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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA SCUOLA DI ECONOMIA E MANAGEMENT Corso di Laurea Magistrale in Marketing e Comunicazione d’Impresa Il Social Media Marketing come nuova opportunità per il B2B: evidenze dal settore dei dispositivi medici in Italia Relatore Prof. Federico Brunetti Laureanda Engerta Gjepali Anno Accademico 2017/18

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA

SCUOLA DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

Marketing e Comunicazione d’Impresa

Il Social Media Marketing come nuova opportunità

per il B2B: evidenze dal settore dei dispositivi medici in

Italia

Relatore

Prof. Federico Brunetti

Laureanda

Engerta Gjepali

Anno Accademico 2017/18

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Ai miei nonni,

la mia radice, la mia forza, il mio cuore

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INDICE

INTRODUZIONE ................................................................................................... 9

CAPITOLO 1 IL MARKETING BUSINESS TO BUSINESS ........................... 13

1.1 Definizione del concetto di “business to business” .................................. 13

1.2 La rilevanza delle imprese B2B nel panorama economico italiano .......... 15

1.2.1 La struttura economica italiana ........................................................... 15

1.2.2 Il peso del B2B in Italia ...................................................................... 16

1.2.3 L’Italia nel contesto mondiale ............................................................. 18

1.3 Tipologie di cliente industriale.................................................................. 20

1.4 Tipologie di prodotti e servizi industriali .................................................. 22

1.5 La demarcazione tra mercato B2B e B2C ................................................. 24

1.6 Il marketing B2B ....................................................................................... 26

1.6.1 Definizione di marketing..................................................................... 26

1.6.2 Le difficoltà del marketing ad inserirsi nel B2B ................................. 27

1.6.3 Le peculiarità del settore B2B rispetto al settore B2C ........................ 29

1.7 Analisi della domanda ............................................................................... 33

1.7.1 L’importanza della conoscenza della domanda del mercato B2B ...... 33

1.7.2 Il processo e il comportamento d’acquisto delle organizzazioni ........ 34

1.8 Il marketing relazionale ............................................................................ 40

1.8.1 Introduzione al concetto di marketing relazionale .............................. 40

1.8.2 I fattori scatenanti la necessità di un nuovo approccio ....................... 42

1.8.3 La storia del paradigma relazionale nella letteratura del marketing ... 43

1.8.4 Il passaggio dal marketing tradizionale al marketing relazionale ....... 44

1.8.5 Il marketing relazionale oggi .............................................................. 46

1.9 La comunicazione nel mercato B2B ......................................................... 51

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1.9.1 Introduzione al concetto di comunicazione......................................... 51

1.9.2 La comunicazione aziendale ............................................................... 52

1.9.3 Il ruolo della comunicazione nel settore business to business ............ 53

1.9.4 Verso un nuovo modo di comunicare ................................................. 54

CAPITOLO 2 IL SOCIAL MEDIA MARKETING ......................................... 57

2.1 Internet: dalle origini del web alle prospettive future ............................... 57

2.2 L’utilizzo di internet in Italia .................................................................... 62

2.2.1 Dalle origini di Internet in Italia alla situazione corrente ................... 62

2.2.2 Le differenze generazionali ................................................................. 63

2.3 Le imprese italiane e Internet .................................................................... 65

2.4 Il digital marketing .................................................................................... 66

2.4.1 Introduzione al concetto di digital marketing ..................................... 66

2.4.2 Le fasi del Web in parallelo con quelle del digital marketing ............ 67

2.4.3 Gli strumenti del digital marketer ....................................................... 68

2.5 Il Social Media Marketing ........................................................................ 72

2.5.1 Introduzione al Social Media Marketing............................................. 72

2.5.2 I social media del Social Media Marketing......................................... 74

2.5.3 La diffusione dei social network in Italia e nel mondo ....................... 80

2.5.4 Le strategie aziendali di Social Media Marketing............................... 83

2.5.5 I possibili obiettivi dell’adozione del Social Media Marketing .......... 84

2.5.6 Il monitoraggio dei risultati ................................................................. 86

2.5.7 Il Social Media Marketing e le aziende italiane .................................. 87

CAPITOLO 3 IL SETTORE B2B E IL SOCIAL MEDIA MARKETING ........ 91

3.1 Il Social Media Marketing: un approccio prevalentemente B2C .............. 91

3.2 Il ritardo del SMM nel B2B: uno sguardo alle motivazioni...................... 93

3.3 Le determinanti dell’adozione del Social Media Marketing nel B2B....... 95

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3.4 Il Social Media Marketing B2B e B2C: le differenze ............................... 96

3.5 Gli acquirenti business e l’uso dei social media ....................................... 98

3.6 Le tipologie di B2B users .......................................................................... 99

3.7 Il modello di integrazione dei SM nel marketing communication mix .. 101

3.8 Il caso di successo di Maersk Line sui social media ............................... 104

3.9 Il settore B2B in Italia e Social Media Marketing .................................. 107

CAPITOLO 4 L’USO DEI SOCIAL MEDIA E IL SETTORE DEI DISPOSITIVI

MEDICI IN ITALIA .................................................................................................... 113

4.1 Introduzione all’analisi empirica............................................................. 113

4.2 Ricerca empirica...................................................................................... 118

4.2.1 Analisi quantitativa ........................................................................... 119

4.2.2 Analisi qualitativa ............................................................................. 128

4.2.3 Caso studio: Service Med SpA e il Social Media Marketing............ 140

CONCLUSIONI .................................................................................................. 152

APPENDICE A ................................................................................................... 156

BIBLIOGRAFIA ................................................................................................ 174

SITOGRAFIA ..................................................................................................... 182

RINGRAZIAMENTI .......................................................................................... 184

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INTRODUZIONE

La scelta di questa tesi è maturata grazie ad un’esperienza di stage svoltasi presso Service

Med SpA, un’azienda del veronese che opera nel settore dei dispositivi antidecubito da

oltre 20 anni. Trattandosi di un contesto prevalentemente business to business è sorto in

prima battuta l’interrogativo circa il ruolo e la diffusione dei social media in questo

particolare ambito, per poi addentrarsi in un settore specifico, ovvero quello dei

dispositivi medici in Italia.

Gli sviluppi tecnologici hanno comportato significativi cambiamenti per le aziende

e, in particolare, nel modo in cui esse interagiscono con il proprio pubblico. L’avvento

delle tecnologie del Web 2.0 e il crescente successo dei social media ha permesso forme

di comunicazione via via più dirette e interattive. Un altro aspetto rilevante sono i dati

sull’utilizzo di internet, secondo cui gli individui trascorrono più tempo sulle loro

piattaforme social che su qualunque altro sito web.

Se il potenziale e il potere delle piattaforme social è noto e sfruttato in un numero

crescente di ambiti, sia pubblici che privati, mi sono posta la questione se anche in quello

B2B e, nello specifico in un settore che lavora indirettamente con la salute delle persone,

valesse lo stesso. Ha senso non dare questo meccanismo per scontato se si considerano

alcune peculiarità insite in un’impresa in quanto B2B, e in secondo luogo in quanto

impresa che tratta un tema delicato come la salute.

Parlare di business to business vuol dire osservare quanto accade dietro le quinte

di tutte quelle fasi che precedono l’offerta di prodotti e servizi ai consumatori finali.

Quando si usufruisce di un servizio o si acquista un bene, quello è soltanto l’ultimo stadio

di una filiera che racchiude in sé una molteplicità di altri scambi tra vari attori. A livello

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italiano, gli scambi B2B nel 2017 rappresentano il 75% del fatturato nazionale, ma spesso,

soprattutto dal lato marketing, questo settore non viene adeguatamente considerato perché

ritenuto poco stimolante e attraente. Tuttavia, negli ultimi anni sta acquisendo

un’importanza crescente, tanto è vero che per approfondire le specifiche del settore è nato

un apposito filone di studi, ovvero il marketing B2B. Fondamentalmente, le peculiarità

che contraddistinguono le imprese che operano in questo contesto sono il ridotto numero

di acquirenti e, allo stesso tempo, l’alto valore degli scambi, l’importanza delle relazioni

e la presenza di prodotti e servizi altamente eterogenei e complessi a cui si associa un

processo d’acquisto più lungo e formale di quello B2C.

Lo scopo di questa tesi è quindi, in primis, quello di esplorare la letteratura riguardo

il rapporto tra social media e imprese B2B, focalizzando l’attenzione su come le

peculiarità sopracitate si traducano in opportunità e criticità nell’utilizzo di questo canale

online.

A questa sezione esplorativa segue un’indagine sul campo attraverso vari approcci

a cui corrispondono obiettivi di ricerca diversi. Tramite un’analisi quantitativa si illustra

il livello di diffusione dei social media tra le imprese dei dispositivi medici in Italia per

capire quanto questa opportunità sia sfruttata. Attraverso interviste rivolte ai diretti

interessati si mira, invece, ad indagare sulla strategia di gestione dei social media di queste

imprese. Con l’approfondimento di un caso studio si vuole infine inquadrare la strategia

di social media marketing all’interno di un più ampio progetto aziendale.

Questo elaborato si articola in 4 capitoli.

Al primo capitolo è affidato il compito di introdurre il concetto di business to

business in tutte le sue sfaccettature. Si illustra la complessità di questo settore attraverso

l’analisi degli acquirenti e dei prodotti e servizi per poi schematizzarne i tratti

caratteristici. Si affronta poi il rapporto con il marketing, a partire da un excursus storico

fino ai cambiamenti che stanno avvenendo al giorno d’oggi, soprattutto sul lato della

comunicazione.

All’interno del secondo capitolo si sviluppa la questione del social media marketing

inquadrandola all’interno del più generale concetto di digital marketing. Vengono, quindi,

prima delineate le strategie, le opportunità e le criticità del web marketing e poi declinate

sui canali social media. L’obiettivo è quello di raffigurare le piattaforme online come

strumento per la strategia aziendale.

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L’intento del terzo capitolo è quello di affrontare lo studio dei social media con una

prospettiva business to business illustrandone lo stato dell’arte e mettendo in risalto le

lacune esistenti. Si intende comprendere meglio le ragioni sottostanti ad un maggiore

scetticismo e clima di incertezza nell’adozione dei social media da parte delle imprese

B2B rispetto alla controparte B2C.

Il focus del quarto capitolo è interamente sul settore dei dispositivi medici in Italia

evidenziando il suo rapporto con i social media attraverso la conduzione di ricerche

empiriche di varia natura. Una prima analisi quantitativa è strumentale alla comprensione

del livello di diffusione di questo strumento, mentre quella qualitativa punta a

comprendere la strategia e la percezione di questo strumento da parte delle aziende. Si

conclude con un caso aziendale con il fine di inquadrare la strategia di social media

all’interno di una più ampia visione aziendale.

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CAPITOLO 1

IL MARKETING BUSINESS TO BUSINESS

1.1 Definizione del concetto di “business to business”

Il concetto che sta alla base di questo elaborato è quello di business to business, pertanto

si è selezionato un campionario di definizioni con l’obiettivo di raffigurare nel modo più

completo possibile tutte le sfumature di significato che l’espressione porta con sé.

Ognuno degli autori citati, infatti, si sofferma su aspetti differenti della questione

risaltando una varietà di sfaccettature che meritano di essere prese in analisi.

“Il mercato business to business include imprese che vendono prodotti o servizi ad

altre imprese che a loro volta li usano nella produzione di altri beni e servizi che sono

venduti, noleggiati o forniti ad altri. Sono inclusi nella definizione infatti anche se le

imprese destinatarie fanno vendita al dettaglio e all’ingrosso che quindi acquistano per

poi rivendere o noleggiare ad altri” (Kotler e Amstrong, 2001, in Zimmerman e Blythe,

2013). A queste imprese vanno però aggiunte anche istituzioni come ospedali e

associazioni e lo Stato a tutti i livelli (Zimmerman e Blythe, 2013).

“B2B indica le transazioni che avvengono tra entità organizzate e l’oggetto della

transazione, beni/servizi, sono impiegati nel processo di produzione” (Giacomazzi,

2002).

“L’espressione business to business indica in senso lato l’insieme delle imprese

fornitrici di altre imprese, organizzazioni o amministrazioni di qualsiasi tipo, inclusi i

professionisti, che acquistano determinati prodotti per lo svolgimento della propria

attività. Il concetto di marketing business to business ingloba quindi tutti i rapporti

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commerciali in cui la domanda è costituita da produttori, reti di distribuzione (grossisti,

dettaglianti, broker, concessionari), aziende di servizi, enti no-profit, istituzioni”

(Guerini et al., 2004).

“Business-to-Business o B2B indica le relazioni che un'impresa detiene con i propri

fornitori per attività di approvvigionamento, di pianificazione e monitoraggio della

produzione, o di sussidio nelle attività di sviluppo del prodotto, oppure le relazioni che

l'impresa detiene con clienti professionali, cioè altre imprese, collocate in punti diversi

della filiera produttiva” (Russo e Confente, 2017).

Zimmerman e Blythe, riprendendo quanto detto da Kotler, si soffermano

maggiormente sull’articolazione della tipologia degli attori in gioco. Infatti, come verrà

approfondito più avanti, parlare solo di “imprese” è improprio perché la varietà dei

soggetti coinvolti è molto più ampia. Per semplicità, spesso nell’elaborato si menzionerà

il termine imprese, intendendo il termine più generale “organizzazione” che ingloba

dentro di sé tutte le categorie, dalle università, alle no profit, ai liberi professionisti.

Giacomazzi, nella sua espressione definitoria così ermetica, parla di “transazioni”

tra entità organizzate, mentre Guerini, Confente e Russo, hanno adottato il termine

“relazione” che ha il pregio di abbracciare una sfera di interazioni più ampia rispetto a

quello che invece una transazione può fare, in quanto è vicino ad un significato

prettamente economico.

Inoltre, Confente e Russo fanno emergere un’interessante complessità di questi

scambi, non riferendosi solo a prodotti e servizi ma sottolineando invece una natura

poliedrica di queste relazioni.

Un comune denominatore delle definizioni sopra menzionate è l’utilizzo

dell’espressione “business to business” piuttosto che “industriale”, seppur a prima vista

intercambiabili. Il vantaggio è che B2B porta già con sé un’idea di relazione, un

dinamismo che sfugge allo statico “industriale”. In secondo luogo, la locuzione “business

to business è adatta ad un uso intersettoriale, comprendendo qualunque tipologia di

prodotto e servizio, mentre lo stesso non si può dire di industriale che richiama un ambito

molto circoscritto poco rappresentativo della realtà economica odierna.

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Quello che si trae da queste definizioni è che in sé il termine business to business

racchiude le relazioni di scambio di beni e servizi che intercorrono tra le organizzazioni;

usato invece come aggettivo qualificativo di “mercato” e “impresa” significa che si tratta

rispettivamente di mercati in cui avvengono scambi tra imprese, e imprese che

intrattengono scambi fra di esse. Al contrario, B2C rappresenta le relazioni tra impresa e

consumatore finale dei propri beni e servizi.

Le aziende operanti nel B2B, quindi, si situano in diverse posizioni lungo una

filiera, caratteristica di ogni settore. Per filiera si intende un sistema di imprese

interconnesse che aggiungono valore ad un flusso di input che vengono trasformati fino

ad ottenere prodotti o servizi destinati al consumatore finale (Figura 1).

Ogni componente della filiera è fornitore e cliente a sua volta, ma la logica di fornitura

non è lineare come a prima vista potrebbe apparire: per esempio, i produttori di acciaio

lo forniscono direttamente ai fabbricanti di automobili ma anche a numerosi produttori di

componenti che, a loro volta, sono fornitori dei fabbricanti di automobili. Analogamente,

molti erogatori di servizi, spaziano su tutti i componenti di ogni filiera (Giacomazzi,

2002).

1.2 La rilevanza delle imprese B2B nel panorama economico italiano

1.2.1 La struttura economica italiana

Tradizionalmente, sono le piccole imprese a essere un sostegno portante della struttura

economica italiana, mentre la restante minoranza è rappresentata da medie imprese e

Figura 1 Filiera. Adattamento da Russo (2018)

Fornitore

(1° livello)

Fornitore

(2° livello)

Impresa

manifatturiera Centro

distributivo

Cliente

finale

Prodotti/servizi

Informazioni

Risorse finanziarie

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grandi (Bocconcelli, Grandinetti e Tunisini, 2015)1. Nello specifico, secondo il 9°

censimento dell’ISTAT che fotografa la situazione al 31 dicembre 2011, il numero delle

imprese attive è di 4.4 milioni; di queste il 99,4 % sono piccole imprese; lo 0,5% è

costituito da imprese di medie dimensioni e il residuo 1% invece dalle cosiddette grandi

imprese.

Più interessante e rilevante al fine dello scritto è il 63,3% delle imprese con almeno

3 addetti (oltre 660 mila unità) che dichiara di intrattenere almeno una relazione stabile,

di tipo contrattuale o informale, con altre aziende o istituzioni. L’attivazione di accordi

produttivi interessa in misura maggiore le grandi imprese (90%) e il settore Costruzioni

(85%) e industria in senso stretto (75%). Tra le tipologie di relazioni prevalgono quelle

meno impegnative, come gli accordi di commessa o fornitura (rispettivamente 74,1% e

56% delle imprese con relazioni). Meno frequenti e ad appannaggio delle grandi imprese

sono i legami formali come consorzi (7%), contratti di rete (4%) e franchising (3,3%).

1.2.2 Il peso del B2B in Italia

Riprendendo il concetto di Giacomazzi (2002), si stima che il volume d’affari generato

dagli acquirenti industriali sia superiore rispetto alle vendite ai consumatori perché

coinvolge numerosi attori della filiera produttiva prima di giungere al consumatore finale.

Il mercato industriale assume quindi, per via della dimensione che lo caratterizza, una

rilevanza maggiore rispetto a quello consumer oltre ad una maggiore complessità.

Nel caso italiano si trova una proporzione del 75% di scambi industriali, mentre il

restante 25% è rivolto al consumatore finale. Analizzando i dati del 2017, il fatturato

totale delle aziende italiane è risultato di 3.600 miliardi di euro, di cui il 75% è fatto

appunto di transazioni di tipo business to business: sono 2.700 miliardi, di cui 2.200 tra

imprese italiane e 500 verso imprese estere. Solo il restante 25%, 900 miliardi, è generato

da acquisti del consumatore finale2.

In particolare, ritroviamo dati interessanti su un articolo de ” Il Sole 24 ORE”, che

riporta i risultati di un’indagine dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica & e-

1 La classificazione adottata dall'Unione Europea classifica come micro imprese quelle con meno di 10

dipendenti e 2 milioni di euro turnover; piccole imprese quelle tra 10 e 49 dipendenti e un fatturato di 2-10

milioni di euro; aziende di medie dimensioni quelle tra 50 e 249 dipendenti e 10-43 milioni di euro fatturato

e le grandi imprese quelle con oltre 250 dipendenti e 44 milioni di euro di fatturato. 2 https://www.digital4.biz/supply-chain/ecommerce-b2b-italia-335-miliardi-fattura- elettronica-amazon-

business/ (ultimo accesso: 20/11/2018)

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Commerce B2B, sulla “filiera delle filiere”3.

La rete di imprese che dalle materie prime realizza beni pronti per i consumatori è

composta da oltre 5 milioni di imprese. In termine di valore, i maggiori volumi sono

scambiati tra produttori e rivenditori (18%) e tra fornitori di semilavorati e produttori

(16%). Seguono ex aequo al 14% i rapporti tra i fornitori di materie prime e quelli di

semilavorati e tra grossisti e rivenditori. Un altro 10% è intermediato tra produttori e

grossisti e un 7% tra fornitori di materie prime e i produttori. La parte restante è

rappresentata dalle operazioni B2B tra l’intera filiera e altri fornitori di servizi come, per

esempio, logistica, ed edilizia.

L’indagine fornisce uno sguardo interessante anche sulla proporzione online e offline

degli scambi. L’e-commerce B2B è diffuso, per oltre il 50% delle operazioni, nei rapporti

tra produttori e rivenditori e per circa il 30% tra produttori e fornitori. Nella tabella

sottostante (Figura 2), si possono osservare le proporzioni tra il totale del transato e la

parte e-commerce nelle categorie più importanti. È il settore dell’Automotive quello più

all’avanguardia che registra una quota di scambi online pari a quella offline.

Figura 2 Le filiere. (Il Sole 24 ORE, 2017)

3https://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2017-06-09/e-commerce-b2b-business-che-italia-

310-miliardi-111818.shtml?uuid=AESJW (ultimo accesso: 22/11/2018)

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Dati più recenti segnalano che il valore delle transazioni digitali tra aziende nel

2017 è salito dell’8%, e vale il 15% di tutti gli scambi B2B. Sono 130mila imprese che

hanno il ciclo dell’ordine digitale: 13mila sono connesse via EDI4 e hanno scambiato 165

milioni di documenti5.

1.2.3 L’Italia nel contesto mondiale

Dai dati offerti da Prometeia6, nel 2011 il commercio internazionale è stato

caratterizzato da meno della metà dai prodotti finali, la restante quota è composta in

primis da beni di prima lavorazione (28,7%), e a seguire le materie prime (18,3%) e i

beni intermedi (12,2%).

Anche se i prodotti finiti primeggiano ancora, è interessante sottolineare come

invece il trend sia negativo, a favore di una crescita degli scambi a monte della filiera,

ovvero di materie prime (Figura 3).

4 l sistema EDI (Electronic Data Interchange) consente lo scambio di documenti normalizzati tra i Sistemi

Informativi dei partecipanti a una relazione commerciale. Per un maggior approfondimento, consultare il

sito https://www.edicomgroup.com/it_IT/solutions/edi/what_is.html 5 https://www.digital4.biz/supply-chain/ecommerce-b2b-italia-335-miliardi-fattura-elettronica-amazon-

business/ (ultimo accesso: 20/12/2019) 6 Prometeia è un’azienda di consulenza, sviluppo software e ricerca economica.

http://formazionelavoro.regione.emilia-romagna.it/sito-fse/POR-2014-

2020/allegati/Lanza_FSE_18giugno2013.pdf/@@download/file/Lanza_FSE_18giugno2013.pdf

(ultimo accesso:20/12/2019)

Figura 3 Il commercio internazionale per fase di filiera. (Prometeia, 2013)

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Ragionando invece sulle distanze delle filiere globali, si riscontra che la direzione

è quella di un’organizzazione sempre più aperta dato che la distanza geografica media fra

venditore e acquirente subisce un aumento per quasi tutte le fasi della filiera (Figura 4).

In tutto ciò, l’Italia conserva e rafforza la sua posizione all’interno degli scambi di

prodotti finiti posizionandosi al terzo posto del podio dei principali esportatori di prodotti

finiti, lasciandosi superare solo da Germania e Svizzera. Allo stesso tempo però registra

un calo significativo dei prodotti intermedi (Figura 5).

Figura 5

Figura 4 Distanze percorse dagli scambi

internazionali per fasi di fliera. (Prometeia, 2013)

Figura 5 Indice di specializzazione 1995-2011. (Prometeia, 2013)

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1.3 Tipologie di cliente industriale

La caratteristica sostanziale che separa il mercato industriale da quello dei consumatori è

che nei primi la domanda è costituita da altre entità organizzate mentre nei secondi da

individui e famiglie. Nel dare la definizione di B2B si è detto che parlare solo di imprese

è riduttivo, perché lo spettro è molto più ampio.

La letteratura offre una suddivisione molto dettagliata e specifica sulla tipologia di cliente

industriale, ovvero le imprese industriali, le organizzazioni rivenditrici, lo Stato e le

istituzioni pubbliche e private (Zimmerman e Blythe, 2013).

Imprese industriali

Questa prima categoria può essere a sua volta segmentata in OEMs (Original-Equipment-

Manufacturers), utilizzatore finale e mercato secondario.

Le OEMs sono aziende che realizzano un'apparecchiatura che verrà poi

installata in un prodotto finito, sul quale il costruttore finale appone il proprio

marchio, utilizzando integralmente o quasi componenti prodotti da fornitori, gli

OEM appunto. I computer sono un esempio chiarificatore, in quanto formati da

una molteplicità di parti, quali software e microprocessori. Per i buyer OEM è

la qualità del prodotto o del servizio ad essere cruciale. Questi acquirenti di

solito operano in base a specifiche abbastanza precise, stabilite dai propri

ingegneri e designer di produzione. Risulta quindi difficile e alquanto

improbabile che l'impresa fornitrice possa intervenire per cambiare le

specifiche. Ciò significa che l’introduzione di un nuovo prodotto da proporre ad

una impresa OEM sarà un processo lungo, poiché la società fornitrice dovrà

stabilire una relazione a lungo termine con il cliente, al fine di essere coinvolta

nella fase di progettazione per i nuovi prodotti.

Le aziende come acquirenti finali acquistano prodotti o servizi che esauriscono

all'interno dell'organizzazione, o come componenti delle proprie

apparecchiature o per far funzionare correttamente le apparecchiature. Si tratta

di solito di prodotti che vengono ordinati in grandi quantità, come l’olio per la

lubrificazione dei macchinari, che poi ovviamente non vengono rivendute.

Rientrano in questa tipologia anche i servizi di pulizie, i servizi legali o di

contabilità.

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All’interno del mercato secondario si trovano imprese che sono coinvolte nelle

cosiddette operazioni MRO (maintaining, reparing, overhauling), ovvero le

operazioni di manutenzione, riparazione e revisione che i prodotti necessitano

una volta essere stati venduti. Nel caso degli ascensori ad esempio, ad effettuare

queste operazioni di MRO sono quasi sempre imprese indipendenti dalla quella

produttrice. Pertanto, esse comprano componenti, attrezzature o i servizi di cui

hanno bisogno da altri fornitori presenti sul mercato.

Organizzazioni rivenditrici

La maggior parte dei beni della manifattura vengono venduti all’utente finale attraverso

intermediari, ovvero dettaglianti e grossisti. Essi forniscono servizi utili come

l’immagazzinamento delle merci e la formazione di portafogli prodotti: proprio grazie al

valore aggiunto derivante da questi servizi, gli intermediari ricoprono un ruolo cruciale,

anche nella determinazione del prezzo finale. I rivenditori sono guidati quasi interamente

dai loro clienti finali, nel senso che i primi saranno disposti a comprare un bene solo se

percepiscono che esso possa avere un mercato di sbocco. A differenza degli acquirenti

OEM, i rivenditori non hanno bisogno di comprendere gli aspetti tecnici dei prodotti che

acquistano, ma devono semplicemente essere fiduciosi che i consumatori finali desiderino

questi prodotti. Tutte le funzioni svolte dai rivenditori possono così essere sintetizzate:

negoziazioni con i fornitori;

attività promozionali, come advertising, promozioni;

attività di magazzino e gestione della merce;

trasporto;

attività di inventario;

controllo del credito;

pricing;

analisi di mercato riguardo i consumatori e i competitor.

Stato

Lo stato, su vari livelli, rappresenta il più grande mercato al mondo. La struttura di un

paese è molto variabile; nel caso italiano la suddivisione è regionale e poi ciascuna di esse

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è dotata delle sue provincie. Le transazioni con un ente pubblico sono regolate da norme

molto rigide. Solitamente si decide tramite asta a chi affidarsi per una certa fornitura. In

alcuni casi lo Stato ha bisogno di comprare beni o servizi che generalmente le normali

imprese non producono, come possono essere le attrezzature militari.

Istituzioni

Le istituzioni raggruppano al loro interno le scuole, le università, gli ospedali, le

organizzazioni benefiche, le organizzazioni no-profit di qualunque tipo e così via. In certi

casi si tratta di istituzioni pubbliche (le scuole e le università, ad esempio), che però

gestiscono in modo autonomo gli acquisti, in altri casi invece possono essere del tutto

indipendenti, come lo sono alcune organizzazioni a scopo benefico. Tradizionalmente si

tende sempre a pensare che le risorse finanziarie delle istituzioni siano carenti quindi poco

attraenti economicamente, nella pratica però hanno un notevole potere di spesa.

1.4 Tipologie di prodotti e servizi industriali

Per prodotto o servizio industriale si intende l’oggetto delle transazioni business to

business. Come si è visto, gli acquirenti spaziano dalle no profit alle imprese commerciali,

quindi come si può intuire, “prodotto industriale” è un contenitore generico ma le

specifiche all’interno non sono trascurabili. Kotler (1999) e Foglio (2000) reputano

esaustiva la seguente segmentazione: macchinari; impianti; materie prime;

componentistica e accessori, beni intermedi-semifiniti; beni di consumo industriali. Di

seguito si analizza nel dettaglio la composizione dell’offerta.

I macchinari, che si ritrovano nei costi fissi da ammortizzare, sono

essenziali nella produzione di altri beni o parti di essi. Hanno solitamente

lunghi tempi di obsolescenza e si suddividono in pesanti e leggeri.

Sono chiamati macchinari pesanti le macchine per movimentazione da

terra, vagoni, navi, macchinari per manutenzione. Si tratta quindi di prodotti

molto complessi realizzati e disegnati per personalizzate necessità

produttive. Ne consegue che l’investimento sia elevato.

I macchinari leggeri sono parti di impianti di entità minore, con un ciclo di

vita inferiore che sono per di più standardizzati. Tutto ciò si riflette in un

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prezzo in genere più basso rispetto a quello dei macchinari pesanti.

Appartengono a questa categoria i motori vari, piccoli macchinari,

apparecchiature elettriche e macchinari per manutenzione.

A queste due tipologie si aggiungono una serie di attrezzatture connesse,

ovvero beni complementari che vengono utilizzati dalle imprese con un

ruolo di supporto. È il caso ad esempio delle attrezzature per il carico.

Gli impianti industriali intervengono con la creazione di strutture quali

piattaforme petrolifere o edifici industriali e per questo fatti su misura delle

esigenze dei clienti. Rilevanti sono le distinzioni tra le diverse tipologie: gli

impianti chiavi in mano, gli impianti prodotto in mano e gli impianti

mercato in mano, ovvero che il fornitore dell’impianto deve provvedere

direttamente o indirettamente sul mercato la produzione ottenuta o una parte

di essa.

Le materie prime sono prodotti estratti o ottenuti tramite particolari processi

ambientali (foresta, mare, terra, etc.) che vengono venduti da importatori,

commercianti, aziende estrattive ad imprese di trasformazione per quantità

cospicue. Si tratta di un mercato in cui le transazioni tra domanda e offerta

sono fortemente regolamentate date le frequenti speculazioni a cui sono

soggette.

I beni intermedi-semifiniti sono quelle materie prime che hanno già subito

un processo di trasformazione fino a diventare laminati di ferro, piastre e

tubi in acciaio, prefabbricati in cemento, legname, tessuti e così via.

La componentistica e gli accessori sono destinati alla produzione e

permettono la realizzazione di prodotti finiti. Sono compresi componenti

elettronici, idraulici, pneumatici, bulloneria, viti, tubi, etc.

I beni di consumo industriali non entrano a far parte del prodotto finito bensì

sono essenziali nella quotidiana attività di un’impresa nel suo

funzionamento, manutenzione, produzione. Si tratta di beni acquistati con

continuità in quanto consumati sistematicamente come l’elettricità, la

benzina, i combustibili, cancelleria, divise da lavoro.

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Accanto ai prodotti industriali si trovano i servizi industriali. Le categorie che

racchiudono sono infinite, pertanto è impossibile riuscire ad esaurire tutte le casistiche, si

elencano di seguito quindi solo i più comuni:

servizi di consulenza, ovvero servizi a supporto dell’attività aziendale che

spaziano dalle consulenze finanziarie, all’auditing, alla comunicazione;

servizi di trasporto merci, nel caso in cui le aziende non siano provviste

internamente di questi servizi si affidano a trasportatori esterni;

servizi di manutenzione, che assicurano lo svolgimento delle attività

aziendali intervenendo periodicamente o all’occorrenza su impianti e

macchinari;

servizi di vigilanza, che provvedono alla sicurezza diurna o notturna

dell’impresa.

1.5 La demarcazione tra mercato B2B e B2C

Prima di indagare le specificità del settore business to business contrapponendole a quelle

business to consumer, si analizza il rapporto che intercorre tra i due mondi.

I due settori operano in sinergia in quanto sono parte di un’unica grande filiera che si

esplicita nell’offerta di prodotti e servizi che sono destinati al cliente finale, che

rappresenta la domanda diretta del mondo consumer e la domanda derivata rispetto al

mondo business (Figura 6) (Foglio, 2000).

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Figura 6 Integrazione mercato industriale e mercato dei consumi. Adattamento da Foglio (2000)

Presentato il modello e confrontato con la realtà, si può notare come questi confini

non siano mai così netti e che la linea di demarcazione tra B2B e B2C sia sfuocata.

Significativo in questo senso è l’esempio presentato da LaPlaca e Jerome M. Katrichis

(2009). Non è raro che un manager presenti una ricevuta da un fast food alla propria

azienda per ottenere il rimborso spese. Allora questo fast food che ha servito un manager

durante un suo viaggio di lavoro è un puro B2C? Spesso, inoltre, le aziende si accordano

con alberghi, bar, ristoranti per ottenere delle convenzioni per i propri dipendenti. Le

contaminazioni sono quindi la normalità, anche se a sfuggire sono probabilmente più le

attività B2B che sussistono in un’organizzazione B2C che viceversa. Le etichette B2B e

B2C applicate alle aziende stanno a simboleggiare quindi una prevalenza di un certo tipo

di transazioni, non la totalità, in quanto appunto sarà difficile ritrovare nella realtà imprese

puramente appartenenti ad un mercato o all’altro.

Un altro contributo in questo senso è quello di Gummensson e Polese (2009). Il loro

invito è quello di non ragionare a compartimenti stagni quando si parla di B2B e B2C.

Spesso, sostengono, per un’esigenza di etichettare tutto, tipica del mondo occidentale, si

corre il rischio di avere dei modelli molto ben costruiti e attraenti nella teoria che però

poco riflettono la realtà. Il suggerimento è quello di procedere facendosi ispirare dalla

filosofia orientale del taoismo che propone una visione unitaria della realtà con le sue

correlazioni e interazioni. Propongono di non concentrarsi a vedere il B2B come un’isola,

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ma come la parte di un sistema che interagisce di continuo con il B2C e i neonati, frutto

della tecnologia, C2B e C2C con lo scopo della co-creazione del valore (Figura 7),

(Gummenson e Polese, 2009).

1.6 Il marketing B2B

1.6.1 Definizione di marketing

Il marketing consiste fondamentalmente nel soddisfare le esigenze dei clienti; per essere

in grado di riuscirci con successo, l’operatore deve comprendere le esigenze dei

consumatori, sviluppare prodotti che forniscano valore superiore per il cliente, fissargli

un prezzo, promuoverli e distribuirli in modo efficace per farli vendere facilmente. Per

riassumere quindi, il marketing è il processo attraverso il quale le aziende forniscono

valore ai clienti e costruiscono relazioni solide per ricevere, a loro volta, in cambio valore

da essi. Il concetto di valore nel marketing è molto ampio e, se tradizionalmente lo si

intendeva solo come value-for-money, al giorno d’oggi si focalizza l’attenzione anche su

un approccio di value-for-me, ovvero una versione customizzata e più personale rispetto

al mero significato di valore economico (Minestroni, 2010).

Dalla definizione data, l’approccio di marketing sembra a prima vista perfettamente

calzante sia nel caso di un’impresa business to consumer sia business to business. La co-

creazione di valore infatti appartiene ad entrambe le sfere. Eppure, è innegabile che a

primeggiare sia stato senza dubbio il marketing nel mondo consumer.

Figura 7 Combinando B e C. (Gummensson, 2008 in Gummenson e Polese, 2009)

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1.6.2 Le difficoltà del marketing ad inserirsi nel B2B

Marketing, marketing B2B e marketing B2C. Qual è la relazione che intercorre fra queste

tre aree? Coincidono? Sono differenti? Se sì, in cosa? Sono questi gli interrogativi a cui

si cerca di rispondere, per nulla banali e storicamente affrontati nella letteratura.

Smallbone (1969) si interroga se davvero il marketing industriale sia diverso. Sostiene

che, come tutti gli anestesisti, chirurghi, neurologi siano tutti medici ma specializzati in

un certo ramo, allo stesso modo il marketing B2B e B2C lo sono nel marketing, ovvero

delle ramificazioni. In più aggiunge che al tempo in cui parla, ovvero nel 1969, le

peculiarità del B2B siano trattate ancora molto superficialmente.

La necessità di distinguere gli scambi fra imprese, industrial marketing, e gli scambi

fra imprese e consumatori, consumer marketing, è stata sistematicamente sostenuta nella

letteratura tradizionale di marketing in base a differenze oggettive esistenti a livello di

assetto dei mercati, di prodotti, di caratteristiche della domanda e soprattutto a livello di

motivazioni e comportamento d’acquisto dei clienti. Fin dalle origini tuttavia, il

fondamento portante dell’intero apparato concettuale del marketing business to business

è identificato nella peculiarità del comportamento d’acquisto del cliente industriale

(Guerini et al., 2004).

Data la complessità e il contesto in cui si opera, il processo d’acquisto di

un’organizzazione è stato visto come più razionale e ponderato rispetto a quello di un

consumatore che compra per sé o per la famiglia. Questa è l’argomentazione più forte su

cui si basa l’esistenza del marketing B2B.

Un’obiezione a questa argomentazione arriva da Zimmerman e Blythe (2013) che

sostanzialmente si interrogano in modo provocatorio se una persona a capo del marketing

di un’azienda che vende dentifrici non sarebbe capace di vendere attrezzature per la

trivellazione petrolifera. Se la risposta fosse no, sostengono, allora significherebbe

pensare che le persone smettano di essere umane quando vestono i panni di un acquirente

industriale.

Questo equivale a chiedersi se le ricerche sperimentali di Tversky e Kahneman sulla

mente umana valgano solo per l’acquirente consumer piuttosto che quello industriale. Le

scoperte dell’economia comportamentale hanno portato all’eclissi dell’homo

oeconomicus che compie le sue scelte agendo in maniera razionale, lasciando spazio ad

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un uomo più realistico che nel processo decisionale compie scelte utilizzando un numero

limitato di euristiche piuttosto che sofisticati processi razionali.

La risposta al quesito sopra menzionato di Zimmerman e Blythe, è retorica, non può

esistere una scissione della natura umana, pur ammettendo che in certi contesti la mente

umana agisce più razionalmente che in altre. Quindi ha senso studiare le specificità dei

due ambiti del marketing, senza dimenticarsi però che sempre di marketing si tratta e che

gli acquirenti, seppur nelle loro differenze, sono sempre umani, con i loro limiti e virtù.

La letteratura del marketing, seppur concependo teorie e principi comuni, ha

assunto sin dal principio, il punto di vista di quello consumer, collezionando anche un

consistente numero di casi pratici studio. Non si può dire lo stesso dell’industrial

marketing, che è stato trattato in modo marginale dagli studiosi e accolto con maggiore

resistenza dalle imprese B2B.

Il marketing business to business non ha generato sin da subito un grande successo,

ponendosi così sempre un passo indietro rispetto a quello rivolto ai consumatori finali. La

ragione, come suggerisce anche Foglio (2000), è da ricercarsi nella complessità di questo

tipo funzione in settori offrono prodotti e servizi di cui il marketing mix non risulta così

evidente come è invece quello di un bene di consumo. Vendere una scatola di cioccolatini

e vendere invece alle imprese macchinari per produrre questi cioccolatini richiede

senz’altro uno sforzo d’immaginazione differente in quanto l’immedesimazione con il

cliente finale dei cioccolatini e le sue aspettative è molto più immediata.

L’interesse per il tema è segnalato anche dalle riviste sorte con lo scopo di

accogliere la letteratura in materia di marketing business to business:

Industrial Marketing Management1972-

Advances in Business Marketing and Purchasing 1986-

Journal of Business and Industrial Marketing 1986-

Industrial Marketing & Purchasing 1986–1989

Journal of Business to Business Marketing 1993-

the IMPGroup Journal 2006-

Journal of Business Market Management 2007-

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1.6.3 Le peculiarità del settore B2B rispetto al settore B2C

“The greater of the risk of the purchase decision, the greater are the costs.

The more people are involved in the purchase decision.

The greater the informed nature of buyer.

The greater the adjustment needed between the buyer and the seller.”

(Smallbone, 1969)

Con questa citazione di Smallbone, che racchiude una concatenazione di nessi

causa-effetto, si introducono le peculiarità del settore industriale rispetto a quello

consumer. Sono proprio queste differenze esistenti tra il mercato B2B e B2C che sono

alla base dell’esistenza del marketing specifico per entrambe le categorie e, quindi, la loro

comprensione porta all’intuizione anche di approcci differenti alla strategia di marketing.

Le peculiarità del settore industriale sono numerose, ma coerentemente con lo scopo di

questa trattazione, è stata fatta una selezione sia sugli elementi che sul grado di dettaglio

della loro presentazione. Si esplicitano quindi solo gli elementi che si ritengono utili alla

comprensione di strategie di marketing differenti nei due settori seppur consapevoli di

non esaurire nella sua pienezza il tema.

Indagando la letteratura al riguardo, queste caratterizzazioni sono spesso

semplicemente presentate sotto forma di elenco, mentre altre volte si trovano dei

raggruppamenti tematici. Tra le categorizzazioni proposte, si citano le seguenti:

Smallbone (1969):

- differenze scaturite dal mercato o dagli acquirenti industriali;

- differenze originate dalle caratteristiche del prodotto industriale;

- differenze dovute all’impostazione operativa;

- altre differenze.

Zimmerman e Blythe (2013):

- elementi interni all’impresa;

- differenze riguardanti il cliente e il marketing;

- differenze riguardanti elementi incontrollabili e l’ambiente esterno.

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Seppur interessanti, si ritiene però di non procedere per categorizzazioni data la

complessità che ciascun elemento di differenziazione porta con sé. Ciascun elemento

verrà, quindi, esposto singolarmente.

Eterogeneità e complessità

Come si poteva già intuire con la presentazione della tipologia di acquirenti business, così

come dalla categorizzazione di prodotti e servizi, il mondo business to business è

caratterizzato da una notevole eterogeneità e complessità. Ad accrescere la problematicità

del tema, subentrano anche un articolato processo d’acquisto e il relativo comportamento

dell’acquirente business che verranno approfonditi ulteriormente più avanti (Foglio,

2000).

Dimensione

La dimensione del mercato B2B è di gran lunga maggiore di quello business to consumer.

Sono comprese infatti le innumerevoli transazioni che avvengono a monte della filiera

del prodotto finito (Foglio, 2000; Giacomazzi, 2002; Zimmerman e Blythe, 2013). Un

esempio che fa capire bene le proporzioni arriva dagli Stati Uniti, dove nel 2010 il

Dipartimento della Difesa Americana ha speso 365.9 miliardi di dollari per l’acquisto di

beni e servizi, mentre la Ford Motor Company spende solo 65 miliardi all’anno (United

Nations Global Compact, 2012 in Zimmerman e Blythe, 2013). Non fa eccezione il caso

italiano che, come visto in precedenza, riporta una proporzione del 75% e 25% tra il

fatturato rispettivamente scaturito dagli scambi business e scambi consumer.

Concentrazione

Quello B2B è considerato un mercato ad elevata concentrazione sotto il punto di vista

geografico, numerico, delle vendite e degli acquisti (Foglio, 2000).

È comune infatti, in tanti settori, che clienti e acquirenti si localizzino nella stessa

area geografica (Foglio, 2000; Giacomazzi 2017; Kotler, Keller, Ancarani e Costabile,

2017; Smallbone, 1969). Il vantaggio maggiore risiede nei minori costi di vendita, ma

allo stesso tempo i marketing manager devono tenere sotto controllo eventuali

spostamenti regionali di imprese e interi distretti produttivi.

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La concentrazione la si osserva anche dal ridotto numero potenziali di acquirenti

rispetto a quanto accade nel mercato dei consumatori, benché la situazione non sia affatto

generalizzata (Foglio, 2000; Giacomazzi, 2002; Guerini, 2004; Kotler, Keller, Ancarani

e Costabile 2017; Smallbone, 1969). Il ristretto numero di clienti rende praticabile un

rapporto commerciale più mirato e diretto con essi, tanto è vero che spesso ci si attende

che i fornitori personalizzino i beni e i servizi offerti sotto la guida di specifiche esigenze

della domanda.

Di conseguenza, sono frequenti i casi in cui un fornitore rappresenti una quota

importante degli acquisti di un cliente, e, viceversa, quelle in cui un cliente assorbe una

quota importante delle vendite di un fornitore (Foglio, 2000). Questo accade per esempio

nel settore dell’auto e dell’energia nucleare, dove il successo di molte aziende fornitrici

consiste proprio dall’opportunità di firmare grossi contratti con poche e grosse aziende.

Domanda

La natura della domanda industriale che, inserita in una catena di trasformazioni, è

derivata ovvero determinata, nel volume e nell’andamento, dall’esistenza di una o più

domande a valle della filiera. In queste circostanze, una corretta comprensione della

domanda implica l’analisi non solo dei clienti diretti, ma anche dei clienti dei clienti, in

una logica di bottom up marketing. Questo concetto ribadisce ancora di più quanto

un’azienda B2B non sia un sistema isolato e si evince l’importanza di tenere sotto

controllo costante i mercati di consumo che appartengono alla sua filiera anche se la

reperibilità di dati per poter fare delle previsioni è alquanto complicata (Zimmerman e

Blythe, 2013).

Generalmente, nel mercato delle imprese, la domanda è poco sensibile alle

variazioni di prezzo e per questo viene definita anelastica. È una caratteristica soprattutto

del breve periodo, infatti se ad esempio il fornitore di pellame alzasse il prezzo, il suo

cliente fabbricante di cinture in pelle non varierebbe di molto i quantitativi dei propri

ordini. Nel lungo periodo, invece, potrebbe variare i propri metodi di produzione oppure

trovare alternative valide. Significativo è il caso segnalato da Giacomazzi (2002)

dell’aumento del petrolio negli anni Settanta che ebbe ricadute nell’immediato sui costi

che le imprese si trovarono a sostenere, ma col passare del tempo attivarono programmi

di risparmio energetico che gli permisero un significativo recupero.

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Un’altra caratteristica è che ad un incremento in percentuale della domanda di beni

e servizi da parte dei consumatori finali non corrisponde un aumento proporzionale della

domanda industriale. La domanda derivata viene pertanto qualificata come fluttuante.

Infatti, un aumento del 10% della domanda di consumo può addirittura determinare un

aumento del 200% della domanda industriale utile a soddisfarla. Lo stesso ragionamento

vale anche nella situazione contraria, una piccola diminuzione percentuale del 10% della

domanda finale potrebbe significare un collasso totale di domanda industriale. In

economia, questo viene chiamato effetto accelerazione, come riportato anche in Kotler,

Keller, Ancarani e Costabile (2017) e Giacomazzi (2002).

Il processo decisionale degli acquirenti

Nella letteratura è largamente condiviso che il processo decisionale dei buyer industriali

sia normalmente più “professionale” di quello di un consumatore perché influenzato da

numerose variabili che impongono e giustificano quindi una maggiore attenzione.

L’acquirente industriale viene profilato come un soggetto competente che prende le

proprie decisioni d’acquisto in maniera razionale e professionale dopo aver condotto

ricerche, esaminato le specifiche, fatto le dovute comparazioni. Sebbene se ne parli al

singolare, il processo d’acquisto prevede solitamente un team rappresentante varie

funzioni e competenze che lavora per prendere decisioni d’acquisto in maniera collegiale.

La maggiore complessità del processo d’acquisto si evince anche dai tempi lunghi e dalla

formalità delle procedure per l’acquisto. A giustificare una maggiore razionalità è anche

il fatto che l’acquisto viene compiuto per soddisfare un bisogno di tipo funzionale e non

soggettivo. Il bene industriale infatti viene scelto per la sua capacità di fornire un adeguato

ed efficiente contributo all’attività di un’organizzazione. Pertanto l’atteggiamento di un

buyer è più imparziale e più impermeabile ad aspetti di natura emozionale, contrariamente

a quanto accade per un consumatore finale.

Acquisto più diretto

Le compravendite tra produttore e utilizzatore industriale avvengono solitamente senza

l’intervento di ulteriori intermediari, soprattutto nel caso in cui si tratti di prodotti o servizi

costosi e complessi (Kotler, Keller, Ancarani e Costabile 2017). Spesso si crea così una

catena molto più corta rispetto a quella produttore e utilizzatore finale del mondo

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consumer, anche perché risulta non banale individuare nel mercato intermediari con le

competenze specifiche richieste in presenza di prodotti e servizi molto complessi

(Giacomazzi, 2002).

Reciprocità nei rapporti di vendita e acquisto

Accade spesso che le imprese, nella scelta dei loro fornitori, considerino in una situazione

privilegiata quelle organizzazioni che sono loro clienti. Ad esempio una cartiera sceglie

come fornitore di prodotti chimici un’azienda che acquisti allo stesso tempo la carta da

loro. Questo tipo di rapporto viene detto reciproco, ed è tipo dell’ambito industriale dato

che riesce difficile immaginare un rapporto analogo per i consumatori finali.

Mercati orizzontali e mercati verticali

Un’altra tipicità del settore business to business è la presenza sia mercati orizzontali che

verticali, ovvero rispettivamente quando un’impresa vende i suoi prodotti e servizi ad una

pluralità di settori industriali e il caso contrario, ovvero solamente ad uno solo.

1.7 Analisi della domanda

1.7.1 L’importanza della conoscenza della domanda del mercato B2B

Il requisito fondamentale per indirizzare un’azione di marketing è la conoscenza del

destinatario della stessa, ovvero la domanda. Come è stato già anticipato in precedenza,

il mercato business (mercato di sbocco delle imprese B2B) è caratterizzato da una forte

eterogeneità che ne deriva dalla varietà di organizzazioni che lo compongono.

Si procede ora ad un’analisi più approfondita dei processi d’acquisto e del

comportamento d’acquisto della domanda cercando di soffermarsi sugli aspetti

caratterizzanti lo stesso. Data la premessa è intuitivo comprendere come possa essere

presuntuosa e surreale la proposta di un modello universale adatto a tutte le entità. Si tratta

quindi della presentazione a carattere generale degli elementi e processi fondanti a cui

dovrebbe seguire uno sforzo del lettore nell’adattare la teoria alle specifiche realtà.

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1.7.2 Il processo e il comportamento d’acquisto delle organizzazioni

Per offrire una panoramica circa la modalità e le dinamiche con cui avvengono gli acquisti

nel mercato business, segue una breve analisi delle situazioni d’acquisto, del processo

d’acquisto e del comportamento d’acquisto.

Situazioni d’acquisto

La letteratura nell’ambito business to business, in linea anche con quella consumer,

prevede tre situazioni d’acquisto a cui susseguono accortezze specifiche, ovvero:

riacquisto invariato;

riacquisto modificato;

nuovo acquisto.

In base alla categoria a cui appartiene l’acquisto specifico, al rischio percepito e alla

rilevanza del prodotto o servizio in questione, aumenta o diminuisce la complessità e il

coinvolgimento dell’organizzazione in termini di tempo, di quantità e qualità delle

informazioni raccolte, e in ultimo di numerosità e di funzioni coinvolte nel processo.

Centro acquisti

Webster e Wind (1972) sono gli autori di riferimento, anche per gli studiosi più recenti,

in tema di centro acquisti di un’organizzazione. Riprendendo la definizione da essi

fornita, il centro acquisti comprende gli individui e i gruppi che prendono parte al

processo decisionale e che pertanto condividono i rischi derivanti dalla decisione e alcuni

obiettivi. Per il responsabile marketing è importante riuscire ad identificarli in modo da

tarare l’approccio al cliente.

Gli autori italiani Foglio e Giacomazzi, semplificando un po’ quanto elaborato da

Webster e Wind, concordano nella seguente composizione di ruoli in un centro acquisti:

iniziatori: coloro che percepiscono un bisogno;

utilizzatori: coloro che utilizzano il bene o il servizio acquistato;

influenzatori: coloro che influenzano direttamente o indirettamente il

processo decisionale;

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decisori: coloro che hanno l’autorità di scegliere tra le alternative esistenti.

Dando invece uno sguardo alla letteratura straniera, in particolare Kotler e

Armstrong (2010) e Zimmerman e Blythe (2013), si riscontrano delle lievi differenze dato

che entrambi hanno preferito riproporre un’articolazione più fedele a quella teorizzata da

Webster e Wind.

In primis, propongono la distinzione tra decisore e acquirente, dove rispettivamente

il primo detiene la facoltà di scegliere o approvare i fornitori definitivi mentre il secondo

possiede l’autorità di scegliere il fornitore e la definizione dei termini d’acquisto.

Un’altra aggiunta degli autori sopramenzionati è quello dei gatekeepers, ovvero dei

soggetti che controllano il flusso delle informazioni, o in maniera proattiva raccogliendo

materiale informativo o semplicemente filtrandole.

Indipendentemente dalla scelta di essere più completi o meno, a livello generale si

possono fare delle osservazioni sul centro acquisti.

I ruoli sopra menzionati non sono esclusivi uno con l’altro, infatti un soggetto

potrebbe ricoprirne più di uno, a seconda della tipologia e della dimensione

dell’organizzazione e dalla complessità e dal costo del bene o servizio in questione.

Inoltre, non si può non osservare la similarità con il mondo consumer, da dove

appunto trae origine questo modello. I ruoli pensati in ambito famigliare durante un

processo d’acquisto sono stati poi adattati al contesto più formale e strutturato delle

organizzazioni.

Fasi del processo d’acquisto

Le fasi che caratterizzano il processo d’acquisto in un contesto business sono le seguenti:

individuazione di un bisogno, come può essere l’obsolescenza di un

impianto, lo sviluppo di nuovi prodotti, l’insoddisfazione verso i fornitori

attuali;

descrizione generale del prodotto e delle sue specifiche;

ricerca delle informazioni;

richiesta di offerte o emissioni di bandi di gara;

valutazione delle alternative e scelta del fornitore;

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36

emissione dell’ordine e relativo pagamento;

post-acquisto.

La durata di ciascuna fase e quindi nel complesso la durata dell’intero ciclo può

essere più o meno lunga a seconda della situazione d’acquisto, del costo, del rischio

percepito e della rilevanza che il prodotto o il servizio ricopre per l’organizzazione. Le

decisioni di acquisto infatti possono essere di routine o estremamente complesse,

coinvolgere soltanto pochi responsabili oppure tantissimi, richiedere lunghe negoziazioni

interne oppure pochissime.

Comportamento d’acquisto

È il comportamento d’acquisto più del processo d’acquisto ad essere un campo più

dinamico ed interessante su cui la letteratura è intervenuta maggiormente dati gli spunti

più complessi e stimolanti. Se per le fasi d’acquisto il dibattito scientifico non sia stato

così intenso ed acceso, lo stesso non si può dire nell’analisi sul comportamento

d’acquisto.

Oggi si parla di un atteggiamento più razionale e più ponderato dell’acquirente

business rispetto ad un consumatore finale, ovvero la differenza consiste in un diverso

grado di razionalità, ma nessuno più si esprime in termini radicali essendo stato

ampiamente superato il concetto di razionalità assoluta.

Il processo, però, non è stato affatto scontato. Andando per ordine, in origine la

teoria economica si basava su una tipologia di consumatore perfettamente razionale e

capace di compiere scelte ragionate massimizzando la propria utilità, e tutto ciò veniva

traslato e amplificato nell’ambito organizzativo. Nella teoria economica tradizionale, le

interazioni economiche tra fornitore e acquirente venivano quindi viste nella logica della

mera massimizzazione del profitto per le parti, pertanto nessun altro aspetto di questo

rapporto era ritenuto meritevole di considerazione. Gli agenti economici si delineavano

come soggetti perfettamente informati e quindi con decisioni altrettanto ponderate e

orientate all’ottenimento del massimo profitto (LaPlaca e Vinhas da Silva, 2016).

Le motivazioni che tradizionalmente hanno supportato questa tesi sono ben trattate

da Guerini (2004):

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la superiore complessità dei prodotti rispetto ai beni e ai servizi di consumo, sia

in termini tecnologici che applicativi;

la natura funzionale del bisogno che muove il cliente;

la professionalità, la competenza e il rigore dell’acquirente;

la collegialità del processo decisionale.

Si riconosce un notevole contributo alle scienze umane, quali la psicologia, e

all’economia comportamentale a cui si deve l’introduzione della razionalità limitata dei

soggetti economici a discapito della razionalità olimpica che per i secoli precedenti aveva

caratterizzato la teoria economica.

Questo passaggio rientra in un cambiamento più ampio che ha riguardato il

marketing business to business, ovvero l’adozione del paradigma del relationship

marketing a scapito del marketing tradizionale che verrà meglio affrontato nel paragrafo

successivo.

In generale, come segnalato da LaPlaca e Vinhas da Silva (2016), molto rimane

ancora da esplorare nel mondo business to business, e uno dei temi ancora poco battuti è

proprio la ricerca sul processo decisionale dell'acquisto organizzativo con lo scopo di

suscitare una più profonda comprensione del ruolo dei fattori non economici, che sono

parte di quella sfera di cosiddetta irrazionalità, che intervengono nel rapporto tra

acquirente e fornitore7.

A sostegno di quanto detto dagli autori, si è osservato l’indice della 15° edizione

del libro di Marketing Management, uno dei massimi punti di riferimenti del marketing,

di Kotler, Keller, Ancarani e Costabile (2017) riguardo alle tematiche toccate

nell’affrontare il comportamento d’acquisto del mercato di consumo e quello business. Si

è notato lo spazio riservato al cliente B2B è molto più ristretto e affrontando la lettura

dello stesso vi si trova solo qualche considerazione di carattere generale senza quel grado

di dettaglio ed esaustività riservato al cliente finale.

Se, per esempio, la letteratura sull’influenza delle emozioni nel processo d’acquisto

dei consumatori, grazie anche al contributo delle neuroscienze, sia estesa e

7 LaPlaca P., Vinhas da Silva R., (2016) “A paradigm shift from economic exchange to behavioral theory:

a quest for better explanations and predictions”, Psychology & Marketing, 33:4, pp. 232–249, Wiley

Periodicals, Inc. DOI: 10.1002/mar.20872, 2016

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abbondantemente esplorata, lo stesso non si riscontra in ambito business dove gli studi

sono lacunosi a proposito. Una delle rare pubblicazioni scientifiche a riguardo proviene

dall’India dove Pandey e Mookerjee (2018), a conclusione delle loro recenti ricerche,

hanno contribuito a sdoganare l’influenza della sfera emozionale nel processo d’acquisto

delle organizzazioni8.

Andando indietro nel passato, Leavitt nel 1965 “ammette l’influenza della

reputazione aziendale e di altri elementi intangibili non direttamente legati al prodotto

sulle decisioni di acquisto delle imprese e, qualche anno più tardi, Lehmann e Shaugnessy

(1974), nel valutare l’importanza relativa degli attributi dell’offerta nella selezione di un

fornitore, scoprono che tali elementi sono fra quelli di maggiore peso” (Guerini, 2004).

Anche se questi studi sono stati spot e non c’è ancora una sistematicità della

letteratura a trattare gli elementi intangibili che sono significativi per l’acquirente

business, si può di certo affermare che né il prezzo né le caratteristiche intrinseche del

prodotto, né la combinazione delle due, spiegano dunque fino in fondo la decisione

d’acquisto.

Si conviene quindi che l’operato del centro d’acquisti sia esposto e suscettibile

all’influenza di una molteplicità di fattori non economici.

Zimmerman e Blythe (2013), ad esempio, si sono cimentati nell’individuazione

delle sfere tematiche che potenzialmente ricoprono un ruolo nelle dinamiche decisionali.

Sono stati catalogati come elementi di natura fisica; tecnologica; economica; politica e

legale; etica e culturale.

Fattori fisici

Secondo la teoria economica tradizionale la scelta dei fornitori per un’impresa dovrebbe

essere guidata dal principio del minor prezzo e della più alta qualità, mentre invece anche

la vicinanza geografica incide deviando così le scelte. Se il mercato globale rende

possibile una maggiore possibilità di scelta del fornitore, spesso però la tendenza è quella

di preferire l’approvvigionamento all’interno del mercato domestico a discapito quindi di

fornitori fuori dai confini nazionali che potenzialmente potrebbero offrire anche un

8 Pandey S. K., Mookerjee A., (2018) “Assessing the role of emotions in B2B decision making: an

exploratory study”, Journal of Indian Business Research, 10:2, pp. 170-192, https://doi.org/10.1108/JIBR-

10-2017-0171, 2018

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prezzo più basso. Il discorso è riferito in maniera preponderante ai prodotti dato che la

fruibilità dei servizi implica in sé la vicinanza fisica come requisito.

Fattori tecnologici

Nonostante gli sforzi per armonizzare gli standard tecnici, a livello europeo ad esempio,

si riscontra come varie organizzazioni spesso commercino in via preferenziale con le ex

colonie dove appunto c’è compatibilità delle caratteristiche tecniche che costituiscono

quindi ancora una discriminante.

Fattori economici

Non sono trascurabili le influenze sia a livello macroeconomico, come la domanda e il

livello di tassazione di un paese, che microeconomico che intervengono nella decisione

d’acquisto facendo apparire un paese così come un’azienda più o meno attraente e

conveniente per il proprio approvvigionamento.

Fattori politici e legali

Manovre di politica economica quali per i rapporti con l’estero o incentivi per favorire il

mercato interno incidono ovviamente nelle scelte d’acquisto delle organizzazioni.

Fattori etici

Come regola generale, seppur nella pratica le eccezioni non siano purtroppo così rade,

l’acquirente è interessato ad acquistare da quelle aziende che ritiene essere più virtuose

eticamente.

Fattori culturali

La cultura intesa come valori, usanze, lingua e religione interferiscono con le decisioni

d’acquisto nel mondo business to business.

È impossibile non notare come quanto detto non sia poi così distante da quello che

già appartiene alla letteratura delle influenze del comportamento d’acquisto del

consumatore. Quello che risulta è che quindi che “I buyer non appartengono ad una specie

protetta, né soffrono di sdoppiamento della personalità, da privati consumatori si

comportano in un modo e da professionisti in un altro; le loro decisioni non sono fondate

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esclusivamente su criteri funzionali e calcoli economici, ma risentono di opinioni e

princìpi personali, di atteggiamenti benevoli od ostili nei confronti di determinate marche,

di motivazioni individuali, che fatalmente condizionano le scelte di prodotti e fornitori”

(Guerini, 2004).

1.8 Il marketing relazionale

1.8.1 Introduzione al concetto di marketing relazionale

Sebbene la rappresentazione grafica di una filiera, grazie alla sua linearità e semplicità,

sia spesso ricorrente quando si tratta di business to business, la realtà in cui un’impresa è

immersa, invece, si specchia più in un network di relazioni. Ne risulta quindi una rete di

molteplici interconnessioni che si avvicina di più all’immagine proposta da uno dei

massimi esperti del marketing relazionale9 Evert Gummenson (Figura 8).

Figura 8 Il network di relazioni per un’impresa. (Gummenson, 2008 in Gummenson e Polese, 2009).

9 È proprio Philip Kotler a ritenerlo il massimo esperto in materia di marketing relazionale, come si può

vedere in un commento al libro “Total Relationship Marketing” del 2002 di Evert Gummenson appunto.

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Analizzando il marketing business to business non si può omettere di considerare

l’aspetto delle relazioni (Albadvi e Hosseini, 2011)10, il quale è il fulcro di un filone di

studi, ovvero il marketing relazionale o relationship marketing. Il focus è appunto l’analisi

delle relazioni, le reti in cui sono immerse le imprese e le interazioni (Gummenson,

2006)11 con lo scopo di indirizzare i manager su come creare, mantenere e migliorare

queste relazioni in una logica strategica (Berry, 1983 in Albadvi e Hosseini, 2011).

Le relazioni non hanno una natura meramente economica, ma assumono

sfaccettature molto più complesse di cui le imprese stanno gradualmente acquisendo

consapevolezza. Sebbene sia tradizionalmente appurato che i clienti costituiscano un

elemento chiave e quindi il rapporto con essi meriti un’attenzione particolare, negli ultimi

decenni le organizzazioni hanno ampliato la loro visuale monitorando e interagendo con

uno spettro di stakeholder molto più ampio, dai clienti ai fornitori, alle comunità locali,

alle associazioni ambientaliste e altri ancora. Assume rilievo quindi ogni genere di

rapporto che direttamente o indirettamente influisca sul successo aziendale.

Sebbene al giorno d’oggi l’approccio relazionale abbracci in maniera indiscriminata

sia il marketing delle imprese che lavorano direttamente nel mercato del consumo che

quello business, è da quest’ultimo che si rinvengono i primi germogli (Guerini, 2004).

Se per il mondo consumer la sopravvivenza e il successo, come si pensava almeno

inizialmente, potevano essere basato su acquisti spot e non continuativi dei clienti, per il

settore business to business, invece, è stato chiaro da prima che le relazioni durature con

i propri clienti creassero mutui benefici molto più cospicui di una strategia basata sulla

transazione spot (Leonidou, 2004 in Saura, Deltoro e Taulet, 2009)12. Le ragioni

sottostanti a questa intuizione si possono ricavare da quanto detto in precedenza sulle

specificità che contraddistinguono questo settore.

Primo fra tutti, è determinante l’elevata concentrazione del mercato degli

acquirenti, seppur non in maniera generalizzata. Pochi ma grossi acquirenti sono capaci,

quindi, con l’interruzione del rapporto contrattuale, di danneggiare l’impresa in maniera

10 Albadvi A., Hosseini M, (2011) "Mapping B2B value exchange in marketing relationships: a systematic

approach", Journal of Business & Industrial Marketing, 26:7, pp. 503-513,

https://doi.org/10.1108/08858621111162307 11 Gummeson E., Marketing Relazionale. Gestione del marketing nei network di relazioni, Milano, Ulrico

Hoepli Editore, 2006 12 Saura I., Deltoro M, Taulet A., (2009) "The value of B2B relationships", Industrial Management & Data

Systems, 109:5, pp.593-609, https://doi.org/10.1108/02635570910957605

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importante, motivo per cui la customer retention assume un ruolo essenziale.

Un’implicazione di questo fattore è che ovviamente disponendo di una clientela più

ristretta si rende più praticabile la coltivazione dei rapporti in maniera anche più diretta e

profonda. In secondo luogo, si questo rende possibile anche la natura customizzata che

spesso i prodotti e servizi B2B hanno. La customizzazione spesso richiede investimenti

notevoli per l’impresa. Questi investimenti risulteranno proficui solo se ritroveranno

riscontro con una fornitura continua del prodotto o del servizio nel tempo al medesimo

buyer.

Infine, il ciclo di vendita solitamente è lungo e la negoziazione richiede cicli lunghi

di trattative e anche questo rivela ancora una necessità di instaurare relazioni durevoli.

1.8.2 I fattori scatenanti la necessità di un nuovo approccio

Non è stato casuale che l’adozione dell’approccio relazionale e il suo successo tra le

imprese abbia preso il via proprio negli anni Settanta e poi consolidatosi nei decenni

successivi.

È il periodo infatti di una forte intensità competitiva che richiede maggiori sforzi e

propone sfide più complesse che le aziende devono affrontare per difendere o conquistarsi

un posto nel mercato. Sono ben articolate da Giulivi (2001) le determinanti che hanno

avuto un impatto nel far percepire al mondo economico il bisogno di un nuovo approccio,

quello relazionale (Figura 9).

Incertezza

Intensità

Competitività

Gap di risorse

Strategia

relazionale

Globalizzazione

Virtualizzazione

Deregolamentazione

Tecnologia

Customizzazione

Informazione

Multimedialità

Tempo

Concentrazione

Frammentazione

Articolazione

Variabilità

Figura 9 Le variabili di mercato che conducono alla strategia relazionale. Adattamento da Giulivi (2001)

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Fra tutti spicca la globalizzazione, un processo che ha imposto alle imprese un

nuovo modo di intendere i rapporti, sia commerciali che non, all’interno e all’esterno

dell’impresa, richiedendo una sistematicità e una vera e propria strategia nella gestione

degli stessi.

Non si può non citare inoltre anche l’influenza che internet e le nuove tecnologie

che hanno appunto offerto nuovi strumenti per relazionarsi in un modo innovativo fuori

dai classici schemi.

È in un contesto competitivo sempre più ostico e dinamico come quello appena

descritto, dove c’è un continuo rincorrersi ed imitarsi, che spicca il valore delle relazioni,

considerate una fonte di vantaggio competitivo sostenibile per le imprese grazie alla

intrinseca difficoltà di imitazione da parte dei competitor (Guerini, 2004; Albadvi e

Hosseini, 2011).

1.8.3 La storia del paradigma relazionale nella letteratura del marketing

La cura delle relazioni, come si evince da quanto detto sinora, deve quindi appartenere al

marketing delle aziende B2B, ma questo in letteratura, così come anche nella pratica, non

è stato affatto un processo scontato.

Si prosegue quindi con un breve excursus storico con l’illustrazione delle tappe

fondamentali che lo hanno segnato.

I primi passi sono stati mossi da McGarry negli anni Cinquanta che per primo ebbe

l’intuizione di inserire tra le attività del marketing la gestione dei contatti e lo sviluppo di

rapporti interdipendenti tra l’impresa e gli stakeholder. Vi si trovano però anche pareri

discordanti, come ad esempio quello di LaPlaca e da Silva (2016), che sostengono

fortemente che le prime elaborazioni sul tema siano risalenti addirittura all’Ottocento con

il contributo di John Wanamaker. Secondo gli autori, a Wanamaker non viene

riconosciuto sufficiente merito intellettuale dei suoi studi in materia. Wanamaker avrebbe

infatti elaborato per primo il concetto di mutualità e intuito come questo fosse un requisito

imprescindibile dell’esistenza delle relazioni business, ma anche, soprattutto, l’unica via

praticabile per raggiungere la soddisfazione a lungo termine della propria clientela nel

rispetto di tutti gli stakeholder e in maniera sostenibile.

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Agli anni Sessanta si deve invece l’interessamento verso il tema della cooperazione

tra i vari attori lungo la filiera in una prospettiva anche di marketing relazionale.

Il passo decisivo è stato compiuto negli anni Settanta, quando apparve chiaro che il

paradigma dominante del management poco si prestasse all’interpretazione del mercato

business to business, e di quello consumer relativamente ai servizi. Gli esperti del campo

hanno quindi cercato di formulare un paradigma alternativo che si nutrisse proprio di

quelle peculiarità proprie delle imprese B2B in primis e poi del mondo dei servizi in

generale. Nella sezione successiva verrà approfondito meglio questo passaggio nei suoi

tratti salienti.

Formalmente, si deve agli anni Ottanta, in particolare allo studioso Berry (1983)

l’introduzione del concetto di relationship marketing (Rasul, 2018)13.

È a partire dagli anni Novanta che il marketing relazionale ha espresso il suo

potenziale trovando applicazione anche nel mercato dei beni di consumo ed oggi è tra gli

approcci più utilizzati, complici i nuovi strumenti tecnologici che hanno reso la gestione

delle relazioni più pratica ed economica.

1.8.4 Il passaggio dal marketing tradizionale al marketing relazionale

Prima di procedere a illustrare il processo di transizione dall’approccio tradizionale a

quello relazionale sopra menzionato, si ritiene opportuno chiarire, in prima battuta, che

cosa effettivamente costituisca il marketing nella sua accezione tradizionale.

È da Kotler (1967) 14 che si possono estrapolare le attività tipiche della funzione del

marketing tradizionale, ovvero:

processi decisionali e di analisi finalizzati alla predisposizione di piani e

programmi;

processi operativi volti alla decisione del marketing mix;

modelli e tecniche di mercato e gestione.

13 Rasul T., (2018) “Relationship marketing’s importance in modern corporate culture”, The journal of

developing areas, 52:1 14 Si tratta della prima edizione del volume di “Marketing Management” pubblicata appunto nel 1967.

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Fondamentalmente i compiti del marketing erano quindi l’analisi dell’assetto

competitivo con lo scopo di definire la segmentazione, la differenziazione, il

posizionamento oltre che la gestione delle classiche 4P, ovvero Price, Product,

Promotion, Place.

Non compare di fatto il concetto di relazione, in quanto la prospettiva adottata è

unidirezionale in cui il cliente viene considerato come mero destinatario, se non bersaglio.

Inoltre, il nucleo di partenza di ogni strategia è la singola transazione tra cliente e

azienda, dove assume un ruolo preponderante l’aspetto economico (Hoekstra, Leeflang e

Witting,1999, in Guerini, 2001).

Fisicamente parlando, la funzione marketing era confinata a un ufficio a sé stante,

all’interno dell’azienda senza il coinvolgimento delle altre funzioni aziendali.

Questo paradigma ha però evidenziato dei limiti, soprattutto a partire dagli anni

Settanta quando il contesto in cui le imprese erano solite operare si è fatto più competitivo.

Gli esperti quindi di fronte alle incongruenze tra la realtà e teoria, hanno iniziato a cercare

soluzioni alternative, a partire dalla rielaborazione di studi già esistenti fino ad arrivare

alla formulazione di nuove idee che partono da assunti differenti propri del mercato B2B.

Così si iniziò a parlare di marketing relazionale come di un approccio adatto al

mercato B2B e al mercato dei servizi che si pone come obiettivo quello di imbastire,

negoziare e gestire le relazioni di scambio con gruppi chiave di interesse al fine di

perseguire vantaggi competitivi sostenibili in specifici mercati, sulla base di accordi a

lungo termine con clienti e fornitori. Secondo questa impostazione, il marketing andrebbe

inteso come la gestione delle relazioni in un lungo periodo. Al centro di ogni scambio tra

cliente e fornitore quindi va messo il cliente e la soddisfazione delle sue aspettative sulla

qualità e sul servizio offerti.

Sulla base di questa premessa allora, ogni attore coinvolto nello scambio assume

un ruolo attivo e di conseguenza ogni strategia avrà un orizzonte temporale medio/lungo

per permettere alla relazione di crearsi e consolidarsi.

Nella tabella sottostante (Tabella 1) si riportano in sintesi i passaggi cruciali tra i

due paradigmi.

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Marketing transazionale Marketing relazionale Orientamento alla singola transazione Orientamento alla relazione e alla fidelizzazione

Approccio basato sull’azione Approccio basato sull’interazione

Atteggiamento competitivo e conflittuale Atteggiamento collaborativo

Ruolo passivo del cliente Ruolo attivo del cliente

Prospettiva statica Prospettiva dinamico-evolutiva

Discontinuità dei contatti con il cliente Continuità dei contatti con il cliente

Orientamento al breve periodo Orientamento al lungo periodo

Focus sul prodotto Focus sul valore per il cliente

Acquisizione nuovi clienti Mantenimento dei clienti in portafoglio

Limitato impegno nella soddisfazione delle

esigenze del cliente

Elevato impegno nella soddisfazione del cliente

Bassa interdipendenza Alta interdipendenza

Qualità come obiettivo della produzione Qualità come obiettivo di tutti i processi di

formazione del valore

Qualità dell’output Qualità della relazione

Enfasi sulle attività di prevendita Enfasi su assistenza post vendita e customer

service

Produzione di massa Customerizzazione di massa e personalizzazione

Tabella 1 Marketing tradizionale e marketing relazionale a confronto. Adattamento da Guerini (2004)

1.8.5 Il marketing relazionale oggi

Nel tempo il paradigma del marketing tradizionale non è scomparso ma è stato riproposto

sulla base di queste nuovi adattamenti propri del marketing relazionale. Come sottolineato

da Rasul (2018)15 oggi più che mai è impossibile negare l’importanza di un approccio

relazionale del marketing per il successo di un’azienda. È oramai consolidato che le

imprese per avere successo e generare brand equity devono puntare in maniera strategica

sulla gestione della rete di relazioni in un’ottica di mutuo beneficio e in una prospettiva

di lungo periodo. È proprio questo il meccanismo su cui si fonda la co-creazione del

valore.

In particolare, gestire le relazioni significa capire forza e debolezza dei legami con

gli stakeholder e l’importanza dello scambio e della condivisione di informazione tra di

essi (Kotler e Keller, 2006).

Oggi è tra gli approcci più utilizzati, complici anche i nuovi strumenti tecnologici

che hanno reso la gestione delle relazioni più pratica ed economica. In questo senso i

15 Rasul T., (2018) Relationship marketing’s importance in modern corporate culture, The journal of

developing areas, 52:1

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social si stanno dimostrando un valido alleato ma non sempre questa opportunità viene

colta e sfruttata al massimo delle sue potenzialità (Prasongsukarn, 2006 in Rasul 2018).

Questo connubio tra marketing relazionale e social media verrà approfondito in modo più

puntuale nel corso dell’elaborato.

Quanto appena detto sul binomio relazioni-social media costituisce una delle tante

sfide su cui gli studiosi, nei tempi più recenti, si stanno cimentando per mettere in luce

aspetti più specifici e fornire un supporto a chi opera direttamente sul campo. Di seguito

vengono presentati alcuni tra i più temi più accesi e interessanti su cui vertono le ricerche

più recenti sul tema.

La mappatura delle relazioni

Tra i gap presenti in letteratura c’è sicuramente di metodo per l’assegnazione di un valore

alle singole relazioni che si intrattengono in modo poi da segmentare, selezionare e

concentrarsi su quelle con un più alto valore. Il trend degli ultimi anni delle imprese è la

concentrazione degli sforzi verso relazioni sempre meno numerose ma più strette (Ulaga

e Eggert, 2006 in Saura, Deltoro e Taulet, 2009). Un elemento utile nella discriminazione

dei partner è il Customer Lifetime Value (CLV, che nel caso business diventa BCLV),

ovvero il guadagno che un cliente può generare nel tempo all’azienda. A questo proposito

gli studiosi Albadvi e Hosseini hanno proposto il seguente schema (Figura 10) per

mappare queste relazioni in un’ottica di strategica. In breve, si tratta di ottenere un unico

schema finale in cui siano evidenziati le interconnessioni tra l’azienda in questione (focal

company) e gli altri stakeholder (star schema), e allo stesso tempo anche le relazioni tra

gli stakeholder stessi (community schema) mettendo in luce, per ogni coppia, quale sia

l’oggetto scambiato, specificando se tangibile o intangibile e il verso dello scambio, se

unidirezionale o bidirezionale. In questo modo il marketing e l’azienda dovrebbero

riuscire ad ottenere un quadro tangibile, completo e dettagliato della situazione che possa

essere sfruttata come punto di partenza per il proprio operato.

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Relazione tra relationship value, trust, satisfaction e loyalty, commitment

Dato per vero il valore di un rapporto continuativo nel tempo, si pone la questione su

quali siano gli ingredienti che rendano possibile tutto questo.

La transazione dal paradigma tradizionale a quello relazionale porta con sé anche

lo spostamento dell’attenzione dagli elementi tangibili a favore di quelli intangibili che

nutrono le relazioni (Vargo e Lusch, 2004 in Saura, Deltoro e Taulet, 2009). Oltretutto,

fra i fattori intangibili, indagando la letteratura in tema relationship marketing si evince

la predilezione per lo studio di variabili come trust, commitment, loyalty, relationship

1. Describing the

focal company

2. Recognizing the

business customers

3. Identifying the

value exchanges

3.1 Focal-customer

value exchanges

3.2 Customer-customer

value with exchanges

4. Finalizing the value

exchanges

5. Mapping the BCVN

Star schema Community

schema

6. Concluding the final map

(Compound schema of BCVN)

Figura 10 Le fasi per la mappatura del valore delle relazioni.

(Adattamento personale da Albadvi e Hosseini, 2011)

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value piuttosto che temi con connotazioni negative quali potere, opportunismo e conflitto

ad esempio. L’insieme di queste caratteristiche relazionali è stato variamente etichettato,

da norme relazionali a capitale relazionale, oltre che connettori relazionali (Vosgerau,

Anderson, Ross, 2008)16.

Prima di elaborare e verificare le relazioni esistenti tra trust, loyalty, commitment e

satisfaction e relational value, lo sforzo degli studiosi si è concentrato anche

nell’elaborazione delle definizioni degli stessi termini ed espressioni in una prospettiva

relazionale e inerente alla sfera business to business.

Si presentano di seguito le terminologie con le relative definizioni.

Relationship value

Il valore ha significati polisemici, ma in un’ottica relazionale viene definito come:

“…the trade off between the multiple benefits and sacrifices of the supplier’s supply, as

perceived by the main deciders in the customer organization, taking into consideration

the offers from the available alternative suppliers in a specific use situation (Eggert e

Ulaga,

2002, in Saura, Deltoro e Taulet, 2009).

L’espressione è quindi presentata in termini di trade-off tra i molteplici benefici e

sacrifici nel rapporto acquirente-fornitore, sebbene il tema sia ancora immaturo e in corso

di approfondimenti da parte degli studiosi (Confente e Russo, 2017).

Trust e Commitment

Morgan e Hunt (1994) hanno posto al centro della teoria del marketing relazionale i

concetti di trust e commitment.

La fiducia, così come il concetto di commitment, vengono reputati in letteratura

come ingredienti imprescindibile per lo sviluppo di relazioni proficue e di lunga durata

nel mercato business to business.

In particolare, il termine di trust è inteso come:

16 Vosgerau J., Anderson E., Ross W.T Jr., (2008) “Can innacurate perceptions in business-to-business

(B2B) relationships be beneficial”, Marketing Science, 27:2, pp. 205-224

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“…the firm’s belief that another company will perform actions that will result in

positive outcomes for the firm, as well as not take unexpected actions that would result in

negative outcomes for the firm (Anderson and Narus, 1990 in Saura, Deltoro e Taulet,

2009).

Si evince quindi che la condizione sine qua non della necessità di fiducia sia la

vulnerabilità delle parti, ovvero il gioco di interdipendenze che sussiste per il

raggiungimento dei relativi obiettivi ambiti.

Per commitment invece si intende la convinzione di un partner che la relazione sia

talmente importante da giustificarne sforzi e sacrifici per garantirne la sua lunga durata.

Satisfaction

In materia di soddisfazione del cliente, la letteratura B2B prende in prestito quanto già

ormai noto nell’ambito B2C. Un qualunque centro d’acquisto si può ritenere soddisfatto

se l’intera esperienza di acquisto e uso del prodotto o del servizio è stata nel complesso

positiva comparata con le aspettative a riguardo (Saura, Deltoro e Taulet, 2009).

Loyalty

La fedeltà dei propri clienti costituisce un elemento strategico e fonte di vantaggio

competitivo per le imprese. L’importanza della customer loyalty è sintetizzata in quel

concetto di Customer Lifetime Value di cui si è prima brevemente trattato. Come ribadito

da Russo e Confente (2017) e Saura, Deltoro e Taulet (2009) la fedeltà si manifesta sotto

forma di due dimensioni complementari, da un lato quello comportamentale, dall’altro

quello affettivo:

“…loyalty is the degree to which a customer exhibits repeat purchasing behavior from a

service provider, possesses a positive attitudinal disposition toward the provider, and

considers using only this provider when a need for this service arises. (Gremler e Brown,

1996, in e Saura, Deltoro e Taulet 2009).

Per quanto riguarda le interconnessioni tra le variabili appena definite, si espone

sinteticamente quanto emerso recentemente dalle indagini empiriche di alcuni studiosi:

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il relationship value emerge come una variabile critica che contribuisce

positivamente a generare trust, commitment e satisfaction all’interno delle

relazioni, producendo così effetti sulla fedeltà del cliente (Saura, Deltoro e

Taulet 2009);

esiste un diretto e significativo impatto di commitment e satisfaction

nell’incrementare la loyalty (Lee M., Kang M. e Kang J.; Saura, Deltoro e

Taulet 2009);

manca un effetto diretto di variabili appartenenti alla sfera affettiva, quali il

trust, su azioni comportamentali come la loyalty. L’effetto c’è ma è indiretto,

ovvero il trust condiziona la loyalty tramite l’effetto sul commitment (Ulaga e

Eggert, 2006, Shabbir et al, 2007, Tian et al, 2008 in Saura, Deltoro e Taulet

2009);

sono i costi di transazione ad avere maggiore influenza sulla customer loyalty

(Confente e Russo, 2017);

la customer loyalty si ottiene costruendo un’immagine affidabile di sé;

la customer satisfaction da sola non è sufficiente per creare relazioni di lungo

periodo, occorre creare valore aggiunto con la customer service (Confente e

Russo, 2017);

commitment e trust portano alla customer retention.

1.9 La comunicazione nel mercato B2B

1.9.1 Introduzione al concetto di comunicazione

Prima di contestualizzare la comunicazione nell’ambito aziendale e poi più nello

specifico in quello del mercato B2B, si ritiene opportuno offrire una breve panoramica

sui capisaldi della comunicazione in termini generali.

Paul Waztlawick17 (1967) ha notevolmente contribuito all’arricchimento della

conoscenza in materia. Indubbiamente, gli assiomi della comunicazione da lui formulati

17 Paul Watzlawick (1921-2007) è stato uno psicologo austriaco che nel 1967, assieme a Janet Beavin

Bavelas e Don D. Jackson nel Mental Research Institute di Palo Alto, sviluppò la teoria della

comunicazione umana intitolata “Pragmatica della comunicazione umana”, considerata pietra miliare

della comunicazione interpersonale per la terapia in ambito familiare.

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esprimono verità senza tempo, che sopravvivono ai cambiamenti e alle innovazioni

tecnologiche nel campo della comunicazione. Ai fini del presente lavoro, hanno

particolare rilevanza questi tre, ossia:

non si può non comunicare;

ogni comunicazione ha una componente di contenuto e una di relazione;

gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari.

Molto semplicemente, il processo di comunicazione si palesa in una serie di

passaggi che trasmettono un messaggio da un emittente a un ricevente. Tale processo è

stato oggetto di varie rappresentazioni schematiche che hanno progressivamente

arricchito di nuove variabili la letteratura in merito.

1.9.2 La comunicazione aziendale

Spostando l’attenzione al contesto aziendale, la comunicazione svolge una funzione

imprescindibile.

La comunicazione aziendale si definisce come un processo di comprensione e

condivisione delle informazioni tra le persone all'interno e all'esterno di

un'organizzazione (McLean e Moman 2012; Pearson e Nelson 2000 in Gesell, Glas ed

Essig 2018). Lo scopo è quindi quello di assistere l'organizzazione nel raggiungimento

dei suoi obiettivi indirizzando contenuti diversi all’intera platea di stakeholder. Si

forniscono quindi informazioni sull’identità aziendale, sulla propria offerta di prodotti e

servizi e anche sulla situazione economico-finanziaria. Giacomazzi (2002), a seconda

dello specifico obbiettivo da perseguire, distingue così le varie tipologie di

comunicazione:

comunicazione istituzionale, tramite cui l’impresa intende influenzare gli

stakeholder sull’immagine e il posizionamento d’impresa;

comunicazione commerciale, che a sua volta si distingue in comunicazione

di marca che mira alla costruzione e alla gestione dell’immagine di marca,

e la comunicazione di prodotto;

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Comunicazione interna, che si indirizza a dipendenti, organizzazioni

sindacali e il gruppo dirigenziale.

La comunicazione d’impresa, di qualunque tipologia essa sia, rappresenta una leva

del marketing operativo in stretta connessione con le altre leve (Signori, 2008)18.

Nella figura sottostante (Figura 11) si contestualizzano i modelli classici della

comunicazione nell’ambito aziendale costruendo così un quadro olistico dei fattori chiave

del processo. Un elemento degno di particolare attenzione è come i contenuti e le

codifiche del messaggio di comunicazione aziendale debbano discendere dagli obiettivi

di marketing, e indirettamente da quelli strategici. È inoltre interessante mostrare la

complessità della ricezione del messaggio che coinvolge sia riceventi diretti che indiretti

sotto l’effetto delle influenze di contesto.

Figura 11 La mappa del processo di comunicazione esterna aziendale. (Signori, 2008)

1.9.3 Il ruolo della comunicazione nel settore business to business

Il ruolo della comunicazione nelle imprese business to business è stato inizialmente

marginale. Ragionando in un’ottica transazionale, pressoché tutto lo sforzo comunicativo

era concentrato sull’attività della forza vendite che, approcciandosi direttamente con i

clienti, aveva l’incarico di persuadere e offrire loro tutte le informazioni richieste in

18 Signori P., Visioni, percorsi e verifiche nei controlli manageriali. Applicazioni al marketing e alla

comunicazione, Milano, McGraw-Hill, 2008

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maniera unidirezionale (Uslenghi, 2004; Hänninen e Karjaluoto, 2017; Grönroos Ch.,

2004)19. Cercando di costruire una scala gerarchica delle leve del marketing mix in un

contesto business to business, sono il prezzo e il prodotto a primeggiare di gran lunga

sulla comunicazione.

Il peso della funzione comunicativa ha invece iniziato ad acquisire maggiore credito

con la progressiva affermazione del paradigma relazionale, discusso in precedenza. Si

realizza quanto sia limitativo intendere la comunicazione solo come mezzo con cui

promuovere un prodotto o servizio quando invece essa riveste un ruolo chiave e

determinante nella costruzione, sviluppo e continuità a lungo termine delle relazioni

(Anderson e Narus 1990; Mohr e Spekman 1994; Murphy e Sashi 2018 in Gesell, Glas

ed Essig 2018; Hänninen e Karjaluoto, 2017). Nello specifico della relazione cliente-

fornitore, il fattore comunicazione interviene con una funzione di mediazione nella

trasformazione del valore percepito dal cliente in lealtà, sia nella sua forma attitudinale

che comportamentale (Gilliland and Johnston, 1997; Keller, 2009 in Hänninen e

Karjaluoto, 2017), oltre ad avere un ruolo sulla customer satisfaction.

1.9.4 Verso un nuovo modo di comunicare

Le strategie di comunicazione dei mercati B2B e B2C vengono normalmente viste come

se fossero due universi paralleli ognuno con le proprie regole dettate dalla diversa natura

dei rispettivi clienti: da un lato il consumatore che, seppur sempre più evoluto, è guidato

dall’impulso emotivo, generalizzando molto la categoria, dall’altro il buyer industriale

mosso da obiettivi puramente utilitaristici.

I confini così netti, tra una comunicazione emotiva per i consumatori e una

comunicazione invece fredda e del tutto informativa per i buyer industriali, stanno invece

lasciando spazio a contaminazioni da entrambe le parti, andando verso una convergenza

dei due mondi.

19 Grönroos Ch., (2004) "The relationship marketing process: communication, interaction, dialogue,

value", Journal of Business & Industrial Marketing, 19:2, pp. 99-113,

https://doi.org/10.1108/08858620410523981

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Adottando il punto di vista business, in un clima di continui e rapidi cambiamenti

anche la comunicazione ne viene pervasa e sollecitata a modificarsi sotto molteplici punti

di vista: i contenuti, lo stile, i mezzi di comunicazione.

Contenuti

Uslenghi (2004) ha ben espresso la tradizione di un contenuto serio e razionale della

comunicazione business, coerente con l’immagine professionale e impassibile del buyer

industriale. Ne segue quindi che il contenuto debba caratterizzarsi per indicazioni

particolareggiate sugli attributi tangibili del prodotto o servizio, sui vantaggi per

l’utilizzatore e sulle modalità di impiego o fruizione. Ecco quindi la netta dominanza di

testi prolissi, che si soffermano su spiegazioni dettagliate, demo, schede tecniche

accompagnate da tabelle e schemi. Questa è detta strategia dell’hard selling.

Se si pensa ai bisogni relazionali sopra menzionati e alla componente emotiva insita

in ogni persona, risulta limitativo puntare solo sulla proposta di contenuti solo sugli

aspetti tecnici e funzionali. I clienti, infatti, in fin dei conti acquistano molto più che

prodotti o servizi, ovvero anche affidabilità, lealtà, serietà e competenza.

Ne consegue quindi che l’impresa debba comunicare insieme alle caratteristiche del

prodotto, anche la propria competenza, l’onestà, la continuità, l’attenzione, i valori etici

che si garantisce all’acquirente oltre ovviamente ad un buon prodotto o servizio. La

qualità e il prezzo del prodotto rimangono necessarie ma non sufficienti per assicurarsi la

preferenza dei clienti.

Stile

Anche dal punto di vista stilistico si registra un cambio di rotta.

L’aspetto visual da molto essenziale e realistico cerca sempre più di rappresentare

immagini più gradevoli, aggiungendo ad esempio alle foto dei prodotti anche

un’ambientazione piacevole per chi guarda.

Anche in merito alla scrittura, c’è da sottolineare come si cerchi di smussare la

rigidità dell’esposizione, ad esempio sfruttando l’uso di figure retoriche.

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Mezzi di comunicazione

Sotto l’aspetto dei canali di comunicazione, studi empirici fanno emergere come per i

buyer stiano acquisendo crescente importanza anche fonti di informazioni non

tradizionali, quali informazioni da terze parti, siti web, telefonate, fiere, email (Adamson

et al., 2012 in Hänninen e Karjaluoto, 2017) e social media (Järvinen et al., 2012 in

Hänninen e Karjaluoto, 2017). Per quanto riguarda questo ultimo aspetto, il tema è ancora

acerbo sia nella pratica che nella letteratura (LaPlaca e Da Silva 2016; Hänninen e

Karjaluoto, 2017).

Alla luce di quanto esposto, non si può di certo sostenere che si stia assistendo ad

una conversione della comunicazione business to business al puro intrattenimento. Quello

che non si può negare, però, è una maggiore attenzione anche alla componente più

“leggera” sia da un punto di vista stilistico che contenutistico della comunicazione e un

timido utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione, quali i social media di cui si parlerà

in modo dettagliato nel corso della trattazione.

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CAPITOLO 2

IL SOCIAL MEDIA MARKETING

2.1 Internet: dalle origini del web alle prospettive future

È innegabile come le tecnologie e internet20 stiano rivoluzionando la società plasmandone

ogni suo aspetto, dal modo di fare business alla politica, dalla salute all’ambiente, o anche

semplicemente al modo di relazionarsi gli uni con gli altri (Dodson, 2016)21. Con un tasso

di crescita medio degli utilizzatori del 1.066% dal 2000 al 2018 (Internet Word Stats,

2018), Internet è ad oggi il principale mezzo di comunicazione, oltre a detenere anche il

primato sulla velocità di pubblicazione delle informazioni (Rudamn e Bruwar, 2016). A

questa crescita a quattro cifre, si è accompagnato un progresso tecnologico a favore di

device in grado di supportare la connessione in Rete.

Gli inarrestabili cambiamenti nel mondo del web continuano a susseguirsi a ritmi

sostenuti portando continue novità e trasformando quanto sembrava innovativo in

obsoleto in tempi brevissimi. Alcuni cambiamenti, però, sono stati talmente rivoluzionari

da scandire nella storia del web delle vere e proprie ere. Per offrire una panoramica di

questa evoluzione nei suoi tratti salienti si procede approfondendo la storia del web

soffermandosi sulle tappe principali.

2.1.1 La storia del Web

Il World Wide Web è il più grande contenitore di conoscenza della storia umana. A questo

patrimonio, nel giugno 2018 avevano accesso oltre 4,8 miliardi, pari a circa il 55% della

20 Internet è la contrazione della locuzione Interconnected Networks, che si traduce in Reti Interconnesse. 21 Dodson I., The art of digital marketing: The Definitive Guide to Creating Strategic, Targeted, and

Measurable Online Campaigns, New Jersey, John Wiley & Sons, Inc., Hoboken, 2016

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popolazione della Terra (Internet Growth Statistics, 2019)22. Prima dello sviluppo del

web le informazioni venivano recuperate attraverso una serie di passaggi e comandi

complicati per localizzare i dati, tra cui la preparazione di una connessione remota e il

download i dati in un computer locale, richiedendo pertanto una profonda conoscenza

informatica (Fumelli, 2017)23.

Probabilmente, l’anno in cui ha senso cominciare a parlare di storia del web è il

1989. A quell’epoca il ricercatore al CERN di Ginerva Tim Berners-Lee24 presentò una

bozza preliminare del protocollo di rete per il web in cui proponeva l’adozione dei

documenti ipertestuali25. Due anni dopo, più precisamente, il 6 agosto 1991 è la data

storica a cui risale la pubblicazione del primo sito web funzionante e accessibile da HTTP

con un indirizzo WWW. WorldWideWeb (Figura 12).

Figura 12 La prima pagina Web della storia. (Wikipedia, ultimo accesso: 29/12/2018)

A questa pagina ne sono susseguite moltissime altre, arrivando all’esosa cifra di

1.949.840.215 nel 201926. In parallelo a questa crescita, si sono verificate importanti

rivoluzioni digitali definite Web 1.0; Web 2.0; Web 3.0.

22 https://www.internetworldstats.com/emarketing.htm, (ultimo accesso: 22/01/2019) 23 https://www.webhouseit.com/la-storia-del-world-wide-web-in-breve/, (ultimo accesso: 01/01/2019). 24 Timothy John Berners-Lee è nato a Londra l’8 giugno 1955 ed è un noto informatico britannico vincitore

del premio Turing 2016. 25 Questa bozza è tutt’ora disponibile sul sito http://www.w3.org/Administrationon/HTandCERN.txt 26 Il dato è stato rilevato sul sito di Internet Lives Stats

http://www.univr.it/main?ent=catdoc&id=3007&uo=92 (ultimo accesso: 20/01/2019) che offre statistiche

in tempo reale su quanto accade sul web.

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La prima fase è stata chiamata in modo retrospettivo Web 1.0 e indicativamente

definisce il decennio 1990-2000. Essa è stata originariamente contrassegnata da

documenti statici. In particolare, i primi siti Web erano formati da un insieme di pagine

“statiche” con testo e immagini, concatenate da semplici link incrociati ed esclusivamente

realizzate in linguaggio HTML (Rudman, 2010 in Rudman e Bruwer, 2016; Fumelli,

2017). Si trattava di un ambiente virtuale in cui informazioni e dati venivano visualizzati

senza prevedere alcuna interazione con l’utente. Date queste caratteristiche, il web 1.0 è

stato etichettato anche come il “read-only Web”, in cui appunto l’utenza poteva solo

consultare le pagine passivamente. Ad oggi, benchè non siano la parte preponderante,

questa tipologia di siti permane ancora (Rudman, 2010 in Rudman e Bruwer, 2016).

La concettualizzazione della successiva visione del web 2.0 è attribuita a Tim

O’Reilly27, che nel 2004, nel corso di una conferenza, diede vita a questo termine per

definire l’importanza dei cambiamenti che stavano rivoluzionando la Rete. Si riferiva al

Web 2.0, detto anche “read-write web”, che ha segnato la rete dagli anni 2000 fino

all’incirca al 2006. Innanzitutto, con l’introduzione dei linguaggi di programmazione

dinamici, gli sviluppatori hanno permesso all’utenza anche non tecnica di interagire con

i contenuti dei siti internet. Inoltre, per la prima volta si è data grande importanza

all’aspetto della usability e al modo di condividere i contenuti da parte degli stessi utenti.

Il frutto di queste intuizioni sono quindi i Blogs, Wiki, Social Network e Forum. Di base

c’è lo sfruttamento del concetto della cosiddetta intelligenza collettiva. Se ne deduce una

nuova declinazione del web, ovvero quella dell’uso sociale tramite un gruppo di

applicazioni basate sui presupposti ideologici e tecnologici che consentono la creazione

e lo scambio di contenuti generati dagli stessi utenti. Si osserva pertanto il passaggio da

una filosofia “one to many” a quella “many to many” in cui il web prendeva le sembianze

di una piattaforma che veicola queste interazioni tramite l’uso anche nuove applicazioni,

le cosiddette mashup. Sono proprio queste applicazioni che permettono di ottenere la

maggior parte delle funzionalità usando il “software come un servizio”. I dati si

alimentano sfruttando e mixando sorgenti multiple generate dagli utenti che forniscono i

propri contenuti e servizi con modalità che ne consente il riutilizzo di altri creando la

27 Tom O’Reilly è il fondatore e amministratore delegato della casa editrice statunitense Media O’Reilly,

inizialmente O'Reilly & Associates, specializzata nella pubblicazione di libri e siti riguardanti l'informatica.

Una caratteristica peculiare delle loro pubblicazioni è la raffigurazione di animali sempre diversi sulla

copertina di ogni libro (Wikipedia, ultimo accesso: 04/01/2019).

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cosiddetta "architettura della partecipazione". Il risultato è una user experience sempre

più soddisfacente.

Con web 3.0 si intendono significati piuttosto diverse, non c’è ancora una

definizione univoca capace di offrire una perfetta chiarezza sul fenomeno. Sono però in

circolazione alcuni concetti chiave che in un futuro prossimo concorreranno alla sua

identificazione.

Quello che è certo è il web non ha smesso di evolversi entrando nel 2006 nella fase

del “read-write-execute web”. Fondamentalmente, non si tratta di mutamenti dovuti

all’introduzione di nuove tecnologie, bensì di reinventare quanto già disponibile verso

nuove prospettive d’utilizzo. Lo scenario prospettato è quello di un unico e vasto database

(“Data Web”) in cui le informazioni saranno agglomerate e che sarà utilizzabile in diverse

applicazioni per recuperare dati da fornire all’utenza.

Le intelligenze artificiali28 caratterizzeranno questa fase digitale grazie ad algoritmi

sempre più sofisticati che permetteranno un orientamento migliore resa in una rete sempre

più affollata.

Inoltre, ad affiancare il termine web in questa fase vi è l’aggettivo “semantico”. Si

può intendere come una declinazione del concetto di “Rete come database” e si tratta

dell’introduzione dei contenuti correlati a determinate parole chiave, che permettono una

ricerca di informazioni più performante. L’ambizione è quella di rendere i documenti

pubblicati (pagine HTML, file, immagini) interpretabili, cioè associarli a informazioni e

metadati che ne specifichino il contesto semantico in un formato adatto alla ricerca,

all'interpretazione e, più in generale, all'elaborazione automatica. Per fare ciò, il web

semantico si basa sul paradigma che qualunque tipo di fonte, e in particolare le fonti

informative non strutturate, siano codificate tutte con gli stessi criteri. Per rendere meglio

il concetto, si cita una metafora usata da uno dei co-fondatori dell’espressione Semantic-

Web, ovvero Jim Hendler:

“Se da una parte si trova la tua patente e dall’altra il numero di identificazione

della tua auto, ci deve essere un modo per collegare insieme queste due cose. Ci deve

essere un modo per le macchine per capire che queste due cose sono legate tra loro29”

28 Si definisce intelligenza artificiale un software capace di interagire con l’utenza. 29 Traduzione personale

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Come ultimo, un aspetto affascinante è la tridimensionalità che promette di

riprodurre la realtà in formato digitale grazie allo sviluppo di nuove sofisticate tecnologie.

Quindi non più una Rete di pagine, ma di veri e propri spazi in cui ci si “muove” per

trovare quanto si cerca. In questo campo, l’esperienza di Second Life è stata

probabilmente determinante30.

Osservando la situazione attuale, si può capire come ancora non ci sia stata una

piena realizzazione delle rivoluzioni caratterizzanti il web 3.0; si tratta infatti di uno stadio

iniziale di cui non si può prevedere la data precisa in cui giungerà alla piena realizzazione,

ma quello che con certezza si può affermare è che tutto ciò, presto o tardi si avvererà

(Metz, 2007)31.

Per concludere, la progressione delle tre fasi della rete può essere sintetizzata in

questo modo:

Web 1.0: pagine web statiche indirizzate ad un utente con ruolo passivo;

Web 2.0: nascita delle applicazioni mashup e l’interattività veicolata anche

dall’avvento del social (user-generated content);

Web 3.0: componente semantica32 e propensione verso la

tridimensionalità. Si rivoluziona il modo degli utenti di interagire con le

macchine e con la rete portando con sé nuovi rischi e opportunità (Rudman

e Bruwer, 2016).

30 Second Life è una piattaforma virtuale lanciata nel 2003 dalla società americana Linden Lab, fondata

alcuni anni prima da Philip Rosedale, imprenditore e fisico statunitense. Sostanzialmente è un sito internet

in cui gli utenti possono vivere una seconda vita digitale: possono scegliere dove e come muoversi,

comprare una casa, aprire un’attività commerciale, avere relazioni personali ed economiche. Ha avuto un

riscontro molto positivo dagli utenti per più di 10 anni consecutivi, mentre di recente ha registrato un alto

tasso di abbandono. (Il post, 2018). 31 Metz C., (2007) “Web 3.0. The Internet is changing…again”, PC Magazine, pp 74-79 32 Nel mondo informatico, si parla di intelligenza semantica per indicare quelle tecnologie in grado di

trasformare informazioni non strutturate, ad esempio i contenuti di un sito web, in un insieme (database) di

informazioni strutturate che può essere interpretato ed elaborato automaticamente sulla base delle proprietà

semantiche dei dati. In altre parole, l'intelligenza semantica è in grado di lavorare con i "concetti": ciò è

reso possibile dalla combinazione di analisi semantica e codici di mark-up, che riescono a tradurre in

linguaggio informatico i domini della conoscenza (anonimo).

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2.2 L’utilizzo di internet in Italia

2.2.1 Dalle origini di Internet in Italia alla situazione corrente

Presentata l’evoluzione del web, ci si focalizza ora sullo specifico caso italiano. Il

rapporto Internet Italia 201833, che restituisce informazioni sulla situazione dell’Italia e

Internet dal 2006 al 2016, contiene alcuni dati e riflessioni meritevoli di un

approfondimento al fine di presentare un quadro attuale e completo sulla questione.

Risale al 30 aprile 1986 il primo collegamento ad Internet in Italia che servì a

mettere in contatto l’Istituto del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnuce) a Pisa e la

stazione di Roaring Creek in Pennsylvania utilizzando la rete satellitare atlantica

SATNET con una linea da 28kbs. Con questo passo, l’Italia diventava il quarto paese

europeo, dopo Norvegia, Regno Unito e Germania, ad aver accesso alla rete. Se l’inizio

sembrava promettente, col passare degli anni il Paese ha rallentato i suoi ritmi

collocandosi sempre indietro nelle adozioni delle ICT al confronto con gli paesi europei.

Questo ritardo è confermato anche in un recente articolo apparso su “Il Sole 24 ORE” in

cui emerge che, secondo i dati Eurostat, l’Italia è quartultima per accesso al web, con solo

il 71% della popolazione che nel 2017 ha usato la rete (negli ultimi tre mesi dalla

rilevazione), contro una media europea dell’84%. Il dato è maggiore per i maschi (74%)

rispetto alle femmine (68%) e si riferisce alle sole persone tra 16 e 74 anni di età. Se nel

2007 l’Italia era la 23esima su 28 paesi censiti dall’istituto (con il 38%), ha perso una

posizione dieci anni più tardi, scivolando al 24esimo posto nel 201734. Pur essendoci

tuttora questo gap, c’è da segnalare come l’Italia abbia conosciuto miglioramenti

notevoli. Le persone che non hanno mai usato Internet, infatti, sono passate dal 63,0% al

32,7%, nel decennio tra il 2006 e il 2016. A questo sia aggiunge un aumento sia degli

33 La ricerca è frutto di un lavoro congiunto dell’Istat e FUB a cui hanno partecipato Emanuela Bologna,

Rita Fornari e Laura Zannella per l’Istat, Cosimo Dolente e Giacinto Matarazzo per la Fondazione Ugo

Bordoni (FUB). 34 https://nova.ilsole24ore.com/infodata/agenda-digitale-tra-gli-italiani-e-internet-non-e-mai-stato-vero-

amore/?refresh_ce=1 (ultimo accesso: 03/01/2019)

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utenti regolari di Internet del 28,9% sia degli utenti forti del 29,9%. Il grafico sottostante

(Grafico 1) restituisce una lettura più immediata di quanto appena espresso.

Grafico 1 Persone di 6 anni e più per utilizzo di Internet nel periodo 2006-2016 (valori percentuali). (Istat, 2018)

2.2.2 Le differenze generazionali

Il rapporto con le tecnologie ICT è per eccellenza l’ambito in cui sono molto nitide le

differenze generazionali che si palesano sotto forma di molteplici aspetti: diversità

nell’utilizzo; differenze negli scopi di utilizzo; device utilizzati.

Diversità nell’utilizzo

Sull’accesso a internet la situazione è la seguente: i maggiori utilizzatori sono la

generazione delle reti (1996 - 2010), a seguire i Millenials (1981 - 1995), la generazione

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X (1966 - 1980), i Baby Boomers (1946 - 1965), la generazione 0 (1926 - 1945) (Grafico

2).

Differenze nella tipologia degli usi

In base alle informazioni disponibili le attività principali svolte su internet sono:

attività di comunicazione;

attività culturali o ludiche;

attività legate al commercio elettronico e ai servizi bancari online.

L’utilizzo della rete per comunicare è l’attività più diffusa ed è trasversale a tutte le

generazioni. L’uso di Internet per comunicare è meno frequente fra i membri più anziani

della generazione dei baby boomers, ovvero i nati nel 1946-1950, per i quali si registra

anche un incremento modesto nel corso del decennio (soltanto due punti percentuali).

Per le attività di commercio elettronico via Internet, l’aumento maggiore della

percentuale di utilizzatori si osserva per i millennials.

Grafico 2 Tassi di utilizzo regolare di Internet nel periodo 2006-2016 per generazione, sesso e classi di età

(valori percentuali). (Istat, 2018)

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Per quanto riguarda l’utilizzo della rete per svolgere attività culturali o ludiche gli

incrementi maggiori si registrano per le due generazioni meno giovani: i baby boomers

(+33 punti percentuali) e la generazione di transizione (+28 punti percentuali).

A mitigare l’effetto età c’è l’istruzione, infatti il livello di istruzione è in grado di

annullare i divari tra le generazioni. I Baby boomers laureati utilizzano internet per

comunicare quanto i Millennials diplomati (95% circa) e più dei Millennials con un basso

titolo di studio (89% circa).

Device utilizzati

Se nei primi anni 2000 in Italia, e in generale anche nel resto del mondo, l’unico modo

per accedere ad internet era il computer, ad oggi i dispositivi si moltiplicati. Complice

l’innovazione tecnologica, i device per collegarsi in rete sono non solo aumentati, ma

hanno anche permesso l’utilizzo in mobilità.

Nel 2016 il 78,3% degli utenti regolari di Internet (di età maggiore di 15 anni) hanno

utilizzato uno smartphone per accedere alla Rete, il 49,6% un PC, il 31,1%, un laptop o

un netbook, il 28,8% un tablet e il 5,8% altri dispositivi mobili tra cui ebook, smartwatch.

È interessante sottolineare come prevalentemente la preferenza sia l’utilizzo di un solo

dispositivo (38,3%) o al più due (34,9%). La restante parte si suddivide tra chi ne utilizza

tre, il 19,3%, e una piccola nicchia, il 7,5%, che accede da quattro o cinque dispositivi.

Anche da questo punto di vista la variabile generazione ha una sua significativa

influenza. Se fino a 34 anni la tendenza è quella di combinare il PC con il cellulare, di cui

quasi un quarto accede esclusivamente tramite cellulare, per le persone con età 55 anni e

più prevale invece l’uso esclusivo del PC.

2.3 Le imprese italiane e Internet

Il 9° Censimento Generale dell’Industria dei Servizi e delle Istituzioni Non Profit

nell’offrire un “Check–Up delle imprese italiane” analizza anche il loro rapporto con

Internet. Quello che ne emerge è una debole capacità di sfruttare le opportunità offerte

dalla rete come strumento di informazione e comunicazione soprattutto da parte delle

microimprese. Infatti, solo il 77% delle imprese tra i 3 e 9 addetti dispone di una

connessione internet. Il 65,7% utilizza un collegamento in banda larga ed il 16,5% una

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connessione mobile. Significativo è il fatto che il 42,2% delle microimprese reputi

internet non necessario o inutile per l’attività che svolge. L’utilizzo di internet rimane

circoscritto ai servizi bancari e finanziari (62,8%), alla ricerca di informazioni (42,1%), e

allo svolgimento di procedure amministrative (26,9%). Un terzo delle microimprese

utilizza un sito web o pagine internet. L’opportunità di vendere on line tramite e-

commerce è sfruttata soltanto dal 5,1%, mentre il 23,4% dichiara invece di acquistare sul

web.

2.4 Il digital marketing

2.4.1 Introduzione al concetto di digital marketing

Il proliferare del web ha offerto terreno fertile a chi si occupa di marketing prospettando

nuovi orizzonti e portando profonde trasformazioni in termini di strumenti e strategie

(Piñeiro-Otero e Martínez-Rolán, 2016)35. Allo stato attuale la comunicazione online è

diventata parte essenziale del marketing operativo. Da questo connubio dei principi di

marketing e dell’offerta di Internet, in tutte le sue sfaccettature, ha tratto origine una

specifica disciplina: il digital marketing. Le espressioni che definiscono questo nuovo

fenomeno, provenienti sia dalla letteratura che dai marketer, sono varie; solo per citarne

alcune: Internet marketing, e-marketing, Web marketing e modern marketing. Nella

sostanza, comunque, si concorda nel dire che ognuna di queste espressioni, in modo

indistinto, rappresenti l’insieme delle attività di marketing che utilizzano i canali web per

sviluppare la propria rete commerciale, analizzare i trend di mercato, prevederne

l’andamento e creare offerte sul profilo del cliente target. Questa ramo del marketing si

nutre quindi delle continue innovazioni del web, del moltiplicarsi dei device e degli utenti,

e si distingue da quello tradizionale per la sua interattività, ubiquità e la effettiva

realizzazione della visione user/customer-centred (Piñeiro-Otero e Martínez-Rolán,

2016).

35 Piñeiro-Otero T., Martínez-Rolán X., Understanding Digital Marketing. Basics and Actions, Switzerland

Springer International Publishing, 2016

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2.4.2 Le fasi del Web in parallelo con quelle del digital marketing

Lo sviluppo all’approccio al marketing online è evoluto di pari passo con l’evoluzione

del Web che è stata presentata nei paragrafi precedenti. Come espresso da Peretti (2011)36,

le fasi di sviluppo legate alle strategie di marketing online sono sostanzialmente tre:

1) fase informativa;

2) fase relazionale - vendita;

3) fase collaborativa.

Parallelamente alla fase del web 1.0, gli obiettivi delle aziende rispetto a internet

erano relativi alla messa online di contenuti informativi rivolti a clienti attuali o

potenziali. La rete fungeva quindi da ulteriore canale di comunicazione dove lasciare

traccia della propria esistenza, della propria identità e del proprio portafoglio di prodotti

e servizi.

Nella seconda fase invece, le aziende cominciano ad apprezzare l’opportunità di

una comunicazione a due vie, con i clienti coinvolti attivamente alla costruzione di una

relazione (social media). La svolta che ha segnato il modo di fare business è anche

l’utilizzo del web come un nuovo canale di vendita, ovvero l’e-commerce che ha generato

negli anni un crescente successo.

La terza fase, che rispecchia anche lo stadio attuale, vede un ruolo del cliente

particolarmente attivo e stimolato dalle aziende che mirano ad instaurare un dialogo

brand-utente in un modo così diretto e spontaneo riducendo la distanza tra azienda e

consumatore ai minimi storici. Complici i nuovi media, in special modo i social network,

il consumatore accoglie l’invito delle aziende a co-creare l’identità di brand, come anche

allo sviluppo di nuovi prodotti.37 La nuova sfida del marketing online è quindi quella di

creare strategie capaci, non solo di coinvolgere i consumatori, ma anche di ascoltarli e

offrirgli il necessario supporto per accettare in maniera naturale e personale i brand.38

36 Peretti P, Marketing digitale: Scenari, Strategie, Strumenti, Milano, Apogeo, 2011 37 Esemplificativo è il contest “Crea il tuo gusto” attivato dall’azienda “San Carlo”, che arrivato alla sua

quarta edizione nel 2018, ha visto la partecipazione di oltre 250 mila consumatori che tramite i canali social

hanno espresso nuove proposte per un nuovo gusto di patatine da lanciare sul mercato dalla stessa azienda. 38 Pavanello L. Il marketing digitale. Il caso Porsche Italia: Tesi di Laurea magistrale in Marketing e

Comunicazione, Università Ca’Foscari di Venezia, a.a 2011-2012

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2.4.3 Gli strumenti del digital marketer

Al digital marketer competono tutte le attività di SEO e SEM, Content Marketing, e Social

Media Marketing, oltre che gestione di strumenti quali Google AdWords, l’Email

Marketing, la Lead Generation. Si spiegano brevemente i significati delle realtà appena

menzionate39.

Per attività SEO (Search Engine Optimization) si intende il processo attraverso il

quale si migliora la visibilità di un sito internet nei risultati di ricerca organica di un

motore di ricerca. La strategia si può implementare in due direzioni: SEO On-Page e SEO

Off-Page. Mentre la prima lavora direttamente sul sito tramite espedienti tecnici per

migliorare il posizionamento nei SERP (Search Engine Result Pages), la seconda si

concentra su quanto si possa fare all’esterno del sito per poter raggiungere il medesimo

risultato, ovvero una migliore visibilità del sito.

SEM (Search Engine Marketing) ha lo stesso obiettivo del SEO, cambiano solo gli

strumenti. Si tratta infatti di servirsi di pubblicità online a pagamento, ovvero

l’inserimento di riferimenti testuali di un’azienda in motore di ricerca, che verranno

visualizzati dagli utenti visualizzati nel momento della digitazione di specifiche keyword,

siano esse frasi o parole. Il modello è quello del Pay-Per-Click (PPC) all’interno di

Google AdWords o dei social media (es Facebook Ad). In questi circuiti l’inserzionista

acquista le keyword potenzialmente più rilevanti per la ricerca, per poi effettivamente

pagare solo quando il potenziale acquirente clicca sull’annuncio. Viene inglobato nel

SEM anche il contextual advertising, che crea un permette di collocare, dietro pagamento,

un’inserzione all’interno di un articolo sulla base delle affinità delle parole chiave.

Il Content Marketing è fondamentale per il raggiungimento dei principali obiettivi

del web marketing. Con l’espressione si intende l’attività di creazione condivisione di

contenuti strumentali all'acquisizione e al mantenimento di clienti. La finalità diretta non

è la vendita di prodotti e servizi, bensì instaurare con il pubblico una relazione duratura e

proficua per ambo le parti. Si sfruttano quindi, diversamente dalle attività di SEO e SEM,

i contenuti come video, guide e articoli. Lo scopo del content marketing non è

direttamente vendere ma informare il cliente per generare con esso una relazione stabile

fruttuosa e duratura. A fare chiarezza sull’argomento vi è il Content Marketing Institute

39 La letteratura in merito non è molto ampia, per questo si sono consultati soprattutto materiale online,

maggiormente blog come Ninja Marketing e Digital4Marketing.

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negli USA, mentre in Italia hanno contributo Alberto Maestri e Francesco Gavatorta con

il loro libro “Content Evolution” del 2015.

L'Email Marketing è una forma di marketing diretto (DEM) che si occupa di

sviluppare strategie nella fase di creazione e lancio di comunicazioni tramite email per il

target richiesto da un’azienda. Lo scopo di queste e-mail può essere vario: l’invio di

contenuti promozioni, il costante aggiornamento sulle news aziendali, gestione delle

relazioni di lungo periodo.

La Lead Generation si basa sul concetto dell’acquisizione dei lead, ovvero un

potenziale cliente ha manifestato un qualche interesse sui prodotti o servizi dell’azienda.

è quell’insieme di azioni di marketing che hanno come obiettivo l’acquisizione e la

generazione di contatti interessati. Si tratta quindi di riuscire a rintracciare e stilare una

lista dei contatti realmente interessati a cui poi indirizzare in modo efficiente ed efficiente

la propria offerta, col fine ultimo di trasformare questi lead in clienti fidelizzati.

Con Social Media Marketing si ingloba la serie di attività promozionali (acquisti

online, aumento di traffico verso i siti), di gestione delle relazioni con gli stakeholder,

posizionamento della marca, gestione delle risorse umane che oggi viene svolta sui social

media. Nel paragrafo successivo si provvederà a fornire un approfondimento maggiore

sull’argomento.

Come appare evidente tutti questi strumenti richiedono specifiche conoscenze e

competenze, con il continuo bisogno di aggiornamento. Appurato che digital marketer

non ci si improvvisa, si è creata la domanda di corsi dove poter apprendere quanto le basi

per potersi muovere con consapevolezza in questo mondo. Oltre a corsi e master,

universitari, Google stessa offre gratuitamente delle sessioni dove apprendere sfruttare le

nuove opportunità digitali per portare benefici alle aziende (Figura 13).

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Oltre a questi requisiti di tipo tecnico, la strategia di digital marketing impone la

creazione di sinergia tra tutti gli strumenti web al fine creare un tutt’uno armonioso.

Creare sinergia significa intendere ciascuno strumento del digital marketing come parte

di un tutto, e come compartimenti stagni. La visione unitaria si declina anche nel rapporto

tra offline e online, mirando all’integrazione di queste attività nel web con quelle

effettuate sui media più tradizionali in un’ottica di omnicanalità. Non bisogna trascurare

che accanto a “digital” si accompagna la parola “marketing”, che con i suoi principi

fondanti dovrebbe ispirare le decisioni in questo campo. Addentrandosi nel significato

profondo del digital marketing emerge quindi una notevole complessità che richiede

un’attenta, accurata e completa gestione strategica in tutte le sue fasi, da quella

preliminare all’analisi finali dei risultati ottenuti. A proposito dei risultati ottenuti il

digital marketing ha il vantaggio di permettere la misurazione di ogni attività e quindi il

monitoraggio costante i risultati raggiunti e quindi anche il confronto con gli obiettivi

generali prefissati.

Si può concludere dicendo che le opportunità offerte da Internet sono una risorsa

preziosa per le aziende. Questa risorsa, di per sé, non è però garante di risultati positivi.

La propria presenza online presuppone una strategia con obiettivi concreti che siano in

linea con il brand e l’immagine del business. La mancata pianificazione può significare

non solo di quanto investito in termini di tempo, risorse umane e denaro, ma addirittura

risvolti negativi sull’organizzazione, in termini di immagine, reputazione e credibilità del

brand (Piñeiro-Otero e Martínez-Rolán, 2016).

Figura 13 Schermate di inserzioni di Google per pubblicizzare un corso

di digital training. (Account personale di Instagram, 2019)

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2.4.4 Piano di digital marketing

Un piano di marketing digitale è un documento strategico che, a partire da un’analisi della

situazione corrente di un’azienda, fissa alcuni obiettivi di medio-lungo periodo da

raggiungere tramite gli strumenti del web. Gli obiettivi devono discendere da una più alta

strategia aziendale. Si formalizzano inoltre i responsabili di ciascuna attività, il time frame

e gli strumenti di controllo e monitoraggio. Molte sono le analogie con il piano di

marketing convenzionale, ma la differenza più caratterizzante è la flessibilità di quello

digitale. La flessibilità è infatti un requisito imprescindibile data la volubilità del web40

che con i suoi cambiamenti può stravolgere e rendere inefficace il piano.

Riguardo alla struttura del piano, non esiste il modello per eccellenza, si trovano

piuttosto delle linee guida capaci di indirizzare verso la stesura di un piano che risulti

ottimale. Una delle varianti è la costituzione di un piano di quattro fasi.

La prima fase è analitica in cui si mira ad ottenere conoscenza della propria identità

aziendale e dell’ambiente esterno:

mission, vision, value proposition

analisi SWOT, generale e online;

analisi dei competitors online;

ricerche di mercato online;

brand reputation;

analisi dei comportamenti di ricerca;

mappatura degli influencers online.

Segue la fase strategica in cui è necessario definire elementi importanti, ovvero:

obiettivi che siano misurabili, realistici, specifici, concordati, assegnati a

qualcuno, temporali e flessibili (Piñeiro-Otero e Martínez-Rolán, 2016; Per

essere adeguati gli obiettivi devono essere

target;

40 Un caso emblematico è la dichiarazione risalente a novembre del 2018 del CEO dei social network Marc

Zuckerberg. Come riportato maggiori testate nazionali e internazionali Zuckerberg sbalordiva tutti

esordendo con: “Sì, ho pensato di chiudere Facebook”.

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strategia generale;

posizionamento.

Nella terza fase, quella operativa in cui ci si addentra nella strategia generale per

l’esplicitazione di concrete tattiche:

media selection;

azioni principali.

Nella quarta e ultima fase avviene il monitoraggio, ovvero la definizione dei Key

Performance Indicators (KPIs) rilevanti che offrono un benchmark in cui inquadrare

l’andamento dei risultati rispetto agli obiettivi.

2.5 Il Social Media Marketing

2.5.1 Introduzione al Social Media Marketing

Riprendendo quanto spiegato nel paragrafo precedente, il social media marketing (SMM),

è uno degli ambiti del digital marketing e di seguito se ne propone un approfondimento,

coerentemente con lo scopo della trattazione. In particolare, l’obiettivo è quello di

rappresentare le nuove opportunità che i social media stanno offrendo alle imprese e alle

loro strategie di marketing.

Come ribadito anche da Zimmerman e Sahlin (2010), il social media marketing è

un nuovo potente strumento che esce dagli schemi dei media tradizionali, ma tutto quello

che si conosce del marketing è ancora valido. Si tratta di una nuova tecnica per

raggiungere obiettivi già noti per chi si occupa di marketing, non di un nuovo mondo.

I social media rappresentano uno strumento ideale per materializzare un incontro

duraturo tra domanda e offerta nel mercato, facendo leva sulle nuove potenzialità offerte

dalle tecnologie. Tutto ciò ha da subito affascinato e catturato l’attenzione dei marketers,

trattandosi anche di un canale relativamente facile da usare e senza barriere all’ingresso

Michaelidou et al. (2011). L’intuizione è stata quella di sfruttare i social media, frutto

del Web 2.0, imparando a cogliere le opportunità in essi insite, ossia l’interazione tra

utenti e l’azienda e la potenzialità di raggiungere un pubblico vastissimo a costi minimi.

Questo nuovo strumento mette in luce quanto il potere si stia spostando verso il

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consumatore che può influenzare la percezione di un marchio e le decisioni di acquisto di

altri utenti attraverso tali media online come LinkedIn, Facebook, Twitter e blog (Rotella,

2010).

Dietro al fascino di questa nuova disciplina si cela anche un mondo di incertezza,

velocità e imprevedibilità, dove si susseguono tendenze di cui è difficile stabilire a priori

la durata effettiva e quindi le strategie in merito sono sempre accompagnate da un certo

livello di rischio. Basti pensare, ad esempio, alle implicazioni economico-sociali delle

dichiarazioni di Zuckerberg, citate nei paragrafi precedenti, che ammetteva apertamente

di aver pensato di chiudere Facebook.

Quanto detto sulle competenze necessarie di digital marketing, va ancora di più

rimarcato in questo contesto. Per elevare i social media da piattaforme di svago e

passatempo per gli utenti a strumento di marketing, occorre munirsi di conoscenze e

competenze adeguate. Il social media marketing non va quindi sottovalutato, occorrono

persone con talento e conoscenze affinché tale strumento effettivamente concorra

positivamente al raggiungimento degli obiettivi aziendali. È solo in questo modo che i

manager potranno apprezzare il valore e il potenziale del social media, che in molti casi

sono oggetto di pregiudizio, considerati solo elemento di distrazione per i lavoratori con

influenze negative sulla loro produttività.

Oltre alle piattaforme e agli strumenti di social media, c’è bisogno di una

comprensione del processo di social media marketing che include il targeting del

pubblico, la definizione ed esecuzione della strategia, la gestione dei contenuti, il

monitoraggio e analisi dei risultati. In più, in questo ambiente spicca anche il requisito

della capacità di lavoro di squadra in quanto l’essenza dell’attività del digital marketer

richiede il coinvolgimento e la collaborazione con gran parte delle altre funzioni

aziendali, oltre che con un eventuale media team (Altimeter, 2011; Rangan, 2012 in

Atwong, 2015)41.

Un recente sondaggio del settore ha segnalato una carenza di talenti disponibili

nelle aree di marketing che coinvolgono social media marketing (Atwong, 2015)42. Si è

41 Atwong C.T., (2015) “A social media practicum: an action-learning approach to social media marketing

and analytics”, Marketing Education Review, 25:1, pp. 27–31, DOI: 10.1080/10528008.2015.999578

Questo è riconfermato ad esempio nell’intervista alla social media manager di Moretti SpA presente in

appendice A.

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generata infatti nel mercato delle aziende una domanda di talenti esperti capaci di

generare valore aggiunto per le imprese a partire proprio dai social media, e più in

generale dagli strumenti del digital marketing. Per soddisfare queste richieste negli anni

più recenti sono così sorti in tutto il mondo corsi online o tradizionali, per cercare di

sistematizzare e offrire una formazione in questa disciplina in continua evoluzione. Tra

le piattaforme virtuali più famose a livello mondiale vi è l’Online Marketing

Institute,43che offre, dietro corrispettivo economico, lezioni online sotto forma di video

di breve durata suddivisi per tematiche. Dal lato invece dei corsi universitari, si segnala

l’esempio dell’Università degli Studi di Verona che a partire dall’anno accademico

2017/2018 ha introdotto l’insegnamento di Digital Business & Web Marketing con

l’obiettivo di avvicinare gli studenti del corso di Marketing e Comunicazione d’Impresa

ai temi della digitalizzazione dei processi e delle attività di impresa, con un focus sulle

ripercussioni che la rete sta avendo nel marketing44.

2.5.2 I social media del Social Media Marketing

Spesso nell’uso comune si tende erroneamente a usare le espressioni “Social Media” e

“Social Network” come intercambiabili. I social network, però, sono solo una delle

categorie che compongono il vasto universo dei social media. Pertanto si ritiene

opportuno proporre una classificazione per fare chiarezza su quello che effettivamente si

intende per social media e come si raggruppano i diversi social al suo interno. Prima di

procedere sono d’obbligo alcune precisazioni. In primis, i confini fra essi non sono così

netti, in quanto le contaminazioni sono molto frequenti e gli aggiornamenti degli stessi

sono all’ordine del giorno. In secondo luogo, per quanto la globalizzazione abbia

determinato la diffusione dei social in tutto il mondo, permangono delle specificità che

variano da nazione a nazione, per motivazioni politiche piuttosto che socio-culturali che

hanno favorito il successo di certi social a scapito di altri. Negli ultimi anni molte sono

state le classificazioni di social media proposte da vari autori, tra le tante si propone quella

di Zimmerman e Sahlin (2010):

43 https://www.onlinemarketinginstitute.org/ (ultimo accesso: 09/02/2019) 44 https://www.univr.it/it/ (ultimo accesso: 10/02/2019)

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Blog

Servizi di Social Network

Social Network completi: Facebook e My Space

Social Network per messaggi brevi: Twitter e Plurk

Social Network Professionali

Altri Social Network

Social Media per la condivisione di:

Video: YouTube, Vimeo, Ustrema

Foto: Flickr, Photobucket, Picasa

Audio: Podcast Alley, Blogtalk radio

Social media per servizi di informazione

Servizi di geolocalizzazione e incontri

Servizi di community building

Siti di community building

Wikis

Piattaforme di recensione

Sono molto comuni anche classificazioni che sfruttano l’uso di infografiche, un

esempio è il Social Media Prisma, giunto ormai alla sua quinta versione 2017-2018

(Figura 14) elaborata dalla società tedesca di social media marketing Ethority45.

45 https://ethority.de/en/social-media-prism/ (ultimo accesso: 19/02/2019)

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Figura 14 Conversation in Social Media, version 5.0. (Ethority, 2018)

Fatta questa premessa su quanto effettivamente sia ampio e vario il mondo dei

social media, va da sé che ogni azienda dovrà compiere una scelta su quale sia il suo mix

più appropriato su cui concentrare strategicamente le proprie risorse che si sa essere

limitate. Tale combinazione dovrebbe essere ragionevolmente intesa come flessibile,

tenendo presente la continua e rapida evoluzione della tecnologia e delle preferenze dei

propri interlocutori.

Osservando il panorama delle imprese, le categorie social più comunemente usate

dalle imprese sono la categoria di blog e social network, e in particolare il social Facebook

e il microblog Twitter (Chan e Guillet, 2011; Enli e Skorgerbo, 2013 in Alves et al.,

2016).

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I blog, abbreviazione di web log, sono una sorta un diario online in cui una persona

ricopre il ruolo di gestore della pagina. La caratteristica peculiare è che i contenuti,

proposti sotto forma di post in ordine cronologico inverso, possono non solo essere

visualizzati ma i visitatori hanno anche la facoltà di esprimere il proprio pensiero

lasciando un commento. Per rimanere sempre aggiornati sui propri blog preferiti è inoltre

prevista l’iscrizione agli stessi.

Invece, un social network è uno spazio virtuale che consente agli utenti di costruire

un profilo privato, semipubblico, o pubblico e di interagire con una propria rete di contatti.

Osservando le dinamiche al suo interno, si palesa come la natura e la definizione delle

relazioni nell’ambito della rete sociale di utenti siano molto vari. L’evoluzione dei social

network nel tempo ha mostrato che, accanto alla crescita e allo sviluppo di social network

generalisti, ovvero aperti e rivolti a un pubblico potenziale di utenti ampia e

indifferenziata, in parallelo hanno trovato via via spazio anche servizi di tipo verticale

rivolti a gruppi predefiniti di audience. Il caso per eccellenza è LinkedIn, notoriamente

conosciuto come social network professionale. L’altro dato evidente è che, grazie

all’insieme degli strumenti e delle funzionalità sociali reso disponibile attraverso la

singola piattaforma, specie se di tipo generalista, il social network assume sempre di più

le caratteristiche di servizio web di tipo orizzontale, volto a soddisfare numerose e

differenti esigenze di navigazione dell’utente, arrivando a rappresentare, pertanto, il

principale ingresso al web per una quota sempre maggiore di soggetti.

Si approfondiscono quindi i principali social network e piattaforme di micro-

blogging più diffusi nel mondo business46.

Facebook

Facebook, grazie al suo bacino d’utenza e alle cifre che ruotano attorno ad esso, è senza

dubbio il social network per eccellenza. I dati sulla sua diffusione47 lo proclamano, ancora

nel 2018, come il social più diffuso sia nel territorio nazionale che nel mondo. Questa

piattaforma di social networking raccoglie infatti oltre 2 miliardi di utenti attivi in tutto

46 Si veda il paragrafo “2.2.6 L’utilizzo dei social media nelle imprese italiane” in cui si discute in maniera

più puntuale sui dati della effettiva diffusione dei social media in Italia. 47 Si veda il paragrafo successivo che offre informazioni più complete sulla diffusione dei social media in

Italia e nel mondo.

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il mondo48, e confrontando il dato con la popolazione mondiale, è facile intuire come la

porzione degli utilizzatori raggiunga una percentuale molto elevata. Gli utenti registrati

dispongono di un profilo personale in cui si crea una sorta di diario cronologico

accessibile ai propri amici, o all’intera comunità, con contenuti di vario genere inseriti o

condivisi dal soggetto. Il meccanismo è basato sull’invito ad altri utenti a diventare loro

"amici" e, una volta che una richiesta di amicizia è accettata, si diventa parte della rete

dell'utente. Gli amici possono scambiarsi messaggi privati, taggarsi nei post o scrivere

sulla bacheca dell’altro. È prevista inoltre una chat integrata (Messenger) che è di recente

diventata anche un’entità autonoma, in cui colloquiare privatamente con un amico o

gruppi di amici. In aggiunta, c’è la possibilità di unirsi ai “gruppi” organizzati per città,

luogo di lavoro, scuola, passione o altro.

Oltre alle persone, negli ultimi anni il trend è quello che vede la propria bacheca

popolarsi di sempre più pagine aziendali che lo hanno introdotto nel proprio

communication mix. Non si poteva infatti rimanere indifferenti a dati tanto elevati

generati da questo potente mezzo ed è così che la community di Facebook si è

gradualmente popolata di pagine aziendali, attirando non solo i grandi business ma anche

le piccole realtà.

YouTube

YouTube è una piattaforma di condivisione video gratuito fondato nel 2005 e dal 2006

proprietà di Google, che è diventato uno dei siti più popolari nel mondo. È prevista una

registrazione di un account che offre la possibilità di caricare e condividere un numero

illimitato di video. Questi account sono chiamati "canali" e possono essere marchiati per

incorporare il logo e i colori dell'utente. Inoltre, anche per poter usufruire delle

funzionalità di mettere “mi piace” e di commentare i contenuti presenti è richiesta

l’iscrizione, basta invece una semplice connessione ad Internet se l’utente intende

solamente visualizzare i contenuti già caricati da altri. I video possono essere riprodotti

sul sito web di YouTube o incorporati direttamente in un altro sito come può essere quello

di un'organizzazione. Quindi YouTube può essere considerato un servizio di hosting e

streaming video gratuito. Il suo successo mondiale è anche testimoniato anche da alcuni

48https://www.infodata.ilsole24ore.com/2018/08/15/la-mappa-delle-social-app-whatsapp-batte-facebook/

(ultimo accesso: 20/02/2019)

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numeri: oltre un miliardo di iscritti e altrettante sono le visualizzazioni giornaliere di

video sul canale.

Questi numeri straordinari non hanno lasciato indifferente il mondo business, che a

partire dalla creazione di un proprio canale ha reso questo social uno strumento

potentissimo di business. Le opportunità offerte spaziano vari ambiti, dalla brand

awareness, alla promozione di eventi, prodotti e servizi, all’attività di customer care e

post-vendita a obiettivi di gestione del training di clienti, dipendenti o partner.

LinkedIn

Fondato nel 2003, LinkedIn è oggi un sito di social networking business-oriented

principalmente utilizzato per professionisti con una logica di networking, originariamente

pensato per trovare lavoro in maniera semplice e creare connessioni. Gli utenti registrati

costruiscono la loro rete di contatti con persone che conoscono e/o che stimano

nell’ambito business, inviando o a loro volta accettando le richieste di "connessione"49.

Gli utenti registrati possono presentare informazioni sul loro stato attuale, posizione

attuale, posizioni passate, e l'educazione nel loro profilo. Le persone usano LinkedIn per

trovare lavoro, persone e opportunità di lavoro consigliate da chi è nella loro rete. I datori

di lavoro possono elencare lavori e cercare candidati mentre chi invece è in cerca di lavoro

può visitare il profilo dei responsabili delle assunzioni e potenziali datori di lavoro per

crearsi un’opinione sull’ambiente lavorativo. In generale, i professionisti usano LinkedIn

per rimanere in contatto con le proprie fonti di riferimento nell’ambiente business. Ad

oggi, sono più di 562 milioni gli iscritti a livello mondiale, di cui 11 milioni solo in Italia

(Il Sole 24 ORE, 2018)50.

Twitter

Twitter è un social media che rientra nella categoria dei micro-blogging, creato nel 2006

dalla Obvious Corporation di San Francisco, e divenuto molto popolare grazie soprattutto

alla sua facilità di utilizzo. In questo spazio virtuale viene consentito agli utenti registrati

di inviare e leggere brevi messaggi, meglio conosciuti come tweet. I tweet sono quindi

49 Kerin A.R., Rudelius W., Hartly W.S., Pellegrini., Marketing, McGraw Hill, 2014 50 https://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2018-05-03/linkedin-compie-15-anni-e-italia-e-terza-piu-

grande-community-workers-40-d-europa-154416.shtml?uuid=AEnUtMiE&refresh_ce=1 (ultimo accesso:

10/02/2019)

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post esclusivamente testuali contenenti fino a 140 caratteri, visualizzati sul profilo del

mittente pagina e consegnati ai seguaci del mittente che sono noti come follower. Gli

utenti registrati possono inviare e ricevere questi tweet tramite il sito Web Twitter, Short

Message Service o applicazioni esterne (ad esempio, TweetDeck o Twhirl). Twitter ha la

straordinaria capacità per un social media di indicizzare in maniera immediata qualsiasi

contenuto pubblicato nella sua piattaforma grazie all’uso degli hashtag, configurandosi

così come un perfetto motore di ricerca per rimanere aggiornati su quanto accade nel

mondo.

Alcune aziende hanno quindi integrato Twitter nella propria strategia avendo

imparato ad apprezzare e sfruttare le sue peculiarità. Gli obiettivi sono dei più vari,

dall’invio di messaggi sulle loro ultime notizie, eventi imminenti, articoli, scadenze,

consigli tecnici puntando all’instaurazione di un dialogo con i propri clienti. È possibile

incorporare i tweet recenti direttamente sul proprio sito web, rendendo possibile l’offerta

tempestiva di contenuti associati a Twitter e conferendo così dinamicità ad un sito che

poteva essere generalmente più statico.

Per quanto riguarda la sostenibilità economica di questi servizi, sin dal principio il

modello di business scelto per i social network è stato caratterizzato, similarmente agli

altri servizi web di tipo orizzontale, dalla valorizzazione dei contatti in termini

pubblicitari a fronte di un servizio completamente gratuito (o quasi) per gli utenti.

Dall’altro lato sono previsti una serie di servizi a pagamento nell’utilizzo dei social media

nell’ambito business.

2.5.3 La diffusione dei social network in Italia e nel mondo

Come emerge anche nel grafico sottostante (Grafico 3), nell’ultimo anno Facebook (66%)

conferma indiscusso il suo dominio a livello globale, sulle altre piattaforme social. A

seguire si trovano Pinterest, Twitter, YouTube, Instagram e Reddit51.

51 Reddit, definito come “The front page of the Internet”, è nato nel 2005 e rappresenta una grande

community virtuale in cui gli utenti pubblicano contenuti che vengono valutati dagli altri utenti in maniera

del tutto libera. I contenuti con più voti positivi si posizionano in testa alla home page secondo una logica

di pieno potere alla community. Questo social è molto popolare negli Stati Uniti.

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Grafico 3 La proporzione dell'utilizzo dei social network nel mondo da gennaio 2018 a gennaio 2019.

(StatCounter, ultimo accesso: 01/02/2019)

Secondo i dati Alexa (2018) (Tabella 2) che riporta informazioni sul numero di

utenti, Facebook primeggia superando la soglia dei due miliardi di utenti mensili, diffuso

in oltre il 90% dei territori del pianeta. Da questa fonte si ritrovano altri due social network

cinesi: Qzone con 568 milioni di utenti e Weibo, un sito di microblogging, quasi un ibrido

fra Facebook e Twitter, con 376 milioni di utenti. Infine, fra i 200 e i 300 milioni di utenti,

si collocano Twitter, Google+, Snapchat e Pinterest. Chiude l’elenco LinkedIn, che risulta

comunque essere il più diffuso social network professionale con circa 106 milioni di

utenti.

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Traslando l’attenzione solo sull’Italia, si riportano nella tabella sottostante (Tabella

3) i livelli di diffusione dei social network per dispositivi di connessione ed effettuando

anche delle comparazioni tra i dati nazionali a quelli globali.

Social

Network

Desktop Mobile Tablet Totale

Italia Mondo Italia Mondo Italia Mondo Italia Mondo

Facebook 53,0 47,4 75,2 72,5 50,6 44,4 70,3 65,9

Twitter 13,9 16,3 3,3 7,3 6,4 6,5 5,2 9,1

YouTube 12,8 8,3 2.1 2,9 1,6 1,7 3,9 4,0

Tumblr 7,4 2,7 0,42 0,0 1,6 0,7 1,7 0,0

Reddit

6,0 6,4 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 1,4

Pinterest 2,6 16,8 14,8 14,2 37,9 45,8 13,8 16,4

Instagram 0,0 0,0 3,6 2,1 0,0 0,0 3,0 1,7

Tabella 3 Diffusione dei social media in Italia e nel mondo secondo il criterio dei device utlizzati. (Rielaborazione

personale da dati Statcounter. ultimo accesso: 09/02/2019)

Emerge anche qui come Facebook si distacchi nettamente dagli altri servizi in Italia

e nel mondo. La sua diffusione in Italia risulta essere di circa 4 punti più alta di quella

mondiale. Quest’ultimo dato si spiega principalmente in termini di accesso da desktop e

tablet, mentre la diffusione per accesso da dispositivo mobile risulta quasi allineata a

Tabella 2 Numero medio di utenti attivi nel mese, su scala globale, per social network.

(Elaborazione FUB su dati Alexa, 2018)

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quella mondiale. Il Paese presenta diffusioni più alte alla media mondiale anche per altri

due social: più di un punto percentuale per Instagram che si dimostra essere usato

esclusivamente tramite dispositivo mobile riportando valori praticamente nulli per gli altri

device a prescindere dalla posizione geografica; analogamente per Tumbrl, l’Italia si

presenta a più di un punto sopra il livello mondiale ma con una situazione inversa rispetto

a Instagram, ovvero con valori superiori di diffusione per desktop e tablet rispetto al

mobile. YouTube è il social in cui si constata una situazione allineata tra Italia e mondo

circa il livello di diffusione generale e i device tramite cui gli utenti prediligono il suo

utilizzo, ovvero nell’ordine desktop, tablet e in ultimo il mobile. Gli altri social network

considerati, ovvero Twitter, Reddit e Pinterest presentano in Italia livelli di diffusione

totali inferiori alle medie mondiali.

Inoltre, il nostro paese presenta la specificità di avere livelli di accesso da desktop

sempre molto superiori rispetto a quello da mobile e da tablet, ad eccezione di Instagram

che è stato ideato quasi esclusivamente per i dispositivi mobili, e Pinterest.

2.5.4 Le strategie aziendali di Social Media Marketing

Per poter riuscire ad integrare efficacemente i social media nella strategia aziendale non

basta informarsi da fonti terze circa i trend generali e le caratteristiche tecniche. Per

diventare parte della comunità social, occorre cimentarsi in prima persona per capirne

preliminarmente la cultura e le dinamiche peculiari di ciascuna realtà, e solo

successivamente quindi iniziare a contribuire e poi trarre vantaggio dall'essere parte della

comunità.

Un passaggio obbligatorio è che un’azienda si chieda e identifichi bene innanzitutto gli

obiettivi da raggiungere. In base al budget, al know-know, al target di vendita e di

comunicazione, l’azienda, potrà optare per linee strategiche differenti di social media

marketing, nonché un percorso evolutivo:

Presidio. Si tratta del livello base, ovvero l’esigenza è quella di essere

semplicemente presenti con un account nei social media più coerenti in base

all’azienda, settore e obiettivi da raggiungere.

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Ascolto e monitoraggio. L’ascolto è una fase cruciale, assieme al monitoraggio

continuo. Quest’attività è necessario per mappare cosa si dice in rete dell’azienda,

dei prodotti e servizi associati, o dei propri competitor. Con il tempo, l’idea è

quella di capire quali comportamenti siano ben accolti e quali invece siano da

evitare, quali siano le informazioni che interessano maggiormente i membri della

comunità52 e quali siano le modalità vincenti con cui veicolarle.

Partecipazione alle conversazioni. Questa attività può essere svolta anche in

contemporanea a quella dell’ascolto. È possibile attuarla ricorrendo tramite il

supporto alle conversazioni degli utenti, offrendo contributi utili agli stessi con

linguaggi consoni a quelli della community, rispondendo ai commenti oppure

attivando veri e propri servizi di customer care.

Strategia. Previa la comprensione del proprio posizionamento online e degli

obiettivi aziendali, si arriva alla fase di struttura di una vera e propria strategia. Si

potranno quindi mettere in atto le proprie strategie che possono ad esempio essere

di marketing virale, piuttosto che il ricorso a delle sponsorizzazioni. Ciò significa

contribuire alla comunità ad esempio promuovendo apertamente i propri prodotti

e servizi, il proprio brand o la cultura aziendale. Condivisione vuol dire anche

alimentare la comunità con informazioni non prettamente commerciali ma di cui

il target ne riconosce il valore, tenendo presente che la comunità non è fatta solo

di clienti o potenziali tali, ma racchiude una vasta platea di stakeholder a cui si

può avere interesse indirizzare precisi obiettivi.

Engagement e misurazione dei risultati. Ogni attività va misurata assegnando un

valore più o meno attendibile alla voce ROI del piano di business per evidenziare

i frutti e aggiustare eventualmente la propria strategia.

2.5.5 I possibili obiettivi dell’adozione del Social Media Marketing

È solo negli anni più recenti che gli studiosi hanno preso in esame il tema del social media

marketing facendo ricerche empiriche per porre le basi di una letteratura a riguardo e, allo

stesso tempo, fornire alcuni punti fermi a chi praticamente si cimenta direttamente con

52 Uno strumento utile in tal senso potrebbe essere Google Allert.

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l’implementazione di un progetto di social media per un’azienda. Complici la relativa

novità del canale nell’area business e le difficoltà nell’identificare e rappresentare i

risultati ottenuti, manca la ricetta vincente della strategia perfetta, però quello che si può

senz’altro constatare è che non poche aziende stanno beneficiando sotto molteplici fronti

di questo strumento.

Alves et al (2016) 53 ha provveduto a sistematizzare lo stato attuale delle ricerche

svolte a livello globale evidenziando i benefici sino ad allora confermati, ovvero:

miglioramento dell’atteggiamento verso il brand (Kim e Ko, 2012; Kumar e

Mirchandani, 2012; Kumar et al., 2013);

lead generation;

alimentazione della word of mouth (Luo & Zhang, 2013; Yu et al., 2013);

incremento delle vendite (Kumar e Mirchandani, 2012);

maggiore durata e qualità delle relazioni;

generazione di maggiore traffico nel sito web.

A questo si aggiungono altri benefici emersi in un altro studio.54 Oltre a confermare che

indicare che la presenza sui social network può avere un ruolo importante nello sviluppo

delle relazioni e nell'aumento delle vendite, e del senso di appartenenza si fa notare che

quando le aziende promuovono l'azienda in modo creativo modo che consentiva ai

consumatori di interagire con i contenuti (fotografie, testi, concorsi, lotterie, promozioni

etc.), i consumatori erano più disponibili a impegnarsi con l'azienda e promuovere i loro

prodotti attraverso WOM.

Ricerche più recenti mettono invece in luce come i social possano giocare un ruolo

chiave per far raggiungere obiettivi aziendali concreti, come la riduzione dei costi del

servizio clienti, il monitoraggio della percezione del brand presso il pubblico di

riferimento, la capacità di attrarre i talenti e le risorse migliori.

53 Alves H., Fernandes C., Raposo M., (2016) “Social Media Marketing: a literature review and

implications”, Psychology & Marketing, 33:12, pp. 1029–1038 54 Nobre H., Silva., (2016) “Social Network Marketing Strategy and SME Strategy Benefits”, Journal of

Transnational Management, 19:138–151, DOI: 10.1080/15475778.2014.904658

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Per concludere, le potenzialità del social media marketing si apprezzano a pieno se

si supera la miopia della focalizzazione vendite, e se invece si cominciano a osservare

opportunità e risvolti anche verso gli altri stakeholder aziendali.

2.5.6 Il monitoraggio dei risultati

La fase della misurazione dei risultati del social media marketing è un passaggio molto

delicato e controverso. Se un’azienda ha dedicato parte delle sue risorse investendo in

questa strategia, si aspetta di averne un ritorno, altrimenti senza risultati concreti è facile

che ridimensioni o cancelli dal tutto questa voce dal budget. Oltre a dimostrare l’impatto

sul business, misurare i risultati è determinante anche per i responsabili di marketing per

far trasparire quello che funziona e quello che invece non porta valore e quindi necessita

di un cambio di tattica. La misurazione dei risultati rimane comunque un nervo scoperto

perché se è vero che il trend è quello di un aumento delle risorse impiegate in questa

disciplina, sono pochi gli addetti ai lavori che riescono a dimostrare i risultati ottenuti in

termini quantitativi.

Lo strumento tipico del mondo economico in questo senso è il calcolo del ROI,

dove molto semplicemente si rapportano gli investimenti effettuati con il ritorno

economico ottenuto. Nei social media marketing tuttavia non si può pensare di applicare

questa formula così com’è, in quanto sarebbe riduttivo e poco rappresentativo della realtà.

Occorre infatti fare alcune importanti considerazioni.

“Se il marketing tradizionale riguarda la velocità, i social media riguardano

l'accelerazione.” Prendendo a prestito questi concetti fisici, Rotella (2011) intende

esprimere la differenza in merito alla misurazione dei risultati delle due strategie.

Nell’ambito del marketing tradizionale si misura in un certo istante di tempo, ad esempio,

quante persone hanno ricevuto il messaggio espresso su degli opuscoli, facendo una stima

sul numero di opuscoli effettivamente distribuiti. Al contrario, le metriche dei social

media considerano che la diffusione e condivisione del messaggio cresca nel tempo. Ad

esempio, un "tweet" esposto a 400 follower potrebbe avere molto maggiore e raggiungere

addirittura migliaia di utenti, grazie al meccanismo del retweet, o in generale la

condivisione del contenuto

In secondo luogo non bisogna trascurare il principio che il ROI è una metrica di

business che deve sempre essere correlata ad un obiettivo di business che sia specifico.

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Occorre quindi calarsi nei singoli social e dentro ciascuno di essi fissare e misurare

specifici obiettivi.

Infine, non esiste una formula univoca che possa racchiudere e rappresentare il

valore complessivamente generato. Uno dei motivi è che per valore non si intende solo

quello monetario, ma si spazia in termini di qualità delle relazioni, awareness, risparmio

dei costi di customer service, piuttosto che l’impatto sulla reputazione. Con il maturare

della disciplina nel tempo, le aziende stanno cominciando a riconsiderare le metriche

analizzate e a capire che misurare il ROI con la classica formula economica porti

all’evidenza solo una parte del valore generato dai social55.

Nonostante la complessità, rimane comunque indispensabile prevedere nella

propria strategia un tempo, coerente con altri elementi, in cui andare a verificare in termini

numerici i benefici prodotti dalla strategia sui social media (Zimmerman e Sahlin, 2010).

2.5.7 Il Social Media Marketing e le aziende italiane

L'uso dei social media nel business è ancora limitato e ha avuto più successo in alcuni

settori piuttosto che altri. In comparti come ad esempio quello della salute o il mondo

business to business, lo scetticismo è di gran lunga maggiore (Alves et al., 2016).

L’Eurostat ha rilevato che nel 2017 un’impresa europea su due usa i social media,

più precisamente il 47%. Già solo nel 2013, il dato era nettamente inferiore, ad avere una

pagina social erano infatti solo una su tre. I social network più utilizzati sono piattaforme

come Facebook o LinkedIn. Lo scorso anno le ha utilizzate il 45% delle aziende europee.

Sempre nell’ambito di questa indagine, emergono anche dati sulla situazione dell’Italia

nello specifico. Il caso italiano è allineato con quello europeo, con il 44% delle imprese

italiane con una propria pagina social. Anche qui è Facebook a primeggiare, a seguire

YouTube e Twitter (Grafico 4).

55 Report annuale Hootsuite sui trend dei social media a livello globale “I trend dei social media nel 2018”

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Grafico 4 L'utilizzo dei social media da parte delle aziende italiane.

(Il Sole 24 ORE. Ultimo accesso: 03/02/2019)

Inoltre dal censimento Istat del 2011 delle imprese è che l’11,6% delle

microimprese è presente sul web utilizzando almeno un social media tra i più diffusi

(social network, blog aziendali, o wiki). Sono soprattutto le imprese attività nella ricerca,

selezione e fornitura di personale ad utilizzare questi strumenti (47%), seguite da quelle

che svolgono attività di programmazione e trasmissione (42,1%) e dalle agenzie di

viaggio (41,8%). Le principali motivazioni per le quali le microimprese utilizzano i social

media sono relative al miglioramento dell’immagine aziendale (34,1%), alla

collaborazione con altre imprese od organizzazioni (29,4%) e all’interazione con la

clientela (15,9%). Inoltre, un dato interessante è che la propensione all’utilizzo di

strumenti “social” è maggiore tra le microimprese attive nei mercati internazionali.

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È da Barometro Hootsuite (2018)56che si rinvengono invece dati più attuali che

fotografano il rapporto aziende italiane e social media. Il quadro che emerge è quello di

una generale fiducia, come confermato da un 86% degli intervistati che reputa la presenza

sui social media sia ormai un requisito fondamentale per essere competitivi sul mercato.

La percezione che la presenza online non sia considerata una moda passeggera è segnalata

dal 70% degli intervistati che prevede anche di incrementare l’utilizzo dei social nell’anno

successo mesi, e già il 65% ha registrato già un aumento rispetto all’anno precedente.

Inoltre, a dimostrazione che lo spettro dei social media utilizzati sia sempre più ampio si

evidenzia come il 47% delle aziende dichiari di disporre almeno quattro profili social

attivi e il 43% ne ha almeno uno (da 1 a 3). Fra tutti spicca l’adozione di Facebook, che

sfiora il 99%, il secondo posto è ricoperto da Instagram con un 77% e a seguire con un

distacco più ampio si posizionano Twitter e LinkedIn con un 63%.

Per quello che riguarda invece la gestione emerge come ci sia una netta tendenza e

preferenza ad affidare il social media marketing a risorse interne all’azienda con una

media di 1,5 persone dedicate.

Venendo invece alle motivazioni concrete che spingono verso tale strategia,

spiccano i concetti di brand reputation e brand awareness. Se fino a qui la situazione è

allineata a quella degli altri paesi che hanno preso parte all’indagine, è invece

nell’obiettivo dell’aumento delle conversioni e delle vendite che il Paese si distingue. Per

gli altri paesi, infatti, prevale l’obiettivo della creazione di una community e quindi di

engagement su quello delle vendite. In questo senso sono solo però il 16% che

rispettivamente hanno adottato il Social Selling e il Social Commerce, contro invece un

46% degli intervistati che utilizza i social media per ottenere insight sui clienti o i

potenziali clienti. Infine, si intravedono anche indizi di come i social media stiano

collaborando per supportare altre funzioni aziendali, quali il customer service e il

recruitment.

56 Si tratta di un sondaggio che racchiude le risposte di più di 9 mila aziende di 19 paesi per raccogliere

informazioni da parte dei responsabili o comunque chiunque abbia a che fare con la strategia e la gestione

dei social media. La ricerca si è svolta da febbraio a maggio 2018 e ha avuto come oggetto sia aziende

business to business che business to consumer.

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CAPITOLO 3

IL SETTORE B2B E IL SOCIAL MEDIA MARKETING

3.1 Il Social Media Marketing: un approccio prevalentemente B2C

Le considerazioni finora condotte sull’uso dei social media da parte delle aziende non

contenevano alcuna distinzione di queste ultime, se non qualche accenno alle loro

dimensioni. Le imprese, però, come spiegato nel primo capitolo, non sono tutte uguali per

tanti aspetti e uno dei più significativi è la distinzione tra business to business (B2B),

business to consumer (B2C) oltre ai modelli misti e le B2B2C. L’obiettivo che ci si pone

è quindi quello di focalizzarsi sul rapporto tra social media e organizzazioni B2B,

illustrando se e quanto la letteratura ha fatto emergere a riguardo.

“Sarebbero da escludere, o sarebbe poco profittevole avere una Fan Page, per le aziende

che normalmente non lavorano con il pubblico e/o che generalmente vivono di B2B.” 57

Il punto di partenza è questa citazione estrapolata da una tesi di laurea, discussa

abbastanza di recente, in cui si mostra scetticismo sul connubio social media e settore

business to business.

L’intenzione è quindi quella di capire quanto ci sia di vero, se questa sia la linea di

pensiero più diffusa e, laddove non lo fosse, come si coniugano questi due mondi sia nella

pratica che nella letteratura.

È un dato di fatto che la ricerca in tema di social media marketing sia tutt’ora

dominata da una prospettiva di interazioni business to consumer. Il fenomeno dell’uso

57 Citazione da Jacopo Tarantini, Università degli Studi di Bologna, Tesi di laurea magistrale in Scienze

di Internet, L’utilizzo del Social Media Marketing nell’ambito della strategia aziendale, 2011-2012

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delle piattaforme di social media come leva di marketing è stato in principio guidato dalla

capacità di raggiungere una platea dell’ordine di milioni di consumatori con contenuti

legati al brand col fine di creare engagement. Se si richiamano alla mente le peculiarità

del settore B2B, quali la presenza di pochi e importanti clienti, è facile intuire come queste

potenzialità apprezzate dal mondo consumer, non abbiano invece destato particolare

attenzione in questo contesto.

Gli studi circa il connubio B2B e social media sono ad uno stadio primordiale e

quindi lacunosi, come dimostrano anche le citazioni piuttosto recenti che seguono:

Nevertheless, research on the adoption and use of social media

in B2B settings is still in its infancy (Siamagka et al., 2015; Pomirleanu et al., 2013;

Michaelidou et al., 2011), and more studies on the use of social media in the B2B

context are

necessary (…) (Pascucci et al., 2018)”.

“However, despite the existing body of literature on the adoption of social media in

B2C, research on the adoption of this new technology in the B2B sector is still in its

infancy (Lashgari et al., 2018).”

“However, the extent to which this theory is applicable to other business model

domains such as B2B, Mixed B2C/B2B and B2B2C domains is relatively under-

researched (Swani et al., 2017).”

“Despite the emergence of studies that examine the use of SMM techniques by B2B

organizations, our understanding of this important area is comparatively limited (Itani,

Agnihotri, Dingus, 2017; Salo, 2017; Siamagka, Christodoulides, Michaelidou, Valvi,

2015).”

“Despite their increasing relevance and perceived value in B2B (e-Marketer, 2013)

research on the adoption and use of social media channels by B2B organizations is still

in its embryonic stage, with only a handful of studies exploring the marketing potential

of social media in industrial settings (Siamagka, 2015).”

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“However, the studies related to social media in B2B are exremely limited (Keinanen e

Kuvalainen, 2015)”

I pochi dati disponibili segnalano che sono in aumento le imprese B2B che si stanno

affacciando all’uso dei social media, ma resta ancora poco chiaro quanto questo uso sia

diffuso e, soprattutto, come i social media siano integrati e la percezione dell’importanza

di questo canale nella funzione marketing (Järvinen et al., 2012; Keinanen e Kuvalainen,

2015).

Molti sono i B2B manager convinti che i social media, in modo particolare i social

network, siano più adatti ad un contesto B2C poiché si rivolgono alle persone come

individui (Lashgari et al., 2018). Non è quindi raro imbattersi in un atteggiamento di

scetticismo tra i manager che reputano che la natura del settore poco si presti ad un canale

come quello dei social media e che quindi incapace di portare dei benefici.

3.2 Il ritardo del SMM nel B2B: uno sguardo alle motivazioni

Chi si è affacciato allo studio del mondo business to business si sarà sicuramente

imbattuto in una vasta letteratura circa l’importanza del mantenimento dei rapporti face-

to-face in questo settore di prodotti e servizi prevalentemente tecnici58. Il rapporto

interpersonale tra cliente e commerciale aziendale è quindi considerata la pietra portante

su cui poggia la gestione delle relazioni (Ford et al., 1998 in Huotari et al., 2015)59 e la

comunicazione di marketing (Kho, 2008 in Huotari et al., 2015).

È in questo concetto che risiede il fulcro della giustificazione che spiega il ritardo

nell’adozione dei social media, in quanto, appunto, il canale veicola una comunicazione

incentrata sullo schema many-to-many e mediata da un supporto tecnologico, e quindi a

prima vista poco adatto ad un mondo che punta tradizionalmente sulle relazioni high

58 Per un maggiore approfondimento si rimanda ai paragrafi “1.6.3 Le peculiarità del settore business to

business rispetto al settore business to consumer” e “1.9.3. Il ruolo della comunicazione nel settore

business to business”. 59 Huotari L, Ulkuniemi P., Saraniemi S., Mäläskä M, (2015) "Analysis of content creation in social media

by B2B companies", Journal of Business & Industrial Marketing, 30: 6, pp. 761-770,

https://doi.org/10.1108/JBIM-05-2013-0118

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touch e one-to-one (Jarvinen, Tollinen, Karjaluoto, Jayawardhena, 2012 in Flanigan,

Obermier, 2016)60. Se l’opportunità di raggiungere un pubblico vastissimo ha generato

subito interesse nel business to consumer, lo scetticismo nel B2B nasce dal fatto che

solitamente i clienti delle imprese sono solitamente limitati e quindi viene meno questa

esigenza di uno strumento che permetta di raggiungerli tutti.

Kietzmann et al. (2011) ha anche identificato altri fattori che hanno fatto da freno

al fenomeno in questione. Oltre alle perplessità a livello manageriale, c’è anche

l’incapacità di strutturare una strategia, causata anche da una mancanza di risorse, sia

economiche che umane incentrate, da dedicare alla gestione del SMM.

Michaelidou et al. (2011) aggiunge ai fattori anche il mancato stimolo da parte del

settore, l’incertezza riguardo ai possibili benefici che si possono raggiungere e, in

generale, la mancata familiarità dei dirigenti con i social media.

Se a quanto detto si aggiungono delle generali considerazioni sui rischi della

presenza in internet, risulta facile comprendere le esitazioni ad entrare a farne parte. Le

principali implicazioni dello sviluppo delle comunicazioni di marketing sui canali online

sono l'interattività, la trasparenza e la memoria. Queste caratteristiche possono costituire

delle opportunità, ma allo stesso tempo assumere connotazioni negative e rappresentare

rischi e minacce trasformandosi in una barriera all’entrata.

Nel favorire l’uso delle piattaforme social non è stato di particolare incentivo

neanche il lato accademico, che si è dimostrato lento nell’orientare le imprese verso

questa nuova opportunità (Flanigan e Obernier, 2016). Infatti, la ricerca sull'integrazione

dei social media con altri canali di comunicazione di marketing non è ancora un tema

maturo e, quindi, non in grado di rassicurare e mitigare le incertezze da parte delle

organizzazioni circa l’utilizzo di questa tecnologia (Mangold e Faulds, 2009; Swani e

Brown, 2011; Lacka e Chong, 2016 in Lashgari et al., 2018). Una delle ragioni è che

alcuni studiosi sono tuttora convinti che i social media, in particolare i social network,

siano spazi virtuali adatti solo all’ambito economico B2C (Palmer and Koenig-Lewis,

2009 in Lashgari et al., 2018).

Sono queste le motivazioni che sostanzialmente si celano dietro ad un ritmo più

lento dell’adozione dei social media nel business to business.

60 Flanigan R.L., Obermier R.T., (2016) “An assessment of the use of social media in the industrial

distribution business-to-business market sector, The Journal of Technology Studies, pp. 18-28

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95

3.3 Le determinanti dell’adozione del Social Media Marketing nel B2B

Dopo aver affrontato le ragioni di una generale diffidenza, c’è da dire anche che, negli

anni più recenti, si sono distinti anche ricercatori che hanno sottolineato l'importanza dei

social media per le aziende B2B. Addirittura, i social network sono considerati da alcuni

di essi un importante investimento per garantire la sopravvivenza dell'impresa (Lashgari

et al., 2018).

Spinti dalle evidenze che riconoscono un ruolo significativo anche in un contesto

B2B, gli studiosi hanno quindi intrapreso percorsi di ricerca facendo trasparire i social

media come mezzo per attrarre potenziali clienti e coltivare relazioni con quelli che lo

sono già. Tutto questo è coerente con la letteratura che rimarca il ruolo di gestione delle

relazioni dei social media (Siamagka, 2015).

Se è vero che non ci sono abbastanza dati sulla diffusione del SMM nel B2B,

Siamagka et al. (2015) ricerca se ci siano delle determinanti in grado di predire e spiegare

l’adozione dei social media in questo contesto. Nello specifico, si testa il modello TAM

(Technology Acceptance Model) sviluppato da Davis (1989) che ha riscosso grande

successo nella capacità predittiva dell’adozione delle nuove tecnologie. Il modello ha

trovato applicazione sia in territorio B2B che B2C circa la predizione di adozione di vari

strumenti tecnologici, come ad esempio lo shopping online. L’obiettivo era quindi quello

di verificare se le determinanti di questo modello erano confermate anche in merito al

connubio B2B e social media, e testare perciò la sua capacità predettiva anche in quel

contesto.

Gli assiomi del TAM, riferiti generalmente all’adozione delle tecnologie, sono i

seguenti:

la percezione dell’utilità dello strumento e della facilità di utilizzo hanno

impatto positivo sull’adozione della specifica tecnologia;

la percezione della facilità di utilizzo ha un impatto positivo sulla percezione

dell’utilità;

la dimostrabilità dei risultati e i risvolti in termini di immagine hanno un

impatto positivo sulla percezione dell’utilità;

la percezione di barriere ha un impatto negativo sulla percezione dell’utilità;

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96

la propensione innovativa dell’azienda ha un impatto positivo

nell’adozione;

alti livelli di innovazione aziendale rafforzano il legame tra la percezione

dell’utilità e dell’adozione; la percezione della facilità di utilizzo e

l’adozione.

Alcune di queste affermazioni, calate nella situazione “aziende B2B e adozione dei

social media” , sono state confermate, altre invece non hanno trovato riscontro. In

particolare, è emerso che la percezione dell’utilità e il livello innovativo aziendale sono

le derminanti chiave nell’adozione dei social media, mentre invece la facilità d’uso dello

strumento è risultato irrilevante. La percezione dell’utilità, inoltre, è risultata influenzata

negativamente dalla percezione delle barriere, e invece positivamente dalla possibilità di

miglioramento d’immagine. Un altro fattore, che è risultato determinante, è la pressione

esercitata dagli stakeholder chiave quali buyers e concorrenti.

3.4 Il Social Media Marketing B2B e B2C: le differenze

Tra le questioni ancora poco esplorate c’è anche una domanda di fondo che, nella sua

semplicità, è tutt’altro che banale: il social media marketing B2B e B2C è davvero così

diverso? Se sì, in che cosa?

Iankova et al. (2018) si è posto questo interrogativo e, allo stato attuale, afferma

che la letteratura esistente si trova abbastanza concorde nell’affermare che l’uso dei social

media sia differente in campo business to business, e quindi necessiti di una base teorica

a sé stante, ma effettivamente sono poche le occasioni in cui queste differenze sono state

indagate e sistematizzate. Detto ciò, va precisato quanto parlare di una dicotomia tra B2B

e B2C sia troppo semplicistico perché i confini non sono così netti (Leek e Christodoules,

2011 in Iankova et al., 2018).

Si approfondiscono quindi le aree su cui sono state messe in luce le differenze tra

un approccio B2B e B2C al social media marketing.

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97

Velocità di adozione della strategia di SMM

È un dato di fatto che le aziende B2C siano state molto più veloci nell'adottare i social

media come strumento strategico, mentre le imprese B2B spesso trovano difficoltà a

integrare le piattaforme social nel loro mix di marketing.

Obiettivi e strategie prefissati

Sebbene tra le potenzialità maggiormente apprezzate dal B2C dei social media

ci sia l’opportunità della gestione della relazione con i propri consumatori

(comunicazione many-to-many), il mondo business to business si focalizza

invece sui risvolti nelle vendite, key account management, gestione del rapporto

tra datori di lavoro e dipendenti (Iankova et al, 2018). La spiegazione di questa

diversità, come confermato anche da Jarvinen et al (2012), è da ricercare nelle

peculiarità del B2B61 in cui emerge una realtà di interazioni con i clienti fondata

tradizionalmente sul face-to-face. È per questo che il ruolo assunto dai social

media nella comunicazione è molto marginale.

Nelle organizzazioni B2B i social media sono usati con l’obiettivo di

incrementare il traffico sul sito web aziendale (attività di Search Engine

Optimization)62 e/o indirizzare gli utenti alle landing page, oltre che in una

logica di customer service e lead generation (Itani et al 2017; Swan et al 2014).

Se l’ambito B2B dei social media apprezza particolarmente la targettizazione

del pubblico, al contrario a quello B2C interessa raggiungere il più vasto

pubblico possibile (Moore et al., 2013), anche se un certo livello di

targettizzazione c’è sempre.

Le aziende business to business sfruttano i social media tendenzialmente nella

fase di acquisizione della clientela piuttosto che nelle successive fasi di

costruzione e mantenimento delle relazioni con i clienti.

61 Si veda il paragrafo “1.6.3 Le peculiarità del settore business to business rispetto al settore business to

consumer” che presenta nel dettaglio le caratterizzazioni del settore B2B. 62 Si veda il paragrafo “2.4.3 Gli strumenti del digital marketer” dove è stato spiegato meglio questo

strumento.

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98

Preferenze di canale

Le aziende business to business hanno una preferenza per i social professionali come

LinkedIn, mentre le aziende business to consumer prediligono i social media generalisti

rivolti alla massa come Facebook (Moore, 2013).

Contenuto

Emergono anche differenze nel contenuto sia su Twitter che Facebook, nel senso che i

post delle imprese B2B contengono più link, informazioni di prodotto e contenuti

emozionali rispetto ad una strategia B2C (Swani, 2017).

3.5 Gli acquirenti business e l’uso dei social media

Come suggerisce il modello TAM precedentemente menzionato, i manager cominceranno

ad usare i social media se li percepiranno come utili, ovvero se i propri buyer si

dimostreranno interessati e se effettivamente considereranno di valore la strategia del

proprio fornitore sulle piattaforme online.

Da questo ragionamento nasce l’idea dei finlandesi Keinänen e Kuivalainen (2015)

di investigare quali siano i fattori che influiscono sull’uso dei social media da parte dei

buyer per scopi di business. Nello specifico, lo studio si propone di osservare le variabili

significative sia nell’ambito personale che organizzaztivo.

I risultati mostrano come l’uso per scopi di business dei social media sia più assiduo

da parte di chi ne fa un uso significativo anche nel privato, ovvero c’è una correlazione

positiva tra uso privato e uso per fini lavorativi.

Un’altra scoperta è che la cultura aziendale non risulta impattare l’utilizzo dei social

media da parte dei buyer.

Al contrario, il comportamento dei colleghi influenza l'uso di social media, nel

senso che se i propri colleghi sono soliti usare i social per scopi business, la persona sarà

più predisposta a seguirne l’esempio.

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99

3.6 Le tipologie di B2B users

Le tipologie di users B2C sono stati largamente analizzati nella letteratura. Molte sono le

classificazioni e le etichette per identificarne le varie tipologie. Li e Bernoff (2008)

individuano sei gruppi di utenti in base a come partecipano ai social media: creators,

critics, collectors, joiners, spectactors e inactives.

Creators. Sono coloro che, assieme ai critics, sviluppano i contenuti nei social

media. Il ruolo attivo dei creators si esplicita nell’immissione di nuovi contenuti

del canale, siano essi elementi video, foto o testuali.

Critics. Il loro è un ruolo di reazione ai contenuti generati dai creators. Le

modalità di risposte possono essere varie, tra cui ad esempio l’espressione della

propria opinione tramite un commento.

Collectors. Il contenuto generato dai precedenti attori, affinchè sia fruibile in

maniera ottimale ha bisogno di essere riorganizzato ed è a questo che servono i

collectors. Per svolgere questa attività possono sfruttare, ad esempio, il potere

degli hashtag e dei tag.

Joiners. Chi aggiorna periodicamente il proprio profilo sui social media viene

identificato come joiner.

Spectators. Gli spectators sono i cosiddetti consumatori dei social media.

Inactives: Coloro che possiedono un profilo sui social media, ma di fatto i loro

accessi sono piuttosto rari.

Nonostante questi siano stati analizzati in una prospettiva B2C, specularmente si

possono ritrovare i medesimi ruoli nella controparte B2B.

Gli users di questi ultimi è interessante osservarli anche in una prospettiva di User

Generation Content (UGC), ovvero come potenziali creatori di contenuti. Huotari et al.

(2015) ha esaminato gli users B2B da questo punto di vista e ne è seguita la suddivisione

che qui proposta. Una prima discriminazione è tra gli users interni e quelli esterni rispetto

all’impresa.

Gli utenti interni sono tutti i soggetti che rientrano nel libro paga aziendale. Sono

quindi compresi i corporate users e gli employee users.

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100

Corporate users. Il contenuto generato e diffuso viene percepito all’esterno

come proveniente dalla voce aziendale stessa senza che essa sia associata a

nessun dipendente in particolare. Solitamente dietro alla gestione di questo

flusso di comunicazione si cela la figura del responsabile marketing

dell’azienda, ma l’audience non sarà comunque in grado di identificarla.

Employee users. Gli users che oltre che per uso personale interagiscono sui

social media anche in qualità di dipendenti di un’azienda, possono diventare

brand ambassadors esercitando un livello di influenza più o meno alto sugli altri

utenti. Al fenomeno va prestata particolare attenzione sia per imparare a

sfruttarne le potenzialità sia, dall’altro lato, perché questo può comportare anche

dei rischi, specialmente se la voce del dipendente non è allineata con quella

aziendale.

Ne consegue che l’azienda potrà scegliere tra due alternative circa la creazione dei

contenuti da parte degli utenti interni. Decidendo di affidare il flusso di comunicazione

in uscita al solo marketing, si vedrà privata del supporto dei dipendenti ma faticherà meno

ad avere il controllo dei messaggi emessi; se invece dovesse decidere di lasciare la parola

anche ai dipendenti, occorrerà implementare delle sessioni volte a stimolare e indirizzare

il contributo online di precisi soggetti.

Gli utenti esterni sono invece tutti quelli che non rientrano nella categoria degli

interni, e sono, a loro volta, divisi in gruppi: corporate users, customer users, professional

user, civilian user.

Corporate users. Il contenuto generato e diffuso viene percepito all’esterno

come proveniente dalla voce aziendale stessa.

Customer users. Essi rappresentano la categoria degli acquirenti o dei potenziali

tali. Si tratta del target di marketing più strategico e per questo va anche

monitorata la presenza di influencer al suo interno.

Professional user. Questa categoria comprende gli stakeholder che

intrattengono relazioni professionali con l’azienda, ma non sono né clienti né

potenziali tali. Un esempio sono i consulenti.

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101

Civilian users. C’è anche una fetta di pubblico che interagisce con i social media

aziendali come individui senza quindi essere legati professionalmente

all’azienda.

Si percepisce come la platea degli stakeholder rilevanti anche in ambito di social

media B2B sia ampia e non ristretta unicamente ai buyer. I contenuti e le possibili reazioni

provenienti da ognuno di essi vanno monitorati prestando loro adeguata attenzione.

3.7 Il modello di integrazione dei SM nel marketing communication mix

Lashgari et al. (2018) ha studiato ed elaborato un modello olistico per l’adozione e

l’integrazione dei social social media nei canali di comunicazione in un contesto B2B

(Figura 15).

Il modello prevede tre fasi: la selezione, l’adozione e l’integrazione.

Il primo passaggio è il processo di selezione dei contenuti da postare che viene

determinato in base agli obiettivi e al target di riferimento. Il contenuto può essere di tipo

tecnico, promozionale, di prodotto e/o servizi, ambientale e finanziario. Anche gli

obiettivi possono essere dei più vari: lead generation, brand awareness, customer loyalty

etc. Di conseguenza questo influirà sulla social media selection e la sequenza delle

piattaforme dove i messaggi della comunicazione appariranno.

Successivamente, nella fase pratica di adozione di uno specifico social media,

occorre definire il tipo di struttura per la diffusione dei contenuti che dipende dagli

obiettivi, dal tipo di contenuto e dal target. Fondamentalmente le due strutture tra cui

scegliere sono il modello lineare (flat) e quello gerarchico (hierarchy), che segnalano

quindi una sorta di gerarchia o meno tra i social media. In questa fase va definito anche il

ruolo del moderatore. Questa figura è un elemento essenziale per la sua funzione di

miglioramento del flusso comunicativo oltre che di direzione delle discussioni verso certi

tipi di contenuto. Il tipo di accessibilità delle informazioni (pubbliche o con limitazioni)

è un altro punto su cui riflettere. Limitare l’accesso ad alcune informazioni (es. specifiche

tecniche di prodotto) e offrirle solo su specifica richiesta potrebbe essere una strategia per

indirizzarle ad un target di qualità e ottenere allo stesso tempo informazioni dagli stessi.

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102

Inoltre, la creazione di comunità online offre l’opportunità di rafforzare i legami,

fornendo ai partecipanti dei contenuti in esclusiva.

In ultimo, nel processo di integrazione, ma questo vale anche in generale, l’azienda

deve decidere se optare per una presenza ad hoc oppure continua, ovvero se mantenere

un flusso continuo di comunicazione oppure se circoscriverlo a certi momenti particolari.

Lo svantaggio del secondo metodo appena descritto (ad hoc) consiste nel non riuscire a

mantenere un’interazione attiva con il pubblico, rischiando così di cadere in un modello

di comunicazione lineare. A determinare la scelta contribuiscono le risorse a disposizione,

sia economiche che umane, e ancora di più le competenze.

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103

Figura 15 Modello di azione e integrazione dei social media nella strategia di comunicazione. (Rielaborazione

personale da Lashgari et al., 2018)

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104

3.8 Il caso di successo di Maersk Line sui social media

Si presenta il caso di successo del colosso Maersk Line che ha saputo sfruttare le

potenzialità dei social media in modo innovativo e lungimirante.

Come recita anche il suo payoff “The world’s largest contanier shipping

company”, Maersk Line è la più grande azienda di trasporto container per via marittima

del mondo. Si tratta di una divisione del gruppo danese A.P. Møller – Maersk che vanta

un ampio portafoglio di prodotti e servizi che abbraccia diversi settori. Maersk Line conta

oltre 108mila dipendenti e una presenza attiva in oltre 135 Paesi in tutto il mondo.

L’azienda ha attirato a sé gli occhi dei marketers da quando, nel 2011, ha

implementato una delle più grosse campagne web in termini di strumenti utilizzati e

risultati raggiunti, sviluppata attraverso una massiccia e variegata presenza online.

Maersk Line è arrivata a presidiare oltre al blog e al sito web, fino a 9 piattaforme di

social network. È su questi ultimi che ha registrato cifre notevoli arrivando a superare i 3

milioni di fan su Facebook, e raggiungendo follower dell’ordine di decine e centinaia di

migliaia di follower rispettivamente su LinkedIn e Twitter (Figura 16 ).

Il suo successo online e la sua lungimiranza nell’investimento in un campo, ai tempi,

ancora meno conosciuto di adesso, l’ha resa il caso più citato di azienda B2B sui social

network63.

63

Pascucci F., Ancillai C., Cardinali S., (2018) "Exploring antecedents of social media usage in B2B: a

systematic review", Management Research Review, 41:6, pp. 629-656, https://doi.org/10.1108/MRR-07-

2017-0212

3.106.641 mi piace

497.701follower

75.600follower

Figura 16 Le cifre di Maersk Line sui principali social network.

(Rielaborazione personale, 2019)

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105

Anche se negli anni la sua strategia sui social media ha subito dei cambiamenti, ci

si sofferma su alcuni elementi particolarmente distintivi e originali che l’hanno

caratterizzata.

Il primo aspetto che emerge è come ad ogni social network corrisponda un preciso

target. Il range di stakeholder a cui punta la comunicazione è davvero ampio e comprende

non solo clienti o potenziali tali, ma anche dipendenti, associazioni, appassionati e

competitor. Va da sé che a target diversi sottostanno altrettanti obiettivi e strategie

diverse.

Il team addetto alla comunicazione di Maersk Line ha avuto l’intuizione e

l’intelligenza di non cadere nella trappola dell’utilizzo dei canali social per uno scopo

strettamente incentrato sulle vendite. Infatti nelle loro pagine sui social network non si

trova alcuna traccia di riferimenti specifici alla loro offerta di prodotti e servizi in

un’ottica commerciale. È la tecnica dello storytelling, invece, il filo conduttore della loro

presenza online. I post che riempiono le bacheche sono infatti storie di vicende sulla vita

a bordo delle navi raccontate dal punto di vista degli stessi dipendenti e resi ancora più

accattivanti attraverso l’uso di foto, immagini e video alcuni anche amatoriali

direttamente girati da loro. È con questi racconti multimediali che l’azienda mostra al

pubblico il suo lato più umano, soffermandosi con coraggio anche su episodi spiacevoli,

quali gli incidenti, che talvolta segnano le giornate sulle navi.

L’utilizzo dei dipendenti come content creator giova all’azienda da più punti di

vista:

i dipendenti si vedono valorizzati e considerati. Si riconoscono nei contenuti e

sono più predisposti alla condivisione dei post anche nei loro profili personali

perché per loro motivo di orgoglio. In questo modo ne trae vantaggio anche la

pagina aziendale ottendendo maggiore visibilità;

se a creare gran parte dei contenuti sono i dipendenti stessi, l’azienda risparmia

sulle spese di risorse umane dedicate a questa funzione;

gli utenti si ritrovano contenuti originali, non “preconfezionati” e quindi più

avvincenti e credibili.

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106

Si analizza di seguito l’attività di Maersk Line sul canale principale Facebook, nel

mese di gennaio 2019, con lo scopo di illustrare alcuni degli aspetti del suo grande

successo (Tabella 4).

Data -

gennaio

2019

Tipo di

contenuto Contenuto

Lik

e e

react

.

Com

men

ti

Con

div

isio

ni

Rea

ctio

ns

4 Foto+link+

descrizione

Una nuova tecnologia IBM

nel mondo dei trasporti per

digitalizzare il commercio

374 10 61 Love;

wow

7 Foto+link+

descrizione

Impegno a ridurre l’impatto

sui clienti con percorsi

alternativi durante il

capodanno cinese

498 8 84 Love;

wow

8 Video+link+

descrizione

Nuovo servizio di instant

booking 182 7 44

Love;

wow

11 Foto+link+

descrizione

Risultati di business

raggiunti 401 7 66

Love;

wow

25 Foto+link+

descrizione

Intervista al CEO su

Bloomberg 641 4 105

Love;

wow

28 Video+link+

descrizione

Risultati raggiunti a livello

di brand positioning 410 10 69

Love;

wow

30 Foto+link+

descrizione

Partecipazione ad un

convegno 281 11 28

Love;

wow

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107

30 Foto+link+

descrizione

Rassicurazione sulla

puntualità dei trasporti

ferroviari in Iraq

85 0 3 Love;

wow

31 Video+link+

descrizione

Invito a scaricare la App

Maersk 130 3 28

Love;

wow

Tabella 4 Attività di Maersk Line nel mese di gennaio 2019 su Facebook. (Rielaborazione personale, 2019)

Come si evince dalla tabella, i post pubblicati nel mese sono 8, con una media di

0,26 post al giorno, quindi non si tratta di una presenza particolarmente assidua.

È invece notevole il livello di interazione che ha il pubblico, registrando numeri

altissimi a livello di condivisioni. A dimostrazione dell’alto coinvolgimento emotivo che

riesce ad ottenere tramite i suoi post, corredati da foto/video, link e testo di

accompagnamento, si segnala una presenza costante di reactions (love e wow).

Circa i contenuti, si spazia molto: diffusione di risultati raggiunti, introduzioni di

nuovi servizi e tecnologie e servizi, riferimenti ad eventi specifici di alcuni paesi.

Riguardo all’ultimo tema, l’azienda, seppur globale, si dimostra vicina e attenta agli

accadimenti di ogni singolo paese in cui opera. È il caso del post del 7 gennaio in cui

comunica percorsi alternativi per recare meno disagio in occasione del Capodanno cinese.

Così facendo si conquista l’immagine di azienda capace di ascoltare le esigenze delle

persone all’interno del suo business.

3.9 Il settore B2B in Italia e Social Media Marketing

Si analizza la situazione italiana in merito al rapporto tra imprese B2B e social media.

Pascucci et al. (2018), dopo una revisione della letteratura sul tema, stabilisce che la

maggior parte degli studi proviene da Stati Uniti e Europa. In Europa, i paesi più studiati

sono la Finlandia (5 studi), Germania e Regno Unito (2 studi), mentre gli articoli

transnazionali sono 3. A livello italiano, quindi, nulla si sa dagli articoli accademici, se

non qualche informazione ricavabile dagli studi aggregati a livello europeo. Questo però

non significa che nel Paese nazionale il tema non sia percepito come rilevante. Vari sono

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108

gli incontri in cui si discute dei trend dei social media con prospettiva B2B, come

dimostrano gli eventi che si tengono annualmente nella città di Milano per discutere e

aggiornarsi sul fenomeno.64

Gli unici dati concreti, invece, provengono dall’indagine “V Osservatorio sul

marketing B2B in Italia” realizzata da CRIBIS65 e Business International, con il

patrocinio di AISM66. Oltre 800 aziende sono state coinvolte nella raccolta dei dati che

sono stati rielaborati e pubblicati a marzo 2016, con periodo di riferimento l’anno 2015.

La ricerca, giunta al quinto anno, prende in esame la linea strategica di marketing

adottata dal mercato B2B italiano. I temi caratteristici su cui si concentra l’indagine sono:

la struttura organizzativa e la composizione dello staff marketing nelle aziende, gli

obiettivi e le metriche di valutazione, le voci del budget marketing e il ROI, gli strumenti

utilizzati e le prospettive per il futuro.

Ci si sofferma, quindi, sugli aspetti più interessanti che l’indagine ha messo in luce.

Come evidenziato dal grafico, il budget dedicato alla gestione dei social media

rappresenta il 18% del totale delle spese di marketing, mentre sono dedicate porzioni

superiori a fiere, e-mail marketing e convegni e workshop (Grafico 5).

64 https://businessinternational.it/Eventi/3778/Social-Media-Marketing-B2B (ultimo accesso: 02/03/2019) 65 CRIBIS D&B è una società specializzata nella fornitura di informazioni economiche, soluzioni per le

decisioni di business e credit scoring. La sua nascita risale al 2009, grazie all’acquisizione da parte del

Gruppo CRIF di Dun & Bradstreet Italia.

https://www.cribis.com/ (ultimo accesso: 03/03/2019) 66 AISM (Associazione Italiana Sviluppo Marketing) è un’associazione senza fini di lucro impegnata per

lo sviluppo della cultura e della professionalità del Marketing sul territorio Italiano.

https://www.aism.org/ (ultimo accesso: 03/03/2019)

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109

Grafico 5 Le voci del budget di marketing. (Rielaborazione personale da V Osservatorio sul marketing

B2B in Italia, 2016)

Andando invece a vedere le previsioni di aumento del budget delle voci di

marketing, la notizia positiva è che i social media si posizionano al primo posto, con il

57% degli intervistati che annuncia che crescerà (Grafico 6).

Grafico 6 Voci di spesa del marketing che si prevede cresceranno nei prossimi 2-3 anni.

(Rielaborazione personale da V Osservatorio sul marketing B2B in Italia, 2016)

7

2

3

9

11

11

18

20

20

22

28

29

35

41

44

0 10 20 30 40 50

Altro

Online Video

Mobile Marketing

Search engine marketing

Sponsorship

Telemarketing

Social Media

CRM

Pubblicità Online

Public Relation

Direct marketing tradizionale

Pubblicità (escluso online)

Convegni e workshop

Email marketing

Fiere

%

7

12

16

19

20

3030

38

33

39

39

4857

33

36

43

36

28

4045

37

22

29

30

2521

34

19

22

20

16

1169

3

8

5

56

26

33

20

25

36

201916

41

24

27

2216

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Pubblicità (escluso online)

Sponsorship

Fiere

Direct marketing tradizionale

TelemarketingConvegni e workshop

Public Relation

Email marketingMobile Marketing

CRM

Search engine marketing

Pubblicità Online

Social Media

Crescerà Rimarrà invariato Diminuirà Non so/ Non applicabile

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110

Circa i temi su cui si ammette una maggiore impreparazione, si conferma quanto

espresso in precedenza circa la mancanza di un modello di misurabilità dei risultati (27%).

A questo elemento segue la carenza di conoscenze in termini di big data (26%) e di social

media (25%) (Grafico 7).

Grafico 7 Temi emergenti su cui ci si sente più impreparati. (Rielaborazione personale da V

Osservatorio sul marketing B2B in Italia, 2016)

Se si osservano le variabili che fanno di un marketer un buon marketer, al primo

posto spicca la capacità di acquisizione di nuovi clienti (68%), mentre il lavoro sui social

media ha un’influenza piuttosto ininfluente (6%). Una considerazione è quindi che

l’importanza dei social media non è di per sé significativa ma assume valore per le aziende

solo se dimostra effetti su variabili di business quali l’acquisizione di nuovi clienti e la

fidelizzazione (Grafico 8).

7

10

10

12

12

13

13

14

16

17

22

24

25

26

27

0 5 10 15 20 25 30

Customer Experience

Reputation Management

Design/creatività

Brand Loyalty e Awareness

Social Responsability

Content Marketing

Consumerizzazione

Lead Scoring

Behavioural Marketing

eCommerce

Green Marketing

Lead Generation & Nurturing

Social Media

Big Data

ROI e misurabilità finanziaria

%

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111

Grafico 8 Le tre metriche più importanti per valutare un marketer B2B. (Rielaborazione personale da

V Osservatorio sul marketing B2B in Italia, 2016)

Riguardo alle priorità nel marketing digitale in generale, spiccano il

posizionamento sui motori di ricerca, la lead generation e la misurabilità dei risultati dei

social media (Grafico 9).

Grafico 9 Le priorità in termini di marketing digitale (Rielaborazione personale da V Osservatorio sul

marketing B2B in Italia, 2016)

.

Riguardo alla linea strategica sull’uso dei social media, un dato importante è come

il 20% dichiari proprio di non utilizzarli; mentre chi li adotta li sfrutta come canale di

comunicazione (63%), advertising (29%) e monitoraggio del brand (29%). È solo l’11%

che usa le piattaforme social come canale di vendita (Grafico 10).

1

6

21

32

35

40

49

49

68

0 10 20 30 40 50 60 70 80

Altro

Social Media

Customer Experience

Brand awareness

Ricavi per cliente

Fatturato

ROI

Fidelizzazione

Acquisizione di nuovi clienti

%

16

18

28

32

36

37

49

51

0 10 20 30 40 50 60

Online advertising

User experience

Analisi del traffico online

Fidelizzazione

ROI

Misurabilità dell'efficacia dei social…

Lead generation

Posizionamento sui motori di ricerca

%

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112

Grafico 10 L’uso dei social media. (Rielaborazione personale da V Osservatorio sul marketing B2B in

Italia, 2016)

Concludendo si può affermare che i social media suscitano una crescente attrazione

da parte delle aziende B2B italiane, tanto è vero che si prevede un aumento degli

investimenti in tal senso. Questo ottimismo è però smorzato da una consapevolezza di

mancanze di conoscenze e competenze a riguardo, così come la mancanza di uno

strumento di misurazione dei benefici generati dal social media marketing.

1

11

14

18

20

29

29

63

0 10 20 30 40 50 60 70

Altro

Canale di vendita

Strumento di CRM e Customer Service

Recruiting

Non sono utilizzati

Monitoraggio del brand

Advertising

Canale di comunicazione

%

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113

CAPITOLO 4

L’USO DEI SOCIAL MEDIA E IL SETTORE DEI DISPOSITIVI

MEDICI IN ITALIA

4.1 Introduzione all’analisi empirica

Come si è evidenziato nel capitolo precedente, il fenomeno dei social media suscita

crescente interesse nel mondo del business to business italiano. Poche, però, sono le

informazioni disponibili che permettano la ricostruzione di un quadro attuale e dettagliato

a livello nazionale. Lo scopo di questa indagine empirica dell’elaborato, compatibilmente

con le risorse a disposizione, è pertanto quello di contribuire all’illustrazione del rapporto

delle imprese B2B italiane e social media mediante l’analisi di uno specifico settore,

quello dei dispositivi medici (DM). La scelta è ricaduta su questo particolare ambito per

motivazioni diverse.

In prima battuta, l’interesse è sorto in seguito ad un’esperienza di stage in

un’impresa del settore, Service Med SPA, dove è emersa la questione dei social media

come strumento di marketing. In quest’occasione ci si è imbattutti nella mancanza di linee

guida e informazioni che potessero fungere da base di partenza per l’implementazione di

una strategia. La scarsità delle informazioni era presente su più fronti:

la gestione dei social media in un settore B2B;

la gestione dei social media nel settore dei dispositivi medici;

il trend dei social media nel settore;

le strategie di SMM adottate dalle aziende del settore;

i risultati raggiunti e le prospettive future;

la modalità di creazione dei contenuti;

la valorizzazione o meno dei canali social da parte degli acquirenti del settore;

il processo d’integrazione dei canali di social media con gli altri canali;

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114

i benefici del social media marketing alla strategia aziendale.

Mancavano, quindi, i riferimenti sia a livello di gestione dei social media per

un’impresa in quanto B2B, sia contestualizzati nello specifico settore dei dispositivi

medici. Se la panoramica del fenomeno “imprese B2B e social media” è stata esposta

all’interno del terzo capitolo, in questo, invece, l’approfondimento è incentrato sul settore

dei dispositivi medici in Italia.

In secondo luogo, questo settore, grazie alla sua varietà di business model delle

imprese al suo interno, permette di studiare eventuali differenze tra le imprese puramente

B2B e quelle che invece servono indirettamente anche il cliente finale secondo uno

schema B2B2C.

Trattandosi di salute, un tema così delicato e di considerevole interesse, è curioso

anche esplorare la sua presenza sui social network, spesso oggetto di pregiudizio e ritenuti

fonte di fake news e notizie poco accurate. Una sfida persa in partenza oppure si sta anche

questo argomento si sta ritagliando il suo spazio nel mondo social?

In ultimo, come sottolineato anche in un articolo de “IL SOLE 24 ORE” (2018)67,

la filiera della salute (o white economy) è qualificata come un driver dell’economia

italiana, con un contributo del 10,7% al PIL nazionale. Il suo valore non è solo economico,

ma si valorizza anche il risvolto nel miglioramento della salute e quindi del benessere

generale della società. In una nazione con una popolazione sempre più vecchia, i

dispositivi medici sono il motore della medicina del futuro delle 4P (predittiva,

preventiva, partecipativa e personalizzata).

4.2 Il settore dei dispositivi medici in Italia

Un passaggio fondamentale è chiarire che cosa è e cosa invece non è un dispositivo

medico e per fare questo ci si affida a quanto indicato dalla legge italiana. Un dispositivo

medico, secondo la definizione del D.Lgs 46/97, è qualsiasi strumento, apparecchio,

impianto, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione (compreso il

software informatico impiegato per il corretto funzionamento) e destinato dal fabbricante

a essere impiegato nell’uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o

67https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-01-31/dalla-filiera-salute-l-11percento-pil-white-

economy-driver-economia-italiana-092136.shtml?uuid=AEiYqurD (ultimo accesso: 01/03/2019)

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115

attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o

compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica

dell’anatomia o di un processo fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale

prodotto non eserciti l’azione principale, nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi

farmacologici o immunologici mediante processo metabolico ma la cui funzione possa

essere coadiuvata da tali mezzi.

I dispositivi medici sono classificati in quattro classi in funzione della complessità

e del rischio crescenti:

Classe I: dispositivi meno critici, quali la gran parte di quelli non attivi e non

invasivi, ad esempio il termometro (all’interno della classe I sono individuabili

2 sottoclassi: la classe I sterile, quelli forniti in stato sterile, e la classe I m –

quelli che svolgono una funzione di misura);

Classe IIa: dispositivi a rischio medio, quali alcuni dispositivi non attivi

(invasivi e non) e dispositivi attivi che interagiscono con il corpo in maniera

non pericolosa, ad esempio pomate per la gestione del microambiente delle

ferite;

Classe IIb: dispositivi a rischio medio/alto, quali alcuni dispositivi non attivi

(specie invasivi) e dispositivi attivi che interagiscono con il corpo in maniera

pericolosa, ad esempio pomate che entrano in contatto con la lesione in

profondità;

Classe III: dispositivi ad alto rischio, quali gran parte di quelli impiantabili,

quelli contenenti farmaci o derivati animali e alcuni dispositivi medici che

agiscono sulle funzioni di organi vitali, ad esempio le protesi.

Nel corso degli ultimi anni i dispositivi medici stanno progressivamente

rappresentando una componente fondamentale di risposta al bisogno di salute della

popolazione. I soggetti erogatori di prestazioni sanitarie hanno visto una crescita

esponenziale del numero e della varietà delle tecnologie mediche sul mercato, e dall’altro

lato i pazienti ne hanno tratto giovamento in termini di benessere e qualità della vita. Con

gli scenari di una popolazione sempre più vecchia, la diffusione e la domanda, sia a livello

globale che nazionale, da parte degli utenti professionali e dei privati è in aumento. Il

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116

piano sanitario nazionale, quindi, sta affrontando seri problemi di gestione di questo

incremento della spesa pubblica per l’acquisto dei dispositivi medici e per le prestazioni

ad essi associate.

Sono i report annuali di Assobiomedica68 l’unico punto di riferimento per

l’approfondimento di questo settore69. Allo scopo di valorizzare e promuovere il settore

in Italia, questa federazione ha dato via ad un osservatorio permanente sui temi di

produzione, ricerca e innovazione.

Il settore dei dispositivi medici è caratterizzato per l’elevata eterogeneità delle

famiglie di prodotti e per le competenze scientifiche e tecniche altrettanto variegate che

si sperimentano in esso. È tipicamente un settore ad alta intensità tecnologica e

innovativa, con rilevanti investimenti in ricerca e sviluppo studi clinici e con una forza

lavoro specializzata con elevato titolo di studio.

Nel 2017 ammontano a 3.883 le imprese sul territorio con una prevalenza del 95%

di quelle di piccole e medie dimensioni. Offrono impiego a 76.000 dipendenti e si

ripartiscono in aziende che si occupano di distribuzione (44%), di servizi (5%) e di

produzione (51%). A fare da traino, sia per numerosità (70%) che per fatturato (80%)

sono per lo più imprese situate nel centro-nord: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e

Toscana. Tra quelle a carattere multinazionale il 40% sono italiane, mentre il 60% sono

estere. Il principale acquirente è la sanità pubblica nazionale, segue quella privata e gli

utilizzatori finali.

Il mondo dei dispositivi medici non è tutto uguale, ma presenta al suo interno alcuni

comparti caratteristici (Figura 17):

68 Assobiomedica è la Federazione di Confindustria che rappresenta le imprese che forniscono dispositivi

medici alle strutture sanitarie italiane pubbliche e private, e direttamente ai cittadini tramite le reti delle

farmacie e sanitarie.

https://www.assobiomedica.it/it/index.html (ultimo accesso: 28/02/2019) 69 I dati presi in esame in questo elaborato sono estrapolato dall’ultimo report disponibile, ovvero quello

del 2017, per la prima volta presentato con delle infografiche. Il rapporto 2018 non è ancora disponibile

alla data odierna.

(https://www.assobiomedica.it/it/pubblicazioni/rapporto-pri/index.html: ultimo accesso: 01/03/2019)

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117

biomedicale (45%); dispositivi monuso o single user come protesi ortopediche,

aghi e siringhe, pacemaker, stent, protesi acustiche, defibrillatori;

biomedicale strumentale (19%); strumenti e apparecchiature per chirurgia,

monitoraggio, riabilitazione e supporto;

borderline (10%); prodotti ad azione meccanica e non farmacologica come

colliri e sciroppi;

attrezzature tecniche (10%); attrezzature ospedaliere, strumentazioni per

laboratorio di studi medici e odontoiatrici;

servizi e software (6%); servizi di gestione e manutenzione delle tecnologie

sanitarie, sterilizzazione, logistica, telemedicina e medicina 4.0, sviluppo

software e app di gestione connessi all’uso dei dispositivi medici;

elettromedicale (5%): TAC, RMN, radiografi, ecografi, ECG, mammografi;

diagnostica in vitro (5%): analisi di laboratorio, diagnostica molecolare,

selftesting, self-testing, bedside-testing, test del DNA, test predittivi di

genomica.

Le imprese che operano in più comparti (1%) sono state attribuite a quello

prevalente.

Figura 17 Le imprese di dispositivi medici e i suoi comparti. (Assobiomedica, 2017)

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118

All’interno dei report annuali di Assobiomedica nulla emerge circa la

comunicazione di queste imprese, tantomeno il loro rapporto con i social media.

Ricercando invece approfondimenti sotto la tematica della salute e i social media, per la

prima volta l’Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema sanitario Italiano nel suo report

del 201870 ha incluso un focus sull’uso dei social media da parte delle strutture

ospedaliere. In un capitolo dedicato, “Le aziende diventano social”, tramite un’indagine

quantitativa e qualitativa, si esplorano diversi temi: i principali social media utilizzati

dalle aziende sanitarie, le principali finalità dell’utilizzo dei social media nelle aziende

sanitarie; tipologia di contenuti veicolati. Una delle conclusioni più sorprendenti è come

per la maggior parte delle aziende sanitarie la presenza sui social media sia percepita

come imprescindibile.

E per le aziende del settore dei dispositivi medici?

4.2 Ricerca empirica

Per l’esplorazione e l’analisi del rapporto tra le imprese del settore dei dispositivi medici

e i social media, si è ritenuto opportuno procedere con 3 tipologie diverse di ricerca:

- quantitativa;

- qualitativa;

- un caso aziendale.

Ad ogni approccio corrispondono domande di ricerca specifiche che verranno esplicitate

di volta in volta assieme alla metodologia seguita per la relativa fase.

70http://www.cergas.unibocconi.eu/wps/wcm/connect/224a071c-c555-4557-b845-

de75277b1ade/Rapporto+OASI+2018_Executive+Summary.pdf?MOD=AJPERES&CVID=mtVqeK6

(ultimo accesso 02/03/2019)

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119

4.2.1 Analisi quantitativa

Domande di ricerca

Gli obiettivi della ricerca esplorativa sono così espressi:

RQ1: Qual è il livello di diffusione e utilizzo dei social media tra le imprese di dispositivi

medici in Italia?

RQ2: Esiste una correlazione tra il modello di business B2B e B2B2C e l’attività sui

social media?

RQ3: Quali sono icomparti più attivi?

RQ4: Esiste una correlazione tra nazionalità dell’impresa e il livello di attività sui social

media?

RQ5: Esiste una correlazione tra livello di attività sui social media e imprese

produttrici/produttrici e distributrici, e quelle che invece fanno solo attività di

distribuzione dei DM?

RQ6: Quali sono i social media più diffusi e quelli con maggiore livello di attività?

RQ7: Qual è il livello di integrazione dei canali social media con gli altri canali online e

offline?

Metodologia

Si espongono di seguito le fasi principali della metodologia.

A. Costruzione del campione:

1. ricerca sul sito del Ministero della Salute l’elenco delle imprese di dispositivi

medici ricavandole dal database dei dispositivi medici;

2. utilizzo di un generatore automatico Google di numeri per la selezione di

campione di 100 aziende;

3. costruzione di un elenco del campione delle 100 aziende (popolazione totale:

3.883 imprese);

4. Scarto dall’elenco delle imprese senza sito internet e selezione di nuove imprese

con cui rimpiazzarle (ripetizione dei punti 2-3);

5. scarto dall’elenco delle imprese con modello di business B2C e selezione di

nuove imprese con cui rimpiazzarle (ripetizione dei punti 2-3).

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120

B. Costruzione di una tabella con le unità statistiche e le seguenti variabili (Allegato A):

1. Caratteristiche del campione:

- italiane/estere;

- B2B/B2B e B2B2C;

- produttrici-produttrici e distributrici/distributrici;

- comparto: biomedicale/biomedicale/strumentale/diagnostica in

vitro/servizi e software/elettromedicale/attrezzature tecniche/comparto

misto;

- geografia: nord/centro/sud e isole.

2. Rapporto con i social media:

- collegamento diretto dal sito web ai social media;

- presenza sui social media: Facebook, YouTube, Instagram, LinkedIn,

Twitter

- attività sui singoli social media (criterio di attività: se numero di post

maggiore o uguale a 4 nel mese di gennaio 201971).

Analisi dei dati

Per avere una visione generale delle aziende selezionate, esse sono state raggruppate in

forma tabellare (Tabella 5) secondo questi criteri: B2B/B2B2C; produttrici-produttrici e

distributrici/distributrici; nord/centro/sud e isole; italiane/estere.

Le imprese del campione sono per il 66% B2B, il restante 34%, invece, contiene

nel proprio portafoglio anche prodotti direttamente fruibili/acquistabili dal consumatore

finale (B2B2C). I consumatori entrano in contatto con i dispositivi delle imprese B2B2C

o perché li comprano dai rivenditori, o dalle aziende produttrici stesse, o perché li

ritrovano nelle strutture ospedaliere, piuttosto che nelle case di cura o nelle case di riposo.

Per fare un esempio, rientrano in questa categoria i produttori di cuscini antidecubito,

ovvero dispositivi medici che il singolo può comprare direttamente dal produttore, da un

rivenditore, oppure può ritrovarseli a disposizione mentre è ricoverato in ospedale e nelle

case di cura, oppure mentre la permanenza in una casa di riposo. La ratio di tale

71 Il criterio è stato stabilito prendendo spunto dallo studio di Flanigan e Obernier (2016) che nella sua

ricerca ha definito come attive le imprese con almeno un post negli ultimi 7 giorni rispetto alla data di

osservazione.

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121

categorizzazione è l’eventuale rilevazione di correlazioni tra l’appartenenza all’una o

all’altra categoria e la strategia di social media.

Un altro elemento di distinzione è tra imprese che operano unicamente come

distributori (12%) e quelle che in aggregato operano come produttrici o come produttrici

e distributrici (78%) di dispositivi medici, anche non di proprio marchio. L’obiettivo è di

individuare una relazione tra queste variabili e l’uso dei social media.

La collocazione geografica è stata considerata per avere un sostegno sulla capacità

rappresentativa del campione. Se il rapporto di Assobiomedica (2017) indica che le

imprese del centro-nord costituiscono l’80% del totale, nel campione esaminato la

percentuale sale di 9 punti percentuali (89%). Il campione risulta quindi leggermente in

difetto rispetto alla rappresentatività geografica. Ai fini dello scopo della ricerca il dato è

però di secondaria importanza.

È stata infine osservata l’italianità o meno delle imprese. La presenza delle italiane

è netta, con un 79% contro il 21% delle straniere. Questo dato è utile per analizzare

eventuali peculiarità delle aziende nazionali rispetto a quelle estere nell’uso dei social

media.

Caratteristiche delle imprese di DM N°(%)

B2B 66

B2B2C 34

Produttrici/Produttrici e Distributrici 78

Distributrici 12

Nord 75

Centro 14

Sud e Isole 11

Italiane 79

Estere 21

Tabella 5 Caratteristiche delle imprese del campione. (Rielaborazione personale, 2019)

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122

RQ1: Qual è il livello di diffusione e utilizzo dei social media tra le imprese di dispositivi

medici in Italia?

Si è cercato di stabilire il livello di diffusione e di utilizzo delle imprese del settore dei

DM sui principali social media, ovvero Facebook, LinkedIn, Twitter, YouTube e

Instagram (Grafico 11; Grafico 12).

Il primo dato d’interesse è la proporzione di aziende che non sono presenti su nessun

canale, ovvero il 28% contro il restante 72% che invece è presente su almeno uno. Se a

prima vista potrebbe sembrare un risultato impressionante in senso positivo, a

ridimensionare il dato provvede invece il dato sull’attività. È infatti solo il 31% a farne

un effettivo utilizzo, ed è su questo dato che seguono dei parallelismi.

Confrontando questo risultato (31%) con quello del generico settore B2B italiano

(80%)72, si nota l’ampio divario (-49%) delle imprese di DM nell’utilizzo dei social

media. Una considerazione importante su questo confronto è che l’indagine CBIBIS sul

B2B è riferita alla situazione nell’anno 2015, mentre i dati sul settore dei DM al 2019,

pertanto nel frattempo le statistiche delle prime potrebbero essere variate.

Al confronto con l’adozione dei social media da parte di generiche imprese in Italia

(56%)73, la diffusione nel settore in questione (31%) risulta anche qui inferiore (-25%).

Analogamente alla situazione precedente, anche questo gap andrebbe aggiustato

considerando che i dati del confronto derivano da una rielaborazione de “Il SOLE 24

ORE” avente come anno di riferimento il 2017.

Osservando solo la presenza e non l’utilizzo, dal grafico 11 si può notare

l’andamento tendenzialmente descrescente all’aumentare dei social media: 1 solo canale

per l’1%; 2 canali per il 15%; 3 canali per il 21%; 4 canali per il 13%; 5 canali per il 2%.

Il numero medio di piattaforme social del campione esaminato è quindi di 1.8,

ovvero quasi due social per ciascuna azienda.

72 Si veda il paragrafo “3.9 Il settore B2B in Italia e Social Media Marketing” 73 Si veda il paragrafo “2.5.7 Il Social Media Marketing e le aziende italiane”

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123

Grafico 11 La diffusione dei social media tra le imprese di DM in Italia..

(Rielaborazione personale, 2019)

Grafico 12 L'utilizzo dei social media tra le imprese di DM in Italia. (Rielaborazione personale, 2019)

RQ2: Esiste una correlazione tra il modello di business B2B e B2B2C e l’attività sui

social media?

Come mostrato di seguito (Grafico 13), sono 18 le imprese B2B ad essere attive su almeno

un social media, ovvero il 27%, mentre quelle B2B2C sono al 29% con solo 2 punti

percentuali di distacco. Si può pertanto affermare che non ci sia una correlazione tra il

modello puro di B2B e imprese che offrono nel proprio portafoglio anche prodotti

destinati all’uso diretto da parte dei consumatori finali.

28%

19%15%

21%

13%

2%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

0 1 2 3 4 5

Imprese di DM e n° SM

31%

69%

Imprese di DM e attività sui SM

ATTIVE NON ATTIVE

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124

Grafico 13 L'attività sui social media delle imprese B2B di DM in Italia.

(Rielaborazione personale, 2019)

RQ3: Quali sono i comparti più attivi?

Nell’esaminare i comparti più attivi in merito all’uso dei social media è emerso che è

quello borderline a distinguersi con il 75% di imprese che puntano sui canali online

(Grafico 14). Non sembra invece fare grossa differenza il fatto di disporre di un’offerta

variegata che spazia tra i vari comparti (29%) in cui i dispositivi medici sono suddivisi.

Tra le organizzazioni impegnate nell’offerta di servizi e software selezionate è invece

stata rilevata attività nulla (0%).

Grafico 14 Livello di attività sui social media in ciascun comparto di DM in Italia.

(Rielaborazione personale, 2019)

27%

29%

26%

27%

27%

28%

28%

29%

29%

30%

B2B B2B2C

Livello attività sui SM delle imprese B2B e B2B2C di DM

B2B B2B2C

0%25%

29%29%29%

31%43%

75%

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80%

Servizi e Software

Biomedicale strumentale

Comparti misti

Elettromedicale

Livello di attività sui SM in ciascun comparto di DM

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125

RQ4: Esiste una correlazione tra nazionalità dell’impresa e il livello di attività sui social

media?

Come si evince dal grafico, c’è una correlazione tra l’origine dell’impresa e il suo livello

di attività sui social media (Grafico 15). Se tra le imprese estere operanti in Italia l’utilizzo

delle piattaforme online sfiora il 50%, tra le italiane invece il dato è appena superiore al

20%. Una prima spiegazione è che le imprese estere sono multinazionali e quindi imprese

di grandi dimensioni con risorse molto maggiori. Il fenomeno, tuttavia, non è tutto

spiegato con le dimensioni aziendali, dato che non mancano tra le aziende italiane quelle

con carattere multinazionale.

Grafico 15 Il livello di attività tra le imprese italiane ed estere di DM operanti in Italia.

(Rielaborazione personale, 2019)

RQ5: Esiste una correlazione tra livello di attività sui social media e imprese

produttrici/produttrici e distributrici, e quelle che invece fanno solo attività di

distribuzione dei DM?

Il grafico 16 mostra come nelle aziende produttrici/produttrici e distributrici l’utilizzo dei

social media (36%) sia superiore di 11 punti percentuali rispetto a quelle impegnate solo

nella distribuzione.

24%

48%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

Italiane estere

Livello attività tra imprese italiane ed estere di DM in Italia

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126

Grafico 16 Il livello di attività tra le imprese produttrici/produttrici e distributrici, e

distributrici. (Rielaborazione personale, 2019)

RQ6: Quali sono i social media più diffusi e quelli con maggiore livello di attività?

Si osservano ora le piattaforme social più diffuse, distinguendo tra chi possiede un profilo

e chi ne fa un uso effettivo (Grafico 17).

Nel campione considerato la diffusione di profili di social media da parte delle

imprese B2B del settore dei dispositivi medici in Italia social media più diffusi si presenta

così: Facebook (22%), LinkedIn (20%), Twitter e YouTube (18%), Instagram (7%).

Facebook si riconferma anche in questo contesto la piattaforma più comune, pur non

essendoci un distacco coì netto dagli altri seocial media, infatti LinkedIn lo segue con

solo 2 punti in meno di distacco.

Avere un profilo sui social media non implica necessariamente un effettivo utilizzo

degli stessi. La rappresentazione grafica dei dati a confronto ne è la conferma. Per

Facebook la corrispondenza è molto buona, infatti il 90% di chi possiede un profilo ne fa

anche un utilizzo significativo. Questo è un ulteriore indice di popolarità della

piattafroma.

Per Twitter e LinkedIn la situazione è differente, ovvero è solo la metà delle imprese

presenti con un profilo su queste due piattafome ad essere attiva. Ne deriva che la

presenza su questi social sia per uno scopo di presidio oppure qualche azienda potrebbe

essere nella fase di ascolto che precede la partecipazione attiva. Un’altra spiegazione è

anche che i due social vengano strategicamente aggiornati raramente.

36%

25%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

produttrici/produttrici e distribuitrici distributrici

Livello di attività tra imprese produttrici/produttrici e distributrici, e

distributrici

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127

Instagram, con già una presenza molto bassa (7%), registra solo il 13% di attività.

Questo social media, a causa delle sue caratteristiche intrinsiche (uso esclusivo di foto,

condivisione dei contenuti disincentivata etc.) e il suo target (prettamente giovani), si

dimostra poco apprezzata o troppo sfidante per il mondo business to business dei

dispositivi medici.

La peggiore corrispondenza è per YouTube, che con il suo 0% si posiziona come

il social peggiore per livello di attività. La ragione di fondo è che la creazione di contenuti

digitali richiede molto tempo e solitamente si tratta di video istituzionali, tutorial di

prodotto che naturalmente non hanno dei cicli vita brevi come i post degli altri social

media. Quindi in questo caso la variabile più adatta è il livello di presenza con un canale,

ovvero il 18%.

RQ7: Qual è il livello di integrazione dei canali social media con gli altri canali online e

offline?

Un primo segnale di integrazione dei canali è la presenza dei bottoni di collegamento dal

sito web ai social media. Tra le aziende attive il risultato è positivo, ovvero il 90% di esse

Grafico 17 I social media più diffusi e quelli più utilizzati tra le imprese B2B del settore dei

dispositivi medici in Italia. (Rielaborazione personale, 2019)

22% 20% 18% 18%

7%

90%

53% 53%

0%

13%

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Facebook LinkedIn Twitter YouTube Instagram

Presenza e attività delle imprese di DM sui SM

Proporzione di attività per ciascun SM

Livello di presenza delle imprese di DM con un profilo su ciascun media

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ha inglobato nel proprio sito web la possibilità per i visitatori di raggiungere direttamente

i profili aziendali sulle piattaforme social dove si è presenti (Grafico 18).

Grafico 18 Il livello di diffusione del collegamento diretto dal sito web

ai SM delle aziende di DM in Italia attive sui SM. (Rielaborazione personale, 2019)

4.2.2 Analisi qualitativa

Per l’analisi qualitativa dell’elaborato si è ricorso ad alcune interviste coinvolgendo

direttamente 5 imprese B2B del settore dei dispositivi medici in Italia. È importante

sottolinare che sono solo 2 le imprese B2B del campione, le restanti 3 presentano

un’ampia gamma di prodotti e servizi, alcuni destinati esclusivamente ad acquirenti

business altri invece destinati anche all’uso dei consumatori finali tramite degli

intermediari, come ad esempio le ortopedie.

L’obiettivo generale è quello di fare luce su alcune questioni impossibili da studiare

con l’analisi quantitativa. È interessante osservare il processo di creazione dei contenuti

dato che il settore è molto tecnico e che richiede un linguaggio specifico. Inoltre

trattandosi di un tema delicato come quello della salute, intervengono leggi e normative

di settore che regolano alcuni aspetti della comunicazione. A dimostrazione di quanto

detto, anche il semplice accesso alle informazioni dei vari siti web è normato (Figura 18).

90%

10%

Collegamento diretto sito Web- profili SM

Sì No

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129

L’eventuale social media manager come si rapporta con questa complessità? È un

esperto di entrambi gli ambiti oppure la questione viene risolta con una collaborazione

tra varie funzioni? Da quest’ultimo interrogativo ne nasce un altro circa l’utilizzo delle

agenzie di comunicazione piuttosto che delle risorse interne. Per le prime infatti è quasi

scontata la mancanza di conoscenze tecniche e pertanto la collaborazione con le altre

funzioni aziendali è obbligata. Nel caso invece di risorse interne si tratta di capire a quale

funzione aziendale è affidata la gestione dei social media.

Gli altri aspetti da approfondire ruotano attorno alla generale struttura della strategia

aziendale sui social media, soffermandosi ad affrontare la questione degli obiettivi da

perseguire e il target della comunicazione. In ultimo, ma non per importanza si tratta di

comprendere se il trend delle imprese di questo settore sui social media è in crescita

oppure i risultanti ottenuti sono scoraggianti.

Domande di ricerca

Le domande di ricerca sono così elencate:

Figura 18 Le linee guida del Ministero della Salute 28/03/2013 sulla comunicazione sul sito web delle aziende

di dispositivi medici

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RQ7: Qual è il livello di integrazione dei canali social media con gli altri canali online e

offline?

RQ8: Qual è il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social media?

RQ9: Qual è la percezione delle aziende delle opportunità e delle potenzialità dei social

media del settore?

RQ10: Qual è La strategia di social media marketing?

RQ11: Avviene la misurazione dei risultati?

RQ12: Come avviene la gestione dei social media (interna o esterna; numero di risorse

umane coinvolte; fascia d’età delle persone coinvolte)?

RQ13: Quali sono le prospettive future dell’utilizzo dei social media nelle aziende B2B

del settore dei dispositivi medici in Italia?

A ciascun obiettivo di ricerca corrispondono più domande dell’intervista, pertanto

verranno esposte in una prima fase le domande con le relative risposte a cui segue una

rielaborazione seguendo lo schema degli obiettivi di ricerca.

Metodologia

Sono state condotte 5 interviste ad aziende del settore cercando di avere un campione

abbastanza eterogeneo di unità statistiche. L’intervista è strutturata in 3 parti:

- profilo dell’azienda;

- profilo dell’intervistato;

- relazione tra azienda e social media (11 domande aperte).

Con alcuni interlocutori la comunicazione è avvenuta per via telefonica, con altri invece

lo scambio è avvenuto via e-mail. Tutte le imprese coinvolte sono state contattate tra

febbraio e marzo. Le interviste complete sono contenute nell’appendice A.

Analisi dei dati

Sono state sintetizzate in forma tabellare le caratteristiche sia in forma aggregata (Tabella

5) sia individualmente prese (Tabella 6). Il campione delle aziende intervistate è

composto da 2 aziende puramente B2B, mentre le restanti 3 sono riconducibili ad aziende

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con un portafoglio prodotti misto. Per portafoglio misto si intende che oltre a prodotti

destinati ai buyer professionali, ci sono anche quelli che, tramite degli intermediari,

saranno utilizzati dai consumatori finali. La maggioranza di queste si trova al nord Italia

e si tratta di un mix di micro (1), piccole (1) e medie imprese (3), rispecchiando all’incirca

la struttura dimensionale a livello nazionale. Solo 2 sono esclusivamente distributrici di

dispositivi medici mentre le altre (3) si occupano anche della produzione degli stessi.

Aziende N° %

B2B 2 40%

B2B e B2B2C 3 60%

Nord 4 80%

Centro 1 20%

Sud e Isole 0 0%

Produttore e distributore 3 60%

Distributore 2 40%

Micro 1 20%

Piccola 1 20%

Media 3 60%

Grande 0 0%

Tabella 6 Le caratteristiche delle aziende intervistate. (Rielaborazione personale, 2019)

Si espongono ora tutte le domande e una rielaborazione in forma aggregata delle risposte

ottenute.

Azienda B2B/B2B e B2B2C

Area geografica (Italia)

Produttori e distributori/distributori

Dimensioni aziendali

A B2B e B2B2C Nord Distributore Media impresa

B B2B Nord Produttore e distributore Microimpresa

C B2B e B2B2C Nord Distributore Piccola impresa

D B2B Nord Produttore e distributore Media impresa

E B2B e B2B2C Centro Produttore e distributore Media impresa

Tabella 7 Le caratteristiche delle imprese intervistate. (Rielaborazione personale, 2019)

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1. L’azienda è presente sui social media?

Tutte le aziende intervistate sono presenti sui social media.

2. Su quali social e da quando? Su spinta di chi?

Tutte le aziende sono presenti su LinkedIn, lo stesso vale per Facebook con l’eccezione

di un’impresa B2B. A seguire si trovano Twitter e Instagram (2 imprese), e in ultimo

YouTube con solo un profilo presente. In media ciascuna azienda possiede 2,8 profili

social.

La presenza su questi social media è relativamente recente, in media 2 anni fa. Circa

i soggetti che hanno spinto per approdare su queste piattaforme le risposte sono state

molto varie. Per alcune aziende l’iniziativa è partita direttamente dall’area marketing, per

altre invece è stato un processo condiviso a livello dirigenziale.

3. Siete attivi?

Tutti si sono dichiarati attivi su almeno un social. Emerge anche in questo contesto che

avere un profilo non è sinonimo di presenza attiva. Nessuna azienda infatti è attiva su tutti

i social su cui ha dichiarato di avere un account aziendale. La maggior parte considera il

portafoglio social media con un proprio personale ordine gerarchico. All’apice di questa

gerarchia tranne in un caso, si trova Facebook. LinkedIn viene invece trattato come

secondario, tranne in un solo caso. Le soglie per stabilire se un’azienda attiva o meno

sono state definite dagli stessi intervistatori. Per qualcuno si va dai 1-2 post a settimana,

per altri invece lo stesso numero è spalmato su un intero mese. Per Twitter, YouTube e

Instagram emerge all’unanimità un aggiornamento spot, quindi non un’attività continua

ma circoscritta a particolari circostanze.

“Instagram nell’ultimo anno è utilizzato soprattutto durante gli eventi fieristici, con foto

e video dello stand e/o luogo della fiera.” (Azienda B, B2B)

4. Avete una strategia social? Considerate qualche social il vostro social principale? La

strategia è unica per tutti i social o avete strategie diverse per ogni social? Se sì, qual è il

vostro obiettivo per ciascun social? Quali sono i destinatari che intendete raggiungere

negli specifici social media?

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133

La maggioranza dichiara di possedere una strategia, quindi degli obiettivi e uno specifico

target da raggiungere. Ancora una volta Facebook viene riconfermato come canale

principale, sia per quelle aziende che intendono raggiungere i professionisti del mondo

sanitario sia quelle che invece hanno destinatari misti tra figure business e consumatori

finali.

“Facebook, Twitter e YouTube sono i social media principali, ovvero i canali social più

strategici per raggiungere anche i consumatori finali. In particolare su Facebook e

Twitter ci sono tanti potenziali clienti, ovvero tante sanitarie, tante farmacie, tanti

terapisti (fisioterapisti, osteopati) che stanno aggiornando le loro pagine. Siamo quindi

seguiti non solo dai clienti finali, ma anche da questa tipologia di target.” (Azienda A,

B2B e B2B2C)

“Attualmente non abbiamo una strategia social. Riteniamo la presenza su Facebook

fondamentale, come avere il website aziendale, ma più per una questione di dimostrare

serietà e professionalità della nostra azienda che come canale di vendita.” (Azienda B,

B2B)

“Pubblichiamo per i clienti informazioni anche tecniche con lo scopo di farci pubblicità,

far conoscere il nostro brand. Targhetizziamo sempre per raggiungere le figure

professionali che pensiamo siano interessate a quello che facciamo.” (Azienda C, B2B)

“L’obiettivo strategico è la creazione di articoli che forniscano informazioni realmente

utili agli acquirenti dei nostri prodotti. Noi puntiamo a raggiungere soprattutto i figli o i

caregiver delle persone anziane, che sono poi i clienti diretti di alcuni dei nostri prodotti.

Il risultato che vorremmo ottenere è che loro vadano dal distributore richiedendo di

preferenza i prodotti Moretti SPA. I nostri contenuti vengono poi spesso anche ricondivisi

dai clienti diretti Moretti, ad esempio le ortopedie, secondo una logica di network.”

(Azienda E, B2B e B2B2C)

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5. Chi si occupa della gestione dei social media?

Tutti gli intervistati si occupano personalmente della gestione dei social media. Solo in

un caso si tratta di una persona non proveniente da una formazione di marketing e

comunicazione, trattandosi direttamente del fondatore e proprietario aziendale, anche se

l’intenzione futura era comunque di affidarsi ad un’agenzia di comunicazione. La

gestione è quindi nella totalità affidata ad una persona interna all’azienda appartenente

all’area marketing e/o comunicazione, affiancata solo in un caso da un’agenzia esterna.

6. Come avviene il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social?

Sono di varie tipologie i post condivisi e altrettanto differenti i processi di creazione degli

stessi. Nello specifico è interessante rimarcare quanto il lavoro in team sia fondamentale

nella costruzione dei post di prodotto. È infatti essenziale l’intervento di un esperto, sia

esso un medico piuttosto che un product specialist, se non nella fase di creazione per lo

meno in una fase di controllo delle informazioni antecedente la loro diffusione in rete.

Questo è stato un elemento che ha accumunato tutte le risposte, ad eccezione ovviamente

del caso in cui se ne occupa direttamente il fondatore e dirigente dell’azienda, il quale

dichiara di occuparsi personalmente a 360 gradi del processo di creazione dei contenuti.

Alcuni intervistati hanno sottolineato anche la necessità di coinvolgimento di persone

esperte in ambito grafico per i contenuti foto, video, e infografici, oltre che soggetti

competenti in ambito normativo.

“Post informativo di prodotto: in collaborazione con i product specialist si decide quali

prodotti vogliono comunicare e informazioni condividere. Se ad esempio viene lanciato

un nuovo tutore per il ginocchio, si fa un post dedicato a quel prodotto.” (Azienda A, B2B

e B2B2C)

“Poi a seconda dell’articolo ci sono interlocutori differenti, quali i colleghi di Ricerca e

Sviluppo per le parti più tecniche, l’ufficio commerciale, come anche chi si occupa delle

normative.” (Azienda E, B2B e B2B2C)

“In base ai congressi e ai risultati raggiunti richiedo un’infografica all’agenzia di

comunicazione.” (Azienda D, B2B)

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7. Vi è una fase di raccolta e rielaborazione dei dati raccolti tramite i social media?

Tranne in un caso, tutti gli intervistati prevedono una fase di raccolta dei risultati ottenuti,

per la maggioranza a cadenza mensile, in cui si osservano le metriche più importanti

direttamente dai report creati dai social media stessi. I valori più citati riguardano

indicatori che esprimono il livello di interazione del pubblico e l’indice di copertura. In

nessun caso è stato citato il calcolo del ROI.

“Lo scopo è quello di capire quali sono i post più interessanti per il pubblico di

riferimento. Quindi si valuta l’interazione che ciascun post ha avuto, i suoi like etc.”

(Azienda A, B2B e B2B2C)

“Sì, raccolgo i risultati mensili automaticamente offerti da Facebook e li archivio man

mano.” (Azienda C, B2B e B2B2C)

“Sì, mensilmente. Analisi della copertura, delle condivisioni e del pubblico acquisito.”

(Azienda D, B2B)

8. Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?

A parte il caso dell’azienda che manifesta una mancanza di strategia, in tutti gli altri casi

si rileva un clima di soddisfazione dei risultati raggiunti.

“Per ora sì, sia per il lavoro svolto verso il consumatore finale che verso i professionisti

del settore.” (Azienda A, B2B e B2B2C)

“Non molto.” (Azienda B, B2B)

“Sì, ma ci sembra che si possa fare molto di più.” (Azienda C, B2B e B2B2C)

“Sì.” (Azienda D, B2B)

“Siamo soddisfatti dei risultati raggiunti. Moretti sui social è più che duplicata in un

anno. Raggiungiamo mediamente 30.000 persone alla settimana e un centinaio di queste

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interagiscono con il contenuto che viene proposto. Questi sono valori per noi significativi

e importanti.” (Azienda E, B2B e B2B2C)

9. Avete finora individuato delle criticità nell’utilizzo dei social? Se sì, quali sono?

Se per alcuni non si sono rilevate criticità particolari nell’utilizzo dei social, altri invece

fanno emergere le seguenti problematiche:

la tempestività di risposta quando lo strumento viene utilizzato come strumento

di customer care

“Proprio perché viene utilizzato anche come strumento di customer care, la

tempestività di risposta è importante. Non bisogna far trascorrere troppo

tempo. Essendo dispositivi medici, le risposte devono essere chiare e semplici.”

(Azienda A, B2B2C)

Geolocalizzazione a livello mondiale

“La criticità è dovuta alla questione della geolocalizzazione. Facebook punta

molto su questo dato, ma nel nostro caso non è molto efficace, in quanto il

nostro profilo di cliente è molto selezionato (rivenditori) e molto vasto (Europa,

Nord Africa, Medio Oriente, Alcuni paesi dell’Asia, e Sud America). Per

Facebook questa zona e troppo vasta, mentre la ricerca dei rivenditori è molto

limitata. Inoltre essendo il nostro pubblico solamente B2B, questo restringe

molto la fetta di utenti interessati al nostro profilo.” (Azienda B, B2B)

10. Pensate di proseguire in futuro con la strategia di social media marketing?

Per la maggioranza c’è un interesse molto deciso a proseguire con la strategia di social

media marketing. Nello specifico:

- in due casi l’intenzione è quella di svilupparsi ulteriormente con maggiori

risorse o ampliandosi su altri canali

“Sì assolutamente, come detto prima ci vogliamo appoggiare ad un’agenzia

esterna perché ci rendiamo conto che si può fare ancora molto più di così.”

(Azienda C, B2B e B2B2C)

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Sì, l’obiettivo è quello di iniziare ad elaborare video da pubblicare sul canale

YouTube.” (Azienda D, B2B)

- progetto per mantenere attiva la presenza sui social non si prevedono

investimenti ulteriori in tal senso se non per occasioni spot

“Certo come detto, riteniamo fondamentale la presenza sui social, non siamo

però interessati ad investire denaro e/o risorse, se non per aumentare la

visibilità durante eventi fieristici.” (Azienda B, B2B)

- progetto di proseguimento nella strategia di SMM

“Sì, assolutamente sì.” (Azienda A, B2B e B2B2C; Azienda E, B2B e B2B2C)

11. Integrate in qualche modo i canali social con gli altri canali?

Circa l’integrazione, sono molto diverse le linee intraprese:

- chi dichiara di non integrare né sul lato online né quello offline;

- chi lavora sull’integrazione sia online che offline;

“Assolutamente sì. Sia con quelli online come può essere il sito web, sia con

quelli offline, ovvero sui cataloghi dei prodotti, brochure e più in generale sugli

strumenti classici di marketing.” (Azienda A, B2B e B2B2C)

“Sì, attraverso pubblicità su riviste specializzate e comunicati stampa.”

(Azienda D, B2B)

- chi è impegnato sul lato online

“Sì, lo scorso anno, oltre al sito è stato implementato un Magazine di un

dominio di terzo livello del dominio Madre Moretti SpA dove appunto è stato

creato un vero e proprio magazine aziendale. Quest’anno invece abbiamo in

programma una ristrutturazione del sito col fine di renderlo più organico.

L’obiettivo generale, aldilà anche dei social è quello di migliorare anche il

posizionamento dell’azienda nei motori di ricerca.” (Azienda E, B2B e B2B2C)

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Conclusioni

Si riassumono brevemente i risultati raccolti dalle interviste sopra esaminate:

RQ7: Qual è il livello di integrazione dei canali social media con gli altri canali online e

offline

Il concetto di integrazione dei canali social nel contesto delle imprese B2B operanti nel

settore dei dispositivi medici in Italia si dimostra ancora in una fase primordiale,

soprattutto circa la connessione del mondo online con quello offline.

RQ8: Qual è il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social media?

È stato molto interessante esplorare questo processo per osservare l’approccio degli

addetti ai social media nell’affrontare tematiche così specifiche e tecniche che

caratterizzano il settore. Il lavoro in team accomuna tutte le varie situazioni aziendali, sia

appunto per l’ideazione e il controllo delle informazioni, sia dal punto di vista di

competenze grafiche. Il social media manager deve quindi trovare il modo di creare

sinergia tra tutte queste funzioni al fine di proporre dei contenuti non solo curati

esteticamente ma anche corretti nelle informazioni, nel rispetto anche dei vincoli

normativi.

RQ9: Qual è la percezione delle aziende delle opportunità e delle potenzialità dei social

media del settore?

I social media, in particolare Facebook e LinkedIn, vengono sempre più percepiti come

una sorta di biglietto da visita virtuale, un punto di riferimento anche per i professionisti

che lavorano nel campo. Quindi esserci è fondamentale per dimostrarsi agli occhi dei

professionisti come aziende al passo con i tempi. Dal punto di vista delle vendite, il ruolo

delle piattaforme social sembra essere quello di incrementare il traffico sul sito web.

Un altro dato significativo è la percezione dei social media come uno strumento dalle

ottime potenzialità nella comunicazione immediata, ovvero la chat di Facebook, ad

esempio, prende sempre più la forma di un servizio di customer care.

In generale, le imprese operanti nel puro B2B sembrano avere maggiori difficoltà e

perplessità circa l’individuazione dei possibili benefici traibili da una strategia di social

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media marketing. Per quelle invece che dispongono di un portafoglio prodotti misto tra

B2B e B2B2C le potenzialità sembrano più nitide.

RQ10: Qual è la strategia di social media marketing?

Sembra essere chiaro a tutti come LinkedIn sia ormai un punto di riferimento per i

professionisti ed esserci non è più una scelta bensì un must per il mondo business. Si è

pertanto consci che si tratta di un social con un taglio professionale. Come parlare a dei

professionisti è molto complicato e questa complessità fatica ad essere affrontata, tanto è

vero che tutti ce l’hanno ma quasi nessuno lo usa. Facebook è invece il più gettonato. Da

una parte il motivo risiede nel fatto che alcune aziende, pur avendo come clienti diretti

gli acquirenti business sfruttano il potere comunicativo di questo canale per raggiungere

direttamente gli utilizzatori di alcuni dei loro prodotti. In questo senso la linea strategica

si declina nella diffusione di contenuti circa i temi della salute collegati ai prodotti oltre

che post mirati alla costruzione di una brand awareness e brand reputation. L’altra

motivazione che spiega il successo di Facebook è la possibilità di ritrovare anche lì i

professionisti che dimostrano un’interazione sempre maggiore con i contenuti di queste

pagine. Questo però non è affatto un processo automatico, occorre fornire agli acquirenti

business contenuti che possano essere per lui significativi e quindi ricavarne dei benefici.

Una sanitaria ad esempio è predisposta a seguire la pagina social del suo fornitore di

dispositivi medici se questo gli offre post già pronti da condividere con i propri follower.

Per un medico, invece, che non deve vendere nulla ai propri pazienti è utile una pagina

Facebook che lo tenga informato sui prodotti in commercio.

RQ11:Avviene la misurazione dei risultati?

Risulta prassi raccogliere i report periodici generati dai social media stessi che misurano

le performance aziendali circa il livello di copertura e l’interazione raggiunta con il

pubblico. Allo stesso tempo nessun intervistato ha mai chiamato in causa il calcolo del

ROI, a conferma di quanto l’attività sui social media ancora non disponga di un modello

di misurazione dei risultati che tenga conto di tutte le sfumature di benefici potenziali che

genera per l’azienda.

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RQ12: Come avviene la gestione dei social media (interna o esterna; numero di risorse

umane coinvolte; fascia d’età delle persone coinvolte)?

La gestione dei social media è generalmente in mano a figure appartenenti all’area

marketing e comunicazione, pur trattandosi di imprese micro, picccole e medie. Questo a

testimoniare che non sono solo le grandi imprese ad aver compreso l’importanza della

disciplina del marketing in un ambito B2B. Solitamente ad occuparsi dei social media è

una persona sola, ricordando però l’importanza del coinvolgimento di altre funzioni

interne all’aziende oppure esterne come le agenzie di comunicazione.

RQ13: Quali sono le prospettive future dell’utilizzo dei social media nelle aziende B2B

del settore dei dispositivi medici in Italia?

Il clima circa l’uso dei social media per il futuro è di generale ottimismo, con una

previsione di ampliamento degli investimenti in questa strategia.

4.2.3 Caso studio: Service Med SpA e il Social Media Marketing

4.2.3.1 Service Med SpA: mission e vision aziendali

In questo paragrafo si approfondisce il caso di Service Med SpA e il suo rapporto con i

social media. Si tratta di un’azienda di medie dimensioni situata a Bussolengo (Verona)

che dal 1992 è impegnata nella produzione e distribuzione di dispositivi medici. Nasce e

raggiunge l’apice del suo successo nell’ambito dei sistemi antidecubito74, ma negli anni

più recenti sta attraversando profondi cambiamenti. Non solo antidecubito, quindi, ma

un’offerta di prodotti e servizi più ampia che ambisce ad accompagnare gradualmente il

paziente in maniera sempre più completa a garanzia del suo benessere. Per conoscere

meglio l’azienda si illustra di seguito la sua mission e vision.

74 Per superficie antidecubito si intende un dispositivo medico progettato per la redistribuzione delle

pressioni in grado di gestire i carichi tissutali, gestire le forze di frizione e di scivolamento e capace di

migliorare il microclima. La sua funzione principale si manifesta soprattutto nella prevenzione ma è

documentato che l’utilizzo di tali sistemi, se di ultima generazione, migliorano i processi di guarigione di

lesioni già esistenti favorendo la granulazione e svolgendo anche un’attività terapeutica sul dolore.

https://www.servicemed.it/il-ruolo-delle-superfici-antidecubito-nel-wound-care/ (ultimo accesso:

27/02/2019)

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Mission

“Facilitare Istituzioni, Pazienti, Care Givers nell’assistenza sanitaria intra ed extra

ospedaliera per la prevenzione e cura delle lesioni cutanee, attraverso la fornitura

integrata di dispositivi medici appropriati e servizi di supporto, massimizzando il

rapporto costo/beneficio per l’individuo e per l’Organismo pagatore” (Service Med SpA,

2019

Se fino al 2016 la mission aziendale era incentrata solo sul core business, ovvero la

produzione e la distribuzione di sistemi antidecubito, negli anni più recenti la sua

formulazione è attinente ad una più generica offerta di dispositivi medici legati alla cura

e prevenzione delle lesioni cutanee (wound care). La ragione d’essere dell’azienda

diventa quindi l’offerta di prodotti e servizi per un approccio più completo alle lesioni

cutanee.

Un altro aspetto interessante che emerge dall’analisi della mission è il target. Si

menziona infatti un’assistenza intra e extra ospedaliera, quindi si esce fuori dai confini

delle strutture ospedaliere offrendo soluzioni anche per ambulatori e il domiciliare

privato. La gestione della wound care avviene quindi all’interno degli ospedali, a volte

con un reparto specifico (dermatologia), altre volte i pazienti sono invece ricoverati in

altri reparti trasversali che trattano più patologie; fuori dall’ospedale negli ambulatori

privati convenzionati e anche direttamente nelle case dei pazienti.

Si sottolinea inoltre l’attenzione verso la sostenibilità economica delle proprie

soluzioni, impegnandosi quindi ad andare incontro alle esigenze e capacità di spesa dei

buyer.

Vision

“Essere partner delle Amministrazioni pubbliche e private per il miglioramento delle

condizioni del paziente allettato proponendosi come Patient Care Provider che possa

prendersi cura del paziente a 360 gradi e fornendo tutti i dispositivi medici di cui ha

bisogno nell’ottica di una gestione efficiente (meno costi) ed efficace (maggiori

risultati)” (Service Med SpA, 2019)

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La vision slega l’azienda dal solo reparto del wound care, allargando la prospettiva a tutti

i dispositivi medici che possano migliorare le condizioni del paziente allettato, a

prescindere da dove esso si trovi. Queste affermazioni assumono maggiore significato se

si pensa a quanto detto circa l’invecchiamento della popolazione nazionale e il

conseguente sovraffollamento degli ospedali. Service Med SpA con le sue soluzioni si

propone di inserirsi in questo quadro riducendo il reparto di lungo degenza

accompagnando il paziente a casa con i propri prodotti e servizi. L’obiettivo è che le

amministrazioni pubbliche e private si rivolgano a Service Med SpA per la gestione del

paziente dentro e fuori le loro strutture.

4.2.3.2 La storia dell’azienda

La ricostruzione della storia aziendale è stata possibile grazie al contributo dell’attuale

Chief Operating Officer (COO) Antonio Artese che ne ha raccontato le tappe

fondamentali.

Service Med nasce tra il 1992 e il 1993 da 3 soci che avevano in origine un ruolo

commerciale in una multinazionale di apparati medicali. Grazie a questo lavoro avevano

acquisito notevoli conoscenze del mondo della sanità nella regione Veneto. Decisero

pertanto di mettersi in proprio nell’attività di vendita di sistemi antidecubito. In questa

fase l’azienda dei 3 soci si occupava della distribuzione dei prodotti per conto di grandi

multinazionali che ne erano invece i produttori.

La loro prima intuizione fu quella di offrire un servizio di noleggio, anziché la

vendita, perché avevano capito che gli ospedali che compravano questi materiali avevano

difficoltà nel gestirli. I sistemi antidecubito necessitano sia di continua manutenzione sia

della sanificazione. Fino a quel momento erano stati gli ospedali stessi ad occuparsi delle

suddette operazioni. Per queste strutture, soprattutto se pubbliche, era più difficile

comprare asset piuttosto che sostenere spese correnti. Gli investimenti erano per questo

motivo più contratti e di conseguenza vendere non era il modello di business più

strategico. Il noleggio invece rappresentava la soluzione a tutte quelle problematiche

sopra menzionate. Il servizio ideale doveva includere la consegna, il ritiro, la

sanificazione e la manutenzione. Ed è quello che hanno fatto, diventando i primi nel

Veneto ma anche a livello nazionale a presentarsi al mercato con questo tipo di offerta.

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Questo tipo di attività, che è tutt’ora il core business dell’azienda, è un modello di

business che non è comune in tutti i paesi dell’Europa. In qualche stato si è abbozzato un

servizio del genere, ma praticamente nessuno in Europa è riuscito a replicare esattamente

questo modello di business. Alcuni lavorano tradizionalmente con l’acquisto e la

rivendita, altri hanno dei servizi inclusi, altri ancora operano con terze parti che

forniscono i servizi alle strutture da loro servite. Oggi in Italia, almeno la sanità pubblica,

opta quasi in toto (99%) per un servizio di noleggio onnicomprensivo e quasi nessuno si

affida più all’acquisto.

L’azienda si sviluppa poi territorialmente, integrando all’unico centro sanificazione

a Bussolengo (Verona) altri due centri sempre nel Veneto. Con il tempo è continuata la

loro espansione geografica sia nella stessa regione che in quelle limitrofi: Friuli Venezia-

Giulia e Trentino Alto-Adige.

Questo processo è proseguito fino al 2010 quando i soci dell’azienda notarono che

la qualità dei sistemi Arjo Huntleigh, maggiore produttore di materassi antidecubito nel

mondo e loro fornitore, non investiva più in termini qualitativi, ma aveva delocalizzato le

produzioni in Cina. Questo si traduceva in una difficoltà di risposta tempestiva sui

malfunzionamenti che mal si conciliavano con il tipo di business che si stava facendo.

Forti anche del fatto che da 20 anni si occupavano della manutenzione e conoscevano

benissimo i materassi Arjo Huntleigh e di altri produttori, si domandarono se fosse il caso

di produrre una loro linea di sistemi antidecubito. Scelgono di diventare produttori e così

nacque MKS (dalle iniziali dei cognomi dei soci fondatori Martinelli, Kinzer e Siviero).

Sfruttando le conoscenze basiche acquisite con la distribuzione del Limbus 4

(prodotto di Arjo Hunteleigh) hanno lavorato all’ideazione e sviluppo di nuovi sistemi

antidecubito. I punti di forza dovevano essere la qualità superiore sia dei materiali che

della struttura del compressore e allo stesso tempo cercando di creare prodotti con

caratteristiche più idonee al servizio. Si diede così vita a linee di produzione di sistemi

antidecubito prima manuali e poi automatici di cui il modello UP AIR è il top di gamma.

L’intuizione imprenditoriale dei tre soci ha portato l’azienda a raggiungere 17 milioni di

fatturato.

Nel frattempo continuava la coesistenza di due diverse società: MKS impegnata

solo nella produzione e Service Med sul lato commerciale partecipando quindi alle gare

pubbliche e di fatto offrendo il servizio di noleggio.

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Questo è andato avanti fino al 2015 quando i soci hanno deciso di cedere le due

attività al fondo SGR di Banca Intesa che mirava ad investire in piccole-medie imprese

con prospettive di sviluppo. Questo fondo chiuso nel 2016 ha fuso le due società dando

vita alla forma societaria nella sua forma odierna, ovvero la Service Med SpA a cui i

fondatori partecipano tutt’ora come soci di minoranza. Da allora l’azienda sta puntando

all’ampliamento del proprio portafoglio e prodotti introducendo dispositivi medici che

affrontino la gestione del wound care a 360°. Ad oggi permane il core business nella

fornitura di sistemi antidecubito a ospedali, case di cura e di riposo, con allo stesso tempo

la distribuzione di altri dispositivi medici che agiscono sia in fase di prevenzione che di

cura del delle lesioni cutanee.

4.2.3.3 L’offerta di prodotti e servizi

Ad oggi l’offerta di Service Med SpA si distingue nel settore sanitario per la qualità dei

suoi prodotti e per l’efficienza e la modernità dei suoi servizi. Il tutto è rivolto al territorio

nazionale grazie ad una fitta, capillare ed efficiente capillare rete commerciale.

Il portafoglio prodotti si articola nel seguente modo:

- sistemi antidecubito statici. I sistemi antidecubito statici rappresentano un

importante strumento per scaricare la pressione di contatto esercitata dal corpo

su una superficie. Queste soluzioni permettono infatti la ridistribuzione delle

pressioni, gestendo i carichi, le forze di frizione e di scivolamento. Si tratta di

soluzioni semplici ed efficaci che possono essere adottate anche a casa con

estrema facilità.

- sistemi antidecubito dinamici. Essi si compongono di due parti, il materasso e

il compressore. Il compressore fa confluire l’aria all’interno del materasso, che

si gonfia e sgonfia in maniera alternata (fluttuazione) secondo un ciclo

temporale che rispecchia il fisiologico cambio di posizione di persone non

compromesse neurologicamente.

- wound care. Si tratta di una linea di prodotti studiata per la diagnosi

dell’arteriopatia periferica e la guarigione di ulcere e lesioni da decubito, grazie

all’ossigenoterapia, l’elettroceutica e l’elettrostimolazione.

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L’azienda è rinomata per aver creato valore intorno ai propri sistemi antidecubito tramite

prestazioni di servizi completi per i propri acquirenti: consegna e ritiro, manutenzione e

sanificazione. Oltretutto, Service Med SpA è stata la prima in Italia a gestire gli ordini e

le segnalazioni dei clienti tramite la piattaforma web SMOW (Service Med On Web)

(Figura 19).

Figura 19 Il servizio di gestione on-line del servizio di noleggio tramite la piattaforma SMOW accessibile dal sito web

aziendale (Service Med SpA, 2019)

4.2.3.4 Il marketing in Service Med SpA

Fino al 2016 la gestione della funzione marketing era incorporata a livello dirigenziale

dai 3 soci fondatori secondo un modello top down. La relazione tra i commerciali e gli

acquirenti business era da sempre stata considerata il perno della strategia aziendale. Gli

strumenti della comunicazione erano sostanzialmente tutto il materiale promozionale

(brochure di prodotto), la partecipazione alle fiere di settore e la presenza di un sito web,

che si presentava molto statica, sintetica e poco interattiva. L’approccio customer oriented

era ancora una filosofia poco assimilata nella struttura aziendale. Il processo di

cambiamento è avvenuto con l’intervento del nuovo amministratore delegato che ha

intrapreso cambiamenti nella strategia di marketing su più fronti.

La struttura di un ufficio marketing

L’attività di marketing ha trovato concretizzazione in un responsabile (Chief Strategy &

R.D Officer) a cui risponde il product manager che dal 2016 collabora con un’agenzia di

comunicazione.

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Rebranding

Il passo successivo è stato il rebranding aziendale affidato all’agenzia di comunicazione.

La nuova Service Med SpA aveva bisogno di un volto e di una personalità le sue

declinazioni sotto forma di logo e payoff aziendale, sito web, social media, nuove

brochure corporate e di prodotto, nuove foto che raffigurassero la nuova realtà aziendale.

Più in generale si sono poste le basi per una comunicazione che fosse realistica, coerente,

non standardizzata e al passo con i tempi.

Di seguito si presenta il confronto tra vecchio e nuovo marchio (Figura 20). Quello

vecchio risulta molto pulito, tanto da non trasmettere una personalità specifica. Nel

complesso, quindi, il marchio non è dotato di una forza particolarmente distintiva. Un

altro elemento da considerare è lo spazio riservato alla tag line “servizi e forniture

medicali” che è troppo ridotto non rendendo leggibile il messaggio che dovrebbe meglio

descrivere il brand. Il nuovo logo, invece, si presenta con colori atipici per il settore e con

una linea continua che simula dinamismo verso la costruzione di una forma sferica al cui

centro si posiziona metaforicamente il paziente. Il suo payoff “human wide care” assume

una posizione visibile e comunica come l’azienda si sia aperta ad obiettivi più ampi

interessandosi alla generica e più completa cura della persona. L’inserimento di una

parola come “human” genera da subito la percezione di un’azienda attenta al benessere

della persona.

4.2.3.5 La comunicazione aziendale e i social media

L’attuale strategia di comunicazione si sviluppa attraverso i seguenti canali/strumenti:

sito web;

relazione face-to-face tra la forza commerciale e i clienti;

Figura 20 Vecchio (sx) e nuovo logo (dx) Service Med

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social media;

fiere nazionali e internazionali;

materiale promozionale (depliant corporate/di prodotto, e gadget).

Come si può notare, i social media rientrano nel communication mix aziendale e

attraverso un’intervista al product manager Gabriele Borsoi si approfondisce meglio

questo rapporto.

I social media

1. Da quando siete sui social media? Con quale obiettivo siete partiti? Su spinta di

chi?

“I social media sono entrati a fare parte del communication mix di Service Med SpA

quando nel maggio 2017 si è creato un profilo aziendale su Facebook e LinkedIn.

Fondamentalmente, si era osservato che i più grandi competitor erano già approdati su

Facebook e quindi la motivazione iniziale era quella di presidio. Fino a inizio 2018 non

c’è mai stata una vera e propria partecipazione con una strategia strutturata, era più una

fase di ascolto del pubblico e analisi delle dinamiche interne al social. Dopo questo anno

di prova e in concomitanza con prodotti l’entrata nel portafoglio di prodotti rivolti anche

direttamente al consumatore privato la presenza sul social ha cominciato ad essere più

strategica.

La strategia era quella di vendere e fare in modo che Service Med fosse un punto

di riferimento per gli utenti per quel che riguarda le piaghe da decubito. Infatti abbiamo

scritto molti articoli che creavano cultura. Era l’unico modo per diventare un punto di

riferimento. L’utente che ha una piaga, va online per cercare soluzioni e noi volevamo

farci trovare lì. In breve, gli scopi da raggiungere sono la vendita dei prodotti B2C e fare

in generale informazione sul tema delle lesioni cutanee.”

2. Qual è il target della comunicazione? Ha senso rivolgersi ai professionisti del

settore?

“Usiamo questi canali per vendere ai privati, per la vendita ai medici o altre strutture ci

sono le gare e procedimenti più lunghi per i quali non sono rilevanti i social. Service Med

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SpA è una B2B. Gran parte del suo fatturato, il 90%, deriva dagli enti pubblici e quindi

non c’è la valutazione del sito o dei profili social, la valutazione è invece fatta su

parametri oggettivi. Per quanto riguarda i professionisti, anche qui non i social non

hanno molto senso. Il professionista va su Linkedin dove legge l’articolo scientifico. Dato

che il nostro scopo è quello di vendere, allora ha senso usare Facebook, perché mi

permette perché mi permette di entrare in contatto con i consumatori finali. Linkedin

assume un ruolo secondario perché lì ci sono solo professionisti.”

3. Pensi i tuoi clienti consultino i tuoi social? In quale fase? Pre-durante o dopo

l’acquisto?

“I clienti B2C nella fase pre- acquisto, per raccolta di informazioni. Per il B2B, i

professionisti over 50 no, quelli più giovani probabilmente sì. Se un medico dovesse

comprare un’apparecchiatura abbastanza costosa, per valutare la reputazione del suo

venditore si baserebbe la relazione, non guarderebbe i social media.”

4. Qual è il rapporto tra i social media e i dipendenti?

“Molta della parte commerciale non ha un profilo social, e chi ce l’ha invece lo usa solo

a scopo personale e non interagisce molto con i contenuti della pagina aziendale. Sono

pochi, soprattutto i più giovani, i dipendenti che interagiscono sulla pagina Facebook,

con mi piace, commenti e condivisioni. Quando sono state aperte le pagine, è stata

mandata una mail ai tutti i dipendenti con il link della pagina Facebook a cui sono stati

invitati a mettere mi piace. Ma solo qualcuno lo ha fatto. Non interagiscono più di tanto

con commenti o altro. Il video aziendale è stato il contenuto maggiormente condiviso,

perché molti di loro avevano partecipato al video in maniera diretta.”

5. Come vi approcciate alla misurazione dei risultati? Quali sono le aspettative?

“Circa la misurazione dei risultati, non vi è una vera e proprio calcolo del ROI, ci si

affida più ai report dell’agenzia di comunicazione. I social media non vengono visti come

un canale marketing per la vecchia generazione, pertanto gli investimenti e le aspettative

non sono molto elevate.”

Questo è confermato anche dall’intervista al CFO dell’azienda che considera il rapporto

face-to-face il fulcro di questo tipo di business. In aggiunta lo scetticismo sull’uso dei

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social da parte sua in ambito lavorativo è anche dovuto allo scarso controllo dei contenuti

che girano in rete e quindi questo poco si presta alla rigorosità e precisione richieste in un

settore che tratta della salute delle persone.

6. Come è organizzata la gestione dei social media?

“L’attività si svolge in team. Ogni mese avviene un incontro con l’agenzia di

comunicazione per stabilire e costruire insieme un piano editoriale. I testi degli articoli

sono scritti e pubblicati dall’agenzia previa mia approvazione.”

7. Integrate i social media con gli altri canali?

“A livello di integrazione dei canali di comunicazione, la situazione è ancora poco

matura, in quanto l’unica azione in questo senso è stato il collegamento diretto tra i social

media e il sito web aziendale. Con la comunicazione offline non c’è ancora nessun tipo

di relazione”

8. Quali sono i progetti futuri?

“L’intenzione è quella di continuare la strategia in una logica di B2C, ovvero tramite la

sponsorizzazione di prodotti destinati al consumatore finale, oltre che continuare nella

creazione di contenuti informativi circa i temi delle lesioni cutanee. Il fine è generare nel

pubblico finale un’associazione tra il tema delle lesioni cutanee e Service Med SpA”

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CONCLUSIONI

L’uso dei social media ha acquisito un ruolo sempre più rilevante nelle strategie aziendali

degli ultimi anni. Sono complici le innovazioni tecnologiche, la diffusione e la popolarità

dei canali social presso il pubblico oltre che il crescente bisogno da parte delle

organizzazioni di puntare verso l’intangibile per distinguersi all’interno di un ambiente

competitivo sempre più ostico. I social media hanno rivoluzionato il modo di fare impresa

sotto molteplici punti di vista: nella promozione del brand, nell’attività di recruitment,

nell’attività customer service, nell’interazione con la propria clientela, nel processo di

sviluppo di prodotti e servizi e altri ancora.

Non è però bastata la diffusione di questo strumento e le numerose esperienze

positive collezionate a diffonderne un utilizzo generalizzato, o per meglio dire un utilizzo

che sia significativo e che sfrutti al meglio le potenzialità dei social media. Questo è

risultato evidente soprattutto nell’ambito business to business, tradizionalmente noto per

l’elevata complessità dei suoi prodotti e dei servizi, per i lunghi tempi di negoziazione e

per la presenza di pochi ma grandi buyer. Sono queste le caratteristiche che hanno favorito

una strategia aziendale fortemente incentrata sul rapporto face-to-face. Molti sono i

manager B2B convinti che i social media, in modo particolare i social network, siano più

adatti ad un contesto B2C poiché si rivolgono alle persone come individui e non come

buyer professionisti. A incoraggiare il processo di adozione di una strategia social in

ambito B2B non ha contribuito nemmeno la letteratura, nettamente in ritardo rispetto alla

controparte B2C nell’offrire indicazioni e linee guida per chi intende intraprendere questa

tattica. È infatti solo negli ultimi anni che questo fenomeno sta cominciando ad essere

studiato anche in ottica B2B. Seppur i dati siano tuttora lacunosi sotto ogni punto di vista,

sembra però che sia possibile poter affermare con certezza che il trend vada verso un

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numero crescente di imprese che stanno includendo i social media nel loro

communication mix.

È in questo clima di ricerche, ancora in una fase iniziale, che si inserisce il lavoro

empirico di questo elaborato. Attraverso l’analisi del settore dei dispositivi medici in

Italia si intende contribuire alla letteratura in merito.

L’analisi quantitativa mette in luce come la quota di imprese con almeno un profilo

sui social media sia abbastanza alta (72%), tuttavia il dato si riduce drasticamente se si

osservano quelle effettivamente attive (31%) su almeno una piattaforma. Con questo

ultimo risultato il settore in questione si posiziona indietro sia rispetto al settore B2B

italiano sia al confronto con le generiche imprese italiane.

Dalle interviste a cui sono state direttamente sottoposte alcune organizzazioni

emerge, invece, come tra gli stessi social media manager siano ancora poco chiare le

potenzialità e le opportunità di questo canale nei confronti dei buyer professionali. Un

altro elemento interessante è il fondamentale requisito del lavoro in team, in particolare

si sottolinea il necessario il coinvolgimento del product specialist per la creazione dei

contenuti data la delicatezza del tema della salute. Si mostra una palese incertezza anche

in merito alla misurazione dei risultati e una mancanza di un approccio strategico

all’integrazione di questi canali, soprattutto sul lato offline. Un segno positivo, invece, si

registra circa le prospettive future: in molti si dichiarano propensi ad un ampliamento

degli investimenti in questo senso.

Dall’analisi del caso aziendale di Service Med SpA risulta ancora più evidente come

il ruolo dei social media sia ancora apprezzato maggiormente in un’ottica B2BC, mentre

permane scetticismo e incertezza nel caso ci si debba rivolgere al mondo B2B.

Si può affermare che si nota un ritardo del settore dei dispositivi medici

nell’adozione dei social media. Si registrano strategie di social media marketing

significative in genere più da parte delle imprese estere che quelle italiane. Si appura,

inoltre, come sia abbastanza radicato il concetto che i social media siano il nuovo biglietto

da visita, ma in pochi riescono a sfruttare in maniera ottimale questa opportunità. Le

motivazioni sono molteplici: in primis la mancanza di linee guida per chi intende

intraprendere questa strategia e soprattutto la scarsità di dati che dimostrino l’effettiva

utilità dello strumento, dall’altro lato si avverte ancora una percezione ristretta sulle

opportunità che questo canale offre. È importante allargare la visione e cominciare ad

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affacciarsi ai social media non limitandosi a pensarli esclusivamente come opportunità di

vendita, ma occorre intravedere in loro spazi dove ad esempio portare la propria cultura,

coinvolgere i propri dipendenti, mostrare i propri risultati, raccontare la propria storia al

fine di migliorare la propria immagine e reputazione. Un altro punto d’incontro tra il B2B

e i social media è la possibilità di questo strumento di incentivare e contribuire a rafforzare

la relazione di lungo termine con i propri clienti. L’effetto di queste ultimi aspetti può

portare miglioramenti non solo sulle vendite in maniera indiretta, ma può contribuire ad

attirare verso sé le migliori risorse umane, a creare un maggiore senso di appartenenza da

parte dei dipendenti, a favorire un atteggiamento positivo da parte della generica platea

degli stakeholder verso l’azienda e creare engagement da parte dei clienti attuali.

Tutto ciò è fondamentale se si pensa ad uno scenario competitivo sempre più ostico

e dove nella gara tra chi ha il prodotto o servizio migliore, vince chi è capace di impostare

il proprio vantaggio competitivo anche sull’intangibile.

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APPENDICE A

MEDILAND SRL (A)

Data intervista: 04/03/2019

Durata intervista: 30 minuti

Modalità intervista: chiamata telefonica

A. PROFILO DELL’AZIENDA

1. Nome dell’azienda: Mediland Srl (A)

2. Città e regione: Arese (Milano), Lombardia

3. Dimensione dell’azienda: media impresa

4. Prodotti/servizi offerti e business model: distributori di dispositivi medici (vedi sito

e specifica quali prodotti, mettimi qui il link che vedo io se sei in dubbio)

5. Tipologie di clienti e in che proporzione: Non è prevista attività di vendita rivolta

direttamente al consumatore finale. I clienti dell’azienda sono ospedali, rivenditori al

dettaglio tra cui le ortopedie, ambulatori e professionisti della sanità.

6. Presenza dell’ufficio marketing internamente all’azienda: Sì

B. PROFILO DELL’INTERVISTATO

1. Ruolo nell’azienda dell’intervistato: Communication Manager, sia della

comunicazione interna che esterna.

2. Età dell’intervistato: 38 anni

3. Livello d’istruzione dell’intervistato: Laurea magistrale in Economia e Commercio

4. Periodo di lavoro nell’azienda: 1 anno

C. AZIENDA E SOCIAL MEDIA

1. L’azienda è presente sui social media?

Sì.

2. Su quali social e da quando? Su spinta di chi?

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Facebook, Twitter, LinkedIn:2016

YouTube: aprile 2018

L’iniziativa di approdare sui social media è stata sia dell’area marketing. Il vantaggio di

essere un’azienda di medie dimensioni è quello di poter avere un dialogo diretto e

ravvicinato con la direzione, anche sui temi della comunicazione.

3. Siete attivi?

Sì, attivi su tutti i social, in particolar modo su Facebook e Twitter. YouTube viene

aggiornato ogni qual volta che viene creato un contenuto digitale. Per LinkedIn

l’aggiornamento è spot, in occasione di nuovi contenuti istituzionali, come ad esempio

lanci di collaborazioni, distribuzioni di nuovi brand o eventi o corsi in programma.

4. Avete una strategia social? Considerate qualche social il vostro social principale?

La strategia è unica per tutti i social o avete strategie diverse per ogni social? Se sì,

qual è il vostro obiettivo per ciascun social? Quali sono i destinatari che intendete

raggiungere negli specifici social media?

Facebook, Twitter e YouTube sono i social media principali, ovvero i canali social più

strategici per raggiungere anche i consumatori finali. In particolare su Facebook e Twitter

ci sono tanti potenziali clienti, ovvero tante sanitarie, tante farmacie, tanti terapisti

(fisioterapisti, osteopati) che stanno aggiornando le loro pagine. Siamo quindi seguiti non

solo dai clienti finali, ma anche da questa tipologia di target.

Più che medici, sono tanti i terapisti come fisioterapisti e osteopati che mostrano

maggior interesse. LinkedIn è invece destinato ad una comunicazione istituzionale,

trattandosi di un social business

5. Chi si occupa della gestione dei social media?

Il Communication manager, quindi solo una persona.

6. Come avviene il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social?

Ci sono 4 tipologie di post:

Informativo di prodotto: in collaborazione con i product specialist si decide quali

prodotti vogliono comunicare e informazioni condividere. Se ad esempio viene

lanciato un nuovo tutore per il ginocchio, si fa un post dedicato a quel prodotto.

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Informativo: in collaborazione con alcuni medici vengono creati dei contenuti su

tematiche come la disabilità, in alternativa vengono condivisi articoli presenti già

in rete.

Generica: si tratta di un tipo di comunicazione più light. Questa categoria ingloba

tutti quei post di auguri per le feste piuttosto che annuncio dei giorni di chiusura

aziendale.

Istituzionale: si comunica la collaborazione con nuovi partner, gli eventi a cui si

partecipa. Questi post viaggiano in esclusiva sul canale di LinkedIn. Su LinkedIn

ci sono tantissimi medici, ma anche altri attori del settore (operatori, agenti di

vendita) e più in generale i professionisti.

7. Vi è una fase di raccolta e rielaborazione dei dati raccolti tramite i social media?

Sì assolutamente. Vi sono due livelli di analisi:

Qualitativa: lo scopo è quello di capire quali sono i post più interessanti per il

pubblico di riferimento. Quindi si valuta l’interazione che ciascun post ha avuto,

i suoi like etc.

Statistico: sono collegate a metriche per calcolare l’interesse vero e propri follone

8. Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?

Per ora sì, sia per il lavoro svolto verso il consumatore finale che verso i professionisti

del settore. Riceviamo tanti messaggi dai consumatori finali, quindi il canale Facebook è

utilizzato dai consumatori finali per rivolgere delle domande, dubbi direttamente

dall’azienda, come una sorta di customer service.

9. Avete finora individuato delle criticità nell’utilizzo dei social? Se sì, quali sono

queste criticità?

Proprio perché viene utilizzato anche come strumento di customer care, la tempestività di

risposta è importante. Non bisogna far trascorrere troppo tempo. Essendo dispositivi

medici, le risposte devono essere chiare e semplici.

10. Pensate di proseguire in futuro con la strategia di social media marketing?

Sì, assolutamente sì.

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11. Integrate in qualche modo i canali social con gli altri canali?

Assolutamente sì. Sia con quelli online come può essere il sito web, sia con quelli offline,

ovvero sui cataloghi dei prodotti, brochure e più in generale sugli strumenti classici di

marketing

Domanda aggiuntiva: I social media hanno senso per un’azienda B2B?

Sì, Facebook è il nuovo biglietto da visita anche per le aziende del settore medicale che

operano nel B2B, ovvero oltre al sito è importante essere anche sui social media. Questo

perché tanti operatori del settore, che sono il nostro target (operatori sanitari, farmacie,

fisioterapisti, medici, terapisti) sono presenti in questi canali e interagiscono, quindi molto

attivi.

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MEDICAL TRADING SRL (B)

Data intervista: 04/03/2019

Modalità intervista: via e-mail

A. PROFILO DELL’AZIENDA

1. Nome dell’azienda: Medical Trading s.r.l. (B)

2. Città e regione: Cadorago (Como), Lombardia

3. Dimensione: Microimpresa

4. Prodotti/servizi offerti e business model: Dispositivi medici per la sterilizzazione e

accessori

5. Tipologie di clienti e in che proporzione: Rivenditori e grossisti del settore medico,

dentale, estetico. I rapporti con gli utilizzatori sono solitamente limitati per questioni

inerenti l’assistenza e/o manutenzione.

6. Presenza dell’ufficio marketing internamente all’azienda: Si

B. PROFILO DELL’INTERVISTATO

1. Ruolo nell’azienda dell’intervistato: Direttore ufficio marketing

2. Età dell’intervistato: 30 anni

3. Livello d’istruzione dell’intervistato: Laurea

4. Periodo di lavoro nell’azienda: dal 2011 (8 anni)

C. AZIENDA E SOCIAL MEDIA

1. L’azienda è presente sui social media?

2. Su quali social e da quando? Su spinta di chi?

Facebook, Twitter, LinkedIn, Instagram, da circa il 2012/2013

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3. Siete attivi?

Su Facebook abbastanza attivi con 1 post ogni 1/2 mesi. Maggiore attività durante gli

eventi fieristici e festività (Natale, Pasqua, vacanze estive).

Twitter, inizialmente eravamo più attivi ma ormai lo abbiamo quasi abbandonato.

LinkedIn non lo utilizziamo molto.

Instagram nell’ultimo anno è utilizzato soprattutto durante gli eventi fieristici, con foto e

video dello stand e/o luogo della fiera.

4. Avete una strategia social? Considerate qualche social il vostro social principale?

La strategia è unica per tutti i social o avete strategie diverse per ogni social? Se sì,

qual è il vostro obiettivo per ciascun social? Quali sono i destinatari ce intendete

raggiungere negli specifici social media?

Attualmente non abbiamo una strategia social. Inizialmente cercavamo di mantenere

aggiornati Facebook e Twitter contemporaneamente. Ma dopo 2/3 anni riscuotendo poco

risposte su Twitter abbiamo iniziato ad aggiornalo meno frequentemente.

Facebook e il nostro social principale, inizialmente puntavamo molto su questa

nuova tecnologia per aumentare la visibilità del nostro brand e dei nostri prodotti, ma fino

ad ora ciò non è avvenuto.

Riteniamo la presenza su Facebook fondamentale, come avere il website aziendale,

ma più per una questione di dimostrare serietà e professionalità della nostra azienda che

come canale di vendita.

5. Chi si occupa della gestione dei social media?

Me ne occupo personalmente.

6. Come avviene il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social?

I contenuti sono uniformati ad altro materiale pubblicitario (brochure, cataloghi). Essendo

sempre prodotti internamente dal nostro ufficio marketing, utilizziamo le stesse immagini

adattandole alle dimensioni richieste dal social network.

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7. Vi è una fase di raccolta e rielaborazione dei dati raccolti tramite i social media?

Solitamente no, solamente durante la sponsorizzazione della nostra partecipazione ad un

evento fieristico, abbiamo sponsorizzato la nostra presenza aumentando la nostra

visibilità ed ottenendo molto più follower. Abbiamo utilizzato i dati ottenuti, ma il

pubblico interessato alla nostra pagina non sono direttamente il nostro pubblico di

maggiore interesse.

8. Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?

Non molto.

9. Avete finora individuato delle criticità nell’utilizzo dei social? Se sì, quali sono

queste criticità?

La criticità è dovuta alla questione della geolocalizzazione. Facebook punta molto su

questo dato, ma nel nostro caso non e molto efficace, in quanto il nostro profilo di cliente

e molto selezionato (rivenditori) e molto vasto (Europa, Nord Africa, Medio Oriente,

Alcuni paesi dell’Asia, e Sud America). Per Facebook questa zona è troppo vasta, mentre

la ricerca dei rivenditori e molto limitata. Inoltre essendo il mostro pubblico solamente

B2B, questo restringe molto la fetta di utenti interessati al nostro profilo. Raramente il

proprietario la persona in contatto con la mostra azienda, ci di dimostra interessato alla

nostra pagina, ma solamente dal suo profilo privato. Mentre gli utilizzatori finali, abbiamo

veramente pochi contatti che ci seguono sui social.

Invece abbiamo riscontrato successo per quanto riguarda la possibilità di chattare

direttamente e velocemente. È capitato spesso che alcuni utilizzatori ci contattassero per

questioni di assistenza e/o informazioni, ma non si sono dimostrati interessati a seguire la

nostra pagina. Una volta ricevuta risposta alla loro questioni non ci hanno più contattato.

10. Pensate di proseguire in futuro con la strategia di social media marketing?

Certo come detto, riteniamo fondamentale la presenza sui social, non siamo però

interessati ad investire denaro e/o risorse, se non per aumentare la visibilità durante eventi

fieristici.

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11. Integrate in qualche modo i canali social con gli altri canali?

Il canale social si integra solamente per quanto concerne l’assistenza, ma rimane in fatto

passivo per quanto riguarda la nostra azienda.

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INTERMED SRL (C)

Data intervista: 19/02/2019

Durata intervista: 20 minuti

Modalità intervista: chiamata telefonica

A. PROFILO DELL’AZIENDA

1. Nome dell’azienda: Intermed Srl (C)

2. Città e regione: Milano, Lombardia

3. Dimensione dell’azienda: piccola impresa

4. Prodotti/servizi offerti e business model: Dispositivi medici di varie tipologie,

elettromedicali, monouso

5. Tipologie di clienti e in che proporzione: Clientela varia, medici, Università,

ortopedie, farmacie, grossisti

6. L’azienda è dotata di un ufficio marketing? Sì

B. PROFILO DELL’INTERVISTATO

1. Ruolo nell’azienda dell’intervistato: Responsabile commerciale e socio dell’azienda

2. Età dell’intervistato: 52 anni

3. Livello d’istruzione dell’intervistato: Diploma di scuola media superiore

4. Periodo di lavoro nell’azienda: Dalla sua fondazione, dal 1996 (23 anni)

C. AZIENDA E SOCIAL MEDIA

1. L’azienda è presente sui social media?

Sì, l’azienda è presente sui social.

2. Su quali social e da quando? Su spinta di chi?

Siamo presenti su Facebook e LinkedIn da circa due anni su spinta del marketing.

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3. Siete attivi?

Sì lo siamo.

4. Avete una strategia social? Considerate qualche social il vostro social principale?

La strategia è unica per tutti i social o avete strategie diverse per ogni social? Se sì,

qual è il vostro obiettivo per ciascun social? Quali sono i destinatari che intendete

raggiungere negli specifici social media?

Pubblichiamo x per i clienti, informazioni anche tecniche con lo scopo di farci pubblicità,

far conoscere il nostro brand. Targhetizziamo sempre per raggiungere le figure

professionali che pensiamo siano interessate a quello che facciamo.

5. Chi si occupa della gestione dei social media?

Io personalmente.

6. Come avviene il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social?

Sono io che in autonomia, in base alla mia esperienza e conoscenza, a seconda del tema

scelgo e decido cosa dire.

7. Vi è una fase di raccolta e di rielaborazione dei feedback giunti tramite i social

media?

Si, raccolgo i risultati mensili automaticamente offerti da Facebook e li archivio man

mano. Mi rendo conto che serve un approccio più professionale, quindi stiamo seriamente

pensando di affidarci ad un’agenzia esterna di comunicazione che ci gestisca i social

network.

8. Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?

Sì, ma ci sembra che si possa fare molto di più.

9. Avete finora individuato delle criticità nell’utilizzo dei social? Se sì, quali?

No, nessuna criticità.

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10. Pensate di proseguire in futuro con la strategia di social media marketing?

Sì assolutamente, come detto prima ci vogliamo appoggiare ad un’agenzia esterna perché

ci rendiamo conto che si può fare ancora molto più di così.

11. Integrate in qualche modo i canali social con gli altri canali di comunicazione?

No.

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AZIENDA (D)

Data intervista: 21/02/2019

Modalità intervista: scambio di e-mail

B. PROFILO DELL’INTERVISTATO

1. Ruolo nell’azienda dell’intervistato: Marketing assistant

2. Età dell’intervistato: 24 anni

3. Livello d’istruzione dell’intervistato: Laurea triennale

4. Periodo di lavoro nell’azienda: Giugno 2018 (1 anno)

C. AZIENDA E SOCIAL MEDIA

1. L’azienda è presente sui social media?

Sì.

2. Su quali social e da quando? Su spinta di chi?

LinkedIn, da giugno 2018. Su spinta dell’AD e del direttore commerciale

3. Siete attivi?

In media 2 post a settimana

4. Avete una strategia social? Considerate qualche social il vostro social principale?

La strategia è unica per tutti i social o avete strategie diverse per ogni social? Se sì,

qual è il vostro obiettivo per ciascun social? Quali sono i destinatari che intendete

raggiungere negli specifici social media?

Abbiamo un calendario editoriale scandito dai congressi e dal raggiungimento di obiettivi

(di vendita e di documenti qualitativi). Per ora operiamo solo su LinkedIn in quanto il

nostro target di riferimento sono medici o esperti del settore.

5. Chi si occupa della gestione dei social media?

Io affiancata da un’agenzia di comunicazione di Milano

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6. Come avviene il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social?

In base ai congressi e ai risultati raggiunti richiedo un’infografica all’agenzia di

comunicazione. Assieme al marketing manager elaboriamo un contenuto testuale da

affiancare all’infografica

7. Vi è una fase di raccolta e di rielaborazione dei feedback giunti tramite i social

media?

Sì, mensilmente. Analisi della copertura, delle condivisioni e del pubblico acquistato.

8. Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?

Sì.

9. Avete finora individuato delle criticità nell’utilizzo dei social? Se sì, quali?

Attualmente no.

10. Pensate di proseguire in futuro con la strategia di social media marketing?

Si, l’obiettivo è quello di iniziare ad elaborare video da pubblicare sul canale YouTube.

11. Integrate in qualche modo i canali social con gli altri canali di comunicazione?

Sì, attraverso pubblicità su riviste specializzate e comunicati stampa.

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MORETTI SPA (E)

Data intervista: 28/01/2019

Durata intervista: 30 minuti

Modalità intervista: chiamata telefonica

A. PROFILO DELL’AZIENDA

1. Nome dell’azienda: Moretti SPA (E)

2. Città e regione: Meleto, Cavriglia (Arezzo), Toscana

3. Dimensione dell’azienda: 63 dipendenti

4. Prodotti/servizi offerti e business model: L’amplia offerta si compone delle seguenti

categorie di prodotti:

ortopedia: ausili per l'Home Care e per la vita quotidiana degli anziani e

dei pazienti diversamente abili;

mobilità: carrozzine da accompagnamento, carrozzine autospinta,

carrozzine elettriche, scooter elettrici a tre o quattro ruote;

antidecubito: materassi statici e ad aria, cuscini ed altri ausili per la

prevenzione del decubito.

misuratori di pressione: misuratori di pressione e stetoscopi professionali

e per automisurazione. Una linea completa di parti di ricambio ed accessori;

home care – prodotti per la salute: prodotti per la cura e la terapia

domiciliare della persona e del bambino;

elettromedicali: elettroterapie ad uso medicale, aspiratori chirurgici ed una

moderna linea di prodotti elettromedicali per uso professionale ed ospedaliero;

diagnostica medica: ossimetri, elettrocardiografi, doppler fetali e

vascolari, defibrillatori, monitors paziente, ecografi, cardiotocografi, spirometri e

colposcopi;

monouso e articoli sanitari: articoli sterili e monouso, articoli sanitari;

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emergenza: prodotti e attrezzature per l'emergenza, la rianimazione ed il

pronto soccorso;

mobilio e arredo ospedalieri: letti da visita medica, carrelli ed arredamento

per ambulatorio;

strumentario chirurgico e dentale-sterilizzazione.

5. Tipologie di clienti e in che proporzione: I clienti sono al 100% business, ovvero non

si vende direttamente ai domiciliari privati. L’azienda dispone di una capillare rete di

agenti che rintracciano ospedali, case di cura e di riposo, sanitarie, ortopedie per offrire i

nostri prodotti.

6. Presenza dell’ufficio marketing internamente all’azienda: Sì

B. PROFILO DELL’INTERVISTATO

1. Ruolo nell’azienda dell’intervistato: consulente in digital content management

2. Età dell’intervistato: 34 anni

3. Livello d’istruzione dell’intervistato: Laurea magistrale in Progettazione e Gestione

della Comunicazione d’impresa presso Università degli studi di Modena e Reggio Emilia

4. Periodo di lavoro nell’azienda: inizio 2018 (1 anno)

C. AZIENDA E SOCIAL MEDIA

1. L’azienda è presente sui social media?

Sì, l’azienda è presente sui social media.

2. Su quali social e da quando? Su spinta di chi?

Siamo presenti da anni su Facebook, LinkedIn e da circa una settimana anche su

Instagram. L’idea di sviluppare una strategia social ben strutturata proviene da:

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Moretti Service e Consulting: uno spin-off, una sorta di agenzia di comunicazione a

disposizione anche dei clienti. L’amministratore delegato è Filippo (45 anni), che assieme

alla sorella Chiara Fabbrini sono a capo dell’azienda. Qualche anno fa c’è stato appunto

il passaggio generazionale dai genitori ai figli.

3. Siete attivi?

Siamo attivi soprattutto su Facebook, che è il nostro canale social principale, mentre in

modo secondario Linkedin, Instagram.

4. Avete una strategia social? Considerate qualche social il vostro social principale?

La strategia è unica per tutti i social o avete strategie diverse per ogni social? Se sì,

qual è il vostro obiettivo per ciascun social? Quali sono i destinatari che intendete

raggiungere negli specifici social media?

Sì certo, c’è ovviamente una strategia. L’obiettivo strategico è la creazione di articoli che

forniscano informazioni realmente utili agli acquirenti dei nostri prodotti. Noi puntiamo

a raggiungere soprattutto i figli o i caregiver delle persone anziane, che sono poi i clienti

diretti di alcuni dei nostri prodotti. Il risultato che vorremmo ottenere è che loro vadano

dal distributore richiedendo di preferenza i prodotti Moretti SPA. I nostri contenuti

vengono poi spesso anche ricondivisi dai clienti diretti Moretti, ad esempio le ortopedie,

secondo una logica di network. Per ora Facebook la fa da padrone sulla strategia.

Su Linkedin non c’è al momento una vera e propria attività specifica, è solo per presidio

in cui i contenuti proposti sul magazine vengono ripostati.

5. Chi si occupa della gestione dei social media?

Ce ne occupiamo io e la Moretti Service&Consulting.

6. Come avviene il processo della creazione dei contenuti da pubblicare sui social?

Gli articoli per lo più li scrivo direttamente io. In aggiunta abbiamo al momento attiva

una collaborazione con una blogger e giornalista.

Poi a seconda dell’articolo ci sono interlocutori differenti, quali i colleghi di Ricerca e

Sviluppo per le parti più tecniche, l’ufficio commerciale, come anche chi si occupa delle

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normative. Per la parte grafica, a volte ci affidiamo a fornitori esterni. È capitato nel caso

di video e shooting. Della redazione di immagini e grafica, invece, ad occuparsene è la

nostra agenzia interna.

7. Vi è una fase di raccolta e di rielaborazione dei feedback giunti tramite i social

media?

Facciamo campagne pubblicitarie con cui sponsorizziamo i contenuti che produciamo. Di

questi analizzano i risultati che raggiungiamo in termini di copertura, cioè quante persone

sono state raggiunte da quel contenuto; monitoriamo quanti poi hanno effettivamente letto

un determinato articolo o hanno eventualmente lasciato il proprio indirizzo e-mail per

essere ricontattati da noi.

8. Siete soddisfatti dei risultati raggiunti?

Dopo un anno di lavoro sui social, sono state tratte delle conclusioni. L’azienda ha, ad

esempio, deciso di investire anche nella comunicazione nei punti vendita, tramite

espositori ad esempio, per rendere ancora più evidente il brand. Siamo soddisfatti dei

risultati raggiunti. Moretti sui social è più che duplicata in un anno. Raggiungiamo

mediamente 30.000 persone alla settimana e un centinaio di queste interagiscono con il

contenuto che viene proposto. Questi sono valori per noi significativi e importanti.

9. Avete finora individuato delle criticità nell’utilizzo dei social? Se sì, quali?

Non abbiamo rilevato criticità particolari, se non quelle legate a problematiche specifiche

di Facebook che a volte porta a risultati un po’ falsati.

10. Pensate di proseguire in futuro con la strategia di social media marketing?

Sì, assolutamente.

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11. Integrate in qualche modo i canali social con gli altri canali di comunicazione?

Sì, lo scorso anno, oltre al sito è stato implementato un Magazine di un dominio di terzo

livello del dominio Madre Moretti SpA dove appunto è stato creato un vero e proprio

magazine aziendale. Quest’anno invece abbiamo in programma una ristrutturazione del

sito col fine di renderlo più organico. L’obiettivo generale, aldilà anche dei social è quello

di migliorare anche il posizionamento dell’azienda nei motori di ricerca. Ad esempio si

vuole che l’utente che digiterà “Come scegliere una carrozzina?” trovi nei nostri contenuti

una risposta precisa e completa alle sue esigenze. L’attività social è quindi integrata con

una strategia di comunicazione digitale a 360 gradi.

L’offline è invece più una comunicazione “commerciale”, di prodotto, per il momento.

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RINGRAZIAMENTI

Questo traguardo tanto voluto, desiderato, e un po’ anche sudato non avrebbe lo stesso

sapore senza tutte le persone incontrate lungo il cammino. Persone che mi hanno aiutata,

in tutti i modi in cui una persona può essere aiutata. Persone che hanno creduto in me,

quando io ero la prima a non crederci. Persone che hanno capito bene tutte le mie

debolezze e le mie insicurezze e se ne sono prese cura. Persone che mi hanno spronata a

crescere e a superare i miei limiti.

Ringrazio in primis il Professor Brunetti, il relatore di questa tesi, per la pazienza e la

professionalità con cui mi ha guidato, consigliato e supportato durante tutte le fasi della

stesura. Lo ringrazio anche in qualità di tutor aziendale per avermi accompagnata nelle

mie prime esperienze lavorative. È stato un piacere e un onore essere seguita da una

persona che stimo tantissimo.

Tutte le aziende che, in modo disinteressato e con tanta disponibilità, hanno contribuito a

questo lavoro.

Gabriele, per aver creduto in me e per avermi accompagnata durante tutto il periodo in

azienda con estrema professionalità. Per avermi aiutata a superare alcuni miei limiti e per

avermi resa un po’ più consapevole delle mie capacità. È stato fondamentale il tuo

contributo anche durante la scrittura della tesi. Ti sarò sempre infinitamente grata per tutto

quello che hai fatto per me.

La mia famiglia per esserci sempre stata.

Mia sorella, perché in fondo, anche se siamo così diverse, ci vogliamo bene e tu me lo

dimostri ogni volta che mi tendi la mano quando mi vedi in difficoltà.

Tutta la famiglia Calabrese, dalla cui parte non è mai mancato l’affetto e il supporto,

nonostante la distanza che ci separa. Grazie per tutto il calore che sapete trasmettermi in

ogni occasione.

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Tutto il gruppo dei miei compagni di Università con cui ho condiviso questo percorso.

Elena, per la tua capacità di infondere allegria e per tua la disponibilità che supera ogni

confine. Per il tuo modo di fare così spontaneo e genuino, e per la bontà che metti in ogni

tuo gesto. Senza te non sarebbe stata la stessa cosa. Grazie. Spero di non perderci mai di

vista.

Giorgia, per tutto il filo da torcere che ci siamo date a vicenda e per avermi dato la

possibilità di conoscerti fino in fondo. Una persona meravigliosa dietro a strati di

apparenze. Sei stata un punto di riferimento fondamentale.

Leo, per il tuo punto di vista sempre fuori dalle righe e per la leggerezza che sai dare alle

cose facendo vedere tutto sotto un’altra prospettiva.

Gaia, per la tua simpatia contagiosa e la tua solarità

Silvia, per essere sempre fonte di saggi consigli.

Teresa, per essere la mia amica da sempre.

Giulia, una spalla su cui so che posso contare. Un mix di cuore, simpatia e intelligenza di cui da

qualche anno non riesco più a fare a meno.

Il gruppo Erasmus, uno ad uno, per avermi fatto vivere tra i momenti più belli della mia vita che

custodisco gelosamente nel mio cuore. Mi avete insegnato tanto.

Flora, per essere la mia nonna acquisita, la mia amica, la mia confidente, il mio faro

sempre presente quando mi perdo. A te devo tutto quello che di bello ho adesso. Sei da

sempre un modello per me. Vorrei diventare come te, o almeno la metà.

Vincenzo, perché ultimamente hai sentito più spesso le parole “B2B”, “tesi”, “Social

Media” che la parola “amore”. Un grazie speciale al mio amico, al mio fidanzato, al mio

complice, al mio compagno di vita, al mio fan numero uno. Spero un giorno di riuscire a

fare per te quello che tu fai per me.

Tutti i miei amici, colleghi, compagni che ho incontrato nel mio cammino.

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E concludo riprendendo da dove tutto è cominciato. Un grazie va a voi nonni, mio

sostegno, mia radice, mio cuore. Qualcuno di voi abita distante, qualcuno è ancora più

lontano, ma io vi sento tutti vicini nel mio quotidiano. Eternamente grazie per essere i

miei nonni. Spero di avervi resi un po’ orgogliosi e mi piace immaginarvi mentre vi

emozionate insieme a me quest’oggi.

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