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Oldsmobile Brandmagazine Politecnico di Milano I Brandelli: Alessandro Aimale Tommaso Anceschi Gabriella Berardi Michele Coralli Francesco D'Agostino Mirte Freriks

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LIFEICONSIDEASSTYLE

SPECIAL

Terry Richardson

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pg. 10BUDWEISERMADE IN AMERICA

BROOKLYN BREWERY

OAKLAND VS.BROOKLYN pg. 19

pg. 14

LIFE

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il “MADE IN AMERICA”ARRIVA A LOS ANGELES

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Jay-Z allarga gli orizzonti del suo Budweiser Festival annunciandone

l’approdo in California

Jay-Z alla conquista della California. Cosa ci fa Jay-Z su un palco al fianco del sindaco di Los Angeles, Eric Gar-cetti? Semplice, sta annunciando lo sbarco del “Budwei-

ser Made in America Festival”... >>

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Giungerà nella città cali-forniana confermando così le intenzioni di ren-dere ancora più grande

l’evento che ha, da sempre, casa a Philadelphia e che recentemente è diventato anche un film firmato dal regista Ron Howard, autore di capolavori come “A beautiful mind” e “Apollo 13”. La manifestazione, giunta quest’anno alla sua terza edi-zione, sarà il primo festival america-no che andrà in scena simultanea-mente su entrambe le coste, con Los Angeles che ospiterà l’appuntamento del 30 e 31 agosto nel Grand Park. “Los Angeles è la casa perfetta nel-la west-coast per il Made in Ame-rica”, ha dichiarato un soddisfatto Garcetti.

Jay-Z, rapper produttore discografico, fondatore del Festival

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BUDWEISERMADE IN AMERICA FESTIVAL

Il “Made in America Festival” è stato fondato e curato da Jay-Z nel 2012. La scorsa edizione ha visto sul palco nomi del calibro di Beyoncé, Nine Inch Nails, Dead-mau5 e Phoenix e, secondo quanto riporta Billboard, ha

vissuto anno dopo anno un costante e significativo aumento di spettatori. Jay-Z a tal proposito ha osservato che l’espansione

ha continuato il suo corso, realizzando il sogno di “mettere insie-me un festival musicale che possa travalicare i generi e arrivare a tutti i ceti sociali”. Oltre che autore, rapper, produttore disco-grafico e agente sportivo, dunque, Jay-Z conferma la sua crescita anche nel campo della promozione e dell’organizzazione di eventi musicali.

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La Brooklyn Brewery è nata nel 1987 dall’idea di un ex corri-spondente della Associated Press di nome Steve Hindy e da

un ex impiegato dell’ufficio prestiti del-la Chemical Bank di nome Tom Potter. Hindy imparò a produrre birra durante una permanenza di sei anni in vari stati del Medio Oriente, come l’Arabia Saudita e la Siria, dove il possesso e il consumo di bevande alcoliche era vietato. Al suo ritorno a Brooklyn, nel 1984, fondò as-sieme a Potter la birreria.

I due amici ingaggiarono il graphic de-signer Milton Glaser (creatore del logo per la campagna I Love New York) per disegnare il logo della compagnia e dar-le un’identità. Inizialmente tutta la birra veniva prodotta su licenza della Matt Brewing Company, poi il duo iniziò a distribuire con una propria società e a trasportare e vendere personalmente la propria birra, facendola circolare in tutta New York City. Nel 1996 acquista-rono una ex fabbrica di pane azzimo a Williamsburg, Brooklyn, e la con-vertirono in un birreria funzionante e funzionale.

Beer makes you feel the way you ought to be

without beer

”“

BROOKLYNBREWERY

La birreria di New York

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Sebbene la birreria si ponesse l’o-biettivo di aumentare la capaci-tà produttiva dello stabilimento di Brooklyn, inizialmente gran

parte della produzione, incluse tutte le Brooklyn Lager e tutti i prodotti in botti-glia, era fatta su contratto nella cittadina di Utica, a nord di New York, per ovviare alla crescente domanda che la birreria di Williamsburg non riusciva più a soddi-sfare a causa della mancanza di una linea di imbottigliamento. La società cercò di espandere le sue attività nella zona di Brooklyn, ma trovò delle difficoltà nella ricerca della giusta location. La recessio-ne economica li costrinse a rimanere a Williamsburg e solo nel 2009, a fronte di un investimento di 6 milioni e mezzo di dollari, fu possibile ampliare l’impianto produttivo.

Il suo cavallo da battaglia è ancora la Brooklyn Lager, che si trova alla spina in numerosi pub e in bottiglia anche nei supermercati. Il venerdì sera, quan-do la birreria chiude per il weekend, c’è la serata aperta al pubblico e con 20 dollari si prendono 6 pinte: un prezzo assolutamente competitivo per essere nella Grande Mela. I 20 dollari danno infatti diritto ad un pacchetto da 6 get-toni, ognuno cambiabile al bancone con una pinta a scelta tra una quindicina di possibilità.

Purtroppo alcune delle produzioni più ricercate non sono disponibili tutto l’an-no e vengono vendute a prezzi rialzati per i veri collezionisti. Si possono sce-gliere solo le birre in fusto più diffuse, con una predominanza di ales, ma anche di birre prodotte al momento seguendo le idee innovative del settore e del mastro birraio. E’ possibile mangiare all’interno dello stabilimento, anche se il il cibo non viene preparato sul posto: potete portar-velo da casa, o ordinare una pizza in un posto vicino. Altrimenti, un catering di qualità sarà servito nelle pietanze tipiche dei soft club o pub d’ordinanza. Il saba-to pomeriggio è possibile fare la visita dello stabilimento; c’è anche un nego-zio, con merchandising di vario tipo che viene preso d’assalto dai turisti. A differenza di molti shop, i prezzi non sono alti ed è possibile portarsi a casa di-versi boccali e t-shirt.

Sin dal 1994 Garrett Oliver è il mastro birraio della Brooklyn Brewery. Nel 2003 pubblicò il libro “The Brewma-ster’s Table: Discovering the Pleasures of Real Beer with Real Food”. Garrett fu anche giudice e giurato al Great Ame-rican Beer Festival per undici anni. Nel 2005 John Wiley & Figli pubblicarono la storia di Steve Hindy e Tom Potter nel libro “Beer School: Bottling Success At The Brooklyn Brewery”.

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Steve Hindy, fondatore insieme a Tom Potter, della Brooklyn Brewery nel 1987.

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OAKLANDBROOKLYN

VS

Venerdì sera, ho appena finito un’intervista a San Francisco. Guido verso Oakland, la secon-

da città della Baia, attraverso un ponte grigio, abbastanza spoglio. Lascia i flash dei fotografi all’arancione brillante del Golden Gate, ma continua a fare il suo lavoro. Alla mia sinistra la baia, a destra Oakland.

OAKLAND BAY BRIDGE

Manhattan sta a San Francisco come Brooklyn a Oakland?

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Fino a poco tempo fa proprio il pon-te, così spoglio, e le gru del porto, sono stati i simboli di Oakland,

stampati sulle magliette. La città indu-striale ha avuto la meglio per diverso pe-riodo, ma adesso la parte nascosta della città sta prendendo il sopravvento.

Piccola, post-industriale, giovane, diver-sa, più intima e “reale”, ad est della “City”.Girando per la città quasi ci si dimentica di essere a pochi passi dalla baia di San Francisco e non in un sobborgo di New York.

OAKLAND

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Esattamente come Brooklyn, infatti, Oa-kland è riuscita a riscattarsi e a diventa-re tra le città più interessanti degli Stati Uniti (secondo il New York Times, non proprio di parte, Oakland è tra le cin-que città più affascinanti dell’anno, dopo Londra, prima di Tokyo).

BROOKLYN

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BROOKLYN BRIDGE

Oakland è meno costosa della vicina San Francisco e, anche per questo, ha attirato frotte di artisti, musicisti e in gene-

rale squattrinati in cerca di divertimen-to, invitando di conseguenza ristoratori e organizzatori di eventi a considerarla come un luogo adatto per le loro attività. Tutto questo mantenendo la forte identi-tà della città.

È quindi Oakland la nuova Brooklyn?

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ICONS

TERRY RICHARDSON

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ICONS

REINCARNATIONBY KARL LAGERFIELD

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TERRY RICHARDSONLos Angeles most inflated Paparazzi

By Gabriella Berardi

Spesso il lavoro di Terry Richardson si muove sulla linea di confine che delimita ciò che normalmente è considerato di “buon gusto” e ciò che non lo è. Il suo estro creativo comprende un lato solare, scherzoso e dalla valenza fortemente positiva, cui

spesso la critica non dà il giusto risalto ed importanza. Abbiamo incontrato il fotografo nel suo studio newyorchese alla presentazione del suo libro “Kibosh” a rappresentare un mettersi a nudo non solo in senso metaforico.

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Mi chiedevo perché un libro come Kibosh a questo punto

della tua carriera?Beh, potrei risponderti con un sem-plice: perché no? In realtà è un pro-getto che avevo in mente da molto. Quando ho incontrato le persone giuste con cui farlo allora il progetto è nato in maniera naturale. Sai, è come quando incontri qualcuno di cui ti innamori, tutto può nascere grazie a questo amore. Il libro è un po’ il figlio di questo nostro “amore”. La moti-vazione principale per cui ho deciso di produrre un lavoro di questo tipo nasce cambiare registro e fare cose diverse, di passare oltre, rappresenta la fine di un periodo e l’inizio di un altro. Il libro registra quello che sono stato fino ad ora, è una sorta di do-cumento, ho voluto pubblicarlo ora prima di diventare vecchio e brutto, prima di mettere la testa a posto!

Non siamo abituati a vedere un fotografo davanti alla macchina

fotografica e, per di più, vederlo po-sare nudo. Viene da pensare che ci sia una bella dose di egocentrismo...C’è sicuramente una componente nar-cisistica, non lo nego. L’essere artisti comprende spesso una forma di nar-cisismo. Ma è iniziato come un espe-rimento, spesso ho fotografato per-

sone che non erano a loro agio nude davanti all’obiettivo e per facilitare le cose decidevo di spogliarmi anch’io e farlo diventare uno scambio: “io ti fotografo e tu fotografi me!” Alla fine il progetto ha preso questa forma, è stato un modo per documentare me stesso, ma, forse, non era così pro-grammato all’inizio. Al di là di una possibile forma di narcisismo, il libro è il risultato di uno studio sul concet-to di diventare oggetti di un obiettivo, dove il fotografo diventa in tal senso protagonista, un cambio di prospetti-va.

Trovo importante che esista nel mondo della fotografia main-

stream una voce come la tua. In un’epoca molto più chiusa, puri-tana e retrograda di quello che pen-siamo, hai mai preso in considera-zione il fatto che, per assurdo, il tuo ruolo possa essere in qualche modo “educativo”, che induca a pensare?Non mi siedo mai a tavolino per pro-gettare quello che voglio dire con il mio lavoro, esce come lo vedete, è tutto molto spontaneo, non mi metto certo a pensare che devo sconvolgere le menti di qualcuno o insegnargli qualcosa, se in qualche modo vado a rompere delle barriere è perché met-to alla prova per primo me stesso. Ma

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non dimentichiamo che queste foto per me rappresentano qualcosa di di-vertente, di naturale, sono la vita. Mi piace pensare che in qualche modo le mie fotografie invitino a sentirsi più liberi, mi rende felice se suscito anche dei sorrisi. In ultima analisi, secon-do me, è la capacità di alleggerire le persone, che spinge anche ad aprire le menti.

Apprezzo molto il modo in cui ti rapporti ai personaggi famosi:

li fotografi riuscendo a fornire dei ritratti inusuali, a cogliere lati di loro che spesso non conosciamo.Sono un fotografo che lavora sulle emozioni e su quello che può scatu-rire dal rapporto con la persona che sto fotografando, quello che sento nel momento in cui stiamo lavorando insieme. Ciò che vedete è il risultato della connessione fra me e questi per-sonaggi, non è predefinito, nasce dalla comunicazione fra due persone, che si trovano a proprio agio in quel mo-mento, dalla fiducia che loro ripon-gono in me, dalla loro apertura e dal loro sentirsi libere e rilassate. Qualche volta può non funzionare, ma quando tutto fila è magnifico!

E con i brand? Come è il rapporto con le grandi marche che le chie-

dono foto per campagne pubblicita-rie?Apprezzo e collaboro con quelle che mi danno fiducia e libertà. Lavorare su queste basi è importantissimo per me. Se c’è rispetto, questo si coglie nel-le pubblicità. I miei lavori migliori sono scaturiti quando ho avuto totale libertà, che è la base per una relazione fruttuosa.

Parli di libertà e osservando il tuo lavoro penso proprio che si veda.

Molto spesso sono le riviste che ti commissionano un redazionale ad adattarsi al tuo stile così peculiare e non il contrario, a differenza di quello che succede ad altri tuoi col-leghi. Ti è mai capitato di subire del-le pressioni?Può essere capitato, ma è anche com-prensibile, se ti vengono chieste delle immagini, devi consegnare qualcosa che possa essere pubblicato, inevita-bile che qualche barriera ci sia, ma non che io l’abbia sentita come ecces-sivamente riduttiva del mio operato. Certo è che tendo a lavorare con chi crede in quello che faccio, con chi mi capisce e mi permette di fare quello che sento.

Fin!

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Chanel introducela nuova collezione con un video realizzatoda Karl Lagerfeld.Protagonisti Cara Delevingne,Pharrell Williams e Geraldine Chaplin.

REINCARNATION

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Un nuovo viaggio nel mondo di Chanel, ai tempi di Ga-

brielle Chanel.È Karl Lagerfeld a trasportarci nel passato con Reincarnation, un video nel quale il designer prova nuovamente a immaginare un episodio della vita della stili-

sta, svelando le origini dell’ico-nica giacca di Chanel. Lo short movie, ha accompagnato la nuo-va collezione Métiers d'Art, pre-sentato il 2 dicembre.“Era giunto il momento di svela-re che la giacca di Chanel fu ispi-rata negli anni 50 da un addetto

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all’ascensore di un hotel vicino Salisburgo”, spiega Lagerfeld."Il film mostra come la giacca si sia reincarnata in un pezzo sen-za tempo della moda femminile”. Per questo progetto, Karl ha scel-to Cara Delevingne, Pharrell Wil-liams e Geraldine Chaplin. “Senza

di loro nulla sarebbe stato possi-bile”, aggiunge il fashion designer. “È il cast perfetto”.Pharrell Williams ha anche rea-lizzato la colonna sonora del film.Reincarnation è stato svelato l’1 dicembre, la sera prima della atte-sissima sfilata.

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IDEAS

LA DOPPIA VITA DI

JARED LETO

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IDEAS

DAVE GROHLCONTRO I TALENT SHOW

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JARED

LETO

LA DOPPIA VITA DI

Rockstar travestita da attore

Sembra Gesù, con quei lunghi capelli biondi che gli cadono dritti sulle spalle e gli occhi chiari, pacifici, impenetrabili. Ma Gesù non è abituato ad affrontare 50mila fan urlanti, a gettarsi a corpo morto

sulla punta delle loro braccia e interpretare ruoli fisicamente estremi, come

il tossicodipendente di Requiem for a Dream o il ragazzo che si fa sfigurare in Fight Club. Misteri da star e da rockstar che Jared Leto incarna fino in fondo, sembrando prima distantissimo, quasi estraniato, e un attimo dopo partecipe e curioso... >>

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Parliamo di Dallas Buyers Club, questo film è soprattutto di

grandi interpretazioni. Entrambi i protagonisti avete perso tantissimi chili per l’occasione... puntate alla cinquina degli Oscar?Non si tratta tanto di quanti chili perdi, ma di come questo ti cambi. Ho perso circa dieci chili, ma a un certo punto ho smesso di contarli, perché non mi importava quanti fossero. Ma è meravi-glioso che abbiate amato le nostre per-formance e i nostri personaggi. Per me

è stato chiaro fin dall’inizio che Rayon è un uomo che vuole vivere come una donna, non una queen o qualcuno che è interessato al glamour. È semplicemente qualcuno che si identifica con un genere diverso. Non volevo portare in vita un cliché o uno stereotipo, il modo in cui generalmente vengono messi in scena questi personaggi. 

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Non ti vediamo molto sullo scher-mo, come mai?

Non faccio molti film, probabilmente perché non sono mai stato interessato a farne il più possibile, voglio solo fare i più interessanti. Sai, non penso che solo perché ami qualcosa, devi farlo tutto il tempo. Io amo la musica e la mia band mi occupa molto tempo ed energia.

Che cosa ti ha spinto ad accetta-re questa sceneggiatura?

È stato molto d’impatto, un po’ come ve-dere il film. È stato emozionante, è stata una sfida... Ho sentito che questa sce-neggiatura è stata in giro per Hollywood per quindici anni prima che questo film fosse fatto. Mi sono subito innamorato di Rayon! È una storia molto commovente da leggere e volevo far parte di questo film, è una di quelle opportunità che ti capitano una volta nella vita.

Se, per assurdo, nella stessa data ci fosse una importante scena

da girare e un concerto della band, quale sceglieresti? Dovrei andresti?Non credo succederebbe, perché sono molto bravo a organizzare il mio tempo. Ma... probabilmente sceglierei il palco. C’è qualcosa di incredibile nel girare il mondo e condividere la musica con le persone. Il cinema è una cosa più solita-ria. Sceglierei la musica, ma amo i film, amo dirigere, recitare. Un film può cam-biare la tua vita. Ma quando sei sul palco, con un gruppo di pazzi, è tutto magni-fico.

Mi ha molto colpita l’intensità emotiva del tuo personaggio.

Come sei riuscito ad arrivare così in fondo a questo personaggio? E com’è stato lavorare con Matthew e Jennifer?È stato bello lavorare con loro, ma non li ho mai davvero incontrati fino a quando il film non è stato presentato a Toronto. Ero nel mio personaggio, molto con-centrato e connesso al ruolo. La parte emotiva del viaggio, la più importante, è quella che ti permette di comunicare e raccontare la storia al meglio. Anche perdere peso è tutto connesso all’identità del personaggio. 

Non penso che se ami qualcosa, devi farla

per tutto il tempo

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I talent show sono la rovina della musica

DAVE GROHL È INFURIATO E INVITA I GIOVANI A DIFFERENZIARSI

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Un’invettiva contro i talent show che impazzano negli States, ma anche nel nostro Paese. Il leader dei Foo Fighters ritiene che programmi del genere

stiano rovinando la leva dei giovani musicisti, che tentano oggi di affacciarsi sulla scena musicale:

Penso che le persone dovrebbero essere

incoraggiate ad essere se stesse. Questo è quello che mi fa

arrabbiare riguardo questi programmi, dove si viene

giudicati così rigidamente da giudici finti che a malapena sono

capaci di suonare uno strumento o i loro album

del cavolo. Mi fa diventare pazzo...

Page 49: Oldsmobile Brandmagazine

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Dovrebbero andare in uno di quei

mercatini di quartiere e comprare una chitarra ed una

vecchia, fottutissima batteria, andare

nel proprio garage e suonare schifosamente.

In questo modo inizieranno finalmente

a suonare insieme e vivranno in assoluto

i più bei momenti della loro vita...

e poi forse un giorno diventeranno i Nirvana!

Questi giovani cantanti per farsi

apprezzare dai giudici finiscono per cantare tutti come

Christina Aguilera. Se facessi salire

Keith Moon su un palco e lo facessi giudicare da un

gruppo di batteristi fusion direbbero

‘Beh, il tuo timing non è ottimo, sei confusionario,

batti quando non dovresti, il lavoro sui piatti è un po’

disordinato’. E come dargli torto?

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pg. 60

STEALIN’IT

NIGHT LIFE & RIFF

POPCORN

VINTAGE TATOOS pg. 52

pg. 56

pg. 58

pg. 60

ST

YL

E

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Di questi tempi è facilissimo imbattersi in quei segni di inchiostro sottopelle che chia-miamo tatuaggi. Alcuni delle

vere e proprie opere d’arte, altri cam-pioni di cattivo gusto, piccoli o grandi, fatti per lasciare il segno indelebile di un ricordo, di un viaggio o di un amore i tatuaggi fanno parte ormai della nostra cultura popolare.

VINTAGETATOOSsegni indelebili del passato

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Ma non si tratta di un’inven-zione recente, come molti potrebbero pensare, e gli ar-chivi fotografici offrono im-

magini che raccontano moltissime storie affascinanti su questa pratica. Iniziata nell’Età del Ferro, presente in Egitto e nell’antica Roma, dove i tatuaggi vennero vietati dall’imperatore Costanti-no, la diffusione del tatuaggio riprese in Europa nell’Ottocento, nel Regno Unito.Gli esploratori e i marinai che tornavano dai posti più lontani (Polinesia, Nuova Zelanda, Thailandia, Giappone, paesi in cui i tatuaggi rappresentavano e rappre-sentano storicamente un segno distin-tivo per esprimere l’identità e lo status sociale) raccontavano di donne meravi-gliose con queste decorazioni sulla pel-le, spingendo le donne dell’alta società vittoriana a volersi tatuare. Dal boom degli anni Venti l’entusiasmo iniziò a di-minuire fino agli anni Settanta, quando tornò di moda, prima nelle sottoculture hippy e fra i motociclisti e poi conqui-stando lentamente ogni strato sociale e fascia d’età.

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CONVERSEAll Star

KENZOSweatshirt

WRANGLERJeans jacket

SUPREMETarpon Camp Cap

FRANKLIN&MARSHALL

Touchdown

LEVI’S513

ADIDASGazelle

DEUSEXMACHINAJumper

HARRINGTONLeather jacket

MOSCOTGelt

MORRISTriumph

RALPH LAURENT-shirt

ROOF MAG • PAPER EDIT • NOV. 2014ROOF MAG • PAPER EDIT • NOV. 2014

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ST

EA

LIN

’ IT

PONOHigh-quality music player

BEATSPill

HERSCHELRucksak

MARSHALHeadphones

HERSCHELWallet

ISSEY MIYAKETwelve

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Bar 13Questo locale saprà stupirvi con le sue luci arancioni e lattt musica live, dalle 17.00 alle 21.00 viene servito l’happy hour e credeteci, la vista è spettacolare.

Ava LoungeCi vorrà un po’ di pazienza per accedere al 230 Fifth rooftop garden a causa della sua popo-larità. Ma a parte questo potrete ammirare l’Empire State, il MetLife e gli edifici Chrisler sorseggiando deliziosi drink.

UpstairsQuesto rooftop bar presso il Kimberly Ho-tel offre pareti coperte da edere, lampade old-fashioned e un soffitto ritraibile per go-dere di questo locale 365 giorni l’anno.

Top of the Strand Al 21esimo piano dello Strand Hotel vi viene offerta una vista spettacolare dell’Empire State Building. Il prezzo? Cocktail speciali a $15 e bottiglie di birra a $9.

NIGHTLIFEI MIGLIORI ROOF TOP BARS DI NY

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Chet Faker Built on glass

Il background del barbuto australiano ha i confini sfumati e promette bene per il futuro,in questo album si scrive un nuovo capitolo della chill-wave in cui sonorità soul e sin-tetizzatore si fondono.

King Krule 6 Feet Beneath the Moon

Guidato dalla forza istintiva della voce, che cela dietro il rude accento proletario un romanticismo randagio e acerbo, e della chitarra, spesso percussiva e rabbiosa King Krule ci regala brevi e icastici racconti di vita suburbana.

Tv on the radio Nine types of light

Dal lo-fi più plumbeo, fino all’elettronica d’assalto, il collettivo di Brooklyn si è sempre rivelato capace di spiazzare pubblico e criti-ca con le loro ritmiche ipnotiche e melodie finissime in grado di appiccicarsi addosso.

Ambassadors Litost

Questa band pop-rock attraverso il suo sound tagliente e underground ci propone una versione brillante della musica più as-coltata dei nostri tempi. La track “Jungle” non può mancare nelle nostre playlist.

& RIFFGLI ESPERTI DI RIFF CONSIGLIANO

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POP CORNLA RUBRICA CHE TI DICE COSA GUARDARE

Dopo la morte del padre, Sal Paradise un aspirante scrittore newyorchese,

incontra Dean Moriarty, giovane ex-pre-giudicato dal fascino maledetto, sposa-to con la seducente Marylou. Tra Sal e Dean l’intesa è immediata. Assetati di libertà, i tre giovani partono alla scoper-ta del mondo, degli altri e di loro stessi.

Diretto dal celebre fotografo Anton Corbijn, Control racconta la vita di

Ian Curtis, leader e cantante del gruppo inglese dei Joy Division, morto suicida a soli 24 anni non ancora compiuti. Il film racconta la vita e la musica di Curtis e della sua band, concentrandosi sul suo carattere ombroso, sulla sua turbolenta vita matrimoniale, sui problemi con la depressione e l’epilessia.

Luke è uno stuntman motociclista la cui vita viene sconvolta quando in-

contra la sua ex, Romina, e scopre di essere diventato padre. Luke decide di prendersi le sue responsabilità di gen-itore, ma per affrontare le difficoltà economiche a cui deve far fronte, iniz-ia a rapinare banche. Questo lo porta a scontrarsi con Avery Cross, ex poliziotto pronto a tutto pur di incastrarlo.

ON THE ROAD

CONTROL

COME UN TUONO

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20 anni dopoIl 14 ottobre 1984 uscì nei cinema americani Pulp Fiction, prob-abilmente il film più famoso di Quentin Tarantino, che generò da subito un culto intorno al regista e al suo modo di fare cinema.

Fin dalla sua uscita Pulp Fiction fu riconosciuto come un grande film e ancora oggi continua ad essere uno dei film più amati di sempre. Tarantino iniziò a elab-orare l’idea del film ad Amster-dam, subito dopo la presentazi-one delle Iene a Cannes. L’intreccio non si sviluppa in maniera cronologica ma segue una logica par-ticolare, in cui le situazioni narrate vengono connesse in modo da inver-tire il rapporto causa-effetto. Il passo della Bibbia citato da Jules Winnfield in realtà non esiste, ma è un collage di citazioni di altri testi sacri. La scena dell’overdose di Mia fu gi-rata al contrario e montata in reverse in postproduzione, con John Travolta che tira fuori l’ago dal petto.Uma Thurman non era d’accordo sulla scelta della canzone da ballare durante la gara di ballo al Jack Rabbit Slim’s. La canzone era la famosissi-ma “You Never Can Tell” di Chuck Berry. Quando Uma Thurman parlò dei suoi dubbi a Tarantino, questo le rispose dicendo: “Credimi, è perfet-ta”. La scena del ballo tra Thurman e Travolta è probabilmente una delle scene cinematografiche più famose di sempre.

ZOOM: Pulp Fiction

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