sezione 4: ispezione degli alimenti di origine animale · nell'interesse della salute ......

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Societa' Italiana delle Scienze Veterinarie LIX Convegno Nazionale Sezione 4: Ispezione degli Alimenti di Origine Animale 21-24 September 2005, Viareggio - Italia Societa' Italiana delle Scienze Veterinarie - SISVET- LIX Convegno Nazionale - 2005 - Viareggio, Italia This manuscript is reproduced in the IVIS website with the permission of SISVET Scroll down to view document Close window to return to IVIS

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Societa' Italiana delle Scienze Veterinarie

LIX Convegno Nazionale

Sezione 4: Ispezione degli Alimenti di Origine Animale

21-24 September 2005, Viareggio - Italia

Societa' Italiana delle Scienze Veterinarie - SISVET- LIX Convegno Nazionale - 2005 - Viareggio, Italia

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INDAGINE CONOSCITIVA IN UN MACELLO DELLA TOSCANA NEI CONFRONTI DELLA PREVENZIONE DELLA BSE SURVEY ABOUT BSE PREVENCTION INTO TOSCANY SLAUGHTERHOUSE Gianfaldoni D.1, Benini O.1, Martinelli F.1, Pasqualetti G.2, 1. Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi e Igiene degli Alimenti, Università di Pisa, 2. ASL 11 Empoli Parole chiave: BSE, Sicurezza Alimentare, Ispezione delle carni Key words: BSE, Food Safety, Meatfood Inspection SUMMARY - The European Common Market represents an important milestone for the realisation of an European agri-food policy. Yet, it implies several troubles often related to the abolition of the boundary veterinary controls, modifying interventions and responsibilities of the N.S.S. In this work, we examined the outcomes of BSE tests performed on 291 bovines older than 24 months, in a slaughterhouse of Tuscany along a period of 17 months. No positive cases have been found. Furthermore, the percentage of animals with problems related to clinic systemic pathologies was very low (9,62%). INTRODUZIONE - L’entrata in vigore del mercato comune europeo, pur rappresentando indubbiamente una tappa positiva ai fini della realizzazione di una politica agro-alimentare europea, ha comportato non pochi problemi, in particolare quelli legati all’abolizione dei controlli veterinari frontalieri, modificando in particolare interventi e responsabilità del S.N.S. Il complesso ed efficace sistema di controlli da parte del servizio veterinario pubblico non è però stato sufficiente, come dimostrato dai recenti accadimenti, ad offrire le dovute garanzie di sicurezza ai consumatori, questo perché le encefalopatie spongiformi trasmissibili (tra cui la BSE) non sono comprese fra le affezioni per le quali il D.Lgs. n. 286/94 [1] prevede l’esclusione dal consumo umano, ma rappresentano “nuove patologie” nei confronti delle quali i classici sistemi di individuazione e controllo che si basano essenzialmente sulla visita clinica ante mortem e sulla ispezione post mortem, sono scarsamente efficaci. Gli interventi normativi europei dal 2001 in poi hanno tuttavia riportato chiarezza a livello legislativo-applicativo, impostando una chiara strategia di lotta coordinata tra gli Stati membri. Tutto ciò, abbinato agli sforzi che gli operatori del settore hanno attuato, di concerto con le Autorità di controllo per l’applicazione di questa normativa estremamente onerosa e rigida, fa ad oggi della carne bovina uno degli alimenti tra i più sicuri e controllati [2]. Nell'interesse della salute del consumatore, abbiamo voluto individuare le tipologie di bovini macellati e capire il grado di sicurezza delle carni provenienti da questi animali, dato ai consumatori da parte delle Autorità preposte nella Regione Toscana. MATERIALI E METODI - L’indagine è stata svolta in un macello a bollo CEE della Toscana, per un periodo di 17 mesi (ottobre 2003 / febbraio 2005) ed ha riguardato tutti i bovini obbligatoriamente destinati all’esecuzione del test rapido per l’accertamento della BSE, cioè i capi con oltre 24 mesi di età [3]. Durante il periodo di studio sono stati macellati nello stabilimento complessivamente 12.990 bovini di cui 291 con una età uguale o superiore ai 24 mesi. Per ogni animale sono stati raccolti i seguenti dati riportati sul “passaporto” e nel Modello 4 al momento dell’arrivo al macello: razza, età, sesso, luogo di nascita e ASL dell’allevamento di provenienza. Nella stessa scheda sono stati poi riportati sia gli aspetti clinico-neurologici del soggetto rilevati durante la visita ispettiva ante mortem che ogni tipo di alterazione sulla carcassa riscontrata durante la visita post mortem. RISULTATI E CONCLUSIONI - Nessun animale è risultato positivo al test della BSE. La macellazione dei bovini di età superiore ai 24 mesi risulta proporzionalmente bassa (2,24%) rispetto alla macellazione di capi di età inferiore. La consistenza numerica dei capi macellati rispetto alla ASL dell’allevamento di provenienza è stata la seguente: Cremona (1), Lucca (3), Pistoia (62), Prato (4), Pisa (117), Livorno (18), Arezzo (15), Grosseto (8), Firenze (6), Empoli (51) capi, Perugia (3), Urbino (3); da ciò si può dedurre che il macello oggetto dell’indagine, per quanto riguarda i bovini al di sopra dei 24 mesi, ha un ambito di servizio prevalentemente regionale (284 capi su 291). Nella tabella sono riportati i dati relativi ai capi

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nati rispettivamente in Italia (241 su 291) e all’estero (50 su 291), suddivisi per sesso, vocazione della razza (da latte o da carne), consistenza numerica e con riportato il numero di animali che presentavano un qualche rilievo significativo alla visita ante mortem e/o post mortem. Relativamente ai capi maschi, solo per due animali nati in Italia sono stati riscontrati dei rilievi clinico – patologici: un caso di complicazioni post intervento per invaginamento intestinale e uno di deperimento generale e difficoltà respiratorie dovute a pleuropolmonite. Una diversa situazione si osserva analizzando i capi femmine. I rilievi clinico-patologici hanno riguardato prevalentemente le vacche da latte (20 su 26 casi), specialmente di razza Frisona, con una netta prevalenza di traumi o patologie attribuibili al parto quali mastite, paraplegia post partum e fratture del bacino da parto forzato. Per quanto riguarda le femmine di razza Chianina e Limousine solo due di questi animali presentavano patologie di rilievo (corpo estraneo e meteorismo), peraltro tipicamente riscontrabili in bovine allevate in modo estensivo. In conclusione il numero di capi di età superiore ai 24 mesi con problemi, riscontrabili in questo macello, sotto forma di patologie sistemiche clinicamente manifeste, è molto basso (9,62% del numero complessivo di bovini macellati). Si fa inoltre rilevare come dal 01 aprile 2005 la legislazione italiana si è allineata a quella comunitaria, con l’innalzamento da 24 a 30 mesi del controllo obbligatorio per la BSE con test rapido [3,4], sicuramente imputabile ai risultati contenuti nel piano di sorveglianza nazionale (7 casi positivi alla BSE su 779.599 test rapidi effettuati nell’anno 2004) [5]. In conseguenza di quanto sopra, anche alla luce dei risultati ottenuti nella indagine da noi svolta in Toscana, auspichiamo che l’U.E. possa finalmente riconoscere all’Italia la necessaria qualifica sanitaria, togliendola dal limbo delle misure transitorie del Regolamento(CE)999/2001 [6] ed in ogni caso già da ora, l’innalzamento dell’età a cui è obbligatoria l’asportazione della colonna vertebrale [6] da 12 a 18 mesi, “dando così via libera” al ritorno della “bistecca fiorentina” sul tavolo del consumatore europeo, ma soprattutto di quello legato alle tradizioni tipiche del territorio. Tabella Bovini macellati con età ≥ 24 mesi

Luogo Nascita

Sesso (%) Vocazione Razza e consistenza numerica N° Capi con

riscontri

Carne Bavarese 1, Chianina 17, Limousine 19, Marchigiana 8, Calvana 2, Pisana 1, Pezzata Rossa 2

01

Latte Bruna Alpina 1, Frisona 2 01

Maschi 88 (30,24%)

Mista Meticcia 35 0/

Carne Limousine 10, Chianina 37, Pisana 2, Pezzata Rossa 9

04

Latte Bruna Alpina 10, Frisona 48 19

Italia 241

Femmine 153 (52,58%)

Mista Meticcia 37 01

Carne Blonde D'Aquine 1, Charolaise 9, Croise 4, Limousine 4

0/ Maschi 19 (6,53%)

Mista Meticcia 1 0/

Carne Blonde D'Aquine 1, Pezzata rossa 7, Charolaise 1, Croise 2, Limousine 14

01

Latte Frisona 2 01

Altri paesi comunitari

50 Femmine 31 (10,65%)

Mista Meticcia 4 0/ BIBLIOGRAFIA – 1) D.Lgs. del 18 Aprile 1994, n. 286, G.U.R.I. 3 del 14/5/1994. 2) Relazione Segretario Generale Assocarni, L. P. Scordamaglia, 1° Convegno Nazionale “La sicurezza Alimentare nelle politiche della UE, del Governo Nazionale e delle Regioni”. CIBUS – Fiere di Parma, 10.05.2004 3) Legge 19 Gennaio 2001 n. 3, G.U.R.I. 16 del 20/01/2001. 4) Legge 31 marzo 2005, n. 43, G.U.R.I. 75 del 01/04/2005. 5) www.dsz.unito.it/bse.htm. 6) Reg. (CE) 999/2001 G.U.C.E. , L 173 del 27/06/2001

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LA REGOLARIZZAZIONE DEI BOVINI AL MACELLO DA PARTE DELL’ ALLEVATORE FARMER’S CATTLE REGULARIZATION AT THE SLAUGHTERHOUSE

F. Maraschi, G.C. Ruffo, (Sezione di Medicina Legale e Legislazione,Veterinaria, Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano)

Parole chiave: anagrafe bovina, legislazione, regolarizzazione, allevatore. Key words: cattle register, regulations, regularization, farmer.

SUMMARY - T he Authors analyse both national and community regulations as to penalties and restrictive measures concerning cattle register and cattle regularization at the slaughterhouse. In this study the authors propose news solutions about the problem of regularization cattle’s documents at the slaughterhouse. The self-certification by the breeder could represent a useful solution for the future. It allows a quick solution to the bureaucratic problems which, too often, cause the destruction of animals that have no health problems.

INTRODUZIONE - Il presente lavoro nasce dalla necessità di trovare soluzioni nuove alla problematica relativa ad errate o carenti identificazioni dei bovini al macello. La normativa sull’anagrafe bovina e il D.Lvo n. 286/94 prevedono che un bovino non correttamente identificato non possa essere spostato dall’allevamento né tantomeno possa essere macellato. L’argomento assume rilevanza in rapporto al D.lvo n. 58/2004, che introduce le sanzioni relative all’identificazione dei bovini. Quindi, si pongono alcune riflessioni in merito alle possibilità di regolarizzazione relativa alle errate identificazioni degli animali, per fornire uno strumento utile ai veterinari pubblici che operano sul territorio. In particolare, si cerca di valutare la possibilità di utilizzare l’autocertificazione da parte del detentore degli animali quale documento ufficiale per la regolarizzazione dei documenti di identificazione.

DIRITTO - Limitatamente alle parti oggetto di approfondimento, si rende opportuno illustrare i capisaldi della legislazione che disciplina l’anagrafe bovina, in particolare, dal Reg. CE 1760/2000 in cui vengono sanciti i seguenti principi generali: 1-L’identificazione degli animali è assicurata dai marchi auricolari, dal passaporto, dal registro di carico e scarico aziendale per i bovini (registro di stalla), e dalla Banca dati informatizzata. 2-Sono responsabili del funzionamento del sistema di identificazione e registrazione degli allevamenti e capi della specie bovina: -il detentore degli animali; -il titolare dello stabilimento degli animali; -i produttori e fornitori delle marche auricolari; -i servizi veterinari delle ASL; -le regioni e le Provincie autonome; -il Ministero della Salute; 3-Compiti del detentore degli animali: -Ciascun detentore di animali della specie bovina acquista presso i fornitori autorizzati i marchi auricolari dopo aver ottenuto dal Servizio Veterinario dell’ASL competente l’assegnazione dei numeri progressivi dei codici identificativi individuali di ciascun animale; -Il fornitore di marchi auricolari consegna all’allevatore, per ciascun codice auricolare prodotto, una cedola identificativa del bovino in singola copia; -Il detentore deve apporre i marchi auricolari a ciascun orecchio dell’animale entro 20 giorni dalla sua nascita e in ogni caso prima che l’animale lasci in azienda in cui è nato; -Il detentore invia per ciascun animale la cedola identificativa completata in ogni sua parte, al Servizio Veterinario dell’ASL competente per territorio entro sette giorni dalla marcatura dell’animale.

COMMENTO - Da quanto riportato al punto precedente emerge che: -l’anagrafe bovina e l’identificazione degli animali si basa su più elementi (passaporto, marca auricolare, registro di stalla e banca dati informatizzata) e coinvolge più attori, tra cui, con un ruolo di primaria importanza, il proprietario/detentore degli animali; -il ruolo strategico del detentore degli animali deriva essenzialmente dal fatto che l’intera anagrafe bovina si fonda su un’azione primaria svolta da colui che gestisce gli animali, che è deputato all’attribuzione della marca auricolare ed alla compilazione della cedola identificativa da cui poi ne conseguono tutti i passaggi successivi, ovvero il passaporto rilasciato dal Servizio Veterinario dell’ASL e la Banca dati informatizzata. Ad ulteriore conferma di quanto sopra esposto si riporta il Reg CE 494/98, all’art.1, comma 2, che, nel caso in cui ci siano animali che non soddisfino i requisiti di identificazione dispone:

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“Se il detentore degli animali non è in grado di procedere, entro 2 giorni lavorativi, all’identificazione di un animale, quest’ultimo dev’essere immediatamente distrutto…..”. Pertanto viene ribadita la responsabilità del detentore nella fase di identificazione e regolarizzazione dell’animale non idoneo. Considerata la centralità del ruolo del proprietario/detentore nella gestione degli animali a partire dal primo atto di assegnazione dei marchi auricolari e della comunicazione dei dati anagrafici all’autorità competente fino al riconoscimento e all’assoluzione dei compiti di regolarizzazione che eventualmente dovessero rendersi necessari durante la vita dell’animale stesso, si valuta la possibilità di utilizzare la dichiarazione di autocertificazione da parte del proprietario/detentore come documento ufficiale in fase di regolarizzazione dell’identificazione di un animale.Le ragioni per cui si ritiene l’autocertificazione uno strumento legalmente valido sono le seguenti: -il legislatore, attribuendo all’allevatore il ruolo di assegnazione della marca auricolare all’animale e la trasmissione dei dati anagrafici all’autorità competente, lascia di fatto, che l’intera anagrafe si basi su una sorta di autocertificazione dell’allevatore; -come indicato dal Reg. CE n. 1760/2000, la marca auricolare è solamente uno degli elementi che costituiscono l’identificazione dell’animale, e, pertanto, l’autocertificazione dell’allevatore dovrebbe comunque trovar riscontro nei dati riportati sul passaporto, sul registro di stalla e nella banca dati informatizzata. Ciò significa che il contenuto dell’eventuale autocertificazione fatta dall’allevatore avrà esclusivamente il valore di definire la proprietà dell’animale senza arrogarsi informazioni di carattere sanitario, e comunque, le eventuali informazioni a carattere sanitario che dovessero derivare direttamente dalla definizione di questa proprietà sarebbero comunque suffragabili dai dati e dalle informazioni in possesso del Servizio Veterinario competente per allevamento e attraverso le informazioni contenute in banca dati; ovvero si tratterebbe di un’autocertificazione fatta e rilasciata alla luce di fatti o dati a diretta conoscenza degli organi deputati al controllo e che quindi possono essere verificati. -Un atteggiamento simile, è già stato previsto dal Legislatore italiano con il D.M. 11 febbraio 2003, con cui si disciplina che i volatili da cortile e la selvaggina d’allevamento da penna possono essere movimentati dagli allevamenti senza l’ispezione sanitaria ante carico da parte del veterinario ufficiale purché il proprietario/detentore si faccia carico di compilare una autocertificazione, il cui modello è previsto in allegato al Decreto Ministeriale stesso, in cui si riporti la data dell’ultimo controllo veterinario ufficiale in azienda. A suffragio di quanto sopra esposto, la Sentenza della Corte Costituzionale n. 162/2004 ha sancito un principio assai importante la cui applicazione e le cui conseguenze, se estese all’intera area sanitaria comporteranno sicuramente la necessità di rivedere tutta la disciplina autorizzativa e di certificazione. La Sentenza in oggetto sostiene che le certificazioni sanitarie, quali ad esempio l’avvenuta esecuzione di una vaccinazione obbligatoria, possono essere sostituite da atti di notorietà “in quanto concernono stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza degli interessati e che possono essere sostituiti da dichiarazioni rese e sottoscritte dal medesimo con l’osservanza delle modalità prescritte ai sensi dell’art.47 e 38 del DPR 28.11.2000, n. 444”. La Corte sostiene che la legislazione affida all’autocertificazione l’attestazione di avvenuta esecuzione di atti obbligatori non essendoci limiti all’utilizzabilità delle dichiarazioni sostitutive contenute nell’art. 49 del DPR n. 444/2000.

CONCLUSIONI - Si ritiene che l’autocertificazione dell’allevatore/detentore degli animali sia un strumento da utilizzare nella fase di riconoscimento e regolarizzazione di problematiche inerenti la disciplina dell’anagrafe bovina. Si ritiene inoltre che il ruolo del Servizio Veterinario non sia quello di provvedere alla spiccia risoluzione delle problematiche relative alla non corretta identificazione dell’animale ma di verificare che la dichiarazione fornita dal detentore degli animali sia effettivamente confermata dall’analisi dei dati in possesso dell’Autorità sanitaria (banca dati) e da eventuali verifiche effettuate nell’allevamento di origine (registro di stalla). Ancora una volta emerge la figura dei Servizi Veterinari, non più impegnati in attività dirette sulle problematiche che emergono durante le attività quotidiane, ma sempre più immedesimati nel ruolo di vigilanza e controllo su pratiche che vengono delegate agli operatori del settore, in perfetta sintonia con la nuova tendenza sancita dal Legislatore Comunitario.

BIBLIOGRAFIA - D.lvo 286/94, D.lvo 58/2004, Reg. CE 1760/2000, Reg. CE 494/98, D.M. 11 febbraio 2003, Sentenza Corte Costituzionale n. 162/2004, DPR 28/11/2000 n. 444 .

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MORTALITÀ PREMACELLAZIONE NEL BROILER E TACCHINO DA C ARNE IN SISTEMI INDUSTRIALI DI MACELLAZIONE INCIDENCE OF DEAD ON ARRIVAL (DOA) BROILER CHICKENS AND TURKEYS IN COMMERCIAL SLAUGHTERHOUSES Bianchi M., Petracci M., Cavani C., Gaspari P.*, Lavazza A. ** Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna. *Veterinario Ispettore - AUSL Cesena, **Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna - Brescia. Parole chiave: Mortalità premacellazione, broiler, tacchino. Key words: Dead on arrival, broiler, turkey. SUMMARY – A study was conducted in order to determine the incidence of broiler chickens and turkeys “dead on arrival” (DOA) at the processing plant. The study was carried out during a three years period (August 2001-July 2004) from 31 broiler and 11 turkey processing plants representing the majority of the Italian poultry production. The overall average incidence of DOA was found to be 0.35% in broilers and 0.38% in turkeys. The season significantly influenced the mortality of both broilers and turkeys with higher incidence being observed during the summer (0.49 and 0.54% for broilers and turkey, respectively). The incidence of DOA was found to be lower in smaller in respect with intermediate and larger slaughter plants (0.21 vs 0.42 and 0.37%, P<0.01). INTRODUZIONE – Durante le fasi premacellazione, gli avicoli sono sottoposti ad una serie di operazioni in grado di generare stress tra cui: la cattura ed il carico, il trasporto e i relativi stress termici (da caldo o da freddo), gli urti, il digiuno e la disidratazione, i rumori e le vibrazioni. Questi fattori possono compromettere lo stato di benessere degli animali fino a condurre alla morte degli stessi(1,2). Un parametro oggettivo di valutazione del benessere delle specie avicole durante le fasi premacellazione è rappresentato dal tasso di mortalità rilevato al momento dell’aggancio degli animali alla catena di macellazione (Dead on Arrival, DOA). Questo parametro rappresenta inoltre una notevole perdita economica per la filiera produttiva. Per quanto concerne i broilers, indagini condotte nel Regno Unito hanno rilevato un'incidenza di DOA variabile dallo 0,2 allo 0,5%(3). Tra i principali fattori che possono influenzare l’ incidenza di DOA si ritrovano il trasporto e le condizioni ambientali (stagione e microclima all’interno delle gabbie da trasporto)(3,4,5). Una stima precisa dei valori medi di DOA nei sistemi industriali di macellazione potrebbe consentire la definizione di valori-soglia, atti a riconoscere le condizioni di benessere animale in realtà produttive differenti, anche alla luce di una possibile introduzione di tali parametri nella legislazione comunitaria. L'indagine si è proposta di valutare l’incidenza media e stagionale di DOA nel pollo e tacchino da carne, mediante analisi dei dati rilevati nei principali stabilimenti di macellazione italiani. MATERIALI E METODI – Per lo studio sono stati raccolti dati relativi alla mortalità premacellazione su base mensile di broilers e tacchini da carne provenienti dalle principali realtà produttive nazionali (31 macelli di broilers e 11 di tacchini). I dati sono stati rilevati nel corso di tre anni (Ago 2001-Lug 2004) ed hanno riguardato complessivamente 943 milioni di broilers e 90 milioni di tacchini che rappresentano circa l’80% della produzione nazionale di broilers e più del 90% della produzione di tacchini. Unitamente alla statistica descrittiva, l’insieme dei dati è stato sottoposto ad ANOVA ad un criterio di classificazione, al fine di valutare l’effetto della stagione (inverno, primavera, estate, autunno) e della capacità produttiva dei macelli (relativamente ai soli broilers) sull’incidenza di DOA. RISULTATI – In tabella 1 vengono riportati i valori medi, l’errore standard e l’intervallo di variazione dei DOA risultanti dall’elaborazione di tutti i dati ottenuti nel corso dei tre anni considerati. Per quanto concerne il pollo da carne, è stata rilevata un’incidenza media di DOA pari allo 0,35% con un intervallo di variazione tra i differenti macelli compreso tra un valore minimo dello 0,08% e massimo dello 0,82%. Per quanto riguarda il tacchino, è stata rilevata un’incidenza media di DOA pari allo 0,38% con un intervallo di variazione compreso tra un

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valore minimo dello 0,09% e massimo dello 0,64%. Precedenti indagini condotte nel Regno Unito riportano un'incidenza di DOA variabile dallo 0,2 allo 0,5% in funzione di fattori quali la stagione e le condizioni di trasporto (3). Tabella 1: Incidenza dei DOA in broilers e tacchini da carne.

Broiler Tacchino

DOA (%) 0,35 0,38

errore standard della media (esm) 0,05 0,09

intervallo di variazione (min-max) 0,08 - 0,82 0,09 - 0,64 La stagione ha significativamente influenzato la mortalità sia nel pollo che nel tacchino da carne (Fig. 1). In particolare, per quanto riguarda il broiler, è stata osservata una maggiore incidenza di DOA nel periodo estivo (0,49%) rispetto a quanto osservato in inverno (0,34%), primavera (0,31%) ed autunno (0,26%). Inoltre, la mortalità osservata in autunno è risultata significativamente più bassa. Anche per quanto concerne il tacchino, il più elevato valore di DOA è stato osservato in estate (0,54%) rispetto a quanto rilevato in inverno, primavera ed autunno, (0,33, 0,30, e 0,29 %, rispettivamente). Questo risultato è attribuibile alle difficoltà del sistema di termoregolazione delle specie avicole di mantenere un'omeostasi termica accettabile in condizioni di elevate temperature e umidità ambientale. Nel caso del pollo i macelli considerati sono risultati possedere una capacità produttiva notevolmente variabile a differenza di quanto rilevato nel tacchino. Classificando i macelli di polli in funzione della loro capacità produttiva, è emerso che l’incidenza di DOA è minore negli impianti più piccoli (<1 milione polli/anno) rispetto a quelli intermedi (1-10 milioni) e grandi (>10 milioni): 0,21 vs 0,42 e 0,37% rispettivamente, P<0,01. Figura 1: Incidenza (media±esm) stagionale dei DOA in broilers e tacchini da carne.

a, b, c: P<0,05 (broiler). x, y, z: P<0,05 (tacchino)

CONCLUSIONI – L'indagine rappresenta un importante punto di riferimento per la definizione dell’incidenza media e stagionale di DOA nel pollo e nel tacchino da carne. Tali risultati potrebbero trovare utile applicazione nella definizione di criteri di valutazione delle condizioni di benessere animale nella filiera avicola. Si ringrazia la Società Italiana di Patologia Aviare che ha stimolato e sostenuto la realizzazione di questa indagine. BIBLIOGRAFIA – 1) Mitchell, M.A. et al (1998). Poult. Sci. 77: 1803-1814. 2) Nijdam, E. et al (2004) Poult. Sci. 83: 1610-1615. 3) Warriss, P.D. et al (1999) in Poultry Meat Science (R. I. Richardson and G. C. Mead, Eds.). CABI Publishing, Oxon, UK. 217-230. 4) Petracci, M. et al (2005) Proc. of XVIIth Symposium on the Quality of Poultry Meat. 5) Kettlewell, P.J. et al (2000). J. agric. Engng Res. 75: 315-326.

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PRESENZA DELL’OPERONE marRAB IN STIPITI DI SALMONELLA SPP. ISOLATI DA CARNI SUINE E AVICOLE

PRESENCE OF marRAB OPERON IN SALMONELLA SPP. STRAINS ISOLATED FROM PORK AND POULTRY MEAT

Brindani F., Bacci C., Paris A.,.Salsi A., Bonardi S. Dipartimento di Salute Animale, Sezione di Ispezione degli Alimenti di Origine Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Parma Parole chiave: Salmonella spp., antibiotico-resistenza, PCR, operone marRAB Key words: Salmonella spp., drug-resistance, PCR, marRAB operon SUMMARY - Salmonella spp. strains from pork (no. 76) and poultry meat (no. 45) were isolated from meatstuffs collected in Emilia region, northern Italy. Strains serotyping identified 18 different serovars. Genotypic characterization, by PCR, detected the presence of marRAB operon, responsible for antimicrobial-resistance towards tetracyclines and cloramphenicol, in 38.0% of the strains. Particularly, 39.5% of the isolates coming from pork and 35.5% of those coming from poultry meat showed this genotypic feature. S. Enteritidis (15/17), S. Typhimurium (13/25) and S. Bredeney (7/13) isolates most frequently carried the investigated genic sequence. INTRODUZIONE – Il fenomeno della multiresistenza è in aumento a livello mondiale e si riscontra, soprattutto, nei generi batterici Mycobacterium, Staphylococcus, Enterococcus e Salmonella (1). Nei paesi industrializzati è ormai accertato che Salmonella spp. acquisisce prevalentemente le resistenze negli animali d’allevamento. L’impiego improprio di antibiotici in zootecnia ha, infatti, contribuito ad aumentare il numero di patogeni resistenti, favorendo inoltre la selezione di quelli multiresistenti. Il caso più eclatante è rappresentato dal fagotipo S. Typhimurium DT104, il cui spettro di antibiotico-resistenza comprende principalmente ampicillina, cloramfenicolo, streptomicina, sulfamidi e tetracicline (ACSSuT) e si estende, talora, anche a trimetoprim e fluorochinoloni (ciprofloxacina), resistotipo potenziato (ACSSuTTmCp) (3, 4). In Italia si stanno isolando con progressiva frequenza, dall’uomo, anche ceppi di Salmonella spp. non fagotipizzabili, che presentano pattern di resistenza ASSuT. Per quanto riguarda S. Enteritidis, nel nostro Paese il sistema di sorveglianza Enter-Net ha registrato una costante diminuzione del fagotipo multiresistente PT4, il cui isolamento dall’uomo è passato dal 70% negli anni ’80, a poco più del 30% negli ultimi anni. In ambito nazionale (dati ISS–2003) è interessante rilevare che il fagotipo DT104 (resistotipo ACSSuT), a diffusione ubiquitaria, presenta resistenza al cloramfenicolo, nonostante questo antibiotico sia stato bandito, dalla Food and Drud Administration, già dal 1985 (2). In considerazione di quanto sopra riportato, con il presente lavoro ci si propone di fornire un contributo all’individuazione di ceppi di Salmonella spp. che presentano l’operone cromosomico marRAB, responsabile dell’antibiotico-resistenza nei confronti di tetracicline e cloramfenicolo. MATERIALI e METODI – Sono stati sottoposti ad indagine 96 campioni carnei di origine suina e 90 di origine avicola, reperiti presso supermercati delle province di Parma e Reggio Emilia. L’isolamento di Salmonella spp. è stato condotto seguendo le indicazioni riportate nella norma ISO 6579:1993 (6). Gli stipiti, identificati con il sistema API 20E (BioMérieux), sono stati successivamente sierotipizzati. L’individuazione della sequenza genica dell’operone marRAB è stata effettuata mediante Polymerase Chain Reaction. A tal fine, dalle colonie inoculate in Tryptone Soya Broth (TSB, Oxoid) e incubate a 37°C per 24 ore, è stato estratto il DNA batterico, mediante l’impiego della resina Cheleex al 6% (InstaGeneTM BIORAD). L’amplificazone genica è stata eseguita su un volume finale di 25 l contenente PCR Buffer (10X, Applied Biosystem), DNTPs (10 mM, Eppendorf), coppie di primer marRAB for/marRAB rev (10 M, Sigma Genosys), AmpliTaq (5 U/l, Applied Biosystem) e MgCl2 (25 mM, Applied Biosystem). Dopo una prima denaturazione a 94°C per 5 min sono stati effettuati 30 cicli (90°C per 1 min, 60°C per 1 min, 72°C per 2 min), seguiti da

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un’estensione finale a 72°C per 7 min (4, 5). Gli amplificati sono stati risolti in gel di agarosio (Eppendorf) allo 0,7% in una soluzione di Tris-EDTA Acetate. RISULTATI – Sono stati isolati 76 stipiti di Salmonella spp. da carne suina e 45 da quella avicola. L’indagine sierologica ha portato all’individuazione di 18 sierotipi (Tabella n. 1). La presenza dell’operone marRAB, diffuso anche in altre Enterobacteriaceae, si è evidenziata in un elevato numero dei ceppi di Salmonella spp. isolati (38,0%). In particolare, è risultato positivo il 35,5% dei ceppi provenienti da matrice avicola e il 39,5% di quelli da matrice suina. L’amplicone di 2,3 Kb, identificante la sequenza genica ricercata (Figura n. 1), si è evidenziato prevalentemente nei sierotipi S. Enteritidis (88,2%), S. Typhimurium (52,0%) e S. Bredeney (53,8%). Nei sierovar S. Derby, S. Virchow e S. London non è stata rilevata la presenza del genotipo di resistenza. CONCLUSIONI – I risultati della presente indagine confermano quanto evidenziato da altre ricerche condotte in ambito nazionale (2); i sierotipi che più comunemente si sono rilevati portatori di antibiotico-resistenza (S. Enteritidis e S. Typhimurium) sono quelli isolati più frequentemente dagli animali nonché, più spesso, responsabili di infezioni umane. Questo dato, presumibilmente, potrebbe giustificare la relazione esistente tra l’induzione dell’operone marRAB e l’uso improprio di antibiotici, che incrementa la pressione selettiva. Il fenomeno è aggravato ulteriormente dalla possibilità di trasmettere i geni codificanti per antibiotico-resistenza, sia verticalmente (coniugazione), sia orizzontalmente (trasformazione). BIBLIOGRAFIA 1) Cox J. (2000). Salmonella. Encyclopedia of Food Microbiology, Batt C. A., Patel P. D., Academic Press, 1928-1935. 2) Graziani C. et al. (2005). ITISAN Congressi, Atti VI Workshop Nazionale Enter-Net Italia, Roma, 25-26 Novembre 3) http://www.iss.it/publ/cong/2003/03C5.pdf. 4) Kunonga N.I. et al. (2000). FEMS Microbiol. Lett., 187 (2), 155-160. 5) Martin R. et al. (1996). J. Bacteriol., 177,4176-4178. 6) Norma ISO:6579, 1993 Tabella n. 1 Sierotipi isolati dalle diverse matrici carnee.

Matrice suina Matrice avicola S. Typhimurium (24), S. Derby (16), S. Bredeney (12), S. London (9), S. Senftenberg (2), S. Anatum (5), S. Agona (2), S. Livingstone (2), S. Bovis-morbificans (1), S. Coeln (1), S. India (1), S. Infantis (1)

S. Enteritidis (17), S. Infantis (7), S. Virchow (7), S. Blockley (6), S. Muenchen (3), S. Typhimurium (1), S. Bredeney (1), S. Agona (1), S. Haifa (1), S. Heidelberg (1)

Figura n. 1. Tracciato elettroforetico relativo all’amplicone di 2,3 Kb che identifica l’operone cromosomico marRAB

M CAMPIONI N

2,3 Kb

Legenda M = Marker

N = negativo

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PRESENZA DI ESCHERICHIA COLI O157:H7 IN ALLEVAMENTI BOVINI LOCALI ED IN CAPI IMPORTATI IN SICILIA. ESCHERICHIA COLI O157:H7 PRESENT IN LOCAL FARMS AND IN IMPORTED CATTLE IN SICILY Di Noto A.M.1, Cardamone C.1, Oliveri G.1, Cascone G.1, Migliazzo A.1, Calabrò A.1, Stancanelli A.1, Sciortino S. 1,Giammanco G.2 , Pignato S.2. 1Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A.Mirri”; 2Dipartimento “G.F. Ingrassia” Igiene e Sanità Pubblica, Università di Catania Parole chiave: bovini, E. coli O157:H7. Key words: cattle, E. coli O157:H7. SUMMARY- The authors report the results of the presence and diffusion of E. coli O157:H7 in local farms and imported cattle. In our previous survey, between 1997 and 1999, the frequence respectively was 6,5% and 5,2% in intestinal carriage of cattle imported from France and Spain. The present survey has been that one to verify, five years later, if and how mach this pathogen is present in local cattle and the frequency in imported cattle.The frequence of positivity has turned out of 3,8% for the local cattle and of 8,6% for the cattle imported from France. Today the presence of this pathogen is real problem in Sicilian farms cattle because of the calves introduced in Sicily from France. The spread of this emergent pathogen could check from more punctual controls to level of the farms according to Regulations 2160/2003 that prescribing the monitoring and the control just to level of primary production. INTRODUZIONE- Tra i numerosissimi serovar di Escherichia coli solo un ristretto numero è patogeno per gli animali e per l’uomo, causando in genere, manifestazioni diarroiche più o meno gravi. Alcuni serovar, in particolare, esprimono la loro patogenicità con la produzione di enterotossine che nei saggi di laboratorio inducono la degenerazione delle colture in vitro di cellule VERO e, pertanto, sono chiamate verocitotossine, mentre i ceppi produttori sono denominati verocytotoxin-producing Escherichia coli (VTEC). Tra i serovar VTEC si distingue il serovar O157:H7 per la gravità delle manifestazioni cliniche da esso causate e per la sua particolare capacità diffusiva che lo fa considerare un patogeno emergente nei paesi sviluppati (1). Esso è primariamente patogeno per gli animali e da questi può essere trasmesso all’uomo, sicchè le infezioni che causa rientrano tra le zoonosi. Il veicolo di trasmissione è costituito il più spesso da carni bovine contaminate, tritate e non cotte a fondo, come si ha negli hamburger, ed il serbatoio principale è l’intestino di bovini, specialmente giovani (2). Le forme morbose più gravi causate nell’uomo dai ceppi verocitotossici di E. coli O157:H7 sono la colite emorragica e la sindrome emolitico-uremica ma l’infezione può decorrere anche come una comune sindrome diarroica o in forma del tutto inapparente. Precedenti indagini svolte in Sicilia tra il 1997 ed il 1999 (3) avevano rivelato la presenza di questo patogeno nel contenuto intestinale del 6,5% e del 5,2%, rispettivamente, di vitelli importati dalla Francia e dalla Spagna per la macellazione. Lo stesso serovar era stato isolato da un solo vitello su 207 (0,5%) di allevamenti locali: il vitello portatore era stato stabulato assieme a vitelli importati dalla Francia. Sulla base di questi dati era stato denunciato il rischio di introduzione e di diffusione di E. coli O157:H7 negli allevamenti siciliani, indenni fino a quell’epoca. Scopo della presente indagine è stato quello di verificare, a distanza di cinque anni dalla precedente indagine, se e quanto questo patogeno sia presente negli allevamenti bovini locali e qual’è la sua attuale frequenza nei bovini importati dall'estero.

MATERIALI E METODI -Nel periodo Aprile 2002 – Aprile 2004, nelle diverse province della Regione Siciliana, sono stati prelevati, con tamponi rettali, campioni di feci da bovini sani, di entrambi i sessi, di razze diverse, di età compresa fra 8 e 13 mesi, al fine di valutare la presenza e la frequenza di E. coli O157:H7 negli allevamenti bovini locali e nei capi importati. In tutto sono stati prelevati in allevamenti locali o stalle di sosta 581 campioni, di cui 465 da animali locali e 116 da animali provenienti dalla Francia. I campioni sono stati trasportati alla temperatura di circa +4°C e sono stati esaminati entro le 24 ore dal prelievo

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secondo la metodica ISO 16654:2001 Microbiology of food and animal feeding stuffs - Horizontal method for the detection of Escherichia coli O157. Le colonie sospette sviluppatesi sui terreni d’isolamento sono state sottoposte ai consueti saggi biochimici per l’identificazione di specie e, successivamente, sottoposte a test sierologico di agglutinazione al latice anti-E. coli O157:H7 (Wellcolex E. coli O157:H7). Un ulteriore controllo è stato effettuato mediante saggi di agglutinazione con sieri monovalenti anti-O157 ed anti-H7 (Biogenetics, Padova). I ceppi identificati come E. coli O157 sono stati sottoposti al saggio di sensibilità agli antibiotici con il metodo della diffusione in piastra (Brain Hearth Infusion Agar, Oxoid) con le modalità ed i criteri raccomandati dalla ditta produttrice dei dischetti antibiotici (dischi singoli per antibiogramma Oxoid). Sono stati saggiati i seguenti antibiotici: amoxicillina, ampicillina, cloramfenicolo, cefuroxime, cefalotina, gentamicina, tetraciclina.

RISULTATI E CONCLUSIONI-Su 465 campioni di feci prelevati da altrettanti vitelli di allevamenti locali, 18 (3,8%) sono risultati positivi per E. coli O157:H7, contro 10 su 116 (8,6%) campioni prelevati da vitelli importati dalla Francia. Tutti i ceppi sono risultati sensibili agli antibiotici saggiati, con l’eccezione di uno isolato da un vitello di un allevamento della provincia di Messina e di uno isolato a Palermo da un vitello importato dalla Francia: il primo era resistente ad amoxicillina, ampicillina, cloramfenicolo, gentamicina e tetraciclina; il secondo era resistente ad amoxicillina, ampicillina, cloramfenicolo, cefalotina e gentamicina. La frequenza di positività nei vitelli importati non ha differito significativamente da quella (6,5%) rilevata nella precedente indagine (3), confermando la persistente presenza del patogeno negli allevamenti francesi da cui vengono importati in Sicilia i vitelli per la macellazione. D’altronde, la presenza e la diffusione di E. coli O157:H7 negli allevamenti francesi è ben nota (8), così come sono noti episodi epidemici e casi isolati d’infezioni nell’uomo connessi con il consumo di alimenti contaminati d’origine animale (9). Il dato nuovo e più preoccupante della presente indagine è costituito dalla dimostrazione che questo patogeno si è insediato anche in diversi allevamenti della nostra regione, mentre nella precedente indagine svolta nel 1998-99 era stato accertato che tutti gli allevamenti controllati nelle diverse province siciliane erano indenni (3). La possibilità che si introducesse una nuova zoonosi in Sicilia, preannunciata appena cinque anni or sono, si è trasformata, dunque, in una realtà attuale. Quanto alla provenienza ed alla via d’introduzione, vi sono pochi dubbi, stante che vitelli apparentemente sani ma contaminati sono stati importati dalla Francia e continuano ad essere importati in Sicilia. È quanto mai significativa, al riguardo, l’osservazione fatta nel corso della presente indagine in uno degli allevamenti controllati, in provincia di Ragusa, in cui erano stabulati, anche se in stalle separate, sia bovini di razza locale sia bovini di provenienza francese: in entrambe le stalle sono stati trovati capi portatori del serovar patogeno e la sua persistenza nel tempo è stata accertata con prelievi ripetuti nel corso di un anno. Al contrario, sembra ragionevole escludere l’introduzione da regioni del Nord dell’Italia, in cui i serovar verocitotossici di E. coli sono presenti da tempo (4, 5). Infatti, la caratterizzazione molecolare dei ceppi isolati nella presente indagine (6) conferma la diversità dai ceppi circolanti nell’Italia settentrionale già rilevata con precedenti ricerche (7). Come risulta evidente dai dati e dalle considerazioni presentate, l’attuale evenienza epidemiologica ricalca quanto già avvenuto con i serovar di Salmonella importati nel corso degli anni cinquanta e sessanta da altre aree geografiche ed impiantatisi in forma endemica nei nostri allevamenti, con successiva assunzione del ruolo di protagonisti nelle tossinfezioni alimentari. Un freno alla diffusione di questo nuovo patogeno emergente potrebbe venire da più puntuali controlli a livello degli allevamenti secondo il Regolamento 2160/2003 che prescrive il monitoraggio ed il controllo proprio a livello di produzione primaria.

BIBLIOGRAFIA 1)Armstrong GL et al (1996): Epidemiol Rev; 18: 29-51. 2)Chapman PA et al (1993): Epid Infect ; 111:439-47.3)Giammanco GM et al(2001):Ann Ig ;13: 87-92.4)Caprioli A.et al. (1993)Vet Rec;133:323-4.5)Caprioli A. et al(1997)Boll. Ist. Super Sanità;10:1-4. 6)Caracappa S. et al (2005)Atti S.I.S.Vet. 7)Giammanco GM et al.(2002) J Clin Microbiol;40: 4619-24. 8) Vernozy-Rozand C et al (2002) Lett Appl Microbiol ; 35: 7-11. 9)Decludt B. et al (2000) The Societé de Nephrologie Pediatrique. Epidemiol Infect;124: 215-20.

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CARATTERIZZAZIONE GENOTIPICA DI CEPPI DI ESCHERICHIA COLI O157:H7 ISOLATI IN SICILIA NEL PERIODO 2002-2004. GENOTYPIC CHARACTERIZATION OF ESCHERICHIA COLI O157:H7 STRAINS ISOLATED IN SICILY BETWEEN 2002-2004. Caracappa S.1, Dara S.1, Costa A.1, Alio V.1, Russo Alesi E.M.1, Di Noto A.M.1, Pignato S.2,

Giammanco G.2. 1Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A.Mirri”; 2Dipartimento “G.F. Ingrassia” Igiene e Sanità Pubblica, Università di Catania. Parole chiave: VeroToxigen Escherichia coli, geni di virulenza, caratterizzazione genotipica. Key words: VeroToxigen Escherichia coli,virulence genes, genotypic caracterization. SUMMARY- In this study 28 strains of E.coli O157:H7, isolated from faecal materials of local farms and imported cattle, between April 2002 and April 2004, were subjected of molecular analysis for detection and caracterization of stx, eae, hlyA genes. Molecular techniques have been used for the search and the characterization of the genes virulence (ERIC-PCR).A PFGE of DNA strains have been used for genotypic study. The results indicated that hlyA , eae and stx virulence genes are present in all strains of E. coli O157:H7 and that E.coli O157:H7 strains isolated from local cattle farms were associated with stx2c

gene or stx1 gene in accordance with France cattle. Therefore this research indicates that E. coli O157:H7, absent in Sicily until few years ago, has now entered in endemic form. INTRODUZIONE - Diversi serovar di Escherichia coli produttori di verocitotossine, indicati con la sigla VTEC (VeroToxigenic Escherichia coli), sono responsabili di due gravi sindromi nell'uomo, la colite emorragica e la sindrome emolitica uremica, oltre a forme più o meno gravi di enterite acuta (1). Fra di essi, in questi ultimi anni il serovar O157:H7 ha assunto una importanza epidemiologica crescente, tanto da essere considerato un patogeno emergente nei paesi industrializzati, in molti dei quali esso risulta largamente presente negli allevamenti bovini. D’altra parte la sua diffusione da un paese all’altro risulta facilitata dagli scambi commerciali di alimenti e di animali vivi, sicché è facile che ceppi provenienti da un dato paese si impiantino in aree geografiche distanti e diventino responsabili di infezioni negli animali e nell’uomo. Ai fini della ricostruzione delle catene di trasmissione e per risalire alle sorgenti d’infezione, i metodi di tipizzazione molecolare applicati con successo per la caratterizzazione genetica dei microrganismi sono di fondamentale importanza, giacché consentono di confermare o di escludere con certezza la derivazione da uno stesso clone dei ceppi batterici isolati in ambiti ed in circostanze diverse. Con riferimento ad E. coli O157:H7, lo studio delle caratteristiche fenotipiche dei ceppi presenti in un dato territorio è la prima tappa nel corso delle indagini epidemiologiche ma è insufficiente a fornire le informazioni necessarie per risalire alla loro provenienza e seguirne la diffusione negli allevamenti e nella popolazione. A tal fine, rispondono meglio alcune tecniche molecolari che sono state messe a punto per la caratterizzazione genetica dei batteri e dei plasmidi da essi veicolati. Nella presente indagine, ceppi di E. coli O157:H7 isolati da allevamenti bovini della Regione Siciliana nel periodo 2002-2004 e ceppi isolati da bovini importati dalla Francia nello stesso periodo sono stati sottoposti ad analisi molecolare per la caratterizzazione dei geni di virulenza e per la genotipizzazione al fine di verificare l’eventuale derivazione degli uni dagli altri.

MATERIALI E METODI-Nel periodo Aprile 2002 – Aprile 2004 sono stati isolati 28 stipiti di E.coli O157:H7 da 581 campioni costituiti da tamponi rettali prelevati da bovini sani di allevamenti locali o da bovini importati e stabulati in stalle di sosta in attesa della macellazione. In particolare, per quanto riguarda la provenienza, 465 bovini erano di nazionalità Italiana e 116 di nazionalità Francese. L’isolamento è stato effettuato utilizzando il metodo ISO 16654:2001 Microbiology of food and animal feeding stuffs - Horizontal method for the detecion of Escherichia coli O157. Per l’identificazione si è proceduto con i consueti test biochimici e sierologici, mentre la produzione di verocitotossine è stata ricercata con metodo ELISA. Tecniche molecolari sono state utilizzate per la ricerca e la caratterizzazione dei geni di virulenza stx, eae, hlyA e per la subtipizzazione dei geni stx (2-3-4). La

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caratterizzazione genetica dei vari ceppi batterici mediante la tecnica ERIC-PCR è stata effettuata dopo amplificazione con il primer ERIC1 in un apparecchio Gene Amp PCR System 9700 Thermal Cycler (PE Biosystems, Foster City, Calif.) seguita dalla separazione dei prodotti amplificati mediante elettroforesi in gel di agarosio, colorazione con bromuro d’etidio e visualizzazione con transilluminatore UV (5, 6). La genotipizzazione per impronta genetica è stata effettuata sottoponendo il DNA estratto dai singoli ceppi alla digestione con l’enzima di restrizione XbaI e separando i frammenti con la tecnica CHEF-PFGE mediante l’apparecchiatura CHEF-DRIII (Bio-Rad Laboratories, Richmond, Calif.), come precedentemente descritto (7). Le similarità tra i profili dei frammenti di digestione sono state calcolate con l’indice di similarità di Dice utilizzando il modulo Taxotron software Restrictotyper (Taxolab Software, Institut Pasteur, Paris, Francia).

RISULTATI-Tutti i 28 ceppi isolati dai tamponi rettali di bovini sono stati confermati appartenere al sierogruppo O157; inoltre, grazie alla determinazione dell’antigene H è stata definita la formula antigenica completa, che è risultata essere O157:H7; con il metodo ELISA, 23 ceppi su 28 sono stati dimostrati produttori di verocitotossine. Tutti i ceppi sono risultati portatori del gene di virulenza hlyA e del gene di virulenza eae. Il gene stx responsabile della produzione di verocitotossine è stato dimostrato presente in tutti i ceppi che fenotipicamente erano stati trovati produttori delle tossine stesse. La subtipizzazione dei geni stx ha mostrato che 9 ceppi su 23 positivi erano portatori dei determinanti stx1 stx2c e 14 ceppi su 23 positivi erano portatori del solo determinante stx2c. L’analisi molecolare mediante la metodica ERIC-PCR ha dato risultati uniformi rivelando tre bande di migrazione maggiori e due minori nell’intervallo da 200 a 1.300 bp, senza alcuna differenza tra i diversi ceppi. La genotipizzazione mediante digestione enzimatica con l’enzima di restrizione XbaI e separazione con elettroforesi in campo pulsato (PFGE) del DNA degli stessi ceppi ha rivelato un numero di frammenti variabile fra 13 e 22 a seconda dei ceppi, con dimensioni fra 43 e 915 kb. Sulla base dei tracciati elettroforetici ottenuti con la PFGE (numero di frammenti e pesi molecolari degli stessi) è stato possibile definire il genotipo di ciascuno dei ceppi esaminati. L’analisi dei tracciati per la costruzione del dendrogramma mostrante le distanze genetiche secondo l’indice di similarità di Dice ha consentito di individuare tre diversi genotipi tra i ceppi non correlati con i genotipi dei determinanti delle verocitotossine.

CONCLUSIONI- Le tecniche di biologia molecolare utilizzate per la caratterizzazione genetica dei ceppi isolati sia dai vitelli locali sia da quelli importati hanno confermato la loro patogenicità e virulenza. Infatti, essi sono stati dimostrati in possesso dei geni che codificano per i vari fattori di virulenza, compresa la produzione dell’enterotossina. Inoltre, sulla base della subtipizzazione dei geni che codificano per la produzione della tossina è possibile affermare che i ceppi di E. coli O157:H7 che attualmente contaminano alcuni degli allevamenti siciliani sono stati introdotti dalla Francia con i vitelli importati per la macellazione. Infatti, in un precedente studio sulla caratterizzazione molecolare dei ceppi di questo microrganismo circolanti in Francia era stato accertato che essi sono portatori in maggioranza del gene stx2c, al contrario dei ceppi endemici nell’Italia settentrionale che veicolano più frequentemente i geni stx1 e stx2 (7). Orbene, tutti i ceppi isolati in Sicilia da bovini di allevamenti locali nel corso della presente indagine sono risultati portatori del gene stx2c associato o meno al gene stx1, come quelli isolati da bovini importati dalla Francia. In definitiva, i risultati della presente indagine mostrano che è in atto l’introduzione e l’impianto in forma endemica di un patogeno, E. coli O157:H7, assente in Sicilia fino a pochi anni fa (6). Ciò avviene attraverso l’importazione di vitelli dalla Francia e può avere gravi conseguenze per la salute dell’uomo e per la sicurezza degli allevamenti, analoghe a quelle determinate dalla diffusione delle Salmonelle d’importazione che si è avuta negli anni cinquanta e sessanta.

BIBLIOGRAFIA- 1)Armstrong GL et al (1996),Epidemiol Rev.; 18:29-51.2)Bastian SN et al(1998),Res Microbiol; 149: 457-72. 3)Beaudry M. et al (1996) J Clin Microbiol; 34: 144-8. 4)Schmidt H et al (1995),Infect Immun; 63: 1055-61. 5)Versalovic J. et al (1991),Nucleic Acid Res. 19: 6823-31. 6)Giammanco G.M. et al (2001)Ann. IG.; 13: 87-92. 7) Giammanco G.M. et al (2002),J Clin Microbiol..40: 4619-4624. Si ringraziano per la fattiva collaborazione i Sig. Filippo Mangiacavallo e Antonio D’Amico

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CONTROLLO DELLA DIFFUSIONE DI ESCHERICHIA COLI ANTIBIOTICO RESISTENTI IN ALLEVAMENTI DI BOVINI DI RAZZA CHIANINA DIFFUSION OF ESCHERICHIA COLI ANTIBIOTIC RESISTANT IN TRADITIONAL CHIANINA BREED Codega de Oliveira A., Ortenzi R., Bartocci E., Fè L., Vizzani A. Dipartimento di Scienze Biopatologiche e Igiene delle Produzioni Animali e Alimentari - Laboratorio di Ispezione degli Alimenti di Origine Animale - Facoltà di Medicina Veterinaria - Università degli Studi di Perugia Parole chiave: Escherichia coli, antibiotico resistenza, razza Chianina. Key words: Escherichia coli, antibiotic resistance, Chianina breed. SUMMARY – The development of bacterial resistance to antibiotics is one of the best documented cases of biological evolution. The huge consumption of this type of compound has resulted in the spread of antibiotic resistance determinants among bacterial population, thus creating a critical public health problem. The surveillance of antibiotic resistance should target bacterial species such as bacteria causing clinical infection in animals (veterinary pathogens), bacteria isolated from animals but capable of causing human infections (zoonotic bacteria) and bacteria isolated from healthy animals (indicator bacteria). The objective of this study was to evaluate antibiotic resistance patterns in faecal Escherichia coli isolated from beef cattle, Chianina breed, reared in traditional farm. Different patterns of antibiotic resistance have been identified. All strains were resistant to at least 1 antibiotic, whilst 5 strains showed multiresistance to Erythromycin, Tetracycline, Ampicillin, Neomycin, Gentamicin, Kanamicin. INTRODUZIONE – La resistenza agli antibiotici da parte di batteri patogeni rappresenta un importante problema di salute pubblica, tanto in Medicina Umana quanto in Medicina Veterinaria. L’aumento e la diffusione della resistenza batterica agli antimicrobici è un’espressione naturale dell’evoluzione: maggiore è l’utilizzo di una molecola antibiotica, maggiori sono le probabilità che i microrganismi acquisiscano resistenza (6). Le principali strategie per la gestione dell’antibiotico resistenza si basano sulla formulazione di nuove molecole antimicrobiche, sull’utilizzo giudizioso e prudente degli antibiotici e sul controllo della diffusione nell’ambiente, in particolare negli allevamenti, dei microrganismi resistenti agli antimicrobici (4,8). Lo scopo del presente lavoro è stato quello di valutare la presenza di Escherichia coli antibiotico resistenti nelle feci di bovini di razza Chianina provenienti da allevamenti tradizioni toscani. Le caratteristiche degli allevamenti scelti per la ricerca sono: basso numero di capi (mediamente 30 bovini); alimentazione con foraggi e insilati, senza l’impiego di mangimi; assenza di trattamenti antibiotici a scopo profilattico nei vitelli; ciclo chiuso. MATERIALI E METODI – Le analisi microbiologiche sono state effettuate sulle feci, prelevate mediante tamponi rettali provvisti di terreno di trasporto, di 40 bovini di razza Chianina. I campioni, posti immediatamente in contenitori termici a temperatura di 4°C, sono stati trasportati in laboratorio e sottoposti ad analisi microbiologica entro 4 ore dal prelievo. Escherichia coli: i tamponi rettali sono stati seminati su Agar Mc Conkey (Oxoid, Basingstoke, England) ed incubati per 24 ore a 37°C. Le colonie tipiche sono state selezionate, isolate su Agar Sangue (Oxoid) e poste in incubatore per 24 ore a 37°C; sono state quindi sottoposte a colorazione di Gram, catalasi ed ossidasi. Le colonie appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae sono state identificate mediante galleria API Rapid 20E (BioMerieux, Marcy L’Etoile, France). Sensibilità agli antimicrobici: gli stipiti isolati sono stati testati per la sensibilità agli antibiotici secondo il metodo di Kirby-Bauer (5). Sono stati utilizzati i seguenti antibiotici: Enrofloxacina 5µg; Nitrofurantoina 100µg; Neomicina 30µg; Kanamicina 30µg; Eritromicina 15µg; Cloramfenicolo 30µg; Gentamicina 10µg; Ampicillina 10µg; Tetraciclina 30µg; Acido Nalidixico 30µg; Sulfametossazolo+Trimethoprim 25µg.

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RISULTATI - S ono stati isolati 31 stipiti di E. coli. Dieci stipiti di E. coli sono risultati resistenti ad un solo antibiotico, di questi 9 hanno mostrato resistenza alla Eritromicina ed 1 alla Enrofloxacina. In tutti gli altri stipiti è stata evidenziata la presenza di resistenze multiple agli antimicrobici testati come mostrato in tabella n°1. Tabella n°1: resistenze multiple mostrate dagli stipiti di E. coli

N° stipiti di E. coli Antimicrobici

8 Eritromicina, Tetraciclina 6 Eritromicina, Ampicillina 1 Eritromicina, Neomicina 1 Eritromicina, Tetraciclina, Ampicillina 1 Eritromicina, Tetraciclina, Ampicillina, Neomicina, Gentamicina,

Kanamicina 4 Eritromicina, Tetraciclina, Ampicillina, Neomicina, Gentamicina,

Kanamicina, Enrofloxacina CONCLUSIONI – I risultati da noi ottenuti, in accordo con quanto riportato in letteratura (3), mostrano negli stipiti di Escherichia coli la presenza di resistenze multiple agli antimicrobici impiegati nella ricerca. La presenza di stipiti resistenti a 7 antimicrobici (63.6% degli antibiotici utilizzati) rappresenta un campanello d’allarme, soprattutto se si considera la tipologia di allevamento dal quale provengono i campioni. Nell’allevamento tradizionale della Chianina a ciclo chiuso, nel quale gli animali non sono alimentati con mangimi industriali, considerati come una delle maggiori cause della diffusione dei geni di resistenza (1,7), la possibilità che microrganismi portatori di geni di antibiotico resistenza provengano dall’ambiente esterno é ridotta al minimo. La diminuzione della suscettibilità batterica, in particolare di E. coli, alle molecole appartenenti al gruppo delle tetracicline può essere causata anche da fenomeni di resistenza crociata agli antibiotici utilizzati in Medicina Umana e in Medicina Veterinaria (9). I valori riportati in bibliografia riportano, a partire dal 1960, un costante aumento delle resistenze multiple agli antimicrobici di Escherichia coli (3,7), arrivando a registrare livelli di resistenza del 100% (2) La presente ricerca si inserisce in progetto più ampio nel quale è stata valutata la presenza di microrganismi antibiotico resistenti anche in allevamenti di bovini allo stato brado e intensivi. BIBLIOGRAFIA – 1) Aarestrup F M and Wegener H C (1999) Microb. Infect. 1, 639-644. 2) Amara A et al (1995) Vet. Microb. 43, 325-330. 3) Barton M D et al (2003) http//.health.gov.au/internet/wcms/publishing.nsf/Content/cda-pubs-cdi-2003-cdi27suppl-htmcdi27supx.htm 4) Battisti A (2004) Proceedings of the Conference “Veterinary Public Health and Food Safety”, Rome 22-23 October 2004, 25-26. 5) Bauer AW et al (1966) Am. J. Clin. Pathog, 45, 493-496. 6) Cenci Goga B T et al (2001) Atti del XI Convegno AIVI, Alghero 6-8 Settembre 2001, 235-239. 7) Klein G and Bulte M (2002) Food Microbiology 20, 27-33. 8) Levy SB (1998) New E.J. of Med 338, 1376-1378. 9) Tatabei R B and Nasirian A (2003) Iranian J. Pharm. Therap 2, 39-42. Il presente lavoro è stato realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale e con finanziamento MIUR PRIN 2002

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CONFRONTO IN VITRO TRA DUE DIFFERENTI METODI DI PRELI EVO PER LA VALUTAZIONE DELLA CONTAMINAZIONE SUPERFICIALE ATTRAVERSO L’IMPIEGO DI MICRORGANISMI “MARKER” COMPARISON OF TWO MICROBIOLOGICAL SAMPLING TECHNIQUES USING MARKER MICROORGANISMS IN AN IN-VITRO MODEL Cenci Goga B.T., Budelli L.*, Branciari R., Ranucci D., Miraglia D., Ortenzi R. Dipartimento di Scienze Biopatologiche ed Igiene delle Produzioni Animali e Alimentari, Laboratorio di Ispezione degli Alimenti di Origine Animale, Università degli Studi di Perugia (PG); *U.S.L. n. 2 PG, Dipartimento di Prevenzione Servizio Veterinario di Igiene degli Alimenti di Origine Animale Parole chiave: bovino, metodi di prelievo, contaminazione superficiale, microrganismi marker, pelle. Key words: bovine, sampling, surface contamination, marker microorganisms, skin. SUMMARY – The aim of this study was to evaluate the difference in the recovery levels obtained with the excision and the double swab techniques using three marker microrganisms (nalidixic acid resistant Escherichia coli; vancomicin resistant Enterococcus faecalis; meticillin resistant Staphylococcus aureus). An in-vitro model that simulates the bovine carcass surface was used with various microbial concentrations. The difference in the recovery rate between the two techniques was always lower than 1 Log CFU/25 cm2 and, in this first phase, it doesn’t seem to be influenced by the initial microbial concentration spread on the skin or by the microorganism used. Considering these results, the excision method doesn’t seem justified, also because the aim of such surface samplings is to evaluate how the microbial load changes in time and not to find the real surface carcass contamination. INTRODUZIONE – La valutazione della flora microbica superficiale delle carcasse mediante tecniche di prelievo differenti è oggetto di numerosi studi. I dati riportati in letteratura in merito a questa problematica sono discordanti, soprattutto riguardo i due metodi previsti dalla Decisione 2001/471/CE e successive modifiche (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7). Potrebbe quindi risultare interessante valutare se la “precisione” del metodo impiegato non possa essere influenzata dalla tipologia e concentrazione della flora batterica contaminante. Prove in tal senso sono di difficile esecuzione direttamente sulle carcasse in sede di macellazione. Abbiamo quindi voluto valutare la capacità di recupero dell’escissione e del doppio tampone mediante l’uso di tre differenti microrganismi “marker” a diverse concentrazioni, in un sistema in vitro in grado di simulare la superficie della carcassa di bovino. MATERIALE E METODI – In sede di macellazione sono stati prelevati dalla coda di bovini alcuni campioni di pelle. I pezzi, trasportati in laboratorio in contenitori refrigerati, sono stati lavati con acqua per allontanare lo sporco grossolano e conservati a -80°C fino all’esecuzione della prova. Dalla pelle, scongelata a +8°C, sono state ricavate porzioni di 8x12 cm che sono state contaminate con differenti concentrazioni dei seguenti microrganismi “marker”: Escherichia coli (K12 stipite CSH26) resistente all’acido nalidixico; Enterococcus faecalis (NCTC 12201 vanA) resistente alla vancomicina; Staphylococcus aureus (27R mecA) resistente alla meticillina. Da brodocolture pure dei summenzionati microrganismi, preparate in Brain Heart Infusion Broth (BHI, Biolife) incubato a 37°C per 24 ore fino ad una concentrazione di circa 109 UFC/ml, sono state allestite diluizioni scalari in modo tale da ottenere sospensioni batteriche di 104, 105, e 106 UFC/ml, ciascuna delle quali, nel quantitativo di 1 ml, è stata distribuita uniformemente sulla superficie interna delle porzioni di pelle. Dopo 1 ora di permanenza a 7°C è stato eseguito il prelievo mediante tampone bagnato-asciutto ed escissione, rispettivamente su aree adiacenti di 25 cm2 delimitate da mascherina. I tamponi sono stati inseriti in provette contenenti 9 ml di soluzione fisiologica mentre i campioni prelevati per escissione sono stati depositati in buste contenenti 100 ml di soluzione fisiologica e passati in Stomaker. Dopo opportune diluizioni decimali è stata eseguita la semina su: Violet Red Bile Glucose Agar (VRBG, Oxoid) addizionato con 200 µg/ml di acido

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nalidixico per E. coli K12; Vancomicin Resistance Enterococcus (VRE, Oxoid) per Enterococcus faecalis; Oxacillin Resistance Screening Agar Base (ORSAB, Oxoid) per Staphylococcus aureus. Tutti i terreni sono stati incubati a 37°C per 48 ore. Tale procedura è stata ripetuta 6 volte per un totale di 108 analisi. Per la valutazione della statistica descrittiva è stato utilizzato il software GraphPad InStat versione 3.0b per Mac OS (8). RISULTATI – I risultati relativi ai due metodi di prelievo sono riportati nelle Tabelle 1, 2 e 3. Tabella 1. Recupero dei microrganismi “marker” (Log UFC/25 cm2) dopo inoculo della pelle con sospensione batterica alla concentrazione di 104 UFC/ml E. coli E. faecalis S. aureus Tipo di prelievo Media es Media es Media es Escissione 3,95 0,25 3,86 0,17 3,99 0,24 Tampone 3,24 0,20 3,23 0,15 3,11 0,20 Tabella 2. Recupero dei microrganismi “marker” (Log UFC/25 cm2) dopo inoculo della pelle con sospensione batterica alla concentrazione di 105 UFC/ml E. coli E. faecalis S. aureus Tipo di prelievo Media es Media es Media es Escissione 4,71 0,24 4,72 0,14 4,69 0,10 Tampone 4,26 0,24 4,23 0,14 3,94 0,20 Tabella 3. Recupero dei microrganismi “marker” (Log UFC/25 cm2) dopo inoculo della pelle con sospensione batterica alla concentrazione di 106 UFC/ml E. coli E. faecalis S. aureus Tipo di prelievo Media es Media es Media es Escissione 5,38 0,24 5,63 0,06 5,62 0,09 Tampone 4,97 0,25 5,08 0,07 5,15 0,09 La differenza di recupero tra le due tecniche di prelievo è risultata sempre inferiore ad 1 Log UFC/25 cm2, con un minimo di 0,41 Log UFC/25 cm2 per E. coli (sospensione batterica iniziale di 106 UFC/ml) ed un massimo di 0,88 Log UFC/25 cm2 per S. aureus (sospensione batterica iniziale di 104 UFC/ml). Tale differenza risulta peraltro sovrapponibile a quanto riportato da altri autori (3,4) in prove eseguite direttamente sulla superficie delle carcasse a fine macellazione. CONCLUSIONI – In questa fase preliminare la differenza di recupero tra i due metodi di prelievo non sembrerebbe essere influenzata dalla concentrazione microbica iniziale distribuita sulla pelle e dal microrganismo impiegato. Ulteriori analisi su un maggior numero di campioni saranno necessarie al fine di confermare questo dato. Alla luce dei risultati il prelievo con escissione non appare quindi giustificato, soprattutto in considerazione del fatto che lo scopo di prelievi di superficie è quello di individuare un andamento nel tempo del livello igienico della macellazione e non già la reale contaminazione superficiale della carcassa. BIBLIOGRAFIA – 1) Fliss I. et al. (1991) J Food Science, 56, 249-252. 2) Palombo S.A. et al. (1999) Food Microbiol., 16, 459-464. 3) Gill C.O. and Jones T. (2000) J Food Protect. 63, 2, 167-173. 4) Miraglia D. et al. (2004) Atti XIV AIVI, 295-299, 5) Reid C.A. et al. (2002). Proc. 48th ICoMST, 2, 954-955. 6) Bolton D.J. (2003) Food Control, 14, 207-209. 7) Dorsa W.J. et al. (1997) Food Microbiol. 14, 63-69. 8) GraphPad Software, InStat Guide (1998), GarphPad Software Inc., San Diego, California, USA. Ricerca eseguita con il contributo del Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale.

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POSSIBILITÀ DI UTILIZZO DELL’ICP-AES NELL’ISPEZIONE D EGLI ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE POSSIBLE USES OF ICP-AES IN THE INSPECTION OF FOOD OF ANIMAL ORIGIN Ghidini S., Zanardi E., Conter M., Ianieri A., Campanini G. Dipartimento di Produzioni Animali, Biotecnologie Veterinarie, Qualità e Sicurezza degli Alimenti, Università degli Studi di Parma Parole chiave: ICP-AES, ispezione alimenti, metalli pesanti, tolleranze Key words: heavy metals, food inspection, ICP-AES, tolerances

SUMMARY - Atomic Absorption Spectrophotometry (AAS) is usually used in food inspection to determine heavy metals concentrations. The technique is very sensitive, but it has some drawback: mainly the short dynamic range and the fact that it is a monoelemental technique making it time consuming and expensive. These limitations could be solved by its substitution with Inductively Coupled Plasma Atomic Emission Spectrophotometry (ICP-AES) which has not been very considered till now because of the insensitivity of old instruments. The limits of detection of a modern ICP-AES have been calculated for 21 elements of nutritional and toxicological interest. The limits of detection of Cd, Hg and Pb achievable by ICP-AES have been compared to the legal tolerances set by the European Union. The sensitivity of ICP-AES proved to be enough to fulfil the legal requirements for Cd, Hg and Pb. Only the detection of lead in milk could be difficult due to the very low tolerance for the metal in this matrix, though an ultrasonic nebulizer could help to achieve this analytical purpose. Overall ICP-AES proved to be a useful tool in food inspection as it can give information both on the toxicological and the nutritional value of a food item in a single five minutes analytical run.

INTRODUZIONE – La spettrofotometria di assorbimento atomico (AAS) è la tecnica tradizionalmente più utilizzata nell’ispezione degli alimenti di origine animale per il controllo della contaminazione da metalli pesanti. Tale tecnica, particolarmente con l’utilizzo della atomizzazione elettrotermica in fornetto di grafite o con la generazione di idruri volatili, ha una ottima sensibilità, tuttavia non è scevra da alcuni difetti. La tecnica è, infatti, essenzialmente monoelementare. Ciò implica un notevole dispendio di tempo per determinare le concentrazioni di diversi elementi in un singolo campione. L’intervallo di linearità alquanto ridotto è un altro difetto della tecnica AAS. La spettrofotometria di emissione atomica con eccitazione a plasma ad induzione (ICP-AES) può consentire di superare tali svantaggi. La tecnica è, infatti, intrinsecamente multielementare ed ha un campo di linearità che si estende su diversi ordini di grandezza. Tale tecnica consente, pertanto, in una singola analisi di determinare le concentrazioni di diversi elementi di interesse nutrizionale e tossicologico. In tal modo, il campo degli elementi può essere esteso a molti elementi di rilevanza tossicologica solitamente trascurati, perché non regolati da specifiche normative. La tecnica ICP-AES è stata poco utilizzata fino ad ora nell’ispezione degli alimenti di origine animale essenzialmente per problemi di sensibilità. Le ultime strumentazioni, tuttavia, hanno prestazioni analitiche promettenti a tal fine. La tecnica ICP-AES è compresa tra le tecniche ammesse come metodo di conferma per gli elementi chimici dalla decisione comunitaria 657/2002.

MATERIALI E METODI – I limiti di rilevabilità di un ICP-AES Jobin Yvon Ultima 2 per alcuni elementi sono stati calcolati, seguendo le indicazioni IUPAC, nel seguente modo: per ogni elemento si è scelta la riga analitica più sensibile. Sono state fatte 10 letture di un bianco. Sono state fatte 10 letture di una soluzione alla concentrazione (Cst) pari a 20 µg/l per ogni elemento (tranne Na, P, S e K per cui si sono utilizzate soluzioni 50 µg/l). La media delle 10 letture del bianco (Xb), dello standard (Xst) e le loro deviazioni standard (DSb e DSst rispettivamente) sono state calcolate. L’intensità media netta delle letture dello standard (Xnst) è stata calcolata come Xnst=Xst-Xb. Il limite di rilevabilità (LoD) è stato calcolato con la seguente formula:

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LoD = 3 DSb(Cst/ Xnst) La preparazione del campione per l’analisi in ICP prevede solitamente la mineralizzazione di 1g di campione mediante acidi forti portato poi al volume finale di 50ml. Considerando una tale preparazione i valori sono stati moltiplicati per 50 e ricalcolati per una ipotetica matrice alimentare media contenente il 75% di umidità. RISULTATI – I limiti di rilevabilità calcolati sono riportati in tabella 1. Elemento Lunghezza

d'onda (nm) LoD (µµµµg/l)

LoD (mg/kg) tal quale

Elemento Lunghezza d'onda (nm)

LoD (µµµµg/l)

LoD (mg/kg) tal quale

Ag 328,068 0,53 0,007 Mg 279,553 0,61 0,008 Al 167,020 0,23 0,003 Mn 257,610 0,11 0,001 As 189,042 1,46 0,018 Na 588,995 15,2 0,190 Ca 393,366 0,47 0,006 Ni 231,604 0,36 0,005 Cd 228,802 0,13 0,002 P 178,229 12,4 0,155 Co 228,616 0,43 0,005 Pb 220,353 1,81 0,023 Cr 267,716 0,37 0,005 S 180,676 24,3 0,304 Cu 324,754 0,23 0,003 Se 196,026 0,87 0,011 Fe 259,940 0,31 0,004 V 292,402 0,73 0,009 Hg 194,163 0,37 0,005 Zn 213,856 0,34 0,004 K 766,490 4,55 0,057 Tab. 1: Limiti di rilevabilità calcolati in soluzione (espressi in µg/l) e riportati sul tal quale (espressi in mg/kg). Gli elementi per cui sono previsti limiti di legge (Reg. CE 466/2001 parzialmente modificato dal Reg. CE 221/2002) sono riportati in tabella 2. Il confronto fra i limiti di rilevabilità ed i limiti di legge mostra che lo strumento testato ha una sensibilità che permette di rilevare concentrazioni inferiori a tali limiti per tutte le matrici considerate. Anche considerando la direttiva CE 2001/22, che prevede che il LoD debba essere dieci volte minore del limite di legge, le prestazioni dello strumento considerato appaiono sufficienti per tutte le matrici alimentari per cui sono previsti limiti, con l’eccezione del Pb nel latte. Elemento latte carne frattaglie pesce crostacei molluschi Cd 0,05 (0,2) 0,5 (1,0) 0,05 (0,1) 0,5 1,0 Hg 0,5 (1,0) Pb 0,02 0,1 0,5 0,2 (0,4) 0,5 1,0

Tab. 2: Limiti di legge (espressi in mg/kg sul tal quale) in alcune matrici alimentari di interesse ispettivo. CONCLUSIONI – Un moderno ICP-AES ha una sensibilità sufficiente per determinare i metalli tossici a valori al di sotto di quelli di legge in molte matrici. Per conseguire una sensibilità sufficiente a determinare il Pb nel latte a concentrazioni inferiori ai limiti di legge potrebbe essere sviluppata una specifica metodica che preveda l’iniezione diretta di latte in ICP, oppure si potrebbe utilizzare un nebulizzatore ad ultrasuoni che consente incrementi di sensibilità di un ordine di grandezza. L’impiego dell’ICP-AES nell’ispezione degli alimenti di origine animale permetterebbe di avere informazioni su elementi di interesse nutrizionale e di completare la gamma degli elementi tossici per cui sono previsti limiti di legge, con altri elementi di interesse tossicologico. BIBLIOGRAFIA – Regolamento CE 466/2001 della Commissione del 08/03/2001 Gazzetta Ufficiale CE n. L 77/1 del 16/3/2001 – Regolamento 221/2002 del 06/02/2002 della commissione del 06/02/2002 Gazzetta Ufficiale CE n. L 37/4 del 07/02/2002 – Decisione CE 657/2002 della commissione del 12/08/2002 Gazzetta Ufficiale CE n. L221/8 del 17/08/2002 – Direttiva 2001/22/CE della commissione del 08/03/2001 2001 Gazzetta Ufficiale CE n. L 77/14 del 16/3/2001

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INDAGINE SULLA QUALITÀ IGIENICA DEL “PANI CA’ MEUSA” (PANE CON LA MILZA) COMMERCIALIZZATO NELLA CITTÀ DI PALERMO

ASSESSMENT OF HYGIENIC QUALITY OF “PANI CA’ MEUSA” TR ADED IN PALERMO Ziino G., Randazzo V.*, Panebianco A. – Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria, Sez. Ispezione degli Alimenti di Origine Animale - Università degli Studi, Messina. *Dottore in Medicina Veterinaria

Parole chiave: Pani ca’ meusa, pane con la milza, prodotto tipico, igiene degli alimenti. Key words: Pani ca’ meusa, sandwich with bovine spleen and lung, typical product, food hygiene.

SUMMARY – “Pani ca’ meusa” is a typical sandwich with bovine spleen and lung traded in Palermo. A total of 53 samples were analysed during the production with regard to storage and cooking temperature and the evolution of bacterial flora. The product storage and frying temperatures were very variable ranging, respectively, from 0°C to 17°C and from 41°C to 103°C. The FMT of boiled product ranged from Log 2 cfu/g to Log 5 cfu/g, with the exception of three samples (Log 6 – 7 cfu/g) whereas the Enterococchi and Enterobacteria were below to Log 4 cfu/g. The bacterial load of fried samples was very load; only in seven samples the FMT was nearly Log 2 cfu/g and in three samples Enterococchi ranged from Log 0 cfu/g and Log 3,92 cfu/g. Sulfite-reducing clostridia were found in one fried sample (Log 1 cfu/g). The bacterial load of boiled spleen and lung appeared related to the storage temperature.

INTRODUZIONE - Il “pani ca’ meusa” o panino con la milza, è un tipico piatto della tradizione popolare palermitana le cui origini sembrerebbero derivare dalla fusione di tradizioni ebraiche e locali molto antiche. Alle prime, infatti, intorno al 1400, si fa risalire la vendita di interiora sbollentate, condite semplicemente con un po’ di limone, mentre tipicamente palermitano era il c.d. “cacciuttaro” o venditore di pagnottelle farcite con ricotta e formaggio caciocavallo. Dall’unione di questi piatti, normalmente commercializzati per le strade o nelle piazze, origina il “pani ca’ meusa” costituito da una focaccia o “vastella” ripiena di milza, polmone e trachea di bovino soffritti nello strutto o “saimi” (1, 2). Oggi, gli organi dopo bollitura in acqua e sale o cottura a vapore vengono lasciati “asciugare” all’aria per pochi minuti, posti in abbattitore termico e poi conservati a temperatura di refrigerazione per non più di 72 ore. All’inizio della giornata lavorativa, essi vengono tagliati con un coltello in fettine sottili e fritti, immediatamente prima di essere commercializzati, per 3-5’ a fuoco piuttosto lento. L’interesse nei confronti del “pani ca’ meusa” nasce dal fatto che in quest’ultimo decennio, da più parti, grandi attenzioni sono state riservate agli alimenti “tipici”, più o meno legati a particolari distretti geografici e fondati su tecnologie tradizionali da cui dipenderebbero caratteristiche organolettiche peculiari. L’attuale impulso al mantenimento ed, eventualmente, all’aumento della loro produzione nasce, oltre che dalla crescente richiesta da parte di alcune associazioni di consumatori e da sentite esigenze storico-culturali, anche da una serie di innovazioni normative, comunitarie e nazionali, quali i Regolamenti CEE 2081/92 e 2082/92 e successive modificazioni e il D.Lgs. 173/98 integrato dal più recente D.M 350/1999. Recentissimo e per certi versi epocale, in quest’ottica s’inserisce il riconoscimento per la pizza napoletana di Specialità Tradizionale Garantita. Tuttavia, la valorizzazione di un qualunque prodotto alimentare, anche alla luce delle potenziali deroghe previste dal Regolamento CE 852/2004, non può prescindere da una caratterizzazione igienica che tenga conto dei pericoli potenziali e del rischio con cui essi possono manifestarsi. In quest’ottica abbiamo ritenuto interessante indagare sulla qualità igienica del “pani ca’ meusa”, prodotto molto noto, commercializzato nella città di Palermo.

MATERIALI E METODI - La seguente indagine è stata condotta in n. 4 Rosticcerie (A, B, C, D) della città di Palermo. In diverse giornate lavorative, venivano effettuati 5 campionamenti nella Rosticceria A, 4 nella B, 3 nella Rosticceria C e, infine, 2 campionamenti nella Rosticceria D, per un totale di 14 cicli di lavorazione. Ad ogni campionamento si procedeva a registrare su apposite schede i seguenti dati: giorni di stoccaggio della materia prima dopo bollitura; temperatura a cuore della materia prima; temperatura a cuore dopo il taglio in piccole porzioni; temperatura del prodotto sezionato in attesa di cottura; temperatura del fluido di cottura; temperatura a cuore del prodotto subito

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dopo frittura. Per ciascun ciclo di lavorazione veniva prelevato un campione di polmone e uno di milza dopo bollitura, un pool dei due organi dopo il taglio, un campione di prodotto subito dopo la frittura, per un totale di n. 53 campioni, in quanto non pervenivano 3 polmoni bolliti di cui 2 dalla Rosticceria A e 1 dalla B. Tutti i campioni, mantenuti a temperatura di refrigerazione, venivano trasportati il più rapidamente possibile in laboratorio dove si procedeva alle seguenti determinazioni: Flora Mesofila Totale (FMT) (Plate Count Agar-Oxoid, 30° C x 48 ore); Enterobatteri Totali (ET) (Violet Red Bile agar – Oxoid, 37° C x 24 ore); Streptococchi Fecali (SF) (Slanetz and Bartley Medium - Oxoid, 35°C x 24 ore); Anaerobi solfito-riduttori (An. s.r.) (SPS agar - Oxoid, 37°C x 24 ore in condizioni di anaerobiosi). Dopo incubazione, si prelevavano le colonie sospette cresciute su SPS agar che, dopo ottenimento di singole patine, venivano identificate con le comuni tecniche e con sistema Api 20 A (bioMérieux).

RISULTATI - In tutte e quattro le Rosticcerie monitorate, la materia prima, milza, polmone e trachea, dopo la bollitura in acqua e sale veniva mantenuta, prima del consumo, a temperatura di refrigerazione per un tempo variabile da 1 a 3 giorni. Quest’ultima oscillava tra 6,8°C e 13,2°C nella Rosticceria A, tra 6°C e 10.1°C nella rosticceria B; mentre era pressoché costantemente a 0°C nella C ed a 4°C nella D. A cuore del prodotto intero si raggiungevano valori compresi tra 9°C e 17.3°C nella rosticceria A, tra 9.5°C e 9.9°C nella B, risultava sempre al di sotto di 1°C nella C e di 6.5°C nella D. Tali valori tendevano generalmente a diminuire dopo il taglio in piccoli pezzi. Prima della cottura il prodotto permaneva in tutti i casi solo per periodi molto brevi (15-20’) al di fuori dei frigoriferi, presentando, dunque, modesti aumenti di temperatura. Estremamente variabili erano, invece, le temperature dei fluidi di cottura risultando sempre più basse nella Rosticceria C (41°C, 73.8°C, 78°C) rispetto alle altre, in cui i valori erano compresi tra 83,8°C e 103°C nella Rosticceria A, tra 91,3°C e 99,3°C nella Rosticceria B e di 84,9°C e 88,2°C nella D. Temperature queste che nel prodotto cotto non si abbassavano generalmente oltre i 3°C. Le indagini batteriologiche rivelavano FMT compresa tra 102 e 105 u.f.c./g per il polmone, la milza e il pool dei due organi dopo il taglio; tranne che in tre campioni di pool della Rosticceria A in cui erano comprese tra 106 e 107 u.f.c./g. Gli ET e gli SF si aggiravano, prima della cottura finale, tra 0 e 104 u.f.c./g. Gli An. s. r. erano presenti solo in due pool, provenienti uno dalla Rosticceria A e uno dalla B, con cariche rispettivamente di 3.3 x 102 u.f.c./g e 3.4 x 102 u.f.c./g. Dopo la cottura, si osservava un azzeramento di tutti i parametri batteriologici ad esclusione della FMT che in 7 campioni si manteneva sulle 102 u.f.c./g e degli SF con presenze, in tre campioni, comprese tra 5 u.f.c./g e 84 x 102 u.f.c./g. Gli An. s. r. dopo cottura venivano reisolati nel solo campione prelevato nella Rosticceria A (10 u.f.c./g). Si trattava di Clostridium sporogenes.

CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONI – Interessante sembra essere il riscontro di Streptococchi fecali che testimonierebbe una pregressa contaminazione d’origine fecale della materia prima di grado elevato, considerate le cariche evidenziate nel prodotto dopo bollitura e, come visto in tre casi, la loro persistenza dopo la cottura finale, anche se in numero certamente non pericoloso per il consumatore. Ciò porta a ritenere gli Streptococchi fecali un ottimo indicatore utilizzabile nel contesto della tutela igienica del “pani ca’ meusa”. I pregiudizi igienici che, alla luce dei risultati, possono essere prospettati per la materia prima testimonierebbero la scarsa attenzione igienica che viene riservata ad organi e frattaglie, rispetto alle masse muscolari, durante la produzione a partire dagli stessi stabilimenti di macellazione. Ancora, mentre sembra esistere una certa relazione tra i riscontri batteriologici e le temperature di stoccaggio della materia prima, essa non si osserverebbe nel caso del prodotto ridotto in fette e in attesa di cottura, probabilmente per il breve periodo di abuso termico. Noti i pericoli potenziali e sintetizzato il processo produttivo nelle fasi ricordate in premessa, ci sembra di poter identificare i Punti Critici di Controllo (CCP) nello stato della materia prima, nella prima refrigerazione della stessa e nella cottura finale. Mentre, nella riduzione in fette degli organi e nel breve stoccaggio prima della frittura appare sufficiente il rispetto di Buone Pratiche di Lavorazione, peraltro, chiaramente previste dalla normativa vigente del settore. BIBLIOGRAFIA – 1) Billitteri Daniele – Cose Nostre: Homo Panormitanus, cronaca di un’estinzione impossibile. Sigma Edizioni, Palermo 2003. 2) www.palermoweb.com/panormus/gastronomia/panicameusa.htm - U panu cà meusa.

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DIVERSE FIBRE NELL’ANALISI TRAMITE MICROESTRAZIONE IN FASE SOLIDA (SPME) DEI COMPOSTI VOLATILI IN PRODOTTI DI SALUMERIA DIFFERENT FIBERS FOR THE ANALYSIS BY SOLID-PHASE MICROEXTRACTION (SPME) OF VOLATILE COMPOUNDS IN PROCESSED MEAT PRODUCTS Chiesa L.M., Soncin S., Biondi P.A.,Cattaneo P., Cantoni C. (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Veterinarie per la Sicurezza Alimentare-Laboratorio di Ispezione degli Alimenti di Origine Animale-Università degli Studi di Milano) Parole chiave: sostanze volatili, SPME, alimenti di origine animale Key words : volatile compounds, SPME and food of animal origin SUMMARY-The application of solid-phase microextraction (SPME) combined with gas- chromatography/mass spectometry (GC-MS) for analysis of volatile compounds has been studied. In order to determine the aroma fraction of processed meat products different fibers (PDMS, CAR/PDMS amd DVB/CAR/PDMS) and different extraction times have been tested to evaluate their recovery. INTRODUZIONE - L’aroma è un parametro importante per la scelta di un prodotto da parte del consumatore. Circa il 49% dei consumatori, infatti, utilizza l’aroma, in associazione al colore, nella valutazione della qualità di un prodotto Risulta quindi importante poter identificare, caratterizzare e valutare la frazione aromatica di un prodotto. Tra le metodiche descritte in letteratura per la determinazione delle sostanze volatili, la gas- cromatografia, accoppiata alla spettrometria di massa (GC-MS) è una delle tecniche più applicate e studiate. L’analisi cromatografia deve essere preceduta dall’estrazione della frazione volatile d’interesse .Tale estrazione della componente aromatica è la parte più delicata del processo perché deve rappresentare le reali componenti che formano un particolare “flavor” del prodotto .Tra i metodi utilizzati si possono citare l’SDE ( simultaneous distillation and extraction ), l’estrazione liquido/liquido, lo spazio di testa, il metodo “purge and trap” e la micro-estrazione in fase solida (SPME). Alcune di queste tecniche, come la SDE oppure l’estrazione liquido/liquido, comportano procedimenti che potrebbero non fornire un quadro rappresentativo dell’aroma. Ad esempio con la SDE il riscaldamento potrebbe formare nuove molecole oppure degradare alcuni composti come gli esteri. Altre tecniche come lo spazio di testa o il “purge and trap”, presentano costi elevati. Nel caso del “purge and trap”, inoltre, non sempre con l’intrappolamento vengono estratte tutte le molecole; con il Tenax TA, infatti, diverse molecole con un basso punto d’ebollizione (ad esempio l’etanolo, 2-propanolo, il 2-metil propanale) non vengono trattenute (1). Da diversi anni è stata introdotta una nuova tecnica d'estrazione delle sostanze volatili, la SPME, una tecnica che non e’ molto costosa e permette di raggiungere elevate sensibilità. Inoltre, la possibilità di disporre di diverse fasi adsorbenti permette di avere una ampia scelta per selezionare diverse classi di sostanze volatili . Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di confrontare diverse fasi adsorbenti nell’analisi in GC-MS dei composti volatili che si sviluppano da diversi prodotti di salumeria . MATERIALI E METODI - Sono stati analizzati sia prodotti crudi (salame) che cotti (mortadella e prosciutto cotto) reperiti sul mercato nazionale; per ogni tipo di prodotto sono stati analizzati tre campioni diversi. 5 grammi di campione sono stati tagliati finemente, posti in fiala da 20 ml per spazio di testa e lasciati ad equilibrare per 60’a temperatura ambiente. Lo spazio di testa è stato estratto con tecnica SPME utilizzando le seguenti fibre: Polidimetilsilossano (PDMS, 100 µm), Carboxen /Polidimetilsilossano (CAR/PDMS, 75 µm)e Divinilbenzene/Carboxen/Polimetilsilossano (DVB/CAR/PDMS, 50/30 µm) (Supelco-Italia). Tempo di esposizione della fibra con il campione 90’. La fibra è stata introdotta nell’iniettore del gas-cromatografo a 220°C e l’iniezione effettuata con la modalità

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splitless per 5’. Sono stati usati un gas-cromatografo Finnigan TraceGC ultra, una colonna Rtx-WAX (30m x 0.25mm, 0.25µm) ed un flusso del gas di trasporto (elio) di 1 ml/min. Il programma di temperatura seguito è stato il seguente: isoterma a 35°C per 8 min, da 35°C a 60°C con un gradiente di 4°C min-1 ; da 60°C a 160°C con un gradiente di 6°C min-1; da 160°C a 200°C con gradiente di 20°C min-1. E’ stato usato uno spettrometro di massa Finnigan TRACE DSQ con una temperatura della sorgente ad impatto elettronico di 250°C, della “transfer line” di 230°C ed analizzando l’eluato in corrente ionica totale (TIC) nell’intervallo 35-350 amu. Prima dell’utilizzo di ciascuna fibra SPME è stata fatta una prova per verificare l’assenza di contaminazioni da parte della fibra adsorbente. Dopo ogni analisi la fibra veniva mantenuta per 15’ alla temperatura limite di utilizzo. L’identificazione dei composti è stata effettuata mediante confronto degli spettri di massa ottenuti con quelli presenti nella libreria NIST o con gli standard puri . RISULTATI E DISCUSSIONE

fibra PDMS fibra CAR-PDMS fibra DVB-CAR-PDMS Si riportano come esempio i cromatogrammi relativi alla frazione contenente i composti più volatili presenti nel prosciutto cotto utilizzando le tre fibre considerate. Numerose sono state le sostanze determinate nei campioni analizzati: solfuri, aldeidi, alcoli e chetoni, esteri, idrocarburi alifatici ed aromatici , terpeni. Riguardo alle condizioni operative sono stati valutati diversi tempi d’esposizione della fibra (30’, 60’, 90’). Quest’ultimo è risultato il migliore in termini di recupero, perché ha permesso di evidenziare anche picchi corrispondenti a molecole con un basso peso molecolare presenti in bassa concentrazione. Per quanto concerne la scelta della fibra la prima utilizzata e’ stata quella basata sul polidimetilsilossano (PDMS), fortemente idrofobica e già utilizzata per l’analisi dell’aroma nei prosciutti crudi (2).Nei nostri campioni, considerando sia il numero dei composti evidenziati che il loro recupero, si è rivelata poco adatta. Viceversa la Carboxen/ Polidimetilsilossano riesce ad adsorbire un’ampia gamma di sostanze volatili e quindi fornire un quadro più rappresentativo dei composti che formano l’aroma di un prodotto. La Divinilbenzene/Carboxen/Polimetilsilossano permette ancora l’adsorbimento di gran parte delle sostanze evidenziate con la CAR/PDMS, ma con una minore sensibilità. Quindi la CAR/PDMS è la fibra che permette meglio di rilevare le sostanze volatili nel prosciutto cotto. Gli stessi risultati si sono ottenuti per la mortadella e il salame. Questi studi sulle molecole che formano l’aroma di un prodotto, sono di particolare interesse sia per il consumatore, che per il produttore. Questo perché permetterebbero di monitorare, tramite il “flavor”, l’andamento della produzione, al fine di sviluppare aromi gradevoli per il consumatore; inoltre risulta importante determinare le molecole che intervengono negativamente sull’aroma, in modo da risalire alle cause che portano alla presenza di aromi non gradevoli. Per questo motivo sarebbe opportuno, prima di iniziare un’analisi, provare diversi tipi di fibre anche in base al tipo di prodotto. BIBLIOGRAFIA - 1) Stahnke LH (1994) Meat Science, 38, 39-53. 2) Ramon Cava JL et al (1998) J.Agric.Food Chem. 46, 4688-4694. Ricerca finanziata dal Progetto PRIN 2004 - Caratterizzazione della flora microbica e della frazione volatile di prodotti di salumeria tipici - (Prof. Cantoni)

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CARATTERIZZAZIONE DELLE FIBRE MUSCOLARI E VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI FIBRE GIGANTI IN DUE IBRIDI DI POLLO DA CARNE CHARACTERIZATION OF MUSCLE FIBRE TYPE AND EVALUATION OF THE PRESENCE OF GIANT FIBRES IN TWO MEAT CHICKEN HYBRIDS Miraglia D., Mammoli R., Branciari R., Ranucci D., Cenci Goga B. Dipartimento di Scienze Biopatologiche e Igiene delle Produzioni Animali e Alimentari, Laboratorio di Ispezione degli Alimenti di Origine Animale,Università degli Studi di Perugia. Parole chiave: pollo, fibre giganti, muscolo, istochimica. Key words: chicken, giant fibres, muscle, hystochemistry. SUMMARY – Samples of three different muscles were collected from 20 chickens, 10 Kabir hybrids and 10 Ross hybrids that differ for growth speed. The aim of this study was to determine the muscle fibre characteristics of the animals and the percentage of giant fibres found in the muscles. Muscle fibre distribution, percentage of giant fibres and muscle fibre diameter were different in the two hybrids. In particular, Ross broiler chickens had a higher percentage of giant fibres than Kabir chickens, especially in the breast muscle (3.17% versus 0.56%). INTRODUZIONE – Le fibre giganti sono fibre muscolari che all’osservazione al microscopio ottico hanno caratteristiche che si discostano dalla norma. Generalmente queste fibre sono tondeggianti, più grandi di quelle circostanti ed assumono più intensamente l’eosina nella colorazione con ematossilina-eosina. Studi sulle fibre giganti sono stati condotti per la prima volta da Cassens et al.(1) e da allora diversi autori se ne sono occupati prendendo in considerazione prevalentemente il suino, nel quale sembrava esserci una correlazione con la condizione PSE (2,3). Di recente l’argomento è stato affrontato anche nel tacchino e nel pollo (4,5). Scopo di questo lavoro è valutare le caratteristiche delle fibre muscolari e la presenza di fibre giganti in due ibridi di pollo da carne, Ross e Kabir, caratterizzati da una diversa velocità di accrescimento. MATERIALI E METODI – Sono stati presi in considerazione 20 polli di cui 10 Kabir, caratterizzati da velocità di accrescimento intermedia e allevati con metodo biologico, e 10 Ross a rapido accrescimento e allevati con metodo convenzionale. I Kabir sono stati macellati a 87 giorni, mentre i Ross a 54. A circa 3 ore dalla macellazione dopo che gli animali sono stati trasportati in laboratorio a temperatura di refrigerazione, sono stati prelevati dalla metà sinistra di ogni carcassa campioni di 3 muscoli: m. Pectoralis major; m. Ileotibialis lateralis; m. Semimembranosus. I tasselli sono stati preparati e conservati come descritto da Mammoli et al. (5). Da ciascun campione tramite criostato, sono state ottenute sezioni seriali di 8 m trasversali all’asse delle fibre e sottoposte, oltre che a colorazione con ematossilina-eosina, alle seguenti procedure istoenzimatiche: valutazione dell’attività della ATP-asi e valutazione dell’attività della SDH, singolarmente e in contemporanea, secondo le metodiche descritte rispettivamente da Padykula e Herman (6) e Guth e Samaha (7), Nachlas et al.(8) e Solomon e Dunn (9). I preparati sono stati osservati al microscopio ottico e le immagini acquisite tramite una telecamera posta sul microscopio. Con l’ausilio di un sistema di analisi di immagine sono stati valutati la percentuale di fibre giganti e la distribuzione ed il diametro delle fibre muscolari. L’elaborazione statistica dei dati è stata eseguita mediante software GraphPad InStat versione 3.0b per MacOS (10). RISULTATI E DISCUSSIONE – I risultati della distribuzione delle fibre muscolari, della percentuale di fibre giganti e del diametro delle fibre, rilevati nei diversi muscoli, sono riportati rispettivamente nelle Tabelle 1, 2 e 3. Le fibre che hanno metabolismo almeno in parte ossidativo (Red e Red) sono più numerose nei muscoli ileotibiale e semimembranoso dei polli Kabir rispetto ai Ross. La percentuale di fibre giganti nel petto è maggiore nei Ross (p<0,001), mentre non vi sono differenze nei muscoli semimembranoso e ileotibiale.

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Inoltre le fibre giganti, in entrambi gli ibridi considerati, sono risultate più grandi delle altre fibre. Il diametro di quest’ultime, è risultato sempre superiore (p<0,05) nei polli Ross rispetto a quanto rilevato nei Kabir. Tabella 1. Distribuzione percentuale delle fibre (media±ds) secondo la classificazione di Ashmore e Doerr (11)

Ibrido petto ileotibiale semimembranoso W W R W R R

Kabir 100±0,00 52,28±4,57 47,73±4,57 33,24±6,65 58,10±7,64 8,67±2,25

Ross 100±0,00 68,42±9,57 31,58±9,57 62,21±11,53 34,14±10,34 3,65±3,96 W: White, fibre glicolitiche; R: Red, fibre glicolitiche-ossidative; R: Red, fibre

ossidative

Tabella 2. Percentuale di fibre giganti Ibrido petto ileotibiale semimembranoso

media es media es media es Kabir 0,56 0,14 1,70 0,23 0,70 0,05 Ross 3,17 0,56 3,18 0,56 1,57 0,27

Tabella 3. Diametro in m delle fibre giganti e delle fibre normali Ibrido petto ileotibiale semimembranoso

f. giganti f. normali f. giganti f. normali f. giganti f. normali Media es Media es Media es Media es Media es Media es

Kabir 66,8 1,4 54,2 1,7 82,0 4,0 55,8 1,5 74,2 3,9 51,1 2,2 Ross 83,8 3,1 69,4 2,7 84,6 4,2 59,9 1,2 83,5 3,5 62,1 1,7

CONCLUSIONI – Il riscontro di un maggior numero di fibre con metabolismo ossidativo o glicolitico-ossidativo è, secondo alcuni autori, in stretta correlazione con le caratteristiche proprie dell’ibrido (12). In rapporto alla percentuale di fibre giganti, è interessante notare che nel petto, muscolo che la selezione genetica mira principalmente ad aumentare in quanto di maggior valore commerciale nel pollo, è stata evidenziata una differenza significativa (p<0,001) tra i due ibridi. Questo dato in accordo con quanto riscontrato in altre specie animali confrontando razze diversamente selezionate per la produzione di carne. Nel suino, per esempio, è stata evidenziata la presenza di un maggior numero di fibre giganti negli animali alotano sensibili (nn) (2), mentre nel tacchino sono state più numerose negli ibridi a rapido accrescimento(4). Il maggior diametro delle fibre, riscontrato nei polli Ross, nonostante la minore età di soggetti, è un dato che ben si accorda con la maggiore velocità di accrescimento di questo ibrido. Sebbene siano state formulate diverse ipotesi sull’origine delle fibre giganti (2,4,13), il riscontro delle stesse è stato più volte messo in relazione con le caratteristiche genetiche degli animali (2,4,14). La presenza di un maggior numero di fibre giganti nei muscoli degli animali selezionati per una rapida produzione di carne potrebbe quindi essere considerata come uno degli effetti collaterali della selezione genetica.

BIBLIOGRAFIA - 1) Cassens R.G. et al.(1969), Acta Neuropath.,12, 300-304. 2) Fazarinc G. et al. (2002), Anat. Histol. Embryol.,31, 367-371. 3) Severini M. et al.(1997), Atti SISVet, LI, 711-712. 4) Remignon H. et al.(2000), Meat Science,56, 337-343. 5) Mammoli R. et al.(2004) Proc. 50th ICoMST, Helsinki 2004. 6) Padykula H.A. et al.(1955) J.Histochem. Cytochem.,29, 89-90. 7) Guth et al.(1970), Exp. Neurol.,28, 365-367. 8) Nachlas et al.(1957), J.Histochem. Cytochem.,5, 565-572. 9)Solomon et al.(1988), J. Animal Science,6, 255-264 10) GraphPad Software, InStat Guide(1998). 11) Ashmore C.R. et al.(1971), Exp. Neurol.,31, 408-418. 12) Iwamoto et al.(1997), Brit. Poultry Science,38, 258-262. 13)Hendel et al.(1986), J.Comp.Path.,96, 447-457. 14) Fiedler et al.(1999), Meat Science, 53, 9-15.

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CONVERSIONE AL BIOLOGICO DI UNA PRODUZIONE ARTIGIANALE DI SALAME TOSCANO: EFFETTI INDOTTI SUL PROFILO FISICO-CHIMICO

CONVERTING TO ORGANIC AN ARTISANAL PRODUCTION OF TUSCAN SAUSAGE: EFFECTS ON PHYSICAL-CHEMICAL PROFILE

D’Ascenzi C., Nuvoloni R., Pedonese F., Rindi S. Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi ed Igiene degli Alimenti – Università di Pisa Parole chiave: Salame Toscano, produzione biologica, sicurezza alimentare Key words: Tuscan Salami, organic production, food safety. SUMMARY – Authors show results of an experimental test carried out in a small processing plant trying to convert the production of Tuscan sausage in an organic production. They analyse the effects induced by the exclusion of nitrates and different granulometry on the physical-chemical profile. Both the sodium nitrate presence (160 ppm), and the different types of grinding (meat grinder diameter 4,5 mm against 6,0 mm.) show to influence all the physical-chemical parameters (pH, aw, moisture, loss of weight, NaCl, Water Phase Salt. The research give us the opportunity to underline that the conversion to the organic production is sometime complex, such as the case of salami, and it needs specific competences in the fields of hygiene end technology. INTRODUZIONE - Nella produzione biologica dei salami, l’esclusione dei nitrati e nitriti comporta importanti conseguenze sul piano della gestione della sicurezza e della qualità, esponendo il prodotto sia a modificazioni cromatiche, sia a incontrollate proliferazioni di agenti microbici alteranti e patogeni (4, 6). Con la finalità di valutare l’impatto esercitato dalle specifiche biologiche sulla gestione del processo di produzione, abbiamo svolto una prova sperimentale presso un'azienda che produce salumi tradizionali realizzati con le carni di suini Cinta Senese allevati con metodo biologico. Oggetto del presente lavoro è l’analisi delle modificazioni indotte da alcune varianti tecnologiche, suggerite dall’adeguamento al metodo biologico, sui parametri fisico-chimici funzionali alla stabilità conservativa e alla sicurezza microbiologica dei salami. MATERIALI E METODI - La prova si è svolta nel laboratorio di salumeria dell'azienda sopra descritta, utilizzando carni provenienti da suini abbattuti nel macello aziendale annesso. Da una stessa partita di carni fresche, composte per 86% da tagli magri e per il 19% da lardo in cubetti, sono stati realizzati 3 lotti (A, B, C) di 11 salami ciascuno. I tre lotti presentavano la stessa composizione per quanto attiene a contenuto in sale (3%), polvere di latte magro (1%), pepe intero (0,4%), pepe macinato (0,2%), acido ascorbico (0,1%), mentre differivano per la granulometria (mm 4,5 per i lotti A e B; mm 6 per il lotto C) e per l’aggiunta di nitrato (0 mg/kg per i lotti B e C; 160 mg/kg per il lotto A). L'insacco è avvenuto in involucri sintetici con diametro di circa 10 cm e lunghezza tale da contenere circa 1 kg d’impasto. I salami così realizzati sono stati contrassegnati con etichetta sulla quale era indicato il lotto di appartenenza e il peso al momento dell'insacco. Il processo di produzione ha previsto: una fase di riposo di 12 h a 4° C; una fase di acidificazione di 24 h, con temperatura di 20° C; una fase di asciugatura di 120 h, con temperatura decrescente fino a 14° C; una fase di stagionatura di 35 giorni a 12-14° C. L'umidità ambientale, dopo la fase di acidificazione, nella quale è stata lasciata crescere senza limite, veniva modulata ai fini della progressiva ed omogenea disidratazione dei salami. Il campionamento ha riguardato un salame per lotto, rispettivamente a 0,5, 2, 5, 6, 7, 14, 21, 28, 35, 55, 69 giorni di produzione. Su ciascun campione veniva preliminarmente effettuata la pesatura con bilancia tecnica. Successivamente, ciascun salame veniva diviso in due parti: una veniva destinata alla misurazione dei parametri fisico-chimici, pH, activity water (aw), determinati con gli strumenti e le metodologie descritte in un precedente lavoro (2); l’altra veniva sottoposta a tritatura fine ed omogeneizzazione per le analisi chimiche relative alla determinazione del cloruro di sodio (AOAC 935.47, 1975) e dell’umidità (ISO 1442, 1973). Attraverso i dati relativi al tenore in cloruro di sodio e in umidità è stato calcolato il parametro Water Phase Salt espresso come [%NaCl / (%UR + %NaCl) *100]. I valori delle medie sono stati sottoposti a calcolo del “t di Student” per dati appaiati, con relativa significatività (5).

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RISULTATI – Tutti i salami analizzati hanno denotato caratteristiche organolettiche buone. I dati raccolti sui parametri fisico-chimici sono riportati nelle tabelle 1 e 2.

Tabella 1: pH ed aw pH esterno pH interno aw esterno aw interno

campione gg A B C A B C A B C A B C

1 0,5 5,59 5,62 5,61 5,59 5,62 5,61 0,971 0,963 0,973 0,971 0,963 0,973 2 2 5,58 5,59 5,61 5,58 5,59 5,61 0,972 0,971 0,975 0,972 0,971 0,975 3 5 5,59 5,59 5,61 5,59 5,59 5,61 0,956 0,954 0,970 0,956 0,954 0,970 4 6 5,61 5,60 5,58 5,61 5,60 5,58 0,954 0,956 0,960 0,954 0,956 0,960 5 7 5,62 5,68 5,58 5,62 5,68 5,58 0,963 0,964 0,967 0,963 0,964 0,967 6 14 6,05 6,49 6,69 5,56 5,59 5,52 0,953 0,960 0,960 0,954 0,961 0,964 7 21 6,73 6,14 6,53 5,44 5,35 5,49 0,946 0,953 0,958 0,952 0,957 0,963 8 28 6,65 5,77 6,20 5,22 5,23 5,31 0,948 0,940 0,957 0,951 0,940 0,960 9 35 7,48 7,52 6,16 5,25 5,12 5,24 0,947 0,949 0,939 0,949 0,949 0,952 10 55 7,73 7,09 6,56 5,72 5,79 5,65 0,927 0,928 0,893 0,930 0,934 0,927 11 69 7,75 7,50 6,90 5,68 5,70 5,66 0,925 0,925 0,909 0,922 0,930 0,922

pH ed aw presentano due ambiti di variabilità: il primo determinato dalla sede esterna o interna del salame, che nella aw raggiunge valori statisticamente significativi (P < 0,05); l’altro riguarda invece i tre lotti, risultati significativamente differenti fra loro.

Tabella 2: U.R., NaCl, W.P.S., calo peso % U.R. % NaCl WPS % calo peso

campione gg A B C A B C A B C A B C

1 0,5 60,34 60,64 61,17 3,40 3,48 3,22 5,33 5,43 5,00 0,00 0,00 0,00 2 2 58,95 59,55 59,81 3,49 3,50 3,29 5,59 5,56 5,22 0,11 0,40 0,20 3 5 51,45 52,89 56,57 3,21 3,39 3,32 5,87 6,02 5,55 9,13 9,14 8,82 4 6 51,62 50,14 53,63 3,59 3,48 3,36 6,51 6,49 5,90 14,05 12,33 15,46 5 7 51,56 47,59 52,39 3,70 3,34 3,31 6,69 6,56 5,95 9,35 8,90 10,80 6 14 47,20 50,30 48,90 3,43 3,57 3,30 6,77 6,63 6,32 17,30 14,33 17,96 7 21 46,65 47,52 51,12 3,91 4,04 4,11 7,73 7,83 7,44 20,32 20,13 20,63 8 28 45,12 44,80 45,42 3,68 4,23 3,97 7,55 8,63 8,04 20,20 23,69 22,71 9 35 43,94 40,55 40,44 3,98 3,95 4,09 8,30 8,89 9,19 22,83 22,84 23,81 10 55 42,01 41,93 39,07 4,91 4,17 4,42 10,47 9,06 10,17 29,32 28,04 31,10 11 69 39,27 38,60 35,82 4,90 4,22 4,18 11,09 9,86 10,45 32,40 31,50 34,80

I valori di U.R., NaCl, WPS e calo peso, correlabili, insieme a quelli della aw, all’andamento della disidratazione dell’impasto, sono risultati tutti significativamente differenti nei tre lotti di salami (P < 0,05). Sul piano generale possiamo rilevare come gli andamenti dei parametri analizzati non sono progressivo, come ci saremmo attesi, presentando momenti altalenanti. CONCLUSIONI – I risultati ci inducono a due ordini di considerazioni: uno riguarda le differenze rilevate fra i lotti, che dimostrano come il nitrato e la granulometria dell’impasto giochino un ruolo importante nei processi di acidificazione e disidratazione; l’altro prescinde invece dalle ipotesi della sperimentazione, concernendo alcune incoerenze tecnologiche osservate, attribuibili alla carenza dei fattori di controllo adottati dall’azienda, la cui emersione è stata favorita dai cambiamenti effettuati sulle modalità produttive normalmente applicate. Il presente lavoro offre quindi lo spunto per rimarcare come la gestione di processi produttivi relativamente complessi, quali quelli degli insaccati crudi stagionati (1, 2, 3, 4, 6), alla cui categoria appartiene il salame toscano, richieda il perseguimento delle garanzie igieniche e qualitative attraverso specifiche competenze tecniche. BIBLIOGRAFIA - 1) Chikthimmah N. et al., J.Food Prot. (2001), 64, 6, 873-876. 2) D'Ascenzi C. et al. (2002) Atti SISVet, LVI, 361-362. 3) Henchelmann H. e Kasprowiak R. (1992), Feischwirtsch International, 1, 4-18. 4) Incze K. (1992) Fleischwirtsch 72, 1, 58-62. 5) Lison L. (1971) Ed. Ambrosiana, Milano. 6) Zambonelli C. et al. (1994) Edagricole, Bologna.

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CARATTERI ORGANOLETTICI E DI COMPOSIZIONE DELLE CARNI DI BOVINI DI RAZZE RUSTICHE DELLA SARDEGNA HYGIENIC TRAITS, COLOUR AND MEAT COMPOSITION OF BOVINE CARCASSES (SARDINIAN RUSTIC BREEDS) Meloni D., Mazzette R., De Santis E.P.L., Mureddu A., Corgiolu G., Cosseddu A.M. DBA- sez. Ispezione degli Alimenti, Sassari. Parole chiave: qualità della carne, specie bovina, pH, colore Key words: meat quality, beef meat , pH, colour SUMMARY - Carcass weight, pH decrease, chilling time, composition and colour (CIELab) were evaluated in 49 bovine carcasses of Sardinian rustic breeds. The results showed: a correct pH decrease (pHu 5,52 ± 0,11) and cooling (T24 3,5 ± 1,9), a good level of meat redness value (a*) in the M. longissimus. dorsi at 24 h and a good composition. The L* value was affected by the pH value (p<.01). INTRODUZIONE- La percezione della qualità della carne fresca da parte dei consumatori è in rapidissimo mutamento, in relazione all’evoluzione dei sistemi di commercializzazione (6). E’ stato dimostrato che è in costante aumento l’attenzione nei confronti dell’origine e del sistema di allevamento degli animali, che vengono positivamente correlati con la qualità della carne (5,11). La carne fresca ha tuttavia un coefficiente di differenziazione molto basso, pertanto la percezione della qualità da parte del consumatore al momento dell’acquisto si basa esclusivamente sui caratteri sensoriali del prodotto (7). Il colore è tra i parametri dotati di maggiore potere discriminante, in quanto viene associato alla freschezza della carne ed alla sua tenerezza (2). E’ dimostrato che la stabilità del colore della carne è strettamente correlata al valore del pH, oltre che alla tensione dell’O2 e al tempo di blooming (1). Il presente lavoro è finalizzato alla caratterizzazione delle carni bovine provenienti da razze-popolazioni rustiche allevate in un area marginale del centro Sardegna. MATERIALI E METODI- L’indagine ha riguardato n.49 soggetti (n.36 maschi e n.16 femmine) di razza Bruno-Sarda o derivanti da incroci con razze da carne (Charollaise). Su tutti i soggetti sono stati rilevati i seguenti parametri: 1) età; 2) peso delle carcasse ad 1h dalla macellazione; 3) pH e temperatura delle carcasse ad 1h (pH1, T1) ed a 24h (pH24, T24) dalla macellazione (pH-metro registratore WTW) a livello dei MM. psoas major e longissimus dorsi (tra 5a e 7a vertebra) per evidenziare le differenze di pH in relazione alla profondità del punto di misurazione; in n.4 carcasse è stata effettuata la registrazione della dinamica di abbattimento dei due parametri nel M. psoas major; 4) misurazione strumentale del colore, mediante Spettrofotometro Minolta C 508i, con sistema di calcolo CIELab (CIE, 2000), illuminante standard D65, osservatore standard 10°, specularità inclusa. Le rilevazioni (4) sono state eseguite: sul M. rectus abdominis, previa asportazione della fascia aponeurotica, di tutte le carcasse ad 1h dalla macellazione (r.a.1) e su n. 11 campioni di M. longissimus dorsi (l.d.24) a 24h dalla macellazione; 5) composizione centesimale: umidità, grasso e proteine (sistema N.I.T., Foodscan Foss) e ceneri (3), su n.11 campioni di M. longissimus dorsi. I risultati sono stati sottoposti ad analisi della varianza mediante procedura GLM (Statgraphics Plus 5.1). RISULTATI- In tabella 1 vengono riportati i risultati (media ± d.s.) relativi alle caratteristiche delle n.49 carcasse esaminate. 1) età: l’età media dei soggetti era di mesi 13,4 ± 3,5 (min 9; max 25). 2) peso delle carcasse: il valore medio era pari a kg 184,28 ± 44,16 (min 103; max 295 kg). 3) pH e temperatura: il valore medio del pH1 nel M. psoas major era di 5,85 ± 0,33 (min 5,48; max 6,97), mentre nel M. longissimus dorsi era pari a 6,77 ± 0,21 (min 6,51; max 7,12). Il valore di pH24 nel M. longissimus dorsi era pari a 5,36 ± 1,0 (min 5,45; max 6,18). L’andamento medio della curva di acidificazione (M. psoas major) ha evidenziato una flessione più marcata nelle prime 3 ore successive alla macellazione (pH1= 5,85 pH3= 5,55), mentre successivamente la diminuzione del pH proseguiva più lentamente fino al valore finale di 5,52 ± 0,11 (min 5,40; max 5,65). In generale la dinamica di acidificazione ed i valori

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finali di pH24 rientrano nella norma, tuttavia i valori medi iniziali risultano più bassi rispetto a quanto normalmente riscontrato in questa specie (9). In nessun caso si sono registrati difetti di acidificazione. Il valore medio di T1 era di +28,5 ± 7,1°C e la curva di raffreddamento ha evidenziato una riduzione progressiva. Il valore medio di T24 è risultato pari a 3,5 ± 1,9, ma è stata registrata una notevole variabilità (min 1,4; max 8,4). Il raffreddamento fino a +7°C avveniva mediamente in ∼14h, mentre per raggiungere temperature < +4°C occorrevano ∼22h. Le carcasse venivano raffreddate in celle di conservazione (+2,00 ± 2 °C).

Tabella 1 – PH, parametri colorimetrici e di composizione di carcasse bovine (media ± d.s).

M. longissimus dorsi -24h

(n.11) M. psoas major

(n.49) M. rectus abdominis - 1h

(n.49) pH 1 6,77 ± 0,21 5,85 ± 0,33 -

pH24 5,36 ± 1,07 5.52 ± 0,11 - L* 41,23 ± 3,67 - 46,37 ± 4,40 a* 10,55 ± 3,34 - 6,05 ± 1,69 b* 8,38 ± 2,34 - -0,78 ± 3,83 Umidità 74,5 ± 1,8 - -

Proteine (%t.q) 22,1 ± 0,8 - -

Grassi (%t.q.) 2,9 ± 1,2 - -

Ceneri (%t.q.) 1,3 ± 0,4 - -

4) misurazione strumentale del colore: i risultati riportati in tabella 1 sono relativi alla misurazione dei parametri colorimetrici rispettivamente nel M. rectus abdominis (n.49) e nel M. longissimus dorsi (n.11). I dati relativi alla superficie della carcassa sono risultati meno variabili, tuttavia vanno segnalate alcune difficoltà insorte nell’asportazione della fascia aponeurotica, contrariamente a quanto riscontrato nella specie ovina (9). I risultati relativi alle determinazioni sul M. longissimus dorsi, seppure riferiti ad un numero più esiguo di campioni, hanno evidenziato una maggiore variabilità. I valori medi registrati (L*= 41,23 ± 3,67; a*= 10,55 ± 3,34; b*= 8,38 ± 2,34) possono essere rapportati alla percezione visiva di un colore compreso tra il rosa ed il rosso pallido (2) e sono confrontabili con quanto riscontrato da altri AA. in altre razze-popolazioni rustiche dell’area Mediterranea (1,10). 5) composizione centesimale: i dati relativi alla composizione centesimale degli 11 campioni di M. longissimus dorsi hanno evidenziato i seguenti valori medi (espressi come % in peso/t..q.): umidità 74,5 ± 1,8, proteine totali 22,1 ± 0,8, grassi 2,9 ± 1,2, ceneri 1,3 ± 0,4. Tali valori risultano confrontabili con quelli di razze-popolazioni rustiche ottenute mediante incrocio con razze da carne (12). CONCLUSIONI- I risultati forniscono un preliminare contributo alla caratterizzazione delle carcasse di bovini appartenenti a razze-popolazioni rustiche. La dinamica di acidificazione e i valori finali del pH rientravano sempre nella norma (8). I valori di pH1 nelle femmine risultavano inferiori rispetto ai maschi (p<.01). I parametri colorimetrici non sono risultati influenzati dal pH in modo omogeneo; le differenze riguardavano il valore di L* nel M. longissimus dorsi (p<.01) e di b* nel M. rectus abdominis (p<.05). Nel M. longissimus dorsi i valori di L* e b* erano differenti in relazione al sesso (p<.01). Le prospettive del presente studio riguardano l’approfondimento delle caratteristiche igienico-sanitarie e qualitative delle carni di bovini di razze rustiche ai fini della definizione di una griglia di valutazione.

BIBLIOGRAFIA- 1)Abril M et al (2001) Meat Sc., 58, 69-78. 2)Alberti P et al (2002) Proceedings of 48th ICOMST, 2, 454-455. 3) AOAC (2000) Official Methods of analysis, vol.2. 4) ASPA (1996) Metodiche per la determinazione delle caratteristiche qualitative della carne, Perugia, Italia. 5)Bernues A. et al (2003) Meat Sc., 65, 1095-1106. 6) Grunert KG et al (2001) Livestock Prod. Sc., 72, 83-98. 7) Grunert KG et al (2004) Meat Sc., 66, 259-272. 8) Huy YH, Meat Science and Applications, (Ed. Dekker, New York), 27-35. 9) Mazzette R et al (2004), Atti del LVIII Convegno Nazionale SISVET. 10) Ruiz de Huidobro F et al (2003) Meat Sc. 65, 1439-1446. 11) Serra X et al (2004) Meat Sc., 66, 425-436. 12) Vieira C et al. (2002) Proceedings of 48th ICOMST, 1, 364-365. Lavoro realizzato con finanziamento INTERREG III – Amm.Prov.le Nuoro (2003).

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ELEMENTI TRACCIA NEL MUSCOLO SCHELETRICO DI BOVINI PROVENIENTI DALLA POLONIA TRACE ELEMENTS IN BOVINE SKELETAL MUSCLE FROM POLAND Carpenè E., Andreani G., Carraro V., Fabbri M., Castellani G.*, Isani G. Dipartimento di Biochimica “G. Moruzzi”, Sezione Biochimica Veterinaria e * Dipartimento di Morfofisiologia Veterinaria e Produzioni Animali - Università degli Studi di Bologna Parole chiave: Cd, Zn, Fe, Cu, carne bovina Key words: Cd, Zn, Fe, Cu, bovine meat SUMMARY – Trace metals (Cd, Zn, Fe and Cu) were determined by atomic absorption spectrometry in samples of skeletal muscles of 20 cows from Poland. The mean Cd, Cu, Zn and Fe concentrations recorded in bovine meat are comparable to those reported for areas characterized by low environmental pollution. Cd concentrations were lower than 10 ng/g wet weight, being therefore lower than the proposed maximum of 50 ng/g (E.C. 466/2001). Among the investigated metals, Cd rises the greatest concern for human health, due to its carcinogenic activity. On the other hand, bovine meat results a good source of essential trace metals as Zn and Fe. INTRODUZIONE - L’inquinamento ambientale da metalli pesanti può avere serie ripercussioni sulla salute degli animali e dell’uomo (1), tramite introduzione di alimenti caratterizzati da alte concentrazioni non solo di metalli tossici, come il Cd, ma anche di metalli essenziali, come per esempio il Cu, che, se presente in concentrazioni superiori alle capacità omeostatiche cellulari, può dare origine a fenomeni di tossicità sub-acuta e acuta (2). Lo scopo del presente lavoro è stato duplice: a) determinare nel muscolo scheletrico di bovini provenienti dalla Polonia le concentrazioni di 4 metalli traccia (Cd, Zn, Fe e Cu); b) valutare il contributo di questo alimento sull’assunzione di Cd, Zn, Fe e Cu da parte dell’uomo ed eventualmente stimare gli eventuali rischi per la salute del consumatore. MATERIALI E METODI - In 20 esemplari di bovine di razza Frisona, di età compresa fra i 20 ed i 36 mesi provenienti da allevamenti ubicati a nord-est della Polonia (provincia della città di Bialystok) sono stati campionati muscoli di 3 tagli commerciali: fesa esterna, collo e pancia. I campioni sono stati congelati e conservati a –20°C fino al momento delle analisi. Cd, Zn, Fe e Cu sono stati determinati tramite spettrofotometria ad assorbimento atomico, previa digestione ad umido dei campioni. La concentrazione del Cd è stata determinata mediante lettura con fornetto di grafite, mentre le concentrazioni degli altri metalli sono state determinate tramite letture in fiamma. Sui dati ottenuti, sono stati calcolati i parametri della statistica descrittiva; il confronto tra le concentrazioni di uno stesso metallo nei tre tagli esaminati è stato condotto tramite analisi della varianza. RISULTATI - Le concentrazioni del Cd determinate nei campioni esaminati sono risultate inferiori a 10 ng/g di peso fresco e sempre al di sotto dei valori limite stabiliti dalle normative vigenti per questo metallo tossico (50 ng/g di peso fresco, Regolamento CE 466/2001). Per quanto riguarda i metalli essenziali, lo Zn, con valori compresi tra 42 e 72 µg/g peso fresco è risultato il metallo traccia più abbondante tra quelli esaminati, in accordo con il suo importante ruolo nei sistemi biologici; valori intermedi sono stati rilevati per il Fe (24-26 µg/g peso fresco), mentre il Cu è presente con le concentrazioni più basse, sempre inferiori a 1 µg/g peso fresco. Differenze significative tra i tagli esaminati sono state evidenziate per lo Zn e il Cu: la fesa esterna presenta valori più bassi di Zn e più alti di Cu rispetto agli altri tagli (Figura 1). CONCLUSIONI – I dati da noi ottenuti sono in accordo con quanto riportato da altri autori per bovini provenienti da zone non inquinate (3,4), e sono risultati significativamente inferiori a quelli presenti in animali allevati in zone caratterizzate da forte impatto antropico (5,6). Per quanto riguarda il Cd, le carni oggetto della nostra sperimentazione non rappresentano quindi

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una potenziale fonte di tossicità per l’alimentazione umana, poiché le concentrazioni da noi riscontrate sono almeno 5 volte inferiori al valore massimo riportato dalla normativa. Tra i metalli analizzati, il Cd è l’elemento che desta maggiori preoccupazioni per la salute dell’uomo e degli animali di interesse veterinario, poiché interferisce con gli enzimi della riparazione del DNA e attiva alcuni oncogeni (1), simulando anche gli effetti degli estrogeni nell’utero e nella ghiandola mammaria (7). Inoltre, la ricchezza di elementi traccia essenziali in una forma altamente biodisponibile, soprattutto Zn e Fe, rendono questo alimento una fonte preziosa per soddisfare i fabbisogni giornalieri di questi due metalli. Per quanto riguarda lo Zn, poiché i valori raccomandati di assunzione giornaliera variano da un minimo di 7,5 a un massimo di 15 mg/die (8), il consumo di 100 g di muscolo bovino contribuisce per circa il 50% del valore raccomandato.

Cu Zn

0,00

0,25

0,50

0,75

1,00

1,25

1,50

cu_co cu_fe cu_pa

Column 1

20

30

40

50

60

70

80

90

100

110

zn_co zn_fe zn_pa

Column 1

Figura 1. In ordinata sono riportate le concentrazioni di Cu e Zn espresse in µg/g peso fresco, rispettivamente nei muscoli del collo (co), della fesa esterna (fe) e della pancia (pa). BIBLIOGRAFIA – 1) Waalkes MP (2003) Mutation Res, 533, 107-120. 2) Gaetke LM, Chow CK (2003) Toxicology, 189, 147-163. 3) Alonso ML et al (2002) Arch Environ Contam Toxicol, 42, 165-172. 4) Serra R et al (1994) Proceedings of XVII World Buiatrics Congress, 1193-1196. 5) Abou-Arab A (2001) Food Chem Toxicol, 39, 593-599. 6) Sedki A et al. (2003) Sci Total Environ, 317, 201-205. 7) Johnson MD et al (2003) Nature Medicine, 9, 1081-1084. 8) Borella P (2000) Microelementi essenziali e tossici per l’uomo. In: I microelementi nell’ecosistema terrestre, a cura di G. Casalicchio, Pitagora Editrice, Bologna. Finanziamenti - Questa ricerca è stata condotta con fondi ex 60% di Isani Gloria.

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INDAGINE SULLA PRESENZA DI NITRATI E NITRITI NELLE CA RNI FRESCHE SURVEY OF THE PRESENCE OF NITRATES AND NITRITES IN FRESH MEATS Iammarino M., Muscarella M., Di Taranto A., Palermo C.* (Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata – Foggia, *Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale – Facoltà di Agraria – Università degli Studi di Foggia) Parole chiave: nitrati, nitriti, carni fresche, cromatografia ionica Key words: nitrates, nitrites, fresh meats, ion chromatography SUMMARY – Nitrates and nitrites can be used only in meat products, in according to the italian legislation. The Authors of this paper report the results of a research aimed at checking the levels of nitrates and nitrites in fresh meat samples of porks, bovines, equine and poultry, commonly used for fresh sausages. Analytic determination has been carried out by means of ionic chromatography with conductimetric detection. To exception of the meat of chickens, for which they have not been found quantifiable concentrations of nitrate and nitrite, for the other species quantifiable nitrate values can be noticed. These quantifiable values involve it obligation of denunciation of unfavorable outcome. It is advisable a program of monitoring on national scale for determine a new legal limit for nitrates in the fresh sausages. INTRODUZIONE – Nitrati e nitriti vengono utilizzati come conservanti nelle carni poiché stabilizzano il colore dei tessuti; ne esaltano l’aroma ed il sapore; prevengono l’ossidazione dei lipidi ritardandone l’irrancidimento ed esplicano azione batteriostatica nei confronti dei batteri gram negativi e sporigeni, particolarmente il Clostridium botulinum. Non si conoscono altri additivi chimici in grado di esplicare contemporaneamente queste funzioni e ciò spiega il loro larghissimo utilizzo. Tuttavia l’uso dei nitrati e nitriti per il trattamento dei prodotti carnei può essere pericoloso per la salute umana. Infatti, dalla reazione tra l’acido nitroso che si libera dai nitriti e le amine secondarie presenti nelle carni si possono formare nitrosoamine, potenzialmente cancerogene. La normativa comunitaria vigente, così come recepita nei vari ordinamenti statuali (D.P.R. n°309/98 e D. L.vo n°537/92) introduce la distinzione tra prodotti a base di carne e preparazioni di carni. Ai sensi del D.P.R. n°309/98 (Gazz.Uff. della Rep. Ital. n°199 del 27/8/1998), così come meglio chiarito dal Ministero della Salute con circolare esplicativa del 8 febbraio 1999, le salsicce fresche sono da considerarsi preparazioni di carni. La destinazione al consumo come prodotto fresco ha indotto quindi il legislatore nazionale ad escludere la presenza di nitrati e nitriti come conservanti. Tuttavia, dalla letteratura (1) e nel corso delle attività di controllo, si riscontrano talvolta nelle salsicce fresche concentrazioni quantificabili di nitrati, comunque inferiori al residuo massimo consentito nei salumi stagionati fissato in 250 mg/kg di nitrato di sodio (D.M. n° 209 del 27 febbraio 1996). Questi valori, anche se bassi, comportano l’obbligo di denuncia di esito sfavorevole ai sensi della legge n° 283 del 1962. Alla stregua di quanto già disciplinato per i solfiti nelle carni, per i quali si è verificato lo stesso problema e quindi è stato stabilito un limite inferiore al di sotto del quale non vi è obbligo di denuncia ( D.M. 27 febbraio 1996 n° 209 parte B, all. XI ), si ritiene necessario che anche per i nitrati sia adottato un analogo criterio di valutazione. Al fine di dare un contributo sperimentale a tale problematica, abbiamo condotto una indagine conoscitiva per accertare la presenza e la quantificazione di nitrati e nitriti in campioni di carni fresche reperite nelle varie macellerie di Foggia, limitatamente alle specie suine, bovine, equine e polli, comunemente utilizzate per gli insaccati freschi. La determinazione analitica di nitrito e nitrato nelle carni fresche è stata effettuata mediante cromatografia ionica con rivelazione conduttimetrica. Su tale procedura analitica è stata effettuata la validazione per ottenere indicazioni sul livello di affidabilità del procedimento impiegato. Per la misura e la relativa stima dell’incertezza è stata usata la procedura secondo la Norma UNI-CEI-ENV-13500. I valori del limite di rivelazione (LOD) e del limite di quantificazione (LOQ) in matrice equivalgono rispettivamente a 1.9 mg/kg e 6.6 mg/kg.

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MATERIALI E METODI - L’indagine è stata eseguita su n° 200 campioni di carni fresche suine, bovine equine e polli, prelevati secondo il criterio della casualità in 50 macellerie di Foggia. Le determinazioni analitiche sono state eseguite in doppio. Il metodo utilizza la cromatografia ionica ed è accreditato come metodo interno di prova presso il Dipartimento di Chimica. Cromatografia Ionica: 5 g di campione omogeneizzato vengono estratti con 100 ml di acqua bidistillata in bagnomaria bollente per 5’. Si raffredda l’estratto, si filtra con filtri Wathman 0.45 m e si inietta nel sistema cromatografico costituito da: Cromatografo Ionico modello Dionex DX-500 con rivelazione a conducibilità soppressa, tramite soppressore autorigenerante ASRS-ULTRA II-4mm, settato a 50 mA (Dionex, USA, Ca). Colonna a scambio anionico Ion Pac AS9-HC 4x250mm (Dionex, USA, Ca). Precolonna Ion Pac AG9HC-4mm. Fase mobile: soluzione di carbonato di sodio 9mM; flusso 1 ml/min. Rivelatore elettrochimico conduttimetrico Dionex ED40; loop: 25 l. La determinazione quantitativa di nitrato e nitrito di sodio viene rilevata mediante curva di calibrazione. Il valore ottenuto viene corretto per il recupero e l’incertezza di misura della metodica validata. RISULTATI – I risultati ottenuti sono sintetizzati nella tabella I. Sui 200 campioni di carni fresche analizzate è possibile evidenziare solo la presenza di concentrazioni quantificabili di nitrato (>LOQ), mentre il nitrito è assente. Non sono state rilevate concentrazioni quantificabili di nitrato nelle carni di pollo. E’ stata riscontrata una concentrazione di nitrato superiore al limite di quantificazione (LOQ = 6.6 mg/kg) nel 14% delle carni suine (concentrazione media: 9.6±0.9 mg/kg), nel 16% delle carni bovine (concentrazione media: 12.6±1.2 mg/kg), e nel 12% delle carni equine (concentrazione media: 22.1±2.1 mg/kg). Per queste tre specie le percentuali ottenute sono confrontabili, tuttavia le carni equine mostrano concentrazioni più elevate di nitrato, comprese tra un valore minimo di 8.3 mg/kg ed un massimo di 46.5 mg/kg, mentre le concentrazioni non superano mai 27 mg/kg nelle carni bovine e 15 mg/kg nelle carni suine. CONCLUSIONI – Si può affermare che, ad eccezione delle carni di pollo per le quali i risultati sono stati costantemente negativi, per le altre specie si possono registrare valori quantificabili di nitrato, di cui si dovrà necessariamente tener conto ai fini dei provvedimenti fiscali nell’ambito delle attività di controllo in laboratorio. I dati ottenuti ci suggeriscono inoltre di estendere agli Organi Istituzionali un programma di monitoraggio su scala nazionale al fine di poter valutare l’opportunità di fissare un limite al di sotto del quale non è ipotizzabile un avvenuto trattamento con conservanti. Tab.I – Presenza di Nitrato e Nitrito in campioni di carni fresche.

Carni fresche esaminate

n°campioni analizzati

Campioni con presenza di

nitrato>LOQ a

n°(%)

Concentrazionemedia(mg/kg) ± incertezza estesa

relativa

Campioni con presenza di

nitrito>LOQ a

n°(%) Carni suine 50 7

(14%) 9.6±0.9

Carni bovine 50 8 (16%)

12.6±1.2

Carni equine 50 6 (12%)

22.1±2.1

Carni di pollo 50

Totale 200 21 (10.5%)

11.1±1.1

a LOQ = 6.6 mg/kg

BIBLIOGRAFIA – 1) BERNINI R. et al. (2001).Industrie Alimentari XL, 741-747. - Lavoro eseguito con la collaborazione tecnica di D’Antini P. e D’Errico M. ( Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata ).

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VALUTAZIONE IMMUNOISTOCHIMICA DELL’ESPRESSIONE DEI REC ETTORI DEGLI ESTROGENI IN PROSTATE DI VITELLI CON METAPLASI A

SQUAMOSA IMMUNOHISTOCHEMICAL EVALUATION OF ESTROGEN RECEPTOR EXPRESSION IN CALF PROSTATES WITH SQUAMOUS METAPLASIA Stocchi R., Renzoni G., Rea S., Cecchini S., Loschi A.R. Dipartimento di Scienze Veterinarie - Università degli Studi di Camerino, Matelica (MC) Parole chiave: vitelli, prostata, immunoistochimica, recettori degli estrogeni, anabolizzanti. Key words: calves, prostate, immunohistochemistry, estrogen receptor , anabolic substances. SUMMARY - Prostates from regularly slaughtered calves aged 7/8 months were examined by immunohistochemical technique using anti-ERβ polyclonal antibody. The same specimens had been previously subjected to histological and immunohistochemical screening using anti-cytokeratin 13, 15 and 16 antibodies to verify the presence of hyperplastic/metaplastic changes. Nuclear and/or cytoplasmic ERβ expression confined only to the glandular epithelium was observed. The expression/diffusion was inversely proportional to the detection/extent of hyperplastic/metaplastic changes. No specific immunostaining in ductal epithelium and stroma of urethral mucosa was detected in any specimen. On the basis of preliminary results, the authors suggest that an investigation about ERα expression is needed to trace the role of both ERs in the onset of lesions and to set up an immunohistochemical test applicable at slaughterhouse for detecting treatments with anabolic substances. INTRODUZIONE - E’ noto ormai da tempo che le sostanze anabolizzanti ad attività estrogena ed in particolare il dietilstilbestrolo (DES) sono responsabili di quadri di iperplasia e metaplasia squamosa a carico della componente epiteliale delle ghiandole sessuali accessorie che perdurano per un periodo sufficientemente lungo da essere apprezzate attraverso screening istologico al momento della macellazione. Tali alterazioni sono conseguenza della proliferazione e modificazione in senso metaplastico delle cellule basali, come dimostrano alcune indagini immunoistochimiche basate sull’impiego di anticorpi diretti verso le citocheratine discriminanti questa componente cellulare condotte su ghiandole annesse all’apparato genitale di vitelli trattati sperimentalmente con estrogeni (1, 2). Interessanti spunti di ricerca derivano da recenti studi effettuati su topini transgenici utilizzati in campo umano come modello sperimentale nello studio dei meccanismi eziopatogenetici di due frequenti patologie della prostata, l’iperplasia benigna e il carcinoma (3, 4). Sembra, infatti, che nell’insorgenza di condizioni iperplastiche, metaplastiche e neoplastiche conseguenti a stimolazione ormonale giochino un importante ruolo le complesse interazioni tra le diverse sostanze e i rispettivi recettori epiteliali. In particolare, nella prostata l’azione degli estrogeni sembrerebbe mediata attraverso due diversi tipi di recettori, ( RE) e ( RE). I primi vengono principalmente espressi nella componente stromale mentre i secondi in quella epiteliale (5). Scopo della presente indagine preliminare è stato quello di valutare l’espressione di questo ultimo tipo di recettori in prostate di vitelli regolarmente macellati, giudicati sospetti di trattamento ormonale con sostanze ad attività estrogena per presenza di lesioni iperplastiche/metaplastiche dell’epitelio prostatico. MATERIALI E METODI - Sono stati esaminati 11 campioni di prostata disseminata, di vitelli di età compresa tra 7 e 8 mesi regolarmente macellati, precedentemente valutati attraverso esame istologico tradizionale e per via immunoistochimica utilizzando anticorpi monoclonali anti-citocheratine 13, 15 e 16 (6). Di questi, uno risultava negativo ad entrambi i metodi di screening, mentre 10 erano stati giudicati positivi per metaplasia squamosa diffusa o focale, associata o meno ad ectasie cistiche e ipersecrezione, evidenziata in 6 casi già all’esame istologico tradizionale e nei rimanenti 4 casi solo dopo esame immunoistochimico. Sezioni in paraffina di 3µ di spessore sono state sottoposte ad indagine immunoistochimica condotta secondo la metodica avidina-biotina-perossidasi (ABC, Vector Lab., Burlingame,

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USA), previa incubazione con perossido d’idrogeno al 3% in metanolo, incubazione con siero normale di capra al 10% e riscaldamento in forno a microonde (750 Watt) in tampone citrato 10 mM, per 2 cicli di 8 minuti ciascuno. Le sezioni sono state incubate a 4°C overnight con anticorpo primario policlonale da coniglio anti-RE PA1-313 (ABR, Golden, CO), diluito 1:100 in siero-albumina bovina (BSA) (Sigma, Saint Louis, USA). Successivamente è stata effettuata l’incubazione per 30’ con anticorpo secondario anti-coniglio da capra (Vector Lab., Burlingame, USA), diluito 1:200 in BSA. In alcune sezioni, utilizzate come controllo negativo, l’anticorpo primario è stato sostituito con siero normale di capra impiegato alla stessa concentrazione. I lavaggi sono stati effettuati con tampone TBS a pH 7,3 e, come cromogeno, è stata utilizzata la 3,3’-diaminobenzidina al 3%. Prima della disidratazione nella serie crescente degli alcool e del montaggio con resina EUKIT, i preparati immunoistochimici sono stati sottoposti a leggera controcolorazione nucleare con Ematossilina di Mayer e quindi osservati al microscopio ottico a diversi ingrandimenti. Sono state considerate positive le cellule con precipitati bruno-ruggine nucleari e/o citoplasmatici. RISULTATI - L’esame immunoistochimico con anticorpi anti-RE ha svelato presenza di cellule epiteliali positive in tutti i campioni esaminati. Tale positività si manifestava, in dipendenza del distretto epiteliale considerato, con intensa colorazione bruna dei nuclei e/o presenza di precipitati di colore bruno-ruggine finemente granulari in sede citoplasmatica. In particolare, negli acini costituiti da epitelio secretivo l’immunoreatività appariva variabile, esprimendosi ora a livello nucleare, ora in ambito citoplasmatico, ora, infine, nucleare e citoplasmatico contemporaneamente. Per contro negli acini più periferici costituiti principalmente da cellule di tipo mucoso veniva evidenziata, tranne rare eccezioni, solo positività nucleare. Valutando la distribuzione dell’espressione recettoriale è stata accertata la più diffusa positività nel campione risultato negativo allo screening immunoistochimico con anticorpi anti-citocheratine per assenza di iperplasia delle cellule basali. Negli altri campioni la diffusione dell’immunoreatttività epiteliale ha mostrato una progressiva riduzione all’aumentare dell’estensione dei fenomeni iperplastici/metaplastici. Ciò appariva ben documentato ai più forti ingrandimenti, attraverso i quali veniva chiaramente apprezzata la completa negatività di tutti gli elementi cellulari costituenti sia le aree iperplastiche, caratterizzate dalla presenza di proiezioni papillari di epitelio pluristratificato aggettanti nel lume acinare, sia i piccoli cluster in preda a conclamata metaplasia squamosa. Infine, in tutti i campioni l’epitelio della mucosa uretrale, l’epitelio duttale e lo stroma sono risultati negativi. CONCLUSIONI - I risultati immunoistochimici appaiono interessanti di per sé perché dimostrano l’applicabilità della tecnica nella specie bovina, ma di rilievo ancora maggiore tenuto conto anche del dato comparativo con il precedente studio volto all’identificazione del comparto proliferante della prostata negli stessi soggetti. Da esso emerge come gli elementi proliferanti e che mostrano modificazione in senso metaplastico appartengano alle cellule basali sulla base della classe di citocheratine espresse, concordando con quanto emerso in precedenti studi sull’argomento (1, 2). Questa componente cellulare è risultata inespressiva dei RE al contrario degli elementi cellulari “normali”, facendo supporre - dato che gli estrogeni, specie se di sintesi, inducono le sopra riportate alterazioni - un ruolo fondamentale degli RE in relazione all’alterato equilibrio / RE indotto dalla somministrazione degli estrogeni stessi. Ne consegue quindi la necessità di proseguire la ricerca in tale ottica, anche e soprattutto nell’ambito delle competenze ispettive, al fine di individuare una chiave di interpretazione da poter applicare in “campo” nel diagnostico in sede di macellazione. Ciò appare di estrema attualità in quanto l’impiego di anabolizzanti ad attività ormonale è pratica ancora diffusa e di ritorno nell’allevamento del bovino da carne, in particolare nel vitello, come testimoniano le non conformità rilevate nell’attività di monitoraggio prevista dal Piano Nazionale Residui del 2004. BIBLIOGRAFIA - 1) Finazzi M. et al. (1994) Argomenti di Patologia Veterinaria, 36, 273-283. 2) Groot M.J. et al. (2000) Eur. J. Vet. Pathol., 6 (1), 19-24. 3) Jarred R.A. et al. (2002) Trends Endocrin. Met. 13 (4), 163-168. 4) Pearce S.T. & Jordan V.C. (2004) Crit. Rev. Oncol. Hemat., 50, 3-22. 5) Weihua Z. et al. (2002) Mol. Cell. Endocrinol., 193, 1-5. 6) Stocchi R. et al. (2004) XIV Convegno AIVI, Vicoforte (CN), 325-330.

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STUDIO DELLA FLORA MICROBICA NEI VEGETALI DI IV GAMMA . NOTA PRELIMINARE MICROBIAL FLORA OF FRESH-PRODUCED VEGETABLES PRELIMINARY REPORT Catellani P., Giaccone V., Novelli E. Dip. Sanità Pubblica, Patologia Comparata e Igiene Veterinaria – Università di Padova Parole chiave: vegetali di IV gamma, qualità microbiologica, conservabilità del prodotto Key words: fresh-produced vegetables, microbial quality, shelf-life SUMMARY – In the last years, the market of minimally processed vegetables has dramatically increased in quantity as well as variety. These products are ready-to-use, in fact they are prepared, packaged under vacuum or modified atmospheres or also in air, in other to improve their shelf-life. Because these vegetables are often consumed without cooking it seems be always interesting to study their microbial load. 30 samples of various fresh-produced vegetables (i.e. lettuces, red radish, carrots, tomatoes, pepperoni; alone or mixed each other) packaged in PP bags or vessel were microbiologically analysed. Total and faecal coliforms counts were on the order of 107 CFU/g and 4,4 x 103 CFU/g respectively. High values of other Gram negatives bacteria (i.e. Pseudomonas sp) were also determined. No Salmonella sp nor enteropathogenic Vibrio sp were detected, whereas one strains of L. monocytogenes was isolated from a sample of lettuce wash. According to other data of the literature, our results confirm the need of a careful application of GMPs in manufacturing of these products. More detailed official controls are also needed to improve the level of hygienic quality on these vegetables. INTRODUZIONE – Ormai sempre più numerosi nei banchi refrigerati dei supermercati, i vegetali di IV gamma, si propongono al consumatore come convenience food, per la possibilità di utilizzarli integralmente, per la loro praticità d’uso e rapidità di preparazione, in quanto già lavati, mondati e tagliati. Le metodiche di confezionamento utilizzate sono l’atmosfera protettiva (MAP), la cui composizione gassosa varia in base alla specie vegetale, il confezionamento sottovuoto e quello in atmosfera ordinaria, che risulta ancora il più usato in Italia. Per i primi due metodi, il prodotto va condizionato a temperatura di refrigerazione, mentre in atmosfera ordinaria è sufficiente mantenerlo in ambiente fresco. Sono utilizzati sacchetti sigillati a caldo o vaschette di polipropilene (PP) avvolte da film plastico trasparente. La CO2 ha la funzione di rallentare la respirazione e la comparsa di marciumi, inibendo gli enzimi pectinolitici e lo sviluppo di pseudomonadacee e altri batteri Gram negativi (1). Alcuni autori (2), riportano che i vegetali RTU possono ospitare varie forme microbiche saprofitarie: l’80-90% sono batteri Gram negativi alteranti (tra cui Pseudomonas sp, Enterobacter sp, Erwinia sp) il resto sono lieviti e muffe. Se si rispettano le GMP, solo occasionalmente si possono isolare patogeni (L. monocytogenes, E. coli O157:H7, enterovirus) o forme protozoarie (Giardia lamblia, Entamoeba histolytica). Non esistendo, attualmente in Italia alcuna normativa specifica per i vegetali di IV gamma, ci si avvale di quella francese emanata (1988) dalla DGCCRF per le norme igieniche da rispettare nella lavorazione, per le caratteristiche microbiologiche (CMT a 30°C: ≤ 5,0 x 106 UFC/g; coliformi fecali: ≤ 103 UFC/g; Salmonella sp assente/25g) e per la data di scadenza (≤ 7 giorni). MATERIALI E METODI – L’indagine è stata condotta nell’arco di un anno su un totale di 30 confezioni di vegetali di IV gamma, di cui 20 verdure a foglia (5 non lavate e 15 lavate) e 10 ortaggi misti lavati (pomodori, cavolo cappuccio, carote, peperoni, insalata e radicchio rosso). I prodotti, confezionati in vaschette di PP avvolte da un film plastico trasparente o in sacchetti di PE o in MAP (3 campioni), provenivano da stabilimenti presenti in Veneto e Lombardia. Le analisi microbiologiche, effettuate secondo i protocolli ufficiali in uso presso i laboratori di analisi, venivano effettuate nell’arco dei 7 giorni previsti per il consumo. RISULTATI – La carica microbica totale (CMT) dei campioni analizzati presenta valori elevati già al 5° giorno dal confezionamento (7,9 Log UFC/g). Le specie microbiche più

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numericamente rappresentate sono Pseudomonas sp (in media 7,3 Log UFC/g) e coliformi totali con punte fino a 7,3 Log UFC/g all’ultimo giorno indicato per il consumo; di questi una buona metà sono fecali (4,4 x 103 UCF/g). Sono ancora presenti LAB (Lactobacillus sp e Micrococcus sp), muffe, lieviti e Aeromonas sp tutti con cariche di poco superiori a 105 UFC/g. Nei 3 campioni confezionati in MAP, le cariche microbiche sono analoghe: prevalgono Pseudomonas sp e coliformi fecali (tra 7,2 e 7,4 Log UFC/g) sui batteri lattici (6,1 Log UFC/g). In una confezione di crauti lavati in MAP, che si presentava particolarmente gonfia, sono stati isolati lattobacilli eterofermentanti. Tra i patogeni ricercati l’esito è stato costantemente negativo, a esclusione di un ceppo di L. monocytogenes isolato in una insalata lavata, analizzata al 4° giorno dal confezionamento. Infine, in un campione di insalata non lavata esaminata dopo 6 giorni dal confezionamento e che presentava imbrunimenti mediamente estesi, sono stati isolati clostridi solfito-riduttori in cariche di 4,0 x 104 UFC/g. CONCLUSIONI – Da quanto emerge da questa prima serie di analisi, si delinea un quadro igienico-sanitario del prodotto di IV gamma ready-to-use non particolarmente soddisfacente se si pensa soprattutto al consumo diretto, da parte del consumatore. Infatti, i limiti riportati dalla normativa francese in fase di vendita, vengono superati nei campioni da noi analizzati già al terzo giorno dal confezionamento. Queste cariche sono alte sia nei prodotti lavati che in quelli da lavare (Grafico 1). L’elevata carica alterante Gram negativa (Pseudomonas sp e coliformi fecali) e le muffe inducono a concludere che, per entrambe le tipologie di prodotto (lavato e non), prima di essere consumate, sarebbe sempre necessario sottoporle a lavaggio. Tale necessità risalta maggiormente se si pensa che, talora, le verdure RTU vengono utilizzate per la guarnizione di piatti composti a base di carni, gelatine, ecc. I 7 giorni di vita commerciale fissati dal produttore rappresentano, attualmente, una shelf-life più che accettabile, benché la materia prima insieme al taglio, che porta alla liberazione di nutrienti, favoriscono col tempo l’imbrunimento enzimatico e le alterazioni microbiche (marciume). Tali alterazioni alcune volte erano riscontrate anche all’inizio della conservazione, a dimostrazione che spesso i produttori utilizzano materie prime di bassa qualità oppure nelle fase della lavorazione non rispettano costantemente le GMP. Sebbene il ritrovamento in un campione di insalata di L. monocytogenes, microrganismo che si può normalmente ritrovare nelle verdure a foglia, poiché presente nel suolo, ci induce comunque a ritenere che questi prodotti non rappresentino un rischio per la salute del consumatore, se ben lavati. Alcuni autori riportano, infatti, che nel 10-20% dei vegetali preparati si trova L. monocytogenes (3). Vi sono, comunque, produttori che riportano in modo spesso dettagliato in etichetta la data di produzione, quella di scadenza e la metodologia di conservazione; altri ancora l’etichetta nutrizionale. Infine e non da ultimo, resta da sottolineare la carenza legislativa in ambito nazionale ed europeo (a esclusione della Francia) per quanto riguarda i vegetali minimally processed. Ciò è evidente in ambito di produzione, dove per esempio il lavaggio delle verdure (effettuato con acqua clorata e refrigerata) rappresenta un punto estremamente critico, che se non correttamente condotto può portare a un’ulteriore contaminazione del prodotto.

0 1 2 3 4 5 6 7 8 Log10

CMT

Coliformi fecali

Pseudomonas sp

Aeromonas sp

Micrococcus sp

Lactobacillus sp

Muffe

Lieviti

Grafico 1: Differenze di cariche microbiche tra ortaggi di IV gamma lavati e da lavare prima del consumo

prodotto lavato prodotto non lavato

BIBLIOGRAFIA – 1) Galli A., Franzetti L. (1998). Informatore agrario, 19, 46-47. 2) Manvell P.M. & Ackland M.R. (1986). Food Microbiology, 3, 59-65. 3) Francis G.A., Thomas C. & O’Beirne D. (1999). Int. J. Food Sci. Techn., 34, 1-22.

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VIGILANZA ED ISPEZIONE NELLA RISTORAZIONE COLLETTIVA IN PENISOLA SORRENTINA - PRIMA NOTA PUBLIC CATERING INSPECTION IN SORRENTINA PENINSULA Albonetti S.*, Mollica D., Castellano F.S., Rapesta V., Catapano L., Rosmini R.* ASL NA 5-U.O.Vet. Penisola Sorrentina. *Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale - Università degli Studi di Bologna. Parole chiave: ristorazione collettiva, ispezione, sequestro amministrativo, sequestro penale. Key words: public catering, inspection, administrative distress, criminal distress. SUMMARY – The sorrentina peninsula is a region which has got an elevated attendance of national and international tourism. In this area there are 686 commercial business which produce between 30 and 1500 meals per day. The authors collected data of 180 inspections carried out in one year in restaurants, bars, hotels, camps and farms holidays. They checked facilities, food preservation, technical and law knowledge of restaurateurs and records to verify the correct application of HACCP system. The administrative and criminal distresses were 28 and 17 respectively. The authors underline hygienic and sanitary problems for 25% and transgressions of the low for 9% of commercial business. INTRODUZIONE – I Servizi Veterinari della penisola sorrentina da 15 anni si interessano della ristorazione collettiva visto l’indirizzo turistico centenario del territorio ad elevata affluenza a livello nazionale ed internazionale. Negli ultimi decenni si è sviluppata una ristorazione collettiva di tipo commerciale che ha avuto riconoscimenti a livello mondiale (5 sono i ristoranti annoverati nei primi posti delle guide internazionali) tanto da creare un turismo gastronomico. Per questi motivi, i Servizi Veterinari hanno dovuto approfondire le problematiche legate al settore della ristorazione prima dell’emanazione del D.P.C.M. del 29/11/2001 (1) con il quale è assegnato al veterinario del SSN il controllo degli alimenti di origine animale anche nelle fasi di somministrazione. Scopo del lavoro è stato quello di raccogliere i dati di un anno di attività svolta nel settore della ristorazione collettiva di tipo commerciale in penisola sorrentina evidenziando le problematiche connesse e le violazioni riscontrate al fine di procedere a una verifica delle conoscenze tecnico-giuridiche del ristoratore per la tutela del consumatore. MATERIALI E METODI – Nel periodo compreso tra il 01/01/2004 e il 31/12/2004 sono state effettuate ispezioni igienico sanitarie in ristoranti/bar, alberghi, campeggi e agriturismi situati nei sei comuni della penisola sorrentina. Il totale degli esercizi presenti sul territorio è di 686, di cui 180 sono stati sottoposti al controllo. Il 90% dei ristoranti controllati sono a conduzione familiare. Il numero di pasti preparati nelle diverse strutture è compreso tra 30 e 1500 coperti giornalieri. L’ispezione è stata relativa a: controllo dei prodotti di origine animale presenti nei locali cucina e deposito, modalità di conservazione del prodotto fresco e cotto, educazione del personale, controllo documentale e verifica della corretta applicazione del sistema HACCP. RISULTATI – Le 180 ispezioni effettuate hanno messo in evidenza una scarsa conoscenza applicativa del sistema di autocontrollo e, in alcuni casi, la stessa conoscenza del sistema, legata alla tipologia di conduzione della struttura, per lo più di tipo familiare; l’insufficiente preparazione professionale dell’operatore, non sempre corrispondente alle conoscenze specifiche del settore; lo scarso rilievo fornito dai consulenti tecnici riguardo l’educazione del personale; la carente applicazione delle metodiche di conservazione dei prodotti e dell’accettazione delle merci. Infatti, il numero di sequestri amministrativi effettuati sono stati 28, per una quantità di merce sequestrata corrispondente a 376 Kg; il numero di sequestri penali sono stati 17, per una quantità di merce equivalente a 1178 Kg (Tabella 1). I sequestri amministrativi sono stati effettuati tutti per una etichettatura dei prodotti non conforme alla normativa vigente (3). Riguardo i 17 sequestri penali, 11 sono stati effettuati per il cattivo stato di conservazione (2); 4 erano relativi a prodotti alterati o insudiciati (2); infine, 2 interessavano la detenzione per la somministrazione di prodotti diversi da quelli indicati nel

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menù (Tabella 2). In quest’ultimo caso, infatti, il consumatore leggendo il menù era certo di consumare un prodotto fresco, mentre gli veniva somministrato un prodotto congelato allo stesso prezzo del fresco (4). Tabella 1 – Riepilogo del numero degli esercizi presenti in penisola sorrentina e sequestri effettuati nel periodo 01/01/2004-31/12/2004. Tipo di esercizio Totale

esercizi Esercizi ispezionati

Sequestri amministrativi

Sequestri penali

N. Kg N. Kg Ristorante/bar 493 170 28 376 17 1178 Albergo 156 5 0 0 0 0 Campeggio 17 3 0 0 0 0 Agriturismo 20 2 0 0 0 0 Tabella 2 – Riepilogo delle maggiori violazioni riscontrate in penisola sorrentina nel periodo 01/01/2004-31/12/2004. Tipo di violazione N. Sequestro penale Cattivo stato di conservazione, art. 5, lettera b), Legge 283/1962 11 Prodotti alterati, art. 5, lettera d), Legge 283/1962 4 Frode in commercio, art. 515 Codice Penale 2 Sequestro amministrativo Etichettatura, art. 3 D.Lvo 109/1992 e modifiche 28 CONCLUSIONI – Dai risultati ottenuti si evidenzia che il 25% degli esercizi ha mostrato problemi di tipo igienico-sanitario e nel 9% delle strutture sono state rilevate violazioni tali da potere pregiudicare la salute e/o la fiducia del consumatore. Questo ha implicato un maggiore coinvolgimento dei Servizi Veterinari nel controllo della ristorazione collettiva che solitamente è svolto dal Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione, valutato che gli alimenti implicati nei sequestri erano tutti di origine animale. BIBLIOGRAFIA - 1) Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29/11/2001, G.U. n. 33, 08/02/2002. 2) Legge n. 283, 30/04/1962, G.U. n. 139, 04/06/1962 3) D.Lvo n. 109, 27/01/1992, S.O. n. 31 a G.U. n. 39, 17/02/1992 4) Codice Penale, http://www.studiocelentano.it/codici/cp/

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RICERCA DI COSTITUENTI DI ORIGINE ANIMALE IM ALIMENTI AD USO ZOOTECNICO. RISULTATI DELLA ATTIVITA’ DI VIGILANZA IN SICILIA PER L’ANNO 2004 CONTROL OF COSTITUENTS OF ANIMAL ORIGIN IN FEEDSTUFFS IN SICILY: ANNUAL REPORT (2004) Nifosì D, Monteverde V. *, Fiasconaro M. *, Solazzo G. *, Schiavo M.R. * Assessorato regionale per la Sanità-Ispettorato Regionale Veterinario-Regione Sicilia; *Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia Parole chiave: mangimi, BSE, costituenti di origine animale. Key words: feedstuff, BSE, meat meal. SUMMARY – During the year 2004, a total of n. 497 feedstuffs samples, collected in Sicily, were tested for the presence of constituents of animal origin. The method utilised in the screening was the official microscopic method. All samples were found negative. Data obtained show the evidence that national control programmes are efficient to prevent any illegal circulation and contamination of meat meals in animal feeds in order to guarantee food safety. INTRODUZIONE - I prioni sono gli agenti responsabili della diffusione negli animali della encefalopatia spongiforme bovina (BSE) (1). La diffusione di tale patologia, che ha avuto un forte impatto nella zootecnia europea, è legata al consumo di farine di carne contaminate da prioni (2). L’esplosione della BSE e la dimostrata relazione con i casi umani della nuova variante della Creutzefeld-Jakob (nvCJD) (3) ha determinato l’emanazione di efficaci misure di protezione e di prevenzione. Tra le misure emanate dalla unione europea e recepite dai nostri legislatori, la Decisione del Consiglio 2000/766/CE del 4 Dicembre 2000 e il successivo Regolamento (CE) 1234/2003, stabiliscono il divieto di utilizzare proteine animali trasformate destinate all’alimentazione degli animali allevati per la produzione di alimenti, ponendo in deroga alcuni derivati come le farine di pesce per i non ruminanti. La normativa italiana, con la O.M. della Sanità 17 Novembre 2000 è ancora più restrittiva e applica il divieto per tutti gli animali erbivori. L’applicazione delle norme coinvolge molteplici livelli di controllo: in prima persona gli organi di controllo sanitario (servizi veterinari pubblici) per la verifica sul territorio nazionale, e i laboratori sanitari di competenza (IIZZSS) per la ricerca di tali costituenti. L’attività di vigilanza e di controllo è regolamentata da accordi interministeriali (Protocollo d’Intesa tra il Ministero delle Politiche Agricole e il Ministero della Salute) e dal Ministero della Salute con il Piano Nazionale sulla alimentazione animale che dispone i controlli lungo tutta la filiera. Un ulteriore livello di controllo è attuato dalla CE (Food Veterinary Office) che periodicamente effettua delle missioni per verificare la corretta applicazione della normativa europea da parte dei paesi membri. Obiettivo degli autori è illustrare l’attività delle istituzioni regionali per garantire il rispetto delle norme vigenti, attraverso i controlli effettuati sul territorio siciliano da parte delle AUSL. L’identificazione dei costituenti di origine animale è eseguita presso i laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia mediante metodo microscopico. MATERIALI E METODI – I campioni di mangime sono stati prelevati secondo le modalità riportate nel D.M. 20/04/1978. I dati raccolti sono relativi ai controlli effettuati nell’anno 2004. L’identificazione dei costituenti di origine animale è stata effettuata mediante metodo microscopico ufficiale (D.M. del 30/09/99 e successivo D.M. del 09/09/04), basato sulla osservazione al microscopio composto delle caratteristiche peculiari dei frammenti ossei appartenenti a differenti classi (mammifero, volatile, pesce). Il limite di rilevazione del metodo è pari a 0.1%. Il risultato è stato espresso in termini di presenza/assenza. RISULTATI – L’analisi microscopica ufficiale per l’identificazione dei frammenti ossei appartenenti alle diverse classi è una metodologia sensibile, semplice, poco costosa, sebbene richieda una alta specializzazione da parte degli operatori e comporta lunghi tempi di analisi (Foto 1: frammento osseo di mammifero; Foto 2: frammento osseo di pesce).

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Foto 1 Foto 2

I dati di sorveglianza, riportati nelle figure 1, 2, 3 e 4 riguardano i campioni accettati dal 1/01/2004 al 31/12/2004 dall’IZS della Sicilia, tutti di provenienza italiana. In particolare la Figura 1 riporta il numero totale di controlli effettuati divisi nei diversi luoghi di campionamento (allevamento, deposito, esercizio e mangimificio): sono stati prelevati un totale di 497 mangimi preferendo il campionamento in allevamento (336 campioni) . In Figura 2 sono riportati i dati relativi ai controlli effettuati divisi per tipologia di campione (complementare, composto, completo, semplice): in questo caso sono stati attenzionati particolarmente i mangimi complementari (290 campioni). La Figura 3 mostra i controlli effettuati in base alla specie animale destinataria (bovini, ovi-caprini, suini, avicola, lagomorfa) con prevalenza di campioni destinati alla specie bovina (345 mangimi). La distribuzione dei campionamenti nei diversi mesi dell’anno è rappresentata in Figura 4 dove si evidenzia un aumento dei prelievi nel mese di ottobre (77 prelievi), probabilmente da correlare alla ripresa delle attività per il completamento dei piani di controllo.

Fig.1 Numero di campioni/luogo di campionamento

25

336

44

92

deposito

allevamento

esercizio

mangimificio

Fig.2 Numero di campioni/tipologia di mangime

290

96

68

43

complementare

completo

composto

semplice

0 50 100 150 200 250 300 350

bovino

ovi-caprino

suino

aviaria

lagomorfa

equino

Fig.3 Numero di campioni/specie animale

Fig.4 Numero di campioni/mese

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

Gen. Feb. Mar. Apr. Mag. Giu. Lug. Ago. Set. Ott. Nov. Dic.

CONCLUSIONI – In relazione alle misure adottate in campo nazionale nel settore della alimentazione animale allo scopo di prevenire la diffusione della encefalopatia spongiforme bovina e di garantire la salute dei consumatori, la Regione Siciliana ha adottato interventi di controllo a vari livelli: ampliamento del numero di campioni previsto dal PNAA, anche in risposta al protocollo d’intesa siglato tra i due ministeri competenti in materia; istituzione di un flusso informativo che permette alle autorità regionali l’aggiornamento mensile di tutta l’attività di campionamento e dei risultati analitici. I dati raccolti nell’anno 2004 riportano l’assenza di campioni positivi per la presenza di costituenti animali qualunque sia la classe di appartenenza: questo dato, comparato ai precedenti anni sembra dimostrare che il piano di controllo e monitoraggio sia un efficiente strumento per la lotta all’utilizzo di farine animali nella alimentazione animale, nel rispetto della normativa vigente. Inoltre, l’assenza di casi di BSE nel territorio siciliano dall’anno 2003 sostiene la puntuale applicazione, da parte degli allevatori, di tutte quelle misure di profilassi che hanno permesso verosimilmente, l’eradicazione di tale patologia e la garanzia di un alimento sano. BIBLIOGRAFIA- 1) Prusiner S.B. (1991) Science 252, 1515-1522. 2) Taylor D.M. (1997) Revue Scientifique et Technique 16, 187-198. 3) Brown P. (2001) Emerging Infectious Diseases 7, 6-16.

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MONITORAGGIO DEI LIVELLI DI RADIOATTIVITA’ GAMMA NEL LATTE VACCINO DELLA PUGLIA DA CHERNOBYL AD OGGI MONITORING OF GAMMA RADIOACTIVITY LEVELS IN COW MILK OF APULIA SINCE CHERNOBYL UP TO TODAY Nardelli V., Palermo D., Chiaravalle A.E., Mangiacotti M. (Centro Ref. Naz. Radioattività IZS Puglia e Basilicata -Foggia) Parole chiave: monitoraggio, radionuclidi, latte bovino, spettrometria gamma Key words: monitoring, radionuclides, cow milk, gamma spectrometry SUMMARY – The content of artificial radionuclides was determined in a great number of cow milk samples from Apulia region, in order to obtain a better knowledge of the trend of gamma radioactivity levels since Chernobyl up to today. Measurements were performed by high resolution gamma spectrometry. In 1986 and for a one year period of time after Chernobyl the levels were very high (> 30 Bq/l), but since July 1987 the values decreased in a progressive way at a constant rate. Since 1992 the radioactivity levels are very low and comparable with those present before the Chernobyl accident, then there are not caution from the sanitary point of view. Moreover, the data monitored in Apulia region compared well with the national ones. At the present, there is a gradual but significant reduction of radioactive contamination, which is mainly due to a fall-out or to environmental pollution, in our opinion, it is necessary a continuous monitoring in order to prevent such an important problem. INTRODUZIONE – A partire dal 1986, in occasione dell’incidente alla centrale elettronucleare di Chernobyl, il Dipartimento di Chimica dell’Istituto Zooprofilattico della Puglia e della Basilicata è stato direttamente coinvolto ed attivamente impegnato nella peculiare attività istituzionale di controllo degli alimenti prevalentemente di origine animale, fra cui si segnala il latte. Questo alimento occupa un posto rilevante nell’alimentazione umana, in particolare dell’infanzia ed e’, nel contempo, fortemente interessato dalla contaminazione radioattiva. Per questo motivo e poichè l’organismo in crescita è più esposto ai danni causati dalle radiazioni, il passaggio dei radionuclidi artificiali -emittenti dagli alimenti per il bestiame al latte rappresenta un notevole problema di carattere sanitario (1). Lo scopo del presente lavoro è stato quello di acquisire una migliore conoscenza sull’evoluzione del fenomeno della contaminazione di radionuclidi -emittenti nella Regione Puglia nell’arco temporale dal 1986 al 2004 e di rimarcare ancora una volta l’esigenza di considerare il monitoraggio delle concentrazioni di radioattività artificiale nel latte come elemento fondamentale del sistema di controllo radiometrico generale. MATERIALI E METODI – Negli anni 1986-2004 sono stati monitorati un numero elevato di campioni di latte bovino, di diversa provenienza, prelevati secondo il criterio della casualità dagli Organismi Competenti nei luoghi di maggiore produzione e nei centri di raccolta del latte. Il numero complessivo di campioni analizzati risulta essere di circa 6000 unità, costituendo così circa il 30% del totale delle matrici alimentari pervenute nel nostro Dipartimento. L’apparato di misura utilizzato è uno spettrometro gamma ad alta risoluzione, modello “Oxford Instr. CP 25190”, basato su un rivelatore a semiconduttore HPGe di tipo P operante nell’intervallo di energia da 40 keV a 2 MeV, con efficienza relativa del 25%. I campioni di latte da sottoporre a misura non hanno subito alcun trattamento. Tutti i campioni, introdotti in contenitori cilindrici da 200 ml o in beaker di Marinelli da 500 ml e da 1000 ml e posti a diretto contatto con il rivelatore, sono stati conteggiati almeno per la durata di 3600 s (2). Durante lo svolgimento dell’attività di monitoraggio l’apparato sperimentale è stato sottoposto ad un rigoroso controllo di qualità basato su verifiche di stabilità in energia ed efficienza, mediante opportune tarature sia in energia che in efficienza. RISULTATI E CONCLUSIONI –Nel grafico di figura 1 è riportato l’andamento dei valori di Cs-137 nei campioni oggetto d’indagine ed è possibile notare livelli anomali, ossia maggiori di 30 Bq/l, per circa un anno dopo l’incidente di Chernobyl, con una diminuzione

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progressiva ma costante dal Luglio 1987 al Novembre 1992, passando da valori di 20 Bq/l a 0,2 Bq/l.

I livelli registrati dal 1992 in poi si attestano su valori paragonabili a quelli antecedenti a Chernobyl, tanto da non destare alcuna preoccupazione di carattere sanitario. Come già riportato in letteratura (1) la permanenza di livelli alti di Cs-137 per circa un anno può essere attribuita inizialmente all’alimentazione dell’animale con foraggio fresco contaminato, e successivamente nei primi mesi invernali alla somministrazione del foraggio di primo taglio, raccolto ed affienato nel periodo del fall-out. Nello stesso grafico vengono confrontati i dati da noi acquisiti limitatamente alla Regione Puglia con quelli riportati nei rapporti annuali della radioattività in Italia, gentilmente forniti dall’Apat (Anpa). Dall’anno 1986 fino all’anno 1992 sia i valori nazionali che regionali sono espressi su base mensile, mentre a partire dal 1993 fino al 2004 i dati sono stati aggregati su base annuale in quanto i livelli di attività registrati mensilmente non presentano significative variazioni. Il confronto con le rilevazioni della rete nazionale indica un andamento simile delle due curve, anche se i valori registrati nella Regione Puglia, nel periodo compreso tra il 1989 ed il 1991, risultano leggermente più elevati rispetto ai corrispondenti valori nazionali, mentre dal 1992 in poi tali valori risultano confrontabili entro gli errori sperimentali. Dall’analisi di regressione effettuata si evince una buona concordanza fra i dati pugliesi e quelli nazionali, supportata dai valori degli indici di determinazione a conferma che la quasi totalità della variabilità del fenomeno si è riversata nella stessa misura nel territorio regionale e nazionale. In considerazione, pertanto, dei livelli minimi di attività registrati attualmente, sensibilmente al di sotto dei limiti imposti per legge (3), si è deciso di innalzare il tempo di lettura dei campioni di latte ad almeno 7200 s al fine di aumentare la sensibilità e ridurre quindi il valore della minima attività rilevabile (MAR). Se è vero da un lato che gli attuali livelli di radioattività derivano solo dai processi di ricaduta e dall’inquinamento ambientale, dall’altro lato si sottolinea, a nostro avviso, l’importanza del continuo monitoraggio che consente di avere l’esatta conoscenza dell’andamento nel tempo e sul territorio dei livelli di contaminazione, di rilevare con prontezza, in casi di rilasci incidentali, possibili situazioni di attenzione, di allarme o di pericolo e di adottare, quindi, le contromisure necessarie alla radioprotezione degli animali e dell’uomo. BIBLIOGRAFIA – 1) Prodi V.“La contaminazione radioattiva: Chernobyl ieri, oggi, domani” Maggioli Ed. 1988. 2) ENEA-DISP “Metodi di campionamento e misura” Rapporto interno, 1992. 3) Regolamento CEE N° 737/90 e successive modificazioni.

0,01

0,1

1

10

100

85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04

Bq/

l

Puglia

Italia

Fig 1 Concentrazione media di attività di Cs-137 nel latte vaccino

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ELETTROFORESI BIDIMENSIONALE SU SIERI DI VACCHE TRATT ATE CON SOMATOTROPINA BOVINA RICOMBINANTE BIDIMENSIONAL ELECTROPHORESIS ON RECOMBINANT BOVINE SOMATOTROPIN-TREATED COWS Iannone G., Castigliego L., Armani A., Grifoni G., Rosati R., Gianfaldoni D., Guidi A. Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi ed Igiene degli Alimenti, Università di Pisa

Parole chiave: ormone della crescita; latte; rbST; elettroforesi 2D. Key words: growth hormone; milk; bST; 2D electrophoresis. SUMMARY – The recombinant form of bovine somatotropin (rbST) is widely used to increase milk yield in lactating cows. Approved in U.S. and in other Countries, rbST has been definitively banned in E.U. with the Decision 99/218CE. Despite this ban, there are evidences of an illegal rbST use but, actually, there are not analytical methods to demonstrate such kind of treatment. In this work we combined the resolving power of two dimensional electrophoresis with the sensibility of antibody detection, in order to highlight some specific features of serum from rbST treated cows. INTRODUZIONE - La somatotropina bovina (bST), ormone proteico prodotto dalla ghiandola pituitaria, viene ampiamente utilizzata nella sua forma ricombinante (rbST) per aumentare la produttività delle vacche da latte (1). A differenza di molti Paesi, l’Unione Europea ha bandito l’utilizzo di questo ormone (Dec. 99/218CE) (2), del quale, tuttavia, sono stati segnalati casi di ritrovamento in aziende zootecniche. Attualmente, non esistono sistemi analitici in grado di rilevare direttamente il trattamento con rbST, proprio per la sua alta omologia con la molecola nativa. Tuttavia, i progressi raggiunti nel campo della proteomica hanno reso disponibili alcune tecniche utili per la separazione di proteine con differenze minime. Fra queste, si può annoverare l’elettroforesi bidimensionale (2D elettroforesi), che combina la separazione delle proteine in base al punto isolettrico (PI) e al peso molecolare (3). In questo lavoro abbiamo applicato tale metodica per la separazione delle proteine contenute nei sieri di vacche trattate e dei relativi controlli, analizzando più specificamente la bST dopo trasferimento su nitrocellulosa mediante l’utilizzo di anticorpi policlonali. I risultati ottenuti hanno mostrato alcune differenze tra i sieri appartenenti ai due gruppi di animali. La rbST, infatti, possiede un PI leggermente diverso da quello di alcune varianti della forma nativa, le quali, a loro volta, differiscono leggermente fra loro (4). MA TERIALI E METODI – In questo lavoro sono stati utilizzati alcuni campioni di siero provenienti da vacche da latte di razza frisona, trattate con una preparazione commerciale di rbST (Hilac, LG Life Science, 500 mg/dose i.m. ogni 14 gg. come da protocollo) e da altre non trattate utilizzate come controllo. L’analisi è stata effettuata su sieri prelevati a distanza di 24 ore, per 14 giorni successivi alla somministrazione del farmaco. La preparazione dei campioni per l’isoelettrofocalizzazione e la successiva separazione delle proteine è stata eseguita apportando alcune modifiche alle metodiche descritte da Wait R et al. (5). La separazione è stata effettuata su strisce di gel preformate di 7 cm, con gradiente di pH 7-10 (Biorad, Ready IPG-Strips). Al termine di questo processo, le proteine sono state ulteriormente separate, in seconda dimensione, tramite SDS-PAGE, alla quale è stato fatto seguire un trasferimento su membrana di nitrocellulosa per l’analisi in Western blot della bST. Gli anticorpi primari utilizzati sono stati prodotti in precedenza nel nostro laboratorio immunizzando conigli New Zealand con rbST (Hilac). Per la rivelazione finale sono state utilizzate tecniche di chemioluminescenza, al fine di ottenere la massima sensibilità nei confronti di concentrazioni molto basse di proteina. Sono stati impiegati anticorpi secondari anti-IgG di coniglio coniugati alla perossidasi, enzima in grado di rendere fluorescente un particolare substrato (Immuno-Star HRP substrate for ECL). Le radiazioni emesse in corrispondenza degli spot relativi alla bST sono state rivelate tramite l’utilizzo di lastre radiografiche.

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RISULTATI – I pattern degli spot presenti sulle lastre hanno mostrato alcune differenze in relazione al giorno in cui è stato effettuato il prelievo del campione, in seguito all’iniezione del farmaco. Le lastre ottenute analizzando i sieri delle vacche prima e dopo alcuni giorni dalla somministrazione di rbST, nonché quelle relative alle vacche di controllo, mostrano un gruppo di spot, all’altezza del peso molecolare della bST, compresi in un range di pH vicino a 8 (Fig. 1a), perfettamente sovrapponibili a quelli ottenuti dalla separazione in elettroforesi 2D di un preparato di proteina nativa. Ai sieri post-trattamento sono associati due nuovi spot molto ravvicinati e posizionati intorno ad una zona di pH più acida rispetto alla precedente (Fig. 1b). Questi ultimi risultano sovrapponibili a quelli ottenuti separando in 2D preparazioni pure di rbST. La presenza di questi due spot si può notare, a intensità sempre minori, anche oltre il decimo giorno dopo l’iniezione del farmaco; dopo il quarto giorno iniziano a comparire altri spot a valori più elevati di pH (Fig. 1c), coincidenti con quelli della bST nativa. Test ELISA eseguiti sugli stessi sieri per misurare i livelli di somatotropina totale hanno rivelato un sensibile abbassamento dei valori della stessa in corrispondenza del giorno in cui il numero degli spot inizia ad aumentare.

Fig.1: 2D elettroforesi di sieri di vacca a vari stadi di trattamento ormonale con rbST: immunocolorazione delle bST. A: siero di vacca non trattata; B: siero di vacca prelevato dopo 24h dal trattamento; C: siero di vacca prelevato dopo 5 giorni dal trattamento. Gli spot visibili a pesi molecolari maggiori di 22 kD sono il risultato della naturale polimerizzazione fra le singole molecole di somatotropina. CONCLUSIONI - I risultati ottenuti suggeriscono la possibilità di differenziare la somatotropina nativa da quella ricombinante, in virtù del loro diverso punto isoelettrico. Esperimenti effettuati su altre preparazioni commerciali di rbST hanno mostrato, rispetto alle forma endogena, differenze molto simili a quelle riscontrate utilizzando le preparazioni di Hilac. La presenza di due spot, relativi all’analisi di sieri provenienti da vacche trattate e corrispondenti al pattern caratteristico della rbST, è sempre stata osservata in concomitanza alla scomparsa o ad un notevole abbassamento dell’intensità degli spot caratteristici della somatotropina nativa, che ricompaiono solo dopo che la concentrazione totale di bST serica si abbassa sensibilmente. Questo fenomeno potrebbe essere spiegato con l’inibizione a feedback della produzione endogena di somatotropina, per la presenza di alte concentrazione dell’ormone ricombinante. Alla luce delle nostre osservazioni, possiamo concludere che i risultati ottenuti rappresentano un’ulteriore caratterizzazione delle differenze fra bST nativa e rbST, le quali potrebbero essere sfruttate per la messa a punto di un metodo analitico capace di individuare il trattamento delle vacche con l’ormone ricombinante. BIBLIOGRAFIA - 1)BAUMANN D.E. Domest Anim Endocrinol. 1999 Oct;17(2-3):101-16; 2) G.U. L. 331 del 23.12.1999; 3) RIGHETTI, P. G., STOYANOV, A., ZHUKOV, M. Elsevier, Amsterdam 2001; 4) WOOD C.D. et al. J. Biol. Chem.,1989, 264(25): 14741-47; 5) WAIT R et al. Electrophoresis, 2002 23(19) : 3418-27

A B C

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PROFILO DEI GENI CHE CODIFICANO PER LE ENTEROTOSSINE E LA TSST-1 IN S. AUREUS ISOLATO DA LATTE DI CAPRA ALLA PRODUZIONE DETECTION OF ENTEROTOXINS AND TSST-1 GENES IN S. AUREUS ISOLATES FROM GOAT’S BULK MILK Scarano C., Mureddu A., Virdis S., Pilo A.L., Mazzette R., De Santis E.P.L., Bes M.* Dipartimento di Biologia Animale, Sassari; *CNRS Lione Parole chiave: S. aureus, enterotossine, latte di capra Key words: S. aureus, enterotoxins, goat’s milk SUMMARY - Thirty S. aureus strains isolated from goat’s bulk milk were analysed by multiplex PCR for staphylococcal enterotoxins (SEs) and TSST-1 encoding genes. All strains were tested for gyrA, agr I-IV alleles, SEs genes (sea-e, seh, sek, sel, sem, seo) and TSST-1 (tst). SEA-E production was also tested using ELISA. All strains possessed gyrA and agr alleles. Fourteen out of thirty strains harboured either one or more toxin genes and the most common pattern that coexisted in S. aureus was sec, sel and tst (11 strains). Genes seb and seh were not found. Eight different profiles were observed based on the association of agr alleles, SEs and tst. Further test conducted by ELISA given concordances with PCR in eleven out of fourteen enterotoxigenic strains. INTRODUZIONE - S. aureus nel latte di capra di allevamento viene isolato nel 20-30% (9,12) dei campioni esaminati. La contaminazione alla produzione può avere origine da differenti siti dell’animale, dall’ambiente, dalle attrezzature e dagli operatori, come segnalato anche nella filiera ovina e bovina (12,16). Le mastiti subcliniche contribuiscono in misura rilevante alla contaminazione di S. aureus nel latte di capra. Queste patologie interessano il 6,5-67% delle emimammelle (2) e S. aureus può rappresentare il 2,6-37% dei patogeni isolati (1). Il profilo di enterotossigenicità di S. aureus isolato dalla capra, dal latte di capra e dai suoi derivati è definito per le SE di tipo tradizionale (A-E), mentre per le SE di recente descrizione i riferimenti disponibili non sono numerosi (4,15). La carenza di dati epidemiologici è legata anche alla indisponibilità di kit commerciali in grado di ampliare la ricerca alle “nuove” SE, attualmente affidata prevalentemente alle tecniche di biologia molecolare (5). Nel presente lavoro, in ceppi di S. aureus isolato da latte di capra alla produzione, è stata ricercata mediante PCR la presenza dei geni che codificano per le enterotossine stafilococciche (se) - tradizionali e di recente descrizione - e per la TSST-1 (tst). E’ stata inoltre ricercata la presenza del gene regolatore agr, sulla base del cui polimorfismo possono essere individuati 4 gruppi allelici (7). La produzione in vitro di SE è stata inoltre valutata mediante metodo immuno-enzimatico. MATERIALI E METODI - La ricerca è stata condotta su 30 ceppi di S. aureus, isolati da campioni di latte di capra prelevati dal tank refrigerato di 30 allevamenti della Sardegna. La ricerca degli stafilococchi coagulasi positivi sui campioni di latte è stata eseguita secondo quanto previsto dalla norma FIL-IDF 60:2002. I ceppi sono stati isolati da colonie con caratteristiche tipiche sui quali sono stati condotti i seguenti test: colorazione di Gram, catalasi, attività emolitica (agar sangue di montone 5%), produzione della coagulasi libera (Coagulase Plasma-EDTA; BioMérieux, France) e legata (Staphytect Plus Test; Bio-Rad, France), produzione della DNAsi (blu di toluidina DNA agar; Bio-Rad, USA) ed identificazione biochimico-metabolica (API ID 32 STAPH; BioMérieux, France). La produzione delle SE A-E è stata determinata sul surnatante delle brodoculture mediante ELISA (Biopharm, Germania). Mediante PCR Multiplex è stata effettuata la ricerca di: a) gyrA, gene che codifica per l’enzima girasi, quale conferma dell’identificazione di specie; b) agr (I–IV), geni regolatori; c) sea, seb, sec, sed, see, seh, sek, sel, sem, seo e tst, geni che codificano per le SE A-E, H, K, L, M, O e per la TSST-1. L’estrazione del DNA con l’impiego di lisostafina, proteinasi K, fenolo e cloroformio, l’esecuzione delle tecniche di PCR multiplex ed i controlli positivi utilizzati sono stati descritti in Jarraud S. et al. (2002). Tutti i prodotti di PCR venivano separati mediante corsa elettroforetica in gel di agarosio

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(1,5%). Previa colorazione con bromuro di etidio le bande venivano visualizzate mediante un transilluminatore UV e fotografate. RISULTATI - I ceppi isolati appartenevano alla specie S. aureus in base alla presenza del gene gyrA, all’identificazione mediante API ID 32 STAPH ed ai risultati dei test, che hanno evidenziato la produzione della coagulasi libera, della coagulasi legata e DNAsi. Mediante ELISA è stata rilevata la produzione di SEA in 1 isolato, di SED in 1 e di SEC in 12 (40%). Nei ceppi saggiati la produzione di SEB e SEE è risultata non rilevabile. Mediante PCR multiplex è stata evidenziata la presenza di agr e, in particolare, in 11 ceppi agr I, in 1 agr II e in 18 ceppi agr III. Nessuno dei ceppi isolati presentava l’allele agr IV. Sono stati rilevati i geni sea (n.1 isolato), sec (n. 12), sed (n. 1), see (n. 1), sek (n. 1), sel (n. 3), sem (n. 1), seo (n. 1) e tst (n. 12). In nessun ceppo sono stati evidenziati i geni seb e seh. I test PCR e ELISA hanno consentito di rilevare in 12 ceppi, rispettivamente i geni e la produzione in vitro della corrispondente SE e, in particolare, SEA (n.1 ceppo) e SEC (n.11 ceppi). I due test hanno fornito esito discordante in 4 dei ceppi isolati e rispettivamente: in presenza del gene sec, non era rilevabile la produzione di SEC; la produzione di SEC era rilevabile mediante ELISA in assenza di sec; in presenza del gene sed, non era rilevabile la produzione di SED; in presenza di see non è stata rilevata SEE mentre veniva evidenziata SED pur in assenza del corrispettivo gene sed. I profili tossigenici sono riportati in tabella 1. Tabella 1. Profilo tossigenico di S. aureus isolato in latte di capra di allevamento

profilo ceppi n. agr (gruppo) geni SE TSST-1 T1 6 III - T2 10 III sec, sel tst T3 1 III sed T4 1 III sea, see, sek tst T5 1 I sec, sel, sem, seo T6 9 I - T7 1 I sec, sel tst T8 1 II -

CONCLUSIONI - I risultati ottenuti consentono di delineare un profilo ampio e definito della enterotossigenicità di S. aureus isolato da latte di capra alla produzione. Mediante PCR uno o più geni se sono stati rilevati in 14 ceppi (46,7%), mentre il test ELISA ha evidenziato la produzione di SE tradizionali in 13 (43,3%). I ceppi di S. aureus isolati mostravano una attività enterotossigenica inferiore rispetto ai livelli riscontrati da AA in ceppi isolati dal latte di allevamento (61,8%) (15) e da mastiti cliniche della capra (70-80%) (3,4). In ceppi di origine caprina la presenza di sec e la produzione di SEC rappresentano una caratteristica frequentemente evidenziata in studi biomolecolari e su base fenotipica di AA, mentre soltanto più raramente vengono prodotte altre SE o sono rilevabili i corrispondenti geni se (5,12). In 12 ceppi è stata rilevata la contemporanea presenza dei geni sec, tst e sel, localizzati nella medesima isola di patogenicità (10). Tale associazione è di frequente riscontro anche in ceppi di origine umana e bovina (6,10). BIBLIOGRAFIA - 1) Bergonier D. et al (1998) 6th Int. Symposium on the Milking of Small Ruminants, sept 26-oct 1, Athens. 2) Contreras A. et al (2003) Liv Prod Sci, 79, 273-283. 3) Da Silva E.R. et al (2005) Vet Microbiol, 106, 103-107, 4) De Buyser M.L. et al (1987) Int J Food Microbiol, 5, 301-309. 5) European Commission (2003) Opinion of SCVMPH on staphylococcal enterotoxins in milk products, particularly cheeses. 6) Fitzgerald J.R et al (2001) J Bacteriol, 183, 63-70. 7) Jarraud S. et al (2002) Infect Immun, 70(2), 631-641. 8) Haenlein G.F.W. (2002) Small Rum Res, 45, 163-178. 9) Hahn G. et al (1992), Arch Lebensmittelhyg, 43(4), 89-93. 10) Kuroda M. et al (2001) Lancet, 357, 1225-40. 11) Lindqvist R. et al (2002) Int J Food Microbiol, 78, 155-170. 12) Muehlherr J.E. et al (2003) J Dairy Sci, 86, 3849-3856. 13) Rosec J.P. et al (2002) Int J Food Microbiol, 77, 61-70. 14) Sharma N.K. et al (2000) Appl Envir Microbiol, 66, 1347-1353. 15) Scherrer D. et al (2004) Vet Microbiol, 101, 101-107. 16) Vautor E. et al (2003), Vet Microbiol, 96(1), 69-79.

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AFLATOSSINE NELLA FILIERA LATTIERO-CASEARIA DA AGRICOLTURA BIOLOGICA AFLATOXINS IN ORGANIC MILK AND DAIRY PRODUCTS Vallone L., Boscariol D. e Dragoni I., Dipartimento di Scienze e Tecnologie Veterinarie per la Sicurezza Alimentare, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Milano Parole chiave: aflatossine, latte bio, crescenza bio Key words: aflatoxins, organic milk, organic cheese SUMMARY – A research “from feed to food” have been developed to evaluate the carry-over of aflatoxins B1 and aflatoxins M1 in unifeed, organic milk and “Crescenza” chese. The value of carry-over is 2,6 % from unifeed to organic milk and become about 200 % from milk to “Crescenza” cheese. INTRODUZIONE – La ricerca di aflatossina M1 nella filiera di produzione di un formaggio fresco biologico risponde a due esigenze: quella di valorizzare la reale salubrità del prodotto (che viene somministrato a bambini della ristorazione scolastica del Comune di Milano) e quella di controllare quale sia il fattore di conversione della micotossina eventualmente presente nel latte biologico nei riguardi del formaggio derivato. Il limite fissato per questa micotossina, i cui effetti tossici sono ampiamente conosciuti, è pari a 0,05 µg /kg di latte(Reg. CE n. 466/01) e quello fissato per i formaggi dalla Legislazione Svizzera è pari a 0,25 µg/kg. MATERIALI E METODI – L’azienda agricola presso la quale si è svolta questa sperimentazione è situata nella provincia di Lodi e si estende su 500 ettari di terreno coltivato a foraggiere e su 50 ettari tenuti a bosco e pascolo, con circa 800 capi bovini. L’azienda svolge un ciclo completo di trasformazione dei vegetali in alimenti di origine animale. Per questa ricerca sono stati analizzati, in un periodo compreso tra novembre 2003 e novembre 2004, 22 campioni di unifeed, 22 campioni di latte crudo e 22 campioni di crescenza prelevati con cadenza quindicinale. Sono stati inoltre prelevati 44 campioni di crescenza di produzione convenzionale dai banchi della GDO, scelti tra i marchi maggiormente conosciuti e diffusi. Per la determinazione di aflatossina B1 nei campioni di unifeed è stato utilizzato un kit elisa AFLAPLATE B1 (Biopharm); per la determinazione di aflatossina M1 nel latte e nel formaggio è stato utilizzato un kit Elisa Ridascreen Aflatoxin M1 (Ribopharm). Le analisi dei campioni di latte e di crescenza bio sono state effettuate in parallelo anche in HPLC secondo la metodica suggerita da Sharman e coll., quelle dei campioni convenzionali solamente con questo ultimo sistema. RISULTATI – Relativamente ai risultati ottenuti dalla ricerca sulla crescenza da agricoltura biologica si può affermare che nonostante la presenza di AFM1 sia frequente, questa è sempre ampiamente al di sotto dei limiti previsti dalla normativa svizzera, a cui si fa riferimento mancando attualmente limiti comunitari. Le contaminazioni più elevate si sono riscontrate nel periodo compreso tra Novembre 2003-Marzo 2004, periodo in cui la Regione Lombardia si è trovata ad affrontare una vera e propria emergenza igienico-sanitaria nei confronti del latte prodotto sul territorio. L’elevata contaminazione da AFM1 in quel periodo è da ricondurre all’utilizzo, nell’alimentazione delle bovine, di granella di mais fortemente contaminata da AFB1 a causa delle peculiari condizioni climatiche dell’estate 2003, molto calde e con alto grado di umidità che hanno favorito lo sviluppo delle muffe produttrici di AFB1 durante lo stoccaggio sia di colture tradizionali sia biologiche. Le contaminazioni della crescenza BIO sono risultati sempre inferiori a quelle della crescenza “convenzionale” in tutto il periodo considerato. Per quanto riguarda le relazioni tra la contaminazione da AFB1 e AFM1 rispettivamente riscontrate nei foraggi (unifeed) e nel latte BIO, si può notare come i campioni di latte risultati più contaminati non corrispondono ai campioni di unifeed con quantità di AFB1 più elevati. Si deduce, quindi, che le quantità di AFB1 presenti nell’unifeed, trasformate e veicolate nel latte come AFM1 dipendono anche da altri fattori quali le condizioni fisiologiche degli animali, l’età, lo stato immunitario, la genealogia, la razza, lo stato di salute della mammella, come già

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rilevato in altri lavori. L’indice di conversione calcolato tra AFB1 e AFM1 da unifeed BIO a latte BIO si attesta intorno ad un valore medio di 2,6 % (allineato con i risultati di un nostro precedente lavoro) mentre nella crescenza BIO, derivata da latte contaminato si attesta intorno al 200 %. CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONI - Dai risultati di questo lavoro si rileva come la prevenzione ed il controllo della contaminazione dei foraggi da muffe tossinogene sia molto difficile e coinvolge i prodotti dell’agricoltura tradizionale come quelli dell’agricoltura biologica. Le aflatossine prodotte in unifeed subiscono normalmente una diluizione nel latte e quindi una concentrazione nei formaggi stagionati derivati, che normalmente è di cinque volte. Il fatto che la crescenza sia un formaggio fresco impedisce una concentrazione così elevata di aflatossine e il suo valore è doppio rispetto a quello del latte, rimanendo sicuramente entro i limiti previsti. La crescenza biologica risulta comunque più sicura dal rischio aflatossina M1, in quanto il latte di origine prodotto da vacche particolarmente curate dal punto di vista del loro benessere generale e dell’igiene della mammella, è sicuramente meno contaminato del latte convenzionale, come risulta anche da nostri precedenti lavori. BIBLIOGRAFIA – 1) Verderio A. (2001) Quaderni della Ricerca 2001, Regione Lombardia. 2) Hussein S.H et al (2001) Toxicity, metabolism d impact of mycotoxines on humans and animals Toxicology 167, 101-134. 3) Hollinger K. Et al. (2000) Mycotoxicosis in food producing animals, Veterinary Clinics of North America, vol. 15, 133-163. 4) Sweeney M.J. et al. (1998) Mycotoxin production by Aspergillus, Fusarium and Penicillium species, Int. J. Food Microbiology, 43, 141-158. 5) Stoloff L. et al. (1997) Mycotoxins and other fungal related food problems, Park Forest South, Phatotoxicology. 6) Beretta C. (1984) Tossicologia Vetrinaria, Ed. Grasso, Bologna. 7) Dragoni I. et al. (2001) 36° Simposio Internazionale di Zootecnia, Portonovo (An). 8) Dirkensen G. et al. (2004) Medicina interna e chirurgia del bovino, Point Veterinarie Italie, 1259-1260. 9) Applebaum R. S.et al. (1982) Aflatoxin: toxicity to diary cattle and occurrence in milk products, J. Food Prtection, 45, 752-777. 10) Pietri A. et al. (1987) Aflatoxin M1 occurrence in samples of grana padana cheese, Food Additivies and Contaminants, 5, 133-139. 11) Quintavalla S. et al. (1985) Indagine sulla presenza di aflatossina M1 nel latte e derivati, Industria e conserve, 60, 85-91. 12) Sharman M. N. et al. (1989) Application of an immunoaffinity column sample clean-up to the determination of aflatoxin M1in cheese, J. of Cromatography, 474, 457-461

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EMERGENZA AFLATOSSINE IN VALLE D'AOSTA NELL’ANNO 2004 VALLE D’AOSTA AFLATOXIN EMERGENCY IN 2004 Decastelli L.1, Lai J. 1, Rastelli M. 1, Ferro G.L. 1, Sezian A.2, Oldano F. 2, Ruffier M. 2, Bandirola C. 2, Orusa R. 1, Gramaglia M1. 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, 2 Azienda U.S.L. della Valle d’Aosta Parole chiave: micotossine, aflatossine, mangimi, latte Key words: mycotoxins, aflatoxins, feedstuffs, milk SUMMARY - Aflatoxin B1, a common occurring type of aflatoxin in feedstuffs, is a potent cancer-causing agent. Lactating cows fed with aflatoxin-contaminated feeds trasmit the toxin, as the metabolic form aflatoxin M1, into the milk with high risk for consumers. Samples of milk and feedstuffs has been analysed in Valle d'Aosta and presence of aflatoxins was higher than the maximum allowable in some of them. From January to December 2004, 296 samples of milk and 541 samples of feedstuff were analysed with an ELISA immunoassay. By the HPLC analysis, 5 milk samples (1,7%) and 44 (8,1%) feedstuff samples have been found positive. INTRODUZIONE - Le micotossine sono sostanze tossiche prodotte dal metabolismo di alcuni funghi (Aspergillus, Stachyobotris, Penicillium, Fusarium, Cephalosporium, ecc.). La crescita fungina e la formazione di micotossine può avvenire su numerose specie vegetali e può causare seri rischi per la salute dell’uomo e degli animali (1). Le aflatossine rappresentano la famiglia più nota e studiata di micotossine: ad oggi ne sono conosciute 18, ma di queste, soltanto quattro sono state riscontrate negli alimenti (B1, B2, G1, G2). L'aflatossina B1 (AFB1) se ingerita da animali in lattazione passa nel latte come suo metabolita, l’aflatossina M1 (AFM1), possibile cancerogeno (2). L’AFB1 nei mangimi risulta l’unica micotossina indicata e normata nelle direttive comunitarie e nei decreti nazionali: il decreto legislativo 10 maggio 2004, n.149 (attuazione delle direttive 2001/102/CE, 2002/32/CE, 2003/57/CE, 2003/100/CE) fissano i limiti per l’AFB1 in termini di mg/Kg (ppm) di mangime al tasso di umidità del 12% sia per quel che riguarda le materie prime sia i mangimi nelle varie formulazioni destinati alle differenti produzioni. In seguito alla messa in opera del piano di autocontrollo per la ricerca di aflatossina M1 nel latte e nei prodotti lattiero-caseari da parte dei caseifici, sono state riscontrate delle positività, relative al superamento del valore soglia, in alcuni campioni di latte provenienti dalla Valle d'Aosta. Ciò ha determinato, da parte dei Servizi Veterinari, l'implementazione di piani di sorveglianza e, da parte della Regione Autonoma Valle d’Aosta, di un piano regionale di monitoraggio su coordinamento sempre dei Servizi Veterinari per il controllo del latte, dei prodotti lattiero-caseari e dei mangimi per l'intero anno 2004. Nel presente lavoro si riportano i dati relativi al latte crudo di massa e agli alimenti ad uso zootecnico per la regione Valle d'Aosta nell'anno 2004, secondo i controlli effettuati dai Servizi Veterinari in fase di Vigilanza e in seguito all’istituzione del Piano Regionale di Sorveglianza. MATERIALI E METODI - Nell'anno 2004 sono stati analizzati, dall'Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, n° 296 campioni di latte (51 effettuati dai Veterinari dell’U.B. 350-Igiene Alimenti di Origine Animale dell’USL della Valle d’Aosta in sede di vigilanza e 246 nel quadro del Piano Regionale su coordinamento dell’U.B. Igiene Allevamenti e Produzioni Zootecniche dell’USL della Valle d’Aosta) e n° 541 campioni di alimenti ad uso zootecnico provenienti da allevamenti della regione Valle d'Aosta prodotti fuori regione. I campioni di mangime sono stati prelevati secondo il D.M. 20/04/1978. L'analisi sul latte e sui mangimi per quanto riguarda le aflatossine è stata effettuata prima con un metodo di screening, l'ELISA, saggio immunoenzimatico che permette di analizzare un numero elevato di campioni alla volta a costi contenuti. Successivamente i campioni che superavano la soglia stabilita per legge (per AFM1 del latte: 50ppt; per AFB1: 0,2 ppm nel mais e nei mangimi semplici e 0,005 ppm nei mangimi complementari/completi per bovine da latte), sono stati sottoposti ad analisi di conferma in HPLC. Il kit utilizzato per l’ELISA nel latte è L’Immunoscreen M1 (Tecna); il kit utilizzato per l'ELISA nei mangimi è l’ImmunoscreenAFLA (Tecna).

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La prova di conferma in HPLC consiste in una determinazione quantitativa di aflatossina M1 per il latte e B1 per i mangimi (l’unica normata) mediante cromatografia liquida con detector a fluorescenza (λecc 360nm; λem 430nm), previa purificazione dell'estratto in solvente organico mediante colonna di immunoaffinità (LOQ: 5 ppb). La tipologia dei campioni analizzati è descritta nella Tabella n° 1. Tab. 1 Matrici dei campioni di mangime analizzati

TIPOLOGIA CAMPIONI ANALIZZATI IN V. D'AOSTA ANNO 2004 n° mangimi

semplici/materie prime

n° campioni di mais

n° mangimi complem./completi/ composti/unifeed N° campioni

49 28 464 RISULTATI – I risultati ottenuti sui campioni di latte sono schematizzati nella figura 1. Fig. 1 Dati relativi al latte nel 2004

Sul totale dei campionamenti di latte effettuati durante l’intero anno 2004 abbiamo avuto l’ 1,7% di positività (5 su 296), marcatamente situate nel primo semestre dell’anno con il 7,8% di positivi (4 su 51) contro lo 0,4% del secondo semestre (1 su 246). I risultati relativi ai campioni di mangime sono schematizzati nella figura 2. Sul totale dei campionamenti di mangime effettuati durante l’intero anno 2004 abbiamo dunque 8,1% di positività, anche qui evidenziata nel primo semestre dell’anno con il 10,9% di positivi (41 su

377) contro l’ 1,8% del secondo semestre (3 su 164).

Fig. 2 Dati relativi ai mangimi nel 2004

La tipologia dei mangimi positivi è schematizzata nella figura 3. Fig. 3 Tipologia dei mangimi positivi.

Dei 44 campioni positivi 28 sono rappresentati dal pannello di mais (63,6%), 1 da un mangime semplice, granella di mais, (2,3%) e 15 da mangime complementare (34,1%). Si segnala l’elevata positività nei mangimi contenenti pannello di mais, di uso tradizionale nella regione Valle d’Aosta. CONCLUSIONI – La diminuzione delle positività nell’arco dell’anno dimostra la validità dell’approccio effettuato dalla regione per contenere il problema aflatossine, sia potenziando l’autocontrollo che il controllo ufficiale. Tale andamento è sicuramente legato all’istituzione del Piano di Sorveglianza Regionale per le aflatossine, che ha evidenziato i punti critici e ha permesso di limitare le positività nel corso dell’anno. BIBLIOGRAFIA - 1)Yannikuoris A., Jouany Animal Research, 51, 81-99 (2002); 2) Sweeney MJ, Dobson DW International Journal of Food Microbiology, 43, 141-158 (1998).

28

1

15

Pannel lo di mais Mangime sempl ice Mangime

complementar e

296291

5

Campioni totaliCampioni negativiCampioni posit ivi

541497

44

Campioni totaliCampioni negat iviCampioni posit ivi

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INFLUENZA DEL METODO DI CATTURA SULLA QUALITÀ DI ORAT E ALLEVATE

INFLUENCE OF CATCHING METHOD ON THE REARED GILTHEAD SEABREAM QUALITY Panebianco A., Ilacqua I., Fortino G.L., Ziino G., Giuffrida A. Dipartimento Sanità Pubblica Veterinaria, Messina

Parole chiave: orata, muscolatura, metodo di cattura, ispezione alimenti di origine animale Key words: gilthead seabream, muscle, catching method, inspection of food of animal origin

SUMMARY – In this study was evaluated the influence of two different catching methods (conventional ice slurry and ice slurry + carbon dioxide anoxia) on some biochemical and quality aspects of reared gilthead seabream. No significant differences were found with regard to ATP depletion, pH, lipid oxidation (TBA) and bacteriological parameters, during the storage at 4°C whereas rigor mortis and QIM score were lowest, but not significatively, in fish treated with CO2. Furthermore, the TBA value of CO2 group was significatively higher, after 30 days of freezing. Considering that the use of CO2 caused a faster presumptive fish death and did not produce very important quality difference compared with conventional ice slurry, the Authors considered the use of ice slurry + carbon dioxide very useful to realize a “human” slaughter of reared gilthead seabream.

INTRODUZIONE – In questi ultimi anni il problema della macellazione dei pesci allevati è stato attenzionato da numerosi ricercatori (1, 2, 4, 10), non soltanto per quanto attiene agli aspetti inerenti il trattamento umanitario ma anche per le potenziali implicazioni nella qualità dei prodotti derivati. Numerosi sono stati gli studi volti a caratterizzare gli effetti dell’elettronarcosi, dell’anestesia carbonica e della c.d. annoccatura, associati o meno al dissanguamento, nei Salmonidi allevati, mentre, minori i contributi sui sistemi di macellazione dei pesci marini allevati. In questo settore, piuttosto, essendo ampiamente diffuso e tecnicamente molto pratico, il c.d. crio-shock, sono state valutate le possibili varianti di tale sistema (diversi tipi di ghiaccio, diversi rapporti tra acqua e ghiaccio, diversi tempi di sospensione dell’alimentazione prima della pesca) (4, 6) in relazione ai tempi di morte dei pesci e alle conseguenti caratteristiche organolettiche e reologiche dei prodotti. In via del tutto sperimentale, è stata, pure, valutata la possibilità d’impiego dell’elettrocuzione, del trauma cranico e dell’anestesia carbonica su spigole ed orate (2, 9), ma con risultati non sempre soddisfacenti. Infatti, pur a fronte di tempi di morte decisamente superiori, il c.d. crio-shock ha quasi sempre fornito, relativamente alle caratteristiche organolettiche, i migliori risultati. Tutto ciò, almeno nel nostro Paese, è complicato dal fatto che detto metodo non è considerato una vera e propria macellazione visto che il pesce morirebbe per semplice anossia. Di contro, l’impiego di altre tecniche, ipoteticamente più umanitarie, verrebbero codificate, sulla base della Circolare 23/93, come vera e propria macellazione, implicando la realizzazione, all’interno degli impianti di itticoltura marina, di locali all’uopo autorizzati. Visto che, comunque, sussistono tutti i motivi per ritenere che tale problematica venga, nel prossimo futuro, affrontata, specie nel contesto delle nuove attenzioni verso l’intera filiera alimentare (Regolamenti CE 178/2002, 852/2004, 853/2004, 854/2004 e 882/2004) abbiamo ritenuto interessante svolgere un’indagine al riguardo, cercando di valutare gli effetti di un potenziale sistema di macellazione dell’Orata, facilmente applicabile alla realtà degli impianti italiani di itticoltura marina.

MATERIALI E METODI – La presente indagine è stata effettuata nel corso di un ciclo di pesca presso un allevamento della Sicilia orientale. In particolare, 30 Orate (Gruppo controllo) venivano immesse in una miscela di acqua e ghiaccio in rapporto di 1/1, secondo le procedure standard utilizzate dall’impianto, mentre altre 30 (Gruppo CO2) venivano poste in una vasca contenente 842 litri di una miscela acqua/ghiaccio (1:1) preventivamente saturata insufflando CO2 a mezzo di un tubo poroso della lunghezza di 35 cm e del diametro di 1,5 cm; Il gas veniva immesso con una pressione di 1,5 bar. Tutti i campioni, dopo circa 30 minuti, venivano, confezionati in ghiaccio e avviati al laboratorio. Qui, 10 pesci per ogni gruppo venivano immediatamente posti a -20°C e mantenuti in queste condizioni per 30 giorni. Sui restanti 20 soggetti per gruppo, si effettuavano, in triplice, le seguenti determinazioni analitiche: - valutazione del pH muscolare ad intervalli di 24 ore fino alla 72a ora; - valutazione del consumo di ATP secondo la metodica di Koronen et al (1996) (6), ad intervalli di 24 ore fino alla 72a ora; - valutazione della concentrazione dei prodotti dell’irrancidimento mediante la determinazione

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delle sostanze reattive all’acido Tiobarbiturico (TBA), secondo la metodica di Poste et al. (1986) (8), ad ogni 48 ore fino alla 192a ora; - indagini batteriologiche sulla muscolatura, ad intervalli di 4 giorni l’una dall’altra, fino al 21° giorno di conservazione, per la determinazione della Carica Batterica Totale (CMT - Plate Count Agar - Oxoid -, 30°C x 72h) e dei Batteri Produttori di Idrogeno Solforato(BPIS - Iron Agar, 30°C x 72h). Per tutti i campioni veniva, inoltre, effettuata, nell’arco dei primi 10 giorni di conservazione, la valutazione delle proprietà dielettriche della muscolatura, mediante Torry-meter e un attento esame organolettico, utilizzando il Quaity Index Method (5) integrato dall’accertamento dello stato di rigor (pre-rigor, rigor, post-rigor, assente). I campioni venivano mantenuti per tutto il periodo della sperimentazione a + 4°C. Sui prodotti congelati, dopo scongelamento in condizioni di refrigerazione, veniva effettuata la valutazione del TBA dopo 24 e 72 ore dallo scongelamento e valutazioni batteriologiche (CMT e BPSI) sulla muscolatura, a 4, 8 e 12 giorni dallo scongelamento.

RISULTATI – I pesci del gruppo controllo hanno manifestato movimenti intensi con contrazioni evidenti per circa 20 secondi dall’immissione nella miscela di ghiaccio e acqua, andando a morte in circa 10 minuti, mentre i soggetti del gruppo CO2, hanno mostrato intense contrazioni per circa 60 secondi, andando a morte in 4-5 minuti. Le piccole differenze messe in evidenza tra i due gruppi, specie per quanto riguarda il consumo di ATP, non sono risultate significative. Assolutamente sovrapponibili, ancora, i valori di TBA che sono risultati, peraltro, poco intensi in entrambi i gruppi. Qualche differenza, specie a fine periodo di conservazione, si è osservata, invece, per quel che riguarda i punteggi di QIM. Si trattava, per lo più, di modificazioni dell’occhio che appariva, nel gruppo CO2, più appiattito, dopo 10 gg di conservazione, e del colore delle branchie che mantenevano un rosso più scuro. Il rigor mortis invece, è scomparso dopo 72 ore nei soggetti controllo, e dopo 48 ore nei pesci sacrificati con la CO2. Infine, i valori di CBT e di BPIS sono stati, in entrambi i casi, sempre al di sotto dei Log 2 ufc/g di muscolo, senza differenze significative tra i gruppi. Nei pesci decongelati, invece, sono state osservate differenze statisticamente significative nei valori di TBA, visto che i campioni controllo hanno avuto valori sovrapponibili a quelli freschi a fine conservazione, mentre quelli del gruppo CO2 si sono attestati a valori medi pari a 0,51 mg di malonaldeide equivalenti per 100g di prodotto.

CONCLUSIONI – I risultati ottenuti appaiono piuttosto interessanti, considerato, innanzitutto, che, in una precedente indagine (8), l’impiego della CO2, semplicemente disciolta in acqua, aveva determinato un più intenso consumo dell’ATP e conseguenti maggiori incrementi dei valori di TBA, probabilmente derivanti dalla precoce attivazione delle xantino-deidrogenasi muscolari ed alla formazione di H2O2. Stando ai nostri risultati, l’influenza dell’anidride carbonica sulla stabilità dei lipidi si sarebbe, invece, manifestata maggiormente nei pesci congelati, laddove, all’effetto delle basse temperature, si sarebbe sovrapposto quello dell’ossigeno liberato in seguito alla scissione della CO2 ed alla formazione di Acido carbonico. Verrebbe, anche, confermata la mancanza di precise relazioni tra contaminazione batterica e sistema di sacrificazione dei pesci, come già evidenziato in precedenti indagini (3), ferma restando l’elevata qualità dell’allevamento e dei campioni che può aver minimizzato eventuali differenze. Al di là di tutto ciò, è certamente interessante rilevare come anche a fronte di tempi di morte presuntiva decisamente più lunghi, l’impiego del crio-shock si dimostri un ottimo metodo di sacrificazione nei riguardi degli aspetti qualitativi dei pesci, come, peraltro, già segnalato da diversi Autori (4, 6, 10). Al riguardo, la mancanza di relazioni tra lo stress apparentemente indotto e i parametri analitici saggiati, potrebbe dipendere dalla precoce riduzione della temperatura tale, ad esempio, da bloccare le ATPasi e le xantino-deidrogenasi muscolari. La più lunga agonia non consentirebbe, comunque, di considerare “umanitario” tale sistema, cosa che potrebbe far preferire, in assenza di differenze qualitative evidenti, l’impiego della CO2 in associazione al crio-shock.

BIBLIOGRAFIA – 1) Ambroggi F et al (1996) Ind Cons, 71, 157–161. 2) Caggiano M (2000) CIHEAM-IAMZ 51, 149-154. 3) Giuffrida A et al (2003) Atti AIVI 13, 181-186. 4) Gines et al (2002) Acqua Int, 10, 379-389. 5) Huidobro et al (2000) J Food Sci, 65, 47-54 6) Huidobro et al (2001) Europ Food Res Tech, 213, 267-272.. 7) Korhonen R (1990) J. Food Sci, 55, 346-348. 8) Marino S. Tesi laurea Med. Vet.- Messina AA 2001-2002. 9) Poste LM et al (1986) J. Food Science, 23, 164-167. 10)Van de Vis H et al (2003) Aqua. Res 34, 211-220.

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RAPIDA CARATTERIZZAZIONE DEL PRODOTTO ITTICO FRESCO E DECONGELATO TRAMITE NIRS (NEAR INFRARED SPECTROSCOPY) RAPID CHARACTERIZATION OF FRESH AND FROZEN-THAWED FISH PRODUCTS BY NIRS (NEAR INFRARED SPECTROSCOPY) Fasolato L.,*Novelli E,**Mirisola M. ,*Balzan S.,*Lopparelli R.M.,**Serva L.,**Segato S. Scuola di Specializzazione in “Allevamento, Igiene, Patologia delle Specie Acquatiche e Controllo dei Prodotti derivati”; *Centro Sicurezza Alimentare S.r.l.- Thiene; **Dip. Scienze Zootecniche - Università degli Studi di Padova Parole chiave: classificazione, NIR spectroscopy, fresco, decongelato, prodotto ittico, Key words: classification, NIR spectroscopy, fresh, frozen, fish products, SUMMARY – In order to discriminate between fresh and frozen-thawed fish products, a study was carried out to evaluate NIRS (Near Infrared Reflectance Spectroscopy) performance in predicting activity water (aW), pH, moisture and expressible drips (ED) of muscles. Samples (n = 141) of Solea spp. were submitted to instrumental analysis and minced wet muscle were scanned in reflectance mode using a NIRSystem 5000. NIRS technique showed a higher precision in predicting ED (fraction of explained variance, R2 = 0.83 and estimate of R-square, r2 = 0.55) and aW (R2 = 0.84; r2 = 0.69). Results show that NIRS was able to discriminate between fresh (99% samples recognized) and frozen-thawed (77% samples recognized) raw fillet. INTRODUZIONE – Lo strumento NIRS (Near Infrared Reflectance Spectroscopy) potrebbe essere facilmente impiegato per la rapida e non distruttiva caratterizzazione della qualità del prodotto ittico. Tale metodica multianalitica secondaria è in grado, infatti, di determinare sia caratteristiche reologiche che nutrizionali del pesce; essa viene inoltre suggerita quale ausilio alla tracciabilità ed autenticità del prodotto. In tale ottica, alcuni Autori (1) hanno testato la capacità di classificazione del NIRS su prodotto di cattura fresco e decongelato in condizioni di laboratorio, ottenendo incoraggianti risultati. La presente ricerca ha inteso verificare la capacità analitica e discriminante del NIRS in pleuronettiformi freschi e decongelati comunemente reperiti in commercio. MATERIALE E METODI – Campioni di pleuronettiformi (Solea spp.) freschi (n = 227) e congelati interi (n = 38) e in filetto (n = 12) sono stati prelevati nel novembre 2004 da differenti punti vendita. Il prodotto fresco (peso intero 227 ± 86 g) è stato sempre mantenuto alla temperatura di (4 ± 1 °C) fino al momento dell’ analisi di laboratorio a 24 ore dall’arrivo. Dopo dissezione degli animali è stato rilevato il pH muscolare con elettrodo ad infissione; sono state quindi prelevate aliquote di muscolo per la determinazione dell’acqua libera (aW) mediante strumento (Aqualab, Decagon), delle perdite di essudato per compressione (ED) (2) e dell’umidità (3). Le medesime analisi sono state effettuate sul prodotto congelato (-18 °C) previo scongelamento all’aria (peso scongelato 164 ± 52 g). Per la costituzione del dataset NIRS sono stati utilizzati 106 pesci freschi e 35 decongelati prelevando 20 g di muscolo da ciascun esemplare. Ogni aliquota è stata macinata con mulino da laboratorio Retsch (10 s a 4000 giri) e letta in doppio in riflettanza con strumento FOSS Nirsystem 5000 (1100-2500 nm, gap 2 nm) in cellette circolari. La calibrazione utilizzata è stata del tipo MPLS (modified partial least square) con validazione incrociata (4); sugli spettri sono stati eseguiti trattamenti matematici quali la derivata seconda e una correzione SNVD (standard normal variate and detrend) di WinISI. I dati di laboratorio sono stati sottoposti ad ANOVA (PROC GLM di SAS) in relazione all’effetto principale metodo di conservazione (Fresco vs. Decongelato). RISULTATI E CONCLUSIONI –. L’analisi statistica dei dati di laboratorio ha evidenziato differenze significative nei valori di pH, ED e aW tra i campioni freschi e decongelati (tab.1). In particolare, le perdite di essudato per compressione risultano notevolmente superiori nei campioni decongelati costituendo un’analisi fortemente discriminante tra le due popolazioni. I campioni decongelati si caratterizzano per un aumento dell’ aW e del pH associati a maggiori ED; l’umidità del muscolo non sembra variare nei campioni decongelati. Tali riscontri sono

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riconducibili alla rottura delle membrane cellulari dovuta alla formazione di cristalli di ghiaccio e a una minore capacità di ritenzione idrica delle proteine muscolari dopo congelamento. I risultati della calibrazione NIRS (Tab. 2) evidenziano un’alta correlazione con i dati di laboratorio (valori di R2 compresi tra 0,76 e 0,87) indicando buone performance predittive (4). I valori di SECV (standard error of cross validation) risultano contenuti anche se il rapporto tra la DS (deviazione standard) e SECV risulta inferiore ai valori suggeriti da alcuni Autori (5). Dai dati si evidenzia come l’elaborazione degli spettri NIRS sia in grado di predire con buona approssimazione i valori di umidità, pH, aW e ED, tale risultato è di rilevante interesse stante la minima preparazione del campione occorsa (sola macinatura). Dal confronto tra le medie degli spettri in derivata seconda si sono evidenziati cambiamenti nelle regioni spettrali a 1374 nm, 1400 nm e 1894 nm. L’analisi discriminante mediante componenti principali tra le due popolazioni allo studio ha evidenziato un’ottima capacità di identificazione per i campioni freschi (99% riconosciuti) ed una discreta capacità di classificazione del decongelato (77% riconosciuti). I risultati della presente indagine sono inferiori a quanto rilevato su estratto secco di succo muscolare (1). La lettura di muscolo tal quale sembra quindi ridurre l’accuratezza nella classificazione; la capacità di discriminazione del prodotto comunemente reperito in commercio risulta tuttavia promettente in considerazione dell’eterogeneità dei campioni (interi e filetto) e la ridotta numerosità. Il NIRS si è dimostrato in grado di predire le principali caratteristiche fisico-chimiche (umidità, ED, aW e pH) dei campioni allo studio, evidenziando la possibilità di una rapida caratterizzazione del prodotto ittico rispetto ai più significativi parametri di discriminazione tra fresco e decongelato. Sarà necessario tuttavia implementare il dataset al fine di elevare la capacità analitica e discriminante di questo strumento anche in indagini di campo. Tabella 1. Differenze nei parametri allo studio tra le due popolazioni di campioni in esame Parametro FRESCO DECONGELATO P RMSE pH 6,38 6,50 ** 0,23 Umidità % 78,61 79,06 ns 2,37

ED %1 11,29 26,74 *** 3,35

aW 0,984 0,996 *** 0,006 **=P<0,01; ***=P<0,001. 1 I valori del’ED sono covariati al peso dell’aliquota considerata Tabella 2. Performance di calibrazione e validazione NIRS per umidità, pH, ED, aW in campioni di muscolo macinato fresco e decongelato Parametro N° Media±DS R2 SECV r2 DS/SECV pH 109 6,37±0,15 0,76 0,09 0,62 1,62 Umidità % 76 78,8±1,27 0,87 0,72 0,68 1,76 ED % 108 13,4±6,36 0,83 4,26 0,55 1,49 aW 96 0,985±0,01 0,84 0,004 0,69 1,83 N° numero dei campioni considerati; DS: deviazione standard; SECV: errore standard di validazione incrociata; R2 coefficiente di determinazione; r2: coefficiente di variabilità spiegato dal modello; ED perdite di essudato per compressione; aW : acqua libera. BIBLIOGRAFIA – 1) Uddin M., Okazaki E. (2004) J. Food Sci. 69(8):C 665-668. 2) Ng, C.S. (1987). Measurement of free and expressible drips. In H. Hasegawa (Ed.), Laboratory manual on analytical methods and procedures for fish and fish products. Mar. Fish. Res. Part A-4.1–4.2. Singapore. 3) AOAC, (2000) Official Methods of Analysis 17th edn, (AOAC International. Gaithersburg, VA. 4) Shenk J.S. Westerhaus M.O. (1996) Calibration the ISI way. In Davies, A.M.C. and Williams, P.C. Eds. NIR Pub., Chichester, UK. UK, 198-202. 5) Williams, P.C., Sobering, D. (1996) How do we do it: a brief summary of the methods we use in developing near infrared calibrations in Near Infrared Spectroscopy. In Davies, A.M.C. and Williams, P.C. Eds. NIR Pub., Chichester, UK p 185-188.

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ANALISI DI AMMINE BIOGENE PER LA VALUTAZIONE DELLO STA TO DI FRESCHEZZA E QUALITÀ DEI PRODOTTI ALIMENTARI BIOGENIC AMMINES ANALYSIS FOR THE EVALUATION OF FRESHNESS AND QUALITY CONDITIONS OF FOOD PRODUCTS Muscarella M.*, Centonze D., Lo Magro S.*, Palermo C. (* Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata – Foggia, Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale – Facoltà di Agraria – Università degli Studi di Foggia,) Parole chiave: ammine biogene, alimenti, conducibilità, cromatografia ionica Key words: biogenic amines, food, conductivity, ion chromatography SUMMARY – In the present work have been applied a multiresidual method based on the extraction of biogenic amines by methanesulfonic acid (MSA) and their separation and detection by ion-exchange chromatography (IC) coupled with a conductivity detector (CD). This method allow the detection of six biogenic amines: histamine (HYS), putrescine (PUT), cadaverine (CAD), trimethylammine (TMA), spermine (SPM) and spermidine (SPMD). The proposed method was used to detect the biogenic amines in real samples such as tuna fish, anchovies, olives, cheeses, and wine. This rapid, simple and reliable procedure is very useful for monitoring the presence of this amines in various products as well as for the quality control during production, manipulation, ripening and preservation of food. INTRODUZIONE – Le ammine, in base alla loro sintesi, vengono classificate in “poliammine naturali” ed “ammine biogenetiche”: le prime si formano durante la biosintesi poliamminica “de novo”, mentre le ammine biogene si formano da reazioni di decarbossilazione non specifiche di amminoacidi, ad opera di microrganismi. Per le loro proprietà le ammine biogene possono costituire un potenziale rischio per la sicurezza dei consumatori. Sulla base di recenti indagini (1-2) risulta evidente che tutti i cibi, fermentati e non, sia di origine vegetale sia di origine animale contengono un’alta e varia presenza di ammine biogene. Esse rappresentano, perciò, un importante indicatore di qualità di un alimento. Mietz e Karmas hanno stabilito un indice di qualità (QI) (3), chiamato indice delle ammine biogene (BAI). Sulla base del QI i prodotti ittici possono essere classificati in: alimenti di prima qualità, BAI < 1; alimenti in stato di alterazione, 1 < BAI < 10; alimenti in via di putrefazione, BAI > 10. La trimetilammina, un’ammina terziaria volatile che si forma dall’ossido di trimetilammina contenuto nel plancton, è utilizzata come parametro chimico per valutare la freschezza del pesce: fino a 40-60 ppm di TMA nel muscolo il pesce è ancora fresco; oltre 100 ppm il pesce emana odore di stantio e non può essere considerato più fresco. Nel campo dei controlli di qualità dei processi e dei prodotti alimentari, la continua richiesta di metodiche analitiche semplici, rapide ed efficienti trova pieno riscontro nell’utilizzo della cromatografia a scambio ionico con rivelazione conduttimetrica, che non richiede reazioni di derivatizzazione degli analiti necessaria, invece, nelle tradizionali tecniche di rivelazione delle ammine biogene. Recentemente (4) è stato da noi proposto un metodo basato su un’estrazione acida delle ammine biogene e successiva separazione e rivelazione mediante cromatografia ionica con rivelazione conduttimetrica. Il metodo da noi messo a punto è stato utilizzato per la rivelazione di trimetilammina, putrescina, cadaverina, istamina spermina e spermidina in vari prodotti alimentari. MATERIALI E METODI - L’indagine è stata eseguita su 140 campioni di tonno, sardine, olive, vino e di formaggi freschi e stagionati, che sono stati acquistati da esercizi commerciali locali. Sono stati raccolti ed analizzati venti campioni per ogni matrice alimentare e si sono effettuate tre repliche per ogni campione. Metodica cromatografica: si pesano circa 2 g di prodotto finemente omogeneizzato, che sono trasferiti in un provetta da centrifuga e addizionati con 5 ml di acido metansolfonico (MSA) 20 mM. Il successivo processo di sonicazione (10 minuti) migliora l’estrazione degli analiti dalla matrice alimentare. Dopo una breve refrigerazione la provetta è agitata per 1 minuto col vortex e la miscela, quindi, è centrifugata a 4000 giri per 20 minuti e si preleva, infine, il

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surnatante e lo si deposita in un matraccio da 20 ml. La procedura di estrazione è stata ripetuta per tre volte e gli estratti sono riuniti e portati a volume con acido MSA 20 mM. Solo per le olive ed il vino è stata necessaria una purificazione su cartucce in polivinilpirrolidone. L’estratto, dopo filtrazione con filtri Wathman 0.45 m, è iniettato nel sistema cromatografico costituito da: cromatografo Ionico modello Dionex DX-500 con un loop da 25 l e con un rivelatore conduttimetrico a conducibilità soppressa, tramite soppressore autorigenerante CSRS-ULTRA II-4mm, impostato a 100 mA; colonna a scambio cationico Ion Pac CS17 4x250mm, precolonna Ion Pac CG17-4mm (Dionex, USA, Ca); l’eluizione degli analiti è stata effettuata in gradiente con acido metansolfonico ad un flusso di 1 ml/min. RISULTATI –In tabella I sono riportate le concentrazioni medie (mg/kg) e la relativa deviazione standard per le varie matrici oggetto di studio. Dei campioni di olive solamente uno ha presentato una contaminazione da putrescina (14.63±0.02 ppm) probabilmente originata da un’anomala fermentazione da arginino decarbossilasi di microrganismi, come già evidenziato da Hornero-Méndez (1). Campioni di vino bianco presentano solo bassi livelli di putrescina (2.38±0.07) mentre i campioni di vino rosso oltre alla putrescina (8.66±0.03) presentano basse quantità di istamina (1.48±0.09). I formaggi a lunga stagionatura, quali canestrato e caciocavallo stagionato, hanno mostrato una contaminazione da putrescina, cadaverina ed istamina. In particolare, le concentrazioni di caciocavallo raggiungono valori di circa 100ppm per la cadaverina ed addirittura di 300ppm per l’istamina. Per quanto riguarda i prodotti della pesca, i campioni di tonno sott’olio hanno mostrato basse concentrazioni di ammine biogene. I campioni di sardine sono risultati, secondo l’indice di BAI, alimenti in via di alterazione. Le analisi mettono in evidenza che il problema non può essere circoscritto ai prodotti della filiera ittica, dato che per i campioni di caciocavallo il contenuto di istamina supera i 300ppm. CONCLUSIONI – L’analisi dei campioni reali ha messo in evidenza che il contenuto delle diverse ammine è notevolmente variabile fra i campioni. Inoltre, la presenza di tali ammine raggiunge spesso livelli di concentrazioni dell’ordine dei ppm mettendo in evidenza la necessità, viste le problematiche connesse alla loro assunzione, di effettuare indagini analitiche per valutare costantemente lo stato di contaminazione dei vari prodotti alimentari. Ulteriori studi si stanno svolgendo, al fine di evidenziare i prodotti e le tecnologie che portano ad una più bassa produzione di queste ammine. Tab.I – Contenuti medi delle ammine biogene nelle varie matrici alimentari.

BIBLIOGRAFIA – 1) Hornero-Mèndez D. and Garrido-Fernandèz A. (1997) Journal of Food Protection, 414. 2) Vidal-Carou M .C. et al (2003) J. Chromatogr . A , 998, 235–241. 3) Mietz J. L., Karmas E., (1977) J. Food Sci., 42, 155. 4) Palermo C. et al Euroanalysis XIII 2004 Salamanca (Spain), Vol. rias. PS1-255. - Lavoro eseguito con la collaborazione tecnica di Leggiero Anna Lucia (DISACD – Facoltà di Agraria – Università degli Studi di Foggia) e D’Antini Pasquale ( Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata).

MEDIA

(ppm)±SD n=20 TONNO SARDINE OLIVE

VINO

ROSSO

VINO

BIANCO CACIOCAVALLO CANESTRATO

TMA 3.17±1.33 120.02±1.23 - - - - -

PUT - 20.40±1.75 14.63±0.02 8.66±0.03 2.38±0.07 20.04±0.38 10.17±0.11

CAD - 70.57±5.57 - - - 100.52±1.42 10.00±0.04

IST - 20.66±0.24 - 1.48±0.09 - 340.16±3.67 20.10±0.08

SPMD 0.39±0.12 6.3±0.20 - - - - -

SPM 2.19±0.63 10.14±0.45 - - - - -

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RESIDUI DI CADMIO, MERCURIO E PIOMBO IN MANGIMI COMP LETI PER TROTA IRIDEA (ONCORHYNCHUS MYKISS ) CADMIUM, MERCURY AND LEAD RESIDUES IN RAINBOW TROUT (ONCORHYNCHUS MYKISS) FEED Abete M.C., Vivaldi B., Tarasco R., Poma Genin S., Palmegiano P., Brunetti R., Prearo M. Centro di Referenza Nazionale per la sorveglianza ed il controllo degli alimenti per animali – Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta- Torino Parole chiave: Mangime completo, trota iridea, cadmio, mercurio, piombo. Key words: Feed, rainbow trout, cadmium, mercury, lead. SUMMARY – Cadmium, mercury and lead in rainbow trout feed were monitored in 2004 to estimate contamination levels. 60 samples of complete feed were analysed using atomic absorption spectroscopy. 44 of the 60 feed showed significant levels of cadmium with only one sample over the legal limit. There were traces of lead in all the samples tested, no mercury was found. In a similar study carried out in 2003, the results concerning rainbow trout feed showed comparable levels of these three metals. Data collected from the two studies do not show particularly worrying levels of heavy metals but that there is a constant presence of contamination which should be monitored. INTRODUZIONE – Per garantire una migliore composizione corporea del pesce allevato, i mangimi completi devono contenere materie prime scelte in modo tale da garantire un’elevata digeribilità associata ad un’alta ecocompatibilità. Sono costituiti, a seconda della fase di allevamento, principalmente da farina ed olio di pesce, in percentuali variabili.Queste materie prime derivano direttamente da pesce fresco di basso pregio commerciale: per cui non sono considerate sottoprodotti di lavorazione, ma costituiscono un prodotto di elevata qualità. Altri costituenti dei mangimi completi sono farine vegetali, quali farina di soya e sottoprodotti della lavorazione dei cereali (1). Questi mangimi possono essere contaminati sia da prodotti clorurati organici a lunga persistenza, sia da metalli pesanti. Infatti, le farine di pesce secondo la loro provenienza, possono presentare un livello di inquinamento più o meno elevato; è noto come pesci provenienti dal Mar Baltico, Mare del Nord ed Oceano Atlantico possano presentare alte concentrazioni di questi elementi (1). Lo scopo del presente lavoro è di valutare la presenza di residui di cadmio, mercurio e piombo in mangimi completi prelevati nel periodo primavera–inverno 2004 in alcune troticolture situate nel territorio piemontese e lombardo. MATERIALI E METODI – Sono stati individuati sei allevamenti di medie dimensioni, situati in pianura, dove era esclusivamente allevata la trota iridea (Oncorhynchus mykiss). In questi impianti, sono stati prelevati con cadenza mensile, 10 campioni di mangime completo, per un totale di 60. Ogni campione di mangime, costituito da almeno due chilogrammi, è stato ottenuto prelevando da sacchi diversi della stessa partita, per costituire un pool rappresentativo per le indagini; il mangime oggetto di analisi è stato prelevato da partite commerciali aventi un diametro di 5 mm. In laboratorio i campioni sono stati opportunamente sminuzzamenti e omogeneizzati. Dal prodotto ottenuto sono stati pesati 2 grammi per la ricerca del mercurio e 0,7 grammi per cadmio e piombo; tutte le analisi sono state condotte in doppio. La determinazione analitica di cadmio e piombo è stata condotta mediante spettrofotometria ad assorbimento atomico, con atomizzazione elettrotermica e correzione del fondo con effetto Zeeman, utilizzando il metodo delle aggiunte standard per ogni campione. Per il mercurio, la ricerca è stata eseguita con la tecnica dei vapori freddi, dopo riduzione del mercurio con cloruro stannoso. I Limiti di Quantificazione (LOQ) dei metodi di prova utilizzati sono: 0,01 mg/kg (ppm) per cadmio, 0,07 mg/kg per mercurio e 0,04 mg/kg per piombo. Si è valutata inoltre l’umidità dei campioni, tramite bilancia umidimetrica, onde esprimere il risultato finale al tasso del 12% di umidità, come previsto dalle norme vigenti.

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RISULTATI – In 44 mangimi sono state rilevate concentrazioni significative di cadmio, superiori all’LOQ, con un valore medio di 0,23 mg/kg ed una deviazione standard di 0,08; in un campione si è superato il limite di legge consentito, con un livello di 0,52 mg/kg. Nel caso del mercurio tutti i campioni analizzati sono risultati al di sotto di 0,07 mg/kg (limite di quantificazione del metodo). Il piombo è risultato invece presente in tutti i mangimi campionati, con un valore medio di 0,32 mg/kg e deviazione standard di 0,12; i livelli estremi riscontrati sono stati di 0,05 mg/kg come valore minimo e 0,51 mg/kg come tenore massimo. CONCLUSIONI – Nei 60 mangimi presi in considerazione, nella stragrande maggioranza dei casi i valori riscontrati sono risultati al di sotto dei limiti massimi consentiti come indicato nel Decreto n° 149 (3), che prevede limiti massimi di contaminazione pari a 0,5 mg/kg per il cadmio ed il mercurio e 5 mg/kg per il piombo. Dai risultati ottenuti si evince che il tenore di cadmio risulta relativamente alto, in quanto il valore medio si attesta a circa la metà del contenuto massimo consentito per legge. La percentuale dei campioni in cui il livello riscontrato risulta essere superiore all’LOQ è del 73% circa, dato che risulta essere poco inferiore a quello ottenuto in un precedente studio analogo(4). I dati ottenuti nei due studi a confronto dimostrerebbero un livello costante di inquinamento da cadmio che ricorre nei mangimi completi per trota iridea. Ciò porterebbe a ritenere che nel prodotto finale dell’acquacoltura possa presentarsi il problema di residui a livello delle parti edibili di questo metallo. Dalle indagini condotte recentemente per avvalorare tale ipotesi, risulterebbero invece tenori non significativi di tale elemento in pesci alimentati con questi mangimi. Pertanto sembrerebbe che i livelli di cadmio nei mangimi non incidano sul prodotto finale che arriva direttamente sulla tavola dei consumatori. Il mercurio, essendo un elemento particolarmente diffuso nell’ecosistema acquatico marino, dovrebbe essere presente come contaminante nei prodotti derivati da pesce. I risultati ottenuti da questa indagine, dove in tutti i mangimi non si è evidenziata una concentrazione analiticamente significativa, portano a pensare che vi sia una efficace attività di autocontrollo a monte della filiera produttiva. In tutti i mangimi sono stati rinvenuti livelli di piombo, il cui valore più alto risulta essere circa 1/10 del tenore massimo consentito dalla legislazione vigente. Pertanto la contaminazione di questo metallo pesante, seppur sempre presente, risulta essere trascurabile. I dati ottenuti risultano sovrapponibili a quelli conseguiti in una precedente indagine condotta nel 2003(4) .I due studi dimostrano come i livelli di contaminazione per questi metalli pesanti, non siano preoccupanti, anche se si registra una costante presenza a relativamente basse concentrazioni. Si potrebbe quindi indagare sull’origine di tale inquinamento, cioè se siano contaminate maggiormente le materie prime di origine ittica (farine ed olio di pesce) o vegetali. La presente indagine è stata condotta sul mangime somministrato alla specie ittica maggiormente allevata in Italia (trota iridea), ma sarebbe utile effettuare anche un monitoraggio su mangimi destinati ad altre specie ittiche (ciprinidi, storioni, pesci marini, ecc.), tali alimenti hanno formulazione risulta differente nelle percentuali di farine di pesce utilizzata. BIBLIOGRAFIA - 1) Autori vari (2003) Linee guida e specifiche tecniche per la certificazione di prodotto delle trote di acquacoltura. A.P.I. Ricerca e Sviluppo dell’Acquacoltura, 6: 1-36; 2) D.M. 14 dicembre 1971. Limite di contaminazione da mercurio del pesce e degli altri prodotti alimentari della pesca di provenienza estera. Gazzetta Ufficiale del 28/12/1971, n° 328; 3) Decreto 10 maggio 2004, n. 149. Attuazione delle direttive 2001/102/CE, 2002/32/CE, 2003/57/CE e 2003/100/CE, relative alle sostanze ed ai prodotti indesiderabili nell’alimentazione degli animali. Gazzetta Ufficiale del 16/06/2004, n° 139; 4) Abete M.C., Prearo M., Andruetto S., Pavino D., Colussi S., Tarasco R., Agnetti F., Ghittino C. (2004). Indagine preliminare sulla presenza di residui in mangimi completi per l’acquacoltura: ricerca di arsenico, cadmio, cromo, mercurio e piombo. Ittiopatologia, 1: 68-76.

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DIFETTOSITÀ DA Kudoa sp IN PESCE SPADA AFFUMICATO

DEFECTIVENESS IN SMOKED SWORDFISH CAUSED BY Kudoa sp Giarratana F., Filiciotto F.*, Orlando G.**, Giuffrida A. Dipartimento Sanità Pubblica Veterinaria, Messina. *Dottore in Medicina Veterinaria** Veterinario Igienista Libero Professionista. Parole chiave: pesce spada, muscolatura, mixosporidiosi, ispezione alimenti di origine animale Key words: swordfish, muscle, myxosporidiosis, inspection of food of animal origin SUMMARY – In this study is described a case of myxosporidiosis in smoked swordfish, characterised by a jellification of several loins. The histological examination of samples showed several protozoal spores, especially within fibrocells. The spores, ellipsoidal in side view and like four-petaled flower in apical view, averaged 8 x 6.1 µm and contained polar capsules averaged 2 x 1.9 µm. In regard to the histological aspect and to the fish specie, the presumptive diagnosis of Kudoa musculoliquefaciens was done. The observed flesh softening was, probably, due to the proteolytic enzymes released by the parasites, in consequence of the spore lysis.

INTRODUZIONE – L’impiego delle tecniche di affumicamento per la trasformazione dei prodotti ittici sta subendo, in questi ultimi anni, un discreto incremento, non soltanto per quanto riguarda i già ben affermati salmonidi, ma anche per diverse altre specie ittiche pregiate. Tra queste meritano, certamente, particolare attenzione alcuni “grandi pelagici” quali il Tonno ed il Pesce spada la cui commercializzazione allo stato fresco risulta sempre più problematica. Di contro, lo sviluppo di tecniche di affumicamento c.d. mild, caratterizzate da blande salagioni e affumicamento a freddo o con fumo liquido, consentono di ottenere prodotti caratterizzati da elevata comodità d’uso e, per quanto possibile, non troppo “lontani” dal prodotto fresco. Per questi stessi motivi, pur venendo fortemente ridotta la potenziale pericolosità legata alla concentrazione di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), potrebbero essere, invece, enfatizzate le problematiche di natura batteriologica tra cui, ovviamente, emerge Listeria monocytogenes. Altro aspetto di non minore importanza riguarderebbe la qualità della materia prima, spesso di provenienza extracomunitaria, allo stato congelato. In particolare, relativamente al Pesce spada, le caratteristiche organolettiche possono essere influenzate da svariati fattori, quali le condizioni fisiologiche del soggetto (età, alimentazione, stato riproduttivo, ecc.), le modalità di pesca (11), le condizioni di conservazione e stoccaggio (9), ed ancora la presenza di patologie. Tra quest’ultime, di più frequente riscontro sono le patologie di natura parassitaria: infestazioni da Copepodi del genere Pennella (5, 12), da larve di Cestodi Tripanorinchi (7), da Trematodi Didimozoidi (10), da Myxosporidi del genere Kudoa (Kudoa musculoliquefaciens) (8, 13). Quest’ultimo protozoo è in grado di determinare gravi alterazioni della muscolatura attraverso la liberazione di enzimi proteolitici, in seguito alla rottura delle cisti. Tali enzimi possono determinare disseminate lesioni focali conferendo alla muscolatura un caratteristico aspetto a “nido d’ape” come segnalato da Ziino & Giuffrida (1999) (13) o una estesa involuzione muscolare (4), ferma restando la loro potenziale attività sulla mucosa intestinale dell’uomo (1). Per tutto ciò, ci è sembrato interessante segnalare un caso di Myxosporidiosi muscolare riscontrato in tranci di pesce spada affumicato.

MATERIALI E METODI- Il caso riguarda tranci di pesce spada affumicato provenienti da uno stabilimento di lavorazione e confezionamento della città di Palermo. Essi provenivano da una partita di esemplari di Xiphias gladius pescati nell’Atlantico e pervenuti allo stabilimento allo stato congelato. Dopo scongelamento a temperatura di refrigerazione e sezionamento in grossi tranci, si procedeva a salagione a secco per 24h a +4°C, affumicamento mediante fumo liquido ed ulteriore refrigerazione, per altre 24h, prima del confezionamento. Il responsabile riferiva di aver notato un generalizzato rammollimento della muscolatura dei tranci nella fase di ultimo sezionamento, subito precedente il confezionamento sottovuoto. Tale alterazione non veniva riscontrata in nessun altra fase della lavorazione. I tranci, sottoposti alla nostra attenzione, presentavano all’esame ispettivo una muscolatura di colorito ed odore normale ma di aspetto e consistenza molliccia e facilmente sfaldabile.

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Si prelevavano, dunque, alcune porzioni che venivano fissate in formalina tamponata al 10%, incluse in paraffina e, le sezioni ottenute, colorate con Ematossilina-Eosina (E.E.), Blu di Toluidina all’1% e Diff Quick.

RISULTATI - L’ esame microscopico permetteva di osservare a piccolo ingrandimento una diffusa involuzione delle fibre muscolari configurata variamente, dalla presenza di vasti spazi intramiofibrali otticamente vuoti, al completo disfacimento. Erano, inoltre, visibili numerosi corpiccioli, più spesso intra-miofibrali, più di rado liberi nei distretti in cui le miocellule avevano interamente perso integrità. Non era mai presente alcuna reattività flogistica. A più forte ingrandimento, si accertava trattarsi di spore protozoarie di forma ovoidale caratterizzate dalla presenza di quattro capsule polari rotondeggianti con disposizione a petalo di fiore. Le dimensioni delle spore erano di 8 µm di lunghezza e di 6,1 µm di larghezza e quelle delle capsule polari di 2µm di lunghezza e di 1,9 µm di larghezza. Le caratteristiche morfologiche e morfometriche ci portavano a considerare gli elementi protozoari appartenenti alla classe Myxospora, genere Kudoa, mentre la specie ittica interessata dall’infestazione (Xiphias gladius), le lesioni muscolari indotte dal parassita e le dimensioni delle capsule polari, verosimilmente, ci inducevano a ritenerlo Kudoa musculoliquefaciens (8, 13). CONCLUSIONI - È nota la capacità di Kudoa musculoliquefaciens, in seguito al suo disfacimento, di liberare enzimi proteolitici, in grado di alterare la normale architettura muscolare. Tali enzimi possono essere liberati all’interno della muscolatura durante la vita del pesce, per aggressione dei protozoi da parte dei melanomacrofagi, o, post-mortem, in seguito a trattamenti termici capaci di determinare la rottura delle cisti protozoarie e la conseguente liberazione enzimatica, rallentata, invece, da temperature di refrigerazione (3). L’attività proteolitica degli enzimi liberati dai Mixosporidi del genere Kudoa si rende particolarmente evidente a temperature comprese tra 55 e 60 °C ed a valori di pH intorno alla neutralità (2, 6). Tali notizie ci sembrano molto utili al fine di formulare un’ipotesi patogenetica in grado di spiegare la grave alterazione, peraltro rilevata solo a lavorazione avvenuta. Riteniamo che essa, riconducibile a fenomeni post-mortali vista l’assenza di reattività flogistica, possa essere stata determinata da svariati fattori. Tra questi, meritevoli di considerazione sarebbero le tecniche di congelamento e di decongelamento, oltre che la salagione. I primi in quanto condizionanti la lisi delle cisti protozoarie, l’ultima che può aver favorito la diffusione degli enzimi proteolitici. La comparsa del difetto a lavorazione conclusa, potrebbe derivare dal costante mantenimento del prodotto a temperatura di refrigerazione che, come detto, rallenta l’attività enzimatica. Considerato che alla luce del Reg. 852/2004 emerge chiaramente la necessità di garantire “ l'idoneità al consumo umano di un prodotto alimentare tenendo conto dell'uso previsto”, a parer nostro le difettosità, quale quella qui segnalata, rientrano appieno in tale obbligo. Nel caso specifico, la prevenzione potrebbe consistere in un’attenta selezione dei fornitori di materia prima, tenuto conto delle correlazioni tra zona di pesca e prevalenza della parassitosi, che l’epidemiologia dovesse indicare. Parimenti importante appare il controllo delle temperature di scongelamento e di stoccaggio dei semilavorati che, oltre a prevenire i pericoli batteriologici, limitano l’attività proteolitica dei Mixosporidi. BILBLIOGRAFIA- 1) Deardorff TL and Overstreet RM, in “Microbiology of Marine Food Products”, Ward D.R. & Hackney C.R., Ed. AVI, New York 1991. 2) Erikson MC et al (1993) J. Food Sci., 48, 1315-1319. 3) Garden O (1992) Br. Vet. J., 148, 223-239. 4) Grabda J. “Marine fish parasitology”. PWN, Polish Scientific Publishers, Warszawa, 1991. 5) Iulini et al (1987) Ind Alim, 247, 227-232. 6) Lom J., Dykovà I. “Protozoan parasites of fishes. Development in acquaculture and fisheries science, 26”. Ed. Elsevier, Amsterdam, 1992. 7) Manfredi MT et al (1993) Atti S.I.S.Vet., 47, 765-767. 8) Matsumoto K (1954) Japan. Soc. Sci. Fisheries, 20, 469-478. 9) Palese L., Plese A. “Il Controllo Sanitario e Qualitativo dei Prodotti Alimentari della Pesca”. Vol. II. Ed.Piccin, Bologna, 1992. 10) Panebianco A & Giannetto S. (1993) in “Argomenti di Patologia Veterinaria. Fond. Iniz. Zooprofilattiche e Zootecniche”, 36, 243-251. 11) Panebianco A. & Giuffrida A. (1997) Atti AIVI, 7, 11-32. 12) Panebianco F (1952) Atti Acc. Peloritana Pericolanti, 52, 117-120. 13) Ziino G. & Giuffrida A. (1999) Atti S.I.S.Vet., LIV, 367-368.

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CONTENUTO DI METALLI PESANTI NEL LATTE BOVINO: RISULTA TI DI UN’INDAGINE CONDOTTA PRESSO ALLEVAMENTI DEL VENETO HEAVY METALS CONTENT IN DAIRY MILK: RESULTS OF A FIELD INVESTIGATION IN THE VENETO REGION Mantovani R., Prevedello G., Bailoni L. Dipartimento di Scienze Zootecniche, Università degli Studi di Padova, Legnaro (PD) Parole chiave: latte, metalli pesanti, vacche da latte, sicurezza alimentare. Key words: milk, heavy metals, dairy cow, food safety. SUMMARY – Samples of raw milk collected in 242 dairy farms located in the Veneto region were subjected to microwave ashing and 11 trace minerals (Al, Cd, Cr, Cu, Fe, Hg, Mn, Ni, Pb, Se, Zn) were determined by ICP-AES (Inductively Coupled Plasma Atomic Emission Spectrometry). Milk levels of Cd, Hg and Pb in all samples were below the detectable limits (<0.5, <0.5 and <4 µg/l respectively). Considering the maximum levels of Pb in milk defined by European Commission and the very low concentration of Cd and Hg, all samples can be considered suitable for human consumption. Cr and Se levels were found below the detectable levels in 69 and 73% of milk samples, respectively. The mean values of all detected elements were slightly lower than those reported in literature, using the same analytical method. Zinc level increased linearly (P<0.001) with the increase of the production level of the farms. The levels of Cu, Mn and Zn in milk obtained by the cows fed total mixed ration resulted higher than those of the cows receiving a traditional feeding (100 vs 130; 20.0 vs 22.7; 3199 vs 3971 µg/l respectively; P<0.05). INTRODUZIONE – Il latte è uno dei principali alimenti di origine animale assunti dall’uomo e risulta particolarmente importante per alcune categorie di consumatori, quali i bambini e gli anziani. La composizione della frazione minerale del latte è stata oggetto di numerosi studi, ma solo pochi lavori(1, 2, 5 e 6) sono stati pubblicati relativamente alla quantificazione di elementi presenti in traccia, che assumono un ruolo importante nell’alimentazione umana sia dal punto di vista nutrizionale (es. apporto di selenio), sia dal punto di vista sanitario e della sicurezza alimentare in quanto possibili contaminanti (es. metalli pesanti). Obiettivo di questo lavoro è stato quello di verificare il livello di alcuni micro-elementi nel latte di massa crudo raccolto in 242 allevamenti di bovine da latte localizzati nel Veneto e studiare alcune possibili fonti di variazione della concentrazione di questi minerali. MATERIALI E METODI – Da un database di 3654 aziende, appartenenti all’Associazione Produttori del Latte del Veneto (A.Pro.La.V.), è stato selezionato un campione di 242 allevamenti sulla base delle dimensioni dell’azienda e delle condizioni igienico-sanitarie del latte prodotto. Le aziende sono state suddivise in 7 classi di produzione (LP: <20, 20-40, 40-60, 60-100, 100-150, 150-300 e >300 ton/anno) e sono stati considerati 3 livelli di qualità del latte (CI: basso, medio, alto) ottenuti sulla base del numero di prelievi con cellule somatiche e carica batterica rispettivamente oltre 400.000 e 100.000 per ml. I campioni di latte, raccolti nel periodo febbraio-giugno, sono stati sottoposti a mineralizzazione con forno a microonde (Milestone Ethos 1600, FKV, Italia) e alla successiva determinazione di 11 elementi minerali (Al, Cd, Cr, Cu, Fe, Hg, Mn, Ni, Pb, Se, Zn) mediante Inductively Coupled Plasma Atomic Emission Spectrometry (ICP-AES, Spectro Cirosccd, Spectro Italia, Italia). Informazioni sugli animali, sulle strategie alimentari adottate e sulla gestione degli allevamenti oggetto di indagine sono state raccolte attraverso un apposito questionario. Tutti i dati sono stati sottoposti ad ANOVA utilizzando il pacchetto statistico SAS(7).

RISULTATI E CONCLUSIONI – I livelli di Cd, Hg e Pb sono risultati in tutti i campioni al di sotto dei limiti di rilevabilità dello strumento (<0.5, <0.5 e <4 µg/l rispettivamente). Considerando il livello massimo di Pb nel latte definito dalla Commissione Europea (20 µg/kg; Reg. EU N.466/2001) e la concentrazione estremamente bassa di Cd e Hg(1), tutti i campioni analizzati possono essere considerati idonei al consumo umano.

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Tabella 1. Effetto del livello produttivo (LP) degli allevamenti e delle condizioni igienico sanitarie (CI) del latte sulla concentrazione (µg/l) di micro-elementi nel latte.

Al Cr Cu Fe Mn Ni Se Zn Media 220 6.5 109 357 19.9 28.3 5.8 3407 Varianza:

LP 26050 34.37 10574** 6186 18.62 127.92 59.77 3096598** CI 13871 32.16 5140 6067 10.36 6.60 6.82 903376* LPxCI 12907 64.88 8461** 2025 31.26 120.12 90.18 406140° Errore 23291 109.34 2662 12126 24.76 132.08 91.17 230195

°: P<0.10; *: P<0.05; **: P<0.001

I livelli di Cr e di Se sono risultati al di sotto dei limiti di rilevabilità dello strumento rispettivamente nel 69 e 73% dei campioni analizzati. I valori medi di tutti gli elementi (tabella 1) sono risultati leggermente inferiori rispetto a quelli riportati dall’INRAN(4) e ottenuti da Coni et al.(2), usando la stessa tecnica analitica. Va inoltre sottolineato che i livelli dei differenti metalli nel latte rientrano negli intervalli di riferimento riportati dai ricercatori della Università di Guelph(3). Il livello produttivo degli allevamenti (LP) ha influenzato in modo statisticamente significativo (P<0.001) il contenuto di Cu e Zn nel latte. In particolare, le più alte concentrazioni di Cu sono state osservate nelle aziende con LP da 100 a 150 ton/anno. Con l’aumento di LP il contenuto di Zn aumenta linearmente passando da 2885 a 3764 µg/l (componente lineare: P<0.001; Figura 1).

Figura 1: Effetto del livello produttivo sul contenuto di Cu e Zn (µg/l) nel latte.

0

60

120

180

240

300

360

<20 20-40 40-60 60-100 100-150 150-300 >300

Livello produttivo delle aziende (ton/anno)

Cu

0

800

1600

2400

3200

4000

Zn

Cu Zn

I livelli di Cu, Mn e Zn sono risultati significativamente più elevati nelle aziende che utilizzano la tecnica unifeed rispetto a quelle che adottano invece un’alimentazione tradizionale (100 vs 130; 20.0 vs 22.7; 3199 vs 3971 µg/l rispettivamente; P<0.05). Solamente il contenuto di Ni è risultato più basso nelle aziende con alimentazione unifeed, mentre i livelli di Al, Cr, Fe e Se non sono stati influenzati dal sistema di distribuzione degli alimenti. In conclusione, il latte prodotto nel Veneto può essere considerato idoneo al consumo per quel che riguarda la concentrazione di metalli pesanti (Pb, Cd e Hg) e in linea con i dati riportati in letteratura per quanto concerne invece gli altri elementi. Fra i diversi minerali in traccia, Cu, Mn e Zn sembrano essere quelli che maggiormente risultano influenzati dalle dimensioni dell’allevamento e conseguentemente dalle tecniche alimentari.

REFERENCES – 1) Cerkvenik V et al (2000) Food Technol Biotechnol 38:155-160. 2) Coni E et al (1994) Food Chem 50:203-210. 3) Goff D (2005) Home page address: www.foodsci.uoguelph.ca/dairyedu/home.html 4) I.N.R.A.N. (2005) Home page address: http://inn.ingrm.it/ 5) Martino FAR et al (2001) Anal Chim Acta. 442:191-200. 6) Tripathi RM et al (1999). The Science of the Total Environment. 227:229-235. 7) SAS, 1996. SAS/STAT. User’s Guide: Statistics. Version 6.11, 4th ed. SAS Inst. Inc., Cary, NC, USA. RINGRAZIAMENTI – Ricerca condotta con finanziamento della Regione Veneto e dell’A.Pro.La.V (Associazione Produttori di Latte del Veneto).

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VALUTAZIONE DELLA ANTIBIOTICO-RESISTENZA SU CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA LATTE DI MASSA AZIENDALE BOVINO VALUATION OF ANTIBIOTIC-RESISTANCE ON STAPHYLOCOCCUS AUREUS STRAINS DETECTED FROM COW BULK FARM MILK Calderini P.1, Rossi M.1, Romano O.1, Mastroeni I.2 1Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana, Dipartimento di Rieti; 2Dipartimento di Biologia cellulare, Università dell’Aquila Parole chiave: S. aureus, latte massa, bovino, antibiotico-resistenza, multiresistenza Key words: S. aureus, bulk milk, cow, antibiotic-resistance, multiresistance SUMMARY – On 182 Samples of cow farm bulk milk 89 strains of S. aureus were isolated and tested for antibiotic-resistance with diffusion disk method using 43 antimicrobials or association and finding multiresistance on these strains, with: P 10, AML 10, AM 10, AMC 30, CX 1, T 30 , TE 30 and S 10. 13 antimicrobials or association have been always actived, whereas the others 30 have showed variable sensibility. This valuation shows that, according with the use in milk cow farm, larger resistances appear in confront of penicillines; multiresistance was observed on 11,2 % of isolated but none is resistance to vancomycin. Nevertheless cow farms are an important source of S. aureus antibiotic-resistance for the large use of antibiotics for therapies and the risk of spread this resistance from food animals to consumers is concrete. INTRODUZIONE - S. aureus è l’agente patogeno più frequentemente isolato nel latte bovino ed è particolarmente esposto al fenomeno dell’antibiotico-resistenza. La pressione creata dall’uso ed abuso di antibiotici nella terapia di patologie varie, ma anche come promotori di crescita, ha determinato nel tempo l’acquisizione di una antibiotico-resistenza nei ceppi che circolano nelle aziende zootecniche riproducendo, anche se in misura inferiore, il fenomeno frequentemente riscontrato nelle infezioni ospedaliere. Il ricorso alla terapia antibiotica è frequente nelle aziende produttrici di latte perché gli animali, ed in modo particolare quelli più produttivi, sono spesso affetti da mastite stafilococcica; si impone per questo un ripetuto uso di farmaci sia durante la lattazione, sia durante la fase di messa in asciutta. Inoltre è ormai acclarato il rischio di diffusione all’uomo di microrganismi resistenti attraverso il consumo di cibi di origine animale con la necessità, perciò, di innalzare il livello di controllo su questo fenomeno. Nel presente lavoro vengono riportati i risultati ottenuti da indagini microbiologiche effettuate su campioni di latte crudo di massa bovino, provenienti da aziende della provincia di Rieti, al fine di definire il profilo di.antibiotico-resistenza e la presenza di ceppi multiresistenti degli stipiti di S. aureus isolati. MATERIALI E METODI - Il campionamento, effettuato nel periodo marzo 2004-gennaio 2005, ha interessato 182 campioni di latte di massa bovino provenienti da aziende registrate nel territorio della Provincia di Rieti. Il latte di 89 (48%) aziende è risultato positivo a S. aureus; l’isolamento del germe è stato ottenuto dopo semina su Baird-Parker agar con aggiunta di supplemento RPF (1), passaggio su agar sangue al 5% e successiva tipizzazione in micrometodo API Staph. Su questi ceppi è stata eseguita una prova semi-quantitativa in vitro della sensibilità agli antibiotici secondo il metodo della diffusione su dischetto. Le sigle dei 43 antimicrobici o associazioni sono le seguenti: AML 10, 40, AMC 30, AM 10, APR 15, B 10, CN 30, CPR 30, CF 30, 41, CEQ 10, C 30, CZ, CX 1, CTX 30, CFP 75, CIP 5, CFR 30, CC 2, D 30, E 15, ENR 5, UB 30, K 30, GM 10, L 2, MAR 5, N 30, NBT 70, NPZ 35, OFX 5, T 30, P 10, RAX 40, 1, S 10, SXT, TE 30, TP 30, TIL 15, TY 30, FA 30, VA 30. Gli aloni di inibizione osservati su Mueller-Hinton agar sono stati interpretati in base a quanto indicato dalle ditte fornitrici dei dischetti. Il controllo di qualità è stato effettuato con il ceppo di S. aureus ATCC 25923, le prove sono state ritenute valide quando l’oscillazione massima degli aloni garantiva un errore di interpretazione inferiore all’1%. RISULTATI E DISCUSSIONE - Su 43 antimicrobici o associazioni saggiati, 13 (APR 15,

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41, C 30, CZ, CC 2, UB 30, NBT 70, OFX 5, SXT, TIL 15, TY 30, FA 10, VA 30) sono risultati sempre attivi e 30 hanno mostrato una attività variabile; il grafico seguente è relativo ai 19 antimicrobici nei confronti dei quali la percentuale degli stipiti resistenti è risultata superiore a 2. Fig. 1 - Percentuale di stipiti resistenti

1

10

100

AM

10

P 10

40 AM

C 30

AM

L 10

CX

1

S 10

T 30

TE

30

MA

R

CF

P 75

L 2

CE

Q 10

CN

30

CP

R 30

CF

R 30

EN

R 5

K 30

CF

30

48 ceppi (53,9%), inoltre, hanno mostrato resistenza nei confronti di P 10, AML 10, AM 10, AMC 30, e di questi 10 (11,2%) sono risultati multiresistenti nei confronti di P 10, AML 10, AM 10, AMC 30, CX 1, T 30, TE 30, S 10. L’osservazione di una multiresistenza può essere la chiave che indica una meticillino-resistenza. Le percentuali di resistenza nei confronti delle cefalosporine sono state sempre inferiori al 5%. Gli stipiti di S. aureus sono risultati ugualmente resistenti (11%) nei confronti di tetraciclina e ossitetraciclina; maggiore resistenza (15%) si è invece evidenziata nei confronti della streptomicina nei confronti della quale sono stati individuati anche il 14% di stipiti intermedi. Nessuno S. aureus è risultato resistente o mediamente sensibile alla vancomicina. Il controllo di qualità effettuato con il ceppo di S. aureus ATCC 25923 è risultato sempre in linea con i valori previsti (2). CONCLUSIONI - Gli stipiti di S. aureus hanno mostrato un’antibiotico-resistenza più o meno evidente nei confronti di 30 dei 43 antibiotici saggiati; tale resistenza è risultata sensibilmente elevata nei confronti degli antibiotici -lattamici (3), in particolare delle penicilline, antibiotici molto usati negli allevamenti delle bovine da latte. Tutti gli stipiti, come peraltro ampiamente previsto, sono risultati sensibili alla vancomicina contrariamente a quanto si verifica in ambito ospedaliero dove sono stati individuati ceppi mediamente sensibili e a partire dal 2002 anche stipiti resistenti. La percentuale di stipiti multiresistenti conferma che gli allevamenti bovini rimangono comunque una importante fonte di antibiotico-resistenza di S. aureus. I livelli di antibiotico-resistenza individuati in questo studio sembrano in linea con quanto riferito da Schlegelova et al (3), mentre andrebbero valutate eventuali differenze fra i diversi tipi di management aziendale (4) ed in modo particolare fra la zootecnia biologica, praticata in provincia di Rieti e quella convenzionale. Il fenomeno della antibiotico-resistenza, in continua evoluzione, andrebbe monitorato per valutare i rischi connessi con la salute umana ed anche per orientare la scelta dei farmaci antimicrobici da utilizzare nella terapia, soprattutto delle mastiti, nelle aziende zootecniche bovine. Queste valutazioni si rendono necessarie anche in considerazione del fatto che i riferimenti bibliografici, relativi alla antibiotico-resistenza degli S. aureus isolati dalla matrice “latte di massa bovino”, risultano essere in numero limitato soprattutto rispetto a quelli su latte mastitico (5). BIBLIOGRAFIA – 1) ISO 6888-2-1999- “Microbiology of food and animal feeling stuffs- Horizontal method for the enumeration of coagulase-positive staphylococci” (S. aureus and other species)- Part 2: Technique using Baird Parker agar medium + RBF. 2) Koneman E. W. et al (1995) Testo Atlante di Microbiologia Diagnostica. p. 575. 3) Schlegelova J. et al (2002) J. of Vet. Med., series B., 49, 216. 4) Sato K. et al (2004) J. Food Prot. 67(6): 1104-10. 5) Cuteri V. et al. (2003) Vet. Res. Commun., 27 Suppl. 1: 335-338.

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