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POLITECNICO DI MILANO Scuola di Ingegneria Industriale e dell’Informazione Master of Science in Mathematical Engineering Metodi di accounting e crisi finanziarie: il fair value nei periodi di incertezza Relatore: Prof. Emilio BARUCCI Tesi di Laurea di: Giuseppe La Rosa Matricola: 858404 Anno Accademico 2016-2017

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POLITECNICO DI MILANO

Scuola di Ingegneria Industriale e dell’Informazione

Master of Science in

Mathematical Engineering

Metodi di accounting e crisi finanziarie:

il fair value nei periodi di incertezza

Relatore: Prof. Emilio BARUCCI

Tesi di Laurea di: Giuseppe La Rosa Matricola: 858404

Anno Accademico 2016-2017

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Ai Miei Genitori.

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Sommario

Il lavoro di tesi si inserisce nel dibattito che da anni coinvolge la scena economica

mondiale in merito ai metodi di Accounting, adottati nel settore bancario ed in quello

assicurativo. Analizzando le normative introdotte negli anni dagli organismi

responsabili, verranno studiati due principali approcci: l’Historical Cost Accounting e

il Fair Value Accounting. L’obiettivo è quello di approfondire i pro e i contro di tali

concetti e, attraverso lo studio e l’analisi di diversi metodi matematici, rispondere al

quesito che il top management delle più grosse banche di investimento e dei più

grossi gruppi assicurativi si pongono da anni: quale sia il miglior metodo di Accounting

da utilizzare nella stesura dei propri bilanci in modo da prendere le scelte di

investimento più opportune e saper gestire i periodi di crisi. Il problema di fondo sta

proprio nel capire come l’adozione di uno o dell’altro approccio va ad impattare sul

benessere finanziario e sulla stabilità economica delle banche e delle assicurazioni.

Nel provare a trovare una risposta, si andrà a studiare come nei periodi di crisi, in

particolar modo quello recente del 2008, hanno inciso le direttive date dagli organismi

deputati a emanare i principi contabili. Lo scopo finale è quello di capire come si

stanno muovendo le istituzioni per migliorare gli standard e dare un’opinione sulle

scelte che sono state e verranno prese.

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Indice

Introduzione 10

1 Fair Value Accounting vs Historical Cost Accounting 13

1.1 La storia degli standard contabili e panoramica degli organismi protagonisti . . 14

1.2 Fair Value Accounting: Financial Accounting Standards (FAS) 157 . . . . . . . . . 17

1.2.1 La definizione di Fair Value Accounting . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

1.2.2 La gerarchia degli Input nel Fair Value Accounting: la prospettiva degli

investitori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

1.3 Le principali differenze con l’Historical Cost Accounting. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

1.4 Il dibattito sulla scelta dell’approccio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

1.4.1 Benefici e problemi per gli investitori. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . 29

2 Modelli per il Fair Value Accounting 32

2.1

Modello per la scelta della politica di misurazione contabile. . . . . . . . . . . . . . . . . 34

2.1.1 FVA vs HCA: Prezzi e duration. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

2.1.2 FVA vs HCA: Prezzi e liquidità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46

2.2 Modello per il trading. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

3 Il ruolo del FVA durante la Grande Recessione del 2008 58

3.1 Cenni storici, cause ed effetti della crisi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

3.2 Critiche al Fair Value Accounting durante la crisi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

3.2.1 Prociclicità: leva finanziaria e contagio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

3.3 Il fallimento di Lehman Brothers. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73

3.4

Fair Value Accounting e Crisi Finanziarie: cosa migliorare per il futuro. . . . . . . . 80

4 IFRS 9: un nuovo standard contabile per la gestione dei crediti 85

4.1 Accounting per le perdite attese sui crediti: dall’incurred loss model alle expected

credit losses (ECL). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

4.2 IFRS 9: le novità introdotte dal nuovo standard e nuova politica sulle ECL. . . . .

89

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4.2.1 IFRS 9: i tre pilastri. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91

4.2.2 IFRS 9: metodi di valutazione dei crediti per la determinazione degli

accantonamenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

96

4.3 Effetti dell’applicazione dell’IFRS 9. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

99

4.3.1 Analisi della Banca Centrale Europa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99

4.3.2 Analisi della Banca d’Italia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104

Conclusione 110

Ringraziamenti 112

Bibliografia 114

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Elenco delle Figure

Figura 1 No-Trade region . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

Figura 2 Volume dei mutui subprime negli anni precrisi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .60

Figura 3 Andamento dei prezzi delle case americane secondo l’indice Case-Schiller .61

Figura 4 Andamento dei tassi d’interesse americani (2001-2004). . . . . . . . . . . . . .62

Figura 5 Originate and hold . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

Figura 6 Originate and distribute. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

Figura 7 Attività nel mercato della cartolarizzazione negli anni della crisi. . . . . . . . 66

Figura 8 Andamento dei tassi d’interesse americani (2004-2006) . . . . . . . . . . . . . 66

Figura 9 Andamento dei prezzi delle case americane secondo l’indice Case-Schiller. . . .67

Figura 10 TED spread in corrispondenza della banca rotta di Lehman Brothers. . .68

Figura 11 IFRS 9 –impatto sul coefficiente di CET1 per gli enti significativi. . . . . . . . . . .101

Figura 12 IFRS 9 –impatto sul coefficiente di CET1 per gli enti meno significativi. . . . . .102

Elenco delle Tabelle

Tabella 1 Determinazione del prezzo delle attività nette valutate al fair value. . . . 23

Tabella 2 Passività ed attività degli azionisti di Lehman Brothers . . . . . . . . . . . . . 77

Tabella 3 Misurazione delle perdite attese su crediti (ECL) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93

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Introduzione

In un panorama globale che vede il mondo della finanza dover affrontare la

digitalizzazione e l’ammodernamento delle infrastrutture finanziarie, le

decisioni intraprese dagli organi di vigilanza e dagli istituti deputati a emanare

le direttive sulla contabilità continuano ad essere al centro del dibattito da parte

del mondo economico ed accademico.

Il presente lavoro di tesi ha l’obiettivo di fare chiarezza su quali siano i principali

standard di accounting che gli istituti finanziari devono rispettare per redigere

i propri bilanci. Nel fare questo verranno approfondite le due visioni principali

riguardo la contabilità: il Fair Value Accounting e l’Historical Cost Accounting.

Attraverso uno studio sui più importanti principi contabili internazionali si vuole

fare un focus sul dibattito che questi innescano, presentando le principali

posizioni degli esperti ed inserendosi con un’opinione personale. Per fare

questo verranno presentati alcuni modelli matematici ed alcune analisi

statistiche che i diversi soggetti coinvolti hanno utilizzato per sostenere le

proprie posizioni.

Grazie ad un’analisi approfondita della Grande Crisi Finanziaria del 2008, si

vuole inoltre evidenziare quali siano state le principali problematiche che sono

state acutizzate dagli standard vigenti in quel periodo. Si daranno inoltre alcuni

spunti di riflessione utili per migliorare il sistema e rendere meno catastrofici

gli effetti di una crisi.

Per fare chiarezza sulla panoramica mondiale, verranno approfondite le novità

introdotte dopo gli anni ’90 dagli organi deputati a emanare gli standard e le

nuove politiche che gli istituti finanziari dovranno adottare per rispettare i

controlli delle autorità di vigilanza. Sarà, inoltre, proposta un’analisi sullo stato

di avanzamento dei lavori che le banche stanno affrontando per non essere

considerate inadempienti rispetto alle nuove direttive internazionali e su come

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tali novità andranno ad impattare sul benessere e sulla la stabilità finanziaria

delle stesse.

Il lavoro risulta essere di particolare interesse grazie all’importanza ed

all’attualità delle tematiche trattate. Lo studio e l’analisi delle crisi finanziarie

da parte di esperti nel settore, può senz’altro aiutare a migliorare le strategie

per affrontare quelle che inevitabilmente si possono presentare in futuro. Fare

chiarezza sulle direzioni che hanno intrapreso in passato e su quelle che

dovranno affrontare in futuro i protagonisti del settore finanziario, può essere

molto utile in quanto si può in tal modo incidere sugli standard e sulle normative

che gli istituti finanziari devono seguire sotto direttiva delle autorità competenti.

Pertanto, il lavoro di tesi sarà così strutturato:

• Nel primo capitolo verranno presentati ed analizzati i due approcci che

vengono considerati quando si parla di accounting e report finanziario:

l’Historical Cost Accounting (HCA) e il Fair Value Accounting (FVA).

Dopo una breve visione storica sulle più famose direttive vigenti in

passato, viene fatto un approfondimento sugli standard FAS157 e

IAS39, direttive cardine quando si parla di FVA. A tal proposito si

presenterà il dibattito tra favorevoli e contrari al FVA, presentando uno

studio su un campione di banche commerciali.

• Nel secondo capitolo vengono presentati due modelli matematici,

utilizzati per comprendere quali sono gli effetti dell’applicazione del

FVA: il modello di Plantin, Sapra e Shin (2004) e quello di Easley e

O’Hara (2008). Il primo mostra come la scelta della politica di

misurazione contabile – mark-to-market vs historical cost - non è

neutrale. Si studia quali sono i principali effetti che si hanno

nell’applicazione dei due diversi regimi contabili, in termini di duration

degli asset, liquidità dei mercati dove vengono scambiati e di anzianità

dei prodotti finanziari. L’altro modello invece dimostra come l’illiquidità

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di un mercato è generata dall’incertezza e come questa nuova forma di

illiquidità rende i prezzi bid ed ask inadatti come metriche per stabilire il

fair value degli asset. Il modello è utile per comprendere le dinamiche

dei mercati durante i periodi di grande volatilità.

• Nel terzo capitolo viene fatto un focus su quella che è stata la più

famosa crisi degli ultimi anni: la Grande Crisi Finanziaria del 2008. Per

fare questo, dopo aver presentato le principali cause e gli effetti della

crisi, verranno affrontate le difficoltà riscontrate dai metodi di accounting

utilizzati in quel periodo. Lo studio, analizzando alcuni dei casi più

eclatanti come la banca rotta di Lehman Brothers, si propone di lasciare

alcuni spunti di riflessione su come poter migliorare in futuro, evitando

così che gli effetti di una crisi siano catastrofici come quella del 2008.

• Nel quarto capitolo si approfondirà il tema della contabilità nell’ambito

della gestione delle perdite sui crediti. L’errata gestione delle riserve sui

crediti è stata una delle cause maggiori della Grande Crisi e per tale

motivo il lavoro vuole andare ad esaminare i provvedimenti e le

modifiche che gli organismi responsabili dell’emanazione dei principi

contabili hanno adottato. Pertanto, verrà fatto uno studio sulle novità

introdotte dallo standard IFRS9, entrato in vigore a partire dal primo

gennaio 2018, con particolare attenzione sulla nuova politica delle

Expected Credit Losses(ECL). Il capitolo si conclude con la

presentazione delle analisi d’impatto fatte dalla Banca Centrale

Europea e dalla Banca d’Italia in merito all’adozione dei nuovi principi

contabili. Le banche centrali nel 2017 hanno portato avanti degli studi

riguardo le conseguenze che avranno tali modifiche sul benessere e

sulla stabilità degli istituti finanziari e sull’andamento dei lavori che tali

correzioni richiedono.

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Capitolo 1

Fair Value Accounting vs Historical Cost Accounting

L’analisi dello sviluppo degli standard contabili rivela un interessante

fenomeno. Tra le tante novità introdotte nella redazione dei bilanci, c’è un

processo costante di cambiamento del paradigma della contabilità. Negli anni,

il vecchio Historical Cost Accounting(HCA) è stato rimpiazzato dal più moderno

Fair Value Accounting(FVA). Questo fenomeno è stato intensificato con

l’espansione di un’economia sempre più globale e con la rapida crescita

dell’information technology(IT).

Dopo un breve excursus storico sulle principali normative vigenti dagli anni 90

ad oggi, sarà presentata la definizione, lo sviluppo e l’implementazione dei due

standard FAS157 e IAS39, presupposto fondamentale per capire il significato

che gli organismi responsabili della contabilità degli istituti finanziari danno al

concetto di “fair value”. L’approfondimento di tali principi contabili, chiarirà le

motivazioni che hanno portato al passaggio dal concetto di HCA a quello di

FVA. Lo studio di questi standard, permetterà di comprendere le linee guida

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che gli istituti finanziari devono seguire nella valutazione e nella misurazione

dei propri prodotti.

Il dibattito mondiale non si è mai fermato, per questo, tramite lo studio delle

analisi fatte su diversi campioni di banche commerciali, si vuole dare una

visione delle varie posizioni e dei motivi di scontro tra favorevoli e contrari ai

diversi approcci contabili.

1.1 La storia degli standard contabili e panoramica degli

organismi protagonisti

Gli studi e le ricerche sui processi amministrativi stanno attraversando un

profondo mutamento, parallelamente all’ammodernamento delle esigenze

conoscitive delle vicende aziendali e al diffuso processo di unificazione

contabile promosso dal contesto comunitario.

Per raggiungere tale obiettivo, gli organismi responsabili dell’emanazione degli

standard contabili, si trovano a dover stare al passo con i tempi e ad apportare

le dovute modifiche alle proprie direttive in modo repentino.

Una delle principali sfide che i protagonisti del sistema si trovano ad affrontare

quotidianamente è sicuramente quella di fronteggiare la globalizzazione che

investe l’economia mondiale. Essa richiede un’omogeneità tra gli stati nella

gestione aziendale e contabile di una qualsiasi impresa.

Il maggiore organismo responsabile dell’emanazione delle direttive contabili

internazionali è l’International Accounting Standards Committee (IASC), dal

2000 denominato International Accounting Standards Board (IASB). Fondato

a Londra nel 1973 quale ente di natura privata, è il frutto di un accordo tra le

maggiori associazioni professionali operanti in Australia, Stati Uniti, Canada,

Messico, Giappone, Francia, Germania e Regno Unito. Tale ente è il

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responsabile dell’emanazione dei principi contabili che mantengono tuttora la

denominazione di International Accounting Standards (IAS), le direttive

approvate dopo il 2001 dallo IASB assumono invece il nuovo nominativo

International Financial Reporting Standards (IFRS).

In quanto istituzione di carattere privatistico, lo IASB non vanta alcun “diritto di

imposizione” e si limita dunque ad incentivare la libera accettazione delle

proprie direttive. Le sue scelte acquistano comunque una forte autorevolezza

grazie all’appoggio di altre organizzazioni internazionali tra cui il Comitato di

Basilea.

L’organizzazione che si occupa di stabilire e migliorare i Generally Accepted

Accounting Principles (GAAP) all’interno degli Stati Uniti d’America per

l’interesse pubblico è il Financial Accounting Standards Board (FASB). La

Securities and Exchange Commision (SEC) ha designato il FASB come

l’istituzione responsabile dell’emanazione degli standard contabili per le

compagnie pubbliche americane.

Nel settembre del 2002 a Norwalk, (Connecticut), il FASB in un incontro con

lo IASB ha emanato il Memorandum of Understanding1 su un progetto di

convergenza riguardo gli IFRS. In questa occasione sono stati delineati i piani

di azione per far confluire gli IFRS e gli US GAAP nello “sviluppo di standard

contabili con un’alta qualità comparabile e che potessero essere usati per la

rendicontazione nazionale e transfrontaliera” [27]. Come parte del progetto, il

FASB iniziò ad allontanarsi dal principio dell’historical cost verso l’adozione del

fair value.

Nel 2006 il FASB implementava lo Statement of Financial Accounting

Standards (SFAS) No. 157, il quale forniva una definizione precisa di fair

value, oltre a dare un quadro di misurazione e i requisiti di informativa utili nella

creazione dei rendiconti finanziari, con particolare attenzione ai periodi di

1 Un memorandum of understanding è un accordo tra due o più parti. Esso esprime una convergenza tra le

parti, indicando una comune linea di azione.

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mercati non attivi. Lo standard può essere considerato un importante

riferimento sul Fair Value Accounting, seppur non necessariamente la sua

origine. I critici sostengono che fu proprio questo rapporto a contribuire alla

Grande Crisi Finanziaria, seppur in quegli anni anche lo IASB riteneva il

documento coerente con gli IFRS. Il FAS 157 diventa effettivo per i rendiconti

finanziari emessi dopo il 15 novembre 2007.

Ad agosto 2008 la U.S. SEC pubblica una proposta di tabella di marcia per

l’adozione degli IFRS da parte delle compagnie americane, in modo da

rimpiazzare gli U.S. GAAP in una schedulazione che prevedeva il

raggiungimento delle pietre miliari entro il 2011 e l’ufficiale passaggio agli IFRS

entro il 2014.

Sempre nel 2008 lo IASB decise di emanare lo standard IFRS 9 con specifica

attenzione alla rilevazione e valutazione degli strumenti finanziari. Nel luglio

del 2014 ha emesso la versione definitiva dell’IFRS 9 in sostituzione dello IAS

39. Le principali novità riguardano un nuovo modello di "classification and

measurement", l'impairment, l'hedge accounting e la gestione delle passività

proprie.

Il nuovo standard si applica dal 1° gennaio 2018 ma è tuttavia previsto un

periodo transitorio in cui non si viene considerati inadempienti. Lo IAS 39 era

stato emanato nel dicembre del 1998, con lo scopo di modernizzare la

contabilizzazione e la valutazione degli strumenti finanziari. A causa del

continuo mutamento dei mercati e la nascita di sempre nuovi prodotti, il

principio ha iniziato la sua decorrenza nel 2005 ed è poi stato soggetto di

modifiche ed integrazioni fino al 2007.

Gli standard contabili IAS/IFRS non vengono applicati immediatamente

nell’Unione Europea, bensì sono sottoposti ad un primo esame di tipo tecnico

da parte di un comitato di esperti, l’European Financial Reporting Advisory

Group (EFRAG), e ad uno di tipo politico da parte di un comitato di

rappresentanti dei governi chiamato Accounting Regulatory Committee (ARC).

Per l’omologazione comunitaria, il documento deve inoltre passare al vaglio

del neonato Standards Advice Review Group (SARG), nominato con la

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Commissione Europea 2007/73/CE, la cui funzione è quella di consigliare la

Commissione stessa sull’obiettività e la neutralità dei pareri dell’EFRAG.

Superati tali controlli la documentazione viene approvata dai ministri

dell’Unione ed acquista efficacia di legge in tutti gli Stati membri. Per ora l’unico

principio non completamente approvato dall’Unione Europea è lo IAS 39, che

è in vigore solo in parte a causa della complessità degli argomenti trattati e al

forte dibattito che questi hanno innescato.

1.2 Fair Value Accounting: Financial Accounting Standards

(FAS) 157

Nella sua forma pura, il Fair Value Accounting coinvolge la segnalazione degli

asset e delle passività nei bilanci al fair value e riconosce i cambi nel fair value

come guadagni e perdite nel conto economico. Se vengono usati i prezzi di

mercato per determinare il fair value, allora il Fair Value Accounting prende

anche il nome di mark-to-market accounting.

1.2.1 La definizione di Fair Value Accounting

Il FASB ha definito il concetto di fair value diverse volte. Una primissima

definizione è apparsa nel FAS 13 (FASB,1976), Accounting for Leases, in cui

il fair value veniva definito come il “prezzo per il quale un bene dovrebbe

essere venduto in una transazione a condizioni di mercato non correlate tra le

parti”.

La definizione contabile generalmente accettata di “fair value” negli ultimi anni

è basata sullo standard FAS 157 (“Fair Value Measurements”), che è stato

emanato dal FASB nel settembre 2006, con l’obiettivo di fornire una guida più

comprensiva per assistere le compagnie nella stima del fair value dei propri

prodotti finanziari.

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Il FAS 157 definisce il fair value come “il prezzo che si dovrebbe ricevere per

vendere un asset o pagare per trasferire una passività in una transazione

ordinaria tra i partecipanti del mercato alla data di misurazione”. Questa

definizione riflette una nozione ideale di “valore di uscita” al quale le

compagnie escono dalle posizioni correntemente detenute attraverso

transazioni ordinarie con i partecipanti del mercato alla data di misurazione,

no attraverso “fire sales”2.

“Alla data di misurazione” vuole sottolineare come il fair value dovrebbe

riflettere le condizioni di uscita alla data di bilancio. Per esempio, se i mercati

fossero illiquidi e i premi per il rischio di credito sono a livelli insolitamente alti,

allora il fair value dovrebbe riflettere queste condizioni.

I “partecipanti del mercato” sono ben informati, non correlati e disposti e capaci

di effettuare transazioni. Lo standard non contempla l’idea che un’asimmetria

di informazione tra gli attuali detentori delle posizioni e i potenziali acquirenti

sia così severa che i mercati cadano tutti insieme, come è apparso essere

realmente accaduto per alcune posizioni durante la crisi del credito.

Il fair value è definito in modo simile dagli IFRS come l’ammontare per il quale

un asset potrebbe essere scambiato, o una passività regolata, tra parti

consapevoli e disponibili, in una transazione di mercato.

L’obiettivo del fair value accounting è quello di aumentare la trasparenza nella

valutazione degli asset in modo che le compagnie e i propri investitori siano

più capaci di valutare gli strumenti finanziari e prendere corrette scelte

finanziarie. È questo un goal lodevole, che tuttavia presenta diverse difficoltà

pratiche nell’implementazione del fair value accounting, anche sotto le migliori

condizioni di mercato.

2 “Fire Sales”, in italiano vendite di fuoco, è un termine che fa riferimento a quelle vendite di un

business o di una parte del business ad un prezzo molto basso a causa della necessità di liquidità o

conseguentemente ad una banca rotta.

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1.2.2 La gerarchia degli Input nel Fair Value Accounting: la prospettiva

degli investitori

Il FVA è un modo di misurare gli asset e le passività che ci sono nei bilanci

delle compagnie. Il FAS 157 crea una gerarchia di input utilizzati per le

misurazioni al fair value, dal più affidabile al meno.

Gli input di Livello 1 sono i prezzi di mercato quotati non rettificati nei mercati

attivi per prodotti finanziari identici. Con alcune rare eccezioni, il FAS 157

chiede esplicitamente alle imprese di usare gli input di livello 1 ogni volta che

sono disponibili.

Gli input di Livello 2 sono altri dati di mercato osservabili direttamente o

indirettamente. Esistono due ampie sottoclassi di questi input. La prima,

generalmente preferita, è quella dei prezzi di mercato quotati in mercati attivi

per prodotti simili o in mercati non attivi per prodotti identici. La seconda

sottoclasse consiste di altri input di mercato osservabili come curve di

rendimento, tassi di cambio, correlazioni empiriche, ecc.

Gli input di Livello 3 sono inosservabili (in quanto ipotesi di modello), sono

stime fornite dall’impresa, come ad esempio le previsioni di deprezzamento

del valore delle abitazioni e la risultante gravità della perdita di credito sulle

posizioni legate ai mutui. Questi sono utilizzati per derivare il fair value se gli

input osservabili non sono disponibili, spesso infatti si parla di approccio mark-

to-model. Tali input dovrebbero riflettere le assunzioni che i partecipanti al

mercato dovrebbero adottare, ma spesso portano a valutazioni mark-to-model

che sono molto indisciplinate dalle informazioni di mercato. A causa della poca

trasparenza dei prezzi durante la crisi del credito, molte posizione subprime

che le compagnie valutavano al fair value usando gli input di Livello 2,

inevitabilmente hanno dovuto iniziare ad utilizzare quelli di Livello 3.

Nel determinare il fair value, gli IFRS fanno una distinzione tra gli input simile

a quella del FAS 157: i prezzi quotati in mercati attivi devono essere usati

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come fair value quando sono disponibili. In assenza di tali prezzi, un’entità

dovrebbe usare tecniche di valutazione e tutta l’informazione di mercato

rilevante che è disponibile in modo che le tecniche di valutazione vadano a

massimizzare l’uso degli input osservabili (IAS 39).

Una caratteristica interessante del FAS 157 è che ci sono requisititi di

divulgazione asimmetrici per le diverse stime nella gerarchia del fair value. In

particolare, solo per gli asset e le passività di Livello 3, la compagnia è tenuta

a rivelare:

i) gli utili e le perdite totali per il periodo,

ii) gli acquisti, le vendite, problemi e gli insediamenti

iii) l’ammontare di ogni trasferimento dentro o fuori il livello 3 della

gerarchia, le motivazioni delle modifiche e la politica per determinare

quando i trasferimenti tra i livelli si ritiene che si sia verificata.

Data la discrezione che i manager hanno sulle stime di Livello 3, gli utili di

Livello 3 potrebbero riflettere i tentativi dei manager di inflazionare i guadagni

e i valori degli asset.

Goh et al. (2015) hanno svolto una cross-sectional analysis sulla valutazione

da parte degli investitori delle stime al fair value. La ricerca ha valutato come

gli investitori giudicano il prezzo delle attività a fair value delle banche,

considerando il prezzo in riferimento all’abilità dell’ammontare di asset a fair

value di riflettere informazioni rilevanti per gli investitori.

Il campione sul quale sono state svolte le analisi statistiche è composto da un

insieme di quasi 7000 istituti finanziari americani, per i quali sono state ricavate

le variabili finanziarie e le date di deposito da Compustat3 e i prezzi delle azioni

3 Compustat è un database di informazioni finanziarie, statistiche e di mercato sulle società globali attive e

inattive in tutto il mondo. Il servizio è iniziato nel 1962.

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dal CRSP 4 . Le osservazioni fanno riferimento al periodo 2008-2011.

Lo studio, partendo dall’approccio seguito da Barth e Clinch(1998), usa il

prezzo delle azioni come misura delle informazioni rilevanti per gli investitori e

indaga la capacità degli importi di bilancio di spiegare questa misura,

basandosi sull’equazione:

𝑃𝑅𝐼𝐶𝐸𝑖,𝑡 = 𝛽0 + 𝛽1𝐵𝐸𝑖,𝑡 + 𝛽2 𝐸𝑃𝑆𝑖,𝑡 + 𝑒𝑖,𝑡 (1)

dove la variabile dipendente (PRICE) è il prezzo di chiusura delle azioni dopo

il deposito dei report finanziari. BE è il valore contabile del patrimonio netto e

EPS è l’utile per azione. Queste ultime sono le variabili esplicative e

costituiscono le misure dell’informazione che viene riflessa dai numeri di

contabilità di bilancio, mentre β0 e ei,t catturano la porzione di prezzo non

spiegata dalle variabili BE e EPS.

Poiché l’obiettivo è quello di determinare se il pricing degli asset a fair value

varia tra i differenti livelli della gerarchia presentata nel FAS 157, il BE è stato

diviso come segue:

𝑃𝑅𝐼𝐶𝐸𝑖,𝑡 = 𝛽0 + 𝛽1𝐹𝑉𝐴1𝑖,𝑡 + 𝛽2𝐹𝑉𝐴2𝑖,𝑡 + 𝛽3𝐹𝑉𝐴3𝑖,𝑡 + 𝛽4𝑁𝐹𝑉𝐴𝑖,𝑡 + 𝛽5𝑁𝐹𝑉𝐿𝑖,𝑡 +

𝛽6𝐹𝑉𝐿12𝑖,𝑡 + 𝛽7𝐹𝑉𝐿3𝑖,𝑡 + 𝛽8𝐸𝑃𝑆𝑖,𝑡 + 𝑒𝑖,𝑡

(2)

Dove FVA1 (FVA2, FVA3) sono asset di Livello 1 (Livello 2, Livello 3) e i NFVA

(NFVL) sono gli asset (passività) netti non segnati al fair value. Inoltre, sono

state combinate le passività di Livello 1 e Livello 2 (FVL12) separatamente

dalle passività di Livello 3 (FVL3). PRICE rappresenta il prezzo delle azioni

4 Il CRSP (Center for Research in Security Prices) è un centro di ricerca presso l’University of Chicago Graduate

School of Business. Il Centro per la ricerca sui prezzi di sicurezza (CRSP) è un fornitore di dati storici di serie

temporali su titoli. CRSP è un centro senza scopo di lucro che viene utilizzato da agenzie accademiche,

commerciali e governative per accedere a informazioni quali prezzo, dividendi e tassi o rendimenti delle

azioni.

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misurate immediatamente dopo il deposito del 10-Q o del 10-K5 da parte della

banca i durante il trimestre t.

Se gli investitori considerassero gli asset a fair value delle banche di valore,

noi ci dovremmo aspettare i coefficienti di FVA1, FVA2, FVA3 postivi e

significativamente diversi da zero. Considerato che i prezzi e gli asset a fair

value sono stati scalati dallo stesso numero di azioni in circolazione, un

coefficiente pari a uno suggerisce che gli investitori valutano uno ogni dollaro

di asset dichiarato a fair value.

5 Il modulo 10-Q (10-K) è un rapporto trimestrale (annuale) imposto dalla Securities and Exchange

Commission (SEC) federale degli Stati Uniti, che le società quotate in borsa sono obbligate a presentare.

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Tabella 1. Questa tabella presenta i risultati dell’analisi di regressione su come gli investitori valutano gli asset

netti a fair value. La variabile dipendete è il PRICE, che rappresenta il prezzo immediatamente dopo la data di

deposito

Determinazione del prezzo delle attività nette valutate al fair value.

Coeff. t-stat F-stat (coeff.=1) p-Value F-stat (coeff.=1) p-Value

Intercetta 0.80 3.00***

NFVA 0.90 40.54*** 104.11*** 0.00

FVA1 1.02 46.21*** 2.69 0.11

FVA2 0.96 42.32*** 20.03*** 0.00

FVA3 0.87 33.69*** 143.18*** 0.00

NFVL -0.92 -39.09*** 56.71** 0.00

FVL12 -0.98 -42.75*** 3.74*** 0.05

FVL3 -0.87 -34.02*** 126.53 0.00

EPS 2.52 13.43

Numero di osservazioni 6893

R-square 0.74

F-tests (F-stat)

FVA1 = FVA2 21.39***

FVA1 = FVA3 74.98***

FVA2 = FVA3 45.90***

FVL12 = FVL3 65.03***

* Indica una significatività al livello del 10%.

** Indica una significatività al livello del 5%.

*** Indica una significatività al livello dell’1%.

La Tabella 1 riporta i risultati della regressione basata sulla Eq. (2). Si può

notare come ci sia un declino nel peso che gli investitori hanno dato agli asset

a fair value se ci muoviamo lungo la gerarchia dei tre livelli. Infatti, i coefficienti

di FVA1, FVA2 ed FVA3 sono rispettivamente 1.02 (t-statistic: 46.21), 0.96 (t-

statistic: 42.32) e 0.87 (t-statistic: 46.21). Mentre il coefficiente di valutazione

di FVA1 non è differente dal suo valore teorico di 1, i coefficienti di FVA2 e FVA3

sono significativamente diversi da 1, di conseguenza gli investitori pongono

meno peso su questo tipo di asset a fair value.

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Nella tabella sono riportati anche i risultati degli F-tests condotti sulle

differenze tra i coefficienti attraverso la gerarchia del fair value. È evidente che

il coefficiente di FVA1 è significativamente differente da quello di FVA3 (F-

statistics: 74.98). Allo stesso modo, il coefficiente FVA2 è significativamente

differente rispetto a quello di FVA3 (F-statistics: 45.90). I risultati mostrano

come gli investitori valutano gli asset mark-to-model (stime di Livello 3) meno

rispetto agli asset mark-to-market (stime di Livello 1 e di Livello 2). Dunque,

sembra che gli investitori percepiscano preoccupazioni di affidabilità

significative rispetto alla valutazione dei strumenti di Livello 3. Per quanto

riguarda le passività, i coefficienti FVL12 e FVL3 sono significativamente

differenti rispetto al loro valore teorico di -1. In aggiunta, la valutazione sui

FVL3 è anche significativamente differente rispetto al coefficiente delle FVL12.

Ciò dimostra che la valutazione delle passività di Livello 3 a fair value è

sottovalutata dagli investitori.

Si può concludere che gli asset a fair value mark-to-model basati su input non

osservabili (asset di Livello 3) sono sottovalutati (riflettono meno informazioni)

rispetto agli asset basati su input osservabili (asset di Livello 2) e agli asset a

fair value mark-to-market (asset di Livello 1).

Dato che gli asset mark-to-model sono intrinsecamente meno liquidi e portano

maggiori rischi di informazioni rispetto agli asset mark-to-market, sembra che

gli investitori valutino tali asset in modo inferiore a causa della preoccupazione

sulla liquidità degli asset e sul rischio informativo.

La sottovalutazione può essere dovuta anche al fatto che gli input di Livello 3

non sono osservabili e sono generati dall’entità stessa, mentre gli input di

Livello 1 e di Livello 2 sono osservabili e presi direttamente dal mercato o da

dati aggiustati di prodotti simili scambiati in mercati attivi.

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1.3 Le principali differenze con l’Historical Cost Accounting

L’alternativa principale all’approccio del Fair Value Accounting è quello

dell’Historical Cost Accounting. Secondo tale principio, gli asset sono registrati

al costo storico, che generalmente coincide con il fair value quando gli asset

sono stati originariamente acquistati. Successivamente, i costi storici sono

rettificati per ammortamenti e svalutazioni, ma non per gli aumenti nel valore

degli asset.

A differenza del FVA, l’HCA offre poco spazio per la manipolazione purché si

usino i prezzi d’acquisto originali o i costi ammortizzati, ma l’informazione

fornita viene spesso criticata in quanto poco rilevante e tempestiva.

Allo stesso tempo, spesso l’historical value degli asset e delle passività ha solo

un’associazione remota con i valori di mercato. Questa situazione permette

quindi al management di manipolare i guadagni contabilizzati, per nascondere

la loro mancanza di realizzazione reale.

Inoltre, poiché l’HCA non riconosce i guadagni finché l’asset viene

effettivamente venduto, potrebbe fornire incentivi alle banche per vendere

selettivamente (e riacquistare) asset che vengono scambiati in mercati liquidi

e sono stati apprezzati in valore.

Il regime dell’Historical Cost si basa sui prezzi delle transazioni passate,

dunque i valori di accounting sono insensibili ai più recenti segnali sui prezzi.

Questa mancanza di sensitività induce decisioni inefficienti poiché il regime di

misurazione non riflette il valore fondamentale degli asset più recente. Con

l’HCA, inoltre, le imprese diventano miopi trovando ottimale vendere gli asset

che sono stati recentemente apprezzati in valore, poiché registrando tali

strumenti all’historical cost li sottovaluterebbe. Dunque, quando il valore di un

asset viene apprezzato, il regime dell’historical cost porta a vendite inefficaci.

In generale, l’approccio mark-to-market tende ad amplificare i movimenti nei

prezzi degli asset rispetto ai loro valori fondamentali, invece il regime degli

historical cost tende a registrare in ritardo tali movimenti. Per tale ragione il

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mark-to-market porta a vendite inefficienti nei periodi di crisi, invece l’historical

cost risulta essere particolarmente inefficiente in buoni periodi finanziari.

1.4 Il dibattito sulla scelta dell’approccio

Negli ultimi anni si è innescato un forte dibattito sui vantaggi e gli svantaggi

che comporterebbe un passaggio ad un sistema di accounting interamente

basato sul mark-to-market. Tale dibattito è stato regolamentato dallo IASB e

dal FASB i quali hanno apportato cambiamenti in questa direzione come parte

di un tentativo di ottenere standard contabili globalizzati.

Esistono due lati della controversia nel dibattito. I proponenti del mark-to-

market sostengono che il Fair Value Accounting riflette il vero (e rilevante)

valore del bilancio delle istituzioni finanziarie. Questo dovrebbe permettere agli

investitori e ai policy maker di comprendere meglio i propri rischi e

intraprendere più tempestive discipline di mercato ed azioni correttive.

D’altro lato ci sono gli oppositori i quali sostengono che il mark-to-market

accounting porta con sé una volatilità eccessiva ed artificiale. Come

conseguenza i bilanci delle istituzioni potrebbero essere guidati dalle

fluttuazioni a breve termine del mercato che non riflettono il valore a scadenza

degli asset e delle passività.

Allen e Carletti (2006) hanno contribuito al dibattito, sostenendo che l’adozione

del sistema mark-to-market ai valori degli asset delle istituzioni finanziarie non

fosse positivo nel caso in cui ci si trovasse in un periodo di mercati illiquidi e di

forte incertezza. In tempi di crisi finanziaria, l’interazione tra le istituzioni e i

mercati potrebbe portare a situazioni in cui i prezzi nei mercati illiquidi non

vanno a riflettere i futuri payoff, ma rispecchiano l’ammontare di contanti

disponibili per i protagonisti del mercato.

Nel caso in cui si adottasse un approccio historical cost, questo problema non

comprometterebbe la solvibilità della banca poiché non si andrebbe ad

intaccare il valore contabile dei propri asset. Secondo gli autori invece l’utilizzo

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del paradigma del fair value, a causa della volatilità dei prezzi degli asset,

avrebbe effetti negativi anche sui valori contabili. Questo porterebbe al

contagio e forzerebbe le banche all’insolvibilità, nonostante loro sarebbero

capaci di coprire i propri obblighi se continuassero a detenere gli asset fino a

scadenza.

I proponenti del mark-to-market sostengono che il valore di mercato di un asset

è più rilevante rispetto all’historical cost al quale è stato acquistato, poiché il

loro prezzo di mercato riflette l’ammontare per il quale un asset o una passività

potrebbe essere comprata o venduta in una transazione corrente tra parti

disponibili. Un paradigma che riflette i prezzi delle transazioni potrebbe dunque

portare ad intuizioni migliori in merito al profilo di rischio dell’istituzione in modo

che gli investitori possano avere una migliore disciplina di mercato e apportare

azioni correttive repentine.

Laux e Leuz (2009) hanno provato a fare un po’ di chiarezza sul dibattito tra i

critici del FVA6, che sostengono abbia contribuito alla crisi finanziaria e ad

esasperarla e i sostenitori7 i quali credono che esso abbia giocato un ruolo di

messaggero che ora vuole essere eliminato. Gli autori comunque arrivano a

quattro conclusioni:

• Gran parte della controversia sul FVA deriva dalla confusione sulle

novità del nuovo paradigma e dalle diverse opinioni su gli obiettivi che

si vogliono raggiungere con l’adozione di questo nuovo approccio. Il

dibattito porta a discutere di problemi contabili classici come il tradeoff

tra pertinenza ed affidabilità;

6 Per esempio, l’American Bankers Associaion nella sua lettera alla SEC nel settembre 2008 sosteneva: “I

problemi che esistono nei mercati finanziari oggi possono essere fatti risalire a diversi fattori. Un fattore che

ha esasperato tali problemi è il fair value accounting.

7 Un argomento correlato ma diverso è che il FVA fornisce importanti messaggi che non dovrebbero essere

ignorati (Ball,2008)

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• Ci sono preoccupazioni legittime sul contabilizzare i propri asset al

prezzo di mercato in tempi di crisi, ma tale problema non è detto che

vada risolto cambiando il sistema contabile, ma piuttosto rivendendo i

contratti e la regolamentazione;

• I problemi di implementazione pratica esistono e non si possono

trascurare. Dare al management più flessibilità sui bilanci in tempi di

crisi, aprirebbe la porta alla manipolazione.

• Il ritorno all’HCA non porterebbe miglioramenti in quanto presenta

diversi problemi, tra cui l’incentivo per la negoziazione dei così detti

“guadagni per cartolarizzazione” e la mancanza di trasparenza.

L’opposizione più forte al fair value accounting arriva dai brokers/dealers, dalle

banche di vendita al dettaglio, dalle compagnie assicurative, dalle compagnie

di investimento e dagli hedge funds. Molti di loro credono che il fair value sia

stato il motore principale della crisi finanziaria. Ad esempio, il seguente è un

tipico pensiero comune dei protagonisti sopra citati: “ … probabilmente il 70

per cento della crisi finanziaria che stiamo vivendo è causata dall’approccio

mark-to-market in un mercato illiquido…”. 8

In sintesi, coloro i quali chiedono una sospensione del FVA hanno usato le

seguenti argomentazioni contro il paradigma:

▪ Quando una compagnia è in un periodo di crisi, con l’approccio del fair

value è obbligata a vendere i propri asset ad un prezzo distorto, che

non riflette i flussi di cassa;

▪ I prezzi di mercato di molti derivati (Level 3) sono molto dipendenti da

complessi modelli, i quali sono strettamente legati al rischio di modello

che distorce il fair value “reale”;

▪ Il fair value non fornisce una visione sul lungo periodo;

8 Newt Gingrich, “Suspend Mark-To-Market now!” Sept. 29, 2008, Forbes.com.

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▪ L’approccio mark-to-market ha regolamentato molte margine calls per

molti mortgage-backed securites (MBS), andando ad esasperare la

crisi;

▪ La volatilità è aumentata a dismisura a causa ti tale approccio contabile;

▪ Il fair value è responsabile della pro-ciclicità e della gestione contabile

sbagliata in periodi di incertezza.

▪ Il fair value ha distrutto la confidenza e la fiducia degli investitori.

Ci sono anche diversi sostenitori del Fair Value o comunque sono tanti gli

organismi che non vogliono una sua sospensione. Alcuni analisti di JPMorgan

sostengono in un recente articolo su Bloomberg che “…accusare il fair value

accounting per la crisi del credito è come andare da un dottore per una

diagnosi e colpevolizzarlo perché sta dicendo che si è malati… “.

In sintesi, i protagonisti a favore del paradigma fair value sostengono che:

▪ Il fair value non ha accentuato la crisi, ma ha riportato la verità delle

cose che stavano accadendo;

▪ Senza il fair value il problema dei credit-dafault-swaps (CDS) sarebbe

stato accentuato;

▪ Il fair value non aumenta la volatilità, ma svela la verità;

▪ Sospendere il paradigma sarebbe come sospendere il giudizio del

mercato andando a diminuire la già poca trasparenza che c’è;

▪ Il fair value non è perfetto, ma non esistono alternative valide per la

gestione di derivati complessi e dei prodotti strutturati. L’alternativa

sarebbe il “mark-to-myth”.

1.4.1 Benefici e problemi per gli investitori

Ryan (2008) ha dato un’interessante panoramica sulle motivazioni principali

per cui il FASB e lo IASB, le associazioni degli investitori e le accademie di

contabilità credono che il FVA possa portare benefici o creare problemi agli

investitori.

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In questa sezione vengono riassunti i benefici e i problemi che, secondo i

protagonisti, un approccio fair value potrebbe portare agli investitori.

Tra i benefici del FVA per gli investitori è giusto sottolineare:

• I fair value sono più accurati, tempestivi e comparabili tra le varie

istituzioni rispetto ad altri metodi di misurazione, nonostante i mercati

mostrino i “prezzi bolla”.

▪ I fair value riflettono l’informazione corrente rispetto ai

futuri flussi di cassa e ai tassi di sconto adeguati al rischio;

▪ In questo modo si va a migliorare l’efficienza dei mercati.

• Il FVA non autorizza le istituzioni finanziarie a gestire i propri guadagni

tramite gains trading, poiché i guadagni e le perdite sono contabilizzate

quando si verificano, non quando sono realizzate.

• Per gli investitori è senz’altro utile avere la probabilità e la significatività

dei flussi di cassa futuri e questo è un qualcosa che il FVA fa, andando

ad aggiornare la distribuzione dei cash flow a causa di nuove

informazioni in modo tempestivo.

• Il paradigma del fair value è la migliore piattaforma per la divulgazione

obbligatoria e volontaria delle informazioni utili per gestione del rischio,

un qualcosa che è di forte interesse per gli investitori.

Su posizioni diverse si trovano le banche e le istituzioni finanziarie tradizionali

le quali sostengono che il fair value faccia più male agli investitori rispetto ad

altri paradigmi come l’historical cost, con le seguenti motivazioni:

▪ In presenza di mercati non liquidi, il fair value è una nozione mal definita

che implica prezzi di transazione ipotetici che non possono essere

misurati in modo affidabile.

▪ Se i fair value sono ricavati da sorgenti diverse dai mercati liquidi, sono

non verificabili e permettono alle istituzioni di impegnarsi nella gestione

discrezionale del reddito e ad altri comportamenti contabili che

intaccano la verificabilità delle informazioni.

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▪ I fair value creano una volatilità maggiore sui ricavi derivanti dall’equity

e i guadagni netti potrebbero non corrispondere agli effettivi flussi di

cassa futuri.

▪ Inoltre, il paradigma del fair value porta con sé un rischio sistematico

che può avere effetti negativi sul valore degli asset e può andare ad

amplificare gli shock economici, avendo un “rumore” intrinseco

determinato dal sentimento del mercato piuttosto che dalle condizioni

economiche. Per questo molte volte viene accusato di essere

responsabile della pro-ciclicità.

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Capitolo 2

Modelli per il Fair Value

Accounting

Tramite lo studio di due modelli matematici, si vuole adesso fare chiarezza sul

dibattito innescato dalle riforme sugli standard di accounting avvenute negli

ultimi anni e confrontare i reali effetti di un regime basato su l’historical cost o

sul mark-to-market.

Le differenze dei due approcci analizzate fino ad ora, portano a dei chiari

trade-offs tra i due regimi di misurazione.

Il regime dell’historical cost si basa sui prezzi passati e dunque i valori contabili

sono insensibili ai segnali dei prezzi sotto questo approccio. Questo porta ad

un tipo di inefficienza derivante da eccessivo conservatorismo. Con il marking-

to-market si supera questo problema estraendo l’informazione trasmessa dai

prezzi di mercato, ma allo stesso tempo si distorce tale informazione. Quando

l’orizzonte decisionale si accorcia a causa di problemi di agenzia,

l’anticipazione dei prezzi futuri influenza le decisioni delle istituzioni finanziarie

che, a sua volta, inietta nei prezzi una volatilità artificiale.

In questo modo, le aziende diventano ancora più sensibili ai movimenti di

prezzo a breve termine.

In particolare, attraverso il modello di Platin, Sapra e Shin (2004) si arriva alle

seguenti implicazioni:

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• Più lunga è la duration dell’asset, più questo è vulnerabile alla volatilità

artificiale. In particolare, per asset di sufficientemente lunga durata, un

regime basato su l’historical cost è migliore rispetto al regime mark-to-

market. Al contrario, per gli asset shorter-lived, il regime mark-to-market

domina l’historical cost.

• Più è illiquido il mercato dell’asset più sarà vulnerabile alla volatilità

artificiale. Per questi asset che hanno capacità limitata per le vendite,

un regime historical cost è migliore rispetto a quello mark-to-market. Al

contrario, per quegli asset con mercati sufficientemente profondi e

liquidi, il mark-to-market è preferito.

• Più l’asset è senior più sarà vulnerabile alla volatilità artificiale. Crediti

senior che hanno un rialzo limitato, ma un forte rischio al ribasso sono

i più suscettibili alla volatilità artificiale. Crediti junior con un grande

potenziale rialzo ma un rischio di ribasso limitato sono più soggetti al

conservatorismo del regime basato sull’historical cost.

In questo modo si riesce a far chiarezza sul perché l’opposizione al FVA arriva

dalle industrie bancarie e assicurative. Per queste istituzioni finanziarie, infatti,

una grande porzione dei loro bilanci consiste di prodotti che hanno una lunga

duration e che sono illiquidi e senior. Per le banche tali prodotti appaiono

nell’attivo dei propri bilanci, per le compagnie assicurative nelle passività.

Con il modello di Easley ed O’Hara (2008) si vuole invece dimostrare come

l’illiquidità dei mercati per alcuni asset è generata dall’incertezza e questo

nuovo tipo di incertezza rende i prezzi di vendita e di acquisto non appropriati

come metriche per stabilire il “fair value” degli asset. Viene sviluppato un

modello di trading nel quale i trader hanno preferenze incomplete e valutano il

loro portafoglio tramite l’utilizzo del modello decisionale di Bewley’s (2002). Si

ottengono le quote di equilibrio e la non esistenza di commercio con tali quote,

quindi si dimostrano condizioni sotto le quali l’incertezza ha come risultato un

no-trade equilibrium.

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2.1 Modello per la scelta della politica di misurazione contabile

Il modello di Plantin, Sapra e Shin (2008) studia il caso delle istituzioni

finanziarie che hanno acquistato un asset nel mercato primario ed affrontano

la decisione di tenerlo fino a scadenza o scaricarlo in un mercato secondario,

come il mercato della cartolarizzazione o il mercato della riassicurazione.

Ci sono tre ingredienti che rendono questa decisione problematica:

• l’orizzonte delle aziende non corrisponde alla duration dei propri

asset,

• il valore “giusto ed equo” del bene non può essere facilmente

valutato: il valore dell’azienda può essere misurato solo attraverso i

prezzi dei propri asset, o con i prezzi passati (historical cost) o con i

prezzi correnti (mark-to-market).

• il mercato secondario per gli asset è non liquido, cioè caratterizzato

da un basso volume di contrattazione e da elevati differenziali di

quotazione.

Il modello è costruito attorno alla decisione di un’istituzione finanziaria, come

una banca commerciale, che prende in considerazione la vendita di asset

attraverso la cartolarizzazione di un portafoglio di prestiti o note, ovvero tramite

un affare in contanti o con una transazione sintetica con derivati di credito.

Il problema principale che si trova ad affrontare la banca è che il valore “giusto

ed equo” dei propri assets ricavabile in mercati perfetti e senza attriti non può

essere ottenuto. Dunque, tale valore vero ed equo può essere stimato per

scopi modellistici in due modi differenti. Il primo è il market price dell’asset, che

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potrebbe divergere dal fair value a causa dei costi d’agenzia9 e dagli effetti

della liquidità10. Il secondo è l’historical cost dell’asset.

L’obiettivo del management della banca è quello di massimizzare il valore

contabile a breve termine dell’impresa, dove con valore contabile si intende la

stima del valore vero ed equo e dipende da quale regime contabile è in vigore.

Le banche commerciali hanno buone ragioni nel concentrarsi sui valori

contabili, anche perché da questi dipendono fattori di grande interesse quali la

remunerazione dei manager, la determinazione dei rapporti prudenziali e dei

valori soglia per gli interventi dei regolatori.

Il modello prevede tre date, indicizzate da t ∈ {0,1,2}. Esiste un continuum di

istituzioni finanziarie identiche ex ante (FIs) con massa unitaria.

Al tempo t=0, ogni FI possiede un asset a lungo termine acquistato nel

passato ad un costo11 v0. Tale bene genera un unico flusso di cassa futuro v,

conosciuto da tutte le istituzioni al tempo inziale.

C’è incertezza sulla data nel quale ciascun asset originerà suddetti flussi. Ogni

asset pagherà v al tempo t=1 con probabilità (1-d) e al tempo t=2 con

probabilità d 12. L’obiettivo del manager è quello di massimizzare il valore

atteso contabile dell’asset al tempo t=1.

Questa valutazione dipende dal regime di accounting che si adotta. Esistono

infatti due stime differenti per v:

9 I costi d’agenzia sono associati alla caratteristica che il valore di un asset dipende da chi detiene l’asset e da

che tipo di vantaggio informativo potrebbe avere nei confronti dell’asset.

10 Gli effetti della liquidità derivano dalla limitata capacità di un mercato di assorbire la vendita di un asset

causata, in parte, delle differenti abilità che gli altri partecipanti del mercato hanno di gestire gli asset che

vendono.

11 Costo determinato fuori dal modello.

12 La probabilità d è interpretata come una misura della duration dell’asset. Le FIs sono gestite da manager

risk neutral, i quali hanno un orizzonte più corto rispetto alla duration di un long-lived asset.

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▪ v=p p è il prezzo di mercato alla data di valutazione (caso mark-to-

market)

▪ v=v0 v0 è il prezzo storico di acquisto dell’asset (caso historical cost)

Il prezzo di mercato è dato da:

𝑝 = 𝛿𝑣 − 𝛾𝑠

dove 𝛿 è una costante positiva minore di 1, 𝑠 è la proporzione di istituzioni

finanziarie che decidono di vendere gli asset e 𝛾 è una costante positiva che

misura l’illiquidità dell’asset. Più grande è 𝛾, più il mercato è illiquido per

l’asset13, più il prezzo 𝑝 sarà sensibile alla proporzione 𝑠 di FI che vendono

l’asset.

Il prezzo di mercato 𝑝 potrebbe divergere da 𝑣 per due ragioni: a causa dei

costi d’agenzia (rappresentati dal fattore di sconto 𝛿14) e per la sua dipendenza

dal numero di istituzioni finanziarie che decidono di vendere l’asset ( 𝑠 ).

Al tempo t=0 le istituzioni finanziarie (FIs) devono decidere se vendere il loro

asset nel mercato secondario o tenerlo fino a t=1. Se decidono di continuare

a tenere l’asset, il suo valore verrà messo a bilancio in accordo con il regime

contabile in vigore. Sotto il regime mark-to-market, l’asset viene registrato al

prezzo di mercato 𝑝 , invece con l’approccio dell’historical cost viene

contabilizzato con il prezzo storico v0.

13 La costante 𝛾 cattura la caratteristica che le banche quando cartolarizzano i loro crediti insoluti,

scambiandoli in mercati over-the-counter, come controparte trovano investitori istituzionali (fondi pensione

o compagnie di assicurazione vita) che hanno una capacità di assorbimento limitata (𝛾 > 0), dovuta alla

diversificazione e ai vincoli dell’asset management.

14 Il fattore di sconto 𝛿 < 1 cattura la poca possibilità di monitoraggio degli investitori istituzionali nei

confronti dei cash flow che ricevono le FIs. Infatti, non entrano mai in relazione bancaria con l’originatore del

credito.

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Se un’istituzione finanziaria decide di vendere l’asset, il suo payoff dipenderà

da quante altre FIs hanno deciso di vendere. Tali istituzioni vengono

assegnate in ordine casuale ad un compratore dell’order book15 ed il posto di

una data FI nella coda delle vendite è distribuita uniformemente in [0, s].

I proventi attesi dalla vendita, condizionati alla frazione s di istituzioni che

decidono di vendere sono:

𝛿𝑣 − 𝛾𝑠

2

Il modello è stato costruito in modo che le vendite degli asset avvengano solo

per motivazioni window-dressing16 e dunque le vendite sono inefficienti sotto

tali condizioni. Focalizzarsi su questo tipo di vendite, permette di avere una

visione più nitida sui reali effetti di un regime di misurazione inefficiente.

L’analisi viene condotta sotto l’assunzione che gli asset abbiano una vita

sufficientemente lunga (𝑑 ≥ 1

2) e non siano troppo specifici(𝑑 + 𝛿 > 1).

Sia ∆𝐻𝐶 la differenza tra il valore atteso dell’asset se si decide di contabilizzarlo

e quello se si decide di venderlo, per una data FI sotto il regime dell’historical

cost.

Sapendo che una frazione s di altre FIs venderà l’asset, abbiamo:

∆𝐻𝐶> 0 ↔ (1 − 𝑑)𝑣 + 𝑑 𝑣0 > 𝛿𝑣 − 𝑠𝛾

2

15 L’order book è un elenco di ordini d’acquisto e vendita per uno specifico titolo o strumento finanziario,

organizzato per livello di prezzo.

16 Una window-dressing è un insieme di azioni o manipolazioni fatte su informazioni finanziarie o di altra

natura contenute in documenti finanziari (bilanci, relazioni, ecc.) per rendere queste informazioni più

attraenti per i suoi utenti. Anche se la window-dressing può verificarsi in qualsiasi momento, è comunemente

usata alla fine di un periodo.

Valutazione

attesa se

contabilizzato

Prezzo

atteso se

venduto

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∆𝐻𝐶> 0 ↔ (𝑑 + 𝛿 − 1)𝑣 < 𝑑 𝑣0 + 𝑠𝛾

2

Similmente, definendo come ∆𝑀𝑀 la stessa differenza tra valori attesi, ma sotto

un regime mark-to-market, si ha:

∆𝑀𝑀> 0 ↔ (1 − 𝑑)𝑣 + 𝑑 (𝛿𝑣 − 𝛾𝑠) > 𝛿𝑣 − 𝑠𝛾

2

∆𝑀𝑀> 0 ↔ (1 − 𝑑)(1 − 𝛿) 𝑣 > (𝑑 − 1

2)𝛾𝑠

La seguente proposizione è un’immediata conseguenza delle disuguaglianze

sopra esposte.

Proposizione 1 Sotto il regime di misurazione basato sull’historical cost,

esiste un solo equilibrio nel quale:

▪ Le FIs contabilizzano i loro asset se 𝑣 < 𝑑 𝑣0

𝑑 + 𝛿 −1 ;

▪ Le FIs vendono i loro asset se 𝑣 > 𝑑 𝑣0 + 𝛾

2

𝑑 + 𝛿 −1 ;

▪ Altrimenti, li venderanno con probabilità π = 2

𝛾((d + 𝛿 − 1)𝑣 − 𝑑 𝑣0 ;

Sotto il regime di misurazione mark-to-market:

▪ Se 𝑣 < 0, esiste un solo equilibrio nel quale le FIs vendono i loro asset;

▪ Se 𝑣 > 𝛾𝑑 − 1

2

(1−𝑑)(1−𝛿),esiste un solo equilibrio nel quale le FIs

contabilizzano i loro asset.

▪ Altrimenti, ci saranno due equilibri a strategia-pura, uno nel quale tutte

le FIs vendono i propri asset e l’altro in cui tutte le FIs lo mantengono.

L’historical cost ha il problema di rendere le FIs troppo conservative, poiché

nei loro bilanci non riflettono in modo sufficientemente veloce l’apprezzamento

dei propri asset e viene fatto un troppo piccolo utilizzo delle informazioni

contenute nei prezzi. Come risultato, le FIs non colgono le occasioni finanziarie

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più profittabili che eccedono il proprio orizzonte economico, infatti preferiscono

realizzare un guadagno più basso nel breve periodo vendendo i propri asset.

Sfortunatamente, passando al regime mark-to-market la risoluzione di tale

problema è solo un rimedio imperfetto a tale miopia. Provando ad estrarre

informazioni dai prezzi di mercato, tale regime ne distorce il contenuto. Il

regime mark-to-market potrebbe creare una situazione nella quale le FIs si

preoccupano di liquidare l’asset per paura che lo facciano gli altri.

Sotto l’historical cost inoltre le vendite sono considerate sostituti strategici. Se

una FI crede che le altre venderanno, allora penserà che contabilizzare l’asset

sia favorevole. Questa sostituibilità strategica porta ad un prezzo unico.

In modo opposto, con il regime mark-to-market, le vendite sono viste come

complementi strategici. Questa complementarietà strategica aggiunge una

sorgente di rischio endogeno nell’economia, che non ha niente a che vedere

con la volatilità dell’asset, in quanto è una pura conseguenza dell’approccio.

Le informazioni estratte dai prezzi vengono dunque distorte da tale rischio.

Una conseguenza della Proposizione 1 è che il regime mark-to-market crea

questo rischio endogeno solo se 𝑑 ≥ 1

2. Se l’orizzonte economico dell’istituto

finanziario invece non è troppo distorto dalla duration dell’asset (𝑑 ≤ 1

2), il

regime mark-to-market trova la prima-migliore allocazione, sotto la quale

nessuna delle FIs venderà i propri asset. Questo poiché l’esternalità negativa17

che le FI che vendono l’asset creano per le FI che lo possiedono è 𝑑𝛾𝑠 la quale

è più piccola di 𝛾𝑠

2, esternalità negativa che le FI che liquidano l’asset creano

per se stesse. Per tale ragione, qualora non esistesse una grande differenza

17 Un'esternalità negativa è un costo che viene sopportato da una terza parte a seguito di una transazione

economica. In una transazione, il produttore e il consumatore sono la prima e la seconda parte e le terze parti

includono qualsiasi individuo, organizzazione, proprietario o risorsa indirettamente interessati. Le esternalità

sono anche denominate effetti di ricaduta e un'esternalità negativa viene anche definita come costo esterno.

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tra l’orizzonte dell’istituto finanziario e la duration dell’asset, il regime di

misurazione con l’approccio mark-to-market è preferito.

Applicando le tecniche della teoria dei global games18 si riesce ad ottenere

come esito l’equilibrio unico. Al modello presentato fino ad ora, bisogna

introdurre un rumore idiosincratico e possibilmente arbitrario all’insieme delle

informazioni delle FI, in modo che non valga più la conoscenza comune delle

informazioni. Per fare questo, si suppone che il payoff dell’asset 𝑣 ammetta

una densità a priori 𝑓(. ) , continua. Sia 𝐹(. ) la funzione di distribuzione

cumulativa di 𝑣.

Le istituzioni finanziarie non osservano 𝑣 immediatamente quando si realizza

al tempo 0, ma solo successivamente quando il mercato si allontana

dall’istante inziale.

Infatti, al tempo t=0, quando bisogna decidere se vendere o contabilizzare

l’asset, ogni FI osserva il segnale di rumore 𝑥𝑖 = 𝑣 + 휀𝑖. Il termine di rumore

휀𝑖 è distribuito uniformemente nell’intervallo [−𝜂, 𝜂] e i vari rumori sono

indipendenti tra le FI. L’interesse è focalizzato nel caso limite in cui 𝜂 → 0 ed il

rumore diventa trascurabile. In questo contesto, un equilibrio è caratterizzato

da una strategia 𝑠(𝑥) che mappa il segnale 𝑥 nella probabilità 𝑠(𝑥) di vendere

l’asset.

i. Equilibrio nel regime Mark-to-Market

Nel regime mark-to-market, il setup fino ad ora illustrato è un caso particolare

del global game risolto da Frankel, Morris, e Pauzner (2003) o Morris e Shin

(2003), nel quale il payoff è una funzione lineare di 𝑣. Dunque, applicando i

loro risultati si ha:

18 La teoria dei global games è stata introdotta da Carlsson e van Damme (1993). Morris e Shin (1998) hanno

reso note le sue applicazioni.

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Proposizione 2 Nel caso limite in cui 𝜂 → 0, esiste un unico equilibrio di un

Dominance-Solvable19 game sotto il regime del mark-to-market. In questo

equilibrio:

𝑠(𝑥) = 0 𝑠𝑒 𝑥 > 𝛾

2

𝑑 − 12

(1 − 𝑑)(1 − 𝛿)

𝑠(𝑥) = 1 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖

In parole, nel caso limite, le FI vendono i loro asset se e solo se il loro segnale

è sotto il valore di cutoff 𝛾

2

𝑑 − 12

(1−𝑑)(1−𝛿).

Per fornire alcune intuizioni per questo risultato, si può mostrare che esiste un

solo equilibrio nelle strategie di soglia se 𝜂 → 0.

Una strategia di soglia consiste nella vendita dell’asset se e solo se il segnale

è sotto un determinato valore di cutoff �̂�. Per dimostrare il risultato, bisogna

iniziare mostrando che l’incertezza strategica – l’incertezza sulle azioni degli

altri protagonisti – può essere bloccata precisamente al limite con 𝜂 → 0.

Lemma 1 Supponiamo che tutte le FI seguano la strategia di soglia attorno

a �̂�. Allora, condizionatamente alla ricezione di un segnale uguale al punto di

soglia, la densità oltre la proporzione di FI che vendono l’asset è data dalla

densità uniforme al limite con 𝜂 → 0.

Quando 𝑣 è il vero stato, allora ogni segnale è distribuito uniformemente

nell’intervallo [𝑣 − 𝜂, 𝑣 + 𝜂]. Grazie alla legge dei grandi numeri, quando il

19 Un Dominance-Solvable game in Teoria dei Giochi è un gioco che può essere risolto eliminando

iterativamente una strategia dominata. Una strategia A domina un’altra B se ti offre profitti migliori,

indipendentemente dalla strategia dell’avversario.

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punto di soglia �̂� cade nell’intervallo, la proporzione di FI che vendono l’asset

è dunque data da:

�̂� − (𝑣 − 𝜂)

2𝜂

Questa proporzione è esattamente uguale ad una certa costante 𝑧 quando

�̂�− (𝑣−𝜂)

2𝜂 = 𝑧 . Denotiamo il valore 𝑣 che soddisfa questa relazione con 𝑣 .

Quindi,

𝑣 = �̂� + 𝜂(1 − 2𝑧)

Ogni volta che lo stato 𝑣 è maggiore o uguale di 𝑣, allora la proporzione di FI

che vendono l’asset è minore o uguale rispetto a 𝑧. Quindi la probabilità che

una proporzione di FI che vende l’asset sia minore o uguale rispetto a 𝑧 è data

dalla probabilità che il vero stato 𝑣 è maggiore o uguale di 𝑣. Allora, la funzione

di distribuzione cumulativa 𝐺(𝑧) sulla proporzione di FI che vende l’asset

valutata nel punto 𝑧 è data dalla probabilità che il vero stato 𝑣 è superiore a 𝑣.

Consideriamo adesso la densità condizionata al vero stato 𝑣 condizionato al

segnale uguale a �̂�. Essendo il termine di rumore 휀𝑖 a supporto limitato in

[−𝜂, 𝜂], la densità a posteriori raggiunge un minimo 𝑚(𝜂) ed un massimo 𝑀(𝜂)

in questo intervallo, tale che:

lim𝜂→0

(2𝜂 × 𝑚(𝜂)) = lim𝜂→0

(2𝜂 × 𝑀(𝜂)) = 1.

Condizionato all’essere sul punto di soglia �̂�, la probabilità che 𝑣 ≥ 𝑣 è data

dall’area sotto la densità a posteriori sopra 𝑣 alla destra di 𝑣. Quest’area ci

permette di avere 𝐺(𝑧).

Dalla definizione di 𝑚 e 𝑀, otteniamo dunque la coppia di disuguaglianze:

2𝜂𝑚(𝜂) (�̂� + 𝜂 − 𝑣

2𝜂) ≤ 𝐺(𝑧) ≤ 2𝜂𝑀(𝜂) (

�̂� + 𝜂 − 𝑣

2𝜂) .

Quindi, si può concludere che al limite:

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lim𝜂→0

𝐺(𝑧) = 𝑧.

In altre parole, la funzione di distribuzione cumulativa sulla proporzione di FI

che vendono l’asset tende alla densità uniforme.

ii. Equilibrio nel regime Historical - Cost

Nel regime dell’historical cost il gioco con informazioni complete ha un unico

equilibrio. Dunque, è facile da vedere che l’introduzione di un rumore

arbitrariamente piccolo non ha effetti particolari nell’equilibrio del gioco con

informazione completa. Formalmente, si nota che la distribuzione di 𝑣

condizionata al segnale 𝑥𝑖 tende ad una funzione delta di Dirac in 𝑥𝑖 quando

𝜂 → 0 . Quindi, ogni strategia di equilibrio del gioco con informazione

incompleta, 𝑠𝜂(. ), deve essere tale per cui 𝑠𝜂(𝑥𝑖) tende ad una strategia di

equilibrio nel gioco con informazione completa con payoff 𝑥𝑖 quando 𝜂 → 0.

Ma poiché, a differenza del caso mark-to-market, esiste una sola strategia per

ogni valore 𝑥𝑖 nel gioco ad informazione incompleta, essa deve essere tale

che 𝑠𝜂(. ) converge puntualmente alla seguente strategia:

Proposizione 3 Supponiamo che tutte le FI stiano operando sotto il regime

dell’historical-cost. Allora, esiste un solo equilibrio al limite per 𝜂 → 0. In tale

equilibrio,

𝑠(𝑥) = 0 𝑠𝑒 𝑥 < 𝑑𝑣0

𝑑 +𝛿 − 1 ,

𝑠(𝑥) = 1 𝑠𝑒 𝑥 > 𝑑𝑣0+

𝛾

2

𝑑 +𝛿 − 1 ,

𝑠(𝑥) = 2

𝛾((𝑑 + 𝛿 − 1)𝑥 − 𝑑𝑣0) 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖.

A parole, gli equilibri del gioco ad informazione incompleta convergono ad un

unico equilibrio del gioco ad informazione completa.

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2.1.1 FVA vs HCA: Prezzi e duration

Gli equilibri derivati sotto i due regimi di misurazione hanno interessanti

implicazioni per l’impatto di ciascun regime sulla distribuzione dei prezzi

dell’asset nel mercato secondario.

Studiamo prima 𝑝(𝑣), il prezzo medio al quale viene scambiato l’asset tra t=0

e t=1 dipendente da 𝑣. Sostituendo la proporzione di equilibrio, 𝑠(𝑣), di FI che

vendono l’asset nel prezzo medio di mercato del bene:

𝑝(𝑣) = 𝛿𝑣 − 𝛾𝑠(𝑣)

2

è semplice verificare che con il regime historical-cost, il prezzo medio

dell’asset, 𝑝𝐻𝐶(𝑣), è:

𝑝𝐻𝐶(𝑣) = 𝛿𝑣 𝑠𝑒 𝑣 < 𝑣∗ ≡ 𝑑𝑣0

𝑑 + 𝛿 − 1,

𝑝𝐻𝐶(𝑣) = (1 − 𝑑)𝑣 + 𝑑𝑣0 𝑠𝑒 𝑑𝑣0

𝑑 +𝛿 − 1 ≤ 𝑣 ≤

𝑑𝑣0 + 1

2𝛾

𝑑 +𝛿 − 1,

𝑝𝐻𝐶(𝑣) = 𝛿𝑣 − 1

2𝛾 𝑠𝑒 𝑣 > 𝑣∗ ≡

𝑑𝑣0 + 12 𝛾

𝑑 + 𝛿 − 1.

Similmente, sotto il regime del mark-to-market, il prezzo medio dell’asset,

𝑝𝑀𝑀(𝑣), è:

𝑝𝑀𝑀(𝑣) = 𝛿𝑣 𝑠𝑒 𝑣 > 𝑣𝐶 ≡ 𝛾

2

𝑑 − 12

(1 − 𝑑)(1 − 𝛿),

𝑝𝑀𝑀(𝑣) = 𝛿𝑣 − 1

2𝛾 𝑠𝑒 𝑣 < 𝑣𝐶 ≡

𝛾

2

𝑑 − 12

(1 − 𝑑)(1 − 𝛿).

Il regime mark-to-market crea un contesto favorevole nel quale tutte le FI

liquidano i loro asset quando 𝑣 < 𝑣𝐶 semplicemente poiché si aspettano che

tutti gli altri facciano lo stesso.

Adesso procediamo andando a studiare gli effetti di ogni regime di misurazione

sui prezzi ex ante degli asset, cioè i prezzi di mercato attesi 𝐸(𝑝), dove il valore

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atteso è calcolato rispetto a 𝑣. Quest’ultima ha una densità continua 𝑓(. ) e una

densità cumulativa 𝐹(. ) su supporto compatto [0, ∞) con media µ.

Usando le espressioni per 𝑝𝐻𝐶(𝑣) e 𝑝𝑀𝑀(𝑣) , le seguenti espressioni

forniscono i prezzi ex ante nei due regimi.

Mark-to-Market:

𝐸(�̃�𝑀𝑀) = 𝛿µ − 𝛾

2𝐹(𝑣𝐶) 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑣𝐶 ≡

𝛾

2

𝑑 − 12

(1 − 𝑑)(1 − 𝛿)

Historical-Cost:

𝐸(�̃�𝐻𝐶) = 𝛿µ − ∫ [(𝛿 + 𝑑 − 1)𝑣 − 𝑑𝑣0]𝑓(𝑣)𝑑𝑣 − 𝛾

2[1 − 𝐹(𝑣∗)

𝑣∗

𝑣∗

]

𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑣∗ ≡ 𝑑𝑣0

𝑑 + 𝛿 − 1 𝑒 𝑣∗ ≡

𝑑𝑣0 + 12 𝛾

𝑑 + 𝛿 − 1

Come previsto, per ogni regime di misurazione, il prezzo ex ante dell’asset è

minore di 𝛿µ, il prezzo atteso che prevarrebbe se il mercato dell’asset fosse

perfettamente liquido.

Differenziando 𝐸(�̃�𝑀𝑀) rispetto a 𝑑 otteniamo:

𝜕𝐸(�̃�𝑀𝑀)

𝜕𝑑= −

𝛾

2 𝑓(𝑣𝑐)

𝜕𝑣𝑐

𝜕𝑑 < 0

Similmente, differenziando 𝐸(�̃�𝐻𝐶) rispetto a 𝑑:

𝜕𝐸(𝑝𝐻𝐶)

𝜕𝑑= ∫ (𝑣0 − 𝑣) 𝑓(𝑣)𝑑𝑣

𝑣∗

𝑣∗

< 0

Quindi, in entrambi i regimi l’aumento della duration 𝑑 comporta una caduta

dei prezzi ex ante dell’asset. In questa economia, le FI vendono quando

credono che i loro asset sono misvalued dal regime di misurazione imperfetto.

Poiché i cash flow generati dall’asset si spostano verso il futuro, la

misvaluation è più probabile, così che aumentano le vendite in entrambi i

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regimi.

Tramite la seguente proposizione, si può vedere come il regime mark-to-

market comporta valutazioni di mercato più alte per gli asset con duration

relativamente brevi, mentre l’historical-cost induce a prezzi attesi maggiori per

gli asset con duration relativamente lunghe.

Proposizione 4 Esistono (𝑑∗, 𝑑∗) dove 1 2⁄ < 𝑑∗ ≤ 𝑑∗ < 1 tali per cui:

𝐸(𝑝𝑀𝑀) > 𝐸(𝑝𝐻𝐶) per tutte le 𝑑 < 𝑑∗

𝐸(𝑝𝑀𝑀) < 𝐸(𝑝𝐻𝐶) per tutte le 𝑑 > 𝑑∗

Nel regime mark-to-market, quando l’orizzonte delle FI non è troppo diverso

rispetto alla duration degli asset (𝑑 è piccolo), le FI coordinano sull’equilibrio

Pareto-dominante per la maggior parte dei valori del loro segnale, e le vendite

diventano meno probabili. Con l’approccio historical-cost, anche con valori

arbitrariamente piccoli di 𝑑, una FI è ancora disposta a realizzare il valore

dell’asset per grandi valori di 𝑣 vendendolo. In altre parole, per valori di

duration relativamente bassi, le window-dressing inefficienti persistono con il

regime historical-cost mentre svaniscono con l’approccio mark-to-market. Con

𝑑 relativamente grandi è vero il contrario.

Per asset con duration brevi, il mark-to-market ha come risultato prezzi ex ante

più alti rispetto al regime dell’historical-cost.

Al contrario, per gli asset con duration lunghe, l’historical-cost comporta prezzi

ex ante più alti.

2.1.2 FVA vs HCA: Prezzi e liquidità

Il parametro 𝛾 cattura la liquidità dell’asset. Più grande è tale valore, meno

liquido è l’asset poiché rende il prezzo dell’asset molto sensibile alle vendite.

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Ci si aspetta dunque che il prezzo ex ante dell’asset è decrescente rispetto a

𝛾 in entrambi i regimi. Tuttavia, la sensitività del prezzo rispetto a 𝛾 è molto

differente utilizzando i due diversi approcci:

𝜕𝐸(�̃�𝑀𝑀)

𝜕𝛾= −

1

2𝐹(𝑣𝑐) −

𝛾

2 𝑓(𝑣𝑐)

𝜕𝑣𝑐

𝜕𝛾 < 0

Quindi, con il regime mark-to-market un aumento in 𝛾 comporta un

abbassamento dei prezzi ex ante della FI, rendendoli molto sensibili ad una

diminuzione di 𝛾.

𝜕𝐸(𝑝𝐻𝐶)

𝜕𝛾= −

1

2[1 − 𝐹(𝑣∗)] < 0

Con l’approccio historical-cost, per la regione 𝑣 < 𝑣∗, i prezzi non dipendono

da 𝛾 poiché la strategia dominante è quella di mantenere l’asset.

Per le regioni intermedie, 𝑣∗ ≤ 𝑣 ≤ 𝑣∗, un aumento in 𝛾, rende i prezzi più

sensibili alle vendite ma anche la probabilità delle vendite è inferiore in modo

che l'effetto di 𝛾 sia esattamente compensativo: la sostituibilità strategica in

tale regione implica che i prezzi non dipendono da 𝛾 per 𝑣∗ ≤ 𝑣 ≤ 𝑣∗. Dunque,

𝛾 ha effetto diretto sui prezzi solo per valori di 𝑣 > 𝑣∗ dove 𝑝(𝑣) = 𝛿𝑣 − 𝛾

2.

Per riassumere, un aumento in 𝛾 ha un impatto diretto negativo sui prezzi con

entrambi i regimi, ma anche un impatto indiretto poiché rende ogni FI

dipendente dalle strategie intraprese dagli altri partecipanti.

La seguente proposizione mostra l’impatto della liquidità nei prezzi sotto i due

regimi.

Proposizione 5 Esistono (𝛾∗, 𝛾∗) dove 0 ≤ 𝛾∗ ≤ 𝛾∗ tali per cui:

𝐸(𝑝𝑀𝑀) > 𝐸(𝑝𝐻𝐶) per tutte le 𝛾 < 𝛾∗

𝐸(𝑝𝑀𝑀) < 𝐸(𝑝𝐻𝐶) per tutte le 𝛾 > 𝛾∗

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L’analisi dell’impatto che hanno liquidità e duration sui prezzi ex ante portano

a conclusioni simili: per asset di durata sufficientemente lunga e illiquidi, i

prezzi ex ante sono più alti sotto il regime dell’historical-cost. Al contrario, per

asset di durata sufficientemente breve e liquidi, l’approccio mark-to-market ha

performance migliori rispetto all’historical-cost in termini di prezzi.

2.2 Modello per il trading

Durante la crisi finanziaria degli anni 2007-2009 c’era poco o nessun scambio

per diversi asset finanziari (asset illiquidi), nonostante i bid price e gli ask price

per tali asset esistevano.

Easley e O’Hara (2008) hanno sviluppato un modello che mostra come tale

l’illiquidità deriva dall’incertezza, la quale rende i prezzi bid/ask inadatti come

metriche per stabilire il “fair value” di questi asset.

L’incertezza che gli operatori sui mercati affrontano può essere caratterizzata

da una preferenza incompleta sui portafogli 20 . Viene dunque utilizzato il

modello di Bewley [2002] di processo decisionale in condizioni di incertezza

per ottenere le quote di equilibrio e la non-esistenza di scambi con tali quote.

Usando il modello di Bewley con l’incertezza di Knight 21 , si mostra che

l’assenza di scambi sorge spontaneamente quando i traders hanno preferenze

20 Per i portafogli esposti a derivati sul credito (MBS e CDOs) gli operatori sul mercato sono incerti su come

classificarli.

21 In economia, l'incertezza di Knight è un termine informale per distinguere le incognite reali dai rischi più

quantificabili, ad es. rumore statistico o intervallo di confidenza di un parametro. La frase riconosce un grado

fondamentale di ignoranza, un limite alla conoscenza e un'imprevedibilità essenziale degli eventi futuri.

L'incertezza di Knight prende il nome dall'economista dell'Università di Chicago Frank Knight (1885-1972), che

ha distinto il rischio e l'incertezza nel suo lavoro Risk, Uncertainty, and Profit (1921):

"L'incertezza deve essere considerata in un certo senso radicalmente distinta dalla nozione familiare di

rischio, da cui non è mai stata propriamente separata .... Il fatto essenziale è che "rischio" significa in alcuni

casi una quantità suscettibile di misurazione, mentre altre volte è qualcosa di nettamente non di questo

carattere, e ci sono differenze di vasta portata e cruciali nel rilevamento dei fenomeni a seconda di quale

delle due sia realmente presente e operativa .... Sembrerà che un'incertezza misurabile, o il ‘rischio' corretto,

come useremo il termine, è così diverso da un non misurabile che non è affatto un'incertezza.

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incomplete sui portafogli. L’approccio di Bewley applicato alle preferenze sui

portafogli produce una rappresentazione che consiste di un insieme di

credenze ed una funzione di utilità per il benessere. Nella sua

rappresentazione, un portafoglio è preferito ad un altro se e solo se genera

utilità attese migliori per ogni credenza nell’insieme delle credenze che

rappresentano le preferenze del trader. Questo approccio da solo non risulta

in un modello completo decisionale poiché un trader con preferenze

incomplete potrebbe non essere in grado di decidere. Bewley integra la sua

rappresentazione con un’assunzione di “inerzia” per ottenere una teoria

completa. Un trader si muove dal suo status quo se e solo se la mossa (lo

scambio) migliora la sua utilità attesa per ogni credenza nell’insieme delle

credenze che rappresentano le preferenze del trader. Questa assunzione di

“inerzia” porta allo status quo prevalente in alcune circostanze, e pone le basi

per il nostro modello sul perché i mercati degli asset possono sembrare

congelati di fronte all'incertezza.

Il commercio avviene in due date, t = 0, 1. Al tempo 0, i traders commerciano

un asset rischioso ed uno privo di rischio. L’istante iniziale viene utilizzato per

generare portafogli eterogenei endogeni, utilizzando i due asset risky e risk-

free.

Al tempo t = 1, avviene uno shock improvviso sulle credenze dei traders in

merito al valore futuro dell’asset rischioso e dunque possono di nuovo

cambiare le loro posizioni. Alla fine del periodo 1, i payoff degli asset sono

realizzati.

L’asset privo di rischio, in contanti, ha un valore costante pari a 1. L’asset

rischioso ha un prezzo pt per unità all’istante t ed un valore futuro incerto, che

si realizzerà alla fine del periodo 1, indicato da �̃�. L’asset rischioso può essere

interpretato come CDOs o MBSs.

0 1

t

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50

Ci sono 𝐼 traders indicizzati con 𝑖 = 1, . . . , 𝐼. Essi hanno credenze eterogenee

sul valore futuro dell’asset rischioso. Tutti credono che il valore futuro �̃� sia

distribuito come una normale di varianza uguale 𝜎 e media diversa tra i vari

traders �̅�𝑖 ≠ �̅�𝑗.

�̃�𝑖~ 𝑁(𝜎, �̅�𝑖)

Dunque, i partecipanti sono in disaccordo sul valore futuro del risky asset.

Questa assunzione è fondamentale poiché altrimenti si potrebbero applicare i

no-trade theorems 22 .

La dotazione di asset rischioso per il trader 𝑖 è �̅�𝑖. La scorta pro capite di asset

rischioso è dunque �̅� = 𝐼−1 ∑ �̅�𝑖𝐼𝑖=1 .

Tutti i traders hanno una funzione d’utilità con avversione al rischio assoluta

costante (CARA) 𝑤 alla fine del periodo 1. Il coefficiente di avversione al

rischio è costante e pari a 1.

Al tempo 𝑡 = 0 , ogni partecipante vuole massimizzare la propria utilità di

ricchezza attesa, date le credenze sull’andamento dell’asset rischioso e il suo

prezzo inziale 𝑝0 .

I nostri traders sono ignari dello shock che avverrà in 𝑡 = 1, dunque non lo

tengono in considerazione nella costruzione del proprio portafoglio.

L’obiettivo è capire quale sarà l’effetto di tale shock sugli scambi, analizzando

economie in cui uno shock negativo potrebbe causare un crollo dei prezzi e un

ribilanciamento dei portafogli.

In un approccio media-varianza ci sono due tipi di shock:

➢ uno shock moltiplicativo sulle medie;

➢ uno shock additivo sulle varianze.

22 Milgrom and Stokey [1982].

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51

Il modello si concentra sulla dispersione delle medie e quindi su uno shock

moltiplicativo sul valore futuro dell’asset rischioso, poiché in questo modo i

risultati sono più chiari e più facili da interpretare.

Vengono investigati due scenari in base a come le credenze cambiano in

risposta allo shock:

1. Come cambiano i prezzi e quale volume di scambi si determina se avviene

un comune declino percentuale nel valore atteso dell’asset rischioso, cioè

�̅�𝑖1 = 𝛼�̅�𝑖, con 𝛼 < 1 2. Come cambiano i prezzi e quale volume di scambi si genera se si ha uno

shock ambiguo, cioè tutti i trader sanno che il valore futuro dell’asset

scenderà, ma non conoscono la magnitudine del declino.

I partecipanti al mercato hanno preferenze incomplete sui portafogli, dunque

dopo lo shock vedono il mondo in modo ambiguo e non riescono a classificare

nessuna alternativa.

Lo scenario 2 è stato modellizzato usando l’approccio di Bewley per

l’incertezza di Knight23. Ogni trader ha un insieme di credenze in merito al

valore futuro dell’asset rischioso ed autorizza uno scambio solo se può

beneficiarlo rispetto a tutte le preferenze. Bewley dimostra che l’assunzione di

avere preferenze incomplete, può essere rappresentata con una singola

funzione d’utilità ed un insieme di probabilità.

Il trader modifica la sua posizione se questo aumenta l’utilità attesa per ogni

probabilità del proprio insieme.

L’insieme dei possibili declini nel valore atteso dell’asset rischioso è descritto

da (1 − α) dove α ∈ [𝛼, 𝛼].

�̅�𝑖1 = 𝛼�̅�𝑖, con 𝛼 ∈ [𝛼, 𝛼]

23 Negli anni '20 del Novecento Knight pubblica nella sua opera "Risk, Uncertainty and Profit" una prima

definizione economica di rischio. Secondo Knight si può parlare di rischio soltanto quando è possibile calcolare

oggettivamente la probabilità dell'evento futuro. Quando l'evento non prevedibile, ossia non è calcolabile in

modo oggettivo la probabilità dell'evento, è impossibile parlare di rischio. In questi casi si dice che si opera in

condizioni di incertezza.

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All’istante inziale, ogni trader sceglie il suo portafoglio in modo da

massimizzare l’utilità attesa del suo benessere usando le proprie credenze

iniziali.

Se il trader 𝑖 sceglie il portafoglio (𝑥𝑖, 𝑚𝑖), con 𝑥𝑖 quantità di asset rischioso e

𝑚𝑖 quantità di asset privo di rischio, la sua ricchezza finale (dopo il periodo 1)

sarà la variabile aleatoria:

�̃�𝑖 = �̃�𝑥𝑖 + 𝑚𝑖

Egli ha una funzione di utilità CARA e la distribuzione della ricchezza è

normale, quindi l’utilità attesa da questa ricchezza random è data da una

trasformazione monotona dell’espressione media-varianza

(�̅�𝑖 − 𝑝0)𝑥𝑖 − (1/2)𝜎2(𝑥𝑖)2 + �̅�𝑖 (1)

dove �̅�𝑖 rappresenta la ricchezza iniziale del trader.

La domanda di asset rischioso al tempo 𝑡 = 0 è data dalla forma standard:

𝑥𝑖∗ =

�̅�𝑖 − 𝑝0

𝜎2 . (2)

All’equilibrio, la domanda pro capite di risky asset deve essere uguale

all’offerta pro capita, quindi

�̅� = 𝐼−1 ∑ 𝑥𝑖∗𝐼

𝑖=1 . (3)

La credenza media circa il valore medio futuro dell’asset rischioso è data da:

𝑣 = 𝐼−1 ∑ �̅�𝑖𝐼𝑖=1 (4)

Usando questa espressione per la credenza media, si può risolvere (3) per

ottenere il prezzo di equilibrio dell’asset rischioso 𝑝0∗ e le riserve patrimoniale

di equilibrio 𝑥𝑖0∗ al tempo 𝑡 = 0 :

Equilibrio del Periodo 0: {𝑝0

∗ = �̂� − 𝜎2�̅�

𝑥𝑖0∗ = (

�̅�𝑖 − �̂�

𝜎2 ) + �̅� (5)

Quindi, il prezzo dell’asset rischioso al tempo iniziale è dato dal valore medio

futuro scontato con un fattore che compensa i trader per essere soggetti al

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rischio di mercato. I trader alla fine dell’istante iniziale avranno differenti

quantità di asset rischiosi.

Al tempo 𝑡 = 1 avviene uno shock inatteso e dunque cambieranno anche i

due equilibri calcolati sopra.

a) Scenario 1: il valore medio futuro dell’asset rischioso declina di un

fattore pari a (𝟏 − 𝜶) [Pure “risk” shock]

In questo caso la procedura è molto simile a quella del periodo 0.

Sia

𝑣1 = 𝐼−1 ∑ �̅�𝑖1𝐼𝑖=1 = 𝛼𝑣 (6)

la credenza media al tempo 𝑡 = 1. Dunque, il prezzo di equilibrio dell’asset

rischioso 𝑝1∗ e le riserve patrimoniale di equilibrio 𝑥𝑖1

∗ al tempo 𝑡 = 1 sono date

da:

Equilibrio del Periodo 1: {𝑝1

∗ = �̂�1 − 𝜎2�̅� = 𝛼�̂� − 𝜎2�̅�

𝑥𝑖1∗ = (

�̅�𝑖1 − �̂�1

𝜎2 ) + �̅� = 𝛼 (�̅�𝑖 − �̂�

𝜎2 ) + �̅� (7)

Si nota che il prezzo di equilibrio cade, poiché il coefficiente di variazione del

valore dell’asset rischioso aumenta come risultato dello shock. Esso cambia

da 𝜎2/ �̅�𝑖 a 𝜎2/ 𝛼�̅�𝑖 . Ogni trader vede il risky asset diventare ancora più

rischioso dopo lo shock.

b) Scenario 2: la magnitudine del declino è vista in modo ambiguo dai

diversi trader

In questo caso i trader prendono decisioni sugli scambi di asset e non sul

portafoglio finale. La ricchezza iniziale al tempo 𝑡 = 1 del trader 𝑖 è (𝑥𝑖0∗ , 𝑚𝑖0

∗ )

che consiste della sua posizione nell’asset rischioso e di quella nell’asset privo

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di rischio portata nel periodo uno dal periodo zero. Siano (𝑡𝑖, 𝑚𝑖) le quantità di

risky asset e risk-free asset scambiate dal trader 𝑖.

Il vincolo di budget per il periodo uno del trader 𝑖 è dato da:

𝑝1𝑡𝑖 + 𝑚𝑖 = 0 (8)

La ricchezza futura del trader 𝑖, dati la sua dotazione e i suoi scambi iniziali, è

allora:

�̃�𝑖1 = �̃�(𝑥𝑖0∗ + 𝑡𝑖) + (𝑚𝑖0

∗ + 𝑚𝑖) =

= �̃�𝑥𝑖0∗ + 𝑡𝑖(�̃� − 𝑝1) + 𝑚𝑖0

∗ . (9)

Per qualsiasi valore atteso futuro dell’asset rischio, �̅�𝑖1 , che il trader 𝑖

considera possibile, la sua ricchezza futura attesa è data da:

�̅�𝑖1 = �̅�𝑖1𝑥𝑖0∗ + 𝑡𝑖(�̅�𝑖1 − 𝑝1) + 𝑚𝑖0

∗ (10)

e la varianza è uguale a:

𝜎2(𝑥𝑖0 + 𝑡𝑖)2 (11)

Il trader 𝑖 sceglie uno scambio di risky asset non nullo (𝑡𝑖 ≠ 0) solo se:

i. è meglio rispetto allo stato attuale per ogni distribuzione dei guadagni, cioè

𝑡𝑖 risolve la seguente disuguaglianza ∀ �̅�𝑖1 ∈ [𝛼�̅�𝑖 , 𝛼�̅�𝑖]:

�̅�𝑖1𝑥𝑖0∗ + 𝑡𝑖(�̅�𝑖1 – 𝑝1) + 𝑚𝑖0

∗ − (1/2)𝜎2(𝑥𝑖0∗ + 𝑡𝑖 )

2

≥ �̅�𝑖1𝑥𝑖0∗ + 𝑚𝑖0

∗ − (1/2)𝜎2(𝑥𝑖0∗ )2

ii. non è dominato da un altro scambio, cioè non esiste uno scambio 𝑡′ tale

per cui ∀ �̅�𝑖1 ∈ [𝛼�̅�𝑖 , 𝛼�̅�𝑖]:

�̅�𝑖1𝑥𝑖0∗ + 𝑡′(�̅�𝑖1 – 𝑝1) + 𝑚𝑖0

∗ − (1/2)𝜎2(𝑥𝑖0∗ + 𝑡′ )2

≥ �̅�𝑖1𝑥𝑖0∗ + 𝑡𝑖(�̅�𝑖1 – 𝑝1) + 𝑚𝑖0

∗ − (1/2)𝜎2(𝑥𝑖0∗ + 𝑡𝑖 )2

Ciascun trader considera il portafoglio che ha portato dal periodo 0 fino ad ora

come il suo status quo, dunque si muoverà da questa scelta se lo scambio

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assicura un miglioramento del benessere per ogni distribuzione dei rendimenti

che ritiene possibile. Questo comporta un rifiuto di scambi da parte del trader

per un intervallo di prezzi.

Infatti, la condizione i. implica che il trader 𝑖 non effettua nessuno scambio se

il prezzo dell’asset appartiene alla no-trade region:

�̅��̅�𝑖 − 𝜎2𝑥𝑖0∗ ≥ 𝑝1 ≥ 𝛼�̅�𝑖 − 𝜎2𝑥𝑖0

∗ (12)

Per i prezzi che si trovano nella no-trade region, vendere ridurrebbe l’utilità

attesa se la media è �̅��̅�𝑖; comprare ridurrebbe l’utilità attesa se la media è 𝛼�̅�𝑖.

Siccome scambiare porterebbe ad una diminuzione della propria ricchezza il

trader decide di rimanere nella sua posizione iniziale.

Per i prezzi fuori tale regione, il trader 𝑖 ha un insieme di possibilità. Per i prezzi

sotto 𝛼�̅�𝑖 − 𝜎2𝑥𝑖0∗ il trader comprerà l’asset, per i prezzi al di sopra di �̅��̅�𝑖 −

𝜎2𝑥𝑖0∗ venderà l’asset.

Si possono dunque utilizzare le singole regioni di no-trade, per descrivere le

condizioni sotto le quali ci sarà un equilibrio senza scambi. Bewley [2002] e

Rigotti-Shannon [2005] hanno mostrato come questo può accadere se

l’intersezione delle regioni di no-trade dei vari trader è non vuota, che nel

nostro caso è rappresentata da:

⋂[𝛼�̅�𝑖 − 𝜎2𝑥𝑖0∗ , �̅��̅�𝑖 − 𝜎2𝑥𝑖0

∗ ] ≠ 0

𝐼

𝑖=1

In Figura 1 è presentato un esempio con 3 trader, in cui viene mostrata la No-

Trade Region.

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FIGURA 1 L’INTERVALLO DI PREZZI DOVE IL TRADER 𝒊 NON SCAMBIERÀ È DATO DA [𝒑𝒊, 𝒑𝒊]. L’INTERSEZIONE

DI QUESTI INTERVALLI È LA NO-TRADE REGION [𝒑𝟏, 𝒑𝟐

].

Per il caso in cui c’è ambiguità sullo shock dei valori medi futuri, 𝛼 ≤ 𝛼 ≤ 1,

la condizione per avere un no-trade equilibrium è equivalente a:

(1 − 𝛼) 𝑀𝑎𝑥𝑖{𝑣𝑖} < (1 − 𝛼) 𝑀𝑖𝑛𝑖{𝑣𝑖} Teorema 1: Supponiamo che 𝛼 ≤ 𝛼 ≤ 1, allora esisterà un equilibrio con nessuno

scambio se:

𝑀𝑎𝑥𝑖{𝑣𝑖}

𝑀𝑖𝑛𝑖{𝑣𝑖} <

(1 − 𝛼)

(1 − 𝛼)

A sinistra abbiamo il rapporto tra la media del trader più ottimista e quella del

trader meno ottimista. Dunque, se c’è più diversità nella popolazione sulle

medie a priori dei prezzi, un equilibrio no-trade è più difficile da ottenere.

A destra invece il rapporto tra il declino più grande possibile nei prezzi medi è

quello più piccolo, il quale va a misurare l’ambiguità sulla percentuale di

declino nella media dei prezzi.

Proposizione 1 In un equilibrio no-trade:

▪ l’ask price è dato da: 𝑝0∗ − 𝑀𝑎𝑥𝑖[(1 − 𝛼)𝑣𝑖0] e corrisponde al prezzo fissato

dal trader più pessimistico sul più piccolo declino nel valore dell’asset.

▪ il bid price è dato da: 𝑝0∗ − 𝑀𝑖𝑛𝑖[(1 − 𝛼)𝑣𝑖0] e corrisponde al prezzo fissato

dal trader più ottimistico sul più grande declino del prezzo dell’asset.

▪ e il bid-ask spread è dato da: (1 − 𝛼) 𝑀𝑖𝑛𝑖{𝑣𝑖} − (1 − 𝛼)𝑀𝑎𝑥𝑖{𝑣𝑖}

No-Trade Region

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Tramite lo studio di questo modello si è voluto dimostrare come l’incertezza

nei mercati finanziari può portare problemi di liquidità e di valutazione degli

asset.

Inoltre, si è arrivati alla conclusione che in un mondo con forte incertezza una

buona misura del fair value è data dal punto medio del bid-ask spread.

In un contesto in cui i trader hanno preferenze incomplete sui portafogli, si è

dimostrato come un equilibrio può esistere, in cui i prezzi bid/ask ci sono, si

può calcolare uno spread, ma nessuno scambio avviene. In questo mondo

illiquido, le quote esistono, ma non hanno le stesse proprietà che esse hanno

in mercati funzionanti, portando ad un congelamento dei mercati.

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Capitolo 3

Il ruolo del FVA durante la Grande

Recessione del 2008

La Grande Recessione indica una crisi economica mondiale che prese avvio

negli Stati Uniti d’America nel 2007 in seguito ad un crollo del mercato

immobiliare innescata da una bolla immobiliare (crisi dei subprime)

producendo a catena una grave recessione nell’intera economia americana.

Tale recessione si è poi diffusa gradualmente su scala mondiale, spinta dai

meccanismi finanziari di contagio, e perdurante (tranne alcune eccezioni come

Cina e India) con la spirale recessiva che si è ulteriormente aggravata, in

diversi paesi (Europa mediterranea e altri), con la crisi del debito degli stati

sovrani europei.

3.1 Cenni storici, cause ed effetti della crisi

La storia degli ultimi anni è stata segnata da una crisi economica di enormi

proporzioni che, in modi e misure differenti, ha colpito l’intero pianeta. Iniziata

nel 2007 e oggi solo in parte superata, la Grande Crisi Finanziaria può essere

paragonata per diversi aspetti alla crisi del 1929. Allo stesso tempo, presenta

alcuni fattori di originalità, che derivano dai tratti specifici che il capitalismo ha

assunto nell’epoca della globalizzazione e, in particolare, dal ruolo crescente

che in esso gioca la grande finanza internazionale.

Scoppiata negli Stati Uniti, il paese più avanzato del mondo, la “grande crisi”

si è diffusa con particolare velocità in quasi tutto il mondo. Mettendo sotto

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pressione l’Europa e le sue istituzioni comunitarie, ha generato difficoltà

all’economia e agli assetti politici di diversi Stati membri. Italia compresa.

Non è facile individuare con precisione il “punto zero” della crisi. La data che

ne costituisce il simbolo – come lo è per la Grande Depressione il 24 ottobre

1929, il “giovedì nero” del crollo della Borsa di Wall Street – è il 15 settembre

2008. È in quel giorno, infatti, che Lehman Brothers, una delle più importanti

banche di investimento degli Stati Uniti dichiarò fallimento, seminando il panico

sui mercati finanziari dell’intero pianeta dando quindi un forte impulso globale

alla “Grande Recessione”24.

All’epoca della bancarotta di Lehman Brothers, la crisi era già iniziata da

almeno un anno. Come quasi tutte le grandi crisi economiche del passato,

essa aveva preso avvio dallo scoppio di una gigantesca bolla speculativa25. A

far crescere la “febbre speculativa” fu il mercato immobiliare: una corsa

generalizzata all’acquisto della casa, considerata come un bene di prima

necessità per chi ne era privo e come un investimento sicuro per chi volesse

far fruttare il proprio denaro. A rendere possibile questa corsa al mattone, ben

comprensibile in un paese che stava cercando di riprendersi dal trauma anche

economico dell’11 settembre 2001, contribuirono diversi fattori che dovevano

finire per avvelenare la finanza mondiale. Tali fattori mostrarono inoltre quanto

la finanza fosse già avvelenata da tempo per effetto di una deregulation

radicale che aveva preso corpo negli ultimi anni del secolo scorso, in nome di

una fiducia illimitata nelle capacità autoregolative del mercato.

Tra questi fattori ha giocato un ruolo determinante – accanto agli incentivi del

governo per l’acquisto della prima casa e ai bassissimi tassi di interesse fissati

per diversi anni dalla Federal Reserve (Fed), la banca centrale statunitense –

la proliferazione dei mutui subprime. Vale a dire, di mutui concessi con

estrema facilità a soggetti a elevato rischio di insolvenza, con livelli di rating

24 Così ribattezzata dall’economista Nouriel Roubini.

25 Contrazione più o meno improvvisa di un mercato che per qualche tempo aveva promesso guadagni facili e

sicuri, scatenando una pericolosa “febbre speculativa”.

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non ben assegnati e con livelli di reddito basso e/o insicuro. Il mutuo subprime

è un’operazione rischiosa per la banca, in quanto non è certa che i mutuatari

riusciranno a ripagare il debito.

FIGURA 2 VOLUME DEI MUTUI SUBPRIME NEGLI ANNI PRE-CRISI. FONTE: INSIDE MORTGAGE FINANCE

PUBLICATIONS, DIC 2006

Come evidenziato dalla Figura 226, a partire dal 2003 le banche americane

hanno aumentato notevolmente l’emissione di mutui, e soprattutto i mutui

subprime.

Il processo che prevedeva la concessione di prestiti a persone che avrebbero

avuto difficoltà a ripagarli è stato facilitato da una serie di cause, in particolare:

• L’andamento del mercato immobiliare,

• I bassi tassi d’interesse USA,

• Il meccanismo finanziario della cartolarizzazione

26 Grafici presi dal lavoro “La crisi globale del 2007-2009: cause e conseguenze”, prof. Carluccio Bianchi,

Università di Pavia. (Aggiornamento ed estensione di uno schema elaborato da alcuni dottorandi italiani alla

L.S.E.)

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• L’assenza di una regolamentazione rigorosa sul “leverage”.

Infatti, a partire dal 2000, fino a metà 2006, il prezzo delle abitazioni USA

è cresciuto moltissimo (15% in media l’anno), creando una cosiddetta “bolla

immobiliare”. (Figura 3).

FIGURA 3 ANDAMENTO DEI PREZZI DELLE CASE AMERICANE SECONDO L’INDICE CASE-SCHILLER27

Il continuo aumento dei prezzi delle case favoriva le istituzioni che

concedevano i mutui, rendendo l’attività conveniente e poco rischiosa. Infatti,

prevedendo un continuo aumento dei prezzi delle case, chi emetteva un mutuo

non si chiedeva se il mutuatario “subprime” potesse veramente ripagare le

rate.

Anzi, in caso di mancato pagamento, la banca poteva prendersi la casa e

rivenderla ad un prezzo più alto dell’ammontare del mutuo concesso.

La bolla immobiliare è stata favorita dai tassi d’interesse bassi prevalenti negli

USA dal 2001 al 2004: erano parte della politica di stimolo economico della

27 I prezzi dell'indice Case-Shiller sono misurati mensilmente e tengono traccia delle vendite ripetute delle

abitazioni utilizzando una versione modificata della metodologia di vendita ponderata ripetuta proposta da

Karl Case e Robert Shiller e Allan Weiss. Ciò significa che, in larga misura, è in grado di adattarsi alla qualità

delle case vendute, a differenza delle medie semplici.

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Banca centrale americana (FED), in risposta alla crisi della bolla internet del

2000 e all’attacco dell’11 settembre 2001 (Figura 4).

FIGURA 4 ANDAMENTO DEI TASSI D’INTERESSE AMERICANI (2001-2004)

Le banche e le altre istituzioni finanziarie offrivano numerosi muti “subprime”,

cioè ad alto rischio, questo perché:

• il forte aumento dei prezzi delle case permetteva di coprire il rischio di

eventuali insolvenze del debitore;

• il processo di cartolarizzazione dava la possibilità alle banche di

trasferire il rischio ad altri e consentiva di ottenere nuovi fondi per

continuare a concedere mutui;

• grazie alla creazione di Società Veicolo 28 anche con poco capitale

proprio si potevano espandere enormemente i prestiti e quindi i profitti.

Un altro elemento chiave per capire perché le banche sono riuscite a

concedere tanti mutui subprime è la cartolarizzazione, meccanismo per cui le

banche riuscivano a rivendere i mutui subprime trasferendone il rischio ad altri

operatori nei mercati finanziari.

28 Una Società Veicolo (Special Purpose Vehicle/Entity - SPV / SPE) è una società controllata con una struttura

patrimoniale / giuridico, un bilancio proprio e uno status giuridico che rende le sue obbligazioni al sicuro

anche se la società madre fallisce. Una SPV / SPE è anche una società controllata destinata a fungere da

controparte per swap e altri strumenti derivati sensibili al credito.

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Con un mutuo tradizionale la banca presta dei soldi al mutuatario per comprare

una casa. In cambio, il mutuatario si impegna a ripagare il prestito in una serie

di rate. La banca ne trae un profitto, ma deve aspettare vari anni per ottenere

indietro l’intera somma prestata più gli interessi (originate and hold).

FIGURA 5 ORIGINATE AND HOLD

Con la cartolarizzazione, la prima fase è identica al mutuo tradizionale. Questa

volta però la banca rivende i mutui ad un’altra istituzione finanziaria,

“liberandosi” del rischio (originate and distribute). Attraverso questa istituzione

(Società Veicolo), la banca recupera immediatamente i suoi soldi andando ad

aumentare la sua liquidità, incassa un profitto e può ricominciare ad offrire altri

mutui.

FIGURA 6 ORIGINATE AND DISTRIBUTE

Banca Mutuatari

Mutui

Pagamento

interessi e

capitale

Società Veicolo

Cessione Crediti

Trasferimento

interessi, capitale

e rischio

Acquisto Crediti

Investitori

Acquisto ABS, MBS, CDS

Pagamento interessi e

capitale

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La società veicolo emette delle obbligazioni legate ai muti che acquista dalla

banca, costruisce cioè dei prodotti finanziari derivati chiamati Mortgage-

Backed Securities29 (MBS), simili agli Asset-Backed Securities30 (ABS). Tali

prodotti servono sia alle banche per trasferire il proprio rischio di credito legato

ai mutui, che alle società veicolo per portare avanti politiche speculative.

Infatti, tramite questa tipologia di prodotti finanziari la società veicolo si espone

sul mercato chiedendo dei soldi in prestito agli investitori e promettendo di

ripagarli con le rate dei mutui che incasserà. I mutuatari ripagano le rate alla

banca ad esempio ad un tasso pari al 5%. La banca, però, aveva venduto i

mutui alla società veicolo a cui, quindi, trasferisce le rate da pagare.

La società veicolo, a sua volta, ha venduto titoli legati ai mutui agli investitori,

e quindi pagherà loro gli interessi dovuti, per esempio il 3%. La società veicolo

trae dunque profitto dalla differenza dei tassi (5% - 3%).

Le cartolarizzazioni hanno avuto grande successo grazie al fatto che le società

di rating, che hanno il compito di analizzare tali prodotti e misurarne il rischio,

hanno sottovalutato la rischiosità di questi investimenti e li hanno promossi

come titoli “molto sicuri”. La supervisione istituzionale è poi stata carente o

assente.

Dunque la causa fondamentale della crisi sta dietro questa sottovalutazione

del rischio implicito che deriva dal processo della cartolarizzazione. Questa

minimizzazione è stata determinata da:

29 Un Mortgage-Backed Security (MBS) è un tipo di Asset-Backed Security garantito da un'ipoteca o da una

raccolta di mutui. Questo titolo deve inoltre essere raggruppato in uno dei due migliori rating come

determinato da un'agenzia di rating del credito accreditata e di solito paga pagamenti periodici simili ai

pagamenti delle cedole. Inoltre, l'ipoteca deve provenire da un istituto finanziario regolamentato e

autorizzato. Un MBS può essere acquistato e venduto tramite un broker e l'investimento minimo varia tra gli

emittenti. È rilasciato da società di agenzie governative federali, da un'impresa sponsorizzata dal governo

(GSE) o da una società finanziaria privata.

30 Un Asset-Backed Security (ABS) è un titolo finanziario garantito da un pool di attività quali prestiti, locazioni,

debiti su carte di credito, royalties o crediti. Per gli investitori, i titoli garantiti da attività sono un'alternativa

all'investimento nel debito societario. Un ABS è simile a un MBS, salvo che i titoli sottostanti non sono basati

sui mutui.

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▪ un eccessivo ottimismo dovuto alla situazione economica generale

favorevole;

▪ un’eccessiva complessità dei titoli cartolarizzati e derivati (MBS, CDO31),

da cui un’incertezza sul loro effettivo valore;

▪ un utilizzo non ben regolamentato di algoritmi matematici che sembravano

permettere di calcolare il valore di questi strumenti complessi tramite

correlazioni di default basate sul passato;

▪ ricorso eccessivo ai CDS32 per coprirsi dal rischio di insolvenza;

▪ la presenza di un sistema bancario non ben regolamentato;

▪ grande interconnessione tra le istituzioni finanziarie coinvolte nel processo

(banche commerciali, banche di investimento, società veicolo, compagnie

di assicurazioni, fondi pensione, ecc.)

I titoli cartolarizzati, promossi come investimenti sicuri, essendo redditizi in

un’epoca con bassi tassi d’interesse, sono stati acquistati da tutti gli investitori

finanziari, in America, e, dopo, nel mondo intero. La Figura 7 mostra

l’esplosione della cartolarizzazione negli anni precedenti alla crisi.

31 Una CDO (Collateralized Debt Obbligation) è letteralmente un’obbligazione che ha come garanzia

(collaterale) un debito. Una CDO è composta da decine o centinaia di ABS, obbligazioni a loro volta garantite

da un altrettanto elevato numero di debiti individuali.

32 Un CDS (Credit Default Swap) è uno swap che ha la funzione di trasferire il rischio di credito. È classificato

come uno strumento di copertura ed è il più comune tra i derivati creditizi.

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FIGURA 7 ATTIVITÀ NEL MERCATO DELLA CARTOLARIZZAZIONE NEGLI ANNI DELLA CRISI

I problemi sono arrivati quando a partire dal 2004, i tassi d’interesse americani

iniziano a salire, come risposta della Fed al ritorno del sistema economico a

tassi di crescita elevati, terminata la recessione di inizio secolo (Figura 8).

FIGURA 8 ANDAMENTO DEI TASSI D’INTERESSE AMERICANI (2004-2006)

In questo modo i mutui sono iniziati a diventare sempre più costosi e difficili da

ripagare, costringendo qualche mutuatario ad andare in banca rotta.

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Inoltre, nel 2006, la crescita dei prezzi delle case si ferma e a partire dal 2007

iniziano a scendere (Figura 9).

FIGURA 9 ANDAMENTO DEI PREZZI DELLE CASE AMERICANE SECONDO L’INDICE CASE-SCHILLER

Questo abbassamento dei prezzi degli immobili comporta sempre più grandi

perdite per le molte banche che avevano concesso tanti mutui subprime.

Con i mutuatari che non riescono a ripagare le rate e con la riduzione dei prezzi

delle case, il flusso dei pagamenti alla base della cartolarizzazione si blocca:

le Società Veicolo devono pagare gli interessi sui titoli emessi e venduti agli

investitori, ma non hanno più entrate con cui farvi fronte. La loro solidità

finanziaria risulta essere minacciata e a fronte di un loro possibile fallimento i

titoli emessi perdono valore.

Le Società Veicolo fondate sulle rate dei mutui subprime cominciano dunque

a non guadagnare quanto era atteso e a registrare perdite. Il valore di mercato

dei loro titoli cartolarizzati si riduce drasticamente, nessuno li vuole comprare

e tutti li vogliono vendere.

Questi titoli erano però stati comprati da moltissime banche in tutto il mondo,

che iniziano a registrare grosse perdite in conto capitale. La crisi si estende

così all’intero sistema finanziario mondiale.

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Nell’estate 2007 scoppia la “febbre” sui mercati finanziari. In quel periodo si

iniziano a verificare le prime perdite sui titoli legati ai subprime e sale la

tensione.

Le società veicolo, in crisi di liquidità, si rivolgono alle banche creatrici, per

ottenere le linee di credito che gli avevano garantito. Alcune banche vanno in

difficoltà e cercano finanziamenti da parte di altre banche.

Il tasso di interesse interbancario (LIBOR) sale e con esso la sua differenza

(TED spread) rispetto al tasso di interesse dei Titoli di Stato Americani. Questo

spread è stato considerato come il “termometro” della crisi.

Tra l’estate del 2007 e quella del 2008 le tensioni sembrano placarsi, ma la

tensione si mantiene comunque elevata per un anno.

Infine, la tensione diventa elevatissima nel settembre 2008 con il fallimento di

Lehman Brothers: il TED spread schizza in alto e scoppia la crisi finanziaria

(Figura 10).

FIGURA 10 TED SPREAD IN CORRISPONDENZA DELLA BANCA ROTTA DI LEHMAN BROTHERS

Con le perdite sui titoli legati ai mutui, il mondo della finanza si è reso conto

del fatto che quei titoli considerati “sicuri” erano in realtà abbastanza rischiosi

e i protagonisti della scena finanziaria si sono interrogati su quanti titoli “tossici”

avessero e su quali perdite avrebbero comportato. Tutto questo ha dunque

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comportato una crisi di fiducia nei confronti del sistema finanziario, così che le

banche hanno perso la fiducia reciproca smettendo di prestarsi soldi come

prima, in questo contesto una crisi di liquidità era inevitabile.

Le banche in crisi di liquidità iniziano a vendere anche le attività liquidabili

“buone”, ovvero le obbligazioni e le azioni in loro possesso, comportando un

crollo del valore di titoli ed azioni. Le banche, inoltre, hanno iniziato anche a

ridurre il credito alle famiglie ed alle imprese (credit crunch), comportando una

riduzione dei consumi, una maggiore avversione al rischio e il crollo delle

Borse finanziarie.

Così la crisi finanziaria è diventata una crisi economica globale e di intensità

inusitata. I prezzi delle case sono continuati a scendere, la produzione globale

è caduta notevolmente ed il PIL mondiale è caduto per la prima volta dopo il

secondo dopo guerra.

La crisi finanziaria ha comportato effetti di cui stiamo pagando le conseguenze

ancora oggi. È per questo molto importante che venga definito un sistema di

regolamentazione e di controllo contabile delle istituzioni finanziarie, che sia

ben comprensibile e attuabile da tutti i protagonisti della scena economica, al

fine di evitare il ripetersi di crisi finanziarie globali simili a quella del 2007-2009.

3.2 Critiche al Fair Value Accounting durante la crisi

La domanda alla quale si vuole dare una risposta è se il FVA ha contribuito

alla crisi o se è stato messaggero di una situazione economica drammatica di

cui non era l’unico responsabile.

Il dibattito che va avanti da anni vede posizioni opposte nei confronti del

paradigma. C’è chi infatti è contrario al nuovo approccio contabile, come ad

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esempio David Dodge33 (2008) il quale sostiene che il FVA ha accelerato ed

amplificato la crisi finanziaria degli anni 2007-2009. Infatti, egli afferma che il

crollo dei prezzi di molti strumenti finanziari ha obbligato le istituzioni

finanziarie a contabilizzare il valore degli asset ad un valore decisamente

inferiore rispetto a quello reale, indebolendo così il proprio rapporto di

capitalizzazione. Per migliorare il loro proprio profilo finanziario queste

istituzioni hanno iniziato a vendere titoli di alcuni strumenti finanziari in mercati

sempre più in crisi di liquidità. Queste vendite, secondo il governatore, hanno

dunque amplificato il crollo dei prezzi quotati, portando dunque ulteriori

svalutazioni.

Tuttavia, il FVA vanta di un ampio supporto da parte degli organismi

responsabili della regolamentazione contabile. Per esempio, Nick Le Pan34

(2007) sosteneva che il FVA sia stato solo un messaggero della crisi e non

dovrebbe essere criticato per aver riflettuto le scarse prospettive economiche

sottostanti.

Eppure, non tutte le critiche al fair value possono essere facilmente respinte.

La crisi del credito da parte delle banche nei confronti delle famiglie e delle

imprese iniziata nel 2008 ha sollevato tre domande davvero scomode:

1. La prociclicità: diversi banchieri hanno sostenuto che in un momento di crisi

il FVA forzava tutte le istituzioni finanziarie a registrare le perdite nello

stesso tempo, andando a diminuire il loro capitale e innescando vendite

spregiudicate. Questo meccanismo a sua volta porta i prezzi e le

valutazioni a crollare ancora di più.

2. il problema della valutazione e della vendita di assets illiquidi, in presenza

di mercati caratterizzati da una profonda incertezza. Una soluzione

comune può essere quella di utilizzare i modelli interni (Level 3), ma alcuni

33 Ex governatore della Bank of Canada.

34 Ex sovrintendente canadese delle istituzioni finanziarie.

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investitori credono che così facendo si dia troppa discrezione al

management.

3. Il terzo è un problema a lungo termine: le regole del fair value sono

inconsistenti. Il trattamento di un asset dipende anche dalle intenzioni che

l’istituzione ha:

a. se si tratta di un asset che deve essere scambiato, allora deve

essere utilizzato il suo valore di mercato.

b. se è solo “disponibile per la vendita” viene contabilizzato al prezzo

di mercato, ma le perdite non sono registrate nel conto economico.

c. se invece si tratta di un asset “tenuto a scadenza”, può essere

considerato come un costo soggetto a riduzione di valore.

Inoltre, un altro problema che il FVA deve fronteggiare è il trattamento dei

guadagni e delle perdite non realizzate che possono invertirsi con una

probabilità maggiore del 50%. Secondo G. Ryan (2008) questo dipende da

due fattori:

• I prezzi di mercato delle posizioni potrebbero essere dei “prezzi bolla”

che deviano dal valore fondamentale, venendo gonfiati da un ottimismo

di mercato e da un’eccessiva liquidità, o deprezzati da un pessimismo

di mercato e dall’illiquidità.

• I fair value dovrebbero riflettere i flussi di cassa futuri, basandosi sulle

informazioni correnti e sui tassi di sconto per il rischio delle specifiche

posizioni. Ma spesso capita che le distribuzioni dei flussi di cassa futuri

sono distorte, come nel caso dei CDO durante la crisi. Questi strumenti

sono costruiti per avere un profilo di rischio basso, ma se come nel 2007

il valore del sottostante (i mutui subprime) inizia a funzionare male allora

il prodotto finanziario inizia a registrare delle perdite non attese e dei

flussi di cassa distorti.

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3.2.1 Prociclicità: leva finanziaria e contagio

Il FVA e il suo utilizzo per la redazione dei bilanci sono stati oggetto di un

dibattito considerevole (ECB, 2004; Banque de France, 2008; IMF,2008). La

preoccupazione principale e che il FVA sia prociclico, cioè va ad esasperare

le oscillazioni nel sistema finanziario e potrebbe causare spirali discendenti nei

mercati finanziari. Secondo Laux e Leuz (2009) ci sono essenzialmente due

argomenti per cui il FVA può essere accusato di contribuire alla prociclicità:

uno nei periodi di boom e l’altro in quelli di crisi.

Il primo argomento accusa il FVA e gli aumenti nei book value degli asset di

permettere alle banche di aumentare la propria leva finanziaria nei periodi di

forte crescita. In questo modo si rende il sistema finanziario più vulnerabile e

le crisi finanziarie più severe. Adrian e Shin (2008) hanno evidenziato una

correlazione positiva tra i cambiamenti nei valori degli asset e quelli dei rapporti

di leva, facendo uno studio su un gruppo di banche di investimento americane.

Tuttavia, questo argomento ignora il fatto che il FVA fornisce segnali tempestivi

sull’arrivo imminente di una crisi, permettendo dunque alle banche di prendere

misure precauzionali in tempo. Dunque, considerando che anche con

l’Historical Cost si presenterebbero gli stessi problemi di eccessiva

esposizione ai rischi, non c’è evidenza per affermare che le eccessive leve

finanziarie ottenute nei periodi di boom siano un problema che sorge a causa

del FVA.

Il secondo argomento colpevolizza il FVA di provocare contagio nei mercati

finanziari in situazioni di crisi. L’idea di base è che le banche si possano trovare

a vendere gli asset ad un prezzo inferiore rispetto al valore fondamentale e

che i prezzi di queste vendite (forzate) potrebbero diventare rilevanti per le

altre istituzioni obbligate dal FVA a segnare a bilancio il valore dei propri asset

con l’approccio mark-to-market. Questo argomento dunque prevede che ci

siano dei legami tra il sistema contabile e l’attivazione spregiudicata della

vendita degli asset.

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Prima della crisi, il mercato della cartolarizzazione dei mutui era

ragionevolmente liquido e dava l’opportunità alle banche di registrare

sostanziali guadagni dall’emissione di un mutuo. Quindi, chi critica il FVA e

richiede un ritorno al HCA deve stare attento: il regime dell’historical cost

sarebbe stato un incentivo in più ad aumentare le operazioni di

cartolarizzazione, peggiorando la gravità della crisi.

Un modo alternativo per affrontare la prociclicità può essere quella di deviare

dai prezzi di mercato nei casi in cui un contagio è probabile che avvenga.

Alcuni standard già permettono questo tipo di deviazioni in certe circostanze,

per esempio:

▪ permettono di deviare dai prezzi di mercato in presenza di vendite

forzate, in modo da essere protetti da spillovers negativi da parte di

banche in crisi,

▪ autorizzano ad utilizzare i modelli di valutazione (Level 3) quando i

mercati sono non attivi, in modo da limitare gli effetti di contagio in una

crisi finanziaria,

▪ consentono di re-classificare gli asset a fair value in categorie dove

poter applicare test di impairment meno severi.

In sintesi, Allen e Carletti (2008) e Plantin et al. (2008) hanno dato un buon

contributo al dibattito sul FVA illustrando, tramite l’utilizzo di modelli di trading

come quello presentato nella sezione 2.1, i suoi possibili effetti di contagio.

Tuttavia, non sono riusciti a dimostrare che l’HCA sia migliore, bensì che

proprio tramite l’uso del FVA si vada ad alleviare tale criticità.

3.3 Il fallimento di Lehman Brothers

Uno degli effetti più eclatanti della Grande Recessione e il caso a cui si

attribuisce l’inizio e la fase più acuta della crisi, è rappresentato dalla

bancarotta di Lehman Brothers. La società ha annunciato il 15 settembre 2008

di avvalersi del Capitolo 11 del Bankruptcy Code statunitense (una procedura

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che si attua in caso di fallimento) annunciando debiti bancari per 613 miliardi

di dollari, debiti obbligazionari per 155 miliardi e attività per un valore di 639

miliardi. Si tratta della più grande bancarotta nella storia degli Stati Uniti.

Luigi Zingales (2008) attribuiva il fallimento di Lehman Brothers alla sua

politica di leva troppo aggressiva in un contesto di crisi finanziaria. Le radici

della crisi si possono trovare in una cattiva regolamentazione, nella mancanza

di trasparenza e nel compiacimento dei mercati causato da anni di ritorni

positivi.

Il principale motore della crisi finanziaria è stato il boom del mercato

immobiliare. Un periodo prolungato di bassi tassi d’interesse ha portato ad un

aumento dei prezzi delle case, che è stato assolutamente anormale rispetto

agli standard storici. L’aumento incontrollato dei prezzi ha generato l’illusione

in molti proprietari di case che i valori dei propri immobili sarebbero cresciuti

per sempre. Allo stesso tempo, i possessori di case che si erano indebitati per

acquistarle, incominciavano ad avere difficolta nel pagare le rate dei loro mutui

quando i valori dei propri immobili iniziarono ad aumentare a dismisura. Inoltre,

la possibilità di tipologie di mutui innovative, come gli interest-only mortgages35

e i negatively amortizing loan36, permettevano agli acquirenti di possedere

case per le quali non sarebbero riusciti a rispettare in modo puntuale i

pagamenti delle rate dei rispettivi mutui. La quota dei mutui interest-only ha

raggiunto il 38% nel 2005 e nel 2001 di poco superava lo 0.

Tutto questo è stato accompagnato da una mancanza di trasparenza nel

processo di emissione (la quota di documentazione bassa/assente è passata

dal 29% del 2001 al 50.8% nel 2006). Questo rilassamento è stato esasperato

35 Un interest-only mortgage è un tipo di mutuo in cui il mutuatario è tenuto a pagare solo gli interessi con il

capitale rimborsato in un'unica soluzione ed in una data specifica.

36 Un negatively amortizing loan è un prestito con una struttura di pagamento che consente di effettuare un

pagamento programmato laddove è inferiore al costo degli interessi sul prestito nel momento in cui viene

effettuato il pagamento programmato. Quando viene effettuato un pagamento che è inferiore al costo degli

interessi al momento, viene creato un interesse differito. L'ammontare degli interessi differiti creati viene

aggiunto al saldo principale del prestito, determinando una situazione in cui il capitale dovuto aumenta nel

tempo anziché diminuire.

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dalla cartolarizzazione applicata a prestiti di qualità bassa. Inoltre, l’enorme

quantità di emissioni fatta da un numero limitato di protagonisti (tra cui Lehman

Brothers) ha cambiato la natura della relazione tra le agenzie di rating dei

crediti e le banche di investimento che emettevano questi titoli. Con la

diffusione delle obbligazioni di debito collateralizzate (MBS, ABS, CDS, CDO),

gli istituti finanziari hanno iniziato ad acquistare centinaia di servizi di rating

all’anno. Come risultato, invece di sottoporre la questione al giudizio delle

agenzie di rating, le banche di investimento cercavano la società che gli desse

il miglior rating e addirittura ricevevano manuali su come produrre i prodotti più

rischiosi che potevano comunque essere classificati AAA. Ad esempio, il sito

di Standard & Poor forniva un CDO Evaluator Manual (Benmelech and

Dlugoszb, 2008). Questo strumento, rappresentava un tool di ottimizzazione

che permetteva agli emittenti di raggiungere il migliore rating sul credito al

costo più basso possibile.

Con il successo di questi prodotti finanziari, sarebbe stata necessaria una

regolamentazione accurata ed analisi di rischio sofisticate. Così invece non è

stato.

Le banche degli Stati Uniti erano autorizzate ad allocare capitali pari a zero

per prestiti che erano coperti da Credit Default Swaps. Ma l’acquisto di questo

tipo di prodotti è meno sicuro a causa della possibilità che la controparte

fallisca – problema noto come rischio di controparte – e lo diventa ancora di

più se non si alloca del capitale preventivamente.

L’altra maggiore causa della crisi è stata la mancanza di trasparenza nei

maggiori mercati finanziari. Con un mercato dei CDS che aumentava a

dismisura, il livello di garanzia collaterale era troppo basso o a volte

inesistente, generando la possibilità di un fallimento del sistema, nel caso in

cui si presentasse il dissesto di un grosso protagonista. Nel 2007 c’erano quasi

6 trilioni di Mortgage-Backed Securities in sospeso, molti dei quali erano stati

emessi con una divulgazione limitata. La mancanza di informazione sulla

natura e sul valore degli asset delle banche, ha portato il mercato ad essere

riluttante nel concedere prestiti, per paura di perdere tutto in caso di fallimento.

Una misura di questa riluttanza è lo spread tra il Libor e l’overnight index swap

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(OIS). Prima della crisi questo spread era di 11 basis point, ad agosto 2007

aveva superato i 50 basis point, per poi arrivare sopra i 90 basis point a metà

settembre.

Nel caso di Lehman Brother questi problemi erano aggravati da due fattori:

▪ una leva finanziaria eccessivamente alta (rapporto asset/equity)

▪ forte dipendenza dal finanziamento del debito a breve termine.

Seppur le banche sono regolamentate e non possono fare leva sul loro

patrimonio più di 15 su 1, all’inizio della crisi Lehman Brothers aveva una leva

finanziaria superiore a 30, cioè solo $3.30 di equity per $100 di prestiti. A sua

volta, l’instabilità creata dal problema della leva era esasperata dall’eccessivo

uso dei debiti a breve termine (Short Term Ratio) (Tabella 2).

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TABELLA 2 PASSIVITÀ ED ATTIVITÀ DEGLI AZIONISTI DI LEHMAN BROTHERS

Dopo l’inizio della crisi, Lehman provò a ridurre la propria leva finanziaria e la

sua dipendenza dal debito a breve termine (Tabella 2), ma era troppo poco e

troppo tardi.

Quando la banca fallì, aveva $20 miliardi a patrimonio netto contabile, ma i

dubbi sul valore dei propri asset combinati con l’alto grado di leva hanno creato

un’enorme incertezza sul vero valore dell’equity.

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Con il fallimento di Lehman Brothers il mercato è stato forzato a rivalutare il

rischio. Per capire come ciò sia avvenuto può essere utile analizzare il prezzo

dei CDS.

Il costo per assicurare un indice di emittenti di obbligazioni spazzatura, passò

dai $2.50 per assicurare $100 investiti in titoli cartolarizzati, ai sopra $6 nel

2008.

Il fallimento di Lehman Brothers ebbe un impatto ancora più drammatico sui

fondi del mercato monetario. A settembre del 2008 Primary Fund, un fondo di

$62 miliardi, annunciò che a causa della perdita totale che aveva sofferto sulla

sua partecipazione al debito di Lehman Brothers ($785 milioni), era obbligata

a mettere un blocco di sette giorni sui rimborsi, poiché il valore netto delle sue

azioni era sceso sotto $1.

Una delle critiche più dure al FVA sostiene che, lungi dal migliorare la

trasparenza e le informazioni finanziarie pertinenti, in realtà non permette al

management di capire il giorno di riconoscimento delle perdite e ritarda nelle

svalutazioni degli asset. In altre parole, l’adozione del FVA mina il

conservatorismo delle dichiarazioni finanziarie e porta a cambiamenti nel

comportamento manageriale. Ad esempio, Ross Watts (Massachutsetts

Institute of Technology) sosteneva che l’eliminazione del conservatorismo

grazie al FV portava alla capitalizzazione di flussi di cassa futuri non verificabili

nei bilanci37. Tale non verificabilità e le opportunità per i manager di fare scelte

strategiche, introducono un rumore significativo nel processo di

contabilizzazione finanziaria, che può essere sfavorevole per gli investitori.

Analizzando in che percentuale Lehman Brothers misurava i propri asset a fair

value, si nota che a novembre 2007 il 75.1% erano calcolati utilizzando input

di Livello 2 o Livello3. Da maggio 2008 questa percentuale è arrivata a 81.7%.

In altre parole, la maggior parte degli asset che si supponeva essere valutata

al fair value, non era in realtà misurata sulla base di prezzi quotati e

37 Watts, Ross. 2003. Conservatism in accounting part I: Explanations and Implications. Accounting Horizons

17(3), 207-221.

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direttamente osservabili. Erano gli anni in cui si stavano registrando problemi

di liquidità dei mercati, si aveva sempre meno trasparenza e informazioni sui

prodotti finanziari di credito ed aumentava la dipendenza dalle società di rating

del credito. Il caso di Lehman solleva i problemi dell’applicabilità del FVA in

quanto si è esteso dagli strumenti scambiati in mercati liquidi ed organizzati

agli strumenti di tipo creditizio, spesso cartolarizzati e dunque non abbastanza

trasparenti sugli asset sottostanti. La valutazione di questi strumenti è resa

difficoltosa dalla mancanza di informazione diretta, con forte dipendenza dalle

opinioni delle agenzie di rating. Inoltre, il mercato di questi strumenti finanziari

non è profondo e liquido come quello dei strumenti tradizionali (bond, equity,

valute straniere). Appare dunque che i mercati non fossero abbastanza

efficienti per assegnare il valore a queste forme strutturate di investimento e

che si stesse facendo troppo affidamento al giudizio di terze parti, quali le

agenzie di rating. Queste a loro volta possedevano informazioni parziali e

stavano affrontando alcuni conflitti di interesse (poiché caricano delle

commissioni nel fornire opinioni in specifici prodotti).

Un'altra critica che è stata rivolta al FVA afferma che è colpa di tale paradigma

se, durante la crisi, le istituzioni finanziarie hanno dovuto ridurre il valore dei

propri asset, valore che si è tradotto in una forte contrazione dei propri

coefficienti di capitale. Tutto ciò ha costretto a ridurre la leva finanziaria e a

vendere ulteriori asset svalutati, innescando così un effetto a spirale. Tuttavia,

in questo scenario, il problema non è necessariamente la contabilità stessa,

ma come i regolatori finanziari usano le informazioni contabili. In altre parole,

il reporting finanziario adottando il FVA è solo un messaggero per la solvibilità

di un'azienda indebolita dalle sue strategie finanziarie o dalle sue pratiche di

prestito, ma è discrezione dei regolatori capire come utilizzare tale

informazione.

Infatti, i valori a fair value, come sosteneva Leone (2008)38, sono una falsa

pista e la vera questione è la qualità della divulgazione contabile. Ad esempio,

38 Leone, M. 2008. Fair Value: It’s Disclosure, Stupid. CFO.com. November,20.

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Susan Schmidt, ex governatore della Federal Reserve Board, sostiene che il

focus dovrebbe essere sulla divulgazione, in modo che ognuno, regolatori ed

investitori allo stesso modo, capiscano cosa ci sia dietro le stime del fair value.

In realtà, il fair value derivato (Level 2, Level 3) può essere ingannevole: prima

della crisi Lehman Brothers appariva solvente e sufficientemente capitalizzata,

con una buona porzione dei propri asset registrati a fair value. Tuttavia, ciò

che i valori stimati con il FVA non evidenziavano era l’entità del rischio di

caduta che avrebbe dovuto affrontare la banca se gli eventi non si fossero

evoluti in base alle aspettative. Lehman era eccessivamente soggetta al

rischio a causa della sua esposizione verso le obbligazioni di debito

collateralizzate. Quindi si può concludere che il FVA senza un’adeguata

divulgazione addizionale non è né giusto né un buon riflesso del valore che è

a rischio.

3.4 Fair Value Accounting e Crisi finanziarie: cosa migliorare per

il futuro

Le compagnie impegnate nel business dei mutui subprime, inclusi sia i

cartolarizzatori dei prestiti che i possessori/investitori di questi strumenti

derivati, avevano la possibilità di mettere a bilancio i guadagni derivanti dalla

cartolarizzazione dei mutui usando gli standard contabili americani. Inoltre, le

istituzioni che seguivano gli standard per registrare gli asset legati ai servizi di

prestito e agli interessi residui, usavano la prestazione storica dei mutui per

stimare il valore appropriato. Infine, gli investitori degli strumenti cartolarizzati

hanno contabilizzato i titoli in base alle norme contabili relative al fair value.

Seppur gli standard legati al fair value potrebbero non essere stati i colpevoli

della crisi finanziaria, come sostenevano anche S.P. Kothari e R. Lester

(2012), una implementazione inconsistente e una conseguente errata

applicazione delle regole contabili hanno contribuito in tre modi alla crisi:

▪ Contabilizzare i guadagni immediati sui prodotti cartolarizzati facilitava

e motivava più prestiti subprime, andando a gonfiare i guadagni e a

sopravalutare i saldi attivi.

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▪ Alcuni valori a fair value originariamente selezionati come di Livello 1 e

Livello 2 erano incorretti, quindi una volta che i mutuatari iniziavano a

non pagare le rate dei mutui sulla casa, gli istituti finanziari sono passati

alle stime di Livello 3 utilizzando modelli interni, anziché adeguarsi al

declino dei fair value.

▪ L’eventuale riconoscimento delle perdite e gli effetti a catena

nell'economia hanno provocato una grande e rapida diminuzione della

quantità di capitale della banca.

In effetti, l'operazione di cartolarizzazione comporta una plusvalenza registrata

a conto economico con contropartita delle attività in bilancio. Ma

semplicemente vendendo l’asset ad un'altra istituzione, viene generato un

guadagno ed il bilancio patrimoniale aumenta. Questo non sembra

economicamente valido. Una porzione del guadagno o del bilancio

patrimoniale aumentato potrebbe essere relativa a delle stime incorrette; per

esempio, il management potrebbe valutare non correttamente il valore del

Mortgage Servicing Rights39 (MSR), l’Interest-Only Strips e gli interessi residui

per le seguenti ragioni:

• I MSR riflettono servizi che l’emettitore di prodotti cartolarizzati esibirà

alla fine del contratto, come la raccolta e l’elaborazione dei pagamenti

di mutui ipotecari, lo stabilire gli importi di deposito a garanzia e la

gestione della mitigazione della perdita. Il management valuta questi

diritti basandosi su assunzioni sottostanti soggettive, relative a

guadagni che l’istituzione potrebbe ottenere per questi servizi. Se il

management non rivisita tali assunzioni in periodi futuri per la

validazione, i MRS potrebbero essere sovrastimati.

39 I diritti di servizio ipotecario (MSR) si riferiscono a un accordo contrattuale in cui il diritto, oi diritti, di

prestare un'ipoteca esistente sono venduti dal prestatore originario a un'altra parte specializzata in varie

funzioni di servizio di ipoteche. I diritti comuni inclusi sono il diritto di riscuotere i pagamenti dei mutui

mensilmente, mettere da parte le tasse e i premi assicurativi in garanzia e inoltrare interessi e capitale al

mutuante. In cambio di questa assistenza, il servicer è compensato con una tassa specifica delineata nel

contratto stabilito all'inizio dell'accordo.

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• Similmente, un Interest-Only Strip (IO) si riferisce a determinate entrate

ricevute dal cedente che superano le commissioni di servizio

contrattualmente specificate. Per esempio, l’originatore potrebbe

conservare la differenza tra l’interesse collezionato e quello attuale che

è pagato agli investitori (questo ammontare è considerato un IO). Il

management stima questi importi all’inizio della cartolarizzazione e

dunque, il valore contabilizzato potrebbe essere decisamente distorto

se le stime non sono corrette o se non vengono periodicamente

aggiornate.

• In ultimo, la stima degli interessi residui potrebbe essere incorretta a

causa delle stesse assunzioni soggettive usate per valutare i MSR e gli

IO. Il management basa le sue valutazioni su stime basate sui modelli

interni.

Inoltre, i bilanci degli originatori potrebbero essere stati sovrastimati, poiché

non venivano ben contabilizzate alcune passività. Ad esempio, il mittente può

rilasciare alcune dichiarazioni e garanzie sui prestiti trasferiti per fornire

un'ulteriore assicurazione sul rischio di credito. Se i prestiti non soddisfano

determinati requisiti, come indicato nel documento di cartolarizzazione,

l’originatore potrebbe essere costretto a riacquistare i prestiti, il che potrebbe

provocare una perdita. Al momento del trasferimento originario, dovrebbe

registrare una passività per tali obblighi di riacquisto, ma simile alle questioni

di valutazione di cui sopra, tale passività sarebbe valutata sulla base di stime

di gestione. Per i prestiti non cartolarizzati ma piuttosto detenuti per

investimento, i cedenti avrebbero dovuto registrare delle riserve di perdite su

crediti appropriate per tenere conto delle perdite che potrebbero subire in caso

di inadempimento. Data la quantità di mutui subprime, l'ammontare atteso di

default del prestito dovrebbe essere stato significativo. Tuttavia, nella misura

in cui le stime delle perdite si basavano sulla performance storica dei mutui nel

mercato dei prestiti privilegiati, le passività sarebbero state sottostimate.

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Di conseguenza, secondo i principi contabili esistenti, la direzione potrebbe

non aver stabilito sufficienti riserve per perdite su crediti al momento

dell'origine, ritrovandosi bilanci con passività sottostimate.

Il processo di cartolarizzazione e i benefici associati alla contabilizzazione di

tali transazioni, hanno portato ad una sopravalutazione degli asset ed una

sottovalutazione delle passività nei bilanci dei prestatori di subprime. Quando

i proprietari iniziarono a non ripagare più le rate dei mutui, gli asset detenuti

nei propri bilanci scomparirono e le banche non avevano sufficienti capitali per

coprire le perdite.

Fattori come i prestiti spericolati e la mancanza di supervisione regolamentare

sono state cause significative della recessione, ma è chiaro che la scarsa

attuazione degli standard del FVA sono stati fattori che hanno causato e

prolungato la Grande Recessione.

Con la possibilità di registrare utili sulla cartolarizzazione, il management ha

beneficiato di guadagni contabilizzati più elevati e dell'aumento dei prezzi delle

azioni, che a sua volta ha aumentato la loro liquidità e la compensazione

azionaria. Una volta che il fair value è stato implementato in modo insufficiente,

questi incentivi hanno prolungato l'attività di assunzione del rischio e

l'applicazione tardiva del fair value probabilmente ha portato ai già citati effetti

di contagio che hanno ulteriormente aggravato le cose. Nel momento in cui il

fair value è stato effettivamente applicato, l'entità del disagio all'interno delle

istituzioni finanziarie ha portato a una mentalità "too big to fail" che ha costretto

l'intervento del governo. Se solo gli standard del fair value fossero stati

implementati correttamente, in primo luogo, probabilmente alcuni degli effetti

della crisi sarebbero stati evitati.

In sintesi, diversi fattori hanno causato la crisi ed è probabile che la scarsa

implementazione ed applicazione del FVA abbiano contribuito a diffonderla.

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Questi standard devono essere riconsiderati con meno enfasi sulle regole

contabili che anticipano il reddito futuro e che sovrastimano redditi e attività,

con maggiore enfasi sulla garanzia di un'adeguata implementazione e su

standard che richiedono che le cattive notizie vengano riconosciute, quando

diventano note. Questa tempestiva rilevazione delle perdite fornirebbe agli

investitori una maggiore trasparenza circa il rendimento effettivo dei loro

investimenti. Mentre gli standard dovrebbero consentire l'innovazione e la

crescita, la contabilizzazione delle performance aziendali dovrebbe riflettere

un accurato ritratto della performance finanziaria storica e dello stato di salute

di un'azienda, con commenti relativi al fair value inclusi solo in note o altre

sezioni dei rendiconti finanziari. Altri suggerimenti per le revisioni degli

standard includono l'obbligo per le banche di aumentare i requisiti patrimoniali

effettivi in periodi di forte crescita economica, per costruire riserve azionarie in

caso di una successiva flessione e separare le perdite su crediti da altre

variazioni di fair value in bilancio.

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Capitolo 4

IFRS 9: nuovo standard contabile per la gestione dei crediti

Gli obiettivi degli standard contabili sono diversi rispetto a quelli della

regolamentazione bancaria. Il rapporto finanziario ha lo scopo di fornire

informazioni ai protagonisti esterni all’azienda per supportare un’ambia

gamma di contesti decisionali e accordi contrattuali 40 . Al contrario, la

regolamentazione prudenziale delle banche cerca di limitare la frequenza e i

costi dei fallimenti bancari, proteggendo il sistema finanziario nel suo

complesso e limitando la frequenza e il costo delle crisi sistematiche. Questi

obiettivi sono al centro di un dibattito permanente sulla contabilità della perdita

del prestito. I responsabili politici sostenevano che il modello di perdita che sta

alla base della contabilizzazione delle perdite sui crediti, rafforza gli effetti pro-

ciclici della regolamentazione dei capitali bancari. Essi hanno, pertanto, spinto

verso un cambiamento che permettesse al management delle banche di avere

più discrezione sui giudizi lungimiranti in merito agli accantonamenti per

perdite sui crediti. È questa una scelta contabile chiave che può influenzare

direttamente la volatilità e la ciclicità dei guadagni della banca, nonché le

proprietà informative dei rendiconti finanziari delle banche in relazione alle

40 Per esempio, il FASB (2010, paragrafo OB2) afferma che “l'obiettivo dell'informativa finanziaria generale è

di fornire informazioni finanziarie sull'entità che redige il bilancio che è utile per gli investitori esistenti,

potenziali, finanziatori e altri creditori nel prendere una decisione in merito alla fornitura di risorse all'entità”.

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caratteristiche di rischio del portafoglio di prestiti41. Andando ad aumentare la

discrezione si potrebbe si facilitare una maggiore informazione rispetto alle

perdite attese future sulle decisioni di provigioni dei prestiti e mitigare la

prociclicità, ma allo stesso tempo innalzare anche il potenziale di

comportamenti contabili opportunistici o fuorviati da parte dei dirigenti che

possono degradare la trasparenza delle banche e portare a conseguenze

negative lungo altre dimensioni.

Per investigare le conseguenze della discrezione nelle provigioni per perdite

su crediti in merito al ruolo dell’informazione contabile nel supportare la

disciplina del rischio bancario, Bushman e Williams (2012)42 hanno condotto

un’analisi su un campione di banche di 27 diverse nazioni. Nel far ciò, all’intero

degli stati sono stati individuati due aspetti delle pratiche discrezionali di

perdita del prestito che riflettono un orientamento lungimirante (forward-

looking). È stata caratterizzata una misura implicitamente forward-looking,

smoothing, ed un'altra che coglie la misura in cui le disposizioni del periodo

corrente anticipano esplicitamente le future variazioni dei prestiti in sofferenza.

Si è scoperto che l’approvvigionamento discrezionale sotto forma di

compensazione degli utili attenua la pressione disciplinare sull'assunzione di

rischi, in linea con il livellamento, riducendo la trasparenza bancaria e inibendo

il monitoraggio da parte degli estranei. Al contrario, il provisioning che cattura

la misura in cui le disposizioni anticipano esplicitamente le variazioni future dei

crediti in sofferenza è associato a una maggiore disciplina dell'assunzione di

rischi bancari.

Dunque, la discrezionalità sull'accantonamento per perdite su prestiti bancari

può avere conseguenze positive o negative per la disciplina dell'assunzione di

rischi bancari, a seconda di come i manager sfruttano la discrezionalità

41 Ricerche precedenti hanno documentato una relazione positiva tra le disposizioni discrezionali su perdite su

crediti e la rendita azionaria bancaria e i guadagni futuri. Ad esempio: Beaver et al. (1989), Wahlen (1994), Liu

and Ryan (1995), Liu et al. (1997), Kanagaretnam et al. (2004).

42 R.M. Bushman e C.D. Williams, 2012, Accounting discretion, loan loss provisioning, and discipline of Banks’

risk-taking, Journal Accounting and Economics, 54(1), 1-18.

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disponibile per modellare le disposizioni relative alle perdite su crediti. Mentre

il livellamento discrezionale attraverso l'accantonamento per perdite su crediti

(previsione futura implicita) diminuisce la disciplina sull'assunzione di rischi

bancari, l'esplicita lungimiranza che cattura la misura in cui le attuali previsioni

anticipano i futuri peggioramenti del portafoglio creditizio migliora i profili delle

banche in materia di rischio. È dunque necessario esercitare una grande

attenzione per consentire una maggiore e più accurata discrezionalità

nell'erogazione dei prestiti e porre un focus particolare sull’accantonamento di

denaro per le perdite attese sui crediti.

4.1 Accounting per le perdite attese sui crediti: dall’incurred loss

model alle expected credit losses

La Grande Crisi Finanziaria del 2007-2009 ha messo in luce i costi di una

rilevazione tardiva delle perdite sui credi da parte di banche e altri creditori.

Prima della crisi si credeva che l’utilizzo degli standard contabili non avesse

permesso alle istituzioni finanziarie di costituire accantonamenti adeguati a far

fronte alle potenziali perdite su crediti derivanti da rischi emergenti. Questo ha

comportato rivelazioni di perdite considerate “too little, too late” (sottostimate

e avvenute troppo tardi). Tra l’altro, ci si domandava se i metodi utilizzati per

l’accantonamento non avessero contribuito alla prociclicità comportando un

eccessivo credito in periodi di boom e una brusca riduzione nelle successive

fasi di bust.

Dopo la crisi, i leader del G20, gli investitori, gli organi di regolamentazione e

le autorità prudenziali hanno chiesto a gran voce agli organismi di normazione

contabile di prendere delle misure che migliorassero gli standard e le pratiche

in merito all’accantonamento per perdite sui crediti. Così, nel 2014 lo IASB ha

pubblicato il documento IFRS 9 Financial Instruments, che comprendeva un

nuovo standard per gli accantonamenti per perdite su crediti, basato sulle

“perdite attese su crediti” (expected credit losses, ECL). Anche l’organo

statunitense del FASB, nel 2016, da parte sua si è mosso pubblicando il suo

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nuovo standard costruito sul concetto della “stima corrente delle perdite su

crediti” (current expected credit losses, CECL). I nuovi standard entreranno in

vigore tra il 2018 e il 2022.

Tali nuovi principi contabili, vanno a sostituire l’approccio dello IAS 39 43 ,

principio contabile internazionale che classifica e valuta gli strumenti finanziari

in bilancio. Questo ha presentato diversi limiti, che hanno reso necessario un

processo di revisione dello stesso.

In primis si è riscontrato una difficoltà di carattere interpretativo e applicativo

del principio, con una conseguente diversa applicazione ed interpretazione

dello stesso. Ciò deriva soprattutto da una classificazione degli strumenti

finanziari che lascia un’eccessiva discrezionalità nello scegliere la categoria

iniziale di rilevazione dello strumento. In questo modo si hanno alcune difficoltà

nella comparazione dei bilanci di società differenti ed anche di una stessa

società.

Un altro aspetto critico è stato individuato nell’eccesiva applicazione del fair

value accounting. Se è vero che tale paradigma permette di avere dei valori di

bilancio aggiornati, allo stesso tempo richiede l’esistenza di un mercato attivo

da cui poter ricavare dei valori attendibili. Inoltre, il contesto macroeconomico

della crisi ha portato all’illiquidità di molti mercati andando a determinare

un’eccessiva fluttuazione dei prezzi con una conseguente poca attendibilità

dei valori espressi al fair value ed accelerando l’effetto prociclico.

Tra l’altro, sia nello standard IASB44 che in quello FASB, il modello contabile

per la rilevazione delle perdite su crediti è comunemente definito come

”incurred loss model” (modello basato sulle perdite subite), poiché richiede la

contabilizzazione delle perdite su crediti subite alla data di chiusura del

43 IAS 39 Financial Instruments: Recognition and Measurements, IASB, 2001.

44 IAS 39 par. 59 prevede: una attività finanziaria o gruppo di attività finanziarie è soggetto ad impairment e le

perdite durevoli di valore si verificano se, e solo se, esiste evidenza oggettiva di una perdita di valore come

risultato di uno o più eventi che si sono verificati dopo la rilevazione iniziale dell’attività (un evento di perdita)

e quell’evento (o eventi) ha un impatto sui flussi finanziari futuri stimati dell’attività, o gruppo di attività, che

può essere stimato in maniera attendibile.

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bilancio, e non delle probabili perdite future. Quindi si prevede la rilevazione

delle perdite solo quando l’evento si è già verificato; di conseguenza il principio

viene accusato di non riconoscere tempestivamente le perdite di valore

associate ai crediti in portafoglio e di essere eccessivamente legato al ciclo

economico. Inoltre, l’identificazione delle perdite si basa sul verificarsi di eventi

“attivatori”, al verificarsi dei quali si procede alla svalutazione del credito. Tali

trigger event sono però soggetti al giudizio di esperti e non vengono definiti in

modo preciso, lasciando così un’eccesiva discrezionalità ai redattori dei

bilanci, che potrebbe comportare un ritardo nell’iscrizione di un bilancio,

qualora l’evento venisse giudicato non rilevante ai fini della svalutazione.

I nuovi standard basati sulle “perdite attese su crediti” vogliono sostituire il

precedente, passando ad un’ottica più prospettica, maggiormente incentrata

sulla probabilità di perdite future su crediti ed anche in assenza di eventi

attivatori.

4.2 IFRS 9: le novità introdotte dal nuovo standard e nuova

politiche sulle ECL

Come evidenziato da Ariante et al. (2016) le novità introdotte dal nuovo

principio contabile concernono tre aspetti fondamentali:

• La classificazione e la valutazione degli strumenti finanziari: al fine di

rendere la misurazione basata su un criterio più razionale e oggettivo,

il numero delle categorie nelle quali vengono classificati gli strumenti è

stato ridotto. Inoltre, il modo con il quale vengono valutati dipende dal

modello di business adottato dal management e dai flussi di cassa

previsti dai vari strumenti.

• Una nuova e unica modalità di impairment: per consentire una

rilevazione tempestiva delle perdite che si dovranno calcolare ed

assegnare, qualora si verificasse un peggioramento dello stato

creditizio. Vengono ridotte le metodologie per il calcolo degli

accantonamenti e viene utilizzato un unico metodo di svalutazione

basato su una logica forward-looking.

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• Nuove politiche di hedge accounting: lo IASB ha voluto rendere l’hedge

accounting e le attività di risk management maggiormente allineate

soprattutto se da tali attività derivassero effetti significativi che

impattano sul conto economico e sull’other comprehensive income.

Tuttavia, l’area del macro hedging è stata affidata ad un altro principio

contabile45.

Inoltre, le novità introdotte dal nuovo principio contabile rispetto allo IAS 39,

possono essere sintetizzate come segue:

▪ classificazione degli strumenti finanziari in funzione dell’esito del test

SPPI (Solely Payments of Principal and Interest);

▪ introduzione di un nuovo concetto di Business Model;

▪ introduzione della classe underperforming nella classificazione

gestionale del credito;

▪ introduzione di nuove modalità di calcolo dell’impairment;

▪ introduzione di stime forward looking per scenari predittivi.

Gli istituti finanziari sono dunque chiamati ad affrontare e gestire diversi aspetti

complessi in modo da allinearsi alle novità introdotte dal nuovo principio

contabile. Infatti, l’industria finanziaria sarà la protagonista dei seguenti

fenomeni:

▪ dovrà essere incrementato il valore delle rettifiche sui crediti;

▪ ci sarà un aumento della volatilità delle stime di valore;

▪ bisognerà affrontare un aumento dei costi amministrativi relativi alla

gestione dei dati, alla predisposizione di nuovi sistemi informativi e

modelli;

▪ si dovranno gestire gli impatti sui prodotti e sul pricing dei prodotti

inseriti a catalogo.

Dunque, risulteranno particolarmente rilevanti i seguenti fattori:

45 È stato emanato nell’Aprile 2014 solo un discussion paper dal titolo Accounting for Dynamic Risk

Management: a Portfolio Revaluation Approach to Macro Hedging.

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▪ adeguatezza delle risorse umane in termini di expertise;

▪ utilizzo di stime di valore per gli scenari forward-looking;

▪ interazione con i requisiti prudenziali.

4.2.1 IFRS 9: i tre pilastri

I. Pillar 1: Classificazione e misurazione degli strumenti finanziari

Una delle modifiche principali che comporta il nuovo standard contabile è la

riduzione del numero di categorie nelle quali le attività finanziarie possono

essere classificate.

Infatti, viene superata la classificazione prevista dallo IAS 39 in base alle

duration degli asset (Held to maturity, Available for Sales, Loans and

Receivables, Held for trading)46, andando a classificare gli strumenti finanziari

in due categorie principali ed una residuale47:

a. Attività finanziarie valutate al costo ammortizzato: Hold to collect (HTC).

Una istituzione finanziaria è obbligata a contabilizzare un asset al costo

ammortizzato se si verificano entrambe le seguenti caratteristiche:

• lo strumento deve avere le caratteristiche di un prestito, quindi

avere dei flussi finanziari relativi solo alla quota di rimborso del

valore nominale e degli interessi pagabili a scadenze fisse. Le

verifiche avvengono tramite l’applicazione del SPPI test

• lo strumento deve essere gestito sulla base di un business

model che prevede il mantenimento dello strumento fino alla

scadenza in modo da incassare i flussi di cassa generati

dall’attività.

b. Attività finanziarie valutate al fair value through other comprehensive

income: Held to collect and sales (HCS).

46 IAS 39 Financial Instruments: Recognition and Measurements, par. 9.

47 IFRS 9: Financial Instruments, par. da 4.1 a 4.4.

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92

L’attività è mantenuta in bilancio nell’ambito di un modello di business

che ha un obiettivo raggiunto sia con l’incasso dei flussi di cassa che

con la vendita.

c. Attività finanziarie valutate al fair value through profit and loss (FVTPL).

In questa categoria troviamo una parte residuale, che prevede quelle

attività finanziarie che non possono essere classificate in nessuna delle

categorie precedenti48.

È possibile che venga utilizzata la fair value option con

contabilizzazione through profit and loss, qualora tale scelta riduca o

elimini l’accounting mismatch 49 che si verificherebbe a causa della

valutazione degli asset con metodi alternativi.

Per le passività finanziarie della categoria FVTPL viene introdotta

un’altra interessante novità: qualora tali strumenti dovessero variare a

causa di un peggioramento del proprio merito creditizio non verranno

più riconosciute nel conto economico, bensì verranno contabilizzate

through other comprehensive income, in modo da eliminare questo

fattore di volatilità.

II. Pillar 2: Impairment

Il nuovo modello di impairment richiede alle istituzioni finanziarie un approccio

prospettico (forward-looking) che vada ad eliminare la soglia per la rilevazione

delle expected credit losses, in modo da aggiornare il loro ammontare a ogni

data di riferimento per riflettere le evoluzioni del rischio di credito delle attività

finanziarie. A differenza dello IAS 39, ogni realtà dovrà contabilizzare, sin da

48 Indipendentemente dl business model della banca, quando i cash flow non passano l’SPPI test, gli strumenti

finanziari devono essere contabilizzai al fair value.

49 L’accounting mismatch permette di ridurre e/o eliminare le asimmetrie di trattamento contabile tra attività

e passività finanziarie. In particolare, questo disallineamento si verifica quando un’attività e una passività, che

l’entità ritiene essere collegate, sono classificate in categorie cui corrispondono criteri valutativi disomogenei.

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subito, e indipendentemente dalla presenza o meno di un trigger event, le

perdite attese future dei propri asset. Per effettuare tale stima, il management

si baserà su informazioni ragionevoli ed argomentate che includano dati storici,

attuali e, per la prima volta, previsioni. Così si andrà a ridurre l’impatto con cui

hanno avuto manifestazione le perdite e consentirà di appostare in anticipo le

rettifiche sui crediti in modo proporzionale all’aumentare dei rischi, evitando di

sovraccaricare i conti economici in caso di eventi di perdita e di ridurre l’effetto

pro ciclico.

Più specificatamente, come sintetizzato nella Tabella 3, lo standard richiede

alle banche e alle altre società di registrare le ECL in tre fasi, in funzione del

grado di deterioramento della qualità del credito. In questo modo si vuole

uniformare la metodologia e facilitare il confronto dei valori, prevedendo un

unico metodo per il calcolo delle rettifiche di valore su crediti valido per tutti gli

strumenti finanziari.

TABELLA 3 FONTE: CBVB (2016C)

I prodotti finanziari vengono quindi classificati in tre livelli (stage) in funzione

del peggioramento della qualità creditizia rispetto alla rilevazione iniziale e per

ogni stage è previsto un diverso livello di accantonamento.

Misurazione delle perdite attese su crediti (ECL)

Attività in

bonis

Attività sottoperformanti

(aumento significativo del

rischio di credito)

Attività deteriorate

IASB Stage 1

ECL su 12 mesi

Stage 2

ECL su tutta la durata del credito

Stage 3

ECL su tutta la durata

del credito

FASB ECL su tutta la durata del credito

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• Stage 1: comprende gli strumenti non soggetti ad un significativo

aumento del rischio di credito, rispetto alla data di origination, e quelli

che presentano un basso rischio di credito alla reporting date. Per

tali strumenti, viene costituita una svalutazione per perdite su crediti,

le ECL sono calcolate su un orizzonte di 12 mesi e vengono rilevate

come oneri. Le rettifiche sulle posizioni classificate nello Stage 1

dell’IFRS 9, possono trovare in parte corrispondenza nel livello di

rettifiche che, ai sensi dello IAS 39, sono effettuate per la parte di

portafoglio in bonis per rilevare la componente “incurred but not

reported” (IBNR). Tale logica richiede di appostare contabilmente un

fondo svalutazione a fronte di crediti che hanno già subito una

perdita, ma che il sistema di monitoraggio interno considera ancora

in bonis. Nella valutazione delle perdite IBNR è comunemente

utilizzato un parametro di loss confirmation period (LCB)50, il quale

determina un fondo svalutazioni crediti tanto più elevato quanto più

lungo è il periodo osservato tra l’evento di perdita e la sua rivelazione

contabile. Con il passaggio all’IFRS 9 viene eliminato tale

parametro, in modo da determinare un aumento del livello di

copertura nei casi in cui tale parametro è utilizzato.

• Stage 2: in questa fase si registrano le “perdite attese su crediti su

tutta la durata del credito”. In questo stage troviamo gli asset che

hanno subito un significativo deterioramento del merito creditizio

successivamente all’iscrizione e sono quindi considerati

“underperforming”. Il nuovo principio contabile prevede il calcolo

delle stime forward-looking per il calcolo della perdita attesa lifetime;

pertanto, si prendono in considerazione gli scenari predittivi di

variabili macroeconomiche, (ad esempio PIL, Tasso di

disoccupazione, Inflazione, ecc.) che attraverso un modello

statistico macroeconomico sono in grado di stimare le previsioni

lungo tutta la durata residua del credito. Gli impatti maggiori degli

50 Loss confirmation period può essere definito come il ritardo medio che intercorre tra il deterioramento del

debitore e la rilevazione delle perdite.

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aumenti di rettifiche saranno ricondotti a tale stage, poiché non è

possibile identificare previsioni analoghe nello IAS 39.

• Stage 3: in questo stage vengono classificati i finanziamenti per i

quali la qualità del credito peggiora al punto che le perdite su crediti

si materializzano o che l’attività viene classificata come deteriorata.

Per crediti classificati in questo livello, la perdita attesa viene rilevata

con prospettiva lifetime; diversamente dalle posizioni in Stage 2, il

calcolo della perdita attesa lifetime è analitico.

Sono attesi incrementi degli accantonamenti contenuti a causa

dell’adozione di una stima previsionale, forward-looking, sulle

posizioni classificate in default.

Il metodo del FASB, invece, non prevede una differenziazione degli

accantonamenti in diverse fasi. Gli accantonamenti per ECL su tutta la durata

del credito sono rilevati sin dall’erogazione del credito (Tabella 3).

Dato che vengono registrate ECL su tutta la durata del credito per tutte le

esposizioni, la rilevazione delle perdite su crediti dovrebbe essere più

tempestiva e più significativa nell’approccio del FASB, rispetto a quello dello

IASB, dove nello Stage 1 sono calcolate solo le perdite su crediti su 12 mesi,

avendo dunque con quest’ultimo accantonamenti minori per prestiti che non

hanno ancora subito forti deterioramenti di qualità creditizia.

III. Pillar 3: Hedge Accounting

Il concetto di hedge accounting51 è stato introdotto con lo IAS 39 ma gli

strumenti di copertura e le loro caratteristiche erano relativamente nuovi. Con

l’IFRS 952 si vuole allineare le politiche di hedge accounting alle politiche di

risk management.

51 Copertura (hedging): ai fini contabili significa individuare uno o più strumenti di copertura in modo che la

variazione del loro fair value compensi totalmente o parzialmente la variazione del fair value o dei flussi di

cassa dell’elemento coperto. IAS 39 par. 85.

52 IFRS 9: Financial Instruments, par. 6.1

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Con il nuovo principio vengono introdotti elementi di semplificazione e di

maggiore flessibilità, grazie all’eliminazione di alcuni vincoli e rigidità presenti

nello IAS 39. Ad esempio, per quanto riguarda il test di efficacia53, la soglia

80%-125% viene sostituita con un test oggettivo che verifica la relazione tra

strumento coperto e strumento di copertura. Inoltre, viene ampliata la categoria

di strumenti coperti: prima venivano considerati tali solo le attività e le passività

finanziarie, ora possono rientrare in tale categoria tutti gli elementi ed i gruppi

di elementi, purché il rischio sia separatamente individuabile e misurabile.

L’altra novità in merito all’hedge accounting prevede un maggior livello di

informazione descrittiva sui rischi coperti e sugli strumenti utilizzati.

4.2.2 IFRS 9: metodi di valutazione dei crediti per la determinazione

degli accantonamenti

Il punto di partenza degli istituti finanziari è la verifica della presenza

d’impairment per le attività finanziarie acquistate o originate, sin dal momento

della rilevazione iniziale. Se dovesse essere registrata una svalutazione al

momento della prima valutazione, non viene registrato nessun impairment,

poiché si ipotizza che le perdite attese siano già incluse nella stima dei flussi

di cassa al fine di calcolare il tasso di interesse effettivo al quale attualizzare

le perdite di credito attese lungo la vita residua. Quando vengono redatti i

successivi bilanci, le variazioni rispetto alle perdite previste vengono

direttamente contabilizzate a conto economico.

Qualora non venissero registrate evidenti fattori d’impairment, al momento

della prima rilevazione, l’IFRS 9 prevede due diverse valutazioni in base alla

qualità creditizia dell’asset:

53 L’efficacia della copertura è il grado al quale le variazioni dello strumento di copertura compensano le

variazioni del valore corrente o dei flussi di cassa, attribuendoli ad un rischio coperto. Lo IAS 39 prevede che

tali compensazioni ricadano in un intervallo dell’80%-125%.

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• le entità devono contabilizzare un accontamento pari alle perdite di

credito attese nei 12 mesi successivi alla data di riferimento, qualora gli

asset non abbiano subito un incremento nel rischio di credito dal

momento di contabilizzazione iniziale;

• gli istituti di credito devono rilevare un accantonamento uguale alle

perdite attese lungo la vita residua, scontate al tasso d’interesse

effettivo, per gli asset che invece hanno subito un incremento

significativo nel rischio di credito e tale rischio non è basso.

Il modello forward-looking prevede una valutazione dei crediti e degli strumenti

finanziari strettamente legati alla determinazione delle Expected credit losses

(ECL). Tale stima viene intesa dallo IASB come una stima del valore attuale di

tutte le inosservanze del debitore lungo la vita del credito, considerando in

particolare i seguenti parametri di rischio:

▪ PD: probabilità di default;

▪ LGD: percentuale di perdita in caso d’insolvenza;

▪ EAD: la stima dell’esposizione creditizia al verificarsi dell’insolvenza.

Inoltre, per ridurre la soggettività delle scelte, viene richiesto il calcolo degli

scenari previsionali e delle relazioni storiche tra le variabili macroeconomiche

(inflazione, disoccupazione, variazione del PIL, tasso d’interesse).

Per tenere in considerazione il cambio dell’orizzonte temporale del calcolo

delle perdite previste dal passaggio da Stage 1 a Stage 2, bisogna quindi

calcolare due tipi di Expected credit losses:

▪ 12-months Expected Credit Losses:

𝐸𝐿(12) = 𝑃𝐷(12) × 𝐿𝐺𝐷

Con questa equazione si vuole calcolare la porzione di perdita lifetime

come risultato della ponderazione del valore attuale della perdita attesa

in caso di default, stimata sulla vita residua del prodotto, per la

probabilità che avvenga la perdita entro l’anno.

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98

▪ Lifetime Expected Credit Losses:

𝐸𝐿(𝐿𝑇) = 𝑃𝐷(𝐿𝑇) × 𝐿𝐺𝐷

In questo caso invece si stima il valore attuale delle perdite che

eventualmente sorgeranno nel periodo che intercorre tra la data di

valutazione e la data di scadenza dello strumento a causa di eventuali

inadempienze del debitore, perdite pesate per le rispettive probabilità di

verificarsi.

Nel passare dalla stima della PD 1y a quella lifetime si possono utilizzare due

approcci:

➢ Markov Chain: una catena di Markov è un processo stocastico

strutturato che permette di calcolare, conoscendo la distribuzione di

probabilità del processo allo stato corrente, la distribuzione per gli

stati successivi. L’assunzione principale di un processo di Markov è

l’assenza di memoria (martingality), cioè l’assoluta irrilevanza degli

stati passati rispetto a quelli futuri. La probabilità di default di un

credito i al tempo t+1 la si calcola esclusivamente considerando il

tempo precedente t.

➢ Vintage Method: strumento che permette di comparare le

performance dei crediti segmentandoli in base alla loro data di

formazione. Per avere un buon monitoraggio del credito si vanno

dunque a considerare dati storici e previsioni future. Il problema di

questo metodo è la necessità di un gran numero di dati, ma i risultati

sono più realistici.

Lo IASB non ha richiesto una precisa soglia di significatività, ma ha previsto

che le istituzioni finanziarie considerino tutte le informazioni disponibili sena

dover sostenere eccessivi costi e sforzi per ottenerle (eventi passati, condizioni

correnti e previsioni future).

Inoltre, la valutazione può anche riguardare un cluster di attività finanziarie

raggruppate in base a fattori di rischi endogeni (tipologia di strumento, tipologia

di collateral, rating, data di emissione, vita residua) ed esogeni (industria di

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99

appartenenza, area geografica, scenario macroeconomico). Se però un

singolo strumento che viene valutato in modo aggregato, subisce un

peggioramento maggiore rispetto agli altri, verrà monitorato singolarmente.

Infine, il monitoraggio può determinare un miglioramento del merito creditizio.

In questo caso l’IFRS 9 prevede il passaggio allo Stage precedente, sotto

forma di ripresa di valore, però non indica in che modo questa ripresa deve

avvenire. Quindi si presume che possa essere utilizzato l’approccio dello IAS

39 per queste situazioni, che prevede una ripresa di valore nel limite massimo

del costo ammortizzato in assenza di svalutazioni.

4.3 Effetti dell’applicazione dell’IFRS 9

4.3.1 Analisi della Banca Centrale Europea

Una delle lezioni più importanti tratte dalla crisi finanziaria riguarda

l’inadeguatezza dei metodi di accantonamento per le perdite attese sui crediti.

Per tale ragione gli organismi di vigilanza contabile hanno emanato l’IFRS 9,

il quale è entrato in vigore il 1° gennaio 2018 a sostituzione dello IAS 39. A

causa della complessità del principio e delle sfide che la sua applicazione

comporterà per gli enti creditizi, il Meccanismo di vigilanza unica (MVU), ha

deciso di condurre un’analisi tematica sull’IFRS 954 (novembre 2017) sia per

gli enti significativi che per gli enti meno significativi.

Per quanto riguarda gli enti creditizi significativi l’analisi è stata svolta dai

gruppi di vigilanza congiunti (GVC) sulla base delle informazioni del primo

trimestre 2017. Per condurre lo studio sono stati portati avanti: un’analisi della

documentazione rilevante, alcuni colloqui con i dirigenti delle banche e un

dialogo di vigilanza per la comunicazione e la discussione dei risultati. Per

valutare i risultati sono stati utilizzate le migliori prassi a livello internazionale,

stabilite negli orientamenti emessi dal Comitato di Basilea per la vigilanza

bancaria (CBVC) e dall’Autorità bancaria europea (ABE).

54 Analisi tematica del MVU sull’IFRS9, Banca Centrale Europea – Novembre 2017

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100

L’analisi tematica per gli enti creditizi meno significativi è stata il frutto di una

collaborazione tra gli organi di Vigilanza bancaria della BCE e le autorità

nazionali competenti (ANC). Tali enti hanno portato avanti dei meccanismi di

autovalutazione che prendevano come riferimento gli schemi dell’ABE e

tenevano conto del principio di proporzionalità e delle specificità degli enti

coinvolti.

Gli obiettivi primari dell’analisi sono stati:

• valutare lo stato di preparazione degli intermediari all’introduzione

dell’IFRS9;

• svolgere un’analisi d’impatto sugli accantonamenti;

• promuovere la coerente applicazione del nuovo principio.

L’analisi tematica è stata condotta su 106 enti significativi che sono al massimo

livello di consolidamento rispetto alla redazione del proprio bilancio seguendo

l’IFRS 9. L’analisi per gli enti meno significativi è stata svolta su un campione

di 77 banche. Inoltre, l’analisi è stata fatta sulla base dei dati disponibili al primo

trimestre 2017 e si tiene conto anche dell’esito del dialogo di vigilanza condotto

con i singoli intermediari fino a metà luglio dello stesso anno. A tal proposito,

va considerato che tutti i risultati ottenuti dall’analisi possono essere stati

soggetto di miglioramenti nel frattempo.

Gli enti significativi risultano essere ad uno stato più avanzato dell’applicazione

del principio e per tale ragione hanno dati più affidabili. L’impatto su cui ci si

focalizza è quello negativo che si ha sul coefficiente patrimoniale

regolamentare di CET1 (capitale primario di classe 1) che viene stimato a 40

punti base per gli enti significativi55 (Figura 11). Tale impatto risulta inferiore a

quello medio relativo all’intero campione degli enti significativi coinvolti

nell’indagine tematica.

55 La media include soltanto gli enti che hanno segnalato un impatto negativo.

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101

FIGURA 11 IFRS 9 – VALUTAZIONE QUANTITATIVA: IMPATTO SUL COEFFICIENTE DI CET1 PER GLI ENTI

SIGNIFICATIVI

Nel caso degli enti meno significativi, considerando solo gli istituti del

campione che si trovano in uno stadio di preparazione avanzato, l’impatto

negativo medio dell’IFRS 9 sul coefficiente CET1 risulta pari a 59 punti base

(Figura 12).

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102

FIGURA 12 IFRS 9 – VALUTAZIONE QUANTITATIVA: IMPATTO SUL COEFFICIENTE DI CET1 PER GLI ENTI MENO

SIGNIFICATIVI

Come per gli enti significativi, l’impatto è inferiore a quello medio relativo

all’intero campione, più significativo è l’impatto determinato dai nuovi requisiti

in merito alla riduzione di valore.

Si evince come l’impatto prudenziale dell’IFRS9 sarà maggiore per gli enti che

utilizzano il metodo standardizzato (standardised approach, SA) rispetto a

quelli che utilizzano il metodo basato sui rating interni (internal ratings based,

IRB) per il calcolo dei requisiti a fronte del rischio di credito.

Inoltre, vengono presentati anche alcuni risultati qualitativi dell’analisi

tematica. È emerso come diversi enti hanno ancora dei buoni margini di

miglioramento, soprattutto in termini di misurazione delle riduzioni di valore, la

quale richiede modifiche significative ai sistemi e ai processi interni degli enti.

Le difficoltà non mancano neanche per le novità introdotte in merito al nuovo

modo di classificare e misurare gli strumenti finanziari. La maggioranza degli

enti ha eseguito una mappatura iniziale degli strumenti finanziari/portafogli

esistenti in base ai modelli di business individuati, anche se i progetti di

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politiche interne sembrano ancora piuttosto vaghi, lasciando margini di

interpretazione eccessivi.

Seppure sia gli enti significativi che quelli meno significativi si stanno

muovendo verso una quanto più veloce applicazione dell’IFRS 9, molti devono

ancora rafforzare la governance dei modelli basati sulla rilevazione delle

perdite attese su crediti e migliorare le proprie politiche contabili. Infatti, gli enti

creditizi stanno investendo molto sull’adeguamento dei processi per l’IFRS 9

impiegando risorse per lo sviluppo dei sistemi informatici. Dove i risultati non

siano stati sufficienti, gli enti sono stati incoraggiati a migliorare la governance

del progetto, sottolineando l’importanza cruciale del coinvolgimento e della

responsabilità dell’organo di amministrazione.

Risultano ancora da migliorare:

• la disponibilità e la qualità della documentazione interna relativa alla

metodologia per il calcolo delle ECL e alle politiche in materia di

informativa;

• per le politiche di valutazione dei modelli di business, il collegamento

con la governance, i meccanismi di remunerazione e la gestione dei

rischi dell’ente;

• la riclassificazione degli strumenti finanziari determinata dalla modifica

del modello di business e la definizione in maniera più precisa delle

condizioni per il trasferimento delle esposizioni dallo stadio di rischio 3;

• il test sui flussi finanziari consistenti esclusivamente in pagamenti di

capitale e interessi maturati (solely payments of principal and interest,

SPPI), con particolare attenzione sulla definizione del test di benchmark

necessario per valutare se gli strumenti con un valore temporale del

denaro modificato soddisfino il criterio SPPI;

• la definizione di default a fini contabili. Incoraggiando l’adozione della

definizione di esposizione deteriorata fornita dall’ABE ai fini della

gestione interna dei rischi e ponendo particolare attenzione sulla

definizione di soglie di rilevanza coerenti per l’individuazione del default;

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• la valutazione dell’aumento significativo del rischio di credito (significant

increase in credit risk, SICR), attenzionando la definizione di regole

chiare e di potenziali periodi di osservazione ai fini del passaggio delle

esposizioni dallo stadio di rischio 2 allo stadio 1;

• l’inclusione di informazioni prospettiche nella misurazione delle perdite

attese su crediti 56 . Rivestono massima rilevanza gli aspetti di

governance relativi alle informazioni prospettiche, poiché la

documentazione è risultata insufficiente;

• la validazione e i test retrospettivi nell’ambito dei modelli basati sulla

rilevazione delle ECL previsti dall’IFRS 9. Bisogna assegnare una

maggiore indipendenza alla struttura incaricata dello sviluppo del

modello, definire meglio i ruoli e le responsabilità ed aumentare le

risorse e le competenze tecniche. Allo stesso tempo, distinguere meglio

le componenti del modello (progettazione/dati di input/output) e disporre

di una documentazione completa riguardante il quadro di riferimento e

il processo di validazione;

• l’integrazione di informazioni prospettiche per il calcolo delle LGD (loss

given default) e delle EAD (exposure at default), fondamentali per la

rilevazione delle ECL;

• per i portafogli ai quali si applica il metodo standardizzato lavorare sulla

mancanza di dati (storici), di risorse e di competenze tecniche in campo

di modellizzazione, il principale aspetto di complessità nella definizione

del quadro di riferimento per il calcolo delle ECL.

4.3.2 Analisi della Banca d’Italia

Tramite lo studio dell’analisi di impatto della regolamentazione pubblicata dalla

Banca d’Italia57, ci si sofferma adesso, per quanto attiene agli effetti dell’IFRS

56 Gran parte degli intermediari ricorrerà a un orizzonte di tre anni per le previsioni mentre un’altra parte

rilevante di intermediari utilizzerà un orizzonte compreso fra tre e cinque anni.

57 Analisi condotta in forma semplificata, in conformità con la Circolare della Banca d’Italia n.277 “Linee guida

per l’analisi di impatto della regolamentazione”.

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9, sulle possibili opzioni normative per modificare le segnalazioni dei dati di

bilancio (dati patrimoniali, dati di conto economico e qualità del credito).

Nel passaggio al nuovo principio contabile sono state valutate le opportunità

di:

• “modificare e integrare le voci e sottovoci degli schemi segnaletici per i

soli dettagli informativi richiesti e/o modificati dai principi contabili

internazionali”;

• “apportare un cambiamento alla struttura degli schemi segnaletici

allineandoli il più possibile a quanto previsto dalle disposizioni sulle

forme tecniche dei bilanci oggetto di consultazione”.

Per quanto riguarda i benefici, sono stati riconosciuti nell’esigenze conoscitive

della Banca d’Italia, per finalità di supervisione e di ricerca economica.

La stima dei costi tiene conto invece della forma, del contenuto e della struttura

delle informazioni già richieste dalla normativa sui bilanci degli intermediari

come modificata per recepire l’IFRS 9.

I. Dati patrimoniali

In modo da essere coerenti con le richieste delle circolari n. 217, 189 e 148

della Banca d’Italia che richiedono la modifica delle voci/sottovoci di natura

patrimoniale, in attuazione del nuovo principio contabile IFRS 9, vengono

fornite le seguenti opzioni:

▪ Opzione 1: “Gli schemi segnaletici relativi alle attività finanziarie

sarebbero modificati per tener conto di nuovi portafogli contabili e delle

forme tecniche degli strumenti finanziari presenti nei diversi portafogli

ai sensi dell’IFRS 9. Sarebbero inoltre richiesti dettagli aggiuntivi nelle

“riserve di valutazione” per fenomeni espressamente disciplinati dal

nuovo principio contabile (es. variazione del proprio merito creditizio)”

▪ Opzione 2: oltre alle modifiche dell’opzione 1 vengono richieste le

seguenti ulteriori modifiche:

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106

o Qualora risultassero necessarie delle riduzioni del patrimonio

netto, queste dovranno essere contabilizzate come poste

negative nel passivo e non più come voci positive dell’attivo;

o Nel caso in cui un recupero dei crediti deteriorati e delle attività

finanziarie cedute e non rilevate venissero trasformate in

immobilizzazioni materiali, queste dovranno essere

accompagnate da informazioni aggiuntive specifiche;

o I portafogli contabili delle passività finanziarie dovranno essere

modificati per renderli coerenti con la struttura del bilancio. “In

particolare, le voci relative ai debiti verso banche, debiti verso

clientela e titoli di circolazione sarebbero ridotte al portafoglio

delle passività finanziarie valutate al costo ammortizzato”.

o Deve essere modificata la strutturazione delle voci che

riguardano i fondi per rischi e oneri includendo gli

accantonamenti complessivi sugli impegni a erogare fondi e sulle

garanzie rilasciate.

Dal punto di vista del rapporto tra costi e benefici, si evidenzia che l’opzione 1

comporterà il costo minimo, rappresentando il puro recepimento del principio

contabile. Per quanto riguarda l’opzione 2, si dovranno sostenere maggiori

costi seppure sostenuti, in cambio di un allineamento ai bilanci degli

intermediari vigilati e di un’omogeneità delle informative rese a fini segnaletici

e contabili.

II. Dati di conto economico

In modo da essere coerenti con le richieste delle circolari n. 217, 189 e 148

della Banca d’Italia che richiedono la modifica delle voci/sottovoci di conto

economico, per seguire i cambiamenti richiesti dall’IFRS 9, si possono

indentificare le seguenti opzioni:

▪ Opzione 1: “Gli schemi relativi ai risultati della negoziazione o

valutazione delle attività finanziarie sarebbero modificati per tener conto

dei nuovi portafogli contabili previsti dall’IFRS 9. Verrebbe inoltre

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richiesto il dettaglio delle rettifiche/riprese di valore connesse con il

deterioramento del credito per stadi di rischio”.

▪ Opzione 2: In aggiunta alle modifiche dell’opzione 1 si possono attuare

delle modifiche alla struttura degli schemi segnaletici, in coerenza con

la nuova disciplina contabile. In particolare:

o La possibilità di aggiungere, nella sezione relativa ai principali

dati di conto economico, le voci presenti nel prospetto di bilancio

(ad es., interessi attivi/passivi, dividendi, utili/perdite da cessione

e riacquisto).

o Nella componente positiva e negativa verranno richiesti, in

un’unica voce, i risultati rispettivamente della negoziazione o

valutazione delle attività finanziarie e non finanziarie.

L’opzione 1, essendo la pura applicazione obbligatoria del nuovo principio

contabile, comportare i costi minimi indispensabili. L’opzione 2 prevede

l’allineamento degli schemi segnaletici alla struttura dei bilanci degli

intermediari vigilati come prevista dalla nuova disciplina; pertanto renderà

l’informativa segnaletica e contabile omogenee, avendo come conseguenza

dei costi incrementali.

III. Qualità del credito

Per non essere considerati inadempienti rispetto all’esigenza di

integrare/modificare le voci/sottovoci delle circolari n. 217, 272, 115 che

riflettono la nuova disciplina sulle rettifiche di valore definita dall’IFRS 9,

vengono identificate le seguenti opzioni:

▪ Opzione 1: “Gli schemi segnaletici sarebbero modificati per tener conto:

i) dei nuovi portafogli contabili previsti dall’IFRS 9;

ii) dell’introduzione della nuova variabile relativa agli stadi di rischio di

credito;

iii) dell’eliminazione della ripartizione tra rettifiche di valore specifiche e

di portafoglio, in linea con la nuova disciplina sull’impairment.

Sarebbero inoltre introdotte nuove voci per la richiesta di informazioni

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sulla nuova categoria delle attività finanziarie “deteriorate acquisite o

originate” prevista dall’IFRS 9”.

▪ Opzione 2: In aggiunta alle modifiche dell’opzione 1 vengono richieste

ulteriori informazioni in merito all’analisi del rischio di credito. In

particolare:

o Viene richiesta l’aggiunta di voci aggiuntive per fornire

informazioni sui write-off parziali complessivi sulle esposizioni

creditizie lorde e sulle attività finanziarie e non finanziarie

derivanti dal recupero dei crediti deteriorati;

o Ulteriori informazioni vengono richieste su:

i) La dinamica delle rettifiche di valore e degli

accantonamenti complessivi;

ii) La distribuzione delle attività finanziarie per fasce di

scaduto

iii) I trasferimenti tra i diversi stadi di rischio di credito;

iv) I write-off direttamente rilevati a conto economico e i

relativi recuperi.

o “Le voci relative alle variazioni delle esposizioni creditizie lorde

deteriorate e oggetto di concessioni, nonché le relative rettifiche

di valore complessive, sarebbero ripartite distinguendo tra

esposizioni verso clientela e verso banche/società finanziarie”.

Dal punto di vista dell’analisi costi-benefici, anche in questo caso l’opzione 1

rappresenta la semplice adozione obbligatoria del nuovo principio contabile,

pertanto ad essa corrisponde il costo minimo necessario. Con l’opzione 2,

invece si può avere un’analisi più approfondita su aspetti fondamentali per lo

studio del rischio di credito. Allo stesso tempo, si ha il beneficio di rendere

omogenee l’informativa segnaletica e quella contabile. Il costo incrementale è

comunque stimato come contenuto.

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La Banca d’Italia ritiene più opportuno adottare le soluzioni segnaletiche

previste da tali opzioni, infatti esse offrono un maggiore beneficio in termini di

contenuto delle segnalazioni a fronte di spese contenute.

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Conclusione

All’interno di questa tesi è stato analizzato il concetto di fair value e come

questo è stato utilizzato dagli organismi responsabili della scelta del regime di

misurazione contabile per emanare gli standard che governano il sistema

finanziario.

Grazie all’analisi del modello matematico di Plantin, Sapra e Shin (2004) è

stato possibile confrontare il Fair Value Accounting con l’Historical Cost

Accounting, potendo arrivare alla conclusione che è vero che i prezzi guidano

le misurazioni, ma anche quest’ultime hanno un effetto sui prezzi. Si è

mostrato come il regime basato sull’historical cost potrebbe dominare quello

del mark-to-market quando gli asset hanno una duration lunga e sono

scambiati in mercati molto illiquidi. A tal proposito, le varie critiche portate

avanti dagli oppositori del fair value durante la crisi finanziaria del 2007-2009

possono essere attribuite alle caratteristiche di tali approcci. Questi, infatti,

sono stati anni caratterizzati da una forte illiquidità e che vedevano i bilanci

delle istituzioni finanziarie pieni di prodotti senior che avevano duration molto

lunghe.

Inoltre, lo studio del modello di Easley e O’Hara (2008) ha investigato le

implicazioni che ha l’incertezza, caratteristica alla base delle crisi finanziarie,

sull’illiquidità dei mercati e sulla valutazione degli asset. In un mondo così

illiquido, le quote esistono, ma esse non hanno le caratteristiche che

tipicamente si associano ai prezzi bid e ask, comportando un congelamento

dei mercati. Per tale ragione, l’utilizzo del Fair Value Accounting basato

sull’approccio mark-to-market è risultato inefficiente.

L’analisi delle nuove direttive in termini di principi contabili che le banche

dovranno implementare durante quest’anno, ha permesso di capire come il fair

value non può essere stata l’unica causa di una crisi di tali dimensioni. Infatti,

gli organi responsabili della contabilità non sono andati a modificare

l’approccio del fair value, bensì si sono concentrati sul sollecitare un

miglioramento delle strutture che si occupano della gestione del rischio e delle

previsioni sulle perdite future attese.

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111

In sintesi, il fair value è stato il messaggero di una situazione finanziaria che

non stava gestendo bene le proprie esposizioni al rischio e che quindi non è

risultata pronta a reagire ad una crisi economica di tali dimensioni.

Il messaggio di fondo che si vuole lasciare è quindi quello di non concentrarsi

solo sul massimizzare i profitti e i guadagni delle istituzioni. È fondamentale,

infatti, porre maggiore attenzione ad una corretta implementazione dei principi

contabili che si pongono l’obiettivo di lavorare con valori giusti ed equi.

Particolare impegno, infine, va orientato a redigere bilanci che appostino delle

riserve, capaci di affrontare le crisi che potrebbero presentarsi in futuro.

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Ringraziamenti

Alla fine di questa tesi ho il piacere di ringraziare le persone che mi hanno

permesso di arrivare a questa tappa importante per la mia vita.

Un ringraziamento particolare va al professor Barucci, il quale mi ha permesso

di svolgere questo lavoro su un argomento di profonda attualità e che sto già

riuscendo a reinvestire per il mio futuro. Grazie al suo sostegno e alle sue

dritte, sono riuscito ad approfondire argomenti di particolare interesse che

sicuramente saranno utili per la mia carriera.

Un immenso grazie va a mia madre, la quale è stata costantemente presente

nonostante le distanze ed ha sempre avuto una parola adatta sia nei periodi

più difficili che in quelli di gioia. Non può che essere un modello di vita dalla

quale imparare tanto. La sua bravura è stata anche quella di ricoprire il ruolo

di mio padre, che seppur da Lassù mi è sempre stato vicino e mi ha sostenuto

in un modo misterioso e magico che solo vivendolo si può comprendere.

Grazie anche alle mie sorelle Sofia e Maria Giuseppina, il nostro rapporto di

vicinanza nella lontananza mi ha permesso di essere quello che sono oggi e il

loro sostegno è stato fondamentale.

Merita un forte ringraziamento anche mia nonna Giusi: modello di vita, grinta,

forza e fede. Ho sentito sempre la sua vicinanza e la sua preghiera che mi

hanno dato la possibilità di andare avanti nei momenti più difficili. È sempre

stato bellissimo gioire e festeggiare con lei.

Ringrazio i miei zii e tutti i tanti cugini, in particolar modo il mio padrino Felice.

Il loro sostegno e la loro vicinanza sono sempre stati una carica in più per fare

bene. È bellissimo rendere orgogliose di te delle persone che ti vogliono un

bene immenso.

Voglio ringraziare i miei amici di sempre. Nonostante i tanti chilometri che ci

separano il nostro rapporto che ci lega da quando siamo nati è un qualcosa di

cui sentirsi fortunati.

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Non posso non ringraziare i miei migliori amici di Catania con i quali siamo stati

bravi in questi anni a mantenere dei rapporti veri e profondi, nonostante le

distanze. Sono stati sempre pronti a sostenermi nei momenti un po’ più bui e

a gioire con me per i miei successi.

Infine, voglio ringraziare i miei colleghi e miei amici di Milano. Non sto qui a

citarli uno per uno, però sento di doverli ringraziare perché sono stati sempre

presenti e desiderosi di ascoltarmi quando ne avevo bisogno e a festeggiare

per le nostre vittorie. Grazie perché è grazie a voi se questi anni universitari,

nonostante le inevitabili difficoltà, sono stati divertenti.

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[26] Analisi tematica del MVU sull’IFRS9, 2017, Banca Centrale

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