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Titolo originale: Destined to Play

Copyright © Indigo Partners PtyLimited 2012

First published in English in Sydney,Australia

by HarperCollins Publishers AustraliaPty

Limited in 2012.

This Italian language edition ispublished by arrangement

with HarperCollins PublishersAustralia Pty Limited.

The Author has asserted her right to beidentified

as the author of this work.All rights reserved.

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Indigo Bloome

Incontri proibitiLa seduzione

Newton Compton editori

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A mia madre,il cui amore incondizionato,mio sostegno e nutrimento,

mi ha permesso di viveree rivivere i miei sogni.

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Prefaazionone

«Hai mai avuto l’impressione diessere destinata

a giocare?»«Solo nei sogni…»

Se avessi saputo allora quello che soadesso, le cose sarebbero andate in mododiverso?

Non so con esattezza come e perché lamia vita sia cambiata così radicalmente ecosì all’improvviso, pur continuandocome se nulla fosse. Tutto è cominciato un

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fine settimana che forse, a ripensarci, nonavrebbe mai dovuto aver luogo, ma che,mi suggerisce una voce insistente dentrodi me, forse era destinato a essere quelloche è stato…

E adesso sono alle prese con untornado psicologico e sessuale che mi hatravolto senza alcun preavviso. O forse misono solo sfuggiti gli indizi. In ogni modoquel che è stato è stato, e quel che saràsarà. Solo che non so come andrà a finire,né so se sopravvivrò al viaggio.

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Paarte primaa

Nessuno dei lavori normalmentesvolti dagli uomini è paragonabile

per impegno e responsabilità allavoro di una donna che cresce dei

figli piccoli; perché il suo tempo e lesue energie sono dedicate a esigenzeche spuntano non solo a ogni ora del

giorno, ma anche a ogni ora dellanotte.

Theodore Roosevelt

Prima di uscire mi assicuro che tutto acasa sia ben organizzato.

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Gli zaini dei bambini sono pronti.Ho preparato pasti in abbondanza.Sciarpe e cappotti sono stati sistemati.Jordan ed Elizabeth, con altri ragazzi,

prenderanno parte alla loro primasettimana nei boschi, accompagnati daipapà, i quali saranno incaricati di badarea loro, data la particolare natura delleattività previste. Dal punto di vista dellemadri è un’idea brillante, anche se in cuornostro tutte sappiamo che sentiremo laloro mancanza già dalla prima notte. Iragazzi erano rimasti malissimo quandoavevano saputo che la spedizionerischiava di essere annullata permancanza di fondi e perché la TasmanianWilderness Foundation aveva deciso dinegare il proprio sostegno. Per fortuna,all’ultimo momento la Fathers4kids si è

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detta disponibile a finanziare l’iniziativa,così la spedizione alla fine si farà. Iragazzi sono al settimo cielo. In effetti, apensarci, anche mio marito Robert sembraeuforico per quest’avventura, più diquanto non sia mai stato da anni. Deveavere a che fare con la psicologiamaschile e con l’istinto esplorativo –l’eccitante prospettiva di ripercorrere leorme della tigre della Tasmania – o forse,semplicemente, è ansioso di allontanarsida me. Comunque sia, non vede l’ora dipartire. Nessuno dei tre è riuscito aprender sonno al pensiero della grandeavventura che li attende: esplorare lacosta occidentale della Tasmania sulletracce della famosa e sfuggente tigrelocale.

Ho deciso di sfruttare il periodo di

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assenza dei bambini per completare unciclo di conferenze che ho rimandato dimese in mese nell’attesa che arrivasse ilcosiddetto momento giusto, perciò miappresto a volare a Sydney, Brisbane,Perth e Melbourne per mettere a partestudenti, docenti e professionisti varidelle mie ultime scoperte.

Adesso però bisogna che mi concentrisulla prima conferenza, che terrò questopomeriggio a Sydney. Ripercorromentalmente la mia lista: appunti, slide,spunti di discussione, compiti daassegnare durante i workshop, computerportatile, cellulare, c’è tutto. Sono ancoratutta presa dalla mia recente ricerca sullastimolazione visiva e sul suo ruolo nellosviluppo della percezione, e anche ora miritrovo a vagare con la mente e a perdermi

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nel mio lavoro, a immaginare un nuovotaglio da dare alle argomentazioniprovocatorie che sosterrò durante leconferenze.

All’improvviso mi assale una forteemozione, come se avessi delle farfallenello stomaco, al punto che devoappoggiarmi al bancone della cucina pernon vacillare. Che strano. Di solito nonsono nervosa prima delle conferenze, alcontrario, è un aspetto del mio lavoro chemi piace molto. Coinvolgere giovanimenti nella sfida di raggiungere nuove,più ampie, più profonde conoscenze…che c’è di meglio? Ma da dove accidentiarrivano queste farfalle?

Mi prendo una pausa per analizzarequeste sensazioni e cercare diindividuarne l’origine, il che sembrerà

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bizzarro ad alcuni, per me invece èun’abitudine. Sono troppo intense, nonpuò essere l’imminente conferenza a farmisentire così. Forse il viaggio lontano dallafamiglia. Ma no, non è la prima volta chemi separo da loro, soprattutto per motiviprofessionali. Cerco di andare oltrel’immediato, di pensare anche al resto delfine settimana, e mi bloccoall’improvviso: un altro sussulto allostomaco. Mi sorprendo a inspirareistintivamente al pensiero che oggi allecinque del pomeriggio, all’HotelIntercontinental, incontrerò Jeremy.

Il dottor Jeremy Quinn. Il mio miglioreamico ed ex compagno di studi, l’uomoche ha mostrato alla mia mente e al miocorpo orizzonti che non credevo possibili.Da giovani eravamo legatissimi e

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abbiamo vissuto insieme le esperienze piùdisparate. Se ripenso a tutto ciò cheabbiamo combinato in quegli anni, miriesce difficile credere che oggi Jeremysia uno dei più rispettati e stimatiricercatori medici di tutta l’Australia e laNuova Zelanda. Non riesco a dire delmondo, perché in fin dei conti… si trattadi Jeremy! È appena tornatodall’università di Harvard, dove hapresentato alcune sue pionieristichericerche condotte insieme all’emeritoprofessor E. Applegate.

Jeremy ha sempre provato un gustoparticolare a scardinare confini ecredenze convenzionali, alla costantericerca di soluzioni innovative espiazzanti per i più spinosi problemi dellamedicina. Di recente ho letto in un

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articolo di giornale che, nell’ambito dellasua ricerca con il professor Applegate, haincontrato nientemeno che Melinda e BillGates. A quanto pare sta coinvolgendo ipezzi grossi del mercato globale.Riflettendoci, ha sempre posseduto ladeterminazione e il potenziale necessari araggiungere l’eccellenza nel suo campo. Èincredibile la serie di successi che hacollezionato a soli quarant’anni. È unessere umano eccezionalmente dotato, dalpunto di vista intellettuale ed emotivo, etutti adorano stare con lui. Non c’è dubbioche queste doti, unite al duro lavoro, gliabbiano permesso di mietere i successiche spero si stia godendo.

La mia carriera deve fare i conti con lavita familiare, soprattutto con le esigenzedei bambini; per Jeremy invece la carriera

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è tutto, o quasi. È sempre stato tenacenella ricerca di nuove cure mediche e ilsuo nome è legato a scoperte che il mondooccidentale dà oggi per scontate. Con queltipo di determinazione e di ambizione, nonc’è da stupirsi che gli sia mancato iltempo di sistemarsi o di trovare unapersona speciale con cui condividerel’esistenza. Almeno non mi risulta cheabbia una compagna. Ha sempre suscitatol’interesse dell’altro sesso, come unaspecie di George Clooney della ricercamedica. Di certo non soffre di carenza diattenzioni.

Comunque sia, ecco spiegato il motivoper cui il mio stomaco è in subbuglio, ilche è assolutamente ridicolo alla mia età.Mi concedo un vago sorriso divertito alpensiero di essere ancora capace di

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questo genere di reazioni adolescenzialicon tanto di palpitazioni. Sono emozionatae un po’ nervosa all’idea di rivederlodopo tutto questo tempo. Ancora oggi, neimomenti in cui sono sola e in uno stato ditorpore sensuale, di solito nelle prime oredel mattino, mi riaffiorano alla mente iricordi dei tempi dell’università…

Che diavolo mi prende? Se non misbrigo finirò per perdere l’aereo!

«Allora, ragazzi? Dove siete? Devofare il pieno di baci e di coccole prima dipartire. Non vi vedrò per ben diecigiorni!». Seguono caldi abbraccifamiliari. Dico ai ragazzi che li amo piùdella mia stessa vita e auguro loro unafavolosa avventura nella selvaggia costaoccidentale, sulle tracce di quella belvasolitaria. A quanto pare ci sono stati

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avvistamenti recenti, o almeno così sidice. Un accampamento di ragazzini in etàscolare è proprio quello che ci vuole perfarla venire allo scoperto! Comunque lagioia e l’entusiasmo dei ragazzi sonoincontenibili.

«E state attenti!», li esorto,dichiarandomi ansiosa di sentire, al lororitorno, tutti i particolari dell’avventura.

Il suono di un clacson mi annuncia cheil taxi è arrivato, e faccio un ultimocontrollo per assicurarmi di aver presotutto ciò che mi serve. Per fortuna lefarfalle nello stomaco si sono placate.Sfioro con le labbra la guancia di miomarito mentre gli raccomando di avere lamassima cura dei miei bambini e di farein modo che siano sempre al sicuro. Perun breve secondo mi domando come abbia

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fatto la nostra relazione a diventare cosìsuperficiale e platonica… ma ho troppecose per la testa per soffermarmi su unsimile pensiero, e di fretta auguro a tuttiloro una meravigliosa avventura. Miomarito carica la valigia nel bagagliaio,poi saluto con la mano i ragazzi affacciatialla finestra, mentre il taxi esce dalvialetto e si dirige verso l’aeroporto.

* * *

“Concentrati, porca miseria,concentrati!”, continuo a ripetermi conscarso successo. Oggi mi distraggo conestrema facilità, il che è molto insolito. Ilcomandante fa il suo discorso: lecondizioni meteorologiche sono buone, larotta è libera, non si prevedono ritardi.Gli assistenti mi dicono di allacciarmi la

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cintura e di chiudere il tavolino davanti ame, come si fa sempre al decollo.“Credete che non lo sappia?”, penso conun sorprendente senso d’irritazione. Mapoi eseguo le istruzioni, non voglio certofare una scenata. Metto via con riluttanza imiei appunti e chiudo gli occhi perqualche minuto, mentre l’aereo falentamente manovra verso la pista didecollo. A ogni respiro sento il pettosollevarsi e abbassarsi appena. Ho inmente il viso di Jeremy, il suo splendidosorriso sfacciato, i suoi occhi grigioverdiche sembrano senza fondo… quelle labbrache mi baciano piano il collo… le suedita che mi sfiorano con leggerezza icapezzoli… riportandoli in vita…

Che sto facendo? Freno di colpo le miefantasie. È assurdo. Mi costringo a tornare

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nel presente e mi accorgo all’improvvisoche siamo in volo e che la spia chesegnala l’obbligo di tenere le cintureallacciate si è spenta. Tiro un sospiro disollievo. Finalmente posso tornare aoccuparmi delle mie conferenze. Mi dicoche sono abbastanza disciplinata daimpedire alla mia mente di vagare oltre.

Sono brava con la disciplina, ribadiscorivolta a me stessa. Gestisco una casa, unacarriera, una vita perfettamenteorganizzate. Amo la mia famiglia e il miolavoro e ho studiato a lungo e con tenaciaper ottenere quello che ho. DottoressaAlexandra Blake. Lavoro sia nel mondoaziendale sia all’università, dato che hostudiato economia e psicologia. Questoabbinamento mi ha portato bene dal puntodi vista finanziario, e sono grata di

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potermi considerare uno dei pochiprivilegiati che si dedicano con passioneal loro lavoro. Ma ora basta parlare dasola e autoelogiarmi. Devo pensare allapresentazione di oggi.

Ricomincio a riflettere sul tema dellaconferenza che tra poche ore terrò difronte a circa cinquecento persone. Questopensiero finalmente mi obbliga aconcentrarmi. Considero l’ipotesi diescogitare nuove domande e spunti peraprire dibattiti e stimolare la riflessione.L’idea mi piace e trascrivo alcuni appuntisul taccuino per usarli nell’ultima partedella conferenza.

Quanto conta la percezione visiva nelvostro modo di pensare?

Fino a che punto il vostro modo diinterpretare il mondo dipende dagli

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stimoli visivi che ricevete?Quale dei restanti quattro sensi,

secondo voi, potrebbe sostituire la vistanel caso questa fosse danneggiata?Perché? Come?

Dal momento che, secondo le ricerche,il linguaggio del corpo, recepito tramite lavista, plasma il novanta per cento dellacomunicazione umana, l’importanza diqueste domande aumenta in misuraesponenziale.

Mi sento molto più calma, ora che sonodi nuovo assorbita dal mio lavoro. Il restodel volo procede senza intoppi e arrivopuntuale all’università di Sydney.

* * *

«Dottoressa Blake, buongiorno. Chepiacere riaverti tra noi!».

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Alzo lo sguardo e sorrido al miosupervisore di dottorato, Samuel Webster.«Buongiorno a te, professore. Sonocontenta di rivederti».

«Sei sempre la benvenuta, Alexandra. Èpassato troppo tempo. Pare sia moltodifficile stanarti dalla tua isola del Sud».

«È vero. Sono passati anni. Il tempovola quando ci si diverte, immagino».

«Sono felice di sapere che stai bene. Dicerto sarai stata molto impegnata con laricerca. Non vediamo l’ora di assisterealla tua conferenza di questo pomeriggio».

«E io, come sempre, non vedo l’ora diconoscere la tua opinione in merito. Tiringrazio molto per aver organizzato tuttoquesto».

«È un piacere, mia cara, un piacere.Hai tempo per un pranzo veloce tra

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colleghi prima di salire in cattedra?»«Per te sempre, Samuel!». Ricambio il

suo sorriso amichevole mentre mi fastrada verso i curatissimi prati checircondano i vecchi edifici storici. Èbello essere di nuovo qui.

A pranzo con Samuel rifletto su cheonore sia stato avere lui come supervisoredi dottorato. È specializzato neicomportamenti difensivi (passiviaggressivi) sui luoghi di lavoro e mi haaiutato molto a elaborare la mia tesi. Lasua rete di conoscenze, sia in ambitoaccademico che aziendale, non conosceparagoni e il suo sapere è immenso. Direcente ha lavorato a stretto contatto con ilBrain and Mind Research Institute,collaborazione che gli ha permesso dianalizzare molte delle sue rivoluzionarie

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ipotesi sul comportamento e la sessualitànel campo delle neuroscienze. Il suolavoro è davvero affascinante e,parlandoci, mi rendo conto di quanto nesia assorbito.

Mi ritrovo a riflettere sull’enormeimportanza che Samuel ha avuto nella miacarriera. Il suo sostegno e i suoi saggiconsigli mi hanno obbligata a tenere duro,sia per rispetto verso di lui sia in vistadelle soddisfazioni future. È molto severocon i dottorandi, non ammette chequalcosa sia lasciato al caso. Sorrido trame e me pensando a quegli anni di follie efrustrazioni, contenta di averli vissuti maanche grata di essermeli lasciati allespalle.

Samuel mi aveva offerto un posto comedocente all’università di Sydney e di certo

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non l’ha presa bene quando ho rifiutato infavore di un ruolo simile all’universitàdella Tasmania. Mi ha insegnatomoltissimo e io mi sentivo in debito neisuoi confronti, ma lui capì le mie ragioni.Si trattava di una scelta di vita, avevo alseguito una giovane famiglia. Mi promiseche saremmo rimasti in contatto e che nonmi avrebbe fatto mancare il suo appoggio,sia sul piano professionale sia su quellopersonale, ed è stato decisamente diparola. Samuel ha avuto un ruolofondamentale nel far decollare la miaricerca sulla percezione visiva e con iltempo è diventato il mio primo mentoreaccademico; è grazie a lui se oggi terròqui la mia conferenza.

Mi commuove che abbia trovato iltempo di presentarmi la sua squadra di

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ricercatori “d’élite”, come li chiama lui, iquali sembrano pendere dalle sue labbra.Immagino di aver avuto anch’ioquell’atteggiamento quando ero unagiovane dottoranda. Brad, Max, Denise edElijah stanno facendo tutti coseaffascinanti nel campo della psicologia edelle neuroscienze. Mi fa sentire vivatornare ad avere a che fare con i mieisimili. La nostra non è certo la tipicaconversazione tra amici riuniti attorno aun tavolo. Molto presto ci addentriamonei dettagli delle loro ricerche e la piegache prende il discorso mi lascia a dirpoco stupita. Con cervelli di quel calibroad animare la discussione, i commentiintorno alla nostra tavola si incrociano avelocità tale che faccio fatica adassimilarli tutti.

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«Persino l’origine dell’orgasmofemminile è ancora in attesa di indaginescientifica, mentre gli studi su quellomaschile sono stati finanziati eapprofonditi, e praticamente non esistonopiù ombre al riguardo».

«In sostanza, la scienza medica siostina a non voler riconoscere l’evidenzafisica dell’eiaculazione femminile;purtroppo il fenomeno non rappresentauna priorità tra gli studiosi. Per mancanzadi fondi non siamo in grado di fornireconoscenze adeguate sul tema deicomportamenti sessuali femminili.Speriamo di cambiare questa situazione».

«Ancora oggi il divario fra medicina escienza riguardo all’orgasmo femminile ètale, che la spiegazione più accreditatadell’eiaculazione femminile è che si tratti

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di una forma di incontinenza urinaria».«Vi rendete conto che non esiste alcun

accordo fra i medici riguardo all’originedell’orgasmo? Se abbia a che fare conl’utero, il clitoride, la vulva o con tuttequeste cose insieme? Eppure questoconcetto di orgasmo femminile è presentein tutta la letteratura!».

«Il vero problema è la mancanza disoggetti disposti a generare liquidoorgasmico in un ambiente clinico».

«Nessuno conosce il modo più efficaceper provocare un orgasmo femminile, ilche rende molto difficile avanzare delleipotesi».

«Pare che gli stati fisici, emotivi,ormonali e ambientali abbiano un ruolosignificativo, ma con le conoscenze cheabbiamo è impossibile stabilire quali di

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essi giochino un ruolo preponderante. Leipotesi sono molte e diverse tra loro,perciò stiamo conducendo altre ricerchesulle connessioni neurali per formulareulteriori teorie».

A questo punto mi si forma nella mentel’immagine di una schiera di donne investaglia bianca distese su lettid’ospedale a gambe aperte, nel tentativodi procurarsi un orgasmo che possa essereracchiuso in una provetta da laboratorio.Scuoto la testa con forza per scacciarel’immagine inquietante che mi si èimpressa nel cervello. Mi accorgo diavere a malapena toccato il piatto, tantoero assorbita dalla conversazione.

È Samuel a concludere: «Come vedi,Alexandra, c’è ancora molto da capire eda scoprire riguardo all’orgasmo

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femminile, incluso il ruolo dellecomponenti emotive e cognitive. Quelloche sappiamo è ancora altamentesoggettivo, personale e, a quanto pare,dipendente dalla singola esperienza delledonne. Possiamo solo sperare di riuscirea definire un approccio più convincenteper le nostre ricerche e per le futureconclusioni».

Sono affascinata dalla storia e dalmistero che sembra avvolgere questotema. Non immaginavo che se nediscutesse ancora tanto negli ambientimedici e che in alcune aree fosseconsiderato addirittura un tabù, per cosìdire. Trovo a dir poco scioccante chel’orgasmo femminile sia così pocostudiato mentre quello maschile è, dalpunto di vista psicologico, un fenomeno

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noto in ogni suo aspetto. Mi sembraimpossibile, e non crederei a ciò chesento se questi discorsi non venisserodalle persone che sono riunite intorno altavolo con me. Riesco a ingurgitarequalche boccone prima che Samuel e ilsuo team mi augurino buona fortuna,mentre ci alziamo e ci avviamo versol’aula dove si terrà la conferenza.

«Perché stasera non ti unisci a noi perbere qualcosa insieme? Sono certo che ilteam sarebbe entusiasta di discuterefaccia a faccia i dettagli della tuaricerca». C’è uno scintillio negli occhi diSamuel e mi accorgo di essere lievementearrossita.

«Nei sarei felice, lo sai, ma purtroppoho altri programmi».

«Ma certo, mia cara. Domandare è

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lecito».Per qualche ragione mi sfugge una

risata nervosa, come se fossi stata appenacolta sul fatto.

«Mi vedo con un vecchio amicodell’università. Forse ti ricordi di lui.Jeremy Quinn». Mi sforzo di usare un tononaturale, il che non è facile visto che ilsolo fatto di pronunciare il suo nome bastaa farmi venire le palpitazioni.

«Me lo ricordo, certo. Il dottor Quinnsta mettendo sottosopra gli ambientimedici statunitensi con la sua ricerca sulladepressione. Lavora con il professorApplegate, vero?».

Avrei dovuto immaginare che Samuelfosse più aggiornato di me sui temi caldidell’ambiente accademico globale.

«Mi pare di sì. L’ho solo letto su una

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rivista, non ne ho parlato con luipersonalmente».

«Portagli i miei saluti. Un uomo digrande talento, il dottor Quinn. Chissàquante aziende farmaceutiche sarannointeressate al suo lavoro. Di certo lui nonavrà i problemi di finanziamento cheaffliggono noi comuni mortali».

Non sono certa di aver capitoquest’ultimo commento, ma ormai la miaattenzione è rivolta al discorso che dovròtenere fra pochi minuti.

«Lo farò e ti ringrazio di tutto, Samuel.È stato magnifico rivederti. Auguro ilmeglio a te a al tuo team. Fammi sapere seposso aiutarvi in qualche modo».

E all’improvviso, ricordando laconversazione avuta a tavola, mi viene ildubbio che non sia una proposta

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opportuna!«Contaci, mia cara. Vai e conquistali».

Ci congediamo con un abbraccio e miavvio verso il leggio per tenere la miaconferenza.

* * *

È uno splendido venerdì pomeriggio aSydney, e tutti si crogiolano al sole.Questa città sa essere davveroaffascinante, quando vuole. Il portobrulica di traghetti e yacht che sfilanoallegri con i loro colori brillanti, la cittàferve di animazione. La gente che escedagli uffici si prepara al fine settimanacon vibrante entusiasmo e si dirige verso ibar sulla battigia del porto. Vedo ungruppo di giovani ben vestiti e sorridentiche ciondolano allegramente in attesa di

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bere qualcosa. Sembrano appena usciti daun numero di «Vogue». Mi ricordo diquando anche io ero una di loro,concentrata sulla carriera ma spensieratacome il vento, in stato di perennefibrillazione al pensiero del tempo cheavevo davanti e delle mille possibilitàche il futuro aveva da offrirmi. Il nostroproblema principale, a quei tempi, eracosa fare la sera durante il weekend equale cocktail ordinare per primo.

È stato nel corso di una di quelle serateche con Jeremy siamo passati da amiciper la pelle, sempre in giro a braccetto, adamanti focosi, costantemente assetati l’unodell’altra. Mentre il taxi attraversa le zonepiù interessanti della città, i luoghi in cuitutto è cominciato, il mio pensiero volainesorabile ai momenti di sensualità

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intensa e sfrenata che abbiamo vissutoinsieme. I ricordi mi costringono amuovermi a disagio sul sedile.

In quel periodo avevo appena iniziatoun lavoro estivo in una delle quattrograndi banche della città. Non era unimpiego di particolare interesse, ma icolleghi erano simpatici e la paga era ciòdi cui avevo bisogno per le vacanze. Erafantastico stare lontana dai libri perqualche mese e in più ero segretamenteelettrizzata dalla prospettiva di indossareogni giorno tailleur e tacchi alti. Lamamma mi aveva regalato una splendidaborsa, che ho ancora, e…

«Ciao Jeremy. Sto andando alla miaprima missione come funzionarioaziendale…».

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«Già, fantastico. Io vado daWentworth, magari potremmo vederci lìcon le ragazze verso le nove per berequalcosa e fare quattro salti».

«Certo. Passo a prenderle e tiraggiungiamo».

«Bene. Fantastico. Ci vediamo dopo,allora».

Riappendo.Sembra proprio ansioso di vederci.

Mmh, penso tra me e me, forse gli piaceEloise, del resto piace a tutti… forsedovrei dirgli qualcosa… secondo lealtre, Eloise sta esplorando nuoviorizzonti, ragazze insomma, ma nonabbiamo elementi per confermare lavoce o per smentirla. Sono sicura che celo dirà lei stessa quando se la sentirà.No, mi ripeto con convinzione, meglio

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restarne fuori. Quel che dovrà esseresarà.

Il bello di lavorare in una grandeazienda è che hai cibo e bevande gratis.Ci fermiamo per un po’, poi decidiamo didare inizio al nostro venerdì sera.Raccogliamo le nostre cose e andiamo allocale. Una volta lì puntiamo subito albagno delle signore, dove ci togliamogiacche e calze, apriamo un paio dibottoni, ci ravviamo la pettinatura e ciritocchiamo mascara, eyeliner erossetto. Quando usciamo dalla toilettesiamo sexy e audaci, pronte a tuffarcinella mischia.

Il volume della musica è alto e noiabbiamo già bevuto un paio di bicchieri,perciò ci lanciamo sulla pista da ballocome solo un gruppo di ragazze può fare.

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Sono completamente assorbita dallamusica, ballo con gli occhi chiusiquando all’improvviso due mani forti miafferrano per i fianchi e mi tiranoindietro, verso il corpo del loroproprietario. So d’istinto che si tratta diJeremy e comincio a muovermi feliceintorno a lui, a ritmo di musica. Non sonemmeno io come, ma sembriamoperfettamente sincronizzati, ci muoviamocome fossimo un corpo solo. È dura nonperdermi nella sensazione del suo corpopremuto contro il mio, con la musica cherende il tutto ancora più eccitante. Lasituazione si sta facendo davverobollente. Mi sembra di essere attratta dalui da una forza magnetica; una qualcheenergia repressa fra noi mi impedisce dilasciarlo andare… Mentre guardo nei

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suoi occhi ora più scuri, ipnotizzatadalla loro intensità, mi rendo conto chetra noi è cambiato qualcosa. Che miprende stasera? Pare che i miei ormonisiano partiti a briglia sciolta.

La musica è troppo alta, non sento ciòche Jeremy mi sta dicendo, così lui miprende per mano e insiemeattraversiamo decisi la pista, verso unodegli angoli bui dove la musica arriva unpo’ attutita. Mi spinge con delicatezzacontro il muro e mi afferra per le spalle,bloccandomi con il suo corpo in quellaposizione. Sotto la camicia neraaderente il suo corpo sembra tonico epulsante e il viso, vicinissimo al mio, èmadido di sudore dopo le nostreprodezze sulla pista da ballo. Mi ci vuoleun attimo per riprendere fiato mentre mi

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lascio conquistare dalla sua irresistibilepresenza. La sua carica sessuale mitravolge ed è come se i miei occhi sifossero aperti per la prima volta.Schiudo leggermente la bocca perlasciar entrare l’aria necessaria aossigenarmi il cervello.

«Non posso più tenere le mani lontaneda te, AB».

In effetti sembra che le stia premendocon forza contro il muro solo perché nonsi avventino su di me.

«Allora non farlo». Incoraggiatadall’onda crescente di sensualità edesiderio, sono certa di emanare anch’ioun irresistibile richiamo sessuale.

Gli stacco la mano destra dal muro,me la porto alle labbra, gli bacio pianoil dito medio e poi me la porto

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lentamente verso il seno. Lui spalancagli occhi mentre la mano gli scivola giùfino a trovare un passaggio sotto lacintura della gonna. Divarico un po’ legambe, senza smettere di guardarlo negliocchi, poi conduco la sua mano oltre ilbordo delle mie mutandine e la guidosenza esitazione verso il punto piùsensibile.

«Dio santo, Alex, sei tutta bagnata!».«Mmh, sì, è vero. Hai qualche idea su

come risolvere il problema?».Lo stupore che leggo sul viso di

Jeremy è una vera delizia e devoammettere che io stessa non mi sarei maiaspettata di sentire parole simili usciredalla mia bocca, ma ormai è fatta. Siamoentrambi un po’ frastornati econtinuiamo a fissarci per essere sicuri

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che stia succedendo davvero.Improvvisamente spinto all’azione,

Jeremy ritira la mano lasciandosi dietrouna piccola scia, mi prende per unbraccio e torna a grandi passi verso inostri amici, con me che gli arrancodietro e per poco non inciampo. Spero dinon averlo offeso… forse non dovevodire quelle cose.

Si arresta di colpo e io gli vado asbattere contro. Oddio!

Prende la mia borsa, marcia drittoverso la pista da ballo e dice qualcosaall’orecchio della mia amica, la quale mifa un cenno e sorride. La guardo senzacapire, scrollo le spalle e la saluto dirimando mentre Jeremy mi trascina fuoridal locale.

«Che stiamo facendo?».

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Nessuna risposta. Jeremy è inmodalità azione.

Mi lascia il polso e intreccia le ditacon le mie mentre camminiamo speditilungo la strada. Ho ancora il baccanodel locale che mi rimbomba nelleorecchie.

«Non mi parli più?». Forse ce l’ha amorte con me. Oddio, ma a che pensavo?Forse ho rovinato la nostra amicizia.

Stiamo risalendo il versante dellacollina e mi è venuto il fiatone a forza dicorrere per stargli dietro. Ci stiamodirigendo verso l’orto botanico, aquanto sembra. Una volta raggiunto ilprato, Jeremy si china, mi prende inbraccio e cammina in silenzio sotto laluna per poi mettermi giù, in piedi, sottola chioma di un grosso albero. Lascia

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cadere a terra la mia borsa, subito miprende la testa fra le mani e comincia adivorarmi la bocca con un impeto tale daspingermi contro il tronco dell’albero. Ilsuo corpo mi blocca sul posto e io sonopazza di desiderio. Lui estrae dalla tascaun preservativo, si sbottona i jeans atempo di record, se lo infila… è la primavolta che vedo il pene di Jeremy e,nonostante il buio, è uno spettacolo! Isuoi occhi sembrano riprendersi un po’dall’estasi carnale quando si accorgedel mio sguardo; mi rivolge un sorrisomalizioso.

«Pronta?».Annuisco, avida di lui.Mi alza la gonna fino alla vita, mi

abbassa le mutande che cadono perterra, mi solleva le ginocchia in modo

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che mi cadano le scarpe e se le mette intasca… interessante, non posso fare ameno di pensare, eccentrico mainteressante.

Mi prende le gambe e se le avvolgeattorno alla vita, mentre io gli stringo lebraccia intorno al collo con la schienapremuta contro il tronco di quell’enormealbero. La corteccia è ruvida, la sentoattraverso la camicetta di seta. Misoffermo un secondo a sperare che non sistrappi, ma a questo punto non me neimporta più molto. Lui aspetta che ioannuisca di nuovo confermandogli chesono più che pronta, che abbiamotrascorso fin troppo tempo a stuzzicarci,eccitarci e giocare platonicamente l’unocon l’altra. L’energia sessuale tra noidoveva raggiungere livelli esplosivi

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perché questo succedesse, a confermadel fatto che entrambi lo vogliamo e lovogliamo adesso.

Poi lui entra di colpo dentro di me.Ed è fantastico!Poi lo fa di nuovo…Ed è ancora più fantastico…E ancora!E ancora!Mi sta impalando.E a me piace da impazzire.Alzo il viso verso la luna e grido,

grido per la bellezza di quello chestiamo facendo, per la nostra bellezza.Lui mi esplode dentro mentre il nostroreciproco desiderio trova finalmente lasua realizzazione fisica.

Ci avranno visti? Non che me neimporti molto.

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Restiamo insieme per ore, sdraiatisull’erba, meravigliati l’uno dell’altra, aparlare, giocare, ridere, prenderci ingiro. Poi la notte si rischiara e arrival’alba. Ci sembra di aver sostato in unabolla del tempo. Ci infiliamo insieme inun taxi. Mi addormento sulla sua spallae qualche ora dopo mi ritrovo nel mioletto. La mia prima volta con Jeremy èstata una realtà e non un sogno, me loconfermano le pagliuzze che ho tra icapelli e le macchie d’erba sulla gonna.A quanto sembra le mie mutande nonhanno ritrovato la via di casa…

Mi scappa un sospiro. Wow! Ho lacertezza di essere arrossita e mi muovo adisagio sul sedile. Per fortuna l’autistanon si è accorto di niente. Sorrido tra me

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a quei ricordi lontani e meravigliosi. Nonmi sono mai più sentita così da allora.Con ogni probabilità dall’ultima volta cheio e Jeremy siamo stati soli. Quei giorniallegri e spensierati, liberi dalleresponsabilità – anche se allora cisembrava di averne fin troppe – liberi daifigli, dalla casa, dal mutuo… Desiderodavvero una vita diversa da quella che hoora? A essere sincera no; un po’ didivertimento, di incoscienza in più non midispiacerebbero, è vero, ma sonoragionevolmente soddisfatta di ciò che hooggi. Forse non della mia vita sessuale, loammetto, che si è molto diradata dopo lanascita di Jordan, anzi, a essere del tuttoonesta, è pressoché inesistente. Pensarlomi causa una sorta di shock. Come hopotuto lasciare che succedesse? Come ho

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potuto essere così impegnata da nonaccorgermi che questo aspettofondamentale della mia vita stavascomparendo? E non è ancora piùpreoccupante il fatto che non l’abbianemmeno considerato un problema? Nonc’è da stupirsi che me ne stia seduta in untaxi in questo stato di desiderio latente esmanioso. Mi si forma in mentel’immagine di una bella donnaaddormentata, in attesa di un risvegliosessuale dopo anni di torpore, una visionedolcissima finché non mi rendo conto chela donna sono io e che il principe tantoatteso è Jeremy. Ma i ragazzi, pensa airagazzi… Vale la pena mettere tutto arepentaglio? Proibisco con decisione aimiei pensieri di proseguire in questaassurda direzione.

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È un sollievo che la prima conferenzasia andata bene. Le reazioni e le domandeposte mi hanno fornito elementi per futureindagini e ricerche accademiche. Penso alfine settimana che mi aspetta: rivedere gliamici dell’università davanti a unbicchiere di vino, raccontarsi carriera,vita sociale, novità familiari. Chi staancora con chi, chi ha traslocato… sonocerta che da quando mi sono trasferita inTasmania saranno nati diversi bambini.Poi rivedrò i miei fratelli e i miei nipoti aun barbecue domenicale. Peccato cheJordan ed Elizabeth non ci siano,sarebbero stati entusiasti di giocare con icuginetti. Sarà per la prossima volta.

Immersa come sono nei ricordi e nelleimmagini del fine settimana imminente, mistupisco nel rendermi conto che siamo già

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arrivati a destinazione. Do una rapidaocchiata al rossetto e ai capelli, e mirendo conto di avere decisamente bisognodi una rinfrescata nel bagno dell’albergo.Mentre pago l’autista, le farfalle nel miostomaco, rimaste calme per un po’,annunciano tumultuosamente il lororitorno, e prendendo le valigie mi accorgodi avere i palmi sudati.

I ricordi mi hanno destabilizzata più diquanto mi faccia piacere ammettere.“Resta calma e datti un contegno,Alexandra, sei una professionista, unadonna sposata, madre di due figli… Esmettila di parlare da sola!”.

Attraverso a passo deciso la halldell’hotel a cinque stelle fino alla toilettedelle signore, nel tentativo di stabilizzareil mio stomaco. Che mi succede oggi?

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Scuoto la testa e cerco di ricompormi. Ilfremito che sento nella parte inferiore delcorpo di certo non mi aiuta a calmare inervi, né favorisce il controllo della miafisiologia. Il che è quanto meno frustrante.Com’è che solo qualche ora fa mi sentivoperfettamente a mio agio parlando difronte a centinaia di persone, e ora le miedita tremano tanto che non riesco neanchead aprire il rossetto?

Guardo il mio riflesso nello specchiomentre mi aggrappo al lavabo conentrambe le mani. Attorno agli occhi cisono delle piccole rughe. Le avevo giàl’ultima volta che ho visto Jeremy? Forseavrei dovuto seguire il consiglio della miaamica e provare il botulino, «prima chesia troppo tardi!», dice lei. Il solopensiero mi fa rabbrividire. Non sopporto

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nulla intorno agli occhi, figuriamoci se mipresterei a farmi iniettare qualcosaproprio in un punto così sensibile. “Oh,be’”, dico tra me e me, “devo solocercare di convivere con ciò che vedonello specchio fin quando non scoprirannoun metodo meno invasivo”.

Distratta e agitata come sono, nonriesco a decidere se tenere i capelli legatio scioglierli. Per fortuna la mia chioma èancora scura, senza nemmeno un filogrigio, anche se sono certa che i primi nontarderanno ad arrivare. Decido dimantenere il mio look professionale elascio i capelli legati; in fin dei contiindosso un tailleur. Bene, sono pronta. Oalmeno, più pronta di così non potreiessere. Non troppo male per unatrentaseienne, penso. Mi do un’ultima

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occhiata nello specchio pensando chepotrebbe essere molto peggio e mi sforzodi individuare il mio profilo migliore. Nelprofondo di me, non vedo l’ora dirivedere Jeremy. Così mi lascio cullaredall’emozione dell’attesa, e presto miritrovo a percorrere di nuovo il viale deiricordi…

Jeremy e io frequentavamo l’universitàinsieme, anche se lui era di due anniavanti rispetto a me. Fu mio cugino apresentarci quando io ero al primo anno:giocavano nella stessa squadra dipallanuoto. Non ricordo bene comecominciammo a frequentarci conassiduità, ma lui era uno spasso. Civedevamo così spesso che diventammograndi amici in modo molto naturale. Conil passare del tempo facemmo le nostre

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esperienze a base di alcol, droga e sesso,come succede a molti studentiuniversitari. Durante gli anni di studio,nelle vite di entrambi si succedetterodiversi partner, ma per ciascuno di noidue l’altro era una presenza fissa einsostituibile. Era difficile per gli altricapire o addirittura definire la naturadella nostra relazione, probabilmenteperché noi eravamo i primi a noncomprenderla. Dopo un po’ i nostri amicinon ci provarono più e si limitarono adaccettare il fatto che io e Jeremy saremmostati amici per sempre, a prescindere dadove la vita ci avrebbe condotti. La cosabuffa è che con il tempo anche noi ciaccontentammo di questo…

Dopo l’università prendemmo stradediverse. Jeremy proseguì negli studi, poi

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ottenne il brevetto di pilota e si arruolònei Flying Doctors1, un’esperienza dilavoro nell’entroterra australiano che loconquistò e di cui io ero piuttosto gelosa(così come lo ero stata del brevetto divolo). Io lavoravo a Londra, concentratasull’obiettivo di costruirmi una stabilitàfinanziaria prima di tuffarmi nei miei studidi psicologia del lavoro.

Nel decennio che seguì ci incontrammonei luoghi più disparati del pianeta, masoprattutto in Europa visto che le suericerche mediche lo portavano difrequente a Londra. Abbiamo passatoserate di puro divertimento che si sonotrasformate in preziosi ricordi, prima diimbarcarci nelle responsabilità della vitaadulta. Benché fossimo consapevoli che lanostra relazione era importante per tutti e

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due, sapevamo anche che non potevadurare, o almeno io sapevo che Jeremy, adifferenza di me, non era affatto pronto amettere radici. Era il grande non detto tranoi, ma eravamo coscienti entrambi dicome stavano le cose.

Per lui la carriera contava più di tutto,mentre io desideravo ardentemente unafamiglia, così le nostre strade si divisero.Jeremy si vide offrire una ricca borsa distudio all’università di Harvard perproseguire le sue ricerche e si trasferìnegli Stati Uniti. Io conobbi a Londral’inglese che sarebbe diventato miomarito, Robert, e ci trasferimmo insiemein Australia. Sapevo che dovevolasciarmi alle spalle il passato di sessosfrenato con Jeremy, sistemarmi, metteresu famiglia e fare carriera all’università.

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Ed è proprio ciò che ho fatto.Pur essendoci visti di tanto in tanto per

cenare insieme quando ci siamo ritrovatiper caso nella stessa città, nell’ultimodecennio io e Jeremy abbiamo vissutopraticamente ai due capi opposti delmondo. E le nostre vite sono proseguitesenza incrociarsi…

Mi costringo a tornare al presente e midico con fermezza che starmene arimuginare nel bagno delle signoresignifica solo sprecare il tempo preziosoche abbiamo a disposizione. “Perciòmuoviti!”. Faccio un respiro profondo percalmare i nervi, tiro indietro le spalle,sollevo la testa e mi avvio risoluta aincontrare il mio migliore amico ed examante.

Mi guardo intorno nella sala del bar e

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la sicurezza raggiunta con tanta faticaevapora in un attimo: lui non c’è. Ladelusione mi assale con ferocia tale chedevo poggiare una mano sullo schienale diun divano per reggermi in piedi. “Tipico”,penso. Inizio la giornata con le farfallenello stomaco e una ridda di pensieriridicoli, come una ragazzina che non vedel’ora di incontrare il suo cantantepreferito, e la sera mi ritrovo a parlare dasola nel bagno delle donne di un grandealbergo.

So quanto sia frenetica la vita diJeremy e che la sua agenda è soggetta acambiamenti continui. Era altamenteimprobabile riuscire a vedersi soloperché, guarda caso, questo fine settimanaci troviamo entrambi a Sydney. Èfrustrante aver speso così tante energie

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nervose per niente, eppure in un certosenso sono felice di essere ancora capacedi provare simili sensazioni, che credevoormai parte del passato. Ben mi sta: avreidovuto accettare l’invito di Samuel e deisuoi colleghi. Invece ho declinato senzanemmeno pensarci perché credevo didover incontrare Jeremy e non volevo faretardi.

L’assistente di Jeremy ha detto chesarebbe stato impegnato in riunioni per lamaggior parte del pomeriggio. Propriomentre sto per prendere il telefono econtrollare se ci sono messaggi, mi si faincontro un uomo in divisa con il badge daconcierge.

«Chiedo scusa. La dottoressaAlexandra Blake?»

«Oh, sì».

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«Un signore mi ha chiesto diconsegnarle questo messaggio e diporgerle le sue sincere scuse per non averpotuto incontrarla qui».

Ho un tuffo al cuore nel sentirconfermati i miei timori. Non ce la fa. Ilsenso di delusione mi travolge ancora unavolta.

Mi passa una busta. «Grazie infinite,dottoressa Blake. Se posso aiutarla inqualche modo, non esiti a chiedere, laprego».

Sorrido, un po’ a me stessa e un po’ alconcierge. Jeremy ha sempre insistito perchiamarmi “dottoressa” dopo che hoconseguito il dottorato, anche se tra noidue il vero dottore è lui, mentre io mioccupo più di cose per così direfilosofiche. Sa bene che non sono brava

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nelle emergenze mediche e che ho sempreprovato un timore innato verso gliospedali, è uno dei nostri scherziricorrenti. Mi siedo sul divano di vellutoviola e apro la busta, tirando fuori ilfoglio stampato.

Alla mia carissima amica, la dottoressa A. Blake.Le mie più sincere scuse per non essermi fatto

trovare nella hall dell’albergo questo venerdìsera. All’ultimo momento si è presentata unaserie di faccende che non potevo rimandare, equesto ha ritardato i miei programmi. Adesso ètutto sistemato e sarei molto felice se volessiraggiungermi nella mia stanza per bere qualcosainsieme. È passato tanto di quel tempo!

La chiave dell’attico è nella busta.Non vedo l’ora di vederti.Con affetto,J.

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Il mio stomaco sussulta e si contorcecome un ginnasta che mira alla medagliad’oro alle Olimpiadi. Eccomi di nuovonel ruolo dell’adolescente in adorazione.È venuto, allora! Ma che ci fa nell’attico?Il Jeremy che conosco ha sempre evitatole soluzioni appariscenti, preferendomantenere un profilo pubblico piuttostoaustero. Per quanto, se ben ricordo,quando era circondato da chi loconosceva bene, gli piaceva calarsi per unpo’ nei panni del gaudente anticonformistae godersi ciò che di bello la vita ha daoffrire. Forse Samuel non aveva tortoriguardo ai fondi astronomici messi adisposizione dalle case farmaceutiche.Non mi resta che domandarmi se nelnuovo Jeremy sia rimasto qualcosadell’uomo che ho conosciuto.

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* * *

Mentre sto lì a riprendermi dallasorpresa, mi accorgo che il concierge mista ancora girando intorno condiscrezione. “Possibile che non abbianient’altro da fare?”, penso distrattamente.

«Va tutto bene, dottoressa Blake? C’èaltro che posso fare per lei?».

Mi domando che razza di espressioneabbia in volto mentre mi giro a guardarlo.Noto l’ombra di un sorriso a un angolodella sua bocca. Gli brillano gli occhi.Scuoto la testa, ancora frastornata. «No,grazie. Sto bene».

Sto bene davvero? Comincio adomandarmelo. Il tale si allontana diqualche passo, ma resta a portatad’orecchio. Cambio idea e mi volto verso

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di lui.«In effetti qualcosa c’è. Può indicarmi

l’ascensore per l’attico?»«Certamente, dottoressa Blake, sarà un

piacere. Da questa parte. Possooccuparmi del suo bagaglio?».

Lo dice in un modo bizzarro, come sestesse interpretando una parte in qualcosache non capisco, e mi assale uno stranotimore. Magari sono soltanto pocoaggiornata sui livelli di rapidità delservizio raggiunti dagli alberghi a cinquestelle. Conscia di non essere del tuttolucida al momento, decido di non pensarcie concludo che la testa mi sta giocandoqualche tiro mancino.

«Grazie. È molto gentile», replico intono educato, poi lo seguo mentrecammina verso l’ascensore con i bagagli

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al seguito.Qualche secondo dopo l’ascensore sta

salendo rapido verso le altezzedell’ultimo piano. Faccio qualche respironel tentativo di calmare i nervi. Che ideasplendida bere qualcosa con la vistadall’alto della città al tramonto,soprattutto con un tempo come questo!Non so se Jeremy alloggi o meno inquesto albergo, ma se ha accesso allabusiness lounge potremmo farci portarealtri drink e qualche spuntino. È buffocome io sia ancora sensibile al pensierodi bere gratis, deve essere unareminiscenza degli anni dell’università.Non riesco a trattenere una risatina. Ilconcierge penserà che sia pazza.

Solo quando si aprono le porte mirendo conto di quanto sono emozionata

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alla prospettiva di incontrare Jeremy: è unuomo meraviglioso e un grande amico. Ladelusione di aver creduto che non avessetrovato tempo per me è stata un colpo piùduro di quanto mi aspettassi. Adessoinvece sono felice e ansiosa diincontrarlo. Appena esco dall’ascensore emetto piede sul soffice tappeto di unambiente dalle vetrate enormi, vengosubito sopraffatta dalla vista spettacolareche ho di fronte: avevo dimenticato quantopotesse essere affascinante Sydney daqueste altezze vertiginose. Mi concedoqualche secondo per assorbire tantamagnificenza: l’azzurro scintillante delmare interrotto da piccole screziaturebianche, traghetti e barche private chedescrivono traiettorie curve sull’acquasimile a seta. Mi guardo intorno in cerca

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di punti di riferimento, e stranamente nonvedo alcun bar su questo piano.

«Da questa parte, dottoressa». Mi eroquasi dimenticata del concierge checammina al mio fianco con le valigie alseguito. Osservo la keycard e noto chereca lo stesso simbolo che campeggia suuna delle pareti. Seguo le frecce con losguardo mentre procediamo in silenzio.Alla fine mi ritrovo di fronte a un’ampiadoppia porta, senza saper bene cosa fare.Prima che uno di noi due abbia il tempo disuonare il campanello, le porte sispalancano. Davanti a me c’è Jeremy.Bello e raffinato più di quanto mi sia maiconcessa di ricordarlo.

« C i a o AB. Eccoti qui finalmente.Benvenuta».

«Ciao», gli rispondo a bassa voce,

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quasi intimidita. «Quanto tempo».«Vedo che Roger ti ha soccorsa nella

hall. Grazie per essersi preso cura di lei.Adesso ci penso io». Prende le valigiedalle mani del concierge e mi fa entrare,poi richiude la porta alle mie spalle.

«Hai ragione. È passato troppo tempo.Davvero troppo per i miei gusti». Mi gettale braccia al collo con entusiasmo, perpoco non mi solleva da terraabbracciandomi, con gli occhi che glibrillano.

«Fatti guardare». Mi allontana tendendole braccia e mi osserva il viso, i capelli,tutto il corpo fino alle punte dei piedi.Avevo dimenticato quanto fossepenetrante il suo sguardo, quanto sappiacogliermi di sorpresa rendendomiall’improvviso consapevole di me stessa.

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Distolgo gli occhi in fretta, come se nonvolessi assistere oltre a quell’esame.

«Hai un aspetto magnifico Alex. Seisempre la mia Catherine Zeta-Jones dagliocchi verdi», dice con trasporto, poi miabbraccia, stavolta con tenerezza,baciandomi piano la fronte come a darmiil sigillo della sua approvazione.

«Anche tu non sei messo male,considerando che viaggi verso i quaranta,dottor Quinn», dico con civetteria,desiderosa di alleggerire l’atmosfera, siaper la possessività che colgo nel suoatteggiamento sia per il torrente diemozioni che mi sta scuotendo da capo apiedi.

Non mi fido delle mie percezioni inquesto momento, ma a prima vista sidirebbe che Jeremy non sia cambiato

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molto in questi anni, a parte la leggeraspruzzata di grigio sulla chioma bruna.Sempre sicuro di sé, in forma,malizioso… mi piace. A essere del tuttoonesta, è uno schianto: robusto, spalleampie, più di un metro e ottanta di altezza,le guance ben rasate. Ha un buon odore.Erano anni che non respiravo il suoprofumo aspro, da uomo che viveall’aperto, ma la nuvola di sensualità chelo accompagna mi si insinua dentro. Ha ilsedere stretto, tondo, valorizzato daipantaloni di taglio sportivo. Dio santo,sono appena arrivata e già mi gira latesta… “Basta! Guarda da un’altraparte!”, ordino perentoria a me stessa,mentre costringo lo sguardo a staccarsi dalui e a esaminare l’ambiente circostante.

«Accidenti, questo posto è fantastico. È

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qui che alloggi?»«Sì, in effetti. Mi fermo per una

settimana».«Be’, ne hai fatta di strada, amico

mio».Lui scrolla le spalle e sorride con aria

schiva. Adoro quel sorriso. Adoro quellelabbra. Adoro quelle labbra sul mio seno.“Oddio! Basta, adesso!”.

«Vieni, rilassati. Fai come se fossi acasa tua». Jeremy mi guida verso ilsalotto; chiaramente non gli è sfuggito chesono tutt’altro che rilassata. Devo darmi atutti i costi una calmata.

«Credevo che ci saremmo visti nel bardell’attico. Non mi aspettavo diritrovarmi nella tua suite». Cerco diassumere un tono disinvolto e di moderarel’ansia.

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«La cosa ti crea problemi?», domandasenza mezzi termini.

«Ah… ehm, no, niente affatto»,balbetto. «Per nulla, davvero». “Invecedovrebbe?”, mi domando.

«Bene».Sento il rumore di una bottiglia che

viene stappata e ho un lieve sussulto, poiJeremy mi versa un bicchiere dichampagne. La temperatura è perfetta e lebollicine nel calice di cristallo fornisconol’esatta rappresentazione visiva dellostato del mio stomaco fin da stamattina.

«Alla tua, dottoressa Blake. Mi seimancata, amica mia, mia compagna diavventure».

A queste parole ho un tuffo al cuore,perché non mi sfugge la profondità delsentimento che esprimono.

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«Alla tua, dottor Quinn». I bicchieritintinnano e i nostri sguardi restanoallacciati l’uno all’altro come noncapitava più ormai da tanto tempo.

«Come stai, Jeremy? Come va la tuavita? Ti trovi bene negli Stati Uniti? E chemi dici del lavoro, sembri sempre tantooccupato…». Oh cielo, non la smetto piùdi farneticare! Lui ride e solleva una manoper interrompere il mio interrogatorio.

«Tu non sei mai a corto di domande, eh,Alex?». Solleva un sopracciglio e taceper qualche istante. «Certe cose noncambiano mai, pare». Il commento suonasibillino e carico di sottintesi.

Mi guarda con franchezza, ma anchecon una punta di malizia. L’intensità delsuo sguardo e il significato reconditodelle sue parole mi mettono a disagio.

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Vorrei essere in grado di leggere la suamimica facciale, ma dato che non civediamo da molto, la sua espressionepurtroppo rimane per me una mascheradifficile da decifrare.

«È solo che abbiamo poco tempo e cosìtante cose di cui parlare. Voglio saperetutto, non dobbiamo sprecare nemmeno unminuto», replico in mia difesa.

«Nessuno spreco, te lo prometto.Adesso beviamoci su».

Mi accorgo di non aver ancora toccatoil mio champagne. Sorseggiamocontemporaneamente le bollicine dorate.È delizioso, asciutto al primo assaggio macon un retrogusto dolce; le bollicine mipizzicano piacevolmente la lingua. Nonresisto e me ne verso dell’altro.

«Ora, prima che io cerchi di rispondere

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alle tue mille domande, dimmi: cheprogrammi hai per il fine settimana? Chiavrà il piacere della tua compagnia?».

Felice che la conversazione sia tornatasu binari più rassicuranti, gli snocciolo idettagli del mio fine settimana, tanto piùche lui conosce quasi tutte le persone chenomino. Gli racconto di Robert, deiragazzi e della loro avventura, gli dico delmio incontro con Samuel all’università,della mia famiglia e dei vecchi compagnidi scuola. Lui ascolta con attenzione,senza interrompermi, e con la codadell’occhio noto che mi riempie un’altravolta il bicchiere. Non so se siano i nervio la gioia a far scorrere questo fiume dichiacchiere e di champagne.

«Basta parlare di me». Mi rendo contodi colpo che Jeremy non apre bocca da

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diversi minuti e abbiamo tante cose di cuiparlare, oltre ai miei programmi per ilweekend. Mi fermo a osservarlo e notoche ha un’espressione tesa.

«Sei molto silenzioso, Jeremy.Qualcosa non va?».

Si alza e cammina deciso verso ildivano su cui sono seduta. In silenzio siaccovaccia di fronte a me, mi guarda negliocchi e mi posa una mano sul ginocchio.Una leggera scarica elettrica mi correlungo la gamba e mi fa sobbalzareleggermente.

L’ombra di un sorriso attraversa ilvolto di Jeremy, come di compiacimentoper essere riuscito ancora a suscitare inme simili reazioni, ma scompare in fretta,lasciando il passo alla concentrazione e alcontrollo di poco prima.

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Arrossisco all’istante, assumendo ilcolore acceso del cuscino alle mie spalle.Non può non aver notato che il solocontatto con lui mi manda fuori di me. Nelpiù completo imbarazzo, mi muovo adisagio sul divano, mentre lui restaimmobile come una statua nella suaposizione. L’ansia crescente che miattanaglia mi impedisce di aprir bocca.

«Alexandra, devo chiederti una cosa esinceramente non so cosa dirai o comereagirai».

Se usa il mio nome completo deveessere una cosa seria.

Si interrompe per qualche attimo, senzastaccare gli occhi dai miei.

«Il che per me è piuttostoinconsueto…», scherza.

Mi posa entrambe le mani sulle

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ginocchia, quasi ad ancorarmi i piedi alpavimento per timore che voli via comeun palloncino.

«Perciò vengo al punto».Resto immobile, sostengo il suo

sguardo.Cerco in tutti i modi di respirare piano.Aspetto che prosegua.«Vorrei che ti fermassi qui per tutto il

weekend, che cancellassi i tuoi impegni».Poi tace guardandomi da sotto quelleciglia lunghe e folte. Il mio cuore salta unbattito.

Forse due. Diciamo tre.Mi perdo nei suoi occhi, nell’intensità

crescente del suo sguardo.I nostri ricordi comuni mi si affollano

nella mente: rapide immagini del periododell’università, gli scherzi, l’amore, il

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sesso, la voglia, gli orgasmi, l’amicizia, ilridere fino alle lacrime, gli esperimenti, imomenti rubati. Era bello, esilarante,eccitante e pericoloso. Con Jeremy eratutto così.

L’espressione dei suoi occhi mi farivivere ogni cosa, e anche altro, in pochisecondi. Con lui non potevi mai saperecome sarebbe andata a finire. E adesso,dopo tanti anni, mi sento ancora così.Anche se la vita ora è completamentediversa. Il nostro dialogo silenziosocontinua. Sfidandoci a correre rischi chenon accetteremmo mai se non l’uno perl’altra.

I miei pensieri cominciano a galopparecon la stessa frenesia con cui mi batte ilcuore. E se restassi? Sarebbe davverocosì sbagliato? Si parla sempre di vivere

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appieno la vita, di cogliere le occasioniinattese… Forse un weekend incompagnia di Jeremy mi farebbe sentireviva come non mi sento più da anni. Vistol’effetto della sua mano sul mio ginocchio,posso solo immaginare come reagirei a unaltro genere di contatto…

Alla fine l’istinto materno mette fine aqueste astratte e oziose fantasie e miriporta con i piedi per terra, facendoprevalere il buonsenso. La colpa… iltradimento… Robert… Mi si stringe lostomaco. Come si fa a provare un taledesiderio e un tale rimorsocontemporaneamente? È assurdo. La parteclinica del mio cervello prende ilsopravvento e comincia a indagare lapsicologia e la fisiologia di questeviolente emozioni. Ma la situazione in cui

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mi trovo sfugge alle mie categoriediagnostiche. Dio, ma che sto facendo?Che cosa sto pensando e provando? Isecondi passano e lui, come a indovinare imiei pensieri, distoglie lo sguardo e ritraele mani, si alza e si dirige verso la vetratapanoramica.

Subito ricomincio a respirare, comeliberata da un incantesimo. Non sonemmeno io per quanto tempo hotrattenuto il respiro. Jeremy fissa ilpanorama del porto e dice in tono amaro:«Lascia che indovini. Adesso staianalizzando tutto questo da diverseangolazioni». Si volta a guardarmi dinuovo negli occhi e annuisce, cometrovando conferma a quanto sta per dire.

«Stai soppesando i pro e i contro dellamia proposta. Da una parte la prospettiva

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ti eccita, ti alletta, ma dall’altra sei legataalle responsabilità della tua vita attuale, equesto genera una serie infinita didomande e di incertezze, per cui tiservirebbe più tempo per pensarci edecidere. Ma in realtà, Alex, potrestipassare la vita a cercare una risposta aqueste domande e non trovarne mai unasoddisfacente. Ho ragione?». Di nuovo sivolta a guardarmi in cerca di unaconferma.

A me non resta che annuire. Leggedentro di me come fossi un libro aperto. Adirla tutta, legge dentro di me meglio diquanto sappia fare io stessa, il che midisturba infinitamente. La fedeltà della suadescrizione, la sua sintesi fulminea, milasciano disarmata. Sono io che sonofacile da capire o è lui che mi conosce

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davvero tanto bene? Credevo che dopotutti questi anni avesse dimenticato… madal momento che io stessa non l’ho fatto,come ho potuto essere tanto ingenua dacredere che fosse successo a lui? Unacircostanza piuttosto angosciante, vista lascomoda situazione in cui mi trovo ora.Jeremy continua con la sua rassegna diquelli che secondo lui sono i miei rovelli.

«E la tua famiglia? È davvero questoche vuoi? I tuoi amici, che idea sifaranno? Come giustificherai la tuadecisione? Potrai ancora convivere con testessa? E, permettimi di aggiungere, chesuccederebbe se ti lasciassi andare, anchesolo per un weekend?».

Sono seduta di fronte a lui, imbarazzatada quanta verità c’è nelle sue parole,dalla profondità con cui conosce i miei

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processi mentali. Ma so anche che adessonon sta giocando pulito, che sta forzandodi proposito i confini della mia libertàpersonale.

La sua ultima domanda è il riassunto ditante nostre discussioni. Sa che antepongogli altri a me stessa e mi ha semprerimproverato per questo, soprattuttoquando mi vedeva prendere strade chesecondo lui non mi avrebbero portatalontano. Mi ha sempre spinta a chiedermiche cosa sarebbe successo se ci avessirinunciato. Se avessi rinunciato, per unasola volta, a controllare e organizzare lamia vita e quella degli altri, se mi fossiavventurata su un terreno incerto. Chissà,forse sarebbe bello non pensare tanto alleconseguenze, a come reagiranno gli altri.Magari vale la pena correre il rischio…

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Ma i miei problemi di allora erano fintroppo facili da affrontare in confronto aldilemma morale che ho di fronte adesso.Il vero problema per me, al momento, èpiuttosto semplice: sono in grado di diredi no a Jeremy?

La sua interpretazione è corretta. Lo soio e lo sa lui. Anche se cerco di nonmanifestare le mie emozioni, lui riesce avedere oltre le mie barriere. Il suomalcelato sorrisetto mi mette ansia ancorpiù del groviglio di sentimenti cheimperversano dentro di me.

La mia voce suona flebile ma decisa.«Tutto questo è ingiusto, Jeremy.

Dovevamo avere questa discussioneproprio adesso? Non possiamo solo stareun po’ insieme e vedere quello chesuccede?». Mi trema la voce mentre lo

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dico. Lui sa che sto soppesando i pro e icontro e sa leggere benissimo dietro lemie maschere, il che mi mette in unaposizione di netto svantaggio. Mi stoinconsciamente attrezzando per unabattaglia psicologica contro di lui, bensapendo che anche dentro di me è in corsouno scontro tra diverse anime che cercanodi guadagnare terreno senza capire chegiocano nella stessa squadra. Questo dicerto non aiuta.

Pian piano, con gesti studiati, Jeremy siallontana dalla vetrata e si dirige verso ilsecchiello dello champagne, afferra concura la bottiglia e poi viene verso di me.Non dice nulla del tremore delle mie maniquando mi toglie il bicchiere, lo riempie elo posa con calma sul tavolo accanto aldivano. Si inginocchia di fronte a me, mi

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prende entrambe le mani e sospira. Ilcarisma e il fascino che emana sono innetto contrasto con la posizionesottomessa che ha appena assunto. Latensione tra noi è tale che respiro amalapena. Mi sento come un cervoabbagliato dai fari di un’automobile.

«Adesso ascoltami, Alex, e per favoreascoltami con attenzione». La sua voce èferma, posata, autorevole. «Tu e io neabbiamo passate tante e io voglio starecon te per le prossime quarantott’ore. Nonvoglio avere una sola serata e poi vedertisparire chissà dove per chissà quantotempo.

Tra noi c’è stata tensione dal momentoin cui sei arrivata, e la colpa è del pocotempo che abbiamo. Se sapessimo diavere di fronte ben due giorni da

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trascorrere insieme, riusciremmo aconoscerci di nuovo. Si tratta solo di noi,noi due e nessun altro, solo per questavolta. È importante per me, Alex, non te lochiederei se non lo fosse. Non vogliolitigare con te, non voglio spaventarti,voglio solo che tu mi dica che avremoquesto tempo, il tempo che ci siamo negatiper anni».

Mi fischiano le orecchie per laconfusione, il cuore mi batteall’impazzata. L’elettricità che scorre trale sue mani e le mie sembra scaricarsidirettamente fra le mie gambe, al puntoche temo che lui se ne accorga.

Mi stringe i polsi, mi guarda supplice.«Ti prego, Alex, ti imploro… quarantottoore. Dimmi che resterai».

Adesso la mia confusione è totale. Non

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riesco nemmeno a respirare, figurarsi aparlare. Che cosa mi sta facendo? Nonl’ho mai sentito così. Così bisognoso, cosìsupplichevole. Forse sta attraversando unbrutto periodo, sta affrontando un doloredi qualche tipo e ha bisogno di parlarne. Ilcuore mi dice: Sì, si tratta di questo, è ilmio migliore amico e ha bisogno di me.Certo, avrei dovuto capirlo prima…Altrimenti perché sarebbe cosìimplorante? È probabile che non abbiamolti amici intimi con cui parlare comepotrebbe fare con me, soprattutto date leresponsabilità e le pressioni a cui èsottoposto a causa del suo lavoro e deisuoi impegni di ricerca. È ovvio che habisogno di confidarsi, altrimenti non miavrebbe messa in questa situazione. E iosono qui a tentennare, a contemplare la

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possibilità di non correre in soccorso delmio amico, del mio migliore amico,proprio nel momento in cui lui ha undisperato bisogno di me.

Neanche a dirlo, quando la mia vocecomincia ad assecondare la logica delcuore, la battaglia è già persa. «Be’,forse… potrei…». Con la gola serrata,fatico ad articolare le parole e produco unsussurro quasi inudibile.

Ma Jeremy mi è così vicino che losente. Con l’ansia dipinta sul volto michiede: «Hai detto quello che mi sembradi aver sentito?».

Sta davvero cercando di farmelo direun’altra volta? È stata già abbastanza durala prima.

«Devo sapere che me lo prometti. Nonhai idea di quanto sia importante per me».

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Faccio un profondo respiro.«Sì. Mi fermo per il weekend»,

confermo, parlando con maggiorchiarezza.

Un grande sorriso gli si allarga sulvolto mentre mi lascia i polsi, mi fa alzaredal divano e mi prende fra le bracciafacendomi ruotare per la stanza. Mi sfuggeuna risata; la tensione fra noi è finalmentesciolta.

«Grazie, Alexandra. Non lorimpiangerai, te lo prometto».

Prende tutto eccitato i due bicchiericolmi di champagne. «Brindiamo. Alleprossime quarantotto ore».

Al che non riesco a non pensare:“Oddio…”, ma nonostante tutto brindocon lui e lascio che nuove bollicinevadano a raggiungere le farfalle che già

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impazzano nel mio stomaco.Prima che abbia il tempo di capire in

che cosa mi sto imbarcando, lui mi dice infretta: «D’accordo, AB. Dov’è il tuotelefono?».

Ma certo, devo far sapere agli altri delmio improvviso cambiamento diprogramma. Ed ecco che le possibilireazioni della mia famiglia e dei mieiamici cominciano a tormentarmi.

«Che cosa dirò? Che penseranno?»,penso ad alta voce mentre rovisto nel caosdella borsa alla ricerca del cellulare.Nuovi dubbi mi si affollano nella mente.Sto facendo la cosa giusta? È stato unmomento di debolezza o il desiderio afarmi dire di sì? Entrambe le cose, èchiaro.

«Jeremy, forse non dovrei farlo… non è

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giusto…».«Niente dubbi, niente rimpianti, AB!».Jeremy si precipita accanto a me sul

divano, come percependo la miaapprensione e i miei ripensamenti. Mitoglie di mano il telefono e raggiunge agrandi passi la parete opposta. Uncucciolo euforico che cammina su e giùcome una pantera, con grazia edisinvoltura impressionanti.

«Lascia che mi prenda io cura di te»,dice con un largo sorriso.

È completamente regredito. Che fine hafatto il distinto, pluripremiato ricercatoremedico, acclamato in tutto il mondo? Misembra di essere tornata agli annidell’università, con il mio sfacciato amicoche non la smette di tormentarmi e dimettermi in difficoltà.

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«Ridammelo, per favore».«Te lo puoi scordare, mia cara. Sei mia

per tutto il fine settimana. Lo hai detto tu.Non preoccuparti, manderò io unmessaggio a tuo nome».

Fa sul serio? Non riesco a capirlo.«Sono ancora in grado di mandare un

messaggio dal mio cellulare». Camminoverso di lui con la mano tesa, aspettandoche mi restituisca l’apparecchio.«Dammelo, ora», dico in tono seriomentre lui schiva e si abbassa, cercandodi sfuggirmi e comportandosi da perfettoidiota.

«Devo chiamare casa. Jeremy!», losgrido mentre continua a correre come unragazzino da una parte all’altra dellastanza.

«No, non devi chiamare i tuoi. Mi hai

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appena detto che sono fuori, in mezzo aiboschi, senza contatti telefonici per unasettimana. Non c’è alcuna ragione per cuitu debba metterti in contatto con loro opreoccuparti».

Ecco spiegato l’acuto interesse con cuiha ascoltato i miei piani settimanali.Dovevo immaginare che c’era sottoqualcosa.

«Jeremy, piantala di fare il cretino». Lamia voce assume una sfumatura di panicoquando lui corre in camera da letto,chiudendosi la porta alle spalle.

«Non è divertente. Dammi quellostupido telefono, bastardo!». Mi metto abattere con furia sulla porta, alla qualedeve essersi appoggiato con tutto il pesoper non farmi entrare.

«Oh, ecco la Alex agguerrita che

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conosco. Ecco la scintilla che speravo dirivedere… Ora, chi dobbiamo informaredel tuo inatteso cambiamento diprogramma? Tuo fratello. E Trish, leiavvertirà gli altri… ah, anche Sally.Dovrebbe bastare, ti pare?»

«Jeremy, non ti azzardare!», sibilo.Esce dalla stanza, assicurandosi che io

resti alla dovuta distanza mentre rilegge ilmessaggio. Prima che possa intervenire,l’ha spedito.

«Lo hai fatto davvero?», balbettodisperata.

«Fatto. Sei ufficialmente mia per leprossime quarantotto ore».

Ha l’aria del gatto che si è appenapappato il canarino.

Poi spegne il telefono, raggiunge ilguardaroba, apre l’anta, digita un codice

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per aprire la serratura di sicurezza,avendo cura che io non lo veda. Infiladentro il telefono e chiude lo sportello.

Fatto ciò, si volta verso di me e si trovadavanti la mia espressione di completostupore.

«Che diavolo credi di fare?», sbotto.«Ho bisogno di avere con me il telefono.Può succedere qualunque cosa».

Mi sento come se mi avessetemporaneamente estromesso dalla miavita. Mi rendo conto che è proprio questoil suo obiettivo. È una strana sensazione,del tutto nuova, quella di esserecompletamente irreperibile.

«Fammi capire, AB. Mi stai dicendoche il mondo non sopravvivrà se il tuotelefono resta spento per un paio digiorni?».

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Il suo tono di voce e la sua espressionemi dicono senza ombra di dubbio chequalsiasi replica sull’argomento sarà fiatosprecato.

«Perché mi fai questo?»«Semplice. Sono un egoista. So che sei

sempre disponibile per la tua famiglia eper i tuoi amici e non ho intenzione didividerti con nessuno questo weekend. Ilche vuol dire niente interruzioni».

Io lo guardo sconcertata. «Quand’è chesei diventato così autoritario epossessivo?»

«Ho avuto un’ottima insegnante aitempi dell’università, e in questi anni hofatto un po’ di pratica», mi rispondeammiccando.

Quando faccio per andare verso ilguardaroba, mi stringe quelle braccia

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tentacolari intorno alla vita e mi sollevain aria per poi farmi planare sul divano.

«Non credo proprio». Adesso sorride.«Non siamo più all’università, Jeremy.

Sono una donna adulta, per l’amor diDio!». Sembro una maestrina. Lui mi stadi fronte, in piedi, in attesa della miaprossima mossa.

«Va bene», dico incrociando le bracciasul petto con evidente disappunto. «Alloraci metti anche il tuo. Quel che è giusto ègiusto».

Ride. «Devi sempre averla tu l’ultimaparola, eh, Alexandra?».

Spegne il telefono e con gesticerimoniosi apre lo sportello con ilcodice di sicurezza, mette il suo cellulareaccanto al mio e chiude di nuovo.

«Fatto».

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1 La Royal Flying Doctors Service of Australiaè un servizio di aeroambulanza che offreassistenza medica agli abitanti dell’entroterraaustraliano che non hanno immediato accesso aun ospedale per via delle distanze proibitive(n.d.t.).

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Paarte secondaconda

Non bisogna essere timidi oschizzinosi nelle proprie azioni. La

vita è tutta un esperimento. Più sisperimenta, meglio è.

Ralph Waldo Emerson

«Non è eccitante? Quando è stata l’ultimavolta che abbiamo avuto un’occasionecome questa per vederci, giocare, parlaree discutere fino al mattino? Sarà unospasso. Ho pianificato tutto». L’energiache emana, seduto accanto a me sul

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divano, è quasi contagiosa e io faccio ditutto per restare indifferente.

«Non so se questo mi fa sentire meglioo peggio». Anche se pronunciate conleggerezza, le mie parole nascondono unaprofonda verità. Jeremy si accorge che ilbicchiere si trova in precario equilibrionella mia mano che ha ripreso a tremare.Me lo toglie, forse come misuraprecauzionale.

«Davvero, Alex, andrà tutto bene. Perte è stata una decisione difficile, ma saibene che non ti farei mai del male e che infondo è una cosa che entrambidesideriamo da tanto tempo. Solo non neabbiamo avuto l’occasione, quindiviviamo il momento, come direbbeEckhart Tolle». Si interrompe e mirivolge un sorriso aperto. «A proposito,

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grazie per i libri. Contengono moltepreziose verità».

Alzo gli occhi al cielo incredula, manon posso fare a meno di sorridere.

Qualche anno fa gli ho spedito perNatale Il potere di adesso e Un nuovomondo. Ricordo di averne parlato con luial telefono, entusiasta di quelle letture edel loro messaggio rivoluzionario.Suppongo di essermelo meritato: deveessere il mio karma che mi sfida. Eccomiqui, in procinto di vivere, grazie a Jeremy,quarantotto ore di adesso che più adessonon si può.

«Va bene. Hai vinto», ammetto.«Almeno versami ancora da bere, cosìnon penso alle conseguenze».

«Ogni tuo desiderio è un ordine».«Mmh, non ne sono tanto sicura», dico

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mentre lui mi riempie il bicchiere. Illivello dello champagne nella bottigliascende a una velocità preoccupante.

«Vieni. Ti faccio vedere il restodell’attico, così ti sentirai più a tuo agio».Afferro la mano che mi tende e mi alzodal divano.

L’attico è davvero notevole. Sembrasia stato ristrutturato di recente secondouno stile eccentrico che ricorda i primianni Ottanta, non certo il mio genere, madevo dire che qui fa un certo effetto. Lacamera principale è arredata in stileultramoderno, un capolavoro di design. Illetto king size è circondato da unastruttura in acciaio di foggia industriale,con una testiera di gusto molto maschile,ma con alcuni minuti dettagli cheaggiungono una sfumatura delicata, come

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di spesso pizzo metallico. Non so dire sela vista di un secondo letto simile miprovochi sollievo o delusione. Ci penseròdopo. L’intera suite è più grande di unacasa di medie dimensioni. Finito il giro,ci mettiamo a parlare dei vecchi tempi,ridendo di cuore. Era questa lachiacchierata che immaginavo, efinalmente riesco a smettere dipreoccuparmi per le conseguenze dellamia decisione di restare.

Jeremy mi racconta della sua ricerca edel lavoro che sta portando avanti insiemead alcuni colossi globali, un progetto chelo assorbe moltissimo. Mi dice di averavuto la possibilità di conoscere tantepersone meravigliose, anche se altre sisono rivelate solo individui a caccia digloria, fama o soldi, certe volte di tutte e

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tre le cose insieme. Sembra un po’ agitatomentre ne parla.

«Ma è la vita che mi sono scelto e nonvoglio che niente e nessuno si metta tra mee i miei obiettivi. È troppo importante».Nella sua voce c’è una determinazioneche quasi mi intimidisce. Intuisco che c’èdell’altro, ma la sua espressione tesa midissuade dall’indagare più a fondo, e luisposta abilmente il discorso su di me.

Mi chiede dei miei studi e del miolavoro, e mostra uno straordinariointeresse verso il tema delle mieconferenze. Non vorrei annoiarlo con idettagli, ma lui sembra davveroaffascinato dall’idea che le nostrepercezioni siano direttamente influenzateda ognuno dei cinque sensi. Mi fa perfinodelle domande specifiche su come le

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sensazioni visive, uditive, tattili, olfattive,gustative e cinestesiche interagiscano traloro. Aggiunge al dibattito un punto divista medico che per me è prezioso.Avevo dimenticato che magnificoconversatore fosse Jeremy, capace dimettere a proprio agio l’interlocutore,incoraggiarlo ad aprirsi senza mai farlosentire inferiore, nonostante le sueimmense conoscenze. È il genere diconversazione che riesci ad avere conpoche persone nella vita, quelle che ticonoscono abbastanza bene da saperecome stimolarti e quali domande farti, eche possiedono anche la maturità emotivae intellettuale necessaria per esseredavvero autentiche.

Con un ascoltatore così attento e la miapassione per l’argomento, la nostra

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discussione va per le lunghe. Decido diaver monopolizzato la scena abbastanza alungo, così mi fermo per dargli lapossibilità di cambiare argomento. Notodi nuovo uno scintillio nel suo sguardo eun lieve, malcelato sorriso.

«Che c’è? Scusa, ho parlato troppo.Avresti dovuto interrompermi».

«Niente affatto, lo sai che mi piacevederti così. Sentirti parlare con tantapassione del tuo lavoro è meraviglioso.Non è da tutti. È una cosa speciale». Mirivolge un sorriso timido. «Devoconfessarti una cosa».

«Di che si tratta?»«Oggi ero lì».«Dove?», domando senza capire.«Alla tua conferenza, questo

pomeriggio».

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Lo guardo a bocca aperta.«Eri lì? Oggi? Alla mia conferenza?».

Sono esterrefatta.«Sì, sì e sì. Lo so, avrei dovuto dirtelo

prima, ma volevo vederti nel tuoambiente». Mi guarda negli occhi,affettuoso. «Sei stata grande, Alexandra,hai incantato il pubblico, hai stimolato unbel dibattito. Studenti e membri dellafacoltà erano completamente conquistatida te. E anch’io». La sua voce trasudasensualità.

Stavolta sono davvero senza parole. Ilgrande Jeremy Quinn a una miaconferenza. Incredibile! Sollevo ilbicchiere con un gesto meccanico e lovuoto in un sorso. Anche Jeremy solleva ilbicchiere verso il mio, in un brindisisilenzioso, e beve tutto d’un fiato.

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D’un tratto avverto l’effetto di tutto lochampagne che ho bevuto. Non che siaspiacevole, a parte il bisogno urgente diandare in bagno. Mi scuso e mi alzo.Dopo aver fatto pipì mi accorgo che ilbagno è più grande della mia camera daletto, con marmi grigi, bianchi e azzurridisposti a comporre un bel disegno. Èdotato di tutti i comfort che ci si aspetta ditrovare nella suite dell’attico di un hotel acinque stelle: boccette di crema per ilcorpo, shampoo, balsamo, gel doccia,prodotti di bellezza e cuffie da bagnoracchiuse in scatole dai colori pastellotalmente belle che sarebbe un peccatoaprirle. Sto guardando con desideriol’immacolata vasca ovale, quando Jeremybussa alla porta offrendosi di prepararmiun bagno.

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«Sei diventato anche un veggentedall’ultima volta che ti ho visto? C’èqualcos’altro che devo sapere?».

Ride. «So che hai avuto una lungagiornata, e se ricordo bene ti piace fare ilbagno per rilassarti. E poiché io ho tuttol’interesse a farti rilassare il piùpossibile, sarò felicissimo di prepararteneuno. Come ai vecchi tempi». È strano, lesue parole mi suonano familiari,nonostante siano trascorsi tanti annidall’ultima volta.

«L’idea mi piace. Ma sei sicuro? Possofarlo io».

«Alex, fammi un favore: per questoweekend lasciati servire». Entra nelbagno. «Non accetto obiezioni e intendosfruttare appieno ogni ora che trascorreròcon te. Ora, sarebbe un piacere per me

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prepararti un bagno, perciò perché non vaia prendere le tue cose?».

Ancora una volta mi ritrovo a guardarlomeravigliata. Sto sognando? Stasuccedendo sul serio? Esco dalla stanzada bagno diretta all’enorme guardaroba incui è stata lasciata la mia valigia. Mentremi concedo qualche secondo perammirare la pura e semplice opulenzadella suite, sento la voce di Jeremysovrastare lo scroscio dell’acqua.

«Disfa la valigia, ti prego. Voglioessere sicuro che non te la svignerai nelcorso del weekend».

Mentre inizio a fare come ha detto, midomando se ha sempre avuto questacapacità di dirigere le persone.Probabilmente sì. Non che sia arrogante, èsolo difficile dirgli di no. Obbediente

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come non mai, tiro fuori vestiti, scarpe,l’astuccio con i prodotti da bagno e lasciole mie carte nella valigetta.

Sto per uscire dalla stanza quando vedoil telefono sul comodino. Approfittandodel rumore dell’acqua che scorre, corro asollevare la cornetta. Non c’è niente dimale se cerco di lasciare un rapidomessaggio a Robert e ai ragazzi, giustonell’eventualità che siano raggiungibili.

Mi risponde una voce femminile.«Buonasera, dottor Quinn. Che cosa possofare per lei?»

«Oh!», dico sorpresa dalla voceall’altro capo della linea.

Non mi aspettavo che ci fosse unoperatore, ed è chiaro che non sono ildottor Quinn. Proprio in quel momentoJeremy si materializza alle mie spalle, mi

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cinge la vita con le braccia e mi toglie dimano la cornetta.

«Scusi per il disturbo, non ci servenulla al momento e per favore non facciapartire telefonate dall’attico, a meno chenon lo richieda io personalmente».

Sento la donna replicare: «D’accordo,dottor Quinn. Le auguro una buonaserata».

«Grazie, me la auguro anch’io». Eriattacca con un gesto posato.

Mi sento come un bambino colto inflagrante da un adulto mentre mangia lecaramelle di qualcun altro, e diventosubito rossa come un peperone. Non sonomai stata brava a nascondere l’imbarazzoe la vergogna. Se si tratta di Jeremy,poi… Non riesco a credere di sentirmicosì in colpa solo per aver tentato di fare

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una telefonata. Non dico una parola.Lui mi cinge la vita con le braccia e mi

strofina il naso contro il collo inspirandoa fondo, poi dice: «Riprovaci un’altravolta e il tuo bel culetto diventerà dellostesso colore che ha adesso la tua faccia».

A queste parole sento il cuore battermipiù forte e il sangue scorrere più in fretta,ma con mio stupore e orrore anche icapezzoli non restano indifferenti ai suoisottintesi. Perché mi sta facendo questo?Mi bacia piano il collo e poi mi guida insilenzio fuori dalla camera da letto.

Mentre torniamo in salotto, noto che c’èdella musica in sottofondo e un vassoio difragole ricoperte di voluttuoso cioccolatosul tavolo tondo. Decido che è megliosorvolare sul suo ultimo commento.

«Posso?», dico indicando le fragole.

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«Ma certo», replica. «Sono lì peressere mangiate». Perché detto da luisuona così equivoco?

«Sembrano deliziose». Dall’ora dipranzo ho mandato giù solo champagne. Ilsapore delle fragole è all’altezza del loroaspetto, e lo strato di cioccolato che lericopre è semplicemente divino. Chiudogli occhi e le assaporo. Jeremy mi sfioraun angolo della bocca con un tovagliolo,asciugando con cura una goccia di succodi fragola. Quel semplice gesto è tantoseducente che mi tremano le gambe esucchi d’altro genere cominciano aformarsi tra le mie cosce, anche se la miamente nega con fermezza che stiasuccedendo. Lui fa quel suo sorrisoincantevole mentre mi offre il vassoio,come se conoscesse a menadito le

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reazioni del mio corpo.È come se fossi stata catapultata in un

film e stessi interpretando il ruoloprincipale in una sofisticata commediasentimentale hollywoodiana. Mi apparetutto talmente improbabile che mi sfuggeuna risatina nervosa. Non sono cose checapitano tutti i giorni mentre fai il bucato,metti in ordine e vai a prendere i bambinia scuola. Jeremy mi guarda perplesso,come se non riuscisse più a indovinare imiei pensieri.

«Non preoccuparti, stavo solo facendoqualche riflessione sulla vita».

Non menziona la telefonata, ed è unsollievo, perché non voglio rovinarel’atmosfera.

«Bene, a meno che non desiderimangiare subito qualche altra fragola, il

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tuo bagno è pronto». Quando apre laporta, lo scenario che ho di fronte miriporta all’istante in atmosferehollywoodiane. Devo essere finita in unnuovo programma dal titolo PrettyWoman per un giorno. Non sarà il caso dichiuderla qui, visto il senso di colpa chemi pungola il cuore? Entrando nella stanzada bagno devo materialmente darmi unpizzico per verificare che non sia unsogno.

«Caspita, è davvero… è perfetto…stupendo». Sono così sbalordita dallospettacolo principesco che ho davanti agliocchi, che non riesco ad articolare leparole.

«È incredibile, Jeremy. Davveroincredibile». Mi guardo intorno nellastanza, illuminata magicamente dalla luce

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delle candele sparse ovunque. Il profumoè inebriante ma non prevaricante, conaromi di lavanda e gelsomino, forse ancheun sentore di fresia. I miei preferiti. Comefa a ricordare dettagli tanto minuscolidopo tutto questo tempo? Una taleesperienza creata apposta per me miprovoca un delizioso stordimento.

«Vieni. È stata una lunga giornata. È ilmomento di rilassarsi».

Si porta con dolcezza le mie mani allelabbra, le bacia entrambe ed esce,lasciandomi a guardare meravigliata ciòche mi circonda. Mi svesto con calma, mitolgo le scarpe con il tacco, le calze, lagonna, poi mi sbottono la camicetta. Mislaccio lentamente il reggiseno, me lotolgo e lascio cadere a terra gli slip. Nonvoglio rovinare la scena con movimenti

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bruschi. Non vedo l’ora di immergermi inquest’acqua splendida, fumante,profumata. Appena il mio corpo entra incontatto con essa, la tensione cominciasubito a sciogliersi. Non c’è niente dimeglio di un bagno caldo alla fine di unagiornata intensa, e questa è stata senzadubbio una giornata ricca di sorpreseinaspettate. Mentre mi lascio avvolgeredall’acqua schiumosa, mi rendo conto chela stanchezza non è solo fisica, ma che findal mattino ho vissuto in una specie disubbuglio emotivo. Sono felice di avereun momento di solitudine per rilassarmi ecercare di placare le emozioni. Mi sfuggeun lungo sospiro. Il mio corpo si staliberando della tensione, la quiete intornoa me è totale. Proprio quello di cui hobisogno. Chiudo gli occhi e lascio che i

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pensieri si disperdano… pura beatitudine.Forse mi sono appisolata, perché mi

accorgo a malapena di una leggeraincrespatura dell’acqua, che non basta ariscuotermi dal mio piacevole torpore.Poi una mano mi solleva il piede e iniziaa massaggiarlo lentamente, ma condecisione. Apro gli occhi, scioccatadall’audacia della scena che mi trovodavanti.

«Ma quando…? Come…?», balbetto.«Shh. Rilassati e basta. Sembri così

serena. Non voglio disturbarti, vogliosolo farti stare ancora meglio», diceJeremy in tono pacato, gentile.

«Ma… ma, insomma, Jeremy, seidentro la vasca!», protesto sconcertata.

Ma lo sono davvero? Molti anni faaccadeva di frequente e non mi avrebbe

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procurato alcuno shock. E, se devo essereproprio onesta con me stessa, che cosa miaspettavo da questo weekend? I ricordiche mi fluttuano nella mente sono moltodiversi dalla realtà che mi circonda. Adifferenza del passato che abbiamocondiviso, il presente può avereripercussioni molto serie. Sonoterribilmente confusa.

La sorpresa si trasforma pian piano inuno stato di sognante offuscamento, grazieai profumi che mi si insinuano nelle naricie nel cervello e al vapore irreale cheavvolge i nostri corpi. I massaggi ai piedidi Jeremy sono sempre stati favolosi e lasua abilità non è diminuita negli anni.Anzi, si direbbe il contrario. Le sue ditafatate, all’altra estremità della vasca, mimanipolano sapienti le piante dei piedi.

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Poso di nuovo la testa sul bordo dellavasca ed emetto un profondo sospiro,abbandonandomi a quelle sensazioni. Chivoglio prendere in giro?

«Brava, mia cara, rilassati… smettiladi opporti. Mi occuperò io di ogni cosa».

Nonostante la stazza di Jeremy, nellavasca c’è ancora spazio. Potrebbeospitare anche tre o quattro persone, ma aquesto non voglio pensare. Mentre anchel’altro piede comincia a sciogliersi,liberando tutta la tensione al toccomiracoloso delle dita di Jeremy, miaccorgo di sfuggita che sto scivolandoinvolontariamente verso di lui. Adesso mitrovo accoccolata tra le sue gambe, inquesto bagno da sogno in cui l’acqua haraggiunto la temperatura perfetta per noidue.

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Ormai sono in uno stato di torporeletargico grazie all’azione combinatadello champagne, del vapore, dellecandele, del profumo e adesso anche delmassaggio ai piedi. Riesco a malapena aemettere qualche suono per protestare;muovere qualche parte del mio corpo èfuori discussione.

Con dolcezza Jeremy mi passa sulbraccio un piccolo panno di velluto viola,poi, lentamente e con cura, si dedica allespalle. Respiriamo all’unisono e il livellodell’acqua sale e scende al ritmo dellenostre inspirazioni ed espirazioni. Questofinché lui non comincia ad accarezzarmi ilseno. Mi contraggo mentre le sue dita misfiorano con delicatezza i capezzoli,provocando una reazione istantanea. Unavolta ottenuto l’effetto che cercava,

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Jeremy inizia a massaggiarmi il seno con ipalmi delle mani. Ho il fiato corto e ilbattito accelerato. Non posso più negarel’effetto del suo tocco sul mio corpo.Sento un lungo sospiro e mi accorgo solodopo che sono stata io a emetterlo; chestrana sensazione, sembra sia uscito dalcorpo senza preavviso. Sono già cosìfuori controllo?

«Adesso va meglio», lo sento dire.«Non è tanto male, no?»

«È così che vuoi farmi sentire?»,replico ansimante, mentre le sue manicontinuano a darsi da fare.

«E come ti senti?».Se fossi stata più lucida, avrei saputo

che era in arrivo una domanda del genere.E avrei saputo che si aspettava unarisposta.

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Ci penso su un attimo e poi gli dico laverità. «Nervosa, emozionata, rilassata,confusa, deliziata… mi vengono in mentetutte queste cose… sembra che il corpoabbia ordinato alla mente di lasciarperdere tutto».

«Mmh, sì. È pressappoco ciò chevolevo. E ti piace?»

«Credo di sì, ma questo non so dirtelocon precisione, al momento».

Mi sfiora la nuca con le labbra mentrele dita esplorano il resto del mio corpo,oltrepassando la pancia e insinuandosi trale cosce. Il dolore sordo che mi pulsa trale gambe cresce nella spasmodica vogliadi qualcosa di più.

Mi si offusca la vista mentre miabbandono al suo tocco, il corpo diJeremy è sodo, spruzzato di una soffice e

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gradevole peluria. Il mio risponde conslancio alle carezze. Proprio quandostanno per arrivare alla loro agognatadestinazione, le sue dita si fermano,indugiano.

«Dottoressa Blake, posso farti unadomanda? Mi interessa molto la tuaopinione professionale».

«Certo», dico con tutta la calma cheriesco a mettere insieme viste lecircostanze. Non posso credere che abbiascelto proprio questo momento periniziare una conversazione“professionale”. Il cuore mi batte al ritmodel pulsante dolore tra le cosce.

«Bene, ti ringrazio». Sembracompiaciuto. «Vedi, c’è una bellissimadonna che ha acconsentito a restare in miacompagnia per le prossime quarantotto

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ore…». Gemo esasperata, ma luiprosegue. «Ci troviamo nella suitedell’attico del miglior albergo di Sydney.Lei è sexy da impazzire e io non vogliosprecare nemmeno un attimo del tempoche abbiamo a disposizione».

«Lo so che non vuoi perdere tempo,Jeremy! Qual è il punto?». Alzo gli occhial cielo sforzandomi di mantenere un tonoindifferente, cosa praticamenteimpossibile vista la sapiente sinfonia dicarezze che sta orchestrando. Cerco distare al gioco, ma in cuor mio spero che sidecida a passare ad altro il più in frettapossibile.

«Ecco, vedi, ha difficoltà a staccare laspina. Non mi sembra disposta aimmergersi del tutto nell’esperienza che lesto offrendo. Un’esperienza di quelle che

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capitano una volta sola nella vita».Cerco di mettere qualche centimetro tra

noi per poterlo guardare bene in faccia,ma sono ancorata saldamente tra le suegambe. Jeremy mi tiene un braccio intornoal petto e l’altro sotto il sedere, mentre lesue dita non fanno che giocare,accarezzare, titillare… Oddio, avevodimenticato quanto fosse bravo in questo.Stringe la presa appena intuisce le mieintenzioni.

«Ha detto che lo farà», prosegue comein una cantilena, «però, vedi, io laconosco bene. So che ciò che le hoproposto va contro la sua natura, forseperfino contro i suoi valori, ecco perchéper lei è tanto difficile lasciarsi andare,anche se so che desidera con tutta sestessa vivere l’esperienza che le sto

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offrendo».Mentre snocciola con voce monocorde

il suo tranquillo monologo, il dito, lìsotto, si muove a un ritmo sempre piùintenso.

La sua stretta è solida e ferma.Il suo odore, la sua pelle, la sua voce…

sto impazzendo.Deve essere un sogno. Queste cose non

succedono nella vita reale, no?«Poi oggi pomeriggio ho assistito alla

conferenza di una psicologa, una certadottoressa, nella speranza che mi desse unconsiglio, una qualche idea per risolvereil problema. Dovresti conoscerla, aproposito, credo che ti piacerebbe», dicecon la massima calma.

Dio, come se la gode! Io, del resto, nonposso fare altro che stare al gioco.

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«E te l’ha dato, un consiglio?»,domando con voce roca mentre vorreisoltanto gemere, non so nemmeno io seper la voglia frustrata o per il piacere. Inun modo o nell’altro, sono alla completamercé delle sue mani, della sua voce.

«In effetti sì, e credo che lo seguirò».Altre dita iniziano a darsi da fare tra le

mie cosce, mentre l’altra mano mi stapizzicando e tirando i capezzoli, come arisvegliare il corpo e a tacitare la mente.Le carezze si fanno più decise, sento icapezzoli e il ventre pulsare all’unisono. Isuoi movimenti mi sollevano nell’acqua, emi appoggio a lui. Mentre l’acqua siraffredda, il mio corpo si scalda come unateiera fumante posata sul fuoco.

«Così ho deciso che per questo finesettimana la priverò di uno dei cinque

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sensi. La ricerca sul campo condotta dalladottoressa mi assicura che in questo modootterrò due vantaggi. Per prima cosa, isensi rimasti risulteranno amplificati inmaniera notevole, il che fa buon gioco almio obiettivo, tu che ne pensi?».

Si interrompe. Non riesco più adascoltarlo con attenzione.

«E poi la sua esperienza sensorialesarà infinitamente più intensa, al di là diogni confine e singola percezione. Da noncrederci: tutti i miei problemi risolti daquesta donna eccezionale!».

Sussulto, trasalgo, per poco non soffocoper ciò che ho sentito. Mi sta torcendo emassaggiando i capezzoli quasi come asaggiarne l’elasticità, e la mia schiena siinarca al suo tocco.

Jeremy continua, tutto preso dal

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discorso. «Ho riflettuto sui cinque sensi ealla fine ho optato per quello su cui ladottoressa ha basato la sua ricerca, quelloche senza dubbio influisce più degli altrisulle percezioni». Con l’altra mano staesplorando gli anfratti nascosti della miavagina, massaggiandoli piano, condolcezza, ed evitando apposta la zona cheurla di desiderio.

Adesso non sono più semplicemente uncervo con i fari puntati addosso; sonostata caricata e legata sul tetto dell’auto.Maledetto, che cosa mi sta facendo? Emaledetto il mio corpo che lo asseconda!Non controllo più il respiro, sonoprigioniera dell’incantesimo della suascienza e della sua esperienza.

«Sai, lei è un tipo che si affida moltoagli occhi e credo davvero che se venisse

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privata della vista…».Non riesco più a sentire quello che

dice. Respiro a fatica e in fretta, neltentativo disperato di portare ossigeno aipolmoni, al cervello. Le sue dita sifermano.

Sto per iperventilare.«Dio mio, Alex, sei ancora più

sensibile di prima al contatto fisico, nonlo credevo possibile. Le sensazioni ti sipropagano come onde lungo il corpo. Mistai distraendo dalle mie conclusioni».

Io sto distraendo lui? Deve esserepazzo.

La pausa si prolunga abbastanza dapermettermi di respirare. Ma non tanto dariuscire a prevenire quanto sta per dire efare.

«Perciò, quella donna deve

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promettermi due cose. Di rinunciare allavista per tutto il fine settimana e di nonfare domande. Un fine settimana che andràoltre tutte le sue aspettative. Sbaraglieràogni confine che si è imposta. Saràun’esperienza incredibile che laconquisterà, ne sono assolutamentecerto… è una cosa tanto semplice che nonriesco a capacitarmi di non averci pensatoda solo…».

La voce gli si spegne in un sussurromentre mi soffia nell’orecchio e con identi e la lingua mi flagella il lobo. Ledita hanno ripreso a pieno ritmo il lorolavoro, penetrando ma arretrando unattimo prima di procurarmi il sollievo cheormai agogno. Il mio corpo si appresta aesplodere. Poi sento la sua voce, chiara enitida.

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«Alexandra, promettimelo adesso». Lodice in tono deciso, perentorio. «Èsemplice. Non vedrai. Non farai domande.Per quarantotto ore».

Il turbinio di sensazioni che imperversadentro di me mi impedisce di ponderarebene la situazione. I miei pensieri, il miocorpo, il mio cuore sono tutti rivolti a unae una sola cosa, la fine di questa dolcetortura. Non so se amo o odio Jeremy peressere in grado di ridurmi in questecondizioni. Lo è sempre stato, lui e nessunaltro. Mi sento sempre così inerme conlui, così dipendente dalla sua prossimamossa. È come se il mio corpo privasse lamia mente di ogni potere.

«Promettimelo». L’ordine, pronunciatocon voce bassa e profonda, penetra lenebbie del mio stordimento.

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Oddio, la voglia che mi pulsa dentroormai sta diventando straziante, mentre lastanza prende a girarmi intorno. È troppoper me, un fuoco mi divampa dentro, ilvapore mi avvolge tutta. Protendo ilbacino per trovare il contatto di cui hobisogno per placare la furia che Jeremy haevocato con sapienza. Ma mi vienefisicamente impedito. I miei goffi tentativinon fanno che rafforzare la suadeterminazione, la sua presa su di me sistringe ancora di più.

«Promettimelo, adesso». È un ordineirrevocabile.

«Va bene, sì… io… te lo prom…».Non riesco a completare la frase, che sispegne in un brontolio confuso.«Oddio…», gemo. È spietato!

«Più forte!». La sua voce mi rimbomba

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nelle orecchie come un tamburo tribaleche batte a un ritmo incalzante…

«Te lo prometto!», ansimo. «Te loprometto!», ripeto con un sospiro. «Faròtutto quello che vorrai… per questoweekend. Basta che adesso…».

A queste parole Jeremy mi affonda ildito nella vagina, procurandomil’orgasmo che il mio corpo desidera inmodo spasmodico, disperato. Mi sfuggeun grido primordiale…

«Ti ringrazio, mia cara, problemarisolto», gli sento dire in un sussurrocivettuolo e lontano.

Ha trovato il punto più sensibile delclitoride e sta scatenando una nuova seriedi spasmi che mi fa scorrere altra linfalungo le cosce, spedendomi in una nuovaspirale di passione sfrenata. Senza

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nemmeno fermarmi a soppesare leconseguenze di quello che mi è appenauscito di bocca, mi addentro avida oltre icancelli del piacere che Jeremy haabilmente costruito, vigilato e infineaperto.

* * *

Una volta tornata nel mondo reale, nonso dire per quanto tempo sia durata la miaderiva. Vedo che la pelle ha iniziato araggrinzarsi, perciò deve essere passatoun bel po’ di tempo. La mia coscienzapian piano si risveglia.

«Stai bene? Sei stata stupenda». Mistupisco nel sentire la sua voce. Ah, sì,sono qui, tra le braccia di Jeremy, nellavasca da bagno. Sono ancora tuttamorbida e calda e intorpidita, sto ancora

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fluttuando in una nebbia di voluttuosodelirio.

«Sto benissimo, e tu?»«Usciamo dall’acqua, se non vogliamo

prenderci un raffreddore». Mi tira fuoridalla vasca prendendomi in braccio senzasforzo, e poi mi avvolge un asciugamanointorno alle spalle. È spesso e soffice, emi lascio abbracciare dal suo calore.

Ci guardiamo riflessi nello specchio.Jeremy è alle mie spalle e mi abbraccia.A vederci così, la differenza di staturasembra enorme e, per qualche stranaragione, vorrei indossare delle scarpe conil tacco per attenuare la disparità tra noi.Non riesco a non pensare al fatto che ènudo, il che mi fa letteralmente tremare legambe.

Con un movimento lento, mentre ci

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guardiamo nello specchio, Jeremy lasciacadere a terra l’asciugamano, in un gestonaturale ma non casuale. Resto a guardarei nostri corpi nudi riflessi nello specchio.C’è estasi nei suoi occhi. Non ci diciamonulla, ma ci guardiamo pieni di desiderio,stupefatti dell’intensità del nostro legame.

«Sei ancora più straordinaria di come tiricordassi». È Jeremy a romperefinalmente il silenzio.

«Sei sempre stato troppo bello, Jeremy,e continui a esserlo», replico spostando ildiscorso su di lui.

«Alexa, apri gli occhi e guardatidavvero». Si è accorto che mi stosforzando di guardare tutto eccetto il mioriflesso. Mi spinge verso lo specchio afigura intera, e non mi resta altra sceltache starmene lì, faccia a faccia con me

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stessa. Certe volte è meraviglioso che glialtri ti vedano in modo diverso da come tivedi tu. Curiosamente, mi ritrovo acercare nell’immagine riflessa le traccedelle mie due gravidanze. Un pensiero chenon mi aveva mai sfiorata prima. Perfortuna la luce gioca a mio favore. Mentrequesti pensieri mi attraversano la mente,Jeremy unisce le mie mani e me le faalzare fin sopra la testa, spingendomi asollevarmi sulle punte. Quando mi piegale braccia all’indietro in modo daspingere i gomiti in alto, più nullanasconde il riflesso del mio viso mentre ilcorpo è adagiato su quello di lui. Jeremy èirresistibile, eretto, virile. La vista di noidue, nudi nello specchio, illuminati dallecandele, mi mozza il fiato tanto èsensuale.

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Il magnetismo tra noi è palpabile. Miaffascina questa vicinanza, questa intimità,e mi concedo di indugiare sull’immagineche ho davanti agli occhi. È unesperimento interessante, stare a guardarsiin questo modo, penso, passando a unaprospettiva clinica. Lungi dall’esserequalcosa da evitare a ogni costo, l’intensacarica erotica dei nostri corpi fumantinello specchio emana energia sessuale,soprattutto considerato che siamo reducida un meraviglioso orgasmo.

«Voglio che conservi questo momentonella memoria. Prenditi un attimo percapire davvero quanta bellezza c’è in te.Quelle guance rosse, ardenti di desiderio,di voglia. Ricorda che questa sei tu, unacreatura infinitamente sessuale e sensuale.Non ho mai desiderato nessuna come

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desidero te».Sento la sincerità delle sue parole e

allo stesso tempo la sua virilità gonfiarsidietro di me.

Riconosco a stento la donna nellospecchio.

Chi sono io?Il tempo si è fermato.Non so nemmeno quanto tempo sia

passato quando mi lascia e mi avvolge dinuovo l’asciugamano intorno alle spalle.

«Ho delle cose da organizzare eimmagino tu voglia restare un po’ da sola.Fa’ con comodo. Come vedi c’è un po’ ditutto. Appena sarai pronta, troverai unasorpresa ad attenderti qui fuori». Jeremymi bacia l’interno dei polsi e si chiude laporta alle spalle. Lo stomaco ricomincia afarsi sentire, così come il bollore che ho

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tra le cosce e i seni gonfi. Come fa aridurmi in questo stato?

Poso entrambe le mani sul marmofreddo del lavandino per sostenermi. Miguardo allo specchio, fissandomi negliocchi. Trasudo energia, euforia. Nonricordo di essermi mai sentita tanto vivaprima d’ora. La mia parte razionale cercain tutti i modi di ritrovare l’equilibrio e lalucidità. Che sto facendo? Purtroppo peròsono le ragioni del corpo a prevalere, econ un sospiro decido di abbandonarmisenza remore al momento presente.

Jeremy aveva ragione a proposito delbagno e di com’è ben attrezzato; èincredibile la quantità di dettagli che èriuscito a ricordare. Bigliettini scritti amano sparsi un po’ ovunque. Il profumoJo Malone, una grossa, bellissima

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bottiglia della mia fragranza preferita euna collezione di bottigliette più piccole.Della crema per il corpo, che la mia pelleassorbe con un’avidità tale che decido diconcedermene un altro strato. Un kit dicosmetici di Yves Saint Laurent completodi fondotinta, correttore, eyeliner, rossetti,matite per le labbra, mascara, il tutto insfumature adatte al colore della mia pelle.C’è tutto ciò di cui potrei aver bisognoper un weekend e oltre. Decido didivertirmi e di provare ogni cosa. Misembra di essere nel paradiso deicosmetici a fare man bassa di trucchi eprodotti per la pelle. Mi sfuggono deigridolini di gioia mentre apro scatole escatoline e provo una serie di fantasticiprodotti di cui ho visto la pubblicità sulleriviste patinate, ma che non ho mai avuto

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nel mio bagno.Probabilmente trascorro un po’ troppo

tempo persa nel mio personale luna-parkcosmetico, perché a un certo punto sentobussare alla porta con discrezione.

«Alex, tutto bene lì dentro, vero?». Lavoce di Jeremy penetra con dolcezza nellamia atmosfera edonistica.

«Oh, sì, scusa. È che non riesco acrederci. Come hai trovato il tempo? Ecome facevi a saperlo? Voglio dire, sonopassati così tanti anni… È davverofantastico, mi sento come una bambina cheapre i regali e trova tutti i suoi giocattolipreferiti». Sto parlando a raffica.

«Domande, domande…», mirimprovera Jeremy con una risatina in cuiperò mi sembra di percepire una velataminaccia, e subito mi gelo.

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Mi torna in mente il suo discorso nellavasca da bagno, la promessa che mi hastrappato in un momento di debolezza e didesiderio. Mi viene la pelle d’oca; miirrigidisco come un gatto che ha percepitoil pericolo. Di che parlava, prima, nellavasca? Stava scherzando, vero? Non eraserio quando diceva di volermi privaredella vista e della facoltà di fare domandeper tutto il weekend, no? Siamo troppovecchi per questi giochetti. O no? Ilricordo della prima e unica volta che hocercato di sottrarmi a una promessa fatta aJeremy, quando eravamo all’università,non contribuisce a tranquillizzarmi.Stranamente, non rammento con esattezza idettagli della promessa in sé; invece leimbarazzanti conseguenze del mio rifiutomi si sono impresse nella memoria.

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«Allora hai deciso? Vuoi sottrarti alnostro accordo?», chiede Jeremyincredulo, troneggiando su di me. Siamonell’atrio della facoltà, appena fuoridall’aula magna. Annuisco. Lui per tuttarisposta mi carica in spalla, mi afferra lecaviglie e mi lascia scivolare lungo lasua schiena, come fossi un sacco. Miritrovo a penzolare a testa in giù, contutti intorno che ci guardano.

«Mettimi giù, bastardo! Èimbarazzante!», grido cercando didivincolarmi, di raddrizzare la schiena.«Non puoi farlo, è una violenza. Mettimigiù!», urlo ancora più forte.

«Posso farlo e lo farò, finché tu nonmanterrai la tua promessa».

Gli altri mi guardano ridendo. Sanno

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tutti che siamo amici, che stiamo sologiocando. La maglietta mi è scivolata finsulle spalle a causa della forza digravità e mi affretto a rimetterla a postoper non dare pubblico spettacolo dellamia biancheria intima. Con una manocolpisco lui e con l’altra cerco di tenerea posto la maglietta. Per fortuna indossoi jeans. Jeremy comincia a camminare.

«Che stai facendo? Tu sei matto!».È difficile imprimere alla mia voce il

tono severo che vorrei assumere mentrerimbalzo a testa in giù contro le suegambe. Sono fuori di me dalla rabbia.Procediamo lungo i corridoi mentre luiscambia addirittura qualche chiacchieradisinvolta con i compagni che incrocia,come se non ci fosse niente di insolitonel fatto che io me ne stia buttata sulla

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sua schiena a mo’ di sacco di patate. Isuoi amici si limitano a una risatinaquando li informa che mi sta soloaccompagnando alla mia prossimalezione. Se potessi, in questo momento loprenderei a sberle. Il sangue mi èaffluito alla testa, facendomi somigliarea un pomodoro maturo. Arriviamonell’aula e lui mi deposita con cura suuna sedia della prima fila. Fa un cennoal professore dietro il leggio, come sefosse tutto perfettamente normale. Sichina verso di me, mi prende le mani trale sue e dice con un sorriso: «Vengo aprenderti alla fine della lezione».

«Non dici sul serio!», sibilo sputandoveleno.

«Oh, sì invece, miss Alexandra».Lo guardo con odio, mentre il

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professore inizia la lezione. «Bene,cominciamo, abbiamo molto di cuiparlare oggi».

Al che Jeremy mi stampa un baciosulla guancia e mi fa ciao ciao con lamano. Sono così imbarazzata chesprofondo nella sedia, rifiutandomi diguardare in faccia chiunque. Muovendoil piede mi accorgo che la mia borsa sitrova sotto la sedia su cui mi hadepositata. Organizzazione impeccabile.

Non riesco a concentrarmi sullalezione nemmeno per un minuto. Sonocompletamente assorbita da duepriorità: evitare Jeremy e vendicarmi.Come ha osato farmi questo? Scrivo unbiglietto a un’amica chiedendole diprestarmi gli appunti che prenderàdurante il resto della lezione. Mi dico

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che una fuga anticipata è l’opzione piùsicura, nel caso in cui sia davverointenzionato a venirmi a “prendere” piùtardi. Quindici minuti prima della fine,mi alzo con discrezione. Mi dirigo apasso felpato verso la porta posteriore,che mi sembra la via più sicura. Unavolta fuori, perlustro il corridoio vuoto emi congratulo con me stessa per aversventato i piani di Jeremy. Comincio acamminare con piglio deciso, fumante dirabbia. Ho appena preso velocità e stoallungando ancora il passo, quando ipiedi mi si staccano dal pavimento, cosìall’improvviso che mi gira la testa.

«Che cavolo…», esclamo.«Ehi, splendore, non avrai davvero

creduto di farmi fesso, spero».Jeremy mi ha messo nella stessa

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identica posizione di prima. Da doveaccidenti è uscito? Mi porta così, inspalla, tenendomi per le caviglie, finoalla caffetteria. I ragazzi applaudono esorridono, divertiti da quell’esibizionedi virilità. Io sono a dir poco fuori di medalla rabbia. Vengo depositata su unasedia e tenuta ferma per le spalle e per ipolsi. Sa fin troppo bene che me la daròa gambe non appena mollerà la presa.Guardo torva i suoi amici riuniti intornoal tavolo, i loro malcelati sorrisettimentre fingono di guardare altrove.Arrivano Patrick e Neil e mi posano unvassoio davanti: Jeremy deve avermiordinato il pranzo in anticipo, in mododa non essere costretto a togliermi lemani di dosso. Le loro facce divertitenon lasciano dubbi su quanto trovino

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spassosa tutta questa situazione. Jeremysa che approfitterò della sua primadistrazione.

«Non ci provare, AB, non farai chepeggiorare le cose».

«E di preciso, quanto credi di poterandare avanti così, Jeremy?», domandocon voce glaciale.

«Esattamente il tempo che tuimpiegherai a rispettare la tuapromessa, mia cara», dichiara. E che miprenda un colpo se non è capacissimo dimantenere la parola.

Questa storia di portarmi in spalla sue giù per le lezioni va avanti per tutto ilgiorno. Alla fine l’idea di essere portatacome un sacco di patate nell’aula dove sitiene l’ultimo seminario della giornata,il mio preferito, Psicologia della

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sensazione e della percezione, mi appareinsostenibile, soprattutto perché è unaclasse piccola, di sole dodici persone.

«Va bene, Jeremy, può bastare.Smettila. Ho imparato la lezione. Haivinto tu». Mi posa a terra, in piedi, condelicatezza.

«Mi fa piacere che tu sia tornata in te,AB, perché sono certo che quello cheavevo in mente per te stasera non tisarebbe piaciuto».

«Santo cielo, sei davvero spietato!».«Non sono il tipo che si arrende, hai

ragione. Ma sono più incline a definirmi“tenace all’occorrenza”».

«Come ti pare. Adesso però lasciamiandare a lezione», cerco di scaricarlo.

«Sicura che non ti serva unpassaggio? Ho le gambe più lunghe delle

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tue». Il suo sorriso sfacciato è talmentecarino che non riesco a non ridere,anche se sto facendo di tutto permostrarmi furiosa con lui.

«Molto divertente. Ciao!».

Il ricordo è così nitido, così intenso,che è come se fosse successo ieri. Com’èpossibile? Quell’episodio non mi tornavain mente da anni, anche dieci forse.Scuoto la testa sforzandomi di nonpensare al passato e di ignorare ilpossibile significato di tutto questo.

* * *

«Ce la fai a essere pronta fra poco?»«Sì, certo». Provo un’ondata di

sollievo. Non ha detto nulla dellapromessa, per fortuna. Rimetto in fretta

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tutti i flaconcini nell’astuccio e avvito icoperchi dei vasetti. Uso particolare curanel riporre il profumo, perché è davverodelizioso e vorrei portarmelo a casa.

«Mi asciugo i capelli ed esco fra unminuto». Trovo il phon, butto la testa inavanti e mi asciugo la parte più umidadietro la nuca. Sono più ribelli del solito,ma decido lo stesso di tenerli sciolti sullespalle, a coprirmi appena le scapole. Ilmio viso e il mio corpo risplendono e nonposso fare a meno di sorridere alla vistadella persona che mi fissa dallo specchio.Cosa c’è di meglio di un hotel a cinquestelle, champagne francese, un orgasmoche sembra mandato direttamente dalparadiso e una stanza da bagno piena deimigliori prodotti di bellezza esistenti almondo per far sentire al settimo cielo una

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donna almeno per qualche ora? Afferro unmorbido ed enorme accappatoio (chissàperché non li fanno di una misura chepossa andar bene a una donna di mediacorporatura), lo indosso ed esco da quelricettacolo di meraviglie per tuffarminella fredda eleganza della suite, tra lebraccia di Jeremy.

«Sembri euforica», dice lui mentre mistringe forte a sé.

«Mi sento una peccatrice. È tutto moltodecadente». Ricambio il suo abbraccio ela passione che avverto nel suo sguardomi mozza il respiro per qualche attimo.

«Vieni, voglio farti sentire ancora piùdecadente. C’è una cosa che devivedere».

Mi circonda le spalle con un braccio emi porta di corsa in camera, verso il

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guardaroba. Sembriamo due cuccioli chehanno appena trovato un nuovo cesto digiocattoli con cui divertirsi. Sussultoquando ci fermiamo di colpo e un sorrisosi dipinge sul suo viso.

«È una cosa che ho sempre desiderato,Alex, ma all’università mi mancava ilcoraggio. Ti va di indossare questo perme stasera?».

Mi avvicino a un abito bellissimo,semplice, elegante, sofisticato, del piùbello dei colori: rosso intenso. Ha untaglio asimmetrico, con una spallascoperta.

«Jeremy, è stupendo, io… non hoparole. Ma perché fai tutto questo? Misembra che mi sfugga qualcosa. Noncapisco».

«Non c’è bisogno di capire. Voglio

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farlo, lo voglio da un sacco di tempo eadesso posso permettermelo. C’è tuttoquello che ti serve per vestirti. Non vedol’ora di vedertelo addosso. Sono feliceche ti piaccia. Cerca di non metterci tantotempo come in bagno, o dovrò venire adaiutarti», dice con un sorriso allusivo. Iosono momentaneamente senza parole;fisso un po’ lui e un po’ il vestito. Jeremymi dà una leggera pacca sul fondoschienaa mo’ di congedo.

«Va bene, va bene», dico mettendomi inazione.

Mi avvicino al vestito, passo le dita sultessuto; è di seta, morbido e liscio. Mitolgo in fretta l’accappatoio e mi infilol’abito dalla testa. Mi scivola addossocon naturalezza, e constato con piacereche contiene un reggiseno che si adatta

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alle mie forme alla perfezione. Mi segnacon garbo il punto vita, e la parte sinistradella gonna ricade con grazia sulle gambe,lunga abbastanza da sfiorarmi le caviglie.Trovo anche una scatola con uno stupendopaio di scarpe con i tacchi a spillo, che hoquasi paura di calzare. Non porto scarpedi quel genere da quando avevo vent’annie mi chiedo se sarò in grado di stare inequilibrio con i piedi infilati lì dentro.

Non ho mai indossato un colore tantoaudace e mi guardo allo specchiosbalordita. L’effetto d’insieme èestremamente provocante. La persona cheho davanti è sexy, sicura di sé, seducente.Su una panca noto un elaborato fermagliovintage, così lo uso per raccogliere icapelli in un morbido chignon sopra laspalla nuda. Ora il riflesso nello specchio

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ha anche un tocco di inattesa raffinatezza.Non c’è più alcun dubbio: sto vivendo lamia personale versione di Pretty Womane finora, per me almeno, è persino megliodell’originale.

Non ricordo quando è stata l’ultimavolta che mi sono vestita così elegante:potrei affrontare il red carpet la sera degliOscar, magari un po’ più truccata e conl’intervento di un parrucchiereprofessionista. Dopo un’ultima occhiata almio riflesso – mi riconosco appena –pianto bene i piedi a terra e mi avvioverso il salotto.

Jeremy si ferma per guardarmi. Lolascio a bocca aperta quando entro. Il suosguardo mi scandaglia dalla testa ai piedi,così mi sforzo disperatamente di essere ladonna sofisticata e sicura di sé che ho

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visto nello specchio, e non la goffa escarmigliata studentessa universitaria diun tempo.

Il modo in cui inspira e l’evidenteadorazione dipinta nei suoi occhi mi fannocapire che è contento di quello che vede.

«Oh mio… oh», dice piano.«Alexandra, adesso sono io che non hoparole. Sei… mozzafiato».

«È il vestito che è bello, Jeremy. Nonho parole nemmeno io».

«No, mia cara, tu sei bellissima.Questo vestito non fa altro che valorizzarei tuoi punti di forza». Rido con un certonervosismo, mentre il suo sguardo indugiaammirato sul mio seno.

«Fa più di questo, Jeremy. Nascondetutti i difetti… A proposito, ti seidimenticato una cosa».

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«Davvero?», domanda con evidentestupore. «E cosa?»

«Gli slip».Mi fissa senza capire.«La biancheria», insisto.Nessuna risposta.«Le mutande, come preferisci

chiamarle?».Le ho cercate dappertutto nel

guardaroba ma non ne ho trovato traccia.«Ah, ho capito». Era ora. «No, non le

ho dimenticate. Tutto ciò che ti serve cel’hai già addosso».

Si volta e pianta gli occhi nei miei.«Lo sai che mi piace l’eccesso, Alexa,

in ogni momento. Il solo pensiero mi faeccitare».

Mi strizza l’occhio e arrossiscodiventando dello stesso colore del vestito.

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In quel momento noto un ricco mazzo dirose rosse in un vaso sul tavolo. Non neho mai viste così tante insieme. Sonoboccioli chiusi, rosso sangue, lo stessocolore del mio abito. Sono stupende, nonce n’è una che abbia la più piccolaimperfezione. Mi avvicino per guardarlemeglio e ne aspiro il profumo inebriante.Sento Jeremy dietro di me, il suo respiroleggero sul collo. Con queste scarpe sonopiù alta, così non deve chinarsi troppo.

«Ognuna di queste rose rappresentaun’esperienza che voglio farti vivere inquesti due giorni. Immaginale quandosaranno sbocciate del tutto, con ognipetalo aperto. Sono bellissime già adesso,proprio come te, Alexandra, ma immaginache cosa saranno quando avrannoespresso tutto il loro potenziale».

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Mentre parla la sua bocca mi solleticala nuca. Oddio, quella voce, quelle labbrami fanno tremare le ginocchia.

Parlo con voce bassa, quasi rotta. «Seisulla buona strada, Jeremy. Non ho maivissuto niente di simile prima d’ora.Mai».

«E non hai ancora visto niente, miacara». Di colpo il suo nuovo, leggeroaccento americano alleggeriscel’atmosfera.

«Ci vuole un altro brindisi», dichiarasolenne, poi mi volta le spalle e si mettead armeggiare sul tavolo del buffet condei sofisticati bicchieri e una montagna dicubetti di ghiaccio.

«Oh, no, non sarà mica vodka liscia?»«Non proprio, ma mi complimento per

la buona memoria. Stavolta è una cosa un

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po’ diversa, vedrai».Il tono di Jeremy e la sua espressione

mi fanno ripensare a una delle piùdivertenti e sorprendenti esperienzesessuali che io abbia mai vissuto, eprobabilmente mai vivrò, nella mia vita…

Jeremy e io ci siamo finalmentelasciati alle spalle gli esami di metàsemestre, e adesso non vediamo l’ora diconcederci una serata fuori. Ci sembradi non aver mai staccato gli occhi dailibri per mesi e mesi. Quando stiamo peruscire diretti a un locale non lontano dacasa, dove ci aspettano degli amici perbere qualche birra insieme, sentiamo deituoni minacciosi seguiti da violentiscrosci. Jeremy e io diamo un’occhiatafuori e decidiamo di restare a casa sua a

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bere qualcosa e a guardare un film.L’idea ci piace, siamo entrambi troppostanchi per fare le ore piccole. Anche seè un sollievo essersi lasciati alle spallelo stress degli esami, siamo ancoratroppo in debito di sonno per essere diumore festaiolo. Ci siamo appena sedutisul divano con succo di mela e popcorn,quando fa irruzione in casa Patrick,l’amico di Jeremy, nonché suo compagnoalla facoltà di Medicina, bagnatofradicio.

«Hai visto che sta succedendo làfuori?», grida per sovrastare il fragoredi un tuono che fa quasi tremare i muri.«Oh, ciao, Lexi, come va?».

Ho sempre trovato Patrick un tipointeressante. Ha l’aria di un ragazzino,non tanto alto ma con una struttura

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muscolosa, da buon giocatore di rugbydella squadra universitaria. Mi chiamaLexi.

«Ciao, Pat. Tutto bene, grazie».«Entra, amico mio. A quanto pare

l’hai beccato in pieno. Seicompletamente zuppo!».

«Grazie. Stavo andando al pub perraggiungere gli altri e guarda cos’èsuccesso. Spero che non vi dispiaccia».

«Per niente. Stavamo per vedere unfilm. Non ci andava di uscire con questotempo e abbiamo deciso di restarcene alcalduccio».

Dopo aver ficcato la sua robanell’asciugatrice, Patrick si siedeaccanto a noi sul divano con unasciugamano attorno ai fianchi. Ha unbel corpo abbronzato, i muscoli ben

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evidenti grazie alle flessioni, aipiegamenti e a tutti gli esercizi chefanno i giocatori di rugby durante gliallenamenti. “Sì, caro, chiamami pureLexi…”, ridacchio tra me e me. Apre unabirra e ci mettiamo a guardare il film.

Sono seduta a un’estremità del divanocon le gambe allungate su quelle diJeremy. Patrick siede dall’altra parte.Dopo il secondo giro di birre, Patcomincia a rollare uno spinello. Fa perandare a fumarlo fuori, ma Jeremy loferma.

«Non ti preoccupare. Fuori diluviaancora. Fumalo qui, così noninterrompiamo il film».

Dopo aver tirato una lunga boccata,Patrick passa la canna a Jeremy, il qualea sua volta non esita ad aspirarla a pieni

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polmoni. Espira con calma, ne aspirauna boccata più piccola e poi la offre ame. Vedendomi esitante, Jeremy miincoraggia a provare.

«Avanti. Hai finito gli esami, rilassati.Non dobbiamo andare da nessuna partee la prossima settimana è festa».

Ha ragione lui, perciò prendo lospinello e cerco di maneggiarlo come sideve. È talmente imbarazzante quandosbagli! Sembra che tutti siano lì a volertiistruire sul modo corretto di fumarsi unacanna. Mi svuoto i polmoni e aspiropiano il fumo resistendo all’impulso dimettermi a tossire e sputacchiare.Mentre continuo a scandire mentalmentele fasi di quello che sto facendo –trattieni, trattieni, trattieni… poi espirapian piano – le sensazioni provocate dal

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fumo raggiungono rapide il cervello.Jeremy mi toglie la canna di mano unattimo prima che cada, mentre io miaccascio sul divano piacevolmenteintontita.

Aspiro un’altra boccata e per me è giàabbastanza. Me ne resto nella miapiccola, confortevole bolla per un po’ enon bado a quello che fanno i ragazzi, néa quanto fumano. Ritorno lucida verso lafine del film e sento i ragazzisghignazzare per qualcosa. Non so dicosa si tratta, ma dopo un po’ comincioa trovarlo divertente anch’io. Finito ilfilm, ci sono dei video musicali; Pat simette a ballare in asciugamano in giroper la stanza e Jeremy si unisce a lui.Tra le luci sgargianti della televisione eil tamburellio della pioggia fuori, la

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scena è esilarante. Almeno così nessunosi lamenterà del rumore. Jeremy cerca difarmi alzare e ballare, ma io mi sonobarricata in mezzo ai cuscini.

«No. Siete uno spettacolo troppobello, lasciatemi fare la guardona».

Incoraggiati, si lanciano in una seriedi mosse ancora più complicate, chenello stato in cui si trovano risultanoirresistibilmente comiche. Alla finespariscono entrambi in cucina e neescono con un vassoio pieno dibicchierini di vodka liscia. Scuoto latesta.

«Non se ne parla. Non dopo averfumato!».

«Proprio perché abbiamo fumato,Lexi. Non c’è altro modo. Dopotutto,questo è un party post-esami», dichiara

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Pat, e scoppia a ridere, subitoassecondato da un euforico Jeremy.Cercano di darsi il cinque, ma mancanol’obiettivo. Non ne posso più, mi fa malelo stomaco per le troppe risate.

«Va bene, Alex. Bevi due bicchierini eti lasceremo tranquilla dietro la tuabarricata di cuscini», propone Jeremy.

«Ma certo! Puoi restartene seduta neltuo confortevole castello, come unabellissima principessa», aggiungePatrick.

Geniale. Che soluzione perfetta. Tuttociò che desidero al momento è starmenesu questo soffice divano, stretta tra icuscini che mi sono accaparrata.

«Uno?». Non avrei dovuto metterciquel punto interrogativo.

«Due. Uno per Pat e uno per me. Poi

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potrai startene tranquilla sul divano,almeno per un po’».

«Andata!», esclamo, convinta dallalogica inappuntabile del ragionamento.

«Salute!».«Alle nuove esperienze!», aggiunge

Jeremy mentre brindiamo guardandocinegli occhi come facciamo sempre.

Giù il primo bicchiere. Giù anche ilsecondo.

«Accidenti se è forte la vodka, quandone mandi giù due bicchieri così!».

Patrick mi passa della limonata peralleviare il bruciore. «Sei davverogentile, Patrick. Grazie».

«Siamo qui per servirla, milady»,replica lui con un sorrisetto sfacciatomentre tenta un formale inchino.

«E io apprezzo enormemente»,

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ammicco di rimando.Poi, con mia grande gioia, mi lasciano

sguazzare nella mia nebbia etilica,mentre loro due continuano a fare ibuffoni.

Quando alzo gli occhi, mi accorgo cheadesso anche Jeremy, come Patrick,indossa solo un asciugamano in vita.

«Dove credete di essere, in un haremmaschile? Ma guardatevi! Siete unospasso».

Sono buffi, è vero, ma a guardarlimeglio non posso fare a meno di notare iloro muscoli sodi. Arrossisco al pensierodi averli entrambi nel mio harempersonale.

Poi all’improvviso me li ritrovo ai latidel divano, e mi rubano i cuscini.

«Che fate?», li sgrido. «Ridatemeli,

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sono miei, non è giusto!».A quanto pare trovano esilarante

strapparmi di mano i cuscini mentrecerco con tutte le mie energie diriappropriarmene.

«Forza, AB, sono ore che stai sedutaqui. Non è possibile che per te continopiù i cuscini che noi due, non ti pare?Lasciali…».

Poi Jeremy mi bacia sulle labbra,insinuandomi la lingua in bocca.

Sono stupita che abbia fatto una cosadel genere in presenza di Patrick.Guardo quest’ultimo e gli leggo negliocchi la stessa eccitazione che c’è nellosguardo di Jeremy.

Mi accorgo troppo tardi del cenno diintesa che si sono rivolti e, prima che mene renda conto, mi prendono uno per i

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piedi e uno per le spalle e mi portanonella camera da letto di Jeremy.

«Ragazzi!». Mi sfianco di risate egridolini, puntualmente coperti dalfragore della pioggia. «Che statefacendo?»

«È giusto che anche tu indossi unasciugamano e nient’altro. Vogliamosolo divertirci un po’». Mi lascianocadere sul letto. Jeremy mi sbottona ijeans e abbassa la cerniera. «Tirala unpo’ su, Pat».

Patrick mi solleva la schiena mentreJeremy mi sfila i jeans.

«Ecco fatto. Seduta, ora». E mi sfila lacamicia. Lo guardo negli occhi, nonsapendo cosa fare o come sentirmi. Nonso neanche ciò che sta succedendo dipreciso. Poi Jeremy si ferma e mi

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domanda a bassa voce: «Vuoi chesmettiamo?»

«No». Scuoto piano la testa. Nonvoglio che smettano. Quale donna nelpieno delle sue facoltà direbbe di no allaprospettiva di divertirsi con due begliuomini, forti e virili, durante untemporale notturno? Io no di certo. Iltepore che ho al basso ventre si diffondeall’istante in zone più erogene.

Jeremy sorride contento. «Va tuttobene, RS. So che giocare ti piace comepiace a noi. Ti promettiamo che tidedicheremo tutte le nostre attenzioni.Tu rilassati e goditela!».

«RS?». È una novità.«Ragazza Sexy, naturalmente!».Ottimo, stasera ho guadagnato un

sacco di nomignoli.

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Jeremy si volta verso Patrick. «Levaleil reggiseno e le mutande, mentre io latengo».

Non riesco a credere che tutto questostia accadendo davvero, sono ammaliatadalla bellezza virile che mi circonda,eccitata al pensiero di ciò che seguirà.Sta succedendo proprio a me? Sembra disì. Pare sia la mia sera fortunata. Milascio distendere sul lettocompletamente nuda, ansiosa diconoscere la loro prossima mossa, lilascio giocare con il mio corpo,accarezzarmi i seni, leccarmi i lobi delleorecchie, baciarmi lo stomaco, toccarmi,succhiarmi, assaggiarmi. Chiudo gliocchi e, quando li riapro, Jeremy mi stasucchiando i capezzoli. Li chiudo dinuovo gemendo, per riaprirli quando

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Patrick comincia a passarmi la linguaall’interno di una coscia. Esplorano ilmio corpo insieme, poi separati e poi dinuovo insieme, ognuno con il suo modounico di portarmi alle vette del piacere.

Per ore.È meraviglioso.Ho la testa appoggiata

all’asciugamano di Patrick, mentrediscutono di dettagli anatomici che nonfingo neanche di ascoltare. Patrick miaccarezza la testa e me la spinge controle sue gambe incrociate, mentre Jeremysi stende accanto a noi. Patrick miavvicina uno spinello alla bocca e ioaspiro piano, guardandolo da sotto in su.Mi rilasso stendendomi supina, grata diuna pausa dalle complicate attenzioniche le loro mani e le loro bocche mi

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hanno dedicato. Mi sento fluttuare.Pat mi sente la fronte. «Lexi, tu bruci.

Ti senti bene?»«Mai stata meglio, direi, anche se qui

dentro fa piuttosto caldo».«Be’, in effetti…». Ridono.«Vado a prendere il termometro», si

offre Jeremy.«Non serve, J!», gli dico unendomi alle

loro risate.Patrick continua a passarmi le dita tra

i capelli ed è tutto così tranquillo.Faccio un gran respiro e mi abbandonoa un piacevole torpore. Vengo riportatabruscamente alla realtà quando Jeremysi mette le mie gambe sopra le spalle, miallarga le natiche e mi infila iltermometro nell’ano, immagino dopoaverlo lubrificato, visto che entra senza

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la minima resistenza. Cerco disollevarmi, ma Patrick mi trattiene condolce fermezza, bloccandomi le spallecontro il letto.

«Jeremy!», esclamo. «Che staifacendo?»

«Ti misuro la febbre, AB. Nonvogliamo che ti succeda nulla di male,dato che possiamo prendere lenecessarie precauzioni. Siamo quasimedici, ricordi?»

«Sto benissimo. Tirami fuoriquell’arnese dal culo».

«Devi tenerlo solo un altro minuto.Non credo tu voglia ritrovarti delmercurio su per le parti intime, no?».

Le sue parole, che dica sul serio omeno, mi convincono a non muovere unmuscolo finché non ha estratto

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quell’oggetto freddo.«Oh, sì, esimio collega, avevi ragione.

Trentotto e mezzo. Diagnosi brillante.Per fortuna ho qui un rimedio».

«Non ho affatto la febbre, Jeremy. Nonfare il cretino», ricomincio a protestare.

«Per favore, faccia stare calma lapaziente, dottor McCluskey».

Patrick mi tappa la bocca con lamano. Jeremy mi porta le braccia soprala testa e Patrick le blocca con le suesolide gambe da giocatore di rugby.Gemo senza riuscire a produrre unsuono decente.

“E adesso?”, penso. “Sarannoesausti. Come me”.

Ma a quanto pare non è così.Jeremy tira fuori un cestello pieno di

cubetti di ghiaccio e lo posa sul letto.

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Lentamente, mi passa il ghiaccionell’incavo del gomito, sotto l’ascella,sul torace; poi ripete l’operazionedall’altro lato. Comincio a reagire allasensazione del ghiaccio che scivola esgocciola lungo le mie membrasurriscaldate. Con movimenti circolariraggiunge il seno, e gli servono altricubetti man mano che gli si sciolgono trale mani al contatto con la mia pellebollente. Mentre Jeremy mi flagella icapezzoli, Patrick mi fa rotolare ilghiaccio sulle labbra con un gestolanguido, infilandomelo in bocca egiocando con la lingua. Le mie braccia,intorpidite sotto il peso delle sue gambe,sono diventate strumenti di protestainutili. Mi piace la sensazione delghiaccio in bocca, perciò lascio che mi

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tormenti finché non me lo lascia caderegiù per la gola. Sono talmente presa daquesto gioco che non mi accorgo cheJeremy ha abbandonato i capezzoli e stascivolando più in basso, lasciando unapiccola scia di ghiaccio attornoall’ombelico. Patrick non permette che imiei capezzoli restino orfani a lungo eriprende l’opera interrotta da Jeremy.Sto letteralmente annegando nellastimolazione sensoriale. Jeremy micosparge di ghiaccio la vulva,provocandomi brividi lungo tutto ilcorpo, e alla fine mi infila con abilità uncubetto nella vagina. Inarco subito laschiena a quella sensazione.

«Ti prego…», dico con voce rotta,rivolta a chissà chi.

Jeremy infila dentro un altro cubetto

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di ghiaccio. La sensazione di quei corpigelidi infilati in un tunnel così caldo favibrare dall’interno il mio corpo, checerca di espellere l’estraneo oggettofreddo venuto a pizzicare una zona tantosensibile. Ma prima che questo avvenga,Jeremy ne infila un altro attraverso lostesso canale, lo sguardo rapito dallemie reazioni alle sue manovre.

Quando la lotta tra caldo e freddodentro di me arriva al limite della miasopportazione, Jeremy mi unisce legambe, mi abbraccia e comincia adivorarmi la bocca. Con la testapoggiata sul grembo di Patrick, sentopulsare la sua erezione. Lui si sistema inmodo da riuscire a passarmi il ghiacciosotto le ascelle incredibilmente sensibili,poi mi libera le braccia e torna a

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bloccarmele lungo il busto, in modo cheil ghiaccio resti imprigionato. Jeremy miha riempito di ghiaccio la bocca e lavagina e il suo corpo limita i mieimovimenti. Mi sento come una specie diigloo umano alla rovescia. La sensazionedel calore corporeo all’esterno e di tuttoquel gelo intrappolato nelle cavitàinterne non è paragonabile a nulla cheio abbia già provato. Tutto il mio esserevibra nell’esperienza del fuoco e delghiaccio insieme, i brividi mi corronolungo il corpo, mentre questo divorarapido il ghiaccio accumulato in bocca enella vagina. I freddi intrusi combattonocontro l’ambiente che hanno invaso,mentre la mente annega in quel mare disensazioni.

Non posso gridare. E non grido.

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I ragazzi non mi lasciano finché ilghiaccio non si è sciolto del tutto.

Quando succede, Jeremy si china confare cerimonioso a raccogliere i succhidiluiti che ha contribuito a generare.Benché sfiancata dal gelo, sono umida divoglia e di umori.

«Lo vedi, Alex, te l’ho detto tante volteche da una bevuta di vodka può veniresolo del buono. Che esperienza, eh?».

Sono troppo sfinita per commentare.

La cosa strana è che non ho mai capitose avevano pianificato tutto oppure no…

Cerco di scacciare dalla mente illascivo ricordo e di concentrarmi su ciòche Jeremy sta facendo.

«Sembra piuttosto complicato. Chediavolo stai preparando?»

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«Non è complicato come sembra, ma nevale la pena lo stesso. Dopotutto noi duenon abbiamo spesso la possibilità di stareinsieme. Spero che non ti dispiaccia se hooptato per la versione Hemingway, datoche è venerdì sera. È un po’ piùcomplessa della versione francese; delresto quella boema rischierebbe di farpartire l’allarme antincendio».

Adesso ci capisco ancora meno.Jeremy solleva con fare cerimonioso

due bicchieri ghiacciati pieni di un’opacabevanda lattiginosa e me ne porge uno.

Porto il bicchiere alle narici con ariasospettosa. Ha un odore dolciastro, consentori di anice e liquirizia.

«Lo bevevano Vincent van Gogh, OscarWilde, Ernest Hemingway». Se con ciòspera di illuminarmi, si sbaglia di grosso.

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Prima che io riesca a fare altre domande,pronuncia un brindisi. «A te, Alexandra.Che tu possa esplorare e scoprire laversione illuminata di te stessa. Enaturalmente, che le tue rose fioriscanopresto», proclama ammiccando.

Porterò anche il più bel vestito cheabbia mai indossato, un vestito che mi fasentire affascinante come non mai, maall’improvviso siamo di nuovo ai tempidell’università, in procinto di imbarcarciin qualche giocosa avventura al limite delconsentito. Come allora. Mi sentoeuforica e preoccupata al tempo stesso,come un bambino piccolo che vieneportato al luna-park per la prima volta, emi concedo di lasciarmi condurre permano da Jeremy verso le tappesconosciute di questo weekend,

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ricordando a me stessa che lui non mifarebbe mai alcun male.

Per varie ragioni so che non è il caso dideludere le sue aspettative.

«Salute».«Sláinte», dico alla maniera degli

irlandesi, in omaggio alla lingua di unodei paesi che abbiamo visitato insieme.

Lo guardo negli occhi e poi mi lascioscivolare in gola il denso liquido bianco,i cui gradi alcolici mi aggrediscono subitoil sangue, scaldandolo all’istante.

«Ecco lo spirito giusto. Sapevo che nonmi avresti deluso. Questo weekend erascritto nel destino».

«Ma che cos’era, Jeremy?»«Assenzio, mia cara. La fata verde».Jeremy posa il bicchiere e mi viene

vicino con passo lento e sicuro. Non

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riesco a decifrare l’espressione dei suoiocchi.

«Allora, Alexandra, sei pronta per iltuo addio, ora?». Lo guardo senza capire.

«Ma se abbiamo appena cominciato.Credevo volessi due giorni interi».Mentre mi domando cosa voglia dire, ifumi dell’assenzio mi stanno già salendoal cervello.

«Voglio dire che è ora che tu faccia ciòche hai promesso». Mi prende la mano ecomincia ad accarezzarmi il palmosfiorandolo appena con la punta delledita. Io faccio un respiro profondo e misforzo di restare calma e posata.

«Parli di fermarmi per tutto il finesettimana? Jeremy, te l’ho già promesso,lo sai. Va bene. Rimango». Le mie parolesuonano deboli e inutili nel loro patetico

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tentativo di sembrare naturali. Jeremy sache la sua frase di poco fa mi ha fattoaccelerare i battiti, perché ha astutamenteposato le dita sulla parte interna del miopolso. Che cosa credevo di fare? Cercaredi darla a bere a un dottore, che scema. AJeremy, poi!

«Non provare a prendermi in giro,Alex. Sai benissimo che cosa haipromesso». Continua a tastarmi il polsomentre io mi sforzo di guardare altrove.

«Ah, parli di quello che ci siamo dettidurante il bagno? È a questo che tiriferisci?». Scuote la testa concondiscendenza, ma il sorriso non gli èscomparso dalla faccia.

«Sì , RS, parlo esattamente di quello.Non penserai che me ne sia dimenticato,vero?».

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Le sue parole sono cariche di allusionial passato, pur adattandosi alla perfezioneal momento presente. Mi scanso cercandodi mettere un po’ di distanza fra noi.

«Di che si trattava? Perché non eroproprio concentratissima. Riguardava laconferenza… i cinque sensi, vero?». Dicocon noncuranza nel tentativo di alleggerirel’atmosfera, ma la sua fronte aggrottata eil suo deliberato silenzio mi dicono cheavrei fatto meglio a tacere.

«Non dicevi sul serio, vero, Jeremy?Non puoi aver detto sul serio. Io credevoche volessi solo provocarmi, scaldarel’atmosfera…». Mi interrompe.

«Ti ho chiesto di promettermi due cose.Che avresti rinunciato alla vista e alledomande». Una pausa a effetto. «Perquarantotto ore. Molto semplice. Niente

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che una donna intelligente e sveglia comete non possa capire, ne sono certo». Il suotono mi fa sudare i palmi delle mani.Prosegue con piglio serio, che nonammette repliche.

«Alexandra, tu sai meglio di chiunquealtro che io non scherzo mai quando sitratta di promesse». Mi guarda conintensità ma mi permette di tenere ledistanze. Oddio, diceva sul serio. Vuoledavvero andare avanti con questa storia. Èproprio da Jeremy: portare le cose a unlivello imprevisto e mettermi alle strette.Lo ha già fatto tante volte. Lo sobenissimo, ha ragione lui. Lui gli impegnili prende sul serio, più di chiunque altroio conosca. Ma che avevo in testa? Faresciocche promesse così, a cuor leggero,solo per la fugace soddisfazione di un

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bell’orgasmo. Però, che orgasmo… E laprospettiva di averne degli altri è quasitroppo da sopportare. “Concentrati!”,intimo a me stessa.

«Ascoltami bene, Jeremy», dico seria,sforzandomi di apparire determinata e dipuntare i piedi. «Mi hai strappato quellapromessa sotto ricatto e sai bene quantome che non è valida». Posso solo speraredi essere riuscita a eguagliare il suo tonoperentorio. È la mia unica via d’uscita.

«Ah, quindi te ne ricordi. È già unpasso avanti. E tu lo chiami ricatto, miacara? Sembrava che la cosa ti piacesseabbastanza, a dire il vero». Il suo sorrisosottolinea l’ambiguità di ciò che stadicendo.

«Questo non toglie che fosse un ricatto.Sapevi che ero debole in quel momento e

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te ne sei approfittato». Faccio di tutto peressere convincente.

«Sei pronta?». Il tempo delladiscussione è chiaramente terminato.

«Ti prego! Vuoi davvero andare avanticon questa stupida storia della promessa?È una follia, Jeremy, non ha senso. Perchédobbiamo sprecare il nostro tempo così?Sarebbe così bello usarlo per… per stareinsieme, senza… senza tutta questatensione, senza giochetti. Siamo dueadulti, non abbiamo bisogno di questecose. È davvero infantile», dico, in predaa un crescente senso di allarme cheaggiunge alla mia voce una punta diesasperazione.

Lui socchiude gli occhi e mi guarda daquelle piccole fessure mentre avanzaverso di me. Faccio meccanicamente un

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passo indietro. Non ho scelta: devocercare di sottrarmi al senso di pericoloche mi circonda, per quanto seducente.Lui si avvicina ancora. Faccio un passoindietro e mi accorgo di essere arrivata albordo del tavolo. E adesso che faccio, mimetto a correre? È ridicolo, fuggire viadal mio migliore amico, dal mio examante. E poi io non voglio scappare, èquesto il vero problema. Devo farloragionare.

«Ti prego, Jeremy, per favore. Deviproprio farlo?», gemo disperata,bisognosa di tempo e di spazio. Lui micirconda i fianchi con le braccia e lepunta sul tavolo in modo daimprigionarmi. Il suo corpo preme controil mio, il mio spazio vitale è nullo; ilmassimo che posso fare è tenermi stretta

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al tavolo, oppure sdraiarmici sopra. I suoiocchi mi penetrano, mi frugano l’anima eio devo evitare a tutti i costi di ricambiareil suo sguardo, perché so che, sesuccederà, quegli occhi mi passeranno daparte a parte, violando il mio santuario.Adesso non ha più bisogno di sentirmi ilpolso; il mio corpo parla da solo. Comeaccade ai piloti di Formula uno, il miocuore adesso ha una sola velocità: quellamassima.

«Alex». È vicino a me, è deciso, è piùforte. Sento che la sua pazienza sta peresaurirsi. «Hai promesso. Sai cosasignifica questo per me. Noi due nonfacciamo promesse che non possiamomantenere, né a noi stessi, né ad altri. Èstato così da sempre. La nostra parola è ilnostro legame».

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Resto ammutolita dalla solennità edalla convinzione del suo discorso. Nonmi aspettavo una tale carica emotiva.Sento un brivido lungo la schiena.Ripenso ancora una volta alle circostanzedi quella promessa, cerco un appiglio, male immagini che vedo sono sempre lestesse. Jeremy aveva lo stesso tono, lastessa determinazione di adesso.

«Sono serio, Alexandra, lo saibenissimo. Non te la lascerò passareliscia».

Ma è proprio questo il problema?Voglio davvero andarmene? Questedomande silenziose mi tormentano.

So che, quando comincia a chiamarmicon il mio nome completo, c’è poco dascherzare.

L’atmosfera tra noi due è satura di

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energia repressa, di aspettative e diemozioni contrastanti. Ci sono tante coseche vorrei dire, tante cose che nonriescono a uscirmi di bocca. Che fine hafatto la mia voce? Le mie proteste? La miavoglia di fuggire? Che ci faccio ancoraqui? Perché accetto tutto questo? Deveesserci qualcosa che posso fare. Ho ilvuoto nella mente. Davvero questo è ciòche voglio? Ciò che desidero? Jeremy stasolo dando voce a un’aspirazione che honegato a me stessa per anni?… Oh no, gliho appena aperto lo spiraglio che stavacercando.

Continuo a scrutare i suoi occhicercando il motivo per cui tutto questo ècosì importante per lui. Perché insistetanto? So che fa parte del suo carattere; èsempre stato un tipo determinato, che

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ottiene quello che vuole, ma perchéadesso? Qual è la posta in gioco? Nonriesco a capire.

Deve aver intuito che la mia parteanalitica ha preso il sopravvento, perchéinterrompe in tono reciso le miemeditazioni.

«Basta adesso. È ora», proclama convoce stentorea. «Deciditi».

«Ho davvero scelta, Jeremy?».L’emozione mi fa tremare la voce.

«Hai sempre scelta, Alex, nondimenticarlo. Non sei stata costretta apromettere e io non ti sto costringendo arestare. Ti sto solo spiegando quali sonole condizioni nel caso tu decida di farlo».

Ah, Jeremy, che mente sopraffina!Mi prende le mani e mi conduce gentile

nella seconda camera da letto. Il cuore mi

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batte più forte a ogni passo. Non so se èper via dell’assenzio, dell’adrenalina, odei sentimenti che provo. Cercodebolmente di liberarmi dalla sua stretta.Non ci riesco. “Oddio”, penso, “in checosa mi sono cacciata?”. Osservo lastanza e vedo un’elegante benda di setaposata sopra una scatola dall’ariacostosa: è dello stesso colore del vestito,guarnita di delicato pizzo nero. Sulcomodino accanto ci sono una spugna peril viso, un flacone contenente un farmaco euno di collirio.

Una voce nella mia testa grida:“Vattene subito, immediatamente! Alza itacchi e scappa. Gli stai cedendo ilcontrollo. È sbagliato, non è questo chevuoi. Hai dei figli, un marito. Muoviti, vaivia! Non lasciarti coinvolgere”. Un’altra

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voce dice semplicemente: “Fallo”. Inizioa tremare. Jeremy mi abbraccia con farepossessivo. Come un grosso orso brunoinnamorato della sua preda. Le braccia miricadono inermi lungo i fianchi.

«Perché è così difficile, Alex? Deveessere una cosa eccitante, inebriante, nondeve farti tremare come una foglia su unalbero che teme di essere travolta dalvento».

«Perché è così importante che io lofaccia, Jeremy?»

«Lo hai promesso».«Ho la sensazione che ci sia dell’altro,

perciò dimmelo, ti prego, dimmi che stasuccedendo. Perché è così importante perte?»

«Concedimi di vivere questaesperienza con te, non sarà per sempre.

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Mi occuperò io di te, te lo prometto. Nonl’ho sempre fatto?».

Sospiro di nuovo mentre penso che haragione. Più di una volta ci siamo spintioltre i limiti, e lui mi ha sempre protetta.Mi sento confusa come qualunquesemplice essere umano scagliato su questaterra. Jeremy dice che ho scelta, ma io soche non è così. Se desidero restare, nonho scelta. È una percezione reale o me losto solo immaginando? Onestamente nonlo so. Sto annegando nei miei pensieri esentimenti, quando vedo una ciotola pienadi mele rosse dalla forma perfetta posataal centro del tavolo rotondo. Strano chenon le abbia notate prima, visto l’ovviosimbolismo. Per un fugace istante riflettosu come deve essersi sentita Eva mentre ilserpente la tentava suggerendole di

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mangiare la mela. Forse sapeva che era lacosa sbagliata, ma intuiva anche che ildestino aveva già preso il sopravvento, aprescindere dalle sue scelte. Era destinataa interpretare quel ruolo nella storiabiblica perché la tentazione era statadecisa a monte e andava oltre il suocontrollo? Oppure la scelta era stata sua esolo sua, e lei aveva voluto mangiarequella mela per vedere cosa sarebbesuccesso dopo? Riflettere su questodilemma non mi aiuta a risolvere il mio.

«Non so che fare, Jeremy. Non lo soproprio».

Nel profondo, so che queste parolesono le più sbagliate da dire all’uomo cheho di fronte. Ma la sua replica mi spiazzadel tutto.

«So di chiederti molto, ma ricorda: è

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stata la tua conferenza di oggi pomeriggioa suggerirmi l’idea. Nella peggiore delleipotesi sarà un’esperienza istruttiva, e nonmi pare che tu abbia mai voltato le spallea ciò da cui puoi imparare qualcosa. Soquanto è importante per te. Pensa a quelloche dici ai tuoi studenti e ai tuoi pazientiquando devono affrontare un ostacolo percrescere come individui. Che c’è di tantodiverso? Solo il fatto che adesso sono ioche chiedo a te di affrontare qualcosa, enon il contrario. Io ti sto dandol’opportunità di capire per esperienzadiretta il ruolo della stimolazione visiva,di conoscere personalmente ladeprivazione sensoriale, l’oggettoprincipale delle tue ricerche. Potrebbeessere per te l’inizio di un nuovo,importante filone di ricerca basato

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sull’esperienza personale, qualcosa chenon avresti mai preso in considerazione inaltre circostanze». Si interrompevalutando la mia reazione a quelragionamento, che è a dir poco stimolante.Devo ammettere mio malgrado che la suaproposta mi tenta, benché non sia affattosicura di avere la forza necessaria permetterla in pratica di persona.

«Non voglio che tu te ne vada. Vogliostare con te. Toccarti. Entrare in contatto.Io ti voglio, Alex, e per le prossimequarantotto ore voglio farti provare ciòche non hai mai osato. Voglio andare oltrei tuoi limiti, attingere alle radici del tuoessere, riportarti a te stessa. So per certoche è questo il modo. Per favore, fidati dime. Lasciati condurre in questo viaggio discoperta. Affidati a me». La sua voce ha

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un potere ipnotico, con la mente e con ilcuore sto assorbendo questi discorsi comeuna spugna assorbe l’acqua. Ha uncarisma seducente, inebriante.

Ormai sono schiava della sua voce,così come prima, in bagno, lo ero dellesue mani. Mi fa avvicinare al bordo delletto e mi fa sedere. Ogni cosa è immersain una quiete irreale. Mi sento stimolata,ma anche molto calma.

«Sai che ti ho sempre voluto bene,Alexandra, e che non ti farei mai delmale». La sua voce è melliflua, miaccarezza per tranquillizzarmi, per farmicedere. Annuisco piano, come a dire: “Loso, lo capisco”, ma dalla bocca non miesce alcun suono.

«Da quando ci conosciamo non ho maiincontrato nessun’altra come te, e so che

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non succederà mai». Mi passa le dita sullafronte, poi mi stringe le tempie con ipalmi delle mani.

«Rilassati, Ragazza Sexy, lascia che miprenda cura di te». La paura che poco fami faceva tremare adesso si èmisteriosamente dissolta, sostituita da unaserena consapevolezza. Il mio corpo èrilassato, e la mia mente è in balia delleparole di Jeremy. In questo momento nonso nemmeno se avrei la forza di alzarmidal letto.

«Me lo permetti? Ora?».Sento la mia testa fare un leggero cenno

affermativo.«Non opporrai resistenza?». La mia

testa fa cenno di no. Le mani si spostanolungo le mie spalle e, con dolcezza, miaiutano a stendermi sul letto.

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«Guardami, Alexandra». I nostrisguardi si incrociano. «Sei pronta achiudere gli occhi per quarantotto ore?»

«Sì», rispondo a bassa voce. Appenaquel suono mi esce di bocca, una lacrimarotola lentamente fino al letto, dovutaforse al pensiero di quello che accadrà inseguito alla mia decisione. Lui,comprensivo, bacia la scia lungo la miaguancia, come a dirmi che è cosciente delpotere che gli sto concedendo. Mi sollevail mento con le dita e mi prende la testafra le mani.

«Grazie». Mi sposta con dolcezza delleciocche ribelli dal viso e poi mi lasciacadere con fare esperto due gocce diunguento in ogni occhio. Sbatto lepalpebre e tutto intorno a me si confondein una visione sfocata.

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«Chiudi gli occhi, adesso». Faccio ungran respiro e li chiudo. Sento la leggerapressione delle sue dita che mi applicanol’unguento anche sulle palpebre, che sifanno subito pesanti. Dopo pochi secondi,il mondo è scomparso del tutto dal miocampo visivo e sono al buio completo.

Che cosa ho fatto?

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Paarte terzaa

La vita è una serie di lezioni chevanno vissute per essere capite.

Ralph Waldo Emerson

«Come ti senti?»«Un po’ disorientata». Mi metto seduta

sul letto con fare esitante. È davverobizzarro, mi sembra di essere in un sognofatto di tenebre. Non posso sollevare lepalpebre; sono come pesi morti sopra gliocchi. Continuo a girarmi a destra e asinistra alla ricerca della luce, ma

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ovviamente non ne vedo nemmeno unospiraglio.

«Allora, era tanto difficile?», chiedeper stuzzicarmi.

«Non è stato facile, possoassicurartelo. Non mi pare che tu ti siaproposto per farlo al posto mio».

«Questo è il tuo weekend, non il mio,cara». Non voglio ricominciare da capo.

«Che cos’era? Che cosa mi hai messosugli occhi?»

«Sta’ tranquilla. Nulla che i piùrigorosi controlli scientifici non abbianoapprovato. Non ti farei mai correre alcunrischio, lo sai. Sono un medico e prendomolto sul serio il mio giuramento».

Fantastico: l’autorità morale e il facileaccesso a tutte le sostanze che puòdesiderare.

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«Davvero rassicurante, dottor Quinn,vista la situazione in cui mi trovo».

Ride. «Scherzi a parte, stai bene? C’èqualcosa che posso fare per te?»

«Sono certa che potrai fare molto, datoche mi hai resa praticamente cieca! Sicuroche l’effetto passi?»

«Dura ventiquattro ore, prendere olasciare. Te le rimetto domani. Dimmeloquando comincia a svanire».

«Sta’ tranquillo. Appena vedo un filo diluce, sarai informato». C’è del sarcasmonella mia voce. Sollevo una mano pertastarmi gli occhi. Mi sembrano cosìpesanti, è una sensazione molto bizzarra.

«No, non lo farai». Mi ferma la mano.«Comunque non toccarti. Per questo timetterò la benda, per ricordarti dilasciare in pace i tuoi occhi».

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«Ma no. Non è necessario. Non vedo untubo».

«È necessario. Metterai la benda». Mela avvolge intorno alla testa. Setosa altatto, mi dà un senso di protezione.

«Ma bene. Anche questa mi calza apennello. L’hai fatta fare apposta?», dicoironica.

Lui non risponde. «Jeremy?». C’è unlungo silenzio.

«Sì, Alex, in effetti è proprio così».

* * *

«Vieni con me». Jeremy mi prende lemani e mi aiuta ad alzarmi dal letto. Miscordo di avere i tacchi alti e vacillo unpo’ prima di trovare l’equilibrio.

«Accidenti. È strano, davvero moltostrano». Mi mette un braccio attorno alla

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vita e mi guida, precaria come sono, fuoridalla camera da letto. Mi sembra diessere un’invalida. È incredibile che siasuccesso: sono cieca, in tutto e per tuttodipendente da Jeremy per i prossimi duegiorni. Sono tesa e nervosa, ma in qualchemodo è anche eccitante non sapere quelloche mi aspetta. Lo stato di annebbiamentodi poco fa si è dissolto, perciò ora possosolo sperare di non apprestarmi a vivereun incubo.

«Ecco, sediamoci sul divano». Misiedo con il suo aiuto sui soffici cuscini divelluto. Cerco a tastoni i braccioli ma nonli trovo. Mi chiedo come facciano i ciechia vivere così ogni giorno della loro vita.Non sapere quello che succede intorno ate, dove sono le cose. L’aspetto positivo,mi dico, è che ho già trascorso del tempo

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in questa suite. Ho un minimo difamiliarità con l’ambiente che micirconda.

Un colpo alla porta mi fa trasalire.«Resta qui. Torno subito». Le nostre

mani si staccano prima che io possareplicare. Jeremy saluta in fretta lapersona che ha bussato mentre io me neresto seduta sul divano, una perfetta idiotacon una benda. Che imbarazzo.

Sento un rumore di piatti che vengonosistemati con efficienza, una bottiglia chesi tuffa nel ghiaccio. Starà mettendo infresco altro champagne? Nella stanza c’èun vago odore di cibo. Jeremy nonscambia una parola con i nuovi arrivatimentre questi sbrigano il loro lavoro. Sene vanno poco dopo. Jeremy li ringrazia echiude la porta alle loro spalle.

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Si siede al mio fianco e mi mette inmano un bicchiere di champagne.

«Grazie Alexandra. Non sai quanto siaimportante per me».

È così strano non poter vedere che nonso cosa dire, così resto in silenzio. Sentoil tintinnio nei nostri bicchieri e provo ilforte impulso di mandare giù le bollicineil più in fretta possibile. Bevo tutto d’unfiato, spinta da un bisogno imperioso. Eall’improvviso mi sento del tutto fuoricontrollo, la realtà della situazione micolpisce come un mattone in testa. Miritrovo a desiderare dell’altro assenzioche mi permetta di assentarmi da tuttoquesto. Che cosa mi è saltato in testa?Potrebbe accadere qualsiasi cosa… Gliho letteralmente servito me stessa su unpiatto d’argento. Ma sì, che differenza

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vuoi che faccia un bicchiere di champagnein più o in meno? Almeno, se muoio, nonsarò cosciente delle cose orribili che mistanno succedendo. La parte razionale dime protesta subito contro la dubbia logicadi questo ragionamento. Capovolgo ilbicchiere, ma deve essere vuoto visto chenon ne esce nulla.

«Caspita, Alex, non bevi mai così infretta!».

«No, Jeremy, infatti non lo faccio mai.Ma a mali estremi, estremi rimedi». Posoil bicchiere sul tavolo di fronte a me. «Tidispiace versarmene dell’altro, perfavore? Questo champagne è delizioso».

«Sei sicura?»«Oh sì, sono sicura al cento per cento

di voler bere altro champagne. Me loverserei volentieri da sola se tu avessi la

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bontà di guidare la mia mano verso labottiglia, ma non voglio correre il rischiodi macchiare questo lussuoso tappeto acinque stelle», dico con voce tagliente.

«Sei arrabbiata con me?».“Ma guarda: lo scienziato pazzo è un

tipo sensibile”, penso sarcastica. Forsenon è così brillante come credevo. Oforse invece sì? Sì, sono arrabbiata conlui, ma molto di più lo sono con me stessaper aver favorito questa ridicolasituazione. Ritrovarmi cieca mi ha scossanel profondo. Una cosa è essereincuriositi da un’idea e dalle sueimplicazioni erotiche, altro è sapere cheresterò in questo stato per le prossimequarantotto ore. Il panico aumenta manmano che mi si insinua nelle ossa laconsapevolezza di ciò che mi sono

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lasciata fare.Non posso vederlo, non posso leggergli

in faccia le sue intenzioni. Me ne sto quicon il bicchiere vuoto in mano, in attesache lui me lo riempia in modo da nonpensare a quello che mi sta succedendo.

«Alexandra, sei certa di esserearrabbiata con me? Onestamente?».

Ecco che ricomincia a chiamarmiAlexandra. Resto in attesa, la mano con ilbicchiere sollevata nella direzione da cuimi pare provenga la sua voce. Lui loprende, lo riempie e me lo rimette inmano. Grazie al cielo. La sensazione delliquido frizzante sulle labbra mi dà unimmediato sollievo. Decido di ignorare ladomanda, pensando così di guadagnare unminimo di potere su di lui.

«Delizioso questo champagne. Che

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cos’è? Non mi pare di averlo mai bevutoprima». Peccato che Jeremy mi conoscaabbastanza da sapere che quando parlo inmaniera formale, in realtà sono moltoagitata. Insomma, mi conosce bene quantoio conosco me stessa, forse anche meglio.Altrimenti non mi troverei qui in abito dasera, con una benda sugli occhi,prigioniera per un intero fine settimana inuna suite di lusso. Saperlo rende il tuttoancora più frustrante.

«È Krug. È quello che abbiamo bevutoalla mia laurea. Ti piacque anche allora,dicesti che ti faceva un effetto moltopiacevole, così…».

«Oh, sì, adesso ricordo», lointerrompo. Non ho alcuna voglia di starea rievocare i vecchi tempi. Sono un fasciodi nervi, tutta la calma ipnotica di poco fa

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si è volatilizzata. «Be’, ragione in più perberlo anche ora», dico prima di mandargiù un altro sorso. Almeno questa voltanon lo tracanno tutto d’un fiato. SentoJeremy sospirare.

«Non vuoi almeno qualche horsd’œuvres per accompagnare lochampagne?».

Devo ammettere che non midispiacerebbe mangiare qualcosa. Anchese sono quasi fuori di me e sull’orlo diuna crisi, so che la mia parte razionalenon approverebbe altro alcol a stomacovuoto.

«Sarebbe magnifico, ti ringrazio», dicotutta compita e formale. Me lo posso soloimmaginare mentre alza gli occhi al cieloesasperato dal mio comportamento.

«Apri la bocca, per favore». È vicino a

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me.«In mano andrà benissimo». Questo

tono assertivo mi dà una piacevolesensazione di controllo.

«Alex, è ridicolo». Bevo un altro sorsodi champagne in segno di sfida. Forsececità non equivale, come credevo, acompleta dipendenza. Non riesco atrattenere un ghigno. Lui mi toglie ilbicchiere di mano con un gesto brusco.

Il ghigno scompare di colpo.«Apri la bocca e riavrai il tuo

bicchiere».Sto per rispondergli a tono quando

qualcosa di piccolo e squisito mi si posasulla lingua. Colta di sorpresa, con quelboccone che mi solletica le papillegustative, decido di chiudere la bocca emasticare. Del resto sarebbe un peccato

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sprecare una simile leccornia. Dopo pochisecondi ne arriva un altro. Blinis, unavera delizia. Sento il gusto intenso dellatrota affumicata, quello leggero dellacrêpe di granturco, le uova di lompo chemi scivolano lungo il palato. L’aromaleggero di finocchio mi conferma che sonouguali a quelle che mangiammo in Russiatanti anni fa. Che meraviglia! Però, perfortuna, stavolta beviamo champagneanziché vodka come allora. Uno spuntinoera proprio quello che ci voleva.

«Ancora?», mi domanda. Annuiscovoltandomi verso di lui, restia aconcedergli la soddisfazione di una paroladetta a voce alta. Stavolta è qualcosa dicaldo e morbido, aromatizzato con aglioed erbe.

«Mmh…». Non riesco a trattenere un

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gemito di piacere. «Deliziose. Cosa sono?Capesante?»

«Esatto». Mi tampona l’angolo dellabocca con un tovagliolo di lino.«Ancora?»

«Sì, grazie», rispondo. Dopo averinghiottito il boccone, mi viene restituitoil mio bicchiere di Krug. Percepisco lasoddisfazione di Jeremy per essereriuscito ad ammansirmi con un po’ di altacucina e dello champagne. Il buon cibo eil buon vino elevano lo spirito, mi ritrovoa pensare.

«Posso sapere a cosa pensi?».Alla fine giungo alla conclusione che la

mia rabbia derivi dall’ansia provocatadall’aver perso il controllo, considerandoche sono abituata ad avere sempre inmano le redini di tutto. Decido quindi di

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scrollarmi di dosso tali emozioni,consapevole che non mi sarebbero utili inalcun modo. Date le attuali circostanze,anzi, renderebbero i prossimi due giorniun incubo per entrambi, così mi calmo egli dico a cosa sto pensando. Lamomentanea cecità e la dipendenza che neconsegue mi rendono ancora nervosa, mapreferisco alleggerire l’atmosfera elasciare che la conversazione fluisca.

Dopo qualche minuto di chiacchiere,Jeremy mi si siede accanto.

«Adesso dimmi come ti senti. Ti staidivertendo?».

Mi fa alzare in piedi con delicatezza.«Oh, fammi capire bene. Tu puoi

chiedermi tutto quello che vuoi, mentre ionon posso fare nessuna domanda? È cosìche funziona?». Mi sfiora il collo e la

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clavicola con le labbra, così lentamenteche la sensazione è quella di una piumasulla pelle.

«Sì, è così che funziona. Per questoweekend, s’intende. Dopo avrai tutto iltempo che vuoi per le domande. Allora,dimmi: non ti eccita tutto questo?». Le suelabbra mi arrivano nei pressi del seno esento il respiro farsi corto per lacentesima volta da stamattina. Tutto il miocorpo freme al suo tocco, sento la vaginagonfiarsi e bagnarsi. Non riesco atrattenere un sospiro.

«Oh, deduco che la risposta è sì», misussurra nell’orecchio sfiorandomi il lobocon i denti.

«Sì», dico senza fiato. «Un po’ mieccita». Non voglio che mi tappi la boccacosì come mi ha bendato gli occhi. Con le

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labbra sfiora le mie.«Eccita anche me. Tantissimo», dice

guidandomi la mano verso il cavallogonfio dei pantaloni. Devo ricorrere atutto il mio autocontrollo per non buttarmiin ginocchio e divorarlo. La forza dellasua ruvida carica sessuale quasi miparalizza. Mi chiedo se so davvero chisono…

Proprio in quel momento squilla iltelefono, interrompendo le mie fantasie eriportandomi alla realtà. Lui continua atenermi per mano, così lo seguo, cieca,avanzando con cautela forse esagerata perrestare in equilibrio sui tacchi.

«Magnifico, grazie. Stiamo arrivando».Riappende. «Alex, sembri in preda alpanico. Che c’è che non va?»

«Oh, niente. Proprio niente. Perché?»,

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dico torcendomi nervosa le mani. Com’èpossibile che anche con una benda sugliocchi sappia leggere così bene la miamimica facciale?

«Okay. Sei pronta per venire a cena conme?». A queste parole, il panico siimpadronisce del tutto di me. Non puòdire sul serio. O invece sì?

«Jeremy, non possiamo uscire a cena…io non posso andare fuori in questo stato.Ti prego, dimmi che stai scherzando».

«Certo che possiamo. Perché dovreisprecare tanta bellezza e tenerti rinchiusain una stanza d’albergo? Non avrebbesenso».

Ricomincio a respirare a fatica. “Sta’calma, respira”, mi dico. Ma non riesco aimpedire a una raffica di parole di uscirmifreneticamente di bocca.

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«Fino a che punto hai intenzione dispingermi, stasera? Non ce la faccio, ètroppo. Appena riesco ad accettare unadelle cose che mi chiedi, ecco che tu vuoidi più, e poi ancora di più!».

Riprendo fiato prima di continuare ilmio sfogo. «Non so più cosa pensare,cosa provare, cosa dirti. Tutto questo ètroppo irreale, troppo insolito per me».

Sento la mia voce alzarsi e abbassarsirapida, alla ricerca di parole cheesprimano l’agitazione che minaccia ditravolgermi.

«Io non ho filtri, Jeremy. Sei stato tu aspazzarli via, o forse io te l’ho permesso.Non lo so. Comunque non può venirneniente di buono. È una vita che studio perpoter dare risposte ponderate e motivate,e adesso tu devi ascoltarmi. Non so cosa

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penso, cosa provo, cosa sto facendo.Perché hai voluto mettermi in questasituazione?».

Jeremy non risponde, ma sento la suavicinanza e intuisco che mi sta fissandocon attenzione. Riprendo fiato e cerco diriacquistare il controllo. Mi sento comeun bambino che si è perso nel bosco e nonsa di chi fidarsi né da che parte andare.

Sento la sua mano sulla schiena mentre,tenendomi per il polso, mi guida confermezza verso quella che suppongo sia laporta della suite. La sento aprirsi.

«Oh, no, ti prego, restiamo qui. Che oresono, poi? Non è tardi per andare a cena?Non ho molta fame, abbiamo gli antipasti.Davvero, perché sprecare…».

Continuo a parlare cercando scuse perdissuaderlo, con i tacchi piantati nel

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tappeto.«Non possiamo farci vedere in

pubblico, te ne rendi conto?».Cerco altri argomenti mentre lui mi

spinge insistente verso la porta.«Come ti viene in mente di portarmi

fuori in queste condizioni? Sono bendata,santo Dio, e non porto nemmeno lemutande».

I miei tacchi si arrendono e mollano lapresa sul tappeto, così vengo catapultatatra le sue braccia e condotta, immagino, aldi là della porta. Cerco di reggermi inpiedi come posso, con lui che mi tienestretta a sé.

«Dove stiamo andando?», gli chiedonel disperato tentativo di ottenere dellerisposte. Il suo silenzio mi esaspera.All’improvviso mi spinge con forza

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contro il muro, il viso vicinissimo al mio,il peso del suo corpo premuto contro laseta dell’abito.

«Lo so che hai delle domande, Alexa.Ne hai sempre. Come ti ho già detto, inquesto weekend non c’è spazio per le tuedomande. Ho contato quelle che mi hairivolto finora e ti consiglio di smetterla,perché per ogni domanda ci saranno delleconseguenze. Adesso controllati!»,aggiunge perentorio. «Ti porto a cena. Seibellissima e non c’è nulla per cui tu debbasentirti in imbarazzo. Un’altra cosa, datoche in questi due giorni sarai a miadisposizione, non voglio che tu mi chiedapiù che ore sono. Mi hai capito?».

È talmente vicino che le sue parole mifanno girare la testa. Resto muta di frontealla crudezza di ciò che ha detto, mentre il

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suo profumo inebriante e la sua semplicepresenza invadono ogni centimetro delmio spazio vitale.

«Mi sono spiegato?». Scandisce condurezza ogni sillaba. Sono sconcertata dalsuo scatto, dalla sfumatura cupa nella suavoce, al punto che mi astengo daqualunque commento frivolo o sbrigativo.È tutto molto strano, la tensione palpabile.Opto per un piccato silenzio che misembra la strategia più sicura, anche se lasua erezione continua a crescere contro lamia pancia. Mi afferra per le spalle e micostringe a girarmi, mi preme apposta ilseno contro il muro e mi assesta un paiodi violente sculacciate che mi lascianoaddosso una sensazione pungente, per meincomprensibile. Era l’ultima cosa che miaspettavo da lui. Sono inorridita. Mi ha

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appena colpita! Bendata, nel corridoio diun albergo. Mi volta di nuovo con forza,ho l’impressione che voglia godersi ilterrore che mi si è dipinto sul viso grazieal suo gesto.

«Ti ho fatto una domanda, Alexandra.Ci siamo capiti?», dice con quel tonoserio, metallico. Riesco a dire solo:«Perfettamente», con il sedere che brucia,inerme, premuto contro il muro. Questa èuna novità. Mi ha fatto di tutto, in passato,ma mai niente del genere.

«Bene. Andiamo». Mi prende per ungomito e mi guida brusco lungo ilcorridoio; i miei tacchi percuotonorumorosi il pavimento duro nel tentativodi stare al passo con lui. Esseresculacciata è una novità assoluta per me.Non ricordo l’ultima volta che è accaduto,

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nemmeno se cerco di risalire all’infanzia.Di certo a Robert non è mai venuto inmente di fare una cosa simile. In camerada letto è sempre stato monotono esvogliato, per niente fantasioso. Mi rendoconto che Jeremy è l’esatto contrario diRobert: vivace, imprevedibile… quantomi è mancato tutto questo! Anche adesso,umiliata e fuori di me come sono, sentol’adrenalina pomparmi dentro come nonmi succedeva da anni. Sono davvero viva.

Sento una specie di scampanellio, leporte dell’ascensore si aprono e Jeremymi guida nella cabina. Prendo un granrespiro e pronuncio mentalmente unapreghiera: “Ti prego, fa’ che nonincontriamo qualcuno che conosco. Tiprego!”. Le porte si chiudono e Jeremynon perde tempo: mi accarezza le cosce,

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l’umidità fra le mie gambe non fa cheaumentare e io divento più accomodante,ed è allora che mi schiaffeggia di nuovo lenatiche. Non me l’aspettavo… com’èpossibile che io sia terrorizzata e nelcontempo così eccitata? Jeremy conosce amenadito i miei punti sensibili ed è unmedico, conosce l’anatomia del corpoumano e non si lascia sfuggire una solaopportunità di trattare il mio corpo comeun suo radar personale, testandolo eosservandone le reazioni per sfruttarle aproprio vantaggio.

È disorientante non essere in grado diprevedere la propria eccitazione. Èevidente che per questo sono necessari glistimoli visivi. E ancora più disorientanteè non avere idea di quello che sta persuccedermi. Vorrei gridare, tanto è il

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senso di impotenza, ma poi una leggeracarezza data nel modo giusto fa ruggire ilmio corpo, lo costringe ad assecondarequello stimolo e a volerne sempre di più.Non so se il mio corpo mi stiadeliberatamente tradendo o se conosca imiei processi mentali meglio di quanto ioimmagini.

«Per favore, Jeremy, smettila. Miriesce già difficile concentrarmi su quelloche mi succede intorno senza le tue maniaddosso che mi distraggono ognisecondo».

«L’idea principale in questi due giorni,Alexa, è proprio che tu non debbaconcentrarti su nulla».

«Be’, questo non è possibile»,sentenzio esasperata.

La porta dell’ascensore si apre e sento

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un refolo d’aria fresca sollevarmi icapelli dalle spalle. Qualcuno salutaJeremy. Sento il sangue affluirmi alleguance e sono certa di essere arrossitacon violenza.

«Dottor J, che piacere che sia riuscito aunirsi a noi stasera, è passato troppotempo!».

Mi tremano le gambe, ma Jeremy mispinge avanti con mano sicura.

«È bello rivederti, Leo».«Le mostro il suo tavolo». Vengo

accompagnata a un divano su cui Jeremymi aiuta a sedermi. Accavallo subito legambe, consapevole di non portarebiancheria intima, e maledico Jeremy peravermi messo in questa situazione che mifa sentire a disagio come mai nella miavita.

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E poi, chi accidenti sarebbe Leo eperché sento questo vocio intorno a me?La fronte mi si sta imperlando di gocce disudore, l’ansia torna ad assalirmi alpensiero dell’ignoto. Ma perché sono cosìtesa? “Rilassati, goditela”, mi dico. Mami rispondo che è impossibile.

«Cosa beve questa sera?»«Prendiamo due Martini extra dry,

mescolati ma non shakerati, con unafettina di limone».

La risposta di Jeremy mi sorprende. Haappena ordinato un Martini proprio comelo preferisco, anche se non tocco unMartini da oltre dieci anni. Incredibile.

Mi sforzo di restare calma per riuscirealmeno a capire dove mi trovo, e micongratulo con me stessa per questi pochisecondi di autocontrollo. Noto che il

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tappeto è spesso e soffice, le voci basse;una musica imprecisata aleggia discretanella stanza. Quando mi ricordo che nonsiamo soli, l’ansia torna ad attanagliarmifinché Jeremy non interrompe la spiraledei miei pensieri.

«Immagino che ti faccia piacere bere unMartini… è così che lo prendevi semprequando eravamo in Europa».

«Il Martini è l’ultima delle miepreoccupazioni». Mi sforzo di parlare convoce calma. «Come hai potuto portarmiqui, con altra gente? E se qualcuno ciriconosce? Non posso credere che tuvoglia compromettermi. Stai facendocorrere a entrambi un enorme rischio sulpiano professionale. Come hai potuto? Èinaccettabile». La tensione mi cresce nellevene come uno tsunami, il cuore mi batte a

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un ritmo ingestibile e la sudorazione nonraffredda il mio corpo come dovrebbe. Hasuperato il limite, non è giusto. Mi torcole mani, mi passo i palmi sudati sulleginocchia. Ho il respiro corto e ansimo,non è difficile capire che sto per avere unattacco di panico. Jeremy mi prende lemani.

«Calmati, va tutto bene. Ti stai agitandoper niente».

Per niente? Non credo alle mieorecchie. «Non va bene affatto!», esclamoquasi fuori di me. Cerco di controllare,per quanto possibile, il tono della voce,non sapendo chi c’è nella stanza, chi èquesta gente. È importante? “Sì che èimportante, porca miseria”, mi rispondo.E Jeremy lo sa, non c’è alcun dubbio,come sa che non manifesto le mie

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emozioni in pubblico.«Perché mi hai messa in questa

situazione? Come hai osato? Chi è questagente?».

Mi sento vulnerabile, sola, del tuttoimpotente.

Il mio corpo trema, invaso da questoincontenibile torrente di emozioni. Non èaffatto facile come credevo sarebbe stato,e sono un po’ delusa da me stessa per nonessere in grado di gestire la cosa in modopiù professionale. Ma cosa c’è diprofessionale nello stare seduti a untavolo con una maledetta benda sugliocchi? Dio sa cosa penseranno, vedendouna donna bendata litigare con uno deiricercatori medici più stimati del Paese,per non dire del mondo. O forse, chissà,qui all’Intercontinental potrebbe essere il

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“venerdì bendato” e tutti se ne vanno ingiro conciati come me! Magari.

All’improvviso ho un lampo di lucidità,di sicurezza. Mi accorgo di averriacquistato il controllo. Ho ancora legambe per camminare, le mani persollevare questa benda soffocante e averealmeno una visione sfocata e scura di ciòche ho intorno, una voce per dire No!,l’unica parola che non sono mai stata ingrado di dire a Jeremy. Se ho fortuna,potrei anche convincere uno dei presentiad aiutarmi a uscire da questa situazioneincresciosa. Appena questi pensieri miattraversano rapidi la coscienza, mi sentodi colpo in grado di agire.

«Non posso farlo, Jeremy. So che lodesideri e ci ho provato, ma non posso.Mi dispiace di avertelo promesso, è stato

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uno stupido errore. Mi sono accorta chetutto questo per me è ingestibile». Dettociò, mi alzo e sollevo le mani pertogliermi la benda che mi causa tantoimbarazzo e umiliazione. Appena con ledita sfioro la seta, Jeremy mi si avventacontro mandandomi lunga distesa suldivano. Mi afferra le mani e me le bloccacon forza contro lo schienale. È acavalcioni su di me, sono bloccata suicuscini, ammutolita dalla violenza del suoassalto. La tensione tra noi è insostenibile.Lui stringe la presa intorno ai miei polsi,assicurandosi che io non abbia alcunospazio di manovra sotto il peso del suocorpo.

«Tu farai quello che hai promesso. Haidetto di sì e non ti sei concessa nemmenoil tempo necessario ad adattarti. Non devi

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gestire niente, non devi controllare niente.È il tuo problema, e finché non smetti difarlo ti sentirai sempre così. Voglioessere molto chiaro: farò tutto ilnecessario perché tu mantenga lapromessa. Ti voglio così come sei ora,Alex, e niente mi impedirà di averti, menoche mai le tue insicurezze». Parla a vocebassa, perentoria, implacabile. Sento isuoi muscoli contro le gambe, contro lecosce, la sua eccitazione gonfiarsi sopradi me. Dio santo! E adesso sono io che mieccito di conseguenza. Come può farmiquest’effetto? Vuole me… quanto tempo èpassato dall’ultima volta che mi èsuccesso? Sembra una vita. E anche io lovoglio, ma non a queste condizioni. Chec’entrano poi le mie “insicurezze”?

Ridotta al silenzio, gemo impotente

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sotto il suo peso.«Potrai toglierti la benda quando

saranno finite le nostre quarantotto ore.Prima non la toccherai e non andrai innessun posto». Parla con unadeterminazione che non ammette repliche,carica di lussuria. Accidenti, che ne èstato del senso di potere che provavoqualche secondo fa? Niente più occhi pervedere, gambe per correre, mani damuovere. Mi ha letteralmente tolto ogniforma di controllo, e la sua reazione fisicaa questo non lascia dubbi sul fatto che netragga piacere. E a quanto sembra ancheio.

«Be’, è evidente che sei disposto ausare misure estreme per impedirmelo».Gli do atto di avermi bloccato del tutto imovimenti. Anche mentre mi chiedo

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perché diavolo mi eccitino tanto le suemisure estreme, sento crescere la miavoglia di secondo in secondo.

«Fidati, Alex, il divertimento deveancora cominciare, e sono certo che neandrai pazza se solo ti concederai dilasciarti andare».

“Adesso cosa sei, il mio terapista?”.Concludo che ribellarmi è inutile, servesolo a rafforzare i suoi propositi; mistringe con più forza i polsi e le cosce. Mimetto a valutare con rapidità lepossibilità. Come leggendomi nelpensiero, Jeremy dice calmo: «Non ticonviene metterti contro di me in questacosa, AB. Perderesti».

Sono sul punto di replicare quando luipreme con forza la bocca contro la mia emi insinua la lingua tra le labbra

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solleticandomi il palato, invadendomi lagola con impeto, eccitato dal fatto disapermi bloccata sotto di lui. Misommerge il viso lasciandomi senza fiato.Il suo potere è pura carnalità che il miocorpo non sembra per niente ansioso direspingere.

«Sei mia per tutto il fine settimana.Smettila di opporti, stai sprecando energieche possono essere usate in modo moltopiù utile», dice con voce bassa eprofonda. «Ma guardati: sei uno schianto.Peccato che siamo in pubblico, altrimentiti toglierei quel vestito e ti prenderei qui».

Mi sembra di sciogliermi sotto di lui.La sensazione calda, pulsante e dolorosache ho tra le gambe e il respiro corto nonlasciano dubbi sui miei reali desideri.

«È così bella, ma non vuole star

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buona…», riflette, e per un lungo istantemi tiene il mento e le guance con le mani,mentre è ancora a cavalcioni su di me.Sento la sua erezione indurirsi contro lamia coscia.

«Non mi lasci scelta. Leo, per favore,mettile le manette».

«Certo signore. Subito».Jeremy mi solleva le spalle e mi infila

le mani sotto le braccia per assicurarsiche non mi si pieghino in modo dolorosodietro la schiena. Leo, chiunque sia, mimette intorno ai polsi qualcosa chesomiglia a delle manette imbottite e lechiude con abilità sorprendente.

Mentre Jeremy rimette la benda al suoposto, io me ne sto muta, cieca eansimante sul divano. Che diavolo stasuccedendo? Questa non è una follia da

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studenti, di cui ridere insieme. Jeremy hadetto chiaramente che è pronto a tutto purdi ottenere quello che vuole. Perché? Ipensieri mi galoppano nel cervelloinsieme al battito del cuore, nel tentativodi capacitarsi di quanto mi è appenaaccaduto. Sento l’energia pulsarenell’aria. Cosa lo ha fatto diventare cosìprepotente? Che cosa mi è sfuggito?

«Avevo dimenticato quanto fossitestarda. Sei incorreggibile». Ed ecco ilvecchio Jeremy che parla con me.Incredibile.

«Testarda», esclamo con voce stridula,ancora in preda allo stupore. «Come faia…».

«Parla a bassa voce, per favore. Saràdifficile darti da mangiare se dovròimbavagliarti», dice con tutta calma.

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«Non oseresti…».Mi interrompe brusco: «Oserei invece.

Sai che lo farei. Prima ti arrendi al miovolere, prima conoscerai la libertà»,sussurra con aria complice. Che cosa vuoldire?

Mi agito inquieta sul divano, incredulaall’idea di avere davvero le mani legatedietro la schiena. È vero, abbiamo deitrascorsi di sesso sperimentale, maJeremy non si era mai spinto tanto in là.Non c’era mai stata tanta insistenza, néquesto autoritarismo esplicito. Ammettoche ormai la situazione è assolutamente aldi fuori del mio controllo. Solo, noncapisco che cosa abbia scatenato tuttoquesto e perché…

Un momento mi sento vicinissima a luiin ogni senso, il momento dopo sono lì a

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chiedermi chi ho di fronte. Sono unamadre, Dio santo! Come diavolo sonofinita in questa situazione? È un gioco?Uno scherzo? Mi sta mettendo alla prova?Vuole spingermi al limite? Se si tratta diquesto, ci sta riuscendo benissimo. Sonoconfusa, in preda al panico e, cosaassurda e irritante, eccitatissima.

* * *

«Bene, non sprechiamo questi Martini».Jeremy mi solleva il mento e mi fa

scivolare con cura il liquido in bocca.Non gli parlo. Sinceramente non sapreicosa dire. Riesco a malapena a muovermi.Dopo quello che è appena accaduto, miterrorizza la sola idea di oppormi ai suoidesideri, e questo è senza dubbio l’effettoa cui mirava, perciò resto seduta in

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silenzio, come un manichino. È come seogni cellula del mio corpo avesse unacarica elettrica e fosse all’erta, in attesadella sua prossima mossa. Mi sentoaddosso una strana energia. So che stacercando di decifrare quello che mi passaper la testa. Mi sforzo di tenere a bada ilrespiro, le emozioni, i pensieri… Non ciriesco. Altro liquido fresco mi bagna lalingua e mi scivola in gola. Non loincoraggio. Né mi oppongo. Sonoparalizzata da una paura dell’ignoto chenon riesco a definire. Nonostante mi sentamolto vulnerabile, potendo contare solosu Jeremy, tutto ciò mi seduce e mi eccitaalla follia. Che altro posso fare se nonaccettare questa bizzarra serie di eventiastenendomi da proteste e lamenti? Ementre mi rassegno a questo stato di cose

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devo ammettere che non mi sono maisentita, in tutta la mia vita, così speciale,così desiderata e vezzeggiata.

A quanto pare abbiamo finito i nostriMartini, perché vengo aiutata ad alzarmiin piedi. Jeremy mi infila un bracciodietro le mani legate e mi cinge la vita. Ciincamminiamo in silenzio. All’improvvisomi sento sollevare da terra e Jeremy miporta senza fatica su per una scala. Esserepresa e trasportata con tanta facilità mi fasentire ancora più fragile, ancora piùdipendente. Non ho modo di difendermida lui sul piano fisico, e sul pianoemotivo sono sconfitta in partenza. Nonmi è mai accaduto di affidarmi cosìcompletamente a qualcuno. Sono abituataa essere una donna autosufficiente, equesta dimostrazione di possesso mi fa

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tremare le ginocchia.Sento il rumore di una porta che si apre

e dell’aria fresca intorno a me. Jeremy mifa sedere subito su una sedia. Sento ilbaccano della città ai miei piedi, l’ariacalda e umida sulla pelle. Immagino siauna bellissima serata, così come lagiornata che l’ha preceduta. Sono felice ditrovarmi fuori dall’energia paralizzante diquella stanza. Tutto il mio corpo freme disollievo per il nuovo ambiente e per ilsenso di spazio che mi circonda.

«Hai freddo?». Di sicuro mi staràfissando con intensità. Prima di riuscire aimpedirmelo, scuoto la testa in rispostaalla sua domanda. Con tanti saluti alproposito di ignorarlo. Resto seduta,eretta e silenziosa. Avverto che sta ancoracercando di decifrare le mie reazioni.

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«Ti va di sentire della musica opreferisci il silenzio?». È sempre statobravo a fare domande a cui si possarispondere solo con un sì o con un no.Dentro di me sospiro, ma non glirispondo. È il suo gioco, con le sueregole, perciò che decida lui.

«Musica, allora».Alle sue parole parte un sensuale brano

jazz a basso volume. La musica sembraeseguita dal vivo, e alzo la testa consorpresa nella direzione da cui proviene.È dolce e melodica, vagamente familiareanche se al momento non riesco acollocarla. Un profumo leggero misolletica le narici e mi concentro su diesso per capire di che si tratta. Riesco adistinguere un aroma squisito dicoriandolo fresco, peperoncino, dello

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zenzero e forse olio di sesamo. Jeremy mista lasciando il tempo di assaporare ericonoscere il profumo del mio piattotailandese preferito. Lo solleva con curaverso le mie labbra, come a stuzzicarmil’appetito. Gli lascio fare il suo stupidogiochino.

«Dio, sei stupenda: seduta lì,bellissima, così vulnerabile e cocciuta. Èuna serata spettacolare, lascia che te ladescriva. Una luna piena meravigliosa chesorge a oriente, non una nuvola in cielo.Le luci della città risplendono tuttointorno a noi. Siamo sul tetto dell’hotel,soli, perciò non devi preoccuparti chequalcuno possa riconoscerci. La tavola èapparecchiata in modo semplice masofisticato, proprio come sei tu. Hoordinato i tuoi piatti preferiti, il tuo vino

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preferito, la tua musica preferita. Siamofinalmente in grado di concederci questecose in grande stile, senza badare a spese.Alexa, ho desiderato con tutto me stessodi vivere questo momento con te, e larealtà è ancora più perfettadell’immaginazione. Sei tutta per me.Vederti seduta qui, cieca e legata, eppurecosì coraggiosa, mi manda in visibilio.Potrei scioglierti i polsi, ma averti sedutadi fronte a me in queste condizioni mieccita al punto che voglio essere egoista eprolungare ancora un po’ questomomento».

Le sue parole mi lasciano senza fiato eil mio corpo reagisce proprio come se miavesse toccata. La musica mi accarezzapiano.

«Mi concedi un ballo?». Suona come

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una domanda retorica, dal momento chemi sta già facendo alzare. Mi libera ipolsi da dietro la schiena solo perriallacciarseli intorno al collo. A quantopare mi tocca ballare, che ne abbia vogliao meno. Crede sul serio che potrei fuggirea piedi dal tetto di un palazzo con gliocchi bendati? Il pensiero mi sfiora lamente, seducente… riconoscoall’improvviso il motivo che stannosuonando fin dal nostro arrivo. Jeremyinizia a muovere i fianchi e io lo imitogoffa, non avendo scelta. Mi stringe a sé epian piano cominciamo a muoverci insincrono. Mi fa appoggiare la testa allasua spalla, sento la stoffa soffice dellacamicia contro la guancia e il battito delsuo cuore. Non riesco a trattenere unsorriso per la scelta della canzone. Non

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resisto al contatto con il suo corpo.Inspiro. Espiro. Le parole si perdono inquesta musica che amo.

Il sassofono, la chitarra e le percussionispazzano via l’ansia che provavo fino apoco fa, e mi abbandono con naturalezzafra le braccia di Jeremy mentre lui miconduce sicuro. Con cura e abilità, riescea dissolvere la mia tensione; mi stopraticamente sciogliendo nel suoabbraccio. Ancora una volta, èimpossibile ignorare la chimica sessualeche ci unisce.

Balliamo, mangiamo, beviamo,parliamo, ci baciamo, ridiamo.

Sono ancora cieca ma non ho più lemanette.

Decido di chiudere la paura in unangolo distante e rattrappito della

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coscienza. Forse questa serata è per me eper lui, è per noi due. Non lo so.Finalmente il rapporto tra le emozioni siinverte e posso stare qui per mia scelta,non trattenuta a forza. Il dessert èun’ardita combinazione di sapori: unavellutata crème ganache di cioccolato,con una punta agrumata, forse di arancia,racchiusa in un cestino friabile e burrosoe accompagnata da un pastoso vino dadessert, che indugia a lungo sulla lingua.Sto fluttuando a mezz’aria.

«Alex, ti va di cantare per me, adessoche c’è la band?».

Sorrido al suo invito. «Sono anni chenon canto».

«Ti prego, ci siamo solo noi due.Scegli tu la canzone. C’è una chitarra perte».

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A Jeremy piaceva molto ascoltare me ela mia amica Amy quandoimprovvisavamo qualcosa nei piovosipomeriggi domenicali. Le prime volte cimetteva un po’ in imbarazzo, ma poi ciabituammo alla sua presenza. Èsorprendente che, con tutto l’alcol che hobevuto da quando sono arrivata qui, io misenta solo un po’ alticcia e non del tuttoubriaca. Forse il tempo è passato più infretta di quanto mi sembri, o forse iltorrente di emozioni e la tensione nervosahanno bruciato in fretta l’alcol.All’improvviso trovo allettante l’idea difare qualcosa che non faccio da anni.

«Perché no? Solo una canzone».Sembra sorpreso e felice che io abbia

acconsentito subito. Preferisco prolungarequest’atmosfera piuttosto che tornare al

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clima teso di prima. Penso alle paroledella canzone che abbiamo appena ballatoe mi chiedo quale sia il senso della nostrarelazione, e che cosa significhi per lui. Miviene in mente una canzone chesuonavamo spesso e che luiaccompagnava con i coperchi dellepentole. Parlava di amicizia e per noi eraspeciale. Jeremy mi aiuta a imbracciare lachitarra, poi gli chiedo di lasciarmi solacon la band.

«Ti aspetto al tavolo. Divertiti!», midice incoraggiante, dandomi un baciosulla guancia. Mi ci vuole qualche minutoper trovare la posizione e accordare lachitarra. Sono tanti anni che non suono emi si sono ammorbiditi i polpastrelli:sento le corde dure e taglienti al contattocon la pelle, mentre prendo confidenza

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con lo strumento e mi sistemo la cinghiaintorno al collo. Non potrò leggere lospartito, ma per fortuna conosco amemoria sia le parole sia gli accordi.Comincio…

Quando finisco di cantare, tra gliapplausi della band, una lacrima miscende lungo la guancia sinistra. È statomagnifico cantare, suonare, fare qualcosache credevo di aver dimenticato. Cheemozione! Sono in preda all’euforiamentre ringrazio, senza vederli, i musicistie loro mi aiutano a mettere giù la chitarra.Mi fermo a riflettere sul fatto che, se fossistata in grado di guardarmi intorno, non loavrei mai fatto… Mentre mi alzo, Jeremyviene ad abbracciarmi con trasporto.

«È stato fantastico. Eri stupenda!».Tace un istante. «È una lacrima di gioia

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quella che vedo sul tuo viso, dottoressaBlake?»

«Mi sembra di aver ritrovato la voce».Mi chiedo perché abbia usato questeparole.

Un’altra lacrima mi scende lungo ilviso. Non capisco perché mi sento così,ma il fatto di cantare e suonare ha toccatouna qualche corda dentro di me, una cordache da molti anni non vibrava più. Unavolta ho letto che è importante capire dadove vengono le nostre lacrime, perchésono direttamente connesse con il cuore.

Che cosa mi sta facendo Jeremy? Harimosso un altro strato.

Avvicina le labbra alle mie e, primache io possa dire qualcosa, mi bacia, unbacio così delicato, così paradisiaco darestare impresso nella mia memoria per

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sempre.

* * *

La nostra serata sul tetto procede finoal momento in cui i membri della bandmettono via gli strumenti e si congedano.A me sembra di essere finita su unottovolante nel momento stesso in cui homesso piede nell’atrio dell’hotel. Non miè mai capitato di vivere tante emozioni inun così breve e turbinoso periodo ditempo. Mi godo la brezza tiepida eleggera, e mi rilasso tra le braccia diJeremy. A essere del tutto sincera, sonostanca di oppormi al suo volere edelettrizzata dalla sua vicinanza. Cosa puòsuccedere di tanto brutto? Non metterebbemai a repentaglio la mia e la suareputazione professionale, ci tiene troppo.

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E a prescindere da questo, io desiderostare con lui. La madre, la moglie, lastudiosa, ogni parte di me desideraJeremy, e a dirla tutta lo ha sempredesiderato. Il corpo di certo non si piegaalle razionalizzazioni. Voglio prolungareil più possibile la perfezione di ciò chestiamo vivendo insieme.

Adesso sono molto più calma. Lamusica, l’aver cantato e ballato, la cena, ibaci, forse perfino l’oscurità – sebbenenon lo ammetterò mai – mi stanno dandoalla testa, mi sembra di fluttuare nell’aria.Mi sento addosso un’energia calda eserena, come una luce interiore che non mipare di aver mai sperimentato primad’ora. È una sensazione poco familiare,che però vivo con piacere.

«A cosa stai pensando in questo

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momento?», mi chiede Jeremy giocandocon le mie mani e posandomidelicatamente il pollice sul labbroinferiore. Percepisco che ha voglia digiocare.

Gli rispondo senza girarci intorno. «Stopensando che ti voglio, subito».

«Oh, davvero?», ride. «E pensi dipotermi avere?»

«In effetti credo proprio di sì, ora cheho di nuovo l’uso delle mani».

Trovo la cintura e gliela slaccio,aprendogli la patta e facendogli scendere ipantaloni lungo quelle natiche tonde esode.

«Ti serve una mano?»«Anche se non ci vedo, so bene cosa

sto cercando».Sento che sta sorridendo e sento anche

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il gonfiore che gli pulsa nelle mutande.Gioco un po’ prima di levargliele.Accarezzo avida il pene carnoso, le miedita impazienti di ghermire i testicoli. Luigeme.

«Ti piace ancora, dopo tutti questianni?», gli chiedo.

«Certe cose non cambiano mai».Mi metto in ginocchio, continuo a

massaggiargli le palle tenendo salda inmano la base del pene e con dolcezzapasso la lingua sulla punta facendoneuscire una goccia di succo salato che gliscivola giù. Mi fermo. Finora le sue manimi hanno accarezzato i capelli; adesso mitengono stretta la testa. Per stare inequilibrio? O per il desiderio? Misistemo aggrappandomi con le mani allesue natiche sode e muscolose e continuo a

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stimolarlo prendendone in bocca sempreun po’ di più, carezza dopo carezza. Poila mia lingua comincia ad assumere ilcontrollo, affamata di lui. Ce l’ho tuttodentro, con la punta che mi solletica lagola, ed è una gioia averlo in me, questopene liscio e duro che mi riempie.

Adoro farlo e non posso negare ilcalore che mi accende fra le cosce, mentrelo succhio con sempre maggior forza, loaccolgo sempre più profondamente.Jeremy geme e io capisco che c’è quasi,manca pochissimo. Lo lascio andare dipoco per provocarlo, per svelare lavoglia che ha di me, per poi riprenderlogiù fino alla gola e stringere le labbraattorno alla base. Lo sento pulsare unattimo prima dell’esplosione finale.All’ultimo momento allontano la bocca,

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mantenendo la presa sui testicoli. Glispasmi lo travolgono, sempre più intensi,mentre il suo seme atterra da qualcheparte alle mie spalle. Resto in ginocchiofinché non si riprende e torna alla realtà,poi gli do un bacio leggero sulla punta delpene prima di alzarmi. Respiraansimando, in modo irregolare.

«Perché ti tiri sempre indietroall’ultimo minuto? Mi piacerebbe tantoche lo ingoiassi».

«Lo sai che non mi piace».«Ci hai mai provato?»«No. E non ho intenzione di farlo».«Allora non si tratta solo di me».«No, Jeremy, non si tratta solo di te. È

solo che non lo faccio».«Ma è così incredibile tutto quello che

fai. Se ingoiassi sarebbe il paradiso».

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Uhm, ecco un’opportunità. Chissà se èdisposto a negoziare.

«Mi restituiresti la vista se ingoiassi iltuo sperma?», domando con aria di sfida.

«Non dico che l’idea non mi tenti…be’, diciamo solo che mi piaci troppocosì, bendata».

«In tal caso l’argomento è chiuso»,taglio corto.

Mi bacia sulla bocca, un bacio lungo eprofondo, e intanto la sua mano mi siinsinua sotto il vestito, trova le piccolelabbra e si mette ad accarezzarle. Le duedita esplorano, sfiorano. Sospiro mentregli intreccio le mani dietro il collo,resistendo alla tentazione di unirle allesue.

Le sue dita continuano la loro magiafinché le gambe mi si fanno molli e mi

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sembra di non riuscire più a stare in piedi.«Vedrai che un giorno mi prenderai tutto,completamente», dichiara fiducioso.

«Staremo a vedere», ribatto tra isospiri, sforzandomi di stare dritta.

«Proprio così». Ride, interrompe illavorio delle dita, mi rimette in piedi e miriporta in camera.

Senza che nemmeno me ne renda conto,mi ha già sfilato il vestito e le sue ditahanno ripreso la loro opera di conquistacon impeto ancora maggiore di quello cheavevano fuori, sul tetto. La bravura diJeremy, la sua precisione, sono ancora piùstraordinarie di quanto ricordassi. Hoperso ogni contatto con la realtà, i mieigemiti si levano alti nel silenziodell’attico. Se la mia mente si è sfiancata,oggi, nel tentativo di venire a patti con la

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realtà delle ultime ore, il mio corpoaccoglie con avidità l’occasione che gli èstata offerta. Alla fine mi addormento nelcaldo abbraccio di Jeremy. Un sonnoprofondo, stranamente appagante.

* * *

Ho una strana sensazione ai piedi.Cerco di scacciarla, come in sogno, ma èsimile a un prurito di cui non riesco aliberarmi. Che cos’è? È qualcuno?Qualcosa? Mi giro su un fianco decisa aignorare qualunque cosa sia, ma ilsolletico continua imperterrito.

Accidenti, c’è ancora… può trattarsi diun dito?

No, è troppo leggero.Un pennello? No.Una piuma? Potrebbe essere.

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Questi pensieri oziosi mi riscuotono daltorpore. È ancora buio, non devo alzarmi.Stavolta cerco di liberarmene con uncalcio e… ah, ha funzionato. Torno arannicchiarmi tra queste soffici, stupendelenzuola fresche di bucato e sul morbidocuscino. Certo, non è proprio come ilmio… Questo pensiero mi spinge achiedermi dove mi trovo. “No”, pensomentre strani ricordi mi affiorano allacoscienza, “deve essere un sogno, unsogno molto ma molto bizzarro”… Tendouna mano come a cercare la conferma diuna presenza, accanto a me sul letto.Niente. Nessuno. Non ho idea di quanto alungo abbia dormito, ma di colpo ricordo.Dove sono e con chi.

La realtà colpisce duro. Cerco di apriregli occhi, dimenticando per un attimo la

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mia situazione, ed esito prima di toccarela benda, memore delle conseguenze chequesto gesto ha avuto ieri sera. Non èstato un sogno e da ciò che possoprevedere, per me almeno, resterà buioanche dopo che sarà sorto il sole.

L’ostinato pungolo ai piedi ricomincia,a poco a poco si fa strada lungo lecaviglie e i polpacci puntando alleginocchia. Quella è una delle mie zone piùsensibili, non sopporto il solletico laggiù.Mi siedo, del tutto vigile.

«Buongiorno». La voce di Jeremy. Nonè stato un sogno, ormai è evidente.

Mi sfugge una risatina nervosa.«Buongiorno. Quanto ho dormito?»

«Sei sveglia da pochi secondi e hai giàfatto una domanda. Fai la brava, Alex.Niente domande. Mettiti giù e sta’ buona».

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Obbedisco. Non voglio litigare. Sentoil lenzuolo scivolare via dal letto e restolì nuda, esposta. Le piume proseguononella loro salita, strappandomi qualchegemito nel tratto che va dall’ombelico aicapezzoli. Non devo vederli per saperecon quanta prontezza rispondono a queltocco leggero.

«Il corpo mi tradisce», sussurro quasiparlando a me stessa.

«Lo ha sempre fatto. Quandocomincerai ad ascoltarlo?».

Rifletto su quella domanda.«Per favore, solleva le braccia sopra la

testa e resta così». Faccio come mi dice.Eseguire le sue istruzioni diventa semprepiù facile, man mano che la coscienzaparte per altre tangenti. Le piume mi siscatenano sulle braccia, sul viso, sul

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collo. Starmene bendata, nuda, mentredelle piume mi accarezzano piano ognicentimetro di pelle, senza avere idea diquale sarà il loro prossimo obiettivo, nonè paragonabile a niente che abbia giàvissuto. Somigliano a farfalle che mivolano vicinissime sollevando una brezzaleggera, toccandomi appena, eppure lasensazione che generano al tatto miscatena brividi lungo il corpo, mi favenire la pelle d’oca.

«Apri le gambe, per favore», ordinaeducatamente Jeremy. Non so se sia acausa dell’atteggiamento sessualedifensivo e protettivo che ho tenuto pertutti questi anni, fatto sta che le sue parolemi portano a chiudere d’istinto le gambe ead abbassare le mani per coprirmi il pube.

«Interessante…», mormora Jeremy. Le

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piume si bloccano e nessuno dice niente.È in attesa della mia prossima mossa, loso. Le mie mani ritornano pianodov’erano, sopra la testa.

Il silenzio si protrae. La vulva mi pulsaa tal punto che mi rifiuto di aprire legambe, perché non voglio che lui siaccorga delle mie palpitazioni.

«Te lo chiedo di nuovo: per favore,apri le gambe».

Sospiro, piena di imbarazzo maeccitatissima. Apro le cosce di qualchecentimetro.

«Di più, per favore». Il suo tono èadamantino. Certo che se vuole una cosa,non c’è verso di negargliela. Piego leginocchia mentre le apro al suo sguardo,pulsante di desiderio. Cerco di nonmuovermi quando riprende a solleticarmi,

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ma è molto difficile. Mi contraggo e gemonel tentativo di anticipare il suo prossimoobiettivo. Un compito impossibile, mariesco a mantenermi più o meno nellaposizione originaria. Il solletico continua,sempre leggerissimo, simile a unacarezza, eppure diverso. La mia carnevuole di più, vuole il tocco di Jeremy. Intutto questo tempo i nostri corpi non sisono toccati, nemmeno una volta. Lodesidero alla follia. Il respiro mi si facorto. Quanto ancora andrà avanti? Nonne posso più. Mi serve più pressione, piùcorpo, più… Incapace di trattenermi, miafferro i seni inarcando la schiena. Lovoglio dentro di me, sono affamata di lui.La sua pazienza è maggiore di quella deimiei sensi e lui lo sa. Gli è semprepiaciuto mettere alla prova i miei limiti,

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forzarli oltre ciò che credevo possibile.«Jeremy…», lo chiamo tendendogli le

braccia.«Pazienza, tesoro, pazienza. Finché non

starai distesa immobile e farai esattamenteciò che ti chiedo, questo continuerà e tunon avrai quello che desideri. Più farai labrava, maggiore sarà il premio».

«Oddio», gemo sapendo fin troppobene che fa sul serio. Quest’abilità nellostuzzicarmi, eccitarmi, tormentarmi èfrutto di anni di esperimenti e di pratica.Sospiro esasperata. Sono troppo fuori dime per oppormi, e lui sa bene quantodesideri la liberazione. Faccio appello atutto il mio controllo zen per stare ferma,per tenere la posizione in cui lui mi vuolee per sopportare questo tormento senzaprotestare o lamentarmi. Cerco di contare

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all’indietro a partire da cento, ma arrivoin fretta al numero ottantanove e poi perdoil filo, incapace di concentrarmi.

Mi contraggo.Lui si ferma.Io resto immobile.Ricomincia. Ho fame delle sue carezze,

ma cerco di restare nella posizione che miha chiesto di tenere.

È implacabile, disciplinato e paziente.Io no.Quando raggiungo l’apice del desiderio

e della frustrazione, di colpo lui si tuffa sudi me e mi infila il pene pulsante fino infondo alla vagina, strappandomi un grido.Ho le gambe spalancate mentre lui superain un colpo diversi strati di me e miblocca con forza le braccia sopra la testa.Spinge e spinge, è duro e veloce, ed è

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proprio ciò che volevo. La schiena mi siinarca sotto i suoi colpi. Mi sembra divolare. La mia vagina gonfia di umori lodivora avida quando lui mi esplodedentro.

A quanto pare anche la sua, di pazienza,ha un limite. Grazie al cielo!

Si lascia cadere su di me, facendomisprofondare nel materasso con il suopeso. Siamo entrambi senza parole e indebito d’ossigeno. Ritorna il fremito, unprofondo desiderio che mi si irradia dalbasso ventre. La sensazione è cominciataquando ero nella vasca da bagno e sonoabbastanza certa che mi accompagneràancora per un po’. Jeremy mi appoggia ilviso contro il collo.

«È stato meraviglioso. Non avevo maivissuto un risveglio simile».

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«Vale anche per me», ammettebaciandomi il collo con avidità.

«Ti prego, non farmi più aspettaretanto. Stavi per farmi impazzire».

Continua a divorarmi il collo con lelabbra e la lingua prima di ammetterel’atroce verità: «Da me non avrai di certoquesta promessa, mia cara».

Sospiro. Ci risiamo.«Starai morendo di fame. Mangiamo!».Posso dire in tutta onestà che il mio

corpo non si è mai sentito tanto vivo. Nonero così eccitata da quando avevovent’anni, ma questo è molto di più. Nonso come sia possibile che abbiamo ancoratanto fuoco in corpo. Mentre le labbra sulviso vorrebbero sorridere, quelle più inbasso fremono di desiderio. Sentol’energia sessuale pulsarmi nelle vene. È

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una sensazione insolita, di appagamentomisto a vivo desiderio. Che mi stasuccedendo? È davvero la privazionedella vista ad amplificare così tanto i mieisensi, o si tratta della giostra di emozionisu cui Jeremy mi ha fatta salire nelmomento in cui sono arrivata? Ha liberatoun’energia sessuale che era rimasta sopitaper anni, in attesa che qualcuno larisvegliasse. Posso solo concludere cheentrambi i fattori abbiano contribuito,anche se a questo punto riconosco che lamia capacità di analisi è bella che andata.Che ironia: i miei appelli all’analisi e allaricerca vengono puntualmente spazzativia, onda dopo onda, dalla marea disensazioni che Jeremy sa procurarmi.

Sta ordinando al servizio in cameraquasi tutto quello che c’è nel menu.

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Chiacchieriamo, ridiamo, ci accarezziamoe di colpo non mi sembra più tanto stranoavere una benda sugli occhi. La sua voceè così rassicurante, così familiare, che misento quasi del tutto a mio agio. Arrivanole portate e finalmente mangiamo. Sonoaffamata.

«Hai ancora fame?», mi domandaJeremy mettendomi in bocca una fragola.

«A essere sincera non smetterei mai dimangiarle. Dànno dipendenza. Le fragolefresche e gli hotel a cinque stelle hannoqualcosa in comune. Sembrano disegnatida un professionista, tanto sonoperfetti…».

«Ne è rimasta una soltanto. Ecco,prendila». Fa per posarmela sulla lingua,ma poi la ritira. «Ripensandoci, tu hai giàavuto la tua parte. Questa la terrò per

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me». Mi slaccia la vestaglia e sento lafragola descrivere cerchi attorno al miocapezzolo. Sorvola l’ombelico prima diavvicinarsi alla fessura. Sento il fruttosuccoso all’ingresso della vulva. «Credoche voglia giocare a nascondino».

E mentre la sua lingua inizia a cercare,a me sfugge un lamento.

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Paarte quaartaa

Non bisogna giudicare la vita dallaquantità di respiri che si fanno, ma

dai momenti che il respiro te lotolgono.

Anonimo

«Adesso devi vestirti. Ci attende unagrande giornata».

«Una grande giornata? Perché, non cene restiamo qui a giocare per tutto ilgiorno?». Non riesco nemmeno aimmaginare di poter uscire da questo

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accappatoio nelle prossime ore, perciòsulle prime non lo prendo sul serio.

«Un’altra domanda…», replica lui intono asciutto.

“Ancora con questa storia delledomande”, penso tra me e me. Il suo tonomi rende nervosa. Non capisco che cosapretenda. Che si aspetta? Che resti muta?Certo che ho delle domande. Quale donnanon ne ha, anche in circostanze normali?Figuriamoci adesso, poi… Vorrei che sirilassasse e si desse una calmata, riguardoa questa faccenda delle domande.

Invece di esternare i miei dubbi, mentremi congratulo con me stessa per lalezione, o quello che era, di ieri sera,decido di adottare un’altra strategia.

«E cosa devo mettermi?», cinguetto conuna sciocca vocina.

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«Proprio non ce la fai a trattenerti,vero?»

«Da cosa?»«Dal fare domande!». Sembra al colmo

dell’esasperazione.«Non ho fatto nessuna domanda!»,

replico indignata. «Oh, invece sì…», micorreggo ricordando le ultime parole cheho detto. «Sono un po’ dura dicomprendonio, eh?», dico cercando dirimediare. Tendo una mano, sperando inun abbraccio di perdono, ma lo spaziointorno a me è desolatamente vuoto.

«Imparerai, Alex», lo sento dire da unpunto imprecisato della stanza. «Però nonso se la lezione ti piacerà».

«Che vuoi…», le parole mi escono dibocca senza che me ne accorga, ma mifermo in tempo. Non ho capito l’allusione,

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ma di certo non mi azzarderò a chiederglichiarimenti.

«Va bene, allora. Vestiamoci», dicocon il tono più leggero e gaio di cui siacapace.

«Molto meglio», risponde lui contenerezza baciandomi sulle labbra. È dinuovo contento, va tutto bene.

Non riesco a fare a meno di sentirmicome un cucciolo addestrato per unoscopo a lui sconosciuto.

«Le ragazze saranno qui a momenti peraiutarti a vestirti».

Come se non bastassero queste parole alasciarmi di stucco, sento bussare allaporta.

«Ragazze? Quali ragazze?», dico miomalgrado con voce stridula. «Scusa!Scusa!», mi affretto ad aggiungere in una

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sorta di automatismo prima che ricomincila solfa del “basta con le domande”.Eccomi di nuovo in preda al panico.

«Sta’ tranquilla, ci penso io». Del restonon ho scelta. Sento delle voci femminiliche si presentano a Jeremy sulla porta, inomi sono qualcosa come Cindy, Candy…Non posso crederci.

«Salve, sono felice che siate venute.Entrate. È qui dentro».

I pensieri mi si ingarbugliano nellatesta, cerco il bordo del letto e persbaglio rotolo a terra, ritrovandomi lungadistesa sul pavimento. Jeremy si affretta incamera chiedendomi se sto bene. Mi sentouna perfetta idiota. Sono talmente inimbarazzo, che vorrei trasformarmi inqualcosa di piccolo e tondo e rotolare vialungo il pavimento. Ma che gli è saltato in

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mente? Il cuore mi batte forte, non riescoa pensare né a dire una parola. Ha sempreavuto questa fantasia di andare a letto condue ragazze… no, non lo farebbe mai.Non può! Mi aiuta ad alzarmi in piedi.

«Sei sicura di stare bene? Sei pallida».A me sembra di essere verde, perciòimmagino cosa intenda per “pallida”. Nonmi viene in mente niente da dire.

«Le ragazze ti aiuteranno a vestirti perla grande avventura», dice con evidenteeuforia.

«Non voglio né ho bisogno di altreavventure, Jeremy. Ne ho avuteabbastanza per stare bene tutta la vita»,dico in un sibilo, non sapendo a chedistanza si trovino “le ragazze”. Jeremymi solleva da terra e mi porta in bagno dipeso. Dio santo, è impazzito?

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«Non preoccuparti, non è quello checredi. Sono venute solo per aiutarti,promesso». Libera il braccio dalla miastretta e mi lascia alla loro mercé.Comincio a tremare. Ognuna di loro miprende una mano. Cerco di mantenere ilcontatto con Jeremy, ma lui si sottrae.

«No, ti prego, non andartene. Non miserve aiuto. Ce la faccio da sola.Jeremy?». Sento chiudersi la porta e restosola, nel panico, con due estranee dainomi equivoci, che non posso vedere infaccia ma che possono vedere me.Avverto sulla pelle le loro unghie lunghe,mentre due mani mi sfilano pianol’accappatoio. Me lo stringo intorno allavita in un riflesso istintivo. Le maniperseverano, mentre altre due si occupanodi slegare la cintura. Cerco di distrarle

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parlando con loro.«Sto bene, davvero. Posso farcela. Va

bene così, ve l’assicuro». Ma loroinsistono. Con mia sorpresa mi tolgonoanche la benda. Adesso sonocompletamente nuda. Vengo fatta sederesulla tazza. Mi copro con le braccia. Unadelle due apre l’acqua nella doccia evengo accompagnata all’interno. Misembra di sentir sfrigolare l’acqua controla mia pelle d’oca. Mi lavano i capelli, lispalmano di balsamo e mi massaggiano ilcuoio capelluto con delicatezza e abilitàtali che dopo un po’ mi sento molto piùrilassata di quanto credessi possibile.Adesso le lunghe unghie mi insaponanocon il loro tocco sapiente. Quando ci sonoquattro mani che si danno da fare sul tuocorpo, cosa fai? Le fermi oppure lasci che

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portino a termine il loro lavoro? Opto perla seconda soluzione.

I prodotti che stanno usando hanno unprofumo meraviglioso, li sento ricchi ecremosi al punto da lasciarmi unasensazione vellutata sulla pelle anchedopo che mi hanno sciacquata con curasotto il getto caldo che mi investedall’alto. Nessuno dice una parola mentrevengo condotta fuori dalla doccia easciugata meticolosamente con spessi esoffici teli da bagno. Mani lisce, setose eunte di crema mi scivolano lungo legambe, le braccia e il busto. Mi sollevanoun piede alla volta e massaggiano concura lo spazio tra le dita, liberandoimpulsi piacevoli anche in parti piùriposte del mio corpo. Cielo, non avevoidea che un massaggio alle dita dei piedi

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potesse avere effetti del genere.Terminato il loro compito, le ragazze miaiutano a indossare di nuovol’accappatoio, e io provo un moto disollievo all’idea che la cosa sia finita qui.Mi sento morbida, matura, rigenerata, eprofumo come se fossi appena uscita dauna bottiglia esotica piena di CocoMademoiselle. Se fossi sola, miabbraccerei. Le ragazze mi asciugano icapelli e li legano in una stretta trecciabassa alla francese. Cerco di aprire gliocchi ma il senso di pesantezza allepalpebre è tale che solo a provarci sentodolore, così mi rassegno all’oscurità, cono senza benda, e mi appresto ad andare dinuovo incontro all’ignoto.

Sento una specie di fruscio mentrevengo condotta fuori dalla stanza da

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bagno, nel guardaroba. Poi vengoinguainata in un’aderentissima tuta dipelle, con tanto di stivali al ginocchio coni tacchi alti e un paio di guanti che guardacaso mi stanno alla perfezione. Sorpresa!Il mio corpo adesso è fasciato dalla testaai piedi in un odoroso involucro di pelle.Un paio di grossi occhiali da sole sono iltocco finale. Quando me li sistemano sulnaso, anche il più debole chiaroresparisce dalla mia vista. Il caro vecchioJeremy non ha lasciato nulla al caso.

Per certi aspetti sono felice di nonvedermi, perché devo essere davveroridicola. Non ho idea di cosa significhiquesto abbigliamento, oltre al fatto che, aquanto pare, Jeremy coltivava a miainsaputa questa fantasia di donne in abitidi pelle. Tintinno a ogni movimento a

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causa del gran numero di cerniere lampo edi bottoni che fanno aderire la tuta a ognicurva del mio corpo. Mi immagino uneffetto vagamente punk, perché suppongoche la pelle sia nera, ma non ne ho alcunaprova. Guai a lui se è di qualunque altrocolore! Oddio, e se fosse di un orribilerosa shocking? Mi sento tonica edenergica dal collo in giù, ma al di sopradi quella soglia sono del tutto esposta.Non ho idea di cosa debba fare con questaroba addosso, di certo non avevo preso inconsiderazione l’idea di uscire dall’hotel.Del resto, dato che non avevo previstonulla di quanto è accaduto nelle ultimeore, immagino che sia normale.

«Wow, Alexa, sembri proprio tosta,una vera biker. Se non ti conoscessi, me lafarei sotto dalla paura!».

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«E se io non conoscessi te, Jeremy, disicuro adesso non indosserei questaroba», dico con le mani sui fianchi in unaposa decisa.

«Touché», dice ridendo. «Touché».Dentro di me trovo piuttosto

gratificante l’idea di sembrare “tosta” esono felice di stare al gioco, anche ciecacome una talpa.

«Andiamo allora, non c’è un minuto daperdere». Mi afferra una natica rivestitadi morbida pelle e mi accompagna fuori,verso l’ascensore. Sarà tutta una farsagrottesca? In ogni caso la cosa mi divertee anch’io gli afferro una natica,constatando che è rivestita dello stessomateriale della mia tuta.

«Bene bene… dobbiamo essere un verospettacolo».

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«In effetti lo siamo», ammette mentrel’ascensore inizia la discesa.

* * *

Arriviamo e, a giudicare dal tempo cheabbiamo trascorso nell’ascensore,capisco che dobbiamo essere nella hall onel parcheggio dell’albergo. Mirannicchio accanto a Jeremy: so chestiamo per affrontare il “mondo reale”, ele mie insicurezze tornano subito atormentarmi. Lui mi fa fermare vicino a unmuro.

«Non muoverti di un millimetro, tesoro.Resta qui, vado a prenderla».

“Prenderla”? L’insicurezza diventapaura nel giro di un millisecondo. QuandoJeremy mi pianta in asso, cerco disorreggermi al muro. Il rombo di un

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motore che si accende mi fa sobbalzare dipaura, mentre l’esalazione di fumi discarico mi invade le narici. Il suono e gliodori sono abbastanza vicini che misembra di poterli toccare, poi Jeremy miprende la mano e mi conduce verso quelrumore assordante.

«Sei mai andata in moto, primad’ora?», grida mentre solleva la miagamba incerta su quella belva rombante.

«Solo su una da cross, in campagna,quando ero piccola», rispondo nervosa.

«Be’, reggiti forte, baby, perché staiper fare una corsa che ti lascerà senzafiato». Sembra un ragazzino che si accingea guidare per la prima volta una macchinatutta sua.

«Ma non ci vedo!», urlo mentre miinfila un casco sulla testa e si assicura che

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gli occhiali siano posizionati in modocorretto.

«Tu non hai bisogno di vedere. Io sì»,grida di rimando sovrastando il rumore.

Il motore ruggisce, prendendo vita sottodi me. Jeremy mi fa intrecciare le ditaintorno alla sua vita.

«Non devi far altro che reggerti!».«Ce l’hai la patente per guidare questo

coso?», strillo.«Non devi più urlare. Ora che hai il

casco, ti sento benissimo». La sua voce miarriva dritta nelle orecchie. Ha ignorato lamia domanda. Oh-oh, mi sono appenaaccorta di averne fatta un’altra, spero chelui non l’abbia notato.

«Tieniti forte, tesoro, e cerca dicontrollare il respiro almeno un po’». Èevidente che la mia inquietudine gli arriva

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dal microfono interno al casco.«Più facile a dirsi che a farsi!».

Quando la belva si lancia in avanti,rischio di cadere. Posso soltanto tenermipiù stretta che posso a lui mentresvoltiamo intorno a un angolo stretto. Aquanto pare la corsa selvaggia ècominciata.

Per un po’ non facciamo che fermarci eripartire, e devo fare uno sforzo perrestare in equilibrio e adeguarmi agliimprovvisi sobbalzi.

Jeremy non parla, quindi immagino siaconcentrato sul traffico cittadino; questomi conforta, almeno un po’. Ora che sonosu una moto, non ho più la sensazione diessere vestita in modo inadeguato. Ealmeno non ho una benda sugli occhi.Prendiamo velocità e l’andatura diventa

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finalmente costante, molto piùconfortevole dei continui scatti di prima,quando non facevo che tenermi pronta perlo scossone successivo.

«Tutto bene, là dietro?».Sento Jeremy che si sistema sul sedile e

mi rendo conto che lo sto stringendotalmente forte da togliergli il fiato.

«AB?».Lo tengo stretto, non ho il coraggio di

lasciarlo: ho troppa paura di cadere. Hole gambe serrate contro la moto, mentre lebraccia cingono il petto di Jeremy. Gli stoletteralmente incollata alla schiena, nonc’è un millimetro di spazio tra noi.Proprio nel momento in cui mi convincoad allentare la presa e a rispondergli chesto bene, la moto scarta a destra e poi dinuovo a sinistra. Ottimo, ora sta

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sorpassando qualcuno.«Alexa, mi senti?». La sua voce

rimbomba di nuovo nel mio casco.«Sì, sì, ti sento. È tutto okay. Mi sto

solo concentrando su… be’,sull’equilibrio, a dire la verità». Leparole mi escono a scatti, mentreacceleriamo ancora. Forse avrei dovutodire “sulla sopravvivenza”, sarebbe statopiù appropriato.

«Hai paura?». Le sue domandecontinuano a entrarmi dritte nella testa.

«Secondo te? Non sapevo nemmeno chesapessi guidare una moto».

«Lo faccio da anni. È meravigliosoavere l’occasione di portarti a fare ungiro».

«Be’, preferirei poter vedere doveandiamo». Non riesco a evitare di

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sottolinearlo. «Jeremy, per favore, fa’attenzione. Ho bisogno di uscirne viva,davvero. Sono nelle tue mani».

«Proprio così, Alexa. Finalmentecominci a capire. Mettiti comoda e goditila corsa; la strada è sgombra, adesso».

«E immagino che tu non abbiaintenzione di farmi sapere che strada è,vero?»

«Sai che così perderemmo tutto ildivertimento».

Dopodiché accelera al massimo elascia che “lei” si lanci a tutta velocità,togliendomi il fiato.

Chi l’avrebbe detto che mi sareiritrovata su una belva scatenata comequesta, avvolta dalle tenebre? Non l’avreimai creduto possibile. Quando riesco arilassarmi un po’, ma non troppo, devo

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ammettere che è una sensazione stupenda.Per fortuna Jeremy mi protegge dalla forzadel vento, così posso apprezzare l’euforiae il senso di libertà che dà la moto. Sesolo i ragazzi potessero vedermi! Non miriconoscerebbero. Jordan stenterebbe acrederci, ma penserebbe che sono lamamma del secolo. Probabilmente mifarebbe una foto da mostrare agli amici eall’insegnante durante la lezione Mostra eDimostra, anche se credo che sarebbe piùcolpito se fossi io alla guida. Elizabethinvece si preoccuperebbe più che altroper la mia sicurezza e mi domanderebbese ho avuto paura. Non posso fare a menodi chiedermi se il modo di essere e ivalori che distinguono maschi e femminesiano prevedibili fin dalla nascita, inmateria di valutazione dei rischi. Non

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sono mai riuscita a prendere unaposizione precisa nel dibattito su cosa siainnato e cosa no, anche se l’argomento miappassiona. Mi chiedo anche come se lastiano cavando i bambini al campeggio,spero che si stiano divertendo.

Non so se abbiamo una meta, o se ilnostro scopo sia il viaggio in sé. Di sicuroJeremy ha dei piani precisi per lequarantotto ore che trascorreremoinsieme. E senza dubbio sta tenendo fedealla promessa di non sprecarne nemmenoun minuto. Così mi tranquillizzo, mirannicchio dietro di lui e gli appoggio latesta sulle spalle. Il ritmo del motore trale mie gambe manda una vibrazione bassa,potente, piacevole. Tutti gli altri sensiassorbono questa esperienza. È unasensazione magnifica, e mi sto godendo

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davvero la corsa. Stringo Jeremy in unleggero abbraccio da dietro.

«Jeremy, è incredibile, sul serio. Nonavrei mai pensato di fare una cosa delgenere, e mi piace da impazzire». Per tuttarisposta, lui mi accarezza una mano con lasua. Mi irrigidisco all’istante.

«Ti prego, tieni le mani sul manubrio.Non c’è bisogno di spaventarmi più diquanto non sia già».

Lui ride e riporta la mano al suo posto.«Okay, mi sembra giusto».«Grazie». Non riesco a trattenere un

sorriso, proprio come non posso negarel’emozione che provo. Il vento, lavelocità, il motore, la vicinanza tra noi…è meraviglioso. Perfino l’oscurità èeccitante, in un modo misterioso, surreale.Mi abbandono all’esaltazione del viaggio,

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senza sapere dove mi porterà.Dopo un po’, finalmente, rallentiamo. È

passata almeno un’ora, forse più. Non nesono sicura e non lo chiederò. Jeremy miaiuta a scendere dalla moto – ho le gambeintorpidite – e mi toglie il casco, chestava cominciando a soffocarmi. È bellopoter distendere le gambe: mi tremano unpo’, dopo essere rimaste ferme a lungonella stessa posizione. Mi sento inimbarazzo, e mi sistemo gli occhiali dasole con gesto nervoso.

«Non preoccuparti, non ci guardanessuno». Ha capito il mio disagio.

«Sicuro?», dico prima di riuscire atrattenermi.

«Sì, sono sicuro. Perché io ci vedo, e tuno».

«Giusto, non fa una piega». Quando i

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fumi della moto si disperdono, annusoavida l’aria intorno a noi. È molto fresca.L’odore, insieme alla brezza delicata e alcanto degli uccelli, mi riporta alla mentedolci ricordi d’infanzia, quandotrascorrevo le vacanze scolastiche con imiei cugini.

Resto ferma finché lui non mi prendeper mano e cominciamo a camminare.

«Non posso credere che tu non miabbia mai detto di aver preso la patenteper guidare la moto». Cerco di assumereun tono risentito.

«Ci sono tante cose che non sai di me,Alex. Se tutto va bene, nei prossimi annitutto questo cambierà». Anni? Penso cheanche quando cerco di parlargli connaturalezza, lui riesce sempre asorprendermi con considerazioni

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scioccanti. Ci fermiamo e lo sentochiedere due caffè con latte scremato,senza zucchero, da portar via, per favore.Anche stavolta il fatto che non mi abbianemmeno consultata mi spiazza. “Lasciastare…”. Cerco di non pensarci.

«Che bella idea, un caffè», dico,pensando di poterlo interpretare come unindizio che sono le 10 o le 11 di sabato. Omagari Jeremy ha escogitato lamessinscena del caffè per farmi credereche sia mattina. “Basta pensareall’orario”, mi impongo. “Non hai alcuncontrollo, quindi smettila”.

«Ho pensato che ti renderà le cose piùfacili, rispetto a una tazza con un piattino.Però fa’ attenzione, scotta». Mi ricordame quando avviso i miei figli mentre tirofuori un piatto dal microonde. Mi mette il

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bicchiere tra le mani e mi conduce a untavolino all’aperto, dove mi aiuta asedermi.

Mi porto lentamente il caffè alla bocca,pregustando il profumo e il sapore, anchese non ho bisogno di caffeina per staresveglia, dato che tutti i miei sensi sono inallerta. Di certo non mi serve aiuto percontinuare a far fluire l’adrenalina nellevene.

«È buonissimo», dico, dopo un lungosorso cauto. Sto cominciando a capirequanto la conversazione tra le personedipenda dalle domande o dagli elementivisivi. Il fatto di non poter contare sunessuna delle due cose mi costringe aessere generica e superficiale. È come sefossimo al nostro primo appuntamento e lecose non stessero andando troppo bene.

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Faccio solo considerazioni inutili, e nonso se Jeremy mi stia mettendo alla prova omi lasci in questo limbo di proposito.Forse tendo troppo a basare ogni miaconversazione sulle domande, il che,considerata la mia formazione, è più cheplausibile. Forse ho difficoltà a elaborarestrategie alternative di fronte a circostanzeinattese? È strano che non abbia mainotato questo lato di me fino a questomomento, mentre me ne sto seduta quiaccanto a Jeremy con un caffè in mano,vestita di pelle, senza poter vedere nulla.

«Un soldino per i tuoi pensieri».Jeremy spezza il silenzio che è calato franoi e mi riporta al presente.

«È strano che tu me lo chieda. Stavoproprio pensando a quanto il dialogo sibasi sulle domande, dirette o indirette che

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siano. E mi chiedevo se per caso il fattodi rivolgere tante domande sia l’unicomodo che conosco per rendermi parteattiva di una conversazione. Mentre lodico ad alta voce, trovo questa ideaspaventosamente realistica. È ancora unpensiero in fase embrionale, ma più cirifletto più questa teoria mi sembrasensata».

La fine del mio ragionamento è seguitada un silenzio interminabile.

«Jeremy?». Mi ha lasciata sola? Èandato in bagno? «Ci sei ancora?»,chiedo. Merda, sto parlando da sola comeuna pazza e lui è sparito. Ancora una voltamaledico la mia cecità.

«Sì, sono sempre qui», dice pianoprendendomi la mano dall’altra parte deltavolo. «Sono molto felice che cominci a

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capire qualcosa di te stessa. Credi siagiusto fare domande, mentre gli altri nonsanno niente di te, dei tuoi pensieri, deituoi sentimenti? Sei talmente presa dallaprofessione che le hai permesso diinfluenzare anche le tue relazionipersonali. Passi il tempo a cercare dicapire gli altri, tanto che a volte misembra che dimentichi te stessa, chi sei,che cosa rappresenti».

Mi prende un po’ alla sprovvista. No,ad essere sincera mi prende un bel po’alla sprovvista. «Davvero pensi questo dime?»

«Sì. Hai sempre avuto questa tendenza,e con la tua professione è peggiorata.Ecco perché trovi così difficile trattenertidal fare domande e lasciarti andare,proprio come mi aspettavo che facessi».

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All’improvviso mi sento molto piùgiovane di Jeremy, e in un certo sensopsicologicamente più debole. Sospesa ametà nel rapporto genitore/figlio edottore/paziente. Un modello entro ilquale mi trovo molto a disagio. Nonsaprei dire con esattezza come sia per lui,ma penso di avere almeno un’idea.

«A proposito, come ti fa sentirel’assenza di stimoli visivi?». La suacuriosità mi ricorda vagamente l’analisi.

«Non è che non abbia ricevuto altristimoli…», dico, cercando di alleggerirel’atmosfera.

«No, Alex, parlo sul serio: dimmelo».Dato che mi ha appena descritta come

una persona poco aperta, decido dirispondergli con franchezza. «Èdifficilissimo, e sono sicura che te lo

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aspettavi, dottor Quinn. Per certi aspetti èpiù dura di quanto avrei potutoimmaginare… ci sono momenti in cui miviene da urlare per la frustrazioneassoluta e totale, mentre altre volte,quando vengo colta di sorpresa, io…be’… è…». Sento che sto arrossendo.

«Continua». Mi accarezza il viso,incoraggiandomi con dolcezza a parlare.

«È così strano non poter prevedere…nulla, proprio nulla. Nessuna azione,nessuna parola… Non so da dovearriveranno gli stimoli né se smetterannodi arrivare. Perfino una conversazionepuò sembrarmi simile a una corsa in moto,per usare una metafora».

«E negli altri momenti?». Mi accorgodi essere sulle spine, faccio fatica a stareferma sulla sedia. Io sono quella che fa le

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domande, di solito, non quella cherisponde.

«Negli altri momenti mi sento nervosaed emozionata al pensiero di non saperecosa sta per succedere, come quandopotrei essere toccata, accarezzata, operfino sculacciata!». Arrossisco,ricordando la rapida pacca sul sedere concui mi ha spiazzata prima di cena. «Nonso dove mi stia portando tutto questo, esono davvero tentata di… be’, ecco, dilasciarmi andare e perdere il controllo…ma è così difficile».

«Speravo proprio che avresti reagitocosì, e sei andata ben oltre le mieaspettative. Se ti fidassi di me un pochinodi più, se mi lasciassi entrare dentro dite… Voglio che ti arrendi a me, questoweekend, più che mai. Voglio far uscire la

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vera Alexa, la donna che si è nascostadietro una facciata di autocontrollo pertroppo tempo. Noi due ci conosciamomeglio di chiunque altro al mondo. Nonabbiamo niente da perdere, e tutto daguadagnare. E se devo essere onesto,insieme alla scoperta di una cura per ladepressione, che spero di trovare entro unanno o due, la missione della mia vita seitu».

Quand’è che sono diventata la missionedella sua vita? Le sue parole mi piombanoaddosso come macigni, perché so chegenere di uomo sia Jeremy e so che nondirebbe una cosa del genere a cuorleggero, mai. Lui è sempre stato capace divedere dentro di me, di comprendere ciòche provo o che voglio prima ancora cheriesca a dirlo, e questo gli ha sempre dato

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un vantaggio rispetto ai miei stessiprocessi mentali. Sembra proprio chequesto fine settimana le cose andrannoallo stesso modo. Non siamo mai riuscitia staccarci del tutto l’uno dall’altra.

«Se è questo che pensi, allora perchémi sento sempre un po’ sul chi vive conte? È sempre stato così, e mi sorprendeche continui a succedere dopo tutti questianni». Il mio tono di voce tradisce lafrustrazione mentre continuo a parlare.«Guardami: dipendo da te in tutto e pertutto. Sai bene quanto tenga alla mialibertà, ed è proprio ciò che mi haiportato via. Mi chiedi di lasciarti entrare,ma quanto ancora posso andare a fondo?Quanto vuoi ancora? Stiamo sempreparlando di me, Jeremy, oppure in realtà èper te che stiamo facendo tutto questo?»

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«Ti risponderò con sincerità, dottoressaBlake. Sai che quando sei con me devisempre aspettarti qualcosa di inatteso. Èquesto che ti sto dando, e che non puoicontrollare. Paura, eccitazione,trepidazione, piacere, ignoto, fiducia,resa, uniti tutti insieme. Da qualche partenella tua psiche una tale commistione sista rivelando inebriante. Perché lo faccio?Perché so che in fondo ti piace, e che allafine ti libererà dalle coercizioni e daiconfini che ti sei autoimposta. Riflettici,Alex. Se non ci fossi io nella tua vita,l’unica cosa che ti mancherebbe davveroè la libertà. Perfino quando ti infuri o tisenti frustrata a causa mia, si tratta sempredi sensazioni momentanee, quindi hointenzione di correre il rischio in vista diun effetto straordinario». Tace per un

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momento, mentre le sue parole miarrivano addosso con tutto il loro peso.«Tra noi due esiste una tensione sensualeassoluta, e sinceramente, anche seabbiamo cercato di ignorarla per tuttoquesto tempo, non è affatto diminuita».

«Wow… per una donna cieca si trattadi un concetto enorme da digerire». Ilpotere delle sue affermazioni aprepercorsi di riflessione che dilagano nellamia mente mentre cerco di assimilaretroppi pensieri e troppe emozioni nellostesso momento.

Potrebbe essere vero? Amo l’ignoto?L’inatteso?

Che cosa intende quando parla dilibertà? Continua a usare questa parola…

Crede davvero che siamo destinati aessere così?

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È come se mi leggesse dentro, come unlibro aperto, con coerenza, attenzione,scaltrezza e a un ritmo che è lui adecidere.

«E stai pur certa, mia carissima Alexa,che la promessa di ieri sera è ancoravalida: continuo a tenere il conto».

«Cosa?», chiedo, distrattadall’improvviso cambio di argomento,ancora persa nella precedenteconversazione. Lui ripete.

«Sono sicuro che ricordi benissimo chesono un ottimo statistico!». Lo dice in untono carico di allusioni.

«Sì, certo, Jeremy, non potrei maidimenticarlo», rispondo nello stesso tono.Lo so fin troppo bene. Il pensiero mi faagitare: sono ricordi imbarazzanti, macomunque incredibili.

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«Che notte perfetta. Una delle mievittorie più dolci, e in definitiva una dellescoperte più sensazionali sul tuo corpofantastico…». Le parole gli muoiono inbocca mentre ricordiamo, e io torno aquel momento del nostro passato.

All’università siamo sempre stati incompetizione, cerchiamo di primeggiareuno sull’altro nelle varie materie espesso scommettiamo tra noi. Jeremy eio stiamo seguendo entrambi un corsofacoltativo di Metodi Quantitativi eabbiamo fatto una scommessa: chi di noidue otterrà il voto migliore potràscegliere qualcosa che l’altro dovrà fareper tutta la notte senza protestare. Gliho stretto la mano immaginandolo giàmentre pulisce il mio appartamento

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completamente nudo, mi prepara la cenae mi fa un massaggio, assoggettato aimiei capricci. Sì, ho pensato: è un’ideafantastica per una scommessa,soprattutto perché finora sono semprestata io a prendere i voti migliori in quelcorso. Non mi ha nemmeno sfiorato ilpensiero di poter perdere: dopotutto,non è neppure la sua area dispecializzazione.

Alla fine ci annunciano i voti, eJeremy prende mezzo voto più di me peraver fornito una spiegazione piùesauriente all’ultima domanda. Vadodritta nell’ufficio del professorJarlsberg per rivedere con lui il mioesame punto per punto. Con mio grandefastidio, ma c’era da aspettarselo,Jeremy viene con me, senza riuscire (non

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ci ha nemmeno provato) a nascondere ilsorrisone che ha stampato in volto.Tuttavia le mie proteste e le mieargomentazioni non convincono ildocente ad aumentare il mio voto oridurre quello di Jeremy, per quantoinsista. Il ghigno di Jeremy è perfinoraddoppiato, se possibile.

«Non una parola», gli dico brusca,bloccandolo con un cenno della manoprima di esplodere. E lui non aprebocca, ma la sua espressione èinequivocabile.

Lo ignoro di proposito per il restodella giornata, o forse è così saggio danon farsi vedere. Ci incrociamo di nuovopiù tardi, quella sera, alla festa dicompleanno di un nostro amico in unlocale alla moda lungo Oxford Street, in

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centro. Mi sono calmata e non sono piùcosì in collera per la sconfitta. Un’orettadopo, mentre stiamo chiacchierando conun gruppo di amici, Jeremy mi sussurrain un orecchio: «Credo sia arrivato ilmomento di riscuotere la mia vincita».

«Scusa, come dici?».Lui ripete.«Ma adesso, proprio qui?», ribatto.Sono un po’ in imbarazzo per il mio

comportamento di qualche ora prima; disolito so perdere con un po’ più didignità, ma è anche vero che non perdoquasi mai.

«Certo, cosa posso fare per te? Tioffro un drink?», dico, e faccio peravviarmi verso il bar. Lui mi cinge lavita con un braccio e mi trascina nelladirezione opposta.

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«Da questa parte. Seguimi». Mi sentoconfusa: non so dove stiamo andando.Penso sia da maleducati andarcenesenza salutare, inoltre non sono arrivatada molto e mi stavo divertendo. Luiavverte la mia incertezza.

«Forza!». Mi stringe più forte e mispinge deciso verso le scale.

«Cosa stai…?».Mi poggia un dito sulle labbra,

mettendomi a tacere mentre scendiamo.Non sapevo nemmeno che questo localeavesse un piano inferiore. Apre la portaextralarge dei bagni e mi fa entrareprima di lui, richiudendola a chiave allesue spalle. Sembra una camera blindata.Su una parete c’è uno specchio che va daterra fino al soffitto; per il resto lastanza è completamente ricoperta di

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moquette, non solo il pavimento, maanche muri e soffitto. Sembra davverosfarzosa, soprattutto se si pensa alloscopo primordiale cui è adibita.

«Serve ad attutire il rumore», mispiega mentre mi guardo intorno.

«Quello esterno o quello interno?».Solleva un sopracciglio e mi rivolge

un sorriso furbo. «Mmm… Buonadomanda». Santo cielo, cos’ha in mente?

«Ti serve?». Mi indica il water,prendendomi alla sprovvista.

«Oh… no! E di sicuro non con te quidentro», aggiungo sdegnata.

Si lava le mani con acqua calda e se leasciuga meticolosamente.

«Santo cielo, Jeremy, che ci facciamo,qui?»

«Io ho vinto, tu hai per…». Si

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interrompe a metà. «Diciamo che tu nonhai vinto».

Sospiro esasperata e alzo gli occhi alcielo. Il suo sguardo si fa più seriomentre mi si avvicina.

«Ripetimi le condizioni della nostrascommessa, Alexa».

Ecco, ci siamo… «“Senza protestare”,Jeremy».

«Bene, sono felice che te ne ricordi.Voltati e metti entrambe le mani sullospecchio, sopra la testa».

«Cosa?». Mi fa girare e mi ritrovodavanti allo specchio, con lui dietro dime. Nonostante i miei tacchi vertiginosi,lui è comunque più alto.

«Subito!». Mi afferra le mani,impaziente.

«D’accordo, d’accordo». Ho la

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sensazione che sarà una notte moltolunga.

Faccio come mi chiede e gli struscioaddosso il sedere per addolcire il suoumore. Sento la sua erezione premeredietro di me. Ah, Jeremy, questa storia tista mandando proprio su di giri! Tutti edue ridacchiamo quando ci guardiamonegli occhi nello specchio. I suoi ardonodi eccitazione e frenesia.

Mi solleva la gonna fin sui fianchi emi abbassa le mutandine alle caviglie,poi aspetta che finisca di sfilarle. Con unsospiro rassegnato sollevo il piedesinistro. Mi divarica ben bene le gambe.

«Grazie», dice in tono gentile, comemi stesse offrendo una sedia per farmiaccomodare.

Ma cos’ha in mente?

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Mi bacia il collo, mi fa scivolare lebraccia intorno alla vita e senza unattimo di esitazione mi appoggia unamano sul sesso.

«Sarà divertente. Non staccare i palmidallo specchio, Alex. Dico sul serio».

Tira fuori qualcosa da una tasca e lopoggia su una mensolina accanto a sé,fuori dal mio campo visivo. Poi cominciaa giocare. Mi tiene una mano sui reni,sotto la gonna sollevata – anche se ècomunque piuttosto corta – e l’altradavanti, dove le sue dita magichecominciano a stuzzicarmi. I miei umorilo aiutano a scivolare a suo piaceredentro e fuori di me. Ho lo sguardo fisso,mentre il massaggio interno si fa semprepiù profondo e deciso. Jeremy mi guardaintensamente. Comincio a gemere via via

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che la tensione della giornata miabbandona per lasciare il posto a unatensione sessuale che aumenta semprepiù dentro di me. Una mano mi scivolavia dallo specchio, dove lasciaun’impronta umida.

«Non muoverle». Cerco di allargare ledita per guadagnare un appoggiomigliore. Oddio… Lui intanto continua ilsuo assalto, so che ormai sono vicina ebramo quella liberazione che è a pochiistanti da me. Come è possibile che conlui arrivi così in fretta? Riesce amuovere le dita e il pollice a un ritmoperfetto e sono all’apice… all’apiceassoluto… entro in quell’immensità…quella quiete… perdendo ognicognizione… e lascio esplodere lameravigliosa sensazione di ciò che

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Jeremy sa fare al mio corpo. Appoggio latesta allo specchio insieme alle mani e aigomiti, mentre il mio corpo si muove ascatti seguendo il ritmo che lui hacreato, quando all’improvviso sentoqualcosa di strano dentro di me, unintruso la cui presenza mi sconvolge,caldo, pieno, che mi scivola nell’ano. Diriflesso, lo sfintere gli si stringe intorno.

«Che cazzo è?», ansimo mentrerecupero lucidità, o almeno ci provo…

«Un butt-plug. Disegnato da unacoppia di amici. Vogliono sfruttare lalaurea in economia e scienza per entrarenel mercato dei sex toys, così mi sonoofferto di provare questa lorocreazione».

Come riesce a farmi qualcosa di tantosconvolgente e subito dopo mettersi a

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chiacchierare come se nulla fosse? Miha addirittura distratta dalla situazionein cui mi trovo.

«E che ci fa nel mio culo, Jeremy?»«Hai un culo splendido, Alex. Voglio

esplorarlo meglio, e dato che ho vinto lanostra scommessa, stasera posso. E saiqual è la cosa migliore? Che non potrailamentarti neanche un po’». Mentre ilsuo viso si distende in un sorrisomalizioso, mi rendo conto di essererimasta pietrificata da quando mi hainfilato quell’aggeggio. Più sono tesa,più ne avverto la presenza e cerco dispingerlo fuori, ma non ci riesco. Non honemmeno il coraggio di mettere unamano nelle vicinanze. Sono sconvolta, eriesco solo a fissare il riflesso di Jeremynello specchio.

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«Il tema della nostra serata saràMarco Polo», dichiara lui orgogliosomentre sono bloccata come unmanichino. Non può fare sul serio.«Come lui è andato alla scoperta deiterritori inesplorati del mondo, così iointendo sondare e conoscere i territoriinesplorati del tuo corpo».

Dio, invece è serio, e sembra anchemolto soddisfatto di sé.

«Alex, respira… e puoi anchemuoverti. Va tutto bene: ti sentirai soloun po’ strana, almeno finché il tuo corponon si adatterà alla nuova sensazione».

«Da quand’è che sei un esperto inqueste cose, Jeremy?», gli chiedobalbettando.

«Diciamo solo che ho fatto dellericerche».

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Si china e mi solleva un piede. Ho unsussulto in risposta al movimento forzatoche mi fa compiere quando mi rimette lemutandine. Con le dita sfioradelicatamente il butt-plug, lo spinge e lotira appena, facendomi ansimare forte,poi mi risistema la gonna in modoconveniente.

«Perfetto. Grazie per aver messo unaminigonna, stasera, è perfetta. Seipronta a tornare dagli altri? Ormai è daun po’ che siamo qui».

Lo fisso sconvolta. Non mi era propriopassato per la testa che avrei anchedovuto fare vita sociale. Un lampo gliattraversa gli occhi mentre osserva lamia espressione.

«O preferisci andare senzamutandine?»

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«Dio, no!». Trovo agghiacciante ilsolo pensiero. Gli angoli della sua boccasi sollevano in un sorriso. «A volte timanderei a fare in culo, Jeremy».

«Oh, tesoro, lo so benissimo,credimi… e immagino il tuo non fosse ungioco di parole. Ma la notte è ancoragiovane».

Mi guardo nello specchio e mistupisco nel vedermi con le guancearrossate e un’espressione di beatitudinepost-orgasmo, invece del colorito terreoche mi aspettavo con quell’intrusodentro di me.

«Ti assicuro che hai un aspetto ancorpiù meraviglioso di quando siamoarrivati qui, e sono certo che continueràa migliorare con il passare delle ore».Lo guardo perplessa, in cerca di

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ulteriori spiegazioni. «Ho intenzione ditoglierti il butt-plug nello stesso modo incui l’ho inserito, ma i tuoi orgasmisaranno ancora più potenti fuori daiconfini di un gabinetto, te lo possoassicurare».

Le sue parole mi fanno avvampare emi provocano degli spasmi alla vaginache si riverberano contro il butt-plug.Quando mi avvio circospetta verso laporta, mi accorgo che quell’intruso nelmio corpo mi dà meno fastidio, anzi èdiventato una presenza stimolante,sensuale. Ne resto sorpresa.

«Ogni volta che lo sentirai dentro dite, pensa a me che ti tocco e a quel che tiaspetta. Nel frattempo andiamo a berequalcosa per rilassarci, così smetterai diavere l’aria di una che ha qualcosa

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infilato nel culo!».Mi dà una leggera pacca sul didietro e

io mi contraggo, avvertendo la presenzadell’intruso dentro di me; a quellasensazione i capezzoli mi siinturgidiscono all’istante. Accidenti!Jeremy lo nota subito.

«Dio, adoro il tuo corpo, AB. È comese mi parlasse».

Mi congratulo con me stessa quandoriesco a conversare quasi senzaproblemi con i miei colleghi dilaboratorio Josh e Sally per la mezz’orasuccessiva, cercando di ignorare isorrisi e le strizzate d’occhio di Jeremyaccanto a noi. Sono rassegnata all’ideache l’incursore resterà lì fin quando luinon me lo toglierà, soprattutto perché ionon ho nessuna intenzione di toccarlo. E

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poi a dire il vero non è tanto male, anzi,per nulla, ma non lo ammetterò maidavanti a lui. Siamo nel bel mezzo di unadiscussione animata, quandoall’improvviso quel maledetto oggettocomincia a vibrare dentro di me,facendomi sussultare; il drink mi sfuggedalle mani e vola in aria, e il bicchierefinisce addosso al povero Josh. È unasensazione diversa da qualunque altraabbia mai provato, e molto intensa.Cerco di chiedere scusa a Josh, mariesco solo ad appoggiarmi al tavolo delbar e prendermi la testa tra le mani,mentre sudo e ansimo. Cazzo, Jeremy,spegni questo mostro vibrante! Lasensazione è così intensa che non honemmeno la forza di alzare gli occhi perlanciargli uno sguardo letale.

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«Alex… Dio… che ti succede? Staibene? Ecco, vieni a sederti…».

Sedermi? Neanche per sogno. Macome faccio a spiegarlo a un amico?

Grazie al cielo, lo spegne.«Sto bene… sul serio… è tutto okay»,

riesco a dire a scatti, con il fiato corto.Jeremy si precipita al mio fianco, e

con grande teatralità si mostrapreoccupato per la mia salute.

«Alex, sembra che tu non stia bene.Forse dovrei portarti a casa».

«Sì, forse è una buona idea». Loguardo furente per quel che mi ha fatto,ma per una volta completamented’accordo con lui. Un altro episodio delgenere mi manderebbe oltre il limite, inpubblico, e sono terrorizzata all’idea diritrovarmi con un bisogno disperato

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dell’orgasmo che mi ha promesso.«Andiamo via. Subito!». Avverte la miafretta e raduna all’istante le nostre cose.Salutiamo tutti e ci allontaniamo.

A casa, con delicatezza, attenzione,tenerezza e amore deflora il mio culo.Non fa male quanto mi aspettavo. A direil vero, più mi rilasso, più sono aperta, equesto permette a Jeremy di muoversidentro di me. Sembra più stretto, e piùintimo del sesso vaginale, anche se mista prendendo, possedendo del tutto.Sono sensazioni molto diverse, piùconcentrate sulla parte bassa dellaschiena e le cosce, mentre le dita espertedi Jeremy continuano ad accarezzare estimolarmi il clitoride e la vagina. Chealtro posso dire? Solo che qualcosa dicui avevo tanta paura non avrebbe

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dovuto causarmi tanta ansia. Jeremy miassicura che un simile successo è daattribuire alla giusta preparazione.Mentre siamo distesi a letto insieme,nudi, contempliamo i nostri corpi el’esperienza che abbiamo appenacondiviso. Assolutamente incredibile.Forse non avrei dovuto rifiutarmi pertanto tempo… o magari, invece, è valsala pena di aspettare.

«Sai una cosa? Ho deciso l’argomentodella mia tesi», dichiaro orgogliosamentre ci accarezziamo in modolanguido.

«Finalmente! Dimmi tutto».«Verterà sugli scritti di Sabina

Spielrein, soffermandosi in particolaresulla connessione tra masochismo ed egofemminile».

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«Wow, AB. Un argomento tosto. È giàstato approvato?»

«Sì, proprio stamattina. Sonoemozionatissima».

«C’è un motivo particolare per cuil’hai scelto?». Jeremy mi guarda drittonegli occhi, impaziente di sapere.

All’improvviso il suo sguardo e il tonodella sua domanda mi mettono inimbarazzo, così cerco di glissare,rotolando sulla pancia e nascondendo latesta nel cuscino.

«Alexa? Non ti starai micanascondendo da me, vero?». Mi spingeper farmi girare di nuovo. «Oh, Alex, nonte lo permetterò, mai e poi mai».

Ma che diavolo sto combinando?Perché non riesco a dargli una rispostaaccademica, come ho fatto con il

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professor Webster stamattina?Alla fine riesce a farmi voltare, e mi

ritrovo di nuovo supina. Lui si siedesopra di me e comincia a farmi ilsolletico senza pietà, e io, naturalmente,mi contorco. «Ti prego, smettila, loodio!», ansimo tra un assalto e l’altro.

«Non ci penso neanche, se non migiuri che me lo dirai». Sono intrappolatasotto di lui, e le contrazioni delle suedita non mi danno tregua.

«Okay, okay, non ce la faccio più, tiprego, basta».

Aspetta paziente che riprenda fiato,bloccandomi le mani ai lati della testa inmodo da potermi guardare in faccia.Decido di farla finita il prima possibile.

«Ho sempre avuto questa fantasia diessere completamente dipendente, cieca,

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frustata e soddisfatta, e vorrei capirne leradici profonde, perché è una cosa chemi provoca grande sconcerto. Ecco, tuttoqua».

Mi guarda con aria interrogativa,sorride, ma è davvero sorpreso. Pregodentro di me che non mi chieda altro.

«Interessante». Mi osservapensieroso, e il silenzio si espande tranoi.

«Ti è piaciuto, stasera, Alex?»«Sì».«Molto?»«Sì, moltissimo».«Te l’aspettavi?»«No, per niente».«Sarei più che felice di essere

coinvolto direttamente nelle ricerche perla tua tesi».

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«Grazie. Lo terrò presente».«Grazie a te per avermelo detto».E io non posso credere di averlo fatto.

«In ogni caso sono felice che tu abbiafinalmente cominciato a conoscere testessa. Significa che il mio piano stafunzionando, proprio come volevo».

«Dio, non c’è niente al mondo chefaccia paura più di te con un piano inmente, Jeremy».

«Non essere così cinica, tesoro. Guardaquanto sei riuscita a progredire… eabbiamo ancora molta strada da fare». Mista prendendo in giro, ne sono sicura,anche se l’entusiasmo con cui mi rispondefa vacillare un po’ la mia certezza. «Tantoper sapere, alla fine hai più sperimentatoin prima persona l’aspetto psicologico

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della tua tesi, come avevamo detto?»«No, Jeremy, e poi se l’avessi fatto lo

sapresti».«Oh, e perché?»«C’è davvero bisogno di chiederlo?

Come se io potessi fare qualcosa delgenere con un’altra persona».

«Non so dirti quanto mi lusinghi, Alexa,in molti sensi». Non sono sicura di cosasignifichi quel commento, ma sono certadi voler cambiare discorso primapossibile.

«Okay, lungi da me far diventare noiosoil viaggio che hai organizzato con tantacura». Finisco il caffè e poso il bicchierevuoto sul tavolo.

* * *

Dopo il caffè ho assoluto bisogno di

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andare al bagno. Sarà un bel problema.Non posso credere di doverglielochiedere: è così imbarazzante. È inmomenti come questo che la dipendenzada qualcun altro dimostra i lati peggiori.Ma ho forse altra scelta?

«Nessun problema, entra». Jeremy mifa superare una porta e apre una chiusuralampo che mi gira intorno al sedere, passatra le gambe e risale verso la pancia.Davvero, non posso credere che l’abbiafatto.

«Il water è proprio dietro di te. Ah, enon preoccuparti delle mutandine. Sonoculotte larghe, per un accesso facilitato».Sento che sta sorridendo. «Ti lascio solae aspetto qui fuori».

C’è forse qualche minimo dettaglio acui non ha pensato per questo weekend?

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Non ha lasciato proprio niente al caso?Forse no, è sempre stato un pianificatoremeticoloso e senza alcun dubbio le sueabilità si sono affinate con il passare deglianni. Chiusure lampo e culotte. Santocielo! Mi domando se le abbia previsteper questo scopo specifico o se ha inmente qualcos’altro. Il pensiero miattraversa come un brivido, mentre cercodi concentrarmi su ciò che devo fare.

«Allora, tutto a posto?», mi chiede.Annuisco.«Fantastico. Seguimi. È il momento

della bardatura».“Oh, merda”. Non mi viene in mente

nient’altro.I miei piedi rimangono inchiodati a

terra mentre lo stomaco si lancia inun’altra corsa sulle montagne russe in un

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tumulto di aspettative, paura, calma,paura, calma, paura, paura…

«Bardatura…», ripeto esitante. «Lo stodicendo, non chiedendo», mi affretto adaggiungere per mettere le cose in chiaro.

Lui mi fa avanzare, in silenzio e albuio. «Non ti preoccupare. Ti piacerà».

«Piacerà? Che cosa?». Ho un tonosospettoso, mentre cerco di pensare aqualcosa che mi piaccia e abbia a chevedere con una bardatura. Ma non miviene in mente niente.

Mi sento allacciare delle cinghie sullespalle e poi click, click. Delle maniruvide fanno la stessa cosa intorno allemie gambe, e poi in vita, click, click. Nonsento altri rumori, e l’ansia aumenta.

«Jeremy?». Le mani non mi sembranole sue. C’è odore di sigarette stantie.

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«Come ti senti, amore?». È la voce diuno sconosciuto. Mi rendo conto che parlacon me, mentre una cinghia viene tirata esistemata. Vengo strattonata e spinta,allacciata, e alla fine sento uno schiocco.

«Così va meglio», dice l’uomo. «Aquanto pare siete a posto tutti e due. Nonpreoccuparti, amore, non appena entrerainell’ordine di idee ti sentirai benone. Èsolo la prima parte che fa una paura deldiavolo, vedrai». Ride e mi dà una paccasulla spalla per rassicurarmi. Vorreiribattere che non vedo nulla dietro questiocchiali da sole, ma ho perso la voce esento le gambe di gelatina. Nell’ordine diidee? Paura del diavolo nella primaparte? Anche se con la bocca tento diformulare le parole, non ne esce alcunsuono. Cerco disperatamente di dare un

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senso a quanto sta succedendo senza ilsupporto dello stimolo visivo. Ho i vestitiaddosso; questo è un bene, no? Però lecerniere lampo, l’apertura tra le miegambe, le cinghie, le chiusure, tutto èmolto, molto preoccupante. Nella mentemi si affollano immagini su immagini digiochi sessuali sfrenati e orge. Come eperché? Adesso stiamo esagerando. Nonposso farlo, non lo farò mai… questa nonsono io. Respiro a fatica, e la mia mentesi blocca mentre il panico si diffonde.

Sento una voce.«Alex?». Viene da qualche parte,

lontano. Mi tremano le ginocchia e mi girala testa mentre annaspo in cerca d’aria.Mi piego in avanti, e mi afferrano primache cada a terra.

«Mio Dio, AB, stai bene?»

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«No, non sto bene per niente». Non sose lo sto dicendo davvero o solo nella miamente.

«Aspetta un momento, respira».Braccia forti mi cingono e mi fannocamminare, chissà dove, mentre le gambemi tremano. «Va tutto bene, ci sono io,ecco, un passo alla volta».

Sì, un passo alla volta, giusto:fermiamo tutto, sensazioni e giramenti ditesta. È un buon consiglio, conferma lamia mente, mentre saliamo qualchegradino e avanziamo ancora.

«Ecco, siediti qui. Vuoi dell’acqua?».Vengo adagiata su una sedia imbottita conlo schienale rigido.

Sì, acqua, buona idea.«Alexandra… vuoi bere?».Credevo di aver detto di sì, ma poi mi

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accorgo che è stata solo la mia mente arispondere, quindi lui non può avermisentita. Annuisco. Mi accostanodell’acqua alle labbra e bevo un sorso,poi un altro. Mi serve un po’ di tempo perriprendere il controllo su testa e stomaco,poi potrò dire a Jeremy che vogliosmettere subito.

Un respiro profondo… ho ancora lanausea, ma sono meno confusa, ora che hoinalato un po’ di ossigeno.

«Continua a respirare. Bene, vameglio», dice una voce, anche se non socon certezza se è lo sconosciuto di primao Jeremy. Inspira, espira, dentro l’aria,fuori l’aria, dico a me stessa cercando diconcentrarmi.

«Alex, per favore, rispondimi: staibene? Mi senti? Non so cosa ti è

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successo».«Sono… un… un po’…». Sento il

rumore di una porta che si chiude nellevicinanze. I suoni diventano attutiti.

«Va tutto bene, sono qui accanto a te,tesoro. Te lo giuro, non ti lascio sola». Ilmodo in cui mi parla è vagamenterassicurante.

«Non posso, io…». Le parole faticanoancora a formarsi sulle mie labbra. Bevoun altro sorso d’acqua. Sento un altroclick intorno alla vita e a quel puntoesplodo. «Non ho intenzione di lasciarmiappendere su una perversa macchinaerotica, Jeremy». La mia voce è rauca,frenetica. «Basta con questa storia. Comehai potuto? Con un uomo che puzza ditabacco, poi. Non avrei mai creduto chepotessi mettermi in una situazione del

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genere. Non puoi, e non voglio». Sento lelacrime salirmi agli occhi e deglutiscocon forza per respingerle. «È troppo, mistai chiedendo troppo».

«Alex». Jeremy mi mette un bracciosulle spalle. «È questo che hai pensato?Credevi che ti avrei chiesto una cosa delgenere?».

Scoppio in lacrime, tremando. «Nonposso, Jeremy, non voglio. Non è da me»,dico tra i singhiozzi.

«Tesoro, non ti sto chiedendo niente delgenere. Deve essere un’esperienzapiacevole, non angosciante».

«E come può non esserlo? Guardami,sono un disastro».

Sento un rumore di motori che vengonoavviati, una propulsione, poi cimuoviamo.

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«Che succede? Siamo su un aereo?»,chiedo incredula mentre facciamo unacurva lenta e all’improvviso acceleriamo.La forza mi spinge indietro contro ilsedile, in un attimo ci stacchiamo da terrae l’aria comincia a cullare dolcementel’aereo mentre sale sempre più su. Lelacrime si fermano di colpo. Mi libero dalbraccio di Jeremy e tiro un pugno con tuttala forza dove suppongo si trovi il suopetto.

«Bastardo!», grido. Lui mi afferra ilpolso un attimo prima dell’impatto. «Seiun bastardo schifoso!». Mentre mi bloccail pugno con una mano, mi rimette ilbraccio sulle spalle, inchiodandomi alsedile: sa bene che vorrei solo scagliarmicontro di lui. Sento che il suo corpo èscosso da una risata silenziosa. Lotto con

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lui, e mi sento sul punto di esplodere. Mala forza delle sue braccia mi sovrasta e miblocca ancora di più.

«E dài, AB, non è colpa mia se sei unapervertita. Pensavo di fare un innocentegiro in aereo, mentre tu hai immaginatouna sex machine… Ora devi dirmi conprecisione cos’hai pensato».

«Ah, sta’ zitto, sta’ zitto e basta».Ormai ride in modo convulso, incapace dicontrollarsi. Mi divincolo, liberando lebraccia e incrociandole davanti al petto.

Non rispondo. Sono fuori di me, misento ingannata, in imbarazzo.

Non posso rispondergli, perché nonsaprei nemmeno cosa dire. Come mi èvenuto un pensiero del genere? Perché lamia mente è saltata automaticamente aquella conclusione fra tutte quelle

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possibili? È preoccupante.Mentre Jeremy si abbandona alla sua

ilarità scomposta, colgo l’occasione perrifilargli una gomitata tra le costole,facendolo strozzare. Mi sento un po’meglio, visto che sto ribollendo di rabbia.Ne ho abbastanza degli occhiali, dellebarriere che mi tolgono la vista, e sperocon tutta me stessa che l’effetto dellegocce sia esaurito. Alzo in fretta una manoper togliermi gli occhiali, ma con la stessarapidità vengo afferrata e bloccata.Possibile che non mi stacchi mai gli occhidi dosso?

«Alex, non ci provare. Ci siamo giàpassati ieri sera, e sai benissimo cosasuccederebbe». Mi tiene entrambi i polsistretti in una mano e resta sedutotranquillo per il resto del viaggio. Nessun

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rimorso. Nessuna scusa. Rimango insilenzio, furiosa, per quella che mi sembraun’eternità.

Poi Jeremy mi appoggia il viso sulcollo e mi parla di nuovo in tono leggero,con voce allegra: «Però devi ammetterlo,è proprio divertente».

Non ci posso credere.«Non ci trovo proprio nulla di

divertente», rispondo seccata.«Ma tu hai pensato sul serio… davvero

hai creduto…». Ricomincia a ridere.L’espressione sul mio viso lo convince asmettere e a ricomporsi. «È evidente chehai pensato a qualcosa di terrificante. Nonti ho mai vista così… tremavi». Tace perun momento e poi riprende con dolcezza:«È molto importante comprendere come eperché vivi emozioni del genere. Fa parte

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del processo. Imparerai molto su testessa», aggiunge serio.

“Cazzone condiscendente” è l’unicocommento che mi viene in mente di frontealle sue parole, a prescindere dal fondo diverità che possono avere.

«È stato davvero così spaventoso perte? Hai avuto troppa paura?»

«Jeremy, voglio smettere. Per favore,non mi forzare. Non ce la faccio più, miverrà un infarto».

«Allora sei fortunata, perché sono unmedico e nel caso ti salverò. Tuttavia, seiin perfetta salute».

«La perfetta salute non conta nulla incondizioni del genere, e poi che diavolone sai tu?».

All’improvviso vengo investita da unaforte corrente d’aria, mentre un rombo mi

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assorda.E adesso? Mi tirano e spingono di

nuovo, vengo agganciata e controllata.«Ancora non hai indovinato?». Jeremy

mi grida nelle orecchie per sovrastare ilrumore del vento e del motore. «Faremoparacadutismo, proprio come per il tuoventicinquesimo compleanno! Ricordi?Anche quella volta hai cercato di tirartiindietro, ma poi ti è piaciuto tantissimo».Dal frastuono e dalla potenza dell’ariache mi investe capisco che non stascherzando. Dentro di me scorronosollievo, paura ed eccitazione, in rapidasuccessione. Scuoto la testa, incredula.

«Devo fare in modo che tu abbia incircolo abbastanza adrenalina, così tirimarrà un po’ di energia per dopo!»,grida. Il suo tono è sfrontato, ma anche

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sincero.«Be’, direi che questo funzionerà

benissimo», rispondo nervosa. «Macieca…?».

«Fa parte del processo».Mi aggrappo disperatamente a lui, che

ora è vicinissimo, e cerco di farmicoraggio mentre grido di rimando: «Soloperché ho già fatto un lancio in passato», emi è piaciuto, ammetto solo dentro di me,«non significa che voglia rifarlo proprioadesso! Non così!».

La pressione del suo corpo aumenta,spingendomi avanti, e capisco che ilmomento del salto si avvicina.

«Okay, Alexa. Tre, due, uno…».Vengo lanciata e cadiamo giù, nel

vuoto, mentre l’aria mi entra in ogni porodel viso, togliendomi il respiro e

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facendomi sobbalzare lo stomaco. Poi lapressione spinge contro le estremità dibraccia e gambe, costringendole adivaricarsi. Il rumore del vento in brevesovrasta quello del motore, sempre piùlontano. I suoni della macchina costruitadall’uomo svaniscono mentre voliamoliberi.

Non c’è niente che assomigliall’esperienza di lanciarsi da un aereo,pieni di speranza e legati alla persona dacui tutto dipende. La potenzadell’ossigeno che mi martella nella testatravolge tutto il corpo. Lo stomaco miarriva in gola mentre precipito verso ilsuolo perdendo ogni senso di stabilità.Invece di durare un secondo o due, ladiscesa continua e comincio a desiderarefollemente di sentire la tela che si

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distende, invece non succede e la cadutalibera continua. La discesa sembra durareall’infinito e il mio stomaco continua afare capriole mentre precipito nel nulla.Ma come fa a essere il nulla, quandopreme con tanta forza su ogni muscolo,ogni millimetro di pelle, ogni singolacellula? E intanto continuo a cadere. Ilrumore è assordante e rischia di farmiesplodere i timpani. Per la prima voltasono felice di avere gli occhi protetti echiusi, data l’intensità della pressione. Aun tratto mi sento circondata da qualcosadi umido e rabbrividisco al pensiero chestiamo attraversando una nuvola. Cadiamoancora e ancora. Alla fine il mio stomacosi placa e riesco a godermi la corsa, lavelocità, in ogni sua parte. È anche megliodella prima volta che l’ho fatto. È una

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scarica di adrenalina che annienta,sovrasta, divora all’istante. Per me ècome l’ecstasy, l’eroina, l’anfetamina… ementre ci rifletto, un pensiero si insinuanella mia mente. Ricordo nei minimidettagli il racconto di un paziente chediceva di aver provato l’eroina una voltae di non volerla prendere mai più. Gli hochiesto se fosse tanto male, e lui harisposto: «È esattamente il contrario: erafin troppo buona, così incredibile, cosìfantastica che se la prendessi una secondavolta non potrei più smettere». SoloJeremy poteva sapere che la mia rabbia sisarebbe dissolta subito grazie allo shockinebriante dell’adrenalina. Per un attimomi balena l’idea che potrei sviluppare unadipendenza da lui.

All’improvviso vorrei smettere di

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cadere. Di colpo non voglio piùpermettermi di amare quella sensazione.Non dovremmo aver aperto il paracadutegià da un po’ ormai? La cecità torna ainfastidirmi. Ho bisogno di vedere quantosiamo lontani da terra. Scendiamo da cosìtanto tempo che quasi non riesco a farentrare l’aria nei polmoni. Il cuore mibatte più forte a quel pensiero, la pauraaumenta. Se l’intenzione di Jeremy eraquella di provocarmi una scarica diadrenalina, ci è riuscito benissimo.Aumenta, aumenta, aumenta, sempre piùforte, più veloce. È come se ogni parte dime fosse in caduta libera in questi istantiin cui tutto è a rischio, tutto potrebbeandare distrutto. Non ho alcun mezzo perimpedirlo, fermarlo, per controllarlo. Hofatto molti sogni di questo genere prima,

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in cui cadevo, cadevo, e aspettavodisperatamente di smettere di precipitare,di svegliarmi, di essere salvata: qualsiasicosa, pur di non sfracellarmi al suolo. Neisogni mi chiedo sempre come ho fatto adarrivare a quel punto, cos’è che mi hafatto cadere.

Forse la mia mente cosciente e il mioinconscio si sono finalmente incontrati? Equesta è la conseguenza, la conclusione?Quei sogni erano premonitori, oppure hoignorato qualche segnale? Dov’è CarlJung quando ho bisogno di lui?

“Per favore”, prego rivolta a me stessa,a chiunque, “per favore, fa’ che tutto vadabene, fammi vivere e rivedere i miei figli,ti prego, ti prego, fammi uscire da questaesperienza tutta intera. Non voglio morire;non sono pronta…”. Com’è possibile che

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continuiamo a precipitare? A che altezzaeravamo? Tremila metri? Cinquemila?Siamo saliti così tanto? Certo, ero troppostressata e distratta per far caso ai dettaglimentre ero sull’aereo: non avevonemmeno capito di essere salita a bordo.Di sicuro dovremmo…

Di colpo freniamo.Silenzio.L’imbracatura tira forte tra le mie

gambe e ho la sensazione di essereimmobile, sospesa nell’aria. Il silenzio èassordante, dopo il fragore di pochi istantifa. Cominciamo a fluttuare… piano, condolcezza. “Grazie”, dico tra me, “grazie”.Il sollievo mi travolge.

Sento il sangue che mi scorre nellevene, pompato con forza dal cuore, ma ilrumore è diminuito, la pressione è minore

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e i miei arti non sono più spinti a forzaverso l’esterno. Ricadono molli, mentre latensione svanisce. Galleggiamo placidi,deliziosamente, del tutto liberi. Dà un talesenso di pace. Lo stomaco torna al suoposto, da qualche parte vicinoall’ombelico, anche se non sono sicurache sia proprio quello giusto. Ma ci vavicino. Ora sorrido, sollevata edemozionata da quell’esperienza. Sonofelice, libera, esaltata, sopraffatta dallasensazione di essere ancora viva. Caldelacrime mi riempiono gli occhi mentre dolibero sfogo alle emozioni.

Tump, tump. Mi si piegano le ginocchiaquando il terreno respinge il mio corpofacendolo sobbalzare e poi… niente.

Quasi inconsapevole, mi ritrovoavvinta in un abbraccio, con i piedi che

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quasi non toccano terra. Delle bracciaforti mi stringono. È un abbraccio vero.Jeremy mi libera dai ganci e mi fa voltare.Affondo il viso nel suo petto e miabbandono all’euforia dell’adrenalina edel sollievo. Sto tremando. Gli premoancora di più addosso la testa. Le suebraccia mi stringono. Singhiozzo. E poiancora. Non riesco a fermarmi. Sonoannientata. Tremiti. Tremori. Singultilunghi e potenti, che scuotono tutto ilcorpo. Per un istante infinito.

Non parliamo.Le sue braccia non mi lasciano, mi

stringono ancora forte. Non mi lasciano.Non c’è bisogno di parlare. Questebraccia non mi lasceranno.

Con una serie di sospiri profondi, ilrespiro torna normale.

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Dopo moltissimo tempo, un dito misolleva il mento, delle labbra sfioranoleggere le mie e vi indugiano per unattimo. Un braccio mi passa intorno alcorpo con sicurezza e mi conduce via, unpo’ camminando, un po’ trascinandomi.

Non servono parole mentre i nostricorpi si muovono in sincrono. Poi sentoun movimento intorno a me e vengodistesa su una coperta. Il sole è caldo, ilvento leggero. Sono ancora cieca. So chelo sarò fino alla fine delle quarantotto ore.Adesso però mi sento a mio agio. Non hopiù il desiderio né la volontà di lottare.Lo accetto. Sono calma.

Il rumore è cessato. Resto immobile.C’è silenzio. Nessuna parola. Solo il

vento, gli uccelli, l’odore di salenell’aria, le onde dell’oceano che vanno e

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vengono al loro ritmo universale. Le miespalle vengono spinte verso il terreno.Sento un leggero tocco sulla guancia.Percepisco un corpo accanto a me. Cercodi trovare un viso. Lo trovo. Lo avvicinoal mio e ne inalo il profumo. Lo attiro allelabbra, lo cerco con la lingua. Ho bisognodi questo viso. Ho bisogno di baciarlo, dipenetrarne la bocca. Voglio trasmetterglil’intensità dell’emozione che provo.Comunicargli il desiderio, il bisogno, laforza profonda che si trova nei recessi delmio animo e che è rimasta latente per tantianni, così che questo viso possacomprendere cosa mi ha fatto in passato,cosa mi sta facendo nel presente, cosadevo affrontare.

Il mio corpo si dimena e sussulta sottoil suo. Ci sono troppe barriere tra noi,

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barriere fisiche. Non sono abbastanzavicina. È una sensazione così intensa ecosì frustrante. Cerco un modo perraggiungerlo, per annullare ciò che cidivide. Ho bisogno di contatto. Lo bramo.Sono bloccata. Le mie mani non loraggiungono: si perdono, vengono fermate,baciate. Tutto pulsa dentro di me. Lui mitrattiene saldamente le mani, intrappolatesotto il peso del suo corpo. Come isinghiozzi, così anche la vibrazionediminuisce con il tempo. Riprendo arespirare, il mio cuore rallenta, alla fine.E anche il suo.

«Sei travolgente, appassionata,ardente». Il suo respiro rallenta nel mioorecchio. Le sue parole aumentano latensione tra le mie gambe mentre aspettoche il dolore si plachi di nuovo. È sempre

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riuscito a innescare questa sensazionepre-orgasmica con uno sguardo, un tocco,una frase. Ma negli anni, invece didiminuire, il suo effetto ha raggiunto unapotenza che non avrei mai credutopossibile. «Ti senti così?».

Annuisco, troppo annientata perparlare, e non oso riconoscere la veritàche si cela nelle sue parole. «Che cosa mihai fatto?», è tutto quel che riesco a dire,ma è poco più di un sussurro.

«Sai che ti amo, Alexa». Il suo tono èserio, la voce carica di emozione.

«Sì, lo so. E anch’io ti amo».«È strano che un amore come il nostro

non sia basato sull’essenza dell’amoretradizionale, no?»

«È sempre stato… strano, tra noi…intenso… giocoso… inebriante…».

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«Il nostro amore inspiegabile,irrefrenabile…».

«Almeno l’abbiamo capito quandoeravamo molto giovani». “L’abbiamofatto davvero?”, mi domando tra me e me.

Jeremy sembrava aver cambiato umore.Sono abituata a vederlo passaredall’allegria alla provocazione,dall’energia alla riflessività, ma stavoltac’è qualcosa di diverso. È come se mistesse parlando e fossecontemporaneamente perso nei suoipensieri. Un sottofondo oscuro restasospeso sotto le sue parole. Non so se nonvoglio o non sono in grado di esplorarepiù a fondo. Non poter fare domande nonè d’aiuto, soprattutto considerato che ognivolta che lo faccio finisco nei guai. Eadesso mi dice che mi ama. Queste

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montagne russe nel buio stanno diventandoemotive, oltre che fisiche.

Mi sento stanchissima, stordita.Viva.Calma.Sensibile.Leggera.Energica.Sopraffatta.Spaventata.Lasciva.Speciale.

* * *

Sono distesa supina e mi appoggio suigomiti. Jeremy mi offre dell’acqua. Lenecessità di base diventano una prioritàpressante quando mi rendo conto diquanto sono assetata. Bevo con avidità.

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«Grazie».«Hai fame?»«Non ne sono sicura». Mi porge un

sandwich e ne prendo un morso. «Mmm…forse sì».

Mangiamo e chiacchieriamo.Chiacchieriamo e mangiamo, mentre ilmuro che negli ultimi dieci anni hoinnalzato con tanta attenzione perproteggermi dai sentimenti che provo perlui crolla inesorabilmente.

«Posso chiederti una cosa?», dice lavoce accanto a me.

Provo una fitta d’ansia per unmillisecondo, ma la scaccio via.

«Certo. Cosa vorresti chiedermi?»«L’hai più fatto, là dietro?». Sono

confusa, e la mia espressioneprobabilmente mi tradisce, perché sento la

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sua mano scivolarmi tra le gambe e darmiuna piccola spinta sul sedere. «Sai… làdietro».

«Di tante cose che potevi chiedermi…no, non l’ho fatto. Non dopo di te»,aggiungo; non mi aspettavo affatto questocambio d’argomento.

Ma il mio didietro sembra ricordare lasensazione della prima volta, perché queldiscorso gli provoca una reazione.

«Perché no?»«Perché avrei dovuto?»«Alex», mi ammonisce in tono piatto.«Questa storia delle domande è

assurda!».Lui torna sul tema che gli sta a cuore.

«Però ti era piaciuto».«A te piaceva, ed è per questo che l’hai

voluto fare. Ne eri ossessionato fin dalla

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sera del butt-plug, e lo sei ancora, perquel che posso capire», aggiungo.

«Il tuo corpo lo adorava».«Non ne sono così sicura».«Oh, ti garantisco che è così. Il tuo

corpo lo adorava, eccome».Mi fa rotolare sulla pancia e mi

appoggia una mano sul fondoschienafasciato di pelle. Un formicolio miattraversa all’istante, come a dargliragione.

«Be’, per lui potrebbe anche esserecosì, forse, ma per me no», dico subito,cercando di chiudere la questione. Perchéne sta parlando?

«Non siete un tutt’uno?»«Certo che no», ribatto.«Davvero? Quindi stai ammettendo che

la tua mente e il tuo corpo possono

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pensare e sentire in modo diverso?». Ah,ci risiamo con la nostra eternadiscussione…

«Perché mi tendi sempre questi tranelli,Jeremy? Per tutto il fine settimana non haifatto altro che mettere in dubbio ogni miopresupposto. È davvero irritante».

«Già, e va sempre meglio, di ora inora», risponde lui, e ride, sicuro di sé.

«A dire il vero non ci trovo proprio unbel niente da ridere», dico, sperando dicambiare argomento.

«Te lo chiedo solo perché mi stooccupando di una ricerca che trattaproprio questo tema».

«Che cosa, i culi?». Adesso tocca a meridacchiare mentre penso a come possasvolgersi una ricerca del genereall’università. Sono sicura che Jeremy

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deve aver fatto di tutto per proporsi comevolontario.

«No, non i culi, Alex», mi dice piùserio, poi torna a scherzare, «almeno nonancora, ma sarò lieto di fare esperimenticon te non appena ti sentirai pronta». Miaccarezza il posteriore in modosignificativo. «Ma ne riparleremo piùtardi. Adesso dobbiamo andare».

«Oh, è proprio necessario? Il sole èmagnifico, e mi piacerebbe tanto fare unriposino qui, non sei d’accordo?». Misistemo come per prendere sonno.

«Sarebbe bello, ma non succederà.Abbiamo poco tempo e non ho intenzionedi sprecarlo lasciandoti dormire. Vogliosfruttare al massimo ogni minuto».

«Quante altre cose riusciremo a farcientrare, Jeremy? Drink, bagni, cene, balli,

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canti, sesso, orgasmi, colazione, giri inmoto, caffè, paracadutismo», elenco congrande enfasi, «e ora un picnic. Sarebbegià abbastanza per una settimana, altro cheun giorno solo. Abbiamo già fatto tutto.Riposiamoci un po’, solo una mezz’oretta.C’è ancora un sacco di tempo». Lo dicoanche se non ho idea di quanto tempo cisia rimasto, né di dove siamo. Tendo unamano avanti per toccarlo e attirarlo a me,ma lui si è spostato.

«Non sei cambiata per niente, eh? C’èancora molto da sperimentare e darisvegliare in te, e pochissimo tempo adisposizione».

«Ma non era il paracadutismol’esperienza definitiva? Jeremy, te logiuro, mi sento completamente esinceramente risvegliata, come non mi

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capitava da decenni». Con la mente tornoa stamattina e il ricordo riaccende lasensazione pulsante all’inguine.

«Tesoro, ti assicuro che siamo soloall’inizio». Mi accarezza le guance e midà un bacio leggero sulle labbra.Maledizione! Solo all’inizio? Che altromi aspetta? Il cuore ricomincia amartellare, di nuovo.

«Hai conservato un’innocenzaincredibile, Alexa, perfino dopo tuttiquesti anni».

Non so se offendermi o meno.«Adesso dobbiamo ripartire, così

potremo rimediare alla tua innocenza. Nonc’è tempo da perdere».

«No. Non mi muovo da qui. Qualeinnocenza? Di che stai parlando?». Nonuserei mai un termine del genere per

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descrivermi. Resto seduta, ostinata.Ma lui mi ignora. «Se non vuoi

muoverti, ci penserò io. La fatica non mispaventa». Mi tira su dalla coperta e conuna mano mi tiene il sedere, come a volerriportare su quello la conversazione. Fattoqualche passo, mi fa accomodare su unsedile caldo, mi allaccia una cintura econtrolla che i miei occhiali siano nellaposizione corretta e che io sia immersanell’oscurità.

«Siamo in un’auto?». Il motore prendevita con un rombo, accompagnatodall’ossessivo ritmo tribale della musicache esce dalle casse, e partiamo.Dobbiamo essere su una decappottabile,dato che il vento torna a sferzarmi leorecchie quando imbocchiamo la strada.Almeno il ritorno in hotel sarà un po’ più

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comodo. Anche se, ripensandoci, dopo unlungo giro in moto, un viaggio in aereo, ilsalto con il paracadute e adesso lamacchina, non ho la minima idea di dovesiamo e dove potremmo essere diretti.Potremmo anche aver superato il confine,per quel che ne so. La curiosità di saperedove ci troviamo mi sta divorando, e sonocerta che è proprio quello che vuoleJeremy. Ma nonostante tutto non oso faredomande. Resto seduta in silenzio,godendomi lo spazio psicologico che lamusica offre alla mia mente.

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Paarte quinntaa

L’occhio non ha altra scelta chevedere,

Né le orecchie han facoltà di nonudire;

I nostri corpi sentono, ovunquesiano,

Che noi lo si voglia o meno.

W. Wordsworth, 18472

Il nostro viaggio prosegue e mi sentosorprendentemente piena di energie, adispetto del mio presunto sfinimento

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emozionale. È come se Jeremy avessescoperto e portato alla luce un’oasi fertilenel mio corpo, che prima avevo sempreconsiderato un’arida zona desertica. Ècome se ogni poro della mia pelletrasudasse feromoni. Non mi sono maisentita così viva, sensuale, erotica; cosìfemmina. Per contrasto penso al miomatrimonio con Robert e mi accorgo diprovare dei sentimenti indistinti, quasinulli. Ma come potrebbero mai essereparagonati alla magnitudo su scala Richterche sa creare Jeremy? Chi altri al mondopotrebbe mai farmi vivere simili terremotiemotivi? Il flusso dei miei pensieri vieneinterrotto dalla voce di Jeremy, che mipoggia una mano su un ginocchio.

«Ti spiace se parliamo di alcuni aspettidella mia ricerca mentre siamo in

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macchina?»«No, per niente».«Te lo chiedo perché mi sembravi

assorta in pensieri profondi».Scuoto la testa per scrollarmi di dosso i

miei sentimenti.«Non preoccuparti, mi interesserebbe

molto saperne di più sulla tua ricerca».«D’accordo, perfetto. Come ti ho detto,

un gruppo di medici di tutto il mondo stacollaborando a una ricerca sulleconnessioni tra fisiologia eneuropsicologia cognitiva in relazioneall’attività sessuale. Io sono coinvolto inragione dei miei studi sui collegamentidiretti tra il sesso e la depressione. Perfartela breve, ho avuto la fortuna diconoscere Samuel qualche mese fa a HongKong, quando entrambi i nostri voli sono

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stati cancellati a causa di un’eruzionevulcanica; in quell’occasione abbiamoavuto la rara opportunità di confrontarciin modo dettagliato sul nostro lavoro».

«Ah, ecco perché era così aggiornatosulle tue ricerche».

«Di sicuro quando vi siete incontrati apranzo Sam ti avrà raccontato dei lorostudi sull’orgasmo femminile e sullediscrepanze scientifiche e le disputemediche in merito all’eiaculazione».

Annuisco, completamente presa dallesue parole. Adoro quando è cosìprofessionale, il suo lavoro mi affascina.Sento passione nella sua voce.

«Abbiamo finito per confrontarci sullapossibilità di sviluppare una formulautilizzando la serotonina naturale, che noncontrasta l’equilibrio chimico del

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cervello sul medio e lungo termine. Dopomolti test e analisi di laboratorio,abbiamo scoperto che potrebbero essercidei collegamenti tra le nostre aree diricerca, considerato che alcune particolarisituazioni sarebbero in grado di ridurre leprobabilità di cadere in depressione,soprattutto in relazione al concetto di“giochi per adulti”. Questo ci haindirettamente portati ad analizzare lesecrezioni dell’orgasmo femminile perciascun gruppo sanguigno».

«Wow, sembra affascinante». EccoJeremy mentre dà il meglio di sé: è ilmotivo per cui è apprezzato per i suoistudi. Non posso fare a meno di ammirarele sue capacità e il modo in cui la suafacoltà di astrazione lo porta a scopriresoluzioni che gli altri non sono in grado di

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cogliere. È sempre pronto a esplorarel’inatteso.

«Siamo convinti che esista anche unaltro punto di contatto, che ancora nonabbiamo studiato nel dettaglio, e che siricollega alla nostra discussione di pocofa».

Tace per un momento e avverto unaleggera esitazione nella sua voce.

«Riguarda la connettività sensoriale,cioè i percorsi neurali che si creano tracorpo e cervello durante l’attivitàsessuale, e gli ormoni corrispondenti chevengono secreti e rilasciati. Per portareavanti i nostri progetti di sperimentazione,abbiamo bisogno di coinvolgere unricercatore in Psicologia. Le tuecompetenze sarebbero fondamentali,soprattutto in un progetto di questo genere,

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e il nostro comitato di revisione mi hachiesto di parlartene e sondare il tuointeresse per questo ruolo».

Jeremy sa molto bene che l’adulazioneprofessionale gli farà ottenere qualsiasicosa, e poi questo argomento è moltonelle mie corde. Sta giocando bene le suecarte e il tempismo, come sempre, èperfetto, soprattutto visto lo stato in cui mitrovo, e del quale è proprio lui ilresponsabile.

«Sei davvero un uomo intelligente,Jeremy».

«Grazie, anche tu sei una donnaintelligente», dice, e sento che stasorridendo. «Posso fornirti altreinformazioni, se vuoi prendere inconsiderazione la proposta.Significherebbe lavorare fianco a fianco

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con me, Samuel e Ed – conosciuto negliStati Uniti come professor Applegate –, ladottoressa Lauren Bertrand in Francia,un’eminente chimica, il professorSchlinder, un neuroscienziato tedesco, ealtri due inglesi che stiamo perconfermare. Comporterebbe un certonumero di viaggi, sai, di tanto in tanto…».La sua voce si affievolisce, perché sa cheper me è stato un problema, in passato. «Iltuo contributo sarebbe davveroapprezzato, dottoressa Blake. Sei moltoraccomandata, al di là della relazione cheabbiamo, e saresti la nostra prima sceltaper quel ruolo. La tua conferenza divenerdì non ha fatto che confermare lenostre aspettative», aggiunge serio.

«Dio, non so cosa dire… sembrafantastico, Jeremy». Sono

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emozionatissima all’idea che abbianopensato proprio a me e sono così felice dipoter ancora avere una conversazioneprofessionale con lui, anche dopo tuttoquello che abbiamo passato insieme nelleultime ore. Lavorare con menti cosìeccelse sarebbe un’opportunitàincredibile, un sogno che si avvera. Pensoa Elizabeth e Jordan. Sono cresciuti,ormai, vanno a scuola, hanno i loro amicie le loro attività. Penso alla serie infinitadi viaggi per accompagnarli e andarli ariprendere dagli allenamenti di calcio, lelezioni di piano, danza, ginnastica. Iragazzi sono pieni di impegni, ormai.Adesso possono sopportare le mieassenze, mi dico, e viaggiare un po’sarebbe emozionante, mi farebbe bene. Illavoro di Robert gli consente una

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maggiore flessibilità durante le orescolastiche rispetto alla carriera che hoscelto io. Ho rinunciato a tanteopportunità per la mia famiglia, e adessoforse è giunto il momento di dire un sì.Come mi sentirei se mi lasciassi sfuggireun’occasione del genere?

«Sarei onorata di partecipare.Consideratemi dei vostri», rispondorisoluta.

«Sul serio? Ehi, è fantastico! Sonosicuro che una persona come te nel teamfarà la differenza nelle applicazionipratiche dei nostri studi».

È sinceramente in vena di lusinghe.«Grazie, Jeremy, lo apprezzo davvero».

È come ricevere un’onorificenza dopotanti anni di duro lavoro: sono euforica.

«E, tanto per mettere subito le cose in

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chiaro, mi aspetto che partecipi sia allosviluppo concettuale delle nostre teoriesia alla fase applicativa. Basta con lapanchina, Alexa. Hai capito cosaintendo?».

Il mio stomaco fa una capriola su sestesso quando comprendo il significatodelle sue parole.

«Davvero?». Sono ancora convinta divoler partecipare?

«Non si aprono nuove strade e non sifanno scoperte fondamentali senza sfidarele convenzioni, e per questo occorrepartire da se stessi. Il tuo desiderio dipartecipare e affrontare in prima personail processo sperimentale in ogni sua partesarà la chiave del nostro successo. Èimportantissimo, e non possiamo faresconti».

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Il mio amante si è appena trasformatonel mio nuovo capo. Non so perché, maprovo una sensazione di calore all’inguinementre penso a cosa potrebbe aspettarmi.Oddio! Ha detto “in ogni sua parte”?

All’improvviso il viaggio finisce, ecosì la nostra discussione. Me l’aspettavopiù lunga la strada per arrivare in albergo.Jeremy è al mio sportello in un lampo emi aiuta a scendere dalla macchina.

«Bene, eccoci qua. Come ti senti?»«Un po’ sconvolta dalle tue ultime

considerazioni, ancora cieca,naturalmente, ma per il resto benissimo».Ride mentre mi stiracchio.

«Posso occuparmi della sua macchina,signore?». Mi spavento. È da qualche orache non sento voci di estranei.

«Certo, grazie».

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Odo il tintinnio delle chiavi che mipassano davanti. Jeremy mi prende permano e mi conduce su per qualchescalino. Mi sento addosso i suoi occhi: disicuro si sta domandando tra quantochiederò dove siamo, ma io resto insilenzio. Si apre una porta.

«Salve, signore. Benvenuto», ci salutaun uomo allegro.

Il fatto che non dica buongiorno, buonpomeriggio o buona sera, impedendomi diavere un’idea dell’orario, mi infastidisce.Sono tutti d’accordo? Dove potremmoessere? Il tono mi è sembrato formale. Illuogo in cui mi trovo è cambiato ancorauna volta. Provo un forte disagio, per cuimi porto timidamente una mano agli occhi.

«Smettila di giocherellarci, Alex, staibenissimo. Nessuno noterà niente».

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«È facile per te dirlo». Gli stringo piùforte la mano.

«Potete andare alla reception, signore.Il bagaglio è già stato sistemato».

«Bagaglio?», gli sussurro mentre ciavviamo. «Ma non lo abbiamo».

I nostri passi risuonano nell’ambienteampio. Le suole di gomma dei nostristivali scricchiolano su un pavimento dimarmo.

«Benvenuto, dottor Quinn,l’aspettavamo. Siamo felici che siariuscito ad arrivare in tempo. È tuttopronto, mi segua pure. Se ha bisogno delnostro aiuto, non esiti a chiedere».

«Grazie, molto gentile».Facciamo qualche passo e qualcuno

preme il pulsante per chiamarel’ascensore.

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«Avete trascorso una buona giornata,finora?»

«È stata una giornata splendida, grazie,e non vediamo l’ora di sistemarci».

«Perfetto, signore. Speriamo cheapprezzerete l’esperienza che offriamoqui da noi».

Mi sento una creatura a metà tra unadonna invisibile e un enorme brufolo sullafaccia di qualcuno, che tutti vedono mafanno finta di ignorare. Sento di nuovo lefarfalle nello stomaco… dovrei essermiabituata alla loro presenza, ormai. Leporte dell’ascensore si aprono e perqualche motivo ho la sensazione discendere, non salire. Vengo fatta usciredalla cabina.

«Come d’accordo, il piano è totalmentevostro e non sarete disturbati, salvo vostre

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indicazioni. Vi auguriamo unapiacevolissima permanenza».

«Grazie mille. È proprio ciò chedesideriamo».

Sento l’ascensore svanire in lontananza.Mi accorgo di essere di nuovo in unambiente sconosciuto, un postocompletamente nuovo. Avevomemorizzato quasi tutta la pianta dellasuite nell’attico, in modo da avere qualchecertezza su ciò che mi circondava lì.

Jeremy mi prende per mano e mi portafino a un divano. «Ecco, siediti, rilassatiun po’. Ti va un drink?»

«Sì, magari, grazie», rispondosollevata.

Mi porge un bicchiere freddo con unfrullato ai frutti di bosco. Distinguo imirtilli rossi e neri e i lamponi, mescolati

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in uno yogurt cremoso. Non mi aspettavoniente del genere.

«Qui dentro c’è senza dubbio un belmix di antiossidanti».

«Se ti ammali non mi servirai a nulla,Alexa. Devo alimentare il tuo sistemaimmunitario».

Che strana cosa da dire.«Ti spiace se mi faccio una doccia

veloce dopo aver bevuto? Vorreitogliermi questi vestiti».

«Sì per la prima parte, per la seconda tiaiuto io». Sembra un po’ distratto, anchese non ho idea del perché. Poggia il miobicchiere e mi slaccia e sgancia qui, lì,dappertutto. È un tale sollievo uscire daquesti abiti pesanti, mi sembra di averperso almeno cinque chili.

Mi aiuta a infilare una maglietta e dei

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pantaloni da ginnastica, e sono felice dinon restare con addosso solo le culotte.Distendo i piedi e affondo le dita nellalussuosa e fitta moquette. È bello nonavere più gli stivali.

«Doccia?»«Ho detto che sì, mi dispiace se ti fai

una doccia. Non è ancora il momento dilavarti». Sono sorpresa dal modoautoritario con cui mi risponde.

«Be’, Jeremy, devi aver previsto unascaletta piuttosto serrata, giusto? Nonavevo capito che avessi programmatotutto al minuto!».

«Ci sono tante cose che ancora non haicapito, tesoro», mi sussurra in unorecchio, e la sua voce è come ombrosa,oscura. Un brivido mi corre lungo laschiena.

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«Ti senti un po’ più a tuo agio,adesso?». Ha di nuovo un tono normale.

«Oh, be’, sì, molto meglio, anche se mipiacerebbe tanto poter fare una doccia».Trovo la sua coscia e l’accarezzo. «Seisicuro che non riuscirò a convincerti afarla con me?». Faccio per alzarmi inpiedi.

«No. Resta seduta». Il suo tono di vocemi spaventa. Mi spinge con forza suldivano. Spalanco la bocca, sconvolta.«Per favore, siediti. Dobbiamo finire diparlare, arrivare a un accordo». Èleggermente più gentile.

Oh, fantastico, io ho bisogno di unadoccia, e lui di parlare.

«Perfetto. Io puzzerò, e tu parlerai»,dico con il tono più insolente che riesco atirare fuori. «Voglio fare una doccia». Mi

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accerto che suoni come un’affermazione,non come una richiesta.

Lui mi rimette il bicchiere in mano e sisiede più vicino.

«Io ti rispetto, lo sai?»«Quasi sempre, sì».«Alex!». Quanta autorità in una sola

parola. Se solo ne fossi capace anch’io. Èevidente che questa è una conversazioneseria.

«Sì, okay, lo so».«Voglio giocare con te, creare un po’ di

tensione. Voglio portarti dove non hai maiosato arrivare, offrirti l’occasione diaccogliere la tua sensualità come nonavresti mai creduto fosse possibile».

È di nuovo partito in quarta! La suavoce è accattivante e ipnotica, mi stuzzicasessualmente e mentalmente allo stesso

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tempo. Come riesce a farmi questoeffetto? E solo a parole, santo cielo.Cerco di controllare il respiro mentreassimilo quanto mi ha detto.

«Giochiamo insieme da quando ciconosciamo, Jeremy, e questo finesettimana è stato un continuo susseguirsidi “giochi”, per dirla alla tua maniera.Dove altro potresti portarmi, ancora?».

«Ma finora ti sei divertita, no? L’haidetto tu stessa».

Prima di rispondere, sospiro.«Per quanto detesti ammetterlo, sì, mi è

piaciuto. Ma mi terrorizza anche». Restoin silenzio mentre ripenso alla nostraconversazione in macchina e a come sicollega alle teorie del gioco. «Sai chealcuni psicologi sostengono che il giocosia la più potente fonte di felicità che gli

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esseri umani possano sperimentare,perché contiene paura e divertimentoinsieme. Alcuni ritengono che possaaddirittura proteggere dalladepressione…». Mi fermo nel momento incui pronuncio quella parola: adesso mi ètutto chiaro. Ero così distratta da Jeremyche non avevo proprio capito. «È questoche vuoi esplorare ancora. È questo chehai fatto finora, tenendomi su un’altalenafatta di paura e divertimento!».

«Esatto, Alexa, spero che adesso tul’abbia capito. L’idea è che un gioco“reale” sia essenzialmente la simulazionedi un attacco di panico».

«E me ne hai dati un bel po’, da venerdìa questa parte. Se è questo che speravi diottenere, ci sei riuscito in pieno».

Però continuo a pensare che ci sia

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ancora qualcosa che mi sfugge… c’è dipiù, ancora? Mi sento come se mi avessetenuta all’oscuro di proposito, a livellofisico e mentale, da quando ci siamoincontrati. Adesso mi sta svelando pocoper volta il vero scopo di questoweekend. Forse sta costruendo delleesperienze che mi facciano comprenderemeglio come affronto lo stress, o il“gioco” come lo chiama lui? Oppure sonosolo una pedina in un gioco ancora piùgrande?

«Ho partecipato a degli studisull’amigdala, il gruppo di cellulecerebrali specializzate nella paura, e sulmodo in cui comunicano con i lobi frontalidel cervello». Certo, ovvio. «E inparticolare sono interessato ai circuiti diricompensa della dopamina e al rilascio

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di sostanze simili agli oppiacei. I nostridati di partenza hanno mostrato un’inattesacorrelazione con il lavoro di Sam nelcampo del piacere. È per questo chevogliamo approfondire la questione». Lesue considerazioni mi mettono su unanuova curva di apprendimento e più chemai mi dimostrano quanto sia un uomogeniale.

«Devo ammettere che non avrei maipensato di sentirmi così. Non ricordo unsolo momento in cui il mio corpo e la miamente siano stati altrettanto all’erta, o piùstimolati, o eccitati, potremmo dire. Misento vibrare, letteralmente, dentro efuori, per la paura e per il piacere altempo stesso».

«Affascinante. È fantastico. Significache funziona». Sembra pensieroso.

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«Cos’è che funziona? Dove vuoiarrivare?»

«Queste sono due domande, Alexa».Sono esasperata. E lui ignora la mia

esasperazione.«Voglio giocare più duro, voglio

forzare ancora di più i confini tra noidue».

«Forzare i confini. Credi di poterlo farepiù di così?». All’improvviso il mio tonosale di un’ottava. Era un’altra domanda!«Oh, scusa, non volevo chiedere…». Leparole mi muoiono in gola: non so cosadire. Mi sta trasformando in una donnasottomessa, cieca e muta.

Oh, santo Dio. Un’altra illuminazione…adesso tutto torna. Certo che c’è di più:come potrebbe non essere così, conJeremy? Come ho potuto essere tanto

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ingenua? La mia tesi! Vuole davverospingermi dove non ho mai osatoavventurarmi. Sapevo che non avrei maidovuto dargliene una copia, e quando l’hofatto, ero consapevole che me ne sareipentita, prima o poi. Ma come avreipotuto immaginare che sarebbe tornata aperseguitarmi dopo tutti questi anni?

«Voglio farti provare più di quanto tuabbia mai sperimentato prima, ma voglioche tu sappia che ti terrò sempre al sicuro,protetta».

«E vuoi fare di me l’oggetto della tuasperimentazione, Jeremy, non è così?»

«Sì, è così». Il fatto che abbia subitoconfessato mi sorprende. «Ho bisogno deltuo corpo e della tua mente, come ho giàdetto. Credo che siamo davvero vicini atrovare la cura, e tu sei una delle poche

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persone che possono aiutarci. Il tuo ruoloè fondamentale».

«Jeremy, sarei molto felice dicollaborare alla scoperta di una cura perla depressione. Chi non lo sarebbe? Maho delle domande, anzi, molte domande,cerca di capire». Alcune sorgono in modospontaneo nella mia mente per riuscire achiarire le cose… a me stessa, prima ditutto.

Come hai intenzione di forzare iconfini?

Cosa significa?Cosa è cambiato, stavolta?E se io non volessi?Come faccio a sapere che non mi

succederà niente?Sei pazzo?Sono pazza?

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In che cazzo di situazione mi stocacciando?

«Lo capisco benissimo, tesoro, e sepotessi te lo direi, ma in questo precisomomento non è affatto possibile. Perchécredi abbia posto questa condizione per ilfine settimana?».

Oh, merda, sono del tutto nelle suemani. Per il weekend ha posto duecondizioni: niente vista e niente domande.E cos’è che ha guidato le mie paure e lemie angosce? Esattamente questi dueelementi! Forse con l’età sto diventandolenta di comprendonio. Perché non l’hocapito prima? Ha costruito in modominuzioso la situazione in cui mi trovoora, mettendomi di fronte al fatto che devodecidere se affrontare questo rischiopersonale per un fine benefico. Una

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decisione sulla quale sa bene che, per laprima volta, rifletterò con grandeattenzione. Voglio continuare questoviaggio alla scoperta dei miei lati piùoscuri con lui, un viaggio che non ho maiavuto il coraggio di affrontare fino aquesto momento? La sua è davvero unamente esperta e superiore.

Mi fa paura. Mi eccita. Mi lasceròandare? Quanto in là vuole spingersi?Quanto vuole spingere me? Sono in gradodi farcela? Non ne ho la minima idea.Mando giù un altro sorso di frullato perallentare la tensione.

«Ti prometto che tutte le tue domandetroveranno risposta a tempo debito», midice con dolcezza, come se leggesse imiei pensieri.

Il campanello suona, e lui fa entrare

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qualcuno.«La signora sarebbe così gentile da

venire con me?». Quelle parole mibloccano. Non riesco a capire se apronunciarle è stato un uomo o una donna.

Jeremy avverte la mia reazione e miabbraccia. «Andrà tutto bene. Tiraggiungo prestissimo, te lo assicuro.Dobbiamo solo cambiarci. E dopo potraifare la doccia».

«Perché non puoi venire con me? Operché non posso restare io?». È unbisogno così viscerale che sorprendeanche me.

«Qui non funziona così. Ti prometto cheti raggiungerò tra una decina di minuti».

«Ti prego, Jeremy, non farmi andare».Mi sento come una bambina il primogiorno di scuola, costretta dalla maestra a

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staccarsi dai genitori. Lui mi fa alzare daldivano tirandomi per le mani. Poi al suoposto sento la mano morbida dellapersona che mi porta via.

«Arriverò presto». Sento che mi staguardando mentre caracollo in avanti. Nonso decidere se mi sia sembratopreoccupato o divertito all’idea digettarmi per l’ennesima volta in quellache per me è la fossa dei leoni. Suppongosia un misto di entrambe le cose, ed èdavvero snervante.

Non mi sarei dovuta preoccupare tanto.Vengo condotta in un lungo corridoio epoi in una stanza calda. I vestiti mivengono tolti con attenzione e premura, ein silenzio. Mi portano al water, dove consollievo mi libero. Sento il rumoredell’acqua di una doccia e il vapore

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vicino alla pelle. La mia nudità ècompleta, ma non ha più significato.Faccio un passo avanti verso l’acquafumante e con un sospiro mi lasciobagnare il corpo e i capelli. Resto cosìper un po’ finché una mano non mi sollevaun braccio e comincia a strofinare. Èdiversa dalle mani morbide e dolci distamattina: mi sfrega con forza,sorprendendomi. L’altro braccio riceve lostesso trattamento, così come la schiena, ilpetto, la pancia, il sedere, le gambe e ipiedi. Dal mio corpo vengono rimossistrati di pelle e, anche se il movimento èrude e forte, è una bella sensazione. Comese avesse uno scopo. Rifletto se sia ilcaso di gridare “Basta, mi fai male”,oppure “Non sono così sporca”, ma non lofaccio. Lascio che quelle mani decise

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continuino a strofinare finché non portanoa termine il loro compito. Mi sento quasifelice che tutti quegli strati di sporcizia misiano stati strappati via di dosso. Questotrattamento mi renderà pulita? A livellofisico, sì. A livello emotivo, ha appenaintaccato la superficie.

L’acqua della doccia smette discendere e vengo avvolta in unaccappatoio incredibilmente morbido ecaldo. Resto immobile, persa per unistante nel mondo sconosciuto in cui misono permessa di entrare. Vengo portatavia, quasi inconsapevole.

«Non è andata tanto male, no?».Impiego qualche istante a capire che,

come aveva promesso, Jeremy è di nuovocon me.

«No, affatto. Ma dove siamo?»

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«Alexa, per favore, ti scongiuro, bastacon le domande, non qui!». La sua voce siriverbera per la stanza, il tono è semprepiù ansioso e preoccupato.

«Okay, okay, ci proverò».«Grazie. Riesci a indovinare dove

siamo?»«A dire il vero, no. I suoni

rimbombano, ma sono anche attutiti, in uncerto senso. In sottofondo c’è un rumored’acqua che scorre». Spero che siamosoli.

«Vieni qui, ecco, senti questo». Miguida per alcuni scalini e poggia la miamano su quello che mi sembra marmo: èfreddo. Appoggio anche l’altra e la faccioscivolare un po’ verso il basso.

«Sembra un torace». Scendo ancora unpo’. «Adesso sembra un sedere». Rido.

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«Ti prego, non dirmi che siamo in unmuseo in accappatoio, Jeremy».

«No, non esattamente, ma seicircondata da statue». È così stranoaccarezzare una scultura. In un museo o inuna galleria d’arte non ti permettono maidi farlo. Pensate di far scivolare le manisul David a Firenze. «Spostati suldavanti».

Muovo con attenzione le mani girandointorno alla statua e sento un’immensaerezione. Dio, non credo proprio possaessere il David! Mi sento una ragazzacciamentre lo accarezzo per tutta la sualunghezza e larghezza.

«Ti piace?»«Preferirei te».«Sono lusingato. E che mi dici di

quest’altro?». Mi fa fare qualche altro

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gradino e mi posa le mani su un altrotorace marmoreo.

«Questa è una donna». Ritraggo subitole mani. Jeremy le riporta sui seni,poggiandoci sopra le sue in modo che nonpossa spostarle.

«È difficile per te?»«Ho toccato solo le mie, finora».«È solo una statua, Alex. Toccale.

Fallo per me». Lascio indugiare i palmi ele dita intorno ai seni mentre lui mi restavicino.

«Prendi i capezzoli tra pollice eindice». Mi domando perché sia cosìerotico. «È questo che ti faccio, tesoro,solo a parole». Mi infila le mani sottol’accappatoio e me le mette sui seni persottolineare quanto ha detto. Sento ilbasso ventre contrarsi, come a voler

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confermare.«Vieni». Mi prende per mano e mi

porta via da quelle statue sexy. «Sdraiati.Devo applicarti di nuovo le gocce agliocchi». Mi fa distendere su una pancadura; sembra una lastra di marmo stretta.Resto sdraiata, perfettamente consapevoledel fatto che sto accettando le condizioniche ha posto per il weekend e senza laresistenza che mi ha provocato tantatensione e ansia.

«Grazie». Lo dice di cuore.Ripete metodicamente la procedura che

gli consente di mantenermi cieca. Stavoltaaccetto il mio destino, ma d’istinto cercodi aprire gli occhi. Le palpebre sono cosìpesanti che non riesco a muoverle.

Resto ad aspettare che le gocce el’unguento facciano effetto per la seconda

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volta. Jeremy allarga i lembi del mioaccappatoio sfilandomelo dalle spalle emi fa sollevare le braccia sopra la testa.So che gli piace vedermi in questaposizione, perché può accedere al miocorpo senza restrizioni. Lentamente, concura, mi sposta ogni gamba su un latodella panchina, lasciandomi apertadavanti a lui. È come se con questi gestiteneri e intensi cercasse di compensare lacecità che mi ha imposto. Il mio cuoreaccelera, colmo d’aspettativa. Lui misfiora i capezzoli con le labbra, poi liprende con dolcezza tra i denti e neavvolge la punta con la lingua, finché misembra che siano diventati come quellidella statua. Oh, quanto è bravo. Ho ilcervello annebbiato. Al suo tocco miviene la pelle d’oca dappertutto. La sua

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bocca scende lungo la pancia con grandeprecisione, lentezza, intensità. Le carezzemi travolgono come onde… la mia pelle èincredibilmente sensibile, viva e vibrantegrazie al modo in cui è stata sfregata pocofa. Provo un desiderio così acuto che misembrano passati anni, non ore, dal nostroultimo incontro sessuale. Percepisco lasua vicinanza quando si abbassa tra le miecosce. Sono talmente su di giri che potreilevitare fino al soffitto. Jeremy soffiapiano, con dolcezza e in silenzio dentro dime. Una sensazione incredibile. Non c’ènulla che mi tocchi a parte il suo respiro,finché non comincia a usare anche lelabbra, lentamente, con tenerezza, e allafine anche la lingua si unisce al ritmo cheha creato nel mio corpo. È un tormentodivino. Sento il sangue fluire e pompare,

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montando nell’attesa, come se nonl’avessi mai desiderato tanto.

E poi, all’improvviso, Jeremy si ferma.Mi lascia sofferente, insoddisfatta,inappagata. Il suo viso è vicino al mio,così lo attiro a me e lo bacio sulle labbra,spinta da un bisogno disperato di lui.

«Che cosa mi stai facendo? Ti prego,non mi lasciare così. Ho bisogno di te, tivoglio, per favore». La mia mente vortica,il cuore batte all’impazzata.

«Ogni cosa a suo tempo, tesoro. Hobisogno di farti diventare più lasciva diquanto tu sia mai stata».

«Lasciva? Ma non è giusto». Credo diaver messo il broncio sul serio: che cosainfantile.

«So che non è giusto, RS, ma vale lapena di aspettare, te l’assicuro».

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Come diavolo fa ad avere la forza dicontrollarsi così? E perché io invece nonci riesco?

Con le braccia mi solleva, facendomialzare in piedi. Ho le gambe che tremanocome gelatina contro le contrazioniinsoddisfatte del mio sesso gonfio; Jeremymi prende le mani, e molto lentamente mifa fare qualche passo finché non ritrovol’equilibrio. Sento dell’acqua calda chemi lambisce i piedi mentre lui mi sfiora lelabbra con un dito, invitandomi a restarein silenzio in modo che non possanosfuggirmi altre domande.

Adesso sono nuda davanti a lui, e speroche ci sia soltanto lui; non ho una bendané occhiali da sole dietro cuinascondermi, ma solo le palpebresigillate. Mi guida giù per alcuni gradini e

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un liquido setoso mi accoglie,abbracciando sempre più il mio corpo viavia che scendiamo. Jeremy mi solleva conle braccia e mi lascia andare nel liquido,che mi invade la pelle; mi sento come unabambina cui viene fatto un bagno caldo epieno d’amore. C’è qualcosa dirasserenante, rilassante, eppure è presenteanche un sottofondo fatto di inquietudini epresentimenti. Ma lo scaccio via.

«Prendiamoci un po’ di tempo perrilassarci, distenderci e assorbire questaesperienza».

Non protesto.Mi fa scivolare le mani dietro la

schiena, spingendomi dolcemente avanti,fin quando non sono immersa del tutto ecomincio a galleggiare. È meraviglioso.Per qualche motivo ho la sensazione che

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mi stia decontaminando, come se volesseprepararmi a un fine più alto. Nella mentemi scorrono le immagini di battesimi einiziazioni cui ho assistito, e penso alsimbolismo insito nel rituale dell’acquapurificatrice. Il silenzio che ci circonda,unito alla spinta del liquido in cui fluttuo,rende ancora più reale questa immaginenella mia mente. L’unico suono che sisente è quello dell’acqua che lambisce ibordi della vasca. È come essere in unmagico bozzolo acquatico. Mi chiedoancora una volta dove ci troviamo.

Galleggiare è meraviglioso. Cerco dicomprendere quanto mi accade mentreavverto la presenza serena di Jeremyaccanto a me in questa strana piscina. Melo immagino dall’alto, una versionefluttuante dell’uomo Vitruviano di

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Leonardo da Vinci. Bellissimo. Latemperatura dell’acqua sembra adeguarsiin modo perfetto a quella della stanza,creando un surreale effetto-grembo.Passiamo da una piscina all’altra: una ècaldissima, entrarci è uno shock eall’inizio mi gira la testa, ma diventameravigliosa quando mi abituo al calore;un’altra è fredda, tonifica e pulisce, mi fabattere il cuore più forte e scorrere ilsangue più veloce nelle vene, e mi fasentire sana, viva. Sento che lacircolazione risente delle diversetemperature e la mia pelle accoglie iminerali con avidità. È come se qualcunomi stesse restituendo un equilibrio vitale.Dentro di me sono felice che non stiamoparlando, perché il silenzio aiuta arecuperare la pace della mente e a

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ritrovare la calma dopo la cavalcataselvaggia che ha avuto inizio quando hoincontrato Jeremy per un drink“innocente”.

Mi sembra che sia passata un’eternità.Mi viene da pensare che la mia innocenzaè sparita quando ho accettato la cecità, eche dovrei ammettere che sono davveronel pieno di un rituale di rinascita. Non miconcedo di soffermarmi sulla questionetroppo a lungo.

Quando lasciamo le piscine vengoavvolta in un asciugamano. La pelle chemi rimane è viva e sensibile, e questodiventa ancor più evidente quando vengofatta sdraiare sulla pancia. Vengo spostataun po’, insieme alla panca coperta da unasciugamano su cui sono distesa. Quandodelle mani forti cominciano a toccarmi le

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scapole e altre parti della schiena, congrande entusiasmo capisco di essere su unlettino per i massaggi. Jeremy haprogrammato le ultime ore in modo chesiano perfette, fatta eccezione perl’orgasmo mancato.

L’asciugamano mi viene tolto di dossoe un intenso odore di arancia e miele mipervade le narici. Sollevo un poco la testaper essere sicura di quel dolce aroma diagrumi. Me la fanno abbassare e miscostano i capelli dalla nuca in modo chelascino esposto il corpo. Mi versano unasostanza oleosa in fondo alla schiena, poile mani tornano e il massaggio riprende,più profondo. L’unguento denso si estendefino alle mie estremità, mentre manisapienti mi ricoprono completamente diquella miscela inebriante e collosa.

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Lascio vagare i pensieri, senzaconcentrarmi su nulla in particolare.Dentro di me so che più rifletto sullasituazione presente, più aumenta latensione, e non è un bene mentre dellemani forti come queste stanno sciogliendoi nodi del tessuto muscolare. Cerco diconcentrarmi sul respiro… e per un po’funziona. La mia mente però vuoleesaminare ancora le ragioni che hannospinto Jeremy a rendermi cieca eprecludermi le domande per tutto ilweekend. In parte la sua logica ha senso, enon posso negare di aver provato unsovraccarico sensoriale. Ma per quel cheriguarda le emozioni, non riesco a capireda che parte vadano… dovrei rilassarmi elasciar perdere, adoro i massaggi e questoin particolare è strepitoso. Mi fa sentire

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così bene, sto diventando morbida eliquida come l’unguento che mi penetranei pori. Cos’è che mi trattiene? Sento chec’è ancora qualcosa che Jeremy non mi hadetto. Non è normale mettere a rischio unarelazione come questa per una fantasia unpo’ frivola e in certi momenti ancheterrificante, no? Perfino se è conJeremy… perfino se mi sento più sensualee sessualmente viva che mai… Il nostrorapporto andrà forse oltre questoweekend?

I miei pensieri vengono interrotti dallarealtà quando diverse braccia misollevano, mi fanno girare e miriappoggiano sul lettino. Mi viene versatoaltro miele e arancia sul ventre, e manipiù piccole si occupano della pancia, delpetto e dei seni. Sussulto quando passano

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sui capezzoli e subito cerco di controllareil respiro. “È solo un massaggio”, midico. Le mani vanno a ritmo con il miorespiro e il movimento continua, come imiei pensieri.

Jeremy aveva ragione. Ho troppedomande; sembra che si moltiplichinoall’infinito nella mia testa, come un virus.Il mio corpo perde la forma di carne eossa mentre i palmi insistenti mi plasmanocome morbida creta. Cosa potrei fareadesso, d’altra parte? Mi fermerebbero,impedendomi di andarmene? Non sonemmeno dove sono. Il respiro rallentaancora mentre rifletto sulle conseguenzedella mia presenza qui e la possibilità difuggire. È questo che desidero davvero?Dentro di me so che non voglioandarmene, ho solo paura di scoprire cosa

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ha preparato per me Jeremy, come misuccede sempre… all’inizio.Maledizione, ma perché mi fa questo? Micostringe a cercare una conclusione chesembra impossibile. Ma davvero sonocosì debole? Che ne è dei valori a cui misono così disperatamente aggrappata pertutta la vita, che mi hanno dato stabilità,un significato, un senso? Li sto forsebuttando dalla finestra per un colpo ditesta, per la follia di un weekend? Saràtutto qui? Oppure quella ricerca è davveroimportante?

La mia mente implode sotto il peso diquesto dilemma morale, e resta solo iltorpore. Il corpo diventa molle, nonoppone più alcuna resistenza. Sono comeuna medusa in attesa della prossimacorrente che mi svelerà il cammino.

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Distrutta nella mente e nel corpo, e adessoanche fisicamente cedevole, proprio comelui mi vuole, permetto all’oscurità diavvolgermi e lascio svanire l’assurdadisperazione dei miei pensieri.

Come in un sogno, delle immaginiemergono dalla memoria. Sono ricordifelici: i miei bambini, le feste dicompleanno, visi sorridenti, mio figlioche mi dice che mi vuole un bene millemilioni di miliardi di milioni più grandedell’universo, e mia figlia che mi spiegache vivremo insieme per sempre e che èper questo che dovrà sposare proprio me.I ricordi dei miei figli scivolano nel miosubconscio, uno dopo l’altro. Momentisemplici, tempi così poco complicati, maperché Robert mi appare così infelice,distaccato in queste immagini della nostra

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famiglia? Non me ne ero mai accortaprima. Queste immagini mi dicono moltodi quello che sono, minuto dopo minuto,giorno dopo giorno. E allora perché misembra sempre che manchi qualcosa?Perché il linguaggio del suo corpo mi diceche anche a lui manca qualcosa?

I pensieri e i ragionamenti che portoavanti in silenzio cominciano a sfuggire almio controllo. Jeremy mi ha già parlatodella possibilità di esplorare la miafantasia più segreta e oscura, quella cheha fornito la base per la mia tesi tanti annifa, quella che non ho mai davveroammesso essere mia, se non di sfuggita esoltanto con lui. Sono abbastanzacoraggiosa? Non potrei mai provarci senon con Jeremy, e lui mi sta offrendoquesta esperienza su un piatto d’argento, a

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livello personale e professionale. E sedicessi di no, anche se sapere e capire unavolta per tutte è proprio ciò che ho semprevoluto? La fantasia è solo fantasia edovrebbe essere lasciata così, o esistonoun bisogno e un desiderio di agire su diessa, sperimentarla in prima persona?Comincio a sentirmi un po’ confusa, ècome se farneticassi e non fossi più ingrado di seguire la complessità deipensieri mentre mi arrendo alle magichemani del massaggiatore.

Il suono di ruote che girano mi riportaalla piena consapevolezza, ed è soloallora che mi accorgo che mi stomuovendo; sono sdraiata, ma comunque inmovimento. Mi sforzo di sollevare gli artigelatinosi dal lettino, ma sono cosìrilassati e appesantiti dal massaggio che è

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quasi impossibile. Ci riprovo.«Che succede? Dove andiamo?». Ho la

voce rauca, le parole faticano a uscire.Mi rendo conto che devo essermi

addormentata… per qualche minuto? Perore? Non è possibile. Ci fermiamo.

«Signora. È sveglia, posso aiutarla?»,mi chiede una voce femminile.

«Ah… Sì, grazie». D’istinto entra ingioco la mia educazione. «Può dirmi perquanto ho dormito?». Delle mani miaiutano con delicatezza a mettermi seduta.Mi viene adagiato sulle spalle unaccappatoio, diverso da quello di prima:questo è più setoso e sembra più pesante.Mi accorgo che non ha le maniche, oppurele mie braccia non vengono fatte passarenelle maniche. Forse è un mantello. Èliscio a contatto con la mia pelle morbida,

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che non è rimasta appiccicosa dopo ilmassaggio.

Nessuna risposta. Possibile che Jeremyabbia ordinato a tutti di non risponderealle mie domande?

«La signora gradisce del tè?».Oh, tè, che sorpresa.«Sì, la signora gradisce». Le parole mi

escono un po’ troppo brusche. «Sarebbemagnifico, grazie», aggiungo, ricordandole buone maniere. «Potrebbe dirmi dovesi trova Jeremy… voglio dire, il dottorQuinn?». Niente. Non so se si trovi conme o meno, ma non percepisco la suapresenza, per quanto questo possa avereun senso.

«Jeremy?», provo ancora. «Per favore,rispondimi se ci sei. Dobbiamo parlare.Ti prego». La mia voce è sempre più

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angosciata.È tipico: quando ho bisogno di parlare

con lui, è sparito.Mi viene messa tra le mani una tazza di

tè caldo: ha un odore delizioso. Mi calmaun po’ e mi distrae dalla tensionecrescente. Sento l’odore dell’infuso, ecolgo una nota di camomilla con un toccodi vaniglia, forse. Lo sorseggio un po’alla volta per non bruciarmi le labbra.Perfetto. Sorretta dai muscoli rilassatidelle mie mani, la piccola tazza pesacome un macigno. Quando finisco, sentodi avere delle fasce intorno ai polsi. Miprendono la tazza, dandomi la possibilitàdi esplorare. Sembrano di pelle, conqualcosa di tintinnante che sbatte su e giù.Sono alte circa cinque centimetri eaderiscono perfettamente ai polsi. Merda!

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«Jeremy!».Intorno a me c’è solo silenzio.Cerco di capire dove sono allacciate,

ma non riesco a trovare la chiusura. Nonmi dire che anche queste sono su misura.Il polso accelera. Con la mente esaminotutto il mio corpo in cerca di altri oggettiestranei, e naturalmente ne trovo altri due,un po’ più grandi, alle caviglie. Dio, micedono le ginocchia. Non le voglioaffatto, e cerco una cerniera o una fibbiada aprire. Non c’è nulla. È successomentre dormivo?

Sussulto quando percepisco che con unmovimento rapido mi viene posizionataun’altra fascia intorno al collo; sento unostrano suono quando si allaccia. Per unattimo resto sconvolta, respiro a fatica eho bisogno di tempo per adattarmi alla

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nuova costrizione. Anche questa ha deglielementi di metallo, uno davanti e unodietro. Mi irrigidisco. Ci siamo. È diquesto che parlava Jeremy. Volevagiocare più duro, forzare i confini.

Che cosa intende sperimentare con meconciata così? Ma soprattutto, che cosavuole che sperimenti io? “Okay”, pensocercando di calmarmi, “immaginavo chein qualche modo saremmo arrivati aquesto, ed eccoci qui”. A quanto pare, staper succedere molto presto. Oh, Dio.L’adrenalina che il cuore mi pompa nellevene è una scarica più forte di quella cheho provato quando sono saltata giùdall’aereo. La fisicità delle mie emozioniè tanto affascinante quanto sconvolgente.È così reale, intensa, vitale. Sono davveropronta a fermarmi proprio adesso, quando

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le mie reazioni sono così potenti?Che alternative ho? Potrei parlare.

Potrei urlare. Forse dovrei, e subito,all’istante… ma non lo faccio. Ricordo ame stessa che ho già reagito così alla cenasenza ottenere alcun risultato, e grazie alcielo lui mi ha ignorata, perché la tensionesessuale si è dimostrata incredibilmentegratificante, alla lunga. Sento una vera epropria energia carnale che mi attraversail corpo al solo ricordo. Oh, sì, è valsasenz’altro la pena di affrontare le miepaure per ottenere una ricompensa cosìstraordinaria.

Probabilmente tutto rientra nel suopiano generale. Senza dubbio ha ottenutol’effetto di mandarmi in iperventilazione,eppure non mi hanno fatto nulla se non unmassaggio meraviglioso e l’applicazione

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di qualche cinghia di pelle. Adoro edetesto che possa farmi questo, che riescaa farmi provare e sperimentare cose chenon avrei mai creduto possibili. Mi fasentire come se ogni singolo battito delmio cuore fosse cruciale per lasopravvivenza. Lo farò, per lui, per mestessa e per la sua ricerca. Sarò più forteper lui e forse, chissà, finalmente riusciròa liberarmi. Ma da chi, da cosa, michiedo… forse da me stessa…

Voglio davvero conoscere la verità inprima persona, piuttosto che osservarlatenendomi ai margini della vita?

Sono in piedi, e resto in silenzio mentremi legano i polsi dietro la schiena.

Sempre in silenzio, mi viene calato sulviso un cappuccio di velluto.

Resto muta mentre mi spingono lungo

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un corridoio, i piedi nudi accarezzano lamoquette lussuosa. Con discrezione esenza usare la forza, vengo condotta versoil mio destino da sconosciuti senza volto,e non oppongo resistenza. Quante personeho intorno? Non ne ho idea. Avverto laloro energia, non il numero.

Sono costretta ad affrontare la durarealtà e a chiedere a me stessa una voltaper tutte se mi fido davvero di Jeremy.Cerco di immaginare la mia vita senzaquell’uomo sexy, seducente, bello etentatore. Certo che mi fido di lui, quandomai non l’ho fatto? È l’unico che satrasformare la mia esistenza in bianco enero in un tripudio di colori.

Tuttavia sarei ingiusta se nonriconoscessi la sua abilità nel crearescenari psicologici impressionanti, come

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quello in cui mi trovo adesso. I mieipensieri vengono interrotti da una vocebaritonale, profonda.

«Portatemela qui».Mi conducono avanti.Delle forti mani maschili mi stringono

leggermente le braccia.«Spogliatela».Mi spogliano.Mi divaricano le gambe.È strano. Passiamo tutta la vita ad

accrescere l’autostima, a imparare adamare noi stessi, a raffinarci, a“migliorarci”, e poi si arriva a questo? Èincredibile come le certezze che ci siamocostruiti con cura, strato dopo strato nelcorso degli anni, dei decenni, possanoperdere ogni significato nel volgere dipochi istanti.

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Non importa come ci presentiamo,come vestiamo e ci comportiamo, nonimporta cosa facciamo né quanto siamoistruiti: nulla ha più alcun valore quandoti ritrovi completamente esposta,disperatamente nuda, incapace di vedere,con le caviglie, i polsi e il collo marchiatidai simboli della schiavitù.

Due dita mi penetrano la vagina contale destrezza che di colpo la mia mente sispegne e la realtà mi spezza in due. Loshock di quell’intrusione mi fa balzare inavanti, ma mi ritrovo bloccata, incapacedi muovermi. Il respiro accelera inrisposta.

Che autorità mi resta? Ho ancora ungrammo di dignità umana?

E allora perché sento che, se avessi ilpene, ora avrei un’enorme erezione?

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È come se stessi scivolando in unbaratro psicologico, un luogo in cui nonho mai osato entrare e che si trovaall’interno della mia psiche: in un certosenso è così che immagino la discesa diAlice nella tana del coniglio dentro la suamente. Sono costretta a proseguire nel mioviaggio.

«Osservate», dice la voce profonda.Osservate… dunque sono davvero la

cavia in questo esperimento. Chi avrebbemai potuto sospettare che me ne sareirimasta qui, immobile, e avrei accettato laviolazione che mi è appena stata imposta?Io mai e poi mai.

«Mettetela in posizione».Non sento altre voci, non vedo nulla.

C’è un’accettazione totale mentre mi fannoinginocchiare.

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Un oggetto lungo, sottile, liscio efreddo mi scivola sotto i seni. Inspiro dicolpo al contatto. Come l’archetto di unviolino, si muove avanti e indietro sul miotorace, scivolando lento sotto i seni, poisopra, poi senza fretta e con grandeprecisione sulle punte dei capezzoli, comese si stesse accordando con il mio corpo.È un movimento lento e ritmico, perfortuna sono già in ginocchio. I capezzolisi induriscono, trepidanti, mentre brividiviziosi mi corrono lungo le spalle e laschiena. L’arco continua a muoversi senzasosta e con grazia tra le mie cosce,creando una tensione sensuale talmenteforte da farmi urlare in previsione di ciòche mi attende. Sta preparando il miocorpo al gioco, ormai imminente.

«Mmm. Reazioni immediate, J, proprio

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come dicevi tu. Eccellente».… Jeremy? Ha parlato di me con altre

persone? “Oh, certo che sì, altrimentiperché sarei qui?”, dico a me stessa inrisposta alla mia stessa domanda.

«Jeremy! Ti prego, parlami». La vocemi esce più flebile di quanto mi sareiaspettata; forse l’ho repressa per troppotempo.

Finalmente da dietro mi arriva la suarisposta, e mi sento sollevata sentendolocosì vicino. «Sì, Alexa. Sono qui», misussurra in un orecchio, rassicurante.

«Oh, grazie a Dio, eccoti». Chino latesta verso di lui. «È sul serio questo chevolevi farmi provare?»

«Non ho mai desiderato nient’altro invita mia», risponde piano, in un sussurrosensuale.

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«Davvero?». Okay. Eccoci qui. Sonopronta a farlo per lui, per me stessa, pernoi due?

«Voglio che tu accolga ogni singolaemozione che incontri e che l’accetti,consapevole del fatto che fa parte di te,della tua sessualità. Non ti lascerò maisola, e non permetterò che ti succedanulla. Devi soltanto fidarti abbastanza dime da sottoporti completamente alprocesso. Arrenditi a me, a questaesperienza, sapendo che varrà la pena diprovare paura per ottenere il piacere cheti attende. Solo tu puoi decidere se andareavanti o meno, e devi farlo adesso. Bastache tu mi dica sì oppure no». Com’è chemi sembra stia parlando con il mioclitoride, e non con il mio cervello?

Le lacrime mi riempiono gli occhi

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incapaci di vedere. Non riesco più adominare l’intensità delle emozioni. Miarrenderò a questo desiderio che mi portodentro e che mi perseguita da annidicendo un semplice sì? I ricordi cheabbiamo in comune mi vorticano nellamente. La tensione. I nostri giochi. Leprovocazioni, i tormenti. Il suo dominio.La mia sottomissione. E l’amore cheentrambi abbiamo per questi ruoli. Cosìintende forzare i confini. Nel profondo dime riconosco che anch’io voglio saperequanto oltre possiamo spingerci, e so chenon permetterei a nessun altro se non a luidi provarci.

«Sì». Una decisione che mi dà unsollievo mai provato prima, una parolache esce da me in un potente sospiromentre, finalmente, soccombo al mio

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destino, il destino che Jeremy ha creatoper me.

«Grazie. Non te ne pentirai. Te logiuro». Mi toglie il cappuccio e mi baciacon dolcezza sulle labbra. «Sto perimpedirti di parlare. C’è qualcos’altroche vorresti dire, prima?».

Scuoto il capo. L’idea di aver accettatodi entrare in un territorio così inesploratomi spaventa a morte, eppure mi esalta alpunto da inebriarmi. Jeremy mi apre labocca e mi spruzza sulla lingua e in fondoalla gola uno spray al sapore di agrumi.Mi dà una strana sensazione diintorpidimento e non posso fare a meno diconstatarne l’efficacia. Non riesco aemettere alcun suono: sono muta, oltre checieca.

«Mettetela in posizione, per favore».

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Le braccia forti mi sollevano da terracome una bambola, e vengo spostata piùin alto. Potrebbe essere una piattaforma?È quasi come se non sentissi più la forzadi gravità e non sentissi più il mio peso.Ancora una volta vengo fatta mettere inginocchio e, mentre sono ancora così, miallargano le gambe, con le ginocchia e lecaviglie saldamente ancorate da cinghie dipelle a un pavimento duro e poroso. Con ipolsi ancora legati dietro la schiena, sonodel tutto bloccata in posizione.

È quello che voglio. Ho bisogno discoprire dove mi porterà. Non midivincolo. Sono legata al pavimento. Nonvedo nulla, non posso parlare, non possomuovermi. Posso solo provare un terrorecompleto e assoluto, e insieme emozione,vergogna ed eccitazione che mi penetrano

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ogni singola cellula, mentre l’ansia si fastrada come un brivido dentro di me. Èincredibile e affascinante che tutte questesensazioni possano coesistere allo stessotempo.

«Ci sono ancora alcuni elementi dachiarire prima di continuare», riprende lavoce bassa.

Ho dimenticato qualcosa. Devoaggiungere alla lista il fatto che possoancora sentire.

«Esaminatela di nuovo, per favore».Ancora una volta due dita si muovono

nella mia vagina. Stavolta restano un po’più a lungo, poi all’improvviso vengonoestratte.

Il mio corpo reagisce alla penetrazione,ma la risposta è resa meno evidente dallaposizione in cui sono bloccata.

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«Bene, procediamo».Provo la strana sensazione di aver

viaggiato nel tempo e di star prendendoparte a un antico rituale di iniziazione.

«Non è necessario che il soggettorisponda a ciò che dico. Sarà J aoccuparsene per conto suo. Ma èimportante che senta le parole che lediremo prima di eliminare anche l’udito».

Sento i seni sollevarsi e abbassarsi aogni respiro; sono in trepidante attesa disapere cosa succederà.

«Dottor Quinn, ci assicura che ilsoggetto le ha dato il permesso di renderlacieca per quarantotto ore?».

Il soggetto. Non sono più nulla.Silenzio.«Sì».«Ci assicura di averla avvisata in più

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occasioni che il suo comportamento intale lasso di tempo avrebbe avuto delleconseguenze?»

«Sì».«E che ogni domanda avrebbe avuto

delle conseguenze?»«Sì».«È sua opinione che abbia compreso

tali condizioni?»«Sì».«Avete infine discusso del nostro

programma di ricerca, e lei ha accettato diessere coinvolta?»

«Esattamente».Ecco. Sta succedendo davvero. Mi

sono data a lui, a loro, anche se mi chiedoperché abbiano scelto un percorsomentale così tortuoso.

«Un lavoro davvero eccellente.

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Possiamo affermare con assoluta certezzache è perfetta per il nostro programma.Non vedo l’ora di analizzare i risultati».

Wow, un commento positivo. Jeremydeve essere molto compiaciuto. Midomando quanto si stia esaltando.

«Dobbiamo occuparci delleconseguenze delle sue azioni. Quantedomande ha fatto in tutto?».

Prima che possa sentire la risposta, mivengono inseriti dei tappi nelle orecchie.Oddio, è fatta. Silenzio assoluto, buioassoluto, l’impossibilità di parlare e lamia totale nudità. Non mi sono mairitrovata in stato di shock, finora; possosolo immaginare che sia simile a ciò cheprovo in questo momento. Sono stataprivata di… tutto! Sono totalmenteinconsapevole, sospesa nel tempo. In

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nessun modo i miei sensi possono dirmicosa sta per succedermi, e non ho modo dievitarlo. Il tatto è l’unico senso che miresta.

Mi mettono in testa qualcosa chesomiglia a un casco. È strano, all’inizio losento pesante, e impiego qualche momentoa capire che, naturalmente, registrerannole mie attività neurali. È questo che mancaalla loro ricerca, e io sono la caviaumana. D’istinto cerco di controllare ipensieri, poi grido in silenzio; vogliomettere alla prova il dispositivo e i suoimeccanismi di registrazione per vedere serisulteranno differenze quando verrannoanalizzati i risultati. È una situazionequasi troppo assurda per poter esserecompresa.

I miei polsi vengono slegati e poi legati

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di nuovo, davanti al corpo. Mi fannodistendere le braccia in avanti, all’altezzadelle spalle. Basta così, prego in silenzio.Mi tengono per i fianchi mentrecontinuano a tirare e sono costretta apiegarmi su una barra spugnosa finché nonarrivo al pavimento, dove i polsi mivengono legati e bloccati, insieme alcollo. In questa posizione, il torace sitrova più in basso del posteriore, cheresta sporgente. Riesco a immaginare imiei seni che pendono liberi mentre ilrespiro accelera, e sentirlo mi confermache è tutto vero, e non un sogno. Tutte lemani mi lasciano andare. Sono bloccatasolo da oggetti inanimati.

Il battito frenetico del mio cuore mi stadevastando. È così forte che temo per lamia salute. È questo che si prova quando

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si sta per avere un infarto? Sto per avereun attacco di cuore proprio adesso? È unaposizione assurda in cui morire. Ma primache possa riflettere sulla possibilità di unarresto cardiaco, l’intrusione di altre ditache mi sondano mi fa irrigidire. Sento icapezzoli indurirsi e il sedere sussultare aquell’invasione. Trattengo il respiromentre le dita indugiano, stavolta più alungo, premendo di più, esplorando eallargando i confini dentro il mio corpo,ora scivolosi. Un calore si propaga dentrodi me mentre la vagina si lubrifica perquel tocco. Il mio cuore impazzitominaccia di esplodermi nelle orecchie.Espiro di colpo quando le dita escono,lasciandomi svuotata.

Poi il nulla, se non il mio cuore.Mi sento sferzare il sedere così forte e

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in maniera tanto rapida, che mi pietrifico,irrigidendomi del tutto.

Succede di nuovo. Poi si ferma.Il respiro mi si è bloccato nei polmoni.Ancora. Si ferma.Ho bisogno di inspirare.Vengo colpita ancora e ancora, una

serie di fitte in rapida successione.Inspiro ogni volta che la cinghia miferisce il culo, ma non riesco a espirareper lo shock. L’ossigeno immesso lottacon l’urlo silenzioso che cerca di farsistrada nella mia gola, rendendogliimpossibile uscire. Sussulto, la testa migira, sono confusa.

È una sensazione bruciante, mai provataprima. Non è troppo dolorosa, ma fa male.Quel tanto che basta per sentir scottare lacarne per un secondo o due, poi, con la

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stessa rapidità, il dolore diminuisce.Comincia e finisce. Mi lascia ansante,devastata. Poi mi accarezzano le natichecon un unguento rinfrescante, ed è untocco così dolce e sensuale che il cambiorepentino di intensità mi fa venire dapiangere. Emotivamente, sono giàesaurita. Potrò resistere ancora? Forse lamia tesi sarebbe stata molto diversa, sel’avessi sperimentata di persona.

Ricominciano i colpi, ancora e ancora,più in alto, più in basso, al centro,intorno… e perdo il conto…

Il mio mondo comincia a muoversi alrallentatore. Sono divisa in due. Il miocorpo si inarca e si ritrae per ladisperazione e il desiderio, cercando dievitare l’impatto delle sferzateimplacabili dirette al mio posteriore.

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Dentro di me mi contorco e mi divincolo,ma il mio culo mantiene quella posizioneobbligata, come se ne volesse ancora. Eforse è così?

Vengo afferrata per i fianchi mentre ledita mi scivolano di nuovo dentro senzaincontrare resistenza. Sento unavibrazione profonda nella parte inferioredel corpo che mi invita a godere di questaesperienza. Sento il mio sesso gonfiarsiper l’eccitazione, come se la vagina stesseaccogliendo un amico ritrovato dopo tantotempo, e mi sento pulsante, indolenzita ebagnata. Sono sicura che il proprietariodelle dita sta facendo in modo che questainformazione venga appuntata, consideratoil lasso di tempo in cui le tiene dentro dime.

Poi le toglie. Torna l’unguento

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rinfrescante, applicato da mani che miaccarezzano dolcemente, con gentilezza, eil mio sedere cerca di seguirne il ritmo.Anche stavolta piango per il sollievo e latenerezza di quel gesto. Sta succedendoproprio a me?

Mi lasciano. Respiro. Singhiozzo.Le tenebre e il silenzio mi avvolgono.Solo adesso mi rendo conto che voglio

di più.Le cinghie sotto le ginocchia e quelle

legate alle caviglie vengono slacciate. Legambe mi tremano per reazione. Miallargano ancora di più le ginocchia, poimi legano di nuovo e anche le caviglievengono bloccate in posizione. Oh, santoDio. Chissà perché in una situazione disesso così estremo ho usato la parola“Dio”, mi chiedo. La barra viene spostata

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più in alto e di conseguenza ho il culoancora più esposto, se possibile.L’essenza della mia femminilità, gliingressi fisici alla mia parte più profondasono in mostra, alla luce, sotto gli attentiocchi osservatori di tutte le persone checompongono quel pubblico sadico. Comeè possibile che sia proprio io?

Il cuore non può battere abbastanza infretta da accogliere l’ondata di sensazioniche l’eccitazione mi riversa addosso.

Frustata. Pausa. Poi sento una carezzafredda, liscia e morbida scivolare dovesono stata colpita.

Ancora. Frustata. Pausa. Carezza.Frustata. Pausa. Carezza… Si crea un

ritmo che il corpo comincia ad attendere edesiderare, come un’onda che si propagalungo la pelle. Cerco di prepararmi

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all’impatto, ma resto solo con lasensazione di quel dolore delizioso primadella carezza rassicurante e il sollievo diun tocco ancor più benevolo. Vibro,aspettando l’effetto. Si concentrasull’interno coscia, non con la stessaforza, ma provocandomi un’eccitazionedevastante.

Voglio di più.Desidero di più.Ricevo di più.La combinazione di piacere e dolore mi

fa impazzire: non posso far altro chegodere di questo assalto carnale.

Si ferma. Boccheggio. Finora sono stataconcentrata sul mio posteriore e sullecosce, così ci metto qualche istante arendermi conto che qualcuno stagiocherellando con i miei capezzoli,

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pizzicandoli e poi stringendoli in unamorsa. Una scarica che mi arriva drittaall’inguine.

Poi mi viene legato in vita qualcosa chemi attira ancora di più verso il pavimento,mentre il culo resta bloccato in alto dallabarra. Tutti gli agganci vengonoricontrollati e stretti, e il fatto che sianochiusi alla perfezione trova confermaquando una corrente a basso voltaggioviene fatta scorrere attraverso ildispositivo che mi è stato attaccato aicapezzoli. Lo shock infatti mi fa irrigidirecompletamente e tendere le fibbie. Lancioun urlo silenzioso per reazione a queltormento. Mentre mi adatto allasensazione, mi accorgo che è come se lacorrente che arriva ai capezzoli sitrasmettesse anche al clitoride, come se ci

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fosse un cavo triangolare caricatosessualmente. Un formicolio mi scalda ilcorpo e il dolore si trasforma in unavibrazione stuzzicante, piacevole. Dio,cosa mi stanno facendo? Sono diventatauna specie di esposizione del sesso,qualcosa che si potrebbe vedere in undipinto in qualche esposizione del MONAdi Hobart.

I colpi continuano, spostando il dolorepenetrante alla parte anteriore del miocorpo e della mia mente. Poi torna ilpiacere, anche se per poco. E di nuovo ildolore. Mi abbandono del tutto, passandoda una sensazione estrema all’altra, che sisusseguono come gli scatti di uninterruttore. Sono come il cane di Pavlov.

È come se il corpo si fosse adattato aquel dolore piacevole, ma poi mi rendo

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conto che è stato di nuovo sostituito dauna bassa vibrazione che mi attraversa icapezzoli. Le dita tornano a posizionarsidietro la vulva e attaccano vicino alclitoride qualcosa che emette unavibrazione intensa. Troppo vicino! Ilpanico e il desiderio mi bloccano; la miavulnerabilità è assoluta. L’intensità dellavibrazione aumenta a un ritmo lento eregolare. Comincio a sudare per latensione sessuale. Le dita si spostano ecominciano a tastare ed esplorare lavagina, il perineo. Se potessi muovermi,ormai sarei crollata sul pavimento, senzaforze. Il mio corpo è come cera fusa chenel tempo si solidifica nella forma dellostampo in cui è costretta. Mi accorgo chela mia temperatura corporea sta salendo,insieme al delirio dell’eccitazione.

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Le dita adesso sono calde, esperte,cercano il piacere e io le accolgo perchési spingano più in profondità. La mia golamuta mugola di vergogna e di desiderio,mentre imploro la mente di restareall’erta. Le dita individuano luoghi maiscoperti prima d’ora, che io stessa non homai esplorato.

Il perineo, l’ano, nulla viene ignoratonel processo. Oh, Dio! Assurdo, di nuovoquella parola. Giocano, spingono eindagano, come se volessero controllare evalutare la reazione che ogni toccoprovoca in me. Cerco disperatamente dimantenere il controllo delle mie risposte,di trattenere quelle intense sensazionisensuali, ma sono spiriti liberi,impossibili da imbrigliare. Le ditatrovano un punto preciso e lo toccano con

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attenzione, prima insistendo, poiritmicamente e poi in modo sempre piùintenso, e intanto delle onde esplodonoattraversandomi i muscoli. Di sfuggita michiedo se sia possibile indurre unorgasmo con la forza. Avrò un orgasmodavanti a degli estranei? Avrò scelta?

Oh, Dio…Le vibrazioni sui capezzoli e il

clitoride si intensificano, e la mia mente èsommersa di godimento e desiderio. Lamia capacità di controllare questo accessodi lussuria che si sta impadronendo di meè come un buco nero che si chiude sempredi più. Anche se sono legata e ancorata aterra, sento che la mia percezione dellarealtà si fa sempre più indistinta con ilpassare dei secondi. Avverto un’ondagigantesca che monta all’orizzonte,

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minacciando di annichilire ogni pensieroe concedere al corpo la resa estrema.

Mi concentro.Mi indagano.Resisto.Mi fanno vibrare.Mi blocco.Mi puntano.Cedo.Mi soddisfano.Mi arrendo.Vincono.Nell’istante che segue conosco la

sensazione più incredibilmente intensa,lancinante, potente che abbia mai provatoin vita mia. Parte dalla punta deicapezzoli e monta dentro di me allavelocità della luce, a tempo con lapenetrazione contemporanea di ano e

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vagina, perfettamente lubrificati. Sonocosì stordita dall’esplosione dei sensi cheadesso è come se mi avessero liberatadalle cinghie e fossi andata a sbatterecontro il soffitto.

Perdo ogni cognizione del tempo; lamente razionale si è spenta, lasciandoall’istinto dei sensi il pieno controllo epermettendo a ogni sensazione epercezione di raggiungere direttamente ilcorpo. Sto volando in una nuovastratosfera.

Resa!Libertà!Pura… sensuale… estasi…Vibrazioni calde, pulsanti, nascono al

centro del mio essere.Sono ondate su ondate infinite di

avvolgente beatitudine.

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Il ritmo, il flusso di estasi che si muovedentro di me.

Sto vibrando, palpitando… è troppo,forse?

Posso avere di più?Spero davvero di sì…Le vibrazioni riprendono a concentrarsi

con intensità nel mio essere più interno,battendo fin dentro l’anima, in profondità;il ritmo si è addolcito, non è più selvaggioe travolgente come prima. Non cadrò giùcome un tronco in bilico in cima alleacque rombanti di una cascata.

Alla fine la mia mente torna aconnettersi con il cervello. Mi vengonotolti i tappi dalle orecchie e le bracciaforti mi slegano. Vengo sollevata, nonsono più agganciata al pavimento. Orasono distesa su una superficie ampia e

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morbida e mi sento sciogliere come unimmenso marshmallow avvicinato alfuoco, tanta è la perfezione con cui icuscini accolgono ogni mio movimento. Èbello potermi allungare, di nuovo libera.

Avverto un delizioso guizzo sul seno,che mi riscuote dal mio stato fluido.

Dio, è una sensazione bellissima.Ora lo sento da entrambe le parti. Sento

il sangue scorrere fino alle punte deicapezzoli.

È così erotico. Faccio un profondosospiro…

Il guizzo diventa un movimento gentileche mi tira e mi massaggia.

I capezzoli sono sottoposti a unatensione leggermente diversa tra loro, a unritmo diverso…

L’intensità aumenta. Un calore umido

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mi sfiora le labbra. È difficile capiredove concentrare l’attenzione.

Una lingua morbida mi dischiude labocca. Mi è familiare ma al tempo stessonon la riconosco, è come se fossecapovolta. Mi dimeno un poco allapressione dolce ma mi abbandono aquelle sensazioni e vengo massaggiata,succhiata, leccata…

Tante lingue che penetrano nel miocorpo… oh, sì, Jeremy, ne èassolutamente valsa la pena! Nessuna miafantasia avrebbe mai potuto contemplareuna realtà del genere. Mi sembraimpossibile immaginare come possaessere dall’esterno, come se il tocco e lesensazioni fossero una cosa sola.

È incredibile ricevere tutte questeattenzioni.

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Mentre mi consumano la bocca e i seni,la mia attenzione si sposta su dellecarezze leggere che risalgono lungo lecosce. Apro d’istinto le gambe per far sìche la loro avanzata non trovi alcunostacolo. Oh, sì, ti prego, entra dentro dime. È davvero divino.

Sento guizzare, tirare, massaggiare,mordere, non troppo né troppo poco. Ècosì perfetto che potrei piangere. Glistimoli sono troppi perché riesca aconcentrarmi su tutti, così mi abbandono,lascio che il mio corpo assorba l’intensitàdel desiderio che mi invade.

La lingua più in basso raggiungel’ingresso del mio corpo. Esplora inprofondità, con incredibile accuratezza,eppure è decisa e intensa.

È come se stesse esaminando gemme

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preziose, cercando di individuarequalcosa di raro e pregiato. Mi toglie ilrespiro. La lingua e le labbra succhiano emordicchiano e non si distraggono fino aquando non trovano la gemma checercavano. La sensazione si focalizza,come un missile che punta dritto verso ilsuo obiettivo, senza esitazioni, in modoassoluto, profondo. Le lingue delle altrebocche intensificano il ritmo in rispostaper accompagnare l’energia dellapenetrazione.

Il desiderio rischia di consumarmi,mentre le lingue diventano sempre di più,ognuna alla frenetica ricerca di un puntoda penetrare più a fondo, più forte, più infretta. Orecchie, bocca, collo, seno,ombelico, vulva, dita delle mani, deipiedi, polsi, caviglie, ginocchia, ascelle:

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nessun punto del mio corpo vieneignorato.

L’intensità del desiderio mi fa inarcarela schiena. Le lingue e le labbra e i dentinon si scostano di un millimetro al miomovimento, ma aumentanoimmediatamente il ritmo della loroinsaziabile ricerca. Ho bisogno di farlerallentare, diminuire d’intensità, ma speroanche con tutta me stessa che non lofacciano. Accelerano ancora, a tempo conil mio cuore, come un martello che batteal ritmo tribale della vita stessa. Unapassione selvaggia si accende nelprofondo della mia anima e si integra conl’essenza del corpo; pulsiamo e vibriamod’istinto, mentre un unico cuore invia unflusso di sangue e brama sfrenata in ognirecesso di me e comincia a vorticare,

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creando un’apertura devastante, comel’occhio di un ciclone.

Nessun battito del cuore.Nessuna pulsazione.Nessun pensiero.Nessuna ragione.Affondo nell’abisso infinito

dell’euforia.E poi tutto prende fuoco e ruggisce in

una corrente potente e meravigliosa dipura energia che esplode, si abbatte e siinfrange sul mio corpo, come se dentro dime ci fosse il Vesuvio che sommergePompei con la sua eruzione.

Il mio mondo esplode, con una rapiditàe una forza che spazzano via tutto,lontano… lontano… lontano…

Sono scossa da spasmi in reazione auna serie elettrizzante di esplosioni

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erotiche che continuano, ancora e ancora,senza sosta… come non ho mai provatoprima… come non avrei mai credutopossibile…

Continua a pompare, pompare, pompareattraverso ogni singolo poro, e la miapelle si accende, invasa dalla lava.

Un’onda dopo l’altra, di un piacereintenso e sublime…

Creando flussi orgasmici di energia…Come se non avessi mai conosciuto un

vero orgasmo…Quanto potrà durare?Lancio un urlo gutturale, lungo e

potente, anche se nessuno lo sentirà.E di colpo inspiro, a fondo, con

disperazione, come se fossi una neonatasessuale che prende il suo primo respiro,alla ricerca dell’ossigeno per poter

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sopravvivere.La schiena finalmente si rilassa

abbandonando la posizione rigida einnaturale, mentre continuo aboccheggiare in cerca d’aria e lascio cheil senso di beatitudine che sta arrivandomi avvolga del tutto. Mugolo per lafelicità, il calore, la libertà el’esaltazione, e lascio il mondo terrenoper godere di questa sensazioneparadisiaca… sono la dea universale delsesso…

* * *

«Oh, Alexandra. Sei meravigliosa. Haisconvolto le nostre menti».

«E la nostra analisi».«Infatti. Oltre ogni aspettativa».C’è qualcuno che sta parlando? Non lo

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so e non mi importa…Sono tanto, tanto lontano…So solo che le vibrazioni che mi

scorrono nel corpo sono incredibili!E io sono, assolutamente, totalmente

devastata.«Alexa! Mi senti? Stai bene? Ecco,

bevi questo».Sento l’odore di una deliziosa

cioccolata calda. Qualcuno mi aiuta amettermi seduta. Sono su un letto, credo,con lenzuola di cotone.

«Fa’ attenzione. Scotta».Qualcosa mi tocca e mi avvicina una

tazza alle labbra.Ha un sapore meraviglioso e il calore

mi scivola dentro.«Jeremy…». La mia voce è poco più di

un sussurro.

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«Non ti sforzare, prima bevine ancoraun po’. Ti aiuterà a ricominciare aparlare».

La bevo tutta.«Ecco, adesso infilati sotto. Sei

stanchissima, è ora di riposare».Mi fa sdraiare di nuovo, mi copre con

un piumino e si assicura che stia comoda.È caldo e accogliente e lui ha ragione, nonsono mai stata tanto sfinita.

«Dormi, tesoro. Parleremo più tardi.Non mi sarei mai nemmeno sognato chepotesse andare così». Mi bacia condolcezza sulle labbra e mi accarezza lafronte. Comincio a scivolare in uno statodi incoscienza… di sogni… mi sembradavvero una buona idea.

«Qui è tutto a posto. Noi abbiamofinito, almeno per ora. Ottimo lavoro,

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dottor Quinn».«Sistemiamo le attrezzature e poi vi

lasceremo proseguire il viaggio».«J, ricordati che le prossime

ventiquattro ore saranno fondamentali, eche sarà necessario osservare l’evolveredella situazione con grande attenzione peralmeno tre o quattro giorni. Lariservatezza è d’obbligo. Non devevedere né parlare con nessuno a parte te. Inostri concorrenti sarebbero disposti auccidere per ottenere dati come questi».

«Sì, nessun problema. Ho tutto sottocontrollo».

«Bel lavoro, signori. Alla prossima.Stavolta siamo andati ben oltre leaspettative. Attendiamo con ansia irisultati completi. Nel frattempo tieniciaggiornati».

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«Certo».Le porte si chiudono.Non so di cosa stessero parlando quelle

voci lontane che mi vorticavano intorno.Mi sento completamente rilassata.Avverto il suono indistinto di motori cheronzano sotto di me…

E scivolo nella più totale incoscienza.

2 La Da William Wordsworth, Samuel Coleridge,Ballate liriche, traduzione di Franco Marucci,introduzione e note di Attilio Brilli, Mondadori,Milano 1999, p. 235.

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Paarte sestaa

La percezione di una sensazione èproporzionale al logaritmo

dell’intensità dello stimolo che laprovoca.

Legge di Fechner, 1860

Con dita avide tocco ciò che mi circonda.Delizie sensuali e morbide. Esploro

una sporgenza di seta e ne trovo la punta.Mi rannicchio, in estasi. Che cosa ho

trovato? Un seno?Appoggio la mano e lo sento malleabile

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sotto il palmo. Gioco con la sommità finoa farla indurire, e subito dopo ho lafortuna di trovarne un altro.

Lo accarezzo, risvegliandolo, finchénon diventa come l’altro.

Sono i cuscini a forma di seno piùsoffici che si possa immaginare. E sonocosì reattivi, pieni, così malleabili sottole mie mani.

Continuo a giocarci, stuzzicandoli… èuna sensazione talmente bella che nonriesco a smettere.

Un’altra mano tocca dolcemente unseno.

«Sono meravigliosi, vero?», chiedepiano la voce di Jeremy.

Imbarazzata, mi allontano. Pensavo diessere sola.

«Non mi ero resa conto che fossi qui.

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Mi dispiace».«Non c’è nulla di cui scusarsi, Alex.

Sono a tua disposizione». Sento chesorride mentre parla, e questo mi ricordache sono ancora cieca.

Delle braccia forti mi cingono, micullano.

«Ed è ovvio che sia ancora qui. Ti hopromesso che mi sarei preso cura di te».

I miei pensieri sono vaghi e indistinti.«È stato un sogno?». Sorrido tra me.

Oh, sì, ho vissuto sogni e fantasieincredibili, mai sperimentati prima. Il miocorpo reagisce all’istante al ricordo,l’intensità delle sensazioni mi fa ancoravibrare.

«Ti senti bene?», mi chiede Jeremy inansia. La sua voce è colma dipreoccupazione.

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«Oh, sì… ma non sono sicura…Jeremy, cos’è successo? Dove siamo?».

Nel momento in cui faccio quelledomande provo un dolore sordo allenatiche, e d’istinto smetto di chiedere.

«Ssst, rilassati e basta. Hai appenaaffrontato un’esperienza intensa». Miaccarezza dolcemente i capelli.

Sono ancora confusa e decido che èmeglio fare come dice lui. Mi accoccolocontro il suo petto forte e perfetto e miporto una mano agli occhi, trovando comemi aspettavo la benda di seta.

«Sì, è ancora lì, tesoro. Ci resteràancora per un pochino». Mi bacia le mani,scostandomele dal viso. Mi copre con unatrapunta calda.

Sento la sua voce dal petto, ma nondistinguo parole. Avvolge e placa i miei

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pensieri come nuvole soffici sospese nelcielo azzurro. Sono in uno stato di totalebeatitudine, felice di stare al caldo e alsicuro vicino a lui. Forse mi sta leggendouna favola, una poesia, l’articolo di ungiornale: non saprei dirlo. Non riesco adistinguere le parole… sento il battito delsuo cuore con un orecchio e forse ilrumore della pioggia contro la finestracon l’altro, e mi concentro su quei suoniinvece che su quanto sta dicendo Jeremy.Comincio a seguirlo appena in tempo persentirgli chiedere: «Hai sete o fame?».

Idea magnifica. «Ci sarebbe dell’altracioccolata calda? Mi riscalda tanto,dentro e fuori».

«Certo, te ne preparo ancora».Il materasso si muove quando lui fa per

scivolare via e mi sento cadere. Gli

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afferro un braccio, spaventata.«Tesoro, va tutto bene, non ti lascio.

Vado solo a prenderti la cioccolata. Cercadi non muoverti troppo».

«Mi sento strana quando mi muovo, ècome se fossi pesantissima».

Lo sento fare dei rumori. Mi sembrache ci sia una cucina, ed è strano per unastanza d’albergo.

Torna da me e mi mette una tazza tra ledita. Non ho abbastanza forza perstringerla.

«Lascia che ti aiuti». Mi porta illiquido caldo alle labbra.

«Ahhh, grazie, Jeremy, fai unacioccolata calda fantastica».

Mi immagino seduta lì, bendata, con luie una cioccolata calda dopo tutto quel cheè successo. È come se stessimo ignorando

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un elefante seduto in mezzo alla stanza.Per qualche ragione trovo questo pensieroesilarante. Non riesco a trattenermi, escoppio a ridere: è come se tutta latensione nervosa si fosse allentata.

«Cosa c’è di così divertente?». Jeremyafferra la tazza prima che mi cada.

Boccheggio in cerca d’aria e mi fa malela pancia mentre cerco di spiegare aJeremy perché rido. Le parole però nonriescono a farsi strada tra i sussulti, equesto innesca un nuovo accesso. Sentoche anche Jeremy ha cominciato a ridere,forse di me. Ma non mi importa, non ridocosì da anni; fa male, ma è bellissimo. Hole lacrime agli occhi. Cerco di fermare glispasmi, di inspirare. Sto per farmelaaddosso. Mi sposto fino al bordo del lettoe cado a terra, ancora preda delle

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convulsioni.Jeremy è subito accanto a me. «Oddio,

Alexa! Ti sei fatta male?», si affretta achiedermi.

«Ba… ba… bagno», rispondo tra glispasmi.

Lui mi raccoglie dal pavimento e mipoggia sul water appena in tempo. Rilassola vescica con grande soddisfazione. Neapprofitto per dare sollievo ai muscolidella pancia e inspirare l’aria di cui hobisogno, mentre continuo a svuotarmi.Guardo Jeremy dritto negli occhi e midomando perché sia così preoccupato. Mici vuole qualche momento, infatti, perrendermi conto che sto davvero vedendoun’immagine un po’ indistinta del viso diJeremy. L’emozione mi fa avvampare.

«Ci vedo! È tutto ancora molto scuro e

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confuso, ma sei qui, davanti a me». Leparole mi escono veloci. «Quando…come… sono passate quarantotto ore?»

«Più o meno. Il tuo attacco istericodeve aver fatto scemare più in frettal’effetto delle gocce, e la benda ti è cadutaquando sei scivolata dal letto. Quindi sì,nel giro di qualche ora tornerai e vedereperfettamente».

Le sue parole mi danno un sollievoimmediato, ma anche una strana tristezzaora che so che il tempo a nostradisposizione è agli sgoccioli. È strano,come aprire gli occhi nel mezzo di unacaverna: non vedo nulla a parte ciò chesta proprio davanti a me.

Non vedo ancora abbastanza bene dadistinguere molto più del suo visoconfuso, ma mi sento incerta e

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imbarazzata quando mi rendo conto distare seduta sul water con lui che misorregge. Lo fisso. Mi vergogno a farmivedere così, quindi mi pulisco in fretta emi alzo per andare a lavarmi le mani,incredibilmente grata per l’indipendenzache comincio a riscoprire. Faccio unpasso avanti, ma le gambe mi cedono e miaccascio a terra. Fine dell’indipendenza.

«È per questo che ti sto aiutando,tesoro: da sola non ce la fai ancora».Jeremy mi tiene stretta tra le braccia e miporta fino al lavandino. L’espressione delsuo viso mi strappa un sorriso mentre loguardo nello specchio.

«Mi riprenderò subito, sul serio, non tidevi preoccupare. Mi serve solo unmomento».

Lui solleva le mani fingendo di

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arrendersi; lo prendo per un segnalepositivo. Mi sforzo di concentrarmi e,appoggiandomi al lavandino, mi lavo lemani e il viso. Quando mi volto aguardare Jeremy, le mie gambe cedono dinuovo, ma stavolta lui non mi lasciacadere a terra e mi prende tra le braccia.

«Ma che mi succede? Non capisco…».«Basta così. Non sei ancora in grado di

badare a te stessa, per il momento. Èproprio per questo che sono qui»,aggiunge risoluto.

Poi mi riporta in camera e mi fadistendere al centro di un grande letto.

Per chissà quale motivo la miamomentanea inabilità mi fa ricominciare aridacchiare, e non riesco nemmeno asollevare la testa per oppormi. Capiscoche non potrò fidarmi delle mie gambe per

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un po’. L’espressione di Jeremy mi facapire che farei meglio a star ferma.

«Che devo fare con te?». Almenosorride un pochino.

«Che cosa mi hai fatto? Non pensi siaquesta la domanda fondamentale?», glirispondo, e mi accorgo che la mia mentenon è più tanto intorpidita.

«In effetti direi che c’è molto daspiegare».

«Già, immagino di sì».«Perché non cominci tu a dirmi cosa

ricordi?».Lo guardo perplessa. Ci risiamo…

ancora il trucchetto di farmi parlare perprima. Come se mi avesse letto nelpensiero, aggiunge subito: «Alex, tesoro,sai che sono sempre stato sincero con te».

«Sì, è vero, a volte anche troppo». Non

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ho la forza di mettermi a discutere con lui,così lascio che la mente frughi tra iricordi del fine settimana. È strano, ma miarrivano come un flusso, e non comeimmagini nitide. In alcuni casi ho lapercezione di quelli che mi sembranoricordi, privi però di unarappresentazione visiva: si trasformano inun’incredibile scarica di sensazioni chemi attraversa via via che ritrovo i dettagli.È davvero strano. Scuoto il capo… il miocervello non è pronto per un similesovraccarico.

«Ricordo paura, emozione, vergogna,poi un’inebriante sensazione di dolore epiacere uniti in modo talmenteindissolubile che non so dire quale deidue dominasse. E poi tensione sessuale,eccitazione e un’energia travolgente; era

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come se una forza vitale mi scorressenelle vene, anche se adesso mi sembratutto come attutito». So di essere arrossitamentre quelle parole escono dalla miabocca in un miscuglio confuso. Jeremy miaccarezza i capelli, comprensivo, e miavvolge nelle coperte per tenermi alcaldo. È molto premuroso.

«Che mi succede, Jeremy? Non riesco apensare in modo coerente».

«È il tranquillante. Dovresti smaltirlonel giro di ventiquattro ore».

«Cosa? Mi hai dato un tranquillante?»«Sì, ma solo per permettere al tuo

corpo di riprendersi. Era nella primacioccolata calda che ti ho dato, prima divenire qui. Avrei dovuto ricordarel’effetto che ti fa questo genere difarmaci… ci vorrà ancora un po’ prima

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che cessi del tutto».Mentre parla mi gira la testa, e un

ricordo lontano mi s’insinua nella mente.

Ero in un bar a Kings Cross per unaserata tra ragazze, e abbiamo finito permetterci a chiacchierare con dei tipi chenon conoscevamo. Dopo qualche drink,ho cominciato a sentirmi stordita, così lemie amiche, molto preoccupate, hannochiamato Jeremy. A quanto ricordo, iragazzi se ne sono andati di corsaquando hanno capito che stavanoarrivando degli uomini, quindi abbiamopensato che avessero messo qualcosa nelmio drink. Ero completamente fuori, nonriuscivo a reggermi in piedi e nonricordo nient’altro. È spaventosa larapidità d’effetto di quelle sostanze.

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Mi sveglio a casa di Jeremy il giornodopo, non so a che ora, mentre lui mitocca e mi punzecchia, mormorando trasé. Mi sento a pezzi, rotolo su me stessa,confusa, e riprendo a dormire. Quandomi sveglio di nuovo, Jeremy mi porta unatazza di tè, un gesto davvero carino. Tirofuori un braccio dalle coperte perprendere la tazza e mi accorgo che èricoperto di segni blu, rossi e verdi.Cerco di ricordare cos’è successo lasera prima, ma ho il vuoto assoluto: nonè affatto un buon segno. Appoggio latazza con attenzione e sollevo lelenzuola, ritrovandomi completamentenuda e ricoperta degli stessi segni: sonolinee, frecce, cerchi, vergati in coloridiversi. Gemo, incredula: non ho alcunavoglia di controllare se anche la schiena

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è ridotta in quello stato, ma quando notoil sorriso sfacciato di Jeremy capiscoche è così.

«Allora?». Lo guardo seccata, inattesa di una spiegazione.

Salta sul letto accanto a me, sembraun cucciolo eccitato.

«Ecco… Alex… sei rimastaincosciente molto a lungo e mi annoiavo,però non volevo lasciarti da sola. Avevobisogno di essere sicuro che stessi bene.Così ho deciso di non perdere tempo estudiare un po’».

Pianto gli occhi nei suoi mentre parla.«E, be’, come puoi vedere, ne è

davvero valsa la pena».Solleva le coperte. Sembro una cartina

stradale mal disegnata.«Voglio dire, per me è stato istruttivo.

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Mi mancano un paio di cose, ma hobeccato muscoli, organi, arterie…». Miguarda in faccia e si affretta acontinuare, spostandosi lungo il miocorpo per mostrarmi quel che ha fatto.«Ho mancato l’appendice per uncentimetro, e la cosa mi fa incazzare, matutto il resto è piuttosto preciso. Ilsistema nervoso è venuto bene. Plessobrachiale, plesso lombare, le arterieprincipali del sistema circolatorio, gliorgani dell’apparato digerente, anche seforse ho tirato un po’ via con il duodeno,e mi secca. Gli elementi principali delsistema linfatico: tutti okay. L’apparatoriproduttivo è stato divertentissimo.Certo, ho fatto in modo di non calcaretroppo la mano sulla vagina, sullepiccole labbra e il clitoride, ma sono

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riuscito a far risaltare le grandi labbra el’ano, per esempio…». Le sue maniscorrono con eleganza e lentezza suciascuno dei punti che sta elencando.«… e non mi è sembrato che tiinfastidisse più di tanto, prima dispostarmi su…».

«Okay, okay. Ho capito», lointerrompo e cerco di allontanarlo.«Adesso basta, però».

Comincia a baciare le zone che hadescritto. «E poi c’è il mio puntopreferito, quello più intimo, di cui nontutti sono a conoscenza…». Mi sento dipiombo davanti ai baci leggeri,avvolgenti, erotici che mi riportano invita, delicatamente ma senza tregua. Nongli resisto. Tutta l’irritazione svaniscementre lo studente di medicina,

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appassionato di anatomia, si trasformanel mio amante. Lascio che giochi con ilmio corpo come se fossi la suamarionetta. Il suo tocco magicotrasforma con destrezza il mio corpo dilegno in un essere pieno di vita esensualità. Tra noi è sempre stato così.

Torno al presente prendendo coscienzadel fatto che da allora tra noi non ècambiato nulla: basta guardare lo stato incui mi trovo in questo preciso istante e ilsuo desiderio di analizzare il mio corpo.Ma voglio riordinare i pensieri.

«Per quanto tempo mi sentirò così?Devo tenere la mia prossimaconferenza… che ore sono?». Angosciata,cerco con lo sguardo un orologio nellastanza, ma mi accorgo che siamo quasi

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completamente al buio, o almeno io losono a causa della vista ancora imperfetta.Non so nemmeno se è giorno o notte.

«Non devi preoccuparti. Sono solo leotto di sera».

«Oddio, Jeremy, come hai potuto? Noncapisci… non mi reggo in piedi e tradodici ore devo parlare di fronte alConsiglio dell’Associazione mediciaustraliani. Non riesco nemmeno aconcentrarmi. Ti rendi conto di quanto siaimportante per me, per la mia ricerca?Sono i miei critici più severi, e tu mi hairidotta in questo stato! Perché l’hai fatto?Dovresti essere un medico responsabile,santo cielo!».

«Alexa, calmati, per favore. Non devipreoccuparti».

«È facile per te dirlo, dottor Quinn. La

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tua carriera non dipende da questo. Èevidente che non hai bisogno di altri fondiper il tuo lavoro, dato che a quanto pare tela cavi benissimo da solo». Cerco dimuovere la mano tutto intorno per indicarela suite, ma la mancanza di controllo sullamuscolatura rende il mio gesto ridicolo.Non mi lascio scoraggiare dalla totaleassenza di coordinazione e proseguo:«Non sei tu quello che dovrà affrontare lacommissione, descrivere un caso aprofessionisti altamente qualificati, moltidei quali preferirebbero screditare il tuolavoro piuttosto che finanziarlo. Nonpotresti mai nemmeno immaginare cosa siprova, dato che tutti ti ritengono un diodella medicina!». Tremo di rabbia mentrecerco di scendere dal letto. Ho bisognod’acqua, caffè, qualsiasi cosa possa

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svegliarmi in fretta. Mi aggiro come unleone marino che tenta di inseguire unpinguino in fuga.

«Riesci a restare sdraiata o devolegarti come prima? Ti farai solo delmale».

Sono di nuovo pericolosamente vicinaal bordo del letto, ma non lascerò chemetta a repentaglio la mia carriera. Devecapirlo. Si sposta sul lato del letto, non sose per impedirmi di cadere o discenderne, non ne sono sicura. Conmovimenti goffi mi sposto dall’altra parte.

«E poi dove sono i miei vestiti? Sperosiano ancora nella cabina armadio».

«Vuoi fermarti un attimo? Per favore!».È esasperato, e anch’io lo sono, per lafatica che faccio a muovermi.

«No, Jeremy, non posso proprio».

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Mi rassegno all’idea che non mi aiuteràe alla fine arrivo dove volevo; conentrambe le mani sospingo il tronco chemi ritrovo al posto della gamba oltre ilbordo del letto.

«Ahhh, ma perché ti ostini quando saiche non è possibile?».

Mi afferra una caviglia un attimo primache tocchi terra e la collega al polso conun cavo. Mi accorgo solo ora di avereancora le cinghie attaccate a braccia egambe. Ah, che fortuna.

In un lampo Jeremy fa la stessa cosacon la parte sinistra, allacciando polso ecaviglia, e poi mi trascina al centro delletto, rendendomi virtualmenteimpossibile ogni movimento, e meno chemai camminare. Mi circonda di cuscini inmodo che possa stare seduta, dandomi un

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minimo di sollievo, perché una posizionedel genere, da sdraiata, è quantomenofastidiosa. Per fortuna faccio yoga.

«Maledizione. Non puoi tenermiprigioniera qui, non sono un pupazzo delcavolo. Perché ho ancora le cinghie?», gliurlo in faccia.

«Sono fantastiche, vero? Fannorisparmiare un sacco di tempo edenergie… se solo le avessi avuteall’università, pensa quanto mi sareidivertito con te…». Smette di parlare eassume un’aria sognante.

«Jeremy! Non ho tempo per rivangare ibei tempi, adesso». Ho la gola riarsa perquanto ho urlato.

«Ah, giusto», dice tornando alla realtà.«Adesso potresti restare ferma e lasciarmispiegare?»

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«Immagino che questa non sia unadomanda», ribatto astiosa. «Non misembra di avere molta scelta!».

«No, infatti». Anche se il suo tono èseccato, ha l’aria compiaciuta mentre miraggiunge sul letto. Posso solo alzare gliocchi al cielo e sperare che sia unaspiegazione breve.

«Prima di tutto lascia che ti dica chenon andrai proprio da nessuna parte».Solleva una mano per bloccare la miaprotesta. Lo ignoro.

«Devo, Jeremy. Non riesci proprio acapire?». Comincio a sentirmi disperata evoglio spiegargli quanto sia importantequesto convegno, quanto significhi per me.Mi agito, cercando inutilmente disottrarmi alle cinghie, e comincio asudare. «Jeremy, è in ballo la mia

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carriera, tutto ciò per cui mi sonoammazzata di lavoro. Proprio tu, tra tutti,dovresti comprendere…». Lui allunga legambe, circondandomi, intrappolandomiancora di più con il suo corpo mentresolleva rapido una mano e mi copre labocca.

«Adesso ti spiego una cosa. Nonuscirai da questa stanza finché io non loriterrò opportuno, dal punto di vistamedico e non solo».

Stavolta la sua mano mi blocca primache mi possa sfuggire qualcheimprecazione. Sono così prevedibile perlui? Credo proprio di sì, se… la stanzacomincia a girarmi intorno…all’improvviso tutto sembra così strano…perde nitidezza… ruota… è tantoconfuso…

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* * *

Quando mi sveglio, ho una luce fortepuntata in un occhio e qualcuno mi stamisurando la pressione e le pulsazioni.

Cerco di sollevare la testa. Non ciriesco.

«Hai trovato una vena? Dobbiamo faresubito la flebo!».

«Ancora no, le vene sono collassate».È la voce di una donna.

«Ci provo io, dammi qua».Mi sento pungere una mano.«Fatto. Fermalo con un cerotto. Tesoro,

mi senti? Guardami, sono Jeremy».«Che… che è successo? Dove siamo?».

Mi guardo intorno e vedo una flebo,l’attrezzatura per il monitoraggio,un’infermiera.

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«Oh, grazie a Dio. Rilassati. Mi senti?Capisci quello che dico?»

«No… non credo di capire, Jeremy.Io… non capisco proprio niente».

«Certo che no, tesoro, perché non mihai voluto dare il tempo di spiegarti».

«È colpa mia?», chiedo confusa.«No, no, non volevo dire questo. Dio,

mi hai fatto prendere un colpo. Seisvenuta».

Forse perdo i sensi di nuovo, perchéquando riapro gli occhi la stanza misembra luminosissima, e questo mi fatornare in mente l’argomento di cuistavamo parlando prima che tutta questasituazione medica si mettesse in mezzo.

«È mattina? Jeremy! Ho perso…».«Non hai perso nulla». Fa di tutto per

parlare con calma. «Non devi fare

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nessuna presentazione». La lucediminuisce.

«L’hai annullata? La mia unicapossibilità di presentare il mio lavoro?»,gli chiedo incredula.

«No, tesoro, e ti prego, resta sdraiata.Cerca di stare calma. Sei sfinita. Dio, hoesagerato… è stato troppo». Tace per unistante. «Non c’è mai stata nessunaconferenza. È stato tutto organizzato perfare in modo che avessimo abbastanzatempo per stare insieme».

«Cosa? Non c’è nessun meeting?»«Non hai altri interventi per il resto

della settimana. L’unica conferenza chedovevi fare è stata quella di venerdìscorso».

«Cosa… come… Non capisco». Sonotalmente stanca che non riesco a

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comprendere il senso di ciò che mi stadicendo.

«È troppo perché tu capisca in questomomento, ora hai bisogno solo di smetteredi preoccuparti e concentrarti sul riposo,che è fondamentale per te».

«Niente conferenze?… Tuttecancellate… È andata così male, laprima?… Avevi detto che era buona». Perqualche strano motivo, mi assalel’insicurezza. Mi sento davvero debole.

«È stata magnifica, e lo sai. Adessochiudi gli occhi e dormi». Mi poggia ilpalmo della mano su una guancia e fa uncenno con il capo a qualcuno dietro di me.

«No, non posso dormire, Jeremy. Cos’èsuccesso? Perché sto così? Potreiriprendermi tra poco… per parlare, sai…potrebbe… e… perché ho una flebo?».

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Il mondo svanisce.

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Mi sveglio e sento che i miei occhi siadattano al ritorno della vista; sorrido. Michiedo di sfuggita dove mi trovo, e la miamente confusa impiega qualche istante adaccorgersi che Jeremy mi sta fissando consguardo ansioso dalla poltronanell’angolo della stanza. In un attimo èaccanto a me.

«Controllo i parametri», mi dice primache riesca a pronunciare una parola.«Come ti senti?». La luce mi ferisce gliocchi. Cerco di scostare la testa, ma nonserve a nulla.

«Confusa, ma meglio di prima, penso».Mi accorgo che ho ancora l’ago dellaflebo nella mano. «Questo è proprio

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necessario?». Ho la voce rauca.«Te lo saprò dire nel giro di un’ora.

Prima dobbiamo fare qualche altrocontrollo». Gonfia la fascia che ho albraccio e si concentra sulla mia pressionesanguigna; sento una piccola fitta didolore.

«Insomma, niente conferenze per oggi?»«No!». Interpreta la parte del dettore

con l’aria angosciata. Ho la sensazioneche non sia il momento giusto perdomandare “Perché diavolo no?”.

È sempre stato quasi impossibiledistrarre Jeremy mentre è concentrato,quindi non ci provo nemmeno. Ha lafronte corrugata, mi esamina con grandeserietà.

Solleva il lenzuolo e per la prima voltami accorgo di avere un tubo tra le gambe.

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«Oddio, ti prego, no!», grido incredula.«Cosa? Ah, è solo il catetere», dice con

noncuranza e mi ricopre le gambe in modoche non possa vedere. «Te lo toglieròinsieme alla flebo», continua pragmatico.All’improvviso vorrei che la flebo miportasse via, lontano, nell’incoscienza.

«Bene. Non alla grande, ma nemmenotroppo male», dice a se stesso quanto ame. «Hai sete?»

«Mmh». Mi accorgo di avere la boccasecca e annuisco.

«Infermiera!».Infermiera? Potrebbe essere più

imbarazzante di così? Sul serio, potrebbe?Jeremy mi aiuta lentamente a tirarmi su

e mi porta l’acqua alle labbra con taledelicatezza che sembra abbia paura dispezzarmi. Gli assicuro che non ne ho

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alcuna intenzione.«Detto con franchezza, sarò io a

stabilirlo». Ottimo, sempre in modalitàdottore. Decido che è meglio nonribattere, e “detto con franchezza” non hola forza di discutere con lui, così faccioun respiro profondo.

«Jeremy, non mi piacciono tutti questitubi. Sai che non sopporto le situazioni daospedale».

«Lo so, tesoro, resisti ancora unpochino. Ho bisogno di sapere che seiabbastanza idratata e manca un solo testper finire, quindi è solo per precauzione.Non posso rischiare, dato che si tratta dite».

Le sue parole mi fanno girare la testa.«Test? Rischiare? Potrei svenire dinuovo?». Mi domando se il mio modo di

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parlare rispecchi la confusione dei mieipensieri.

«Non devi preoccuparti di nulla. Miprenderò cura di te in tutto e per tutto, telo giuro».

«Jeremy, mi stai facendo paura, e poimi tratti come una bambina. Di cheparli?».

Si china su di me e mi dà un leggerobacio sulle labbra.

«Sei stata meravigliosa, perfetta. Ilrisultato del nostro esperimento, la tuaconnettività neurale… be’, diciamosoltanto che si è aperta una nuova stradanella ricerca per quanto riguarda ilsistema limbico». Fa scorrere le dita tra imiei seni e con dolcezza traccia uncerchio intorno all’ombelico, in unmovimento lento. Prosegue più in basso e

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scivola con delicatezza tra le gambe, inmodo da non toccare il tubo, e mimassaggia le parti intime con un toccoleggero, magico.

Le sue dita, le sue parole, risveglianoun fremito nel profondo di me. Il piacere èintenso mentre lui si avvicina più deciso,avanza in ondate implacabili mentre lamia mente cerca di restare cosciente e iomi abbandono a tremiti deliziosi che sidiffondono per tutto il corpo.

È come se avesse un telecomando cheopera direttamente sul mio clitoride. Noncapisco perché reagisco in modo tantoimmediato al suo tocco. Mi distrae deltutto e non gli chiedo più cosa succede. Laflebo, il catetere, l’infermiera… sonointorno a me, ma non significano piùniente.

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Torno alla realtà non appena stacca lemani da me e passa all’infermiera unpiccolo campione di qualcosa; leisparisce subito dalla stanza.All’improvviso è come se volessiarrendermi. Non voglio più combattere;Jeremy può fare quello che vuole. Ilsollievo della resa quasi mi travolge.Cerco di distogliere lo sguardo dal suo,così intenso, e alla fine chiudo gli occhi,mentre sento grosse lacrime caldescorrermi lungo le guance.

«Sei emotiva, Alex, mi dispiace. Haisopportato molto. Troppo, per certiaspetti. Ne stai pagando il prezzo. Tiassicuro che ti spiegherò ogni cosa, è untuo diritto. Hai solo bisogno di un po’ diriposo. Lascia che mi prenda cura di te».

Non riesco a dire nulla. Chiudo gli

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occhi, abbandonandomi di nuovoall’oscurità contro cui lottavo soloqualche ora fa, mentre le lacrimecontinuano a scorrere silenziose. Sento gliocchi di Jeremy che mi sondano, perscoprire i punti deboli nascosti sotto lasuperficie del mio corpo e della miamente. Non ho alcun posto dove andare,nessuno strato sotto cui nascondermi e soche non voglio mai più nascondermi dalui. Amo l’idea che quest’uomo possaconoscere intimamente tutti i miei piùsegreti recessi, ancora di più perché sonocosì grezzi, così esposti. Voglio che luipossa esplorarmi, sperimentare con mesecondo i suoi desideri, quando vuole.Non mi sono mai sentita così potenteeppure così bisognosa di sentire il suopotere che mi sovrasta. Sono così

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orgogliosa che, per un motivo o perl’altro, abbia scelto di portare proprio mein questo viaggio, mentre sono distesa quinuda, completamente scoperta accanto alui.

Jeremy mi passa le braccia intorno allespalle, evitando con attenzione la flebo, emi culla tenendomi stretta al suo petto.Non vorrei essere da nessun’altra parte,ma solo tra le sue braccia. Mi sento comeuna bambina piccola e bisognosa d’affettomentre mi tiene così. Sono paralizzata,mentre le lacrime continuano a scorrere.Lui me le asciuga teneramente,baciandomi le palpebre con dolcezza, finoa placarle.

All’improvviso mi sento più stanca chemai, più che se avessi avuto un partolunghissimo. Non avrei mai pensato che

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vedere i suoi occhi, il suo viso, miavrebbe provocato una simile reazioneemotiva. Ha detto che volevadischiudermi come i petali di un bocciolodi rosa, fare in modo che sperimentassiqualcosa di mai provato prima, e hamantenuto la promessa. Ha visto parti dime – fisiche ed emotive – che forse iostessa non avevo mai conosciuto. Nonresta più nulla, nessun desiderio dicontrastarlo, nessun bisogno di cercarealtra comprensione, nessuna paura. So ecapisco che, anche se mi ha spinta oltrelimiti che mi ero imposta, ci sarà semprelui a proteggermi, con tutto il cuore. Èsempre stato così, e così sempre sarà. Miabbandono completamente a lui. Perchénelle profondità della mia psiche so chequalsiasi cosa sia successa o succederà,

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tutto questo ormai è fuori dal miocontrollo; e per qualche strano motivo taleconsapevolezza mi dà un immenso sensodi libertà, proprio come mi avevapredetto lui.

Non so dire quante volte mi assopisco emi sveglio, né quanto tempo trascorro inquesto stato. Ho un vago ricordo diJeremy che entra ed esce dalla stanza, micontrolla e ricontrolla. Non ricordo ilmomento in cui mi vengono tolti flebo ecatetere, e ne sono felice. Non so se siagiorno o notte, meno che mai ho idea diche ore possano essere. Sento ancoraaddosso una fatica incredibile, ma a ognirisveglio mi si schiariscono di più le idee,ed è un gran sollievo.

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Apro gli occhi e gli sorrido: è distesoaccanto a me.

«Sei sveglia, bentornata!», mi dicericambiando il sorriso. «Tesoro, devofarti girare per prendermi cura del tuosplendido posteriore». Accende una lucein una stanza altrimenti immersanell’oscurità.

«Oh, ricominci a fare il dottore… no, tiprego», mugolo in segno di protesta.

«Resta ferma. Potresti essere ancora unpo’ infiammata, ma guarirà in un lampo».

«Ho scelta?», rispondo, sollevando unsopracciglio.

«Assolutamente no. Sono molto feliceche alla fine tu abbia capito».

Non ci sono infiammazioni, ma solo unpo’ di indolenzimento, e non posso fare ameno di pensare che stia un po’

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esagerando. Mentre sono sdraiata e lui sioccupa del mio fondoschiena, sento ungorgoglio provenire dallo stomaco. Miaccorgo di avere una fame terribile, ed èsenza dubbio un buon segno.

«Aspetta ancora un attimo. Devo fareun ultimo prelievo di sangue e poi potraimangiare».

«Ultimo? Quanti ne hai fatti?»«Questo sarà il quarto».Allunga una mano verso l’attrezzatura e

fa dei preparativi, poi mi fascia il braccioe con un dito cerca la vena. Quasi nonsento la puntura leggera, ma distolgo losguardo mentre lui continua a parlare.«Sai che hai un gruppo sanguignospeciale, Alexa? AB è il sangue piùcomplesso dal punto di vista biologico.Ha meno di cento anni ed è più o meno un

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mistero evolutivo. Solo il tre per centocirca della popolazione ha il gruppo AB, ilche ti rende incredibilmente unica, maquesto di te lo sapevo già», aggiungestrizzandomi l’occhio. «Poco tempo fa hoassistito a una lezione sulle suecaratteristiche, che interessano sia mediciche scienziati, data la sua natura articolatae spiazzante. È un vero enigma».

Sembra molto concentrato.«Mmm, che fortuna, il mio gruppo

sanguigno è un enigma e ha le mie stesseiniziali: che coincidenza!». Per fortuna mitoglie l’ago prima che mi agiti troppo, e ilsuo monologo mi ha distratta a sufficienzada quel che faceva. Mi appoggia subito unbatuffolo di cotone sul foro e mi fascia ilbraccio. Scuoto la testa, sconfitta.«Insomma, stai imbottigliando il mio

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sangue per la sua unicità?», gli chiedoquando mi accorgo di quante fiale hariempito. Non c’è da stupirsi se misentivo debole. L’infermiera porta via lefialette con grande efficienza e lascia lastanza.

«Alcune delle ricerche che abbiamocondotto Ed e io riguardavano la “novità”del gruppo AB nella specie umana e le suecaratteristiche specifiche, e abbiamosviluppato alcune ipotesi interessanti. Iltuo apporto in questo esperimento ci hapermesso di trovare conferma del fattoche il sangue AB offre risultati affascinantinelle donne anglosassoni – e dunque nellesocietà in cui la depressione ha unadiffusione endemica; tali risultati sonoancor più marcati se il soggetto ha portatoa termine una gravidanza ed è in pre-

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menopausa, come te. È per questo chedobbiamo tenere sotto controllo i tuoilivelli ormonali e metterli in relazione coni fluidi secreti durante i tuoi orgasmi».

Proprio quando pensavo che nonpotesse più stupirmi, ecco che lo fa dinuovo. È fantascienza o realtà?

«È quello che hai dato all’infermiera,prima?»

«Esatto. I risultati che abbiamo ottenutoin questo weekend sono stati decisivi, piùdi quanto ci aspettassimo: siamo solo a unpasso dal completare la formula checerchiamo. Abbiamo analizzato il rilasciodi ormoni nel flusso sanguigno el’abbiamo comparato con le secrezionidelle tue ghiandole di Skene durantel’orgasmo. Abbiamo così trovatoconferma di una produzione spontanea di

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serotonina che stimola il sistema nervoso.È molto più di quanto ci aspettassimo.Ora che possiamo continuare a monitorarei tuoi livelli ormonali e l’attività sessualenel suo svolgimento, possiamo testare econcludere la formula che finora nonriuscivamo a mettere a punto».

Si tratta di una scoperta affascinante,ma al tempo stesso inquietante, dato il miocoinvolgimento in prima persona.Nessuno porta avanti ricercheall’avanguardia quanto Jeremy! Miconcede un momento per assimilare le sueparole, e dopo un po’ capisco.

«Ho fatto avverare il tuo desiderio piùgrande, Jeremy. Sono ufficialmente la tuacavia umana». Non so perché questopensiero continui a sconvolgermi, dopotanti anni. A pensarci bene era così

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evidente.«Tesoro, sai che sei molto di più».«Dal giorno in cui ci siamo conosciuti

sono diventata il tuo esperimentovivente… esami del sangue, iniezioni,fasciature e gessi. Che cosa è cambiato?Niente. Continui a fare sempre le stessecose, solo che adesso siamo più grandi,abbiamo più responsabilità ed è evidenteche tu hai anche molti più soldi, potere, ela possibilità di accedere a risorseenormi, rispetto ai tempi dell’università.E questo ha alzato la posta sui rischi chesei disposto a correre e che io stessa stodecidendo se correre o meno, santo cielo.Ma io sono una madre, Jeremy!». È stranoche abbia avuto questa illuminazione cosìall’improvviso.

«Oh, andiamo, Alex, ti piace, ti è

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sempre piaciuto». Si rannicchia accanto ame con quegli occhioni da cagnolino, mibacia e mi coccola. Cerco di spingerlovia, ma senza muovere il braccio per nonrischiare di sanguinare sulle lenzuolabianche. «E poi da quando in qua il fattodi essere madre ti impedisce di vivere lasessualità?».

Jeremy e le sue domande spiazzanti:come diavolo devo rispondergli? Cercodi formulare una frase pungente, ma il miostomaco lancia un grido di battaglia. Lascusa perfetta per cambiare argomento.

«Sarei pronta a spazzolare unhamburger intero e un bel piatto dipatatine. Potresti farli apparire permagia?»

«Sono sicuro che potrei organizzarlo,però ti aspetta un’ottima zuppa di verdure

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fresche. È quasi pronta».«Forse non ci stiamo capendo. Ho

bisogno di grassi saturi, dico sul serio».Comincia a mettere via l’attrezzatura

medica. «Comunque il fatto che ti siatornato l’appetito è un ottimo segno. Èpassato un po’ di tempo».

«Jeremy, non è giusto, dopo tutto quelche mi hai fatto».

Con gli occhi cerco un telefono ma nonne vedo, così provo a scivolare verso ilbordo del letto. Ma lui mi riporta al mioposto trascinandomi per le caviglie.

«Non ci pensare nemmeno, AB, devirestare qui. Dico sul serio: non voglio chetu scenda dal letto. Se ti muovi, giuro cheti lego». Mi accorgo di avere ancora lecinghie ai polsi e alle caviglie: quindi èuna minaccia attuabile, proprio come

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prima.«Non mi verrai a dire che hai il diritto

di legarmi al letto?».Mi scocca uno sguardo che mi ricorda

quei film sugli psicotici nei quali lopsichiatra pazzo riesce a imprigionarepazienti innocenti, il tutto teoricamenteper il loro bene. Dio, non può essere così,giusto? Davvero diamo ai medici tantopotere? Mi sorride per farmi capire chesta scherzando, almeno su quest’ultimopunto.

«Okay, starò ferma, ma quando mitoglierai queste?»

«Dopo che avrai mangiato tutta lazuppa».

«Non sono una bambina, Jeremy!».«Ti assicuro che lo so benissimo,

Alexandra. Il tuo corpo ha bisogno di

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alimenti sani per guarire del tutto».Obbediente, mangio tutta la zuppa che

insiste per farmi mandare giù, finoall’ultima goccia.

«Allora?», chiedo quando ho finito.«Vedrò cosa posso fare».

* * *

Sono felice, appagata, e ho le idee piùchiare rispetto a quando sono arrivata,venerdì pomeriggio. Appoggio la testa sulpetto di Jeremy. Anche lui sembra piùtranquillo, più a suo agio di prima.D’istinto mi accarezza i capelli e il viso.Ha sempre dato enorme importanza altatto, e adoro questa sua caratteristica.

«Sono così felice di non aver dovutoparlare davanti alla commissione. Non cisarei mai riuscita».

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«Mmh… Devo ammettere che hai moltimotivi per essermi riconoscente»,scherza. «Alex, mi hai fatto preoccuparein certi momenti, sul serio. Ti ci vorrà unpo’ più di qualche giorno per riprenderti,quindi non ti lascerò andar via fino allafine della settimana».

«Sai che non posso restare qui, anchese tenermi prigioniera sembra renderticosì felice. Ho anche altri impegni, oltre ituoi progetti».

«Tesoro, non hai impegni per questasettimana, se non farti coccolare da me. Esai bene quanto prendo sul serio il miolavoro».

Sollevo la testa e lo guardo negli occhi,sperando di riuscire a decifrare le sueparole e capire quanto sono sincere. «Nonstai scherzando».

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«Per niente. Sei la mia unica e solaresponsabilità fin quando non tiriaccompagnerò all’aereo che ti riporteràa Hobart».

«Ma non puoi! Non c’entri nulla con lemie conferenze. Passi la storia dellacommissione, ma ci sono altre…».

«E invece c’entro, eccome. Sarai miaper il resto della settimana. Punto.Prometto che non mi intrometterò nel tuolavoro in nessun modo, maniera o forma,anche se d’altra parte ormai in un certosenso lavori per me, comunque». Sembramolto compiaciuto mentre lo dice.«L’intero evento è stato organizzato congrande cura su innumerevoli livelli, confinanziamenti illimitati. Capisci cosa stocercando di dirti? Il nostro incontro divenerdì non è stato casuale, Alex. È stato

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pianificato per mesi. Abbiamosovvenzionato la caccia alla tigre dellaTasmania per i tuoi figli quando rischiavadi essere annullata e abbiamosponsorizzato le tue ultime ricerche e ilfinto ciclo di conferenze di questasettimana».

Comincio a capire che questo finesettimana è stato molto più di quanto mifosse sembrato all’inizio. Sono una pedinanel grande gioco della vita di Jeremy.

«Ma perché?»«Il mio mondo non è completo, senza di

te». Quelle parole mi colpiscono dritta alcuore, come una freccia di Cupido, e milasciano senza fiato. «Ecco, penso chequeste possiamo toglierle. Hanno fatto illoro lavoro». Solleva una specie dibastoncino magnetico dal comodino e lo

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fa scivolare lentamente lungo la chiusuradelle cinghie di pelle, aprendole. Eccoperché non potevo togliermele. Devoavere un’espressione sconvolta, perché midà altre spiegazioni. «Erano chiuse con unmagnete: occorre questo strumento perrimuoverle. Avevano anche lo scopo dimonitorare le tue pulsazioni». Adesso èdavvero compiaciuto.

«Una tua invenzione?», chiedo.«Purtroppo no, ma come sai lavoro con

menti elette». Che speranze ho mai avuto?L’assenza delle cinghie a polsi e cavigliemi dà uno strano senso di mancanza, comese avessi perso qualcosa di importante.

«Sono molto felice che cominci asentirti meglio, ma è fondamentale cheadesso resti a letto e ti riposi. Avremotutto il tempo per parlare». Anche se il

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tono è gentile, lo sento risoluto einflessibile. Jeremy si assicura che siacomoda sotto la trapunta, mi dà un baciosulla fronte ed esce dalla stanza, di nuovobuia, chiudendo la porta. Mi addormentoin pochi minuti.

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Paarte settimaa

I nostri occhi non riescono avedere ciò che ci guarda dritto in

faccia, fin quando arriva l’ora in cuila mente è pronta; è allora che

vediamo, e quando succede non ècome un sogno.

Ralph Waldo Emerson

Jeremy non è con me quando riapro gliocchi, ma con mio grande sollievo notoche la porta della stanza è aperta. Misembra che non ci siano i miei vestiti,

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così prendo il lenzuolo e me lo avvolgointorno al corpo. La luce che filtra dallaporta mi acceca per un attimo, cosìaspetto di abituarmi al chiarore che mi èstato negato per qualche tempo.Attraversare la soglia mi fa sentireimprovvisamente a disagio, come se stessivarcando il confine di un altro mondo. Miaccorgo che non è una seconda stanzadell’albergo. Per qualche motivo avevopensato che fossimo tornati all’HotelIntercontinental e che Jeremy avesse avutol’accortezza di attrezzare come unospedale una stanza diversa dalla suiteprincipale.

Sorpresa dalla scoperta, d’istinto mistringo il lenzuolo addosso e faccio unpasso esitante in quell’ambientesconosciuto.

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«Oh, sei sveglia. Ho appena fatto del tèverde».

Mi guarda e subito appoggia le tazzesul bancone. Il mio sguardo restasconvolto nonostante gli occhiali da soleche Jeremy afferra e mi mette sul naso inun lampo, forse per non espormiall’intensità della luce che mi circonda.Lo fisso, completamente senza parole,mentre avanzo in quello spazio immenso,con il lenzuolo che scivola sul pavimentodietro di me.

I colori investono i miei occhi e sonosopraffatta dall’azzurro del cielo senzanuvole, dal verde dell’immensa forestarigogliosa e dalla più totale assenza diogni traccia di civiltà. Le altezzeincredibili delle montagne creano unosfondo impressionante per le acque

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limpidissime che scintillano oltre lasabbia di un bianco luminoso. Passoqualche istante a sbattere le palpebre eabbracciare il panorama, prima diproseguire nella mia esplorazionesilenziosa, incapace di parlare. I mieiocchi scorrono su un ponte enorme e siposano su una vasca termale che sembraracchiusa nell’orizzonte. C’è una cucinagrande e moderna che si apre su unsalotto-sala da pranzo quasi formale,completo di camino ultramoderno sospesoal centro della stanza e circondato dalsalone più gigantesco che abbia mai visto.Le mie gambe incerte mi consentono diavanzare zigzagando nella stanzasopraelevata, mentre cerco dicomprendere questo ambiente enorme,impossibile.

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Come? Quando? Dove?Tutto mi sembra di forma circolare: è

uno spettacolo unico. Jeremy restaimmobile e mi lascia continuarel’esplorazione. Proseguo lungo uncorridoio e apro una porta doppia checonduce a quella che evidentemente è lacamera da letto principale. Anche questa èrotonda, racchiusa da pannelli di vetro, esi estende sotto l’intreccio della foresta. Èuna casa sull’albero, ma sfarzosa esofisticata. Al centro della stanza c’è unletto enorme, anch’esso circolare, il cuibordo ha un’imbottitura che deve esserestata fatta su misura e decorata conpreziosi fili d’oro.

L’arredamento e i colori della stanza siarmonizzano alla perfezione conl’ambiente circostante; l’unico contrasto

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deciso è la presenza di un immenso mazzodi rose rosse, quasi tutte in piena fioritura.Proprio come mi aveva promesso Jeremy.La loro bellezza mi toglie il fiato. Sentosalire le lacrime agli occhi mentre ilcuore mi si gonfia d’emozione di fronteall’enormità di quanto ho scopertoinsieme a lui. Devo dire che non ho maiprovato nulla del genere in tutta la miavita. Mi muovo in silenzio, esaminandotutto da ogni punto di vista. Cerco dinuovo un segno del passaggio dell’uomo.Niente. Siamo solo noi e la natura. Labellezza che mi circonda rischia disopraffarmi; non posso fare a meno dichiedermi… Dove potremmo mai essere?

Mi gira un po’ la testa: ormai sono inpiedi da diversi minuti. Mi siedo sulbordo di una poltrona color sabbia

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talmente morbida da sembrare unmarshmallow, spiazzata da questo luogoinimmaginabile. Jeremy entra nella stanzacon un sorriso stampato in volto, siavvicina e mi abbraccia da dietro.

«Vedi, ho detto che saresti stata mia pertutta la settimana».

Ci metto un po’ per far uscire le parole.«Jeremy, dove siamo?»

«Ad Avalon. Dove nessuno cidisturberà e io potrò prendermi cura di tein modo assoluto».

«Ma dov’è Avalon?»«Purtroppo questo non posso dirtelo,

ma come puoi vedere non andrai danessuna parte finché non ti sarai ristabilitadel tutto».

Non so cosa dire e non capisco comemi sento. Se penso a quando mi ha preso

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il telefono, facendomi sentire scollegatadal mondo… è stato niente in confronto aquesto!

Ora che sto meglio, Jeremy suggeriscedi trasferirci in questa stanza e siallontana per organizzare lo spostamento.Molto perplessa, mi lascio ricadere alcentro di questo strano letto rotondo,sentendomi ancora una volta sopraffattadalla situazione surreale in cui sono finita.Quando torna, Jeremy è a torso nudo conun asciugamano avvolto morbidamenteintorno ai fianchi. Un segnale moltoincoraggiante, mi dico mentre mi sorride emi accarezza il viso. Mi basta unosguardo al suo torace muscoloso percominciare a pregare che non sia unsogno.

«Perché non lasci il lenzuolo, prendi

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questo e vieni con me nella vascacalda?». Mi porge un asciugamano e melo avvolgo intorno al corpo, fermandolosotto le braccia. Jeremy mi prende inbraccio e attraversiamo il salone, usciamodalle imponenti porte di vetro e ciritroviamo in terrazza.

Questo posto è incredibile. Penso diessere sotto shock: non faccio che fissarerapita il panorama mozzafiato. Jeremy mitoglie di dosso l’asciugamano e lasciacadere a terra il suo, e i nostri corpi nudisi immergono insieme nell’acqua tutta pernoi. Emana un calore magnifico, anche sesento un leggero bruciore alle natichequando toccano la superficie. Sussulto.Lui se ne accorge subito.

«Provi dolore? Mi sento malissimoall’idea che tu soffra. Se vuoi posso darti

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qualcosa».«No, no, va bene così. È tutto a posto,

non mi servono medicine, davvero». Milascio sommergere completamentedall’acqua. «Solo che è sconvolgente,perché ancora non sono riuscita acomprendere tutto ciò che è successo,eppure l’intensità di quel che ho provatomi invade di nuovo, nel corpo… ed è cosìstrano».

Faccio dei respiri profondi e chiudo gliocchi mentre i pensieri e le sensazionifluiscono nella mia mente, ma sono troppi,e troppo veloci. Riapro subito le palpebreper interrompere il flusso. Mi chiedo sesia così a causa della mia cecità durantel’esperienza.

«Perché, Jeremy? Perché hai sceltoproprio me? È stato solo per il gruppo

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sanguigno e il mio profilo come donna?».Lo guardo dritto negli occhi: vorreiscrutare fin dentro la sua anima, ma poidistolgo lo sguardo prima di perdermi inquegli abissi. Lui resta in silenzio perqualche momento, accarezzandomi conincredibile delicatezza e attenzione, comese fossi di cristallo.

«Non sarebbe potuto essere nessunaltro». Poche parole, ma dense disignificato. Cerco di interpretarnel’intensità.

«Ma le frustate… o quello cheerano…?». Faccio fatica ad articolare leparole e a pronunciarle a voce alta,eppure il solo pensiero smuove qualcosanelle profondità della carne e un calore miinvade dall’interno. Dio, che speranze hose il solo ricordo mi provoca questa

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reazione?«Sei stata sensazionale, ho dovuto fare

appello a tutta la mia forza di volontà pernon prenderti lì, davanti a tutti».

«Non ho mai avuto tanta paura in vitamia, Jeremy. Non avevo idea di cosastesse succedendo, di cosa stesse peraccadere, poi… non posso credere che losto dicendo, ma tutta l’esperienza è stataletteralmente incredibile. Perfino quandovenivo punita per le domande fatte. Macosa significava?»

«Era importante che tu avessi lacertezza che le conseguenze erano reali etangibili, in modo che il terrore fosseautentico e rilasciasse gli ormonicorrispondenti, senza però arrivare a unasituazione estrema».

«Se quella non era estrema… non ho

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mai provato emozioni più potenti,imprevedibili, sentimenti piùincredibili…». Sento la pressionesanguigna aumentare e un’energia grezzache mi pulsa nelle vene.

«Ho dovuto forzare i tuoi confini,questo lo sai già. Sapevo che potevifarcela, e sapevo che in fondo lodesideravi più di quanto fossi disposta acredere. Quindi dimmi, è valsa la pena diprovare dolore in cambio del piacere?».

Anche stavolta le sue parole innescanoondate dentro di me. Sono le sensazionipiù strane che abbia mai provato.Somigliano a un interruttore che fa svanireall’istante rimorsi, rabbia, dolore. Unflusso di onde avvolgenti, calde,orgasmiche mi attraversa, accendendomidi pura sensualità.

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«Oh… Alex, è incredibile, sul serio. Larisposta è più che evidente».

Mi trasporta con sé nell’acquatenendomi tra le gambe. È inutile cercaredi discutere con lui, fingere che tuttoquesto non stia succedendo, così chiudogli occhi e mi lascio trascinare dal ritmoche mi fa ondeggiare i lombi.

«A ogni colpo che ricevevi diventavisempre più umida, morbida, avida. Eracome se il tuo corpo non desiderassealtro. Tesoro, grondavi di desiderio. Io tiho esaminata, monitorata, facendo inmodo che restassi fisicamente integra pertutto il tempo. I dati che abbiamo raccoltodalla prospettiva del piacere e della paurahanno dimostrato di avere unacorrelazione maggiore di quanto ciaspettassimo…». La reazione del mio

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corpo lo distrae. La sensazione delricordo è immediata e vivida. Quelle ditache sondavano dentro di me, mentre ionon sapevo quando sarebbero tornate oper quanto tempo, e mi ritrovavo asperare che non se ne andassero mai.

«Dio, Alex, è pazzesco: posso dire diavvertire la tua reazione mentre neparliamo. Non vedo l’ora di mostrarti irisultati nel dettaglio; si sono apertiorizzonti inattesi. Averti da entrambi i latidel processo di sperimentazione è stato unvero colpo di genio, e sono così ammiratodal modo in cui ti sei abbandonata. Homolto di cui ringraziarti. So che non èstato facile prendere una decisione delgenere».

Significa molto per me sentirgliriconoscere apertamente questa verità.

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«Devo ancora smaltirlo. Non avevoidea che sarei stata così coinvolta».

«Sono felice che tu stia finalmentecominciando a conoscere la donna cheamo». Come faceva a sapere tutte questecose di me, prima di me? «Proprio mentreparliamo, stanno stilando una lettera concui sarai invitata a diventare un membroesclusivo del team che si occupa delnucleo della nostra ricerca, e questograzie alle tue capacità e alla tuaesperienza. La tua collaborazione èessenziale per il successo, adesso più chemai, dato che stiamo per passare alla fasesuccessiva».

Non so cosa rispondere. Ho accettatodi essere coinvolta nella ricerca e dipartecipare in modo attivo allasperimentazione. Ho vissuto ciò che non

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avrei creduto possibile e ne sono uscitaindenne, anche se non mi ero mai sentitacosì degradata e appagata al tempo stesso.Come avviene tutto ciò nella nostramente? Come ho potuto provare unpiacere così puro, incontaminato, incircostanze tanto estreme?

Sono ben più che sopravvissuta: mi èpiaciuto. Lo rifarei? Nella giustasituazione, senza dubbio. Voglioconoscere le risposte a tutte questedomande? Ora più che mai! Jeremy mimassaggia le spalle come a volercancellare ogni preoccupazione e io milascio confortare da quei momenti disilenzio tra noi. Alla fine mi solleva, conuna delicatezza senza pari, mi fa usciredalla vasca e mi asciuga con grande cura;poi ci distendiamo sulle poltrone,

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godendo del calore del sole sulla pelle.«Avresti mai creduto che il tuo corpo

fosse in grado di provare ciò che haprovato in quelle quarantotto ore? Te losaresti mai sognato?». Il ricordo dieuforici orgasmi multipli è ancorapalpabile e Jeremy mi abbraccia, mentreil piacere torna a invadermi e minaccia diannientarmi di nuovo. Per fortuna sono giàsdraiata. È impossibile provare altro cheuna soddisfazione pari alla sua quando ilmio corpo viene invaso da quelle ondatedi godimento che tornano insieme con lamemoria. «Descrivimi cosa ti stasuccedendo».

Quando riesco di nuovo a respirare conregolarità, cerco di spiegargli quellastrana sensazione. «I ricordi sono cosìforti e intensi da sopraffarmi anche dal

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punto di vista fisico. Mentre tu parli, ilmio corpo reagisce all’istante». Jeremyresta in silenzio, aspetta paziente checontinui. Mi dico che probabilmente sagià tutto comunque, quindi decido diandare avanti. «Ho avuto questaincredibile fantasia che è… molto reale,per così dire. Davvero incredibile. C’èstato un momento, un momento diun’intensità impressionante, in cui erocome in estasi, e mi sembrava di sentirelingue dappertutto… non riuscivo adistinguerle…». Mi vergogno a dirlo avoce alta, nonostante tutto ciò cheabbiamo passato insieme. «Eranoovunque, mi penetravano, sondavano lemie parti più intime. Non so bene comedescriverlo, era così potente, intenso…».Lo guardo nervosa mentre lui studia il mio

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viso e analizza ogni mia parola. «Non neho memoria, ho impresse solo la forza e laconcentrazione delle sensazioni. Sovrastail mio pensiero cosciente. Non so comefaccia un ricordo a innescare una rispostadel genere, Jeremy. È davvero possibile?E se non lo è, cosa mi sta succedendo?».Lo guardo in cerca di risposte. Lui resta insilenzio per un momento.

«Non è stata una fantasia, Alexa. Eratutto molto reale». Un’eccitazioneprimordiale mi fa inarcare la schiena nelsentirlo dire. Avvampo dalla testa aipiedi, in profondità, e il basso ventrecomincia a pulsare. «Dal momento cheabbiamo escluso tutti gli altri sensi, ti èrimasto solo il tatto, finché non ti abbiamoridato l’udito. I tuoi processi cognitivistanno collegando l’intensità dei tuoi

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sentimenti con il tuo essere fisico. In altreparole si sono legati dal punto di vistaneurologico, ed è per questo che corpo emente reagiscono con tanta forza a precisiricordi o a ciò che fa emergere i ricordi.Ed è esattamente ciò che speravamo, adire il vero, anzi, molto di più. È questa laparte critica della nostra ricerca, iterritori inesplorati, per così dire. Con letue competenze nel campo dellapsicologia, unite all’esperienza che haiprovato sulla tua pelle, finiremo perscoprire sulla sessualità femminile più diquanto sia mai stato fatto prima, e menoche mai pubblicato».

Sono stupefatta; la conversazione conSamuel e i suoi eccellenti ricercatori siriaffaccia alla coscienza. Di certo saràentusiasta dei risultati. Ma all’improvviso

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un pensiero mi angoscia.«Jeremy, Sam non era presente, vero?»«No, Alex, non c’era. Non ti avrei mai

fatto una cosa del genere. C’erano solo unpaio di miei colleghi e alcune persone checi servivano per realizzare la tua “fantasiareale”».

«Grazie a Dio». È un sollievo. Il miosedere sopporta di essere messo in mostrasolo in forma anonima.

«Però gli ho inviato i risultati e nonvedo l’ora di discuterli con lui. Se tutto vacome deve, riusciremo a sintetizzare unamedicina per la depressione che ilmercato non ha mai visto prima, privadegli effetti collaterali a volte terrificantidi ciò che è in commercio al momento, eotterremo un successo immenso dandoaffidabilità al paziente».

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«Sul serio ci siete arrivati così vicinigrazie a quello che ho fatto io?»

«Sei fondamentale, amore mio. Il cuorepulsante di ciò che speriamo di ottenere».

«Non riesco a credere che dopo tuttiquesti anni lavoreremo insieme. Chil’avrebbe mai immaginato? Dimmi, qual èesattamente il tipo di ruolo che vorrestiaffidarmi in futuro?»

«Te lo spiegherò più tardi, dottoressaBlake. Prima dovrai firmare una quantitàdi documenti».

* * *

Quando scende la sera, Jeremy accendeun fuoco nel caminetto sospeso e mi fadistendere sul divano. Mentre prepara lacena, pretende che io non faccia nulla.Assolutamente nulla. Con mia grande

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sorpresa e gioia, mi porta un bicchiere diPuoilly Fumé, il mio vino francesepreferito, a temperatura perfetta. Sonoancora impressionata dall’ambientecircostante, e posso solo immaginare checi troviamo da qualche partenell’emisfero australe, a giudicare dallestelle che stanno sorgendo. Non so comesono arrivata qui, non so che giorno è néche ore siano, Jeremy non ha maimenzionato il mio telefono o la sua attualecollocazione e io non mi sono presa labriga di chiedere. Ho l’impressione che ildottor Quinn riterrebbe irrilevanti lerisposte alle mie tante domande, così lelascio scivolare via insieme al giorno chemuore in fretta.

Dopo una cena deliziosa a base disalmone grigliato e verdure asiatiche, ci

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andiamo a rannicchiare insieme suldivano alla luce del fuoco e cidedichiamo a quella che sta diventandoun’abitudine in questi giorni: parlare.

Dopo quella faccenda del divieto difare domande, sono ancora titubante, maprovo comunque.

«Posso chiederti una cosa?»«Certo». È un sollievo sapere che non è

più un problema.«Cosa sarebbe successo se avessi

risposto di no venerdì sera?»«No all’idea di restare o alla cecità?»«Entrambe, credo».«Ti avrei convinta. Ci riesco sempre».«Perché non sono mai capace di dirti di

no, Jeremy?»«Vorresti?»«A dire il vero non ne sono sicura… è

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strano. Una parte di me lo desidera,un’altra no. Non riesco a non pensare almio matrimonio, quindi non credo chesarò a mio agio quando tornerò alla miasolita routine, eppure sono anni cheRobert e io non stiamo più insieme da unpunto di vista sessuale».

«Davvero? Com’è possibile? Io faticoa tenere a bada le mani per qualcheora…». Mentre lo dice, mi accarezza unagamba, risalendo fino alla coscia.

«Non lo so… ma dopo quel che èsuccesso qui non so se potrò tornare allamia vita asessuata. Prima non è mai statoun problema, ma adesso… be’, diciamoche mi sento come un vulcano inattivorisvegliato da una potente attivitàsismica».

«Mi stai definendo sismico, dottoressa

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Blake?». Si sposta tra le mie gambe.«Molto di più, dottor Quinn. Sul serio,

tu cosa pensi?». Gli impedisco dimuoversi oltre.

«Quando siamo insieme mi sembrasempre tutto perfetto, Alex,indipendentemente dalla situazione in cuici troviamo, e adesso questa sensazione èpiù forte che mai».

«Davvero? Ti prego, non dirmi che lanostra presenza qui è solo in nome dellaricerca».

«No, non esattamente». Lo guardoperplessa e aspetto che mi spieghi meglio.«È solo che la nostra relazione ha radicipiù profonde di qualsiasi altra. Va avantida più della metà delle nostre vite. Ècome se fossi fatto per stare con te, comese ci fosse sempre stato un collegamento,

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e avessimo solo bisogno di scoprire ilmodo per ritrovarci. Abbiamo condivisocosì tanto che non potrei mai considerarlosbagliato. È difficile per me sentirmi incolpa perché non mi interessa come la“società” vede la nostra relazione. E dopoquel che mi hai detto di Robert, possodire che sei sprecata con lui, e che io tidesidero da morire. Come ti ho giàspiegato, non potrei immaginare la miavita senza di te, e la situazione attuale è laciliegina sulla torta». Mi stuzzica icapezzoli mentre pronuncia queste ultimeparole, poi aggiunge: «Quando siamoinsieme, è dinamite pura. Sto cominciandoa capire che sono stato uno stupido a startilontano per così tanto tempo. Hai avuto ifigli che avevi sempre desiderato, e unmatrimonio che a quanto pare non è un

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granché. Io ho la mia carriera, che finora èsempre stata fondamentale, ma adesso seitu a essere fondamentale. Ti amo,Alexandra. Ti ho sempre amata e non mela sento di condividerti con un altroancora per molto. È una cosa su cuidovrai riflettere nel prossimo futuro».

Mi ama e non vuole condividermi? Lasua ultima frase sembra un ordine chedovrei eseguire. Sono sconvolta dalla suarisposta così articolata, che per qualchemotivo ha su di me un effetto inatteso.Prima che possa dire qualcosa, Jeremy miprende le mani.

«Lascia che ti chieda io una cosa.Volevi stare con me questo finesettimana? Ci avevi pensato, prima diarrivare in albergo venerdì pomeriggio?».Nervosa, sposto lo sguardo sulle mie mani

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tremanti, poi trovo il coraggio diincontrare i suoi occhi. A lui bastaguardarmi per capire. «Ecco. Per me èstato lo stesso. Hai rimpianti?»

«Questa è una domanda molto difficile,Jeremy».

«Andiamo, tesoro. Hai affrontato dipeggio, durante il weekend, ora non farela timida con me». Insiste per sapere cosapenso, mi blocca le braccia in modo dapoter continuare liberamente a stuzzicarmii capezzoli, che al suo tocco reagisconogonfiandosi e inturgidendosi, poicomincia a massaggiarmi i seni mentre iocontinuo a prendere tempo.

«Forse avrei dovuto indossare unreggiseno, stasera».

«Forse non dovresti indossare proprioun bel niente, stasera». All’improvviso il

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mio vestito scivola a terra accanto a noi.«Ora smettila di cambiare argomento erispondimi».

«Okay, okay, nessun rimpianto. È moltodifficile provarne quando si è sottol’effetto di un potente incantesimo deldottor Quinn…». “Avrei dovuto dire‘quasi impossibile’”, penso mentrecomincio a contorcermi sotto l’effetto delsuo tocco.

«Attività sismica, potenti incantesimi…di che stiamo parlando?», mi chiede confinta innocenza.

Continua a massaggiarmi e intanto ibaci leggeri con cui mi sfiora il collo sifanno più insistenti. Le gambe mi siallargano sotto il suo peso e sento il suodesiderio premermi contro l’inguine.

«È che il mio corpo non perde

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occasione per tradirmi, quando sono conte, a dispetto di qualsiasi ragionamento. Edovrò sbrigarmi a prendere il controllo ditutto questo, soprattutto se dovremolavorare insieme».

«Tesoro, ti prego, promettimi che non èuna priorità nella lista delle cose da fare».Mi mordicchia il lobo di un orecchiomentre mi prende in braccio e mi porta incamera da letto, lanciandomi con dolcezzaal centro del gigantesco letto rotondo.«Non muoverti di un millimetro, tornosubito».

Obbedisco, mentre mi perdo in unturbinio di pensieri lascivi. Grazie alcielo sono già sdraiata. Jeremy torna conun sorriso malizioso in volto, di sicuro hain mente qualcosa. Non c’è tempo per leparole mentre le sue carezze mi esplorano

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ancora, in profondità. Santo cielo, cirisiamo!

«Quando sarà abbastanza?», sospiro.«Con te mai, tesoro, ma puoi sempre

dirmi di no». Il suo sussurro roco nelleorecchie mi manda su di giri, e lui sa beneche per me non c’è scelta.

«Così potrai legarmi e farmi frustarefinché non cambio idea?»

«Mmm, qualcosa del genere…». Ride emi sposta, facendomi divaricare gambe ebraccia, e intanto continua adaccarezzarmi e stuzzicarmi.

«Cerca di stare ferma, voglio provareuna cosa». Sento che mi inseriscequalcosa di freddo nella vagina, nontroppo grande ma nemmeno piccolo; unattimo dopo cominciano le vibrazioni,prima lente, poi gradualmente più intense.

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Non riesco a concentrarmi su nulla, sentosolo gli spasmi che mi attraversano ilcorpo. Sono bagnata di desiderio in unattimo. Il mio corpo risponde all’istante alricordo del calore e delle vibrazioni cheho sentito quando ero legata sullapiattaforma. Le sensazioni arrivano cosìin fretta. Come è possibile?

Jeremy sposta una mano in basso, mi fascivolare il pollice nell’ano e io micontraggo, aspettandomi il riflesso che lorespingerà. Ma con mia grande sorpresa,lo sento entrare con piacere, come sefosse atteso. Santo cielo, che cosa mi hafatto per ottenere un effetto del genere? Faruotare il pollice con dolcezza e trova unparticolare punto di pressione checomincia a massaggiare primadelicatamente, poi con insistenza,

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spingendo fino a farlo coincidere con lavibrazione nella vagina. Inspiro di colpo:mi gira la testa e il corpo è scosso datremiti al ricordo delle ondate euforichegià provate. Jeremy sembra molto più chesoddisfatto del risultato, e accoglie la miaespressione stupita con un sorriso appenaaccennato.

«Ti piace?»«Sì». Non riesco a dire altro mentre il

mio corpo pulsa e le sue dita continuano aesplorare, creando nuove sensazioni.Sento una vampata di calore risalire lungol’ano e la vagina quando lui toglielentamente la mano e afferra un pacchettodi preservativi, aprendone uno. Si mettedietro di me, e si assicura che ilpreservativo lo copra in tutta la sualunghezza. Non posso trattenermi dal

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lanciare un’occhiata interrogativa dietrodi me, anche se la sua bellezza mi distrae.

«Sta’ tranquilla, tesoro, farò moltopiano».

Con la punta del suo pene lubrificato mientra nell’ano, lasciando che si adattiprima di spingere per gradi, condelicatezza, lasciandomi il tempo diabituarmi alla sua presenza ingombrantein uno spazio tanto ristretto. A ogni spintaarriva un po’ più in profondità,affermando una posizione su di me masenza perdere l’intensità che sta creando.Continua senza fermarsi finché non mi hariempita completamente con il suomembro, per il quale mi sembra di esserestata fatta su misura, e intanto io ansimo,esaltata. Non è mai stato così piacevole,là dietro. Mi possiede in modo perfetto,

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completo, totalizzante. Con l’altra manomi massaggia il clitoride in modo semprepiù deciso e insistente, mentre comincio aperdere la ragione.

Mi schiaccia contro il letto, facendomisfregare i capezzoli contro le lenzuola. Dasopra ha il completo controllo deldesiderio che si agita dentro di me; stareplicando la posizione dell’esperienzaprecedente, ma senza le cinghie. Con ledita mi porta sull’orlo dell’orgasmo, masi rifiuta di condurmi oltre e di accenderela miccia lasciandomi esplodere. Oh, Dio!Il mio ano è stracolmo di lui e il suomembro continua a mandare scaricheelettriche che mi invadono tutta, e con miogrande stupore sento che mi sto aprendoancora di più per accoglierlo più inprofondità, nei recessi inesplorati del mio

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corpo. Grido, e non di dolore, ma perl’intensità dell’amore che provo perquest’uomo e per il puro, intensissimopiacere che riesce a far nascere dentro dime. Sono letteralmente zuppa didesiderio, e mentre le sue dita completanola stimolazione non riesco più atrattenermi quando vengo lanciata oltre iconfini di mente e corpo. Continuo agridare senza tregua mentre il piacereaumenta sempre di più, un’onda dopol’altra: è il puro istinto animale a darepotenza alle mie grida gutturali. Jeremy sisposta leggermente e tutto ricomincia.Ancora e ancora. Ansimo e gemo a ognispinta dentro di me e di nuovo perdocoscienza di me stessa. Vortico e ruoto inun mondo di cui non sospettavol’esistenza prima di questo fine settimana,

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risalgo nel mio universo orgasmicoinconscio appena scoperto, satura dienergia sessuale. Farei qualsiasi cosa,andrei ovunque per quest’uomo e per ciòche sa fare al mio corpo.

Che cosa mi è successo? Sonodiventata una maniaca sessuale, hosviluppato una dipendenza? Non sonemmeno trovare la parola giusta. Nonavrei mai immaginato che potesse esistereun piacere simile. Come è possibile?Come tanti altri, ho sentito parlare dellapossibilità di avere orgasmi multipli,certo, ma quel che ho provato io èqualcosa di soprannaturale. Haun’intensità talmente schiacciante che neresto sopraffatta per diverso tempo.

«È normale, naturale? È talmenteimprovviso, incredibile…», chiedo

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quando torno abbastanza in me e riprendocoscienza di dove mi trovo.Dall’espressione di Jeremy, capisco chelui è altrettanto stupito e affascinato. Mitoglie piano il vibratore e lo sistema concura in un sacchetto di plastica. «Altreanalisi?»

«Altre analisi, altre scoperte, miglioririsultati, sai…».

«E tutto da incredibili sedute di sessofantastico: chi l’avrebbe mai detto?»

«Nemmeno io avrei mai pensato chesarebbe stato così».

«Be’, sono molto felice di partecipare aquesti esperimenti, dottor Quinn».

«A chi lo dici, tesoro!».Non ci diciamo molto altro per un po’,

persi come siamo nei nostri piccoli mondie troppo soddisfatti, del tutto a nostro agio

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nel contatto tra i nostri corpi, le carezze,l’eccitazione. Le parole non servonomentre prolunghiamo felici la nostraesperienza, fatta di ondate di piacere escosse di assestamento.

«Dato che sei qui, è il momento dimettere un altro po’ di unguento».

«Scherzi? Me l’hai messo da poco»,protesto.

«E pensi sia ancora efficace, dopo lenostre evoluzioni?», mi chiede consguardo perplesso.

Scuoto il capo senza rispondere.«Ho giurato di prendermi cura di te, e

sai quanto sono preciso nel lavoro!».Mi tiene ferme le natiche mentre

applica l’unguento. Lo guardo, lui mi fal’occhiolino e mi manda un bacio.

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* * *

Jeremy tiene fede alla sua parola etrascorre il resto della settimana acoccolarmi. Mi nutre, mi fa il bagno, mivisita, mi cura, mi stimola nel fisico enell’intelletto, mi distrugge emotivamente,si assicura che dorma, mi spazzola icapelli, mi massaggia, guarisce le mieferite e i lividi. Non prendo decisioni néentro in contatto con il mondo esterno. Ècome se esistesse solo Avalon. Sono alsicuro, protetta dal bozzolo costruito contanta cura dal dottor Quinn. Non mi sonomai sentita così in vita mia. Cosìprofondamente amata, così fragile, comese avessi sempre avuto bisogno delle sueattenzioni. Come ho fatto a vivere senza dilui?

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Continuiamo a parlare, ridere, giocaree ricordare; sembra la nostra personaleinterpretazione di una luna di miele. Èpura beatitudine. Solo che mi mancanotanto Jordan ed Elizabeth, ed è durasapere che non li potrò sentire finchésaranno in campeggio. Non siamo maistati lontani per tanto tempo, ma anche sefossi a casa non sarebbero comunqueancora tornati, e questo mi aiuta asopportarlo. Accantono più che posso ilpensiero del discorso che dovrò fare aRobert al mio ritorno. Probabilmente ilmondo è andato avanti come sempre, fuorida questo posto, e io non esisto più nellarealtà, ma solo nell’isolamento di questacasa sull’albero lussuosa e nell’amore ele attenzioni di Jeremy.

«Vieni qui e fatti misurare la pressione.

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Mi sembri più in forze del solito».«Oh, no, ancora! Mi hai fatto così tanti

esami che potrei essere il caso piùanalizzato della storia». Ma lui ignora lamia protesta esagerata.

«Se è tornata nella norma, andremo inspiaggia. È ottima, direi. Non mi stupisceche tu abbia più energie. Perché non tivesti mentre io preparo il necessario perun picnic? Nella cabina armadio c’è unascatola dove troverai tutto quel che tiserve».

Lo guardo dubbiosa. Prima di tutto midomando se sia serio, e in seconda battutache cosa abbia in mente stavolta.

«Vai a prepararti, prima che cambiidea». Decido di muovermi subito.

Con un sospiro di sollievo scopro chenella scatola ci sono vestiti normali; sono

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felice di non dovermi più “travestire”.Indosso un costume da bagno e unprendisole, nel caso il sole sia abbastanzacaldo da consentirci un tuffo veloce.Prendo gli occhiali da sole, un cappello ela crema abbronzante e mi sento più informa e piena di energie che mai. Jeremyha lo zaino pronto e finalmente ciavventuriamo fuori dalle immense doppieporte della casa.

C’è un viale che gira intorno allacostruzione e porta verso la cresta dellamontagna. Vedo un omone in piediall’esterno di una specie di gabbiotto dicontrollo. È in uniforme e ha un fucile atracolla. Jeremy scambia un cenno disaluto con lui e mi conduce rapido nelladirezione opposta, verso la spiaggia. Houna strana sensazione, mi vengono i

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brividi.«Pensavo fossimo completamente soli.

È necessario?»«Ti spiegherò tutto in spiaggia».Per la prima volta da giorni avverto

un’intonazione preoccupante nella voce diJeremy, ma non ci voglio pensare.

Ci sistemiamo su una coperta eapparecchiamo un vero banchetto davantia noi. Il panorama è grandioso esconfinato, da togliere il fiato, il cielo èlimpidissimo. «Wow, questo posto èincredibile. Spero che non abbiamo frettadi andar via».

«Abbiamo un mucchio di tempo. Èbellissimo poter stare di nuovo all’ariaaperta con te».

«È anche meglio poter vedere cosa c’èall’aria aperta, stavolta».

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Mi scosta affettuosamente qualcheciocca ribelle dal viso, che mi sistemadietro un orecchio. «Sul serio… come tisenti?», mi chiede premuroso.

«Molto meglio, grazie. Come potrebbeessere altrimenti? Ho avuto tutta la tuaattenzione, dal punto di vista fisico,emotivo, mentale e medico. Ma che midici di te? Sembri avere mille pensieri».

«È così. Devo spiegarti molte cose, enon potevo rischiare di parlare lassù». Faun cenno alle nostre spalle.

«Perché?»«Vuoi la verità? Temo ci siano delle

microspie. So che siamo più al sicuro quifuori».

«Microspie? E chi dovrebbe averlemesse? Mi spieghi cosa succede?». Loguardo nervosa. «O non lo voglio

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sapere?»«Vorrei evitare di coinvolgerti più di

così, Alex, ma è necessario che tu sappiaalmeno qualcosa, ora che ci sei dentro».

Ho il presentimento che il bozzoloprotettivo si stia disfacendo, in modolento ma inesorabile. Jeremy mi tiene lemani e mi accarezza le dita per un po’,pensieroso.

«Credo sia meglio che tu mi dica ciòche devi».

Lui annuisce. «Non c’è bisogno che tienumeri i dati statistici sulla depressione;il mercato per una medicina davveroefficace è immenso e potrà solo crescerenel prossimo decennio, soprattutto nelsistema economico occidentale. Quelladegli antidepressivi è un’industriamiliardaria e tutte le case farmaceutiche

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più importanti del mondo sono allacontinua ricerca dei farmaci più efficaci,sviluppando studi che vanno nelledirezioni più disparate e finanziandoli inlungo e in largo. La questione si è fattaancora più urgente dopo gli ultimi studieffettuati dalla Food and DrugAdministration, secondo i quali alcuniantidepressivi possono aumentare letendenze suicide rispetto ai farmaciplacebo: le compagnie hanno scatenatol’inferno pur di sintetizzare una nuovamedicina. È una competizione spietata edevastante, e anche se odio ammetterlo,non sempre corretta. Ed è proprio perquesto che mi vedo costretto aparlartene». Sembra un po’ sulle spine, ilche non è da lui, ed è il motivo per ilquale ha tutta la mia attenzione.

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«Qualcuno è riuscito a violare il computerdi Sam nelle ultime ventiquattro ore, epotrà avere accesso ai risultati che gli hoinviato. Per questo abbiamo aumentato lemisure di sicurezza. Non siamo riusciti aindividuare il colpevole e potrebbevolerci del tempo. Non voglio spaventartipiù del necessario, Alexa, ma se i nostriconcorrenti scoprissero il potenziale dellaformula che stiamo sviluppando dopo gliesperimenti dello scorso weekend e il tuocoinvolgimento… ecco, diciamo chepotresti essere in pericolo. Ed è un rischioche non sono disposto a correre. Hoassunto una guardia del corpo che sifingerà tuo assistente a tempo pienoall’università della Tasmania perproteggerti al lavoro, al tuo ritorno».

«Dici sul serio?»

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«Sono stato io a metterti in questasituazione, ed è mia responsabilità fare inmodo che tu sia al sicuro. Non so cosafarei se ti succedesse qualcosa».

«Ma cosa potrebbe succedere, Jeremy?Cos’è che ti turba tanto?»

«Tutte le aziende farmaceutiche sipreoccupano di proteggere i brevetti inessere e quelli potenziali, e le compagniepiù potenti investono molto a questoscopo. Hanno sezioni specializzatenell’investigazione e non assoldano gentequalsiasi. I loro uomini sono ex teste dicuoio, hacker, scienziati e neurochirurghi,ma anche ex giudici, tutte persone cheoccupano o hanno occupato posizioni digrande rilievo nel loro campo. Sono tra ipiù qualificati e abili del pianeta, epercepiscono somme da capogiro per

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assecondare le esigenze delle società cheli hanno assunti».

«Anche tu sei uno di loro?»«No, non necessariamente. Ho un

accordo particolare con un’aziendafarmaceutica per la scoperta di unfarmaco contro la depressione. Quellisono dipartimenti speciali il cui compito èfar sì che la proprietà intellettuale dellacompagnia sia protetta a ogni stadio disviluppo, a tutti i costi. In praticaproteggono la sicurezza dei risultati dellenostre ricerche. Via via che ciavviciniamo alla scoperta di una formulao di un prodotto e diamo il via alprocesso necessario per il brevetto, chepuò anche essere molto lungo, si attivanoin modo particolare. Lo spionaggiointellettuale è dilagante nell’industria

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farmaceutica, e per alcune organizzazioniil costo umano per ottenere i brevetti nonha alcun valore. È il loro modo di fareaffari. La mia paura è che il responsabiledella violazione sia proprio uno dei nostriconcorrenti; non ne abbiamo ancoraconferma, ma temo che potrebbero volerfare degli esperimenti per conto loro».

«Con me, vuoi dire?». Se mi definissicompletamente sconvolta non rendereil’idea.

«È molto improbabile, ma non loescluderei del tutto. Non vogliospaventarti, Alex, e non permetterò che tiaccada qualcosa, ma devi accettare lemisure eccezionali che disporremo. Nonaccetterò un no come risposta».

«Pensate davvero che potrebbesuccedermi qualcosa?»

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«Speriamo di no, ma a ogni buon contoattiveremo queste protezioni. Nelfrattempo vorrei darti una cosa, che è unricordo del tempo trascorso insieme maanche un oggetto che spero ti terrà alsicuro». È molto serio. Prende unascatolina dallo zaino, l’apre con cautela emi mette in mano un braccialetto chesembra d’argento massiccio o di platino.Lo osservo con attenzione. È tempestatodi quelli che mi paiono frammenti didiamante rosa e c’è un’iscrizione ingaelico antico, le cui forme complesse eraffinate fanno da contrappunto al pesoconsistente del gioiello.

«Jeremy…».«Alexandra, dato che non mi è ancora

possibile metterti un anello al dito, speroche accetterai di indossare questo e di non

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toglierlo mai». I suoi occhi scrutano imiei. «Lo farai per me?».

Sostengo il suo sguardo. Sono successetante cose nell’ultima settimana. Mi hachiesto e mi ha spinta ad azioni che nonavrei mai immaginato e nemmeno sognatodi compiere… potrei oppormi all’idea diindossare questo gioiello così prezioso?Sento quanto è importante per lui.

«Sì, certo». Come se potessi direqualcosa di diverso. «È bellissimo. Cosarappresentano i simboli?»

«In gaelico si legge anam cara.Significa “anima amica” o “animagemella”».

Sento il cuore traboccare e mi affretto adeglutire per placare l’emozione profondache rischia di sopraffarmi. I nostri sguardirestano agganciati e per un lungo istante

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esistiamo solo noi in un luogo pieno dienergia, eppure immerso in una paceprofonda. So che gli appartengo, e luiappartiene a me. Senza dire altro, tendo ilbraccio verso di lui.

«Grazie, Alex. Che le nostre animepossano sorridere nell’abbraccio dellanostra anam cara».

Me lo mette al polso e quando chiude ilgancio sento uno strano rumore elettrico.Anche questo bracciale è perfetto. Nétroppo largo né troppo stretto, maimpossibile da far passare oltre la mano,nel caso in cui volessi toglierlo. Mi sentolegata a lui in modo totale, non possonegarlo, e quel simbolo del nostro amoremi rende così felice.

«Cos’era quel rumore?»«Il bracciale è dotato di una codifica

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digitale e di una chiusura elettronica:consentirà al mio team e a quello di Samdi individuarti in qualsiasi momento, sedovesse verificarsi qualche imprevisto.Per me era fondamentale sapere chesaresti stata felice di indossarlo, prima didartelo».

Be’, non avevo pensato che sarei statacollegata a lui in modo tanto concreto.

Resto seduta per diverso tempo aosservare il prezioso “tecno-gioiello” chemi avvolge (o forse dovrei dire che miintrappola) il polso. Con la mente torno aitempi in cui ho lavorato nelle miniere didiamanti rosa dell’Argyle, nell’Australiaoccidentale, e alle precauzioni che lacompagnia prendeva per accertarsi che legemme venissero portate da lì a Perth insicurezza. Ogni settimana venivano fatti

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partire diversi voli falsi in modo chenessuno sapesse in quale sarebbero statitrasportati i diamanti, che sono i più rari ecostosi del mondo. Ora li guardoincastonati nel braccialetto. È davveroincredibile pensare a quanto sonodisposte a spingersi e al denaro che leaziende investono per tenere al sicuro leloro risorse. Proprio quando ormai erosicura che il mio viaggio da Alice nelPaese delle Meraviglie volgesse altermine, arriva questo imprevisto. Ho lostomaco sottosopra per l’emozione. Mastranamente non ho domande: soloaccettazione silenziosa. Seduta davanti aJeremy, sono consapevole del miorespiro, ma non del movimento della miamano che d’istinto accarezza il braccialed’argento.

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Torniamo alla casa sull’albero dopomolte ore trascorse a cercare di lavar vianell’oceano le immagini angosciose delnostro possibile futuro. Sembra fosseproprio ciò di cui avevamo bisogno.

La nostra ultima notte è molto sottotonorispetto alle precedenti. Restiamo sedutiin silenzio, stretti l’uno all’altra,assimilando l’enormità del percorso cheabbiamo deciso di intraprendere insieme.Scambiamo solo poche parole, eppuresiamo uniti da un’emozione tangibile. Ilnostro amore fisico si è innalzato aun’intensità che ha assunto un significatoquasi spirituale, e ci lasciamo cullaredalla consapevolezza che le nostre vitesono cambiate per sempre dopol’esperienza che abbiamo condiviso.Entrambi sappiamo di non poter predire

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come sarà la nostra vita, una volta partitida Avalon. Un destino sconosciuto dalfascino irresistibile. Dormiamo solo perqualche ora, avvinghiati in un abbracciodi puro amore.

* * *

Il destino ha voluto che la mattina ilcielo sia molto nuvoloso. Quandodecolliamo su un aereo privato, non homodo di scorgere il terreno sotto di noiperché restiamo all’interno dello strato dinuvole e nebbia finché non sbuchiamo allapura luce del sole. So che Jeremy è unuomo dalle risorse fuori dal comune,soprattutto quando vuole ottenerequalcosa; ma non sapevo che questa suacapacità gli consentisse perfino ilcontrollo del clima. Non so se stiamo

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volando sull’acqua o sulla terra, enaturalmente lui non ha intenzione dirivelarmi la posizione di Avalon. Mi diceche meno so, più sarò al sicuro, e chequesta per lui è la priorità. Ci teniamo permano per tutto il volo. A un certo punto miassopisco con la testa sulla sua spalla, emi sveglio solo quando cominciamo ascendere verso il punto in cui cisepareremo.

Ci abbracciamo con trasporto profondoe un paio di lacrime mi rigano il viso,mentre in silenzio scendo dal velivolo.Non voglio staccarmi dal suo abbraccio,ma so che devo. Mi informano che il miobagaglio sarà imbarcato direttamente sulvolo che mi porterà a Hobart. Jeremyresterà a bordo e tornerà a Boston.

Come un automa mi siedo sull’aereo

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che mi riporterà a casa, felice di notareche i sedili accanto al mio restano vuoti.Cerco di assorbire tutto quel che èsuccesso nella settimana appena trascorsa,il potenziale rischio del miocoinvolgimento e il futuro della mia vitafamiliare. È troppo per la mia poveratesta. Mi chino per mettere la cartad’imbarco nella borsa e scopro una bustaspessa. L’apro e trovo una lettera scritta amano da Jeremy.

Alla mia meravigliosa Alexandra.Ho pensato che volessi dare un’occhiata

adesso in modo da poter conoscere meglio ladonna che amo. Non dimenticarla quandotornerai a casa, lei per me è tutto.

Abbi cura di te, amore mio, fin quando ciritroveremo.

Buon viaggio,

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J

Dire che sono sconvolta mentre guardole foto che ho davanti agli occhi è uneufemismo. Sono davvero io? Le scorrolentamente, una dopo l’altra.

- Io che tengo la mia conferenzanell’aula magna, venerdì pomeriggio.

- A pranzo con Samuel e il suo team diricerca.

- Il mio arrivo nell’atrio dell’albergo,capelli tirati su, aria efficiente.

- Con il vestito rosso e la benda sugliocchi.

- Seduta sul tetto, bendata eammanettata.

- Mentre canto e suono la chitarra.- In tuta di pelle e stivali.- Due corpi vestiti di pelle in sella a

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una moto.- Paracadutismo, in caduta libera.- Felice, con gli occhiali da sole su una

decappottabile nera.- Nuda, sospesa in acque oscure.- Incappucciata, con il mantello e le

cinghie di pelle.- Sulla spiaggia, mentre nuoto con

Jeremy.- Vestita proprio come adesso per il

viaggio di ritorno a casa.

È incredibile vedere queste immagini eparagonarle a quelle che ho in mente. Labenda sembra nascondere l’agitazione e ilmio corpo sembra quello di una creaturavoluttuosa che assorbe ogni esperienza.Le fotografie mi danno un senso di calore,e me le stringo forte al petto. Chi avrebbe

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detto che fossi così?Ripenso alla domanda di Jeremy cui

non ho saputo rispondere. «Da quando inqua il fatto di essere madre ti impediscedi vivere la sessualità?».

Perché l’ho negata a me stessa per tantianni? Chi avrebbe potuto immaginare chesarebbe stato necessario qualcosa di cosìestremo come la cecità, la proibizione difare domande e una sperimentazionepsicologica, fisica e neurologica delsistema limbico di quarantotto ore perriaccendere la passione sessuale dentro dime? Jeremy. Solo lui, ovvio.

* * *

Entro in casa e saluto i miei figlimeravigliosi come se non fosse cambiatoniente al mondo, ma sapendo dentro di me

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che nulla è come prima. Li stringo a lungo,li amo più di quanto credevo possibile.

Decido che è arrivato il momento: orao mai più. Il fine settimana con Jeremy hasegnato il mio destino e devo affrontare ladiscussione che rimando da anni conRobert. Chiedo a mia sorella di badare airagazzi in modo che possiamo andare acena fuori. Non voglio parlare con lui incasa, ma mi chiedo anche se sia giustofarlo in pubblico. Mi sono arrovellata alungo chiedendomi quale sia il modomigliore per cominciare un discorso cosìdelicato.

Non era necessario preoccuparsi tanto.Pare che lui volesse parlare del nostromatrimonio almeno quanto me. Glidescrivo l’effetto che mi ha fatto trovarmicon Jeremy. Che non posso più fingere

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che non esista. Non gli parlo del ruolo cheho avuto nell’esperimento. Robert se nesta seduto in silenzio davanti a me, e ioaspetto una reazione emotiva per capireche cosa pensa. È uno shock scorgeresollievo nei suoi occhi. Niente rabbia nélacrime, solo sollievo. Alla fine mi spiegache la sessualità è un problema che lotormenta da anni, sul quale ha semprementito a se stesso. Non ne ha parlato conme perché sono una psicologa e nonvoleva che sua moglie lo analizzasseprima di poter capire da solo cosa glisuccedeva. E non voleva fare del male ame o ai nostri bambini. Mi dice anche chenon può più negare una parte di se stessoche ha bisogno di esplorare e scoprire,per comprendere se è gay o meno. Anchese è convinto di esserlo.

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Ero qui a domandarmi che impattoavrebbero avuto le mie parole su di lui, eRobert mi risponde così! Ecco il motivodella totale mancanza di una vita sessualetra noi. Come ho fatto a non pensarci?Non posso fare a meno di domandarmicome l’avrei presa se non avessi ritrovatoJeremy. Sarebbe stato terribile, credo…ma adesso… be’, in qualche modo adessociò che fino a qualche settimana fa eraimpossibile è diventato possibile.

Ci apriamo uno con l’altra nelle ore chepassiamo a cena come non avevamo maifatto negli ultimi cinque anni. Nonfacciamo che parlare, e ci ritroviamo unitia un livello che va ben oltre il rispetto el’amicizia. Ora ricordo perché ero stataattratta dall’uomo che ho davanti, il padredei miei figli. È un brav’uomo, con un

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grande cuore. Solo che ormai non ciapparteniamo più.

Decidiamo di agire per il bene deiragazzi e di sostenerci a vicenda. È comese avessimo rimosso un peso enorme cheschiacciava la nostra relazione e fossimoliberi di legarci di nuovo, abbracciando lavita. Sorridiamo. Ci abbracciamo.Dormiamo in camere separate sotto lostesso tetto, una soluzione che ci soddisfa,almeno nel breve termine. I bambini siaccorgono del cambiamento del nostroumore, e ridiamo come non facevamo daanni.

* * *

Qualche giorno dopo, proprio come miaveva promesso Jeremy, ricevo unalettera che mi invita ufficialmente a

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entrare a far parte della sua squadra diricerca.

Gentile dottoressa Blake,mi auguro che questa missiva la trovi in buona

salute. Vorrei invitarla formalmente a diventaremembro del nostro team specializzato nellaricerca di una cura per la depressione. Le suecompetenze specifiche e la sua esperienza sonoessenziali per il ruolo di primo psicologo delProgetto Zodiaco; lavorerà fianco a fianco di unaserie di stimati ricercatori e professionisti dellamedicina.

Come sa già, il progetto è della massimariservatezza e tale resterà per i prossimi dodicimesi. Troverà allegato un dettagliato accordo diriservatezza, che deve essere firmato al fine dipoterle fornire ulteriori informazioni eindicazioni. Con l’avanzare dei progressi nellanostra ricerca, entro i prossimi due o tre annipotremmo essere in condizione di pubblicare i

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nostri risultati, e allora il suo significativocontributo ai nostri studi sarà riconosciuto inmodo formale.

Al momento la ricerca si svolge soprattuttopart-time, e di conseguenza speriamo che possaessere compatibile con i suoi attuali impegniuniversitari. Mi sono preso la libertà di parlare dipersona con il suo preside, che ha promesso difornirle tutto il suo sostegno. Le verrà ancherichiesto di partecipare a diverse conferenzeinternazionali, la prima delle quali si terrà aLondra tra un mese; i dettagli sono allegati aquesta comunicazione. La retribuzione per il suoapporto sarà considerevole, ma comunqueconcordata con lei di persona entro le prossimedue settimane.

Le sue credenziali accademiche, lapreparazione professionale e le ultime ricerchehanno un’importanza vitale per il successo delprogetto che intendiamo portare avanti estimiamo moltissimo il suo contributo. Grazieper aver trovato il tempo di incontrarci. Speriamo

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di poter iniziare con lei una collaborazionefruttuosa, piacevole e produttiva nei prossimianni, e ci auguriamo di accoglierla nel nostroteam il prima possibile.

Cordialmente,

Lionel McKinnonPresidente

Ho lo stomaco sottosopra quandofinisco di leggere la lettera; sono assalitada ondate di emozione e preoccupazione,in lotta tra loro per prendere ilsopravvento nelle parti basse del miocorpo. Arrossisco.

La comunicazione sembra cosìufficiale, e i sottintesi sessuali sonoabilmente nascosti. D’istinto accarezzo ilbraccialetto che porto al polso.

«Tutto bene?», mi chiede Robert

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sollevando lo sguardo dal giornale.Mi accorgo che mi tremano le mani

mentre gli porgo la lettera affinché lalegga.

«È la ricerca di cui hai parlato conJeremy?».

Annuisco.«Ottime notizie, allora, congratulazioni!

Hai lavorato tanto, te lo meriti». Mi dà unbacio su una guancia. «Qui ci vuole dellochampagne».

Non so cosa ho fatto per meritare gliuomini della mia vita.

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Epiloogoo

Eccomi qui, seduta in prima classe, eanche questa è un’esperienza nuova edesaltante. Siamo sulla pista, in attesa deldecollo. Mai e poi mai avrei pensato chetutto questo potesse succedere proprio ame. Mi sento come se stessi davverodiventando la persona che ho semprevoluto essere. Sono così emozionataall’idea di rivedere Jeremy. Le farfallenello stomaco sono sempre lì, propriocome prima del nostro incontro a Sydney,ma stavolta sono grandi e colorate, e sonofelice che ci siano perché mi fanno sentire

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piena di vita.Con la mente torno all’altro giorno,

mentre mi trovavo in giro per la città perlavoro. Stavo passando accanto a unnegozio che vendeva selle e staffe, quandocon la coda dell’occhio ho notato unoscudiscio. Un’emozione intensa mi haattraversato il corpo con tanta ferocia dalasciarmi per un attimo cieca e senzafiato, mentre mi appoggiavo alla vetrinadel negozio. Era un accesso erotico! Ilbasso ronzio interno al quale ormai misono abituata dopo il mio rientro ha avutoun picco improvviso, esplodendo invibrazioni elettriche che andavano dalclitoride ai capezzoli. “Per fortunaindosso un reggiseno imbottito”, hopensato mentre ansimavo in cerca d’aria,e intanto un fluido caldo, come oro

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liquido, ribolliva nelle mie parti piùintime. Una mia studentessa che passavadi lì per caso si è fermata e mi ha chiestose stavo bene e se mi serviva aiuto. Hoannuito, sostenendo che era tutto okay, malei è rimasta lo stesso per un minuto, congli occhi spalancati, finché non sonotornata in me e sono riuscita a dirle chestavo benissimo e l’ho lasciataproseguire. Dio, se solo avesse saputo.Ho un bisogno disperato di parlare conJeremy di questi accessi psicofisici chemi prendono di fronte a un’immagine, unsuono o un ricordo di quel weekend. Unaparte di me si vergogna che possasuccedere in pubblico, ma mi affascinascoprire cosa potrebbe innescare un altroepisodio e non vedo l’ora di provarlo dinuovo.

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I voli sono puntuali; non ci sono ritardia Singapore e arrivo a Londra in perfettoorario.

Attraverso le porte a vento di Heathrowe vedo uno chauffeur in piedi con il mionome scritto su un cartello. È splendidoviaggiare così. Ci salutiamo e l’uomo miprende la valigia.

Quando arriviamo alla berlina nera conla portiera aperta, c’è un altro uomo conuna divisa simile.

«Buongiorno, dottoressa Blake.Benvenuta a Londra».

«Buongiorno. È fantastico essere qui».Sorrido mentre lui mi apre lo sportello

e l’altro si occupa del bagaglio. Quandomi accomodo sul sedile posteriorecontrollando se ho tutto, sento una vocechiamare il mio nome; viene da qualche

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parte dietro di me. Mi volto e, sorpresa,vedo Jeremy e Samuel che corrono versola macchina. Che diavolo ci fanno qui?Non pensavo arrivassero prima di staseratardi. Sollevo una mano per salutarli,senza capire, ma in quel momento l’uomoche era con l’autista chiude lo sportello esi getta sul sedile anteriore. I visi diJeremy e Samuel si contraggono in unasmorfia sgomenta, mentre entrambicontinuano a correre verso di me. Proprioquando sto per chiedere all’autista diaspettarli, la macchina balza in avanti el’accelerazione mi schiaccia contro ilsedile. Gli dico di fermarsi, che liconosco. Jeremy corre accanto allamacchina e batte i pugni contro i finestriniposteriori. Cerco di aprire il mio perparlargli, ma non c’è alcun pulsante. Il

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finestrino viene oscurato e non vedo più ilsuo volto. Lo sportello è bloccato, equando mi giro per guardare l’autista sialza una barriera di vetro nero tra i sedilidavanti e quelli dietro. Grido e battocontro lo sportello e il vetro.Acceleriamo. Comincio a tremare, conl’immagine del viso stravolto di Jeremyscolpita nella mente. Cerco il telefononella borsa, ma non c’è campo. Noncapisco più nulla. Sono in una macchinadai vetri oscurati in cui non prendono icellulari. Chi sono questi uomini?Continuo a picchiare contro il vetrogridando, cercando di capire cosasuccede. Provo ad aprire gli sportelli,tentando con entrambi, sbatto i palmi dellemani contro i finestrini neri. Che succede?All’improvviso mi sento confusa, sto per

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svenire. Poi non sento più nulla…..

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NoNotaaddell’aautricce

Nella società occidentale dubito cheesista qualcuno che non è stato toccatodalla depressione in qualche modo, formao misura. La depressione colpisce 120milioni di persone in tutto il mondo ed èla causa di più di 850.000 decessi ognianno. Sono statistiche spaventose esconvolgenti, che la rendono una dellemalattie più serie da cui è affettal’umanità.

Negli Stati Uniti le prescrizioni per gli

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antidepressivi sono aumentate quasi del400% dal 1988: dunque più di unamericano su dieci al di sopra dei dodicianni ha preso antidepressivi. Ogni annovengono compilate più di 21 milioni diricette di farmaci che stimolanol’attenzione, soprattutto per bambini tra isei e i quattordici anni. L’utilizzo diantidepressivi nei bambini è aumentatodel 333% nell’ultimo decennio.

Interessante, vero?

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Rinngraaziaamennti

GRAZIE…A mia madre, che mi ha incoraggiata a

continuare quando non ero sicura se farlo, e congrande precisione ha corretto testi per leiscioccanti.

A mia sorella: senza il suo atto di coraggio dicinque anni fa, ora non vivremmo insieme e noncondivideremmo i nostri sogni.

A Melissa, che mi ha lasciato le portesocchiuse in modo che potessi scivolarci dentroappena in tempo.

A Rob, per avermi fatto notare che chiunqueconcluda un manoscritto, pubblicato o meno, hacomunque fatto qualcosa di molto speciale.

A Adrienne: non vedo l’ora di abbracciarti e

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ringraziarti di persona per le tue parole, fonte diispirazione e incoraggiamento, e per avermi datola forza di andare avanti.

A Kate, cui stavano succedendo tante cose e hatrovato comunque un po’ di tempo perincontrarmi.

Ai miei splendidi, meravigliosi, speciali amiciche hanno sostenuto l’impatto della prima stesuragrezza e non mi hanno depennata dalla lista delleconoscenze.

Ai miei ragazzi: voi sapete chi siete e che lamia vita e questo romanzo non sarebbero glistessi senza di voi.

A mio padre, per l’amore, il sostegno,l’umorismo e i racconti.

A mio marito, per essere stato la mia roccianegli ultimi vent’anni e per essermi stato accantonel bene e nel male: so che non è sempre statofacile.

Alla mia famiglia e ai miei amici, la mia vitanon avrebbe senso senza di voi…

Ed è altrettanto importante ringraziare le mie

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agenti, Selwa Anthony e Shona Martyn dellaHarper Collins. Questo romanzo non sarebbe maistato pubblicato se non fosse stato per il loroincontro fatidico e miracoloso poco tempo fa.Grazie, Selwa, per avermi guidata nel turbinosomondo dell’editoria. E un grazie di cuore al teamdella Harper Collins Australia, in particolare adAnna Valdinger, Rochelle Fernandez e GraemeJones, che hanno lavorato incessantementeperché tutto questo accadesse.

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Indndicce

Prefazione

Parte prima

Parte seconda

Parte terza

Parte quarta

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Parte quinta

Parte sesta

Parte settima

Epilogo

Nota dell’autrice

Ringraziamenti

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