pontificia facoltÀ di scienze dell'educazione … · l’origine e del divenire dell’uomo....

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POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POSTALE D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 2 E 3, C/RM/04/2014 PONTIFICIA FACOLTÀ DI SCIENZE DELL'EDUCAZIONE AUXILIUM ANNO LVI GENNAIO/APRILE 2018 RIVISTA DI SCIENZE DELL’EDUCAZIONE DOSSIER L’EDUCAZIONE COME CURA ALLA RADICE DELLA CAPACITÀ DI SCEGLIERE

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POSTE ITALIANE SPA - SPED. IN ABB. POSTALE D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 2 E 3, C/RM/04/2014

PONTIFICIA FACOLTÀ DI SCIENZE DELL'EDUCAZIONE AUXILIUMANNO LVI ● GENNAIO/APRILE 2018

RIVISTADI SCIENZEDELL’EDUCAZIONE

DOSSIER

L’EDUCAZIO

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ADICE D

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APACITÀ

DI SCEGLI

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COMITATO DI DIREZIONE

PINA DEL CORE MARCELLA FARINA

MARIA ANTONIA CHINELLO GRAZIA LOPARCO ELENA MASSIMI MARIA SPÓLNIK

COMITATO SCIENTIFICO

JOAQUIM AZEVEDO (PORTUGAL)GIORGIO CHIOSSO (ITALIA)

JENNIFER NEDELSKY (CANADA)MARIAN NOWAK (POLAND)

JUAN CARLOS TORRE (ESPAñA)BRITT-MARI BARTH (FRANCE)MICHELE PELLEREY (ITALIA)

MARIA POTOKAROVÁ (SLOVAKIA)

COMITATO DI REDAZIONE

ELIANE ANSCHAU PETRI CETTINA CACCIATO INSILLA

PIERA CAVAGLIÀ HIANG-CHU AUSILIA CHANG MARIA ANTONIA CHINELLO SYLWIA CIĘŻKOWSKAPINA DEL CORE

ALBERTINE ILUNGA NKULU MARCELLA FARINA

KARLA M. FIGUEROA EGUIGUREMS MARIA KO HA FONG RACHELE LANFRANCHI GRAZIA LOPARCO ELENA MASSIMI

ANTONELLA MENEGHETTI ENRICA OTTONE

MICHAELA PITTEROVÀ PIERA RUFFINATTO MARTHA SÉÏDE

ROSANGELA SIBOLDI ALESSANDRA SMERILLI MARIA TERESA SPIGA MARIA SPÓLNIK MILENA STEVANI

DIRETTORE RESPONSABILE

MARIA ANTONIA CHINELLO

COORDINATORE SCIENTIFICO

MARCELLA FARINA

SEGRETARIA DI REDAZIONERACHELE LANFRANCHI

RIVISTA DI SCIENZE DELL’EDUCAZIONEPUBBLICAZIONE QUADRIMESTRALE EDITA DALLA PONTIFICIA FACOLTÀ DI SCIENZE DELL'EDUCAZIONE“AUXILIUM” DI ROMA

DIREZIONE Via Cremolino 14100166 Roma

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ASSOCIATA ALLA UNIONE STAMPAPERIODICAITALIANA

Aut. Tribunale di Roma 31.01.1979 n. 17526

Progetto grafico impaginazione e stampa EMMECIPI SRL

ISSN 0393-3849

ANNO LVI NUMERO 1 • GENNAIO/APRILE 2018Poste Italiane Spa

Sped. in abb. postale d.l. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, C/RM/04/2014

PONTIFICIA FACOLTÀ DI SCIENZE DELL'EDUCAZIONE AUXILIUM

RIVISTADISCIENZEDELL’EDUCAZIONE

2 PONTIFICIA FACOLTÀ DI SCIENZE DELL’EDUCAZIONE AUXILIUM

DOSSIERL’EDUCAZIONE COME CURA.ALLA RADICE DELLA CAPACITÀ DI SCEGLIERE

Education as care.At the roots of the capacity to choose

Introduzione al DossierIntroduction to the DossierMaria Teresa Spiga 6-12

Cura di sé e cura dell’altro. Considerazioni antropologiche ed educative Care for oneself and care for others. Anthropological and educational considerationsMaria Spólnik 13-34

La figura giovannea del «discepolo amato»: un itinerario pedagogico per il discernimento vocazionale The figure of john as the «beloved disciple»: A pedagogical itinerary for vocational discernmentGiuseppe De Virgilio 35-50

I giovani, la fede, la vocazione: snodi, risorse, prospettiveYoung people, faith, vocation: synod, resorses, prospectivesMarcella Farina 51-66

Il “Cortile dei gentili” a partire dai piccoliThe “Courtyard of the gentiles” beginning with the little onesMarcella Farina 67-83

Cosa è il male?What is evil?Diana Vincenzi Amato 84-89

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SISTEMA PREVENTIVO OGGIL’esperienza educativa di don Bosco e di Madre Mazzarello.Rilettura alla luce della «cultura dell’incontro» di papa Francesco.The educational experience of saint John Bosco and saint Mary Domenica Mazzarello.In the light of pope Francis’ “culture of encounter”.

Piera Ruffinatto 92-107

ALTRI STUDIInsegnamento e apprendimento: tra dialogo e asimmetrieTeaching and learning: between dialogue and asymmetries

Pier Paolo Bellini 110-126

ORIENTAMENTI BIBLIOGRAFICI

Recensioni e segnalazioni 128-140

Libri ricevuti 141-144

Norme per i collaboratori della Rivista 146-147

DMA

DOSSIERL’EDUCAZIONE COME CURA.

ALLA RADICE DELLA CAPACITÀ DI SCEGLIERE

La cura di sé, strettamente connessaalla cura dell’altro nel riconoscimentodella fragilità comune, e la cura delmondo come luogo dell’esprimersidel “sé” sono intrinsecamente colle-gate, e ciò non per una teoria edifi-cante, ma per necessità la cui presad’atto, oggi, non è più dilazionabile.Tener unita la cura sui e la cura del-l’altro diviene un’esigenza della so-cietà attuale, non di rado dominatadall’individualismo, da un’avvilentecultura narcisistica e da un diffusoanalfabetismo affettivo.In tale contesto, il problema dellacura sui, pur profilandosi come es-senziale per la vita del singolo, nonpuò ridursi a un intimistico rafforza-mento del sé autoreferenziale, madeve mirare, all’opposto, al suo tra-scendimento. La persona infatti, per definizione, èuna realtà spirituale di natura relazio-nale,2 che attualizza pienamente sestessa soltanto in un contesto di re-lazioni umane e umananti. Per diventare se stessa, la personaha bisogno di apprendere, innanzi-tutto, la competenza nella cura di sée della cura dei legami vitali con l’al-

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la persona è guidata ed accompa-gnata da educatori competenti, ca-paci di introdurla, teoricamente epraticamente, nell’arte della cura edi sostenerla quotidianamente nellafatica del prendersi cura.Nell’educazione il tema della cura disé e della cura dell’altro è un temacomplesso e andrebbe affrontato inmodo interdisciplinare. Per questo, l’intento del presentearticolo non è quello di esaurire il te-ma di cura nell’educazione, ma èquello di offrire alcune coordinateantropologiche ed educative chepotrebbero meglio orientare la ri-flessione e la scelta di quanti inten-dono apprendere e insegnare l’im-portante arte della cura di sé e del-l’altro, fino a fare di tale duplice curanon solo uno stile di vita personale,ma anche una competenza profes-sionale, una cultura della cura. Nello svolgimento della ricerca, spe-cialmente in alcune parti, tendo aprivilegiare come fonte significativaper le mie riflessioni alcuni saggi diLuigina Mortari.

CURA DI SÉ E CURA DELL’ALTRO.CONSIDERAZIONI ANTROPOLOGICHE ED EDUCATIVE CARE FOR ONESELF AND CARE FOR OTHERS. ANTHROPOLOGICAL AND EDUCATIONAL CONSIDERATIONS

MARIA SPOLNIK1

1. Il concetto polisemico di cura

I tratti interessanti di cura si possonodesumere dal mito di Cura3, un rac-conto di Gaio Giulio Igino del I sec.a.C., che esprime un concetto im-portante per la comprensione del-l’origine e del divenire dell’uomo. Martin Heidegger, interpretando ilmito in chiave filosofica, individuain esso la testimonianza della con-cezione di Cura come di ciò che hadato forma all’uomo e ciò a cui l’uo-mo appartiene per tutta la vita. L’es-sere che chiamiamo uomo ha originedalla Cura ed è governato da essafintanto che è nel mondo.4

Nel nostro tempo la categoria dicura si sta imponendo sia per va-rietà di significati che per centralitàd’interesse. In effetti, la cura è ca-tegoria polisemica: è cura del cor-po, come igiene e come ripristinodella salute; è cura sociale, deigruppi deboli, dei marginali, dei di-sabili; è cura religiosa, come dire-zione di anime; è cura dell’ambien-te; è cura educativa e altro ancora.Franco Cambi, interrogandosi sul per-ché di tale fenomeno, riconduce le ri-sposte fondamentalmente a tre: allacrescita vertiginosa delle scienzeumane, che si sono poste non solocome visione dell’uomo (scientifica erigorosa), ma anche come strumentid’azione per trasformare, riequilibrare,riorientare l’uomo moderno che ap-pare sempre più inquieto, alienato,problematico; allo sviluppo che haassunto oggi la questione del soggettoa livello sociale e psico-sociale, laquale reclama di comprenderlo nellasua complessità e di aiutarlo nellaconquista del proprio sé, prendendoloin cura; alla nascita di un sistema so-

ciale che nel creare lo “Stato sociale”si è fatto carico della vita privata epubblica delle persone, dando ad es-se sicurezza, assistenza, cura ap-punto: facendosi carico del loro de-stino dall’infanzia alla vecchiaia.5

Su queste istanze si è innescata lariflessione sulla cura: cos’è curare?si può curare? come agisce la cura?Il prendere-in-cura anche chi cura?Chi viene curato come si relazionarispetto alla cura? Se educare, e co-me, ad aver cura di sé e dell’altro? Esono solo alcuni quesiti. Va però sottolineato che oggi, più diieri, oltre all’esercizio di cura chevaria in ogni ambito per fini e permezzi, il curare e la cura sono indagatia livello epistemologico e fenome-nologico. Ciò sta avvenendo un po’ovunque: il concetto di cura è stu-diato con successo nell’ambito sa-nitario, in medicina, psicologia e psi-chiatria;6 si nota un ritorno ad essoin filosofia (etica e antropologia), nelcampo giuridico7, in ecologia, nellacomunicazione e nel femminismo.8

Un interesse particolare per la curaè riservato all’ambito che da semprele è connaturale, cioè all’ambito dellapedagogia9 e dell’educazione.10

2. Il paradigma educativo della cura

L’interesse per il paradigma educativodella cura è giustificato dal fatto che,come dimostra l’osservazione delquotidiano, la cura è il bisogno fon-damentale della persona umana, laquale entra nel mondo fin dall’iniziocome un essere vulnerabile, fragile,ontologicamente debole e incompiu-to. Tale esperienza, universalmentevissuta, porta a ipotizzare una serie

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di attenzioni, premure e interventi dapredisporre come necessari e inten-zionali, perché la persona possa es-sere sostenuta adeguatamente nellasua sopravvivenza fisica, tutelatanei momenti fragili della salute, ac-compagnata quotidianamente nelprocesso di diventare se stessa me-diante l’educazione integrale. Un progetto di vita finalizzato alcompimento dell’umanità, quindi albenessere e alla felicità della per-sona che lentamente diviene sestessa, e un’educazione che si im-

pegni a realizzare tale progetto inmodo adeguato e soddisfacente,non possono perdere di vista l’es-senziale che sta in questo: l’educa-tore si prende cura della personanella sua integralità e, al tempo stes-so, l’educando impara ad assumersigradualmente l’impegno di aver curanei confronti dell’esistenza.La persona, in effetti, assume la pro-pria esistenza soltanto nella misurain cui è capace di collocarsi nel mondoscegliendo di prendersene cura.«Questo rapportarsi all’esistere aven-

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RIASSUNTO

L’intento del presente articolo nonè quello di esaurire il tema di curanell’educazione, perché l’argomentoè in sé complesso e andrebbe trat-tato in modo interdisciplinare. Il con-tributo vuole offrire alcune coordinateantropologiche ed educative chepotrebbero orientare meglio la sceltadi voler apprendere l’importante artedi cura di sé e dell’altro, fino a faredi tale duplice cura uno stile di vitapersonale e professionale.Parole chiave: cura, cura educativa,cura di sé, cura dell’altro, indicatoridi cura educativa buona.

SUMMARY

The aim of this article is not to ex-haust the theme on care in educa-tion, which is in itself a complextopic to be studied from an inter-disciplinary approach. The contri-bution offers some anthropological

and educational coordinates thatcould guide whoever wishes to learnthe important art of taking care ofoneself and of the other in the ed-ucative process, making it a per-sonal and professsional style of life.Key words: care, educational care,self-care, care of the other.

RESUMEN

El presente artículo no tiene la in-tención de agotar todo el temasobre el cuidado de la educaciónque en sí es complejo y necesitaser abordado interdisciplinariamen-te. El aporte pretende ofrecer algu-nas coordenadas antropológicas yeducativas que podrían orientar me-jor la opción de querer aprender elimportante arte de cuidar de sí mis-mo y del otro, para que ese doblecuidado se convierta en un estilode vida personal y profesional.Palabras clave: cuidado, cuidadode la educatión, cuidado de sí mis-mo y del otro, indicadores del cui-dado educativo bueno.

done cura è un essenziale che ha iltratto della necessità: perché da su-bito e per tutto il tempo della vita l’es-sere umano, in quanto esistente, sitrova consegnato all’esistenza se-condo le modalità della cura. Perquesto si può dire che “ognuno èquello che fa e di cui si cura”».11

2.1. «Ognuno è quello che fa e di cui si cura»

Se le parole di Martin Heidegger ap-pena citate sono vere, esse assu-mono un peso rilevante proprio perl’educazione.L’assenza di cura adeguata, l’errorein essa o la mancata corrispondenzaalle cure predisposte, possono com-promettere la crescita armonica dellapersona o, persino, risultare fatali peril suo compimento.È fondamentale, quindi, conoscere,discernere e scegliere cure appro-priate per la persona e per la sua cre-scita tenendo presente che, di fatto,cura si può dire in vari modi, perchési tratta di un concetto polisemanticoche richiama esperienze polivalenti. Si può dire, in sintesi, che il termine“cura” risulta carico di differenti si-gnificati: «C’è una cura necessariaper continuare a vivere, una cura ne-cessaria all’esistere per dar voce allatensione alla trascendenza e nutriredi senso l’esserci, e una cura che ri-para l’essere sia materiale che spiri-tuale, quando il corpo o l’anima siammala».12 I tre tipi di cura, di cui so-pra, non sono intercambiabili, nonpossono essere confusi. La persona umana, lungo l’intero arcodella propria esistenza, può necessi-tarne di tutti e tre.

2.2. Tipologie della cura e l’essenzadella cura educativa

Che cos’è, dunque, la cura educativao come intendere l’educazione comecura? Per cogliere l’essenza dellacura educativa è importante appro-fondire brevemente anche altre duesue tipologie.

2.2.1. La cura intesa come provvedereciò che serve all’esistenza

L’esperienza quotidiana pone in evi-denza che la persona, per l’interoarco della vita, anche se in modalitàdifferenti, ha bisogno di un tipo ele-mentare di cura intesa come neces-sità ontogenetica, che si manifestainnanzitutto nel provvedere ciò cheserve all’esistenza.La cura nel procurare ciò che con-sente di conservare la vita, nel grecoantico è espresso con il termine me-rimna. «La cura come merimna è ilmodo di essere che rappresenta la ri-sposta alla horme di cui parla la filo-sofia stoica, cioè alla tendenza natu-rale a persistere nell’essere, una ten-denza inevitabile in quanto noi sa-remmo esseri “finalizzati alla vita”».13

Tale tendenza a conservare la vita di-mostra che la persona, nel concreto,non può fare a meno delle cose. Anzi,come mette bene in luce Lévinas,«questo procurare cose non è unaforma degradata dell’agire, controla quale elaborare schizzinose filo-sofie che coltivano l’illusione di unessere sollevato dalla sua materia-lità. La cura delle cose e dei bisogniche abbiamo delle cose non è un li-vello degradato di vita rispetto a unlivello di esistenza più qualificatocome potrebbe essere quello meta-

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fisico: è piuttosto il modo di essereche ci appartiene in quanto esserciincarnati in un corpo che abita ilmondo. La cura delle cose è la “no-stra cura di esistere”».14

Drammatico e nefasto sarebbe fer-marsi alla cura di esistere come unsemplice procurare le cose, senzadare consistenza relazionale ed eticaal nostro esserci. In effetti la cura, se è inevitabile perconservare la vita mettendola al riparodalla sua fragilità, può assumere di-mensioni smisurate a causa dell’ansiache prende la persona di fronte allasua fragilità ontologica. Il fatto di nonavere un controllo totale sulla vitagenera inquietudini e paure, le qualipossono portare a una frenesia nelprocurare le cose, che consuma lavita stessa. «Essenziale allora non èprocurare cose per possedere, per-ché l’avere può tradursi in perditadel tempo dell’esserci. La preoccupazione per la vita, ne-cessaria per garantire il persisterenell’essere, può tradursi in un eccessodi azioni con cui vorremmo riempirequel vuoto di fondamento certo chesentiamo così minaccioso, una formaquasi di accanimento nell’accumulareciò che ci potrebbe essere utile».15

Questo eccesso di affanno per le co-se, in realtà, può essere interpretatocome «conseguente al sentire conangoscia la propria situazione di es-seri mancanti, bisognosi dell’altro».16

Il sapersi bisognosi e l’impossibilitàdi trovare un riparo definitivo a questobisogno si traducono in un senti-mento di impotenza, che, lasciatodilagare nell’anima, può spingere adagire compulsivamente per tacitarequesto sentirsi mancanti, riempiendo

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il vivere di un eccesso di cose a cuisentirsi ancorati. Quando nell’uomomanca un appagamento soddisfa-cente di questo bisogno radicale,egli può sperimentare un tipo di vul-nerabilità e fragilità, nel corpo e nel-l’anima, che lo fa ammalare.

2.2.2. La cura che ripara

La cura, perciò, in alcune situazioniesistenziali, può essere vissuta esperimentata anche come necessitàterapeutica, ossia come una tecnicadel rammendo per guarire le feritedell’esser-ci, quelle del corpo, maanche dell’affettività, dell’intelligen-za e del volere, come pure quelleprovocare dalle relazioni inadeguatee problematiche.17

Si tratta, dunque, di un tipo di curache ripara l’essere nei momenti dimassima vulnerabilità e fragilità, quan-do il corpo o l’anima si ammalano. Èla cura come therapeia, diversa daquella di iatrike.18 In effetti, in greco idue termini indicano azioni terapeu-tiche. Il primo tiene conto della per-sona nella sua complessità e si oc-cupa anche delle dimensioni spiritualidell’esperienza, mentre il secondotermine riguarda specificamente l’at-tività esercitata dai medici per curarele affezioni del corpo. «Si può direche a questa distinzione corrispondein lingua inglese quella fra care e cu-re».19 In effetti, to cure è inteso comeguarire, combattere la malattia conopportuni mezzi, ridare la salute e laqualità di vita al malato con interventipreventivi, diagnostici, terapeutici eriabilitativi; to care, ha un significatopiù ampio di ‘cura’ come ‘prendersicura di’, nel duplice senso di occu-parsi degli altri, avere attenzione e

interesse per gli altri e porsi in rap-porto agli altri con atteggiamento dipre-occupazione e occupazione. «Lapreoccupazione indica la valenzanegativa dell’angoscia, pena, affan-no, colpa, rimorso (la cura comemerimna e sollicitudo); l’occupazioneindica la valenza positiva di dedizioneattenta e operosa (dal greco epime-leia) che da cura di sé (nella tradizio-ne socratico-platonica) diviene com-pimento del bene dell’uomo (in Se-neca e negli stoici)».20

È da tener presente che, nel momentoin cui la cura come terapia «si facarico della persona nella sua inte-rezza di mente e di corpo, allora nonè mera riparazione di qualcosa chenel corpo si è inceppato o un mo-mentaneo lenire il dolore dell’anima,ma è cura intera dell’essere».21

Aver cura dell’essere integrale dellapersona umana, al di fuori del con-testo di terapia, appartiene in realtàall’educazione e possiede una forteconnotazione etica.

2.2.3. La cura educativa che fa fiorirel’essere e risponde al bisognodi ulteriorità

In effetti la cura, oltre a indicare unanecessità ontologica dell’uomo, o ilfatto di riparare le ferite legate allavulnerabilità e fragilità umane, do-vrebbe diventare un asse paradig-matico del discorso pedagogico.Il prendersi a cuore la vita e la crescitadella persona, di fatto, non si esau-risce nel procurare quanto necessarioal vivere per garantire la sopravvi-venza del proprio essere, ciò che èproprio della visione della cura comenecessità ontogenetica; né coincidecon il ricupero di qualcosa che non

funziona nell’uomo, ciò che è propriodella cura come terapia, bensì «sirealizza anche nel costruire uno spa-zio vitale in cui poter dare completarealizzazione alle proprie possibilitàesistentive: perché il nostro esseremancanti è anche apertura al dive-nire possibile, cioè essere chiamatialla trascendenza, a cercare formeulteriori di essere».22

L’esperienza dimostra che la condi-zione del nostro essere è quella di unsoggetto non ancora finito, non com-pleto e non compiuto, ma in continuaricerca della sua forma e, per questo,chiamato ad andare sempre oltre ri-spetto al modo in cui si trova ad es-sere. Il proprium della condizioneumana è quello di subire la propriatrascendenza, perché quel nucleo vi-vente che noi siamo è un nucleo dipotenzialità che, per attualizzarsi,chiede di oltrepassare ciò che è già eaprirsi all’ulteriore.23

Mentre per molti altri esseri con cuicondividiamo lo spazio del mondo, ilcompimento è un fatto deterministico,per la persona umana esso richiedenon solo il rispetto della sua naturaspecifica e del suo fine intrinseco,ma predisporre quelle condizioni checonsentano di trovare e scegliere leforme buone del proprio esserci.In effetti, l’uomo è portatore di unprogetto singolare, originale e irripe-tibile che è la sua persona, ma la suarealizzazione è anche frutto delle cir-costanze, delle scelte e delle azioniche compie. Le azioni modificano laforma attuale dell’uomo, ma non tuttele azioni che l’uomo compie lo “com-piono” come uomo e fanno fiorire ilsuo essere. L’attuarsi della persona èaffidato alla cura educativa che è uni-

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tamente cura di sé e cura dell’altro.Perciò, nel paragrafo che segue, cer-cherò di approfondire maggiormentequeste due direzioni di cura educativa.

3. Direzioni di cura educativa

Aver cura di sé e dell’altro è unodegli appelli dell’esistenza, fonda-mentale e imprescindibile, al qualela persona deve rispondere se vuoleche la sua vita abbia un senso e siadegna di essere vissuta.Ciò comporta che essa impari anon guardare le cose accadere inmodo passivo, ma ad essere unapersona che fa succedere le cose,vale a dire che si lascia coinvolgereattivamente, liberamente e con crea-tività nel processo della conoscenza,comprensione e compimento dellapropria esistenza.

3.1. Aver cura di sé (cura sui)

La prima e fondamentale direzione dicura è la cura di sé. Il bisogno di aver cura di sé è un datoantropologico che è giustificato dalfatto che l’uomo nasce non determi-nato e con la necessità di costruiremondi di significati. Sulla sua esi-stenza grava il compito di diventarese stesso, quindi di venire alla lucecome persona, nel rispetto della pro-pria natura, del fine e nell’impiego re-sponsabile della libertà personale. Attuarsi come persona è frutto del-l’educazione e comporta innanzituttol’attitudine ad ascoltare la propria co-scienza, anzi diventare un sé co-sciente, un io in ricerca e in dialogo,fino a diventare un soggetto “risve-gliato” a prendersi cura di se stesso.In effetti, l’educazione è tale quandoè capace di promuovere nel soggetto

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in formazione la capacità e il desideriodi assumersi la responsabilità del pro-prio percorso esistenziale; quandocioè ha cura che l’altro apprenda adaver cura di sé, del proprio esserci. Èquesta la direzione di cura, fonda-mentale ed essenziale, da insegnaree da apprendere mediante l’educa-zione per la buona riuscita della vitapersonale e sociale di ognuno. Certamente, la cura di sé non puòessere imposta a nessuno, ma pro-posta in modo che l’altro la com-prenda, la scelga in prima persona eperseveri nel cammino assumendogradualmente la responsabilità dellapropria autoformazione. Si tratta diuna scelta personale, graduale, ra-gionata, responsabile, fino ad assu-mere le conseguenze concrete chetale scelta provoca: fatica, incom-prensione, scoraggiamento, ma pri-ma di tutto gioia che scaturisce dal-l’impegno, dal successo ottenuto,dal mettere alla prova se stessi.Qual è l’essenza della cura di sé(cura sui)?Senza nessuna pretesa di esaurireil tema, vorrei tracciare ora alcunecaratteristiche essenziali della curadi sé. Certamente, la cura sui èprendere in cura se stessi, curarsiper darsi ordine e senso e così farcrescere l’io di ciascuno, dilatan-done i confini e ridescrivendone ilpaesaggio interiore.Già Platone ha colto bene l’essenzadella cura sui quando, nell’Apologia,metteva in guardia gli educatori del-l’epoca facendo dire a Socrate paroledi particolare attualità anche per i no-stri tempi: «Io vado intorno facendonient’altro se non cercare di persua-dere voi, e più giovani e più vecchi,

che non dei corpi dovete prendervicura, né delle ricchezze né di nes-sun’altra cosa prima e con maggioreimpegno che dell’anima in modoche diventi buona il più possibile,sostenendo che la virtù non nascedalle ricchezze, ma che dalla virtùstessa nascono le ricchezze e tuttigli altri beni per gli uomini, e inprivato e in pubblico».24

Cicerone esprime lo stesso concettoin altre parole quando sostiene che lavera cura di sé è la dedizione nel cer-care la migliore qualità di vita possi-bile, quella che consente di attualiz-zare le differenti possibilità del proprioessere. C’è bisogno di una cura che“risveglia gli animi e li rende piùgrandi” non tanto perché essi posso-no “compiere grandi imprese”, maper realizzare al meglio quell’impresache è la propria vita.25

Seneca, dal canto suo, sostenevache la cura sui richiede l’uso dell’in-telligenza, perché l’uomo è caro a séstesso per quella parte di sé che lorende uomo,26 vale a dire per la razio-nalità. L’esercizio della razionalitàconsente all’uomo di orientarsi nel-l’autocomprensione e nella ricercadel benessere che è, innanzitutto, ilbenessere dell’anima. In effetti, Se-neca raccomanda a Lucilio: «Se vorraistar bene, cura soprattutto la salutedell’anima, e poi quella del corpo»,27

senza dimenticare che l’anima si ali-menta con l’esercizio della modera-zione, con l’autocontrollo, col rim-proverare i vizi, perseverando nei buonipropositi, imponendosi dei limiti, guar-dando alla sostanza e non alle appa-renze, senza mai dimenticare la fra-gilità umana e il tempo che passainesorabilmente e che perciò va speso

bene.28 In una parola, conclude Se-neca, «prenditi cura di quel bene chemigliora con il passare del tempo».29

L’appello alla razionalità, come parteessenziale dell’identità dell’uomo ecome ciò che lo rende migliore, èquindi fondamentale per compren-dere il significato autentico e il veropeso che l’attitudine alla cura di séassume nell’insieme dell’autorealiz-zazione della persona umana biso-gnosa del compimento perché apertaalla trascendenza. Assecondare latensione a trascendere ciò che si è ochi crediamo di essere per aprirsi al-l’ulteriore, in realtà, risponde all’es-senza dell’anima, della quale già Era-clito diceva che le è proprio un logosche la fa crescere: un logos fecon-dante, seminale, che nutre l’essere disemi di possibilità e dell’energia ne-cessaria a farli fiorire. L’anima chesegue il suo logos è sempre in cercadella sua forma migliore, si tiene inascolto della sua sete di trascendenzae persiste nella ricerca della sorgentecui attingere quel sapere che aiuta atrovare la giusta forma del vivere.30

Inoltre, la cura autentica di sé, fedeleall’essenza dell’uomo e coerente conil logos della sua anima, tiene contodel fatto che nessuna realizzazionedell’uomo è definitiva e compiuta,ma sempre provvisoria, incompleta,incerta. Lo sa bene Edith Stein, quan-do asserisce che «l’essere dell’io èun qualcosa che viene da un attimoall’altro attimo. Non può fermarsi,perché corre inarrestabilmente. Cosìesso non giunge mai a possedersiveramente».31 L’io è vivente, dotatodi forza vitale, di potenzialità che at-tende di attualizzarsi, ma allo stessotempo è vulnerabile e fragile: deve

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continuamente lavorare per conser-vare la vita e nutrire l’esistenza. La cura di sé, perciò, è un lavoro fa-ticoso: «Tesse i fili dell’esserci, masenza mai riuscire completamentenella realizzazione del suo progetto,poiché all’essere umano risulta im-possibile chiamare all’essere tuttociò che vede essenziale per dise-gnare una vita buona. Si trova da su-bito e per tutta la vita vincolato alcompito di dare forma al propriomodo singolare di esistere senza pe-rò mai avere sovranità sulle mossedel proprio divenire. Si ha cura di séper far fronte alla fragilità e vulnera-bilità della condizione umana, senzamai potere ridimensionare questoessere intimamente fragili e vulnera-bili, nella carne e nell’anima».32

La vulnerabilità e la fragilità innatedella persona umana fanno sì chel’autentica cura sui imponga una vi-gilanza particolare sulle proprie azioni.Di fatto, l’essere umano è trasformatonon soltanto dalle azioni intenzionaliindirizzate alla propria maturazioneche modificano la sua forma umanamigliorandola, ma ogni azione da luicompiuta plasma il suo essere e lasciauna traccia indelebile nella sua inte-riorità. «In questo senso il compito diesistere non conosce la qualità dellaleggerezza, ma sempre impone unapresenza massimamente attenta eintensamente responsabile».33

Tuttavia, come mette in rilievo VannaBoffo, la vera dimensione della curasui non è quella interiore e individualedi un uomo alla ricerca di un sé per-sonale e privato; l’esercizio dellacura non è consacrato alla solitudinee alla distanza, bensì alla pratica so-ciale, attuata nelle scuole, nelle co-

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munità, nella famiglia. La cura di séè una vera e propria intensificazionedei rapporti sociali. La studiosa af-ferma che si può racchiudere taleidea nella formula: «occuparsi di sé,per occuparsi dell’altro, per occu-parsi del mondo».34

La cura di sé è, dunque, conditio sinequa non per occuparsi degli altri, eciò in modo particolare nelle profes-sioni educative intenzionalmenteorientate ad accompagnare l’altronella propria crescita integrale.

3.2. Aver cura dell’altro

Dalle riflessioni condotte finora emer-ge che la vera cura di sé apre natu-ralmente alla cura dell’altro, superan-do l’autoreferenzialità dell’individuoe la sua eventuale tentazione al nar-cisismo e all’autosufficienza e, allostesso tempo, connota di eticità ilsuo modo di rapportarsi all’altro.In effetti, per quanto intenso possaessere il nostro impegno nel prendercia cuore, esso non basta perché noisiamo esseri relazionali e, in quantotali, bisognosi degli altri. Del resto,educare è sempre in rapporto all’altro,perciò la dimensione di cura richiamala centralità della relazione come mo-mento decisivo del rapporto educa-tivo. Per questo motivo l’educazionee la costruzione di una pratica edu-cativa, intesa come cura dell’altro,non possono prescindere dalla rifles-sione sulla dimensione relazionale,che rappresenta una categoria es-senziale dell’educazione.

3.2.1. Dimensione relazionale della cura dell’altro

È un dato di fatto, confermato dal-l’esperienza, che la vita non è unevento solipsistico, poiché è sempre

intimamente connessa alla vita di altri.Per l’essere umano vivere è semprecon-vivere, poiché nessuno da solopuò realizzare pienamente il progettodella propria esistenza. Nell’Etica Ni-comachea Aristotele parla dell’essereumano come di un ente per naturapolitico (politicós), cioè qualcuno chesta con molti altri (polloí) che dannovita alla città (pólis),35 perciò la rela-zionalità e il bisogno degli altri sonointrinseci all’uomo.Per quanto riguarda la dimensionerelazionale della cura, «ognuno di noiall’inizio della vita è un bambino/a di-pendente da quelli che hanno cura dilui/lei e rimaniamo interdipendenticon gli altri in modi fondamentalilungo tutto il corso della vita […]. Lenostre relazioni sono parte di ciò checostituisce la nostra identità».36

Anzi, se si considera la persona dalpunto di vista dello sviluppo psichi-co, si può costatare come la relazio-ne con l’altro sia la condizione pri-maria dell’esserci.37 Di fatto, la rela-zione materna primaria, che tantaimportanza assume per la nascita,la crescita e lo sviluppo prima delbambino, poi dell’adolescente e in-fine dell’adulto, è una relazione dicura: di cura dell’adulto per la curadel bambino, di cura dell’adulto perla cura della dimensione sociale delsoggetto in crescita. La relazione si costruisce a partiredall’attenzione alle dimensioni più in-time e profonde dei soggetti che sonounite da un legame di affetto e diamore. La costruzione della relazioneavviene attraverso una consapevo-lezza del sé che tutto lo studio dellapsicoanalisi, prima, e la pratica psi-coterapeutica, poi, hanno messo inevidenza con estrema efficacia.38 Del

resto, gli studi recenti sul comporta-mento hanno rilevato un’elevata com-petenza relazionale già dai primi giornidi vita, «evidente nella quantità e nellacomplessità delle interazioni che ilneonato stabilisce con gli altri. Questacompetenza relazionale è di valoreprimario per la vita».39

La sostanzialità relazionale della per-sona è dunque qualcosa di radical-mente ineludibile, perché anche quan-do l’ente che noi siamo si ritira in unospazio intrasoggettivo, quello dellamente che dialoga tra sé e sé, la re-lazione con gli altri permane perché«anche in solitudine i pensieri chepensiamo conservano la relazione coni pensieri che abbiamo costruito in-sieme agli altri e le emozioni che agi-tano il cuore sono fili che ci tengonoin relazione con gli altri».40 Ciò dimostraquanto siamo immersi nei tessuti re-lazionali presenti, ma anche in quellidel passato che, pur dimenticati, strut-turano lo sfondo vitale dell’essere.Se l’essere umano è fondamental-mente un essere relazionale, l’avercura dell’esserci va pensato come«un tutt’uno con l’aver cura del con-essere e dunque come aver curadegli altri. Esserci è aver cura e inquesta cura ci sono io-con-altri. Lacura come premura per l’altro, comesollecitudine a favorire il ben-esseredell’altro si prefigura componente in-dispensabile per una vita migliore».41

Rimane perciò incompleto un discorsoche si limita a enunciare che l’esserciha bisogno di cura, di ricevere cura edi dare cura. Poiché l’agire umano èsempre un agire intenzionale, mossocioè da un’intenzione che spingeverso l’ulteriore, va individuata l’in-tenzione che muove l’agire con cura.

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3.2.2. Ragioni etiche di un agire con cura

La cura, come pratica educativa, nellasua essenza è etica perché orientatadalla ricerca di ciò che è bene per chisi educa, ossia dalla ricerca di ciòche dà forma a una vita buona. Inaltre parole, la cura nell’educazione,proprio perché mira a far raggiungereall’essere umano il proprio fine che èla felicità, esige un agire con cura econ deontologia professionale.Le ragioni etiche dell’agire con curale ha già spiegate Aristotele. Infatti,se si assume il principio aristotelicosecondo il quale «ogni cosa tende albene»,42 allora l’essere di ciascuno èmosso dall’intenzione di cercare ilbene.43 Aristotele precisa che questobene è chiamato eudaimonía,44 untermine che abitualmente è reso comefelicità, da intendere però non comesentimento, ma come «oggettod’azione»,45 anzi come «un’attivitàdell’anima secondo virtù», come una«vita compiuta»46, ossia una vita sog-getta alla continua maturazione me-diante l’agire appropriato. In effetti,nel trattare il bene come felicità inAristotele, è necessario mettere inevidenza l’enfasi posta sull’agire cheprocura la felicità, su quell’agire checerca la piena “fioritura dell’umano”,che si riferisce a «“vivere in una buonadimensione dello spirito”; trovarsi inuna condizione di eudaimonía significavivere facendo esperienza del bene evivere bene (euzêin) e fare bene (eu-práttein) sono la stessa cosa».47

Alla luce di queste considerazioni,dunque, dal punto di vista di chi-ha-cura agire nell’ordine di ciò che èbene significa agire per promuovereil ben-esserci dell’altro, e nella cura

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di sé il proprio ben-esserci; perciò sipuò dire che la bene-volenza è la di-rezione dell’esserci che qualifica lacura, un agire con cura.Certamente, per rispondere pratica-mente a questa passione per il benenell’educazione, è necessario svilup-pare precise «posture dell’esserci incui si condensa l’essenza etica dellacura: sentirsi responsabile, condivi-dere con l’altro l’essenziale, avereuna considerazione reverenziale del-l’altro, avere coraggio».48 Nell’econo-mia del presente lavoro ne farò sol-tanto un breve cenno.Innanzitutto, l’agire con cura è mossodal senso di responsabilità per l’altro,attento alla qualità della vita propriae dell’altro. In concreto, significa ri-spondere attivamente al bisognodell’altro con premura e sollecitudine,essere disponibile a fare quanto ne-cessario e quanto è possibile per ilben-essere dell’altro; però questa di-sponibilità va dichiarata, affinché l’al-tro sappia che su di noi può contare.Mortari parla di una responsabilità di-retta dell’altro, richiesta da una scarsaautonomia del destinatario delle cure(es. neonato) e di una responsabilitàindiretta, quella tipicamente educati-va, in cui «chi-ha-cura interpreta ilproprio agire come un mettere l’altronelle condizioni di potersi assumerela responsabilità di sé. La cura edu-cativa non può essere intesa comel’assumersi una responsabilità direttadel ben-essere dell’altro, poiché que-sto significherebbe espropriare l’altrodella responsabilità che gli è propria.Sostituirsi all’altro in questo caso si-gnificherebbe tradire il senso del-l’azione educativa, che è chiamata afacilitare il fiorire dell’essere dell’altro

orientandolo all’assunzione della suapropria responsabilità».49

Va precisato, però, che secondo ilpensiero di Lévinas la responsabilitàdell’altro non è un atto deliberativo,ma un «debito contratto prima di ognilibertà, prima di ogni coscienza»,50

nel senso che sono chiamato alla re-sponsabilità semplicemente perchél’altro c’è. La mia responsabilità peraltri sarebbe qualcosa che accadeprima di qualsiasi decisione discorsi-vamente costruita. Ci troveremmocomandati alla responsabilità «indi-rettamente a partire dal volto stessoverso il quale mi dirige».51 LuiginaMortari dissente da questa posizionelevinasiana, la quale sostiene che ciòche muove all’agire etico non è ra-gione e coscienza, ma qualcosa cheviene prima della coscienza e si trovafuori del campo dell’azione riflessiva.L’Autrice, però, ispirandosi alla filo-sofia di María Zambrano, tenta di ri-definire il concetto di responsabilitàall’interno di uno spazio ermeneuticoche considera che la realtà, di cuidobbiamo prenderci la responsabilità,non è solo quella che la ragione,intesa secondo il modello scientifico,riesce a captare e analizzare: «Nel-l’orizzonte perimetrato dal razionali-smo ci siamo costruiti una visione ra-zionalmente illuminata della condi-zione umana, governata da una co-scienza la cui chiarezza sarebbe ingrado di rischiarare ogni evento e dipenetrare le pieghe più intime delreale. Chiusi dentro questo sguardorazionalizzante si fatica ad accettaredi pensare che nel reale ci sia dell’in-visibile “che non si vede e che non sifa vedere” e che però agisce sulnostro esserci in una maniera viva e

intima. Quello che percepiamo e dicui riusciamo ad avere consapevo-lezza non è tutto quello che accade,non esaurisce tutta la realtà; c’è del-l’altro, e questo altro segue modi nonrazionalizzanti di muovere il nostroessere».52

Un’altra postura dell’esserci nell’agiredi cura, indicata dalla Mortari, è quelladi condividere con l’altro l’essenziale.Ciò non significa soltanto accompa-gnare l’altro nella ricerca della veritàoggettiva, nell’imbattersi nell’essere,nel conoscere l’essenza delle cose inmodo astratto, ma guidare l’altro per-ché conosca innanzitutto se stesso,la propria concretezza. L’attenzione all’essenziale, perciò,rende l’educatore sensibile e dispostoal dialogo, alla ricerca comune del-l’essenziale, a vedere nell’altro il bi-sogno, a pensare la fragilità dell’altro,sentirne compassione, preoccuparsidel benessere dell’altro e cercare diperseguirlo nell’orizzonte del far fiorirela sua umanità prendendosene sem-plicemente cura. Condividere l’essenziale è legato an-che a «un discernimento giusto e pa-ziente e un’esplorazione di ciò che cisi trova di fronte»,53 che è un’atten-zione già eticamente orientata, unpensare che nutre la cura, perchéproteso a scoprire i significati con cuile persone agiscono, e un sentire larealtà che spinge a prendersi curadell’altro e del suo bisogno sapendoche lì è in gioco l’essenziale del bene.54

Qui, nel condividere l’essenziale, siinnesca anche un agire generoso edonativo nella cura, di cui parla Si-mone Weil quando dice che «gene-rosità e compassione sono insepara-bili».55 Aver cura è dare tempo e poi-

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ché il tempo è vita, dare tempo è ge-nerosità. Si è capaci di generositàquando «si avverte la bisognositàdell’altro e nell’intimo si comprendel’irrevocabilità del suo appello ad avercura di lui/lei, e questo sentire l’appelloè un atto di compassione».56 Certa-mente, l’elemento di gratuità è costi-tutivo della cura, però l’aver cura del-l’altro non significa dare senza riceverein quanto, come già sosteneva Plato-ne, la cura per essere buona nondeve procurare danno a nessuno, maun vantaggio per entrambi.57 Si trattadi un guadagno di qualcosa di essen-ziale, l’agire gratuito non è sempliceemorragia delle proprie energie, per-ché c’è un guadagno di senso: il gua-dagno sta nel pensare di aver fattociò che è necessario fare e di averagito nella cura in modo giusto.58

Un’altra postura dell’esserci richiestanell’agire con cura è l’avvicinare l’altrocon reverenza, vale a dire con un ri-spetto che consente all’altro di «es-serci a partire da sé e secondo il suomodo di essere».59 In altre parole, ri-spettare è tenere l’altro trascendenterispetto a me, conservare l’altro irri-ducibile rispetto al mio modo di esseree di pensare, salvare le differenze,saper vedere l’altro nel suo profilooriginale per poi lasciare spazio allasua alterità, mantenere la giusta di-stanza senza rompere la relazione.Certamente il rispetto si esprime neigesti e nelle parole, nella capacità diospitare l’altro, nel lasciare all’altro lospazio vitale e la libertà di manifestarei propri pensieri e vissuti, nell’ascol-tarlo attivamente. Non va dimenticato, però, che il ri-spetto è innanzitutto una operazionedel pensare, «quell’operazione che

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consiste nel non assimilare la singo-larità dell’altro dentro concettualiz-zazioni generali in cui la sua unicitàdiventa invisibile».60 È la conditio sinequa non per incontrare l’altro nellasua singolarità, nella relazione «facciaa faccia»,61 nella salvaguardia dellasua unicità. Ciò sarà possibile nellamisura in cui si ubbidisce alla radicedel rispetto stesso che sta nell’impe-rativo della «inviolabilità dell’altro»,62

che obbliga al massimo rispetto.Il percorso di riflessione fatto finoraha cercato di chiarire l’essenza dellacura educativa e le sue dimensionifondamentali; ha fatto emergere l’im-portanza di pensarla come una pra-tica mediata dalla relazione etica-mente qualificata. Ora, nell’ultimaparte del contributo, mi pare stimo-lante approfondire ulteriormente l’es-senza di una “buona cura” educativaanalizzando alcuni indicatori empiriciofferti da Luigina Mortari, una vocesignificativa nello scenario degli au-tori italiani che si sono occupati ditale categoria educativa.

4. Indicatori empirici della curaeducativa adeguatamente buona63

Luigina Mortari sostiene che per arri-vare a definire i contorni di una praticadi cura educativa che assuma la curacome modo d’essere paradigmatico,occorre individuare l’essenza dellacura adeguatamente buona. Ciò si-gnifica identificare i «modi esistentivio indicatori empirici di cura»,64 chequalificano «l’aver cura in modo cor-retto»,65 ossia quella pratica di curain cui si sa trovare la giusta misuranel rapporto con l’altro, quel «puntodi equilibrio fra i poli opposti entro i

quali sempre ci si trova a operare:l’occuparsi di sé e l’occuparsi del-l’altro, fare da sé e delegare ad altri;e poi specificatamente, sapere finoa che punto agire per l’altro o inter-pretare la cura come richiesta all’altrodi agire da sé, quanto essere re-sponsivamente attivi e quanto pas-sivamente presenti».66

Tra gli indicatori principali di una buo-na cura educativa si annoverano ri-cettività e responsività, disponibilità,attenzione e ascolto, riflessività e sen-tire, capacità tecnica e cura di sé. Neaccenno brevemente.

4.1. Ricettività e responsività

Il primo indicatore di una cura educa-tiva adeguatamente buona è datodalla ricettività,67 che può essere in-tesa come la capacità dell’educatoredi fare posto all’altro, ai suoi pensierie sentimenti lasciando che l’altro lointerpelli a partire da sé. Essa con-sente di avvertire gli appelli dell’altro,ciò che l’altro cerca di comunicare acondizione che l’educatore sappiacreare dentro di sé uno spazio vuotodai pregiudizi, dalle proprie convin-zioni e preoccupazioni e attivare lacapacità di ascolto. Secondo NelNoddings la ricettività è una disposi-zione emotiva più che cognitiva, per-ché il primo passo per fare posto al-l’altro non consiste nell’interrogarsisul suo vissuto o nel formulare ipotesiinterpretative, ma nel mostrare l’at-tenzione partecipe nei confronti delsuo sentire. L’Autrice lo chiama «quie-tezza piena di attenzione».68

Fermo restando che la ricettività siaindispensabile per la pratica di cura,adottare una postura ricettiva nellacura degli altri incrementa la vulne-

rabilità di chi-ha-cura. Per questomotivo tale atteggiamento nell’edu-catore andrebbe attentamente mo-nitorato attraverso una continua ri-flessione sull’esperienza che si stavivendo. E riflettere su di sé per com-prendere la propria esperienza è giàuna forma della cura di sé e condi-zione necessaria per esplicare in mo-do giusto la cura per gli altri.La ricettività, però, trova il suo neces-sario completamento nella responsi-vità,69 che è un altro indicatore dellacura educativa adeguatamente buona. Essere responsivi significa saper ri-spondere adeguatamente agli appellidell’altro, agire per promuovere il suobenessere, decentrarsi, riconoscendola primarietà anche temporanea deisuoi bisogni e delle direzioni dei suoidesideri. La responsività implica lasollecitudine, ossia prontezza nel ri-spondere al bisogno dell’altro di cuici si accorge e di cui si vuole avercura. Heidegger avvicina questo tipodi cura al diligere, all’amore: «Si usadire: “l’amore rende ciechi”. Ma cosìs’intende l’amore come impulso e sisuppone al suo posto un fenomenocompletamente diverso; al contrariol’amore è proprio ciò che rende veg-genti, che fa vedere».70 Si tratta di unatteggiamento amorevole proprio diuna pratica di cura nel senso del-l’agapē, ossia dell’amore come pas-sione per il bene dell’altro,71 che pre-suppone disponibilità ed empatia.

4.2. Disponibilità cognitiva ed emotiva, empatia

Un altro indicatore fondamentale dellabuona cura è la disponibilità cognitivaed emotiva. Essa consente all’edu-catore di mettere a disposizione le

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proprie capacità e risorse personalinella relazione con l’altro. Indica lacapacità di pensosità di fronte alla si-tuazione concreta della persona acui è rivolta la cura e un «modo affet-tivo-ricettivo» di stare nella relazione,72

anzi, «in una buona pratica di cura ladisponibilità si manifesta in un pensareemotivamente denso o, in altre parole,in un sentire intelligente».73

Per questo, la cura educativa ade-guatamente buona richiede anchel’empatia, ossia quella capacità disentire la realtà dell’altro, o quel co-sentire che permette a un soggetto diavvertire l’altro nel suo essere proprio.Non si tratta di un’identificazione con-fusiva con l’altro, ma come affermaEdith Stein, della capacità di coglierel’esperienza vissuta estranea, dovel’atto di cogliere non è un proiettarsisull’altro, ma un accogliere l’espe-rienza estranea che a me “si annun-zia”. L’altro rimane estraneo e dame distinto. Empatizzare non signi-fica proiettarsi nell’esperienza del-l’altro, ma sentire insieme: co-sen-tire.74 Ciò è possibile soltanto sel’educatore sviluppa in se stesso lacapacità di attenzione e di ascolto.

4.3. Attenzione, ascolto e passivitàattiva

In effetti, per aver cura adeguatamentebuona, occorre che l’educatore siacapace anche di un’intensa attenzioneda accordare all’altro: non un’atten-zione intellettualistica, bensì un’at-tenzione sensibile, che si presentacome uno sforzo vigile sull’altro cosìche niente del suo vissuto vada per-duto. È quella che Martha Nussbaumdefinisce «attenzione morale»,75 per-ché attenta ai particolari e contrap-

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posta alla disattenzione morale che èradice del male e dell’indifferenza neiconfronti dell’altro.76

La capacità di attenzione è efficacese è continuata nel tempo, poichésolo in questo caso fornisce quelleinformazioni necessarie per intervenirenella relazione al momento opportuno,il kairos. L’attenzione all’altro consenteanche di rispettarlo nel suo misteroineffabile, mai conosciuto fino in fon-do, perciò «sapere l’inconoscibilitàdell’altro obbliga all’umiltà, che co-stringe a misurare ogni nostra azionedi cura inaggirabilmente destinata arimanere mancante di qualcosa».77

Un altro indicatore di buona curanell’educazione è l’ascolto,78 perchésolo ascoltando si possono com-prendere i processi di elaborazionedel significato dell’esperienza chel’altro attiva per situarsi nel mondo.Dedicare il tempo all’ascolto, quan-do l’altro è in condizione di raccon-tarsi, diventa l’essenziale pratica dicura, perché sentirsi ascoltati aiutaa elaborare la propria esperienza e,nei momenti difficili, rende più sop-portabile il dolore.Ascoltare, dunque, è una competenzadell’educatore che lo rende capacedi fare dentro di sé uno spazio perl’altro, è accoglierlo modellando lapropria presenza in modo inclusivo esintonizzato. Mortari chiama questoindicatore della cura educativa ade-guatamente buona una passività at-tiva,79 che è un farsi attenti al percorsodi crescita dell’altro, preoccuparsi diproteggerlo e di sostenerlo, avendoin considerazione il suo proprio modod’essere e di pensare. Heidegger par-la, invece, di un aver cura «autentica»,ossia tale da non sostituirsi all’altro,

non prendere il suo posto, non chie-dergli di rinunciare a se stesso, nonalleggerirlo dalle sue responsabilità.80

Qui sta un aspetto rilevante della curaeducativa che chiede all’educatoredi declinare la propria presenza inmodo discreto, in modo che l’altropossa prendersi cura consapevol-mente e liberamente del proprio es-serci, del progetto della propria vita.Luigina Mortari evidenzia però che«per chi interpreta l’agire educativosulla base del paradigma della cura,questo modo di essere presente, con-temporaneamente intenso sul pianodell’essere-con e discreto rispetto al-l’esserci dell’altro, è difficile da metterein atto»81 perché, nell’esperienza con-creta, si oscilla piuttosto tra la «curainautentica, che si manifesta nel so-stituirsi dominando, e della cura au-tentica, del promuovere liberando».82

4.4. Riflessività e il sentire nella cura

A questo punto emerge uno degli in-dicatori più importanti per una curaeducativa buona, vale a dire la capa-cità di riflessività. Rispondere ai biso-gni reali dell’altro con significatività ediscrezione, infatti, richiede all’edu-catore la capacità di individuare ilmodo migliore dell’agire educativo,appropriato alla singolarità di ognipersona e alla sua esperienza pecu-liare che sta vivendo e di saper va-lutare costantemente il proprio ope-rato. Infatti, come sostiene la Mortari,«a qualificare una buona cura è quel-la forma di continua e serrata auto-valutazione finalizzata a verificare inche misura il proprio agire facilitiautenticamente il ben-essere del-l’altro, lasciando che l’altro si mani-festi nella sua alterità».83

Tra gli indicatori importanti per com-prendere la cura educativa c’è ancheil sentire.84 I sentimenti non sono epi-sodi discreti e occasionali, ma sonoil colore stesso dell’esperienza, diceMortari, e raccontare l’esperienza si-gnifica raccontare le tonalità emotivecon cui sono stati vissuti gli eventi.Non esistono, dunque, un prendersicura e un aver cura emotivamenteneutri. Essi sono sempre emotiva-mente tonalizzati, perché il fenomenodella tonalizzazione emotiva è strut-turale dell’esserci, sebbene la nostracultura, come afferma ancora l’Autri-ce, ha sovente trascurato i fenomenidei sentimenti e degli affetti, per con-centrarsi primariamente sui fenomenidel conoscere e del volere, come sefosse realmente possibile acquisireuna conoscenza adeguata e un volerereali a prescindere da essi.85

Lo stesso vale per i legami affettivipiù o meno intensi che si generanonelle relazioni di cura, sia quelle asim-metriche che simmetriche. Esse nonsono mai neutre, ma esposte aglisconfinamenti del sé che mettono adura prova la vulnerabilità umana difronte all’esperienza di impreviste rot-ture di tale legame, compromettendonon solo il benessere di chi-riceve-cura, ma anche di chi-ha-cura.86 Tut-tavia, si possono individuare alcunedimensioni emozionali che caratte-rizzano la pratica della cura educativaadeguatamente buona. Tra quelle cheassumono un ruolo particolare, laMortari annovera:87 la fiducia nell’altro,il saper accettare l’altro così com’è,la speranza che nutre le relazioni e fatrovare a chi-ha-cura soluzioni ineditealla problematicità dell’esperienza dicura; il “coraggio della serenità” che

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è quella forza d’animo che si guada-gna lavorando su di sé; la tenerezzache è la capacità di andare incontroall’altro sapendo ammorbidire le no-stre durezze cognitive e le nostre ri-gidità emotive; la saggezza educativa,che non è l’espressione di una razio-nalità pura, ma è una «competenzacomplessa che si nutre sia di ragionidel cuore sia di quelle dell’intelletto;si nutre di una ragione materna».88

4.5. Competenza tecnica e cura di sé

Certamente una cura educativa ade-guatamente buona esige anche unaopportuna competenza tecnica. Lui-gina Mortari evidenzia, però, che nellacultura attuale «il problema non con-siste nel riconoscere il valore delletecniche, bensì nel sovradeterminareil loro ruolo nella concezione dellagiusta cura»,89 anzi una interpretazionepiuttosto tecnicistica delle cure, spe-cialmente in medicina. È un rischio che si avverte anche nel-l’ambito educativo. Si nota attenzioneperché l’educatore abbia un’adeguatapadronanza sia degli alfabeti culturalidella cui trasmissione è responsabile,sia delle pratiche didattiche che con-sentono di facilitare un apprendimentosignificativo. Tuttavia, come palesaLuigina Mortari, c’è minor attenzionealla «necessità per l’educatore di pos-sedere la tecnica per educare a pen-sare, intendendo per “pensare” lapratica di interrogare le questioni si-gnificative per l’esistenza umana, chesi frequentano per cercare direzionidi senso al proprio esserci (in checosa consiste la giustizia, in che cosaconsiste il bene, come distinguere ilbello…). Non interrogare tali questionisignifica mancare la possibilità di trat-

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teggiare una cornice simbolica entrola quale stare alla ricerca della giustamisura del proprio esistere; è questaun’azione simbolica essenziale al faredel proprio tempo una vita adegua-tamente umana».90

Dall’altro canto, proprio perché le ri-sposte alle domande di significatosono sempre approssimative, è ne-cessario che l’educatore sappia pro-blematizzare il proprio sapere; unatecnica educativa, questa, che siesprime nell’interrogare, sottoporread esame, confutare l’altro,91 consi-derando il proprio sapere sempreprovvisorio, incompleto, senza pre-tesa di verità, perché la verità non èqualcosa che si può possedere, sipuò solo cercare «a condizione, però,di credere di non sapere»,92 perché èsolo sapendo la dismisura fra le nostrecapacità cognitive e la verità che siva cercando quando si interrogano lequestioni del significato che si puòtenere aperto quel dialogo, sia intra-soggettivo che intersoggettivo, che èl’humus necessario di tale ricerca. Dunque, se l’educare trova la sua ra-gione nel promuovere la disposizionead aver cura di sé con l’attenzione difare del proprio tempo uno spazio disenso, allora – conclude Luigina Mor-tari – «l’essenza della competenzatecnica dell’educatore non consistenel possedere tecniche didattiche […], piuttosto è un testimoniare la pas-sione, autentica e sincera, per laverità. Una passione che si esprimeinnanzitutto nel dire la verità, cioè nelpronunciare discorsi fedeli alla dire-zione del nostro pensare, senza inutiliinfingimenti, perché se non si dice laverità “allora la nostra discussioneperde qualsiasi efficacia”».93

Educare, quindi, significa rendere lamente sensibile alle domande disenso, disposta a stare in ascolto diquelle questioni che hanno l’aspettodi un abisso senza fondo, capace disostenere la fatica che richiede in-terrogarle radicalmente. L’arte del-l’educare sta, dunque, nel contagiarel’altro della passione per il pensare,perché una vita senza pensiero, sen-za ricerca, senza dialogo non è de-gna di essere vissuta.94

Proprio perché la pratica della curaeducativa richiede un’intensa e dura-tura attenzione all’altro e per l’altroper facilitare il processo della suamaturazione come persona, quindiun dispendio di energie molto eleva-to, è fondamentale che l’educatoresappia aver cura di sé. Questo è l’ul-timo indicatore della cura educativaadeguatamente buona, proposto daLuigina Mortari. Oltre all’attenzioneper la propria formazione perma-nente, come persona e come pro-fessionista, la cura di sé dell’educa-tore verte alla promozione di unavera e propria cultura della cura.

5. Considerazioni conclusive:promuovere la cultura della cura

Il percorso fatto finora, con i limitiimposti dall’economia del lavoro, hamesso in evidenza l’essenzialità el’imprescindibilità della cura educa-tiva per una crescita integrale dellapersona e la giustificazione ultimadella cura da individuare nella costi-tuzione ontologica dell’essere uma-no, nato incompiuto e quindi biso-gnoso di compimento. Inoltre, la riflessione su due direzionidi cura educativa, quella della cura disé e della cura dell’altro, ha consentito

di cogliere le peculiarità di ciascunae il loro rapporto inscindibile: non c’èla cura dell’altro senza la cura di sé,ma non c’è nemmeno la cura di séadeguata se intesa e vissuta in modoautoreferenziale, senza apertura al-l’altro, al sociale, al mondo.Infine, l’evidenziare alcuni indicatoriempirici di una cura educativa ade-guatamente buona ha messo in rilievoabilità e competenze pratiche, cheogni educatore dovrebbe acquisireper rendere efficace la propria praticadi cura educativa. Tali indicatori mo-strano anche dei percorsi concreti diformazione umana e professionale,che l’educatore deve attuare per ri-spondere meglio alle esigenze di edu-cazione che il contesto attuale richiede. Senz’altro sarebbe stato interessante,da questo punto di vista, poter inte-grare lo studio con la riflessione sullevie maestre della cura sui, quali lanarrazione, la lettura, la scrittura, l’au-tobiografia, l’arte e la poesia o altri“esercizi spirituali” proposti comemezzi di autoformazione, della curadella mente e del cuore,95 quindi at-trezzandosi a stare nel labirinto delmondo attuale e formare il proprio séin un contesto di nichilismi e di relati-vismi vari. Per questo la riflessionesulla cura nell’educazione apre anchealla necessità di approfondire semprenuove frontiere di cura: quella del-l’ambiente prendendosi cura del pia-neta, dell’atmosfera, della biosfera,delineando degli interventi di stop,promuovendo una conversione delleabitudini e la formazione di mentalitànuove a diversi livelli; la frontiera deidiritti dei viventi e dei senzienti (animali);la delicata frontiera della vita, sia comeesistenza sia come qualità, con le

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questioni etiche che implica; la frontieradella non-violenza e della pace, ecc. Certo, siamo davanti alle sfide in cuila cura, da paradigma d’azione dentrouna relazione umana faccia-a-faccia,si fa forma mentis, valore culturale,stile di vita, appunto mentalità e cul-tura, pensate, volute e vissute. L’edu-cazione ha il compito di contribuire acostruire una civiltà che tende a uma-nizzare sempre più l’uomo e a coglierlonella sua specifica, responsabile ecostruttiva umanità: che non è con-nessa al dominio ma, forse, più inti-mamente e radicalmente, alla pietas.

NOTE

1 Maria Spólnik è Docente di Filosofia del-l’educazione alla Pontificia Facoltà di Scienzedell’Educazione «Auxilium».

2 Cf EBNER Ferdinand, La parola e le realtàspirituali. Frammenti pneumatologici, edi-zione italiana a cura di Silvano Zucal, Cini-sello Balsamo (MI), Edizioni San Paolo 1998,137-138.

3 «La “Cura”, mentre stava attraversando unfiume, scorse del fango cretoso; pensierosa,ne raccolse un po’ e incominciò a dargliforma. Mentre è intenta a stabilire che cosaabbia fatto, interviene Giove. La “Cura” loprega di infondere lo spirito a ciò che essaaveva fatto. Giove acconsente volentieri. Maquando la “Cura” pretese imporre il suo nomea ciò che aveva fatto, Giove glielo proibì evolle che fosse imposto il proprio. Mentre la“Cura” e Giove disputavano sul nome, inter-venne anche la Terra, reclamando che a ciòche era stato fatto fosse imposto il proprionome, perché aveva dato ad esso una partedel proprio corpo. I disputanti elessero Sa-turno a giudice. Il quale comunicò ai conten-denti la seguente giusta decisione: “Tu, Giove,che hai dato lo spirito, al momento dellamorte riceverai lo spirito; tu, Terra, che haidato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fula Cura che per prima diede forma a questoessere, fin che esso vive lo possiede la Cura.

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Per quanto concerne la controversia sulnome, si chiami homo poiché è fatto di humus(Terra)»; tratto da: HEIDEGGER Martin, Esseree tempo, Milano, Longanesi 1976, 247.

4 Cf l. cit.

5 Cf CAMBI Franco, La cura di sé come processoformativo. Tra adultità e scuola, Roma-Bari,Laterza 2010, 18.

6 Segnalo gli studi di Luigina Mortari, che inItalia propone una rilettura interessante dellacura in medicina e di nursing infermieristicocome caring (cf MORTARI Luigina - SAIANI Luisa,Gesti e pensieri di cura, Milano, McGraw-HillEducation [Italy] 2013).

7 Cf ad esempio: PALAZZANI Laura, Cura e giu-stizia. Tra teoria e prassi, Roma, Edizioni Stu-dium 2017; MORTARI Luigina, Filosofia dellacura, Milano, Raffaello Cortina Editore 2015;PAGLIACCI Donatella (a cura di), Differenze e re-lazioni. II: Cura dei legami, Ariccia (RM), Aracneeditrice 2014.

8 È di particolare interesse il filone di pensierofemminile legato, specialmente alla filosofiamorale con attenzione educativa, che metteal centro della riflessione il concetto inglesedi ‘care’ (nella letteratura tedesca: Fürsorge,Sorge; francese le ‘care’; spagnola ética delcuidado; italiana ‘care’, generalmente tra-dotto con l’espressione “prendersi cura”,ma anche con “cura”), come ‘ethics of care’o ‘caring ethics’, ‘ethics of love’, ‘relationalethics’, con ricadute sul piano giuridico epolitico. Come afferma Laura Palazzani, «èquesto orizzonte di pensiero che ha datoimpulso a molte teorizzazioni e movimentiche stanno sempre più prendendo coscienzadei limiti del modello autonomista libertarioed utilitarista del ‘governo del corpo’ e del-l’urgenza del riconoscimento dei diritti civilidei soggetti fragili (si pensi ai disability rightsmovements, disability studies), recuperandola nozione di disabilità come potenziale con-dizione di ogni essere umano e vulnerabilitàcome condizione universale dell’umano»(PALAZZANI, Cura e giustizia 11).

9 La cura è un argomento di ricerca che sta at-traversando la pedagogia: da una parte sulfronte della sua costituzione teoretica, dall’altrasu quello più ampiamente pratico-riflessivo.La cura viene ritenuta un “fondamentale” pe-dagogico che è andato prendendo formacome tale negli ultimi anni del Novecento,

grazie ad una serie di ricerche condotte alivello internazionale da Michael Foucault (Lacura di sé. Storia della sessualità 3, Milano,Feltrinelli 2004, ed. orig. 1984); Pierre Hadot(Esercizi spirituali e filosofia antica, Torino, Ei-naudi 2005, ed. orig. 2002); Jean C. Tronto (Iconfini morali. Un argomento politico per l’eticadella cura, Reggio Emilia, Diabasis 2006, ed.orig. 1991); Milton Mayeroff (On Caring, NewYork, Harper & Raw 1971), Nel Noddings (Ca-ring, Berkeley, University of California Press1984) e, in Italia, da Rita Fadda (La cura, la for-ma e il rischio, Milano, Unicopli 1997), da Lui-gina Mortari (Aver cura della vita della mente,Firenze, La Nuova Italia 2002; La pratica del-l’aver cura, Milano, Bruno Mondadori 2006;Filosofia della cura, Milano, Raffaello CortinaEditore 2015) come anche da Margarete Durst,da Vanna Boffo, Bruno Rossi (Aver cura delcuore 2008) e da Franco Cambi (La cura di sécome processo formativo 2010).

10 «Che altro è educare (come educere o comeedere) se non prendersi-cura e prendere-in-cura (che sono due cose diverse) un soggetto,un gruppo (una classe scolastica, ad esempio)una istituzione-sociale-fatta-di-individui (scuo-la, associazione, partito che sia o altro)? Pren-dersi-cura è proiettarsi-su, a tutela, tramitecomprensione e progettualità, con dedizione,con atto donativo, con empatia e con giudizioinsieme. Prendere-in-cura significa assumerein sé l’onere di una crescita, che si compienell’autonomia del soggetto o dei soggettiposti in educazione, ma che va guidata e ri-spettata nei suoi itinera, va compresa nei suoipercorsi autonomi (connessi a carattere e/o avolontà), va valorizzata nel suo cammino anchee quasi sempre a zig-zag» (CAMBI, La cura disé come processo formativo 7).

11 MORTARI Luigina, Alle radici della cura, inThaumàzein (2013)1, 25. La citazione internaè da HEIDEGGER Martin, I problemi fondamentalidella fenomenologia, tr. it. di P. Fabris, Genova,Il Melangolo 1999, 152.

12 MORTARI, Alle radici della cura 32.

13 Ivi 25.

14 LÉVINAS Emmanuel, Il Tempo e l’Altro, tr. it.di F.P. Ciglia, Genova, Il Melangolo 1993, 32.

15 MORTARI, Alle radici della cura 26.

16 L. cit.

17 Cf BELLINGRERI Antonio, Il superficiale il pro-

fondo. Saggi di antropologia pedagogica, Mi-lano, Vita e Pensiero 2006, 227-294.18 Cf MORTARI, Alle radici della cura 31, nota 40.19 L. cit. Cf anche MORTARI Luigina, La praticadi aver cura, Milano, Mondadori 2006, 46-47.20 PALAZZANI, Cura e giustizia 13-14.21 MORTARI, Alle radici della cura 32.22 Ivi 27.23 Cf ZAMBRANO Maria, I sogni e il tempo, tr. it.di L. Sessa e di M. Sartore, Bologna, Pendra-gon 2014, 13.24 PLATONE, Apologia di Socrate 30a-b, in ID.,Tutti gli scritti, a cura di Giovanni Reale, Milano,Rusconi 19923, 35-36.25 Cf CICERONE, De officiis, I, 12, Torino, Einaudi2012, 34-35.26 «Voi dite che ogni animale si adatta alla suacostituzione, che la costituzione dell’uomo èrazionale e che perciò l’uomo si adatta a sestesso non come un animale, ma come un es-sere razionale; l’uomo, infatti, è caro a sestesso per quella parte per cui è uomo» (SE-NECA, Lettere a Lucilio n. 121, in ID., Tutti gliscritti in prosa. Dialoghi, trattati e lettere, acura di Giovanni Reale, Milano, Rusconi 1994,1333-1334).27 SENECA, Lettere a Lucilio n. 15, 2, in ID., Tuttigli scritti 947.28 Cf ivi n. 15, 947-949.29 Ivi n. 15, 5, 948.30 Cf COLLI Giorgio, La sapienza greca. III Era-clito, 14, A 11; A 52, Milano, Adelphi 1993, 14. 31 STEIN Edith, Essere finito e essere eterno,Roma, Città Nuova 1999, 91.32 L. cit.33 MORTARI, Filosofia della cura 23.34 BOFFO Vanna, La cura di sé e la formazionedegli educatori, in ULIVIERI Simonetta - OREFICE

Paolo - CAMBI Franco (a cura di), Cultura eprofessionalità educative nella società com-plessa. Atti del convegno dell’esperienza scien-tifico-didattica promosso dalla Facoltà diScienze della Formazione di Firenze, 15 -17maggio 2008, Firenze, Firenze University Press2010,3-4.35 Cf ARISTOTELE, Etica Nicomachea, I, 7, 1097b11, introduzione, traduzione e commento di

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Marcello Zanatta, Volume I (libri I-V), testogreco a fronte, Milano, BUR 1994, 104-105.36 HELD Virginia, The ethics of care, Oxford,Oxford University Press 2006, 13-14.

37 Come spiega Donald Winnicott, l’origine ditutto è la relazione con la madre, dove all’inizioil bambino non esiste come essere distintoma in un’identificazione primaria con chi hacura del suo essere. Per il neonato, il bisognodi chi si prende cura di lui/lei, è l’esigenza piùurgente e in questa relazione comincia a co-struire il suo essere. La relazione con l’altrapersona che mi accoglie è dunque la strutturamatriarcale dell’essere, ossia «io all’inizio sonoinsieme a un altro essere umano, non ancoradifferenziato» (WINNICOTT Donald W., I bambinie le loro madri, Milano, Raffello Cortina 1987,9).

38 Cf WINNICOTT Donald W., La famiglia e lo svi-luppo dell’individuo, Roma, Armando 1996(ed. orig. 1965); BOWLBY John, Attaccamentoe perdita. Vol. I: L’attaccamento alla madre,Torino, Bollati Boringhieri 1989 (ed. orig. 1969);BOWLBY John, Attaccamento e perdita. Vol. II:La separazione dalla madre, Torino, BollatiBoringhieri 2000 (ed. orig. 1972).

39 MORTARI, Filosofia della cura 36.

40 Ivi 37.

41 MORTARI - SAIANI, Gesti e pensieri di cura 10.

42 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, I, 4, 1094a 3-4.

43 Cf ivi I, 1, 1094a 2-3.

44 Cf ivi I, 7, 1097b 22.

45 Ivi, I, 5, 1097b 20.

46 Ivi, I, 6, 1098a 15.

47 MORTARI - SAIANI, Gesti e pensieri di cura11. Cf anche NUSSBAUM Martha, Terapia deldesiderio, Milano, Vita e Pensiero 1998, 53,nota 5.

48 MORTARI, Filosofia della cura 116. I corsivisono dell’Autrice. Per quanto riguarda il terminepostura dell’esserci, distinto da quello di modidi esserci, l’Autrice così chiarisce questo con-cetto: «Parlando in termini fenomenologici imodi di esserci sono le immediate evidenzefenomeniche dell’agire con cura, che chi-ha-cura manifesta concretamente e che l’altropercepisce nel vivo della relazione; mentre leposture dell’esserci non sono azioni preciseche chi-ha-cura manifesta concretamente

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nella relazione con l’altro, ma sono come l’al-di-qua dell’azione e costituiscono l’humus ge-nerativo che prepara l’azione di cura, possonoessere definite come evidenze fenomenichetrascendenti, che risultano rilucere nei modi diessere» (Ivi 115-116).

49 MORTARI, Filosofia della cura 118. Per appro-fondimento cf ivi 117-118.

50 LÉVINAS Emmanuel, Altrimenti che essere,Milano, Jaca Book 1978, 16.

51 Ivi 18.

52 MORTARI, Filosofia della cura 133. Mortari siriferisce a ZAMBRANO María, L’uomo e il divino,Roma, Edizioni Lavoro 2001, 175.

53 MURDOCH Iris, Esistenzialisti e mistici, Milano,Saggiatore 2014, 330.

54 Cf MORTARI, Filosofia della cura 138-139.

55 WEIL Simone, Attesa di Dio, Milano, Rusconi1999, 110.

56 MORTARI, Filosofia della cura 145.

57 Cf PLATONE, Fedro 243c, in ID., Tutti gli scritti552-553.

58 Cf MORTARI, Filosofia della cura 146. Cfanche ivi 147-157.

59 Ivi 158.

60 Ivi 162.

61 LÉVINAS Emmanuel, Totalità e infinito, Milano,Jaca Book 2004, 37.

62 Ivi 200.

63 Per presentare tali indicatori attingo al saggiodi Luigina Mortari intitolato La pratica di avercura 111-152.

64 MORTARI, La pratica di aver cura 111.

65 PLATONE, Alcibiade Maggiore 128b, in ID.,Tutti gli scritti 620.

66 MORTARI, Filosofia della cura 146.

67 Cf ID., La pratica di aver cura 111.

68 NODDINGS Nel, Caring. A Feminine Approachto Ethics and Moral Education, Berkeley, Uni-versity of California Press 1984, 30.

69 Cf MORTARI, La pratica di aver cura 113-114.

70 HEIDEGGER Martin, Prolegomeni alla storiadel concetto di tempo, Genova, Il Melangolo1999, 368.

71 Cf MORTARI, La pratica di aver cura 114.72 Cf NODDINGS, Caring 32-34.73 MORTARI, La pratica di aver cura 118.74 Cf STEIN Edith, Il problema dell’empatia, Ro-ma, Studium 1998, 71-84.75 NUSSBAUM Martha C., Love’s Knowledge.Essays on Philosophy and Literature, NewYork, Oxford University Press 1990, 148.76 Cf MORTARI, La pratica di aver cura 124.77 Ivi 125.78 Cf ivi 125-126.79 Cf ivi 126-133.80 Cf HEIDEGGER Martin, Logica. Il problemadella verità, Milano, Mursia 1986, 148.81 MORTARI, La pratica di aver cura 128.82 L. cit.83 Ivi 134.84 Cf ivi 134-142.85 Cf ivi 135.86 «Quando queste relazioni falliscono è a ri-schio non solo il ben-essere di chi-riceve-cura, ma anche il suo equilibrio emotivo alungo termine. Ma anche chi-ha-cura può sof-frire per il fallimento dei legami affettivi» (KITTAY

Eva F., Love’s Labor. Essays on Women,Equality, and Dependency, New York, Rout-ledge 1999, 36, citato in MORTARI, La praticadi aver cura 135).87 Cf MORTARI, La pratica di aver cura 138-142.88 Ivi 142.89 Ivi 143.90 Ivi 145.91 Cf PLATONE, Apologia di Socrate 29e, in ID.,Tutti gli scritti 35.92 PLATONE, Alcibiade primo 109e, in ID., Tuttigli scritti 604.93 MORTARI, La pratica di aver cura 147. La ci-tazione è tratta da PLATONE, Alcibiade Maggiore110a.94 Cf PLATONE, Apologia di Socrate 38a, in ID.,Tutti gli scritti 42.95 È interessante in proposito lo studio giàcitato di Franco Cambi, La cura di sé comeprocesso formativo (2010).

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