· web viewfinché anch’essi, oggettivati (narrati) nel filmato montato da un commilitone sulle...

10
GENERATION KILL Ideazione: David Simon, Ed Burns, Evan Wright; soggetto: dal saggio Generation Kill di Evan Wright; sceneggiatura: David Simon, Ed Burns, Evan Wright; regia: Susanna White, Simon Cellan Jones; fotografia: Ivan Strasburg; montaggio: Jason Krasucki, Oral Norrie Ottey; supervisione alle musiche: P.J. Bloom. Interpreti: Alexander Skarsgård (Sergente Colbert), James Ransone (Caporale Josh Ray Person), Jon Huertas (Sergente Antonio Espera), Lee Tergesen (Giornalista Evan Wright), Stark Sands (Nathaniel Fick), Billy Lush (Harold James Trombley), Rey Valentin (Gabe Garza), Kellan Lutz (Jason Lilley). Produttori: Andrea Calderwood per HBO. Paese: Stati Uniti; messa in onda: 13 luglio – 24 agosto 2008; durata: 7 x 60’. La serie Nel 2002, il giornalista Evan Wright si reca in Afghanistan su incarico di Rolling Stone. Nel 2003 viene incorporato nel 1° Battaglione da ricognizione del Corpo dei Marines degli Stati Uniti durante le prime fasi dell'invasione dell'Iraq. Wright passa tutto il suo tempo in Afghanistan con una squadra di ricognizione guidata dal sergente (all'epoca) Brad Colbert. La critica Generation Kill – Nati per morire, cresciuti per uccidere

Upload: others

Post on 15-Feb-2020

0 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1:  · Web viewfinché anch’essi, oggettivati (narrati) nel filmato montato da un commilitone sulle note di Johnny Cash, non vengono investiti dall’assurda e crudele ironia della

GENERATION KILL

Ideazione: David Simon, Ed Burns, Evan Wright; soggetto: dal saggio Generation Kill di Evan Wright; sceneggiatura: David Simon, Ed Burns, Evan Wright; regia: Susanna White, Simon Cellan Jones; fotografia: Ivan Strasburg; montaggio: Jason Krasucki, Oral Norrie Ottey; supervisione alle musiche: P.J. Bloom.Interpreti: Alexander Skarsgård (Sergente Colbert), James Ransone (Caporale Josh Ray Person), Jon Huertas (Sergente Antonio Espera), Lee Tergesen (Giornalista Evan Wright), Stark Sands (Nathaniel Fick), Billy Lush (Harold James Trombley), Rey Valentin (Gabe Garza), Kellan Lutz (Jason Lilley).Produttori: Andrea Calderwood per HBO. Paese: Stati Uniti; messa in onda: 13 luglio – 24 agosto 2008; durata: 7 x 60’.

La serie

Nel 2002, il giornalista Evan Wright si reca in Afghanistan su incarico di Rolling Stone. Nel 2003 viene incorporato nel 1° Battaglione da ricognizione del Corpo dei Marines degli Stati Uniti durante le prime fasi dell'invasione dell'Iraq. Wright passa tutto il suo tempo in Afghanistan con una squadra di ricognizione guidata dal sergente (all'epoca) Brad Colbert.

La critica

Generation Kill – Nati per morire, cresciuti per uccidere11 settembre 2001, 2 maggio 2011, rispettivamente il giorno dell’attentato alle Torri Gemelle e quello della cattura e uccisione di Bin Laden. In questi dieci anni la guerra ha cambiato radicalmente la sua natura, sia per come viene percepita sia per come viene combattuta. Generation Kill ne rappresenta uno dei ritratti più potenti e fedeli.Pur non essendo definitivamente usciti da quella guerra, così come siamo tutt’altro che immuni alle minacce del terrorismo islamico, è possibile guardare agli anni racchiusi da questi due avvenimenti così eclatanti ed emblematici come a un decennio circoscritto, un periodo in cui c’è stato di tutto, dalla moltiplicazione degli attacchi terroristici alla reazione belligerante del Presidente Bush, dai video testamentari degli attentatori alla discontinuità rappresentata dalla presidenza Obama.A cambiare però è stato anche il rapporto tra l’audiovisivo e la guerra , dando al war movie una natura totalmente nuova, figlia dei radicali cambiamenti della contemporaneità. Film come Nella valle di Elah e Redacted, serie come Generation Kill e Homeland hanno portato il mondo esterno sui nostri schermi e hanno fatto dei dispostivi di visione – grandi e piccoli – quelle finestre attraverso le quali l’arte interroga il proprio presente geopolitico.

Page 2:  · Web viewfinché anch’essi, oggettivati (narrati) nel filmato montato da un commilitone sulle note di Johnny Cash, non vengono investiti dall’assurda e crudele ironia della

Dalla pagina allo schermo La vicenda produttiva legata allo show è da questo punto di vista davvero interessante: nel 2004 esce Generation Kill di Ewan Wright, libro in cui il giornalista di “Rolling Stone” racconta sotto forma di reportage narrativo la sua esperienza come inviato di guerra, risalente all’anno precedente. Il libro è a sua volta una seconda versione, in quanto si tratta della rielaborazione di tre lunghi resoconti usciti su “Rolling Stone” l’anno prima. Nel luglio del 2008 la HBO, dopo aver comprato i diritti del volume, manda in onda la prima puntata della miniserie omonima, adattata fedelmente da David Simon ed Ed Burns, già creatori di The Wire. Lo show riceve la massima copertura mediatica e attenzione critica in quanto va in onda la domenica in prime time (che in quegli anni era ancora considerato “lo slot dei Soprano”), e immediatamente dopo la fine della quinta e conclusiva stagione di The Wire, il cui apprezzamento unanime ha tirato la volata a Generation Kill.

Raccontare la guerraCon l’aiuto di Ewan Wright, Simon e Burns realizzano una sorta di romanzo-verità televisivo di stupefacente potenza, capace di raccontare in sette episodi una temporalità al contempo contratta e intensissima. Il contesto è quello della guerra in Iraq e la missione dura esattamente tre settimane, dispiegate in maniera equilibrata nei primi sei dei sette episodi totali. Al centro della scena c’è la compagnia Bravo del primo battaglione di guerra sul suolo iracheno, ovvero un “mucchio selvaggio” di giovani gettati nel deserto mediorientale in balia di ogni genere di imprevisto e, accanto a loro, il narratore (ovvero il giornalista Ewan Wright, interpretato da Lee Tergesen), l’occhio umano che fa da mediatore principale tra lo spettatore e l’orrore della guerra.Su questa base narrativa sono tantissime le tematiche che emergono e che la serie affronta con grande attenzione e rispetto, sia per i suoi protagonisti sia per la Storia. Ovviamente ogni rappresentazione della guerra porta con sé alcuni topoi ricorrenti a cui anche Generation Kill non può non fare riferimento; in più però la serie HBO ha il coraggio di scoperchiare un vaso di Pandora da cui escono tutte le aberrazioni del conflitto in questione, ponendosi non solo come un prodotto televisivo ma come un vero e proprio atto politico.

L’etica come stileEsattamente come nel caso di The Wire, Generation Kill incarna una delle più riuscite forme di inchiesta televisiva. Potremmo dire che, pur cambiando il genere di riferimento (si passa dal poliziesco al war movie), non mutano di una virgola l’approccio e lo stile. La serie infatti è la più realistica messa in scena della guerra in Iraq che sia mai apparsa su uno schermo, grande o piccolo che sia; è un ritratto completo e iper-dettagliato di una condizione assolutamente peculiare, che non si concede mai virtuosismi superflui o divagazioni arty, perché l’estetica che incarna è forgiata prima di tutto da un irrinunciabile rigore etico . È il realismo della messa in scena ad impressionare lo spettatore, prima ancora della scrittura. A ben vedere però i due livelli non sono scindibili perché la regia della serie non è altro che la naturale prosecuzione di un metodo – quello di scrittura – che David Simon da sempre porta avanti, caratterizzato soprattutto da una grande ricerca antropologica, che studia fin nei dettagli i comportamenti umani e i linguaggi dei suoi protagonisti, potendo contare su una messa in scena che non fa che esaltare questo tipo di realismo.

L’uomo dietro l’eroeA differenza di tante altre produzioni di guerra contemporanee, Generation Kill non ambisce solamente a rappresentare il conflitto, ma a quest’operazione ne affianca una non meno importante: la serie è infatti anche

Page 3:  · Web viewfinché anch’essi, oggettivati (narrati) nel filmato montato da un commilitone sulle note di Johnny Cash, non vengono investiti dall’assurda e crudele ironia della

il ritratto di una generazione, la descrizione dei giovani maschi americani tra i venti e i trent’anni negli anni Zero. Chi sono questi uomini che rappresentano un paese intero in una guerra così discussa e discutibile? Sono innanzitutto giovani, ragazzi strappati all’università, al lavoro e alla famiglia, rinchiusi in una guerra in cui la smisurata vastità del campo di battaglia (reso ancor più indecifrabile dal paesaggio desertico) è inversamente proporzionale alle loro speranze in una vita migliore. Simon descrive i suoi personaggi esattamente come nelle altre sue serie, facendo dello scenario bellico soprattutto un recinto, una palette di colori legati a un conflitto che per anni è stato in prima linea su tutti i telegiornali. L’autore parla di determinati comportamenti e convinzioni con una verosimiglianza giornalistica davvero fuori dal comune, tanto da far emergere (apparentemente) senza difficoltà le abitudini di un’intera generazione, compresi i modi di dire, i modelli culturali e il legame molto stretto con la cultura popolare, come dimostrano i soprannomi che vengono dati ad alcuni personaggi.

Memorie digitaliSenza svelare nulla rispetto allo svolgimento della storia e soprattutto allo straordinario finale, concludiamo cercando di mettere in evidenza il nucleo principale di questo racconto, ovvero l’idea forte che c’è alla base della serie e che tra l’altro caratterizza tutti i fondamentali ritratti della guerra contemporanea, in particolare Redacted e Zero Dark Thirty. Emerge infatti, al fondo di tutti questi affreschi bellici, un bisogno costante di rappresentazione del sé, di fissare la propria identità e la propria immagine su supporti fisici in modo da lasciare una traccia che contrasti la precarietà dell’esistenza di questi personaggi. Una sensazione figlia dello sradicamento territoriale e culturale, pregna della nostalgia di casa che genera un inaspettato effetto unificante. I marines di Generation Kill hanno l’inerziale tendenza a sentirsi parte di un gruppo, ma prima di tutto hanno voglia di vedersi come gruppo e di lasciare una traccia delle proprie esistenze. La rivoluzione digitale e lo scenario bellico si incrociano qui in uno splendido connubio in cui le parti più estreme e più umane dei soldati trovano una perfetta continuazione nelle protesi mediali, le quali li rendono eterni e donano loro memoria, fondamentale in condizioni di tale precarietà.

Attilio Palmieri, in «Seriangolo», 8 marzo 2016

Generation Kill«Sai cosa succede quando esci dai Marines? Ti ridanno il cervello indietro». David Simon in Generation Kill prosegue la sua ricognizione nelle viscose dinamiche di quello che si potrebbe riassumere come l’insanabile conflitto fra uomini e istituzioni. E dai vani tentativi di imporre un ordine civile nel giardino dietro casa, a Baltimora, si passa alle ancor più velleitarie manovre per esportare la democrazia in Iraq. Il punto di vista scelto è ancora una volta intestino all’ambiente, alla situazione e soprattutto all’umanità che Simon vuole cercare di riorganizzare e ordinare in un racconto.Lo spunto narrativo per Generation Kill è quello di un reporter di Rolling Stones – la miniserie in 7 puntate, andata in onda nel 2008, è tratta dal libro omonimo del giornalista Evan Wright – che si aggrega, agli albori dell’operazione Iraqi Freedom, alla compagnia Bravo del primo battaglione di ricognizione dei Marines. Il quadro dipinto è di una prosaicità terragna: la guerra ai tempi di una comunicazione pervasiva, spogliata di ogni epos, riportata a una trivialità che ha quasi dell’ironico, certo del surreale. I membri del preparatissimo corpo militare, i «pitbull d’America», vanno in battaglia con un solo, dubbio, interprete e passano le nottate in missioni per recuperare ufficiali inetti, dispersi mentre cercavano un posto tranquillo per evacuare. E più che un battaglione sembra un ufficio disfunzionale, una piramide di comando in cui alla base piovono merda e responsabilità, ammannite da un gruppo di intermediari inadatti per conto di un vertice avulso dalla realtà.Simon abbassa al minimo l’intensità dei filtri e ci immerge, grazie anche al solito, filologico lavoro sul vernacolo, in Iraq. Siamo lì. Restiamo con i 28 Marines di Generation Kill finché anch’essi, oggettivati

Page 4:  · Web viewfinché anch’essi, oggettivati (narrati) nel filmato montato da un commilitone sulle note di Johnny Cash, non vengono investiti dall’assurda e crudele ironia della

(narrati) nel filmato montato da un commilitone sulle note di Johnny Cash, non vengono investiti dall’assurda e crudele ironia della loro situazione. E smettono di ridere, e noi con loro.

Davide Pulici, in «Nocturno.it», 2009Che cos'è questo realismo: analisi di Generation Kill

Alla ricerca del realismo perdutoUltimamente ho rivisto, per la terza volta, Generation Kill.Per chi non la conoscesse è una miniserie, coproduzione USA-UK, tratta dall'omonimo libro di Evan Wright. Generation Kill racconta la seconda invasione dell'Iraq da parte delle forze armate angloamericane dal punto di vista di un giornalista aggregato ai Marines del Second Platoon of the First Reconnaissance Batallion's Bravo Company (Secondo plotone del primo Battaglione da Ricognizione compagnia Bravo).Sceneggiatori della serie sono David Simon e Ed Burns, autori dell'acclamato The Wire. La scrittura di Simon e Burns viene indicata da molti come un esempio compiuto di realismo della narrazione. Una scrittura che dà alla narrazione il potere di mostrare i collegamenti, le linee di forza che legano tra loro tutti i soggetti che compongono un corpo sociale.Generation Kill non fa eccezione e anche per questa serie l'aggettivo "realistica" è stato utilizzato da molti commentatori. Tuttavia in pochi si sono soffermati ad analizzare dove risieda il realismo di questa narrazione. Più che la qualità ontologica di restituire la realtà da parte dell'immagine o della scrittura, il realismo è un costrutto semiotico, una modalità di padroneggiare gli elementi costitutivi della narrazione per costruire un effetto di realtà interno ai confini dell'opera.Quando parliamo di realismo di solito ci riferiamo ad una costruzione stilistica che risponde a certi codici compositivi; codici capaci di produrre sia i messaggi che i modi della loro comprensione. Da questo punto di vista il realismo è soprattutto il risultato di un effetto psicologico, stilistico e retorico legato più ai modi di codificazione del reale sul piano della scrittura, che non alla realtà di quanto viene descritto. (Dimitri Chimenti) Quali sono dunque i meccanismi che costituiscono il realismo di Generation Kill? All'incrocio di quali istanze compositive emerge questa dimensione?

Uno sguardo incorporato: realismo e testimonianzaIl primo elemento che contribuisce a costruire il realismo in Generation Kill è la presenza di un testimone. Ad assolvere questo ruolo nella serie è il personaggio del reporter (Lee Tregesen), alter ego del giornalista autore del libro da cui è tratta la serie. Persona e personaggio sono la stessa cosa, si confondono al punto che nella serie il personaggio del reporter viene vestito alla stessa maniera di Wright.Al reporter è assegnato un ruolo passivo: il suo scopo è quello di osservare quanto succede, di prendere nota nel suo taccuino e di fare domande. Il reporter non abbandona mai questa postura, non prende mai parte all'azione come potrebbe succedere all'eroe-per-caso di un film hollywoodiano. È attraverso lo sguardo di questo personaggio che lo spettatore assiste alla vicenda. Ed è attraverso questo sguardo che lo spettatore stringe un patto di verità con la narrazione. Quanto è successo è vero, reale, realistico perché è stato osservato, registrato e riportato da uno sguardo.Il primo grado del realismo prende corpo qui, nell'instaurarsi di uno sguardo testimoniale che testimonia la realtà attraverso la sua presenza sul campo. Poco importa, e infatti la scrittura visiva di  Generation Kill non lo fa, che le istanze enunciative che permettono a questo sguardo di instaurarsi vengano rimosse o perlomeno tralasciate. L'atto stesso che consente allo sguardo del reporter di instaurarsi, l'incorporamento in una squadra da combattimento, non viene problematizzato. Semplicemente avviene.

Incorporati nello sguardo: tecnica e ideologia della soggettiva

Page 5:  · Web viewfinché anch’essi, oggettivati (narrati) nel filmato montato da un commilitone sulle note di Johnny Cash, non vengono investiti dall’assurda e crudele ironia della

Circa un anno fa sollevò scalpore e indignazione la fotografia scattata da un militare israeliano che ritraeva un bambino palestinese attraverso il mirino di un fucile, la testa "adagiata" alla croce di mira.È una foto estremamente forte, soprattutto per la connessione e la tensione che si vengono a creare tra l'atto del guardare, raddoppiato da due strumenti ottici (la macchina fotografica e il mirino), e la possibilità di catturare una vita. L'idea atavica che la reificazione dello sguardo sottragga qualcosa alla vita che viene immortalata. Sparare e scattare, in inglese si scrivono allo stesso modo e nella fotografia in questione questa ambiguità acquisisce una potenza tragica.Lo sguardo in soggettiva, filtrato da dispositivi ottici, esprime questo portato di violenza. È uno sguardo che ci coinvolge e che ci attiva, uno sguardo funzionale all'azione. Lebanon (Samuel Maoz, 2009) è un film costruito su questo concetto. L'unico sguardo sul mondo concesso ai carristi israeliano protagonisti del film è una soggettiva filtrata dal dispositivo di mira del tank.Questo sguardo non permette altre azioni che non siano quelle assegnate dalla disposizione all'interno del carrarmato. Ricaricare l'obice per il servente, calcolare le coordinate di tiro per l'armiere, guidare per l'autista, coordinare l'azione per il capocarro. Lo sguardo in soggettiva consente una connessione tra sguardo e azione, tra visione e attivazione.In Generation Kill la soggettiva viene utilizzata quasi esclusivamente filtrata da dispositivi ottici, mirini e visori notturni. È lo sguardo bellico, lo sguardo del combattimento, uno sguardo-gesto direttamente connesso con l'azione dello sparo.Addestrati a riconoscere questa configurazione dai dispositivi visivi che ci circondano, i nostri sguardi di spettatori vengono incorporati nella visione dei soldati e attivati di conseguenza. Il secondo grado del realismo emerge in questa operazione di incorporamento nello sguardo. Attraverso la soggettiva siamo presenti all'azione e vi prendiamo parte direttamente.

Dallo sguardo all'ascolto: realismo della comunicazioneNel contesto di una battaglia tra eserciti, una forma di guerra ormai declinante, un plotone da ricognizione rappresenta la punta più avanzata e mobile di uno schieramento. Lo scopo di queste unità non è quello di ingaggiare il nemico in uno scontro campale, quanto quello di raccogliere informazioni sulla disposizione delle forze in campo e impedire che l'avversario faccia altrettanto eliminando i suoi ricognitori.Generation Kill descrive queste tattiche e le relative procedure. Tutta la serie è una lunga corsa in automobile verso Baghdad, punteggiata di scontri tanto rapidi quanto violenti. Gran parte delle scene si svolgono a bordo degli Humevee, grossi fuoristrada da cui i marines scendono piuttosto raramente. Ne deriva una sensazione opprimente, di isolamento, resa in particolar modo nei dialoghi.Sono proprio i dialoghi a rappresentare il terzo grado del realismo che prende corpo dalla scrittura e dalla narrazione di Generation Kill. Buona parte dei dialoghi sono composti da lunghi scambi radio tra le squadre da combattimento e tra queste e i diversi gradi della gerarchia militare presenti sul campo (non è un caso che uno dei personaggi a cui viene dato più spessore è un operatore radio).In Generation Kill il lessico della comunicazione militare è riprodotto con fedelta estrema. È l'utilizzo di questo gergo specialistico che contribuisce a creare il terzo livello di realismo.Simon e Burns riproducono fedelmente il lessico della comunicazione militare con tutte le sue formule. L'uso di questo gergo altamente specialistico richiede da parte dello spettatore una postura attiva per essere compreso. Le comunicazioni radio, altamente codificate, risultano al primo impatto quasi incomprensibili e solo dopo un po' di tempo riusciamo a riconoscere i soggetti coinvolti.L'effetto è simile a quelle che si otterrebbe utilizzando una lingua straniera: lo spettatore privo di traduzione ed esposto a un gergo tecnico che gli sfugge costantemente ricava un'impressione di realtà che rafforza il dispositivo realistico costruito dalla scrittura.

Nota: che cos'è questo realismo?

Page 6:  · Web viewfinché anch’essi, oggettivati (narrati) nel filmato montato da un commilitone sulle note di Johnny Cash, non vengono investiti dall’assurda e crudele ironia della

In tempi di New Realism non è peregrino porsi questa e altre domande. Possiamo negare che esista una realtà, lì fuori? Io non credo si possa dire questo, ma allo stesso tempo possiamo credere che questa realtà possa esserci raccontata al di fuori della rappresentazione? Anche in questo caso non credo che sia possibile; ma che influenza hanno i dispositivi semiotici che regolano la rappresentazione della realtà sul senso profondo che di essa ci comunicano? E ancora, il realismo è l'unico dispositivo semiotico in grado di parlarci del reale?

Flavio Pintarelli, 28 maggio 2013

L’autoreEvan Wright (Cleveland, 1966) si è specializzato nel racconto delle sottoculture urbane in servizi molto celebri pubblicati su Rolling Stone e Vanity Fair. Di grande successo il suo reportage di guerra del 2004, Generation Kill, e il più recente How To Get Away With Murder in America (2012), dedicato a un ufficiale della CIA che avrebbe lavorato come sicario della mafia. raccolti nel romanzo dal titolo omonimo.

A cura di Matteo Pollone (Università di Torino)

PROSSIMI APPUNTAMENTI a cura dell’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza

INGRESSO LIBERO

REPORTAGE | CINEREPORTER NELLE GUERRE DEL ‘900

Martedì 13 novembre, ore 17.30Sala Conferenze del Polo del '900, corso Valdocco 4/A, TorinoA cento anni dalla fine della prima guerra mondiale. Lecture di Andrea Giaime Alonge con proiezioni.Il ciclo prosegue con due incontri di approfondimento sui cineoperatori nelle guerre del '900, nella Sala Minicinema di Corso Valdocco 4a, lunedì 19 e martedì 20 novembre ore 17.30 con Eugenia Gaglianone e un incontro giovedì 6 dicembre con David Ellwood.

Polo Presente. Un calendario civile è un progetto del Polo del ‘900 di Torino pensato per chi sente il bisogno di approfondire temi ed esperienze del passato che ancora interrogano il presente.

RASSEGNA CINEMATOGRAFICA

22 novembre | Il Duce a Trieste, 18 settembre 1938ore 20 Intervengono Bruno Maida e Cecilia Pennacini

Page 7:  · Web viewfinché anch’essi, oggettivati (narrati) nel filmato montato da un commilitone sulle note di Johnny Cash, non vengono investiti dall’assurda e crudele ironia della

28 novembre | L’oro di Roma, di Carlo Lizzani, Italia Francia 1961, ore 17.30 Introduce Franco Prono

4 dicembre | Il processo di Norimberga, di Felix Podmaniczk, BRD 1959, 78’ore 17.30 Introduce Cristian Pecchenino

12 dicembre | The Eichmann Show. Il processo del secolo, di P. A. Williams, GB 2015, 90’

ore 17.30 Introduce Giovanni De Luna