umbriaeventi secondo numero

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Direttore responsabile: Luigi Camilloni - Società editrice: Gruppo Editoriale Umbria 1819 s.r.l. - Presidente: Luigi Giacumbo - Amministratore delegato: Giuseppe Ghezzi - A cura di: Francesco Castellini - Registrazione Tribunale di Perugia numero 19/2015 del 22.11.2015 - Stampa: ROTOPRESS INTERNATIONAL srl, Loreto (An) - Redazione: via Monteneri 37, Perugia - Tel. 075.5291135 Venerdì 4 dicembre 2015 Umbria Eventi - ISSN 2465-0390 - Spedizione in abb. post. D.L. 353/03 (Conv.L.46/04) art. 1 comma 1, DCB - Fil. Perugia - Euro 0,40 + il prezzo del quotidiano

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Secondo inserto uscito con il Giornale dell'Umbria

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Venerdì 4 dicembre 2015

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Porziuncola apertaIntervista a Padre Rosario Gugliotta

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DI FRANCESCO CASTELLINI

Venanti oltre la telaPièce teatrale ispirata dalle sue opere

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DI DOMENICA PALADINO

Capitini e la veritàIl filosofo raccontato da un testimone

9

DI GIGLIOLA PONTILI

L’Albero delle stelleParlagno gli Alberalioli di Gubbio

DI CINZIA DELL’ORTO

Tavole della felicitàIntervista al professor Augusto Ancillotti

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DI ONOFRIO RICCADONNA

L’intera regione in questo mese di dicembre si animacome un presepe vivente e si accende di luci ed emozioni

In fabulaL’Umbria che a volte affiora

dalle nebbie come un sortilegiodi FRANCESCO CASTELLINI

Welcome in Umbria. Benvenuti inquesto luogo antico, impastato dimagie e prodigi. L’Umbria che a

volte affiora dalle nebbie come un sortilegio,che sempre si rivela come una favola bella,prezioso scrigno di emozioni. Qui risplendo-no capolavori d’arte incuneati in paesaggi in-contaminati che custodiscono primitivi in-cantesimi.

A dicembre poi, in questa terra di mezzo, tut-to diventa più arcaico, tutto si accende di nuovesuggestioni, di immutate seduzioni, di meravi-glie. L’Umbria che si anima come un presepevivente, capace di mantenere fra le sue piegheimmacolate bellezze, tutte avvolte da un’a t m o-sfera fatata.

E non è un caso che in questo periodo diventiancora più incantevole con i suoi luoghi di cul-to, con i suoi angoli permeati da una spiritualitàautentica.

La terra delle pievi dei conventi, dei santuarie degli eremi.

Qui ogni luogo sacro appare all’improvvisodietro una curva, dopo una salita o nascosto dauna quinta di querce, e chiede di essere scoper-to nella sua gelosa solitudine.

Entrarci è davvero un tuffo in un’atmosferadi fede popolare, forse dimenticata, ma che ri-sveglia un’eco profonda in ciascuno di noi.

La Via Francigena, per esempio, ha il poteredi mettere in contatto con paesaggi sconfinatiin una dimensione intimistica da un lato, e diconvivialità con gli altri pellegrini, dall’altro.

Ci sono poi certi paesaggi resi eterni dai qua-dri del Perugino che ricompaiono immutati eperfetti, in cui sembra sentir risuonare ancorale parole di Francesco, che su questa terra nonhanno mai smesso di correre libere, come ilvento che certi giorni di primavera carezza escrive la sua gioia e il suo canto sulle colline esui fili d’erba.

L’Umbria con i suoi Borghi più Belli, con lesue rievocazioni storiche, con la sua ancestralecultura etrusca e terrigna.

E dunque non c’è solo una ragione in più, mamille ragioni in più, per esserci, per farsi rapiredai suoi richiami atavici, per viverla e raccon-tarla, per perdersi e ritrovare in essa (in fondo)la parte migliore di sé.

Perché non può che far bene farsi abbagliaredai suoi tesori splendenti, così come andare al-la ricerca di quelli custoditi e celati comegioielli nei suoi 120 musei.

Lì c’è racchiusa tutta la sua ricchezza passa-ta, fatta di luce, di arte, di messaggi mistici e di-vini, di richiami che riportano all’essenza uma-na, alla purezza dell’anima.

Ma è altrettanto vero che in questo luogo tra-fitto da mille sentieri tutto riconduce alla di-mensione dell’umiltà e della spontaneità. Terrache si spiega e si dona, che si concede, senzapudore.

E lasciano il segno le parole di Augusto An-cillotti, glottologo di fama mondiale che datrent’anni si dedica allo studio delle Tavole Eu-gubine. Nell’intervista che segue su queste pa-gine lo studioso ci aiuta a capire, a ritrovarci:«Ci sono valori che nonostante tutto ci portia-mo nel profondo, che stanno scritti dentro dinoi, che sappiamo che stiamo smarrendo e cidispiace. E le Tavole Eugubine in fondo ci ri-cordano che quei segni scolpiti nel bronzo, fer-

mati nel tempo, rappresentano qualcosa di im-mutabile. Mi guardo intorno e mi accorgo chesempre meno persone si pongono le domandefondamentali, per perdersi nei rivoli del cosid-detto “sogno americano”. Vivere come se tuttodipendesse dal successo, dal denaro, dal benes-sere, dal divertimento, di certo non ci appartie-ne, non porta a nulla. Noi eravamo abituati altema della “felicità”, che ha un percorso com-pletamente diverso, che ci viene tramandatodai greci e dai latini. E queste Tavole ci ricor-dano da dove veniamo, un codice che come ildna è depositario della nostra lunga e affasci-nante storia».

E anche se nelle Tavole non c’è mai scritta laparola “amore”, il glottologo ricorda che c’è in-cisa più volte la scritta “pace”, che vuol dire pa-catezza, che poi se ci pensi è una forma diascolto profondo, di fiducia, di adesione, di to-tale empatia. «Si chiede alla divinità di essereconciliante, con me che sono disarmato, conme che ti appartengo e ti somiglio».

E dunque a ben vedere è un atto di abbando-no, di amore estremo.

E a proposito del più sublime dei sentimenti,in questo mese dedicato al dono, alla misericor-dia, alla conciliazione fra gli uomini, l’Umbriapiù di ogni altro luogo, sembra ispirare serenitàe gioia. In nessun altro posto si è testimoniatauna fede così intensa, permeata di quel “dare”incondizionato, capace di mettere in disparte ilsé per privilegiare di più l’altro, fino ad annul-lare ogni distanza dettata dall’egoismo, cam-minando sulle orme di un Gesù che ha dato lasua vita per salvare gli uomini, sui solchi diFrancesco che ha sacrificato la sua veste carna-le «pur di per portare in paradiso il maggior nu-mero di anime belle» - come lui stesso dissenella Porziuncola, nel suo colloquio con Dio.

E quell’amore si coglie ancora in ogni cosa,permea i colori dei tramonti, lo si ritrova scrittonei volti di uomini e donne che si sono distintinel tempo per la loro fierezza, per la loro crea-tività, per il loro ingegno, per quello spirito li-bero che li rende orgogliosi, legati alle tradizio-ni.

Comunità dalle radici profonde, che ha sapu-to mantenere i contatti con un ambiente, conuna natura, che si sa, solo se compresa e rispet-tata sa essere feconda, fino a forgiare identitàautentiche e una storia esemplare.

Eccoli allora i paesaggi scolpiti dal vento,immersi nel verde delle colline sinuose; i montie le valli, gli antichi borghi e i campanili chesembrano scandire il tempo.

Un mix di cultura, tradizioni e sguardi al fu-turo.

In questa terra che non ha sbocchi sul mare lastoria è radicata nelle tradizioni che risentonodei passaggi, dei movimenti culturali, degli in-contri e anche degli inevitabili scontri che visono accaduti.

Così come tutto contempla la sua tavola, di-spensatrice di sapori forti, assoluti e genuini.Un viaggio nei centri più importanti dell’U m-bria porta a degustare i buoni vini, a conosceretradizioni enogastronomiche ed artigianali uni-che, a perdersi nelle botteghe in cui si lavora laceramica, il vetro e il legno.

E di questi tempi è obbligatoria anche una vi-sita ad uno dei tanti frantoi sparsi sul territorio;un modo per conoscere la grande sapienza chesta dietro la “conquista” dell’“oro verde”, fioreall’occhiello di tutte le aziende, consorzi olei-

ApparizioniUna terrache si spiegae si dona

Arte e fedeUn mixdi creativitàe spiritualità

Oro verdeL’olioè il fruttoprelibato

SOMMARIO

Page 4: Umbriaeventi secondo numero

Venerdì 4 dicembre 2015

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I NOSTRI TESORI

Una suggestivaimmaginedi Castellucciodi Norciache affioradalla foschia

fici che hanno ottenuto il marchio Dop Umbria. Co-sì come un altro itinerario interessante è quello del-le famose “strade del vino”: un altro percorso fattodi natura, sapori, storia e tradizioni.

Ma questa è anche la regione delle acque. Del La-go Trasimeno, il maggiore lago dell’Italia centrale,nel cui territorio sono presenti, ancora oggi, i restidi insediamenti etruschi.

Le acque cadenti e schiumose delle Cascate delleMarmore nei pressi di Terni, considerate tra le piùbelle d’Europa. Acque che si tuffano nel fiume Ne-ra con un salto spettacolare di 165 metri, avvolte dauna vegetazione rigogliosa, meta di sportivi amantidi canoa, kayak e non solo.

Per non parlare del suo gioiello paesaggistico enaturalistico per eccellenza: i Piani di Castelluccio,il Vettore e gli altri rilievi circostanti che dominanoun’area vasta che inebria la vista ed è sempre capa-

ce di togliere il fiato. Certo, poi ci sono arroccatisulle pendici delle montagne altri magnifici villaggia “presepe”, come Bevagna e Spello, tanto per ci-tarne alcuni. Così come perla incastonata nel suocuore è Gubbio, la città più antica dell’Umbria, chenel medioevo raggiunse il massimo splendore, do-ve domina ancora la cattedrale, il palazzo dei Con-soli simbolo della città, il palazzo Ducale, che fan-no di questa città un vero e proprio gioiello. Gubbioche di questo periodo s’illumina con le luci dell’A l-bero di Natale più grande del mondo.

Altri luoghi di fascino tra gli innumerevoli chetroviamo in Umbria, sono Orvieto con il suo famo-so Duomo, uno dei capolavori dell’arte gotica ita-liana ed il Pozzo di San Patrizio, capolavoro di in-gegneria intorno al quale girano due scale elicoidalinon comunicanti con 248 scalini da percorrere perraggiungere l’acqua a 62 metri di profondità.

E poi Spoleto, città pittoresca che vanta una storiamillenaria di cui ancora conserva le vestigia nell’a r-chitettura medioevale e rinascimentale. I suoi viot-toli in pietra ed i suoi monumenti più illustri fannoda scenario ancora oggi a manifestazioni culturaliinternazionali come il Festival dei due Mondi: unagrande occasione per immergersi in un’atmosferaartistica di grande qualità.

Tra arte e spiritualità, indimenticabile sarà la vi-sita alla città di Assisi, iscritta nella lista dei sitiUnesco “Patrimonio Mondiale dell’Umanità” cherappresenta “un insieme di capolavori del geniocreativo umano”. Assisi, che ha dato i natali a Fran-cesco, patrono d’Italia, e a Chiara. Qui tutto parladel suo cittadino più illustre, dalla Basilica a lui de-dicata con la tomba del Santo, all’Eremo delle Car-ceri, poco fuori le mura della città, dove Francescosi ritirava in preghiera. Ma il rassicurante profilodei borghi e l’aura di santità non è che un aspetto,che spesso svanisce varcando la soglia di questipaesi.

La grazia dell’ambiente circostante contrasta conla fierezza e la severità dei palazzi del potere e deiripidi vicoli, nei quali si coglie un altro volto di que-sta regione, che diede i natali anche ai più spregiu-dicati capitani di ventura del Rinascimento

Perugia, capoluogo dell’Umbria, città dalle origi-ni antiche. Il centro storico è un pullulare di capo-lavori di arte ed architettura con un patrimonio mu-seale tra i più ricchi d’Italia. E a proposito può fareda buona guida il documentario “Perugia dalle ori-gini alla fine del mondo antico”, prodotto dalla Da-nae Film Production (h t t p : / / t r a v e r s i-nig.wix.com/dfp), che racchiude la storia del terri-torio umbro, in particolare quella dei popoli chehanno abitato la sponda sinistra e la sponda destradel Tevere, e racconta le vicende delle origini di Pe-rugia, risalenti al VI secolo a.C.

Così come da non farsi mancare è una visitaall’altro capoluogo di regione: Terni. Che non è so-lo la città dell’acciaio! Terni è anche la città di SanValentino, protettore degli innamorati di tutto ilmondo.

La sua basilica, che ne custodisce le spoglie, èmeta continua di pellegrinaggi, mentre ogni annol’intera città dedica importanti eventi al Santo Pa-trono, che culminano nella festa del 14 febbraio.

Ma se c’è una cosa che lega come un filo invisi-bile i due territori è la musica.

Umbria Jazz , come per miracolo, in questi anni èdiventato il più importante festival musicale jazzi-stico italiano, conosciuto in tutto il mondo.

Nato nel 1973, si svolge nel mese di luglio a Pe-rugia, ma da qualche tempo si anima anche d’i n v e r-no con Umbria Jazz Winter, che è ormai diventatoun appuntamento imperdibile nel panorama deglieventi regionali.

La cornice perfetta di Orvieto ha permesso allamanifestazione di creare il giusto mix nelle esibi-zioni live in programma, aggiungendogli quel toc-co in più capace di renderla un polo d’attrazione ir-resistibile.

A fine anno dalla tarda mattinata e fino a nottefonda le strade del centro si riempiono di suoni,mentre in giro per la città si respira aria di festa an-che grazie a mercatini e alle tante degustazioni of-ferte ai passanti. Jazz e buona cucina, che viene afondersi dunque con l’accoglienza genuina dellapopolazione locale, con i colori e le luci del Natale,con la storia e la cultura, con 100 proposte di con-certi ed esibizioni dal vivo che arricchiscono il car-tellone dei cinque giorni di festival.

Musica, gastronomia ed arte: un connubio irresi-stibile per un memorabile Capodanno in Umbria!

Marco Pierini, direttoredella Galleria Nazionale dell’Um b r i a

Con i suoi 120 musei è fra le regioni che vantano il più grande patrimonio artistico e culturale. L’invito del direttore Marco Pierini

«Ci sono mille ragioni di più per venire in Umbria»PERUGIA - L’Umbria è anche terra di preziosi gioielli, custoditie difesi nei suoi scrigni ideali. Su 92 comuni umbri, almeno 60possiedono un museo, un sito archeologico o un monumentoaperto al pubblico, per un totale di oltre 150 punti di interesse ar-tistico. L’offerta culturale territoriale spazia dall’archeologiaall’arte, dalla scienza all’etnoantropologia. In Umbria ogni paese,chiesa o piazza racconta una storia che parte da Umbri ed Etru-schi, Romani e Longobardi, fino a toccare i capolavori del Me-dioevo, Rinascimento e vantare grandi maestri del Novecento. Lapolitica che caratterizza l’azione regionale in campo museale hasempre promosso l’organizzazione in rete dei musei locali, per in-cardinare su di essi un’attività di conservazione e di valorizzazio-ne sociale ed economica rivolta alla globalità del patrimonio cul-turale. Oggi il Sistema Museale dell’Umbria è una realtà ricono-sciuta in campo nazionale come primo e riuscito esempio di ap-plicazione su larga scala di servizi, provvedimenti amministrati-vi, soluzioni organizzative, indirizzi culturali, contenuti scienti-

fici e supporti tecnici atti ad ottimizzare i risultati gestionali deimusei. La rete è aperta a tutti i musei, le raccolte e i siti di ente lo-cale o di interesse locale, di proprietà pubblica, privata e ecclesia-stica. I musei del Sistema museale dell’Umbria hanno un bacinodi utenza di circa un milione di visitatori l’anno, svolgono attivitàdidattica rivolta alle scuole e a pubblici diversi, contribuiscono al-la promozione integrata del territorio regionale attraverso la par-tecipazione alle manifestazioni turistiche e sono sempre più coin-volti nella salvaguardia e nella valorizzazione del patrimonio cul-turale diffuso. Attualmente, hanno ottenuto dalla Regione la di-chiarazione di interesse per la fruizione pubblica 120 tra musei,raccolte o altre strutture, distribuiti sull’intero territorio regiona-le, così ripartiti: 82 appartenenti a comuni o altri enti pubblici; 30appartenenti a soggetti privati; 8 ad istituzioni ecclesiastiche. DaMarco Pierini, nuovo direttore della Galleria Nazionale dell’Um -bria, l’invito a visitare questa regione: «In questa terra di meravi-glie c’è sempre una ragione in più per venirla a visitare».

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4 - Venerdì 4 dicembre 2015 Umbria Eventi

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Venerdì 4 dicembre 2015

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I reperti documentatiIl video vanta immagini e testi originali frut-

to di lunghe ricerche. Il documentario dàquindi ampio risalto ai reperti, alle testimo-

nianze e al patrimonio storico, culturalee artistico di Perugia, una città che può van-

tare, nel corso del tempo, una ricchezza diculture, memorie e accadimenti straordina-

riamente ricca e varia. Come è ormai nellostile della casa di produzione video umbra,

l’obiettivo è quello di realizzare,attenendosi al rigore dei fatti storici, un pro-

dotto di altissima qualità, che sappia benconiugare realtà e finzione

A latoun’urna etrusca

Gli Etruschi si collocano, nella storia,tra le due grandi civiltà dei Greci edei Romani: portarono molte cono-

scenze del mondo greco in Italia chepoi trasmisero ai Romani

Il documentariodella Danae FilmProductionriporta alla vitadi 2600 anni fa

Perugia, la genesidi GERTRUDE SIGISMONDI

Un viaggio indietro nel tempo, alla sco-perta delle nostre radici, per andare a ve-dere da dove proveniamo, scoprire quali

erano gli usi e i costumi dei nostri antenati, percomprendere meglio, attraverso la una cono-scenza più approfondita, il profilo dei nostri ca-ratteri. Un documentario che non ha in sé solotracce di storia, ma anche una miriade di emo-zioni. “Perugia dalle origini alla fine del mondoantico”, prodotto dalla Danae Film Productionpresieduta da Marcello Traversini, lo si può de-finire davvero un lavoro molto interessante, inquanto racchiude la storia del territorio umbro,in particolare quella dei popoli che hanno abita-to la sponda sinistra e la sponda destra del Te-vere, e racconta le vicende delle antiche originidi Perugia, risalenti al VI secolo a.C.

Il nucleo storico e le mura della città ci ri-mandano alla dominazione etrusca, che anti-cipa quella romana del III secolo a.C. destina-ta a estendersi all’intera regione. Non ci sonoconoscenze riferibili al periodo antecedente ilVI secolo, ma probabilmente si può pensare auna presenza di nuclei di popolazione umbro-sarsinate, con un apporto anche di Volsinii, acui sono subentrati, principalmente sulla de-stra del Tevere, gruppi di popolazioni etru-sche. Proprio gli etruschi, a partire dal VI se-colo a.C., si sono insediati nel territorio di Pe-rugia rendendola una delle più potenti luco-monie della dodecapoli etrusca. Il prezioso la-voro è stato presentato alla Sala dei Notari. Ol-tre al presidente della Danae Film Production,Marcello Traversini, sono intervenuti: Fer-nanda Cecchini, assessore alla Cultura dellaRegione ; Teresa Severini, assessore alla Cul-tura e al Turismo del Comune di Perugia; Car-lo Colaiacovo, presidente della FondazioneCassa di Risparmio di Perugia; Giorgio Men-caroni, presidente della Camera di Commer-cio di Perugia; Giulio Cesare Giordano, presi-dente del Centro internazionale di coopera-zione culturale di Perugia; Mario Torelli, ac-cademico dei Lincei e docente di Archeologiaall’Università degli Studi di Perugia; FrancoMezzanotte, docente di Storia medievaleall’Università degli Studi di Perugia; Giorda-na Benazzi, esperta di Storia dell’arte; Mar-cello Traversini, regista del documentario;Angelo Sferrazza, giornalista, già vicediretto-re Videosapere e Teche Rai. È stato spiegato

come il film-documentario sia basato sullefonti storiografiche, attraversa oltre un mil-lennio di storia cittadina seguendone i percor-si, gli insediamenti e i monumenti principaliche hanno caratterizzato prima il periodo um-bro, poi quello etrusco, quello romano e infinequello bizantino. E dunque è stato detto: «ChePerugia sia una città dalle origini molto anti-che viene percepito tanto da chi ci vive che dachi visita la città più o meno velocemente. Iperugini sono orgogliosi dell’origine miste-riosa e nobile della loro città, in bilico tra legrandi civiltà greca e romana, ma poco sannodegli eventi che caratterizzano la storia citta-dina dei secoli più antichi, anche perché lefonti non ne danno notizia per quanto riguardai secoli precedenti il IV secolo a.C».

Per il professor Franco Mezzanotte «la Da-nae Film Production ha realizzato un nuovodocumentario di grandissimo interesse e spes-sore culturale. Sotto la sapiente regia di Mar-cello Traversini, che della Danae film è animae ispiratore, stavolta si affronta la storia di unacittà, dalle origini al grande cambiamento chela nuova religione, il cristianesimo, ha porta-to. La scelta non poteva che essere una: illu-strare le reliquie concrete, tangibili, che secolidi cultura e tecnica hanno lasciato, illustrandonel contempo tutti i momenti di una evoluzio-ne storica che, partendo dai presupposti Um-bri, attraverso le testimonianze etrusche, lesuccessive romane e quelle gotico-bizantineci conduce all’oggi». «In qualche modo - con-tinua Mezzanotte - il filo conduttore sembraessere quello della ricerca della spiritualitàche le varie civiltà hanno lasciato nei molte-plici esempi che vanno dal tempio agli oggettiche accompagnavano il defunto nel suo viag-gio nell’aldilà. È sicuramente affascinante se-guire tutti i momenti, illustrati e commentatida una gradevolissima voce narrante, e mo-strati con una serie di riprese in musei e sitiumbri, nazionali ed internazionali, dei ric-chissimi corredi funerari etruschi, di cui le nu-merose necropoli perugine sono state genero-se, ma anche vedere i monumenti sopravvis-suti, o soltanto seguirne gli indizi, perché lacontinuità della vita cittadina li ha celati e co-me inghiottiti, lasciando però sempre un indi-zio, per l'occhio attento, di dove e come fosse-ro».

«Il filmato si conclude - dice infine Mezza-notte - con immagini della chiesa di San Mi-

chele Arcangelo, il Tempio, il più antico edi-ficio restato pressoché integro dell’era cristia-na, ma che, quasi a testimoniare la continuitàstorica affermata nel documentario, conservanel suo interno la base di una statua che i Pe-rugini, ormai cittadini romani, elevarono nelsecondo anno di impero di Marco Aurelio, adun antenato dell'imperatore, di antica famigliadi origine etrusca perugina, Gaio Vibio Tre-boniano Gallo».

Il video - già disponibile anche in versioneinglese - vanta immagini e testi originali fruttodi lunghe ricerche. Il documentario dà quindiampio risalto ai reperti, alle testimonianze e alpatrimonio storico, culturale e artistico di Pe-rugia, una città che può vantare, nel corso deltempo, una ricchezza di culture, memorie eaccadimenti straordinariamente ricca e varia.Come è ormai nello stile della casa di produ-zione video umbra, l’obiettivo è quello di rea-lizzare, attenendosi al rigore dei fatti storici,un prodotto di altissima qualità, che sappiaben coniugare realtà e finzione e che poi allafine non a caso venga catalogato come docu-fiction. Lo stile della Danae Production neglianni si è imposto come un modo molto parti-colare di raccontare gli eventi, una metodolo-gia che miscela sapientemente realtà e recita-zione, utilizzando le più avanzate tecnologie,riadattando alla perfezione alcune location,per far vedere, nel modo più diretto e realisticopossibile, come vivevano e agivano i protago-nisti di epoche lontane. Da più di vent’anni laDanea si dedica ai condottieri e alle grandi fa-miglie umbre del Medioevo e del Rinasci-mento. Bellissimi e istruttivi i docufilm su Fe-derico da Montefeltro, Braccio da Fortebrac-cio da Montone, i Vitelli, i Trinci, i Davarano,sul Ducato di Spoleto, su Bartolomeo d’Al -viano e anche quello sui Conti di Marsciano.Docu-fiction destinati al mercato della televi-sione e che quindi assumono un valore socio-culturale e vantano riflessi positivi per la dif-fusione della conoscenza delle nostre città edelle nostre tradizioni umbre. È il presidentestesso della Danae Film Production, MarcelloTraversini, a ribadire con quale rigore partico-lare la casa produttrice si sia sempre voluta de-dicare alla documentazione legata al raccon-to. «Abbiamo sempre voluto che non entrassedentro la fiction la parte romanzata. La vicen-da storica è stato completamente rispettata. Ein tutti questi anni, anche grazie alle nostre ri-cerche, è emersa ed è stata riordinata, una do-cumentazione che mette in risalto la ricchezzadella nostra terra. Anche in questo film-docu-mentario sulla storia della città di Perugia, hovissuto grandi emozioni. Il piacere della “sco -perta” non finisce mai di sedurre, di meravi-gliare». «Inoltre poter presentare la storia del-la città di Perugia, dalle origini alla fine delmondo antico, mi rende particolarmente orgo-glioso di appartenere a questa terra e di poter-ne così vantare tutte le sue infinite bellezze».

Franco Mezzanotte«Si affronta la storia di unacittà, dalle origini alla fine

del mondo antico»

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Venerdì 4 dicembre 2015

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Il professorAu g u s to

A n c i l l ot t i ,g l ot to l o g o

e studiosodelle

Tavo l eEugubinequi a latove n g o n oripor tati

due esemplaric u s to d i t i

al Palazzo deiConsoli

di Gubbio

Tavole EugubineLe nostre radicidi ONOFRIO RICCADONNA

Gubbio

A Gubbio si conserva il più antico testodella lingua umbra, le celebri TavoleIguvine. Un reperto che l’antichità ci

ha tramandato e che fortunatamente il casonon ha distrutto e l’incuria non ha disperso. Illuogo di ritrovamento delle tavole è scono-sciuto, sebbene si sappia che per forza di cosedoveva trovarsi nel territorio dell’anticaGubbio. La maggior parte degli studiosi ritie-ne che possano essere state rinvenutenell’area del teatro romano di Iguvium intor-no alla metà del Quattrocento. Il Gabrielli nel1581 pose la scoperta nell’anno 1444, mal’unico documento certo è l’atto notarile del1456 con il quale il Comune di Gubbio acqui-stò le tavole da una certa Presentina. La pro-venienza dal teatro romano fu ipotizzata daAntonio Concioli (1678). Secondo altri, in-vece, le tavole sarebbero state rinvenute nellevicinanze del tempio di Giove Appennino(tra Scheggia e Cantiano). Secondo un anoni-mo del XVII secolo il rinvenimento sarebbeinvece avvenuto in una sala sotterranea neipressi della chiesa di San Francesco a Gub-bio.

Ma al di là delle modalità e del luogo delrinvenimento, si tratta di certo di pezzistraordinari che custodiscono misteri ancoranon del tutto decifrati. Fusioni in bronzo rea-lizzate con il metodo della “cera persa”(Agostiniani 2010) utilizzato per preservareantichissimi testi conservati negli archividella confraternita Atiedia, che sino ad alloradovevano essere stati copiati su materialedeperibile (tela, pelli, foglie, legno).

In queste sette tavole di bronzo conservatenel Palazzo dei Consoli di Gubbio, non sitrova solo la testimonianza di riti arcaici ce-lebrati ancora alla fine dell’epoca Repubbli-cana e in epoca Augustea, ma anche una pre-ziosissima documentazione sulla lingua um-bra. Da questo punto di vista, per il fatto,cioè, di rappresentare un importantissimodocumento linguistico oltre che storico, essepermettono all’umbro antico di uscire dalrango di lingua sporadicamente attestata, percollocarsi, se non al livello di lingue con unaloro letteratura e una loro tradizione scritto-ria ampiamente conosciuta, almeno ad un li-vello intermedio.

Delle sette tavole di bronzo, le prime cin-que, di redazione più antica, sono incise concaratteri umbro-etruschi. Mentre una partedel retro della quinta e le altre due più tarde,utilizzano caratteri latini. Alfabeti diversiper un’unica lingua appartenente agli antichiumbri. In esse vengono raccontati, con laforza indelebile dei segni, i riti religiosi cheemergono dall’oscurità dei secoli di quellegenti. L’impresa della loro traduzione hacoinvolto i maggiori glottologi italiani. No-nostante la datazione delle Tavole sia da por-

si fra il I° e il III° Secolo a.C. la loro stesurasembra recuperare testi molto più arcaici.

Vi sono regolamentate descritte comples-se cerimonie religiose, viene illustrata l’or-ganizzazione del potere sacerdotale e vengo-no nominate le numerose divinità che carat-terizzano il politeismo degli umbri, tra cui latriade composta da Giove, Marte e Bofione.

Rituali a scopo lustrale e propiziatorio im-perniati sul sacrificio di animali e sull’osser-vazione augurale del volo degli uccelli.

Dalle Tavole Eugubine e dalle testimo-nianze di altri rari testi umbri, si apprendecosì che la religione umbra era politeistica,come quella degli altri popoli italici o comequella romana. Ed era diffusa in tutti i terri-tori abitati dagli umbri. Le divinità citate neltesto eugubino sono 25, ma altre ne troviamonelle rare epigrafi in lingua umbra, come peresempio la cupras matres plestinas, citatenelle lamine di Plestia, l’attuale Colfiorito.

E più si guardano da vicino questi gioiellivenuti dal passato e più si ha la consapevo-lezza che se davvero la storia avesse un suodna, fra i vari codici comparirebbe anchequello delle Tavole di Gubbio.

Ne parliamo con lo studioso Augusto An-cillotti, assessore alla Cultura del Comune diGubbio, che ha dedicato trent’anni della suavita ad analizzare questo “scrigno di paro-le”.

«Io sono un glottologo di scuola indoeuro-peistica - dice Ancillotti - in qualche modomi occupo della genesi delle lingue di que-st’area. Sono l’ultimo allievo di Vittorio Pi-sani, che è stato una gloria in Italia in questonostro settore. Ho sempre evitato di avvici-narmi all’antico umbro delle Tavole di Gub-bio perché consapevole che un documento di4.400 parole invade la vita di un glottologo eper timore reverenziale ho sempre evitato se-riamente di avvicinarmici, finché, trent’annifa, quasi “ricattato” da un caro amico, accet-tai lo “scambio”. Lui era di Gubbio, gli man-cava un esame per la lauera e io l’invitai aportare a compimento questo suo progetto.Lui in cambio mi chiese di occuparmi delleTavole. E io, pur di farlo laureare, mi sentiicostretto ad assolvere questo compito. Da

quel momento non solo mi sono occupatodelle Tavole di Gubbio ma ancora oggi nesono letteralmente “rapito”».

Cos’è la cosa che più l’attrae e l’affasci-na di questa ricerca?

«Sono un glottologo e dunque mi attira ilpotere e il fascino delle parole. Si studiano isegni per arrivare ai contenuti, ma prima bi-sogna essere sicuri di comprendere cosa c’èscritto e quello che ogni traccia significa. Maper ricostruire un mondo attraverso quelleincisioni, ebbene, bisogna avere una grandeconfidenza con la scrittura. Essere, come di-re, allineati sul terreno del rapporto fra paro-le e cose. E per entrare all’interno dei mes-saggi contenuti nelle Tavole di Gubbio c’èsolo una strada, devi essere un indoeuropei-sta già sperimentato».

Lei cosa ci ha trovato?«Una quantità di cose davvero incredibili.

Perché è ovvio quello che sanno tutti: è undocumento di tenore rituale-cerimoniale-re-ligioso. Ma in realtà attraverso questo mon-do caratterizzato dal rapporto fra la comunitàe il divino si vengono a conoscere i valori co-stitutivi di quella comunità, la posizionedell’uomo nel creato. Viene fuori l’identitàdi una certa epoca e di una certa cultura».

Che ci fa risalire a …?«Le Tavole sono copie relativamente tarde

di vecchi testi religiosi. Quindi queste copiedel terzo/secondo e primo secolo avanti Cri-sto, rimandano ad un mondo che è quellopreurbano, VII° secolo a.C.».

Siamo al tempo della nascita di Roma...

«Roma nasce su esperienze sostanzial-mente simili a quelle che sono raccontatenelle Tavole di Gubbio. Uno dei punti focaliera proprio “Guardate che Roma ha unaenorme quantità di debiti nei confronti diquesti antichi umbri”. Noi li chiamiamo um-bri, loro li chiamavano safini. E il primo resabino di Roma è stato Numa Pompilio checostituisce tutto l’impianto non solo religio-so ma anche civico della romanità; che poiera un mondo che si era autogenerato con ungruppo di bande armate. Per noi Umbria èquesto pezzettino che ci è rimasto dopo tantitagli, mentre allora, se cominciamo con lagrande Umbria degli storici greci, andavadal Po al Tevere, dall’Adriatico al Tirreno.Con gli ombrikoi o ombrici, torniamo adun’età più vicina, quando i romani si espan-dono e tendono a considerare umbri tuttiquelli che trovano dalla parte verso l’Adria-tico, non dalla parte del Tirreno perché lìc’erano gli Etruschi. Anche se lì prima deglietruschi c’erano gli umbri».

Insomma siamo i più vecchi?«Sì, come dice Plinio “è la più antica po-

Intervista a Augusto Ancillotti

L’obiettivo della ricerca«Si studiano i segniper arrivare ai contenutie scoprire un mondo lontano»

Origini lontaneCome dice Plinio:“Umbrorum gensantiquissima Italiae”

L’INSEGNAMENTO PIÙ GRANDE

«Noi con il “sogno americano” nniente. Le incisioni ci ricordano da una cultura diversa, che pun

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polazione italica”. In latino la sua espressio-ne è “Umbrorum gens antiquissima Italiae”.E quindi arriviamo ai safini che erano diffusidappertutto. Per cui i safini vanno da quelliche saranno chiamati piceni, a quelli che noichiamiamo umbri, a quelli che chiamano iromani sabini. Sono sempre loro e parlavanoquella lingua lì, nei vari dialetti ovviamente.E chi ha sottomano la lingua delle Tavole diGubbio, che è un esempio cospicuo, anzi è ilprincipale esempio di questa lingua, le capi-sce tutte».

Le Tavole sono paragonabili al ritrova-mento della Stele di Rosetta?

«Come immagine sì! Ma è molto più pove-ra la verità della Stele di Rosetta di quella chenon sia il nostro testo. Per una ragione sem-plicissima: la Stele di Rosetta è servita perfar scattare un meccanismo. C’è un cartiglionella Stele di Rosetta, e Jean-FrançoisChampollion si è detto: “siccome io leggobene il testo greco, e si parla del Re Tolomeo,non sarà che ci sia il nome del Re, come è ingreco “Tole Majos” e quindi vediamo unpo’”. Partito da questa ipotesi e attraverso al-

tri nomi di faraoni e altri cartigli si è potutodunque ricostruire il valore dei segni, dei ge-roglifici, in rapporto ai fonemi, alla lingua.Le Tavole Eugubine invece le possiamo con-siderare una “porta”, un ingresso, che ci con-duce verso un mondo che per tanti versi pos-siamo considerare ancora misterioso. Unmondo che noi non troviamo nei libri di sto-ria. Sì perchè il difetto dei nostri umbri è sta-to proprio questo, hanno scritto queste coseper uso privato, in funzione dei i patrizi chedovevano svolgere questi riti religiosi».

Segno di una grande diffidenza, che unpo’ è rimasta nel dna degli umbri?

«Ma forse un po’ è rimasta, ma io pensoche ci siano ragioni legate anche alla gestio-ne del potere. Se si pensa che quella era unasocietà all’interno della quale c’era la ferreaconvinzione che il rapporto fra la comunità eil divino doveva essere gestito in modi cano-nici, al di fuori dei quali non si poteva riusci-re a dialogare con il divino. Non c’era la spi-ritualità a cui siamo assuefatti noi, no, ci vo-leva la mediazione, determinata dal rito. Al-lora chi conosceva il rito era in grado di ot-tenere dalla divinità, per tutti, per la comuni-tà. Quindi un gruppo di cittadini, che noi po-tremmo chiamare Patrizi, loro si chiamava-no Atiedi, che gestiva il rito, gestiva di fattoil potere. Gestiva in pratica l’economia. “Voiavrete il raccolto abbondante, le vostre be-stie staranno bene di salute, le mogli parto-riranno e saranno fertili perché io riesco aparlare con la divinità, riesco ad ottenere i fa-vori della divinità. L’ottengo perché io cono-sco le forme”. Quindi è un potere fondatosulla parola sacra che consente di dialogarecon Dio».

Le Tavole di Gubbio sono una riprodu-zione?

«No, le Tavole di Gubbio sono un origina-le, è il testo che è più vecchio. Nel corso deltempo si usavano materiali deperibili. Si ri-copiavano testi antichi, con l’angoscia chepotessero andare perduti o venire alterati neicontenuti. E questo timore lo si legge benesulle Tavole di Gubbio, dove fra le tante pre-

ghiere, alcune delle quali molto affascinanti,ce n’è una in cui si legge: “se qualcosa è statoaggiunto, se qualcosa è stato tolto, se qualco-sa è stato modificato, se qualcosa... oh Diosia come non voluto”. Trovo che questo “siacome non voluto” riveli la paura di perderel’unico modo per dialogare con il divino. So-lo certe formule consentono di crearti tu unaforma di preghiera spontanea, usando le pa-role giuste della tradizione. Guai a modifi-carle, non si otterrebbe lo stesso risultato».

Cosa la spinge ancora verso questo per-corso di ricerca, appassionante, ma allostesso tempo complicatissimo?

«Credo che sia quella spinta che porta l’uo-mo a cercare di capire, di scoprire qualcosache è coperto. La consapevolezza che finchénon lo sveli resta un mistero. C’è il desideriodi alzare il velo per vedere cosa c’è sotto».

C’è anche forse l’attrazione verso unmondo antico depositario di valori che og-gi sono smarriti.

«Sì, depositario di valori che nonostantetutto noi ci portiamo scritti dentro di noi, chesappiamo che stiamo smarrendo e ci dispia-ce. E quelle Tavole Eugubine in fondo ci ri-cordano che quei valori ci sono e che dobbia-mo tesorizzare e proteggere, scolpiti nelbronzo non a caso, proprio perché dovevanoessere fermati nel tempo, perché rappresen-tano sempre qualcosa di immutabile e di fon-damentale».

Ci si guarda intorno e ci si accorge chesempre meno persone si pongono le do-mande fondamentali: Perché si vive? Do-ve si va? Il senso della vita? Le Tavole infondo ci portano ad interrogarci ancora.

«La domanda è fondamentale. Anche se larisposta è sempre provvisoria, anche se qual-che volta è negativa. L’importante è conti-nuare a cercare, solo così la problematicità diquesta nostra coscienza si distingue».

Peraltro l’uomo è l’unico animale co-sciente della propria morte. Oggi viviamoin una società che nega la morte, la spet-tacolarizza, la imbelletta, mentre se unova a vedere nelle società antiche, fino a

quelle contadine, la morte faceva partenaturale del ciclo della vita. Quando l’uo-mo tende a negare il problema la vita cam-bia prospettive. C’è “solo l’oggi”. Comevivere incoscienti su una giostra infinita...

«Noi viviamo questa situazione perchè èstato in qualche modo adottato nelle nostrevite il cosiddetto modello americano. Il “so-gno americano” non è una cosa nobilissimacome ci viene propinato, è una cosa moltobanale. Come se tutto dipendesse dal succes-so, dal denaro, dal divertimento, dal potere.Noi eravamo abituati al tema della felicità,che ha un percorso completamente diverso.Noi vediamo da lì. In qualche modo era quel-la la chiave che si trasmetteva da una gene-razione all’altra con molta naturalezza. Que-ste Tavole ci riportano ad un’altra dimensio-ne. È come se ci facessimo una radiografia eda lì venissero fuori le nostre radici, un’os-satura che è depositaria della nostra storia».

Questa analisi ci ricorda che c’è unastruttura che ci unisce, una cultura che cirende simili. Lì in fondo c’è fissata la no-stra infanzia. Una curiosità: per esempionelle Tavole come viene trattata la parolaamore?

«Nelle Tavole non c’è mai la parola amore,ma c’è la parola pace, che vuol dire pacatez-za, che poi è una forma sublime di ascolto. Sichiede alla divinità di essere buona, genero-sa, conciliante, con me che sono indifeso,con me che di fronte a te non sono niente eche vorrei tanto somigliare. A ben vedere èuna richiesta d’attenzione, di rispetto, un af-fidarsi totalmente all’altro. E dunque, forse,il più alto significato di autentico amore».

NEW YORK - E a proposito di “sogno ame-ricano” e della ricerca della felicità che invececomporta un altro tipo di obiettivi e di valori,che, come ci ha ricordato su queste pagine ilprofessor Augusto Ancillotti, attingono allespeculazioni filosofiche e teoretiche dei gran-di pensatori, che vanno dai greci ai latini, varicordato il discorso di Robert Kennedy, ex-senatore statunitense ed ex candidato alla pre-sidenza, nonché fratello di John FitzgeraldKennedy (35esimo presidente degli Usa), cheproprio lo scorso 20 novembre avrebbe com-piuto 90 anni. Questo suo intervento è passatoalla storia soprattutto per una presa di posizio-ne durissima nei confronti del Pil. Lo tenne inun’università americana il 18 marzo del 1968,tre mesi prima di cadere vittima in un attentatoa Los Angeles, all’indomani della sua vittorianelle elezioni primarie di California e Dakotadel Sud. «Il Pil misura tutto eccetto ciò cherende meritevole la vita di essere vissuta».

Questa la frase che sembra scritta oggi. Giàa quell’epoca si intravedeva come il Pil da so-lo fosse un indicatore inadeguato per rappre-sentare il benessere di una nazione economi-camente sviluppata. È oramai chiaro che qua-lità della vita non è solo Prodotto Interno Lor-do. Il Pil non ci dice nulla di come effettiva-mente viva la gente. Per capirlo serve di più:un mix di economia, sondaggi, e altri dati permisurare, qualità, gioia, felicità e benessere.Questo il testo: «Non troveremo mai un fineper la nazione né una nostra personale soddi-sfazione nel mero perseguimento del benes-sere economico, nell’ammassare senza finebeni terreni. Con troppa insistenza e troppo alungo, sembra che abbiamo rinunciato alla ec-cellenza personale e ai valori della comunità,in favore del mero accumulo di beni terreni. Ilnostro Pil ha superato 800 miliardi di dollaril’anno, ma quel Pil - se giudichiamo gli Usa inbase ad esso - comprende anche l’inquina -mento dell’aria, la pubblicità per le sigarette e

le ambulanze per sgombrare le nostre auto-strade dalle carneficine dei fine settimana. IlPil mette nel conto le serrature speciali per lenostre porte di casa e le prigioni per coloro checercano di forzarle. Comprende il fucile diWhitman e il coltello di Speck, ed i program-mi televisivi che esaltano la violenza al fine divendere giocattoli ai nostri bambini. Crescecon la produzione di napalm, missili e testatenucleari e non fa che aumentare quando sulleloro ceneri si ricostruiscono i bassifondi po-polari. Comprende le auto blindate della poli-zia per fronteggiare le rivolte urbane. Il Pilnon tiene conto della salute delle nostre fami-glie, della qualità della loro educazione o del-la gioia dei loro momenti di svago. Non com-prende la bellezza della nostra poesia, la soli-dità dei valori famigliari o l'intelligenza delnostro dibattere. Il Pil non misura né la nostraarguzia, né il nostro coraggio, né la nostra sag-gezza, né la nostra conoscenza, né la nostracompassione, né la devozione al nostro Paese.Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò cherende la vita veramente degna di essere vissu-ta. Può dirci tutto sull’America ma non se pos-siamo essere orgogliosi di essere americani».

IL DISCORSO DI ROBERT KENNEDY NEL 1968

Farsi sempre domande«Continuare a cercare, solocosì la problematicità di questanostra coscienza si distingue»

Credere nell’altro«La parola pace compare piùvolte e vuol dire affidarsi, che poiè una forma sublime di amore»

non c’entriamoche veniamo

nta alla felicità»

Robert Kennedy

«Il Pil misura tutto eccetto ciò che rendemeritevole la vita di essere vissuta»

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La prima bandiera della pace, fatta cucire da Capitiniispirata a quella utilizzata dai pacifisti inglesi e cheaccompagna dal 1961 tutte le marce per la pace

A sinistra,Aldo Capitinia Piza, (1931-1932)in un’immaginedella FondazioneCentro StudiA. Capitini, PerugiaSempre a sinistra,Aldo Capitinial centrodella fotonella primaMarcia della Pace“Perugia- Assisi”che si tenne nel 1961A destra,Francesco Innamorati

«Capitini, mia guidae maestro di verità»Francesco Innamoratiricorda la lezione di vitadel “libero pensatore”di GIGLIOLA PONTILI

Aldo Capitini è stato un figlio illustre di questa terra umbra.Sulla sua pietra tombale c’è scritto: “Libero pensatore, ri-voluzionario nonviolento”, ma questo piccolo-grande

uomo è stato molto altro ancora. Di certo si è distinto per la suacoerenza, per il suo coraggio, per la sua levatura morale e civile eha il merito di aver lasciato molte tracce di sé e di aver seminatomolti “semi fecondi” che hanno dato eche continuano a dare frutti importan-ti. Nato a Perugia il 23 dicembre 1899,figlio di un impiegato comunale e diuna sarta, ha prima conseguito il di-ploma tecnico e poi, guadagnandoqualcosa come precettore è riuscito adedicarsi da autodidatta agli studiclassici, quelli che aveva scoperto diprediligere. Una passione che gli è co-stata cara, anche in termini di esauri-mento fisico. Sarà appunto in queglianni di pura applicazione e dedizioneagli studi, che, per sua ammissione,avrà per la prima volta la consapevolelucidità sulla fragile condizione dellavita umana.

Nel 1924 passò da privatista l’esa -me per la licenza liceale a Perugia. Egrazie al punteggio alto conseguitoottenne una borsa di studio per laScuola Normale Superiore di Pisa,diretta da Giovanni Gentile. È quiche si iscrisse a lettere e filosofia e silaureò nel 1928, fino ad essere as-sunto, all’inizio degli anni Trenta, come segretario economodella Normale. Nel 1933 fu licenziato. Lui che aveva già ma-turato le sue convinzioni sulla “non violenza” e la “non men-zogna”, si era rifiutato di iscriversi al partito fascista e quindi fucostretto a tornare a Perugia, dove per vivere si mise a dare ri-petizioni. Nel frattempo, visto anche l’atteggiamento dellaChiesa cattolica “accondiscendente nei riguardi del regime”,affiancò alle ricerche sulla democrazia quelle per una riformareligiosa. «Il metodo di lotta per la giustizia - disse - dovrà es-sere nonviolento e basato sulla non collaborazione». Si ispirò aGandhi e San Francesco e per affermare il rifiuto di uccidere di-ventò anche vegetariano. Al centro della sua contestazione vipose tutte le istituzioni autoritarie e repressive. Nel primo libro,sfuggito alla censura fascista, “Elementi di un’esperienza reli-giosa”, espose le idee del “liberalsocialismo”. In quegli annifondò l’omonimo movimento con il filosofo Guido Calogero.

A Firenze, nel 1942, Capitini finì in carcere quattro mesi conaltri aderenti al movimento. Ci tornò nel maggio 1943, a Peru-gia, fino alla caduta del fascismo, il 25 luglio. Nell’agosto del1943 a Firenze si riunirono i membri del Movimento Liberal-socialista per dar vita al Partito d’Azione. Capitini non si ritro-vò d’accordo, continuava a preferire il movimento, coerentesempre alla sua visione di partecipazione allargata al potere,dal basso, con i partiti e i loro apparati ridotti al minimo. Pochianni dopo la nascita il Partito d’Azione morì.

Nel dopoguerra Capitini ha dato vita a iniziative per allargarela partecipazione popolare al potere e per contestare il voltoviolento delle istituzioni civili e religiose, la loro falsità e man-canza di coerenza rispetto ai principi informatori. Questo atteg-giamento di straordinaria onestà intellettuale lo isolerànell’Italia di Dc e Pci e la sua opera ancora oggi attende una rea-le rivalutazione. Scriveva il suo amico Norberto Bobbio: «Laragione per cui, in Capitini, la battaglia contro la Chiesa e la

battaglia contro lo Stato si confondono, si sovrappongono, èche il nemico è sempre lo stesso: il potere che viene dall’alto,anche se viene esercitato là con la coercizione spirituale, quacon la coazione fisica». E Capitini medesimo replicava: «Èl’uomo religioso, post-umanistico, che vuole vivere unito contutti nella massima solidarietà, anche al di là della morte, e per-ciò tende a costituire una società nuova in una realtà che abbiaconsumato tutti i vecchi limiti, compresi il dolore e la morte».

Fino alla sua morte Capitini, professore di Pedagogiaall’Università di Perugia, sarà protagonista di innumerevoliiniziative mosse dall’idea di giustizia, di un socialismo chesappia coniugarsi con la libertà, di una rivoluzione nonviolenta- e dunque realmente matura -, di una società dove decisioni econtrollo vengano dal basso sia per la politica sia per l’econo -mia, di una religiosità nuova, aperta, partecipativa, fuori dallecostrizioni istituzionali, di una pedagogia della ribellione. In-numerevoli le sue opere, da “Il potere di tutti” a “Educazioneaperta”. Fu lui a promuovere, il 24 settembre 1961, la primaMarcia per la pace Perugia-Assisi (boicottata da Clero e Demo-crazia cristiana) e a fondare la rivista Azione nonviolenta. AldoCapitini muore a Perugia nel 1968 dopo un’ope -razione chirurgica.

Il ricordo di un testimoneFrancesco Innamorati, 90 anni, e un cuore che

da sempre batte forte... a sinistra, si definisce «unvecchio partigiano che non ha mai perso la strada,che non ha mai fatto un passo indietro, un inossi-dabile combattente». Una storia lunga e intensa lasua. Su tutto ha inciso una giovinezza segnata daitempi cupi della guerra, dal fascismo, dalle rap-presaglie, dalla mancanza di libertà, ma ancheuna formazione dove molto hanno contribuito leamicizie di allora, Rasimelli, Mencaroni, Sassi, icoetanei che facevano parte di quel gruppo di stu-denti antifascisti che si erano autonominati “Cel -lula”, ma anche la conoscenza di Aldo Capitini.

Francesco Innamorati ha incontrato il “profes -sore” quando ancora studente del liceo classicovenne indirizzato dalla famiglia a prendere ripe-tizioni di greco e di latino. Francesco Innamoratiparla ed è come se un film in bianco e nero riproiettasse la Pe-rugia degli anni della guerra. Parte da un episodio importante.«La notte fra il 5 e il 6 giugno del 1941 - racconta - due allievi di

Capitini, Riccardo Tenerini e Primo Ciabatti, fecero delle scrit-te murali contro il fascismo e contro la guerra e si scatenò l’iradi Dio. La questura arrestò qualche decina di “sovversivi” e ilCommissario Rocco Cutrì insieme al maresciallo Avallone, lisottopose a tortura. Fin quando Mario Santuccini, di Porta Pe-sa, detto il “benzinaro”, per sfuggire alle brutali violenze tentòil suicidio buttandosi dalla finestra per andare a cadere nellasottostante via Sant’Ercolano. La notizia fece scalpore e inmolti cominciarono a criticare i metodi della Regia Questura.Io che ero un adolescente cominciai ad interrogarmi, a capireche era in atto una crescita politica e anche un nuovo tipo di an-tifascismo». «Insomma - continua Innamorati - si cominciava aparlare, a riflettere e c’era un orientamento che poi mi portòverso la lotta armata, ovviamente con la “non benedizione” diCapitini che a me e ai miei compagni disse: “Vi capisco ma nonvi approvo”». «Di certo Capitini ha contato sulla mia formazio-ne. Io non sono un capitiniano integrale perchè sono di convin-zioni marxiste, ma mi ha insegnato a valutare, criticare, a nonessere schiavo dei dogmi, a perseguire la verità in ogni occa-sione. E soprattutto mi ha educato a vivere nella “verità”, chenon significa solo il non dire menzogne, ma vivere in armoniacon gli altri e nel rispetto più profondo per tutti. Cito a propositoil suo pensiero: “Dobbiamo essere potenzialmente in grado didire a tutti quello che pensiamo, così come facciamo con Dio.Dire una bugia è commettere un furto, una violenza. La fedeltàassoluta alla verità mette in guardia contro il proprio arbitrio, ilproprio comodo, la propria psicologia, facilita il disinteressenel pensare, ci aiuta a respingere il proprio io quando potrebbeimpedire la pienezza dell’essere della verità, la sua perfezionevalevole per noi, per Dio, per tutti in una sola unità”. Ecco, devodire, che questo insegnamento ha permeato tutta la mia vita ed èstato quello che sicuramente mi ha portato a valutare i fatti fuorida ogni dogma di pensiero».

La testimonianza«Il suo insegnamento è stato quello chesicuramente mi ha portato a valutare i fattifuori da ogni dogma di pensiero».

I NASTRI RITROVATI

Torna dal passato la vocedel cultore della nonviolenzaPERUGIA - Dopo mezzo secolo riemergono dal pas-sato le registrazioni audio con la voce di Aldo Capi-tini. I nastri sono stati ritrovati nella sede nazionaledel Movimento Nonviolento a Verona e messi a di-sposizione dell’Archivio di Radio Radicale che hacurato la digitalizzazione, l’indicizzazione e la dispo-nibilità dell’audio in rete (www.radioradicale.it).

I nastri sono tratti dal primo “Seminario internazio-nale sulle tecniche della nonviolenza” che si tenne aPerugia dal 1° al 10 agosto 1963, su iniziativa dellostesso Aldo Capitini e di Pietro Pinna, che - dopo ilsuccesso della Marcia per la Pace Perugia-Assisi del1961 - vollero avviare nel nostro Paese un lavoro perdare vita alla “nonviolenza organizzata” di cui ancoroggi beneficiamo.

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A Gubbio splendel’Albero di Natalevenuto dalle stelleEntrato nel Libro dei Guinness dei primatiè stato acceso da 2 Papi e da un Presidentedi CINZIA DELL’O RT O

Forse davvero in nessun’altra parte del pia-neta poteva nascere un’idea così bislacca:fare di un monte la base per disegnarci so-

pra l’Albero di Natale più grande del mondo!Eppure quello che è nato come un gioco, co-

me la semplice volontà di fare un regalo aibambini, di stupirli e meravigliarli ancora, fi-no ad indurre tutta la città ad alzare il naso ver-so il cielo, da trentacinque anni è una realtàpulsante, una magia che si accende ed incantaogni anno. Adagiato sulle pendici del monteIngino che sovrasta la medioevale Gubbio,l’Albero è costituito da corpi illuminanti di va-rio tipo così ben disposti da creare un effettocromatico assolutamente particolare ed unico,un albero di Natale ritagliato fra le stelle. Que-sto grazie ad oltre 400 punti luminosi dispostiin maniera geometrica che riescono con mae-stria e sapienza a disegnare la sagoma di unabete alto oltre 650 metri, con il corpo centraledisseminato di luci multicolore e con alla som-mità una stella che conta altri 200 punti lumi-nosi. La figura si distende, con una base di 450metri, per oltre 750 metri nascondendo le sueradici nelle mura della città medioevale e arri-vando con la sua punta luminosa alla basilicadel patrono, Sant’Ubaldo, posta in cima allamontagna. Una realizzazione così straordina-ria ed unica da essere entrata a giusta ragionenel 1991 nel Libro dei Guinness dei primati.L’albero di Gubbio resta acceso per tutto il pe-riodo natalizio e viene disattivato solo conl’Epifania, che come è risaputo cancella tutte ibagliori della festa. Una realizzazione che solonello spirito del più genuino volontariato rie-sce ad avere continuità nel tempo.

Curata ogni anno da un gruppo di “Albera -lioli” che compiono questa azione non già peruna ricompensa, ma per passione, per amoreverso questo simbolo di fratellanza e di amici-zia e per pura dedizione al patrono Sant’Ubal -do e alla città di Gubbio, l’albero riesce sem-pre a sprigionare un’atmosfera particolare fi-no a diventare patrimonio caro agli eugubini.

Del resto questo scrigno di scintille è unafonte di emozioni infinite. Soprattutto in certeserate invernali, quando la città rimane avvol-ta da una fredda foschia, allora quella coltre dinebbia, con tutte quelle luci accese che la pe-netrano, si colora e si espande fino a diventareun’illusione che galleggia, una fantastica fin-zione sospesa nell’aria, ed è come ritrovarsinel mondo delle meraviglie, fra le pagine pa-tinate di una favola bella. A chi l’ammira rie-sce ad aprire il cuore a tutte quelle virtù che so-lo certe fiabe sanno estrarre dal silenzio: pa-zienza, comprensione, gentilezza, tolleranza,bontà. Che in fondo poi, a pensarci bene, sonoproprio quelle che ci rendono capaci di far rie-

mergere dal nostro animo sentimenti veri,quelli che resistono ai guasti del tempo e chepermettono agli uomini di stare più vicini, per-donarsi, stringersi la mano e di mantenere in-tatta la fiducia in se stessi e nel prossimo.

E nulla avviene per caso. In questo angolodell’Umbria c’è una tradizione di fratellanzache viene da lontano. Gubbio è la terra doveSan Francesco ha ammansito il lupo, aprendola mente e il cuore ad un gesto di fratellanza tradiverse forme di viventi. Ed oggi più che mai ilmessaggio va rilanciato contro i cavalieri dellaguerra, delle disuguaglianze, degli antagoni-smi. E così quelle luci che bucano le tenebreriaccendono la speranza, hanno il potere di rin-novare l’appuntamento con il messaggiod’amore incarnatosi nella grotta di Betlemme,e contribuire a sconfiggere il buio dell’igno -ranza che ci rende nemici.

Insomma l’Albero non lascia mai indiffe-renti ma riesce sempre ad emozionare e far rie-mergere quelle sensazioni che a volte la quo-tidianità ha annebbiato.

L’accensioneIl 7 dicembre di ogni anno, nel corso di una

manifestazione pubblica, l’Albero viene acce-so con una cerimonia che vede coinvolti sog-getti che meglio interpretano le nostre secolaritradizioni. La cerimonia è presieduta da perso-naggi del mondo delle istituzioni, della cultu-ra, della scienza, del volontariato; nel 2014 èstato Papa Francesco ad accendere l’Albero,nel 2013 il direttore della Caritas Italiana, DonFrancesco Soddu, nel 2012 il Presidente dellaRepubblica Giorgio Napolitano e nel 2011 loaveva preceduto il Santo Padre BenedettoXVI; in precedenza avevano presieduto allacerimonia di accensione il sottosegretario allaProtezione civile, Guido Bertolaso, il presi-dente di Libera, don Luigi Ciotti, il direttoregenerale di Telethon, Pietro Spirito, il diretto-

re dell’Istituto Europeo di Oncologia, PierGiuseppe Pelicci, e c’è chi ricorda la simpaticaadesione di Terence Hill, quando nel 1998 sitrovava da queste parti a girare la fiction di DonMatteo. La 35ª accensione avrà come testimo-nial l’organizzazione umanitaria internaziona-le Medici Senza Frontiere, premio Nobel per lapace 1999.

Il racconto degli “Alberalioli”Ad esprimere soddisfazione per la partecipa-

zione attiva assicurata da questo nuovo ospite èLucio Costantini, presidente degli Alberaioli,la onlus iscritta al registro regionale delle asso-ciazioni a promozione sociale, che conta 53 so-ci e un consiglio di 7 membri.

«È tutto pronto per la grande festa. Anchequest’anno abbiamo portato a compimento ilavori per la realizzazione dell’Albero che tor-nerà ad illuminare le pendici del monte Ingino.Di certo è un onore poter avere Medici SenzaFrontiere con noi; li ringraziamo a nome dellanostra intera comunità per aver accolto il no-stro invito e per la loro disponibilità ad essere aGubbio in questo giorno per noi importante».

Costantini, rifacciamo la storia di questaavventura. A chi poteva venire in mente senon a degli eugubini, di prendere una mon-tagna e disegnarci sopra un albero con delleluci come fosse il foglio di un quaderno. Chiha dato vita a questo progetto?

«Questo si perde un pochino nella memoria.Nel senso che c’è stato sicuramente uno che siè alzato una mattina e ha pensato ad una cosa“strana”. Ne ha parlato con gli amici, cinquesei persone, tutti eugubini, finché si è comin-ciati a “costruire” insieme. Di certo all’internodi questo gruppo c’era il maestro elementarePacio Farneti. Lui ce ne aveva di idee strampa-late. Perché bisogna essere un po’ “matti” perinventarsi queste cose. Ma sicuramente eramosso dal grande amore per i bambini, per la

città e il suo patrono. Perché questa grande co-reografia non solo infonde gioia ma porta an-che automaticamente ad alzare lo sguardo ver-so la basilica di Sant’Ubaldo e questo ci rendetutti molto fieri e orgogliosi».

Come si è trovata la forza di passare dalleparole al progetto?

«Si è cominciati a studiare la cosa. Si trattavadi piazzare una serie di luci in maniera strate-gica. Stiamo parlando di una superficie cheequivale a trenta campi di calcio, messi su unpendio scosceso, fatto di fango e roccia. Poi sisono affiancati, visto che si trattava di elettri-cità, anche due o tre funzionari dell’Enel localiche hanno messo sul piatto la loro competenza.L’idea ha avuto un paio d’anni di gestazione epoi alla fine è nato il primo Albero. Era il1981».

Quante lampade?«Il corpo dell’Albero varia, 400 lampade che

formano il corpo. Più c’è la stella, di mille me-tri quadri, che ha 250 punti luminosi».

In quanti ci lavorate?«Normalmente una trentina. Ma bisogna es-

sere molto ben organizzati. Si inizia la primadomenica di settembre. Poi a febbraio si iniziaa smontarlo».

Chi paga la corrente?«Noi. Come comitato. La nostra è un’inizia -

tiva autoportante, nel senso che noi ce la can-

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tiamo, ce la suoniamo e ce la paghiamo».I benefici?«Economici? Zero. Siamo contenti che la

gente è contenta. Che i bambini siano felici. Lanostra è una onlus. Tutte le volte che noi andia-mo a lavorare ci tassiamo di un euro. E ci fac-ciamo carico di tutto. L’elettricità è intorno ai4.400 euro, poi ci sono da pagare le polizze as-sicurative che richiedono altrettanti importi.Piano piano abbiamo trovato dei sistemi per ri-farci delle spese, per non dover chiedere a nes-suno. Qui sopra c’è un impianto fotovoltaicocon 6 Kw. Poi ci sono i contributi dei cittadini.Ci sono quattro di noi, divisi in due squadreche fanno il giro degli esercizi commerciali.Raccogliamo all’incirca 8/900 donazioni. Dicinque/dieci euro. Che però quando è la finedel gioco ci permettono di andare in pareg-gio».

Avete mai pensato ad una sponsorizza-zione importante?

«Proprio su questo cosa qui era nata la leg-genda metropolitana della Coca Cola. Ma finquando ci saremo noi l’Albero non si vende».

Come si è arrivati al Papa?«Osando, chiedendo con cortesia. Tutti i

contatti per ottenere il coinvolgimento del Pa-pa sono stati gestiti dal Vescovo, che eviden-temente ha trovato la strada giusta. E bisognadire che nemmeno c’è voluto tanto. Quando

eravamo a marzo avevamo avuto già la confer-ma. E quell’anno, mi ricordo che BenedettoXVI usò per la prima volta il tablet per accen-derlo. E per questo semplice fatto il web im-pazzì. Da lì anche Napolitano nel 2011 ha poiusato lo stesso sistema e ora è diventata unaconsuetudine».

Un gruppo coeso, tanti anni insieme, ge-nerazioni che si susseguono.

«Nel gruppo c’è gente che è nata nel ’28 e al-tri nel ’98. Stiamo insieme bene, c’è sempre al-legria. Ci si diverte. E la domenica mattina, al-zarsi alle 7, col vento e con la pioggia, lo si favolentieri. E tutto questo funziona perché die-tro ci sono dei volontari che sono riusciti a co-struire un gruppo buono, con età diverse, pro-fessioni diverse, livelli culturali diversi, peròamici».

Le istituzioni vi aiutano?«Beh, è sufficiente che non ci mettano i ba-

stoni fra le ruote. La stella cometa si appoggiasu un ponteggio di proprietà del Comune cheprovvede a montarlo e a smontarlo. Noi pun-tiamo a tenere buoni rapporti con tutte le orga-nizzazioni legate alla città. Sappiamo che sen-za collaborazione non si va da nessuna parte».

La vita dell’Albero è lunga e laboriosa.«Noi cominciamo a settembre, non faccia-

mo niente durante il periodo natalizio, quandoè febbraio lo smontiamo perché temiamo che

durante l’inverno i cavi possano “evaporare” epoi il monte è fruito da tanta gente. Ci sonosentieri praticati. Il periodo in cui lavoriamo èdi sei mesi all’anno. E poi abbiamo un calen-dario che prevede anche incontri conviviali.Cene, castagnate, bruschette. Tutto con i no-stri soldi. Se te la paghi te la gusti anche me-glio».

E poi è stato creato un sito Internet.«Il primo nel 2005. Quest’anno l’abbiamo

rigenerato e abbiamo voluto fare qualcosa inpiù. Abbiamo ideato “Adotta una luce”. Nelsito c’è la foto dell’Albero, col mouse vai sullaluce, la prenoti, puoi metterci una dedica, pa-ghi dieci euro e quella dedica rimarrà tua pertutto l’anno. Nel giro di 14 giorni abbiamo fi-nito le 400 luci. Ci sono state adesionidall’America, dall’Australia, dall’Argentina,dall’Olanda, dalla Spagna, da tutta Italia. Ab-biamo un gruppo di giovani che l’hanno sapu-to veicolare bene. Hanno lanciato la promo-zione della pagina e abbiamo avuto anche20mila contatti e tutte le volte che abbiamolanciato un messaggio il picco sale».

Vedere un pool di uomini che da tanti an-ni si rinnova e si dedica ad un progetto im-pegnativo, serio, faticoso, dà un’immaginedi qualcosa di buono, di benefico, di bello,che va in controtendenza rispetto a questomondo di violenza, di ostilità, di esclusioni.

Nella pagina a sinistra gli “Alberalioli” di Gubbioe qui sotto, l’accensione dell’Albero fatta da Papa Francesco(foto ripresa da Rai1) e a scendere le accensioni fatte da Papa Benedetto XVIe da Giorgio Napolitano nel 2012, quando ricopriva la caricadi Presidente della Repubblica

«Lo spirito è quello di stare insieme. Fatto dicondivisione e scambi, Parliamo di Natale.Noi non puntiamo al profitto, ma in tutti noiprevale il piacere del dono. Noi lavoriamo perdifendere il messaggio che è insito in questosimbolo importante entrato a far parte dellanostra cultura. E non è un caso che in tutto que-sto tempo abbiamo sempre voluto tenere fuorila politica, così come i “mercanti” che voleva-no entrarci. Siamo tutti consapevoli che il vo-lontariato è un impegno serio ed anche che or-mai l’aspettativa della città è grande. Immagi-nare che un anno non si faccia l’Albero è unacosa determina un vuoto, una mancanza.Quando durante il periodo natalizio l’Alberosi spegne per qualche motivo tecnico arrivanosubito mille telefonate. Segno che c’è una cittàche ci tiene, che ha gli occhi puntati al cielo».

Ma l’Albero richiama anche tanta gente.«Come effetto collaterale è dimostrato che

ha effetti notevoli sui flussi turistici nel perio-do natalizio. Anno scorso, in occasione dellacerimonia di Papa Francesco, per uscire daGubbio si erano formate code di ore e ore. Maquesta è anche l’occasione per rinnovare l’in -vito a tutti per venire ad assistere ad un eventostorico. Quest’anno ad accenderlo sarà Medicisenza Frontiere e il messaggio che si vuol dareè sempre lo stesso: solidarietà, condivisione.Appuntamento il 7 in piazza 40 Martiri».

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Padre Rosario Gugliotta,Custode della Porziuncola

di Santa Maria degli Angelie in alto il santuariocustodito all’i n te r n o

della Basilica visitato ogni annoda milioni di pellegrini

Po rz i u n c o l aporta del cieloIl racconto di Padre Rosariodi FRANCESCO CASTELLINI

«S arà l’Anno Santo della Misericor-dia». Con queste parole Papa France-sco il 13 marzo scorso annunciava il

Giubileo straordinario che sarà aperto l’8 di-cembre in San Pietro e terminerà il 20 novembre2016. Il Giubileo coinvolgerà anche la nostraUmbria, vicinissima a Roma e culla di importan-ti santuari, tanto che si prevede un ulteriore no-tevole afflusso di pellegrini desiderosi di abban-donarsi all’amore perdonante di Dio.

In vista di questo evento è stata delineata daiVescovi la “geografia” della misericordia nel-la nostra regione. Due i luoghi indicati: la Por-ziuncola a Santa Maria degli Angeli; e il san-tuario dell’Amore Misericordioso di Colleva-lenza, dono di Dio all’Umbria attraverso ilcuore di Madre Speranza, recentemente beati-ficata. Quello che ha reso nota in tutto il mon-do la Porziuncola è soprattutto il singolarissi-mo privilegio dell’Indulgenza, che qui va sot-to il nome di “Perdono d’Assisi”, e che da oltresette secoli fa convergere verso di essa orde dipellegrini. Milioni e milioni di anime hannovarcato questa “porta della vita eterna” e si so-no prostrate qui per ritrovare la pace e il perdo-no nella grande Indulgenza della Porziuncola,la cui festa si celebra la mattina del 1 agosto e siconclude con il Vespro solenne del 2 agosto.

L’aspetto religioso più importante del “Per -dono d’Assisi” è la grande utilità spirituale peri fedeli, stimolati, per goderne i benefici, allaconfessione e alla comunione eucaristica.Confessione, preceduta e accompagnata dallacontrizione per i peccati compiuti e dall’impe -gno a emendarsi dal proprio male per avvici-narsi sempre più allo stato di vita evangelicavissuta da Francesco e Chiara, stato di vita ini-ziato da entrambi alla Porziuncola.

L’evento del Perdono dunque resta una ma-nifestazione della misericordia infinita di Dioe un segno della passione apostolica di France-sco d’Assisi.

A ripercorrere la storia è Padre Rosario Gu-gliotta, da un anno nominato Custode di que-sto luogo sacro.

Padre Rosario che anno sarà?«Sicuramente per noi avrà una valenza par-

ticolare, perché il tema è strettamente legatoalla vocazione del santuario. Infatti non a casoi vescovi hanno scelto la Porziuncola e Colle-valenza. Il santuario è sempre un luogo dove ilDio si manifesta. Un luogo scelto dalla bontàdivina per manifestare amore e perdono».

Perché la Porziuncola è particolarmentelegata alla Misericordia?

«Perché rappresenta uno degli episodi fon-damentali della vita di San Francesco. Siamonel 1216, un momento non certo facile, sta re-digendo la Regola, lui dice che lo stesso Si-gnore gli detta quello che deve scrivere, men-tre dall’altro sperimenta la resistenza dei frati,che gli dicono “per noi la Regola è troppo du-ra”. Francesco vive dunque un momento digrande sofferenza, dove da una parte c’è il Si-

gnore che chiede a lui e ai suoi frati una certavita e dall’altra però la risposta non è entusia-sta, non è positiva».

Sicuramente una profonda solitudine,anche se illuminata da Dio, ma sempre unasolitudine.

«Lui in questa solitudine si sente perso. Nonpuò realizzare quello che ha nel cuore, e moltoprobabilmente pensa anche di lasciare tutto,fino al punto che per vincere questa tentazio-ne, secondo una prassi medievale, si rotola frale spine. Da lì due angeli, che rappresentanosempre il soccorso di Dio che si prende cura dinoi, lo guidano e lo portano in Porziuncola. Lìha l’apparizione di Gesù sull’altare che gli di-ce: “Francesco dimmi quello che vuoi che io telo do”. Lui avrebbe potuto chiedere subito lasottomissione dei frati o qualcosa per le suetante malattie, o chissà quante altre richiestepoteva avere nel cuore... Invece dice: “Voglioche chiunque, pentito o assolto dal suo sacer-dote, venga qui alla Porziuncola e ottenga l’in -dulgenza plenaria di tutti i peccati”. Gesù glirisponde: “Cosa grande ciò che tu chiedi, madi cosa ancor più grande tu sei degno. Vai dalmio vicario in terra e fatti approvare quanto ioti ho già concesso”. Così Francesco va a Peru-gia dove si trova Onorio III, che è stato appenaeletto, e gli avanza la sua richiesta. Il Papa perònon vuole approvare la sua indulgenza. Addi-rittura una delle fonti parla di cardinali contra-ri che affermano: “Santo Padre se dà questa in-dulgenza per una chiesetta così piccola chiverrà a Roma?”. Noi non sappiamo come siaandata. Si dice che il Papa sottovalutando unpo’ Francesco gli lanci una provocazione: “in -tanto vai a rotolarti fra i porci, poi quando ri-torni ne parliamo”. Francesco fece quello chegli aveva chiesto il Pontefice per poi tornare dalui: “ora cosa devo fare?”. Alla fine il SantoPadre si arrese al suo volere. E nel testo trattodalla lettura del Diploma di Teobaldo si legge:e il Papa lo chiama e gli dice “O semplicionevieni che ti devo dare questo documento”, malui rispose, “no mi basta la sua parola, se è ope-ra di Dio andrà avanti”. Francesco va alla Por-

ziuncola e il 2 di agosto del 1216, presenti tuttii vescovi dell’Umbria, annuncia questa indul-genza dicendo: “io voglio mandare tutti in pa-radiso. Questa è la porta del cielo”».

Perché Francesco chiede la Misericordiacome dono?

«Perché in tutte le vicende della sua vita luiha trovato la sua felicità non in altre cose senon nel sentirsi conciliato con Dio. E questodono che il Signore ha fatto a lui, lui lo ha vo-luto che sia per ogni uomo. Lui ha capito chel’uomo è veramente felice non quando ha que-sto o quell’altro, ma quando è pienamente ri-conciliato con Dio, che poi è una conciliazioneche porta anche a vivere in armonia con i fra-telli e con il creato. Francesco è colui che è ri-tornato dal paradiso terrestre, l’uomo che hauno sguardo nuovo sulle cose e anche sul crea-to. Un’armonia perfetta che si realizza solonello stato di grazia. Lui ha sperimentato chela sua esperienza, questo suo vivere riconcilia-to con Dio è stata per lui la salvezza. E questasua felicità la vuole condividere».

Padre, si può parlare anche in termine unpo’ più laici di un uomo che spesso perde lastrada maestra, distratto dai falsi miti?

«L’uomo più felice è quello che intraprendeil sentiero giusto, quel qualcosa che lo riconci-lia con tutto ciò che lo circonda, fratelli, natu-ra, se stesso... Intraprendere un percorso giu-sto verso l’armonia, verso la divinità che èdentro di noi, che spesso neghiamo, non sap-piamo riconoscere. Questo porta alla perfezio-ne, alla grazia...».

La tentazione potrebbe essere quella dipensare che magari questo è un percorsoper alcuni... Magari pensando ad una cate-goria di religiosi, di consacrati...

«La stessa sete c’è in tutti. L’uomo ha iscrit-to in sé questo desiderio di felicità che vienedalla riconciliazione con tutto quello che locirconda. Tutti ne sentono ugualmente il biso-gno... Non è che chi non è credente ha altri cri-teri. Nessuno vuol vivere isolato o in conflittocon tutti. C’è un desiderio di armonia che èuniversale. Francesco dice che può venire solo

da Dio. Perché chi crede sa che chi rinuncia al-la fonte spesso non arriva alla soluzione delproblema, perchè l’unica soluzione è il Crea-tore».

Perciò già avere il desidero, anche chi nonfa un cammino di fede, o chi non ha avuto lagrazia della fede, però già questo desiderio ègià tanto.

«Vivere riconciliati, sentirsi perdonati, vi-vere delle relazioni di misericordia, è alla basedi tutte le relazioni umane. E spesso tutto que-sto è disturbato. L’uomo è corrotto e corrutti-bile e dunque questa figura di San Francescoche parla di umanità, di uno stato di grazia, diuna bellezza che si irradia tutto intorno a par-tire dal proprio cuore, io la considero una figu-ra eterna, che vale per tutti».

La parola misericordia come possiamoconiugarla?

«Francesco quando alla fine della sua esi-stenza terrena pensa a fare un resoconto velocedella sua vita vede l’inizio di tutto nell’abbrac -cio del lebbroso. Lui dice, “quando io ero neimiei peccati il Signore mi usò misericordia,andai fra i lebbrosi e usai ad essi misericordia.E da quel momento tutto quello che era amaromi si è trasformato in dolcezza di animo e dicorpo”. L’usare misericordia cambia la vita. Èquesto che noi non riusciamo a capire. Noi sia-

Remissione dei peccatiIl singolarissimo privilegiodell’Indulgenza qui va sottoil nome di “Perdono d’Assisi”

Portare le anime in paradiso«Lui ha trovato la sua felicitànon in altre cose se nonnel sentirsi conciliato con Dio»

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mo ancora nelle dinamiche del più forte. Attirala nostra attenzione chi grida di più, chi dicel’ultima parola. Quello non creerà mai dellerelazioni pacifiche anche se apparentementepuò sembrare... Si arriva ad un compromes-so... ma la pace vera viene sempre dal sentirsiperdonati da Dio e uno che si sente perdonatoche può fare se non perdonare gli altri. Io hoavuto misericordia io devo dare misericordia.C’è un abbraccio sincero che ci mette nella ve-rità».

Al laico, al non credente, come si potrebbedeclinare il termine misericordia.

«Tra l’altro il termine misericordia nellaBibbia richiama letteralmente le viscere ma-terne. È quello che prova una madre per il pro-prio figlio. La madre si sente ribollire. Un po’viene presa questa immagine, sono le viscerematerne che per il proprio figlio vibrano. Lacapacità di entrare in perfetta comunione conl’altro. Di sentire l’altro come parte di te stes-so. La misericordia è la capacità di partecipa-re. La risposta che la madre darebbe al propriofiglio. Anche quando il figlio avesse verso lapropria madre dei brutti atteggiamenti la ma-dre mantiene sempre la sua generosità, il figliosta sempre al centro di tutte le sue relazioni».

Padre Rosario, lei è sia il custode dellaPorziuncola, sia della comunità della basili-ca. Come vive questa responsabilità?

«La vivo con tranquillità, anche se la re-sponsabilità c’è. Siamo più di settanta frati. Seriusciamo a fare della misericordia davvero ilperno delle nostre relazioni le cose cambiano.Bisogna avere la pazienza di aspettare l’altro.Io di temperamento sono molto duro. Ma miaccorgo che se tengo questo aspetto un po’ più

di attesa, di saper attendere, di saper aspettare,di dare spazio all’altro. Penso sia proprio unmodo diverso di impostare la vita. MonsignorMartinelli ci ha fatto delle meditazioni moltobelle per il perdono parlando proprio della mi-sericordia come fondamento di un nuovoumanesimo. Dobbiamo pensare ad una uma-nità nuova fondata sulla misericordia, su nuo-vi rapporti. E dobbiamo fare una lettura dellastoria con gli occhi della misericordia. Non cipuò essere pace, conciliazione, vicinanza fra ipopoli se non c’è questo sguardo di misericor-dia sulla storia nostra, sulla storia personale,sulla storia comunitaria, sulla storia universa-le».

Come si può conciliare questo con il fattoche ogni uomo è diverso, è unico al mondo?

«Diceva un frate: dopo la divinità il piùgrande mistero è l’uomo. E noi non possiamoavere la pretesa di avere la verità in tasca, lapretesa di definirlo, di ingabbiarlo. Rimanetutto parziale. Ma l’auspicio è che questo giu-bileo straordinario sia l’occasione per avvici-narci, per interrogarci, per dare inizio ad nuo-va epoca, una nuova umanità. Sarebbe bello sequesto anno di grazia mettesse le basi per dellerelazioni nuove, per fondare un nuovo umane-simo, una nuova umanità, basata sull’amore esulla misericordia di cui San Francesco è testi-mone».

Lui è un testimone d’amore che ha pagatocare la sua dedizione e la sua fede.

«Noi rischiamo di vedere Francesco comeun’immagine astratta, ma lui è passato per lestimmate, per la sofferenza. Ma del resto im-parare a vivere, intraprendere un percorso ver-so la luce, verso la conoscenza, non è mai fa-cile, non è mai scontato. Anzi, proprio su que-sto il Vangelo ci insegna che è frutto di unaascesi, di una educazione. Basti citare il richia-mo che Gesù fa alla sua discepola: “Marta,Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, madi una cosa sola c’è bisogno”. Quello che lerimprovera è l’affanno e la preoccupazioneche mette nel lavoro. È agitata, è “presa daimolti servizi”, ha perduto la calma. Non è piùlei a guidare il lavoro, è piuttosto il lavoro che

ha preso il sopravvento e la tiranneggia. Non èpiù libera, è diventata schiava della sua occu-pazione. Non capita anche a noi a volte di di-sperderci nelle mille cose da fare? Siamo at-tratti e distratti da internet, dalle chat, dagliinutili sms. Anche quando sono gli impegniseri ad occuparci essi possono farci dimentica-re di rimanere attenti agli altri, di ascoltare lepersone che ci sono vicine. Il pericolo è soprat-tutto perdere di vista il perché e per chi lavo-riamo. Il lavoro e le altre occupazioni diventa-no fine a se stessi. Marta era rivolta altrove, di-stratta. C’è Gesù lì ma lei è presa da altre cose.Lei nel voler dare troppo all’ospite, si dimen-tica che lui è presente. Certe volte anche iltroppo donare può voler dire uccidere l’amorestesso».

Comunque sia l’amore richiede impegno,dedizione, fatica...

«Molte volte dinanzi alla prima fatica preva-le la rinuncia. Per i nostri giovani non c’è statoun percorso di insegnamento per far capire chela fatica, la sofferenza, è parte della vitadell’uomo. Noi non possiamo togliere ai nostrifigli il doversi mettere alla prova. È chiaro chela vita è come una scalata, è faticosa, ma non sene può fare a meno. Se si privassero i propri fi-gli di fare fare le proprie esperienze potrebbedanneggiarli. Mai evitare la fatica».

Lei padre Rosario ha un rapporto parti-colare con San Francesco?

«Sicuramente è un uomo che affascina. Per-ché questa sua capacità di essere vero, di met-terci tutto se stesso, di non lasciarsi distrarre danulla, questo sguardo rivolto sempre su Cristo,è una grande testimonianza, il più alto inse-gnamento. Io vedo Francesco come l’uomoche è riuscito a portare a termine il progettoche il Creatore aveva su di lui. Perché alla fineLa Verna che cos’è, quelle stimmate non sonoaltro che il sigillo sulla carne».

Il fatto di poter stare a contatto con le coseche fanno parte della storia di Francescocosa le trasmette?

«Il dono più grande è la Porziuncola, dovelui si è sentito custodito, amato, protetto. Perlui la Porziuncola è la Chiesa e la Vergine Ma-

ria. Lui era come tornato nel grembo della ma-dre. Lui là dentro faceva l’esperienza del bam-bino che in tutto e per tutto si sentiva protetto.Tant’è vero che alla fine della vita lui racco-manda ai frati di portarlo alla Porziuncola. Vo-leva rendere lo spirito della vita là dove avevaricevuto lo spirito della grazia. E una cosa bel-la è che lui raccomanda questo luogo ai suoifratelli. Qui è sempre rimasta la sua casa. “Nonabbandonate mai questo luogo perché è l’abi -tazione di Dio e della Vergine Maria. Quelloche chiederete qui con fede lo otterrete”. Sonole parole di un uomo che lì dentro ha sentito lavoce, il calore, l’abbraccio di Dio. In qualchemodo noi siamo coinvolti essendo i custodi.Noi cerchiamo di trasmettere l’esperienza diFrancesco anche attraverso i luoghi, ai pelle-grini che arrivano, ma logicamente dobbiamoviverla prima noi. Noi cerchiamo di viverlaanche con il nostro stare qui, in continuità, vi-vendo come possiamo quello che lui ha vissu-to».

Il vostro lavoro principale qui è comun-que accogliere i pellegrini.

«Sì. Abbiamo due categorie principali difrati: i santuaristi, che sono coloro che accol-gono i pellegrini, li guidano, gli narrano ilmessaggio di Francesco; e i penitenzieri, cheaccolgono i penitenti dando la possibilità di vi-vere in modo sacramentale il perdono di Dio.E noi qui vediamo miracoli. C’è gente che ar-riva alla porta della basilica da turista e va viada pellegrino. Dinnanzi alla Porziuncola, ai ri-cordi di Francesco, si sente qualcosa che non siè avvertita prima. La grazia del luogo è impor-tante. La porta sempre aperta della Porziunco-la è l’immagine del cuore di Dio».

Qui Francesco ha compiuto il suo transitodal tempo all’eternitàASSISI - Il santuario della Porziuncola cu-stodisce, da circa otto secoli, i luoghi dellavita di Francesco d’Assisi e della nascentefraternità minoritica.

La Porziuncola, per volontà dello stessoFrancesco, è anche il luogo della morte delSanto d’Assisi. Dopo aver ricevuto le Stim-mate alla Verna San Francesco ritorna adAssisi. È stanco, la salute ormai lo sta ab-bandonando, la malattia agli occhi lo staportando sempre più verso la cecità. Vieneaiutato e curato dai suoi confratelli, dal Ve-scovo di Assisi. Viene ospitato anche daChiara e le sorelle clarisse. Nasconde le sueStimmate, si dice che solo Santa Chiara fos-se a conoscenza di questo grande regalo ri-cevuto da Gesù Cristo.

San Francesco sente che la fine della vitaterrena si avvicina, vuole che questo accadanella sua Casa Madre: la Porziuncola. Vi sireca la sera del 3 ottobre 1226 e qui avvieneil “suo ritorno al Padre”.

Qui il Poverllo ha compiuto il suo transitodal tempo all’eternità. Allora il Santo dimo-rava nel palazzo del vescovo di Assisi, equando sentì avvicinarsi la fine pregò i fratidi trasportarlo in fretta a Santa Maria dellaPorziuncola, volendo rendere l’anima a Diolà dove, per la prima volta aveva conosciutochiaramente la via della verità.

Questo periodo di calvario e veloce degra-do fisico gli dà comunque la forza e l’ispi-razione di scrivere quella che sarà la suaopera più nota: “Il Cantico delle Creature”.

Qui accolse cantando Sorella morte:“Laudato si, mi Signore, per sora nostraMorte corporale, da la quale nullo omo vi-vente po’ scampare. Guai a quelli che mor-ranno ne le peccata mortali! Beati quelli chetroverà ne le tue sanctissime voluntati, ca lamorte seconda no li farrà male” (FF 263).

Poi si fece portare il libro dei Vangeli, pre-gando che gli fosse letto il brano del Vange-

lo secondo Giovanni, che inizia con le paro-le: “Sei giorni prima della Pasqua, sapendoGesù ch’era giunta l’ora di passare da que-sto mondo al Padre” (Gv 12,1; 13,1). E datoche presto sarebbe diventato terra e cenere,volle che gli si mettesse indosso il cilicio evenisse cosparso di cenere. E mentre moltifrati, di cui era padre e guida, stavano iviraccolti con riverenza e attendevano il bea-to “transito” e la benedetta fine, quell’ani-ma santissima si sciolse dalla carne, per sa-lire nell’eterna luce, e il corpo s’addormen-tò nel Signore. Uno dei suoi frati e discepolivide l’anima del santissimo padre saliredritta al cielo al di sopra di molte acque; edera come una stella, grande come la luna,splendente come il sole e trasportata da unacandida nuvoletta (FF 511-513).

Il suo corpo viene trovato dal FratelloLeone il mattino seguente. È in questo gior-no che San Francesco viene da sempre fe-steggiato. San Francesco fu canonizzato nelluglio del 1228 da Papa Gregorio IX.

LUOGO SACRO

L’abbraccio materno«Lui là faceva l’esperienzadel bambino che in tuttoe per tutto si sentiva protetto»

Frate Custode«Se riusciamo a fare dellamisericordia il perno delle nostrerelazioni le cose cambiano»

L’icona di San Francesco ritratto da Cimabue

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Qui a latoalcune opere

di GiorgioMaddoli e nel ri-

quadro sotto ilc u r a to r e

della mostraFr a n c e s c o

Fe d e r i c oMancini

Una scultura di Antonio Ranocchia

Caldi colorie... pietre“parlanti”Sculture di Antonio Ranocchiacon i quadri di Giorgio Maddolidi FRANCESCO PASTORELLI

Perugia

Il piano nobile di Palazzo Baldeschi inquesti giorni si è trasformato in unostraordinario scrigno di luce, dove dal

suo interno è come se si riverberassero ba-gliori di una lampada magica, piccolescintille che si espandono e si proiettanosu ogni visitatore. Dentro le sue sale bel-lissime che si affacciano su Corso Van-nucci, si respira un’aria familiare, che ri-porta come per incanto agli anni lontanidel secolo passato. Ritratti, paesaggi, an-goli belli della terra umbra, i suoi coloripiù autentici e caldi, le sue pietre che pren-dono forma e che sembrano “parlare”, tut-to fa bella mostra di sé in una galleria diquadri e sculture che mantiene nel suo in-sieme il potere di calamitare l’attenzione,di custodire pensieri e attimi di altri tempi,di dialogare perfino con l’ospite che vi siaffaccia.

Diversi nella loro espressione artisticama uniti nell’affrontare tematiche comuni,come quella del sacro, il pittore GiorgioMaddoli (1916-1978) e lo scultore Anto-nio Ranocchia (1915-1989) sono i prota-gonisti delle esposizioni “L’arte non puòavere vie obbligate” e “L’intima discrezio-ne della pittura” inaugurate a Perugia il 20novembre e visitabili fino al 26 febbraio.

Il percorso espositivo, curato dal profes-sor Francesco Federico Mancini ed orga-nizzato dalla Fondazione Cariperugia Ar-te, ha come zoccolo duro i lasciti delle ope-re degli artisti fatti a distanza di anni l’unodall’altro alla Fondazione Cassa di Rispar-mio di Perugia, erede di un ricco patrimo-nio che ha deciso di raccogliere in un unicocontenitore da aprire a cittadini e turisti.

Sono 70 le sculture di Antonio Ranoc-chia donate dopo la sua morte dalla moglieIrma che troveranno spazio nelle stanzemonumentali del piano nobile di PalazzoBaldeschi.

Per quanto riguarda Maddoli, sono circa15 i dipinti di proprietà della Fondazioneottenuti in lascito, e questo nucleo centralesi arricchisce con numerose opere fornitedalle figlie Chiara e Cristina Maddoli e daaltri prestatori, non solo umbri, che sonostati coinvolti ed hanno deciso di parteci-pare alla realizzazione del percorso esposi-tivo.

Biografia del pittoreGiorgio Maddoli nasce a Perugia il 21

gennaio 1916. Si forma artisticamenteall’Istituto d’Arte ed all’Accademia diBelle Arti della sua città sotto la guida diArturo Checchi e Gerardo Dottori. Nel

1939 si diploma iniziando una intensa at-tività artistica. Tra il 1939 ed il 1975 si con-tano trenta personali e trentacinque collet-tive iniziate nel 1935 con la IV Mostra Sin-dacale a Perugia. Nel 1943 sposa Maria Fe-liciani e da questa unione nascono Chiara eCristina. Nel 1954 espone alla Biennale diVenezia e l’anno successivo alla Qua-driennale di Roma. Organizza 18 edizionidella “Rassegna Nazionale di Arte Sacra” eproprio con i temi sacri ottiene i più alti ri-conoscimenti. Nel 1955 risulta vincitoredel Concorso Nazionale a Vitinia (Roma)per la pala d’altare in mosaico raffiguranteSanta Monica e Sant’ Agostino . Nel 1964porterà a termine per la nuova chiesa di viadei Filosofi a Perugia la serie della “ViaCrucis”, fortemente espressive, e due pan-nelli centrali raffiguranti “L’ultima cena” ela “Deposizione”. Muore nella sua cittàl’11 aprile del 1978. Perugia e Assisi glihanno dedicato una strada. Numerose ope-re dell’artista sono conservate in collezionipubbliche e private. La Fondazione Cassadi Risparmio di Perugia, che già possiedealcune opere, sta allestendo un Museo de-dicato all’arte del ’900 in Umbria e si è for-malmente impegnata a riservargli un im-portante spazio.

Giorgio Maddoli così definiva il suo mo-do di rappresentare la vita: «La mia pitturanasce dalla contemplazione della terra um-bra dove sono nato e dove vivo . È una con-templazione che ogni volta rinnova in mestupore e commozione. I paesaggi nasconocosì essenziali, puliti, privi di sofisticazio-ni, senza personaggi, perché ho l’i m p r e s-sione che essi possano profa-nare l’a t m o-

sfera magica fatta di alberi, di casolari, disemplici muri, di vicoli, di tetti e possonointerrompere il silenzio del quadro».

E da un articolo di Giorgio Maddoli:“Artisti che si confessano: Gli alberidell’Umbria”, si legge: «Gli olivi umbri,scabri e contorti, spaccati nel tronco persopportare meglio il vento gelato degli in-verni, sono forse vicini al nostro spirito piùdi ogni altro albero. Il loro aspetto consu-mato per la corteccia corrosa dalle intem-perie sembra quello di vegliardi ancoragiovani nello spirito, dal vestito lace-

ro che guardano il mondo con occhi serenie buoni, aspettando la loro bella morte».Una delle più belle recensioni su di lui lascrisse Umberto Marvardi su “Idea”, nel1950. «Apparentemente un’arte così chia-ra e direi ingenua può sembrare lontanadalla nostra sensibilità di angoscia e didramma, ma ad un secondo sguardo quellaangoscia e quel dramma riemergono daicolori ingenui e dal disegno elementare an-ch’esse schiarite e semplificate in una evi-dente trasposizione che, non negando la

realtà, la illumina dal di dentro di unatenue ma sicura luce di fede. In questipaesaggi deserti, tra queste case vuote,nella campagna, nelle strade, nei cor-tili dove l’uomo ha lasciato appena lasua traccia c’è una assenza che non èsolitudine , un silenzio che non è de-solazione».

Lo scultoreArtista figurativo che non ha mai

avuto con l’astrazione dei rapportitali da modificare la sua visione es-senzialmente legata allo studio eriproposizione della figura in sen-so stretto, nonostante abbia cono-sciuto artisti che dell’informalehanno fatto il loro linguaggio pre-valente, come Leoncillo e comeBurri, Ranocchia si caratterizzaper una vena espressiva che ca-rica di sentimento e di dramma-ticità le sue composizioni, in-centrate sui temi della quotidia-

nità. Quello che segue è un estratto dalladescrizione che fa l’artista di se stesso,pubblicata su (Catalogo delle opere, Grafi-che Spaccini, Marsciano 1986). «La pas-

Il pannello all’ingresso delle mostre, dove si leggele due massime “L’arte non può avere

vie obbligate” e “L’intima discrezionedella pittura” che poi sono i titoli delle personalidedicate al pittore Giorgio Maddoli (1916-1978)e allo scultore Antonio Ranocchia (1915-1989)

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Da sinistra, il presidente dellaFondazione Cassa di Rispar-mio di Perugia, Carlo Colaia-

covo; Cristina Maddoli; il pro-fessor Francesco Federico

Mancini; Irma Rengo; CristinaMaddoli; il presidente della

Fondazione CariPerugia Arte,Giuseppe Depretis

sione per il disegno mi cominciò alla finedelle elementari, prima lo detestavo. I pri-mi contatti con l’arte li ebbi con lo scultorePietro Guaitini che presso le Fornaci Bri-ziarelli di Marsciano eseguiva decorazioniin terracotta per cappelle funerarie, chiese,palazzi. Mi sentii subito trasportato a mo-dellare dapprima cose semplici come fo-glie, fregi decorativi. A sedici anni fre-quentai l’Istituto d’Arte “Bernardino diBetto” di Perugia nella sezione del marmoe della pietra (per la plastica ebbi come in-segnate il Prof. Benedetto D’Amore e co-me compagno di classe Leoncillo Leonardidi Spoleto, mio caro amico). Diplomatoandai a Firenze per studiare dal vero le ope-re di Michelangelo, che sempre ammirocome lo scultore massimo e Donatello, etra i pittori Giotto che considero il più gran-de, Masaccio, Leonardo da Vinci, Raffael-lo e tutti gli altri sommi artisti. A quei tem-pi l’architettura non mi affascinava. Torna-

to al mio paese, presi l’insegnamento deldisegno nella scuola media e mi misi a mo-dellare i volti di molti ragazzi miei allievi ea far loro ritratti anche a matita. Progettai emodellai un altare per la parrocchiale diMarsciano dedicato alla Vergine e variecappelle funerarie per il cimitero. La sera,dopo cena, disegnavo nel mio studio ana-tomia con i modelli, e feci questo per cin-que anni, tutte le sere, perché sentivo l’i m-pellente desiderio di conoscere il corpoumano in tutti i suoi particolari e in tutti isuoi molteplici movimenti, per poi ripro-durlo nelle mie sculture senza l’ausilio delmodello, altrimenti non si può dare al lavo-ro quella vivezza, quella spontaneità equell’armonia necessaria per un’operad’arte. Qui debbo ricordare il professorLuigi Pompilj di Spoleto che tanta parteebbe nella mia vita. Era venuto una primavolta a Marsciano quale Commissario agliesami della Scuola Media era un uomo col-tissimo e molto aperto a tutte le arti, mi pre-se fin dall’inizio in forte considerazione edebbo dire che devo molto a Lui che mi in-culcò ancor più l’amore per il bello e per learti tutte. È stato il mio vero maestro e ilmio vero amico. Mi sono dilungato molto aparlare della pittura ed ho trascurato lascultura e l’architettura che amo in egualmisura. Della scultura ammiro molto quel-la delle antiche civiltà: l’Egiziana e l’A s s i-ro Babilonese e l’arte greca del periodo Ar-caico, ma ho una predilezione per l’arte ro-manica tutta e l’arte gotica di Giovanni Pi-sano che nella facciata del Duomo di Sienapreannuncia il grande genio di Caprese, eper Iacopo Dalla Quercia che dalla tombadi Ilaria del Carretto si sprigiona ancor og-

gi una vibrante intensità di vita. Negli ul-timi tempi i nomi degli scultori non sono innumero eccessivo come sono i pittori. Mache dire di Rodin, Medardo Rosso, ArturoMartini, Henrj Moore e Marino Marini dicui mi piacciono le opere che vanno fino al1955, dopo lo trovo un po’ forzato? Visi-tando i vari Paesi ho avuto modo di ricre-dermi sull’architettura che nell’età giova-nile avevo un po’ trascurato. Ora posso di-re che delle tre arti: Architettura, Scultura ePittura, la prima è quella che tiene il cam-po. Basta saperla capire, studiarla, pene-trarla per comprendere il mistero che rac-chiudono le piramidi di Gizah, i templi diPaestum, il Colosseo, Firenze tutta, PiazzaSan Pietro, le cattedrali gotiche doltr’Alpi,le piramidi dei Maya, i templi cinesi. Sono

tutte opere che più le guardi e più t’i n c h i o-dano ad ammirarle e mai vorresti allonta-narti da loro perché emanano una magia ta-le che ti dà sensazioni mirabili, come unacascata, un tramonto sul lago, il MonteBianco da l’Aiguille du Midi in una gior-nata di sole».

Il professor Mancini«A guardar bene - spiega il professor

Mancini - la produzione di Ranocchia èuna sorta di neorinascimento che istituisceun costruttivo dialogo tanto con la plastici-tà di Giotto e di Masaccio, quanto col non-finito di Michelangelo e con la forte dram-maticità dell’ultimo Donatello. Ad un cer-to punto della sua carriera l’artista ottieneuna risonanza internazionale grazie ad uncontatto prolungato con il “Salon des Indé-pendants” di Parigi, dove espone per ottoanni consecutivi. Dagli anni ’40 ha un con-

tatto stretto e prolungato con Giorgio Mad-doli, anch’esso impegnato ad affrontare itemi del quotidiano, come la rappresenta-zione di oggetti che appartengono all’i n t i-mità domestica. Ma ciò che li accomunaancor di più, è che entrambi hanno lavoratosulla rappresentazione del sacro ed in que-sto si sono trovati in grande sintonia, sep-pur con forme espressive totalmente diver-se».

Inoltre Maddoli, proprio perché pittore,ha lavorato di più intorno allarappresentazione del paesag-gio, diventando l’artista più ap-prezzato a livello regionale.«Non ci sono altri pittori che co-me lui - commenta il professorMancini - hanno interpretato ilpaesaggio affrontando la rappre-sentazione en plein air con questacapacità di analizzare i contesti,che fossero assolati o nebbiosioppure all’alba o al tramonto. Il li-rismo della rappresentazione del-la natura che è sua prerogativa,forse Gustavo Benucci ha fattoqualcosa di simile, e anche a Be-nucci la Fondazione ha dedicatouna mostra in passato».

La FondazioneLe donazioni Maddoli e Ranoc-

chia fanno sì che la FondazioneCassa di Risparmio di Perugia di-venti un punto di riferimento per tut-ti coloro che in futuro vorranno oc-

cuparsi di questi maestri: «Qui c’è un’a n-tologia dei pezzi più belli di questi artisti -afferma il presidente Carlo Colaiacovo - eda qui è nata l’idea di costituire spazi per-manenti da dedicare a questi personaggiche rappresentano una espressione moltoimportante dell’arte umbra della secondametà del ’900».

In esposizione anche materiali di docu-mentazione come manoscritti, foto d’e p o-ca, cataloghi di mostre, ritagli di giornale erecensioni che sono utili a ripercorrere isuccessi di questi artisti dalla fine degli an-ni ’30 fino agli anni ’70. Infine, oltre alleopere il professor Mancini ha scelto di pre-sentare una selezione di disegni per docu-mentare come i due artisti si comportavanonella fase progettuale e di studio.

«Con questa mostra - afferma il presi-dente della Fondazione Cariperugia Arte,Giuseppe Depretis - la nostra struttura pro-segue nel ricco programma di iniziativeche ci vede impegnati insieme ad altri im-portanti attori sociali nella valorizzazionedel patrimonio storico ed artistico dellaFondazione Cassa di Risparmio di Perugia,con l’obiettivo di renderlo sempre più frui-bile al pubblico e di offrire all’Umbria,nell’immediato futuro, la possibilità diproporsi a livello nazionale e internaziona-le come un centro culturale di primaria im-portanza. Con le ricadute in termini d’i m-magine ed economiche facilmente imma-ginabili».

Particolare commozione da parte dei fa-miliari dei due artisti: «Mi tocca profonda-mente l’anima - ha affermato Irma Rengo,moglie dello scultore Ranocchia - che leopere di mio marito vengano esposte a Pa-lazzo Baldeschi. Da sempre ho cercato ditenere viva la sua memoria e da sempre inquesto intento sono stata appoggiata dallaFondazione».

Chiara, figlia di Giorgio Maddoli ha par-lato di «un bell’appuntamento per ricorda-re mio padre nella sua Umbria che ha di-pinto ed amato con tutto se stesso. Grande èil significato di questo avvenimento pertramandare la sua memoria».

Palazzo BaldeschiLe due personalisaranno visitabilifino al 26 febbraio

Amici da sempreDiversi nella loro espressioneartistica ma uniti nell’affrontareuna tematica comune: il sacro

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IN MOSTRA

Alcune immagini tratte dallo spettacolo “Ve n a n t i ”, progettoe regia di Roberto Biselli, in scena alla Sala Cutu di Perugia,tutti i venerdì, sabato e domenica, fino al 26 dicembre

Immagine tratta dallo spetta-colo “Ve n a n t i ” alla Sala Cutu

Un primo pianodi FrancoVe n a n t inella suaabitazione,“casa museo”,a t to r n i a todai suoiammennicoli“reper ti”di unavitai n te n s a

In scenaalla Sala Cutuuno straordinariospettacolomultimedia

Venanti oltre la teladi DOMENICO PALADINO

Perugia

Quando l’arte genera arte è come as-sistere ad un piccolo miracolo, co-me vedere cellule che si moltiplica-

no, fino a dare vita ad un organismo nuovo.L’arte che contiene in sé il mistero della vi-ta, che non conosce limiti e confini.

Lo sa bene Franco Venanti, 85 anni, pit-tore di razza, che ha dedicato tutta la suaesistenza a leggere ed interpretare la real-tà attraverso il filtro della sua fantasia,della sua creatività effervescente ed indo-mabile. Un modo come un altro in fondoper rimanere liberi, per continuare a vola-re al di là di ogni ostacolo culturale o spa-ziale che sia. Un modo per ritagliarsi unospazio proprio, incorruttibile dai guastidel tempo, come direbbe lui «fuori daogni entropia». Non a caso i suoi quadriraccontano storie sospese, non cataloga-bili in nessuna maniera. Nelle sue tele siritrovano principesse e re, draghi e cava-lieri, putti, bambole e treni a vapore, maanche figure di robot dall’aspetto umanoche proiettano fra di noi frammenti di unagalassia lontana. E dunque, prendere isuoi lavori e tradurli in altri linguaggi an-cora, non può che provocare stupore, ge-nerare shock, produrre ulteriori meravi-glie. Ma del resto si sa ci sono linguaggiche bene si intersecano fra di loro fino adonare e ad aggiungere qualcosa di più aciò che già brilla di luce propria. E allora,da non farsi sfuggire davvero questo spet-tacolo-performance dal titolo “Venanti”,la cui “prima” è andata in scena venerdì27 novembre alla Sala Cutu di corso Ca-vour a Perugia, raccogliendo applausi ascena aperta e un mix di commozione eincanto, che per fortuna sarà riproposta inreplica tutti i venerdì, sabato e domenica,fino al 26 dicembre. La pièce, progettata ecurata nella regia da Roberto Biselli, ha insé qualcosa di speciale, si tratta certo di unomaggio, di un “ritratto” teatrale, dedica-to ad uno dei più grandi artisti viventi pe-rugini, ma contiene in sé dei germi nuovi,davvero interessanti. Si potrebbe definireun viaggio “al di là della tela”, ma è qual-cosa di più del semplice “taglio” di Fon-tana memoria, è un inoltrarsi verso spazisuggeriti, ignoti, tutti da scandagliare escoprire. Ne viene fuori un’esperienzaunica, dove i confini fra l’immaginario ela realtà si confondono, diventando il so-gno che si accende e ti porta via con sé.

In questo spettacolo, grazie alla mae-stria di Roberto Biselli, i dipinti di FrancoVenanti si animano, le sue figure prendo-no corpo, si affrancano dalla bidimensio-nalità che le imprigiona e solo a guardarli

quei personaggi e ad ascoltarli parlare, cisi sente risucchiati in un attimo infinitoche sa di eternità. Un viaggio multimedia-le suddiviso in cinque tappe, della duratadi 80 minuti. Protagonisti sono i colori delMaestro, ma anche la parola, il racconto,la lirica, il canto, la danza. Tutto s’intrec -cia con un canovaccio dettato dal disordi-ne sparso dei quadri venantiani. E funzio-nano i video proiettati e rielaborati contecniche digitali, al di là dei quali attori edanzatori trovano la dimensione giustaper convivere con la fantasia. Lo spetta-colo si articola in cinque stazioni, o temiimmaginifici, ognuna legata ad una tema-tica che, secondo il progetto ideato da Bi-selli, il pittore Franco Venanti ha rappre-sentato nel proprio percorso artistico:amore, animalitudine, potere, caos e sal-vifico. E così facendo la concezione stes-sa della “mostra” viene superata attraver-so una multivisione di segni comunicati-vi, capaci di rendere l’opera viva e oltre-modo godibile e articolata. Un modelloassolutamente innovativo, perché capacedi far interagire fra le arti varie il visitato-re-spettatore, fornendo strumenti di deco-difica e fascinazione anche per le nuovegenerazioni, formatesi spesso in ambientimultitasking e smart. «Attraverso questo“modello avanguardista” che fonde tea-tro e pittura - ha detto Roberto Biselli - sivuol raggiungere un pubblico di tutte leetà: dagli anziani che hanno memoria diuna Perugia ormai lontana, al pubblico

dei più giovani, affinché abbiano la pos-sibilità di conoscere l’artista in modo dastimolare, in questi ultimi, anche il sensocritico rispetto ai dipinti e all’arte in gene-re, favorendo un’esperienza di grande va-lenza didattico-formativa». “Venanti” èdunque un’invenzione teatrale che vedecoinvolti oltre allo staff del Maestro, di-versi artisti perugini, già collaboratori delTeatro di Sacco: gli attori Maurizio Mo-desti e Angela Pellicciari, Elena Tingoli eLuca Pellegrini della compagnia di danzacontemporanea Undercover Dance Com-pany con le coreografie di Manuela Giu-lietti, il videomaker Marco Del Buono, lacolonna sonora originale di Nicola FumoFrattegiani, le maschere di Mario Mira-bassi, il tutto per la regia di Roberto Bisel-li. A rendere possibile l’evento l’Asses -sorato alla Cultura del Comune di Perugiae Banca Mediolanum-Ufficio Promotori

di Perugia, nella persona della signoraDoriana Bondi, che per prima ha credutoe voluto supportare il progetto.

Lo si può infine definire un giustoomaggio che la città di Perugia rende adun suo figlio speciale. Più lo si conosceFranco Venanti e più viene da definirlo unpensatore che ha fatto dell’arte figurativauna leva di guarigione di sé, dell’essere.

Ed è davvero un’esperienza specialevederlo circondato dai tanti ammennico-li, dalle sue bambole, dai giocosi e splen-denti “reperti” di una vita intensa, chefanno bella foggia nella sua casa-museodi via XX Settembre. Venanti viene defi-nito sbrigativamente artista, ma è un ter-mine riduttivo. Venanti ha fatto di sé lapiù importante delle sue opere d’arte. Co-me un “Dio delle piccole cose” ha semprecoltivato l’arte del vivere, fino a diventareun testimone ed un esempio per tutti.

Nella suacasa-museo

il Maestrovive fra mille

“reperti”Il regista Roberto Biselli«Fondendo teatro e pitturasi vuol raggiungereun pubblico di tutte le età»

Piccola antologica curata da Antonio Carlo Ponti, consulente per il Palio ed i trofei del Mercato delle Gaite

Nove opere del maestro all’auditorium di BevagnaBEVAGNA - L’auditorium Santa Maria Lauren-tia di Bevagna ospita fino all’8 dicembre la grandemostra dell’artista Franco Venanti. Un evento incollaborazione tra l’associazione Mercato delleGaite e Pro loco Bevagna sostenuto dal FrantoioPetasecca Donati. Un impegno, assunto sin dallaprimavera, quando Venanti eseguì il Palio per lamanifestazione bevanate. L’esposizione, curatadal Antonio Carlo Ponti, consulente artistico per ilPalio ed i trofei del Mercato delle Gaite, proporrà

9 opere del maestro, di grande formato, articolatein 3 periodi di produzione in oltre 60 anni. AnniSessanta-Settanta, con quadri storici, fra intimi-smo domestico e ribellione al consumismo, come“Contestiamo la famiglia” e “Interno con Lucia-no”, ritratto romantico del fratello scomparso.Non potevano mancare opere del periodo dell’en -tropia e della scoperta di un mondo sopraffattodalla scienza e dalla tecnologia, che ha perduto co-scienza di sé nel moderno caos primordiale.

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Nel riquadroscena raffigurante Calipso

con una cesta e Odisseoseduto sulla riva del mare

(vaso del 390 a.C. circa)

Nella Spoletodi 2700 anni fadi VINCENZO CEMENTI

Un’intera sala del Museo Archeologico diSpoleto è dedicata agli straordinari scet-tri del re e ai corredi funebri dei piccoli

principi guerrieri. Un’occasione straordinariaper visitare uno dei luoghi più affascinanti dellaCittà dei Duchi. Il Museo Archeologico di Spo-leto è collocato in uno di quei contesti urbanisti-ci antichi intensamente edificati, abbattuti e ri-costruiti dall’opera multisecolare dell’uomo.Ne è risultato un tessuto di strati di pietra che puòessere preso a simbolo e genoma di Spoletium“città fenice”, la città che rinasce ciclicamentesulle rovine dei terremoti, degli assedi, dell’in -curia. La struttura è infatti un’orditura bimille-naria di edifici di pietra stratificati su se stessi, aridosso del Teatro Romano del I sec. d.C. e dellachiesa di Sant’Agata (XI sec.). L’area testimo-nia le profonde trasformazioni operate sull’ori -ginario complesso architettonico dalla comunitàreligiosa benedettina che qui viveva sin dai pri-mi anni del Quattrocento. Un silenzio sacrale ac-coglie il visitatore che ha subito la sensazione diinoltrarsi in una dimensione temporale diversa.Si ha la percezione di varcare un confine e di en-trare in contatto con il tempo che diventa storia,con quello che Friedrich Hegel chiamava Wel-tgeist: la vicenda di un popolo che incarna e di-venta lo Spirito del Mondo. Sul lato del com-plesso architettonico che guarda il teatro, la co-munità monastica edificò nel Quattrocento unmonumentale chiostro di nove arcate poste supilastri ottagonali di cotto con basi e capitelli inpietra intagliata. Orientato a sud, il portico si af-faccia direttamente sull’ampia cavea del TeatroRomano e oggi, da ampie vetrate, la luce del soleinonda le sale al primo piano del museo, illumi-na la raccolta di epigrafi ed epitaffi d’epoca ro-mana, esalta la gravità delle parole incise sullapietra. Al primo piano, dopo una tortuosa scali-nata di pietra, forse risalente all’antica sede mo-nastica, si apre la sala allestita con gli straordina-ri reperti della necropoli di Piazza d’Armi: iniziaqui il viaggio emozionale, prima ancora che co-noscitivo e scientifico nella Spoleto di 2700 annifa: la storia restituita di un popolo la cui memoriasi era persa nelle nebbie di tempi remoti.

La sala degli scettriGli scavi di Piazza d’Armi, secondo gli stu-

diosi, rappresentano una eccezionale testimo-nianza, proprio perché scrivono la storia, sinqui poco conosciuta, dei popoli dell’Umbriameridionale in epoca preromana.

Sono 54 le tombe portate alla luce dagli ar-cheologi dopo una serie di ritrovamenti legatiagli scavi di alcuni cantieri edili nella primaperiferia spoletina. Nonostante le spoliazioniavvenute già in epoca romana ed i danneggia-menti causati nell’area dalle pratiche agricolee dalla realizzazione di strutture viarie o diopere di canalizzazione avvenute nei secolisuccessivi, l’area funeraria ha consegnato aglistudiosi una grande quantità di reperti .

I “pani” di terrenoGli oggetti in mostra, in alcuni casi di straor-

dinaria importanza storica, e che ci danno unaserie di importanti informazioni sugli abitantidella Spoleto preromana, appartengono solo auna decina di tombe della necropoli. I processichimico-fisici di corrosione ed alterazione deimetalli, lo schiacciamento del vasellame cau-sato dallo stesso peso del terreno e delle pietree delle lastre poste a delimitare i tumuli, chehanno naturalmente compresso i sottostantifragili contenuti, hanno imposto ai ricercatoriuna grande attenzione nelle pratiche di scavo.Si è deciso in molti casi di asportare interi “pa -ni” di terreno, che sono stati avvolti in una spe-cie di velo. Così “impacchettati”, i reperti in-globati nel terreno sono stati trasportati ed im-magazzinati in appositi locali del museo peressere esaminati e restaurati in un ambienteprotetto. Da questi materiali si ritiene possanoemergere ulteriori importanti scoperte.

Le tombe a circoloLe tombe a pianta circolare portate alla luce

a Piazza d’Armi sono comuni a tutte le etnieche compongono l’antica cultura degli Umbrie sono in tutto simili ai kurgàn, (dal russo, tu-mulo, sepoltura), le sepolture da cui gli studio-si dettero il nome al popolo che praticaval’inumazione dei defunti e che abitava le pia-nure della Russia meridionale all’incirca dalIV millennio avanti Cristo. Maestri nell’alle -vamento dei cavalli, con l’invenzione dei carrida guerra, i Kurgàn rivoluzionarono le tecni-che militari che prima erano basate sulla forzad’urto dei guerrieri appiedati. Quando in piùondate migratorie invasero l’Europa, ribalta-rono le matriarcali, egualitarie culture dei po-poli che trovarono sul loro cammino, impo-nendo una società di guerrieri, strutturata perclassi e con vertici aristocratici che perpetua-vano il potere in modo ereditario. Il fatto chenel loro viaggio dalle steppe a sud degli Urali,attraverso i Balcani, il Mar Nero, l’Europa da-nubiana e l’Adriatico, verso le fertili spondemediterranee, i fieri cavalieri delle steppe pon-to/caucasiche si siano mescolati ai popoli au-toctoni, ai cosiddetti Aborigeni, resta un’ipo -tesi. Gli attuali studi concordano sull’origineautoctona degli antichi Umbri, gli “ Ombri -koi”, come li chiamavano i greci”, un popoloestremamente grande ed antico”, secondoDionigi di Alicarnasso. Plinio li definì “gensantiquissima Italiae”. Un popolo, però, che,tranne l’eccezionale ritrovamento delle Tavo-le Iguvine conservate a Gubbio, ha lasciato po-che tracce di sé. L’importante scoperta spole-tina conferma come gli Umbri, pur nelle variediversificazioni territoriali ebbero una fortecontiguità linguistica e soprattutto religiosa,legata al culto dei morti e caratterizzata dallapratica della tumulazione. Accanto ai mortivenivano posti corredi funebri più o meno ric-chi, a seconda della classe sociale di apparte-nenza del defunto. Spesso il corredo contene-va anche oggetti “defunzionalizzati”, simboli-ci, ma che avevano la loro “utilità” nel viaggioverso il mondo dei morti. In tal senso, secondogli archeologi i reperti della necropoli spoleti-na testimoniano molte nuove acquisizioni: si-curamente la gens di questa necropoli apparte-neva a un popolo non più nomade, molto attivonegli scambi commerciali con gli altri popoli “italici” e soprattutto con gli Etruschi che occu-pavano le terre ad ovest della grande pianura,oltre i monti Martani.

Una città “cerniera”Almeno in parte, le sepolture sono fortuno-

samente scampate ai saccheggi dei secoli suc-

cessivi, alle spoliazioni operate soprattutto daiconquistatori romani , grandi predatori di me-talli che venivano fusi per realizzare armi , co-razze, statue, monili e utensili. Ma, nonostantealtri successivi danneggiamenti, anche invo-lontari, provocati in taluni casi anche da lavoriagricoli in epoche recenti o contemporanee , lanecropoli di Piazza d’Armi ha sin qui restitui-to, relativamente alla porzione di tumuli esa-minati in modo completo, un rilevante numerodi corredi funerari che, secondo gli archeologi,sono di eccezionale rarità ed unicità e forni-scono finalmente fonti storiche preziosissimeper la conoscenza di un’epoca storica che, permolte ragioni, ci ha lasciato poche testimo-nianze. I corredi, veri e propri status symboldelle élites guerriere ed aristocratiche chetrenta secoli fa dominarono questa porzionedell’Umbria meridionale, ci consegnano an-che la memoria delle attività quotidiane della

gente comune, delle personali vicende e delleattitudini degli uomini, delle donne e dei bam-bini che vissero e morirono a Spoletium circacinquecento anni prima della conquista roma-na. Gli archeologi ritengono infatti che con lascoperta di Piazza d’Armi si sia acquisito un“quadro del tutto nuovo della società e dell’ar -tigianato artistico di un centro che tra la finedel secolo VIII e la metà del VI secolo avantiCristo ”fu cerniera tra il mondo etrusco, fali-sco, laziale e sabino, l’Abruzzo e il Piceno eche accolse numerose e varie influenze, maseppe elaborare anche linguaggi e tecniche inparte nuovi”.

Forti e di alta staturaLe analisi antropologiche preliminari sul

campione di sepolture indagato (circa un quin-

Fra scettri di re e asce antiche

In Piazza d’ArmiLe tombe a pianta circolareportate alla luce sonoin tutto simili ai kurgàn

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19OFFERTA NATALIZIA

Il MuseoA rc h e o l o g i c odi Spoletocollocato in unodi quei contestiurbanisticiantichii n te n s a m e n teedif icati,abbattutie ricostruitidall’operamultisecolaredell’uomoLa struttura è in-fatti un’o rd i t u r abimillenaria diedifici di pietrastratificati su sestessi, a ridossodel Teatro Roma-no del I sec. d.C.e della chiesa diSant’A gata(XI sec.)

A sinistra, particolaredi uno degli scettriritrovavi, sopraun cavallino scolpitonella pietra e a destradegli strumenti da falegname

to del totale) ha già rivelato importanti indica-zioni sulla qualità della vita, sui costumi, sullasalute della gens tumulata nella necropoli spo-letina. La comunità che abitava Spoleto 2700anni fa, era formata da individui sani, caratte-rizzati da un positivo sviluppo osseo e da scar-se patologie. Ottime le inserzioni muscolari,assenti le patologie da deficit nutrizionale,quasi assente la carie dentaria. La statura me-dia per l’epoca era elevata (un metro e settantaper gli uomini e un metro e sessanta per le don-ne). Aspetti legati ad un’alimentazione carat-terizzata da buon apporto di proteine e di cal-cio e quindi prevalentemente a base di carne.Una dieta tipica di una etnia dedita soprattuttoall’allevamento e alla caccia e meno alla col-tivazione ed alla raccolta dei cereali. Questaalimentazione consentiva alle donne lunghiallattamenti (fino ai tre anni) con ottimale tra-sferimento di protezione immunitaria da ma-dre a figlio e quindi con bassa mortalità neona-tale e della prima infanzia.

Ma c’è un ulteriore aspetto che gli studiosiritengono ancora più importante: l’allatta -mento prolungato era anche un fattore con-traccettivo, cosicché le madri spoletine, du-rante la loro esistenza, potevano avere menofigli e curarli di più, facendoli crescere più for-ti, mentre loro stesse, per le scarse gravidanze,avevano migliori aspettative di vita. I pochibambini rappresentavano il futuro della comu-nità ed erano quindi oggetto, a differenza di al-tri popoli, di grandi attenzioni e di una eviden-

te considerazione sociale.Gli scettri e le asceNonostante i saccheggi subiti, il sepolcreto

della famiglia reale ha conservato, solo nellatomba principale, ben quattro scettri, di cuidue di raffinatissima fattura. Secondo gli ar-cheologi essi «non solo non trovano confrontiprecisi, ma possono essere considerati gliesemplari più belli e anche scientificamentepiù importanti finora trovati in Italia». Due de-gli scettri sono di bronzo fuso, gli altri due inferro e bronzo e sono caratterizzati da un corpobivalve. La decorazione di questi ultimi pre-senta una tecnica analoga a quella dell’agemi -na che consiste in un intarsio su metallo effet-tuato con un altro metallo prezioso e di diversocolore che viene incastrato in solchi tracciatisulla superficie da decorare, secondo un preci-so disegno ornamentale. L’ageminatura ripro-duce raffigurazioni tipiche del repertorio ico-nografico religioso italico. Sono scene digrande suggestione. Il re viene raffigurato vi-cino a un cavallo a due teste. Sull’altro latodello scettro, è rappresentato un lupo che az-zanna un cavallo. Le forme esaltano il poteredel sovrano che sottomette e addomestica ani-mali mostruosi e fantastici. Gli altri due scet-tri, di maggiore consistenza e di notevole spes-sore e peso, hanno foggia piriforme e sono en-trambi costituiti da bronzo fuso in unico getto.Tutti e quattro gli oggetti sono il simbolo vi-stoso e tangibile del potere politico e religiosoincarnato in vita dal defunto. Come affermano

gli studiosi «siamo di fronte ad un personaggioche sembra essere connotato non solo comeprincipe, ma proprio come un re, il più anticore di Spoleto».

Ma che tipo di re era quello di Spoleto? So-miglia a Agamennone, figlio di Atreo, re diArgo e di Micene, che si avvia, scettro in ma-no, a scatenare la sanguinosa guerra troiana:

“sorge, e del letto su la sponda assisouna molle s’avvolge alla personatunica intatta, immacolata; gittasiil regal manto indosso; il piè costringene’ bei calzari; il brando aspro e lucented’argentee borchie all’omero sospende,l’invïolato avito scettro impugna,ed alle navi degli Achei cammina”.(Omero, Iliade, libro II, traduzione di Vin-

cenzo Monti).Filippo Delpino, nel saggio “Regalità e po-

tere”, riportato nel catalogo della mostra mu-seale spoletina, afferma che «Il re-basileus è inOmero il capo di una comunità politica, per lopiù di ridotta estensione territoriale; il suo po-tere, spesso ereditario e simbolizzato dal pos-sesso dello scettro, implica oltre a quelle pro-priamente politiche, funzioni religiose, milita-ri e giudiziarie». Ma i re dell’epoca omerica,che è la medesima in cui vissero i re spoletini,erano non solo guerrieri, cavalieri e cacciatori,ma anche esperti falegnami e carpentieri.

Nelle tombe appartenenti al gruppo dellastirpe regale o comunque al ceto elevato deiguerrieri di Piazza D’Armi, infatti, sono statescoperti asce ed utensili per la lavorazione dellegno. Una grande ascia è presente anche nellaseconda tomba regale che conteneva cinquepunte di lancia in ferro e due morsi da cavallo,forse parte di un carro da guerra simile alla bi-ga ritrovata in modo avventuroso a Monteleo-ne di Spoleto e ora conservata al Metropolitandi New York. Gli studiosi ne sottolineano lamole e la diversa tipologia più tipica dell’inse -gna politica e del duplice potere religioso e mi-litare del sovrano. Ma è indubbio il riferimentoal ruolo simbolico del falegname-carpentieree la connessione dell’oggetto con l’elevatorango dei guerrieri della antichissima città di

Spoleto che dovevano somigliare alla coevafigura di Ulisse, omerico sovrano di Itaca, reguerriero e maestro d’ascia: “Una scure gran-de gli diede [Calipso], da impugnare a due ma-ni, di bronzo, affilata a due tagli: v’era infissoun bel manico di legno d’ulivo; gli diede inol-tre una lucida ascia. S’avviò verso l’orlodell’isola dov’erano gli alberi alti: l’ontano e ilpioppo e, alto fino al cielo, l’abete, stagionati,secchi, che galleggiassero lievi. Dopo che gliebbe mostrato dov’erano gli alberi alti, se neandò verso casa Calipso, chiara fra le dee, edegli cominciò a recidere tronchi: lavorava ra-pidamente. Ne abbatté in tutto venti, li sgrossòcon la scure di bronzo, li spianò a regola d’artee li fece diritti col filo”.

(Omero, Odissea, V).“Dopo, recisi la chioma all’ulivo dalle foglie

sottili: sgrossai dalla base il suo tronco, lo pial-lai col bronzo, bene e con arte, e lo feci dirittocol filo, e ottenuto un piede di letto traforai tut-to col trapano. Iniziando da questo piallai lalettiera, finché la finii, rabescandola d’oro ed’argento e d’avorio. All’interno tesi le cin-ghie di bue, splendenti di porpora”.

(Omero, Odissea, XXIII).

-------------//----------------Un particolare ringraziamento alla dotto-

ressa Luana Cenciaioli, direttrice del MuseoArcheologico Nazionale di Spoleto ed agli ar-

cheologi Anna Riva e Nicola Brunidi ASTRA onlus ( Associazione per lo studio

del territorio, ricerca e archeologia).Si ringrazia anche il sito umbriatouring.it

che ne ha anticipato la pubblicazione.

La Città dei Duchi si concedee si regala ai suoi visitatoriSPOLETO - “Spoleto è bella, buona e fa bene”, verrebbe da dire al proclama del capodegli imprenditori dell’accoglienza spoletina: arte, cultura, natura ed enogastronomia:un paniere di doni buoni per ogni godimento sensoriale, un goloso nutrimento per l’o c-chio, lo spirito, la mente. È ciò che ci spiega Tommaso Barbanera, vulcanico e com-battivo presidente del Consorzio spoletino degli albergatori che anche nel nome “ConSpoleto” riafferma tutta la passionalità e l’orgoglio di una città che rivendica una spe-ciale leadership nel turismo nazionale ed internazionale della cultura dei grandi eventi,del paesaggio naturale e storico-archeologico e, a buon diritto, quello del gusto, del cibo,anche e soprattutto in questo scorcio prenatalizio. Per questo spiega Barbanera, ConSpoleto, in collaborazione con Andrea Tattini, presidente di di Ascom Spoleto e con ilsupporto di Confindustria, Confartigianato e Pro Loco Spoleto, ha organizzato l’evento“Spoleto Day” ove, l’11 dicembre, in vista del Natale, Spoleto si “regalerà” a visitatori eresidenti con un prodotto di promozione che comprenderà il soggiorno in hotel a prezziscontati, le degustazioni in bar e ristoranti, la visita ai musei, l’intrattenimento e i par-cheggi completamente gratuiti.

«Al turista che soggiornerà almeno due notti nelle strutture alberghiere della città -spiega il presidente Barbanera - tra il 10, l’11, il 12 o il 13 dicembre, la notte del venerdìsarà gratis». «Ma - continua Barbanera - ristoranti e bar offriranno, a tutti, degustazionigratuite all’interno dei normali pasti o delle consumazioni effettuate. A “ Spoleto Day”seguirà poi una speciale “Outlet night” ove i negozi saranno aperti fino alle 22 e dalle 16i commercianti effettueranno promozioni con particolari sconti». «Ma - continua Bar-banera - non offriamo solo merci di qualità, ottima accoglienza alberghiera ed eccellenzegastronomiche. Ai turisti ed ai visitatori, che ci auguriamo numerosissimi, offriamo an-che l’incanto inconfondibile della nostra città, con i suoi tremila anni di storia, la grandeofferta dei suoi percorsi museali - dal Museo Archeologico Nazionale a PiazzaSant’Agata, al vicino Museo Carandente dedicato alle Arti visive, a Palazzo Collicola,alla Pinacoteca Comunale presso il municipio, al Museo del Tessile e del Costume An-tico, a Palazzo Rosari-Spada, al Museo Diocesano, nelle vicinanze della basilica diSant’Eufemia, al Museo Nazionale Longobardo presso la Rocca Albornoziana, senzacitare la Casa Romana ed i grande percorso di chiese romaniche all’interno e nei dintornidella città». «Tengo a sottolineare - continua il presidente di Con Spoleto, come, anche inquesto sterminato giacimento di beni storico artistici, la nostra città offra continue no-vità: ad esempio gli straordinari reperti di epoca preromana venuti alla luce presso lanecropoli di Piazza d’Armi: gli scettri dei primi re di Spoleto contemporanei ai primi redi Roma ed ai sovrani dell’epoca omerica». Anche se l’indagine della necropoli è ancorain corso, l’eccezionalità di questi ritrovamenti ha spinto la Soprintendenza ad organi z-zare una prima sala di mostra».

«La nostra città - conclude Barbanera - è veramente un luogo del piacere per la mente,lo spirito e tutti i nostri sensi: per Natale regalatevi Spoleto, noi vi anticipiamo il dono diun week end indimenticabile!».

Per ulteriori informazioni si può contattare il Con Spoleto al numero 0743.220773 ovia mail a [email protected] - fax 0743.20207 - www.conspoleto.com.

Forti e di alta staturaLa comunità era formatada individui sani e robusti,caratterizzati da scarse patologie

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VENERDÌ 4 DICEMBRE

SABATO 5 DICEMBRE

DOMENICA 6 DICEMBRE

LUNEDÌ 7 DICEMBRE

MARTEDÌ 8 DICEMBRE

MERCOLEDÌ 9 DICEMBRE

GIOVEDÌ 10 DICEMBRE

Fra fiere e mercatiniCon l’accensione dell’albero di Gubbioprende il via una serie di belle iniziative

l SPOLETO - Al Teatro Gian Carlo Menotti vain scena “La Bella Addormentata”, su co-reografie di Marius Petipa.

l PERUGIA - Al Teatro Brecht “Pieno di vi-ta”, con Valentina Renzulli e con MaurizioCastellani, Lucio Cecchini, Andrea Ricci.

l CITTÀ DI CASTELLO - Al Teatro degli Il-luminati Oblivion presentano “The HumanJubox”. Musiche di Lorenzo Scuda.

l SPOLETO - Da oggi fino a domenica 20 di-cembre, “mostra fotografica e oggettistica”a Palazzo Leonetti-Lucarini.

l CANNARA - Da oggi all’8 dicembre torna laFesta della Cipolla Winter edition.

l CORCIANO - Da oggi a domenica e dall’11al 13 Sapori d’Italia al Gherlinda.

l PERUGIA - L’Orchestra Sinfonica GiovanileModenese alle 21 a Santa Giuliana.

l CASTEL RIGONE - Da oggi fino a martedìMercatini di Natale, all’insegna di prodottitipici e artigianato locale.

l CORCIANO - Il caratteristico castello me-dievale con Dolce Borgo si tingerà oggi deicolori del cioccolato.

l PERUGIA - Al Museo Archeologico Nazio-nale dell’Umbria sono visitabili fino al 16 di-cembre i Bronzi etruschi di San Mariano.

l MONTEFALCO - Il capolavoro di BenozzoGozzoli “La Madonna della Cintola” fino al30 dicembre nel museo di Montefalco.

l BASTIA UMBRA - Si apre oggi fino al 13 di-cembre Expo Regalo, area dedicata al gioco,con numerose attività di intrattenimento.

l PERUGIA - Il Piccolo Teatro San Martino invia Pontani presenta “’n carrozza se parte”, inscena stasera alle 21,15 e domani alle 17,15.

l CITTÀ DELLA PIEVE - Nel suggestivo cen-tro storico c’è Segui La Stella Cometa, chefino al 31 dicembre mette in mostra tanta og-gettistica per i regali di Natale.

l PERUGIA - Al via la seconda edizione Bor-go d’Inverno a Porta Pesa. Ore 17.

l MONTEFALCO - Tra gli eventi di “C’erauna volta a Natale” in programma la rasse-gna “Racconti dai Paesi del mondo” in colla-borazione con l’istituto Melanzio-Parini.

l TERNI - Torna l’esposizione di presepi ar-tistici all’interno del borgo storico.

l NARNI - Al Teatro Comunale per la rassegnaTeatro Ragazzi va in scena “Neverland l’iso-la che c’è”. Oggi alle ore 17.

l PERUGIA - Al Teatro Brecht, per Teatro Ra-gazzi, va in scena “Un topo... due topi... untreno per Hamelin”. Ore17.

l GUBBIO - Accensione dell’Albero di Na-tale più grande del mondo. Piazza 40 Martirialle ore 19 con Medici Senza Frontiere.

l TERNI - Al Teatro Secci oggi e domani alleore 21 c’è “La gatta sul tetto che scotta”, conVittoria Puccini e Vinicio Marchoni.

l SOLOMEO - Al Teatro Cucinelli va in sce-na “Francesco Povero”, con i ragazzi dellaComunità di San Patrignano. Ore 21.

l ORVIETO - Al Teatro Mancinelli oggi edomani “Qualcuno volò sul nido del Cucu-lo”, riambientato da Alessandro Gassmann.

l TODI - In occasione del centenario dellaPrima Guerra Mondiale rievoca l’evento at-traverso la mostra storico-documentaria “Intrincea. I tuderti e la grande guerra: testimo-nianze, immagini, documenti e ricordi. Saladelle Pietre, nei Palazzi Comunali.

l MONTE CASTELLO DI VIBIO - Con Casadi Babbo Natale i bambini potranno conse-gnare le proprie letterine e visitare il laborato-rio degli elfi. A Monte Castello di Vibio si po-trà visitare il presepe artistico realizzato daCarlo Tentellini.

l PASSIGNANO SUL TRASIMENO - Nelcentro storico viene allestito un caratteristicoMercatino di Natale che si svolgerà dalle 9alle 20.

l SPELLO - La cittadina si trasforma in unosplendido presepe all’aperto.

l MAGIONE - Tradizionale presepe storicorealizzato artigianalmente dalla parrocchia diMagione, con il contributo e la passione diSante Cacchiata.

l ASSISI - Al Lyrick la Compagnia de la Ran-cia ripropone “Pinocchio il grande musical”.

l MONTELEONE DI SPOLETO - Monteleo-ne di Spoleto celebra fino ad oggi le proprietradizioni e i prodotti tipici con la Mostramercato del farro Dop, in cui sono esposteeccellenze umbre, prodotti locali e di artigia-nato. Si festeggia il patrono San Nicola.

l PRECI - La popolazione prepara un focone,che poi brucerà tutta la notte. Mentre nei bor-ghi e nelle campagne della Valnerina si as-siste ad un momento corale di forte sugge-stione, l’accensione di Focaracci o Fuochidella Venuta.

l MAGIONE - Al Teatro Mengoni alle 21 vain scena “Notturno di donna con ospiti”, diAnnibale Ruccello per la regia di Enrico Ma-ria Lamanna, con Giuliana De Sio. L’azionesi svolge in una casa a due piani nella peri-feria di una metropoli.

l GUBBIO - Organizzata dal Comune di Gub-bio e da Gubbio Cultura e Multiservizi, con lacollaborazione del Gal Alta Umbria la mostra“Dinosauri a Gubbio” si può considerarel’evento di punta per il 2015 e 2016. Presso ilcomplesso monastico di San Benedetto.

l PERUGIA - Mixoblack di Alberto Burri inmostra. Saranno visibili fino al 5 gennaio ne-gli spazi della Galleria “Tesori d’Arte” delcomplesso monumentale di San Pietro a Peru-gia. L’evento nel quadro delle celebrazioniper il centenario della nascita dell’artista.

l AMELIA - Nella cattedrale il presepe perma-nente dell’artista locale Carlo Chiappafreddo,mentre al convento Santissima Annunciata, vi-sitabile sempre tutto l’anno quello dello spagno-lo Juan Maria Oliva. Diversi poi sono quelli rea-lizzati nei dintorni molti dei quali “viventi”.

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SETTIMANA DALL’11 AL 17 DICEMBRE SETTIMANA DAL 18 AL 24 DICEMBRE

SETTIMANA DAL 25 AL 31 DICEMBRE

Aspettando il NataleIl mese dedicato alla Natività è ricco di eventistraordinari, dalle opere teatrali, alla danza, ai coriche esaltano la magnificenza di una festa speciale

l FOLIGNO - Da venerdì 11 a domenica 13 dicembre a Foligno c’è la festa del Vin-tage. Una tre giorni dedicata a quella moda che torna sempre di moda e che punta acoinvolgere un vasto pubblico. Tanti gli appassionati e i collezionisti che stannodietro a questo settore. Espositori e collezionisti portano a Foligno in questa oc-casione abiti, accessori, vinili, modernariatolibri e auto d’epoca. Un appuntamentoarricchito da numerosi eventi collaterali, musica, laboratori, aperivintage e tantoaltro. L’appuntamento per tutti è al Palazzo Brunetti Candiotti.

l PERUGIA - Va in scena al Teatro Brech venerdì 11 “La storia di Greta”, la storiadi una bambina che crescendo diventa folle e dunque viene rifiutata da tutti. L’epi-logo è tragico, la bimba si toglierà la vita. Il lavoro parte dall’analisi di quello chepuò succedere quando qualcuno di noi si scontra con il rifiuto e l’esclusione, e dun-que con la solitudine più estrema.

l ASSISI - Sabato 12 dicembre al Teatro Lyrich di Santa Maria degli Angeli va inscena “Anche se sei stonato” con Marco Presta e Max Paiella, mattatori della tra-smissione di Radio2. In questo show i due conduttori promettono divertimento erisate. Giacomo è stato appena lasciato dalla moglie e cerca di distrarsi prendendolezioni di canto. Il suo insegnante è Valerio, donnaiolo attorno al quale gravitano ilpianista Attilio (Attilio di Giovanni), l’allieva combina guali Isabella (MariannaValentino) e la romantica barista Gemma (Ketty Roselli).

l SPOLETO - Arriva al Teatro Nuovo Giancarlo Menotti lunedì 14 dicembre alleore 21 l’“Enrico IV°”. Considerato uno dei capolavori di Pirandello Enrico IV èuno studio sul significato della pazzia e sul tema del rapporto, complesso e alla fineinestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità. “Uno degli omaggi più bel-li a Luca Ronconi è senz’altro, indirettamente, l’Enrico IV di Luigi Pirandello di-retto e interpretato da Franco Branciaroli.

lTREVI - Al Teatro Clitunno venerdì 18 va in scena lo spettacolo di danza “Mamma Ro-ma”. Regia di Luca Bruni. Nel 40° anniversario della scomparsa di Pier Paolo Pasolini,la compagnia riporta sulla scena “Mamma Roma” (Premio T.Barbakoff al Prix Vo-linine, Parigi 1993), lavoro con il quale il coreografo Luca Bruni segna, giovanissimo, ifortunati esordi alla coreografia: si tratta di un omaggio ad Anna Magnani, una delle piùgrandi attrici italiane di tutti i tempi, e a Pier Paolo Pasolini, regista del film omonimo apartire dal quale lo spettacolo si presenta non tanto come opera didascalica del lavorocinematografico, ma quale indagine introspettiva sui personaggi e sui loro sentimenti.La valenza artistica dell’opera coreografica è stata riconosciuta dagli stessi autori chene hanno autorizzato la prima messa in scena e le sue repliche: dopo 24 anni dalla suacreazione (avvenuta a Tours per il Ccn/Tours sotto la direzione di J.C.Maillot), lo spet-tacolo rimane un’opera estremamente attuale e di forte struttura coreografica.

l GUBBIO - Va in scena il 18 dicembre “Ben Hur, una storia di ordinaria periferia”,per la regia di Gianni Clementi, con Paolo Triestino e Nicola Pistoia. In questa nuovapièce, scritta appositamente per loro, la coppia Triestino-Pistoia affronta il temadell’immigrazione e del razzismo in modo nuovo e brillante. L’autore riesce a presen-tare temi di attualità con grande semplicità suscitando nel pubblico momenti di profon-da riflessione, ma anche di grande ilarità.

l CALVI - All’interno dell’oratorio di Sant’Antonio, nel catino absidale è collocato ilpresepe monumentale in terracotta policroma. Composto da più di 30 statue è statorealizzato tra il 1541 ed il 1546 dai fratelli abruzzesi Giacomo e Raffaele da Monterea-le. L’attuale collocazione del presepe non è quella originale: infatti per consentire larealizzazione del retrostante coro del monastero, negli anni quaranta del Settecento funecessario accorciare questa chiesa ed il presepe venne smontato e poi ricollocato nellanuova abside su due livelli, in maniera analoga a come si trovava originariamente.

l CITTÀ DI CASTELLO - Fra le tante iniziative per le festività natalizie da non perderein questi giorni il Concerto di Natale in programma sabato 26 dicembre nella catte-drale tifernate alle ore 17 che vedrà esibirsi la corale “Marietta Alboni”, con la dire-zione del maestro Marcello Marini. Oltre al Coro dell’Alboni (nella foto sopra di Ste-fano Giogli) si esibiranno nel concerto di Natale anche il Coro giovanile e il Coro fem-minile dell’associazione. All’organo Angelo Rosati, al flauto Andrea Biagini e allepercussioni Riccardo Bigotti.

l UMBERTIDE - Un altro concerto importante è quello che verrà eseguito sabato 26dicembre nel Museo di Santa Croce di Umbertide. Appuntamento alle ore 17 con laCorale Ebe Igi - Chorus Fractae. La corale deve il suo nome ad una grande violinistadi Umbertide. Verrà presentato un vasto repertorio che va dalla polifonia ai nostrigiorni e proporrà i più bei canti di Natale.

l PIETRALUNGA - Canti di Natale da tutto il mondo domenica 27 dicembre a PieveSanta Maria. Ad esibirsi sarà la Corale Polifonica Pietralunghese.

l POZZUOLO UMBRO - Fra i tanti presepi spettacolari che in questo mese vengonoallestiti sicuramente da visitare è quello di Pozzuolo Umbro dove ogni anno viene al-lestito uno dei più spettacolari presepi viventi dell’Umbria. L’idea da cui si è par-titi è quella di ricostruire uno scenario quanto più reale che ripropone con estremaesattezza la vita comune della gente. Il visitatore si troverà all’interno della rappre-sentazione, con personaggi impegnati a svolgere il proprio mestiere, dal falegname, alpastore, al maniscalco. Scene realistiche che richiedono molto lavoro, ma che hanno ilpotere di coinvolgere lo spettatore, fino a farlo diventare un protagonista della storia.Ogni anno vengono realizzate molte scene che ricreano la perfetta ambientazione einoltre c’è la possibilità di mangiucchiare le cose preparate ai banchi del mercato.

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22UNA CASA PER TUTTI

I ragazzi di San Patrignano che fanno parte del coroi SanpaSingers, guidati dal direttore Marco Galli

Alcune scenet r a t te

dalla piècete a t r a l e

“Fr a n c e s c oPove ro ”,

testo e regiadi Pietro

Conver sano

Noi come F r a n c e s c o,la luce oltre l’infernoI ragazzi di San Patrignanosul palco del Cucinelli conuna pièce dedicata al santodi GERARDO DE SANTIS

L’arte teatrale bene si sposa col messaggio universale diFrancesco, che poi in sintesi significa “amore”, “ab -braccio fraterno”, “comprensione”, “partecipazione”,

vivere totalmente nell’altro. E ci sono consapevolezze che pos-sono arrivare tardi, dopo aver tanto sofferto, ma si sa che le vie delSignore sono infinite e alla fine la luce alla fine del tunnel apparecome per incanto. E allora, quandoavviene, è tutta un’altra storia. Insom-ma si può dire che il percorso del Po-verello di Assisi ben si coniuga conquello accidentato dei ragazzi di SanPatrignano, approdati dopo il naufra-gio nella comunità terapeutica che liaiuta ad uscire dalla tossicodipenden-za.

Giovani impegnati a ritrovare lastrada dopo aver vissuto tutte le penedell’inferno.

Per tutto questo lo spettacolo chesarà messo in scena dalla Compa-gnia di San Patrignano al Teatro Cu-cinelli di Solomeo lunedì 7 dicem-bre alle ore 21, è uno di quelli da nonlasciarsi sfuggire, ricco com’è diemozioni vere, di quelle che attingo-no direttamente dal cuore, così comedalla cruda realtà della vita quotidia-na. S’intitola “Francesco Povero”,questo testo dell’attore e regista Pie-tro Conversano, scritto nel 1996 suispirazione di Orazio Costa, di cui èstato allievo e collaboratore. Si tratta della parabola biograficae spirituale di San Francesco che viene restituita attraverso unatrama linguistica che intreccia l’originale lingua jacoponica aidiversi dialetti dei ragazzi, per ricomporre una differente “sa -cra rappresentazione”.

Pietro Conversano conduce a San Patrignano un laboratorioteatrale dal 2010. Da anni opera in questo modo nella comunitàche ospita 1.400 persone. E ha trovato così tanto entusiasmo dafar nascere qui il Polo Artistico San Patrignano, proprio perunire i laboratori di teatro, danza, musica, e canto in un progettocomune. Conversano aveva già lavorato con il suo maestroOrazio Costa Giovangigli su “Le Petit Pauvre” di Jacques Co-peau, ma ora porta in scena una sua riscrittura, rappresentata inanteprima al Piccolo di Milano, in lingua di Jacopone da Todi,un dialetto che si può definire umbro-marchigiano.

«Il testo scelto lo reputo molto più vicino a Francesco dalpunto di vista spirituale - spiega l’autore - non si ritrova il per-sonaggio che la storia della Chiesa ci ha consegnato con la bio-grafia di San Bonaventura, ma il racconto è più legato a Tom-maso da Celano e alla “Leggenda dei tre compagni”. Si scoprecosì un Francesco molto popolare, pieno di senso mistico e spi-rituale. Nel testo, per esempio, restano pochi episodi celebri,come la predica agli uccelli. Il mio lavoro si è concentrato suicontenuti del messaggio francescano e, nonostante la difficoltàlinguistica, possiamo comprenderne bene il senso, come quan-do leggiamo Dante, anche se non capiamo tutte le sue parole».

Nel sito www.sanpatrignano.org ci sono altre testimonianzedirette dei protagonisti. «Il gruppo è il tratto distintivo del no-stro lavoro - spiega ancora Pietro Conversano -. Un modo di farteatro che trova le sue radici nel teatro greco e che segue il per-corso iniziato con il mio maestro Orazio Costa Giovangigli. Ilcoro inoltre assolve ad alcuni ruoli e a volte si fa anche voce peril protagonista».

Nello spettacolo, infatti, al fianco della compagnia teatrale sisono gettati anima e corpo i SanpaSingers, guidati dal direttoreMarco Galli: «Il nostro coro è una comunità nella comunità equesta è stata una sfida stimolante, fino a far sì che i ragazzi so-no diventati parte attiva del racconto. Una presenza che contri-buisce a creare un’atmosfera emotiva importante, che attraver-sa la scena, grazie anche alle splendide musiche inedite com-poste dal maestro Mario Mariani». Il coro è nato a San Patri-gnano nel 2003 con il nome di SanpaSingers e diretto dal mae-stro Marco Galli che ama ripetere: «Imparare a cantare insiemeagli altri in fondo è un altro modo per imparare a conoscersi. Iolo chiamo laboratorio di canto consapevole, poiché impari asentirti veramente parte di un organismo unico, dato che in co-munità si vive abitualmente una socialità permanente che non èsempre facile da accettare. Il canto in questo è molto diverso dalteatro che imbarazza molto. Quando si canta bisogna essere sestessi, non ci si può atteggiare. I cantanti, attraverso una serie dipassaggi, imparano a stare in un gruppo poiché la dimensionedel coro dà coraggio a chi non ne ha, mentre le persone esube-ranti si controllano, rapportandosi con gli altri, poiché non sideve cantare né troppo forte né troppo piano, macantare all’unisono, fidandosi uno dell’altro».

Aggiunge Conversano: «Il gruppo, nel suo in-sieme, nasce e si completa quando vai in scena. Ilpalcoscenico unisce. E anche se per molti la con-vivenza è difficile il fatto di far parte di un unicogrande gruppo costringe ognuno ad esprimere lapropria individualità tenendo conto degli altri».

Parole che poi trovano riscontro sulla scena. Glispettatori rimangono colpiti dall’entusiasmo chetutti i ragazzi mostrano mentre interpretano conserietà e dedizione le proprie parti, e si capisce chesi sentono davvero parte di una sola squadra, siaiutano, si cercano con lo sguardo in una recita-zione che diviene corale. Ed è bello vederli espri-mersi all’unisono, recitare tutti insieme con unasincronia che sembra provenire da una sola voce.

Uno spettacolo speciale, che per la prima voltavede la collaborazione di più gruppi artistici inter-ni alla Comunità, nell’idea di andare a costituireun unico polo artistico, come ha spiegato la responsabile Patri-zia Russi: «La volontà è quella di veicolare quanto più possi-bile l’arte, anche perché nel nostro caso significa offrire uno

spunto per la vita futura dei nostri ragazzi e allo stesso tempooccasione di riflessione per chi ci segue. Una collaborazionefra Compagnia teatrale che funziona. Del resto coro e gruppomusicale a mio avviso hanno già dato importanti frutti».

In un’intervista rilasciata a Famiglia Cristiana Gianluca, unodei giovani attori afferma: «Io mi sento un po’ come Francesco,anche io mi sono spogliato del male per rivestirmi del bene».

E un altro dice: «Ci sono esperienze che si fondono con larealtà, dove la finzione, l’empatia, la capacità di estranearsi perrivestire i panni di un altro e di un altro ancora, aiutano a pren-dere coscienza, a crescere, a diventare adulto». La stessa Patri-zia Russi, dopo aver concluso anni fa il suo percorso in comu-nità, lavora ora per l’affermazione del Polo: «Tutto è partitodall’esperienza al Piccolo Teatro con “Amleto”. Lì, due annifa, abbiamo avuto l’opportunità di dimostrare pubblicamenteche la cultura, quando esiste il disagio dell’anima, diventa unostrumento efficace di recupero. Il nostro non deve essere vistosolo come teatro terapeutico, ma come una opportunità per pro-gettare la nuova vita che verrà dopo la comunità. I ragazzi ca-piscono, attraverso una esperienza tangibile, che si può amareil teatro, la musica, la danza e poi trasformare una passione inun lavoro. Fare della propria esistenza uno strumento d’arte. Èfondamentale offrire ad un tossicodipendente, che ha ridotto apezzi la propria vita, un obbiettivo, dare una speranza, aiutarloa riprendere in mano la propria vita sfruttando le sue risorse e ilproprio talento. Per questo recitare in questa pièce può signifi-care un momento di arrivo di un percorso che punta non solo alrecupero ma ad una vera rinascita».

Fra i protagonisti c’è Carmine De Stefano, mentre FrancescaCerquaglia ha curato i costumi di scena: «Grazie a Ivana Pan-taleo e alla tessitura stessa siamo riusciti a creare dei meravi-gliosi vestiti, imparando a riadattare vecchi abiti di scena, rici-clando scampoli che altrimenti sarebbero stati gettati via».

La testimonianza di un attore«Io mi sento un po’ come il Poverello,anche io mi sono spogliato del maleper rivestirmi del bene»

Dal 1978 a oggi la Comunitàha accolto 25mila personeRIMINI - Da oltre 30 anni San Patrignano accoglieragazzi e ragazze con gravi problemi di droga inmaniera completamente gratuita e senza richiede-re alcun contributo alle loro famiglie né rette alloStato. L’accoglienza avviene senza fare alcun tipodi discriminazione ideologica o sociale. Attual-mente gli ospiti della comunità sono circa 1.300.

A Botticella, presso il comune di Novafeltria,San Patrignano ha una struttura che ha dedicato al-la prima accoglienza per i ragazzi tossicodipen-denti. Dal 1978 a oggi, San Patrignano ha accoltooltre 25.000 persone, offrendo loro una casa, l’as-sistenza sanitaria e legale, la possibilità di studiare,di imparare un lavoro, di cambiare vita e di rien-trare a pieno titolo nella società.

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LA STORIA

Alcuni momenti delle coreografie del balletto interpretato dal balletto diMosca. Nella foto piccola a sinistra, il teatro Gian Carlo Menotti di Spoleto

Una scena dello Schiaccianoci

Alcune immaginidell’opera dan-zata dal ballettodi Mosca sullecoreografie idea-te dal ballerinoMarius Petipa,creatore di oltrecinquanta ballet-ti, molti dei qualipermangono nelrepertorio classi-co odierno

Al teatroGian Carlo Menottidi Spoleto in scena“La BellaAd d o r m e n t a t a ”

Un balletto da favoladi CRISTIANA MAPELLI

Spoleto

Un appuntamento imperdibile pergli amanti del balletto, quellod’autore. Questa sera, al teatro

Gian Carlo Menotti di Spoleto, su il si-pario con “La Bella Addormentata” sul-le musiche di TCajkovskij su coreogra-fie di Marius Petipa. Ad interpretare lanota favola, i protagonisti del balletto diMosca, una delle migliori compagnieinternazionali.

La storia. Chi non conosce la favoladella principessa che, a causa di un ma-leficio lanciato da una strega, cade ad-dormentata per cento lunghissimi an-ni?

Sul palco, tra coreografie d’incanto emusiche da capolavoro, la bella Aurora,il principe Desirè e la fata dei Lillà rac-contanto una delle favole più notedell’Ottocento, fiore all’occhiello delBallet of Moscow. Il New ClassicalBallet of Moscow, ad oggi, è ancora unodei migliori balletti internazionali. Il re-pertorio include alcuni classici del pa-trimonio artistico-musicale come Il La-go dei Cigni, Lo Schiaccianoci, La Bel-la Addormentata, appunto, Cenerento-la, Biancaneve, Giselle, Don Chisciot-te, Carmen, Coppelia e tanti altri. Così La Bella Addormentata porta in scenal’incanto con favolose scenografie e co-stumi, e le stupende musiche di P.I.TCajkovskij su coreografie di MariusPetipa. Questa produzione, che contadella partecipazione di ballerini comeStetlitsa Evgenii e Olga Kifiak, entram-bi primi solisti del Teatro Opera e Bal-letto di Kiev, deve la sua particolarità alromantico finale nel quale s’incontranotutti i personaggi delle fiabe più famoseimpegnati a festeggiare il risveglio del-la bella principessa addormentata e ilcoronamento dei sogni d’amore con ilsuo principe.

Il balletto. L’opera inizia con il bat-tesimo della principessa Aurora, nel ca-stello del Re Florestano, suo padre. Tragli invitati ci sono anche sei fate che sipresentano a corte ognuna con un donospeciale per la principessa. Ma ecco cheentra in scena la malvagia maga Cara-bosse, offesa perché non invitata alla fe-sta e che condanna Aurora a pungersi ildito su un fuso il giorno del suo sedice-simo compleanno per poi morire. Ma labuona Fata Lilla, tanto amata dai piùpiccoli, si fa avanti e dichiara che laprincipessa dormirà soltanto fino aquando sarà svegliata dal bacio di unprincipe. Con un salto nel futuro, la

principessa si ritrova a festeggiare i suoi16 anni con una festa a cui partecipanoanche quattro principi, lì per chiedere lasua mano. Una vecchia signora si avvi-cina con in dono un fuso, cioè una rotel-la di filatura. La principessa si punge ildito e si addormenta. La vecchia buttavia il travestimento e si rivela Carabos-se, trionfante per l’avverarsi del suomaleficio. La fata Lilla mantiene la pro-messa, fa addormentare tutti mentre unafitta foresta cresce tutto intorno al pa-lazzo. Cent’anni dopo, il giovane prin-cipe Desiré si ferma nella foresta dovenota Aurora, addormentata, rimanendoincantato dalla sua bellezza e, raggiuntoil castello, bacia la principessa, risve-gliandola, insieme a tutti gli altri.

Il matrimonio viene celebratonell’elegante sala da ballo del palazzo.Molti personaggi famosi “rubati” da al-tre storie, come ad esempio Il Gatto congli Stivali, Cappuccetto Rosso e il Lu-po. Molto apprezzati, tra le coreografiadi quest’opera, sono il passo a due degliUccelli Azzurri e il grand pas de deuxclassique di Aurora e il principe. La sto-ria, secondo la tradizione, ha il suo lietofine con il matrimonio tra Aurora e De-sirè.

La Bella Addormentata è il secondoprodotto nato dalla geniale collabora-zione tra il grande coreografo franceseMarius Petipa (1818 - 1910) e il compo-sitore russo Piotr Ilyich Tchaikoskij

(1840 - 1893), creato per il Balletto Im-periale Russo nel 1889.

La Prima. La prima rappresentazio-ne dell’opera venne eseguita il 3 gen-naio 1890 al Teatro Mariinsikij di San-pietroburgo, e fu subito un successo cla-moroso. Attento nella cura dei dettagli,Petipa ha passato molte ore creando ivari gruppi di personaggi usando picco-le figure di legno. Con La bella addor-mentata, il balletto europeo ha comple-tato un evoluzione circolare. Alla finedell’epoca romantica nell’Europa Oc-cidentale il balletto era in declino. Mae-stri del balletto francesi emigravano inRussia, dove sono sempre stati apprez-zati, e dove avevano a disposizione ri-sorse monetarie e umane che non eranodisponibili in Europa da anni. Con l'e-migrazione dei francesi verso la Russiadegli Zar, il balletto è diventato nuova-

mente un intrattenimento di cor-te. Questo ritorno alle origini è cono-sciuto come l’epoca del classicismo.Come risultato, molte convenzioni delballetto che i romantici avevano elimi-nate sono state recuperati. Danze fol-kloristiche apparivano ovunque nei bal-letti; l'eccesso era di moda. Il dramma siè trasformato in uno schema in cui inse-rire esibizioni di bravura. La capacita dirappresentare un personaggio, che eraconsiderato così essenziale nel ballettoromantico, divenne via via meno im-portante.

Info: La Bella Addormentata - Bal-let of Moscow, 4 dicembre ore 21 - Tea-tro Nuovo Gian Carlo Menotti - Spole-to. Prevendita Spoleto Box 25, PiazzaVittoria, 25 - 0743.47967 -334.1891173. Biglietti online e puntivendita: www.ticketitalia.com.

Tra i perso-naggi, ancheIl Gatto con

gli Stivalie Cappuccet-

to RossoPassi d’a u to r eIl Ballet of Moscow interpretale coreografie di Pepitasulle note di TCajkovskij

La coreografia doveva divenire la più importante del teatro imperiale e del repertorio pietroburghese

Le origini di un’opera destinata a diventare un cultIl 13 maggio 1888, il direttore dei teatri imperialiIvan Vsevolozhsky scrisse a Cajkovskij riguardoalla propria idea di allestire un nuovo balletto, basa-to sulla fiaba di Charles Perrault de “La bella addor-mentata”, proponendo al compositore di scrivernela musica. Marie Petipa, figlia del coreografo Ma-rius, nel ruolo della Fata dei Lillà - 1890. La passionedi Vsevolozhsky per l’epoca di Luigi XIV, portò ildirettore a concepire lo scenario nello stile dei bal-letto di corte del XVII secolo: la coreografia del bal-

letto dunque, che doveva, secondo Vsevolozhsky,divenire l’opera più importante dei teatri imperiali edel repertorio pietroburghese, fu affidata al pluride-corato Marius Petipa, già coreografo di numerosi efamosi balletti. La prima ebbe luogo il 15 gennaio1890 presso il Mariinsky Theatre di San Pietrobur-go: la direzione orchestrale fu di Riccardo Drigo,protagonista Carlotta Brianza accanto al russo PavelGerdt. Nel 1896 il balletto arriva alla Scala di Mila-no e nel 1899 arrivò al Bolshoi a Mosca.

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NEW YORK

Primo piano di Vittoria Puccini e nella foto in basso l’attrice insieme al coprotagonista Vinicio Marchioni FOTO FABIO LOVINO

La gatta sul tetto

Il drammateatraledi TennesseeWilliamsin scena in Umbria

di BIANCA MARIA BITTONI

“La gatta sul tetto che scot-ta” non smette di graffia-re. Uno dei ritratti pro-

verbiali di una famiglia anni Cin-quanta che si sfalda per paranoie easprezze da nido di vipere, contrap-posti ai falsi “nidi d’amore”, sta gi-rando in questi giorni per i teatridell’Umbria e sta raccogliendo ap-plausi e consensi.

Vittoria Puccini nei panni di Mar-garet e Vinicio Marchioni in quellidi Brick, sono i protagonisti di que-sto bellissimo dramma teatrale concui Tennessee Williams ottenne ilpremio Pulitzer. In scena fino a do-menica al Teatro Morlacchi di Pe-rugia, per poi andare in replica lu-nedì 7 e martedì 8 dicembre, al tea-tro Secci di Terni.

Nel cast anche Paolo Musio,Franca Penone, Salvatore Caruso,Francesco Petruzzelli e CarlottaMangione.

“La gatta sul tetto che scotta” furappresentata per la prima volta nel1955 al Morosco Theatre di NewYork, con Barbara Bel Geddes ePaul Massie per la regia di Elia Ka-zan, dal testo teatrale fu poi realiz-zato, nel 1958, il film con Liz Ta-ylor e Paul Newman, per la regia diRichard Brooks.

La storia è nota, narra di una don-na, Maggie, che per alleviare la co-cente situazione familiare in cui sitrova, imbastisce una rete di bugie.Di bassa estrazione sociale, Mag-gie la gatta, teme di dover lasciarela casa e il marito, se non riesce adare alla famiglia di lui un erede.Tra giochi passionali e abili caratte-rizzazioni, affiorano sensualità ca-riche di sottintesi e di contenuti ine-spressi o inesprimibili, cosicchéall’ideale della purezza dei senti-menti si contrappone la dura realtàdi un mondo familiare e sociale pie-no di ipocrisie.

Di fatto si parla del mondo quoti-diano, di quelle piccole e grandiproblematicità che riguardano tutti.Un mix di ansie e paure che fannoda sfondo a un connubio di recita-zione e scenografia, che riesce sem-pre a sottolineare le sensazioni la-tenti, le emozioni che attraversanol’animo umano. In più va ricono-sciuto ai protagonisti un grande ta-lento interpretativo, tanto da provo-care nel pubblico una totale imme-desimazione nella vicenda.

Il regista Arturo Cirillo mette inscena il testo dandogli un tocco dieleganza e di compartecipazione,

come se stesse a raccontare coseche lo riguardano e che quindi van-no sempre guardate con un senso ditolleranza, di compartecipazione,di fiducia estrema.

La pièce immette la storia sullosfondo di una vicenda dei nostrigiorni. Cirillo scrive nelle sue note:«La famiglia è ancora il luogo doveWilliams fa risuonare le sue parole,il luogo dove, grazie alla sua capa-cità di narrare i sentimenti dei per-sonaggi, un gruppo di attori posso-no dare vita ad una coralità di con-flitti. Come i vetri degli animalettidi un personaggio di un altro testodi Williams, “Lo zoo di vetro” dame molto amato e frequentato inquesti ultimi anni, anche i perso-naggi di questo dramma si rompo-no, vanno in frantumi, facendomolto rumore, anche se ci saràl’ipocrisia di chi dirà che non ha

sentito niente, di chi non si è accor-to che c’è una casa che brucia e so-pra al tetto che scotta una gatta, chedi saltare giù non ne vuol propriosapere».

Tutto si svolge in un unico am-biente, la camera da letto, con, atratti, un’apertura verso l’esternosu una folta siepe di foglie, tra vo-ciare concitato, suoni di canzonci-ne e giochi di bambini, ma anche si-nistri grida di falchi. E se al registava dato il merito di saper viaggiaresul filo della drammaturgia con unlinguaggio asciutto, senza mai ca-dere in stonature esagerate e in quellirismo tipico di Williams nella ste-sura originaria, a Vittoria Pucciniva riconosciuta la capacità di met-tere in mostra la sua femminilità, lasua grazia di gatta nervosa ma sem-pre istintiva e felina, in grado diesprimere al meglio la donna offesa

e ferita ma mai arresa alle circo-stanze che la “imprigionano”.

Le fa da contrappunto un bravis-simo Vinicio Marchioni. Straordi-nario davvero, sia che il suo perso-naggio affondi in lunghi silenzi,che quando esprime turbolenti pen-sieri, dandogli quel tocco di chi satrattenere e dominare anche i piùcupi presentimenti. Brick è sempreubriaco, il padre grida contro tutti,la madre parla con aria basita, ep-pure il protagonista sa manteneresempre tutta l’intensità magnetica ela sofferenza virile di chi è abituatoa resistere, anche “appoggiandosi”alla postura zoppa, che è tipica dicolui che cova il disfattismo, la to-tale sfiducia, ma che trattiene finoall’ultimo ogni sfogo e ribellione.

L’incalzare dei dialoghi e dellerivelazioni a tratti danno l’effetto diuna tempesta che sconvolge le loroesistenze e che poi avrà come snododrammaturgico lo scontro tra Bricke il padre: il primo rinfaccia all’al-tro la sua latente omosessualità, ecostui risponde prima confessandoil proprio disgusto per le menzognee per la falsità, poi svelandogli lagravità della malattia. Ed è a questopunto, in questo macht verbale deisentimenti, che egli libera una fra-gilità e una tenerezza mai manife-stata per quel figlio alcolizzato.

Si aggiunge a loro la dirompenteprova di Paolo Musio, nel ruolo delpadre, e Clio Cipolletta, FrancescoPetruzzelli, Franca Penone, Salva-tore Caruso.

Produzione Compagnia Gli Ipo-criti e Fondazione Teatro della Per-gola. Lo spettacolo fa parte dellaStagione di prosa del Teatro Stabiledell’Umbria.

A PerugiaAl Morlacchila commedia si replicafino a domenica

A TerniAl Secci2 rappresentazioni:lunedì 7 e martedì 8

Dalla Johanssona Vittoria PucciniPERUGIA - Pare che tutto siapartito con un messaggino daNew York. Quando ScarlettJohansson (nella foto) inter-pretava “La gatta sul tetto chescotta” a Broadway, in un ope-ning superaffollato di spettato-ri in arrivo dai quattro conti-nenti, il produttore Marco Bal-samo mandava un sms a Vitto-ria Puccini. E forse sarà statoproprio il confronto con la divadi Hollywood a spingere l’a t-trice fiorentina verso la sfidadel teatro, portandola a calcareper la prima volta le scene conil celebre testo di TennesseeWilliams. La prima nazionalec’è stata al teatro della Pergola- che ha coprodotto lo spetta-colo con Gli Ipocriti di Balsa-mo, e ha subito ottenuto il fa-vore dei critici e degli addettiai lavori. Certo, per il suo de-butto, la Puccini non ha sceltoun testo semplice: deve regge-re la scena (quasi) da sola pertutto il primo atto. Impresa ar-dua, che l’attrice affronta cor-rettamente, seppure con un ca-lo di voce che le riduce le ca-pacità espressive.

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ARTE A PERUGIA

Nel mondo animistadell’artista Brajo FusoPERUGIA - Brajo Fuso (Perugia, 21 febbraio 1899 –Perugia, 30 dicembre 1980), medico, pittore, sculto-re, scrittore e poeta italiano. Giulio Carlo Argan loconsidera uno dei maggiori artisti europei del XXsecolo. Hanno parlato di lui Leonardo Sinisgalli, An-dré Verdet, Italo Tomassoni, Giancarlo Politi, Mas-simo Duranti, Cesare Zavattini, Dante Filippucci,Francesco Curto e moltissimi altri. Fu amico e colle-ga di Alberto Burri. Fuseum è un parco-museo creatodall’artista Brajo Fuso tra il 1960 ed il 1980 e com-prende un centinaio delle sue opere maggiori e un ori-ginalissimo zoo dove l’artista ha raccolto tutti gli ani-mali che ha creato usando materiali di recupero. Nelparco si trova anche un teatro dove, in estate, si svol-gono spettacoli di prosa, musica, danza.

Aperto di domenicaPERUGIA - Il Fuseum (StradaCappuccini, 1q, Perugia) è visi-tabile ogni domenica 10-13 (ul-timo accesso alle 12).È possibile prenotare aperturestraordinarie e visite guidate perle scuole o per gruppi di visitatoritelefonando con congruo antici-po al numero 349.577.47.38 omandando una e-mail all’indi-rizzo [email protected].

FUSEUM.EU

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AVIGLIANO UMBRO

Foresta fossile di Dunarobba,un salto di 3 milioni di anni faAVIGLIANO UMBRO - La foresta fossile di Duna-robba venne alla luce verso la fine degli anni ’70,all’interno di una cava di argilla destinata alla fabbri-cazione di mattoni per l’edilizia. La foresta fossile diDunarobba è un esempio unico al mondo costituito daconifere mummificate, non fossilizzate come il nomelascia intendere, antiche di milioni di anni! Si trova adAvigliano Umbro, in provincia di Terni, ma nei tempilontani era costituito da alberi che superavano i 30metri di alberi ubicati sui margini dell’antico Lago diTiberino. I resti dei circa cinquanta tronchi di gigan-tesche conifere attualmente visibili costituisconoun’eccezionale e rara testimonianza di alcune essen-ze vegetali che caratterizzavano questo settore dellapenisola italiana fra i 3 e i 2 milioni di anni fa.

CENTRO DI PALEONTOLO-GIA VEGETALEIl Centro di Paleontologia Vegeta-le è stato realizzato alla fine deglianni ’90 per supportare l’attivitàdi studio sulla Foresta Fossile el’attività didattica con le scuole.Presso il Centro è attivo il servizioinformazioni, accoglienza, orien-tamento dei visitatori e il serviziovisita guidata che è incluso nelcosto del biglietto.

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LAGO TRASIMENO

Sulle rive di San Feliciano,fra gabbiani e gatti in attesaMAGIONE - Sulla riva orientale del Lago Trasimenouna luce speciale illumina San Feliciano, un graziosoborgo di pescatori dove si respira un’aria particolare.

Qui tutto sembra essere sospeso nel tempo. Le retidei pescatori stese al sole, che i raggi di sole accen-dono come lampade, i suoi pontili sospesi sulle acqueche proiettano verso l’Isola Polese, con i gatti che siaggirano attorno alle reti e salgono sulle barche or-meggiate in attesa del ritorno dei pescatori carichi dibuon pesce fresco. Proprio alla pesca è dedicatol’evento principale del calendario di San Feliciano,vale a dire la Festa del Giacchio, che poi non è altroche quella particolare rete da lancio a forma di troncodi cono usata tradizionalmente in queste zone per pe-scare nelle acque del lago.

Tramonti da fiabaSan Feliciano è appoggiato suldorso della collina che degradaverso il Lago Trasimeno. Un bor-go antico, con vicoli stretti che siincuneano fra vecchie case amattoncini. Su tutto domina lachiesa da cui si gode una vedutameravigliosa che abbraccia il la-go, ma che dialoga con i borghicircostanti e le isole del Trasime-no.

LUOGHI INCANTATI

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NATURA INCONTAMINATA

Castelluccio di Norcia,un luogo magico e arcaicoCASTELLUCCIO DI NORCIA - Non esistono moltetestimonianze scritte sulle origini di Castelluccio, mapossiamo dire con certezza, che la presenza dell’uomoin queste alture non è un fatto recente. Ciò è testimoniatoda diversi frammenti di terracotta di età romana rinvenutiin località Soglio, presso l’antica Fonte di Canatra. L’at-tuale nucleo abitativo non risale a prima del XIII sec.,anche se alcuni documenti, e recentemente l’aereo-foto-grafia ha rivelato un antico castelliere sulla parte più altadel paese (Cordella-Lollini). Le case, addossate le unealle altre sembrano difendersi così vicendevolmente dalfreddo. Molto spesso hanno piccole finestre, e sui murisino a pochi anni fa si potevano vedere piccole figure sa-cre in ceramica, che una volta forse rappresentavano lasola difesa degli abitanti contro le avversità della natura.

Sentieri antichiInoltrarsi in questa terra signifi-ca vivere un’esperienza straor-dinaria, ricca di forti suggestionie capace di far sentire il suo vi-sitatore come sospeso nel tem-po. Qui la natura, con la suagrandezza immensa diventa im-periosa e permea ogni pensiero.Tutto prende un’altra forma eperfino i problemi quotidianisembrano lontani.

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GUBBIO

Al cospetto dei gigantiestintisi 65 milioni di anni faGUBBIO - Fino al 30 giugno a Gubbio si possono guar-dare da vicino i terrificanti abitanti della preistoria. Lamostra “Dinosauri a Gubbio, sulle tracce dell’estinzio-ne” permette di osservare le caratteristiche e gli stili divita di questi giganti estintisi 65 milioni di anni fa. Lamostra è allestita nell’antico monastero di San Benedet-to che ospita il centro “Archivio della terra”.Gli esemplari dei fossili di dinosauri che sono espostiprovengono per lo più dalla Patagonia dove particolaricondizioni climatiche e di suolo ne hanno permesso unastupefacente conservazione. I dinosauri amavano parti-colarmente le sviluppate foreste di conifere e di alberimolto grandi come le araucarie che crescevano là. Lamostra è molto suggestiva anche per l’ambientazioneall’interno di un antico monastero.

Viaggio nella preistoriaDal 19 settembre scorso fino al30 giugno prossimo sono tor-nati i dinosauri a Gubbio.Nell’antico monastero di SanBenedetto che ospita il centro“Archivio della terra”.Dai terrificanti carnivori agli er-bivori da record, ricostruzionioriginali degli ambienti e delleforme di questi animali nei varistadi evolutivi.

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Foto di /alvatar66/L’Umbria dai mille volti. Paesaggie personaggi, borghi e sapori cheprendono vita attraverso il vostrosguardo. Il Giornale dell’Umbria ela community di InstagramersUmbria invitano a rendere visibileil tuo talento: scatta una foto econdividila con gli hashtag#youmbria e #igersumbria oall’email [email protected]

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Foto di /annapg84/e /alfparisi/ (foto a destra)L’Umbria dai mille volti. Paesag-gi e personaggi, borghi e sapori.Il Giornale dell’Umbria e la com-munity di Instagramers Umbriainvitano a rendere visibile il tuotalento: scatta una foto e condi-vidila con gli hashtag #youm-bria e #igersumbria o all’emailf . c a s te l i n i @ g i o r n a l e d e l l u m -bria.it

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Foto (sopra) di /apeindiana/e (qui a lato) di /alecleofe/L’Umbria dai mille volti. Paesag-gi e personaggi, borghi e sapori.Il Giornale dell’Umbria e la com-munity di Instagramers Umbriainvitano a rendere visibile il tuotalento: scatta una foto e condi-vidila con gli hashtag #youm-bria e #igersumbria o all’emailf . c a s te l i n i @ g i o r n a l e d e l l u m -bria.it

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Foto di /b_e_n_z_o_/L’Umbria, regione dai tanti volti.Paesaggi e personaggi, borghi esapori che prendono vita attra-verso il vostro sguardo. Il Giorna-le dell’Umbria e la community diInstagramers Umbria invitano arendere visibile il tuo talento:scatta una foto e condividila congli hashtag #youmbria e #iger-sumbria o all’email [email protected]

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Venerdì 4 dicembre 2015

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YO U M B R I A . I T

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