opi weekly report n°8/2016

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www.bloglobal.net N°8, 6-12 MARZO 2016 ISSN: 2284-1024

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Rassegna settimanale a cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) // 6-12 marzo 2016

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N°8, 6-12 MARZO 2016

ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 13 marzo 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Georgiy Bogdanov Oleksiy Bondarenko Luttine Ilenia Buioni Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti

Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net

Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:

Weekly Report N°8/2016 (6-12 marzo 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2016, www.blo-global.net

Photo Credits: AP; Mohamed Ben Khalifa/Associated Press; Pfc. Cedric R. Haller II; Karam al-Masri/Agence France-Presse.

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FOCUS

LIBIA ↴

Secondo alcune indiscrezioni di stampa rilanciate dal New York Times, in un Vertice

avvenuto il 22 febbraio scorso alla Casa Bianca alla presenza di alti ranghi della Si-

curezza e della Difesa nazionali, il Pentagono avrebbe definito un piano di in-

tervento dettagliato e mirato a colpire lo Stato Islamico (IS) in Libia in colla-

borazione con gli alleati di Italia – che nelle intenzioni statunitensi dovrebbe porsi alla

testa della missione internazionale –, Francia e Regno Unito. La strategia dovrebbe

basarsi su un mix calibrato di droni e raid aerei, sullo stile di quanto avvenuto

poche settimane prima a Sabratha. Gli obiettivi dei possibili strike occidentali – quan-

tificati tra i 30 e i 40 target – sarebbero i campi di addestramento, i centri di comando,

i depositi di munizioni e tutte le infrastrutture o siti strategici sotto il controllo dei

militanti dell’IS. I raid occidentali servirebbero a coprire le azioni sul terreno delle

milizie libiche vicine agli interessi internazionali, che, una volta addestrate da istrut-

tori occidentali presenti sul terreno, dovranno combattere contro le forze jihadiste nel

Paese. Il programma è stato messo a punto dall’Africa Command e dal Joint

Special Operations Command sulla base delle informazioni recuperate dagli uo-

mini dell’intelligence USA, francese e britannica – e forse anche italiana, ma questo

dato non è stato confermato – operativi sul campo, che hanno così individuato obiet-

tivi sensibili da colpire con il minimo dei rischi possibili nei confronti della popolazione

civile libica.

Il piano rimane attualmente in stand by, in attesa che il Presidente USA Barack

Obama decida di dare il via libera definitivo alla missione. Alla Casa Bianca, ma anche

nelle principali cancellerie europee, sembra prevalere la prudenza. A frenare le parti

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vi sono una serie di considerazioni politiche e tecniche: innanzitutto, la defini-

zione di una strategia chiara e coerente con l’identificazione di un obiettivo finale, che

attualmente non sembra emergere se non entro il debole target della formazione del

governo di unità nazionale libico; in secondo luogo, l’offensiva aerea, se non coordi-

nata in maniera adeguata e condivisa con gli alleati, rischia di far saltare definitiva-

mente il percorso politico-diplomatico e soprattutto di creare un risentimento interno

in funzione anti-colonialista e anti-occidentale, regalando quindi un vantaggio tattico

all’IS, libera di colpire con il supporto più o meno esplicito della popolazione locale.

Sebbene la situazione libica rimanga ancora critica, una certa dose di ottimismo è

emersa nella giornata del 13 marzo quando il Consiglio Presidenziale – l’organismo

guidato dal Premier in pectore Fayez al-Sarraj, che di fatto costituisce l’esecutivo

libico in virtù dell’accordo di transizione politica firmato dalle varie fazioni libiche a

Skhirat (Marocco), il 17 dicembre scorso – ha proclamato l’entrata in vigore del

governo di unità nazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite, anche se tale atto

è avvenuto in assenza di un voto formale di fiducia del Parlamento di Tobruk – quello

riconosciuto internazionalmente. L’organismo ha intimato a tutte le istituzioni libiche

«di attuare un immediato passaggio di poteri al nuovo esecutivo in modo pacifico e

organizzato», chiedendo inoltre all’intera comunità internazionale di «cessare ogni

tipo di rapporto con le autorità che non si pongono sotto il controllo diretto del go-

verno di unità nazionale». Il Consiglio Presidenziale si è detto sicuro della liceità della

misura in quanto sostenuta dal voto favorevole, avvenuto il 25 febbraio scorso, di un

centinaio di deputati del Parlamento di Tobruk, i quali hanno però rinnegato l’atto in

quanto avvenuto sotto coercizione e violenze. La decisione del Consiglio Presidenziale

lascia aperte numerose zone di opacità che potrebbero alimentare nelle prossime

settimane nuove violenze e spaccature in seno alle altre autorità nazionali libiche che

non si erano ancora espresse sulla fiducia al governo di transizione. Il nuovo ese-

cutivo è stato, ad ogni modo, riconosciuto subito dagli Stati Uniti e

dall’Unione Europea. Il Ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, a margine di

un incontro con gli altri rappresentanti delle diplomazie di Francia, Germania e Regno

Unito a Parigi ha dichiarato che «la stabilizzazione della Libia è ancora lontana, ma

negli ultimi giorni [si sono] registrati passi in avanti con il sostegno al nuovo governo

di accordo nazionale espresso dal dialogo politico intra-libico».

Già in settimana (9 marzo), nel corso del 33° bilaterale franco-italiano, tenutosi a

Venezia, Renzi e Hollande hanno sottolineato la gravità della situazione libica dove

«ci sono state finora troppe aspettative e troppo poche pressioni». Sebbene formal-

mente le posizioni ufficiali siano vicine, tra Italia e Francia permangono divergenze

sulle modalità e le tempistiche dell’intervento: Renzi aveva ribadito che «la forma-

zione di un governo in Libia è una priorità per i popoli della Libia» e che per poter

uscire indenni dal pantano libico è necessario il dialogo con tutti, anche con Russia e

Turchia. La posizione attendista di Roma potrebbe essere riconducibile principal-

mente a due fattori: da un lato il timore dell’Italia di dover gestire da sola il peso

maggiore della missione militare all’interno della coalizione internazionale, dall’altro,

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la preoccupazione di dover rispondere ad un’opinione pubblica contraria ad un inter-

vento poco chiaro, che potrebbe per molti versi ricordare la missione azzoppata del

2011 che portò alla caduta del regime di Muammar Gheddafi. Dal canto suo Hollande

sarebbe disponibile ad autorizzare una missione militare, anche al di fuori di una

cornice ampia e multilaterale. Proprio in tale ottica, infatti, la Francia, già accusata

da un reportage di Le Monde di combattere segretamente in Libia per distruggere

obiettivi dell’IS, sta compiendo insieme all’Egitto alcune esercitazioni militari al largo

delle coste di Alessandria, con l’intento anche di inviare un segnale politico duplice

agli alleati: da un lato, Parigi vorrebbe agire anche in maniera isolata rispetto agli

altri partner NATO, magari con l’aiuto del Cairo, per riportare la stabilità nel Paese

nordafricano; dall’altro vorrebbe far intendere all’Italia che non è disponibile a cedere

un comando operativo in una missione internazionale di primo livello.

Per ciò che riguarda la situazione sul

campo, lo scorso 9 marzo un com-

mando dell’IS avrebbe conqui-

stato un checkpoint poco distante

la città di Abu Qurayn, a metà

strada tra Sirte e Misurata e ritenuto

un avamposto strategico lungo le di-

rettrici est-ovest e nord-sud. In que-

sto senso, la conquista di Abu Qurayn

permetterebbe alle truppe dell’IS di

collegare Sirte con le proprie rocca-

forte tripolitane occidentali di Sabra-

tah e Zuwarah e di unificare le rotte e

i traffici illeciti – armi ed esseri umani

soprattutto – dal Fezzan e dal Sahara

fino alle coste mediterranee. Tutto ciò

permetterebbe dunque una continuità

territoriale e un radicamento strate-

gico-militare delle milizie dello Stato

Islamico in Libia.

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SIRIA-IRAQ ↴

L’Inviato Speciale ONU per la Siria, Staffan de Mistura, ha convocato per il 14 marzo

la ripresa dei colloqui di pace sulla Siria. Il nuovo round dovrebbe durare dieci

giorni e prevede negoziati separati con i delegati del governo di Damasco e delle

opposizioni. Negli auspici di de Mistura l’appuntamento di Ginevra è la prima pietra

del processo di transizione politica che entro diciotto mesi dovrebbe portare a elezioni

presidenziali. A incoraggiare l’ottimismo del negoziatore ONU è la sostanziale con-

tinuità della tregua tra le parti in conflitto pattuita dietro l’accordo tra Russia e

Stati Uniti e avviata con ragionevole scetticismo lo scorso 27 febbraio. Secondo l’Os-

servatorio siriano per i diritti umani da allora l’intensità dei combattimenti è diminuita

del 90%.

Tuttavia, governo e opposizioni si ritrovano a Ginevra su posizioni quanto mai

distanti. L’Alto Comitato delle Negoziazioni – principale attore dell’eterogeneo fronte

ribelle che riflette direttamente le preferenze saudite – ha accolto l’invito di de Mi-

stura, annunciando la proposta di un governo ad interim in cui il Presidente in carica

Bashar al-Assad e i dirigenti a lui vicini sarebbero privati di qualsiasi ruolo decisionale.

Al contrario, il Ministro degli Esteri siriano Walid al-Muallem ha tracciato sulla richiesta

dell’opposizione una linea rossa rispetto alla quale il governo di Damasco promette

di non transigere. Muallem ha inoltre contestato la scadenza fissata da de Mistura per

l’indizione di una consultazione elettorale sul governo siriano. Le inconciliabili precon-

dizioni avanzate dalle parti sembrano dunque minare alla base le trattative, mentre

le autorità curdo-siriane sono state ancora una volta estromesse dai negoziati. Salih

Muslim, co-presidente del Partito di Unione Democratica (PYD), ha precisato che i

curdi non accetteranno l’inserimento nel processo di pace se non con la diretta par-

tecipazione al tavolo di Ginevra.

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Atteso a un confronto con gli omologhi di Germania, Francia e Regno Unito, il Segre-

tario di Stato John Kerry ha comunicato che Stati Uniti e Russia stanno operando in

pieno accordo per monitorare la cessazione delle ostilità, che malgrado alcune infra-

zioni si è dimostrata effettiva e duratura. Stante l’esclusione del gruppo Stato Isla-

mico (IS) e Jabhat al-Nusra (JaN) dai termini della tregua, Washington e Mosca

stanno condividendo informazioni sui gruppi armati rispettivamente soste-

nuti allo scopo di prevenire l’estensione degli attacchi mirati. Malgrado ciò, sono stati

riportati bombardamenti governativi e russi nella pianura di al-Ghab e sulla città in

mano ribelle di Idlib, dove le divisioni dell’Esercito Libero Siriano (sostenute da Stati

Uniti, Arabia Saudita e Turchia) sono a loro volta impegnate contro i miliziani qaedisti

di JaN. I guerriglieri del YPG denunciano invece l’attacco portato da alcuni gruppi

islamisti di opposizione contro le milizie curde nel quartiere di Sheikh Maqsood ad

Aleppo; in quest’ultima circostanza, gli aggressori avrebbero fatto uso di proiettili al

fosforo.

FRONTI DI COMBATTIMENTO NEL NORD DELLA SIRIA 2015 E 2016

FONTE: JANE’S TERRORISM & INSURGENCY CENTRE-IHS

Sotto la tregua militare, le forze governative consolidano l’avanzata nel nord-ovest

della Siria, rafforzando il perimetro di sicurezza attorno alla regione costiera di Latakia

e premendo contro l’enclave ribelle a Idlib. Inoltre, le truppe fedeli a Bashar al-Assad

hanno ripreso vigore nelle provincie di Homs e Daara, come pure nelle zone contese

della capitale, a spese delle formazioni ribelli, mentre l’offensiva su Palmyra non è

riuscita a fare breccia nelle linee dell’IS nonostante il sensibile apporto dell’aviazione

russa. Analogamente, anche le milizie curde raccolte nelle Forze Siriane Democrati-

che (sostenute sul terreno dalle forze speciali e dagli equipaggiamenti statunitensi)

vedono accresciuto il controllo nel nord del Paese, guadagnando terreno contro l’IS

ma anche rispetto ad alcuni gruppi di opposizione.

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Se Raqqa è certamente il primo bersaglio degli strike della coalizione internazionale

guidata dagli Stati Uniti, fonti anonime hanno riferito di diserzioni di massa nella

capitale dell’autoproclamato Califfato islamico. Gli attivisti locali hanno tuttavia ne-

gato la veridicità della notizia, secondo cui duecento guerriglieri jihadisti avrebbero

imbracciato le armi contro l’organizzazione terrorista.

CONTROLLO DEL TERRITORIO IN SIRIA – FONTE: NEW YORK TIMES

In Iraq, il 4 marzo l’IS ha lanciato un’incursione contro i Peshmerga curdi a

sud-est di Mosul e ha fatto detonare due giorni più tardi un’autocisterna in prossimità

di un posto di blocco a nord di al-Hillah, capitale della provincia di Babil. Nell’esplo-

sione hanno perso la vita oltre sessanta persone. Per contro i gruppi paramilitari sciiti

del Fronte di Mobilitazione Popolare hanno direttamente condotto un’operazione nel

deserto, denominata Jazeerat Samarra, che a nord di Baghdad guarda verso

Tikrit e Samarra – un’area che i combattenti jihadisti hanno spesso utilizzato per

irrompere sulla capitale e sul polo petrolifero di Baiji. Le maggiori milizie filo-iraniane

quali Kata’ib Hezbollah and Asa’ib Ahl al-Haq hanno gestito l’operazione, cui l’esercito

regolare iracheno si è associato ma che non ha invece ricevuto il sostegno militare

dei caccia americani. I risultati precari conseguiti da analoghe operazioni nel deserto

di Thar Thar a nord di Falluja ridimensionano la capacità di arrestare le infiltrazioni

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jihadiste nell’area, laddove l’incipiente crisi finanziaria delle istituzioni centrali sta fa-

cendo emergere il preoccupante stallo dei rifornimenti di munizioni ed equipaggia-

menti alle forze di sicurezza – una questione che le montanti proteste contro l’ese-

cutivo al-Abadi potrebbero incoraggiare gli Stati Uniti e gli alleati occidentali a molti-

plicare gli sforzi nello scenario. In questi termini deve leggersi anche il crescente

rilievo operativo dei Delta Force statunitensi in missioni votate alla cattura o all’eli-

minazione dei maggiori esponenti del Califfato.

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BREVI

COREA DEL NORD-COREA DEL SUD, 7 MARZO ↴

Seoul e Washington hanno avviato una serie di

esercitazioni militari con lo scopo di verificare la

preparazione delle truppe sudcoreane in caso di un

attacco su vasta scala. L’esercitazione militare

congiunta è stata la più grande nella Penisola coreana

e ha visto la partecipazione di 17.000 soldati

statunitensi e più di 300.000 unità provenienti dalla Corea del Sud. Pur non rivolta

ufficialmente contro la Repubblica Popolare Democratica di Corea, l’esibizione della

forza militare si inserisce in un teso contesto regionale dove, a gennaio di quest’anno,

la Corea del Nord aveva eseguito il suo quarto test nucleare. La reazione di

Pyongyang, che minacciava di reagire all’avvio delle manovre con un attacco nucleare

“indiscriminato”, è giunta il giorno successivo. Kim Jong-un ha visitato l’impianto

scientifico-industriale nel quale vengono assemblati gli ordigni nucleari di Pyongyang,

fotografandosi davanti a uno di essi. In concomitanza i mass media nordcoreani

hanno riportato dei successi del Paese nella miniaturizzazione dei componenti degli

armamenti nucleari, sottolineando la prospettiva di collocarli su missili balistici per

lanci a lunga gittata. Ma la vera dimostrazione di forza è avvenuta il 9 marzo, quando

la Corea del Nord ha lanciato due missili, presumibilmente di tipo Scud, verso il Mar

del Giappone, annunciando parallelamente una serie di nuovi progetti nucleari. Il

confronto tra le due Coree si gioca, però, anche a livello economico. Ad essere messa

in discussione ora è la zona economica mista di Kaesong. Le attività produttive della

zona industriale sono state già sospese da parte di Seoul come arma di pressione nei

confronti delle recenti provocazioni del regime nordcoreano, mentre quest’ultimo si

è detto pronto a liquidarla definitivamente, cancellando uno dei pochi simboli di

cooperazione tra i due Paesi.

IMMIGRAZIONE, 7-9 MARZO ↴

È attesa per il Consiglio europeo dei prossimi 17 e 18

marzo la definizione dei dettagli dell’intesa di massima

raggiunta sul tema immigrazione a margine del Vertice

straordinario tra Unione Europea e Turchia del 7 marzo.

Oltre ad una decisione sui finanziamenti addizionali che

Ankara richiede per gestire i flussi migratori (ulteriori 3

miliardi rispetto a quanto concordato in autunno e approvato dal COREPER del 3

febbraio) – una decisione su cui pesa, come ha evidenziato il Presidente del Consiglio

italiano, Matteo Renzi, anche la recente stretta del governo turco sulla libertà di

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stampa –, il summit dovrà sciogliere diversi nodi: la riapertura delle questioni legate

all’inserimento della Turchia nello spazio comunitario (punto che in maniera più o

meno diretta si collega a questioni domestiche tedesche alla vigilia delle elezioni in

tre Länder il 13 marzo); i meccanismi di ricollocamento dei migranti provenienti dalla

Turchia (i cui costi dovrebbero essere a carico del’UE – una questione sulla quale il

Premier ungherese Viktor Orbán si è dimostrato particolarmente duro); il

funzionamento, soprattutto, di Schengen dopo che lo stesso Vertice di Bruxelles ha

sostanzialmente definito un blocco della direttrice balcanica. Il governo sloveno ha

annunciato (9 marzo) la chiusura delle frontiere con la Croazia, dichiarando di far

passare solo chi è in regola con il visto di ingresso o coloro che faranno espressa

domanda di asilo in Slovenia. Misure analoghe sono state immediatamente

annunciate anche da Serbia e Macedonia. Con riferimento alla decisione di

quest’ultima, il Commissario UE per gli aiuti umanitari e la gestione delle crisi,

Christos Stylianides, dopo un incontro con Tsipras ha dichiarato che Bruxelles

predisporrà adeguato supporto alla Grecia per la gestione dei confini esterni e

dell’emergenza umanitaria nell’ambito del piano da 700 milioni approvato il 2 marzo.

Tale strumento di assistenza verrà utilizzato prevalentemente da Atene, sebbene sarà

messo a disposizione di «tutti gli Stati membri la cui capacità di risposta è travolta

da circostanze urgenti ed eccezionali». Il timore è dunque che il congelamento di

quella balcanica possa aprire nuove rotte, non solo dall’Albania verso l’Italia ma anche

sul versante orientale del Continente: i Paesi baltici hanno infatti in proposito sia

avviato la costruzione di una barriera protettiva di 250 miglia lungo la Russia sia il

dispiegamento di forze di sicurezza nelle aree di confine.

TUNISIA, 7 MARZO ↴

Secondo le ricostruzioni del Ministero della Difesa

tunisino, 53 persone sono morte in seguito

all’incursione di miliziani dello Stato Islamico (IS) a Ben

Guerdane e ai violenti scontri verificatisi con le forze

armate. Tra le vittime vi sarebbero 35 islamisti, 11 tra

militari e poliziotti e 7 civili, tra cui una ragazzina di 12

anni, mentre 6 militanti islamisti, presunti affiliati ad cellula tunisina dello Stato

Islamico (IS) sita in territorio libico, sarebbero stati feriti e catturati. I jihadisti sono

entrati dalla Libia, successivamente sono giunti a Ben Guerdane, città strategica di

confine interessata per la seconda volta in pochi giorni da simili raid, e hanno

attaccato l’esercito tunisino. Gli eventi così ravvicinati e strettamente correlati tra

loro e con la situazione in Libia lascerebbero presupporre l’esistenza di un piano o,

quantomeno, di un’iniziativa dei miliziani islamisti di voler provare a sfondare la

resistenza dell’esercito tunisino lungo i confini orientali con l’obiettivo di occupare

militarmente il territorio per poi trasformarlo ad hub operativo da e verso la Tunisia

e la stessa Libia. Gli insorti avrebbero in questo senso provato a emulare le strategie

operative di attacco dei jihadisti del Wilayat Sinai – branca locale di IS in Egitto –,

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quando nelle ventiquatto ore tra il 1° e il 2 luglio scorso avevano provato a

conquistare all’esercito egiziano le città di al-Arish, Rafah e Sheikh Zuweid, nel nord

della Penisola sinaitica. Analogamente, quindi, i miliziani tunisini hanno provato a

riproporre schemi e attacchi molto simili, denotando inoltre una certa prossimità

militare tra gli operativi islamisti tunisini e gli addestratori dell’IS sparsi nella

Tripolitania – in particolare nelle aree tra Sabratha e Zuwarah – e, più in generale,

in Libia. Gli attacchi recenti confermebbero altresì non solo la precarietà del quadro

di sicurezza nazionale tunisino, ma anche come le tensioni si siano ampliate

gradualmente dagli hotspot di Kasserine, dei Monti Chaambi e della periferia di

Tunisia alle regioni orientali del Paese, le quali inevitabilmente risentono

dell’instabilità libica, della crescita delle attività dell’IS nell’area e del flusso costante

di miliziani tunisini e di foreign fighters. Il Presidente Beji Caid Essebsi ha parlato di

attacchi «coordinati» e «senza precedenti», mirati probabilmente a controllare la

regione di confine con la Libia. Il Premier Habib Essid, che ha convocato una riunione

urgente del Consiglio di Sicurezza nazionale, ha affermato che lo scopo dell’attacco è

stato quello di «instaurare un califfato dello Stato Islamico nella città di Ben Guerdane

e destabilizzare la sicurezza nel Paese. La Tunisia non rinuncerà in nessun caso alla

democrazia, che rimane una scelta della nazione». Le autorità hanno decretato il

coprifuoco nella città dalle 19 alle 5 del mattino e isolato per ragioni di sicurezza il

resort di Djerba, nota località turistica a 130 chilometri da Ben Guerdane, mentre

centinaia di truppe sono state dispiegate nell’area adiacente alla città confinaria. In

Tunisia è in vigore lo stato d’emergenza dall’attacco a Tunisi contro la Guardia

presidenziale avvenuto lo scorso novembre, che ha causato 12 vittime.

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TURCHIA, 4-9 MARZO ↴

La polizia turca ha fatto irruzione nella sede del

quotidiano turco di orientamento conservatore-

islamista Zaman, dopo che un tribunale di Istanbul ne

aveva decretato il commissariamento. La polizia è

entrata con la forza nella sede del quotidiano,

utilizzando cannoni ad acqua e lacrimogeni per

disperdere la folla di persone che, nel frattempo, si era radunata fuori dall’edificio.

Gli agenti si sono introdotti in redazione mentre i giornalisti preparavano l’edizione

del giorno successivo ed hanno fatto entrare gli amministratori pubblici designati a

gestire il giornale. Zaman, che è il quotidiano di informazione più venduto in Turchia,

con una tiratura quotidiana di 650.000 copie, è accusato di far parte della rete del

religioso e magnate turco, da tempo residente negli Stati Uniti, Fetullah Gülen, ex

alleato del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Il quotidiano turco ha mantenuto

una linea di appoggio al governo fino al 2013, quando poi si è unito alle accuse di

corruzione contro Erdoğan, allora Primo Ministro, passando a fare una dura

opposizione. L’organizzazione dei giornalisti ha denunciato l’operazione della polizia

come l’ennesimo tentativo dell’esecutivo turco di mettere a tacere le voci di dissenso:

l’anno scorso sono stati commissariati due quotidiani e due reti televisive. Il leader

del principale partito d’opposizione, il socialdemocratico CHP, Kemal Kılıçdaroğlu, ha

accusato il governo di considerare organizzazioni criminali «tutte le voci di dissenso»,

mentre la decisione di commissariare Zaman è stata presa dagli organi giudiziari per

«servire le aspettative e le ambizione dell’AKP». Stati Uniti ed Unione Europea hanno

condannato la decisione del governo turco, esprimendo la loro preoccupazione per le

limitazioni alla libertà imposte. Nonostante tali critiche, un paio di giorni dopo, è stata

commissariata anche l’agenzia di stampa Cihan, facente parte del medesimo gruppo

editoriale del quotidiano Zaman ed accusata di aver garantito la distribuzione del

neonato periodico Yarına Bakış, fondato da alcuni ex giornalisti di Zaman. Intanto,

sul fronte interno di sicurezza, l’esercito turco ha comunicato di aver completato le

proprie operazioni nella città di Sur, capoluogo della provincia di Diyarbakır, dove

sono stati uccisi 279 membri del PKK.

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ALTRE DAL MONDO

ALGERIA-MAURITANIA, 8 MARZO ↴

I Ministri della Difesa e Sicurezza degli Stati appartenenti al G5 del Sahel (Mauritania,

Burkina Faso, Niger, Mali, Ciad) hanno deciso di creare una forza speciale congiunta

con lo scopo di combattere il terrorismo, grazie al supporto tecnico di Francia e Spa-

gna e a quello finanziario dell’Unione Europea. I Ministri hanno anche deciso di isti-

tuire in Mauritania un Centro saheliano di analisi di minaccia e allerta preventiva e

una scuola militare denominata “Collegio di Difesa dei G5 del Sahel”. Tuttavia, in

concomitanza di tale decisione, l’Algeria ha sospeso il suo accordo di cooperazione

militare con la Mauritania senza addurre motivazione alcuna a tale provvedimento. I

rapporti tra i due Paesi hanno sempre alternato fasi di distensione ad altre di forte

attrito per via della storica crisi dei Sahrawi – la quale coinvolge anche e soprattutto

il Marocco – e di, recente, per le infiltrazioni di cellule jihadiste provenienti dalla Mau-

ritania in Algeria. Nel mese di aprile dello scorso anno, la Mauritania aveva espulso

dal Paese il Segretario Generale dell’Ambasciata algerina a Nouakchott. Per il mo-

mento, il governo mauritano si è astenuto dal commentare la decisione algerina.

ARABIA SAUDITA-GIBUTI, 9 MARZO ↴

A fronte del miglioramento dei rapporti bilaterali tra Arabia Saudita e Gibuti – anche

in virtù dell’adesione del piccolo Stato africano alla Coalizione islamica anti-terrorismo

guidata da Riyadh –, i due Paesi hanno raggiunto un’intesa per la firma di un accordo

di cooperazione militare. L’Arabia Saudita instaurerà presto una base militare a Gi-

buti, il quale, affacciandosi sullo Stretto di Bab al-Mandeb e collegando il Mar Rosso

al Golfo di Aden – e quindi all’Oceano Indiano –, rimane una delle rotte commerciali

e petrolifere più importanti al mondo. A Gibuti sono già presenti una base americana,

una francese, una italiana e il mese scorso anche la Cina ha avviato i lavori per un

proprio avamposto militare. Con l’instaurazione di questa base militare, l’Arabia Sau-

dita intende rafforzare la propria presenza politica nel territorio del Corno d’Africa e

creare un presidio militare permanente contro l’avanzata dell’influenza iraniana nella

regione.

AZERBAIJAN, 7 MARZO ↴

Conformemente al Piano annuale di Cooperazione Militare tra Azerbaijan e Turchia, il

7 marzo un contingente di militari delle forze armate azerbaijane ha raggiunto la città

turca di Konya per partecipare alle esercitazioni militari congiunte che avranno luogo

fino al 25 marzo. Come riportato dal Ministero della Difesa di Baku, l’esercitazione

prevede l’impiego di tre caccia da superiorità aerea MiG-29, tre aerei d’assalto SU-

25 e tre velivoli da trasporto strategico IL-76 delle forze armate azere. Inaugurata

nel 1992, la cooperazione militare tra Baku ed Ankara si inserisce nel quadro di in-

tense relazioni bilaterali. Per ciò che riguarda specificamente il settore della difesa,

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nel dicembre 2010 il Governo azero ratificava l’accordo sul Partenariato Strategico e

l’Assistenza Reciproca, che impegna i due Paesi al mutuo soccorso in caso di attacco

militare o aggressione esterna. Secondo le dichiarazioni rilasciate a maggio scorso

dall’Ambasciatore turco a Baku, Ismail Coşkun, le regolari esercitazioni congiunte

aeree e terrestri risponderebbero all’obiettivo della Turchia di elevare lo standard

tecnico-militare delle forze armate dell’Azerbaijan e di contribuire alla stabilità regio-

nale.

BRASILE, 10 MARZO ↴

La Procura di Curitiba ha incriminato ufficialmente l’ex Presidente Luiz Inacio Lula da

Silva con le accuse di corruzione, concussione e tangenti. Dopo la perquisizione nella

sua villa alla periferia di San Paolo e l’interrogatorio coatto all’aeroporto di San Ber-

nardo do Campo, si è aggravata infatti la posizione di Lula, indagato insieme altri

importanti leader politici, manager e personalità delle istituzioni nell’ambito dell’in-

chiesta Lava Jato, la Mani Pulite brasiliana, che ha investito Petrobras, la principale

azienda di Stato nel settore degli idrocarburi. Gli inquirenti stanno ora esaminando i

casi di altre imprese di costruzioni, OAS e Odebrecht, direttamente connesse con

Petrobras, che avrebbero beneficiato di contratti di favore sia durante la presidenza

Lula, sia durante quella Rousseff.

EGITTO-FRANCIA, 6 MARZO ↴

Nelle acque dinanzi la costa di Alessandria, Francia ed Egitto hanno avviato il pro-

gramma di esercitazione militare Ramses 2016, al fine di mettere a punto strategie

e procedure standard in caso di conflitto e di testare le potenzialità dei mezzi che il

Cairo ha acquistato di recente da Parigi. Secondo il portavoce dell’esercito egiziano,

il Maggiore Mohammed Samir, verranno utilizzate sia unità di superficie della Marina

egiziana sia velivoli aerei, affiancati da sei unità d’appoggio francesi (quattro fregate,

un sottomarino, e altre due navi). Tale esercitazione avrà lo scopo di dimostrare la

capacità operativa dello Stato egiziano. L’esercitazione Ramses 2016, tuttavia, non è

la prima del suo genere, poiché due anni fa si tenne l’omologa Cleopatra 2014. La

particolarità di quest’anno è che per la prima volta vi prende parte anche la portaerei

francese Charles De Gaulle, di ritorno, attraverso il Canale di Suez, dal Golfo Persico

dove era di stanza da alcune settimane.

IRAN, 8 MARZO ↴

Il Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica (IRGC) ha testato diversi missili ba-

listici a corto-medio raggio, della portata di 300-2.000 chilometri. Tra i missili impie-

gati durante l’esercitazione dell’8 marzo – dei quali non è stata indicata la capacità

di carico utile – vi sarebbero anche due missili di precisione a lunga gittata Qadr-H

(1700 km) e Qadr-F (2000 km) e missili terra-terra Qiam a testata multipla. Sebbene

Teheran sostenga che i vettori di propria produzione non siano programmati per il

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trasporto di armi nucleari, ma che rispondano ad esigenze di sicurezza nazionale, il

portavoce ONU Stéphane Dujarric ha confermato che la questione ha richiamato l’at-

tenzione delle Nazioni Unite. Inoltre, l’agenzia Reuters – nel riferire le dichiarazioni

rilasciate da un ufficiale statunitense – non esclude un intervento di Washington al

Consiglio di Sicurezza, in quanto esisterebbero forti segnali che il programma missi-

listico iraniano possa risultare in contrasto con una Risoluzione delle Nazioni Unite,

anche qualora esso non violasse palesemente l’intesa di Vienna di luglio 2015. Lo

stesso Ban Ki-moon ha ribadito che la Risoluzione 2231, che ha decretato la revoca

graduale delle sanzioni, raccomanda all’Iran di non condurre attività connesse a mis-

sili balistici per il trasporto di bombe nucleari, includendo dunque anche i test di

lancio. Di avviso contrario il Comandante del IRGC Mohammed Ali Jafari, che ha ri-

marcato la determinazione della Repubblica Islamica a proseguire lo sviluppo missi-

listico, espressione del potere di deterrenza nei confronti dei nemici, in particolare

Israele. L’affermazione – che pur segue di sole due settimane il successo dei riformisti

alle elezioni legislative – è sintomatica dell’autorevole influenza che l’Ayatollah Ali

Khamenei esercita sul IRGC.

ISRAELE-STATI UNITI, 6-7 MARZO ↴

Secondo ricostruzioni di stampa israeliana, è stato annullato, per volontà di Tel Aviv,

l’incontro che si sarebbe dovuto tenere a Washington il 18 o 19 marzo tra il Presidente

Barack Obama e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu. La dinamica dei fatti non

sembra essere chiara: la Casa Bianca tramite Ned Price, portavoce del National Se-

curity Council, ha fatto sapere di aver appreso della decisione di Netanyahu di can-

cellare la visita soltanto dai media. Il gabinetto del Premier israeliano sostiene, in-

vece, di aver dato preventiva comunicazione a Washington ma che vi sia stata una

impossibilità di coordinamento dei calendari legata in particolare alla prevista visita

di Stato di Obama a Cuba che si terrà il prossimo 21-22 marzo. La motivazione uffi-

ciale israeliana fa riferimento alla volontà di non inserirsi nella campagna elettorale

che si sta svolgendo negli USA. Tuttavia, le giustificazioni reali potrebbero trovare

ragione sia nella difficoltà di raggiungere un’intesa sul prossimo programma di aiuti

militari 2018-2028 per Israele sia per un certo raffreddamento dei rapporti bilaterali

a seguito degli accordi sul nucleare iraniano del luglio scorso.

ITALIA, 8-12 MARZO ↴

A Venezia si è tenuto il 33° vertice franco-italiano, un foro di dialogo bilaterale a

cadenza quasi annuale nel quale il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e il Presi-

dente della Repubblica francese François Hollande hanno colto l’occasione per fare il

punto sui principali dossier di politica internazionale: Libia, lotta all’immigrazione

clandestina e al terrorismo internazionale. A margine dei lavori, Renzi e Hollande

hanno firmato il protocollo per dare avvio alla fase finale dei lavori della linea ferro-

viaria ad alta velocità Torino-Lione. Nel frattempo a Campobasso e a Roma, la DIGOS

e i ROS hanno lanciato due operazioni anti-terrorismo distinte nelle quali sono state

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arrestate 4 persone con l’accusa di proselitismo e di pianificare attentati in Italia e,

in particolar modo, nella capitale.

LEGA ARABA-HEZBOLLAH, 11 MARZO ↴

Dopo l’inclusione nella black list del terrorismo internazionale da parte dell’Arabia

Saudita, delle singole monarchie arabo-sunnite sue alleate e del consesso sub-regio-

nale del Consiglio di Cooperazione del Golfo, anche la Lega Araba ha votato a netta

maggioranza una risoluzione di condanna nei confronti di Hezbollah quale organizza-

zione terroristica. Libano e Iraq, che si sono astenuti dal voto, hanno espresso “ri-

serve” sulla decisione presa a maggioranza nei confronti del movimento sciita liba-

nese e filo-iraniano. Una decisione, questa, che rischia di aumentare la distanza e la

rivalità tra Arabia Saudita e Iran, favorendo un’escalation indiretta di nuove tensioni

regionali. Nelle stesse ore i Ministri degli Esteri dei 22 Paesi membri erano riuniti al

Cairo per eleggere il successore dell’egiziano Nabil al-Arabi, in scadenza il 30 giugno

prossimo, alla carica di Segretario Generale dell’organizzazione. I voti sono confluiti

sull’ex Ministro degli Esteri egiziano Ahmed Aboul-Gheit.

RUSSIA, 5-11 MARZO ↴

Le difficoltà economiche dovute al doppio effetto delle sanzioni internazionali e del

basso prezzo mondiale del petrolio hanno costretto il governo russo a ridurre il budget

destinato all’apparato militare. La notizia del taglio del 5%, una cifra equivalente a

circa 160 miliardi di rubli (oltre 2 miliardi di dollari), è stata annunciata già a febbraio,

ma soltanto durante questi ultimi giorni sono comparse le informazioni riguardo i

segmenti del Ministero della Difesa che subiranno i provvedimenti. Tatiana

Shevtsova, il Vice Ministro della Difesa, ha annunciato che il programma d’acquisto

dei nuovi armamenti e i fondi destinati alla remunerazione del personale rimarranno

intatti, mentre saranno i programmi di costruzione e mantenimento delle riserve a

subire il peso maggiore delle difficoltà finanziarie. Quest’annuncio arriva in parallelo

con il rapporto sulle attività terroristiche nella Federazione Russa nel 2015, che evi-

denzia una situazione sempre più instabile nel Caucaso e nelle grandi città. Sono circa

1.500 le persone che nell’anno precedente sono state identificate come membri di

cellule terroristiche, con una fitta rete di legami non solo in Russia, ma anche nelle

principali capitali europee.

SOMALIA, 6-8 MARZO ↴

Almeno 150 terroristi di al-Shabaab sono morti a seguito di un raid USA avvenuto il

5 marzo, ma reso pubblico soltanto alcuni giorni dopo. Il Pentagono ha rivelato che

caccia e droni statunitensi hanno colpito un campo di addestramento dei miliziani

islamici, legati dal 2012 ad al-Qaeda, situato a Raso, circa 120 Km a nord della capi-

tale Mogadiscio. L’autorizzazione al raid è giunta a seguito di numerose rivelazioni

dell’intelligence USA, che accennavano all’eventualità di un attacco imminente contro

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le forze speciali statunitensi e le truppe del contingente internazionale dell’AMISOM

schierate nel Paese.

STATI UNITI, 9-12 MARZO ↴

In attesa del cruciale doppio round in Florida e Ohio del prossimo 15 marzo, utile a

definire in entrambi i campi i reali candidati alla nomination finale di partito, si è

votato ancora tra primarie e caucus il 6 marzo (Kansas, Kentucky, Lousiana e Maine)

e l’8 marzo (Michigan, Mississippi, Hawaii, Idaho). Sul fronte dei repubblicani, Donald

Trump ha vinto il caucus del Kentucky e le primarie della Louisiana, del Michigan, del

Mississippi e delle Hawaii, mentre Ted Cruz si è aggiudicato i caucus del Kansas e del

Maine e le primarie in Idaho. Sconfitto ancora una volta Marco Rubio, che, nonostante

la vittoria a Puerto Rico, vede allontanarsi la possibilità di concorrere per il GOP nelle

presidenziali 2016. Sempre tra i repubblicani è da annotare l’importante endorsement

di Ben Carson, ritiratosi appena una settimana prima, nei confronti di Trump. Tra le

fila dei democratici, Bernie Sanders tiene il passo di Hillary Clinton, vincendo con un

netto distacco in Michigan. L’ex Segretario di Stato si è potuta comunque acconten-

tare della vittoria in Mississippi.

UCRAINA, 9-10 MARZO ↴

Il Presidente ucraino Petro Poroshenko è arrivato in visita ufficiale ad Ankara, dove

ha incontrato il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e il Primo Ministro Ahmet

Davutoğlu. I leader dei due Paesi hanno discusso le prospettive per una maggiore

cooperazione economico-finanziaria bilaterale, inclusa la possibile creazione di

un’area di libero scambio tra Kiev e Ankara, di cui Davutoğlu aveva già parlato du-

rante la sua visita in Ucraina. Poroshenko ha proseguito la sua visita incontrandosi

con i rappresentanti delle maggiori imprese turche per discutere le opportunità di

investimento in Ucraina. Seppur alla base del viaggio del Presidente ucraino, gli

aspetti economici non sono stati gli unici argomenti affrontati ad Ankara: si è discusso

abbondantemente, infatti, anche della cooperazione in ambito di sicurezza e di difesa.

Sebbene non si sia parlato apertamente di una convergenza in ottica anti-russa, en-

trambi i Paesi continuano a guardare con crescente preoccupazione l’azione del Crem-

lino lungo i confini orientali dell’Europa e in Medio Oriente.

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ANALISI E COMMENTI

LA TURCHIA E LA GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI: QUALE SOLUZIONE?

FILIPPO URBINATI ↴

La gestione dei flussi migratori, provenienti dalla Siria, e, in generale, dalle aree di

conflitto del Medio Oriente, e il crescente numero di richiedenti asilo in Turchia e nei

Paesi europei sono stati oggetto di discussione del Vertice straordinario dello scorso

7 marzo tra i leader dei Ventotto dell’Unione Europea e il governo turco. Sin dalle

prime battute della crisi siriana, nel 2011, la Turchia ha aperto le proprie frontiere

offrendo un porto sicuro alle, allora, poche centinaia di sfollati che fuggivano dalle

principali aree di combattimento del Paese. La posizione turca, diplomaticamente e

militarmente defilata, era quindi orientata a porsi come protettore della popolazione

nella convinzione che le ostilità si sarebbero concluse rapidamente con la destituzione

di Bashar al-Assad. Con l’inasprimento del conflitto, con l’innesto di ulteriori fattori di

disgregazione e con il sostanziale stallo dal punto di vista operativo, la Turchia ha

aumentato il proprio coinvolgimento non solo all’interno di una cornice operativa oc-

cidentale (…) SEGUE >>>

LA RUSSIA TRA VELLEITÀ INTERNAZIONALI E LIMITI DOMESTICI

NICOLÒ FASOLA ↴

Alla vigilia del 2016 Vladimir Putin ha firmato la nuova National Security Strategy

(NSS) della Federazione Russa, emendando la precedente versione del 2009 come la

prassi dei sei anni richiede. Non si è trattato di uno sconvolgimento sostanziale

dell’impianto strategico originario, vedendosi al contrario riconfermata – al netto di

alcune osservazioni che seguiranno – la precedente linea di azione. Ad essere cam-

biati, piuttosto, sono stati il tono utilizzato nell’esprimere gli stessi concetti e le sfu-

mature assunte da alcuni elementi di rilevanza, i quali sarebbe tuttavia sbagliato

ignorare del tutto, essendo la forma in qualche modo indicativa anche di aspetti so-

stanziali. Indagare su di essa promette quindi, da un lato, di ricostruire quali siano i

punti principali di attenzione della Russia nella propria pianificazione strategica e,

dall’altro lato, di cogliere quale sia l’atteggiamento percettivo della Russia rispetto a

se stessa e alla propria posizione nel mondo (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

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