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Terapie innovative e welfare:un nuovo paradigma

Roma, 17 luglio 2019

Background Document

realizzato per la Tavola Rotonda

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TERAPIE INNOVATIVE E WELFARE: UN NUOVO PARADIGMA

Background document

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TERAPIE INNOVATIVE E WELFARE: UN NUOVO PARADIGMA

INDICE

PREMESSA

L’OGGETTO DELL’INDAGINE. IL RUOLO DELL’INNOVAZIONE IN SANITÀ E I POSSIBILI IMPATTI SUL

WELFARE (M. De Maldè) ............................................................................................................................ 4

Capitolo 1 - Il quadro d’insieme (M. De Maldè)

I megatrend nel settore salute ................................................................................................................... 8

Invecchiamento della popolazione e impatto delle patologie croniche .............................................. 9

La nuova centralità del paziente - Data explosion e personalised medicine .......................................... 12

Il crescente ruolo delle tecnologie .......................................................................................................... 15

Salute digitale in Italia ............................................................................................................................. 18

L’innovazione in ambito farmaceutico e i relativi problemi di sostenibilità.................................... 20

Capitolo 2 - Big Data, intelligenza artificiale, DLTs, medical IoT in sanità (M. De Maldè)

I pazienti, le nuove fonti di dati, e i nuovi modelli di data management ............................................ 24

Intelligenza artificiale in ambito sanitario: opportunità e sfide ......................................................... 33

Digital therapeuthics e digital health – il bisogno di ripensare i processi di validazione e sperimentazione…………………………………………………………………………………………….41

Applicazioni per la salute mentale ......................................................................................................... 43

Medical Internet of Things (mIoT), sensori e wearable devices ................................................................ 46

Innovazioni tecnologiche a supporto della ricerca in ambito farmacologico .................................. 47

Capitolo 3 - Personalizzazione delle cure, terapie innovative e nuovo ruolo dei farmaci (Patrizia Ciavatta, Gianluca Fincato, Gaia Panina)

Il nuovo ruolo degli -omics (genomica, proteomica, metabolomica) e la personalizzazione delle cure ............................................................................................................................................................. 50

Le Terapie avanzate e la loro evoluzione .............................................................................................. 53

Innovare la ricerca: nuovi approcci, strumenti e processi regolatori per la ricerca innovativa .... 55

La necessità di nuovi modelli, nuove competenze e nuovi workflow clinici per le terapie innovative . 57

Le nuove frontiere della medicina di precisione e personalizzata .................................................... 61

Capitolo 4 - Innovazione e diritto sanitario (Maria Alessandra Sandulli)

Accesso a terapie e tecnologie innovative: la garanzia dei diritti fra LEA e tetti di spesa ............. 64

Innovazione fra Stato e Regioni: la necessità di garantire uniformità di accesso alle cure innovative .................................................................................................................................................. 70

Intelligenza Artificiale in ambito sanitario e sindacato del giudice amministrativo ...................... 74

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Nuovi aspetti di responsabilità in scenari di innovazione sanitaria ................................................. 78

Capitolo 5 - The Endless Frontier? L’innovazione in campo farmaceutico e nelle scienze della vita (Fabio Pammolli)

La necessità di una valutazione dell’impatto dell’innovazione ......................................................... 88

Gli impatti economici della malattia e le valutazioni d’impatto dell’innovazione farmaceutica: I casi dell’oncologia e delle patologie del sistema nervoso centrale .................................................... 90

Lo sviluppo di analisi costi-benefici con dati real world ...................................................................... 91

Capitolo 6 - La governance del servizio sociosanitario (Maurizio Sacconi)

Nuovi modelli di governance e la programmazione dell’innovazione .............................................. 96

Tecnologie e welfare sanitario del futuro - Dall’universalismo selettivo all’universalismo di precisione? ................................................................................................................................................. 98

Nuove professioni e nuovi curricula sanitari ...................................................................................... 101

Oltre la salute: quali nuovi modelli di welfare per la società del futuro ........................................ 103

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PREMESSA

L’OGGETTO DELL’INDAGINE. IL RUOLO DELL’INNOVAZIONE IN SANITÀ E I POSSIBILI IMPATTI SUL WELFARE

di

Mirko De Maldè

La sostenibilità dei sistemi sanitari è messa a dura prova da diversi fattori, in particolare dall’invecchiamento della popolazione e dal contestuale aumento delle patologie croniche, rendendo necessario il ripensamento dei modelli di assistenza sanitaria, verso la l’introduzione di modelli in grado di superare la logica ospedale-centrica, per configurarsi sempre più attorno al cittadino/paziente.

Nuove strategie, basate sulla stratificazione del rischio e sulla prevenzione, nonché sulla gestione il più possibile autonoma delle patologie croniche, dovranno consolidarsi per rispondere alle nuove esigenze di salute, che non possono più trovare pieno soddisfacimento in sistemi sanitari passivi, basati essenzialmente su una reazione a eventi acuti.

In un tale contesto, un ruolo chiave può e deve essere assolto dall’innovazione, declinata sia in termini di digitalizzazione dei processi e dei servizi che in termini di innovazione terapeutica e farmacologica tout court. Tecnologie digitali e terapie innovative possono contribuire al miglioramento degli outcome clinici, all’ottimizzazione delle risorse e alla sostenibilità di lungo termine dei sistemi sanitari nazionali.

Elemento propedeutico alla base di tale processo di innovazione è rappresentato dall’esplosione dei c.d. Big Data medici: la disponibilità e accessibilità crescente di dati individuali di diversa natura (dai più tradizionali dati clinici, di laboratorio o di diagnostica per immagini fino ai dati dei sensori indossabili o delle applicazioni mobili di tracciamento dell’attività fisica o di particolari parametri clinici) - compresi i dati genetici di ciascun individuo (anche facilitato dall’abbattimento dei costi per il sequenziamento genetico) - costituisce un elemento imprescindibile per lo sviluppo della medicina personalizzata, in grado di delineare percorsi di valutazione del rischio, prevenzione, diagnosi e cura modellati attorno al singolo paziente o a coorti di pazienti con caratteristiche simili, migliorando gli esiti dei trattamenti e allo stesso tempo aumentando l’appropriatezza delle cure, con risparmio di risorse.

Nel fare leva su questa crescente disponibilità di dati di varia natura e nuovi strumenti – in particolare i nuovi software basati sull’intelligenza artificiale (declinata nei più recenti sviluppi di machine learning e deep learning), che potranno affiancare e aiutare il medico (e le strutture di sanità pubblica) nel suo percorso decisionale - saranno offerti elementi

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ulteriori (estratti dalla letteratura, dall’analisi dei dati e dalla casistica rilevante) per personalizzare le cure e ridurre il rischio di interventi poco efficaci o inutilmente onerosi.

Allo stesso tempo, altri strumenti - in particolare le applicazioni mobili (soprattutto quelle rientranti nella categoria digital therapeutics) e i dispositivi wearable, mentre contribuiranno ad arricchire il quadro informativo per ciascun cittadino - potranno offrire enormi opportunità per modificare l’assetto organizzativo dei servizi sanitari, spostando il più possibile i servizi fuori dalle strutture ospedaliere e sempre più presso i luoghi di vita e di lavoro di ciascuno individuo. Dinamica che comporterà anche importanti cambiamenti nella relazione medico-paziente, e ancor di più nel ruolo stesso del cittadino-paziente nel contesto del processo di mantenimento del benessere e nel processo di cura, verso un pieno empowerment, che è a un tempo responsabilizzazione e possibilità per il paziente di agire e intervenire attivamente nel percorso terapeutico.

Infine, la sempre maggiore comprensione del nostro organismo dal punto di vista genomico, e la sempre maggiore disponibilità di dati di questa natura, ha consentito il nascere di terapie innovative (p.e. le terapie geniche), in grado di curare patologie prima non curabili - o curabili con costi esorbitanti per lo stato (con terapie di lunghissima durata e per lo più invalidanti) - anche con una singola seduta di trattamento.

Molto spesso, tuttavia, a tutti questi elementi innovativi è da un lato riconosciuta la capacità di migliorare qualità ed efficacia dei trattamenti, ma dall’altro è attribuita la responsabilità di aumentare ulteriormente i costi, in un contesto di già alta pressione sulle risorse disponibili per la copertura dei servizi sanitari. Tale percezione ha indotto il decisore a sottoporre a più attento scrutinio la possibile introduzione di simili innovazioni in ambito clinico. In realtà, una più attenta analisi può rivelare come sia gli strumenti digitali che le terapie innovative possano contribuire a una riduzione dei costi sanitari, specie se considerati non già come elementi da offrire in aggiunta a servizi esistenti, bensì come elementi sostitutivi di approcci più tradizionali.

Esempi lampanti in questo senso vengono dalla gestione delle patologie croniche che – con il sostegno delle tecnologie e dei dispositivi mobili – può essere trasferita pressoché interamente fuori dalle strutture sanitarie e con minimo utilizzo delle relative risorse di personale, ottenendo il doppio obiettivo di aumentare l’appropriatezza e ridurre l’insorgere di eventi acuti dovuti a una gestione non ottimale della patologia.

Allo stesso tempo, nuove terapie e nuovi medicinali in grado di curare con una sola seduta patologie fino a ieri invalidanti o considerate croniche, non soltanto migliora drasticamente la qualità della vita delle persone affette da queste malattie, ma consente ai sistemi sanitari di risparmiare ingenti risorse (anche al netto di costi molto alti di questi trattamenti innovativi) un tempo dedicate alla cura (o alla mera gestione) di tali patologie.

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Per facilitare l’introduzione di queste innovazioni e ridurre la loro percezione come driver di costi aggiuntivi, sarà pertanto necessario introdurre modalità di analisi costi-benefici di nuovo tipo, in grado di offrire un quadro informativo più articolato e di valutare i benefici delle nuove terapie e nuove tecnologie su diversi livelli, consentendo di affiancare al costo (a volte molto alto) del singolo trattamento, gli elementi di risparmio diretti e indiretti (anche in termini di qualità della vita e occupabilità) da esso derivanti. In tal senso, l’uso dei c.d. real world data appare come un nuovo e potente strumento a disposizione dei decisori, strumento che le tecnologie digitali possono rendere via via sempre più disponibile e potente.

Allo stesso tempo, l’introduzione di innovazioni digitali e di nuove terapie richiede una profonda revisione e aggiornamento del framework regolatorio di riferimento, in particolare relativamente alla validazione clinica e successiva approvazione di questi nuovi strumenti.

A oggi, alcune classi di tecnologie digitali soffrono di carenze sul lato della validazione clinica, che tende a essere meno rigorosa di quanto non sia l’attività di validazione di procedure e terapie tradizionali; mentre terapie innovative di provata efficacia faticano a trovare piena validazione clinica tramite modalità tradizionali quali il trial clinico randomizzato (anche per oggettive difficoltà di arruolamento di un numero sufficiente di pazienti, nel caso di terapie sviluppate per patologie rare). Per far fronte a tali problematiche, emerge l’esigenza da un lato di introdurre protocolli di validazione rigorosi anche per i nuovi strumenti digitali e, dall’altro, di incoraggiare gli enti regolatori – specialmente in Europa – a innovarsi e sviluppare modelli di validazione per le terapie innovative più appropriati e percorribili, non imponendo oneri di validazione irragionevoli a case farmaceutiche già in difficoltà nel rendere sostenibile l’attività di ricerca e successiva commercializzazione di queste nuove terapie.

Analogamente, l’introduzione di innovazioni tecnologiche dovrà essere accuratamente contemperata con le esigenze di sostenibilità e parità di accesso, per garantire il ricorso a tali innovazioni in maniera uniforme nel territorio, allo stesso tempo garantendone la copertura (con inserimento nei LEA) laddove il loro utilizzo giunga ad essere considerato necessario o preferibile ad altre alternative, sia per la diagnosi che per il trattamento (anche con il loro relativo inserimento nelle linee guida). Allo stesso tempo, nuovi e molto delicati aspetti di responsabilità dovranno essere valutati alla luce dell’introduzione di algoritmi di intelligenza artificiale capaci di influenzare il percorso di decisione clinica, a tutela sia del medico che del paziente.

Terapie innovative e tecnologie digitali possono, in ogni caso, svolgere un ruolo di grande importanza nel delineare modelli di offerta sanitaria completamente nuovi, incoraggiando un riassetto organizzativo radicale, che passi attraverso la riduzione di strutture ospedaliere poco efficienti e molto costose, e aprendo a modalità di assistenza sanitaria

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territoriali, continuative e orientate a mantenere più alti livelli di salute a livello di popolazione, aiutando i cittadini nel mantenersi sani, prima ancora di curare i pazienti.

Tanto l’urgente esigenza di ridurre gli sprechi e ottimizzare le già scarse risorse per garantire l’accesso universale a cure di qualità, quanto l’interesse del paziente a ricevere cure appropriate e mantenersi in salute a lungo - piuttosto che attendere passivamente il sopravvenire inatteso di una qualche condizione patologica - richiedono la cooperazione di tutti, medici, cittadini, pazienti e decisori politici, verso una nuova alleanza terapeutica fondata sullo sfruttamento intensivo delle risorse digitali e la promozione delle attività di ricerca e sviluppo per rendere sempre più disponibili e accessibili terapie innovative in grado di cambiare la vita dei pazienti e portare i servizi sanitari in un futuro di sostenibilità, equità, appropriatezza e universalismo “di precisione”.

Tali nuovi modelli di assistenza sanitaria, rimettendo al centro il cittadino e le sue esigenze, potranno fare da apripista per profondi ripensamenti dei vari istituti di welfare, creando modalità nuove di fornitura di assistenza continuativa e personalizzata, accompagnata da una importante riduzione degli sprechi dovuti ad approcci one size fits all che hanno finora caratterizzato l’offerta di prestazioni assistenziali di varia natura.

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CAPITOLO 1

IL QUADRO D’INSIEME di

Mirko De Maldè

I megatrend nel settore salute

La salute è un sistema complesso, condizionato da una varietà di fenomeni sociali, economici, tecnologici, culturali che tendono a modellare le modalità in cui si estrinseca l’offerta di salute, l’interazione fra pazienti e medici, l’organizzazione territoriale, le priorità di intervento dei sistemi sanitari. Allo stesso tempo, il sistema salute sembra resistere, più di altri sistemi complessi, alle pressioni provenienti dai fattori sopra accennati, rivelandosi riluttante ai cambiamenti. Tuttavia, la spinta al cambiamento, provocata dalla sinergia di una serie di fattori concomitanti, renderà impossibile prolungare a lungo questa resistenza.

Giganti della tecnologia - che hanno già modificato il nostro modo di vivere in una varietà di settori (dai trasporti, al cibo, al consumo di prodotti di massa, fino al modo stesso di interagire con gli altri e con il mondo circostante) - incombono ora sulla scena del sistema salute, apprestandosi ad offrire ai cittadini/consumatori modelli di offerta sanitaria completamente diversi, trasferendo anche nel complesso settore sanitario gli elementi che ne hanno determinato il successo in altri contesti: centralità dell’utente, facilità di accesso e di utilizzo, attenzione alle aspettative dei consumatori, predizione delle preferenze e offerta personalizzata.

Pur essendo vero che un argine naturale a queste tendenze alla “consumerizzazione” del settore salute vengono proprio dalla intrinseca complessità del sistema, dalla delicatezza delle questioni in gioco, dalla naturale vulnerabilità del paziente (non del consumatore) di fronte a questioni che riguardano il proprio benessere e la propria sopravvivenza, è altrettanto vero che questo stesso argine sta già subendo un processo di erosione naturale: la maggiore informazione dei pazienti, la più facile reperibilità di informazioni, il cambio di paradigma culturale che vede una maggiore attenzione al mantenimento di uno stile di vita sano, atto a prevenire le patologie piuttosto che attenderne il sopraggiungere. Tutti elementi che modificano in profondità il rapporto dei cittadini con il sistema salute – e tenderanno a modificarlo sempre di più nel futuro - preparando il campo a quelle modalità di offerta di salute alternative e “patient-centric”, a cui i pazienti finiranno per affidarsi per ottenere - in cambio dei loro dati e della loro fedeltà di consumatori - nuovi e più efficienti servizi sanitari, maggior benessere fisico, e una riduzione delle condizioni patologiche nel lungo periodo.

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Per tutto questo, i sistemi sanitari di tutto il mondo sono chiamati ad accelerare il passo, sconfiggere la “patologia autoimmune” che li spinge ad “attaccare” il corpo (percepito come) estraneo dell’innovazione tecnologica, finendo per rallentare (per motivi economici, culturali, organizzativi) il passaggio a modalità di offerta dei servizi sanitari più innovativi e in linea con i bisogni e le aspettative degli utenti.

Per poter procedere in una simile direzione, è necessario tenere presenti i trend che andranno maggiormente a impattare il servizio sanitario, richiedendone una profonda trasformazione per garantire efficienza, efficacia e sostenibilità nel lungo periodo. Fra questi trend, possiamo sicuramente annoverare l’invecchiamento della popolazione, l’aumento di pazienti affetti da patologie croniche (cui si aggiunge la “cronicizzazione” di alcune patologie, intervenuta grazie ai successi nelle cure), una maggiore attenzione alla prevenzione e all’assistenza territoriale (come evoluzione verso modelli più centrati sulla cura dei malati acuti in setting ospedalieri), la rivoluzione digitale, la nuova centralità del paziente (anche declinata in termini di “consumerismo”) e la medicina personalizzata. Specificamente in tema di rivoluzione digitale, appaiono di particolare interesse gli sviluppi nel settore dell’intelligenza artificiale, il nuovo ruolo dei Medical Internet of Things, dei device mobili, delle applicazioni mobili per la salute.

Si tratta di trend che, se da un lato mettono in discussione la sostenibilità nel lungo periodo, dall’altro lato sono potenzialmente in grado di gettare le fondamenta per ripensare i sistemi sanitari in modo da ottenere sostenibilità, migliorando allo stesso tempo lo stato di salute generale della popolazione.

Invecchiamento della popolazione e impatto delle patologie croniche

Secondo le più recenti proiezioni1, la popolazione europea è destinata ad aumentare del 3,5% fra il 2016 e il 2040, portandosi a 528 milioni di persone (dagli attuali 511), scendendo poi a 520 milioni entro il 2070 (aumento 2016—2070 dell’1,8%). Nello stesso periodo 2016-2070 la proporzione di persone di età superiore a 65 anni rispetto alla popolazione 15-64 passerà dal 29.6% del 2016 al 51,2% del 2070.

Appare evidente come una tale dinamica possa comportare un sensibile aumento della spesa per servizi sanitari, che già rappresenta un importante porzione delle spese pubbliche, ponendo sfide molto difficili per la sostenibilità sul lungo periodo di tali spese, specialmente laddove si consideri il trend di crescita stabile del PIL europeo, il cui aumento è stimato in un 1,3% medio nel periodo 2016-20702.

1 EUROPEAN COMMISSION (ed. by), The 2018 Ageing Report, Underlying Assumptions & Projection Methodologies, Institutional Paper 065, European Union, November 2017. 2 Ibid.

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Tale trend sarà sostenuto da un aumento dell’aspettativa di vita alla nascita di 7,8 anni, sempre nel periodo 2016-2070. L’aspettativa di vita è cresciuta in tutta Europa negli ultimi 10 anni, raggiungendo il picco di 83 anni nel 2016 (senza considerare le diseguaglianze nell’aspettativa di vita non solo fra sessi, ma anche per educazione, occupazione, e posizione lavorativa), sebbene abbia subito un rallentamento dopo il 2010 3.

A fronte di questa aspettativa di vita, i cittadini europei godono mediamente di buona salute per circa l’80% della loro vita (intendendo con buona salute una vita libera da limitazioni e disabilità causate da condizioni patologiche)4. In questo senso si è lungamente parlato del c.d. “paradosso della medicina” 5 per il quale il progredire della scienza medica non riduce i bisogni di assistenza sanitaria ma aumenta la domanda di servizi, per cui più si investe in tale settore, più sarà necessario investire in futuro (anche in considerazione di un – appunto paradossale – fenomeno di insoddisfazione per le cure, causato dal successo delle stesse e dal conseguente allungamento della vita, sebbene in un contesto di potenziale deterioramento della qualità della stessa).

In tale contesto, le patologie croniche assumeranno un peso sempre maggiore nella formazione della domanda di salute, richiedendo lo sviluppo di modelli di assistenza molto diversi da quelli – già ormai in parte superati – centrati sulla cura in ambito ospedaliero.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)6, le patologie croniche sono responsabili del 71% delle morti a livello globale. Le patologie cardiovascolari sono la prima causa di morte, seguite da tumori, patologie respiratorie e diabete. Il dato è confermato a livello europeo7. Considerate nell’insieme, le patologie sopra indicate sono responsabili per l’80% delle morti per patologie croniche a livello globale.

Stando a dati del World Economic Forum8, le patologie croniche costano a livello globale 47 trilioni di dollari, una cifra pari a circa il 60% del PIL globale nel 2017 (stimato in circa 81 trilioni9).

Tali numeri, già significativi, sono destinati ad aumentare proprio grazie al successo nelle cure e al progresso della medicina, che renderanno via via sempre più croniche patologie, che invece non lasciavano speranza di lunghe sopravvivenze a coloro che ne erano affetti

3 OECD/EU, Health at a Glance: Europe 2018: State of Health in the EU Cycle, OECD Publishing, Paris 2018, https://doi.org/10.1787/health_glance_eur-2018-en. 4 Ibid. 5 A.J. BARSKY, “The paradox of health”, New England Journal of Medicine, 1988, n. 318(7), pp. 414-418. 6 V. https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/noncommunicable-diseases 7 OECD/EU, Health at a Glance…, op.cit. 8 D.E. BLOOM, T. CAFIERO, E.T. JANÉ-LLOPIS, E.S. ABRAHAMS-GESSEL, L.R. BLOOM, S. FATHIMA, A.B. FEIGL, T. GAZIANO, M. MOWAFI, A. Pandya, K. PRETTNER, L. ROSENBERG, B. SELIGMAN, A. STEIN, C. WEINSTEIN, The Global Economic Burden of Non-communicable Diseases, Geneva: World Economic Forum, 2011. 9 V. https://data.worldbank.org/indicator/ny.gdp.mktp.cd

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solo pochi anni prima. Appare facilmente giustificabile, a fronte di tali cifre, la crescente pressione esercitata sui servizi sanitari nazionali affinché diventino più capaci nel rispondere alle esigenze dei pazienti cronici, delineando percorsi di cura più appropriati ed efficaci.

Tale esigenza è dettata dalla complessità delle patologie croniche, specialmente laddove si consideri che molti pazienti (uno su tre adulti) soffrono di più patologie croniche contemporaneamente10, e che tale condizione di multimorbidità comporta costi addizionali (fino a raddoppiare per ogni patologia, portando il costo complessivo per la gestione del paziente cronico a raggiungere 16 volte il costo di un paziente normale), maggiore consumo di farmaci (con un rischio di non-compliance con le terapie farmacologiche che cresce al crescere del numero di farmaci), e un maggiore consumo di servizi ospedalieri a fronte dell’aumentare del rischio di eventi acuti associati a una gestione sub-ottimale delle patologie11.

Allo stesso tempo, tenendo in considerazione che le patologie croniche sono considerate per lo più prevenibili12, e vengono sempre più associate (almeno in qualche misura) a fattori di rischio di natura comportamentale (p.e. consumo di tabacco, bevande alcoliche, insufficiente esercizio fisico, inadeguate abitudini alimentari, etc.), un ruolo sempre più importante sarà attribuito alla prevenzione, con campagne di sensibilizzazione, ma anche con stratificazione della popolazione per fattori di rischio, monitoraggio continuativo, e personalizzazione dei percorsi diagnostici sulla base di tali attività di “profiling”.

In tal senso, il paradigma della centralità del paziente, sostenuto dall’utilizzo più estensivo dei dati generati dal paziente stesso tramite nuovi dispositivi (wearable device, medical IoT, applicazioni mobili in grado di misurare parametri di salute, dati sull’attività fisica e sui comportamenti alimentari), appare offrire strumenti di grande utilità per rimodellare il servizio sanitario proprio per rispondere alle sfide dei prossimi decenni, da un lato aumentando il più possibile gli anni di vita “in salute”, e dall’altro offrendo sistemi innovativi per la gestione delle cronicità, anche tramite un rinnovato ruolo del paziente nella gestione autonoma delle proprie patologie.

Ne risulta una evoluzione del modello di offerta dei servizi sanitari da una fase centrata di fatto sugli ospedali, concentrata sulla cura delle acuzie - secondo un modello attendista (ovvero di attesa e di risposta all’evento patologico acuto) - a un modello basato su interazioni fra più provider sparsi sul territorio, principalmente concepito per ottimizzare la gestione delle condizioni croniche, fino ad arrivare a un modello pienamente centrato sul paziente e sulla prevenzione, con lo sfruttamento intensivo delle nuove risorse tecnologiche e una nuova alleanza terapeutica non solo con il paziente, ma ancor prima con il cittadino.

10 A. ADLER-WAXMAN, “This is the biggest challenge to our health,”, articolo per il World Economic Forum, dicembre 2017, cfr. https://www.weforum.org/agenda/2017/12/healthcare-future-multiple-chronic-disease-ncd/ 11 Ibid. 12 V. https://www.who.int/nutrition/topics/2_background/en/

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La nuova centralità del paziente - Data explosion e personalised medicine

Storicamente, il ruolo del paziente è stato sempre percepito come passivo, in virtù della generalmente accettata convinzione che fosse il clinico, e non già il paziente, ad essere nella posizione di conoscere quale fosse la migliore terapia per il male specifico che colpiva il paziente13. In tale contesto, il paziente doveva solo affidarsi alle mani competenti dello specialista, cooperando con questi al fine di un veloce recupero della sua salute14.

Tuttavia, l’approccio paternalistico ha lasciato spazio a nuove e diverse strategie di interazione medico/paziente, rese necessarie dal fatto che i pazienti sono divenuti man mano più istruiti e in condizione di interagire con i clinici, rendendo così possibile il passaggio da un sistema medico-centrico a un sistema paziente-centrico15, così il ruolo del paziente – e finanche il suo coinvolgimento diretto - nel processo di cura è stato oggetto di crescente attenzione.

La partecipazione attiva del paziente al processo di cura è una esigenza ormai chiaramente avvertita nel mondo dell’assistenza sanitaria. Una delle ragioni a sostegno di tale esigenza di partecipazione è che - come notato da David Cutler - il paziente è: «the single most unused person in health care»16. Tale osservazione diventa vieppiù significativa se vista

13 I. WEINHOLD, L. GASTALDI, “From Shared Decision Making to Patient Engagement in Health Care Processes: The Role of Digital Technologies” in, S. GURTNER - K. SOYEZ (ed. by), Challenges and Opportunities in Health Care Management, Springer, 2015, p.185 ss.. 14 D. BRODY, “The patient’s role in clinical decision-making”, Ann Intern Med 93(5), 1980, pp.718–722, 1980. 15 I. WEINHOLD, L. GASTALDI, From Shared Decision Making…, op. cit., p.186. 16 D. M. CUTLER, “Why Medicine Will Be More Like Walmart in”, MIT Technology Review, September 20, 2013, http://www.technologyreview.com/news/518906/why-medicine-will-be-more-like-walmart/.

Modello ospedale-centrico

• Focus sulla cura delleacuzie

• Scarsa scalabilità• Interazioni di breve

termine con i pazienti

Modello provider-centrico• Focus sul

miglioramento nellagestione dellepatologie croniche

• Scalabilità media• Interazione di medio

termine

Modello paziente-centrico• Focus sulla

prevenzione• Alta scalabilità• Interazione di lungo

termine, lungo l’interoarco della vita

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nell’ottica del recente riconoscimento (lungo il filone “the patient knows best”) del valore che il coinvolgimento del paziente può recare alla pratica clinica.

Negli ultimi anni si è dunque assistito a un processo di “ri-centralizzazione” del paziente nel processo di cura, fortemente accompagnato dalle tecnologie informatiche sempre più a disposizione (a basso costo e in maniera immediata).

Tale processo di ri-centralizzazione del paziente e “democratizzazione”17 della medicina – a lungo dibattuto nella letteratura specialistica - trova oggi concrete opportunità di dispiegarsi in tutto il suo potenziale, spinto da una serie di circostanze materiali che hanno reso possibile un cambiamento significativo nelle modalità operative di “produzione dell’offerta di salute”.

Fra detti elementi, il più significativo in assoluto è – come prima accennato - il prorompente ingresso delle tecnologie dell’informazione nelle vite quotidiane delle persone. In particolare, nell’ultimo decennio, si è visto fiorire un livello di accesso a informazioni e capacità di calcolo del tutto inedito, grazie al diffondersi globale di un dispositivo tecnologico il più velocemente adottato nella storia dell’uomo: lo smartphone.

Inoltre, sempre per il tramite di una nuova tecnologia e di questo dispositivo, un vasto mondo di applicazioni utili in ambito clinico è venuto formandosi, mettendo nelle mani dei pazienti strumenti innovativi per misurare, monitorare e conservare i propri dati clinici (tramite appositi strumenti connessi allo smartphone oppure tramite inserimento manuale di valori). Tale circostanza rappresenta un ulteriore importantissimo elemento propedeutico all’avvio della Medicina 2.0: una quantità enorme di dati – generati automaticamente dai pazienti e in maniera continuativa – finora sconosciuta alla pratica medica.

Tale esplosione di nuovi patient-generated data si è resa possibile grazie alla diffusione capillare degli smartphone, dalla disponibilità sempre crescente di accesso continuativo a internet, e dalla crescente disponibilità di applicazioni mobili in grado di raccogliere dati clinicamente rilevanti. Secondo le più recenti stime, nel 2018 ci sono 4 mld di utenti internet, 5 mld di utenti mobili, e 3 mld di utenti attivi su piattaforme social mobili18.

17 E. TOPOL, The patient will see you now: the future of medicine is in your hands, Basic Books, 2015. 18 N. MCDONALD, “Digital In 2018: World’s Internet Users Pass The 4 Billion Mark”, We Are Social, 30 January 2018, cfr. https://wearesocial.com/us/blog/2018/01/global-digital-report-2018.

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Nei prossimi anni agli smartphone saranno affiancati altri dispositivi, in quella che è la nuova era delle Internet of Things (IoT). Recenti statistiche19 indicano in 26 miliardi il numero di dispositivi IoT nel 2019. Questi includono dispositivi in una serie di contesti, dalle smart homes alle catene di produzione. Però, secondo alcune stime20, entro il 2020 il 40% delle tecnologie legate all’IoT saranno connesse alla salute, più di ogni altra categoria, formando un mercato di ben 117 miliardi di dollari, trasformando l’offerta di salute, riducendo i costi e le inefficienze e, allo stesso tempo, salvando vite umane. Non a caso, sono stata già coniate espressioni “Internet of Medical Thing” (IoMT), o medical Internet of Thing (mIoT).

Tutto ciò comporterà il verificarsi di un nuovo fenomeno: se oggi la maggior parte dei dati clinici o clinicamente rilevanti sono generati in ambito ospedaliero, nel prossimo futuro i dati generati direttamente dai pazienti saranno in numero sempre maggiore, e finiranno per superare quelli generati in ambito clinico.

Non sorprende che si sia pertanto parlato di “digitalizzare l’essere umano”21, usando nuovi dati a disposizione (dal genoma al battito cardiaco, a pressione, temperatura, glucosio nel sangue, etc.22), verso la creazione della nuova medicina.

Tali circostanze non potranno che portare a un importante cambio di paradigma che vede il paziente – concretamente empowered - al centro del processo clinico, nel pieno possesso e controllo dei suoi dati medici (che, anzi, contribuisce a produrre continuativamente) e con la capacità di analizzarli e ottenere informazioni mediche direttamente sul suo device personale, per il tramite di algoritmi specifici in grado di fornire informazioni diagnostiche di base (e finanche indicazioni cliniche preliminari) in tempo reale, senza neppure ricorrere alla consultazione di un medico, oppure ottenere assistenza clinica in remoto23.

In un simile contesto, non sorprende che i dati – già definiti petrolio in altri contesti – siano stati definiti il “nuovo sangue” per il sistema sanitario24, linfa vitale alla base di ogni applicazione digitale, dall’intelligenza artificiale ai digital therapeutics. È pertanto di fondamentale importanza trattare questa risorsa con le dovute cautele, garantendo il corretto uso dei dati, la privacy dei pazienti, la sicurezza sia nella conservazione che nella trasmissione, sempre con il primo obiettivo di migliorare i servizi e lo stato di salute del paziente. Oggi i dati si trovano isolati nei grandi silos degli ospedali, delle istituzioni pubbliche, dei centri di ricerca e delle aziende private, incapaci di muoversi dove 19 STATISTA, “Internet of Things (IoT) connected devices installed base worldwide from 2015 to 2025 (in billions)”, 2019, cfr. https://www.statista.com/statistics/471264/iot-number-of-connected-devices-worldwide/ 20 DIMITER D.V. DIMITROV, “Medical Internet of Things and Big Data in Healthcare”, Healthc Inform Res., 2016 Jul; n. 22(3), pp.156-63, cfr. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4981575/. 21 E.J. TOPOL, The creative destruction of medicine: How the digital revolution will create better health care, Basic Books, 2012, p.11. 22 Ibid. 23 E. TOPOL, The patient will see you now: the future of medicine is in your hands, Basic Books, 2015. 24 E. PERAKSLIS, A. CORAVOS, “Is health-care data the new blood?”, Lancet Digital Health, Maggio 2019.

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maggiormente necessari e difficili da utilizzare per progredire nelle attività di ricerca e sviluppo. I pazienti stessi hanno grandi difficoltà ad accedere e usare in modo sensato i loro dati clinici, pur trattandosi del loro stesso corpo. Senza profonde innovazioni nelle modalità di gestione dei dati, la grande rivoluzione digitale in medicina non potrà mai davvero prendere il largo. Nuovi modelli di gestione, accesso, scambio e uso dei dati – anche sulla base della General Data Protection Regulation – dovranno essere posti in essere per sfruttare appieno il potenziale dei dati come elemento fondamentale della nuova era della medicina digitale.

Il crescente ruolo delle tecnologie

A maggio 2019, la prestigiosa rivista medica Lancet ha lanciato un nuovo giornale, specificamente dedicato alla salute digitale25. Si tratta, se non altro, di una importante conferma della crescente – e sempre più dominante – importanza delle tecnologie digitali nel guidare l’evoluzione della medicina.

La medicina digitale – nel contribuire a riorganizzare i servizi sanitari – potrà anche migliorare la sostenibilità sul lungo periodo, migliorando la gestione delle risorse, i percorsi clinici, e la gestione dei pazienti (specie in caso di cronicità). Il ruolo del paziente, come già accennato, passerà – grazie alle tecnologie digitali – dall’essere un destinatario passivo dei servizi all’essere un soggetto sempre più attivo ed empowered, in grado di prendere parte al processo di cura in modo più sostanziale e continuativo, specialmente investendo sul mantenimento dello stato di salute sulla base di sempre più accurate informazioni sulla propria condizione fisica, accompagnata da sistemi intelligenti in grado di guidarci nella comprensione di questi dati e nella gestione della nostra salute. Seguendo un simile approccio, l’offerta di cure non sarà più limitata ai luoghi di cura classici (in ospedale o a livello territoriale) bensì seguiranno il cittadino/paziente ovunque questi si trovi.

Tutto questo sarà possibile in particolare grazie al consolidarsi di una serie di innovazioni di grande portata. La già citata crescente (e ubiqua) disponibilità di computer, smartphone e altri dispositivi, ha avuto l’effetto di aumentare sia la quantità di dati disponibili, sia la capacità di conservarli e analizzarli in maniera approfondita. La nuova – e sempre meno costosa – disponibilità di dati genetici, altri dati clinici, dati di imaging, combinata con la già citata mole di dati proveniente da sensori mIoT (wearable, mobile e ambientali), e l’uso più capillare di algoritmi basati su intelligenza artificiale, apre a nuove opportunità di comprensione del paziente individuale, coadiuvando il medico nella selezione delle più appropriate (e precise) diagnosi e interventi terapeutici.

25 “A digital (r)evolution: introducing The Lancet Digital Health”, v. www.thelancet.com/digital-health, Vol.1, May 2019.

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Un’analisi più approfondita dei trend nel settore intelligenza artificiale rivela un grande fermento in Europa, Asia e Stati Uniti, e diversi algoritmi testati in vari ambiti clinici. Mentre gli algoritmi continuano a migliorare continuamente, sfidando i medici in diversi settori26, la Federal Drug Administration americana ha già approvato una serie di algoritmi per l’uso in ambito medico, dal sistema Arterys - usato per l’analisi delle immagini cardiache - DreaMed - utilizzato per la gestione del diabete tramite monitoraggio continuativo dei livelli di glucosio - o Viz.ai, che analizza TAC per valutare la presenza di segni indicanti ictus. Ancor più interessante è l’approvazione da parte della FDA del sistema IDx – in grado di valutare la presenza di retinopatia diabetica negli adulti – il cui uso è stato autorizzato anche senza il vaglio di un clinico nella valutazione (o ri-valutazione) delle immagini27.

Molti altri centri in Europa e Stati Uniti stanno lavorando intensamente allo sviluppo di nuovi algoritmi in vari settori - anche facendo leva sulla crescente quantità e qualità dei dati - così da poter far prevedere un’esplosione di questi sistemi in ambito clinico nel periodo 2020-2025. Tuttavia, diverse questioni aperte dovranno essere risolte prima di vedere un uso massivo e sicuro di questa tecnologia, laddove – insieme all’innovazione – vengono altresì spesso scoperte vulnerabilità che potrebbero compromettere la sicurezza di questi strumenti in ambito clinico (ad esempio, un recente studio ha dimostrato come sia possibile – senza particolari sforzi – ingannare un algoritmo di analisi delle immagini in un modo che sia impercettibile per l’uomo, portando a una manipolazione dei risultati e conseguente suggerimento di procedure in realtà non giustificate28).

Un altro settore di grande interesse è quello afferente alla realtà aumentata (AR) e virtuale (VR), tecnologie che trovano applicazione in diversi ambiti e che – grazie alla sempre maggiore disponibilità (e minore costo) dei visori – saranno sempre più alla portata di medici e pazienti. Esempi interessanti in questo senso apparsi in ambito educativo (per esempio il sistema HoloAnatomy29, basato su Microsoft HoloLens, che consente la visualizzazione in 3D di parti anatomiche in grande dettaglio), ma anche in ambito clinico,

26 Per un aggiornamento continuo dello stato di questa “sfida”, la rivista specializzata IEEE Spectrum ha messo online una mappa delle applicazioni di intelligenza artificiale accompagnata da una descrizione visuale di chi – macchina o medico – “performa” meglio in determinati ambiti. La mappa è disponibile qui: “AI vs. Doctors - Artificial intelligence is challenging doctors on their home turf. We’re keeping score,”, cfr. https://spectrum.ieee.org/static/ai-vs-doctors 27 “FDA permits marketing of artificial intelligence-based device to detect certain diabetes-related eye problems,” Fda News Release, aprile 2018. 28 C. Q. CHOI, “Medical Imaging AI Software Is Vulnerable to Covert Attacks - An attacker could manipulate medical software to rig a clinical trial or justify unnecessary procedures”, IEEE Spectrum, giugno 2018, cfr. https://spectrum.ieee.org/the-human-os/biomedical/imaging/medical-imaging-ai-software-vulnerable-to-covert-attacks . 29 V. https://www.microsoft.com/en-us/p/holoanatomy/9nblggh4ntd3?activetab=pivot:overviewtab

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come i sistemi AccuVein30 (in grado di proiettare sopra la pelle dei pazienti la posizione delle vene, per facilitare i test del sangue o applicare flebo) e il sistema OpenSight31, approvato dalla FDA, utile per la pianificazione di interventi chirurgici, consentendo al chirurgo di visualizzare in 3D le immagini del paziente sovrapposte al paziente stesso.

Quanto ai sistemi di realtà virtuale, molti sono gli utilizzi immaginati specialmente in ambito riabilitativo, consentendo ai pazienti di muoversi in spazi virtuali anche se fisicamente costretti in ambienti specifici o di effettuare movimenti in un ambiente stimolante da un punto di vista visivo, ma anche in ambito terapeutico, specialmente nel settore della salute mentale. Non mancano esempi anche nel settore del training dei futuri medici in ambienti operativi.

Il settore della genomica è un altro settore molto interessato dalla rivoluzione digitale in corso. Se fino a poco tempo fa il costo di un sequenziamento genomico era proibitivo anche per centri di ricerca specializzati, l’abbattimento dei costi intervenuto negli ultimi quindici anni ha consentito il lancio di diverse iniziative commerciali nel settore, portando l’analisi genetica a milioni di consumatori a costi del tutto sostenibili. Esempi di grande successo sono 23andme e Ancestry. Tali tendenze appaiono in linea con la recente iniziativa dell’Unione Europea “1+MillionGenomes”, lanciata con la dichiarazione: Verso l’accesso ad almeno un milione di genomi sequenziati nell’Unione Europea entro il 202232, che ha stabilito l’intento di migliorare prevenzione, diagnosi e cura rendendo via via più disponibili dati genomici da usare in combinazione con i dati clinici già in uso, al fine di migliorare la vita dei cittadini.

Allo stesso tempo, queste innovazioni pongono problemi non trascurabili di privacy, laddove non soltanto l’uso inappropriato dei dati può portare alla re-identificazione dei cittadini (dei quali sarebbero esposte informazioni massimamente riservate), ma anche considerando l’atteggiamento delle sopra citate società private, che stringono accordi milionari con aziende farmaceutiche lucrando sui dati dei loro clienti33. Questi atteggiamenti hanno naturalmente fatto scaturire le preoccupazioni degli utenti, aumentando il livello di diffidenza e di fatto scoraggiando il ricorso a simili soluzioni. Di grande interesse in questo senso sono nuove iniziative, come Nebula Genomics, che adottano la tecnologia blockchain per garantire la proprietà e il controllo diretto dei dati genetici ai clienti stessi, in tal modo aprendo il campo a un uso più responsabile e

30 V. https://www.accuvein.com/why-accuvein/ar/ 31 V. https://www.novarad.net/products/opensight/ 32 Declaration Of Cooperation - Towards access to at least 1 million sequenced genomes in the European Union by 2022, aprile 2018, per scaricare la dichiarazione v. in fondo a questa pagina: https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/eu-countries-will-cooperate-linking-genomic-databases-across-borders. 33 Come è successo con l’accordo - per 300 milioni di dollari - fra 23andme e GlaxoSmithKline, per il ri-uso dei dati per sviluppare nuovi farmaci.

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trasparente di questi dati e dunque, incoraggiando i cittadini a considerare con più fiducia opzioni commerciali di sequenziamento genomico.

Altro settore di grande interesse è quello dei c.d. Digital Therapeutics, terapie digitali basate sull’uso di smartphone (anche in combinazione con altri wearable devices), che possono coadiuvare o finanche sostituire un trattamento tradizionale. A differenza di altre app che gravitano nel mondo della salute, siamo qui in presenza di veri e propri “medicinali digitali”, il cui “principio attivo” è costituito da uno strumento digitale, che interviene direttamente sulla patologia, in sostituzione o in aggiunta ad altre terapie. Tali strumenti vengono direttamente dal medico e – in alcuni paesi – sono pagati dai sistemi sanitari nazionali o dalle assicurazioni sanitarie private. L’elemento della coperture dei costi da parte dei sistemi sanitari nazionali costituisce peraltro un’ulteriore garanzia della validità e sicurezza del dispositivo medico digitale. Pertanto – sempre a differenza delle app di wellness, al massimo utili alla prevenzione – tali strumenti si basano grandemente sugli sviluppi della intelligenza artificiale e la capacità di effettuare analisi di dati ad un livello del tutto sconosciuto solo dieci anni fa. Sono accompagnamento e guida a sostegno di altre terapie (per esempio app che ci aiutano nell’aderenza a una data terapia farmacologica), e digital therapeutics che costituiscono autonomamente una forma di cura, sostitutiva rispetto a quelle tradizionali34.

In conclusione, si può affermare che il processo di trasformazione digitale nel settore salute si è ormai avviato e consolidato, tanto da poter dire che siamo giunti alla “fine dell’inizio”35, laddove la pervasività delle tecnologie, la loro usabilità in vari ambiti clinici, e il risultante nuovo ruolo dei pazienti, non potranno che portare ad una piena adozione delle opportunità derivanti dalle tecnologie digitali nel prossimo futuro, rendendo quotidiano l’uso delle stesse in vari contesti di prevenzione e cura.

Salute digitale in Italia

Tali ultimi strumenti sono di particolare interesse non soltanto perché tendono a offrire un valido supporto alla gestione di patologie croniche (e anche per la salute mentale), coprendo un’area dove ampi sono i margini di miglioramento degli attuali servizi sanitari, ma anche in virtù del fatto che essi consentono di ridurre il carico di lavoro per i medici e diminuire la spesa connessa ad altre forme di trattamento. A questi sistemi, già di grande interesse, si andranno ad aggiungere una serie di altre applicazioni e strumenti, che faranno leva sui nuovi wearable devices (si pensi all’Apple Watch di nuova generazione) in grado di 34 M. JOYCE, O. LECLERC, K. WESTHUES, H. XUE, “Digital Therapeutics – ready to take off”, McKinsey Company, February 2018, cfr. https://www.mckinsey.com/industries/pharmaceuticals-and-medical-products/our-insights/digital-therapeutics-preparing-for-takeoff. 35 Come suggerito dal recente libro di L. Engelen, uno dei maggiori esperti di eHealth in Europa, dal titolo Augmented Health(Care), pubblicato nel 2018.

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raccogliere e analizzare con precisione specifici dati clinici, cui presto si assoceranno anche app “chatbot” in grado di offrire ai pazienti una prima valutazione dei sintomi.

Peraltro Apple - a parte il già menzionato orologio con funzioni avanzate (elettrocardiogramma) - aveva già da tempo avviato un’iniziativa nel settore salute con l’Apple “Health Kit”. Si pone pertanto la necessità di porre in essere percorsi formali di design, sviluppo e validazione delle nuove soluzioni tecnologiche, tenendo conto dei bisogni degli utenti, valutando i sistemi dal punto di vista tecnologico, clinico, dell’usabilità e del costo-beneficio36.

In questo senso, la creazione di hub pubblico-privati per la sperimentazione di tecnologie digitali in specifici ambiti e specifiche realtà territoriali, realizzati anche sulla base delle caratteristiche e le problematiche di un dato territorio, potrebbe rivelarsi una mossa vincente per avviare l’evoluzione del sistema minimizzando il rischio di resistenze.

Quanto all’Italia, appaiono incoraggianti i dati emersi dallo stesso rapporto dell’Osservatorio, che rivela un’accelerazione della spesa in tecnologie e digitale, salita del 7% nel 2018 rispetto all’anno precedente, con una spesa complessiva di 1,39 miliardi (di cui 7 milioni per l’intelligenza artificiale)37. Interessante lo stato di avanzamento del Fascicolo Sanitario Elettronico (elemento abilitante per tutte le innovazioni tecnologiche di cui si discuterà più avanti), ormai adottato in tutte le regioni italiane (tranne la Calabria) sebbene solo il 20% della popolazione italiana abbia dato il consenso alla sua attivazione (anche in considerazione del fatto che solo il 21% della popolazione dichiara di averne sentito parlare)38.

Come correttamente affermato nel rapporto 2019 del Politecnico di Milano sulla Sanità Digitale39: “Le tecnologie digitali garantiscono la realizzazione di una modalità operativa a rete, facilitando l’integrazione tra le varie figure deputate all’assistenza e all’erogazione dei servizi. In particolare, nell’integrazione ospedale/territorio e nelle nuove forme di aggregazione delle cure primarie, la Telemedicina può giocare un ruolo fondamentale”.

Vale qui la pena anche citare brevemente i dati emersi dall’ultimo rapporto Gimbe40 che conferma - per l’anno 2017 - sprechi in ambito sanitario per circa 21 miliardi di € (il 19% della spesa sanitaria pubblica). Di questi 21 miliardi, circa 6,5 sono attribuibili a sovra-utilizzo (“Prescrizione/erogazione di interventi sanitari: preventivi, diagnostici, terapeutici, assistenziali, organizzativi, riabilitativi, palliativi, educazionali); i cui 36 S.C. MATHEWS, M.J. MCSHEA, C.L. HANLEY, A. RAVITZ, A.B. LABRIQUE, A.B. COHEN, “Digital health: a path to validation”, npj Digital Medicine, 2019, n. 2(1), p. 38 ss.. 37 Ibid. 38 Ibid. 39 Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità, Connected Care: il cittadino al centro dell’esperienza digitale, Politecnico di Milano, 21 maggio 2019. 40 GIMBE, 4° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, giugno 2019.

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potenziali rischi sono maggiori dei benefici (value negativo), i benefici sono minimi rispetto ai costi sostenuti (value basso) oppure i benefici non sono noti (value sconosciuto); e circa 3,2 sono attribuibili al sotto-utilizzo (“Sotto-utilizzo di interventi sanitari: preventivi, diagnostici, terapeutici, assistenziali, organizzativi, riabilitativi, palliativi, educazionali, dal value elevato: efficaci, appropriati e dal costo adeguato rispetto alle alternative”). Combinate, queste due voci raggiungono circa il 50% di tutti gli sprechi di risorse e rappresentano il settore elettivo di intervento per l’innovazione, per migliorare l’appropriatezza, personalizzare le cure e sfruttare al massimo i nuovi strumenti tecnologici per migliorare gli outcome e ottimizzare il consumo di risorse.

In ogni caso, il processo di trasformazione digitale nel settore salute si è ormai avviato e consolidato, tanto da poter dire che siamo giunti alla “fine dell’inizio”41, laddove la pervasività delle tecnologie, la loro usabilità in vari ambiti clinici e il risultante nuovo ruolo dei pazienti, non potranno che portare ad una piena adozione delle opportunità derivanti dalle tecnologie digitali nel prossimo futuro, rendendo quotidiano l’uso delle stesse in vari contesti di prevenzione e cura.

L’innovazione in ambito farmaceutico e i relativi problemi di sostenibilità

La conoscenza e i dati che si sono andati accumulando, specialmente estratti dai dati personali dei pazienti sempre più connessi e disponibili, nonché dalla crescente conoscenza della genetica e della metagenomica, avranno un importante impatto sullo sviluppo di nuove medicine e terapie (di cui si dirà più diffusamente nel capitolo 3).

Allo stesso tempo, se oggi ci vogliono 17 anni per portare una nuova scoperta all’uso clinico in larga scala42, la bioinformatica promette di ottimizzare i processi di scoperta e validazione, proprio tramite l’uso di questi dati, la loro combinazione, e l’accresciuta conoscenza medica che ne deriva.

Da tali premesse, sono scaturite importanti innovazioni in ambito farmaceutico, con il lancio, negli ultimi anni, di molti nuovi farmaci dalla grande efficacia, in grado di curare pazienti, liberandoli da patologie invalidanti o croniche, precedentemente trattati, laddove un trattamento era disponibile - con terapie invasive e molto dolorose per il paziente, molto spesso per tutto l’arco della loro vita.

Esempi lampanti di questo processo di innovazione sono il farmaco Sovaldi, il medicinale che ha rivoluzionato il trattamento dell’epatite C, registrando tassi di successo del 90%. Un

41 Come suggerito dal recente libro di L. Engelen, uno dei maggiori esperti di eHealth in Europa, dal titolo Augmented Health(Care), pubblicato nel 2018. 42 C.P. FRIEDMAN, A.K. WONG, D. BLUMENTHAL, “Achieving a nationwide learning health system”, Sci. Transl. Med. , 2010, n. 2(57), p.57. ss..

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altro esempio di innovazione farmacologica efficace ma costosa è costituito dai farmaci immuno-oncologici, in grado di agire sul sistema immunitario dell’organismo - mettendolo nelle condizioni di riconoscere le cellule tumorali e dunque di attaccarle, consentendo altresì di tenerne sotto controllo la crescita talvolta per molti anni dopo la sospensione della terapia.

Le nuove terapie geniche, di cui si dirà diffusamente nel capitolo 3, sono un altro chiaro esempio dell’innovazione che sta avvenendo in ambito farmaceutico.

Farmaci come Strimvelis (prima terapia genica ex vivo al mondo ad ottenere approvazione regolatoria43) e Zolgensma (di recente approvato dalla FDA44) sono in grado di curare - con tassi di successo molto positivi - patologie rare altamente debilitanti (rispettivamente immunodeficienza grave combinata da deficit di adenosina deaminasi (ADA-SCID) e atrofia muscolare spinale), in una singola somministrazione.

Valutatori esterni - a cui il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) britannico aveva affidato una valutazione di Strimvelis, in comparazione con le terapie alternative (in particolare con il trapianto di cellule staminali ematopoietiche) - concludeva che il farmaco dovrebbe essere raccomandato per il trattamento della ADA-SCID ogni qual volta non ci sia un donatore correlato compatibile45. Il NICE stesso, in una sua linea guida46, ha riconosciuto che il farmaco porta: “significant QALY gains of at least 14 QALYs”, se comparato con il trapianto da donatore non correlato, e che esso sia in grado di apportare importanti miglioramenti terapeutici e altri benefici non misurabili nell’analisi economica e quindi, che fosse da considerare una valida alternativa nonostante gli alti costi e le scarse evidenze cliniche47.

Allo stesso tempo, come le tecnologie digitali, anche per le nuove terapie geniche si sono posti problemi di validazione clinica (per la difficoltà di procedere secondo i normali 43 A. AIUTI, M.G. RONCAROLO, L. NALDINI, "Gene therapy for ADA-SCID, the first marketing approval of an ex vivo gene therapy in Europe: paving the road for the next generation of advanced therapy medicinal products", EMBO molecular medicine, 2017, n. 9.6, pp. 737-740. 44 A. DEARMENT, “FDA approves Novartis gene therapy Zolgensma for spinal muscular atrophy,”, MedCityNews, aprile 2019, https://medcitynews.com/2019/05/fda-approves-novartis-gene-therapy-zolgensma-for-spinal-muscular-atrophy/?rf=1 . 45 E. SOUTH, E. COX, N. MEADER, N. WOOLACOTT, S. GRIFFIN, “Strimvelis® for Treating Severe Combined Immunodeficiency Caused by Adenosine Deaminase Deficiency: An Evidence Review Group Perspective of a NICE Highly Specialised Technology Evaluation”, PharmacoEconomics-open, 2019, n. 3(2), pp. 151-161. 46 NATIONAL INSTITUTE FOR HEALTH AND CARE EXCELLENCE (NICE), Strimvelis for treating adenosine deaminase deficiency–severe combined immunodeficiency - Highly specialised technologies guidance, 7 febbraio 2018., https://www.nice.org.uk/guidance/hst7. 47 Dovute allo scarso numero di pazienti su cui svolgere studi clinici. Un nuovo studio clinico per valutare l’impatto a lungo termine di Strimvelis è attualmente in corso al San Raffaele di Milano, si veda H. STIRNADEL-FARRANT, M. KUDARI, N. GARMAN, J. IMRIE, B. CHOPRA, S. GIANNELLI...& M.P. CICALESE, “Gene therapy in rare diseases: the benefits and challenges of developing a patient-centric registry for Strimvelis in ADA-SCID”, Orphanet journal of rare diseases, 2018, n.13(1), p. 49. ss..

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protocolli di ricerca clinica, come si dirà nel capitolo 3), e problemi di sostenibilità, sia per le casse dello stato che per le aziende farmaceutiche stesse.

In particolare, rispetto ai problemi di sostenibilità, tutti i farmaci sopra elencati sono accumunati dalla caratteristica di essere particolarmente costosi: il Sovaldi si attesta su circa 40 mila euro per trattamento; gli immuno-oncologici presentano costi di trattamento fra i 20 e i 40 mila dollari annui; mentre solo qualche anno fa il farmaco Provenge - per il trattamento del cancro alla prostata - è stato approvato negli Stati Uniti con un costo di 93.000$ per trattamento48. I citati Strimvelis e Zolgensma si attestano rispettivamente sui 665,000$ per il primo49 e 2.125 milioni di dollari per il secondo (o 425.000$ per anno di trattamento)50.

Si tratta, ovviamente, di costi in grado di mettere sotto pressione i sistemi sanitari nazionali, ponendo importanti questioni di sostenibilità e conducendo – in determinate circostanze – a ritenere non cost-effective questi trattamenti (pure in presenza di evidenti benefici clinici, come è stato nel caso del farmaco Yescarta51). Naturalmente, come si dirà più estesamente nel capitolo 5, è molto difficile svolgere analisi di costo-efficacia per questi nuovi farmaci, anche considerata la difficoltà di valutare tutti i vantaggi economici derivanti dalla loro adozione (non soltanto in termini di riduzione nell’uso di altre risorse sanitarie, ma anche – per esempio – del miglioramento della qualità di vita generale dei pazienti, della loro capacità di rimanere attivi), a fronte degli alti costi del singolo trattamento.

Il problema non è solo dei sistemi sanitari nazionali, ma anche delle stesse case farmaceutiche. Un analista di Goldman Sachs si era di recente posto il problema della sostenibilità delle terapie geniche in termini di profitti, concludendo che farmaci e terapie in grado di curare i pazienti in una singola seduta (o in un ciclo breve di terapie) difficilmente consentirebbero alle società farmaceutiche di generare profitti sostenuti nel medio-lungo periodo, specialmente in presenza di trattamenti per patologie rare52.

48 Ibid. 49 A. REGALADO, “When curing a disease with gene therapy is bad business,”, MIT Technology Review, 12 aprile 2018, https://www.technologyreview.com/s/610873/the-gene-therapy-that-cures-bubble-boy-disease-isnt-worth-it-to-glaxo/. 50 A. DEARMENT, “FDA approves Novartis gene therapy Zolgensma for spinal muscular atrophy,”, MedCityNews, 24 maggio 2019, https://medcitynews.com/2019/05/fda-approves-novartis-gene-therapy-zolgensma-for-spinal-muscular-atrophy/. 51 Il già citato NICE britannico ha concluso, in un recente rapporto, che il farmaco Yescarta - usato per il trattamento del linfoma diffuso a grandi cellule B - sebbene efficace nell’aumentare la sopravvivenza di pazienti terminali, non rientrasse nei parametri normali di cost-effectiveness tali da essere coperto dal sistema sanitario nazionale, finendo per non raccomandarne l’uso per nuovi pazienti. Si veda G. MIGLIERINI, “The sustainability of the business model for advanced therapies”, Pharma World magazine, settembre 2018, https://www.pharmaworldmagazine.com/the-sustainability-of-the-business-model-for-advanced-therapies/ 52 A. REGALADO, “When curing a disease with gene therapy is bad business,”, MIT Technology Review, aprile 2018, art.cit..

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In un tale contesto, nuove modalità di pagamento di queste innovazioni terapeutiche, e nuovi modelli di collaborazione fra industria e servizi sanitari nazionali potrebbero essere d’aiuto per risolvere questa problematica e rendere fruibili le nuove terapie disponibili al maggior numero possibile di pazienti, con vantaggio per i pazienti stessi, i sistemi sanitari e le società private.

In questo senso, si è iniziata a delineare l’esigenza di passare a modelli diversi di protezione della proprietà intellettuale (come il “fondo premio per la ricerca medica” proposto da Stigliz53), ancora in grado di premiare l’innovazione senza - tuttavia - ingessarla con meccanismi di protezione e rendita che molti attribuiscono al sistema dei brevetti54 .

Su questa linea si è mosso il Consorzio PerMed nella sua Agenda strategica, laddove afferma che «nuovi modelli di definizione dei prezzi e dei meccanismi di rimborso devono essere discussi […]. I meccanismi di rimborso devono garantire una giusta ricompensa per gli investimenti in ricerca compiuti e i connessi rischi sostenuti dai produttori, garantendo altresì l’accessibilità a tali innovazioni per tutti i pazienti»55.

53 J.E. STIGLITZ, “Give prizes not patents,”, NewScientist, 16 September 2006, http://keionline.org/misc-docs/giveprizesnotpatents.pdf; Id., “Innovation: A better way than patents”, New Scientist, 17 September 2006, p.21, https://www.newscientist.com/article/dn10090-innovation-a-better-way-than-patents/. 54 M. BOLDRIN and, D. K. LEVINE, “The Case against Patents.”, Journal of Economic Perspectives, 2013, n. 27(1):), pp. 3-22, 2013; E. Budish, B.N. Roin, H. Williams, “Do fixed patent terms distort innovation? Evidence from cancer clinical trials”, NBER, September 5, 2013. 55 PERMED, Shaping Europe’s Vision for Personalised Medicine - Strategic Research and Innovation Agenda (SRIA), June 2015, https://www.permed2020.eu/_media/PerMed_SRIA.pdf; si veda anche il sito sotto l’egida della Commissione Europea: https://www.permed2020.eu/.

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CAPITOLO 2

BIG DATA, INTELLIGENZA ARTIFICIALE, DLTS, MEDICAL IOT IN SANITÀ di

Mirko De Maldè

I pazienti, le nuove fonti di dati, e i nuovi modelli di data management

Il primo e più importante fenomeno in grado di abilitare tutti i cambiamenti e le promesse della medicina digiale è quello della cosiddetta “Big Data Explosion” che ha colpito la medicina: con i suoi 150 exabyte56 di dati raccolti a livello globale ogni anno57, la salute è di certo un chiaro esempio di tale fenomeno, che ha conosciuto un crescendo esponenziale negli ultimi dieci anni58. Questo fenomeno manterrà i ritmi seguiti finora nel prossimo futuro, e probabilmente conoscerà nuova crescita esponenziale, grazie ai nuovi dati che emergeranno dalla cosiddetta “pan-omica”, oltre che dalla smisurata mole di dati che proverranno da diverse fonti quali sensori, device mobili, social network e Internet of Things59,60.

56 L’exabyte (col prefisso exa che esprime la sesta potenza di 1000) equivale a un trilione di byte (1018). Per avere un termine di paragone, basti pensare che la stima fatta per quantificare la somma di tutto il materiale stampabile del mondo è di soli 5 exabyte. Si inizia tuttavia già a discutere di Zettabyte (1021 bytes), che corrisponde a circa 180 milioni di volte le documentazioni conservate nella Biblioteca del Congresso di Washington. 57 Transforming Health Care through Big Data: Strategies for leveraging big data in the health care industry, New York: Institute for Health Technology Transformation, 2013. La stima si riferisce al 2011. 58 P. PRANAV, R. ROHIT, S. RADHIKA, M. MAHESH, “Big Data in Healthcare,”, IJRIT International Journal of Research in Information Technology, vol. 2/2, February 2014, pp. 202-208. «Nel 2005, solo il 30% dei medici usava electronic medical records ma alla fine del 2011, più del 50% dei medici e il 75% degli ospedali ha adottato questa nuova tecnologia». 59 «I dispositivi mobili di uso quotidiano, come gli smartphone, forniscono un enorme flusso di dati riguardanti la vita delle persone e i loro comportamenti. Combinati con i dati clinici già esistenti, questi dati potrebbero molto migliorare le possibilità di predirrepredire condizioni di salute a lungo termine, prevenire le patologie, migliorare gli strumenti di cura e facilitare/ottimizzare l’accesso alle cure». A. PENTLAND, T. G REID, T. HEIBECK, Big Data and Health - Revolutionizing medicine and Public Health, Report of the Big Data and Health Working Group, 2013, https://kit.mit.edu/sites/default/files/documents/WISH_BigData_Report.pdf.

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Per questo motivo, si è parlato di Big Data Healthcare, anche considerando che la natura dei dati medici prodotti nei diversi contesti di cura rispondono senz’altro alle caratteristiche tipiche del fenomeno Big Data61, le cosiddette 5V (ovvero volume, velocità, varietà, veracità e valore).

Inoltre, è stato stimato che l’80% dei dati medici prodotti sono non strutturati (p.es, messaggi email, foto, note dei medici, etc.)62, e che tale percentuale è destinata ad aumentare con l’avvento dei dati proveniente dalle nuove fonti di dati sopra citate, rafforzando il trend già avviato di «a shift in data type from structure-based to semi-structured based and unstructured data»63.

Questa grande quantità di dati, per diventare utile sia al medico che al paziente, avrà bisogno del perfezionamento di specifiche tecnologie Big Data, in grado di integrarsi nei correnti sistemi informativi sanitari (Health Information System) e nei sistemi di supporto alla decisione clinica (Clinical Decision Support System – CDSS), rendendo possibile l’uso di quella enorme mole di dati eterogenei (dai dati di imaging, alle cartelle cliniche, ai testi di varia natura, ai dati proveniente dai sensori, etc.), tramite soluzioni software dedicate in grado di processare questi dati e gestirli, combinarli e estrarne nuova conoscenza, per l’ottimizzazione delle cure e la riduzione degli errori medici, garantendo una solida integrazione nei normali processi di decisione clinica64.

Tuttavia, è stato opportunamente notato che il campo medico – sebbene stia recuperando terreno negli ultimi anni - è ancora in ritardo nel raccogliere pienamente i potenziali benefici di una piena applicazione di simili tecnologie65, specialmente laddove si voglia fare un comparazione con altri settori dove invece l’uso di enormi mole di dati per il miglioramento dei servizi è ormai del tutto consolidato66 (si pensi, su tutti, al settore di commercio al dettaglio, specialmente online, che ormai poggia buona parte delle proprie strategie sulla cosiddetta profilazione dei consumatori).

60 L. WANG, R. RANJAN, J. KOŁODZIEJ, A. ZOMAYA, L. ALEM, “Software Tools and Techniques for Big Data Computing in Healthcare Clouds”, Future Generation Computer Systems, International Journal of eScience, 11/2014. 61 E. MORLEY-FLETCHER, Big Data Healthcare - An overview of the challenges in data intensive healthcare, 2014. 62 Data-Driven Health Care, MIT Technology Review Business report, Vol. 117, No. 5. 63 Y. WANG, L. KUNG, C.C. TING, T.A. BYRD, Beyond a Technical Perspective: Understanding Big Data Capabilities in Health Care, Proceedings of 48th Annual Hawaii International Conference on System Sciences (HICSS), Kauai, Hawaii, January 5-8, 2015: “Semi structured data: home monitoring, telehealth, sensor-based wireless devices; unstructured data: transcribed notes, images, and video”. 64 L. WANG ET AL., Software Tools and Techniques for Big Data Computing in Healthcare Clouds, op. cit.. 65 Y. WANG ET AL., Beyond a Technical Perspective…, op. cit. 66 D. NILAY, P. SHAHJYOTISHMAN, “Why Health Care May Finally Be Ready for Big Data”, Harvard Business Review, December 3, 2014.

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Ciò che appare ancora un tassello mancante, in particolare, è la interoperabilità di dati provenienti da fonti diversificate, le quali contribuiscono ad alimentare il sistema67.

Allo stesso tempo, per migliorare concretamente le c.d. Big Data Capability68, ulteriori tecnologie informatiche necessitano di essere sviluppate o perfezionate (come, ad esempio, software di knowledge discovery, profilazione dei pazienti, riconoscimento di forme, correzione e controllo automatico dei dati, fino alle tecnologie di deep learning69), per rendere effettivamente possibile un uso clinicamente sensato dei dati.

Al di là – tuttavia – di questi necessari ulteriori sviluppo, e degli attuali limiti della tecnologia, è fuor di dubbio che è proprio questa inedita quantità di dati, proveniente anche da nuove fonti più direttamente collegate alla quotidianità dei pazienti – sia di fatto l’elemento di base che ha fatto scaturire queste nuove opportunità. Così come è altresì chiaro che l’esplorazione delle piene potenzialità dello sfruttamento di questi nuovi dati sarà al centro dell’evoluzione della pratica medica nel prossimo futuro.

Con dati a nostra disposizione, la conoscenza accessibile su internet, l’ubiquità delle prestazioni consentita dalle tecnologie, l’esistenza di algoritmi sufficientemente avanzati per poter analizzare specifici dati e fornire utili indicazioni al paziente, saremo in grado di ottenere prestazioni mediche in un modo completamente nuovo: in tele-presenza, o chiedendo a una community di pazienti simili a noi, o chiedendo un secondo parere a medici specializzati in una specifica patologia ma non vicini geograficamente, recandoci solo quando realmente necessario nelle strutture di cura più appropriate a rispondere al nostro bisogno di assistenza.

Tutto questo sarà reso possibile dall’insieme dei nostri dati, dalle immagini ai test di laboratorio, dalla sequenza genomica ai dati proveniente dai nostri sensori, che verranno accumulati lungo l’intero arco della nostra vita. In tal senso, le categorie di dati medici non rientrano solo nella definizione dei big data: dal momento che tali dati vengono raccolti longitudinalmente lungo il corso dell’intera vita dell’individuo, sarebbe in effetti più appropriato parlare di “long data”70.

67 Ibid. 68 Definita come la capacità di gestire un grande volume di dati diversi fra loro, consentendo una analisi in tempo reale e la produzione di feedback su questi dati. 69 La tecnologia di deep learning è stata menzionata fra le 10 Breakthrough Technologies 2013 della MIT technology review. Seguendo la definizione datane dal CEO della società statunitense Enlitic, Jeremy Howard: «Deep learning è un algoritmo ispirato al modo in cui funziona il cervello umano, risultando in un algoritmo che non ha limitazioni teoriche rispetto a quello che è in grado di poter fare» (la definizione è stata citata nella conferenza The wonderful and terrifying implications of computers that can learn, TEDx Conference, Bruxelles, 2014). 70 L.J. KISH, E.J. TOPOL, “Unpatients - why patients should own their medical data”, Nature biotechnology, 2015, n. 33.9, pp. 921-924.

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Tuttavia, per dispiegare fino in fondo il potenziale proveniente dalla sempre maggiore e sempre più capillare disponibilità di dati, sarà sempre più necessario cambiare profondamente la modalità con cui sono gestiti e conservati i dati dei pazienti. Oggi, come è noto, i dati sono raccolti e conservati in silos isolati, ognuno gestito da un ospedale o fornitore di servizi sanitari con cui interagiamo nel corso della nostra vita. Spesso all’interno di una stessa struttura clinica dati diagnostici di diverso tipo non sono connessi fra loro. Dati proveniente di analisi di laboratorio o visite specialistiche non finiscono automaticamente nel sistema gestionale del nostro ospedale o del nostro medico di fiducia, ma rimangono isolati nei rispettivi database senza capacità di interagire gli uni con gli altri.

Sebbene una delle motivazioni principali per giustificare un simile approccio risieda nell’esigenza di assicurare la sicurezza dei dati, rimane vero che i pirati informatici sono riusciti con relativa facilità ad accedere abusivamente a circa 100 milioni di dati medici nella prima metà del 201571, e hanno continuato indisturbati per tutti gli anni a seguire concentrandosi sempre di più su strutture cliniche spesso incapaci di proteggersi e di aggiornarsi adeguatamente (si ricordi, per esempio, il recente caso del malware Wannacry, che ha colpito – fra gli altri – molti centri clinici in Regno Unito, facendoli ritornare d’improvviso a un’epoca pre-digitalizzata, e causando ritardi nella prestazione di cure, rinvii di interventi anche urgenti, e vari altri disagi ai pazienti e alle strutture. Dopo le indagini, si è concluso che gli hacker avevano sfruttato una vulnerabilità nota di Windows che le strutture cliniche non avevano sanato con gli appositi aggiornamenti di sistema).

Tale circostanza reca un grave danno tanto al paziente quanto ai sistemi sanitari: i pazienti non ottengono, a causa di questo mancato collegamento e uso di dati provenienti da più fonti, le diagnosi o le terapie più appropriate alla loro condizione, al loro profilo di rischio e alle loro predisposizioni genetiche. I sistemi sanitari, allo stesso tempo, perdono l’occasione di ottimizzare e personalizzare le cure, ottenendo maggiore appropriatezza e adeguatezza delle cure e risparmiando risorse importanti, usando in maniera combinata i dati provenienti dalle varie fonti.

Allo stesso tempo, il mancato accesso tempestivo ai dati può finire col causare un grave danno al paziente. Stando a un recente rapporto del Dipartimento della Salute statunitense, circa il 20% degli errori medici prevenibili sono dovuti all’impossibilità di accedere alle informazioni mediche72.

71 K. COLLINS, “A quick guide to the worst corporate hack attacks”, Bloomberg, 18 March 2015, http://www.bloomberg.com/graphics/2014-data-breaches/. 72 K.M. FICKENSCHER, “President's column: interoperability - the 30% solution: from dialog and rhetoric to reality”, Journal of the American Medical Informatics Association, 2013, n. 20.3, pp. 593-594, http://jamia.oxfordjournals.org/content/20/3/593.full.

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Tale situazione diverrà ancor più grave con il consolidarsi di flussi di dati provenienti direttamente dai pazienti tramite dispositivi mobili, medical IoT, e applicazioni mobili medicali. Si tratta di flussi che potrebbero fornire una quantità enorme e continuativa di dati rilevanti per la salute del paziente, e che potrebbero essere utili a prevenire una patologia, diagnosticarla con grande anticipo, predire un evento acuto e tanto altro. Si tratta di un livello di possibile personalizzazione degli interventi di cura che non ha precedenti nella storia, e che pure rischia di rimanere inattuato proprio a causa di una gestione dei dati ancora troppo centralizzata e non in grado di seguire il paziente/cittadino lungo tutto l’arco della sua vita.

Da tutte queste circostanze è scaturita la proposta – maturata da più parti nella comunità scientifica – di sviluppare Personal Data Account che – superando il paradigma della centralizzazione e dell’isolamento dei dati nei vari database proprietari dei vari fornitori di servizi – usi il cittadino/paziente come elemento centrale di raccolta dei dati, facilitando l’accesso ai dati al cittadino stesso, e facendo leva sulle più recenti innovazioni tecnologiche in materia di gestione distribuita di asset digitali, come la tecnologia blockchain, rimuovendo la necessità di una autorità centrale garante dei processi di scambio. Allo stesso tempo, consentire al paziente – tramite l’utilizzo del PDA (in grado di archiviare anche le varie prestazioni sanitarie e sociali ottenute dal paziente o cui il paziente ha diritto) – di fungere da elemento di connessione (e volendo anche da centro di rendicontazione dei costi) per diverse modalità di assistenza ottenute in diverse strutture, facilitando la gestione e il coordinamento di risorse e attività fra diversi enti, specialmente in caso di mobilità sanitaria (di cui si dirà meglio nel cap.5).

L’uso di tali sistemi, come verrà fra breve spiegato, potrebbe in effetti liberare il potenziale della medicina personalizzata, mettendo i pazienti concretamente al centro del processo di cura, e aprendo a una Medicina 3.0, di precisione e personalizzata, fondata sui dati personali dei pazienti e sulle capacità di analizzarli messi a disposizione dai più recenti avanzamenti tecnologici.

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La figura in alto mostra il c.d. “medical data ownership engine”73, nel quale ogni individuo riceve un feedback circa i dati (generati attraverso i propri sensori biometrici, o altri mezzi tradizionali di produzione di dati clinici), che costituiscono una sorta di “saggezza implicita del corpo” (“wisdom of the body”). Tali dati vengono indirizzati in un flusso generale di dati, che raggiungono infine una struttura di big data medicine, capace di elaborare i dati, costruire nuova conoscenza, e fornire feedback personalizzati ai singoli contributori di dati, per migliorare le loro condizioni di salute o i trattamenti in corso.

L’approccio proposto - di controllo e concreta proprietà del dato in capo al paziente/cittadino/data owner e non soltanto la sua possibilità di accedervi - contraddice l’assunto di quanti - specialmente nelle istituzioni pubbliche - insistono sul fatto che il fattore rilevante non è il possesso del dato, bensì la sua accessibilità. Tuttavia, è noto che è molto più semplice esercitare un diritto di proprietà su qualcosa di cui si è già in possesso, mentre se non ne siamo in possesso: «dovremo sempre chiedere il permesso per ottenere l’accesso a tale bene»74.

Proprio a tale proposito, Kish e Topol hanno introdotto il termine UnPatient, per indicare: «un nuovo modello di proprietà dei dati»75. Il termine rimanda a due questioni: da un lato, il fatto che il paziente è oggigiorno soggetto a “paternalismo medico e asimmetria

73 L.J. KISH, E.J. TOPOL, “Unpatients…”, art. cit.. 74 Ibid. 75 E. MORLEY-FLETCHER, Enhanced Consent: a vision for Patient Data Protection and Data Management, Discussion paper, ICT2015, Lisbon, 21st October, 2015, http://www.lynkeus.eu/wp-content/uploads/2015/10/Enhanced-consent_Lisbon-ICT15-emf-20-10-15_Discussion-paper.pdf.

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informativa”76 e, dall’altro, che ha richiesto fin troppo tempo rendere possibile: «il libero uso dei dati nel modo che riteniamo più opportuno e di possederli direttamente»77. Per questo, si è indicata come urgente la promozione del: «possesso dei propri dati medici come diritto civile, e come strategia per innescare una più decisa digitalizzazione della medicina, fornendo ai cittadini un nuovo strumento [ovvero il PDA] per connettersi e partecipare»78 a questa rivoluzione.

Sono queste innovazioni a rendere possibile il dispiegarsi del concetto di “democratizzazione della medicina”, delineato da Topol, come il “mettere a disposizione qualcosa a tutte le persone”79: se finora ai pazienti non era consentito, o comunque non era facilmente possibile, accedere ai propri dati medici (con situazioni che cambiano a seconda dei contesti, dell’avanzamento tecnologico dei provider di cura e della predisposizione del medico curante all’uso di tecnologie e alla condivisione delle informazioni con il paziente), oggi sono in primis i pazienti a generare dati attraverso i loro device mobili (smartphone in primis, ma anche sensori di varia natura, anche specializzati su particolari patologie), dall’elettrocardiogramma al livello di glucosio nel sangue. E questi dati vengono processati in diretta dagli stessi dispositivi, subito corredati da indicazioni utili e pronti per essere condivisi con il medico curante. Tali dati saranno progressivamente sempre più disponibili per chiunque debba accedervi per prestarci le cure necessarie, ma anche di consentire a noi stessi, attraverso l’analisi continuativa di quei dati da parte di algoritmi specializzati, di capire i segnali di una patologia ancora non giunta alla sua definitiva manifestazione clinica, e correre ai ripari con strategie di prevenzione che ne prevengano l’insorgenza.

Tale scenario, che rappresenta una delle più interessanti promesse della medicina del futuro, si fonda peraltro su un argomento all’apparenza logico e incontestabile, e che invece ha suscitato non poche resistenze e ha suscitato non poco dibattito: l’argomento è che, come è stato correttamente osservato: «il paziente è il legittimo proprietario di questi dati perché ha pagato (sebbene indirettamente in alcune circostanze) per le analisi, le immagini, le visite»80 e così via, che costituiscono questi dati. E, non ultimo: “perché si tratta del nostro corpo”81.

Tuttavia, oggi, questa condizione – che appare del tutto naturale – non è verificata. Non abbiamo accesso (almeno – molto spesso non immediato e non semplice) ai nostri dati, che riguardano il nostro corpo e per i quali (almeno in parte) abbiamo pagato.

76 L.J. KISH, E.J. TOPOL, “Unpatients…”, art. cit.. 77 Ivi. 78 Ivi. 79 79 E. TOPOL, The patient will see you now, op.cit. 80 E. TOPOL, The patient will see you now…, op. cit., p.93. 81 Ibid.

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La ragione per cui ciò non è reso possibile viene spesso attribuita al fatto che: «i pazienti non capirebbero le informazioni contenute nei dati, e si ritroverebbero in uno stato di confusione e ansia»82 avendo accesso ai dati “grezzi” senza un contesto informativo appropriato. In realtà, diversi studi hanno mostrato che non è così, e che i pazienti sono del tutto in grado di gestire i propri dati, e che tale possibilità incrementa la loro attenzione al benessere e aiuta a migliorare il rapporto con i clinici83.

Tali circostanze, affiancate dalle condizioni normative che sono pertanto venute maturando, rendono ormai non più rinviabile la necessità di rendere effettivamente possibile al cittadino utente di ottenere pieno accesso e disponibilità dei propri dati clinici, e il PDA altro non sono se non gli strumenti tecnici che potranno rendere possibile tale accesso e disponibilità continuativa.

Proprio su queste premesse - e anche facendo leva sui nuovi diritti (introdotti dalla GDPR) di accesso e portabilità dei dati - molte società innovative stanno facendo leva sulla tecnologia blockchain per offire modelli innovativi di gestione, accesso e condivisione dei dati medici.

La tecnologia blockchain - e più in generale le tecnologie basate su registri distribuiti (DLT) - possono offrire nuove modalità di gestione dei dati, sulla base di architetture decentralizzate che rendono superfluo il ricorso a un trusted third party per la gestione e l’accesso ai nostri dati (di qualunque natura essi siano).

Al di là delle varie differenze nell’implementazione tecnologica, in sostanza le DLT si basano su registri distribuiti, di cui ogni partecipante al network possiede e mantiene una copia completa. Tali registri consentono – nella loro implementazione standard – solo caratteristiche di immutabilità e non possono essere manipolati una volta inseriti nel registro. La validità di ciascuna transazione può essere verificata indipendentemente da ciascun partecipante al network. Infine, per rendere i partecipanti al network sicuri di avere una stessa copia del registro (ovvero di essere in presenza di una stessa “versione della verità” in un dato momento), le DLT si basano su meccanismi di consenso di vario genere (dal c.d. Proof of Work che sta alla base della blockchain del Bitcoin, al Practical Bizantine Fault Tolerance, che invece viene utilizzato in blockchain private come Hyperledger Fabric).

Le particolari caratteristiche tecniche della blockchain consentono di ottenere alcuni elementi interessanti per la gestione di dati sanitari: tramite questa tecnologia, possiamo infatti essere sicuri della provenienza del dato (sappiamo esattamente a chi appartiene o da dove viene), della sua integrità (sappiamo che non è stato manipolato a seguito del suo

82 Ibid. 83 L. KISH, “The blockbuster drug of the century: An engaged patient”, Health Standards blog, 28 August 2012, http://www.hl7standards.com/blog/2012/08/28/drug-of-the-century/.

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inserimento), della sua autenticità (anche in termini di non-ripudiabilità) e della sua “storia” (sappiamo chi lo ha generato, chi lo ha usato, fra chi è stato scambiato, etc.).

Sulla base di tali caratteristiche, è possibile porre in essere meccanismi decentralizzati di gestione dei dati. Senza entrare nel dettaglio tecnico (che richiederebbe una trattazione a parte), ciò che rileva in questa sede è la possibilità di creare – usando la tecnologia blockchain – proprio quei PDA di cui si parlava poco sopra. Senza per ora voler considerare modalità innovative di conservazione dei dati (settore che pure sta assistendo a varie e interessanti innovazioni), ciò che si rende possibile è avere un “indice” di tutti i dati del paziente, costituito da “puntatori” ai dati conservati nelle varie sedi fisiche (ospedali, centri specializzati, servizi privati, etc.).

Tale indice è in grado di rappresentare sinteticamente l’intera storia clinica del paziente e ogni dato può essere richiamato in qualunque momento dal paziente stesso, e messo a disposizione di centri clinici o servizi privati per ulteriore analisi e uso in ambito clinico. Le caratteristiche della tecnologia consentono al centro clinico di sapere che la richiesta di dati è legittima; mentre chi riceve i dati può essere garantito sulla provenienza degli stessi e sulla loro integrità (si pensi a quante volte un semplice test di laboratorio viene ripetuto solo perché non ci si fida della fonte di un test già effettuato o non vi si ha accesso, e quante volte si commettono errori nella trascrizione di un dato).

La tecnologia blockchain, per facilitare questo processo di scambio e accesso ai dati, rende anche più semplice la gestione del consenso (innovazione, questa, fra le più promettenti in questo contesto), così da poter sempre affiancare a un dato il relativo consenso per uno specifico utilizzo - come prescritto dalla GDPR - facilitando l’accesso da parte di terze parti, l’analisi e l’utilizzo dei dati, in un modo molto più semplice rispetto agli attuali standard. Allo stesso tempo, tale tecnologia facilita il processo di controllo di legittimità degli accessi a posteriori, consentendo un audit trail semplificato di tutti i passaggi di mano dei dati, e altresì rendendo possibile facilmente di rilevare accessi illegittimi, irregolarità, così come di certificare la correttezza di un processo di scambio di dati.

Sulla base di questo approccio (descritto in maniera semplificata), molte società negli Stati Uniti e in Europa stanno lavorando per offrire nuovi sistemi di gestione di dati che mettono al centro del processo il paziente/cittadino e le sue preferenze. Solo per citare le iniziative più interessanti, MedicalChain (con sede nel Regno Unito) sta per avviare pilot in collaborazione con l’NHS britannico per consentire accesso diretto ai dati tramite applicazioni mobili. Per facilitare questo processo, MedicalChain ha avviato una iniziativa di “open API”, per spingere i vari fornitori di servizi ad agevolare l’accesso ai loro database tramite interfacce comuni e aperte, utilizzabili da altri fornitori di servizi che beneficiano del consenso dei pazienti per il trattamento dei loro dati clinici. Altre iniziative simili includono

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l’americana Patientory, che offre servizi molto simili a MedicalChain, ma anche Longenesis ed Embleema, sempre sulla stessa linea. L’Estonia, ormai diventata punto di riferimento per l’innovazione digitale in Europa, ha completamente digitalizzato la gestione dei dati sanitari dei propri cittadini, e utilizza un particolare tipo di blockchain (sviluppato da Guardtime) per tenere traccia e certificare gli accessi ai dati sanitari dei cittadini.

Molto interessanti sono anche gli esperimenti cooperativi di gestione dei dati, come HIE (Health Information Exchange) foundation e - in particolare - HealthBank. Tali società propongono – appunto – un modello cooperativo di gestione e scambio dei dati clinici. Ogni paziente diventa membro della cooperativa e contribuisce i propri dati al collettivo. La cooperativa concede licenze di accesso ai dati a terze parti (enti di ricerca, società private nel settore farmaceutico e biomedicale, etc.) per scopi in linea con le preferenze espresse dai membri della cooperativa, in cambio di compensazioni economiche. I dividendi risultanti da questa operazione sono dunque distribuiti a tutti i componenti della cooperativa. Si tratta di un esperimento di grande interesse perché esplora modalità completamente innovative di monetizzazione dei dati sanitari, offrendo un cambio di paradigma radicale rispetto ai vigenti modelli di acquisizione e gestione dei dati, che normalmente tagliano fuori il paziente e finiscono per avvantaggiare soltanto le grandi società private.

Pur non potendo entrare in questa sede in dettagli tecnici e in disamine approfondite di questi fenomeni emergenti di gestione dei dati, si è potuto qui delineare come detti modelli innovativi dovranno e potranno assolvere un ruolo molto importante nell’abilitare la medicina del futuro. Accesso continuativo a tutte le fonti di dati, integrazioni fra queste diverse fonti, consenso informato, e facilità di utilizzo sono tutti prerequisiti fondamentali della medicina digitale, che potrà giungere al suo massimo potenziale solo in presenza di questi elementi, e solo potendo contare sulla crescente quantità di dati che costituisce la linfa vitale di questo nuovo modo di offrire servizi sanitari innovativi.

Intelligenza artificiale in ambito sanitario: opportunità e sfide

La crescente disponibilità di dati di natura eterogena, da diverse fonti, è ciò che rende allo stesso tempo possibile e necessaria l’introduzione e l’uso estensivo di algoritmi basati sull’intelligenza artificiale in ambito medico. Possibile, in quanto è noto tali algoritmi abbiano bisogno di enormi quantità di dati per funzionare in modo appropriato. Necessario in quanto la grande mole di dati – e specialmente il flusso continuo di dati da apparecchiature mobili – necessità del sostegno di algoritmi per poter effettuare analisi accurate delle condizioni di un dato paziente, tenendo conto non solo la sua storia clinica, degli esami diagnostici per immagini e da laboratorio, ma anche dei suoi stili di vita, dei suoi parametri vitali quotidiani e delle sue predisposizioni genetiche. L’uso capillare di strumenti di intelligenza artificiale diventa un elemento di supporto alla decisione clinica

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di grande valore, dalla diagnosi alla selezione delle terapie più appropriate. Nessun medico – per quanto preparato e ben intenzionato – potrebbe tenere il passo con questa enorme quantità di dati afferenti a un singolo paziente, per non parlare della (im)possibilità di tenere il passo con la crescente quantità di letteratura medica84.

Gli algoritmi basati su intelligenza artificiale concepiti come supporto alla decisione clinica vanno a incidere proprio sul quel processo di analisi di: dati del paziente, casistica e letteratura, che da sempre ha caratterizzato l’essenza stessa della pratica medica. In tal senso, l’intelligenza artificiale ha aperto alla possibilità di passare da un paradigma di generalizzazione (one size fits all) seguito dalla pratica medica nei passati decenni, a un approccio personalizzato e predittivo, secondo le linee della c.d. Medicina delle 4P (personalizzata, predittiva, preventiva, partecipatoria), rendendo possibile la selezione di strategie terapeutiche più efficaci per specifiche coorti di pazienti, migliorando non solo l’outcome ma anche l’uso delle risorse.

L’intelligenza artificiale - e in particolare gli algoritmi di deep learning (che utilizzano quantità sempre più grandi di dati per scoprire correlazioni senza seguire regole poste in essere dai programmatori, bensì basandosi su un processo di apprendimento fondato sull’analisi dei dati stessi) - consentirà di dare avvio all’era della “deep medicine”85 permettendo di attuare strategie di cura davvero personalizzate sulla base del c.d. deep phenotyping, ma anche di ottimizzare l’uso di risorse, consentendo sempre più di spostare l’offerta di cura a livello domiciliare (sfruttando sensori e algoritmi per valutare la qualità della vita dei pazienti nonché specifiche necessità di intervento), anche offrendo direttamente ai pazienti dei “coach” virtuali, in grado di coadiuvarli nella gestione autonoma delle proprie patologie. Sotto un altro profilo, liberando medici e infermieri da attività amministrative e di raccolta dati, e affiancandoli nell’analisi dei dati e nella selezione dei percorsi di cura più appropriati, gli algoritmi potranno svolgere un ruolo molto importante per ripristinare un contatto umano fra medici e pazienti, rimuovendo gli elementi di pressione che oggi impongono ai medici di minimizzare il tempo trascorso con ogni paziente.

Negli ultimi anni, si è assistito all’emergere di sempre più sistemi di intelligenza artificiale, capaci di assolvere con grande precisione a una quantità di compiti, dall’analisi della letteratura all’analisi delle immagini, alla combinazione di più informazioni per giungere a diagnosi e terapia personalizzate.

Molti algoritmi hanno provato di poter effettuare diagnosi con una accuratezza pari a quella di medici specializzati in diversi campi, dalla cardiologia, alla dermatologia, all’oncologia. Un algoritmo sviluppato da Google è riuscito a valutare tumori alla prostata

84 E. MORLEY-FLETCHER, M. DE MALDÈ, L. DURST, D. ZACCAGNINI, “La sanità digitale: nuovi scenari e nuove professioni”, Newsletter ASTRID su Sanità digitale, competenze digitali, 24 ottobre 2016. 85 E. TOPOL, Deep medicine - How artificial intelligence can make healthcare human again, Basic Books, New York, 2019.

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con una accuratezza del 70%, contro una accuratezza media di medici specializzati attesta al 61%. Non solo, l’algoritmo, confrontato con dieci patologi molto esperti di tumore alla prostata, è riuscito a fare meglio di otto di loro86.

Altri algoritmi hanno dimostrato un tasso di successo del 92,5% nell’individuare tumori metastatici al seno (contro un 96,6% raggiunto da medici specializzati). I risultati più interessanti, in tal senso, sono raggiunti quando l’accuratezza degli algoritmi viene combinata con l’esperienza e la preparazione medica umana. Nel caso citato, la capacità di individuare tumori al seno ha raggiunto il 99,5% di successo, con una riduzione dell’errore umano dell’85%87.

Algoritmi di intelligenza artificiali sono stati anche testati con successo in altri contesti, fuori dal percorso diagnostico o terapeutico: alcuni esperimenti hanno visto l’uso di algoritmi per gestire semplici prenotazioni o avere una diagnosi preliminare, mentre altri – anch’essi di grande interesse – sono stati adoperati con successo per valutare lo stato di salute e le necessità di assistenza di pazienti in unità di cura intensive88.

Infine, gli algoritmi potrebbero contribuire in modo sostanziale al miglioramento generale della salute a livello di popolazione, contribuendo alla protezione della salute con il monitoraggio in tempo reale dei dati per individuare velocemente focolai di epidemie (anche nel caso di intossicazioni alimentari), alla promozione della salute, con l’offerta di consigli personalizzati a specifiche classi di popolazioni sulla base di specifici fattori di rischio, e all’ottimizzazione dei servizi, per esempio ottimizzando le attività di screening o per una migliore distribuzione di servizi e risorse sulla base dell’analisi della popolazione89.

Allo stesso tempo, questi strumenti presentano non poche problematiche. Da un lato, si pone un problema del trasferimento di questi nuovi algoritmi e della loro usabilità in contesti clinici reali. Paradigmatica della difficoltà di questo percorso è l’esperienza del famoso sistema “IBM Watson”, che prometteva di rivoluzionare la pratica clinica – specialmente in ambito oncologico – fornendo un sostegno ai medici nella decisione clinica senza precedenti, per individuare con precisione il tipo di tumore e delineare strategie terapeutiche di grande efficacia. Tuttavia, sebben sia indubbio il potenziale di tale sistema

86 Y. SHOHAM, R. PERRAULT, E. BRYNJOLFSSON, J. CLARK, J. MANYIKA, J.C. NIEBLES, T. LYONS, J. ETCHEMENDY, B. GROSZ, Z. BAUER, The AI Index 2018 Annual Report, AI Index Steering Committee, Human-Centered AI Initiative, Stanford University, Stanford, CA, December 2018. 87 B. MESKÒ, “The role of ar ti f icial intel l igence in precision medicine”, Expert Review of precis ion medic ine and drug development , 2017, vol . 2/5 , pp. 239-41, c fr . https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/23808993.2017.1380516. 88 S. YEUNG, F. RINALDO, J. JOPLING, B. LIU, R. MEHRA, N.L. DOWNING...& B.A CAMPBELL, “Computer vision system for deep learning-based detection of patient mobilization activities in the ICU”, Nature - NPJ Digital Medicine, vol.2/11, 2019, https://www.nature.com/articles/s41746-019-0087-z. 89 T. PANCH, J. PEARSON-STUTTARD, F. GREAVES, R. ATUN, “Artificial intelligence: opportunities and risks for public health”, The Lancet Digital Health, 2019, vol. 1(1), pp. e13-e14.

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nell’offrire supporto al medico, con la sua capacità di leggere milioni di pagine in pochi secondi e offrire diagnosi differenziali tenendo conto della letteratura più recente, il sistema non è per ora riuscito a dimostrare il suo valore in contesti clinici reali. Molti esperimenti in vari settori hanno fatto emergere una serie di problematiche, spesso connesse al modo in cui l’algoritmo analizza i dati e trae conclusioni, che lo rendono di fatto poco utilizzabile nel mondo reale. Non a caso, al di là di alcuni esperimenti di successo, molte delle iniziative intraprese da IBM con una varietà di partner industriali e clinici e per un insieme molto variegato di possibili casi d’uso, sono finiti per ora in un nulla di fatto90. Questo non vuole certamente significare che la strada dell’intelligenza artificiale in medicina sia da considerarsi un vicolo cieco, ma che ci sarà ancora molto lavoro da fare prima che sistemi di questo genere possano contribuire in maniera routinaria alle attività cliniche.

Un altro problema è di natura regolatoria: prima di poter adottare a regime e in massa algoritmi di intelligenza artificiale di sostegno alla decisione clinica, ci sarà bisogno di chiarire il quadro normativo in termini sia di validazione prima della commercializzazione, sia di responsabilità quando gli algoritmi entreranno a far parte della “cassetta degli attrezzi” dei medici. In particolare in termini di approvazione/validazione pre-commerciale, è qui interessante riportare la recente iniziativa della Food and drug Administration (FDA) statunitense, che ha pubblicato un white paper per proporre un nuovo approccio regolatorio per la validazione dei dispositivi medici basati su intelligenza artificiale91, cercando di contemperare la necessità di validazione con l’esigenza di non mortificare le spinte all’innovazione che derivano dal continuo miglioramento di questi algoritmi.

Quanto al tema della responsabilità, questo si intreccia inevitabilmente al tema del ruolo del medico, ma anche al tema della capacità degli algoritmi di giustificare un determinato suggerimento. È infatti noto che gli algoritmi basati su deep learning si basano su processi di autoapprendimento che avvengono in maniera del tutto autonoma, non essendo basati su nessun set di regole prestabilite. Sulla base di questi processi di autoapprendimento, i sistemi sono poi in grado di offrire previsioni e analisi che rimangono senza spiegazione anche a coloro che hanno creato tali sistemi. Si parla di approccio black-box, in quanto ciò che avviene all’interno dell’algoritmo e che conduce ad un determinato outcome non è

90 E. STRICKLAND, “How IBM Watson overpromised and underdelivered on AI Health Care - After its triumph on Jeopardy!, IBM’s AI seemed poised to revolutionize medicine. Doctors are still waiting”, IEEE Spectrum, 29 April 2019, cfr. https://spectrum.ieee.org/biomedical/diagnostics/how-ibm-watson-overpromised-and-underdelivered-on-ai-health-care. 91 US FOOD AND DRUG ADMINISTRATION, Proposed Regulatory Framework for Modifications to Artificial Intelligence/Machine Learning (AI/ML) - Based Software as a Medical Device (SaMD), Discussion Paper and Request for Feedback, aprile 2019, https://www.fda.gov/media/122535/download.

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conosciuto (né conoscibile) dall’operatore umano92. Alcune iniziative - come explanable AI (xAI)93 - stanno tentando di dare una soluzione a questo problema, offrendo metodi formali per rendere i risultati delle analisi basate su intelligenza artificiale comprensibili agli operatori umani. Allo stesso tempo, anche produttori di IA come Google stanno facendo sforzi per rendere più comprensibile al clinico i risultati del processo decisionale dell’algoritmo, così da aumentare la fiducia e l’usabilità dello stesso in ambito clinico94 (come più estesamente discusso nel cap.4).

In conclusione, il settore dell’intelligenza artificiale in ambito medico – pur essendo senza dubbio di estremo interesse e con un potenziale ancora in larga misura inesplorato – pone delle sfide di varia natura. Trasparenza degli algoritmi, accuratezza delle predizioni, sicurezza per i pazienti, sfide etiche in termini di responsabilità, rappresentano tutte questioni aperte che non potranno che essere affrontate con la massima cautela da parte dei decisori pubblici. Allo stesso tempo, l’intelligenza artificiale promette di cambiare il modo in cui si offrono servizi sanitari per sempre, offrendo opportunità inimmaginabili per prevenzione, diagnosi e cura. La formula vincente sarà probabilmente costituita dall’approccio di “intelligenza aumentata” – basato sulla stretta collaborazione fra medici (finalmente liberati da tutta una serie di funzioni amministrative e burocratiche grazie all’uso degli algoritmi, e finalmente in grado di concentrare tutte le loro energie nella relazione con il paziente) e i sistemi di intelligenza artificiale di nuova generazione. Una collaborazione in grado di portare nuove scoperte e grandi innovazioni nella medicina di domani. Applicazioni mobili, medical IoT, e digital therapeutics

Dopo dati e intelligenza artificiale, un altro grande trend – non meno interessante – è rappresentato dall’esplosione delle applicazioni mobile dedicate al settore salute. La sempre maggiore e pervasiva presenza di dispositivi mobili (accompagnata anche dai wearable devices e IoT, di cui si dirà più oltre), insieme al progresso tecnologico che li rende sempre più in grado di rilevare i dati dal loro ambiente, sta offrendo sempre maggiori opportunità per innovare i processi di prevenzione, diagnosi e cura. Il potenziale di simili strumenti non può essere sottovalutato, specialmente in considerazione del ruolo che essi possono giocare nella gestione delle patologie croniche, che abbiamo visto essere la vera

92 Sul tema, si veda anche M. DE MALDÈ, “Medicina di precisione e sistemi di supporto alla decisione clinica: opportunità̀di miglioramento delle cure, riduzione degli errori e contenimento dei costi”, in The future of Science and Ethics, Rivista scientifica fondata da U. Veronesi, vol. 2, n. 1, giugno 2017. 93 K. HOSANAGAR, V. JAIR, “We Need Transparency in Algorithms, But Too Much Can Backfire”, Harvard Business Review, 25 luglio 2018. 94 R. SAYRES, A. TALY, E. RAHIMY, K. BLUMER, D. COZ, N. HAMMEL...& S. XU, “Using a deep learning algorithm and integrated gradients explanation to assist grading for diabetic retinopathy”, Ophthalmology, 2019, n. 126(4), pp.552-564.

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sfida che i sistemi sanitari si troveranno ad affrontare nei prossimi decenni. Allo stesso tempo, le applicazioni mobili promettono anche di sostenere i sistemi sanitari in attività più orizzontali, sopperendo alla scarsità di personale medico con servizi di vario genere: dall’analisi dei sintomi all’offerta di sostegno personalizzato.

Le applicazioni disponibili sono fra le più varie, dai chatbot in grado di effettuare una valutazione dei sintomi e offrire prime indicazioni, a vere e proprie “terapie digitali” (i c.d. digital therapeutics), passando per app in grado di allertarci rispetto a specifici indicatori di rischio, app che offrono diagnosi specialistiche, fino a quelle di telemedicina, senza dimenticarsi della pletora di app orientate a coadiuvare gli utenti nel mantenimento di uno stile di vita sano (che spaziano dalle attività fisiche alla dieta, fino all’analisi del sonno).

Ad oggi, più di 300,000 sono le applicazioni mobili che offrono servizi connessi alla nostra salute, dalle più banali app per le attività fisiche sino alle più complesse app di diagnostica e trattamento. Il relativo mercato è valutato in circa 30 miliardi di dollari nel 2018, con una previsione di crescita a 102 miliardi entro il 202395.

Di grande interesse appaiono le app chatbot per la diagnostica di base che si basano su algoritmi di intelligenza artificiale. Tali sistemi presentano una serie di vantaggi. Fra questi, la possibilità di ridurre il carico di lavoro per i medici, aiutandoli in una prima diagnosi e nell’interazione remota (incluso monitoraggio) con i pazienti. In prospettiva, i chatbot potrebbero diventare assistenti medici personali di prima istanza, in grado di rispondere in modo pertinente alle domande dei pazienti prima che questi si rivolgano alle strutture sanitarie per assistenza specialistica, indirizzandoli verso lo specialista più appropriato per le loro esigenze96.

In questo senso, i chatbot offrono una funzione informativa che spesso i pazienti finiscono per affidare al c.d. “Dottor Google”, ovvero cercando direttamente online informazioni connesse con i loro sintomi, e spesso finendo per autodiagnosticarsi patologie più sulla base dei loro timori che sulla base di una analisi oggettiva dei sintomi.

Allo stesso tempo, i chatbot possono agire come filtro: offrendo assistenza primaria per pazienti che altrimenti finirebbero per aspettare molto tempo per una diagnosi di base (finendo per accorgersi di patologie anche di grave entità in una fase già avanzata), o che spesso finiscono con l’utilizzare risorse del sistema sanitario in modo inappropriato (p.e. visite al pronto soccorso) per ottenere informazioni su condizioni che non hanno alcun carattere di urgenza97.

95 SOLULAB, “mHealth Apps and Digital Doctors: The Future of The Healthcare Sector?”, HealthWorksCollective, 22 October 2018, https://www.healthworkscollective.com/mhealth-apps-and-digital-doctors-the-future-of-the-healthcare-sector/. 96 B. MESKÓ, “Top trends in digital health in 2019”, The Medical Futurist, 2019. 97 D. Heaven, “Your next doctor’s appointment might be with an AI”, MIT Technology Review, ottobre 2018.

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Sul mercato sono già presenti diversi chatbot. Uno dei più famosi in Europa è probabilmente Babylon Health: una applicazione in grado di offrire una analisi dei sintomi e iniziali indicazioni terapeutiche. L’applicazione deve parte della sua fortuna alla connessione con l’NHS britannico, offrendo connessione remota (via video) con medici dell’NHS, nonché servizi di assistenza telefonica (al momento il sistema copre soltanto l’area di Londra Nord, servendo circa due milioni di cittadini). È interessante notare che – una volta ottenuta l’indicazione da parte dell’app – molti pazienti realizzavano di non necessitare davvero un intervento medico, così consentendo un risparmio e maggiore appropriatezza nell’accesso alle cure. Allo stesso tempo, in caso di dubbio, l’applicazione suggerisce sempre un consulto col proprio medico di base. Babylon Health è stata tutta via oggetto di dure critiche da parte di molti clinici che ne hanno denunciato i limiti nell’identificare sintomi chiari di patologie anche gravi, cosa che ha causato un crollo nella fiducia degli utenti e dei professionisti medici98.

Molte altre applicazioni (fra cui Bots4Health, GYANT, BUOY Health, Sensely, Ada Health, Your MD, solo per menzionarne alcune) offrono servizi simili, combinando una serie di strumenti di processing del linguaggio naturale, analisi delle immagini, analisi testuale della letteratura e degli input degli utenti, offrendo diagnosi, suggerimenti su quale medico consultare o semplicemente alcuni suggerimenti per giungere a una diagnosi accurata99.

Altri chatbot si limitano ad offrire servizi quali supporto all’aderenza alla terapia farmacologica (è il caso dell’app Florence, che si interfaccia con gli utenti tramite Facebook Messenger, Skype, e Kik), o Cancer Chatbot, che offre supporto a pazienti, medici e famiglie, nella fase di cura di patologie oncologiche.

Altro grande settore di intesse è quello già citato delle digital therapeutics. A differenza della moltitudine di app già disponibili per individui sani, pensate per il monitoraggio delle attività fisiche o delle abitudini alimentari, questi strumenti sono da considerarsi in tutto e per tutto alla stregua di prodotti medicinali, che possono essere prescritti dal medico insieme ad altri prodotti. Pertanto, sempre a differenza delle app di wellness – al massimo utili alla prevenzione, questi strumenti sono sottoposti a una rigorosa validazione clinica. Si possono distinguere digital therapeutics di accompagnamento e guida a sostegno di altre terapie (per esempio app che ci aiutano nell’aderenza a una data terapia farmacologica), e digital therapeutics che costituiscono autonomamente una forma di terapia, sostitutiva rispetto a terapie tradizionali100. Tali ultimi strumenti sono di

98 Ibid. 99 “The Top 12 Health Chatbots”, The Medical Futurist, 29 May 2018, https://medicalfuturist.com/top-12-health-chatbots. 100 “Exploring the potential of digital therapeutics”, Intervista sul sito di McKinsey, febbraio 2018, https://www.mckinsey.com/industries/pharmaceuticals-and-medical-products/our-insights/exploring-the-potential-of-digital-therapeutics.

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particolare interesse non soltanto perché tendono a offrire un valido sostegno alla gestione di patologie croniche (e anche per la salute mentale), coprendo un’area dove ampi sono i margini di miglioramento degli attuali servizi sanitari, ma anche in virtù del fatto che essi consentono di ridurre il carico di lavoro per i medici e diminuire la spesa connessa ad altre forme di trattamento.

Più in generale, ogni tipo di patologia (e fra queste rientrano sicuramente le patologie croniche che – vale la pena ricordare – finiranno per incidere maggiormente sulle risorse economiche a disposizione dei servizi sanitari nazionali) che possa beneficiare di un approccio cognitivo-comportamentale e di cambiamenti nelle abitudini di vita dei pazienti, può essere un interessante caso d’uso per i digital therapeutics. Le patologie mentali sono di grande interesse per questi nuovi strumenti, laddove essi consentiranno un monitoraggio e un contatto col paziente di fatto continuativo, cosa impensabile in qualunque altro contesto101.

Già sono emerse interessanti applicazioni, sia in Europa che negli Stati Uniti. La FDA americana ha - per esempio - di recente approvato un’applicazione per il trattamento della dipendenza da alcol, marijuana e cocaina102,103, che ha dimostrato grande efficacia specie se comparata con normali programmi di sostegno per persone con problemi di dipendenza, consentendo al 40% dei pazienti trattati con l’app di astenersi da sostanze in tre mesi, rispetto al 17% dei programmi tradizionali.

Un altro esperimento interessante è quello di Tinnitracks, concepita per il trattamento dell’acufene, che ha di recente ottenuto la rimborsabilità in Germania104. A questi sistemi, già di grande interesse, si andranno ad aggiungere una serie di altre applicazioni e strumenti, che faranno leva sui nuovi wearable devices (si pensi all’Apple Watch di nuova generazione) in grado di raccogliere e analizzare con precisione specifici dati clinici, cui presto si assoceranno anche app “chatbot” in grado di offrire ai pazienti una prima valutazione dei sintomi.

Un recente rapporto di IQVIA105 ha identificato una serie di applicazioni di digital therapeutics di interesse, fra cui si possono qui menzionare: BlueStar Diabetes, approvata dall’FDA per la gestione del diabete di dimostrata efficacia; Kardia, sempre approvata dall’FDA per la gestione/predizione di eventi di fibrillazione atriale e aritmie; Propeller 101 Ibid. 102 S. MUKHERJEE, “FDA clears the first-ever mobile app to treat alcohol, marijuana, cocaine addiction,” Fortune, September 14, 2017, http://fortune.com/2017/09/14/fda-alcohol-marijuana-cocaine-mobile-app. 103 M. JOYCE, O. LECLERC, K. WESTHUES, H. XUE, Digital therapeutics: Preparing for takeoff, McKinsey Report, febbraio 2018. 104 “Tinnitracks reimbursement in Germany”, v. https://www.tinnitracks.com/en/news/tk-healthinsurance-tinnitracks-app . 105 IQVIA Institute for Human Data Science, The Growing Value of Digital Health in the United Kingdom- Evidence and Impact on Human Health and the Healthcare System, Novembre 2017.

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Health, approvata dall’FDA per la gestione dell’asma (in combinazione con inalatori elettronici). Tali app sono tutte utilizzabili in contesti clinici, prescrivibili direttamente dal personale medico. Altre applicazioni, non approvate dall’FDA, sono tuttavia di grande utilità in una serie di contesti, come MoovCare, pensata per i pazienti oncologici in modo da offrire follow-up personalizzati; Omada, utile alla prevenzione del diabete e Healarium, dedicata ai pazienti in recupero dopo eventi cardiaci.

Non sorprende pertanto che - oltre a numerose startup - anche i big della tecnologia abbiano fatto mosse molto decise per entrare nel settore salute. Amazon ha annunciato l’avvio delle vendite di software specializzati per l’analisi di dati clinici, mentre Alphabet (Google) ha già da tempo posto in essere una serie di iniziative (Verily Life Science, Calico, Deepmind, Google Genomics) per avviare l’articolazione della propria offerta di servizi salute. Apple, a parte il già menzionato Watch con funzioni avanzate (elettrocardiogramma), aveva già da tempo avviato una iniziativa nel settore salute con l’Apple Health Kit, utile non solo ai pazienti per raccogliere le proprie informazioni cliniche (cosa che diverrà ancora più utile quando sarà consentita la connessione con dati ospedalieri), ma anche per effettuare ricerca.

Allo stesso tempo, non sorprendono gli investimenti nel settore, che hanno raggiunto i 130 miliardi di dollari nel 2018 (da 8,2 miliardi nel 2017)106, e un numero di app sempre più grande a disposizione degli utenti (325.000 nel 2017 con un aumento medio del 25% per anno107).

Digital therapeuthics e digital health: il bisogno di ripensare i processi di validazione e sperimentazione

Il nuovo paradigma della salute digitale non si presenta però solo con aspetti positivi. Se da un lato, va constatato come il progresso tecnologico abbia finora mantenuto un ritmo molto al di sopra delle capacità di adattamento del contesto etico e regolatorio di riferimento, dall’altro molte sono ancora le incertezze e le problematiche ad esso connesse. In particolare, la qualità delle applicazioni può essere molto variabile. Alcune sono basate su solide evidenze e lunghe attività di testing (anche tramite trial randomizzati), altre sono meno convalidate da attività di testing e piuttosto sono guidate dal desiderio di start-up innovative di portare sul mercato prodotti nuovi nel minore tempo possibile. Come indicato all’inizio, con più di trecentomila app di questo tipo, è molto difficile distinguere quelle che

106 V. https://healthcareweekly.com/digital-health-funding/. 107 M. Pohl, “325,000 mobile health apps available in 2017 – Android now the leading mHealth platform”, online report a cura di Research2Guidance, https://research2guidance.com/325000-mobile-health-apps-available-in-2017/.

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raggiungono a mala pena gli standard tecnici necessari per essere offerte su un app store da quelle che sono non solo sicure, ma anche capaci di offrire un concreto valore terapeutico108.

Come abbiamo già accennato, app come “Babylon” (ma non è l’unica) sono state duramente criticate da clinici e osservatori per i rischi cui sono esposti pazienti e medici con il loro utilizzo. Babylon, come appena detto, è stata anche molto criticata per aver mancato di offrire diagnosi molto ovvie, omettendo domande importanti per l’utente/paziente. In generale, app - spinte sul mercato da società più attente al loro ritorno economico che alla sicurezza degli utenti - hanno finito per essere offerte a condizioni molto vantaggiose, ma a scapito della sicurezza degli utenti stessi. Non sorprende, sebbene si tratti di un segnale preoccupante, che sia stato coniato sui social network l’hashtag #deathbychatbot (ovvero morte da chatbot), proprio per aprire un dibattito sulla sicurezza e utilizzabilità di questi strumenti109.

Per questo, si è ad esempio reso via via sempre più necessario giungere in particolare a una definizione di digital therapeutics (distinte dalle app di wellness) in grado di garantire il raggiungimento di uno standard qualitativo minimo e in compliance con le regolamentazioni di riferimento: tramite il completamento di una serie di studi clinici replicati in vari centri, o almeno un clinical trial randomizzato, e attività di ricerca scientifica nel settore di riferimento. Usabilità da parte di pazienti e medici, così come sicurezza per il paziente, sono elementi essenziali per rendere tale genere di app utilizzabili.

La FDA americana ha da tempo applicato un approccio molto pragmatico, offrendo raccomandazioni agli sviluppatori e anche linee guida per consentire ai clinici di valutare il valore di una app, e ha anche messo a punto un percorso di pre-certificazione per app salute. Allo stesso tempo, la FDA ha chiarito che non intende regolare il settore della “salute mobile” tout court ma solo quelle che ha definito “applicazioni mobili medicali”, ovvero proprio le app di digital therapeutics volte a diagnosticare, prevenire o curare patologie.

Per valutare tali applicazioni, la FDA adotterà un approccio basato sul rischio, richiedendo maggiori controlli, più intense attività di ricerca e specifici trial clinici per quelle app che presentano un alto rischio per il paziente, richiedendo invece via via meno controlli preliminari per quelle che presentano rischi minori110.

In ogni caso, sia che ci si trovi di fronte a digital therapeutics o a normali app di tipo wellness, diventa assolutamente necessario formalizzare framework e procedure di valutazione e validazione molto rigorose, per poter poi procedere all’applicazione di queste tecnologie nella routine clinica senza compromettere la salute dei pazienti. 108 Ibid. 109 D. HEAVEN, “Your next doctor’s appointment might be with an AI”, MIT Technology Review, ottobre 2018. 110 P. CERRATO, J. HALAMKA, “Finding mHealth Apps that Doctors Can Trust”, Inside Digital Health, 26 November 2018, https://www.idigitalhealth.com/news/finding-mhealth-apps-that-doctors-can-trust.

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In assenza di una simile attività di validazione e formazione, le soluzioni tecnologiche continueranno a proliferare, ma il livello di fiducia e di apertura verso l’adozione di queste tecnologie rimarrà basso presso gli operatori (specialmente i clinici e gli enti regolatori). Si pone pertanto la necessità di porre in essere percorsi formali di design, sviluppo e validazione delle nuove soluzioni tecnologiche tenendo conto delle necessità degli utenti, valutando i sistemi dal punto di vista tecnologico, clinico, dell’usabilità e del costo-beneficio111.

Allo stesso tempo, per garantire una concreta opportunità alla salute digitale, andranno prese in considerazione questioni organizzative e di cambiamento dei modelli di business, per portare i sistemi sanitari ad aprirsi a nuove modalità di fornitura dei servizi, sulla base delle tecnologie che si rendono via via disponibili. In questo senso, la creazione di hub pubblico-privati per la sperimentazione di tecnologie digitali in specifici ambiti e specifiche realtà territoriali, realizzati anche sulla base delle caratteristiche e le problematiche di un dato territorio, potrebbe rivelarsi una mossa vincente per avviare l’evoluzione del sistema minimizzando il rischio di resistenze.

In conclusione, è facile comprendere come la medicina stia cambiando sotto la pressione dell’innovazione tecnologica, ma che allo stesso tempo è importante una rigorosa attività regolatoria, che garantisca sicurezza per i pazienti e offra gli stessi livelli di fiducia e certezza oggi offerti dai farmaci o dalle apparecchiature medicali, prima che l’enorme (e crescente) quantità di applicazioni mobili per la salute entri definitivamente – e a buon diritto – nel prontuario del sistema sanitario nazionale.

Applicazioni per la salute mentale

Il tema della salute mentale sta emergendo in maniera sempre più decisa nel dibattito pubblico europeo. Il recente rapporto Health at a Glance 2019112 ha sottolineato il grande impatto dei problemi mentali nella popolazione europea, con decine di milioni di cittadini affetti da almeno una patologia mentale, e molte migliaia di cittadini che ogni anno muoiono o direttamente a causa di una patologia mentale o a causa di suicidio. Il costo associato a questo fenomeno è enorme: si stima che il costo delle patologie mentali sia arrivato a superare il 4% del PIL europeo (EU28) nel 2015 (600 milioni di dollari, fra costi diretti dei servizi sanitari, costi dei programmi di supporto sociale, e costi indiretti sul mercato del lavoro – sia a causa della riduzione dell’occupabilità che a causa della ridotta produttività).

111 S.C. MATHEWS, M.J. MCSHEA, C.L. HANLEY, A. RAVITZ, A.B. LABRIQUE & A.B. COHEN, “Digital health: a path to validation”, npj Digital Medicine, 2019, vol. 2/1, Art. n.38, https://www.nature.com/articles/s41746-019-0111-3. 112 OECD/EU, Health at a Glance: Europe 2018 - State of Health in the EU Cycle, OECD Publishing, Paris, 2018, https://www.oecd.org/health/health-at-a-glance-europe-23056088.htm.

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Secondo le più recenti stime, una persona su sei in Europa ha sofferto di problemi mentali nel 2016, portando il totale a 84 milioni di persone. Fra i problemi più comuni si trovano ansia e depressione, seguiti da problemi di dipendenza da alcol e droghe, per concludere con patologie più gravi (come disturbo bipolare o schizofrenia).

A tali dati corrispondono numeri allarmanti in termini di mortalità, con circa 84.000 morti per patologie mentali in Europa (inclusi i suicidi). Un dato, questo, probabilmente da considerarsi molto prudente, dal momento che molte persone affette da patologie croniche non giungono mai ad una vera diagnosi e muoiono prematuramente a causa del degradarsi delle condizioni fisiche e della qualità della vita prima che si possa intervenire. Inoltre, il dato è ancor più preoccupante laddove si consideri che la mortalità fra persone affette da patologie mentali è molto più alta di quella in altre categorie di patologie croniche, principalmente a causa degli scarsi livelli di prevenzione e cura in tutto il territorio europeo. La mancanza di personale e strutture specializzate è senza dubbio uno dei fattori che contribuiscono a questa situazione, con diversi paesi, specialmente in Est Europa, con un numero del tutto insufficiente di personale medico specializzato in proporzione alla popolazione.

In una simile situazione, interventi di prevenzione - anche nelle primissime fasi della vita di un individuo - assumono una importanza sempre maggiore. Non sorprende, in questo senso, il crescente interesse verso la c.d. talk therapy, offerta anche da personale non medico a persone in possibile condizione di disagio mentale, e l’accento verso una formazione di base in psicoterapia per genitori, familiari, insegnanti e altre persone comuni. Tali approcci hanno infatti dimostrato grande efficacia, coprendo un bisogno di intervento immediato (e possibilmente preventivo) proprio a favore di fasce più vulnerabili della popolazione, come gli adolescenti (per i quali programmi di sostegno psicologico a scuola sono anche ormai diventati una best practice consolidata). Allo stesso tempo, interventi sui luoghi di lavoro, sia per i singoli dipendenti (ma anche per i manager) sia per l’organizzazione nel suo insieme, stanno prendendo sempre più forma.

In tale contesto, le nuove tecnologie, in particolare la combinazione di dispositivi mobili e software basati su intelligenza artificiale, hanno già mostrato di poter giocare un ruolo assolutamente primario nell’offrire strumenti avanzati e a basso costo per svolgere screening su tutta la popolazione, una base per i cittadini e i medici e nuovi modelli di cura a distanza.

È anzitutto interessante rilevare come le tecnologie informatiche possano aiutare a superare la resistenza che induce molti cittadini con problemi mentali a non ricorrere a cure, a causa del tuttora persistente stigma sociale nei confronti delle patologie mentali. Un interessante studio ha in tal senso mostrato come molti individui si sentano più a loro agio a condividere un problema mentale con un software autonomo, piuttosto che con un’interfaccia governata in ultima istanza da un umano. Il motivo principale di questa

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preferenza risiedeva nella convinzione che la macchina, a differenza dell’umano, non potrebbe mai formulare giudizi morali nei confronti del paziente113.

Una tale preferenza potrebbe agire da catalizzatore per una più ampia e articolata attività di screening e prevenzione, oggi di fatto assente – laddove la diagnosi avviene in un contesto clinico – non sempre nelle migliori condizioni né per il paziente né per il personale medico – quando la patologia è già insorta ed è già in grado di comportare un livello di disagio tale da richiedere un intervento professionale.

Tale processo di screening e di prevenzione si rende via via più possibile e concreto con l’avanzare di una serie di tecnologie, dall’analisi testuale all’analisi dei movimenti, dall’analisi della voce all’analisi delle espressioni facciali114. Proprio grazie a questi recenti sviluppi si è potuto assistere all’esplosione di una serie di applicazioni per dispositivi mobili in grado di rilevare la presenza di un disagio mentale proprio combinando l’analisi di una serie di fattori, inclusi il tono di voce, il modo in cui si scrive sulla tastiera, movimento degli occhi, cui si aggiungono – laddove disponibili – i dati indiretti di movimento da altri sensori presenti negli stessi dispositivi.

Recenti attività di ricerca all’Università della California del Sud hanno per esempio dimostrato efficacia pari o maggiori a quella dei terapisti nel predire crisi di coppia dall’analisi della voce. Il sistema sviluppato da Neurolex Diagnostic è in grado di diagnosticare patologie come schizofrenia e depressione dall’analisi della voce, ed è già compatibile con Amazon Alexa. Strumenti come DeepMood e Mindstrong sviluppano diagnosi a partire dall’uso della tastiera/schermo degli smartphone. L’app Companion – sviluppata da Cogito – aiuta medici e infermieri a monitorare lo stato di salute mentale dei loro pazienti tramite l’analisi vocale115.

Persino le pubblicazioni su un social medium come Instagram sono state rese oggetto di analisi per predire il rischio di depressione in un centinaio di utenti, con risultati comparabili a quelli di medici non specializzati. Ancora molto recentemente, presso l’università di Stanford è stato condotto uno studio che ha dimostrato l’efficacia di uno strumento in grado di valutare il rischio depressione dall’analisi di video (espressione facciale), tono di voce e parole pronunciate da una serie di pazienti.

Tutti questi strumenti offrono, come si è visto, capacità di diagnosi a basso costo e molto capillare (usando di fatto gli smartphone degli utenti), andando a colmare un vuoto proprio dove serve, ovvero nella fase di diagnosi precoce e monitoraggio della salute mentale a livello di popolazione. 113 E. TOPOL, Deep medicine – How artificial intelligence can make healthcare human again, Basic Books, New York, 2019. 114 W. KNIGHT, “Your smartphone’s AI algorithms could tell if you are depressed”, MIT Technology Review, dicembre 2018. 115 Ibid.

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Tuttavia, tali strumenti, combinati con altri dati, possono contribuire anche al miglioramento delle cure, rendendo possibili trattamenti personalizzati. In questo senso, la medicina di precisione può avvalersi dei dati comportamentali e ambientali oggi più facilmente reperibili grazie a smartphone e IoT, e combinarli con dati genetici e dati di imaging avanzati (incluse functional MRIs) per giungere a una capacità di predizione del rischio di patologie mentali, migliorando prevenzione, diagnosi e cura116.

Medical Internet of Things (mIoT), sensori e wearable devices

L’ultimo tassello in grado di portare l’assistenza sanitaria davvero nella casa dei cittadini e dei pazienti è rappresentato dall’enorme proliferazione di nuovi dispositivi medici mIoT e wearable devices dedicati alla salute. Il loro potenziale è tale che un acuto osservatore come Eric Topol ha affermato: «la prima volta che ho ricevuto una email da un paziente, con in allegato un elettrocardiogramma, e la domanda “sono in fibrillazione atriale, cosa devo fare ora?”, ho capito che il mondo stava cambiando»117.

Se oggi un FitBit non ci sembra più uno strumento rivoluzionario, ma solo uno dei tanti dispositivi in grado di tenere traccia della nostra attività fisica e di vari altri parametri a essa connessi, sono nel frattempo entrati sul mercato una serie di dispositivi in grado di aiutare il paziente per una serie di scenari clinici.

L’ultimo modello di Apple Watch, per esempio, è equipaggiato con uno strumento per effettuare elettrocardiogrammi di grande affidabilità, consentendo anche di valutare eventuali irregolarità (in particolare eventuali fenomeni di fibrillazione atriale). Per quanto possa sembrare banale - in contesti dove l’intervento tempestivo è ciò che fa la differenza fra un esito positivo e un esito negativo (e finanche fatale) - la disponibilità di simili dispositivi può avere un concreto impatto nella gestione di eventi cardiologici potenzialmente pericolosi.

Durante l’ultima conferenza “Wearable Tech + digital health + Neurotech Conference” sono stati presentati molti “gadget” che fanno impallidire l’ultimo iWatch: dagli occhiali smart in grado di valutare i cambiamenti nel corpo tramite l’analisi del sudore, ai dispositivi in grado di modulare le onde cerebrali per ridurre i fenomeni di dolore cronico, fino a sistemi in grado di trasformare i segnali sonori in vibrazioni (già testati in ampie popolazioni di persone sordomute negli Stati Uniti). Come si può intuire, si tratta di sistemi ancora a metà fra prototipi e prodotti finiti e pronti per il mercato, ma di certo sono la prova di una intensa attività di ricerca e sviluppo in questo settore118.

116 N. TAY, C. MACARE, Y. LIU, B. RUGGERI, T. JIA, C. CHU... & T. BANASCHEWSKI, “Precision medicine and global mental health”, Lancet, 2019, n. 7(1), p. e32 ss.. 117 E. TOPOL, The patient will see you now: the future of medicine is in your hands, Basic Books, 2015. 118 T.S. PERRY, “A Peek into the Future of Wearables”, IEEE Spectrum, marzo 2019.

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Allo stesso tempo, vari sono gli strumenti smart già ampiamente testati e disponibili sul mercato che consentono di effettuare una serie di analisi comodamente da casa, seguire l’andamento di una patologia, e fornire informazioni in tempo reale al medico. Solo per citare alcuni esempi, esistono ormai molti stetoscopi digitali in grado di registrare il nostro battito cardiaco e altri parametri, condividendoli con il medico a distanza (come i sistemi CliniCloud e Eko Core). Allo stesso tempo, iWatch a parte, vi sono sempre più sofisticati elettrocardiografi digitali come WIWE e Kardia (quest’ultimo approvato dall’FDA) in grado di offrire analisi accurate del nostro battito cardiaco e di eventuali anomalie presenti al momento della rilevazione. A questi sistemi si accompagnano altri strumenti per l’analisi del sonno (come Viatom O2 sleep monitor), termometri digitali, sistemi intelligenti per la rilevazione della pressione (come il sistema Withings Blood pressure monitor, che dopo la rilevazione è in grado di offrire al paziente delle raccomandazioni sulla base delle linee guida internazionali per la gestione dell’ipertensione119.

Al di là dei singoli esempi, quello che vale la pena sottolineare qui è che si assiste a un proliferare di apparecchiature sempre a più basso costo e sempre più di semplice utilizzo, che sono in grado di monitorare alcuni aspetti dello stato di salute di ognuno in maniera continuativa. Le implicazioni di un simile fenomeno non possono essere considerate nella loro interezza, anche tenendo presente che lo sviluppo tecnologico è costante ed è molto difficile prevedere cosa verrà reso disponibile solo nell’arco dei prossimi 3-5 anni. Quello che appare chiaro è che – nel momento in cui la popolazione generale diventerà via via più abituata all’uso quotidiano di simili strumenti, e nuovi e stabili flussi di dati verranno dalle varie applicazioni mobili connessi ai vari sensori – ci si avvicinerà molto a quel modello patient-centric di cui si è discusso altrove nel presente documento, e il paradigma della medicina preventiva, predittiva, partecipatoria e personalizzata sarà davvero a portata di mano.

Innovazioni tecnologiche a supporto della ricerca in ambito farmacologico

In ultimo, vale la pena qui discutere delle possibili soluzioni offerte dalle tecnologie informatiche – sempre in combinazione con la disponibilità di dati sempre più dettagliati sui singoli pazienti – per rendere più semplice e meno costoso il processo di scoperta e testing di nuovi farmaci, innovando il sistema dei trial clinici. Come si è accennato brevemente nel primo capitolo, e come si discuterà più nel dettaglio nel corso del terzo, innovazioni di grande interesse stanno avvenendo nel settore farmaceutico, con la scoperta e il lancio sul mercato di nuove classi di farmaci e terapie innovative. Allo stesso tempo, il costo per la scoperta e il testing di questi farmaci rimane molto alto (sebbene, come si dirà nel capitolo 5, si stia riducendo proprio grazie a queste nuove classi di farmaci), e il processo di clinical

119 “Rating Portable Diagnostic Devices That Make Patients the Point-of-Care”, The Medical Futurist, 23 May 2017, https://medicalfuturist.com/rating-portable-diagnostic-devices-that-make-patients-the-point-of-care.

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trial rimane molto rischioso (specialmente in caso di fallimenti in fasi di ricerca avanzate). Dal 1995 al 2010, il costo per ogni nuovo farmaco approvato è passato da 250 milioni/$ a 4 miliardi/$120, mettendo l’industria farmaceutica in una situazione di difficile sostenibilità finanziaria. Secondo un recente studio121, del costo totale di introduzione sul mercato di un nuovo farmaco – stimato in 2,5 miliardi di dollari, circa il 75% è da imputarsi alle varie fasi del processo di trial clinico. Per questo motivo, ogni volta che la validazione fallisce, l’industria produttrice del farmaco subisce perdite ingenti.

Tutte queste ragioni motivano il ricorso, affianco alle tradizionali modalità in vivo e in vitro per la valutazione di prodotti biomedici, di una terza modalità: in silico - appunto allusiva di un test che si svolge su un chip di silicone, ovvero al computer.

In effetti, già nel 2004, la FDA indicava l’in silico come un potente strumento nelle mani dell’industria farmaceutica, per fare uso della crescente disponibilità di conoscenze biomediche e bioinformatiche, che avrebbero potuto portare a riduzioni di costi di sviluppo fino al 50% del costo attuale122.

La Commissione Europea ha poi ritenuto di indagare più a fondo la possibilità di ricorrere agli in silico clinical trial, finanziando una azione di supporto e coordinamento intitolata In effetti, già nel 2004, la FDA indicava lo in silico come un potente strumento nelle mani dell’industria farmaceutica, per fare uso della crescente disponibilità di conoscenze biomediche e bioinformatiche, che avrebbero potuto portare a riduzioni di costi di sviluppo fino al 50% del costo attuale123.

La Commissione Europea ha poi ritenuto di indagare più a fondo la possibilità di ricorrere agli in silico clinical trial, finanziando una azione di supporto e coordinamento intitolata “Avicenna”, la quale ha dato poi vita a una roadmap dal titolo “In silico Clinical Trials: How Computer Simulation will Transform the Biomedical Industry”124, pubblicata alla fine del 2015.

All’interno di tale roadmap, gli In Silico Clinical Trials (ISCT) sono stati definiti come: «l’uso di simulazione computerizzate personalizzate nello sviluppo o valutazione di un prodotto biomedicale, un device medico, o una procedura medica. [Gli ISCT] sono un sottodominio nella medicina in silico, una disciplina che comprende l’uso di simulazioni computerizzate personalizzate di tutti gli aspetti della prevenzione, diagnosi, prognosi e cura di una patologia».

120 E. TOPOL, The Creative Destruction of Medicine, Basic Books, 2012.. 121 TUFTS CENTER FOR THE STUDY OF DRUG DEVELOPMENT, Outlook 2016, Tufts University, 2016. 122 US FOOD AND DRUG ADMINISTRATION, Challenge and Opportunity on the Critical Path to New Medical Products, Report, March 2004, https://www.who.int/intellectualproperty/documents/en/FDAproposals.pdf. 123 US FOOD AND DRUG ADMINISTRATION, Challenge and Opportunity on the Critical Path to New Medical Products, Report, March 2004, https://www.who.int/intellectualproperty/documents/en/FDAproposals.pdf. 124 M. VICECONTI, A. HENNEY, E. MORLEY-FLETCHER, In silico Clinical Trials: How Computer Simulation will Transform the Biomedical Industry, Research and Technological Development Roadmap, Avicenna Consortium, Brussels January 2016.

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La roadmap ha raccolto i punti di vista di una moltitudine di interlocutori (esperti da tutto il mondo, in bioinformatica, industria farmaceutica, etc.), i quali avevano ben chiaro che il problema principale che l’industria doveva cercare di risolvere fosse la non sostenibilità dei crescenti costi connessi al fallimento nella produzione e commercializzazione dei farmaci.

A parte tale percezione diffusa della appena menzionata non sostenibilità dell’attuale processo di scoperta e commercializzazione, diversi altri elementi concorrono a favorire l’introduzione degli in silico trial: la disponibilità massiva di dati clinici, che potrebbe incidere molto sul modo in cui i trial sono condotti; la necessità di evitare il duplicarsi dei medesimi laddove la valutazione del farmaco è stata già effettuata (mentre oggi è necessario un nuovo trial ogniqualvolta un farmaco è indicato per il trattamento di un diverso disturbo); la crescente pressione dell’opinione pubblica contro gli esperimenti sugli animali per la valutazione pre-clinica, che potrebbero efficacemente essere sostituiti dai trial clinici; la possibilità, grazie all’in silico, di valutare efficacia e sicurezza di un farmaco su fenotipi meno frequenti già durante la seconda fase degli stessi (prima di scoprire problemi non risolvibili in nella terza fase del processo)125.

125 Ibid.

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CAPITOLO 3

PERSONALIZZAZIONE DELLE CURE, TERAPIE INNOVATIVE E NUOVO RUOLO DEI FARMACI di

Patrizia Ciavatta – Gianluca Fincato – Gaia Panina

Il nuovo ruolo degli -omics (genomica, proteomica, metabolomica) e la personalizzazione delle cure

Per molti anni la diagnosi e il trattamento delle patologie si sono focalizzati sulla generalizzazione di dati statistici ottenuti su grandi casistiche di pazienti. Senza tenere conto delle differenze inter-individuali nonché delle eterogeneità genetiche e fenotipiche dei singoli individui, che possono determinare non solo differenti risposte ai farmaci, ma anche prognosi differenti.

Il sequenziamento del genoma, completato ormai quasi venti anni fa e definito da più parti come “la più grande rivoluzione dopo Leonardo”, ha aperto la strada ad una nuova era e la genomica è stata, di fatto, la prima delle discipline cosiddette “omiche” (-omics) a fare la sua comparsa e ad avviare il processo verso la medicina “personalizzata o di precisione”.

Uno degli aspetti centrali della medicina personalizzata è l’identificazione di biomarcatori in grado di consentire di prevedere il rischio di una malattia, di effettuare la diagnosi precoce, di scegliere il trattamento più appropriato e monitorarne i risultati: si tratta di un approccio innovativo che parte dalle caratteristiche individuali e va a definire piani personalizzati di prevenzione e di trattamento.

In tale contesto, le discipline omiche consentono la caratterizzazione sempre più dettagliata dei processi biologici, siano essi genetici, cellulari o biochimici, correlati ai diversi fenotipi e la loro integrazione (principalmente genomica, trascrittomica, proteomica e metabolomica) in quella che viene definita come la biologia dei sistemi complessi.

Ma come tale “biologia dei sistemi complessi” si sposa con le terapie innovative e con la medicina personalizzata?

La biologia dei sistemi complessi e le varie tecnologie omiche a esse correlate hanno letteralmente rivoluzionato negli ultimi anni l’approccio allo studio delle malattie, consentendo una identificazione sempre più puntuale delle differenze inter-individuali nonché di profili molecolari e innovando il metodo scientifico.

Tali tecnologie hanno un potenziale di applicazione molto vasto che va dall’aumento della comprensione di svariati processi fisiologici e fisiopatologici al loro impiego nella diagnosi, nello screening, nella valutazione della risposta alla terapia e/o della prognosi di diverse patologie: l’obiettivo è quello di studiare contemporaneamente diverse molecole

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con l’obiettivo di identificare marcatori biologici (singoli o gruppi) che intervengono nei vari stadi di una malattia.

Si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione copernicana dove la ricerca non si basa più su solo su ipotesi preesistenti (da dimostrare poi con sperimentazioni cliniche) ma genera, attraverso i risultati della ricerca stessa, nuove informazioni e nuove ipotesi che andranno poi analizzate e confermate da altri studi.

Al momento la medicina personalizzata è prevalentemente connessa ai dati genomici e di fatto è ancora una realtà che potremmo definire emergente, anche perché da un lato non vi sono ancora livelli di evidenza considerati sufficienti ad associare in maniera univoca alcune varianti genetiche sia con il fenotipo individuale sia con una specifica patologia e dall’altro lato non vi sono ancora risorse sufficienti da destinare all’implementazione che le tecnologie omiche richiedono.

Sebbene l’utilizzo di sistemi basati sull’Intelligenza Artificiale avrà sempre più un ruolo nel futuro della medicina personalizzata non bisogna però dimenticare quella che è la “medicina dell’evidenza” che permette di avere basi solide su cui articolare il ragionamento clinico-diagnostico su ciascun paziente. Non a caso l’FDA ha approvato più di 160 biomarcatori in grado di stratificare i pazienti in termini di risposta ai farmaci e tali marcatori sono prevalentemente genomici.

Un Report della Commissione Europea pubblicato nell’ottobre 2013126 ha analizzato in dettaglio le sfide e le opportunità rappresentate delle tecnologie omiche nello sviluppo della medicina personalizzata ,evidenziando come sia necessario un approccio olistico alla questione in quello che è un vero e proprio “ciclo dell’innovazione”, come mostra la sottostante figura.

126 EUROPEAN COMMISSION, Use of '-omics' technologies in the development of personalised medicine, Commission Staff Working Document, Bruxelles, 25 ottobre 2013. Disponibile online qui: https://ec.europa.eu/research/health/pdf/2013-10_personalised_medicine_en.pdf.

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In tale contesto, la medicina personalizzata sta portando a un cambio di paradigma nello sviluppo delle terapie attraverso l’integrazione dei dati molecolari su larga scala con i dati clinici e ciò può portare, nel medio-lungo termine, a una nuova definizione molecolare delle malattie. Del resto, una migliore comprensione delle basi molecolari - soprattutto se combinata con la conoscenza delle interconnessioni tra i diversi fattori ambientali a cui i singoli individui sono esposti e alle loro caratteristiche genetiche - consentirà una sempre maggiore caratterizzazione delle malattie e l’individuazione di strategie di trattamento sempre più efficaci.

In conclusione, la rapida evoluzione delle scienze omiche impone alla comunità scientifica l’adozione di una sempre maggiore armonizzazione e standardizzazione delle metodiche di generazione e analisi dei dati e alle Autorità regolatorie una riflessione sulle attuali normative che regolano l’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci, auspicando una maggiore flessibilità normativa che tenga il passo dell’evoluzione tecnologica e rappresenti un volano verso una medicina che abbia sempre più al centro il paziente127.

Non a caso l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) - riconoscendo come le scienze omiche e la loro applicazione rappresentano ormai una realtà nel mondo dello sviluppo farmaceutico - le ha incluse tra i cinque obiettivi strategici nel documento “EMA Regulatory Science to 2025, a strategic reflection”128, indicando come la valutazione regolatoria,

127 E. CIANI, Le tecnologie a supporto delle scienze omiche, Conference Paper, XXI congresso Nazionale SIPAOC, Foggia, Settembre 2014. 128 EUROPEAN MEDICINES AGENCY, EMA Regulatory Science to 2025 – Strategic reflection, 2018, https://www.ema.europa.eu/en/documents/regulatory-procedural-guideline/ema-regulatory-science-2025-strategic-reflection_en.pdf.

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nell’ambito dei processi autorizzativi, debba essere ulteriormente sviluppata per essere al passo con farmaci sempre più complessi designati e prodotti per uno specifico individuo e non più per gruppi eterogenei di individui.

Le Terapie avanzate e la loro evoluzione

Il progresso della biologia molecolare e cellulare ha portato negli ultimi decenni a un cambiamento nel modo di affrontare la cura per diversi tipi di patologie, in particolare per le malattie rare e le patologie emato-oncologiche. Si tratta di una rivoluzione che ha già iniziato a cambiare le modalità di sviluppo, sperimentazione, produzione e approvazione dei farmaci.

Per terapie avanzate si intendono: la terapia genica, la terapia cellulare somatica e l’ingegneria tessutale. Facendo riferimento al regolamento 1394/2007 CE e alla Direttiva 2001/83 CE, i medicinali per terapie avanzate possono essere classificati in quattro gruppi principali129:

• Medicinali di terapia genica: contenenti geni che portano a un effetto terapeutico, profilattico o diagnostico. Funzionano attraverso l'inserimento di DNA "ricombinante" nell’organismo, di solito per il trattamento di una varietà di malattie, tra cui malattie genetiche, cancro o malattie croniche. Un gene ricombinante è un tratto di DNA che è creato in laboratorio, riunendo DNA da fonti diverse.

• Medicinali di terapia cellulare somatica: contenenti cellule o tessuti che sono stati manipolati per cambiare le loro caratteristiche biologiche o cellule o tessuti non destinati a essere utilizzati per le stesse funzioni essenziali originali.

• Medicinali di ingegneria tessutale: che contengono cellule o tessuti che sono stati modificati in modo da poter essere utilizzati per riparare, rigenerare o sostituire tessuti umani.

• Medicinali di terapia avanzata combinati: contenenti uno o più dispositivi medici come parte integrante del medicinale. Un esempio sono le cellule fatte crescere su matrici biodegradabili o supporti sintetici.

Attualmente, le terapie avanzate possono offrire soluzioni per il singolo paziente o per pazienti affetti da malattie rare o genetiche e possono essere in grado di ristabilire funzioni fisiologiche compromesse, a volte con la correzione di mutazioni genetiche. Terapie che quindi hanno il potenziale di curare le cause di queste patologie, piuttosto che agire solo a livello sintomatico. Le quali stanno offrendo e offriranno sempre più vantaggi terapeutici senza precedenti. Al contempo, tali terapie pongono numerose sfide in ambito regolatorio e normativo, ma anche a livello della metodologia della ricerca clinica, ormai consolidata per lo sviluppo dei farmaci tradizionali. 129 Così come riproposti in AIFA “Terapie avanzate”, maggio 2016.

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Terapie che non vanno confuse con gli emoderivati, i trapianti di midollo e l’utilizzo di cellule staminali. La differenza sta nel fatto che quelle avanzate comportano una “manipolazione” in laboratorio per modificare le cellule del donatore per ottenere un effetto terapeutico; un semplice processo di aferesi, sterilizzazione o liofilizzazione non basta per definire una terapia avanzata.

Gli scopi terapeutici principali che si stanno esplorando con le terapie avanzate sono: la rigenerazione di tessuti danneggiati, la ripopolazione del numero insufficiente di cellule o l’attivazione di cellule del sistema immunitario (per es. tecnica CAR-T per neoplasie ematologiche), la modifica di cellule in pazienti affetti da malattie genetiche.

Tra gli esempi recenti di sviluppo clinico e registrazione di terapie avanzate appartenenti ai gruppi sopramenzionati, possiamo citare onasemnogene abeparvovec per la terapia della atrofia muscolare spinale, Strimvelis per la terapia della con immunodeficienza grave combinata da deficit di adenosina deaminasi (ADA-SCID), Holoclar per la terapia delle lesioni corneali, Zalmoxis, tisagenlecleucel e axicabtagene ciloleucel in alcune forme di leucemie e linfomi.

In particolare, onasemnogene abeparvovec (AVXS-101), è un prodotto di terapia genica sviluppato come trattamento per l'atrofia muscolare spinale, una grave malattia neuromuscolare causata da una mutazione nel gene SMN1 con conseguente deficit di proteina del motoneurone di sopravvivenza (SMN). AVXS-101 è un farmaco biologico costituito da capsidi di virus AAV9 che contengono un transgene SMN1. È somministrato per via endovenosa o intratecale. Al momento della somministrazione, il vettore virale AAV9 consegna il transgene SMN1 ai nuclei cellulari, dove il transgene inizia a codificare la proteina SMN, agendo sulla causa della malattia.

Strimvelis è costituito da cellule autologhe CD34+ trasdotte con un vettore retrovirale contenente la sequenza di cDNA che codifica per l'ADA umana; in seguito ad attecchimento nel paziente, si prevede che gli effetti del prodotto perdurino per tutta la vita.

Holoclar è un prodotto a base di cellule staminali (prodotto di ingegneria tissutale) somministrate per innesto a livello corneale che si moltiplicano parzialmente, si differenziano e migrano per rigenerare l'epitelio corneale, oltre a mantenere una riserva di cellule staminali che possano continuamente rigenerare l'epitelio corneale. È indicato nel trattamento di pazienti adulti affetti da deficit di cellule staminali limbari unilaterale o bilaterale, causato da ustioni oculari da agenti fisici o chimici.

Nell’ambito delle terapie geniche, si è assistito negli ultimi anni a un importante sviluppo delle terapie con le CAR-T in alcune malattie del sangue (Linfomi e Leucemia Acuta), con la sigla Chimeric Antigen Receptor T-cell (cellule CAR-T) si intende un procedimento in cui alcune cellule del sistema immunitario vengono prelevate dal paziente, geneticamente

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modificate in laboratorio per poter riconoscere le cellule tumorali e poi re-infuse nello stesso paziente. Attualmente queste terapie sono registrate nelle leucemie linfoblastiche acute (ALL) e in alcuni linfomi non Hodgkin (DLBCL). In sviluppo ci sono attualmente CAR-T in altre malattie ematologiche e tumori solidi particolari.

Quindi, le potenzialità della terapia genica spaziano dalle malattie genetiche ereditarie fino al cancro, le malattie autoimmuni e le malattie infettive. In particolare, in fase di sviluppo avanzata troviamo terapie geniche per malattie genetiche ereditarie, quali la talassemia, l’emofilia, l’anemia falciforme e malattie da deficit enzimatici.

L’evoluzione tecnologica in questo ambito sta facendo passi enormi con l’attesa grandi benefici dal punto di vista terapeutico. Essi, tuttavia, hanno una velocità di sviluppo così elevata da sfidare il sistema normativo e i servizi sanitari per il loro sviluppo e per l’implementazione a vantaggio dei pazienti e del sistema.

Innovare la ricerca: nuovi approcci, strumenti e processi regolatori per la ricerca innovativa

Lo sviluppo delle conoscenze tecnologiche, biologiche e cliniche ha portato nel corso degli anni a cambiare in modo radicale il modo di fare ricerca consentendo l’esplorazione di spazi nuovi per il sapere.

L’innovazione negli studi clinici offre certamente l’opportunità di dimostrare benefici di farmaci che altrimenti potrebbero non essere evidenti con l’utilizzo di metodi convenzionali: l’innovazione può, ad esempio, derivare dall’utilizzo di disegni innovativi di studi, endpoint o tecniche di acquisizione dei dati per stratificare la popolazione e/o la patologia.

In particolare, la metodologia della ricerca clinica è in rapidissima evoluzione e ciò va di pari passo con l’evoluzione tecnologica e digitale che va verso l’esplorazione di nuove opportunità e potenzialità per re-immaginare il modo attraverso cui fare ricerca.

Disegni innovativi di studi clinici richiedono lo sviluppo di metodologie statistiche adattate per poter essere correttamente pianificate e analizzate. In aggiunta può rendersi necessario sviluppare nuovi endpoint e nuovi biomarcatori per ottenere analisi predittive in studi clinici già in fasi precoci di sviluppo.

Facciamo però un passo indietro: entrando nell’universo della metodologia della ricerca clinica, ci si confronta subito con i trial “randomizzati”, ovvero gli studi di ampie dimensioni che consentono di valutare efficacia e sicurezza di nuovi trattamenti e che sono considerati, a tutt’oggi, ancora il gold standard della ricerca diagnostica e terapeutica e sono necessari per ottenere - sulla base di quelle che sono le attuali normative regolatorie - l’autorizzazione all’immissione in commercio.

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Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, i progressi tecnologici, l’affermazione delle scienze omiche, a partire dalla genomica, e la digitalizzazione hanno portato a condividere la necessità di sviluppare disegni di trial clinici più flessibili per adattarli maggiormente alla realtà clinica e migliorarne l’efficienza analitica, uscendo dalla logica della sola randomizzazione che non è applicabile a tutti i quesiti clinici, non è facilmente compatibile con la pratica clinica e non è applicabile retrospettivamente.

I trial devono, di fatto, essere più pragmatici affinché producano risultati utilizzabili per orientare le decisioni cliniche in un mondo che sta cambiando velocemente e che ha aumentato in maniera esponenziale i propri bisogni in materia di salute.

La domanda che ci si pone è se la straordinaria, rapidissima evoluzione della ricerca medica ci porterà progressivamente alla medicina ideale.

Certamente i passi avanti saranno molteplici, ma il percorso non sarà privo di ostacoli né di rischi: basti pensare alle difficoltà potenziali connesse all’implementazione sistematica delle tecniche informatiche nella pratica clinica o anche alla qualità dei dati raccolti in termini di correttezza e accuratezza nonché alle modalità di analisi. Del resto, i grandi numeri non portano ad annullare potenziali bias metodologici ma bensì li possono amplificare.

La stessa incorporazione sistematica della genetica nella pratica clinica, pur offrendo grandi opportunità, espone anche ad alcuni rischi quali: l’inflazione dei dati genomici in un contesto che potrebbe essere impreparato ad interpretarli, l’attribuzione di un valore casuale a mutazioni genetiche che non l’hanno, con conseguenti rischi di errori diagnostici e terapeutici e la possibile creazione di farmaci per target non rilevanti130.

Emerge quindi abbastanza chiaramente come i processi e i disegni tradizionali degli studi clinici non siano più sostenibili e che il bisogno di modelli e sistemi innovativi rappresenti il futuro prossimo di una ricerca sostenibile e che resti basata sull’evidenza.

In tale contesto di profondo cambiamento un ruolo fondamentale deve essere assunto dalle Agenzie regolatorie che devono raccogliere la sfida dell’innovazione ed essere pronte a sostenere, anche sotto il profilo normativo, lo sviluppo di farmaci sempre più complessi: il sistema deve evolversi e la sfida fondamentale sarà quella di garantire requisiti regolatori sufficientemente flessibili, mantenendo nel contempo i necessari requisiti di qualità.

L’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) nel documento “EMA Regulatory Science to 2025 - a strategic reflection”, ha incluso l’innovazione nella ricerca clinica tra i propri cinque obiettivi strategici riconoscendo, di fatto, come l’adozione di nuove procedure che facilitino l’autorizzazione degli studi clinici, la valutazione critica del valore clinico di endpoint non 130 L. Tavazzi, "L’evoluzione della ricerca clinica. Con il variare della domanda di salute e l’incorporazione della tecnologia informatica stanno cambiando disegni degli studi, raccolta e analisi dei dati", Recenti Progressi in Medicina, 2015, n. 106.10, pp. 486-494.

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tradizionali e il supporto a nuove modalità di scoperta e sviluppo di farmaci, siano fondamentali per rispondere alla sfida del domani, ovvero demarcare il confine tra cura e prevenzione e arrivare a rendere l’uomo refrattario a determinate malattie131.

Fondamentale sarà per le Autorità regolatorie il rapporto sia con il mondo accademico e scientifico che con le aziende, in una partnership che consenta di conoscere a fondo cosa la scienza e le nuove tecnologie possono portare e come. Del resto, la stessa valutazione separata tra dispositivi, procedure mediche e farmaci non sarà più possibile in futuro.

La convergenza delle tecnologie impone anche una convergenza delle valutazioni regolatorie. La velocità di sviluppo delle tecnologie impatta tutti i settori e gli aspetti organizzativi della società e si passerà progressivamente dal regolamentare la prescrizione dei farmaci a organizzare la somministrazione di terapie complesse: ciò richiederà una evoluzione della legislazione che dovrà favorire l’integrazione di tutte le attività di valutazione dei farmaci ma anche dei dispositivi e dei processi132.

Quanto sopra richiederà anche investimenti da parte delle Autorità Regolatorie nell’informatizzazione, nella raccolta e analisi dei dati nonché nella comprensione dei modelli innovativi della ricerca clinica.

La velocità con cui evolvono la scienza, le metodologie di valutazione e l’adeguamento del contesto legislativo sono e saranno sempre differenti, però, l’obiettivo a cui tendere è quello di ridurre quanto più possibile tali differenze di velocità per consentire all’innovazione tecnologica di non fermarsi e al contempo di poter contare su un sistema normativo al passo con i tempi133.

La necessità di nuovi modelli, nuove competenze e nuovi workflow clinici per le terapie innovative

Nel campo delle scienze della vita sono in atto le più grandi innovazioni, frutto dei progressi di scienza e tecnologia. In particolare, le terapie innovative stanno profondamente trasformando la scienza medica in una scienza di precisione, capace di fornire risposte più mirate ed efficaci ai bisogni di salute dei singoli individui, riducendo gli effetti collaterali. Così sta cambiando non solo il modo di fare ricerca e sviluppo, ma inevitabilmente anche il sistema di produzione e distribuzione delle nuove terapie nonché le modalità in cui le cure vengono erogate. Il farmaco non è più “solo” un prodotto bensì parte di un complesso percorso assistenziale, che ha inizio, ed è fortemente embricato, con la diagnostica e la 131 EMA, Regulatory Science to 2015 - A Strategic reflection, op. cit.. 132 G. Rasi, Dallo speziale all'uomo geneticamente modificato: il passato e il futuro della regolamentazione dei medicinali nell'UE, Lectio doctoralis, Catania, 11 aprile 2019, cfr. http://www.aspeninstitute.it/interesse-nazionale/articolo/%E2%80%9Cdallo-speziale-alluomo-geneticamente-modificato-il-passato-e-il-futuro. 133 Deloitte Centre for Health Solution, A Bold Future for life sciences regulation - predictions 2025, novembre 2018.

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raccolta delle informazioni genetiche specifiche dell’individuo e della patologia, ha il suo culmine nell’atto terapeutico e prosegue poi nell’assistenza a lungo termine, che spesso si avvale di strumenti medtech e devices. Il paziente non è più soggetto passivo che subisce l’atto terapeutico, ma un partner del sistema salute, primo attore nella gestione responsabile delle terapie e generatore di dati “real world” che amplificano le conoscenze scientifiche.

Nuovi modelli e nuove competenze all’interno dell’industria del farmaco

Nell’industria si è aperta una fase entusiasmante di innovazione con una accelerazione esponenziale innescata dall’open innovation e da sinergie con le imprese ICT. Il mondo della ricerca industriale ha da tempo superato la sindrome del not invented here per aprirsi a medici e ricercatori del mondo universitario e delle biotech. È solo attraverso l’incontro, la valorizzazione e la messa a sistema delle rispettive conoscenze e specializzazioni che è stato possibile sviluppare nuove piattaforme tecnologiche, che stanno cambiando il volto della ricerca early stage (ad esempio CRISPR genome editing, DNA-encoded libraries, target proteins degradation). L’avanzamento dei sistemi di intelligenza artificiale, ovvero di sistemi cognitivi che sfruttano una enorme potenza di calcolo, stanno consentendo l’analisi di database sterminati e in continuo aggiornamento, grazie a cui la ricerca riuscirà a essere sempre più efficiente nel valutare i prodotti già nella fase pre-clinica, e a circostanziare i candidati per le successive fasi di sviluppo clinico. La promessa dei nuovi modelli di network innovation in ricerca e sviluppo è di formulare cure in tempi più rapidi, più efficaci e più sicure.

Nuovi modelli, nuove competenze e nuovi workflow clinici nei centri ad alta specializzazione

Il modello di implementazione clinica non può prescindere dal considerare la complessità del processo diagnostico-terapeutico-assistenziale all’interno di centri ad alta specializzazione. AIFA, e in particolare la Commissione Tecnico Scientifica, sta fattivamente collaborando con le società scientifiche e le stesse aziende del farmaco che hanno in sviluppo o sul mercato le innovative piattaforme tecnologiche per le terapie avanzate, al fine di definire i requisiti standard dei centri autorizzati. È auspicabile che i successivi passaggi attraverso la Commissione Stato-Regioni e quindi alle Regioni che hanno mandato di individuare i centri sulla base dei suddetti criteri, avvenga in tempi rapidi e in maniera uniforme sul territorio nazionale per evitare ritardi e disparità geografiche nell’accesso a queste terapie.

I centri ad alta specializzazione sono in questa prima fase di utilizzo delle terapie avanzate in prevalenza associati a centri universitari. In accordo ai requisiti standard, sono dotati di appropriate infrastrutture e personale medico specializzato per la gestione di tutte le fasi del patient journey, incluso il follow up dei pazienti a breve termine che rimane una fase

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critica del processo di somministrazione delle terapie avanzate. I centri ad alta specializzazione devono essere in grado di garantire elevati standard qualitativi, condizione necessaria per il buon esito del processo.

Nel caso delle terapie geniche rivestono particolare importanza le capacità tecniche e gli standard qualitativi dell’operatore, trattandosi spesso di somministrazione attraverso interventi di chirurgia avanzata.

Nel caso della terapia cellulare CAR-T, il centro ad alta specializzazione deve garantire una catena complessa di presa in carico del paziente. In primo luogo, sarebbe auspicabile la presenza al centro di personale sanitario che abbia tempo, modi e formazione adeguati per rispondere in modo competente alle domande dei pazienti arruolabili per la terapia così da accompagnarli nella accettazione del Consenso Informato. Il personale medico deve avere anche una adeguata preparazione nella raccolta del materiale biologico (cellule), passaggio critico nell’avvio del processo di preparazione della terapia. Il materiale biologico raccolto deve essere trasferito al centro di produzione delle cellule re-ingegnerizzate che verranno successivamente ritrasferite al letto del paziente in una CAR-T Unit. Solo in presenza di flussi di lavoro ben definiti e di coordinamento dei diversi attori che operano lungo il percorso (a partire dallo stesso paziente informato del processo) è garantita la “catena di identità” del materiale biologico. Anche il ruolo del farmacista ospedaliero cambia secondo questo modello, rimanendo per legge l’autorità competente per la ricezione e contabilizzazione del materiale biologico, ma il cui lavoro è in sinergia con le altre strutture all’interno del centro per lo stoccaggio (unità di crio-preservazione) e la distribuzione del prodotto.

Nei centri ad alta specializzazione diventa cruciale la creazione di nuove professionalità, in particolare medici ad alta specializzazione avviati in intensi percorsi formativi (spesso all’estero). Anche il lavoro infermieristico richiede una evoluzione di competenze in rapporto alla complessità dei processi e dei quadri clinici.

Nuovi modelli di interazione tra industria del farmaco e medici

L’adozione delle terapie avanzate nella pratica clinica non può seguire i modelli tradizionali di relazione industria-medico. Le esperienze di successo a oggi insegnano che è essenziale lavorare in partnership e condividere le competenze per la creazione di protocolli ospedalieri per la somministrazione delle terapie avanzate e per la definizione di percorsi formativi. I centri di ricerca sono i primi in cui avviare tale partnership che è naturalmente da estendere ai centri ad alta specializzazione identificati dalle Regioni, la quale però implica un rapporto di fiducia reciproca.

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I percorsi formativi debbono essere comprensivi di un training tecnico/operativo e degli strumenti di gestione clinica del paziente, durante la degenza ospedaliera e nel follow up, nel rispetto dei requisiti del Risk Management Plan richiesto dalle autorità regolatorie. I percorsi formativi dovrebbero tenere conto anche della necessità di fornire al medico gli strumenti per vincere la naturale resistenza all’uso delle terapie avanzate in considerazione dei maggior rischi associati alla procedura e quindi alla responsabilità legale. La definizione di un percorso formativo è necessaria anche ad accrescere la credibilità e l’apertura dei pazienti nei confronti di queste terapie.

L’industria sta portando al suo interno nuove figure professionali che provengono dallo stesso mondo ospedaliero (e.g. operatori aferesi) al fine di sviluppare competenze che consentano di sostenere al meglio i centri ad alta specializzazione nella definizione di percorsi clinici e formativi di qualità.

L’industria sta inoltre tenendo conto della necessità di fornire adeguata informazione anche al settore delle cure primarie. Il medico di Medicina Generale deve avere la possibilità, attraverso questa informazione, di inviare pazienti per valutazione specialistica. Inoltre, è la stessa figura medica può avere un ruolo nella gestione del follow up a lungo termine dei pazienti che hanno ricevuto una terapia avanzata.

Il ruolo dei pazienti nell’utilizzo clinico delle terapie avanzate

Non certo da ultimo va ricordato il ruolo dei pazienti nell’utilizzo clinico delle terapie innovative. I pazienti devono essere coinvolti e non “trattati” o “arruolati”. Le terapie avanzate attese da anni possono essere una risposta ai bisogni dei pazienti ma i pazienti devono imparare a conoscerle e devono poter fare una scelta informata e condivisa al fine di non precludersi altre possibilità.

Il paziente, attraverso la firma del Consenso Informato, è responsabilizzato rispetto alla procedura che verrà messa in atto, sia essa un atto medico o chirurgico per la somministrazione di una terapia genica, o il processo di gestione del proprio campione biologico (cellule) con la concessione al centro del suo trattamento perché gli venga restituito sotto forma di farmaco.

Il paziente riceve inoltre documentazione specifica afferente al Risk Management Plan, così da essere istruito nella identificazione dei rischi connessi alla terapia.

Le Associazioni Pazienti hanno una grande responsabilità nell’agire il ruolo dei pazienti stessi nei processi decisionali. Determinante è il ruolo svolto nella formulazione del Consenso Informato delle terapie avanzate. Alcune associazioni hanno inoltre già messo in campo un’adeguata formazione per le proprie comunità di pazienti, per comprendere al meglio le opportunità offerte dalle terapie avanzate e per fornire strumenti per la ricerca della qualità. Il

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ruolo delle Associazioni Pazienti può essere determinante per compensare una comunicazione troppo “spinta” da parte della stampa laica, che tende a posizionare le terapie avanzate come terapie “per tutti”, senza tenere conto della necessità che le stesse siano riservate inizialmente a popolazioni selezionate e gestite con alti standard qualitativi.

Le nuove frontiere della medicina di precisione e personalizzata

I termini medicina di precisione e personalizzata sono spesso usati in modo intercambiabile. Naturalmente, i medici hanno sempre considerato che l’approccio clinico al paziente dovesse essere personalizzato, sia per la diagnosi, per la cura, ma anche per gli interventi preventivi. Questo approccio è stato negli ultimi decenni ridimensionato dalla Medicina fondata sulle evidenze (Evidence Based Medicine), con la produzione di linee guida diagnostico-terapeutiche, allo scopo di “standardizzare” le cure ai pazienti con determinate condizioni cliniche, sulla base della appropriatezza degli interventi. Tale cambio di paradigma era derivato da un cambiamento della metodologia della ricerca clinica, basata sugli studi randomizzati e controllati su larga scala. Da alcuni anni a questa parte, i progressi scientifici e tecnologici in ambito biomedico hanno portato a una conoscenza a livello cellulare e molecolare, nonché spesso delle basi genetiche, della patogenesi di molte malattie, con lo sviluppo di nuovi strumenti diagnostici e di terapie sempre più mirate per gruppi ristretti di pazienti, tanto da far ritornare di attualità i concetti, appunto, di medicina di precisione e personalizzata. In realtà, sarebbe preferibile il termine medicina di precisione per sottolineare lo sviluppo di strumenti diagnostici e terapie mirate ai bisogni dei singoli pazienti, sulla base di valutazioni genetiche, dei biomarker, delle caratteristiche fenotipiche/cliniche e anche psicosociali che distinguono un dato paziente da altri pazienti anche con presentazioni cliniche simili.

Alle fondamenta della medicina di precisione vi è l'obiettivo di migliorare i risultati clinici per i singoli pazienti, riducendo al minimo gli effetti collaterali non necessari per quelli meno predisposti ad avere una risposta a un trattamento particolare.

Probabilmente, i principi della medicina di precisione sono stati una pietra miliare della pratica medica sin dai primi tentativi di classificare le malattie e prescrivere un trattamento specifico sulla base di una diagnosi. Di nuovo, tuttavia, è la velocità del progresso nelle opzioni diagnostiche e di trattamento. Alcuni esempi, vecchi e nuovi, per illustrare i concetti di medicina di precisione: l'identificazione di agenti patogeni infettivi con la selezione di un efficace agente antimicrobico è una pratica consolidata da decenni; più recentemente, i test per specifiche alterazioni genetiche e molecolari hanno trasformato la classificazione e il trattamento di diversi istotipi di cancro. Ad esempio, per quanto riguarda il cancro ai polmoni, la classificazione tradizionale basata su criteri anatomici e istologici è stata affiancata dai test molecolari di EGFR, MET, RAS, ALK e altri marcatori

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che permettono di stratificare la popolazione affetta da questa neoplasia in sottogruppi di pazienti maggiormente responsivi a famaci “mirati” in grado di interferire con le espressioni molecolari di queste alterazioni genetiche, con conseguente beneficio clinico in termini di sopravvivenza e qualità di vita. Lo stesso si può dire per il carcinoma mammario per quanto riguarda i recettori ormonali o l’espressione di HER2, oppure, per la leucemia mieloide cronica con l’espressione di BCR-ABL.

Inoltre, già oggi, nuove tecnologie di diagnostica genetica, come i metodi di sequenziamento del DNA di nuova generazione (NGS) stanno assumendo un ruolo fondamentale nella diagnostica dei tumori. Le implicazioni cliniche di questi metodi diagnostici saranno sempre maggiori, man mano che verranno sviluppati nuovi farmaci per quelle alterazioni che svolgono un ruolo rilevante nella proliferazione e diffusione delle cellule cancerogene. Anche per quanto riguarda le immunoterapie mirate per il cancro, test molecolari e genetici consentono già di identificare sottopopolazioni di pazienti maggiormente responsivi, sulla base dell’espressione dei recettori o dei ligandi degli inibitori di checkpoint e/o in base al carico mutazionale (tumor mutational burden) complessivo delle cellule tumorali.

Quindi, il principio di accoppiamento di diagnostica genetico/molecolare e terapia mirata è una delle principali innovazioni in ambito farmaceutico e sarà sempre più importante nello sviluppo clinico e in particolare per la registrazione in commercio dei farmaci onco-ematologici.

Dal punto di vista della pratica clinica, questa innovazione si sta già traducendo in un cambio sostanziale dell’approccio diagnostico e terapeutico, anche per pazienti con malattia avanzata. Oggi, un paziente che si trova in questa condizione potrebbe essere sottoposto a una biopsia tumorale, un prelievo di midollo osseo o più semplicemente a un prelievo ematico con l'obiettivo di valutare un numero elevato di alterazioni genetiche ed essere poi indirizzato a una terapia mirata, per esempio TKI o anticorpi monoclonali, oppure ancora agenti di immuno-oncologia.

È una rivoluzione diagnostica e terapeutica che ha portato a risultati migliori per molte neoplasie e in alcuni casi ha cambiato profondamente la prognosi. Anche se questo progresso è incompleto e si applica per ora solo ad alcune sottopopolazioni di pazienti, i progressi della medicina di precisione - integrata alle opzioni terapeutiche già disponibili e all’ampliamento del campo di applicazione delle cosiddette terapie avanzate che osserveremo prossimi anni - porteranno a miglioramenti significativi della prognosi e della qualità di vita di pazienti affetti dalle più diverse patologie. Sarà sempre più applicabile il principio che definisce la medicina personalizzata o di precisione come la terapia corretta per il singolo paziente, al momento corretto.

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Esempi di malattie in cui la medicina di precisione è utilizzata:

Ambito medico Patologia Biomarker Terapia Cancro LMC

Ca polmonare Ca mammario

BCR-ABL ALK EGFR ER HER2

Imatinib – nilotinib Crizotinib – ceritinib Gefitinib, osimertinib, ecc. Tamoxifen, AI, SERD Trastuzumab

Ematologia Trombosi Fattore V Controindicazione farmaci protrombotici

Malatie infettive HIV/AIDS HBV - HCV

T-CD4+ / carica virale Carica virale

ART Antivirali specifici

Malattie CV Malattia coronarica

CY2C19 Clopidrogel

Malattie metaboliche

Iperlipidemia Colesterolo LDL Statine

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CAPITOLO 4

INNOVAZIONE E DIRITTO SANITARIO

di

Maria Alessandra Sandulli

Accesso a terapie e tecnologie innovative: la garanzia dei diritti fra LEA e tetti di spesa

I principi alla base dell’istituzione del Ssn e sanciti dall’art. 1 l. n. 833/1978 sono l’universalità dei destinatari, l’equità nell’accesso ai servizi e la globalità delle prestazioni.

Il Ssn, infatti, dando piena attuazione all’art. 32 Cost., è tenuto a garantire l’erogazione di prestazioni sanitarie a tutta la popolazione, a prescindere dalle condizioni economiche dei singoli individui, fornendo una tutela globale attraverso la “promozione”, il “mantenimento” e il “recupero” della salute fisica e psichica, anche garantendo prestazioni gratuite a chi non potrebbe sostenerne il costo.

Sin dalla sua istituzione, tuttavia, il Ssn ha dovuto fare i conti con due domande, proprie di ogni modello di welfare state: cosa garantire e a chi garantirlo134. Se per rispondere a tale ultimo quesito il Ssn ha tenuto fede al principio della universalità delle prestazioni (rendendole accessibili a tutta la popolazione), sul fronte dell’individuazione delle prestazioni dovute, invece, i suddetti principi ispiratori, nel corso del tempo, si sono dovuti confrontare e contemperare con la relativa sostenibilità economica e, in particolare, a partire soprattutto dagli anni novanta, con la problematica del condizionamento finanziario del diritto alla salute135, aggravata dalla costante crescita della spesa sanitaria.

In altre parole, in quegli anni, la sfida affrontata dal Ssn è stata quella di cercare di garantire una concreta attuazione all’art. 32 Cost. e ai principi ispiratori della l. n. 833 del 1978, in presenza di risorse limitate. Di qui l’esigenza di una riforma della sanità, tesa espressamente al contenimento della spesa sanitaria (d.lgs. n. 502/1992) e a istituire forme di compartecipazione del privato al costo della prestazione sanitaria (d.lgs. 529/1999)136

134 Cfr. R. BALDUZZI - G. CARPANI, Manuale di diritto sanitario, 2013, p. 78 ss. 135 L. DURST, “Orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul concetto di essenzialità delle prestazioni e sul diritto alla salute come diritto finanziariamente condizionato” in (a cura di) R. NANIA, Attuazione e sostenibilità del diritto alla salute, 2013. 136 Con la compartecipazione del privato al costo della prestazione sanitaria venne a delinearsi un sistema sanitario finanziato non più unicamente dallo Stato ma anche tramite la compartecipazione delle Regioni che, con la loro autonomia, si impegnavano a garantire con proprie risorse la copertura delle prestazioni tramite l’introduzione dei ticket. Sulla compartecipazione dei cittadini alla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni si veda M. BELLETTINI, “LEP e coordinamento della finanza pubblica” in (a cura di) C. BOTTARI, I livelli essenziali delle prestazioni sociali e sanitarie, Quaderni di sanità pubblica, 2014.

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così da riadattare, almeno parzialmente, i principi di universalità, uguaglianza e globalità alle esigenze di sostenibilità economica.

Tale delicata opera di bilanciamento tra la necessaria garanzia del diritto fondamentale alla salute e il relativo carattere “finanziariamente condizionato” è stata guidata dall’instancabile intervento della Corte costituzionale. Quest’ultima, infatti, sin dalle prime pronunce in materia, ha affermato che, se, da un lato, la tutela del diritto alla salute: “non può non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone”, dall’altro, le esigenze finanziarie, per quanto rilevanti: “non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla costituzione come ambito inviolabile della dignità umana” (Corte cost. nn. 445/1990; 247/1992; 218/1994; 416/1995; 267/1998; 309/1999).

Il punto di equilibrio tra l’attuazione del diritto alla salute e la razionalizzazione della spesa sanitaria è stato rintracciato nel principio dell’appropriatezza137, in forza del quale il Ssn fornisce a tutti gli individui, in condizioni di equità, le sole prestazioni che possano ritenersi “appropriate”.

Come noto, una prestazione è definibile come appropriata se: a) la sua efficacia sia dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili e il suo utilizzo sia rivolto a soggetti in condizioni cliniche tali da richiederla – c.d. appropriatezza clinica – e b) se, in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, il suo impiego soddisfi il principio di economicità e garantisca un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell’assistenza – c.d. appropriatezza organizzativa138 – (art. 1, co. 7, d.lgs. n. 502/1992 s.m.i.).

Ciò rileva in quanto il carattere dell’appropriatezza è requisito indispensabile affinché una (nuova) prestazione possa essere inclusa tra i livelli essenziali di assistenza (c.d. LEA)139 che costituiscono la specificazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, co. 2, lett. m Cost. in ambito sanitario140 e possono meglio essere definiti come l’insieme

137 Il principio di appropriatezza, come è noto, è entrato nell’ordinamento italiano con la l. 27 dicembre 1997 n. 449 per poi essere accolto nella sua pienezza con il d.lgs n. 229 del 1999. Sul principio di appropriatezza v. V. ANTONELLI, “La garanzia dei livelli essenziali di assistenza nei primi 40 anni del Servizio sanitario nazionale: dall’uniformità all’appropriatezza”, Federalismi.it., 2018. 138 R. BALDUZZI - G. CARPANI, Manuale di diritto sanitario, 2013, p. 79 ss. 139 I parametri sulla base dei quali devono essere determinati i LEA sono specificati all’art. 1, comma 2, del d.lgs n. 502/1992 (come modificato dal d.lgs. 229/1999 s.m.i.) e sono “il rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse”. 140 Tale definizione può dirsi condivisa anche da M. LUCIANI, “I livelli essenziali delle prestazioni in materia sanitaria tra Stato e Regioni”, in E. CATELANI, G. CERRINA FERONI, M.C. GRISOLIA (a cura di), Diritto alla salute tra uniformità e differenziazione, modelli di organizzazione sanitaria a confronto, 2011, 26, che pure sottolinea che i livelli essenziali delle prestazioni non si esauriscono nei LEA.

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delle prestazioni che vengono garantite dal Ssn, a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, perché presentano, per specifiche condizioni cliniche, evidenze di un significativo beneficio in termini di salute individuale o collettiva, a fronte delle risorse impiegate (art. 1 d.lgs. n. 502/1992).

A seguito della costituzionalizzazione della nozione di “livelli essenziali” – avvenuta con la riforma costituzionale del 2001 – si è ormai concordi nel ritenere che la lettura congiunta dell’art. 32, co. 1 e dell’art. 117, co. 2, lett. m, Cost. consenta di affermare che il contenuto essenziale del diritto alla salute, inteso come diritto dell’individuo a ricevere una determinata prestazione, possa coincidere con i livelli essenziali di cui all’art. 117, comma 2, lett. m, Cost. 141. Seguendo tale lettura, dunque, sarebbe questo il “nucleo irriducibile” e “inviolabile” che, secondo la richiamata giurisprudenza costituzionale, non potrebbe essere intaccato neanche dalle (così rilevanti) esigenze di contenimento della spesa sanitaria.

Combinando la definizione dell’appropriatezza con le tipologie di prestazioni comprese all’interno dei LEA, si ottiene che devono ritenersi tendenzialmente escluse dall’elenco-LEA le prestazioni, i servizi e le attività che (I.) non rispondono a necessità assistenziali, (II.) hanno efficacia non dimostrabile scientificamente o sono utilizzate in modo inappropriato rispetto alle condizioni cliniche dei pazienti (III.) a parità di beneficio per i pazienti, sono più costose di altre142.

Tali considerazioni acquistano particolare rilevanza in tema di terapie innovative, il cui costo, notoriamente elevato, mette ancor più in evidenza la limitatezza delle risorse.

Davanti ad una nuova terapia, il criterio dell’appropriatezza, infatti, funge da “spartiacque” tra ciò che può essere garantito ed eventualmente erogato a spese del Ssn, e ciò che invece il Ssn non è tenuto a fornire ai propri utenti in quanto non rispondente ai suddetti criteri, primo fra tutti la dimostrabilità della sua efficacia in base alle evidenze scientifiche disponibili. Su tale aspetto si è pronunciata anche la Corte costituzionale sin dalla nota sentenza n. 185/1998143, stabilendo che pretendere che il Ssn garantisca gratuitamente prestazioni mediche “anche solo ipoteticamente efficaci” non può considerarsi una possibilità ragionevole, soprattutto nell’ipotesi in cui, in un determinato campo, esistano trattamenti già sperimentati e validati.

141 Cfr. R. BALDUZZI - G. CARPANI, Manuale di diritto sanitario, 2013, p.35 ss. Sull’identificazione del livello essenziale “giusto” v. M. LUCIANI, I livelli essenziali delle prestazioni in materia sanitaria tra Stato e Regioni, cit. 142 Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), Schede di lettura, in www.senato.it, 2016. 143 Tale pronuncia è nota anche come il c.d. “Caso Di Bella” o “Multiterapia Di Bella”.

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La concreta individuazione dei LEA è stata affidata allo strumento del d.p.c.m.: il decreto del 29 novembre 2001144 è stato, come noto, integralmente sostituito145, a distanza di sedici anni, dal d.p.c.m. del 12 gennaio 2017146.

Il nuovo d.p.c.m. - senza rivoluzionare l’elenco dei LEA già conosciuti - si è occupato di aggiornarlo (soprattutto introducendo prestazioni tecnologicamente avanzate ed escludendo prestazioni ormai obsolete), di ridefinire e modificare gli elenchi delle malattie rare e delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione nonché di descrivere con maggior dettaglio ed accuratezza le prestazioni e le attività.

Per garantire il costante aggiornamento dei LEA, da ultimo, la legge di stabilità 2016 (art. 1, co. 556, l. n. 208/2015) ha istituito la “Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA e la promozione dell’appropriatezza nel SSN” con il compito di provvedere all’aggiornamento continuo del contenuto dei LEA, proponendo l’esclusione di prestazioni, servizi o attività divenuti obsoleti e, analogamente, suggerendo l’inclusione di trattamenti che, nel tempo, si sono dimostrati innovativi o efficaci per la cura dei pazienti.

La centralità dell’aggiornamento dei LEA ha trovato conferma nel giugno 2019, quando il Ministro della Salute ha annunciato l’attuazione di un nuovo strumento per garantirne l’effettuazione, anche in ragione del costante sviluppo tecnologico. È stata prevista, infatti, l’istituzione di un “servizio di richiesta di aggiornamento dei LEA”, attivo sul portale ministeriale, con cui le aziende sanitarie, le aziende produttrici, le Regioni, le Province autonome, ma anche i cittadini e le associazioni dei pazienti, potranno fare richieste - valutate dalla suddetta Commissione nazionale - di inserimento di nuove prestazioni o servizi, nonché di modifica o di esclusione di prestazioni o servizi già inclusi, come anche richieste di nuove esenzioni per patologia o di modifica delle esistenti147.

144 La scelta di tale strumento fu molto dibattuta sino all’intervento della Corte costituzionale che ha ritenuto compatibile con la Costituzione (con la riserva di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) la scelta di procedere con d.p.c.m., valorizzando però il necessario coinvolgimento delle Regioni nell’attuazione della potestà statale (Corte cost. n 88 del 2003), definendo la leale collaborazione (quindi il coinvolgimento delle regioni) come elemento essenziale e indefettibile del procedimento di definizione dei LEA (Corte cost. n. 134 del 2006). Per una approfondita ricostruzione dell’operato della Corte costituzionale: C. BOTTARI, Profili innovativi del sistema sanitario, 2018, p. 69 ss. 145 Mentre il decreto del 2001 aveva un carattere sostanzialmente ricognitivo l'attuale provvedimento si propone come la fonte primaria per la definizione delle “attività, dei servizi e delle prestazioni” garantiti ai cittadini con le risorse pubbliche messe a disposizione del Ssn. Per approfondimenti: Servizio studi della Camera dei deputati, I nuovi livelli essenziali di assistenza, 2018, in www.camera.it. 146 Prima di tale data vi sono stati diversi tentativi di aggiornamento che, tuttavia, non sono andati a buon fine spesso a causa della mancata copertura economica, come ad esempio nel caso del d.p.c.m. del 23 aprile del 2008. A questo tentativo di riforma seguì il d.l. 13 settembre 2012, n. 158 “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, convertito con la l. 8 novembre 2012, n. 189, nota come “legge Balduzzi”, anch’esso non andato a buon fine. 147 www.salute.gov.it/portale/lea/.

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Non è un caso che, nella bozza del “Patto per la salute 2019-2021” del 27 maggio 2019, ponendo in connessione aggiornamento dei LEA e innovazione tecnologica, si preveda che Governo e Regioni - in sede di aggiornamento annuale di tali livelli minimi essenziali -debbano impegnarsi a utilizzare anche metodologie di Health Technology Assessment (HTA), ossia “un approccio multidimensionale e multidisciplinare per l’analisi delle implicazioni medico-cliniche, sociali, organizzative, economiche, etiche e legali” di una (nuova) tecnologia attraverso la valutazione di più fattori quali “l’efficacia, la sicurezza, i costi, l’impatto sociale e organizzativo” (cfr. art. 2, rubricato “Garanzia dei LEA e governance del SSN”)148.

Tali interventi mettono in luce che uno degli strumenti che il Ssn considera essenziale per far fronte all’inarrestabile progresso scientifico-tecnologico che sta caratterizzando (anche) il settore sanitario, sia proprio il necessario e continuo aggiornamento delle prestazioni sanitarie incluse nei LEA.

Solo permettendo al concetto di “appropriatezza” delle prestazioni di evolversi di pari passo con le innovazioni tecnologiche è possibile garantire agli utenti del Ssn un accesso uniforme alle “nuove” prestazioni.

All’esigenza di rendere maggiormente fruibile l’innovazione tecnologica il Ssn ha risposto anche permettendo il “dialogo” tra i livelli essenziali delle prestazioni e i c.d. livelli aggiuntivi.

Come si vedrà subito infra, i singoli Ssr, pur essendo tenuti ad assicurare le prestazioni e i servizi inclusi nei LEA - in quanto rappresentativi del livello “essenziale” che deve essere assicurato a tutti i cittadini - sono liberi di garantire, utilizzando risorse proprie, prestazioni e servizi ulteriori. Tale possibilità, sebbene possa comportare fenomeni come quello della c.d. mobilità sanitaria, andando a incidere sulla capacità attrattiva delle singole Regioni, risulta perfettamente in linea con l’art. 32 Cost., in quanto, dalla lettura proposta, ciò che deve essere garantito in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale sono, appunto, i livelli essenziali e non quelli aggiuntivi, nel rispetto della libertà di scelta dell’utente del Ssn della struttura che ritiene più idonea per la fruizione della prestazione sanitaria, così come riconosciuto dal d.lgs n. 229/1999149.

La sostenibilità delle prestazioni erogabili dai singoli Ssr - a partire soprattutto dal d. lgs. n. 502/1992 - tuttavia, è stata controbilanciata con il principio di programmazione delle prestazioni a carico del servizio pubblico, a testimonianza di come il diritto alla salute venga attuato come diritto finanziariamente condizionato.

148 www.salute.gov.it/portale/temi/. 149 Tale decreto ha infatti accordato al cittadino: “la libera scelta del luogo di cura e dei professionisti nell’ambito dei soggetti accreditati” (art. 8-bis, comma 2). Per una puntuale ricostruzione storica sull’evoluzione del principio della libera scelta si veda R. BALDUZZI - G. CARPANI, Manuale di diritto sanitario, 2013, p. 39 ss.

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Le Regioni, infatti, sono tenute a individuare, con un atto di programmazione, per ciascuna istituzione sanitaria pubblica e privata, un tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il Fondo sanitario, nonché i preventivi annuali delle prestazioni (Consiglio Stato, sez. V, 25 gennaio 2002, n. 418)150. Nell’esercizio di detta potestà programmatoria, le Regioni godono di un ampio potere discrezionale attraverso il quale sono tenute a bilanciare diversi interessi tra cui l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie appropriate, le legittime aspettative degli operatori privati che ispirano le loro condotte a una logica imprenditoriale e l’assicurazione dell’efficienza delle strutture pubbliche che costituiscono un pilastro del sistema sanitario universalistico (Ad. plen., n. 3 del 2012)151.

La fissazione dei tetti di spesa152 e la necessaria programmazione della spesa sanitaria sono strumenti indispensabili per garantire tutela alle richiamate esigenze di equilibrio finanziario e di razionalizzazione della spesa pubblica e rientrano nelle possibili condizioni che possono essere poste alla tutela del diritto alla salute “che ne armonizzino la protezione con i vincoli finanziari”, a patto di non scalfirne, secondo la logica già richiamata, il “nucleo essenziale irriducibile” (Ad. plen., n. 3 del 2012).

Dalle considerazioni sin qui svolte emergono con certezza alcuni punti cardine dell’attuale Ssn. Si è visto, infatti, che i principi posti a fondamento del Ssn sono chiamati, da sempre, a confrontarsi e a contemperarsi con le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica. Di conseguenza, il diritto alla salute deve essere tutelato quale diritto finanziariamente condizionato, salva comunque l’irrinunciabile garanzia del suo “nocciolo duro”, del suo “nucleo essenziale”, che, come visto, corrisponde all’obbligo della Repubblica di assicurare i livelli essenziali di assistenza sanitaria in modo uniforme sul tutto il territorio nazionale.

A fronte dell’inarrestabile sviluppo tecnologico e scientifico, lo strumento dei LEA viene utilizzato per garantire l’evoluzione del Ssn, tramite il concetto di appropriatezza e la garanzia che lo stesso possa evolversi di pari passo con le conquiste ottenute in campo scientifico e/o tecnologico.

Nell’erogazione dei LEA, tuttavia, i singoli Ssr devono confrontarsi, con la scarsità delle risorse destinate ad assicurarli e con il principio di economicità nell’impiego delle stesse. Da qui l’esigenza di programmare la spesa sanitaria e di stabilire dei tetti massimi alla medesima che può essere sostenuta dal sistema sanitario pubblico per l’erogazione di prestazioni sanitarie, ad ennesima dimostrazione di come il diritto alla salute non possa e 150 Sul ruolo delle Regioni all’interno del Ssn: F. CINTIOLI, “Diritto alla salute, interessi pubblici e ruolo delle Regioni”, in Diritto alla salute tra uniformità e differenziazione, modelli di organizzazione sanitaria a confronto, 2011. 151 Sull’Adunanza Plenaria n.3/2012 si veda G. FARES, “La retroattività dei tetti di spesa dopo l’Adunanza Plenaria”, in Il libro dell’anno del diritto, Treccani, 2013, p. 278 ss. 152 Sulla fissazione dei tetti di spesa si veda V. SOTTE, “Programmazione sanitaria, finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale e piani di rientro” in Osservatorio di diritto sanitario, Federalismi.it, 2014.

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non potrà mai trovare attuazione senza: “subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone” (Corte. Cost. n. 356 del 1992; n. 203 del 2016).

In un siffatto contesto, si deve comunque considerare che seppur l’innovazione e il progresso tecnologico potrebbero condurre, nel breve periodo, a un aumento della spesa sanitaria, nel lungo periodo riuscirebbero, invece, ad incidere positivamente sulla riduzione della stessa in termini di compensazione153.

Si pensi, ad esempio, alle possibilità offerte dall’utilizzazione di un nuovo farmaco ad alto costo. L’efficacia e l’efficienza di quest’ultimo potrebbero condurre a un risparmio per il Ssn, derivante dalle mancate ospedalizzazioni; oppure ancora al processo di “deospedalizzazione”, che potrà essere determinato da tutti i nuovi strumenti tesi al trattamento dei pazienti da remoto, al di fuori degli ambienti ospedalieri154.

La grande sfida che (da sempre) è tenuto ad affrontare il nostro Ssn è proprio quella di riuscire a bilanciare l’esigenza di garantire la propria continua evoluzione - rinvenibile, ad oggi, nella necessità di rendere lo sviluppo tecnologico accessibile a tutti i propri utenti secondo i predetti principi ispiratori - con quella, sempre più pressante, di razionalizzare la spesa in un contesto di risorse scarse, tenendo ben presente quanto più volte ribadito dalla Corte costituzionale, secondo cui: “non è pensabile di poter spendere senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni (..) è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute” (Corte. Cost. n. 356/1992; n. 203/2016).

Innovazione fra Stato e Regioni: la necessità di garantire uniformità di accesso alle cure innovative

Affidando la tutela del diritto alla salute alla “Repubblica”, e non già a uno specifico livello di governo, la Costituzione sottende un paradigma collaborativo nell’attuazione di tale diritto155, già presente nella volontà dei Costituenti e potenziato dalla riforma del 2001, che, come noto, ha incluso la “tutela della salute” tra le materie di competenza legislativa concorrente.

153 Sul tema si rinvia alle considerazioni svolte da F. PAMMOLLI, cap. 5, al paragrafo La necessità di una valutazione dell’impatto dell’innovazione. 154 Sul nuovo ruolo della figura del “paziente”, sui nuovi strumenti a sostegno della decisione medica e sugli effetti del loro utilizzo nei confronti dei sistemi sanitari, si rinvia al testo di M. DE MALDÈ, cap. 2. 155 R. BALDUZZI, “A mò di introduzione: su alcune vere o presunte criticità del servizio sanitario nazionale e sulle sue possibili evoluzioni” in R. BALDUZZI (a cura di) Trent’anni di servizio sanitario nazionale. Un confronto interdisciplinare, Bologna, 2009, p. 12.

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Il rapporto tra diritto alla salute come diritto fondamentale e la progressiva regionalizzazione (recte federalizzazione) del SSn rappresenta, come già accennato, un nodo di indubbia rilevanza.

Si tratta di un tema particolarmente delicato, tanto che da più parti si è dubitato che federalismo e uguaglianza potessero essere davvero compatibili. Da un lato, vi è l’esigenza di garantire il livello della prestazione in modo uniforme; dall’altra, il pluralismo dei pubblici poteri non pare sempre l’assetto più congruo a tal fine, sicché ci si chiede se il percorso intrapreso sia quello da proseguire156.

A favore della conciliabilità delle due prospettive milita l’idea che una distribuzione e una differenziazione territoriale delle decisioni sulle entrate e sulle spese non comporta, di per sé, una contraddizione con il principio di uguaglianza, né la negazione dei valori universalistici che nell’uguaglianza sono insiti157. Del resto, la pluralità dei pubblici poteri è costituzionalmente necessaria non solo perché vi sono gli artt. 5 e 114 Cost., ma soprattutto perché un modello realistico e credibile per l’effettiva attuazione del principio di uguaglianza non può prescindere dalla differenziazione. Si tratta di concetti che devono viaggiare in parallelo: la scomparsa dell’uno è anche la scomparsa dell’altro.

D’altro canto, sempre ragionando sul piano delle garanzie costituzionali, quelle dei diritti sociali sono collegate - nel segno dell’art. 2 Cost. - a corrispondenti doveri inderogabili di solidarietà a carico del singolo. Recuperando il concetto di bene comune e di contributo solidaristico del singolo è possibile costruire, da un lato, l’idea di un limite al diritto sociale alla prestazione sanitaria; dall’altro, l’affermazione della possibilità di un livello di sostenibilità delle diseguaglianze, o meglio, l’esigenza di una visione del diritto alla salute che lo ponga a confronto con i doveri solidaristici del singolo e quindi con altri valori costituzionali che ne esigono il contemperamento. Del resto, come insegna la giurisprudenza costituzionale, tale bilanciamento è inevitabile per impedire che uno dei diritti costituzionalmente garantiti divenga “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche riconosciute e protette che esprimono, nel loro insieme, la dignità della persona158.

Assumendo, dunque, che il modello federalista possa convivere con lo Stato sociale e con meccanismi egualitari di riequilibrio sociale che esso sottende, occorre verificare sul piano 156 C. MARZUOLI, “Uniformità e differenziazione: modelli di organizzazione sanitaria a confronto”, in E. CATELANI, G. CERRINA FERONI, M.C. GRISOLIA (a cura di) Diritto alla salute tra uniformità e differenziazione, modelli di organizzazione sanitaria a confronto, Torino, 2011, p.4. 157 M. LUCIANI, “A mò di conclusione: le prospettive del federalismo in Italia”, in A. PACE (a cura di), Quale, dei tanti federalismi, Padova, Cedam, 1997, spec. p. 253 ss.; Id. “I livelli essenziali delle prestazioni in materia sanitaria tra Stato e Regioni”, in E. CATELANI, G. CERRINA FERONI, M.C. GRISOLIA (a cura di) Diritto alla salute tra uniformità e differenziazione, cit., p. 10. 158 In termini C. cost n. 85 del 2013 recentemente citata da G. CORAGGIO in La tutela del diritto alla salute nella dialettica tra G.A e A.G.O., Relazione al Convegno svoltosi presso il TAR Napoli il 9 maggio 2019, in www.giustizia-amministrativa.it.

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operativo e applicativo la relativa sostenibilità, specialmente quando vengono in rilievo terapie innovative.

É noto che la sanità rappresenta, da sempre, una sorta di banco di prova dello sviluppo del federalismo a livello nazionale, avendo attraversato diverse fasi: dapprima, la devoluzione di risorse alle Regioni per provvedere alla “amministrazione” di un comparto di notevolissimo rilievo sulla vita pubblica (si pensi che il Ssr costituisce più dell’80% dei bilanci regionali159); poi, l’instaurazione del sistema delle Conferenze - diretto a realizzare una collettivizzazione della scelte regionali - stemperandone l’autonomia160, e ancora, la soggezione delle Regioni stesse a un controllo centralizzato ex post, con applicazione del commissariamento in caso di violazione degli obiettivi minimi di contenimento della spesa pubblica161.

A fronte dei pericoli per la stabilità finanziaria dei bilanci regionali, dunque, l’incidenza del livello centrale di governo è tornata preponderante, nelle forme di una perdita di autonomia delle Regioni meno virtuose162. Su tale versante si è registrata una sensibile divaricazione tra tali enti: le Regioni più virtuose (prevalentemente quelle del settentrione e del centro-nord) hanno mostrato la capacità di contenere i livelli di spesa entro i margini di sicurezza concordati, accrescendone gli standard qualitativi, le altre hanno invece abbondantemente superato tali margini, con una concomitante riduzione dei livelli di qualità163.

Al di là di tale manifestazione “patologica”, la differenziazione, osservata in un’altra prospettiva, può ingenerare una competizione virtuosa tra le Regioni, stimolando il progresso verso i massimi livelli di efficienza. L’instaurazione di questi meccanismi concorrenziali, da adattare alle peculiarità del “mercato” in ambito sanitario164, determinano, inter alia, l’arricchimento delle Regioni più “attraenti” e competitive sul piano delle prestazioni sanitarie. L’instaurazione di un simile forma di concorrenza pare peraltro trovare un ancoraggio a livello costituzionale. In effetti, l’art. 116, co. 3 Cost., stabilendo che

159 B. CARAVITA DI TORITTO, “Salute e federalismo fiscale”, in E. CATELANI, G. CERRINA FERONI, M.C. GRISOLIA (a cura di), Diritto alla salute tra uniformità e differenziazione, cit., p. 76. 160 Sul modo di procedere dell’autonomia regionale mediante il sistema delle Conferenze e sul ruolo degli accordi, ex multis, R. BALDUZZI, G. CARPANI, Manuale di diritto sanitario, cit., p. 170; L. VIOLINI, “Differenziare per accordo: una formula per rispondere alla crisi?”, in Regioni, 2009, p. 197 ss.. 161 G. PITRUZZELLA, “Sanità e Regioni”, in Regioni, 2009, p. 1177 ss.. 162 F. CINTIOLI, Diritto alla salute, interessi pubblici e ruolo delle regioni, cit., 36. 163 Su tali dati G. PITRUZZELLA, op. cit.. 164 E’ noto, infatti, che la materia sanitaria è intrinsecamente esposta al market failure, pur in una forma peculiare. L’accostamento delle nozioni di mercato e di concorrenza a quella di cura della salute è, da molti, considerato improprio, in quanto incompatibile con la natura sociale del diritto sotteso. Non è un caso che il legislatore comunitario abbia sempre tenuto distinti i servizi pubblici a vocazione “sociale” da quelli di interesse economico generale, riservando ai primi una deroga alla libertà di concorrenza ben maggiore di quella prevista per i secondi (art. 106 TFUE). In argomento G. CORSO, “Pubblico e privato nel sistema sanitario”, in G. CORSO, P. MAGISTRELLI (a cura di), Il diritto alla salute tra istituzioni e società civile, Torino, 2009, p.17 ss.; per una lettura economica del fenomeno F. PAMMOLI, N. SALERNO, La sanità in Italia, federalismo, regolazione dei mercati, sostenibilità delle finanze pubbliche, Bologna, 2008.

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la legge dello Stato (approvata a maggioranza assoluta): “su iniziativa della Regione interessata”, possa prevedere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” nell’ambito di alcune delle materie riservate alla potestà legislativa statale, delinea una sorta di regionalismo asimmetrico ove la dottrina non ha mancato di prospettare uno scenario di regionalismo competitivo: le Regioni competono l’una con l’altra per acquisire attribuzioni sempre maggiori e migliorare la propria efficienza per attrarre capitali e investimenti165.

Come accennato nel precedente paragrafo, è proprio sul crinale che separa i livelli di assistenza da garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale e la prestazione dei c.d. livelli aggiuntivi da parte dei singoli Ssr che va ricercato l’equilibrio tra uguaglianza e differenziazione.

In tale quadro si manifesta la libertà di ogni individuo di scegliere il luogo in cui sottoporsi a cure mediche, ricavabile dal quadro costituzionale (artt. 32, co. 2 e 13, co. 1 Cost.) e strettamente connessa al principio di uguaglianza, in forza del quale la titolarità e il godimento dei diritti costituzionali non può subire limitazioni in ragione del luogo in cui una persona si trova o risiede. Anche a livello di normativa primaria ai cittadini è sempre stato garantito: “il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura nei limiti oggettivi dell’organizzazione dei servizi sanitari” (art. 19, co. 2, l. n. 833/1978), con impostazione confermata nelle riforme successive. La combinazione tra la differenziazione delle prestazioni erogate e la libertà di scelta dà luogo, come noto, alla c.d. mobilità sanitaria, ossia al processo di migrazione di coloro che scelgono di avvalersi di determinate prestazioni sanitarie presso strutture esterne all’area territoriale di competenza della propria Asl166.

La mobilità sanitaria, in tutte le sue forme (interregionale, intraregionale nonché quella verso l’estero), impone sistemi di controllo più incisivi della domanda interna di salute da parte delle realtà territoriale, nonché l’attivazione di meccanismi volti a ridurre la mobilità passiva (che rappresenta, all’evidenza, un costo), incentivando quella attiva. L’innovatività delle terapie offerte rappresenta, all’evidenza, un determinante fattore attrattivo sebbene, come non ha mancato di evidenziare la già citata bozza del Patto per la salute 2019-2021, occorre distinguere la mobilità “fisiologica” (legata alla stabilizzazione dei cittadini extra-regione) da quella “reale”, espressamente considerata come un “fenomeno da ridurre”167. D’altro canto, la concentrazione solo in alcune aree delle avanguardie terapeutiche apre la strada a disuguaglianze potenzialmente insostenibili, condizionando alle capacità (economiche, ma anche logistiche e sociali) dei singoli l’accessibilità alle cure.

165 M. LUCIANI, op. loc. cit.. 166 In argomento A. PITINO, “La mobilità sanitaria”, in R. BALDUZZI, G. CARPANI, Manuale di diritto sanitario, cit., p. 363 ss. 167 Cfr. bozza art. 6, “Mobilità”.

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Un simile panorama composito di esigenze e principi, la presenza dei livelli essenziali uniformi rimane fondamentale valvola di sfogo per temperare le deviazioni cui potrebbe condurre un eccesso di regionalismo competitivo. È stato condivisibilmente asserito che proprio l’affermazione dei LEA ha determinato che, nel confronto tra le esigenze di differenziazione (implicitamente accolte nella riforma del 2001) e le spinte all’uniformità legate alla tutela di un diritto “fondamentale”, siano prevalse le seconde168.

È opportuno ribadire che è sul piano dei LEA e del loro aggiornamento che si giocherà la partita dell’accesso uniforme alle terapie innovative su tutto il territorio nazionale. Soltanto se i livelli “essenziali” saranno al passo delle innovazioni sarà possibile garantire un’effettiva uguaglianza: spetterà agli attori coinvolti nel riferito meccanismo di aggiornamento, compreso il c.d. Comitato LEA169, assurgere a “trasformatori” dei livelli aggiuntivi in livelli essenziali, ove i primi si dimostrino efficaci. In tale prospettiva anche il “Piano di contrasto” alla mobilità passiva previsto dalla citata bozza di Patto per la salute, potenziando la capacità di offerta nei settori rivelatisi critici, potrebbe contribuire al perseguimento di tale obiettivo.

Intelligenza Artificiale in ambito sanitario e sindacato del giudice amministrativo

L’Unione europea ha definito il progresso dell’utilizzo degli algoritmi e dell’IA come una delle “tecnologie più strategiche del XXI secolo”, sottolineando, al contempo, la necessità di garantire un “solido quadro di riferimento” dal momento che il modo in cui ci relazioneremo ad essa “determinerà il mondo in cui viviamo”170.

Come tutti i “formanti” delle relazioni sociali anche l’IA deve, dunque, essere regolamentata sul piano giuridico ed essere suscettibile di controllo. Molteplici sono le questioni poste dal rapporto tra nuove tecnologie e diritto in ambito sanitario.

Un primo versante è sicuramente quello della produzione di dati relativi alla salute e del relativo (legittimo) trattamento. Si tratta di un ambito ampiamente regolato anche a livello europeo171 ove non smettono di porsi interrogativi di rilievo, come quello connesso alla controversa cedibilità a titolo oneroso dei dati sanitari da parte del paziente. La fruibilità 168 R. BALDUZZI, “Salute e federalismo fiscale”, in E. CATELANI, G. CERRINA FERONI, M.C. GRISOLIA (a cura di) Diritto alla salute tra uniformità e differenziazione, cit., p.151. 169 Come noto, gli adempimenti cui sono tenute le Regioni per accedere al maggior finanziamento del Ssn sono indicati nell’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, e la verifica del relativo assolvimento compete a un procedimento istruttorio che vede coinvolti più attori (gli uffici del Ministero con il supporto dell’Age.Na.S. e dell’AIFA) e curato dal c.d. Comitato LEA (Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza in condizioni di appropriatezza ed efficienza nell’utilizzo delle risorse), organo a composizione mista cui è affidato, inter alia, il compito di verificare l’erogazione dei LEA in condizioni di appropriatezza e di efficienza nell’utilizzo delle risorse. 170 COM (2018) 237 “L’intelligenza artificiale per l’Europa” del 25.4.2018. 171 Cfr. Regolamento UE 2016/679, sub specia l’art. 4, n. 15, dedicato ai “dati relativi alla salute”.

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dei c.d. Big data quale “carburante” di gran parte delle tecnologie innovative in ambito sanitario rende la questione di massima rilevanza.

Sotto altro profilo, che sarà esaminato funditus nel prossimo paragrafo, il tema del coinvolgimento dell’algoritmo nel meccanismo decisionale si riflette sulla responsabilità del medico curante e della struttura sanitaria in cui esso opera.

A monte di tutte le questioni illustrate si colloca il tema del controllo e della verificabilità dell’operato delle “macchine” coinvolte nei diversi processi decisionali (o operativi), profilo recentemente affrontato dalla giurisprudenza amministrativa in sintonia con la strategia europea.

Nel già citato documento “L’intelligenza artificiale per l’Europa” si afferma la necessità di un approccio all’IA di tipo “antropocentrico”: l’intelligenza artificiale deve essere uno strumento a servizio delle persone e deve avere come fine ultimo quello di migliorane il benessere. Per convivere con questo tipo di sviluppo tecnologico e sfruttarlo al meglio, dunque, occorre garantirne l’affidabilità e ciò è realizzabile solamente facendo sì che i valori fondanti le nostre società siano pienamente integrati nelle modalità di sviluppo dell’IA172.

In altre parole, l’IA deve essere distribuita e realizzata solamente tramite “finalità etiche” che riflettano diritti fondamentali, valori sociali e principi etici dell’UE. In tal senso, uno dei primi (e più recenti) passi compiuti dalla Commissione europea in materia è stata l’elaborazione dei c.d. “orientamenti etici per un IA affidabile”173. Gli orientamenti partono dal presupposto che per ottenere un’“intelligenza artificiale affidabile” sarebbero necessarie tre condizioni: l’IA dovrebbe 1) rispettare la legge, 2) osservare i principi etici e 3) dimostrare “robustezza”. Sulla base della combinazione tra queste tre esigenze e i tradizionali valori europei174 sono stati elaborati sette requisiti fondamentali che le applicazioni di IA dovrebbero soddisfare per essere considerate affidabili: I) intervento e sorveglianza umani; II) robustezza tecnica, sicurezza175; III) riservatezza e governance dei

172 COM (2019) 168 “Creare fiducia nell’intelligenza artificiale antropocentrica” dell’8.4.2019. 173 Tali orientamenti sono stati elaborati da un gruppo di esperti nominati dalla Commissione europea nel giugno del 2018, cfr. https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/ethics-guidelines-trustworthy-ai. 174 In particolare, la Commissione ha sottolineato l’importanza dei valori presenti nell’art. 2 TUE, considerati il fondamento dei diritti goduti dai cittadini UE ed ha richiamato anche la Carta dei diritti fondamentali dell’UE. 175 Per robustezza si intende appunto robustezza tecnica, declinata anche in termini di sicurezza. La Commissione ha affermato, infatti, che affinché un’IA sia affidabile è indispensabile che “gli algoritmi siano sicuri, affidabili e sufficientemente robusti da far fronte a errori o incongruenze durante tutte le fasi del ciclo di vita del sistema di IA, oltre che adeguatamente capaci di gestire risultati sbagliati. I sistemi di IA devono essere affidabili, sufficientemente sicuri da essere resilienti sia agli attacchi palesi sia a tentativi più subdoli di manipolazione dei dati o degli algoritmi, e devono garantire l'esistenza di un piano di emergenza in caso di problemi. Le loro decisioni devono essere accurate, o almeno rispecchiare correttamente il loro livello di accuratezza, e i loro risultati devono essere riproducibili. I sistemi di IA dovrebbero inoltre contenere meccanismi di sicurezza fin dalla progettazione, per garantire

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dati176; IV) trasparenza; V) diversità, non discriminazione ed equità177; VI) benessere sociale e ambientale178 e VII) accountability.

La Commissione ha precisato che benché i suddetti requisiti siano applicabili a tutti i sistemi di IA, la loro concreta combinazione nei diversi ambiti dipende delle particolarità di ogni specifico settore. A titolo esemplificativo, viene specificato che: “un’applicazione di IA che suggerisce di leggere un libro non adatto, comporta molti meno rischi rispetto a una che sbaglia una diagnosi di tumore”179.

Di particolare rilievo è sicuramente il requisito della “sorveglianza umana”, imprescindibile per garantire che i sistemi di IA: “non mettano in pericolo l’autonomia umana o provochino altri effetti negativi”. A seconda del settore di applicazione di tale requisito, inoltre, si ribadisce la necessità di “misure di controllo di livello adeguato”, tra cui far rientrare l’accuratezza e la spiegabilità dei sistemi di IA di volta in volta utilizzati. A tale scopo è tesa la garanzia della “tracciabilità” dei suddetti sistemi, che dovrebbe sostanziarsi nell’esigenza di registrare e documentare l’intero processo che ha condotto alle decisioni, compresa la puntuale descrizione dell’algoritmo utilizzato, così da garantire la trasparenza e spiegabilità del processo decisionale e aumentare la fiducia degli utenti utilizzatori180.

Trasparenza, conoscibilità, spiegabilità e accessibilità costituiscono significativamente alcuni dei principi che il Giudice amministrativo (g.a.) ha posto a fondamento di recenti pronunce inerenti la legittimità delle decisioni “robotiche” e automatizzate della PA.

A fronte della richiesta di accesso ai c.d. codici sorgente dell’algoritmo utilizzato dall’Amministrazione per stabilire l’assegnazione delle sedi di servizio ai vincitori di un concorso pubblico181, il g.a. ha ritenuto che la scelta discrezionale dell’amministrazione di

che siano sicuri in modo verificabile in ogni fase, considerando soprattutto la sicurezza fisica e mentale di tutte le persone coinvolte”. 176 La tutela della riservatezza e la protezione dei dati devono essere garantite in tutte le fasi del ciclo di vita del sistema di IA. Oltre alla salvaguardia della riservatezza e dei dati personali, inoltre, devono essere soddisfatti i requisiti necessari per garantire che i sistemi di IA siano di qualità elevata. 177 I set di dati utilizzati dai sistemi di IA (sia per l'addestramento sia per il funzionamento) possono essere inficiati da condizionamenti storici involontari, incompletezza e modelli di governance inadatti. Se mantenuti, tali condizionamenti potrebbero portare a discriminazioni (in)dirette. Un danno può derivare anche dallo sfruttamento intenzionale dei condizionamenti (dei consumatori) o da una concorrenza sleale. 178 Per ottenere un'IA affidabile si dovrebbe tenere conto del suo impatto sull'ambiente e sugli altri esseri senzienti. Idealmente tutti gli esseri umani, comprese le generazioni future, devono poter beneficiare della biodiversità e di un ambiente abitabile. La sostenibilità e la responsabilità ecologica dei sistemi di IA dovrebbero pertanto essere incoraggiate. 179 COM (2019) 168. 180 COM (2019) 168. 181 Si fa riferimento alla pronuncia del TAR Lazio, Roma, sez. III-bis, 22 marzo 2017, n. 3769. In tal caso veniva impugnato un verbale del MIUR con il quale era stato negato l’accesso (ex art. 22 della l. 241/1990) all’algoritmo di calcolo (in particolare ai codici sorgente) che gestisce il software relativo ai trasferimenti interprovinciali del personale docente (ai sensi e per gli effetti del C.C.N.I. sulla mobilità 2016 di cui alla

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ricorrere a uno strumento innovativo, quale può essere un nuovo programma informatico: “non può riflettersi in senso limitativo all’accessibilità conoscitiva da parte del destinatario dell’atto”. Il diritto di accesso, componente fondamentale del rapporto tra cittadino e Amministrazione (cfr. art. 97 Cost. e l. n. 241/1990), non può, dunque, subire limitazioni per il solo fatto che vengano in rilievo strumenti decisionali automatizzati.

Si riscontra poi una serie di pronunce tese a sottolineare la natura meramente strumentale, servente e ausiliaria che le procedure algoritmiche ed automatizzate possono ricoprire all’interno del procedimento amministrativo, al fine di salvaguardare le garanzie proprie della tradizionale istruttoria procedimentale 182. Benché le finalità che ispirino tale orientamento siano nobili, mirando a evitare il sacrificio delle garanzie procedimentali per effetto del coinvolgimento delle nuove tecnologie nel procedimento, non sembra che la semplice “marginalizzazione” del ruolo dell’algoritmo nell’ambito del procedimento consenta di perseguire l’obiettivo.

Minore resistenza al riconoscimento del ruolo dell’algoritmo nei processi decisionali è stata dimostrata in occasione di una più recente decisione del Consiglio di Stato183, che ha affermato che l’assenza dell’intervento umano nello svolgimento di un’attività automatica – sia pur meramente classificatoria e guidata da regole predeterminate dall’uomo – appare una: “doverosa declinazione dell’art. 97 Cost., coerente con l’attuale evoluzione tecnologica”. Il Collegio specifica, al contempo, che l’utilizzo di procedure robotizzate non può essere motivo di elusione dei principi che conformano il nostro ordinamento e che regolano lo svolgersi dell’attività amministrativa.

In tale occasione il g.a. ha fornito puntuali indicazioni in tema di decisioni automatizzate della PA, stabilendo un nesso inscindibile tra trasparenza e sindacato giurisdizionale.

In primo luogo, - secondo una “declinazione rafforzata” del principio di trasparenza, che implica anche quello della piena conoscibilità di una regola espressa in un linguaggio differente da quello giuridico184 - è stata sottolineata la necessaria e doverosa conoscibilità del meccanismo attraverso il quale si concretizza la decisione robotizzata (ovvero l’algoritmo). Tale conoscibilità dell’algoritmo, inoltre, deve essere garantita in maniera completa. Vi deve essere piena trasparenza in merito ai suoi autori, al procedimento usato per la sua elaborazione, al meccanismo di decisione: “comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti”. La garanzia della

legge n. 107 del 2015). Caso analogo è anche quello della pronuncia TAR Lazio, sez. III-bis, 21 marzo 2017, n. 3742. 182 TAR Lazio, Roma, sez. III bis, 10 settembre 2018, n. 9224; Id., nn. 9225-9226-9227-9229-92230; In tal senso anche TAR Lazio, Roma, sez. III, 8 agosto 2018, n. 8902; TAR Puglia, Bari, sez. I, 27 giugno 2016, n. 806. Da ultimo, TAR Lazio, Roma, sez. III bis, 29 maggio 2019, n. 6688. 183 Cons. St., sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2270. 184 Par. 8.3 della decisione.

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conoscibilità è funzionale alla verifica di conformità degli esiti del procedimento robotizzato a quanto stabilito ex ante dalla legge o dalla stessa amministrazione. La conoscibilità della regola algoritmica utilizzata dal decisore pubblico costituisce, dunque, requisito indispensabile per far sì che essa possa essere sottoposta alla cognizione del giudice amministrativo. Tale esigenza è coessenziale all’attuazione del diritto di difesa del cittadino a cui: “non può essere precluso di conoscere le modalità (anche se automatizzate) con le quali è stata in concreto assunta una decisione destinata a ripercuotersi sulla sua sfera giuridica”185.

Se ne ricava l’inscindibilità tra la trasparenza del meccanismo decisionale tramite algoritmo e il relativo controllo giurisdizionale.

Tale legame è vieppiù fondamentale nel settore sanitario, vista la sua incidenza sulla vita umana: per riprendere l’esempio utilizzato dalla Commissione europea, la verificabilità di una diagnosi è all’evidenza molto più importante di quella di un suggerimento di lettura.

Il paradigma della trasparenza e dell’accessibilità quale chiave per consentire il controllo, anche giurisdizionale, dell’operato delle “macchine” dovrebbe essere esportato anche al di là dei confini della decisione algoritmica, ispirando, più in generale, tutti i rapporti tra diritto sanitario e tecnologie innovative.

Nuovi aspetti di responsabilità in scenari di innovazione sanitaria

Nel corso del tempo, il paziente ha assunto un ruolo centrale nel rapporto di cura; in costanza del modello liberale, che si è sostituito a quello paternalistico, sono state via via riconosciute come risarcibili, perché dannose, le più varie condotte tenute dai medici, ovvero dalle strutture sanitarie coinvolte (pubbliche o private)186.

A titolo esemplificativo, si consideri il caso della lesione del diritto all’autodeterminazione: prima di oggi, si affermava che il risarcimento potesse essere accordato solo qualora la condotta lesiva arbitraria avesse arrecato un danno biologico al paziente (e, dunque, soltanto nel caso in cui alla stessa fosse conseguito un esito c.d. infausto). La giurisprudenza è ormai pacifica, invece, nel ritenere che l’intervento arbitrario, tranne i casi in cui risulti comunque lecito, sia lesivo della libertà del paziente e possa ritenersi dunque fonte di responsabilità anche nel caso in cui abbia avuto un esito c.d. fausto187.

185 Par. 8.4 della decisione. 186 Sulla responsabilità del medico e della struttura, anche alla luce della recente legge Gelli-Bianco, si vedano G. ALPA (a cura di), La responsabilità sanitaria, Pisa, 2017; F. GELLI, M. HAZAN, D. ZORZIT (a cura di), La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione, Milano, 2017; N. POSTERARO, La responsabilità del medico nelle prime applicazioni della legge Gelli-Bianco, Roma, 2019. 187 Sul punto, tra le tante, cfr. la recente Cass. civ., sez. III, 4 maggio 2018, n. 10608.

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Ancora, sul piano dei danni-conseguenza, si pensi alla riconosciuta risarcibilità del danno da perdita di chance, ovvero a quello da ansia per “incertezza diagnostica”188.

Si può dire, dunque, che la responsabilità delle strutture e dei sanitari è col tempo “aumentata”, perché è stata riconosciuta come sussistente anche in costanza di condotte -non necessariamente mediche189 - che si ritenevano lecite (o, comunque, non produttive di danni conseguenza risarcibili ai sensi dell’art. 1223 c.c.).

Il progresso tecnologico applicato al sistema sanitario potrà incidere in direzione opposta sull’assetto delle responsabilità, comportandone una potenziale “riduzione”. E ciò, al di là di quanto si dirà infra, non nel senso che potrà ridurre la tutela di quei diritti che, quando lesi, fanno oggi sorgere un diritto al risarcimento dei danni (patrimoniali o non patrimoniali) sopportati. Bensì, nel senso che, in un contesto valoriale immutato, potrà far venir meno la responsabilità diretta di alcuni dei (o di tutti i) soggetti che sono normalmente coinvolti in un rapporto di cura… “non digitalizzato”.

È probabile, ad esempio, che alla spersonalizzazione del rapporto medico-paziente dovuta all’IA “autonoma” (e, dunque, all’utilizzo delle “computational machines”) conseguirà una eliminazione della responsabilità del primo (e della struttura entro cui questi opera). L’ammalato che oggi può concretamente contestare l’illecito comportamento tenuto da un sanitario che, in fase diagnostica, non abbia saputo ravvisare (ovvero, non abbia saputo ravvisare per tempo190) una certa patologia, in futuro potrà solo citare in giudizio “il supporto digitale” di cui si sarà autonomamente avvalso per ottenere il risultato dell’esame.

Allo stesso tempo, il paziente che voglia contestare la cattiva esecuzione di una prestazione sanitaria (p.e. intervento chirurgico), laddove il trattamento sia stato eseguito da una macchina/robot, non potrà citare in giudizio il medico esecutore (che materialmente non

188 “L'errore diagnostico che comporta un ritardo nell'accertamento di una grave malattia, anche nel caso in cui non abbia avuto alcuna influenza negativa sull'evoluzione, sul trattamento e sulla prognosi di questa, è comunque idoneo ad ingenerare nel paziente uno stato d'ansia (e quindi un danno non patrimoniale) da "incertezza diagnostica", situazione che, pur essendo grossolanamente assimilabile all'inabilità temporanea, può tuttavia essere risarcita, ove provata, solo facendo ricorso ai criteri equitativi” (Tribunale di Treviso, Sez. I, 25 marzo 2010, n. 578; Cass. civ., 24 gennaio 2007, n. 1551; Cass. civ., 4 giugno 2013, n. 14040). 189 Com’è noto, la struttura può infatti essere responsabile per condotte autonome che prescindono dall’illecito posto eventualmente in essere dal sanitario che in essa abbia operato (si tratta dei cd. danni da cattiva organizzazione). 190 La giurisprudenza ritiene anche condannabile l’intempestiva diagnosi, allorquando il ritardo diagnostico determini un maggiore sviluppo della malattia e le conseguenze più gravi per la salute dell’ammalato, indifferentemente se queste consistano in dolori più acuti o più prolungati nel tempo, in effetti collaterali più pesanti ovvero nell’irrimediabile perdita di funzionalità dell’organismo o di parti di esso (Cass. Civ., 18 settembre 2008, n. 23846). A questo proposito, sono molto diffuse le ritardate diagnosi di neoplasie o patologie tumorali, con conseguente riduzione, ad esempio, delle chance di sopravvivenza e sottoposizione a interventi più invasivi. Sul punto, si veda anche Cass. civ., ord. 23 marzo 2018, n. 7260.

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v’è); egli potrà solo contestare l’errore commesso dal robot medesimo (e/o, al massimo, quello della struttura che di esso si sia avvalsa nel prestare il trattamento).

Tuttavia, l’attore potrà incontrare serie difficoltà nel contestare il comportamento della macchina/robot che abbia agito autonomamente a tutela dei suoi personali diritti (ledendoli). Come e in che termini potrà infatti essere lamentato l’errore commesso dall’IA?

Invero, qualora esso sia dipeso da un difetto di produzione, il robot potrà verosimilmente essere considerato come un vero e proprio bene di consumo e potrà trovare applicazione la normativa in tema di responsabilità da prodotto difettoso. Resterà comunque da chiarire come e in che termini debba essere interpretata la responsabilità (oggettiva) del produttore; se dunque essa sia riferibile anche allo sviluppatore del software – e/o dell’algoritmo posto a base del sistema – oppure no191. Si dovrà poi stabilire se il produttore possa liberarsi dalla responsabilità provando che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento in cui ha messo il prodotto in circolazione non gli permetteva di considerarlo ancora difettoso.

Laddove invece l’errore sia dipeso dall’attività esecutiva attuata dalla macchina intelligente programmata per apprendere e decidere autonomamente la propria condotta, la suddetta disciplina non potrà trovare applicazione, posto che essa, com’è noto, è riferibile ai sistemi di IA intesi comunque come “cose” e non come “agenti”.

Chi risponderà, dunque, dell’illecito commesso dal robot autonomo, in questi casi? Chi lo ha progettato, programmato, costruito, sarà comunque responsabile? E, in caso affermativo, potrà andare esente da responsabilità, qualora provi di essere impossibilitato a prevederne interamente le azioni?192.

191 È “produttore”, ai sensi della normativa europea: “il fabbricante di un prodotto finito, di una materia prima o di una parte del prodotto finito”; occorre dunque verificare se lo sviluppatore del software o del solo algoritmo alla base del sistema sia da intendersi quale produttore di una componente (parte) del prodotto finito. Quand’anche si ritenga che il difetto contenuto nel software o nell’algoritmo faccia sorgere la responsabilità del programmatore, si dovrà capire se sia contestualmente ravvisabile (come qualcuno vorrebbe) una responsabilità del produttore ex art. 2049, c.c. 192 Il problema potrebbe porsi ad esempio con riferimento ai sistemi decisionali basati sul deep learning, algoritmi in grado di “imparare” dai dati stessi, in maniera autonoma, rilevando pattern “nascosti”: spesso, nemmeno gli addetti ai lavori sono in grado di spiegare tali pattern. Sul punto, R. RASOINI et al., “Intelligenza artificiale in medicina: tra hype, incertezza e scatole nere”, in Toscana Medica, 2017. Il Parlamento europeo, nella risoluzione del 2017, sottolinea che una possibile soluzione al problema della complessità dell'attribuzione della responsabilità per il danno causato da robot sempre più autonomi potrebbe essere un regime di assicurazione obbligatorio, come già avviene, per esempio, con le automobili; osserva tuttavia che, a differenza del regime assicurativo per i veicoli a motore, che copre azioni o errori umani, l'assicurazione dei robot dovrebbe tenere conto di tutte le potenziali responsabilità lungo la catena.

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Il Parlamento europeo, invero, nella risoluzione del febbraio 2017193, proprio sulla scorta di questa difficile imputazione della condotta robotica lesiva, ha prospettato, consequenzialmente, l’introduzione di una nuova categoria giuridica: quella delle “persone elettroniche”, al fine di equiparare i robot a vere e proprie persone fisiche194.

Tuttavia, come giustamente evidenziato dal Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE)195, l’introduzione di una personalità giuridica per i robot o per l’IA (o i sistemi di IA): “comporterebbe un rischio inaccettabile di azzardo morale. Dal diritto in materia di responsabilità civile deriva una funzione preventiva di correzione del comportamento, la quale potrebbe venir meno una volta che la responsabilità non ricade più sul costruttore perché è trasferita sul robot (o al sistema di IA)”196.

Resterà poi da chiarire quale ruolo assumerà la struttura sanitaria entro cui eventualmente il robot abbia autonomamente agito; se è vero, come si crede, che essa sarà solidalmente responsabile, è anche vero che occorrerà verificare sulla base di quali norme siffatta responsabilità solidale potrà essere rintracciata. La legge Gelli-Bianco, sul piano del diritto interno, stabilisce oggi che la struttura sanitaria risponda contrattualmente delle condotte lesive poste in essere dagli esercenti la professione sanitaria che a qualsiasi titolo abbiano in essa operato197 (ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c.). Tuttavia, difficilmente, allo stato, i robot

193 Risoluzione del Parlamento europeo recante raccomandazioni alla Commissione sulle norme di diritto civile sulla robotica [2015/2013(INL)]. 194 Il Parlamento, nella risoluzione, rileva quanto sia evidente che: “l’umanità si trovi sulla soglia di un’era nella quale robot, bot, androidi, e altre manifestazioni di intelligenza artificiale sembrano sul punto di avviare una nuova rivoluzione industriale, suscettibile di toccare tutti gli strati sociali, rendendo imprescindibile che la legislazione ne consideri le implicazioni e le conseguenze legali ed etiche senza ostacolarne l’innovazione... ma anche che l'andamento attuale, che tende a sviluppare macchine autonome e intelligenti, in grado di apprendere e prendere decisioni in modo indipendente, genera nel lungo periodo non solo vantaggi economici ma anche una serie di preoccupazioni circa gli effetti diretti e indiretti sulla società nel suo complesso”. Invero, il Parlamento osserva che lo sviluppo della tecnologia robotica dovrebbe mirare a integrare le capacità umane, e non a sostituirle, ritenendo fondamentale, nello sviluppo della robotica e dell’intelligenza artificiale, garantire che gli uomini mantengano in qualsiasi momento il controllo sulle macchine intelligenti e sottolineando altresì il pericolo che nasca un attaccamento emotivo tra gli uomini e i robot, in particolare per i gruppi vulnerabili (bambini, anziani e disabili), con il conseguente grave impatto emotivo e fisico che un tale attaccamento potrebbe avere sugli uomini. 195 Parere del Comitato economico e sociale sull’IA (INT/806-EESC-2016- 05369-00-00-AC-TRA). 196 Tuttavia, come rileva S. TOFFOLETTO, “IoT e intelligenza artificiale: le nuove frontiere della responsabilità civile (e del risarcimento)”, in Questione Giustizia, 2018, la loro [dei robot] capacità di apprendimento dipende da come sono stati progettati, ossia dal loro grado di sofisticazione tecnologica; pertanto, è difficile affermare che il robot possa regolarsi liberamente: chi lo governa è chi l’ha progettato. “Insomma, sebbene i robot siano sempre di più equiparabili ad agenti in grado di comunicare con l’ambiente che li circonda e di alterarlo in maniera significativa, essi non sono equiparabili a persone fisiche capaci di agire autonomamente, in quanto seguono, pur attuandole ‘in proprio’, regole predefinite contenute nei loro software: software progettati da persone umane”. 197 Ad esempio, anche laddove sia stato scelto dal paziente e non sia dunque dipendente della struttura, ovvero laddove abbia eseguito il trattamento in intramoenia (intra o extra muraria). Cfr. art. 7 della legge Gelli-Bianco.

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potranno essere ricompresi tra gli “esercenti la professione sanitaria”; dunque, si dovrà valutare l’opportunità di guardare a una responsabilità di tipo extracontrattuale e ci si dovrà eventualmente chiedere se trovino applicazione le norme sulla responsabilità oggettiva.

Diverso, invero, il caso in cui l’IA non abbia del tutto sostituito l’apporto umano, ma, nell’ottica della c.d. intelligenza integrata, l’abbia “supportato” nel processo di azione. In questo caso, le responsabilità aumentano, perché, accanto a quelle eventuali del medico che abbia usato lo strumento e della struttura entro cui il trattamento si sia sostanziato, potrà contestualmente ravvisarsi la responsabilità dello strumento digitale utilizzato.

A tale riguardo, occorrerà tuttavia differenziare i vari casi, al fine di verificare come e se i vari soggetti coinvolti possano essere ritenuti responsabili del danno arrecato. Ad esempio, non sussisterà responsabilità del produttore – in senso lato – nel caso in cui il danno sia stato causato dal medico per cattivo utilizzo di uno strumento digitale ben congegnato; al contempo, non sussisterà una responsabilità del sanitario, laddove il trattamento sia stato eseguito “a regola d’arte” e l’evento dannoso sia dipeso da un malfunzionamento del prodotto (ricorrerà, in questi casi, la responsabilità del produttore, con le difficoltà di cui s’è detto prima); tuttavia, in quest’ultima ipotesi, la responsabilità del medico non potrà comunque escludersi laddove si riesca a provare che, in fase informativa, questi non abbia reso edotto il paziente degli eventi che si sarebbero potuti sostanziare in costanza dell’utilizzo del suddetto strumento… d’ausilio.

Quanto precede dimostra, dunque, come la questione incida anche sul tema del consenso informato (recte, della fase antecedente a quella strettamente esecutiva, in cui il paziente viene reso edotto dal medico circa quali siano i rischi e i benefici correlati al trattamento terapeutico). In altre parole, il medico (che difficilmente, si crede, potrà essere sostituito da un automa anche nella fase strettamente comunicativa198), nel rappresentare pro e contro del trattamento cui il paziente si assoggetterà, dovrà tener conto degli aspetti positivi e negativi correlati all’utilizzo dell’ausilio digitale, che diventa inevitabilmente parte integrante dell’azione – umana – di cura.

Allo stato, dunque, come si vede, non sussistono disposizioni atte a far sì che, in costanza dell’utilizzo dei nuovi strumenti digitali, possa essere certamente garantita la tutela delle situazioni soggettive di cui siamo titolari199, ferma, in ogni caso, l’esigenza di salvaguardare l’autonomia professionale dei medici.

198 Lo stesso Parlamento europeo, nella risoluzione del 2017, ha precisato che ritiene l'utilizzo delle tecnologie non deve sminuire o ledere il rapporto medico-paziente. 199 E. MACRÌ, A. FURLANETTO, “I robot tra mito e realtà nell’iterazione con le persone, negli ambienti sociali e negli ospedali. Un approccio tra risk management e diritto”, in Riv. It. Med. Leg., 2017, 1049, secondo cui: “Non si può negare difatti che l’attuale quadro giuridico comunitario, con riferimento alla tecnologia robotica e alle sue applicazioni, si appalesa insufficiente e carente perché si tratta di un apparato di norme non dettate appositamente per i robot, ma che assimila i robot a dei prodotti, mediante un esplicito richiamo

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Neppure a livello europeo, invero, esiste una normativa che vada specificamente a disciplinare il ricorso a sistemi di IA e a normare ad hoc le conseguenze giuridiche derivanti dalle condotte poste in essere da (e con) i sistemi digitali (tant’è che lo stesso Parlamento europeo, nella succitata risoluzione, ha affermato che «è necessaria una serie di norme che disciplinino in particolare la responsabilità civile per i danni causati da robot» e invita ad adottare sia uno strumento legislativo, che strumenti para-legislativi, quali linee guida e codici di condotta).

Il tema della responsabilità sanitaria andrà allora ripensato, posto che non potrà restare incentrato unicamente sul rapporto medico-paziente-struttura, ma dovrà esser letto, contestualmente, nell’ottica dei rapporti robot(strumento)-paziente-struttura/medico-robot(strumento)-paziente-struttura.

La legge Gelli-Bianco (che, invero, avrebbe potuto già considerare quantomeno il caso dell’intelligenza integrata) dovrà dunque essere riletta; essa, altrimenti, apparirà incompleta e inadeguata, in quanto inadatta a regolare i nuovi rapporti sanitari… digitali.

L’intervento, si ritiene, dovrà comunque attuarsi anzitutto a livello sovranazionale e, in particolare, di Unione200: l’UE dovrà senz’altro collaborare a livello internazionale con quei paesi del mondo che da tempo fanno uso dell’IA (Cina e Stati Uniti)201.

Il pericolo è che, in assenza di una normativa adeguata, riduzione e aumento delle responsabilità soggettive possano portare alla riduzione delle tutele; occorre evitare, cioè, che il singolo si scontri con un sistema giurisdizionale che non gli consenta di ottenere il risarcimento dei danni patiti in costanza d’una lesione derivante da un comportamento non-umano, ovvero non del tutto umano202.

alla disciplina concernente l’immissione dei prodotti sul mercato e la responsabilità per danno da prodotti difettosi”. 200 Il Parlamento Europeo, nella risoluzione, afferma che ritiene che la responsabilità civile per i danni causati dai robot sia una questione fondamentale, che deve essere altresì analizzata e affrontata a livello di Unione al fine di garantire il medesimo livello di efficienza, trasparenza e coerenza nell’attuazione della certezza giuridica in tutta l’Unione europea nell’interesse tanto dei cittadini e dei consumatori, quanto delle imprese. La Commissione, come si evince dalla comunicazione dell’8 aprile 2019 (COM(2019) 168 final), sta lavorando a una relazione sulle sfide che l'IA pone per i quadri normativi in materia di responsabilità e sicurezza e a un documento di orientamento sull'attuazione della direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi. 201 Come si legge in una comunicazione del 25 aprile 2018 (COM(2018) 237), la Commissione attualmente sta valutando se, alla luce di queste nuove sfide, i quadri normativi dell’UE e degli Stati membri in materia di sicurezza e responsabilità siano idonei allo scopo o se vi siano lacune da colmare. Un elevato livello di sicurezza e un efficiente meccanismo di ricorso per le vittime in caso di danni, afferma, “contribuiscono a ispirare fiducia agli utenti e a far accettare queste tecnologie dalla società”. Occorre rilevare che sono già state eseguite valutazioni della direttiva in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi

e della

direttiva macchine. 202 Il Parlamento europeo, nella risoluzione del 2017, afferma che ritiene che lo strumento legislativo che verrà approntato a livello unionale non dovrà in alcun modo limitare il tipo o l'entità dei danni che possano

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L’intervento del legislatore è quanto mai urgente, allora, soprattutto se si considera che la giurisprudenza, proprio al fine di evitare che i diritti della persona subiscano un detrimento in termini di garanzia e di tutela, potrà trovarsi costretta a creare essa stessa il “diritto mancante”, in spregio al principio di separazione dei poteri203.

Allo stesso tempo, si ritiene che per rendere davvero correttamente utilizzabili a monte queste tecnologie in contesti clinici, da un lato, si debba assicurare un’adeguata formazione e preparazione dei medici e degli assistenti che si trovino a doverli utilizzare; dall’altro, si debba senz’altro porre un’attenzione particolare al tema dei dati personali, che vengono “sfruttati” dai sistemi digitali e rischiano di costituire oggetto di pericoloso e “disordinato” scambio tra terzi.

essere risarciti, né dovrà limitare le forme di risarcimento che possano essere offerte alla parte lesa per il semplice fatto che il danno è provocato da un soggetto non umano. 203 Sia consentito rimandare agli scritti sul tema in cui ho ripetutamente denunciato la pericolosità del fenomeno; da ultimo, M.A. SANDULLI, “ ‘Principi e regole dell’azione amministrativa’: riflessioni sul rapporto tra diritto scritto e realtà giurisprudenziale”, in federalismi.it, 2017.

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CAPITOLO 5

THE ENDLESS FRONTIER? L’INNOVAZIONE IN CAMPO FARMACEUTICO E

NELLE SCIENZE DELLA VITA

di

Fabio Pammolli

Gli studi che avevano analizzato le attività di Ricerca e Sviluppo (R&S) in campo farmaceutico tra il 1990 e il 2010 avevano evidenziato una possibile “crisi di produttività”, osservata in crescenti tassi di fallimento dei progetti di sviluppo dei farmaci, soprattutto nelle fasi cliniche e in una maggior durata delle attività di ricerca necessarie per completare lo sviluppo di nuovi medicinali204. Tre le motivazioni principali di questa fase di stallo: la difficoltà delle attività di ricerca, concentrate su indicazioni particolarmente complesse, dall’oncologia al sistema nervoso centrale, la presenza di un gestation lag nelle basi scientifiche di riferimento, la disponibilità, nelle aree terapeutiche più mature e consolidate, di prodotti esistenti di comprovata efficacia e di basso costo205.

Le evidenze più recenti mostrano che è in corso un’inversione di tendenza nei tassi di fallimento nelle fasi cliniche (Fig.1). I dati sono relativi a più di 45,000 progetti (intesi come associazione tra compound e indicazione terapeutica) sviluppati in Stati Uniti, Europa e Giappone.

204 F. PAMMOLLI, L. MAGAZZINI, M. RICCABONI, “The productivity crisis in pharmaceutical R&D”, Nature Reviews Drug Discovery, 2011; A. SCHUHMACHER, O. GASSMAN, M. HINDER, “Changing R&D models in research-based pharmaceutical companies “, Journal of Translational Medicine, 2016. 205 J. Scannell, A. Blanckley, H. Boldon, W. Warrington, “Diagnosing the decline in pharmaceutical R&D efficiency”, Nature Reviews Drug Discovery, 2012.

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Figura 1. Evoluzione nel tempo dei tassi di fallimento per fase di sviluppo dei progetti206.

I fattori rilevanti per interpretare questa dinamica riguardano, in particolare: I.) la maturazione, soprattutto in campo oncologico, di nuove strategie e nuove tecnologie di trattamento (e.g. terapie geniche/cellulari). Su questo punto, si osserva che i progetti oncologici, oltre a rappresentare una frazione molto rilevante (e crescente) del totale, sono tra quelli che hanno maggiormente contribuito al miglioramento della performance nelle fasi cliniche; ciò è dimostrato dal crescente insorgere di meccanismi d’azione “nuovi” (i.e. mai comparsi in trattamenti precedenti) associati ai progetti sviluppati negli ultimi anni; II.) il focus crescente su indicazioni su patologie definite “orfane”, che interessano un numero molto ridotto di pazienti; III.) la capacità di definire le indicazioni a livello genico e molecolare, con la possibilità di segmentare più precisamente le popolazioni di pazienti interessate (seguendo il quadro concettuale e metodologico della “medicina stratificata”). la possibilità di selezionare sottopopolazioni di pazienti su cui testare il farmaco permette di massimizzare i risultati osservati e aumentare pertanto le probabilità di dimostrarne l’efficacia. Su di un piano diverso, i dati disponibili ci dicono di un sostanziale contributo delle imprese biotecnologiche al miglioramento dei tassi di fallimento nelle fasi cliniche (Fig.2). Allo stesso tempo, le imprese farmaceutiche hanno migliorato sensibilmente le proprie capacità di identificazione di falsi positivi, con un aumento consistente dei fallimenti in fase di ricerca preclinica (early failures, Fig.2).

206 F. PAMMOLLI, L. RIGHETTO, S. ABRIGNANI, L. PANI, P.G. PELICCI, E. RABOSIO, “The Endless Frontier? The Recent Upsurge of R&D Productivity in Pharmaceuticals”, submitted to Nature Communications, 2019.

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Figura 2. Contributo delle diverse tipologie istituzionali degli sviluppatori dei progetti alle variazioni dei tassi di

fallimento nelle varie fasi cliniche207.

In questo quadro generale di miglioramento delle performance della R&S farmaceutica, spiccano alcune rilevanti eccezioni. Soprattutto nelle fasi avanzate di sviluppo (Fase 2 e 3), la performance è assai eterogenea al variare delle aree terapeutiche di riferimento. In particolare, risalta il contrasto tra gli avanzamenti conseguiti in campo oncologico e le difficoltà persistenti per i progetti dedicati a intervenire su disordini mentali e su patologie del sistema nervoso centrale, che mostrano infatti un aumento dei tassi di fallimento e assorbono una frazione rilevante degli sforzi d’investimento (Fig.3).

Un altro fattore critico rimane la durata delle attività di ricerca clinica, che continua ad aumentare. In questo senso, sembra auspicabile un crescente rapporto tra enti regolatori e imprese sviluppatrici, come dimostrano le performance dei progetti interessati dal recente Breakthrough Designation Act della Food and Drug Administration (FDA)208.

207 Ibid. 208 T. HWANG, J. DARROW, A. KESSELHEIM, “The FDA’s expedited programs and clinical development times for novel therapeutics, 2012-2016”, Journal of the American Medical Association, 2017.

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Figura 3. A) Distribuzione dei progetti nelle varie aree terapeutiche, in funzione della probabilità di successo (POS) e

delle vendite medie annuali nelle rispettive aree terapeutiche. B) Variazione nella distribuzione dei progetti209.

La necessità di una valutazione dell’impatto dell’innovazione

Quale è l’impatto dell’innovazione farmaceutica sui pazienti e sulla spesa? Uno studio di Lichtenberg210 riporta una relazione statisticamente significativa tra il numero di nuove molecole (NMEs) approvate dall'FDA e l'aumento della longevità, specialmente in campo oncologico, suggerendo che i nuovi farmaci a disposizione di medici e consumatori hanno concorso a innalzare l’aspettativa di vita a livello aggregato.

I benefici dell’innovazione farmaceutica sono di difficile quantificazione e vanno da una migliore qualità della farmacoterapia (maggiore efficacia, minori effetti collaterali, facilità di somministrazione, etc.) a miglioramenti dei risultati sanitari (riduzione della mortalità e

209 PAMMOLLI ET AL., 2019, op. cit. 210 F. LICHTENBERG, “The impact of biomedical innovation on longevity and health”, Nordic Journal of Health Economics, 2017, vol. 5, n. 1, pp. 45-57.

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della morbilità, miglioramento della qualità della vita e della produttività nel lavoro), a risparmi su altri capitoli di spesa.

Diversi studi211 hanno evidenziato come l’aumento di spesa farmaceutica associato all’introduzione di nuovi medicinali si sia accompagnato - in aree terapeutiche che vanno dall’oncologia al cardiovascolare - a una riduzione di spesa per costi diretti di ospedalizzazione, con un effetto compensazione. Naturalmente, non ci troviamo di fronte a una relazione di trade off proporzionale, e i valori specifici richiedono di essere stimati caso per caso, anche in considerazione dell’effetto di cronicizzazione di patologie che, prima del lancio dei nuovi prodotti, avevano un esito letale. Tuttavia, le evidenze disponibili indicano chiaramente l’esigenza di attuare un approccio integrato alla valutazione d’impatto in campo farmaceutico. Tale passaggio, tra l’altro, è suscettibile di innescare un sistema d’incentivi meno distorto, anche nel comportamento degli enti di finanziamento e delle strutture responsabili dell’erogazione dei servizi.

A puro titolo esemplificativo, si menziona qui uno studio di Lichtenberg212, per stimare l'impatto dell'innovazione farmaceutica sull’ utilizzo delle cure ospedaliere da parte dei malati di cancro in Canada tra il 1995 e il 2012. Lo studio si limita a presentare una correlazione, che evidenzia il contrasto tra l’incremento (46%) del numero di diagnosi di patologia tumorale e la contestuale riduzione del 23% del numero di giorni di degenza dei pazienti oncologici. In particolare, lo studio evidenzia come la relazione di sostituzione appaia più marcata per i pazienti colpiti da tumore in siti oggetto di studi e innovazione farmaceutica (seno, prostata, polmone, ecc.). Sulla base di queste relazioni misurate a livello di popolazione, Lichtenberg si spinge sino a formulare una stima d’impatto a livello aggregato e, retrospettivamente, costruisce un controfattuale secondo cui, se per il periodo 1980-1997 non fossero stati registrati nuovi medicinali, si sarebbe registrato un incremento, stimato al 2012, delle giornate di degenza ospedaliera pari a 1,72 milioni, con un costo stimato di $4,7 miliardi, riferito alla componente di ospedalizzazione, a fronte di una spesa complessiva per i farmaci antitumorali (vecchi e nuovi) che, nello stesso anno, era pari a 3,8 miliardi di dollari.

Studi come quello di Lichtenberg presentano, agli occhi di chi scrive, gravi carenze metodologiche su cui non ci soffermeremo qui, se non per evidenziare come essi risentano, tra l’altro, di carenze nella disponibilità di basi di dati integrate e a livello di paziente su scala temporale sufficientemente lunga. Tuttavia, queste analisi concorrono a evidenziare l’esigenza di sviluppare un approccio integrato alle valutazioni d’impatto. Esigenza,

211 E. KARAMPILI ET AL., “Pharmaceutical innovation: impact on expenditure and outcomes and subsequent challenges for pharmaceutical policy, with a special reference to Greece”, HIPPOKRATIA, 2014, n.18, 2, pp. 100-106; F.R. LICHTENBERG, The benefits of Pharmaceutical Innovation: Health, Longevity, And Savings, Montreal Economic Institute June 2016, research paper, https://www.iedm.org/files/cahier0216_en_0.pdf. 212 Ibid.

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questa, tanto ovvia quanto disattesa nelle pratiche di valutazione, di negoziazione per la fissazione dei prezzi, di definizione dei tetti di spesa, di determinazione delle modalità di eventuale compartecipazione agli sforamenti degli stessi.

Gli impatti economici della malattia e le valutazioni d’impatto dell’innovazione farmaceutica: I casi dell’oncologia e delle patologie del sistema nervoso centrale

Le evidenze disponibili sulle pipeline di R&S su scala internazionale evidenziano una concentrazione in aree terapeutiche ad alta incertezza e ad alto potenziale, con particolare riferimento all’oncologia e alle patologie del sistema nervoso centrale213.

Sono ambiti, questi, in cui più evidente è l’esigenza di sviluppare metodologie e basi di dati idonee allo svolgimento di analisi d’impatto integrate, con dati real world, che presentano tutte le difficoltà associate con l’assenza di condizione di controllo e “randomizzazione” nella composizione dei gruppi di trattamento e dei gruppi di controllo.

Si tratta, naturalmente, di ambiti terapeutici di grande rilevanza, su scala internazionale.

Si stima che, nel 2013, le patologie tumorali abbiano avuto un’incidenza, in Europa, di circa 2,5 milioni di individui, concorrendo a determinare, su scala mondiale, circa 8 milioni di decessi, seconde solo alle malattie cardiovascolari214.

I progressi nello screening e nella diagnosi precoce dei tumori, i miglioramenti terapeutici e le cure di supporto contribuiscono a ridurre i tassi di mortalità, con uno spostamento dell’incidenza verso gruppi di pazienti più anziani. Si stima nel 2040 si avranno circa 26 milioni di malati sopravviventi, la maggior parte dei quali sopra i 65 anni215. Già per il 2014, si stimava216 una spesa complessiva riferita ai trattamenti medici e ai costi di ospedalizzazione stimata in circa 83 miliardi di €. Naturalmente, la quantificazione complessiva dei costi sociali del cancro richiede di poter stimare anche i costi indiretti associati all'inabilità al lavoro (per malattia o per decesso prematuro) e i costi (costi diretti, costi opportunità) dell’assistenza prestata da parte dei “caregiver” che assistono il malato. Nell’insieme - in una stima del costo complessivo delle malattie tumorali in Italia nell’ordine di € 16,5 miliardi - i costi sanitari diretti sono stati stimati incidere per circa €

213 PAMMOLLI ET AL., 2019, op. cit. 214 B. JÖNSSON, “Cost of Cancer: Healthcare Expenditures and Economic Impact” in, E. Walter (ed. by) Regulatory and Economic Aspects in Oncology. Recent Results in Cancer Research, Springer 2019, vol.213. 215 S.L. SHAPIRO, “Cancer Survivorship”, New England Journal of Medicine, 2018, 379, pp. 2438-50, https://www.nejm.org/doi/10.1056/NEJMra1712502. 216 B. JÖNSSON, “The cost and burden of cancer in the European Union 1995-2014”, European Journal of Cancer, 2016, n.66, pp. 162-170.

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6,9 miliardi; i costi opportunità riferiti a servizi di assistenza non di mercato sono stati stimati nell’ordine € 5,5 miliardi e i costi opportunità per i pazienti a circa € 4,1 miliardi217.

Attualmente, si stima che 35.6 milioni di persone nel mondo soffrano del morbo di Alzheimer (AD) o di altre forme di demenza, con costi indiretti di particolare rilievo218. L'incidenza della demenza aumenta notevolmente al di sopra dei 75 anni, e la popolazione anziana nei prossimi decenni passerà da circa 600 milioni fino a 1,5 miliardi. Tale dato induce a stimare la triplicazione dei casi di demenza al 2050, a meno che nuovi interventi non impediscano o rallentino il declino cognitivo219.

Il costo medio annuo per paziente affetto da AD in Italia è stato stimato nell’ordine di € 27.419. La gran parte dei costi è di tipo indiretto, in particolare i costi indiretti informali, riferiti a coloro che prestano assistenza informale e rappresentano l'87% del costo medio stimato per il paziente. I costi sociali diretti rappresentano l'11% del costo per paziente, mentre i costi medici diretti rappresentano il 2%. In Italia, il 21% della spesa medica e il 5% dell'assistenza sociale formale sono a carico delle famiglie. Tuttavia, poiché i costi indiretti informali ricadono sulle famiglie, e sono molto elevati, l'88% del costo complessivo è a carico dei privati220.

Al momento, non esistono trattamenti che prevengano o impediscano lo sviluppo di tale morbo. Più di un gruppo di ricerca si è cimentato nella formulazione di previsioni sui costi dei futuri interventi che potrebbero rallentare l'insorgenza della demenza o ridurne i sintomi. Ad esempio, si stima che un ritardo dell'insorgenza di AD di 5 anni possa determinare contrazione dei costi di assistenza sanitaria totale nell’ordine del 33% e le spese a carico del paziente del 44%.

Lo sviluppo di analisi costi-benefici con dati real world

Le considerazioni svolte evidenziano l’esigenza di ancorare le valutazioni dell’attore pubblico e le decisioni di rimborso allo sviluppo sistematico di strumenti di analisi costi benefici, fondate su dati raccolti in real world221.

Il passaggio dalle analisi d’impatto basate su trial clinici randomizzati ad analisi costi benefici basate su dati raccolti nella pratica medica in real world presenta complessità organizzative e metodologiche che non possono essere sottostimate.

217 THE ECONOMIST INTELLIGENCE UNIT, Reducing the Burden: The economic and social costs of lung cancer in Italy, 2016. 218 R.G. STEFANACCI, “The Costs of Alzheimer’s Disease and the Value of Effective Therapies”, The American Journal of Managed Care, 2011, v.17/13, pp. 356-62. 219 ALZHEIMER'S ASSOCIATION, “2019 Alzheimer's disease facts and figures”, Alzheimer's & Dementia, 2019, vol. 15/3, March 2019, pp. 321-387. 220 THE ECONOMIST INTELLIGENCE UNIT, Socioeconomic Impact of Alzheimer’s And Other Dementias - Italy, March 2017, https://eiuperspectives.economist.com/sites/default/files/images/Country%20profile%20Italy.pdf. 221 C.R. SUSTEIN, The Cost-Benefit Revolution, The MIT Press, Cambridge Ma, 2018.

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Mentre il design di trial clinici randomizzati rappresenta un passaggio essenziale per la valutazione della sicurezza e dell'efficacia di nuovi agenti terapeutici, proprio l’applicazione di criteri di inclusione e di esclusione fa sì che le popolazioni scelte per la sperimentazione non siano rappresentative delle popolazioni di pazienti incontrate nella pratica clinica222.

La raccolta di dati real world richiede di essere strutturata su più piani: dai dati amministrativi sanitari su larga scala, come ad esempio registri di consultazione medica, di diagnostica e prescrizione, ricovero ospedaliero o mortalità. In Italia, lo sviluppo del sistema dei registri per le patologie oncologiche ha rappresentato, su questo terreno, un riferimento importante, sebbene poi non sviluppato a pieno. Su un piano diverso, si evidenzia l’utilità di integrare dati riferiti ai percorsi scolastici e lavorativi degli individui, unitamente a dati compositi riferiti a condizioni di contesto locale e al monitoraggio delle condizioni di trattamento e dei protocolli medici di riferimento. La dimensione di variabilità cross section non fa venir meno, in questi contesti, l’esigenza di dati longitudinali lungo il ciclo di vita degli individui.

La quantificazione del rapporto costi benefici, a lungo termine, di un nuovo trattamento richiede di poter stimare i benefici clinici in termini di esiti prospettici. Ad esempio, proiettando le curve di sopravvivenza in assenza di informazioni su coorti di pazienti trattati per periodi sufficientemente lunghi durante i trial clinici randomizzati. Le limitazioni delle metodologie e delle assunzioni più diffuse - ad esempio accettate dal NICE britannico come standard nelle cosiddette analisi di HTA (health technology assessment) - evidenziano come la trattabilità matematica abbia rappresentato, di fatto, un principio guida dominante (assunzione di decay esponenziale rispetto alla variabile tempo, a partire dai dati di sopravvivenza, rilevati empiricamente durante il periodo di durata dei trial randomizzati o durante il primo periodo di trattamento in real world). Limitazioni che ad oggi rappresentano uno dei fattori che maggiormente incidono nella limitazione dell’attendibilità della gran parte degli studi disponibili. L’esito, allo stato attuale della pratica valutativa da parte dell’attore pubblico in Italia, è duplice: da un lato, le valutazioni costi benefici non sono, di fatto, applicate in fase di negoziazione; da un altro lato, l’amministrazione non costruisce, al proprio interno, le competenze necessarie per sostenerne l’affermazione come strumento per innalzare i livelli di trasparenza e razionalità delle decisioni di rimborso e di prezzo.

Su questo quadro di sfondo, lo sviluppo progressivo di una infrastruttura di dati e metodologie idonee per analisi longitudinali in real world appare un punto di riferimento

222 L. BLONDE, “Interpretation and Impact of Real-World Clinical Data for the Practicing Clinician”, Adv. Ther. 2018, n. 35, pp. 1763–1774.

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essenziale per lo sviluppo di un modello di universalismo selettivo e per politiche di precisione in campo sanitario e farmaceutico.

Sul piano dei metodi, si tratta di integrare - in centri di ricerca specializzati - competenze riconducibili a tradizioni accademiche rimaste a lungo separate. Ad esempio, la disponibilità di dati su sintomi e marcatori genetici consente di applicare strategie d’inferenza “bayesiana” per stimare l’impatto di fattori comorbidità, differenziali d’intensità, etc.; mentre risulta possibile applicare algoritmi di machine learning per la selezione di trattamenti e dosaggi riferiti a sottogruppi omogenei di pazienti. L’uso combinato di strumenti di apprendimento statistico e di strategie di design quasi-sperimentale per l’analisi causale in econometria rappresenta, su questo terreno, una sfida anche per le strutture di ricerca più qualificate, chiamate ad attuare cambiamenti organizzativi conseguenti.

Naturalmente, una delle difficoltà principali associate allo sviluppo di valutazioni costi benefici integrate è costituita dalla necessità di svolgere le analisi d’impatto, utilizzando dati a livello di paziente che non sono raccolti attraverso studi randomizzati controllati. Aspetto che assume un rilievo particolare sia in relazione alla variabilità e alle condizioni di controllo necessarie sul singolo individuo, sia in considerazione degli effetti riconducibili a differenze nei protocolli e nei modelli organizzativi di riferimento per l’erogazione delle prestazioni in contesti reali.

È un aspetto che oggi risulta sottaciuto in letteratura. Si osserva, a questo riguardo, l’esigenza di operare in modo concomitante con strumenti di analisi riconducibili, di fatto, a tradizioni diverse, dalla statistica predittiva alle analisi causali in econometria, all’analisi costi-benefici.

La disponibilità di basi di dati integrabili a livello di singolo paziente rende oggi possibili valutazioni d’impatto e analisi costi-benefici lungo tutto il ciclo di vita delle terapie (Fig. 4).

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Figura 4 – Differenze temporali e nelle evidenze richieste nel ciclo di vita di un farmaco223.

In particolare, nelle prime fasi di sviluppo, gli studi di dati real world possono consentire miglioramenti nelle analisi epidemiologiche e di proiezione di spesa, mentre nelle fasi intermedie, essi possono sostenere valutazioni d’impatto potenziale in termini di mortalità, sopravvivenza, disabilità, costo-efficacia.

In fase di lancio, la disponibilità di evidenze in real world può contribuire a valutare l’impatto economico e ad aiutare i decisori nelle scelte di rimborsabilità. Le metodologie di analisi di dati real world, inoltre, possono sostenere sia le valutazioni d’impatto post lancio che le valutazioni necessarie a sostenere le estensioni d’indicazione. Con la legge di stabilità del 2016, il Paese ha introdotto un esplicito riferimento agli studi real world. L’attuazione della prescrizione normativa si scontra, allo stato attuale, con un deficit organizzativo e procedurale riferito sia alla raccolta che all’analisi e alla valutazione dei dati da parte delle autorità competenti.

Negli Stati Uniti, la FDA (Food and Drug Administration) utilizza real-world data per monitorare la sicurezza post lancio e gli eventi avversi associati alla somministrazione dei farmaci dopo la commercializzazione e sta lavorando a politiche per definire le modalità attraverso cui i dati possano essere utilizzati nel processo di approvazione di nuove indicazioni. L’EMA (European Medicines Agency) ha emanato disposizioni normative che richiedono una maggiore evidenza post-registrativa sulla sicurezza dei farmaci, generata attraverso l’uso di dati real world.

223 CENTRO STUDI IMS HEALTH, “Il valore della prova - I Real World Data in ambito healthcare”, IMS Health Magazine, 2016, http://magazine.imshealth.it/wp-content/uploads/2018/06/2605_Il_Valore_della_Prova.pdf.

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L’integrazione di dati real world nelle valutazioni d’impatto rappresenta un passaggio obbligato per razionalizzare l’utilizzo di risorse scarse e per orientare in modo selettivo le aree d’intervento da parte dell’attore pubblico, sino a informare decisioni di riduzione o eliminazione dal rimborso per le cure inefficaci, da valorizzare anche in fase di definizione degli accordi di prezzo che accompagnano il lancio dei prodotti rimborsati. Si tratta di un punto chiave per l’affermazione di una nuova generazione di politiche pubbliche in campo sanitario, capaci di concentrare l’intervento finanziario dello Stato sulle soluzioni capaci di produrre benefici terapeutici e un positivo bilancio in termini di analisi costi-benefici.

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CAPITOLO 6

LA GOVERNANCE DEL SERVIZIO SOCIOSANITARIO di

Maurizio Sacconi

Nuovi modelli di governance e la programmazione dell’innovazione

La governance del servizio pubblico deve essere rinnovata in coerenza con i cambiamenti descritti nel primo capitolo. Il mutato quadro epidemiologico, in particolare, sollecita una integrazione compiuta della dimensione sanitaria con quella socioassistenziale affinché la centralità della persona sia garantita attraverso l’appropriatezza delle prestazioni. D’altra parte, economicità e appropriatezza coincidono, come dimostrano le forti economie registrate ovunque le cronicità sono trattate a domicilio oppure mediante soluzioni residenziali o semiresidenziali. Un inappropriato ricovero ospedaliero determina invece oneri fino a dieci volte superiori e inevitabile abbandono del malato cronico in un contesto orientato alle patologie acute.

L‘integrazione si realizza se, da un lato, il fondo sanitario nazionale comprende anche le risorse destinate all’assistenza - incluse quelle ora dedicate alla indennità di accompagnamento – e, dall’altro, le aziende sanitarie territoriali sono abilitate a erogare flessibilmente le prestazioni reali con quelle monetarie. Solo in prossimità, infatti - comprendendo p.e. secondo il modello veneto anche le risorse dei comuni per l’assistenza (con contabilità separata e indirizzo dei sindaci) - sarà possibile valutare il modo più appropriato per sostenere la gestione domiciliare e dosare, in proporzione tendenzialmente inversa, i servizi con i sussidi al nucleo familiare. In questo contesto, merita finalmente un formale riconoscimento la figura del caregiver volontario, ovvero quel familiare che si dona alla cura del congiunto non autosufficiente. Egli deve essere considerato dalla rete dei servizi sociosanitari in modo da ricevere formazione, informazione e periodica sostituzione, così da conservare una propria dimensione relazionale. Allo stesso tempo, la legge nazionale può renderlo titolare del diritto ad avere una modulazione dell’orario di lavoro e la contribuzione “figurativa” corrispondente alla rinuncia parziale o totale al lavoro per esercitare una attività socialmente (ed economicamente) rilevante per l’interesse generale.

Si ipotizza quindi il superamento del diritto soggettivo all’indennità di accompagnamento e della sua corrispondente erogazione centralizzata, trasferendo alle aziende territoriali integrate le relative risorse. Già oggi le aziende o unità locali sarebbero tenute a operare secondo una proporzione tra i macro-livelli di assistenza che privilegia la spesa “territoriale” nella misura del 51% del totale, mentre alla spedalità e alla prevenzione

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dovrebbero rispettivamente andare il 44% e il 5%. Nei pochissimi casi in cui questa proporzione è stata realizzata si sono registrati bilanci in equilibrio o addirittura significativi avanzi di gestione. Vi ha concorso una significativa riduzione della spesa ospedaliera attraverso la chiusura o la conversione di interi plessi con la conseguenza della drastica riduzione dei ricoveri inappropriati. Accade infatti che sia l’offerta (eccessiva) a determinare la domanda. La concentrazione delle strutture ospedaliere, ancorché articolate in hub e spoke, corrisponde peraltro alle sollecitazioni implicite nei parametri di efficienza indicati dal DM 70/15 e nel programma nazionale degli esiti curato dall’Agenas. È evidente che la cura dei bisogni acuti richiede l’impiego intensivo delle sempre più sofisticate tecnologie e la contemporanea presenza di una vasta gamma di competenze e di funzioni. Possiamo ragionevolmente ritenere che la persistente attività di numerosi piccoli ospedali inferiori agli standard qualitativi, quantitativi e tecnologici costituisca un immanente pericolo per coloro che vi vengono ricoverati in base a gravi patologie. Ragioni di economicità dovrebbero inoltre condurre a considerare gli effetti sostitutivi (del ricovero) prodotti dalle innovazioni nei prodotti o nei processi farmacologici. Ovviamente, la razionalizzazione della rete ospedaliera implica anche la organizzazione di un efficiente servizio di urgenza ed emergenza, in grado di coprire le maggiori distanze e le barriere orografiche con mezzi opportunamente attrezzati.

La distribuzione delle risorse del fondo nazionale dovrebbe finalmente avvenire in base a “costi standard” calcolati sulle Regioni più virtuose in modo da costringere gli amministratori regionali ad attuare le necessarie razionalizzazioni altrove già praticate. Lo Stato ha il dovere di garantire l’unità economica e sociale della Repubblica e di tutelare quindi tutti i cittadini, subentrando nelle gestioni inefficienti attraverso lo scambio tra il commissariamento e le risorse aggiuntive per finanziare il graduale rientro dalle ingiustificate condizioni di eccesso di spesa. Se è doveroso conservare la gestione di prossimità dei servizi socio-sanitari-assistenziali, è altrettanto necessario organizzarne una compiuta dimensione unitaria del servizio nazionale attraverso una sola infrastruttura tecnologica, prezzi di riferimento e adeguata massa critica per gli acquisti, standard omogenei di contabilità tanto finanziaria quanto economico-patrimoniale analitica (tra loro riconciliate). Il federalismo italiano deve quindi evitare le pesanti disparità di trattamento che oggi costringono molti cittadini alla mobilità verso Regioni più efficienti e assumere una geometria istituzionale variabile in funzione del perseguimento di standard essenziali garantiti a tutti. Le stesse addizionali regionali Irpef - oggi più pesanti ove minore è la qualità dei servizi erogati - dovrebbero invece corrispondere non alla copertura delle spese inappropriate, ma ai servizi aggiuntivi che liberamente, nei diversi contesti, gli amministratori ritengono di promuovere.

In questo assetto, non ha senso il contratto nazionale unico per i dipendenti del servizio sanitario. La contrattazione collettiva deve realizzarsi in ciascuna Regione così da riflettere

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le diverse condizioni di efficienza, realizzate anche con il concorso dei lavoratori. Il circolo virtuoso implica il loro coinvolgimento e adeguate premialità in relazione agli obiettivi condivisi e ai risultati raggiunti.

Tecnologie e welfare sanitario del futuro - Dall’universalismo selettivo all’universalismo di precisione?

La presa in carico di ciascuna persona, di tutte le persone, si realizza solo in sistemi efficienti in quanto capaci di erogare le prestazioni più appropriate e di garantire la continuità assistenziale. L’universalismo ha costituito ragione di vanto del nostro modello dalla riforma del 1978 ma, nei fatti, esso si è rivelato selettivo in senso regressivo. Tendenzialmente, proprio le popolazioni meno attrezzate in termini di reddito e di inclusione sociale sono più esposte alle inefficienze e insufficienze del servizio pubblico. L’universalismo che considera eguali i diseguali finisce con il proteggere tutti dai piccoli rischi, ma col lasciare insicura e poco tutelata la gran parte dei cittadini in relazione ai grandi rischi. Ciò dovrebbe condurre a considerare quale obiettivo primario l’accesso di tutti ai migliori percorsi terapeutici per le più gravi patologie nell’ambito delle reti nazionali a esse dedicate. L’innovazione potrebbe consentire contemporaneamente il recupero delle aree disagiate e il passaggio a un modello di assistenza e cura personalizzate. Vi può concorrere in primo luogo la già citata infrastruttura tecnologica nazionale in quanto capace di consentire l’adozione generalizzata del fascicolo elettronico di ciascuna persona, fondamentale presupposto per una sua effettiva presa in carico e per lo sviluppo delle terapie personalizzate.

Un nuovo paradigma dell’assistenza sanitaria

Proprio il termine personalizzazione costituisce l’elemento chiave che potrà consentire ai servizi sanitari nazionali di passare da un modello “one size fits all” concentrato sulle acuzie a un modello centrato sulla cura di prossimità, la valutazione del rischio, la prevenzione, concentrandosi non già sul paziente – la persona già ammalata – ma sul cittadino e sul mantenimento del suo stato di salute. In questo senso, il modello dell’“universalismo di precisione” prende forma come un modello che – proprio nella razionalizzazione delle risorse e massimizzazione dell’appropriatezza rispetto a classi omogenee di pazienti o singoli pazienti – trova la spinta necessaria per continuare a garantire universalità nell’accesso all’assistenza sanitaria, nel momento in cui essa è più necessaria (non necessariamente nella fase acuta della patologia, come nel caso del diabete di tipo 2, che può essere evitato grazie a semplici cambiamenti nello stile di vita).

La nuova alleanza terapeutica che scaturisce da questo modello vede il cittadino consapevolmente coinvolto nel mantenimento del suo stato di salute, nell’ambito di una

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interazione più continuativa – tramite il flusso di dati proveniente da dispositivi mobili e dalle altre fonti di dati clinici o clinicamente rilevanti – orientata alla prevenzione sulla base dell’analisi dei profili di rischio personalizzati (calcolati sulla base di analisi genetiche ormai alla portata di tutti). Un tale meccanismo virtuoso di alleanza per la prevenzione potrebbe vedere premiati direttamente i cittadini stessi, con incentivi (p.es. riduzione dei costi di accesso a determinate cure o specifici servizi) in grado di incoraggiare i cittadini a prendere la loro parte di responsabilità nel mantenimento, per quanto possibile, del loro stato di salute. In una simile prospettiva, l’elemento di accessibilità e accesso ai dati clinici personali, accompagnato da una qualche sorta di incentivo per l’accesso (come nei modelli discussi brevemente nel cap.2) potrebbe risultare la carta vincente per assicurare al sistema sanitario un flusso di dati continuativo e di qualità sullo stato di salute dei propri assistiti, consentendo analisi a livello di popolazione, gestione dei rischi, monitoraggio e screening anche di popolazioni meno servite sul territorio, con risultante riduzione dei costi connessi all’uso inappropriato di risorse sanitarie, o al trattamento di stati acuti (o patologie croniche) evitabili con minimi cambiamenti dello stile di vita o altre strategie di prevenzione.

Per consentire a una simile visione di diventare realtà, nel corso di questa trattazione sono state presentate diverse tecnologie che promettono di porre i cittadini a controllare il loro stato di benessere, monitorare la loro patologia e gestire le condizioni critiche, per il solo tramite di uno smartphone, o di altri semplici strumenti di rilevazione o gestione di specifiche patologie. Tramite smartphone, medici e pazienti stanno già oggi cercando informazioni online, di monitorare i propri dati sanitari, inviare informazioni (comprese immagini), prendere appuntamenti, etc. Inoltre, come abbiamo visto, specifici dispositivi possono essere usati, in combinazione con gli smartphone, per monitorare specifici parametri di nostro interesse.

Ciò consente di usare la più grande varietà di dati disponibile per avere una visione più comprensiva, olistica, del nostro stato di salute. Il potenziale che ne consegue è enorme, perché consente ai pazienti cronici di tenere sotto controllo la loro patologia, alle persone sane di trovare un valido alleato per mantenersi in salute, alle persone in difficoltà di trovare assistenza tempestiva. In un simile contesto, l’assistenza di prossimità e la gestione delle patologie croniche cambierà radicalmente, consentendo ai medici di svincolarsi da un controllo faccia a faccia con il paziente e ai loro luoghi di lavoro, avendo a disposizione un flusso continuativo di informazioni circa lo stato di salute dei loro pazienti.

Di particolare rilevanza appare, in un simile contesto, il ruolo dei medici di base che – con il sostegno delle tecnologie – potrebbero espandere le loro funzioni e contribuire in modo decisivo all’implementazione di quella continuità assistenziale propria di una modalità di offerta di salute che sia preventiva e pro-attiva, piuttosto che reattiva/passiva.

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In alleanza con i pazienti - e raccogliendo dati anche dalle applicazioni e dispositivi mobili - i medici di base potrebbero avere un ruolo chiave nella corretta adozione e adeguato mantenimento del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), allo stesso tempo rendendo possibili nuove modalità di monitoraggio dei pazienti, facendo leva sulla mole di informazioni in capo a ciascun assistito. I sistemi di intelligenza artificiale e di sostegno alla decisione clinica potrebbero - in questo senso - rappresentare per i medici di base un valido supporto all’analisi di prima istanza dei pazienti (e più in particolare dei casi più complessi e rari), offrendo analisi della più recente letteratura di riferimento e analisi approfondita dei dati contenuti nel FSE, così riducendo il tasso di errori medici, fornendo strategie personalizzate per il singolo paziente, e di conseguenza riducendo il rischio di ricoveri ospedalieri, trattamenti inappropriati ed errori nelle prescrizioni farmaceutiche (dunque riducendo il rischio di reazioni avverse) 224.

Allo stesso tempo, gli strumenti già discussi – e in particolare applicazioni e dispositivi mobili – potranno emancipare il medico di base dalla visita faccia a faccia anche nella valutazione dell’efficacia delle terapie e relative aderenza da parte del paziente, servizi che si potrebbero andare a integrare con i sistemi già esistenti per la prescrizione elettronica.

La visione a lungo termine di quanto finora esposto ci porta all’introduzione del concetto di networked care, che rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma nelle modalità continuative di cura, con particolare riferimento alle classi di pazienti a maggior rischio (predisponendo, per tali pazienti, sia strumenti software – come applicazioni per smartphone – sia strumenti indossabili – i c.d. wearable devices – oltre che un “ambiente” di assistenza virtuale tramite il quale guidare questi pazienti), muovendosi verso la realizzazione della visione dell’“ospedale senza confini” (boundaryless hospital), concepito attorno a workflow disegnati attorno al paziente225.

Allo stesso tempo, il momento della cura può offrire strumenti e approcci patient-specific, consentendo non soltanto di massimizzare gli outcome clinici (dunque migliorando la qualità della vita del paziente), ma anche di ridurre il consumo inappropriato di risorse dovuto all’adozione di terapie non efficaci su specifiche classi di pazienti, il ricorso all’assistenza in emergenza, la prescrizione di visite ed esami inutili. Intelligenza artificiale e modellizzazione personalizzata, possono guidare la decisione clinica consentendo al medico di scegliere con maggiore precisione le modalità e i tempi di un intervento, la prescrizione di determinati farmaci, le modalità di follow-up dopo il trattamento,

224 CENSIS – IMPRESALAVORO, Le condizioni per lo sviluppo della Sanità Digitale: scenari Italia-UE a confronto, studio realizzato da Carla Collicelli, Giuseppe Greco, Giuseppe Pennisi, Vera Rizzotto, maggio 2016, presentato a Roma a luglio 2016. 225 Cfr. K. J.G SCHMAILZL, H. Th. SENDLER, “Networked Care: IT-Assisted Tools (Wearable Sensors) for Patients at Risk”, in, H. ALBACH ET AL. (ed. by), Boundaryless Hospital, Springer Berlin Heidelberg, 2016, pp.103-118.

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trasformando il ricorso a strutture ospedaliere nell’eccezione, lasciando per il resto del tempo il paziente libero di vivere la sua quotidianità.

Grazie a dati e algoritmi, si renderà possibile l’individuazione delle specifiche condizioni di diagnosi e terapia relative a ogni singolo paziente, individuandone il sottogruppo (o specifica “disease signature”) di appartenenza, in modo da poter sviluppare terapie personalizzate e prevenire i decorsi avversi propri di quella specifica condizione. Esattamente ciò che si ottiene con la stratificazione, che consente di classificare i pazienti secondo coorti caratterizzate da biomarcatori che designano l’appartenenza a uno specifico sottotipo di patologia, con proprie peculiarità, quali un particolare decorso clinico, sintomatologia o responsività a un determinato trattamento farmacologico226. Si tratta, chiaramente, di potenti strumenti per la classificazione del rischio e la gestione strategica della cronicità, partendo da dati personalizzati e dall’analisi dei possibili decorsi clinici di diversi sottogruppi omogenei.

Come già affermato, tali innovazioni cambieranno non solo il rapporto paziente-medico, ma consentiranno di sviluppare nuove strategie di offerta sanitaria a livello di popolazione, sulla base di profili di rischio più accurati, stratificazione avanzata (deep phenotyping) e analisi continuativa dei dati. Il risultante empowerment del paziente costituirà un ulteriore elemento di vantaggio e di migliore sostenibilità per i sistemi sanitari, rinnovando l’alleanza terapeutica nel contesto di un approccio non più passivo-reattivo – da attivare al manifestarsi di una patologia (quando i costi di gestione e trattamento sono già alti) – ma un approccio pro-attivo e preventivo, da sviluppare con continuità nel corso della vita di ciascun cittadino.

Nuove professioni e nuovi curricula sanitari

L’introduzione di nuove tecnologie e nuove modalità e workflow di cura renderanno sempre più pressante l’esigenza di aggiornare il curriculum dei medici, introducendo profonde innovazioni nel percorso di formazione di queste figure professionali, e affiancandole possibilmente ad altre, specializzate nell’uso delle nuove tecnologie.

In effetti, come già notava Christensen nel suo ormai classico “The Innovator’s Prescription”, parlando della situazione negli Stati Uniti, la struttura dei curricula proposti dalle scuole di medicina è rimasta di fatto immutata nel corso dell’ultimo secolo, al netto di inevitabili e sostanziali cambiamenti nei contenuti di tali curricula227.

226 E. MORLEY-FLETCHER, M. DE MALDÈ, L. DURST, D. ZACCAGNINI, “La sanità digitale: nuovi scenari e nuove professioni”, Newsletter ASTRID su Sanità digitale, competenze digitali, 24 ottobre 2016. 227 C.M. CHRISTENSEN, J.H. GROSSMAN, J. HWANG, The innovator's prescription: a disruptive solution for health care, McGraw & Hill, 2009.

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Il sistema di apprendimento attualmente in vigore impiega troppo tempo a educare i medici di domani e - nonostante le risorse impiegate, oltre al tempo - il risultato potrebbe essere subottimale, dal momento che i neo-medici potrebbero non essere in grado di operare, alla fine del loro percorso di studi, in un contesto nel frattempo molto mutato.

In questo senso, il sistema di formazione attuale potrebbe avere problemi a sostenere una traiettoria lineare di miglioramento continuo delle performance, tenendo il passo con le innovazioni tecnologiche che si renderanno via via disponibili, e risultato pertanto indispensabili serie revisioni del modello di istruzione, anche con il ricorso all’uso di tecnologie informatiche per formare i medici del futuro.

Questo richiede al sistema di istruzione di non focalizzarsi più soltanto sulle tecnologie e le terapie disponibili oggi, mentre è noto come sia le une che le altre cambino rapidamente.

Se si pensa che la formazione di un medico richiede circa cinque anni di formazione di base e altrettanti anni per la specializzazione, si può capire forse con più facilità il problema in essere: esistevano dieci anni fa i social network, la realtà virtuale e aumentata, gli smartphone, i tablet, il deep learning? In dieci anni le innovazioni tecnologiche introdotte sono state enormi, e il ritmo di cambiamento e innovazione non accennerà a rallentare negli anni che verranno.

Ecco pertanto che appare di nuovo chiara l’esigenza di modificare non tanto i contenuti specifici di quei curriculum formativi, quanto la struttura stessa dell’apprendimento, per preparare gli studenti di medicina di oggi a integrare e usare nuove applicazioni e tecnologie nel loro bagaglio professionale come elementi cruciali della loro formazione medica228.

Non a caso sono state già lanciate delle sperimentazioni, come quella delle Semmelweis Medical School, con l’obiettivo di fornire agli studenti le competenze che serviranno per usare al meglio le tecnologie che si renderanno disponibili in ambito medico. Infatti, il corso (dal titolo “Disruptive Technology in Medicine229”) offre agli studenti corsi di genomica personalizzata, stampa 3D medica, telemedicina, medicina rigenerativa, intelligenza artificiale, robotica, etc. Tecnologie forse non routinarie oggi, ma potenzialmente tali alla fine di un percorso di studi di dieci anni230.

In effetti, visto sotto un’altra angolazione, il problema è di fatto permanente: bisogna formare i medici del futuro in modo da renderli in grado di tenersi al passo con la mole di innovazioni tecnologiche che si renderanno via via disponibili, e non soltanto di diventare esperti delle nuove tecnologie disponibili oggi. Ad affiancare i medici del futuro, infine,

228 B. MESKÓ, The guide to the future of medicine: technology AND the human touch, Webicina Kft., 2014. 229 Cfr. http://semmelweis.hu/genomikai-medicina/files/2015/02/Disruptive-medical-technologies.pdf 230 B. MESKÓ, The guide to the future of medicine, op cit.

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dovranno essere figure specializzate, deputate all’uso delle nuove tecnologie e a massimizzarne l’uso e l’efficacia.

Oltre la salute: quali nuovi modelli di welfare per la società del futuro

Lo Stato ha il dovere di garantire il diritto alla sicurezza sociale dei cittadini. Ma questo si realizza attraverso una “stretta cooperazione tra lo Stato e l’individuo”, chiamato a responsabilità, come affermava sir William Beveridge. Nel senso che lo Stato realizza questo dovere da un lato erogando, direttamente o indirettamente, le fondamentali prestazioni e, dall’altro, attuando il principio costituzionale di sussidiarietà mediante disposizioni di favore per l’autotutela collettiva. D’altronde, un elementare principio di osservazione della realtà consente di constatare l’elevatissima dimensione della spesa sanitaria out of pocket e la crescente necessità per le famiglie di sostenere con mezzi propri la cura dei familiari non autosufficienti. Il consolidamento del servizio pubblico in termini di nuova governance e di aggiornamento delle prestazioni universalmente garantite avrà quindi bisogno comunque di integrarsi, soprattutto, con un secondo pilastro collettivo di fonte contrattuale o categoriale.

Fondi sanitari integrativi, enti e casse di assistenza, società di mutuo soccorso e polizze sanitarie rappresentano una offerta in crescita esponenziale, ma operano secondo regole e disposizioni significativamente diverse. Sono enti che adottano il criterio contabile della ripartizione e quindi, anche se non sono esposti ai rischi connessi agli investimenti di lungo periodo, necessitano di regole prudenziali che ne garantiscano la stabilità e l’equilibrio tecnico attuariale anche nel caso di eventi catastrofali. Il quadro ordinamentale è invece carente come l’assetto dei controlli è insufficiente a verificare il rispetto delle condizioni per l’erogazione dei benefici fiscali. Il Ministero della Salute ha recentemente prodotto un Rapporto231 dal quale emerge che il totale delle risorse erogate agli aderenti nel 2017 dai Fondi sanitari iscritti all’Anagrafe è pari a 2,3 miliardi. Si deve tuttavia precisare che i Fondi iscritti all’Anagrafe sono solo 323 rispetto ai 500 circa ipotizzati da più fonti. Di questi: 9 sono fondi sanitari integrativi del SSN (c.d. Fondi di tipo A) e 313 sono enti, casse e società di mutuo soccorso aventi esclusivamente fine assistenziale (c.d. Fondi di tipo B). Ai predetti Fondi sono iscritti oltre dieci milioni e mezzo di aderenti (quasi tutti appartenenti ai Fondi di tipo B). Tale dato è stato dato in crescita nel corso del periodo dal 2013 al 2017. Secondo invece il Rapporto CENSIS-RBM232, le risorse intermediate nel 2017 dalle “Forme sanitarie integrative”, ammontano a 5,8 miliardi, anche

231 MINISTERO DELLA SALUTE - DIREZIONE GENERALE DELLA PROGRAMMAZIONE SANITARIA, Le attività dell’Anagrafe fondi sanitari e i dati del Sistema Informativo Anagrafe Fondi (SIAF), Reporting System: Report n. 1, Roma, Novembre 2018. 232 RBM - CENSIS (a cura di), VIII Rapporto RBM CENSIS sulla Sanità Pubblica, Privata ed Intermediata, Roma, giugno 2018, v. http://www.welfareday.it/pdf/VIII_Rapporto_RBM-Censis_SANITA_def.pdf.

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se non è del tutto chiaro se si tratti di dati omogenei a quelli considerati nel Reporting System del Ministero (in alcuni passaggi del Rapporto CENSIS-RBM, infatti, si annoverano nelle “Forme sanitarie integrative” sia quelle collettive, ossia i Fondi sanitari, che quelle individuali, ossia le polizze assicurative). Permane, dunque, incertezza sia sul numero dei Fondi sanitari operanti nel settore, sia sul totale delle risorse da essi intermediate. Di qui la necessità di una tempestiva regolazione che ne garantisca trasparenza e stabilità operativa.

I fondi dedicati alle prestazioni sociali complementari potrebbero progressivamente definirsi secondo caratteristiche tendenzialmente universalistiche, polifunzionali, operative lungo l’intero ciclo vitale, così da concorrere ad una protezione sociale flessibilmente capace di adattarsi ai bisogni di ciascuna persona in ciascuna fase della vita. L’obiettivo di integrare quindi previdenza, sanità, assistenza dalla culla alla tomba indurrà a ricercare grandi masse critiche per assorbire i maggiori rischi. Così come il carattere transizionale dei mercati del lavoro sollecita grandi fondi aperti in grado di proteggere i lavoratori anche nelle fasi di non lavoro e garantire continuità nel passaggio da un datore di lavoro all’altro o addirittura da lavoro dipendente a lavoro indipendente e viceversa. Li sosterranno pochi contratti nazionali applicati a macrosettori del lavoro, i cui contenuti saranno sempre più limitati a ciò che fa considerare uguali tutti i lavoratori, come appunto l’accesso alle prestazioni sociali complementari. Per tutto il resto la contrattazione si sposterà ai livelli prossimi dell’azienda e del territorio.

Anche nelle relazioni collettive di lavoro la nuova frontiera è rappresentata dalla tutela delle cronicità. Alcune prime buone pratiche si sono realizzate in termini di assicurazioni rivolte a erogare prestazioni monetarie nel momento del verificarsi di una condizione di non autosufficienza. Però, l’obiettivo potrebbe essere più ambizioso. La presenza in un unico fondo di tre gestioni pur separate per previdenza (a capitalizzazione individuale), sanità (a ripartizione), assistenza (a capitalizzazione solidale) potrebbe consentire, secondo regole prudenziali per la loro stabilità, di modulare le prestazioni in relazione ai bisogni della persona e ai benefici del primo pilastro. Ad esempio, in una situazione di solitudine e non autosufficienza irreversibile, tutte le prestazioni potrebbero convergere nel pagamento della retta di una residenza per anziani.

In questa prospettiva, una scelta coerente è quella di affidare alla Covip, che già controlla il secondo pilastro previdenziale, le funzioni di vigilanza operativa sul complessivo sistema integrativo, mantenendo presso i Ministeri del Lavoro e della Salute l’alta vigilanza sui rispettivi settori di interesse. L’Autorità unica per il welfare complementare potrebbe favorire il processo di progressiva convergenza, anche delineando le scelte regolatorie in ordine ai più opportuni ambiti di operatività dell’uno e dell’altro settore di attività. I compiti di effettivo controllo sono riconducibili: I.) alla tenuta di un Albo con obbligo di iscrizione di tutti gli enti abilitati quale presupposto per fruire delle

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agevolazioni fiscali; II.) alla verifica del mantenimento nel tempo delle condizioni per l’esercizio dell’attività, come il rispetto della soglia delle risorse vincolate a copertura delle prestazioni non ricomprese nei LEA (con accertamenti tecnici e ispezioni); III.) al rispetto delle regole di governance con particolare riguardo alla stabilità e alla trasparenza nei confronti degli aderenti; IV.) all’adozione di sanzioni, sino alla revoca dell’autorizzazione a operare per gravi infrazioni (ad esempio, mancato rispetto per un certo arco di tempo, della soglia di prestazioni integrative che devono essere assicurate); V.) alla tutela dell’aderente che deve potersi rivolgere all’Autorità con ricorsi e segnalazioni.

La prospettiva di un crescente decentramento della contrattazione collettiva favorirà lo sviluppo anche delle prestazioni integrative nella dimensione aziendale o interaziendale. Si è rivelata particolarmente utile la disciplina tributaria secondo la quale non concorrono alla formazione del reddito e perciò non sono tassate. Crescono soprattutto le prestazioni dedicate a prevenire o soddisfare un bisogno di salute. Davvero “socialmente responsabili” sono quelle aziende che attuano l’obbligo della periodica sorveglianza sanitaria, disposta dalla disciplina in materia di sicurezza nel lavoro, con un approccio “olistico” alla salute di ciascun collaboratore. Ogni anno circa dieci milioni di lavoratori sono sottoposti a visita dei medici competenti. Si tratta di uno straordinario patrimonio per lo sviluppo delle politiche prevenzionistiche. I dipendenti possono essere titolari di un vero e proprio fascicolo elettronico personale con una chiave di accesso del datore di lavoro che ne limita le informazioni a quelle consentite dalla legge. Per tutto il resto il lavoratore può disporre invece di informazioni (anche elaborate) che lo mettono in condizione di agire tempestivamente per la propria salute. Oltre agli screening, spesso trascurati, il datore di lavoro può incaricare i medici competenti di svolgere attività formativa sugli stili di vita e le malattie croniche.

Un numero crescente di aziende adotta forme ulteriori di assicurazione per il rimborso di prestazioni sanitarie solo parzialmente coperte dai fondi integrativi di settore. Così come tende a svilupparsi la buona pratica secondo cui i dipendenti possono utilizzare i fondi aziendali di welfare per la copertura delle spese che sostengono in favore di un congiunto non autosufficiente. La fidelizzazione dei collaboratori di un’impresa si realizza sempre più attraverso il sostegno al benessere loro e dei loro familiari. Con la fine dei modelli fordisti di produzione i lavoratori riacquistano un volto. I nuovi processi orizzontali indotti dalle tecnologie digitali inducono il datore di lavoro a cercare persone integralmente formate affinché siano in grado di affrontare il continuo cambiamento. Però anche i lavoratori chiedono di essere considerati dal datore di lavoro nella integralità dei loro bisogni, a partire da uno stato di salute complessivo e non più solo legato alla prevenzione dei rischi connessi all’ambiente di lavoro.