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§ PARAGRAFO RIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI

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Page 1: Vol. Paragrafo 1 · 2009-03-24 · PRESENTAZIONE 5 FORME §1. STEFANIA CONSONNI, Disegni e realtà.Le finzioni di Don DeLillo §2. LUCA BERTA, Il neon di David Foster Wallace e il

§PARAGRAFORIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI

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ParagrafoRivista di Letteratura & Immaginari

pubblicazione semestrale

Redazione

FABIO CLETO ([email protected]), DANIELE GIGLIOLI ([email protected]),MERCEDES GONZÁLEZ DE SANDE ([email protected]),

FRANCESCO LO MONACO ([email protected]),STEFANO ROSSO ([email protected]), AMELIA VALTOLINA ([email protected])

Ufficio 211Università degli Studi di Bergamo

P.za Rosate 2, 24129 Bergamotel: +39-035-2052744 / 2052706

email: [email protected]: www.unibg.it/paragrafo

La responsabilità delle opinioni e dei giudizi espresso negli articoliè dei singoli collaboratori e non impegna la Redazione

Questo numero è stato stampato con il contributo delDipartimento di Lettere, Arti e Multimedialità dell’Università di Bergamo

© Università degli Studi di BergamoISBN 88-87445-88-5

Edizioni Sestante / Bergamo University PressVia dell’Agro 10, 24124 Bergamo

tel. 035-4124204 - fax 035-4124206email: [email protected] - web: www.sestanteedizioni.it

Stampato da Stamperia Stefanoni - Bergamo

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PRESENTAZIONE 5

FORME

§1. STEFANIA CONSONNI, Disegni e realtà. Le finzioni di Don DeLillo

§2. LUCA BERTA, Il neon di David Foster Wallace e il punto di vistadell’aldilà

§3. LAURA OREGGIONI, La punta dell’iceberg. Sten Nadolny e il sensodella possibilità

GENERI

§4. NICCOLÒ SCAFFAI, Altri canzonieri. Sulle antologie della poesiaitaliana (1903-2005)

§5. GABRIELE BUGADA, Lo specchio del sogno. Lo statuto della rappre-sentazione in Mulholland Drive di David Lynch

§6. GIOVANNI SOLINAS, Il mito senza fine. Poetica dell’immagine econcezione mitica in André Breton - Una proposta d’analisi

TEMI

§7. ANDREA GIARDINA, Il viaggio interrotto. Il tema del cane fedelenella letteratura italiana del Novecento

§8. MICHELA GARDINI, Derive urbane fin de siècle

§9. GRETA PERLETTI, Dal mal sottile al mal gentile. La malattiapolmonare e il morboso ‘interessante’ nella cultura dell’Ottocento

I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO 199

ParagrafoI (2006)

Sommario

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167

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I pensieri onirici che s’incontrano nell’interpretazionesono […] in generale costretti a rimanere inconclusi ea sfociare da ogni lato nell’intricato groviglio del nostromondo intellettuale.

Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni, 1899

Il legame tra cinema e sogno, delineato con rigore dalle riflessioni di Metzo di Musatti, tende troppo spesso a smorzarsi in una pratica narrativa cheriduce il racconto onirico a trito espediente. Nel 1955 Raymond Borde edEtienne Chaumeton delineavano invece una ben più sostanziale incursio-ne del cinema nel mondo ‘notturno’, pervaso dalle ombre e dall’ambi-guità: “Il film assume il carattere del sogno e il pubblico vi cerca invano labuona vecchia logica di un tempo […] tutte le opere di questa serie pre-sentano un’unità di ordine affettivo: si tratta dello stato di tensione provo-cato, nello spettatore, dalla scomparsa dei suoi punti di riferimento”.1

Con Mulholland Drive (2001) David Lynch prolunga il sottile fil noirche già percorreva Strade perdute (Lost Highway, 1996) facendone l’eredeideale della ‘serie’ così acutamente identificata da Borde e Chaumeton: te-sti sconcertanti, che suscitano turbamento nello spettatore non tanto tra-mite la semantica delle proprie rappresentazioni, quanto alterando i pre-supposti delle rappresentazioni stesse. Si tratta dunque di oggetti d’elezio-ne per un’indagine che si interroghi sui processi di significazione, condottiqui in prossimità dei propri limiti, dei propri ‘punti di rottura’.

Nella parte prima verrà fondata una prospettiva (nel senso epistemolo-gico adottato da Deleuze) che conferisca profondità di campo al nostrosguardo, scegliendola sulla scorta dell’intuizione di Borde e Chaumeton:

1 Raymond Borde ed Etienne Chaumeton, Panorama du film noir américain, cit. inLeonardo Gandini, Il film noir americano, Torino: Lindau, 2001, pp. 27 sgg.

§5

Gabriele Bugada

Lo specchio del sognoLo statuto della rappresentazione

in Mulholland Drive di David Lynch

PARAGRAFO I (2006), pp. 99-121

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cercheremo di identificare alcune forme proprie e particolari che ‘il carat-tere del sogno’ introduce nel testo.

Nella parte seconda i concetti proposti verranno applicati a Mulhol-land Drive: un film che cerca di impadronirsi delle prerogative della logi-ca onirica nel modo più radicale e coerente (grazie ad un’accuratissimagestione delle soglie); che tramite lo ‘specchio del sogno’ riesce a comporreun intimo ritratto della propria protagonista; che consapevolmente in-treccia un dialogo quasi comparativo tra la dimensione sognata e quelladella veglia; che, infine, proprio su queste basi innerva un esplicito di-scorso metacinematografico, inevitabilmente centrato sui limiti dell’illu-sione referenziale e sul legame tra desiderio, rappresentazione e assenza.

Lo Specchio Fumante

Come tu ti vedi il viso nello specchio io ti metto davantila tua anima nuda.

Friedrich Maximilian Klinger, Giafar, 1792

1. Nel sogno il soggetto raccontante tende a coincidere con l’oggetto rac-contato: lo osservano tra gli altri Ignacio Matte Blanco, che definisce ilsogno “finestra nell’intimità dell’uomo”,2 ed Ezio Raimondi, che ricono-sce la “drammatizzazione del sogno come nuova esplorazione dell’indivi-dualità e dell’essere”.3 Sia la figura della finestra sia quella della rappresen-tazione drammatica presuppongono una posizione spettatoriale, occupatain primo luogo – ancora una volta – dal sognatore stesso.

Per quanto riguarda la drammatizzazione, è immediato il richiamo al-la freudiana Vorstellung per spiegare come gli oggetti interni divenganoattori del sogno: nel teatro del sogno la realtà sognata traduce l’illusione ola delusione come attore o décor vivo; la raffigurazione avviene mediantele vicissitudini del sogno, attuando la copertura di processi indefiniti,spesso spaventosi, con immagini definite.

Se è vero che nel sogno ci si esprime in prima et propria persona, vanondimeno ricordato che la persona latina è prima di tutto la maschera. Èun tema ricorrente in Resnik, il quale lo collega direttamente alla sogget-

100 / GABRIELE BUGADA

2 Ignacio Matte Blanco, “Il sogno. Struttura bi-logica e multidimensionale”, in VittoreBranca, Carlo Ossola e Salomon Resnik (a cura di), I linguaggi del sogno, Firenze: Sansoni,1984, p. 290.

3 Ezio Raimondi, “‘Il sussurro fantastico’. Gli ‘occhi della mente’ (da Alfieri a Manzo-ni)”, in Vittore Branca, Carlo Ossola e Salomon Resnik (a cura di), op. cit., p. 437.

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tività scrivendo che nel sogno l’individuo dà luogo ad un microcosmo dainterpretare tra le “pieghe […] della maschera onirica”,4 mai da svelare deltutto: è addirittura indispensabile la resistenza dell’enigma. Nella costru-zione del personaggio il sogno ricopre allora il duplice ruolo di innescareuna ‘risonanza’ dell’individuo con se stesso e – nel contempo – di proble-matizzarne la comprensione.

La specificità della struttura delle ‘voci’ (nel senso di Genette) nel so-gno non si limita tuttavia alla concomitanza di trasparenza e opacità inun discorso autoriflessivo. L’elemento più interessante è infatti la fluiditàdelle posizioni del soggetto, il quale si può porre: come narratore ex post operfino ‘in diretta’ di un proprio racconto di sogno (tipico espedientedrammaturgico per rappresentare il sogno); come personaggio – anchemultiplo, eventualmente protagonista – del sogno; infine, come istanza dienunciazione che informa l’intero universo onirico: “il soggetto del sognonon è tanto il personaggio che dice ‘io’ [...] la prima persona onirica è ilsogno stesso”.5

Le diverse posizioni sono compossibili – dando in tal caso adito ad unastruttura ‘a scatole cinesi’ – ma non necessariamente compresenti. Il sognoinstaura infatti una dialettica tra agire ed essere agiti, all’origine del feno-meno che Caillois ben mette in luce ne L’incertezza dei sogni:6 il sogno ap-partiene al sognatore eppure gli si impone come il mondo che egli percepi-sce da sveglio. La regia onirica pare così costituirsi in un ‘si impersonale’.

La soggettività è insomma onnipervasiva e tuttavia può essere esauto-rata – all’interno del sogno – delle proprie consuete competenze cognitivee decisionali; in un apparente paradosso il sogno crea un cosmo di cui ilsoggetto è il logos, ma nel quale esso appare smarrito: perché deprivatodelle proprie tradizionali prerogative, e perché – disperso in una moltepli-cità di posizioni instabili – resiste all’identificazione. Il sognatore si con-fronta in tal caso con un se stesso che – reso irriconoscibile dalla ‘maschera’di una forma estranea ai consolidati ‘discorsi del soggetto’ – appare radi-calmente altro.

LO SPECCHIO DEL SOGNO / 101

4 Salomon Resnik, Il teatro del sogno (1982), Torino: Bollati Boringhieri, 2002, p. 236.D’ora innanzi indicato dalla sigla TS.

5 Michel Foucault, “Introduction”, in Ludwig Binswanger, Le rêve et l’existence (1954),trad. it. di Lucia Corradini e Carlotta Giussani in Sogno ed esistenza, Milano: SE, 1993,p. 59.

6 Roger Caillois, L’incertitude qui vient des rêves (1956), trad. it. di Vittoria De Fazio,L’incertezza dei sogni, Milano: Feltrinelli, 1983, p. 43.

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Resnik esprime con accoratezza l’angoscia “claustrofobica” del “testi-mone”, di fronte ai mutamenti nell’organizzazione del discorso che con-traddistinguono la narrazione del sogno: “Se il testimone viene inghiotti-to, avviluppato nel sogno, qual è lo spazio del sogno? Chi sono gli attori?Chi è il regista?” (TS, p. 235).

2. Il sogno implica inoltre – oltre all’autoreferenzialità intesa come pro-cesso scopico ed enunciativo del soggetto su se stesso – un’autoreferenzia-lità linguistica.

Due fattori ‘congiurano’ nella trasformazione del linguaggio onirico inmetalinguaggio. In primis il sogno in quanto tale opera un ‘lavoro’ disimbolizzazione, rappresentazione, drammatizzazione che ne fa un’idealemetaopera sui procedimenti all’origine del testo, in special modo sullaproduzione di immagini. Non si entrerà qui nel merito di quanto il carat-tere narrativo del sogno sia riconfigurato dall’esistenza di forme narrativeche lo raccontano, o di quanto esso già di per sé adombri una narrativitàpregressa: valga l’ipotesi ricoeuriana di una circolarità ermeneutica tra idiversi gradi di una triplice mimesis.

In secondo luogo la potenzialità metalinguistica è attivata dall’abitualenatura di sottotesto delle sequenze oniriche. Può essere utilmente recupe-rata una conclusione di Massimo Fusillo riferita originariamente alla pre-senza dello specchio nei testi cinematografici: “una qualsiasi superficie ri-flettente ha sempre un valore metalinguistico, in quanto produce un altro‘quadro’ che può svolgere svariate funzioni narrative e tematiche”.7 Que-sta intuizione può essere efficacemente estesa a indicare il “valore meta-linguistico” degli spazi narrativi incorniciati come microtesti all’interno diun testo principale, e in particolare di tutte le forme di enunciazioneenunciata – delle quali il sogno costituisce un’occorrenza peculiare.

Secondo quali modalità si attua tale propensione? Cazalé Bérard notacome nel sogno raccontato la memoria letteraria diventi “strumento del-l’affermazione autoriale attraverso la scrittura praticata quale virtuosisticacombinatoria intertestuale di temi, motivi, intrecci”. Il sogno si configuraallora quale “gioco allusivo pluridimensionale e polimorfo della messa inrelazione fine a se stessa di segni di varia provenienza”.8

102 / GABRIELE BUGADA

7 Massimo Fusillo, L’altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio, Firenze: La Nuova Italia,1998, p. 163.

8 Claude Cazalé Bérard, “Il sogno dell’avventura, l’avventura del sogno. Exempla, no-vella, romanzo”, in Gabriele Cingolani e Marco Riccini (a cura di), Sogno e racconto. Ar-chetipi e funzioni, Firenze: Le Monnier, 2004, p. 14.

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La menzione del nesso tra sogno e gioco rende inevitabile una citazio-ne da Winnicott, che precisamente a questa relazione ha dedicato unaparte significativa della propria trattazione in Sogno, fantasia e vita reale: ilsoggetto produce “un elemento del potenziale onirico e vive con questoelemento in un selezionato contesto di frammenti della realtà esterna. Nelgiocare manipola i fenomeni esterni al servizio del sogno e li investe con si-gnificati e sentimento di sogno”.9

Queste medesime considerazioni, trasposte nel campo letterario, risul-tano estremamente pertinenti e consentono di comprendere a fondo an-che i cenni sbrigativi di André Green sulle corrispondenze tra il linguag-gio onirico e le nozioni di ‘bricolage’ e ‘pensiero selvaggio’ elaborate daLévi-Strauss:10 un parallelismo assai fertile per confrontarsi col tema dellaframmentarietà che avvicineremo nel prosieguo dell’analisi.

Ritornando all’idea di ‘combinatoria’ proposta da Cazalé Bérard se nedevono segnalare due versanti: la “messa in relazione fine a se stessa” deisegni e la loro “varia provenienza”.

Il primo punto è correlato all’emergenza di una modificazione sintatticache può essere letta in chiave metalinguistica sia in virtù dell’autoreferenzia-lità da cui è caratterizzata, sia in ragione dell’avvicinamento al linguaggiopoetico (nel senso della proiezione del paradigmatico sul sintagmatico).

Il secondo punto sottolinea l’attività di ibridazione verificantesi nel so-gno. Si può ricordare al riguardo il caso di Mallarmé, cui fa riferimentoGiorgio Agamben osservando – in un saggio incentrato proprio sugliibridi linguistici – che la complicazione sintattica (‘dilazioni’, ‘anomalie’)fa risaltare la parola in un “puro rispecchiamento autoreferenziale”.11

3. Riprendiamo infine lo spunto – accennato pochi capoversi or sono –sull’attinenza del sogno con l’investigazione della produzione di immagini.

Tramite il sogno la riflessione sull’immagine si sviluppa in una duplicedirezione: nelle figure dei sogni (accomunabili in ciò all’eco, alle ombre,agli specchi) convivono l’inadeguatezza a rappresentare l’essenza e la pas-

LO SPECCHIO DEL SOGNO / 103

9 Donald W. Winnicott, Playing and Reality (1971), trad. it. di Giorgio Adamo e Re-nata Gaddini, Gioco e realtà, Roma: Armando, 1974, p. 99 (corsivi miei).

10 André Green, “Dal Progetto all’Interpretazione dei sogni. Cesura e chiusura”, in Ferdi-nando Amigoni e Vanessa Pietrantonio (a cura di), Crocevia dei sogni. Dalla “Nouvelle Re-vue de Psychanalyse”, Firenze: Le Monnier, 2004, p. 117.

11 Giorgio Agamben, “Il sogno della lingua. Gli ibridi linguistici nel sogno dell’Hypne-rotomachia Poliphili”, in Vittore Branca, Carlo Ossola e Salomon Resnik (a cura di), op.cit., p. 419.

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sione che viene suscitata non tanto dal contenuto della raffigurazionequanto dalla visione in sé e per sé (ovvero dalla compartecipazione al pro-cesso di rappresentazione) – come nell’interpretazione data da Hillmandel mito di Narciso.

Se da un lato è dunque possibile sostenere – con Blanchot – che“l’immagine di un oggetto non soltanto non è il senso di quest’oggetto enon aiuta alla sua comprensione, ma tende a sottrarvelo mantenendolonell’immobilità di una somiglianza che non ha niente a cui somigliare”,d’altro canto nel ‘riflesso di riflesso’ messo in scena dal racconto di sognoad affascinare è proprio l’elusione di una referenzialità indiscussa, l’inter-rogarsi su relazioni altrove date per scontate. È lo stesso Blanchot a ren-dersene conto, scrivendo poco oltre: l’immagine “rischia anche di rinviaresempre non più alla cosa assente ma all’assenza come presenza”.12 Menosibillinamente possiamo osservare come la figurazione onirica esprimauna trasformazione e una sostituzione, dall’oggetto percepito all’oggettoimmaginato; se l’oggetto è assente possiamo qualificarne la percezione co-me un’apprensione (nell’accezione di Kant) il cui contesto è una ‘presenzavuota’, una presentificazione dell’esperienza del vuoto.

Non sorprende scoprire in un saggio dedicato a Leopardi una notazio-ne di notevole congruità rispetto a questo tema: in “Imago”. Il sogno-oggettoe il testo-sogno nella poesia leopardiana di Emma Giammattei leggiamo in-fatti che “nel tragitto moderno della crescente impossibilità della rappre-sentazione e quindi dello statuto problematico dell’immagine, il sogno[…] o la messa in scena della situazione onirica […] viene finalizzato algoverno poetico dell’assenza”. L’autrice conclude: “lo spazio del sogno èun iperspazio del pensare dove l’immagine può essere affermata nel mo-mento stesso in cui viene negata”.13

Il momento in cui l’immagine viene ‘affermata’ corrisponde a quellaseduzione delle superfici di rappresentazione – una seduzione che pre-scinde dalla referenzialità, o che la trascende – già fatale a Narciso. Il so-gno si costituisce in rappresentazione fantasmatica di un dramma in séreale poiché nello spazio onirico possono assumere una posizione com-plessa – tra realtà e irrealtà – una serie di forme ‘vere’ in quanto integrate

104 / GABRIELE BUGADA

12 Maurice Blanchot, L’espace littéraire (1955), trad. it. di Gabriella Zanobetti, Lo spazioletterario, Torino: Einaudi, 1971, pp. 228-30.

13 Emma Giammattei, “‘Imago’. Il sogno-oggetto e il testo-sogno nella poesia leopardia-na”, in Silvia Volterrani (a cura di), Le metamorfosi del sogno nei generi letterari, Firenze:LeMonnier, 2003, pp. 134-45.

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nell’universo onirico. Nell’uso narrativo le sequenze oniriche si prestanoin tal modo a condurre un’apologia della finzione poetica in quanto tale.

Questa rielaborazione delle strutture referenziali giunge secondoDombroski e McNeece a fare del sogno, “o meglio del sognare”, una “me-tafora della scrittura” come “narrazione poematica che è rivelazione (e in-canto)” di verità diverse, altre, nascoste al mondo – o in esso annidatedacché “antitetiche forme di potere” impediscono di vedere oltre “l’opacasuperficie delle cose”.14 Come in Calderòn l’inconsistenza onirica siproietta sulla presuntiva realtà della veglia (che diviene così il quadro delmondo), sottolineandone il carattere sostanzialmente finzionale.

Si possono allora attribuire allo spazio linguistico del sogno alcuneproprietà delle eterotopie, ricordando come Foucault abbia teorizzato chel’esistenza dell’eteroclito agisce sugli spazi “normali” inducendo in essidelle “trasformazioni”; quest’azione trasformante “si dispiega tra due poliestremi”: le eterotopie possono, infatti, “creare uno spazio illusorio cheindica come ancor più illusorio ogni spazio reale”; esse possono, altrimen-ti, creare “un altro spazio, uno spazio reale, così perfetto, così meticoloso,così ben arredato al punto da far apparire il nostro come disordinato,maldisposto e caotico”.15

Il tessuto dei sogni

There is a special class of dreams, in my experience, thatare not dreams at all but quite as real as so calledwaking life and completely unfamiliar as regards mywaking experience but, if one can specify degrees ofreality, more real by the impact of unfamiliar scenes,places, personnel, even odors.

William S. Burroughs, My Education, 1995

4. In Mulholland Drive Lynch riesce ad embricare gli aspetti più ambiva-lenti del racconto di sogno, le apparenti contraddizioni che sorgono sulcrinale tra ‘sogno raccontante’ e ‘sogno raccontato’: da una parte l’affer-mazione incontestabile di sé e del proprio discorso che il sogno attua du-

LO SPECCHIO DEL SOGNO / 105

14 Robert Dombroski e Lucy Stone McNeece, “L’archeologia del sogno. Consolo eMeddeb”, in Vanessa Pietrantonio e Fabio Vittorini (a cura di), Nel paese dei sogni, Firen-ze: Le Monnier, 2003, pp. 195 sgg. (corsivi miei).

15 Michel Foucault, “Des espaces autres” (1967), trad. it. di Pino Tripodi, “Spazi altri”,in Id., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, a cura di Salvo Vaccaro, Milano: Mimesis,2001, pp. 30-31.

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rante l’esperienza onirica; dall’altra l’irriducibilità di quel discorso al lin-guaggio della veglia, il margine di incompatibilità che genera un conflittotra i codici di rappresentazione ‘notturno’ e ‘diurno’, ciascuno dei qualidenuncia la vanitas dell’altro (il sogno insensato o ingannevole, l’illusorioquadro del mondo).

La bipartizione del film non è una semplice giustapposizione, ma undialogo nell’ambito del quale avviene una continua ri-scrittura del testo.Ciascuna delle due macro-sequenze è una forma di riflesso speculare del-l’altra: rammentiamo però, con Eco, che lo specchio è sempre percepitocome un doppio asimmetrico.16

Dapprima ci viene presentato l’ordine del sogno: come è proprio deldiscorso onirico (e – insinua Lynch – del cinema o della narrazione in ge-nere), esso ci avvince con un’assolutistica illusione di realtà, per quantotale illusione possa essere costruita su una logica di fatto frammentaria edellittica. Il risveglio ci introduce in un mondo caotico e delusorio, che in-crina i tentativi di comprensione precedenti, e che tuttavia – pur nellasua apparente incoerenza – fornisce i dati necessari a ricomporre la gerar-chia contenitore/contenuto che struttura il testo.

Accingiamoci ora ad esaminare le differenze nell’organizzazione delledue parti dell’opera, rispettivamente recensite come “lineare” e “un labi-rinto angoscioso e sensuale”:17 verranno poste in questione tale linearità etale costruzione labirintica, per approdare ad un’interpretazione della tra-sformazione che le correla.

5. Nella lunga sezione più propriamente onirica di Mulholland Drive laconnessione tra le diverse sequenze avviene tramite una grammatica visivadella contiguità che sfuma spesso nella semplice contingenza: quando latransizione è marcata, lo è tramite dissolvenze in/dal nero o tramite un la-sco montaggio alternato (la telefonata a zia Ruth).

Anche la sintassi narrativa si articola grazie ad una retorica dell’acco-stamento o dell’accidente; è ovviamente esemplare l’incidente d’auto, matale logica è generalizzata: gran parte degli sviluppi della storia non hannoluogo in virtù delle azioni di qualche personaggio, bensì in conseguenzadi interventi ex machina – tipicamente manifestati da mediatori di qual-

106 / GABRIELE BUGADA

16 Umberto Eco, “Sugli specchi”, in Id., Sugli specchi e altri saggi, Milano: Bompiani,1985, pp. 10-11.

17 “Mulholland Drive”, in Laura, Luisa e Morando Morandini (a cura di), Dizionariodei film, Bologna: Zanichelli, 2003.

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che sorta – o in ragione della guida di una (invero impalpabile) ‘regia del-le coincidenze’.

Si pensi per la prima categoria alla convocazione di Betty al provino, oalla decurtazione dei conti correnti di Adam; oppure, per il secondo gene-re, all’ingresso da parte di ‘Rita’ nell’appartamento proprio nell’intervallotra la partenza di zia Ruth e l’arrivo di Betty, all’inopinato ritorno a casa diAdam, al provvidenziale squillo del telefono della vicina a Sierra Bonita.

A costituire il motore delle evoluzioni nella vicenda delle due donnetroviamo anche le improvvise quanto inspiegate reminiscenze di Rita: èaddirittura nel sonno che ella capirà di ‘dover’ visitare il Club Silencio. Percontrasto, i volenterosi tentativi di Betty (la telefonata alla polizia, la let-tura del giornale, la telefonata – di nuovo – a Diane Selwyn) non hannoalcun esito materiale.

Allargando la prospettiva pure ai filoni narrativi che si rivelano con-chiusi in una o al più due sequenze (l’uomo spaventato del Winkie’s, mi-ster Roque, il killer maldestro) sorprende la naturalezza con cui un nume-ro decisamente esiguo di indicazioni – tutt’altro che determinate, per dipiù – ridimensioni l’incongruità di questi segmenti rispetto alla materiaprincipale: la prima apparizione di mister Roque è visivamente introdottada un primo piano di ‘Rita’ dormiente, ed è giustificata solo dal conciso“the girl is missing”,18 che esclusivamente sulla base di un’aspettativa dipertinenza (relativa ad una narrazione ideale) può essere attribuito alladonna… un’aspettativa di pertinenza che l’intera prima parte di Mulhol-land Drive sembra voler ostinatamente disattendere.

La comparsa del killer è ‘agganciata’ al resto del testo in modo ancorpiù blando: vi si giunge dopo una dissolvenza in nero al termine dello sfre-gio di Adam alla limousine dei Castigliani. L’unico appiglio concessoci èl’accenno ilare ad un incidente: trattandosi di “incidente” può richiamarealla mente quello iniziale (forse non così divertente). Il “libro nero” il cuifurto motiva l’omicidio non comparirà più nella parte ‘sognata’ del film.Rivedremo invece il killer in una breve scena di poco successiva, mentrechiede ad una prostituta informazioni su una “nuova” ragazza “bruna”eventualmente vistasi in strada.

Ancora una volta gli elementi che potrebbero indurci a stabilire uncollegamento con il resto del testo sono scarsi e vaghi: forse è questo killerl’uomo di cui abbiamo scorto la mano nella sequenza delle telefonate, for-

LO SPECCHIO DEL SOGNO / 107

18 “la ragazza è scomparsa”. Laddove non altrimenti indicato le traduzioni sono mie.

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se allora la fantomatica ‘bruna’ corrisponderebbe alla “missing girl”, forsesi tratta di Rita. È molto significativo – alla luce del recupero e della di-storsione attuati da Lynch nei confronti dei generi narrativi codificati –che tutte queste inferenze siano dettate da presupposizioni fondate su co-dici di genere: la sequenza delle telefonate come contatto con un assassi-no prezzolato (frasi ellittiche non compromettenti, intervento di interme-diari, lo squallido contesto del telefono col neon), Rita come donna delmistero compromessa con la malavita (è appena sfuggita ad un tentativodi assassinio, la gran quantità di denaro inspiegabilmente detenuta, la pi-stola). Di fatto però queste presupposizioni non trovano concreti riscon-tri testuali: anzi, esse sono indebolite da un’esibita incoerenza, sia nell’e-stromissione dei volti nella sequenza delle telefonate, sia nelle cesure im-poste ai dialoghi che hanno come protagonista il killer biondo – la primascena inizia in medias res privandoci della descrizione del citato ‘inciden-te’, la seconda scena risulta tronca dell’inizio ma soprattutto della conclu-sione, e dopo di essa il killer non comparirà più all’interno del sogno.

Addirittura per quanto riguarda la scena al Winkie’s l’unica connessio-ne propostaci durante la prima parte del film è una sequenza ambientatanello stesso luogo, priva di qualsiasi altro richiamo tematico. Perfino l’at-teso intrecciarsi delle due vicende portanti (Betty/Adam), dopo unoscambio di sguardi carico di sottintesi e promesse, non prelude ad alcunosviluppo – anzi, Adam sparirà ex abrupto dalla narrazione onirica.

Parrebbe insomma che la nuda paratassi possa bastare a reggere unastruttura narrativa che, a dispetto della propria frammentarietà, vienepercepita come ‘lineare’. Scrive però Adriano Piccardi:

tutta questa prima parte si sviluppa secondo un tragitto nell’insieme rico-noscibile: un succedersi di eventi e personaggi riconducibili a una logicache tiene, pur con qualche intromissione apparentemente slegata da tuttoil resto, rispetto alle quali, come sempre in questi casi, si attendono delu-cidazioni nel prosieguo del racconto.19

Nelle parole di Piccardi si intuisce la caratteristica chiave che in effetti so-stiene il racconto onirico: “un tragitto nell’insieme riconoscibile”, “unalogica che tiene” – è la logica onirica di cui si discuterà tra poche righe;come nota Graham Fuller: “nor is it illogic that characterises Mulholland

19 Adriano Piccardi, “Il tempo d’un sogno”, Cineforum, 413, aprile 2002, p. 5.

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Drive, but dream logic, which permits a stream of non sequiturs and culde sacs”.20

Lynch riproduce il linguaggio del sogno, inclusa la sua più inafferrabi-le proprietà: quella di negare la propria natura fittizia fintanto che essoopera; la capacità di imporre un ordine e una logica che, profondamentecontrastanti con quelli della ‘realtà’ della veglia, si affermano come reali so-spendendo la percezione delle proprie incongruenze, pur a fronte di unasintassi che sembra improntata alla mera giustapposizione. Proprio inquesto senso Resnik definisce il sogno “una iper-realtà, che ha una consi-stenza più vera del reale ed è per questo incontestabile” (TS, p. 31).

Petrella sostiene che “la rappresentazione in opera nei sogni scongiu-ra, domina e così allontana una minaccia: morte, perdita di sé o dell’og-getto d’amore”; una descrizione che si attaglia perfettamente al sogno diMulholland Drive. Poco oltre egli soggiunge che “contro tutto ciò sogno earte edificano il loro ordine”.21 A questo punto le similitudini già eviden-ziate tra sogno e gioco vanno necessariamente arricchite con questeparole di Huizinga: “entro gli spazi destinati al gioco, domina un ordi-ne proprio ed assoluto […]: esso crea un ordine, è ordine. Realizza nelmondo imperfetto e nella vita confusa una perfezione temporanea, li-mitata”.22

Tornando al parallelismo tra ‘sogno’ e ‘arte’, la medesima corrispon-denza viene instaurata da Lynch, facendo così di Mulholland Drive unariflessione sul cinema e sull’arte di raccontare. Vernet ha scritto che “ilpersonaggio […] è il centro del mondo concepito come caos finalmenteorganizzato, messo in scena da e attraverso lo sguardo; ed è per questoche il personaggio cinematografico fa del mondo uno spettacolo”:23 que-sta condizione generale del ‘personaggio cinematografico’ viene ‘elevata alquadrato’ in Mulholland Drive dove lo ‘spettacolo’ è costituito in granparte dal mondo che il sogno di Diane organizza (“attraverso lo sguardo”)attorno a Betty – cioè attorno a se stessa come personaggio.

Rifacendoci a quanto asserito in precedenza, nell’indagare l’ordine del

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19 Adriano Piccardi, “Il tempo d’un sogno”, Cineforum, 413, aprile 2002, p. 5.20 “Non è l’assenza di logica a caratterizzare Mulholland Drive, bensì la logica dei sogni,

che consente a interruzioni e vicoli ciechi di susseguirsi in modo fluido”. Graham Fuller,“Babes in Babylon”, Sight and Sound, 12, dicembre 2001, p. 15. D’ora innanzi indicatodalla sigla BB.

21 Fausto Petrella, “Estetica del sogno e terapia a cento anni dalla Traumdeutung”, inStefano Bolognini (a cura di), Il sogno cento anni dopo, Torino: Bollati Boringhieri, 2000,p. 48 (corsivo mio).

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sogno l’attenzione verrà concentrata sulla posizione del soggetto – in par-ticolare sulle sovrapposizioni con l’istanza di enunciazione (l’installazionedi un punto di vista sugli eventi; la messa in scena dell’universo del so-gno) e sulla carica passionale sottesa alle rappresentazioni oniriche.

Già il fatto che il sogno sia preceduto – a mo’ di soglia d’ingresso – daun’inquadratura in soggettiva è molto indicativo, anche perché con essaLynch manifesta una prima contravvenzione alle consuete grammatichedi montaggio, contravvenzione che sarà poi sostanziale nel condurre ilracconto del sogno: si tratta nuovamente di un’omissione, quella del con-trocampo rivelatore della sede dello sguardo.

Ritroveremo nel sogno consimili ‘soggettive senza soggetto’, a punteg-giare la prima parte del film, distinte da quelle attribuibili a personaggiprecisi proprio per l’impossibilità di determinarne l’origine: possono esse-re citati il movimento di macchina che abbandona il volto di Rita accoc-colata tra le piante, per soffermarsi infine sull’ingresso di Havenhurst; lamacchina da presa ‘a spalla’ che accompagna nervosamente la sequenzadel racconto del sogno sull’uomo nero dietro al Winkie’s; la complessascena della telefonata con zia Ruth; lo zoom ‘a inseguire’ sulla porta delClub Silencio; lo sguardo ‘situato’ che segue le due donne al rientro inHavenhurst dal club.

Questa figura viene categorizzata da Francesco Cattaneo come “sfasa-mento del discorso”, ovvero uno “sfasamento linguistico” che “concerne,con maggiore o minore sottigliezza, gli elementi più propriamente filmicidella messa in scena”. È lo stesso Cattaneo a constatare, quasi incidental-mente, che “la soggettiva ha un ruolo preponderante in questo film,avendo la funzione linguistica di accentuare precarietà e inquietudine”:24

la precarietà non è solo quella intradiegetica, ma piuttosto quella del lin-guaggio quasi impercettibilmente forzato da Lynch (anche nella secondaparte del film dove – come vedremo – la soggettiva muterà ulteriormenteil proprio statuto).

Si assiste ad un’alterazione sottile, e in pieno accordo con la logicaenunciativa del sogno: il testo ribadisce a più riprese la presenza di qual-cuno (interessante il fatto che la mdp ondeggiante rimandi ad una corpo-

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22 Johan Huizinga, Homo ludens. Versuch einer Bestimmung des Spielelements der Kultur(1939), trad. it. di Corinna van Schendel, Homo ludens, Torino: Einaudi, 1973, pp. 15-16.

23 Marc Vernet, “Personaggio”, cit. in Leonardo Gandini, “Dissoluzione e metamorfosidel personaggio hollywoodiano”, in Franco La Polla (a cura di), The body vanishes. La crisidell’identità e del soggetto nel cinema americano contemporaneo, Torino: Lindau, 2000, p. 29.

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reità, ad uno sguardo non puro ma in qualche maniera ‘antropizzato’) cheosserva/produce il quadro visivo, e tuttavia viene inibita – finché il sognodura – ogni perturbazione dell’illusione referenziale tramite l’esilio diquesto soggetto in un persistente fuori-campo.

Il mondo del sogno si dimostra inoltre coerentemente ammobiliatodal punto di vista visivo e precipuamente cromatico secondo il criterio diuna omogeneità marcata (e.g.: l’alternanza rosa/blu). La soggettività a cuiallude lo stile non è però quella autoriale, bensì quella di Diane: nella se-conda parte i tratti specifici ‘si ritirano’, e restano riconoscibili solo nelmodo che la protagonista ha di ‘scrivere’ il proprio corpo e lo spazio die-getico della propria esistenza; non sembra casuale l’accento posto su abitie trucco, la correlazione tra mise e mise en scène, tra make-up e il makingup dell’universo finzionale – d’altro canto il maquillage è storicamente fi-gura dell’artificio e della maschera (basti citare la shakespeariana tirata diAmleto ad Ofelia).

È opportuno evidenziare il fatto che, sebbene a posteriori l’uniformitàstilistica si costituisca come indizio o traccia che rende manifesta l’azionedi un narratore, di per contro all’interno del sottotesto onirico essa è unodei fattori preminenti nel garantire la “logica che tiene” e la “consistenza”che vengono generalmente ascritte al sogno (così come, naturalmente, allaprima parte di Mulholland Drive) nonostante i “non sequiturs” e “cul desacs” propri della “dream logic”. Come pure nel caso della paranoia (carat-teristica del noir), nel sogno l’assoluto imperio del soggetto assicura tantol’infrangibilità dell’illusione quanto l’incommensurabilità con il reale.

La medesima configurazione viene riproposta a livello di fabula: ben-ché il vaglio di un criterio di causalità e pertinenza non possa che appurareun grado di coerenza ridotto (lo abbiamo visto), l’andamento della vicen-da nella prima parte del film viene definito ‘lineare’; si intuisce ‘un tragit-to’. Ciò avviene poiché in effetti gli avvenimenti sono orientati, essi si ri-compongono in un’ordine delle cose che polarizza la narrazione secondopercorsi identificabili: Fuller asserisce che Mulholland Drive “riecheggiaStrade perdute anche nel modo in cui mostra un sogno che va smarrendosi[miscarrying], dalla soddisfazione del desiderio, all’ansia, alla veglia [wake-fulness]” (BB, p. 17) – la parabola emotiva è ovviamente quella di Diane.

Obbedendo alla regia invisibile di Diane il sogno si struttura allora

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24 Francesco Cattaneo, “Il doppio organizzato del caos”, Cineforum, 413, aprile 2002,p. 8.

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per un verso in conseguenza dell’incombere ansiogeno del risveglio, perl’altro nell’ottica della realizzazione dei desideri della protagonista. È la ri-sonanza emotiva con il soggetto a garantire il “surplus passionale” che“deborda dagli eventi narrati fino a diventare il senso vero e inglobante,astrazione sensibile”25 su cui si fonda la prima parte del film. Ci occupere-mo più oltre della trasformazione corrispondente al ridestarsi di Diane;volgiamo dunque l’attenzione alle traduzioni del materiale reale che il so-gno opera sulla scorta della soggettività desiderante.

I desideri di Diane si possono considerare indirizzati secondo due di-rettrici principali: la soddisfazione professionale e quella sentimentale; en-trambe comportano poi riflessi sugli altri personaggi: soprattutto negativiper Adam, in un certo senso positivi per ‘Rita’/Camilla nel momento incui – anzitutto – scampa al proprio assassinio. Il sogno nel disporre leproprie immagini in accordo con questo schema letteralmente ‘raccoglie ipezzi’ di una realtà lacerata per inaugurare il proprio ordine; più esatta-mente: esso rifiuta la coerenza/cogenza della veglia, e ne cancella pertantoi vincoli – storie, memorie, legami – per intraprendere a partire dai mar-gini e dai frammenti la propria costruzione.

Non per niente ‘Rita’/Camilla ha perso la memoria; Betty/Diane è ap-pena arrivata a Hollywood; di Coco non si dice se sia la madre di Adam;quest’ultimo, Betty, ‘Rita’, ‘Camilla Rhodes’ non si conoscono neppure…In uno scambio di battute nella scena d’amore tra Betty e Rita sembrariassunto il senso di queste alterazioni: “Tu l’hai mai fatto prima?” –“Non lo so… E tu?” – “Io voglio farlo con te”; alla consequenzialità dichronos (e alle pretese di consequenzialità e pertinenza del linguaggio) sisostituisce direttamente l’intenzionalità del desiderio.

Viceversa l’azione creatrice del sogno si esplica al meglio su alcune fi-gure – più o meno di contorno – presenti alla festa: molti personaggi tro-vano la propria chiave crittografica in piccole agnizioni o epifanie som-messe durante la sequenza del party, tanto da far balenare l’idea che tuttoil cast del film viva in costante metamorfosi. I casi più limpidi sono quellidel Cowboy, che transita ai margini del quadro visivo; di ‘Castigliani’, ilcui sguardo serioso è incrociato da Diane alzando gli occhi da una tazzinadi caffè (dando quindi adito ad un processo associativo simile alla scrittu-ra automatica); ma anche del ragazzo della piscina e della ex-moglie di

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25 Giulia Carluccio e Guglielmo Pescatore, “Dal nero. Del noir, dello schermo”, Cine-ma&Cinema, 61, maggio-agosto 1991, p. 61.

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Adam, sbucati da una facezia di questi. Nella prima parte del film quasitutti i personaggi tendono inoltre ad assurgere al ruolo di “rappresentantifantastici” di “classi di equivalenza”, in conformità con quanto teorizzatoda Ignacio Matte Blanco26 (gli stereotipati mafiosi; il Cowboy, fin dal no-me; la coppia di poliziotti; l’Uomo Nero; l’imbonitore-illusionista; lacoppia di anziani, genitori/giudici in un’ambivalenza carica di significato;l’Attore Attempato; e via dicendo).

6. Consideriamo ora il ‘terzo atto’ di Mulholland Drive – la veglia – perpoter definire meglio il risveglio come processo in cui è leggibile (per spe-culum?) la traccia della trasformazione onirica. Ciò ci consentirà anche dichiarire il significato dell’angoscia a cui si è accennato come secondo asseportante nell’organizzazione del sogno. Piccardi descrive così quanto se-gue il ridestarsi di Diane: “da qui in avanti, il racconto procede […] at-traverso passaggi ‘intricati’, connessioni ‘instabili’, perplesse ‘porosità’.Eppure è proprio da ora in poi che si potranno tirare le fila di tutto ciòche abbiamo visto in precedenza. Che si potrà ricostruire il puzzle”.27

I nessi sono così “intricati” e “instabili”? Ci troviamo davvero in un“labirinto angoscioso e sensuale”? È opinabile. Lynch costruisce la sintassidel ‘reale’ con rigore e profondità ipotattica ben maggiori di quanto abbiafatto nel sogno: è innegabile tuttavia lo smarrimento percepito ‘all’apparirdel vero’.

La vicenda si dipana infatti grazie ad un lungo flashback, incorniciatoda sequenze collocabili al presumibile tempo presente della narrazione.L’orientamento all’interno di questa struttura è assicurato da oggetti cheLynch inquadra in primissimi piani (o addirittura a livelli di dettaglio) ailimiti del surreale, impiegandoli dichiaratamente come segnali, quasimarcatori grammaticali che situano l’azione: la chiave blu – che indical’avvenuto omicidio di Camilla – e il pianoforte/portacenere, la cui pre-senza individua invece il passato (assistiamo alla sua rimozione nella scenaimmediatamente dopo il risveglio).

Il flashback è a sua volta suddiviso in diversi segmenti, dei quali èdubbia la successione cronologica: essa potrebbe anche corrispondere aquella del racconto, sebbene gli stacchi che conducono da un segmentoall’altro diano talora un’impressione diversa. Il motivo è semplice: l’intero

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26 Ignacio Matte Blanco, op. cit., p. 290.27 Adriano Piccardi, op. cit., p. 5.

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flashback è organizzato secondo un principio esplicativo – sia nei confron-ti delle relazioni causa-effetto sia nei confronti di quelle deittiche/anafori-che – cosicché quando viene presentata una scena che specifica il referen-te di un pronome anaforico si tende a pensarla come antecedente, sulmodello del linguaggio verbale; allo stesso modo, se viene mostrata unasituazione che potrebbe essere la causa di uno stato d’animo, essa viene ri-tenuta un ante hoc.

È opportuna un’esemplificazione. Dalla prima scena del flashback (ca-rezze e bisticcio sul sofà) si passa a quella in cui vengono presentati Adame la sua relazione con Camilla (bacio sotto gli occhi di Diane) per spiega-re la concisa domanda “è per lui?” con cui Diane ha reagito alle resistenzedi Camilla: l’ipotesi che si tratti di un ‘ricordo nel ricordo’ è avvalorataessenzialmente dai motivi linguistici di cui sopra. Da questa scena si passaalla sfuriata di Diane: consecutiva e conseguente, quindi non ci sono pro-blemi. Poi c’è la disperata masturbazione della ragazza rimasta sola, chetermina su uno squillo del telefono il quale funge da aggancio per la lun-ga sequenza della festa; come in altre occasioni Lynch mantiene un’ambi-valenza sulla funzione sintattica o semantica di alcuni elementi del testo:nel primo caso lo squillo articolerebbe soltanto il montaggio di una se-quenza successiva in termini sia di storia sia di racconto, nel secondo casoesso attiverebbe diegeticamente in Diane un ricordo – che ci viene mo-strato. A far propendere verso questa interpretazione è di nuovo una de-duzione ‘linguistica’: il fatto che gli eventi della festa potrebbero esserecausa della rabbia e della disperazione di Diane così drammaticamenteespresse nel literal self-abuse (“l’abusare – letteralmente – di se stessa”)28

appena raccontatoci. A chiudere, l’estrema conseguenza – in ogni acce-zione – della triste parabola: un significativo rumore di stoviglie in pezzici guida dalla festa all’assoldamento del killer, e di qui la chiave blu in-chioda infine Diane al presente.

La realtà è insomma complessa, cioè composta di svariati elementi in-terdipendenti e correlati in modi molteplici: da questo punto di vista, sì,un labirinto. Lynch si premura tuttavia di fornirci un filo di Arianna: fi-gurativamente con un montaggio costituito di incastri puntuali – concre-tizzati specialmente negli oggetti – e narrativamente grazie all’implacabilesottolineatura dei legami – legami tra cause ed effetti, tra pronomi e per-sone, ma anche tra esseri umani. Finalmente infatti possiamo ‘ricostruire

28 Kim Newman, “Mulholland Dr.”, Sight and Sound, 13, gennaio 2002.

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il puzzle’, cioè rimettere assieme i pezzi: scoprire ad esempio ‘che cosac’entrano’ Adam, il killer maldestro, la bionda raccomandata (e così via)con le due protagoniste.

Rinaldo Censi scrive che si tratta di “reinventare il tempo di un traumaattraverso […] alcuni oggetti. […] Qui, a noi resta l’immagine di un por-tacenere… o una tazza di caffè che con uno stacco di montaggio (un im-percettibile salto temporale) si trasforma in un bicchiere di whisky posatosu un tavolino. Stanze che mutano d’arredamento: scene di un nuovo tea-tro della memoria”.29 Gli oggetti invitano lo spettatore a farsi segugio, apedinare la storia lungo il racconto, con la sicurezza – da essi assicurata –di una permanenza dei significati quanto dei significanti.

Gli oggetti – come tracce/legami – e la memoria stabiliscono il domi-nio della realtà, in aperta antitesi rispetto al sogno dove, lo abbiamo visto,la memoria è abolita e gli oggetti non riescono a rimandare ad alcunché(“questi soldi tu non lo sai da dove provengono?” chiede Betty senza otte-nere risposta; l’orecchino di perla, indizio sulla scena dell’incidente, chesprofonderà nell’oblio con i due detective e l’indagine stessa; l’enigmaticachiave blu). È usuale la contrapposizione tra realtà e sogno fondata sullastabile consequenzialità della prima a confronto della labilità del secon-do:30 si pensi allora in quest’ottica alla funzione esplicativa dei flashbacktesté descritta.

7. Si paragonino a questo punto le due macro-sezioni di Mulholland Drive.Alla logica dell’accostamento, della giustapposizione paratattica, si è sosti-tuita quella del collegamento, cioè del vincolo di pertinenza o causalità.Da dove deriva dunque il disorientamento tanto diffusamente attestatonella seconda parte? Sono in gioco due fattori, uno dei quali appare peròpoco influente – sebbene non insignificante – e verrà pertanto descrittoin seguito. Invece il fattore principe è facilmente desumibile dall’argo-mento a cui tanto spazio è stato dedicato analizzando il sogno di Diane: èl’ordine proprio del sogno – riprendendo Vernet, “messo in scena da e at-traverso lo sguardo” – che nella realtà viene a mancare.

Lo sconvolgimento che il risveglio provoca nello spettatore (e in Diane)risiede eminentemente nella perdita dei punti di riferimento che quell’u-niverso – nel pieno valore etimologico della parola – offriva. Gli avveni-

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29 Rinaldo Censi, “In statu nascendi”, Cineforum, 413, aprile 2002, p. 13.30 Su questa consolidata contrapposizione Gautier fonda l’infrazione paradossale che

regge la trama de La morte amoureuse.

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menti della realtà hanno un ‘significato’ (il valore di un fatto, in rapportoalle ragioni che lo hanno motivato o alle eventuali conseguenze), ma nonil ‘senso’ (congruenza con un ordine, qui l’ordine del discorso: inteso noncome disposizione ma come ordine immanente) che il racconto di sognoinvece garantiva.

Muovendo dal sogno (in quanto si proviene dal sogno), per Diane –sulla quale è focalizzata anche la seconda parte del film, come si ribadiràtra breve – la realtà risulta contraddittoria, incontrollabile, caotica: irri-mediabilmente corrotta dalla perdita dell’innocenza e dell’oggetto d’amo-re, dapprima a causa del fallimento e dell’abbandono, poi definitivamen-te a causa del crimine; Lynch riesce a precipitare in una consimile condi-zione (fatte le debite proporzioni!) anche lo spettatore, privato dei pre-supposti narrativi che era stato fin lì indotto ad accettare.

Si conferma quanto affermato all’inizio di questo secondo paragrafo:tra le due dimensioni del film sussiste un dialogo che comporta una reci-proca e assidua riscrittura. La “simmetria enantiomorfa”31 che regge ledue parti dà adito ad un testo ‘contrastato’, espressione dell’incommensu-rabilità del sogno: per recuperare le parole di Foucault, un’eterotopia ra-dicale che alternativamente crea “uno spazio illusorio che indica come an-cor più illusorio ogni spazio reale” oppure “un altro spazio, uno spazioreale, così perfetto, così meticoloso, così ben arredato al punto da far ap-parire il nostro come disordinato, maldisposto e caotico”.

Non è perciò sostenibile che Mulholland Drive sia un film palindromo(come invece lo è, entro certi limiti, Strade perdute): dipendono forte-mente dalla dispositio del discorso sia l’incoscienza con cui si sprofondanella narrazione onirica sia l’infrangersi atrocemente delusorio di questa;entrambe caratteristiche indispensabili ai fini degli effetti di senso – ine-renti la relazione sogno/realtà – veicolati dal testo.

Prima di procedere oltre è opportuno dedicare, come è stato anticipa-to, una breve digressione al fattore di destabilizzazione secondario in azio-ne nel ‘terzo atto’ del film. Anche qui il discorso è focalizzato su Diane:benché non sia più identificabile con l’istanza di enunciazione, la sua sog-gettività contamina profondamente il testo; ce lo ricordano gli episodi al-lucinatori, nonché le frequenti soggettive, in particolare quelle sfocate –‘velate di lacrime’, per così dire – che si ripropongono poi come oggettiveirreali e stacchi di transizione nella scena della festa.

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31 Juri Lotman, La semiosfera, a cura di Simonetta Salvestroni, Venezia: Marsilio, 1985.

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Tale ‘soggettivazione’ ambigua e sospesa del discorso – caratteristicadel cinema noir – incrina l’attendibilità del testo ad ogni livello. Con unasorta di ‘colpo di coda’ Lynch finisce per precipitare l’intera materia nar-rativa nel calderone dell’illusione, peraltro in pieno accordo con le dichia-razioni metacinematografiche già sottese al testo e rafforzate dall’ultimis-sima inquadratura del film che fa del Club Silencio la cornice più estremapalesataci.

Nondimeno – per quanto attiene l’effetto contingente della secondaparte – questo fattore è poco influente (seppur assai significativo in fasedi valutazione globale del testo): nel diretto confronto col sogno l’im-pianto mirato alla resa di un realismo mimetico pone in second’ordine lanatura comunque discorsiva e soggettiva di quanto vediamo; inoltre leinformazioni forniteci, se interpretate come fatti reali, generano una let-tura complessiva assolutamente coerente e funzionale.

Si può pertanto ritenere che siano altre le chiavi di volta del turba-mento da cui viene colto lo spettatore: quelle esposte supra, e quella chesarà affrontata ora.

Il risveglio corrisponde in Mulholland Drive ad uno smarrimento, nonsolo in senso cognitivo: qualcosa (qualcuno?) è perduto. Intuiamo di checosa si tratta a partire dal concetto di sogno come “riparazione” in Re-snik: “è un modo di rintracciare e ri-tracciare […] l’oggetto [che] è statodistrutto e perduto”; la perdita per eccellenza è naturalmente la morte,vissuta come “lacerazione” e “frantumazione” (TS, p. 124).

Il sogno supplisce ad un’assenza – grazie all’immagine. L’immediataconseguenza è quella rilevata da Khan in uno studio sui sogni omerici: seil sogno evoca un assente di cui si sente la mancanza, tra dolore della per-dita (la morte di Camilla nel nostro caso) e risveglio non può che instau-rarsi un rapporto di reciproca corrispondenza.32

Riprendiamo le parole di Fuller: Mulholland Drive “riecheggia Stradeperdute anche nel modo in cui mostra un sogno che va smarrendosi, dallasoddisfazione del desiderio, all’ansia, alla veglia”. Nel sogno si individuaun percorso angosciante verso il risveglio e la coscienza. È necessario os-servarne una caratteristica cruciale: esso si sostanzia sempre di rappresen-tazioni ambivalenti, che alludono per un verso alla finzionalità della co-struzione onirica, per l’altro all’avvenuto assassinio di Camilla. La coscien-

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32 Laurence Khan, “Legare o slegare il sogno”, in Ferdinando Amigoni e Vanessa Pie-trantonio (a cura di), op. cit., p. 34.

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za è quanto il misterioso cubo blu dischiude, sia nell’accezione cognitiva(contrapposta all’inconsapevolezza onirica donata dal sonno), sia in quel-la morale (l’acuta percezione del proprio crimine, obliata nel sogno).

Ripercorriamo allora i momenti salienti di questo parallelismo. Il ri-trovamento del cadavere in Sierra Bonita fa riferimento non solo allamorte ma pure alla natura delle immagini, iscritto com’è in un gioco direpliche e sdoppiamenti (ricordiamo i concetti di somiglianza cadavericain Blanchot33 e quello barthesiano di noema fotografico34). La scena delClub Silencio è un’ovvia riflessione sullo statuto delle rappresentazioni,permeata tuttavia anche di angosciosi accenni alla morte – soprattuttonella canzone e nel mancamento di Rebekah Del Rio. Decisivo infine ilruolo della chiave blu: essa nella realtà è il segno (messaggio/memento) delfatto che l’omicidio sia stato ormai perpetrato. A che cosa corrisponde nelsogno? All’interruzione dello stesso, alla sospensione del ‘dittatoriale’ regi-me di rappresentazione onirica: tutto ciò, una volta che il cubo blu è ap-parso, manifestandosi in perfetta coincidenza con la consapevolezza che“è tutto un’illusione”, “è tutto registrato”.

Volendo concedersi un po’ di condiscendenza verso le frasi a effetto sipotrebbe insomma dichiarare che in Mulholland Drive viene raccontatoun duplice assassinio, quello di Camilla e quello dell’immagine onirica(nonché – come spesso accade nel noir – cinematografica: lo vedremo). Èstato detto che il delitto perfetto sarebbe quello in cui niente consente diconcludere che si tratta di assassinio o – meglio ancora – che ci sia statoun qualche assassinio:35 nello smontare il paradigma investigativo, Lynchlo riproduce paradossalmente su un altro piano, invitando lo spettatore aquesta ardua detection – smascherare un doppio crimine perfetto.

Dapprima è la morte di Camilla a essere insinuata tra le pieghe delsogno, per essere rivelata sempre più chiaramente – come in ogni investi-gazione che si rispetti! – nel finale; prende frattanto sottilmente piede lacrisi dell’immagine, che per Diane – e per lo spettatore – inscena nuova-mente (raddoppia) lo smarrimento/la perdita dell’oggetto amato. Nellaferoce disillusione del risveglio Lynch pare riecheggiare la lucreziana con-

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33 Maurice Blanchot, Lo spazio letterario, cit. in Allì Caracciolo, “Il teatro il sogno. Laluna capovolta: un esperimento di messinscena”, in Gabriele Cingolani e Marco Riccini (acura di), op. cit., p. 357.

34 Roland Barthes, La chambre claire. Note sur la photographie (1980), trad. it. di RenzoGuidieri, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Torino: Einaudi, 2003, p. 78.

35 Ignacio Matte Blanco, op. cit., p. 281.

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cezione di “eros come esperienza di frustrazione assoluta prodotta da im-magini ingannevoli, da eidola per l’appunto”.36

Come è stato precedentemente suggerito, Lynch si spinge ancora ol-tre. Nel primo paragrafo abbiamo individuato il valore metalinguisticoche il sogno assume nel momento in cui l’arte riconosce in esso un pro-prio analogon e ne adotta pertanto le forme in chiave autoreferenziale:Mulholland Drive condivide questo intento, come è palesato dalla tema-tizzazione del mondo cinematografico, dall’insistenza su figure dell’esibi-zione o dello spettacolo, ma soprattutto dal modo in cui il film si avvia esi chiude – sono infatti molto indicative sia la scelta di rendere perfetta-mente coincidente con il sogno gran parte del testo (indebolendo la so-glia d’entrata), sia quella di concedere l’ultima parola al “Silencio”.

Se ne rende ben conto Fuller quando afferma che Mulholland Drive“presenta comunque una dissonante osservazione sul tradimento che haluogo quando l’illusione cinematografica […] è messa a nudo in quantotrucco” (BB, p. 15); e poi, quando evidenzia acutamente una somiglianzatra Velluto blu (Blue Velvet, 1986) e Mulholland Drive:

Dean Stockwell’s Ben lipsynchs the song with the same baroque affected-ness demonstrated by Del Rio, but he too is cut short when Frank ripsthe cassette of the song from the tape recorder. On both occasions Lynchis breaking through the dream fabric of the film, reminding us of the fra-gility of cinema’s hallucinatory power.37

Tutto il cinema è “registrato”, “un’illusione”, un nastro che corre lascian-do allo spettatore l’onore o l’onere di investire le immagini di referenzia-lità, senso, passione.

Vale così non solo per Betty ma anche per Diane – e per l’intero appa-rato filmico – quanto Borges racconta ne Le rovine circolari: “voleva so-gnarlo con minuziosa completezza e imporlo alla realtà”, però “anche luiera un’apparenza, […] un altro lo stava sognando”.38 Si può sottoscriverein pieno ciò che asserisce Censi:

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36 Massimo Fusillo, op. cit., p. 42.37 “Il personaggio di Ben interpretato da Dean Stockwell canta in playback con la stessa

affettazione barocca esibita dalla Del Rio, ma lui pure viene bruscamente interrotto quan-do Frank strappa la cassetta dal registratore. In entrambe le occasioni Lynch squarcia iltessuto onirico del film, rammentandoci la fragilità del potere allucinatorio del cinema”(BB, p. 15).

38 Jorge Luis Borges, “Las ruinas circulares” (1940), trad. it. “Le rovine circolari”, in Id.,Finzioni, a cura di Antonio Melis, Milano: Adelphi, 2003, pp. 47, 52.

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Ciò che appare diventa sistematicamente evanescente. Evapora. E di questaseduta ipnotica che minaccia l’intero film? Che cosa resta? Universi tem-porali scollati. Instabili. Con la scusa dell’impossibile detection, Lynch cicostringe a costruire temporalmente (e dunque narrativamente) un per-corso che non porta da nessuna parte; se non a quel teatro, a quella ribal-ta ormai vuota dove si chiude il film.39

Il film assume “l’aura di un canto di Sirena, che adesca [luring] lo spetta-tore in un sontuoso inganno [deception]” (BB, p. 14); tramite il fatalecanto delle Sirene (qui il potere dell’immagine e della narrazione) lo spet-tatore è trascinato in quel sogno-trappola di cui parla Chion – “il sognoche non si controlla […] potrebbe forse essere quello di un altro, il sognoin cui si rischia di essere preso in trappola?”.40

Queste ultime righe sono destinate ad un fugace confronto con alcuneletture critiche che divergono da quella qui sviluppata, e propendono in-vece per uno sgretolamento più o meno sostanziale delle possibilità dicomprendere nel suo complesso il testo.

Si può essere solo parzialmente d’accordo con Cattaneo quando con-clude che “il progetto di cinema di Lynch come scrittura del sogno è […]coerente con se stesso fin dai tempi del suo primo lungometraggio, Era-serhead. E in effetti quella di Lynch continua a essere una ‘mente che can-cella’ (eraserhead), che rompe e toglie nessi, piuttosto che consolidarli”.41

Sono anche maggiori le divergenze rispetto alle posizioni di Zonta, il qua-le, domandandosi che cosa si apprenda in Mulholland Drive, arriva a ri-spondere: “Il limite stesso della comprensione. Mulholland Drive è unfilm che non vuole essere capito. […] Non c’è nulla di reale in Mulhol-land Drive. Solo apparenze da un altro mondo, invisibile e impalpabile”.42

Discutendo a proposito del rapporto tra sogno e immagine abbiamonotato che “lo spazio del sogno è un iperspazio del pensare dove l’imma-gine può essere affermata nel momento stesso in cui viene negata”. Sonoperciò eccessivamente riduttive le interpretazioni ‘nichiliste’ che neghinoalla fascinazione esercitata dalle rappresentazioni il potere di essere “narra-zione poematica che è rivelazione (e incanto)”: Lynch conosce e dispiega

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39 Rinaldo Censi, op. cit., p. 12 (corsivi miei).40 Michel Chion, David Lynch, Torino: Lindau, 2000, p. 223. Cfr. Resnik, “il testimone

[che] viene inghiottito”.41 Francesco Cattaneo, op. cit., p. 10.42 Dario Zonta, “Del meraviglioso mondo di David Lynch”, Duel, 94, febbraio 2002,

p. 10.

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il potere della narrazione onirica, che non risiede nella referenzialitàquanto nella metafora.

Egli certamente “rompe e toglie” dei nessi, ma nel contempo ne con-solida altri (si pensi alle diverse forme di coerenza che abbiamo ravvisato edanalizzato); così come – per quanto la comprensione venga problematiz-zata – suona superficiale la rinuncia a riconoscere una logica solo perchéprofondamente diversa da quella a cui si è adusi: in Mulholland Drive cisono ‘di reale’ quantomeno le passioni e le immagini stesse, le – vane? –‘apparenze’.

Lynch elabora insomma un linguaggio che “adopera il sogno per de-costruire – tramite l’autoriflessività – la propria articolazione, nonchéquella degli altri linguaggi che si vorrebbero fondati sulle retoriche del so-gno e che si rivelano invece viziati da un fondamentale rifiuto della logicaonirica”.43 Un linguaggio che non teme di inoltrarsi attraverso lo specchiodel sogno.

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43 Valerio Massimo De Angelis, “L’incubo della realtà: ‘Young Goodman Brown’ diNathaniel Hawthorne”, in Gabriele Cingolani e Marco Riccini (a cura di), op. cit., pp.273-74.