Hit nel 1955: Bad Penny Blues . Questo è stato il primo brano di jazz a entrare in questa classifica radiofonica, con una formazione jazz “minima” (tromba, piano, basso, batteria) resistendovi 6 settimane.

In quegli anni, il trombettista Ken Colyer (1928-1988) stava recandosi a New Orleans non solo per ascoltare jazz tradizionale di

prima mano, ma per realizzare un suo sogno: suonare con il suo idolo, Geor-ge Lewis. Rientrava quindi nel Regno Unito per diffondere il… Vangelo.

Subito fondò un gruppo che com-prendeva Chris Barber (1930), Monty Sunshine (1928-2010) e Lonnie Do-negan (1931-2002). Ritmicamente la band non suonava come una band di New Orleans. Il loro era uno stile so-

stanzialmente di “seconda scuola”, secondo lo schema esposto prima. In quegli anni, fino al 1965, ha suonato con Colyer anche Sammy Rimington, (vedi pag. 64) clarinetto di grande eleganza.

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Colyer formò un altro gruppo che comprendeva il batterista Colin Bowden (1932). Questa formazione risultò essere quella che ha ottenuto il sound più vicino al suono di New Orleans.

Colyer era riuscito finalmente a plasmare una band che suonava un ottimo jazz, lontano dal successo commerciale ma personalmente destinato a diventare una figura di culto per gli appassionati europei del jazz tradizionale.

Successivamente ad una uscita dal gruppo di Ken Colyer, si creò un’altra band: Chris Barber -trombone- e Monty Sunshine -clarinetto- con Pat Halcox (1930) alla tromba e Donegan al banjo, fondarono la Chris Barber Band, ancora oggi attivissima e di grande notorietà.

Il clarinettista Cy Laurie (1926-2002), seguì le orme delle band degli anni ‘20. In particolare, egli tentò di assimilare e riprodurre il suono di Johnny Dodds. Il suo cornettista Ken Sims in seguito si unì alla band guidata da un’ altra stella del clarinetto, Acker Bylk (1929). Il gruppo di Bylk aveva un batterista meraviglioso, Ron McKay, che contribuì a far divenire la band di Bylk, alla fine degli anni ’50, una delle grandi stelle delle Hit Parade del Regno Unito.

Il batterista Barry Martyn (1941) organizzò vari concerti e tour-nèe europee con grandi musicisti di New Orleans, conosciuti in un suo viaggio in Louisiana nel 1961. Fu tra i primi jazzisti bianchi a sostenere le formazioni “miste”. Nel 1970 formò The Legends of Jazz, una formazione con grande attività discografica.

Da ricordare, infine, i nomi di Terry Lightfoot (1935), pri-ma clarinettista con Chris Barber e successivamente con proprie

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formazioni, e del cornettista Kenny Ball, ma quest’ultimo dopo inizi traditional spostò il repertorio e il modo di suonare su binari assolutamente commerciali.

Francia – Sulle basi di un diffuso interesse per il ragtime fin dal 1900 -in occasione dell’Expo di Parigi- e protrattosi ed allargatosi alle altre forme musicali importate dall’America (basti pensare al suc-cesso del Quintetto dell’Hot Club de France con Django Reinhardt - 1910, 1953 - peraltro belga), già dal 1945 il revival in Francia aveva ricevuto un ottimo riscontro da parte dei giovani, e non solo.

Claude Luter (1923-2006), clarinetto e Claude Philippe , banjo, rappresentarono la punta di diamante del movimento. Luter sarebbe diventato quasi inseparabile partner di Sidney Bechet, quando questi si trasferirà in Francia nel 1949. Per una misura della penetrazione del revival basti pensare che nell’ottobre del 1955 Bechet avrebbe festeggiato il milionesimo disco venduto, con la Francia naturalmente al primo posto per gli acquisti (Disco d’Oro Vogue).

Un certo contributo, anche se occa-sionale per quanto riguarda lo stile New Orleans, fu dato da Claude Bolling (1930), più votato allo swing. In ogni caso alcune collaborazioni con Boris Vian, sicuramente devoto allo stile classico oltre che scrittore affermato soprattutto nell’ambito dei circoli esistenzialisti33, contribuirono alla diffusione.

33 Boris Vian (Ville d’Avray, �920 – Parigi, �959) è stato uno scrittore, in-gegnere, cantautore, poeta, trombettista e traduttore francese. Vian ha scritto �0 romanzi, tra cui � thriller del genere hard boiled. Ricordiamo, tra gli altri,

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Vian dal 1942 era entrato a fare parte come trombettista della piccola orchestra di Claude Abadie (1920), clarinettista oltre che direttore del gruppo. Presto, al gruppetto si unirono anche i suoi fratelli: prima Alain, in veste di batterista, poi Lelio, come chitarrista. Il jazz era la loro guerra di resistenza, il grido di ribellione di ogni razza oppressa. I Vian, che si definivano orgogliosamente marrons (gli schiavi neri fuggiti), guardavano con venerazione allo stile di New Orleans, or-ganizzavano festival di swing e furono gli antesignani del bebop.

Dal 22 al 28 febbraio 1948 un evento memorabile segnò la storia della diffusione del Jazz in Francia: si svolge a Nizza il primo festival Jazz al mondo. Questo periodo, senza dubbio il più fecondo per la musica Jazz, vide lo scontro fra due tendenze stilistiche in una specie di “querelle des anciens” (i fautori di un Jazz classico) e “des modernes” (i fautori di un Jazz in evoluzione, il bebop).

Ed è proprio in questo clima che a Nizza, sotto la direzione artistica di Hugues Panassié, Presidente dell’Hot Club de France, si svolse questo primo Festival Jazz internazionale. L’assenza nella programmazione di esponenti della nuova tendenza rivelò una presa di posizione da parte dell’Hot Club a favore del “vecchio stile”: una frattura destinata ad amplificarsi ulteriormente negli anni.

L’Arrache Cœur, L’Herbe Rouge, L’Automne a Pékin e L’Écume des Jours, quello che la critica ha individuato come il suo capolavoro. Autore anche di racconti e canzoni, Vian ha suonato la sua tromba tascabile (che nei suoi scritti si ritrova spesso sotto il nomignolo “trompinette”) nel celebre “Tabou”, club (ormai chiu-so) situato nella Rue Dauphine, nei pressi di Saint Germain des Prés, a Parigi. È stato il “contatto” (tra gli altri) di Duke Ellington e Miles Davis a Parigi. Ha scritto su diverse riviste francesi di jazz (Le Jazz Hot,Paris Jazz) e ha pubblicato numerosi articoli sull’argomento anche in America. Nonostante non abbia mai messo piede in America, i temi di questo paese, il jazz in particolare, si ritrovano spesso nell’arte di Vian.

È stato anche membro del Collège de Pataphysique nonché dirigente del reparto discografico jazzistico presso la Philips.

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Il Festival Jazz nacque nell’elegantissima Opera di Nizza, dove si svolsero i concerti che poi furono ritrasmessi parzialmente alla radio. Nella grande hall sotto le vetrate del Casino Municipale di Place Masséna, dall’architettura Belle Epoque, il pubblico perpetua invece la tradizione popolare propria delle origini del Jazz, che lo vuole associato alla danza. La presenza di Louis Armstrong, nello splendore della sua maturità artistica, suscita l’entusiasmo del pub-blico. La “Nuit de Nice”, serata di chiusura al Négresco in presenza di Stéphane Grappelli e Django Reinhardt (Quintette du Hot club de France), termina all’alba con una formidabile jam session.

Olanda - In concomitanza con il revival negli Stati Uniti, il jazz tradizionale rappresentò la base di un forte interesse per il jazz nei Paesi Bassi. Tuttavia, mentre alcuni gruppi come The Ramblers si sarebbero evoluti nello swing, i pochi gruppi rimasti a suonare jazz tradizionale non riuscirono a creare un più ampio movimento, an-che limitando notevolmente il numero possibili aspiranti musicisti jazz a causa dell’utilizzo di strumenti non disponibili per la maggior parte musicisti olandesi, come contrabbasso e pianoforte. Questi ultimi sono stati costretti a improvvisare e sperimentare nuovi tipi di formazione e di strumenti, risultando in una nuova forma di ensemble jazz generalmente denominato ‘Oude Stijl’ (‘Old Style’) jazz. Tra i gruppi classici e”storici” l’antesignana è di sicuro la Dutch Swing College Band, fondata nel 1945 dal clarinettista Peter Schilpe-roort (1919-1990). La formazione, ancora attiva ed oggi diretta da Bob Kaper, ha sempre riscosso un grande successo, non solo europeo.

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Un ruolo importante lo ha anche svolto dal 1956 in poi la Har-bour Jazz Band, inizialmente fondata da Jaap van Velzen (tromba) e Aad de Moree (clarino), e successivamente diretta, per oltre 30 anni, dal clarinettista Ferdi Meijer. Come per la DSCB il loro successo è internazionale.

Paesi Scandinavi - Formatosi negli anni ’50 in piccole band quali la Royal Jazzman (successivamente Bohana Jazz Band), la Henrik Johansen’s Jazz Band ed i Saint Peter Street Stompers, suo-nando in qualche occasione anche con Chris Barber, il trombonista danese Arne “Papa” Bue Jensen 34 (1930-2011), essenzialmente autodidatta, fondava nel 1956 la Viking Jazz Band (inizialmente battezzata come New Orleans Jazz Band).

Il nome venne dato dal giornalista e cantante americano Shel Silverstein35 che aveva visto uno dei loro concerti durante un soggiorno a Copenaghen. In seguito scrisse un articolo su di loro, chiamandoli i Danish Vikings, raccon-tando che il gruppo suonava l’originale jazz di New Orleans e di Chicago anche

meglio di qualsiasi band americana del momento. La band adottò il nuovo nome e pubblicò il primo album come Viking Jazz Band nel

3� Il soprannome “Papa” gli fu dato dai componenti della band, in quanto Arne era il più anziano e l’unico ad essere già padre.

35 Shel Silverstein (Key West, Florida, USA �930-�999): poeta, dramma-turgo, compositore, paroliere, musicista, scrittore, illustratore. Mick Jagger ha cantato le sue canzoni; sua è la colonna sonora di “Thelma & Louise”; ha avuto la nomination all’Oscar per le musiche di “Cartoline dall’inferno”; ha vinto il Grammy Haward con “A boy named Sue” interpretata da Johnny Cash. Sapeva suonare chitarra, piano, sassofono, e anche il trombone, alternando con disinvol-tura i tasti del pianoforte con quelli della macchina per scrivere, mai disdegnan-do la matita per illustrare le sue idee.

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1958. Nel 1960 la loro “Schlafe Mein Prinzchen” vendette oltre un milione di copie ed ottenne un disco d’oro.

Al grande successo ha corrisposto una notorietà internazionale elevatissima. Jensen ha registrato con George Lewis, Wingy Manone, Wild Bill Davison (che per un certo periodo fu membro permanente della band ), Edmond Hall, Champion Jack Dupree, Albert Nicho-las, e Art Hodes. Nel 1969 la Viking Jazz Band fu l’unica band non americana a partecipare al Jazz Festival di New Orleans e Jensen fu insignito delle “Chiavi d’Oro della Città”. Di fatto è diventato una icona del jazz tradizionale.

Altro gruppo di grande livello è quello dei Peruna Jazzmen , fondato nel ’59 da Arne Hojberg (1941), trombone, e Peter Aller (1932), tromba, a Copenhagen. Il nome Peruna significa Patata in finlandese, ma è anche il titolo di un brano inciso fin dagli anni ’20 da molti gruppi jazz. Formazione con due cornette, clarinetto,

trombone, pianoforte, banjo, washboard e tuba, ha vinto numerosi premi in Francia, Spagna, Usa ed è stata votata come una delle 3 migliori bande al mondo da Jazzology3� in anni più recenti.

36 Jazzology Records è un’etichetta discografica degli Stati Uniti, specializzata in jazz tradizionale. È stata fondata nel �9�9 da George H. Buck, ed opera an-cora, dedicandosi alla conservazione delle grandi, storiche registrazioni di jazz. Sotto il marchio Jazzology operano anche altre importanti etichette, quali GHB Records, Audiophile Records e Black Swan Records, Southland Records e American Music Records. Inoltre pubblicano libri e video. Annualmente indice elezioni su artisti, gruppi musicali e dischi dell’anno nelle varie sezioni ( tradizionale, swing etc.) nelle quali vota il pubblico dei collezionisti.

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I Peruna hanno suonato con molti jazzmen di grande nome ( Louis Metcalf, Bud Johnson, Cy Laurie, Jabbo Smith, Wild Bill Davison ) ed hanno accompagnato Eva Taylor, ve-dova di Clarence Williams, notissimo compositore e direttore d’orchestra del periodo classico. La formazione ha cambiato negli anni qualche nome

nell’organico, ma Hojberg, Aller e la seconda cornetta Mikael Zu-schlag (1953) sono quelli che hanno sostanziato con continuità la connotazione musicale ottimale del gruppo.

(Peter Aller) (Mikael zuschlag)

Germania - Gli anni ‘30 furono un oscuro periodo per il jazz in Germania, poichè le autorità naziste cercarono di eliminare questo genere usando i mezzi della propaganda per demonizzare la musica, i suoi sostenitori e chi la seguiva. Il jazz fu definitivamente proibito all’inizio della Seconda Guerra Mondiale.

Dopo la guerra il jazz iniziò a riemergere, dopo 20 anni di isola-mento, anche grazie ai paesi alleati. Berlino, insieme a Francoforte e Brema erano a capo del ritorno di questa musica. Il Muro di Ber-lino, eretto nel 1961, non diede certo un contributo a particolari fenomeni musicali.

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In questo contesto, quindi, pochi nomi di solisti e gruppi per il genere revival , che si sarebbe affermato negli anni ’80, quelli del secondo revival. Uno dei pochi nomi di riferimento, in un panorama di numerosi jazz club ma di pochi strumentisti o gruppi, è senz’altro quello del giovanissimo clarinettista Klaus Doldinger (1936), il quale a soli 16 anni, nel 1952 fondò il gruppo dei Dixieland Combo Feetwarmers. Ricorda Doldinger: “Non dimenticherò mai il nostro primo concerto. Era al British Cultural Institute a Düsseldorf. Lì, vi erano in realtà numerose persone e per noi è stata una grande sorpre-sa…la novità della nostra musica, esaltata dalla forza della batteria, fu a poco a poco percepita e gradita dal pubblico .” Nel 1953 Doldinger formò il gruppo dei Feetwarmers ed iniziò a registrare con loro nel 1955. Successivamente, 1958, sempre seguito dal grosso pubblico, si allontanò dal Traditional per passare allo swing ed altri generi.

È quindi d’obbligo ricordare Fatty George (Franz Josef Pressler - 1927-1982) , viennese, sax alto prima di passare al clarinetto, che ha studiato al Conservatorio ed all’Accademia di Musica di Vienna, stilisticamente è stato inizialmente influenzato da Benny Goodman. Dopo la seconda guerra mondiale ha suonato nei club degli ufficiali delle forze di occupazione austriaca, in primo luogo per l’Armata Rossa, poi per l’esercito americano. A causa della difficile situazione economica, nel 1949 con la sua band, è andato in Germania. Ha introdotto il concetto di suonare con la stessa band sia dixieland sia cool Jazz, e così ha battezzato la formazione, che comprendeva anche Oscar Klein (1930-2006) alla tromba: Two-sounds Band.

Nel 1955 è tornato con la band (che includeva anche Joe zawinul) a Vienna, ma aveva sostanzialmente lasciato il genere dixie.

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Negli ultimi anni ’50 si cominciava ad af-fermare anche Herbert Christ (1942), tromba, che suonerà come solista con varie formazioni di jazz tradizionale, tedesche e non: soprattutto italiane in questi ultimi anni.

Italia - L’italia è forse il paese europeo che ha assimilato con più entusiasmo lo spirito del Trad, al punto che sono attive ancora oggi band formatesi alla fine degli anni ’40 37.

Il jazz in Italia ha registrato, sia dai primissimi anni, un continuo adattamento da parte del pubblico, ovviamente minoranze iniziali, destinate a crescere nel tempo. L’apprezzamento del jazz rimase ini-zialmente patrimonio dei musicisti. Poi, seguendo la moda dei balli e gusti americani, l’interesse si ampliò negli anni grazie alla radio e molto anche alle orchestre che agivano sui numerosi transatlantici delle rotte per il Nord-America. Negli anni ’40 il jazz era abbastanza diffuso come conoscenza, nonostante il momento politico ostile, ma tale conoscenza era rivolta soprattutto allo pseudo-jazz di allora, ad esempio la musica di Paul Whitman.

Quando iniziò il fenomeno revival in America, in Italia i tempi erano maturi perché parte del pubblico (una minoranza , ma quali-ficata, formata da critici e appassionati) e musicisti avessero svilup-pato un discreto interesse verso il jazz originario e la sua storia . Di conseguenza, subito dopo la fine della guerra, dalla seconda metà dei ’40, accanto ad un fiorire di Hot Club locali -come nel resto d’Europa- ed a collaborazioni dei musicisti locali con le radio alleate, mano a mano che i tedeschi lasciavano l’Italia (non dimentichiamolo: nel 1945 siamo nell’anno della fine della seconda guerra mondiale) oltre ad una sempre maggiore diffusione della musica americana e

37 Jazz Me Blues -http://www.jazzmeblues.it/ - Sito a cura di Lino Patruno, riporta interviste ai leader di numerose band revival dal �9�9 ad oggi.

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del jazz, prese a svilupparsi una particolare attenzione per le origini di quella musica e, di conseguenza, a suonarla. Tra le caratteristiche che ne promuovevano la diffusione vi era sicuramente la gioiosità di buona parte del repertorio, la semplicità armonica (quindi più facilmente eseguibile anche da parte di dilettanti) e - nel caso del riferimento alla musica degli anni ’20 - pochi e semplici assolo.

In particolare il numero dei gruppi che venne a crearsi dal ’49 in poi è stato elevato fin dal primo momento. In Italia, forse, non è il caso di parlare di primo e secondo revival, ma di un fenomeno in discreta crescita senza flessioni, anche in termini qualitativi.

Oggi vi sono ancora attivi gruppi che possono vantare oltre 60 anni di storia, naturalmente con un certo ricambio generazionale tra i componenti, accanto a formazioni giovanissime di nascita, ma già affermate a livello internazionale. Del resto la divulgazione delle informazioni e la loro fruibilità sono divenute rapidissime, grazie a realtà come social network di musica e musicisti quali YouTube , Fandalism, Craiglist 38.

Data la numerosità delle Band, è stato preferibile dare di seguito una breve descrizione dei gruppi storicamente più interessanti 39, che abbiano anche lasciato una testimonianza discografica della loro attività e qualità, mettendoli in ordine cronologico di fondazione.

38 http://www.youtube.com/http://fandalism.comhttp://www.craigslist.org/about/sites39 Supporto fondamentale a questa ricerca sono stati:Giuseppe Barazzetta - Jazz inciso in Italia - Messaggerie Musicali, Milano �959www.Jazzmeblues.it , sito curato da Lino Patrunowww.JazzItalia.newhttp://gerovijazz-jazzfan37.blogspot.it/http://italia.allaboutjazz.com/http://jazztrad.blogspot.it/

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Roman New Orleans Jazz Band – In ordine di tempo è il primo com-plesso revival italiano, costituitosi a Roma nel 1949, che già nel’50 inizia con incisioni e jam session pubbliche con Bill Coleman e Big Boy Goodie. Ha partecipato a numerosi concerti, tournèe e Festival Internazionali. I “pionieri” erano Giovanni Borghi, tr; Luciano Fineschi, tb; Marcello Riccio, cl; Ivan Vandor, ss; Giorgio zinzi, p; Bruno Perris, bjo; Pino Liberati, tuba; Peppino d’Intino, btr. Vandor era l’unico che conoscesse la musica. Nel ’52 Carlo Loffredo, bs, sostituisce Liberati.

Alla fine del ’53 il complesso si sciolse, nonostante i tentativi di Loffredo di ricostituirlo subito, quasi nella sua interezza. Dopo varie peripezie Loffredo creerà un gruppo dal nome simile, la II Roman New Orleans Jazz Band, nel 1956, con una formazione rinnovata.

Secondo alcuni fu Louis Armstrong, con il quale la RNOJB suonò in molte session private durante le sue tournèe in Italia, a trovare il nome al gruppo.

Elevata la sua popolarità, anche per la partecipazione a vari fe-stival del jazz.

Original Lambro Jazz Band – Complesso del 1950, con elevata attività, anche internazionale. Due componenti della band contribui-

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rono organizzativamente all’apertura dei primi due locali di Milano dove si suonava jazz: l’Arethusa ed il Santa Tecla.

Ha subito molte variazioni della formazione; quella del 1950 era composta da Herman Meyer, tr; Giancarlo Garlandini, tb; Bob Valenti e Renato Gerbella, cl; Fabio Mataloni, p; Jack Russo, bjo; Renzo Clerici, cbs; Claudio Clerici, btr.

Jubilee Dixielanders - Complesso costituito alla fine del 1951, con esibizioni all’Arethusa di Milano.

Natale Petruzzelli, tr; Nicola Muti, tb; Felice Cameroni, cl; Guido Ferrario, p; Attilio Casiero, bjo; Gianni Belloni, cbs; Carlo Garagnani, btr.

Junior Dixieland Jazz Band – Costituita a Roma nel 1951 , la formazione cambia nome nel ’53 in Junior Dixieland Gang ed è attiva per incisioni e concerti sostanzialmente fino al ’55. Ne fa-cevano parte Giorgio Giovannini, tr; Alberto Collatina, tb; Sandro Brugnolini, cl; Francesco Forti, bs; Gino Tagliati, p; Gianni Nardi, ch; Boris Morelli, cbs; Franco Morea, btr.

Sonto stati attivi sostanzialmente fino al 1955.

Milan College Jazz Society - Complesso del 1952 , con all’attivo numerose incisioni per la Columbia. Ha suonato con Mezz Mezzrow, Albert Nicholas, Sidney Bechet. Di grande notorietà internazionale.

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In formazione: Giorgio Alberti, tr; Gianni Acocella, tb; Roberto Valenti, cl; Giorgio Cavedon, p; Carlo Bagnoli, ch, bjo; Luigi Ba-gnoli, cbs; Attilio Rota, btr. Il nucleo base è rimasto costante negli anni. Alla fine dei ‘70 Lino Patruno si aggiunse come banjo, mentre Bagnoli passava al sax baritono.

Hanno collaborato con numerosi solisti americani quali Wild Bill Davison, Bud Freeman, Joe Venuti, Eddie Miller, Billy Butter-field, Jimmy McPartland, Barney Bigard, Bob Wilber, Dick Cary, Yank Lawson, Peanuts Hucko, per citarne alcuni. Attivi fino agli anni ’80.

Darktown Dixiecats – Complesso milanese del 1952, con poche incisioni. Suonava spesso all’Arethusa.

Antonio Cavazzuti, tr; Nicola Muti, tb; Giordano Fontana, cl; Nino zamboni, p; Pietro Barenghi, ch; Ciccio Pentangelo, tuba; Claudio Giambarelli, btr. Attivi per pochi anni.

Doctor Dixie Jazz Band - Band bolognese costituita da universitari nel 1952, con frequente cambio di denominazione. Nasce come Superior Magistratus Ragtime band, quindi Panigal Jazz Band nel 1957, Rheno Dixieland Band nello stesso 1957, infine Doctor Dixie Jazz Band nel 1974. È ancora in attività con il suo fondatore Nardo Giardina, tr; Amedeo Tommasi , tb; Beppe Inesi, cl; Carlo Fava, p; Francesco Cassarini, ch; Ugo Franceschini, cbs; Gherardo Casaglia, btr. Hanno suonato nella band anche Pupi Avati e Lucio Dalla. Intensa l’attività concertistica.

Fa particolarmente piacere a chi scrive, segnalare che alle forma-zioni più recenti abbiano partecipato anche dottori chimici.

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Blue River’s Jazz Band – Complesso di Pavia, creato nel 1953, attivo pochi anni. La pur ridotta produzione discografica è stata ampiamente recensita da Musica Jazz40, in quanto ottimo era il li-vello qualitativo. Sembra che agli inizi in formazione vi fosse anche Piero Umiliani, futuro importante compositore e direttore d’orche-stra, sotto altro nome. Pierangelo Pietra, tr; Virginio Bermuzzi, tb; Antonio Maestro, p; Claudio Siragusa, ch; Gigi Verde, cbs; Lalo Rusconi, btr.

Magentonians – Complesso milanese, costituito nel 1953, in attività fino al 1956. Alcuni componenti entrarono a far parte della Original Lambro Jazz Band. Era formata da Giuseppe Ferrario, tr; Francesco Cavallari, tbn; Luigi Foina, cl; Glauco Boninella, p; Mario

�0 Musica Jazz – È la più importante rivista italiana di informazione e critica mu-sicale specializzata in musica jazz e una delle più longeve, non solo in Europa, ma anche nel mondo intero: è pubblicata ininterrottamente dal luglio �9�5, senza aver mai saltato un’uscita, e nell’aprile 20�2 ha raggiunto il 737° numero.

Ha periodicità mensile e dal novembre �98� viene pubblicata con un supporto disco-grafico allegato.

La rivista nasce come “Musica & Jazz” nel luglio del �9�5 a Milano, fondata da Gian Carlo Testoni. Dopo il primo numero a Testoni si affiancherà come caporedattore Arrigo Polillo. Il primo comitato di redazione era composto, oltre che da Testoni e Polillo, da Ro-berto Nicolosi, Giuseppe Barazzetta, Livio Cerri e Giacomo Carrara. Tra i collaboratori esterni, Carlo Alberto Rossi, Enzo Ceragioli, Gil Cuppini e Piero Rizza.

Testoni è uno dei padri fondatori della critica jazz in Italia: nel �935, a soli 23 anni, fonda insieme al pianista Ezio Levi il Circolo del Jazz Hot a Milano, uno dei primi in Italia, situato in Galleria del Corso e nato nonostante l’opposizione del regime fascista a questa musica. Nel �938 pubblica “Introduzione alla vera musica di jazz”, scritto insieme a Levi, il primo saggio specialistico sull’argomento pubblicato in Italia. Nel �953, assieme a Polillo, Barazzetta, Roberto Leydi e Pino Maffei darà alle stampe l’”Enciclopedia del Jazz”, la prima opera del genere edita al mondo.

Fino al �98� la rivista è stata pubblicata dalle Messaggerie Musicali di Ladislao Sugar; è in seguito passata alla Rusconi e, dal 2009, alla 22 Publishing.

Le prime due annate della rivista sono consultabili online a cura del Centro Studi sul Jazz “Arrigo Polillo”, Sezione Ricerca della Fondazione Siena Jazz. Lo stesso sito ha reso disponibile una indicizzazione analitica della rivista.

Nel �965, alla morte di Testoni, la direzione della rivista passa ad Arrigo Polillo al quale, dal �98� al �996, succederà Pino Candini; dal �996 al 200� Claudio Sessa; dal 200� al 20�� Filippo Bianchi; dal gennaio 20�2 Luca Conti.

Il 9 novembre 20�0 è stato inaugurato il sito web www.musicajazz.it

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Pratella, bjo; Mario Marzorati, btr. Riescono a suonare al Santa Tecla, “riserva” quasi esclusiva della Original Lambro Jazz Band.

Original Barrellhouse Jazz Band – Gruppo di studenti di Asti, 1954, che si autodefinivano “emeriti dilettanti”. Il trombonista era Paolo Conte. Nel 1959 diventarono Lazy River Jazz Society, suonando con successo alla gara radiofonica “La Coppa del Jazz” (quarto posto).

Riverside Jazz Band – Nasce a Milano nel 1954 e da subito, sotto la supervisione organizzativa di Lino Patruno, si fonde con altre due formazioni (Seven Diplomatist Jazzmen ed i Windy City Stompers) per poi selezionare la formazione ottimale che sarà ancora Riverside.

La prima Riverside era composta da: Antonio Foletto, tp; Franco Cucchi, tb; Nicola Arena, cl: Luigi Bonezzi, p; Lino Patruno, ch; Gianni Bergonzi, cbs; Francesco Garrassini, btr.

La seconda Riverside era formata da: Ivaylo Peytchev, tp; Alberto d’Altan (sostituito poi da Gianni Acocella) tb; Bruno Longhi, cl; men-tre Enrico Gravina , Gianni Bergonzi, Franco Garrassini prima e Remi Ettore dopo, affiancarono Lino Patruno nella sezione ritmica al posto di quella precedente. Sono stati attivi fino al 1965: il forte coinvolgimento di Lino Patruno nell’acclamatissimo gruppo di Cabaret dei Gufi, avrebbe allontanato il propulsore del gruppo dal jazz per alcuni anni.

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II Roman New Orleans Jazz Band – Come già accennato, Carlo Loffredo nel 1956 riunì un complesso che, dopo varie new entry e contemporanee uscite nel 1957 prese il nome definitivo di Seconda RNOJB. Quest’ultima è stata a lungo attiva, con presenza stabile nel

panorama internazionale e varie partecipazioni a film, trasmissioni radio-tv. La prima formazione che ha inciso (RCA) con il defi-nitivo nome di Seconda Roman New Orleans Jazz Band era composta da Pie-ro Saraceni, tr; Peppino De Luca, tb; Gianni Sanjust, cl; Puccio Sboto, p; Carlo

Loffredo, cbs; Peppino d’Intino, btr. Oltre che con musicisti di fama internazionale, la Roman ha

suonato con Django Reinhardt, Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Oscar Peterson, Earl Hines, Chet Baker, Stéphane Grappelli, Joe Venuti e altri ed ha anche inciso con i musicisti di Armstrong.

Numerosi i Festival vinti o di grande successo (Mosca 1957, Dortmund 1958, Vienna 1959, fino a ricevere nel 1968 a New Orleans, le chiavi d’oro della città).

La Band è stata attiva fino alla metà degli anni ’70, con elevata popolarità grazie alla partecipazione a trasmissioni tv e spettacoli teatrali. Dopo brevissimi periodi di interruzione l’entusiasmo in-cessabile di Carlo Loffredo ne ha fatte nascere numerose altre, fino a questi ultimi anni, anche se con ridotto successo.

Bovisa New Orleans Jazz Band - A Milano negli anni 1960 Luciano Invernizzi, trombonista, fonda la Bovisa , un complesso che s’ispira al più puro stile New Orleans e che, in quarant’anni di attività, accompagna nelle loro tournée in Italia diversi musicisti di

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New Orleans tra i quali citiamo: Louis Nelson, capt. John Han-John Han-dy, Don Ewel, Albert Nicholas, Thomas Jeffer-son, Alvin Al-corn, Emanuel Sayles, Wingy Manone e moltissimi altri. Partecipano e vinconoPartecipano e vincono numerose manifestazioni jazzistiche internazionali. Invernizzi ha anche suonato alla Preservation Hall. Sono attivi ancora oggi.

La prima formazione, ampiamente modificatasi negli anni, preve-deva Giorgio Blondet, tr; Luciano Invernizzi, Tb; Vittorio Castelli, cl; Fabio Turazzi, bjo; Eugenio Pateri, cbs; Terenzio Belluzzo, btr. , ed a seguire Beppi zancan, cl, e Gigi Cavicchioli, cl e ts.

Singoli elementi allontanatisi dai gruppi originari e nuovi giovani

musicisti davano continuità a questa ampia base e quindi negli anni successivi ritroviamo sempre più numerose formazioni revivalist.

Ne ricordiamo solo alcune:

Milano Jazz Gang, (Milano, 1970) più recentemente divenutaMilano Jazz Gang 2, con 5 musicisti polistrumentisti 41

�� Una band di polistrumentisti è una novità quasi assoluta in Italia. La MJG viene unanimemente considerata attualmente dalla critica specializzata una delle migliori orchestre del jazz europeo. È formata da Claudio Perelli (sax alto, sax soprano, clarinetto, voce, arrangiamenti e trascrizioni), Andres Villani (sax baritono, sax alto, flauto), Mauro Porro (piano, “C” melody sax, tenor sax, clarinetto, celesta, arrangiamenti e trascrizioni), Luca Sirianni (banjo tenore & chitarra), Claudio Nisi (basso tuba front-bell). A loro si è aggiunto, divenendone leader, il trombettista Herbert Christ.

Da segnalare Mauro Porro: è un multistrumentista e arrangiatore di soli 27

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Riverboat Stompers , di Paolo Gaiotti, cornetta (Milano, 1975)Red Beans Jazzers, di Max Palchetti, trombone (Firenze, 1976)Ambrosia Brass Band, (Milano, 1981), prima in Italia nel suo genereTicinum Jazz Band, (Pavia, 1985)

* * * * * * *

Napoli - Per quanto riguarda il revival dello stile New Orleans o Dixieland, Napoli rappresenta, come in molte altre situazioni, l’eccezione assoluta42 ! A fronte di un indubbio interesse per la musica jazz e per le correnti musicali del momento e nonostante la presenza di un numero anche consistente di musicisti, professionisti o dilettanti, attenti a questa musica, la totalità di essi non ebbe il benché minimo interesse per il revival.

Non è possibile fare un solo nome, dal dopoguerra fino al 1960, che avesse proposto revival in città. Neanche gli sforzi di singoli appassionati e del Circolo Napoletano del Jazz (fondato nel 1954), che pure erano riusciti ad organizzare in città concerti dei Traditio-nal Dixielanders, della Roman New Orleans Jazz Band, della Junior Dixieland Gang, della Milan College Jazz Society, nè una ampia serie di conferenze e conferenze-spettacolo sulla musica jazz delle origini

anni, la cui passione per il jazz classico l’ha spinto a farsi notare non solo come solista nel più puro stile anni ’20 e ’30 ma anche come valente organizzatore di orchestre. La sua intensissima attività di arrangiatore l’ha infatti portato a costituire numerosi ensemble che, con il massimo slancio filologico, potessero generare una ventata di originalità nell’attuale panorama jazzistico italiano. Per lo sforzo nell’impegno profuso a favore dell’ “hot jazz”, ha ricevuto calorosissimi complimenti da alcuni “mostri sacri” di questa musica in Europa, tra i quali citiamo Keith Nichols, Martin Wheatley e Tom Spats Langham.

�2 Franco Ottata – Il jazz a Napoli – Di Giacomo editori, Napoli �962Gildo De Stefano – Vesuview Jazz – ESI , Napoli �999Diego Librando – Il Jazz a Napoli – Guida, Napoli 200�

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introdotte da critici quali Roberto Leydi, Arrigo Polillo, Roberto Capasso, né infine le esibizioni di Lionel Hampton (1956) o di Louis Armstrong (ultima volta nel 1959), pur affollatissimi ed ap-plauditissimi, hanno mai smosso interesse musicalmente attivo verso il jazz primigenio. L’attenzione di musicisti professionisti ed anche -sorprendentemente- quella dei dilettanti, a Napoli era tutta rivolta al jazz di qualche anno prima, swing, o del momento, bop.

Qualche timida proposta fu fatta agli inizi degli anni ’60 fino al 1967, da una formazione dilettantistica di universitari napoletani, che riuscì ad esibirsi con repertorio strettamente New Orleans in più occasioni pubbliche o sessioni private, la New Orleans Jazz Society con Gino Romano, tr; Franco Astarita, tb; Benito Saviano, cl; Franco Saviano, bjo; Elvio Porta, cbs; Gianni Maglio/Vito Miccoli, btr.

…. ma questa è un’altra storia 43.

�3 Gino Romano – Jazz Experiences: Storia di un microgruppo amatoriale di jazz tradizionale – De Frede, Napoli 20��

da sinistra: Miccoli, F. Saviano, B. Saviano, Astarita e Romano

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Mi piace anche ricordare, rara avis di recentissima fondazione, la Dolly Dixie Band di Caserta , che propone -a livello professio-nale- musica di King Oliver, Louis Armstrong, “anni ruggenti” in genere.

Leader Pasquale Posillipo ed in formazione: Matteo Franza, tr; Francesco Izzo, tb; Pasquale Posillipo, cl; Emilio Merola, sax; Tanya Amendola, p; Alexandre Cerda, tuba; Marco Barbato, btr.

* * * * * * *

Prescindendo dai gruppi musicali, il Trad nazionale si è basato, negli ultimi cinquant’anni, su due colonne portanti: due nomi che -ancorchè citati nel contesto precedente- non possono non avere una loro personale evidenza: Carlo Loffredo e Lino Patruno.

Carlo Loffredo (Roma, 1924) -Una vita dedicata al Jazz, a creare jazz band ed a scoprire e portare al successo giovani talenti, come Romano Musso-lini, Nunzio Rotondo, Marcello Rosa, Gianni Sanjust, Luca Velotti, Peppino D’amato, Eddie Palermo, Michele Pavese, Carlo Ficini, Sebastiano Forti e Gianluca Galvani, tanto per citarne qualcuno. Il Presidente Sandro Pertini lo ha nominato Commendatore con la motivazione “Per aver fatto Conoscere il Jazz ed i musicisti Italiani nel Mondo”. Vincitore di tre Festival Internazionali, Praga 1947, Mosca 1957 e Vienna 1959.

Nel 1968 in occasione di un Festival Mondiale che si tenne a New Orleans per festeggiare il ritorno a casa di Louis Armstrong dopo 25 anni di lontananza , porto’ la sua jazz band a suonare a Canal Street

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ed in quella occasione il sindaco della città lo nominò “Cittadino Onorario della città del Jazz”.

Ha suonato con tutti i più grandi jazzisti del mondo, per non citarli tutti basterà dire: Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Django Reinhardt, Stephan Grappelli, Teddy Wilson, Oscar Peterson, Bobby Hackhett, Jack Teagarden, Earl “Fatha” Hines, Albert Nicholas e Chet Baker.Co-fondatore delle due Roman New Orleans Jazz Band e di nu-merosi altri gruppi, nel 2008 ha affidato alle stampe la sua auto-biografia Billie Holiday, che palle! 44, pubblicata da Coniglio editore, voluminosa e ricca di notizie interessanti (ma anche di alcune im-precisioni).

Lino Patruno (Crotone, 1935) - Nato in Calabria, si trasferì prima a Roma, poi a Milano, fulcro del movi-mento jazzistico italiano, dove inizia ad esibirsi nel 1954, fondando alcune band jazz tra le quali la Riverside Jazz Band. Successivamente passa nella Milan College Jazz Society.

Nel 1964, avendo dato vita al Teatrino dei Gufi interrompe l’attività jazzistica che riprende nel 1967 con l’incisione di dischi jazz in compagnia di alcuni dei maggiori jaz-zisti mondiali,quali Albert Nicholas, Joe Venuti, Bill Coleman e numerosi altri.

�� Nel testo, l’autore pur senza pentirsi della “violenza” del titolo, dichiara di sapere benissimo che questo avrebbe suscitato le doglianze di molti appassionati. Mi unisco a questi ultimi riconfermando che a mio avviso Billie Holiday resta una delle più grandi voci del jazz.

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Successivamente, trasferitosi a Roma, fonda il “Lino Patruno Jazz Show” con il quale si esibisce regolarmente nei locali capitolini e nei festival del jazz in Italia e all’Estero.

Con Pupi Avati ha scritto il soggetto e la sceneggiatura del film Bix che rappresentò l’Italia al Festival di Cannes nel 1991, curandone anche la colonna sonora assieme a Bob Wilber.

Fra i festival Internazionali delle Nazioni Unite cui Patruno ha preso parte ricordiamo quello di Sanremo nel 1963, quello di Niz-za nel 1976 e 1977, quello di Breda (Olanda) nel 1978, quelli di Pompei, di Palermo, di Lugano, di Lucerna, di Berna, di Sargans, di Dusseldorf, di Varadero (Cuba), tutti negli anni ottanta, quello di Davenport (Iowa, USA), quello di Libertyville (Chicago) negli anni novanta, quelli di Ascona (1998 / 2003).

Nel dicembre del 2001 ha ricevuto l’investitura di Accademico della Musica conferitogli dall’Accademia Europea per le Relazioni Economiche e Culturali e dal 2003 tiene seminari di Storia del Jazz alla Casa del Jazz, all’Università di Roma Tre e di Storia delle Colonne Sonore alla NUCT (Università del Cinema e della Televisione) di Roma a Cinecittà.

Lino Patruno incide per la Jazzology, la prestigiosa casa discogra-fica con sede a New Orleans. Nei CD che ha realizzato negli ultimi anni ha inciso con alcuni grandi nomi del jazz classico odierno: Randy Reinhart, Ed Polcer, Randy Sandke, Jon-Erik Kellso, Tom Pletcher, Dan Barrett, Bob Havens, Allan Vache, Evan Christopher, Jim Galloway, Mark Shane, Howard Alden, Bucky Pizzarelli, Frank Vignola, Marty Grosz, Andy Stein, Frank Tate, Ed Metz Jr, Joe Ascione, Vince Giordano, David Sager, Rebecca Kilgore e altri.

È autore di Quando il jazz aveva swing (2009) e Una vita in jazz... e non solo (2001) Pantheon Editore.

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IL REPERTORIO e suggerimenti bibliografici

Il repertorio del revival è sostanzialmente, per buona parte, obbligato. Oltre il novanta percento dei brani proposti sono natu-ralmente brani di un passato più o meno recente rispetto alla fine degli anni trenta.

Ne fanno parte innanzitutto i grandi classici standard dello stile New Orleans delle origini, quali marce, blues, spirituals, ballate po-polari di incerta origine della fine dell’ ottocento e dei brani com-posti per le formazioni d’ “oro” -sopra tutti quelle di J.R. Morton, K. Oliver, L. Armstrong, C. Williams, S. Bechet- dei primi anni del novecento.

Fonti bibliografiche - L’elenco che segue è una selezione dei titoli dei brani relativamente al revival ed ai suoi protagonisti, ri-portati da:

Hugues Panassiè , Guide to Jazz ( Riverside Press , 1956), Rex Harris e Brian Rust, Recorded Jazz: A Critical Guide (Penguin Books, 1957),Frederic Ramsey, A Guide to Longplay Jazz Records (Long Player Publications, 1954), Jorgen Grunnet Jepsen, Jazz Records 1942-19�5 (Karl Emil Knudsen, 1966)Tom Stagg and Charlie Crump, New Orleans, The Revival (Bashall Caves Publication, 1973),Giuseppe Barazzetta, Jazz inciso in Italia (Messaggerie Musicali, 1960),

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Joachim E.Berendt - Il libro del Jazz, Garzanti, 1967,Gino Romano, Jazz Experiences. Le Brass Band, De Frede 2012,John F. Szwed, Jazz. Una guida per ascoltare ed amare la musica jazz (EDI, 2010), che hanno rappresentato una guida sicura alla compilazione.Ricordiamo quindi alcuni titoli proposti pratica-mente da tutte le formazioni Traditional:

1. AT A GEORGIA CAMP MEETINGS (K. Mills, incerto, 1897)2. BYE AND BYE (spiritual)3. BUGLE BOY MARCH4. DOWN BY THE RIVERSIDE (spiritual)5. IN THE SWEET BYE AND BYE (spiritual)6. JUST A CLOSER WALK WITH THEE (spiritual)7. JUST A LITTLE WHILE TO STAY (spiritual)8. OLD RUGGED CROSS (spiritual)9. OVER IN THE GLORYLAND (spiritual)10. WALKIN WITH THE KING (spiritual)11. WE SHALL NOT BE MOVED (spiritual)12. WE SHALL WALK IN THE STREETS aka RED RIVER VALLEY (spiritual)13. WHEN THE SAINTS GO MARCHIN’ IN (spiritual )14. AURA LEE aka LOVE ME TENDER (marcia militare)15. BATTLE HYMN OF THE REPUBLIC (marcia militare)16. MARYLAND, MY MARYLAND (marcia militare)17. FARAWAY BLUES (blues tradizionale)18. FRANKLIN STREET BLUES (blues tradizionale)19. SEE SEE RIDER (blues tradizionale)20. FRANKIE AND JOHNNIE (ballata popolare) aka STACK ‘O LEE BLUES

Il repertorio si basa inoltre su altra produzione di età più recente e con autori certi, in alcuni casi gli stessi leader quali Armstrong, Ory,

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Il repertorio 99

Barbarin, Watters, i Firehouse 5+2. La gran parte dei brani ovviamente non era destinata al Trad: basti soffermarsi sui nomi degli autori quali Clarence Williams, Spencer Williams e William C. Handy, e sulle date di pubblicazione, ma le caratteristiche delle composizioni si prestavano ad arrangiamenti ed esecuzioni in perfetto stile New Orleans: eseguite quindi dai gruppi di grande nome, sono diventati degli hit del revival.

21. ACE IN THE HOLE (G. Mitchell e J. Dempsey, 1909)22. AFTER YOU’VE GONE (Turner Layton, 1918)23. AIN’T GONNA GIVE NOBODY NONE OF MY JELLY ROLL (Spencer e Clarence Willams, 1919) 24. AIN’T MISBEHAVIN’ (Fats Waller, 1929)25. AT THE DARKTOWN STRUTTERS BALL (S. Brooks, 1915)26. ATLANTA BLUES (William C. Handy, 1916) aka MAKE ME A PALLET ON THE FLOOR27. AUNT HAGAR BLUES (William C. Handy, 1920)28. BABY WON’T YOU PLEASE COME HOME (C. Williams, 1920)29. BALLIN THE JACK (Chris Smith, 1913)30. BASIN STREET BLUES (Spencer Williams, 1923)31. BEALE STREET BLUES (William C. Handy, 1916)32. BETWEEN THE DEVIL AND THE DEEP BLUE SEA (Harold Arlen & Ted Koeler, 1931)33. BILL BAILEY, WANT YOU PLEASE COME HOME (Hughie Cannon, 1902)34. BLACK AND BLUE (Fats Waller, 1929)35. BUDDY BOLDEN BLUES (J. R. Morton, 1924)36. BUGLE CALL RAG (William C. Handy, 1916) aka OLE MISS37. BURBON STREET PARADE (Paul Barbarin, 1949)38. CAKE WALKIN’ BABIES FROM HOME (C.Williams, 1924)39. CARELESS LOVE (canzone folk del Sud degli USA, trascritta come blues da William C. Handy, 1921)

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Il repertorio 101

40. CHINATOWN, MY CHINATOWN (H. Schwartz & H. Jerome, 1931)41. CLARINET MARMALADE ( Larry Shields, 1918)42. CONFESSIN’ (Nesburg, Dougherty & Reynolds, 1929)43. CORRINE CORRINA (B. Chatmon, 1928)CORRINE CORRINA (B. Chatmon, 1928)44. DEAR OLD SOUTHLAND ( Turner Layton, 1921)45. DINAH ( Harry Akst, 1925)46. DIPPERMOUTH BLUES aka SUGAR FOOT STOMP (Louis Armstrong, 1917)47. DOCTOR JAzz (JoeDOCTOR JAzz (Joe King Oliver, 1926)48. EMPEROR NORTON’S HUNCH (Lu Watters, 1949)49. EVERYBODY LOVES MY BABY (Spencer Williams, 1924)50. FAREWELL BLUES (Leon Rappolo, 1923)51. FIDGETY FEET (Nick LaRocca & Larry Shields, 1918)52. GEORGIA IN MY MIND (Hoagy Carmichael, 1939)53. HIGH SOCIETY (Alphonse Picou, probabilmente 1911)54. I AIN’T GOT NOBODY (Spencer Williams, 1908)55. I FOUND A NEW BABY (J. Palmer & S. Williams, 1926)56. I’LL BE GLAD WHEN YOU’RE DEAD, YOU RASCAL YOU (Spencer Williams, 1919)57. INDIANA (Hanley, 1917)58. I WISH I COULD SHIMMY LIKE MY SISTER KATE (Louis Armstrong, 1919)59. JADA (Bob Carleton, 1918)60. JAMBALAYA (Hank Williams, 1952)61. JUST A STOMP AT A TWILIGHT (Firehouse 5+2, 1957)62. LAzY RIVER (Hoagy Carmichael, 1931)63. LONESOME ROAD (Nat Shilkret,1930)64. MUSKRAT RAMBLE (Kid Ory, 1925)65. NEW ORLEANS FUNCTION (Inni del funerale in stile New Orleans, adattate ed incise per primo da J.R. Morton nel 1939)66. OLD FASHIONED LOVE (James P. Johnson, 1930)67. PANAMA (William H. Tyers, 1920)

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68. POTATO HEAD BLUES (Louis Armstrong, 1927)69. ROYAL GARDEN BLUES (C. e S. Williams, 1919)70. RUNNIN’ WILD (Cecil Mack & Johnny Johnston)71. SHEIK OF ARABY (Francis Wheeler, 1921)72. SHIM ME SHA WABBLE (Spencer Williams, 1916)73. SOUTH (Benny Moten, 1916)74. ST. JAMES INFIRMARY (Irving Mills, dubbio, 1928)75. ST. LOUIS BLUES (William C. Handy, 1916)76. STRUTTIN’ WITH SOME BARBECUE (L. Armstrong, 1927)77. SWEET GEORGIA BROWN (M. Pinkard e B. Bernie, 1924) 78. SWEET SUE, JUST YOU (Victor Young, 1928)79. THAT’S A PLENTY (Lew Pollack, 1905)80. TIGER RAG (Nick LaRocca, 1917)81. TIN ROOF BLUES (New Orleans Rhytm Kings, 1923)82. TISHOMINGO BLUES (Spencer Williams, 1917)83. TROUBLE IN MIND (Ralph Jones, 1924)84. TWELFTH STREET RAG (Euday Bowman, 1900)85. WABASH BLUES (Meinken Ringle, 1921)86. WAY DOWN YONDER IN NEW ORLEANS (T. Layton, 1922)87. WEARY BLUES (Art Matthews, 1915)88. WEST END BLUES (Joe King Oliver, 1925)89. WHEN YOU SMILING (Louis Shay, 1929)90. WOLVERINE BLUES (J. R. Morton, 1920)

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LE ETICHETTE DISCOGRAFICHE

Nel mare magnum delle case discografiche americane, in questo contesto ne vogliamo ricordare solo due.

Prescindendo dalle Maior (RCA Victor, Columbia, Brunwick ), tutti o quasi i musicisti ed i gruppi che abbiamo citato hanno inciso con quella che è l’ etichetta discografica del revival per eccellenza: la Good Time Jazz.

Fondata da Lester Koenig nel 1949 a Los Angeles, si dedica esclusivamente al jazz contemporaneo, soprattutto il revival. I pri-mi dischi che registra sono infatti quelli dei Firehouse 5+2 , seguiti dalle performances di Jelly Roll Morton, Kid Ory, George Lewis, Lu Watters, Turk Murphy, Bunk Johnson, solo per citare i principali.

Le ultime registrazioni sono del 1969. Dopo la morte di Koenig nel 1977, tutte le registrazioni furono acquisite dalla Fantasy Re-cords45, che antologizzò molto del materiale, la quale fu a sua volta acquisita dalla Concord Music Group nel 2004.

Un aspetto non indifferente dei prodotti Good Time Jazz era il modo di presentare i propri dischi: per la prima volta infatti, nel retro della loro robusta confezione in cartoncino, veniva riportata la storia della band, con dettagli, date e osservazioni. Fu qui che, per la prima volta, apparve il termine Traditional come aggettivo descrittivo di questa musica.

Come riferisce Corrado Barbieri “Era l’inizio della vera e propria cultura jazzistica scritta” 46.

Le copertine dei dischi erano illustrate con un assolutamente

�5 Concord Music Group http://www2.concordmusicgroup.com/labels/?label=Riverside�6 Corrado Barbieri – La leggendaria GTJ- in http://www.jazznellastoria.com/leggendaria.html

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Le etichette discografiche 105

innovativo stile grafico Pop, che le distinse immediatamente da ogni altro prodotto discografico e che le rende riconoscibili a prima vista tutt’ora. Una curiosità a margine di questi prodotti fu che alcuni dischi erano stampati in vinile rosso anziché nero.

Altra grande etichetta fu la Riverside Records. Fondata a New York nel 1953 da Bill Grauer, per un decennio è stata anche leader nelle vendite. Gran parte del jazz classico Dl ’53 al 56 ha inciso con questa etichetta, che successivamente seppe anche aprirsi ai nuovi stili jazzistici: Thelonius Monk, Cannonball Adderley, Bill Evans, Sonny Rollins sarebbero stati legati molti anni a questa etichetta. Anche in questo caso, con la scomparsa di Grauer nel ‘63, dopo pochi anni -nel 1972- la Riverside Records fu acquisita dalla Fantasy Records, la quale ha ristampato molto ma non tutto, in considerazione anche dell’enorme mole di incisioni.

Delle etichette europee, una su tutte: la Storyville Records 47, danese, fondata nel 1952 da Karl Emil Knudsen.

Dotata di materiale originale vintage, ha anche realizzato numerose proprie incisioni con i principali esponenti del jazz europeo quali Ken Colyer, Chris Barber, Monty Sunshine e Papa Bue Jansen.

L’etichetta ha continuato ad operare sul mercato discografico fino ad oggi, anche ampliando il catalogo ad altri generi.

�7 Da non confondere con la Storyville Records americana, fondata da George Wein, più impegnata sul jazz moderno.

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UN PERCORSO DI ASCOLTO

Qualche anno fa sarebbe stato molto facile enumerare una serie di dischi utili a chiarire, più di tante parole, sfumature di differenze difficili da descrivere in un testo. Purtroppo da molti anni ormai le case discografiche stampano, ristampano, riassemblano, creano se-lezioni -a volte improbabili- e soprattutto rendono di non semplice reperibilità quei brani che il collezionista in precedenza trovava in album che non si modificavano negli anni. Tutt’al più cambiava un numero di catalogo. Inoltre il jazz tradizionale non ha legioni di adepti, quindi suggerire dischi di difficile reperibilità sarebbe stato altrettanto inutile.

Una soluzione per fornire il lettore di un minimo supporto mu-sicale esplicativo, è quello che si propone in questa sede: organizzare una playlist commentata su YouTube, della quale diamo qui i contenu-ti essenziali, in modo da richiedere al lettore un solo accesso alla rete, e da quello ascoltare in sequenza o selezionare quanto proposto.

Come sempre quando si fa un elenco, le scelte potranno sem-brare opinabili48: lo sono! Ma certamente esse non vogliono essere rappresentative della esaustività di una indicazione, ma piuttosto il riferimento di partenza per sviluppare personalmente una ricerca. Anche la numerosità è opinabile così come la richiesta dei …3, 5, 10… libri che portereste con voi sull’isola deserta. Personalmente ritengo che elenchi troppo brevi siano inutili e che quelli troppo lunghi siano dannosi, nel senso di confondere il lettore.

�8 Georges Perec – Pensare, classificare – Rizzoli, Milano �989

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Una playlist su Youtube in generale ha una sua valenza se si attesta intorno ai 100 titoli, ed è quello che è stato fatto, decidendo di fermarci a 105.

Quando per la stessa esecuzione (fonte discografica) il filmato era proposto da più account, è stato scelto quello con la migliore resa acustica piuttosto che di filmato (in genere foto d’epoca). Se invece l’esecuzione era supportata da una ripresa live , questa è stata preferita. La playlist è composta secondo l’ordine ed i titoli riportati. Ulteriori note critiche e formazioni sono presenti nelle note e commenti di ciascun video. Di fianco ai nomi dei musicisti sono riportati gli ambiti degli anni scelti per le registrazioni proposte.

YOUTUBE – Playlist a cura del canale NewOrleansJS Digitare: [“traditional jazz revival” playlist] oppure htt://www.youtube.com/playlist?list=PLDCC1A69FB91183A8

Scuola 1 a

Jelly Roll Morton , 1939 e 1940 Mama’s Got A Baby - Jelly Roll Morton’s Hot Seven Panama High Society Oh, Did’nt he rambleLouis Armstrong , 1947-1955 Mahogany Hall stomp High Society Struttin’ with some barbecue Cornet Chop Suey Dear Old Southland Atlanta Blues

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Un percorso di ascolto 109

St Louis Blues Ain’t Misbehavin Panama When The Saints go Marchin’ inWingy Manone , 1935-1947 Tar Paper Stomp When the Saints go marchin’in At the Jazz Band Ball Kid Howard , 1954-1962 Just a closer walk with Thee Maryland, my Maryland Gettysburg March Walkin with King Scuola 1 b

Bunk Johnson , 1942-1945 Down by the riverside Tishomingo Blues Sister Kate Careless loveSidney Bechet , 1038-1945 Really the Blues Weary Blues Perdido Street Blues Muskrat Ramble JaDa Old Fashioned Love

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Tommy Ladnier, vedi BechetMezz Mezzrow, vedi BechetKid Ory , 1944-1954 South Savoy Blues Careless Love Tin Roof Blues CompilationGeorge Lewis , 1950 Burgundy Street Blues Jazz Party , part 1 Jazz Party , part 2Kid Rena , 1940 Milenberg JoyPunch Miller , Dinah Sister Kate

Scuola 2

Muggsy Spanier, 1939-1945 Big Butter and Egg Man Sweet Lorraine Lonesoame Road When the Saints go marchin’ in Dippermouth BluesBob Crosby, 1939-40 Hindustan

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Un percorso di ascolto 111

The Washington Post March El CapitanWild Bill Davison , 1949-1951 Darktown Strutters Ball Muskrat Ramble Eccentric Max Kaminsky , 1956 Royal Garden BluesGeorge Brunies, vedi SpanierSharkey Bonano, 1950-1951 Muskrat Ramble That Peculiar RagPete Fountain, 1959 China Boy

Scuola 3

Lu Watters , 1941-1946 Riverside Blues Tiger Rag Original Jelly Roll Blues Canal Stret BluesTurk Murphy, 1940-1972 Turk’s Blues After you’ve gone Tiger Rag When you smilin’

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Bob Scobey, 1951 That’s a plenty Long GoneBob Helm, vedi Lu Watters e Turk MurphyFirehouse 5+2, 1951 South She was just a sailor sweetheart Red River Valley Frankie and JohnnyBig Bill Bissonnette, 1965-1976 Sheik of Araby My old Kentucky Home Just a little way to stayFred Vigorito, 1962-2010 Saturday Night Function The Old Rugged Cross Canal Street Blues

E per concludere alcune registrazioni di gruppi europei.Ken Colyer - 1951, Walkin with the King ; 1958, Bye and Bye Humphrey Lyttelton - 1954, The Onions ; 1958, Trouble in Mind Chris Barber – 1954, Compilation ; 1956, Wabash Blues K. Colyer, C. Barber, M. Sunshine, L. Donegan - 1954, Easter ParadeTerry Lightfoot - 1962, Maryland, my Maryland Boris Vian - 1958, Jazz me Blues, Sheik of Araby Claude Luter - 1962, Creole Dance Dutch Swing College Band - 1952, Doctor Jazz ; 1981, Tin Roof Blues

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Un percorso di ascolto 113

Papa Bue’s Viking Jazz Band – 1959, The Old Spinning Wheel; 1962, Down by the riverside

Roman New Orleans Jazz Band - 1952 , C Jam Blues Original Lambro Jazz Band - 1952, Big Bear Stomp Bovisa New Orleans Jazz Band - 1979, Linger Awhile Milan College Jazz Society – 1980, Everybody loves my baby Lino Patruno, Carlo Loffredo - 1995, Compilation

Peruna Jazzmen - 1966, Mahogany Hall Stomp ; 1988, Senegalese Stomp Storyville New Orleans Jazz Band - 2004, I’ll take you home again, Kathleen Ragnar Tretow & NOLA - 2011, Far away Blues Mikael Zuschlag - 2009, Somebody stoles my gal Baked Beans Jazzers & Eva Lolle - 2009, Hold that engine; 2010, Runnin’ Wild New Orleans Jazz Society - 1967, When the Saints go marchin’ in.

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CONCLUSIONI

Al termine di questo volume, spero sia apparso chiaro un aspetto fondamentale del tema trattato: il revival non è un “periodo” limitato della storia e dell’evoluzione del jazz, appannaggio di dilettanti e nostalgici. Esso piuttosto è un movimento che -dopo aver iniziato con il piacere di ricreare e riproporre un genere abbandonato- lon-tano dal ritenere che un nuovo modo artistico di esprimersi possa cancellare e rendere sorpassato quello antecedente, ha rivitalizzato quel genere, anche grazie a sperimentazioni ed approcci assoluta-mente moderni.

In definitiva, uno stile, che attinge al passato, ma non neces-sariamente si cristallizza in mediocri stereotipi, che pure esistono e dai quali si deve saper prendere le distanze. Si può essere creativi anche all’interno di una tradizione e non necessariamente essendo innovativi al di fuori di essa1 .

In quanto stile, essendo quello più longevo, ha ancora le ca-ratteristiche evolutive che lo portano ancora a proporre -sia pure in quantità limitata- jazz di qualità eccellente in tutto il mondo, suscitando interesse musicale e storico, e creando influenze, come ad esempio è avvenuto nel caso di Woody Allen2.

� Winton Marsalys – Come il jazz può cambiarti la vita. Cap.7 - Feltrinelli, Milano 2008

2 Woody Allen (New York, �935) , è un regista, sceneggiatore, attore, compositore, scrittore e commediografo statunitense, tra i principali e più celebri umoristi dell’epoca moderna. È un grandissimo fan e conoscitore della musica jazz, che spesso è una presenza prominente nelle colonne sonore delle sue opere, soprattutto quella classica americana

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A conferma, concludiamo riportando una breve considerazione apparsa nel volume di accompagnamento di una compilation francese curata da Dan Vernhettes3.

“New Orleans Revival” Michel Laplace4, Jazz Hot

«En musicologie, le mot «revival», qui ne désigne pas une période, s’est imposéest imposé lorsque l’on a étudié les folklores: c’est tout un travail de recréation d’un genre, mort, dont la transmission du vétéran au jeune s’est interrompue depuis plusieurs généra-tions et que l’on relance de façon vivante et créative d’après la recherche de documents (témoins, sources écritures’). L’utilisation en jazz de l’étiquette « revival » traduit donc une idéologie progressive des critiques qui ont établi (pour singer le monde classique) des «périodes de styles», successives, comme new orleans, swing, bebop, cool, etc, avec pour certitude (infondée) qu’un style est frappé d’obsolescence dès l’arrivée d’un nou-veau. Pour « classer » un mouvement comme celui qui nous occupe ici, on le taxe de « revival » (sous-entendu «ringard»).

Pourtant ces musiciens (Bunk Johnson, etc.) ne cherchaient pas à recréer le passé (tous jouent significativement la trompette et non plus le cornet qui n’est plus à la mode).

Ils jouent comme ils sont aptes à le faire au moment donné en intégrant les pro-blèmes physiologiques ainsi que l’évolution.

Ainsi Kid Ory demandait à sa fameuse rythmique (Buster Wilson, Bud Scott, Ed Garland, Minor Hall) de s’inspirer de celle de Basie!»

2

degli anni trenta e anni quaranta. Suona il clarino, ispirandosi a George Lewis, nella New Orleans Jazz Band al Cafè Carlyle a Manhattan.

3 Dan Vernhettes, New Orleans Revival, Fremeaux & Associes, 2006.L’autore (Ivry sur Seine, �9�2), trombettista, dirige il gruppo musicaletrombettista, dirige il gruppo musicale Vintage

Jazzmen of France, � Michel Laplace (Blois Colombes, �9�9). Trombettista. Giornalista musicale. Lavo-

ra per Jazz Hot, rivista internazionale di jazz dal �935.

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Abadie, Claude, 77Acocella, Gianni, 87, 89Adderley, Cannonball, 105Alberti, Giorgio, 87Alcorn, Alvin, 32, 49, 91Alexis, Richard, 44Alguire, Danny, 65Allen, Henry Red, 32, 37, 69Allen, Woody, 115Aller, Peter, 80Amendola, Tanya, 94Archey, Jimmy, 70Arena, Nicola, 89Armstrong, Louis, 12, 25, 26, 28, 31,

37, 38, 39, 40, 41 ,42, 43, 44, 46, 47, 49, 50, 57, 60, 61, 62, 67, 70, 74, 78, 85, 90, 93, 94, 95, 97, 98, 101, 102, 108

Astarita, Franco, 93Avati, Pupi, 87Backer, Chet, 90, 95Bagnoli, Carlo, 87Bagnoli, Luigi, 87Bailey, Buster, 72Bales, Burt, 62Ball, Kenny, 75Barazzetta, Giuseppe, 84, 88, 97Barbarin, Paul, 44, 71, 99Barbato, Marco, 94

Barber, Chris, 74, 75, 79, 105, 112Barbieri, Corrado, 103Barcelona, Danny, 31Barenghi, Pietro, 87Barker, Danny, 72Barrett, Emma Sweet, 33Basie, Count, 15, 116Bauduc, Ray, 56Bechet, Sidney, 12, 26, 28, 31, 37, 41,

43, 44, 45, 46, 47, 48, 56, 57, 69, 71, 74, 76, 77, 97, 109, 110

Beiderbecke, Bix, 13, 54, 59Belloni, Gianni, 86Belluzzo, Terenzio, 91Bennett, Russ, 61Bergonzi, Gianni, 89Berlin, Irving, 55Bermuzzi, Virginio, 88Bigard, Barney, 31, 38, 49, 87Bissonnette, Big Bill, 53, 65, 66, 67, 112Blackey, Art, 19Blondet, Giorgio, 91Bolden, Buddy, 26, 42, 57, 99Bolling, Claude, 76Bonano, Sharkey, 28, 58, 59, 111Bonezzi, Luigi, 89Boninella, Glauco, 88Borghi, Giovanni, 85Bowden, Colin, 75

Indice dei Nomi

È riportato di seguito l’indice dei nomi dei musicisti e critici più significativi citati nel testo.

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Braud, Wellman, 32, 70Broonzy, Big Bill, 53Brown, Clifford, 19Brownlee, Laurence, 57Brubeck, Dave, 18, 39Brugnolini, Sandro, 86Brunis/Brunies, George, 28, 57, 58, 112Buckner, Teddy, 32, 49Bunn, Teddy, 47Burbank, Albert, 33, 67Burton, Gary, 19Butterfield, Billy, 87Bylk, Acker, 75Cameroni, Felice, 86Capasso, Roberto, 92Carey, Mutt, 44, 49, 72Carter, Benny, 57Cary, Dick, 38, 72, 87Casaglia, Gherardo, 87Casey, Bob, 72Cash, Johnny, 79Casiero, Attilio, 86Cassarini, Francesco, 87Castelli, Vittorio, 91Catlett, Sid, 38, 46, 48, 70Cavallari, Francesco, 88Cavazzuti, Antonio, 87Cavedon, Giorgio, 87Cavicchioli, Gigi, 91Celestin, Oscar Papa, 72Cerda, Alexandre, 94Cerri, Livio, 29, 88Christ, Herbert, 83, 91Christian, Charlie, 17Clarke, Kenny, 17Clerici, Claudio, 86Clerici, Renzo, 86Cobb, Morty, 38

Colar, Kid Sheik, 33, 65Cole, Cozy, 70Coleman, Ornette, 19Coleman, Bill, 85, 95Collatina, Alberto, 86Collins, Lee, 71Coltrane, John, 19Colyer, Ken, 32, 66, 74, 75, 105, 112Condon, Eddie, 45, 56, 57, 58, 71Conte, Paolo, 89Corea, Chick, 19Crosby, Bing, 41, 51, 55Crosby, Bob, 21, 28, 51, 53, 60, 110Cucchi, Franco, 89Cuttshall, Cutty, 72D’Altan, Alberto, 89D’Intino , Peppino, 85Dalla, Lucio, 87Darensbourg, Joe, 31, 72Dart, Bill, 61Davis, Miles, 18, 19, 77Davison, Wild Bill, 28, 46, 56, 67, 80,

81, 87, 111De Luca, Peppino, 90De Moree, Aad, 79De Paris, Sidney, 32, 37, 46, 69 De Paris, Wilbur, 32De Stefano, Gildo, 92Decou, Walter, 43Deems, Barrett, 31Dickenson, Vic, 46, 72Dodds, Baby, 24, 25, 48, 71Dodds, Johnny, 12, 75 Doldinger, Klaus, 82Donegan, Lonnie, 74, 75, 112Dorsey, Jimmy, 15Dorsey, Tommy, 15, 57Duncan, Henry, 71

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Indice dei nomi 119

Dupree, Champion Jack, 80Dylan, Bob, 52Ellington, Duke, 14, 15, 77Evans, Bill, 105Ewell, Don, 49, 67, 91Farmer, Art, 19Fava, Carlo, 87Fazola, Irving, 56Ferrari, Giuseppe, 88Ferrario, Guido, 86Fineschi, Luciano, 85Firehouse 5+2, 62, 63, 99, 101,103, 112Foina, Luigi, 88Foletto, Antonio, 89Fontana, Giordano, 87Forti, Francesco, 86Foster, George Pops, 12, 46, 70Fountain, Pete, 28, 59, 111Franceschini, Ugo, 87Franza, Matteo, 94Freeman, Bud, 13, 87Gaiotti, Paolo, 92Garagnani, Carlo, 86Garland, Ed, 49, 72, 116Garlandini, Giancarlo, 86Garrassini Francesco, 89George, Fatty, 82Gerbella, Renato, 86Giambarelli, Claudio, 87Giardina, Nardo, 87Gillespie, Dizzy, 17, 39, 90, 95 Giovannini, Giorgio, 86Giuffre, Jimmy, 18Glaser, Joe, 38, 41Goff, Harper, 65Goodie, Big Boy, 85Goodman, Benny, 15, 40, 45, 55, 82Grappelly, Stephane, 78

Grauer, Bill, 105Gravina, Enrico, 89Guarnieri, Johnny, 70Guesnon, George Creole, 67Hackett, Bobby, 39, 67Haggart, Bob, 56,71Halcox, Pat, 75Hall, Edmond, 31, 53, 70, 80,Hall, Minor, 32, 49, 116Hampton, Lionel, 92Hancock, Herbie, 19Handy, John Capt, 33, 42, 90Handy, William C., 32, 90, 99, 102Hayes, Clarence, 61Haywood, Cedric, 49Helm, Bob, 28, 61, 62, 63, 111Henderson, Fletcher, 14, 15Herbert, Mort, 31Higginbotham, Jay C., 37, 44, 72Hines, Earl, 31, 57, 70, 90, 95Hirt, Al, 59Hodeir, Andrè, 29Hodes, Art, 46, 48, 57, 58, 72, 80Hojberg, Arne, 80Holiday, Billie, 15, 95Horne, Ellis, 61Howard, Darnell, 49Howard, Kid, 28, 42, 48, 50, 67,106, 109Hucko, Peanuts, 31, 87Humphrey, Percy , 33, 72Humphrey, Willie, 72Inesi, Beppe, 87Invernizzi, Luciano, 90, 91Jackson, Mahalia, 25Jackson, Milton, 18Jagger, Mick, 79Jarrett, Keith, 19

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New Orleans Revival120

Jefferson, Thomas, 67Jensen, Arne Papa Bue, 32, 41, 79, 80,

105, 113Johnson, Bud, 81Johnson, Bunk, 25, 26, 28, 40, 42, 44,

49, 50, 70, 81, 101, 103,109, 116Johnson, James P., 13, 4313, 43Johnson, Manzie, 47Jones, Claude, 70Jospin, Mowgli, 71Kaminski , Max, 28, 57Kaper, Bob, 78Kenton, Stan, 18Kimball, Ward, 62, 63, 65Kirkpatrick, Don, 72Klein Oskar, 82Knudsen, Karl, 105Koenig, Lester, 103Konitz, Lee, 18Kubrick, Stanley, 51Kyle, Billy, 31LaRocca, Nick, 11, 59, 101, 102Ladnier, Tommy, 26, 28, 45, 47, 48,

71, 110Lafitte, Guy, 71Lake, Meschiya, 68Lammi, Dick, 61, 62Laplace, Michel, 116Laurie, Cy, 75Lawson, Yank, 56, 87Layton, Turner, 99, 101,102Lewis, George, 25, 28, 32, 42, 43, 50,

51, 52, 53, 54, 55, 58, 65, 67, 74, 80, 103, 110, 116

Lewis, John, 18Lewis, Ted, 55, 58Leydi, Roberto, 88, 92Liberati, Pino, 85

Librando, Diego, 92Lightfoot, Terry, 75Lindsay, John, 72Loffredo, Carlo, 85, 90, 94, 113Lomax, Alan, 36Longhi, Bruno, 89Luter, Claude, 76Lyttelton, Humphrey, 74, 112Madison, Kid Shots, 26, 72Maestro, Antonio, 88Maffei, Pino, 88Maglio, Gianni, 93Mallery, Clarke, 65Manetta, Manuel Fess, 25, 26Manne, Shelly, 18Manone, Wingy, 28, 36, 40, 41, 70,

80, 91Marrero, Lawrence, 43, 59, 63, 70, 71Marsala, Joe, 70Marsalys, Wynton, 115Martyn, Barry, 75Marzorati, Mario, 89Mataloni, Fabio, 86Matlock, Matty, 41, 56McKay, Ron, 75McPartland, Jimmy, 87Meijer, Ferdi, 79Merola, Emilio, 94Metcalf, Louis, 81Meyer, Herman, 86Meyers, Ernest, 71Mezzrow, Mezz, 26, 45, 47, 48, 71,

86, 110Miccoli, Vito, 93Miller, Eddie, 87Miller, Glenn, 15, 41, 45, 55 Miller, Punch, 28, 41, 45, 53, 55, 65, 110Mole, Miff, 7171

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Indice dei nomi 121

Monk, Thelonius, 17, 105Mordecai, Harry, 62Morea, Franco, 86Morelli, Boris, 86Morgan, Sam, 42Morland, Morris, 71Morton Benny, 72Morton, Jelly Roll, 12, 25, 26, 28, 36,

49, 53, 58, 69, 74, 97, 99, 101, 102, 103, 108,

Mosley, Edgar, 50Moten, Billy, 15, 102Mountjoy, Monty, 65Mulligan, Gerry, 18, 39Murphy, Turk, 28, 64, 61, 62, 103,

111, 112Muti, Nicola, 86Muti, Nicola, 87Nardi, Gianni, 86Nelson, Louis Big Eye, 52Newton, Frankie, 46Nicholas, Albert, 37, 44, 46, 49, 53,

70, 80, 86, 91, 95Nicholas, Wooden Joe, 26Nichols, Keith, 92Nichols, Red, 40Nisi, Claudio, 91Nixon, Teddy, 71Noone, Jimmy, 12, 48, 49Nunez, Alcide Yellow, 71Oliver, Joe King, 12, 25, 39, 47, 49,

54, 57, 60, 74, 94, 97, 101, 102Ory, Kid Edward, 12, 28, 31, 32, 38,

44, 49, 58, 59, 101, 103, 116Ottata, Franco, 92Page, Hot Lips, 48Palchetti, Max, 92Panassiè, Hugues, 25, 26, 45, 47, 48,

77, 97

Parker, Charlie, 15, 17Pateri, Eugenio, 91Patruno, Lino, 41, 57, 83, 84, 87, 89,

94, 95, 96, 113Pavageau, Alcide, 50, 67, 71Penner, Ed, 65Pentangelo, Ciccio, 87Perec, Georges, 107Perelli, Claudio, 91Perris, Bruno, 85Persiany, Andrè, 71Petit, Buddy, 50Petruzzelli, Natale, 86Peytchev, Ivaylo, 89Philippe, Claude, 76Picou, Alphonse, 52, 72, 101Pietra, Pietrangelo, 88Polillo, Arrigo, 88, 92Pollack, Ben, 54, 55, 59Pollack, Lew, 102Porro, Mauro, 91Porta, Elvio, 93Posillipo, Pasquale, 94Pratella, Mario, 89Price, Sammy, 72Probert, George, 49Purnell, Alton, 70Reinhardt, Django, 76, 78, 90, 95Remi, Ettore, 89Rena, Kid, 28, 51, 53, 110Rimington, Sammy, 66, 67, 74Roach Max, 19Robinson, Fred, 69Robinson, Jim, 42, 43, 50, 52, 65, 67, 70Rogers, Ernest, 43Rogers, Shelly, 18Rollins, Sonny, 105Romano, Gino, 9, 33, 93, 98

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New Orleans Revival122

Rose, Wally, 61Rota, Attilio, 87Rusconi, Lalo, 88Russell, Louis, 14, 37Russell, Pee Wee, 13, 71Russell, William Bill, 25, 26, 40, 42, 43 Russo, Jack, 86Rust, Brian, 29, 97Sanjust, Gianni, 90SantClair, Cyrus, 71Santiago, Lester, 72Santiago, Willie, 52Saraceni, Piero, 90Saviano, Benito, 93Saviano, Franco, 93Sayles, Emanuel, 91Sboto, Puccio, 90Schilperoort, Peter, 78Schroeder, Gene, 71Scobey, Bob, 28, 61, 62, 112Scott, Bud, 72, 116Shaw, Artie, 45Shaw, Arvell, 31, 38, 45Silverstain, Shel, 79Sims, Ken, 75Singleton, zutty, 37, 41, 70, 71Siragusa, Claudio, 88Sirianni, Luca, 91Sissle, Noble, 45Smith, Jabbo, 72, 81Spanier, Muggsy, 13, 28, 45, 54, 58,

67, 71, 110, 111Spats Langham, Tom, 92Sunshine, Monty, 74, 75, 105, 112Tagliati, Gino, 86Teagarden, Jack, 31, 38, 55, 57, 70, 95Teschemacher, Frank, 56Testoni, Gian Carlo, 88

Thomas, Frank, 65Tommasi, Amedeo, 87Toscanini, Arturo, 59Tristano, Lennie, 18Turazzi, Fabio, 91Umiliani, Piero, 88Valenti, Bob, 86Valenti, Roberto, 87Valentine, Thomas Kid, 65Van Velzen, Jaap, 79Vandor, Ivan, 85Venuti, Joe, 41, 87, 90, 95Verde, Gigi, 88Vernhettes, Dan, 116Vian, Boris, 76, 77Vigorito, Fred, 66, 67, 112Villani, Andres, 91Waller, Fats, 13, 32, 39, 99Watters, Lu, 28, 60, 61, 62, 63, 99,

101, 103, 111, 112Webb, George, 74Webster, Ben, 15Wein, George, 105Wettling, George, 70, 71Wheatley, Martin, 92Whitman, Paul, 83Wilber, Bob, 87, 95Williams, Clarence, 46, 81, 97, 99, 102Williams, Hank, 101Williams, Spencer, 99, 101, 102Wilson, Buster, 49Wilson, Teddy, 95Wooden, Joe Nicholas, 26Young, Austin, 43Young, Lester, 15Young, Trummy, 31Young, Victor, 102zamboni, Nino, 87

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Indice dei nomi 123

zancan, Beppi, 91zardis, Chester, 50zavinul, Joe, 82

zinzi, Marcello, 85zuschlag, Michael, 81

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 presso “A. De Frede” Editore

Via Mezzocannone, 69 - Napoli