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(GEO)METRIA Lezione del 2 novembre 2010 EMANUELE DELUCCHI We lack but open eye and ear To find the Orient’s marvels here. J. G. Whittier. Indice Parte 1. Something old 2 1. Medio Oriente 3 2. India 5 3. Cina 6 Parte 2. Something new 8 4. Grecia: Euclide 8 5. Cina: Liu Hui 15 Parte 3. Something borrowed 18 6. Archimede 18 Parte 4. Something blue 24 7. Dissezione - dissennata? 24 8. Misura 26 Riferimenti bibliografici 27 1

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(GEO)METRIALezione del 2 novembre 2010

EMANUELE DELUCCHI

We lack but open eye and earTo find the Orient’s marvels here.J. G. Whittier.

Indice

Parte 1. Something old 21. Medio Oriente 32. India 53. Cina 6

Parte 2. Something new 84. Grecia: Euclide 85. Cina: Liu Hui 15

Parte 3. Something borrowed 186. Archimede 18

Parte 4. Something blue 247. Dissezione - dissennata? 248. Misura 26Riferimenti bibliografici 27

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2 EMANUELE DELUCCHI

Parte 1. Something old

Uno degli aspetti principali della rivoluzione neolitica (tra il X e il III millennioA.C.) fu l’apparizione graduale di insediamenti umani stanziali, che si organizzaronopoco a poco in centri urbani.

Questo sviluppo ebbe luogo dapprima nelle zone allora climaticamente più ospi-tali, che si estendevano lungo una fascia subtropicale dall’America centrale allaCina sudorientale, passando per il Medio Oriente (specialmente il delta del Nilo ela terra tra il Tigri e l’Eufrate) e l’India nordorientale.

Il passaggio da una vita nomade ad una stanziale comportava molte innovazioni:costruzione di abitazioni stabili, metodi agricoli, amministrazione contabile dellecrescenti comunità, maggiore organizzazione dei culti religiosi. Ognuno di questiaspetti ha stimolato lo sviluppo di tecniche adeguate alla registrazione e alla mani-polazione di estensioni e di quantità di merci (anch’esse misurate spesso in terminidel loro ingombro).

Vogliamo cominciare mostrando qualche esempio delle conoscenze (geo)metricheattestate nelle diverse civiltà del tempo. Purtroppo dovremo tralasciare la zonadelle Americhe centrali: la nostra conoscenza della storia della matematica tra leciviltà precolombiane è ancora rudimentale e non ci offre particolari appigli geome-trici (per qualche notizia si veda [16, Capitolo 3.5]).

Osservazione. Caratteristica comune a tutti i documenti che presentiamo in questocapitolo è il fornire metodi e procedure senza spiegarne la correttezza (al massi-mo giustificandola ad un esempio). Questo può alimentare l’idea di una ‘proto-matematica’ ingenua e, in qualche modo, inferiore. È però verosimile che sem-plicemente non si sentisse il bisogno di divulgare le giustificazini dei metodi al difuori di una ristretta cerchia elitaria, dove questi saperi fondanti venivano trasmessioralmente.

(GEO)METRIA 3

1. Medio Oriente

Dall’inizio del III millennio A.C. si consolidano, sul delta del Nilo e nella mezza-luna fertile, due culture in cui la matematica era un mezzo essenziale all’ammini-strazione dei popoli, e quindi veniva insegnata nelle scuole che formavano i futurifunzionari. In entrambi i casi, i documenti che ci sono giunti erano testi scolasticio manuali.

1.1. Egitto. I più antichi documenti geometrici che ci sono giunti dal delta del Nilosono due papiri, entrambi databili al XIX o XVIII secolo A.C., quindi dal regno dimezzo, alcuni secoli dopo la costruzione delle grandi piramidi. Che gli egizi avesserogià compiuto tali opere ingegneristiche lascia supporre che buona parte del sapereriportato dai papiri risalga a molto prima della loro redazione. Li accomuna la loronatura di raccolte di problemi ‘pratici’ presentati con una soluzione-modello (masenza giustificazione dei metodi usati).

I papiri contengono anche illustrazioni dei solidi geometrici di cui parlano - tut-tavia non conoscendo il disegno prospettico, i solidi vengono rappresentati schema-ticamente tramite la loro pianta o il loro prospetto (cfr. Figura 1)

Il papiro di Ahmes. Questo documento è noto anche come “papiro di Amos”, se-condo una trascrizione alternativa del nome del suo autore, oppure “papiro Rhind”,dal nome dell’antiquario scozzese che lo acquistò a Luxor a metà dell’Ottocento. Sitratta di un rotolo di papiro largo 33 centimetri e lungo originariamente 5 metri. Èconservato oggi principalmente al British Museum di Londra.

L’esercizio 48 chiede di calcolare l’area A di un cerchio di diametro dato d.Il procedimento illustrato corrisponderebbe, in termini moderni, ad applicare laformula

A =

(8d

9

)2

.

(Amos dice “togliete un nono dal diametro e moltiplicate il risultato per se stes-so”). Un confronto con le formule moderne potrebbe far dedurre che qui sia usatoun valore di “π” (ovvero il rapporto tra circonferenza e diametro) uguale a 3. Sem-bra però discutibile credere che gli egizi considerassero la costante strutturale π.Vicino all’enunciato del procedimento, il papiro riporta il disegno di un quadrato dilato 9 dal quale, tagliando i quattro vertici, si ottiene un ottagono - ovvero un’ap-prossimazione di un cerchio - di area ( 89 )

2. Quindi la formula sembra essere una(molto!) buona euristica.

Il papiro di Mosca. Questo documento, di poco precedente il papiro di Ahmes,contiene 25 problemi matematici legati perlopiù alla produzione di birra e allacostruzione di navi. Sette problemi sono però di natura geometrica. Questo papiroera lungo 5 metri e mezzo, ma largo solo 8 centimetri, ed è oggi conservato al museostatale d’arte Pushkin di Mosca

Il problema 14 in particolare mostra come calcolare il volume V di un tronco dipiramide a base quadrata. Il problema risolve un caso particolare (dove i lati dellefacce quadrate sono 2 e 4 mentre la distanza tra di loro è di 6 unità), e segue unprocedimento che noi rappresenteremmo con la formula generale

V = (a2 + ab+ b2)h

3

4 EMANUELE DELUCCHI

dove a e b sono i lati delle facce quadrate e h la distanza tra loro. La formula ècorretta (!), ma nemmeno qui viene fornita alcuna giustificazione.

Figura 1. L’esercizio 14 dal papiro di Mosca, con larappresentazione di una piramide tronca

1.2. Mesopotamia. Benchè cronologicamente precedenti, i documenti matematicidelle civiltà che popolarono la Mesopotamia tra il III e il II millennio A.C. sonoben più numerosi di quelli egizi. Questo è dovuto principalmente al fatto che questidocumenti erano incisi in tavolette di argilla poi essiccata invece che scritti sulfragile - e degradabile - papiro.

L’abbondanza di tavolette disponibili deriva anche dal fatto che non si trattasolo di manuali o testi scolastici, ma soprattutto degli “appunti” e delle soluzioniche gli scolari producevano durante la loro istruzione matematica. Il gran numerodi documenti è quindi da bilanciare con il fatto che molti di essi non possono esserepresi come attestazione fedele dei metodi a conoscenza dei babilonesi (in fin deiconti, ogni studente fa errori!).

1.2.1. Cerchio. Il metodo babilonese per calcolare l’area A determinata da un cer-chio era molto diverso da quello egiziano, e si basava sulla misura del perimetro pdella circonferenza:

A =p2

12.

Tenendo conto che per p i babilonesi prendevano circa tre volte il diametro,otterremmo un valore (putativo) di π pari a 3.

Più interessante è osservare come i babilonesi preferiscano usare il perimetropiuttosto che il raggio o il diametro del cerchio. Ma priori non è chiaro che le dueproporzionalità che appaiono nel cerchio (quella dell’area con il quadrato del raggioe quella del perimetro con il diametro) siano rappresentate dallo stesso numero.In effetti, bisogna aspettare Archimede da Siracusa per avere una prova di questofatto (ne parleremo nella sezione 6).

1.2.2. Piramide. Per il calcolo del volume della piramide a base quadrata già de-scritta nel papiro di Mosca le tavolette babilonesi seguono il metodo corrispondentealla formula

V =a2 + b2

2h.

Questa non è corretta (ed è probabilmente antecedente a quella esposta nelpapiro di Mosca), ma rappresenta una euristica certo sensata: si stima il volumedel tronco di piramide tramite il parallelepipedo di uguale altezza, e la cui area dibase sia media tra le due aree delle facce quadrate della piramide.

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1.2.3. Terne “pitagoriche”. Alcuni esercizi descritti nelle tavolette babilonesi chie-dono di calcolare la lunghezza della diagonale di un rettangolo con lati dati. Laparticolarità è che i lati (e il risultato) sono sempre numeri interi o “razionali”. Sia-mo a cavallo tra l’idea generale di “misura geometrica” e un esercizio aritmeticosulle terne pitagoriche - di cui i babilonesi erano senz’altro già abili conoscitori,come vedremo più avanti nel corso esaminando quella che ad oggi è forse la piùfamosa tra le tavolette rinvenute.

2. India

Nel periodo tra il 1500 e il 200 A.C. si diffonde in India il culto vedico. I sulba-sutra (“regole delle corde”) erano dei manuali che servivano ai sacerdoti a costruirealtari sacrificali usando delle cordicelle annodate. Riti diversi richiedevano altaricon forme e dimensioni appropriate - quadrati, rettangolari, trapezoidali, circolari,semicircolari, o forme più complesse (ad esempio il falco di figura 2), ma sempreottenibili dall’accostamento di mattonelle o tasselli di forme predeterminate. Ognitipo di forma aveva infatti un significato religioso ben preciso. I testi a noi notisono difficilmente databili: la loro redazione avvenne tra l’800 e il 200 A.C., ma ilibri disponibili oggi sono tarde edizioni commentate databili al 300 D.C. [16].

Figura 2. Un altare a forma di falco, dai sulbasutra indiani.

2.0.4. Angoli retti. Una delle necessità dei sacerdoti era quella di poter determinaredegli angoli retti con una certa precisione. I sulbasutra contengono per questo leterne pitagoriche

(3, 4, 5), (5, 12, 13), (7, 8, 15), (7, 24, 25), (12, 35, 37), (15, 36, 39)in modo che tre cordicelle di lunghezza adeguata potessero venir usate per formareun triangolo rettangolo - e quindi l’angolo retto desiderato.

6 EMANUELE DELUCCHI

2.0.5. Quadrati. Altra operazione richiesta dai culti vedici era quella di saper co-struire altari (quadrati) di superficie equivalente alla somma di altri due altari(quadrati) dati. Per questo le regole delle corde indicavano ([16, p.147]):

“Se si desidera unire due quadrati di diversa misura,si tracci sul maggiore una striscia fatta con il lato del minore.

La corda di traverso su questa striscia è il lato dei quadrati uniti.”

Figura 3. Somma di quadrati ‘vedica’ e dimostrazione.

2.0.6. Il cerchio. Anche negli antichi testi indiani troviamo istruzioni per il calcolodell’area di un cerchio. Come per il metodo ‘egizio’, si tratta in realtà di un’ap-prossimazione euristica: si afferma che l’area totale del cerchio è uguale all’area delquadrato costruito come in figura sulla base del dodecagono regolare.

Figura 4. “Quadratura del cerchio” secondo i sulbasutra indiani.Le rette tratteggiate formano angoli di 30 gradi.

3. Cina

Anche nel territorio dell’odierna Cina le prime civilizzazioni si svilupparono lungoi grandi fiumi - in particolare il Fiume Giallo e lo Yangtsè. Storia e leggenda simischiano fin verso la metà del II millenio A.C., quando cominciano ad emergerele prime dinastie regnanti attestate. Noi noteremo che verso il 500 A.C. Confuciodiffondeva i suoi insegnamenti, e che attorno al 300 A.C. Lao Tse fondò il taoismo.

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Alla fine del III secolo A.C. emerge il primo imperatore dei tre regni unificati, eviene edificata la Grande Muraglia.

La matematica ‘arcaica’ cinese mostra metodi sensibilmente diversi da quellitrovati in altre culture: è ragionevole quindi ipotizzare uno sviluppo parallelo dialcuni concetti.

3.1. Aritmetica classica dello gnomone e le vie circolari del cielo(“Chou pei suan ching”).

Questo libro è apparso, nella sua forma attuale, al IV secolo A.C. (anche se alcunesue parti possono essere fatte risalire fino al VI sec. A.C.). Tratta soprattutto diastronomia e di calcoli di calendario, e la matematica vi figura come strumentoessenziale.

Anche qui mancano dimostrazioni ‘euclidee’, anche se alcuni metodi vengonoparzialmente giustificati.

3.1.1. Chi - chü. Come esempio di giustificazione/dimostrazione portiamo la figuraseguente - che serviva ad illustrare il teorema “gou-gu” (noto da noi come ‘di Pita-gora’). La “dimostrazione” avveniva contando i singoli pezzi di quadretti, secondoil metodo “chi-chü” (“impilare quadrati”).

3.2. Nove capitoli dell’arte aritmetica. (Chiu Chang Suan Shu).Questo libro è forse il più famoso, di certo il più influente di tutti i trattati di

matematica orientali. Contiene circa 240 problemi con relativi metodi di soluzione,e fu redatto nei primi due secoli A.C. anche se parte del materiale risale a periodipiù antichi. I temi trattati sono di tipo pratico, economico e catastale - alcuni titolidei capitoli sono “tassazione imparziale”, “ingegneria”, “agrimensura”.

Anche qui le soluzioni ai problemi non sono motivate. Va osservato che i metodiimpiegati possono dare adito all’ipotesi di un’influenza babilonese (e infatti delleambasciate tra i cinesi e i babilonesi erano in effetto regolarmente già nel 200 A.C.).

3.2.1. Cerchio. Il problema 32 del capitolo 1 concerne il calcolo dell’area A di uncerchio di diametro d, e viene usata la formula

A =3d2

4.

8 EMANUELE DELUCCHI

3.2.2. Piramide. Nel capitolo 5 viene data la formula (corretta!) per calcolare ilvolume V del caso generale di una piramide a base rettangolare:

V =h

6(2ab+ ad+ bc+ 2cd)

3.2.3. Sfera. Nel Quarto capitolo il volume di una sfera di diametro d viene stimatocon la formula

V =9

16d3,

ovvero 4, 5 volte il cubo sul raggio (mentre il rapporto corretto con il cubo delraggio è 4

3π, ovvero ∼ 4.2). Resta naturalmente aperta la domanda se qualchematematico cinese avesse pensato a fare entrare in questa formula il rapporto π tracirconferenza e diametro [16]p. 119. In tal caso, questa formula implicherebbe unvalore cinese di π pari a 27

8 , mentre dalla formula per l’area del cerchio dedurremmoun valore di 3.

Parte 2. Something new

Passiamo ad esaminare l’opera di due personaggi che - in terre e culture comple-tamente diverse - sono il simbolo del ‘buon fondamento’ della matematica antica.

4. Grecia: Euclide

Il secondo e il terzo millennio A.C. videro la dominazione dei micenei sul Pelo-ponneso e su Creta. All’inizio del I millennio A.C., dopo che le migrazioni doricheportarono le popolazioni caucasiche nell’odierna Grecia, i greci colonizzarono le co-ste del mar Nero, la Sicilia e l’Italia meridionale.

Nel susseguente periodo ionico (circa dal 600 al 450 A.C.) queste colonie sfrutta-rono la loro indipendenza e la loro posizione strategica per diventare fiorenti centricommerciali. Lo sviluppo di una solida borghesia mercantile si accompagnò al gra-duale passaggio da un’organizzazione sociale di tipo monarchico-feudale a quelladella polis, governata dal dibattito e dalle dispute nell’agorà.

In questo ambiente “dialettico” si inserisce la nascita di una scienza deduttiva,le cui affermazioni siano riconducibili con un ‘discorso argomentativo’ (ovvero conla logica) a delle premesse condivise (o comunque a poche premesse fondamentali).Dalla colonia di Mileto, sulla costa meridionale del mar Nero, Talete (per alcuni‘filosofo’, per altri un semplice mercante di sale [?]) poteva viaggiare verso l’Egittoe verso la Mesopotamia, entrando in contatto anche con i metodi matematici di cuiabbiamo dato esempio sopra - e sicuramente prendendo atto del loro disaccordo!Nel sud dell’Italia erano attivi gli eleati, tra cui Parmenide e Zenone, che avevanomesso in evidenza in modo drastico le incongruenze che possono nascere dalla mani-polazione di metodi ricorsivi “all’infinito” o di quantità infinitesime. Ecco il bisognodi dirimere discordie cercando metodi ’veri’ e corretti... e come, se non basandoli suun rigoroso processo (dialettico) deduttivo che evitasse argomenti scabrosi in mododa non offrire il fianco alla critica degli eleati? Ecco la miscela di ingredienti chemette in moto la tradizione matematica greca.

Nel V secolo A.C. emerge tra i molti centri greci la cità di Atene. Tra il 450 eil 300 A.C. (il periodo Ateniese) la supremazia culturale della città dell’Acropoli è

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incontrastata. Da Eschilo a Sofocle, da Fidia a Erodoto, Atene attrae e forma i piùgrandi artisti ed eruditi. Platone fonda nel 387 A.C. la sua accademia, dove stu-dieranno Aristotele e (sembra) Euclide. Più avanti incontreremo uno dei contributideterminanti di Eudosso, giunto ad Atene dalla originaria Cnido per frequentarel’accademia.

Lo sterminato impero conquistato da Alessandro Magno viene suddiviso nel 311A.C., e dopo Atene tocca ad Alessandria d’Egitto diventare il fulcro delle attivitàscientifiche e culturali. Al museo e all’annessa biblioteca convergono i saperi delletradizioni greca e mediorientale: comincia il periodo ellenistico.

Figura spartiacque tra queste due ultime fasi è Euclide. Della sua persona sap-piamo poco: è probabile che sia stato allievo dell’accademia di Platone, ed è certoche attorno al 300 A.C. insegnasse ad Alessandria. I suoi “elementi” possono essereconsiderati una summa della produzione dei periodi ionico e ateniese, presentata informa deduttiva, sicuramente per la gioia di Talete. Molti dei contenuti degli “Ele-menti” possono essere fatti risalire più o meno direttamente a Talete, ai pitagoricio a Eudosso: il ruolo di Euclide fu di redigere un’opera compiuta e completa, cheebbe enorme diffusione e fu il principale veicolo della geometria classica greca versoil Medioevo e oltre. Il manoscritto degli Elementi più antico noto è conservato adOxford e dalle sue pagine, messe in rete gratuitamente dalla biblioteca bodleiana,traiamo le illustrazioni di questa sezione. Fu copiato nell’888 D.C. a Costantinopoli,durante la (benemerita) azione di studio, copia e conservazione dei documenti dellalocale biblioteca promossa dal matematico Leone di Tessalonica, durante il climadi relativa pace e prosperità iniziato con l’ascesa al trono di Basilio I (867 D.C.).Altri testi (matematici e non) copiati a Costantinpoli in quel periodo ebbero unavicenda di conservazione meno fortunata - ne vedremo un esempio più tardi.

4.1. Somma di quadrati.

Prima di manifestare il “convitato di pietra” che è stato finora nascosto sotto ilpalco tutte le volte che abbiamo parlato di somme di quadrati, vediamo il camminodi avvicinamento che Euclide compie - per capire come affronta il tema della misuradelle aree. La prima proposizione degli Elementi in cui si parla di aree equivalentiè la seguente:

Proposizione I.35. Parallelogrammi sulla stessa base e tra le stesse parallelesono uguali.

Euclide conduce la dimostrazione con la figura seguente, mostrando che i paral-lelogrammi ABCD e EBCF sono ‘uguali’.

A

B C

D E F

G

10 EMANUELE DELUCCHI

Dapprima Euclide mostra che i triangoli ABE e CDF sono congruenti, poi usala nozione comune 3(1) sottraendo il triangolo DEG per concludere che i trapeziABGE e CGEF sono ‘uguali’.

Uguaglianza e congruenzaQui si è consumato il dramma. Si passa da un concetto di uguaglianza di

forme per congruenza all’uguaglianza in contenuto di figure che nonnecessariamente hanno la stessa forma.

La dimostrazione si conclude con l’applicazione della nozione comune 2(2) per ag-giungere ai due trapezi lo stesso triangolo BCD e ottenere così i due parallelogram-mi originali.

Proposizione I.36. Parallelogrammi su base uguale e tra le stesse parallele sonouguali.

Per mostrare che i parallelogrammi ABCD e EFGH sono ‘uguali’, Euclidecostruisce il parallelogramma EBCH e applica due volte la proposizione I.35.

A

B C

D E H

F GSolo dopo aver trattato i parallelogrammi Euclide abborda i triangoli.

Proposizione I.39. Triangoli su base uguale e tra le stesse parallele sono uguali.

Euclide riconduce questa proposizione al caso dei parallelogrammi osservandoche ognuno dei due triangoli è metà di un parallelogrammo - e i due parallelogram-mi hanno basi uguali e stanno tra le stesse parallele.

Segue ora una proposizione che è quasi il converso della precedente. La riportia-mo come esempio di un abitudine frequente di Euclide, che sembra voler assicurarsidi aver ‘colto la ragione essenziale’ dei risultati delle sue proposizioni mostrandol’implicazione inversa.

Proposizione I.40. Triangoli uguali sulla stessa base e dalla stessa parte sono trale stesse parallele.

Osservazione. La nozione di ‘uguaglianza in area’ di Euclide non è distante dal-l’ugualianza “per dissezione” e “per completamento” adottate da Hilbert nei suoiFondamenti della Geometria (per una precisazione, si veda la sezione 7).

Euclide sottrae (l’estensione di) figure congruenti da (l’estensione di) figure con-gruenti. Seppure non consideri esplicitamente la questione se togliere estensioni

1“ se uguali sono sottratti da eguali, i rimanenti sono uguali”2“se uguali sono aggiunti a uguali, i totali sono uguali”

(GEO)METRIA 11

date da diverse parti di una figura base risulti sempre in figure equiestese, Eucli-de fa ben attenzione a non invocare trasformazioni o “spostamenti” di figure. Nevediamo un indizio nella cura con cui distingue figure con stessa base (ovvero co-struite sullo stesso segmento) e figure con base uguale (ovvero costruite su segmentidi lunghezza uguale); e la dimostrazione della Proposizione I.36 non “fa scivolare”i due parallelogrammi fino a farne coincidere le basi, ma sviluppa una costruzioneche permette semplicemente di ridursi al caso di parallelogrammi con la stessa base.

Don Giovanni, a cenar tecoM’invitasti e son venuto!Il convitato di pietra

Il gran finale del libro I degli Elementi è il ‘teorema dei cateti’ (o ‘teorema diPitagora’). Le due ultime proposizioni (la numero 47 e la numero 48) sono dedicatea stabilire una proprietà metrica dei triangoli rettangoli, e poi a mostrare che taleproprietà metrica caratterizza i triangoli rettangoli (fatto implicitamente usato giànei sulbasutra per tracciare angoli retti).

Abbiamo visto che la ‘scoperta’ di questa proprietà non è di Euclide (né dei Pita-gorici), ma risale almeno alle civilizzazioni mesopotamiche e a quelle indiane. Tra igreci, probabilmente già Talete nei suoi viaggi l’aveva incontrata. La dimostrazioneche ne dà Euclide si poggia sulle proposizioni precedenti, idealmente riconducendosialle definizioni, ai postulati e alle nozioni comuni enunciate all’inizio.

Con la sua solita, mirabile economia di pensiero, Euclide non introduce parolenuove (come ‘cateti’ e ‘ipotenusa’), ma enuncia molto sobriamente la proprietà.

Proposizione I.47. Nei triangoli rettangoli il quadrato sul lato che sottende l’an-golo retto è uguale ai quadrati sui lati che contengono l’angolo retto.

Dimostrazione. Sia ABC un triangolo con l’angolo in A retto. Si costruiscano iquadrati sui tre lati di ABC.

A

B C

DL

F

G

H

K

E

Figura 5. La figura dal manoscritto conservato alla bibliotecaBodeiana di Oxford (888 D.C.), e una riscrittura ‘latina’.

12 EMANUELE DELUCCHI

I triangoli BFC e AEB sono congruenti, perchè hanno due lati uguali che sot-tengono un angolo uguale (AB = BF , BE = BC, e gli angoli in B sono entrambiun retto più l’angolo ABC).

Ora il triangolo BFC ha la stessa base e la stessa altezza del parallelogrammoFA, e quindi ne è la metà. Analogamente il triangolo ABE ha la stessa base e lastessa altezza del parallelogrammo BL, e ne è la metà.

Concludiamo che il parallelogrammo FA è uguale al parallelogrammo BL. Ana-logamente si mostra che il parallelogrammo AK è uguale al parallelogrammo LC.

Posizione vincolanteLa dimostrazione di Euclide non usa un argomento di dissezione - perchèle proposizioni su cui si basa non lo fanno, come abbiamo visto. Da unpunto di vista didattico, questa semplice dimostrazione è interessante e

utile perchè spinge a individuare triangoli e parallelogrammi in posizioni“non convenzionali”, scoraggiando quindi il formarsi di misconcezioni

legate alla posizione delle figure.

SemioticaLa figura sul manoscritto non è quella di un triangolo rettangolo, né i

quadrati sui lati sono tutti... quadrati. Riflettere sul ruolo del diagrammanel ragionamento matematico in generale [6] e nella Grecia classica ealessandrina in particolare [15] è interessante e utile per informare le

scelte e i metodi adottati in classe.

Osservazione. Notiamo anche come Euclide nella dimostrazione si riferisca ai ‘qua-drati sui cateti’ come a parallelogrammi. Oltre che un ulteriore esempio della elegan-te economia del suo pensiero, ciò potrebbe essere una porta aperta alla (‘chiara’?)generalizzazione oltre il caso dei quadrati.

4.2. Cerchio.

Passando al caso del cerchio incontriamo un’altra caratteristica della “misura”di aree e volumi in Euclide: piuttosto che dare ‘formule’ e misure assolute, Euclide(e in generale i greci) determina come cresce l’area della figura in questione inproporzione al crescere di figure ‘note’. Un esempio vale più di mille parole.

Proposizione XII.2. I cerchi stanno tra loro come i quadrati sui loro diametri.

Ovvero: se A1 e A2 sono le aree di due cerchi di diametri rispettivamente d1 ed2, allora A1

A2=

d21

d22. In modo più suggestivo, ciò equivale a dire che in ogni cerchio

il rapporto tra l’area A e il quadrato del raggio r è una costante:

A

r2= cost.

Otteniamo quindi una ‘costante universale’ che chiamiamo KA.

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La strategia con la quale Euclide dimostra questa raffinata proposizione si basasu un metodo chiave della matematica greca, ovvero il principio di esaustione enun-ciato da Eudosso. Euclide lo include all’inizio del libro X, dimostrandolo a partireda quello che oggi chiamiamo ‘proprietà archimedea’ dei numeri naturali3.

Proposizione X.I. Date due grandezze diverse tra loro, sottraendo dalla maggio-re più della sua metà, e dal rimanente più della sua metà, e se questo processo èripetuto, si resterà con una grandezza minore della più piccola delle due grandezzedate. [Eudosso di Cnido, ca. 410-350 a.C.]

Malgrado l’apparenza innocua, questa proposizione è la chiave per potersi distri-care in situazioni che a prima vista richiedono ricorsioni ‘infinite’ - dalle quali giàgli eleati avevano messo in guardia!

Come primo esempio di applicazione di questo principio prendiamo la primaproposizione del trattato “misura del cerchio” di Archimede di Siracusa.

Archimede, “Misura del cerchio”, Proposizione I. L’area di ogni cerchio èuguale ad un triangolo rettangolo in cui uno dei lati adiacenti l’angolo retto è ugualeal raggio, e l’altro alla circonferenza.

Dimostrazione (canovaccio). Consideriamo un cerchio di area C, e sia K l’a-rea del triangolo rettangolo in cui i due lati contenenti l’angolo retto sono ugualirispettivamente al raggio e al perimetro del cerchio. Vogliamo mostrare che C = K.

Se così non fosse, allora sarebbe C < K oppure C > K.Supponiamo C > K. Inscriviamo un quadrato nel cerchio dato, e suddividendo-

ne i lati otteniamo una sequenza di ‘2n-goni’. La differenza tra C e l’area di unodi questi poligoni viene più che dimezzata ad ogni suddivisione successiva. Infatti,l’area contenuta tra un lato del poligono e l’arco di circonferenza di cui è corda èstrettamente minore del rettangolo determinato dal lato stesso e dal segmento a luiparallalo e tangente all’arco. Ma questo rettangolo è il doppio del triangolo isoscelecostruito sul lato e con un vertice sull’arco. La differenza tra la lunula e il triangoloisoscele è quindi meno della metà dell’area della lunula.

Per il principio di esaustione possiamo quindi considerare un poligono di area Ptale che C − P < C −K (da cui P > K).

Ma l’area di tale poligono è uguale a metà del suo perimetro moltiplicato perl’apotema. Siccome il suo perimetro è strettamente minore di quello del cerchio, el’apotema è strettamente minore del raggio, abbiamo P < K, una contraddizione.

Analogamente (ma con un po’ più di lavoro necessario per mostrare l’applica-bilità del principio di Eudosso) Archimede mostra la contradditorietà dell’ipotesiC < K. Non resta quindi che la possibilità che C = K, come desiderato. �

3Ovvero: dati due numeri naturali n,m con m < n, allora esiste un intero r tale che rm > n.

14 EMANUELE DELUCCHI

Dimostrare e costruire.L’uso del principio di esaustione è finalizzato a ridurre all’assurdo il

contrario dell’affermazione che si vuole provare. Se una dimostrazionediretta richiederebbe un processo ‘infinito’, confutarne il contrario puòessere fatto in un numero finito di passi - procedura accettabile senza

dubbio.Rimane da dire che questo tipo di dimostrazione non è per nulla

costruttiva, e non mostra assolutamente come Archimede sia giunto acongetturare la formula corretta. Archimede stesso provvederà a spiegare,nel suo ‘metodo delle dimostrazioni mecaniche’, la sua fonte di ispirazione.

Osservazione. A priori, trattando il cerchio si incontrano due costanti diverse: ilrapporto KA tra l’area e il quadrato del raggio, e il rapporto KP , pure costante,tra il perimetro e il diametro. Con questa proposizione Archimede mostra A = Pr,quindi tra l’altro che

KA = KP .

Il calcolo più preciso possibile di questa costante, da Eulero in poi denotata conπ, è stato oggetto di molti sforzi che hanno condotto ad approssimazioni sempremigliori. E più che aprossimarlo non si può proprio fare: Lindemann dimostranel 1882 che π è trascendente [12]- il che rende ancora più limpidi i risoltati diEuclide e Archimede che dimostrano l’esistenza di tale costante (senza calcolarla,naturalmente, che è impossibile).

4.3. Piramide.

La volumetria euclidea si sviluppa analogamente alla planimetria. I solidi paral-lelepipedi che prendono il ruolo dei parallelogrammi, per i quali Euclide dimostrala seguente proprietà.

Proposizione XI.32. Solidi parallelepipedi della stessa altezza sono tra loro comele loro basi.

Anche per determinare il volume di una piramide a base triangolare Euclide usail principio di esaustione. Come per il cerchio, la ‘misura’ Euclidea della piramideè dapprima un ‘rapporto’. (Solo in seguito userà queso rapporto per mostrare cheogni piramide può essere completata con due piramidi a lei equiestese per formareun parallelogramma di base uguale e altezza uguale a quella della piramide dipartenza.)

Proposizione XII.5. Piramidi di uguale altezza e su base triangolare stanno traloro come le loro basi.

Dimostrazione. Illustriamo il metodo di Euclide permettendoci di utilizzare unlinguaggio e della notazione moderna per maggiore leggibilità. Chi è interessatoalla versione letterale può riferirsi a [9].

(GEO)METRIA 15

Siano dunque date due piramidi di uguale altezza e con area di base rispettiva-mente T e T ′. Mostriamo che i loro volumi P , P ′ soddisfano

P

P ′ =T

T ′ .

Se così non fosse, allora sarebbe PT ′ < P ′T oppure PT ′ > P ′T . Supponiamodapprima che PT ′ > P ′T e consideriamo l’eccesso

δ := P − T

T ′P′ > 0.

Utilizzando i punti medi dei lati delle piramidi suddividiamo ognuna delle duepiramidi in due parallelepipedi (OKLMAX e MNOXLC nello schema) e duepiramidi (AKLO e OMND nello schema). Siccome entrambi i parallelepipedicontengono una copia congruente di ognuna delle due piramidi piccole, concludiamoche la somma delle due piramidi piccole è meno della metà di P .

LK

CB

A

X

M N

O

D

Figura 6. Diagramma per la dimostrazione della ProposizioneXII.5 dal manoscritto della biblioteca bodeiana (888 D.C.), eversione moderna per nostra referenza.

Ripetendo la stessa suddivisione in ognuna delle piramidi piccole, per il principiodi esaustione dopo un certo numero n (finito) di suddivisioni il solido formato datutti i parallelepipedi e i prismi avrà un volume V tale che P − V < δ.

Ora suddividiamo anche la piramide P ′ nello stesso modo, n volte, ottenendo unsolido inscritto ad essa di volume V ′. Chiaramente V ′ ≤ P . Siccome sia V ′ che Vsono formati da parallelepipedi di uguale altezza, e in cui le basi stanno tra di lorocome T sta a T ′, la proposizione XI.32 da’

V

V ′ =T

T ′ .

Allora avremo che

δ > P − V = P − T

T ′V′ ≥ P − T

T ′P′ = δ,

ovvero δ > δ, una contraddizione. �

5. Cina: Liu Hui

Nel III secolo A.C. la Cina ha il suo primo imperatore, Shi Huang Li, che fa co-struire la Grande Muraglia come difesa dalle popolazioni mongoliche. Dal V secoloA.C., lo ricordiamo, si diffondono in Cina il confucianesimo prima, e il taoismo poi.

16 EMANUELE DELUCCHI

Tra il II secolo A.C. e il primo secolo D.C. l’impero visse una grande fiorituraculturale: con l’astronomia, la filosofia, la poesia e la prosa si sviluppò anche lamatematica. Il libro dei Nove Capitoli continua ad essere il principale testo diriferimento.

Ma è nel III secolo, durante il periodo “dei tre regni”, che troviamo il nostro pros-simo protagonista, Liu Hui, figura estremamente influente per tutto il seguito dellamatematica orientale. Accanto al piccolo ma brillante volumetto sulla matematica“delle isole del mare”, l’opera maggiore e più conosciuta di Liu fu il suo “commentoai nove capitoli”, libro in cui Liu vuole giustificare e spiegare i metodi di soluzionecitati (senza dimostrazione) nel libro dei Nove Capitoli.

5.1. Somme di quadrati.

La dimostrazione che Liu Hui da’ al teorema gou-gu (“di Pitagora”) è emblematicadel suo metodo - e della consuetudine al tempo consolidata nella matematica cinese.

*

*

Figura 7. Diagramma per la dimostrazione che Liu Hui dà delteorema gou-gu: il quadrato nero è somma del quadrato rosso e diquello blu.

La dimostrazione è chiaramente per dissezione, e una dissezione molto “fisica”:Liu la spiega parlando de ‘il rosso’ (il quadrato grande) e ‘il blu’ (il quadratopiccolo), e di come si scompongano.

In effetti, i lettori del testo di Liu avrebbero avuto a portata di mano un corredodi cubetti e figure di legno da usare per rappresentare gli argomenti esposti nellibro: ciò era pratica comune per i matematici cinesi, ed è chiaramente a questotipo di pubblico che Liu si rivolge, come vedremo più avanti.

5.2. Cerchio.

Liu Hui raggiunge un risultato analogo a quello di Archimede, con un’intuizioneanaloga. Ma è molto interessante concentrarsi sulla differenza nella giustificazio-ne. Liu Hui suddivide il cerchio in settori circolari congruenti e, per dissezione, liricombina per formare una figura che lui confronta con un parallelogrammo conbase uguale a metà del perimetro del cerchio e altezza uguale al raggio. E dice: “sela suddivisione viene fatta più fitta, la differenza diventa trascurabile”. Prima dicommentare questa attitudine, vediamo ancora il caso della piramide.

(GEO)METRIA 17

5.3. Piramide.

Siccome Liu Hui sta scrivendo un commento ai “nove capitoli”, deve cimentarsicon il problema del volume del tronco di piramide generale.

Con un abile argomento di (come potrebbe essere altrimenti?) dissezione, Liuvuole mostrare che sei tronchi di piramide equivalgono ad una somma di parallele-pipedi rettangoli.

Figura 8. Dissezione di sei tronchi di piramide in parallelepipedi.

La parte delicata di questo processo sta nei quattro ‘blocchetti d’angolo’ dellafigura in basso a destra. Sono composte da tre delle piramidi d’angolo del tronco dipartenza. Queste sono piramidi a base rettangolare - che Liu chiamava “yangma” -e in generale non possono essere ricomposte in un prisma - anche se ciò è possibilein alcuni casi particolari, come nel cubo di Figura 9.

L’altro tipo di piramide considerato da Liu è il “bienao”: una piramide retta abase triangolare. L’osservazione di partenza è che un yangma e un bienao possonoessere combinati a formare un prisma a base triangolare, di cui sappiamo valutareil volume.

Figura 9. Tre Yangma in un cubo e un prisma composto da unYangma e un Bienao

Liu Hui procede a suddividere lo yangma e il bienao in modo analogo a Euclide.

18 EMANUELE DELUCCHI

I solidi interni alle piramidi sono composti da prismi e parallelogrammi, e quindiil loro volume relativo può essere stabilito. L’idea ora è di usare questi solidi percapire in quale rapporto stanno i volumi del yangma e del bienao. Visto che siconosce la loro somma (il prisma totale), questo permetterà di valutare il lorovolume.

Ora, il punto interessante è come Liu Hui tratta questo procedimento di ‘suddi-visione continua’. Dice:

“Più sono suddivisi, più le dimensioni restanti sono fini. La dimensione più fine èdetta “minuta”. Ciò che è minuto è senza forma. Se spiegato in questo modo,

perchè preoccuparsi di ciò che rimane?”

Evidentemente, tanto il metodo di Euclide e Eudosso era figlio della società edella cultura greca quanto la dimostrazione di Liu Hui si innesta nella tradizio-ne taoista: la realtà non si lascia descrivere dal linguaggio, ma può essere solorappresentata (parzialmente) da eventi e esempi concreti (vd. [14]).

5.4. Sfera.

Prima di lasciare Liu Hui rammentiamo brevemente che egli aveva rilevato cheil procedimento indicato nei Nove Capitoli era sbagliato. Però riconobbe di nonessere riuscito a trovare un metodo valido o una formula corretta.

Parte 3. Something borrowed

Senza che ne fosse ancora giunta notizia in Cina, il problema del volume dellasfera era già stato risolto nel III secolo da uno dei più eccelsi geni matematici ditutti i tempi - che era talmente fiero di questo suo risultato da volerlo inciso sullasua pietra tombale: Archimede di Siracusa.

6. Archimede

Dalla sua Siracusa, Archimede corrispondeva con i matematici greci. Inviava lesue ultime scoperte, sia nella forma di trattati tematici, sia nella forma di problemida risolvere (tra i quali aveva cura di camuffare alcune domande-tranello per sfida-re l’arguzia del suo interlocutore). I suoi scritti (meglio: quelli che sopravvivevanoagli affondamenti delle navi che li consegnavano e agli incendi delle biblioteche)venivano poi copiati e conservati.

Il famoso risultato sulla sfera è dimostrato, usando il metodo di esaustione di Eu-dosso, nel trattato del cilindro e della sfera. Come già notato per il cerchio, questo

(GEO)METRIA 19

procedimento dimostrativo non lascia assolutamente intravvedere come Archimedesia giunto a congetturare il valore corretto per il volume della sfera.

Ma è stato Archimede stesso a scrivere un ulteriore trattato per spiegare il meto-do che gli aveva permesso di scoprire le relazioni di volume e di area che poi avevadimostrato usando il principio di esaustione.

6.1. Il metodo delle dimostrazioni meccaniche.

Quelli che oggi sono noti come i ‘trattati’ di Archimede nascono come lettereche lo scienziato siracusano scriveva ai suoi corrispondenti, e iniziano quindi conpreamboli di saluto o di convenevoli. Oltre ai convenevoli - pure gustosissimi daleggere - all’inizio di queste lettere troviamo spesso rari squarci ‘privati’ nel modidi pensare di Archimede, e nel suo concepire la scienza.

Citiamo quindi dal preambolo del “metodo delle dimostrazioni meccaniche” (tra-ducendo da [4]):

Archimede a Eratostene: salute.Ti ho mandato in un’occasione precedente qualche teorema da me scoperto,scrivendo solo gli enunciati e invitandoti a scoprirne le dimostrazioni, che al

tempo non diedi.[...]

Ho scritto in questo libro le dimostrazioni di quei teoremi, e te le invio. Vedendopoi in te, come dico, uno studente serio, un uomo di considerevole eminenza infilosofia, e un ammiratore della ricerca matematica, ho pensato fosse appropriatoscriverti e spiegarti in dettaglio, nello stesso libro, le particolarità di un certometodo, che ti permetterà di cominciare a poter investigare qualcuno di questiproblemi matematici tramite la meccanica. Questo procedimento, credo, non èmeno utile per le dimostrazioni stesse dei teoremi; infatti certe cose mi si sono

chiarite dapprima con un metodo meccanico, anche se in seguito ebbero ad esseredimostrate con la geometria perchè la loro investigazione con il suddetto metodonon ne da’ una dimostrazione vera e propria. Ma è senz’altro più facile dare unadimostrazione una volta che abbiamo acquisito qualche conoscenza della questionetramite il metodo di quanto sarebbe trovarla [la dimostrazione] senza nessun tipo

di conoscenza anteriore....

Comunicazione e scambio.Dal tempo di Archimede in poi, la matematica non ha smesso di nutrirsidi corrispondenze, carteggi, viaggi, comunicazioni. Due esempi eccellenti

sono il fitto carteggio di Eulero, o alla famosa corrispondenza tra Pascal eFermat. Con l’avvento di servizi postali sempre più efficienti e poi con la

posta elettronica, queste corrispondenze sono cambiate nel medium e nellavelocità, ma non molto nella forma né nella sostanza.

Addirittura uno dei più reclusi e famosi matematici del nostro tempo,Grigory Perelman, l’uomo cui si deve la dimostrazione della congettura di

Poincaré, intrattiene un parsimonioso ma stabile contato e-mail con ilmondo. Infatti, dopo che Perelman aveva mandato, in forma elettronica,

un suo scritto a diversi matematici, uno di essi si accorse che

20 EMANUELE DELUCCHI

probabilmente la teoria di Perelman risolveva, come caso particolare, lacongettura di Poincaré. Ad un e-mail che chiedeva conferma di questo

fatto, Perelman rispose con un messaggio che ha fatto il giro del mondonei dipartimenti di matematica:

That’s correct.

Grisha

Al di là dell’aneddotica, vale la pena di notare come il fare matematica siaspesso un fenomeno molto meno solitario di quanto si pensi. La

matematica vive di scambi di idee, di meraviglia di fronte ad altri punti divista. Introdurre questo aspetto collaborativo anche a scuola, ad esempio

con lavori di gruppo e discussioni in classe, è senz’altro sensato sia intermini di motivazione, sia in termini di “veridicità”, sia per ragioni

epistemologiche: quale miglior modo per toccare con mano il processo diformazione di idee matematiche e, di riflesso, stimolare la riflessione

critica su di esse?

La libertà (e il gusto!) di congetturare abbinata al dovere (al gusto!) dellariflessione critica, sono tra gli antidoti migliori per svincolarsi dalletrappole delle misconcezioni negative e della fissità, e educano alla

creativià, all’ironia e al rigore: abilità essenziali anche fuori dall’ambitomatematico.

Qual’è dunque questo metodo così fecondo di idee, ma cui Archimede non è di-sposto ad accordare il valore di ‘dimostrazione’? Semplice e geniale: una bilancia.

Il principio è noto, ed è illustrato nel diagramma sottostante: due corpi appesi adun’asta rigida (idealmente senza massa) che poggia su un fulcro sono in equilibrioquando i loro pesi stanno nel rapporto inverso rispetto alle loro distanze dal fulcro.

p1 p2

l1 l2

Figura 10. Equilibrio: p1l1 = p2l2

Attività: modellizzazione e coordinateLo studio empirico di questo principio meccanico, con la “scoperta” della

relazione di equilibrio, può diventare un ottimo esempio dimodellizzazione.

(GEO)METRIA 21

Ad esempio, fissando p1 e l1 si può variare p2 e cercare ogni volta il valoredi l2 che soddisfa l’equilibrio. Le coppie (p2, l2) trovate possono essere

quindi riportate su un diagramma cartesiano - offrendo una possibilità dilavorare “in coordinate” fuori dallo schema ‘valori e immagine di unafunzione’. Utilizzando uno dei diversi programmi informatici per la

matematica a scuola si potrà poi provare a disegnare il grafico di alcunefunzioni, scoprendo che la “y = k/x” è quella che si adatta meglio.

(alternativamente, scegliendo opportune unità di misura e incrementilineari e “interi” del peso si potrà osservare la corrispondenza n↔ 1/n

anche solo guardando le coppie ottenute).

Armato con questa legge fisica, Archimede si accinge a confrontare i pesi dimodelli in legno di figure piane e solide. In questo modo trova molte delle sue famose‘misure’ (il segmento di parabola, il cilindro, ...), e in particolare quella che più ciinteressa. Riportiamo l’enunciato, il diagramma4 e l’analisi “meccanica” traducendodal francese dell’edizione di .... [3] e permettendoci di ribadire in notazione modernaalcuni passaggi che Archimede doveva esporre in prosa.

Archimede, “Metodo delle dimostrazioni meccaniche”, Proposizione IIOgni sfera è quadruplo del cono avente base uguale al cerchio massimo della

sfera e altezza uguale al raggio della sfera, e il cilindro con base uguale al cerchiomassimo della sera e altezza uguale al diametro della sfera è equivalente a tre mezzidella sfera.

Secondo il nostro [di Archimede] metodo, queste due proposizioni si analizzanocome segue.

Sia [data] una sfera, ABCD un cerchio massimo, e AC e BD due diametri per-pendicolari l’uno all’altro. Sia, in questa sfera, un cerchio di diametro BD, perpen-dicolare al piano del cerchio ABCD. Su questo cerchio perpendicolare costruiamoun cono avente come sommità il punto A. Prolungandone la superficie, tagliamo ilcono con un piano passante per C e parallelo alla base del cono; l’intersezione saràdunque un cerchio perpendicolare a AC, il cui diametro sarà il segmento EZ. Suquesto cerchio costruiamo un cilindro di asse AC. Siano EL e ZH le generatrici diquesto cilindro (situate nel piano della figura). Prolunghiamo CA e riportiamo sulprolungamento il segmento AT uguale a AC. Immaginiamo che CT sia unaleva con fulcro A e tracciamo una parallela MN a BD che intersechi il cerchioABCD in X e O, il diametro AC in S, la retta AE in R, la retta AZ in Q. SuMNeleviamo un piano perpendicolare as AC; questo piano taglierà il cilindro lungo uncerchio di diametro MN , la sfera ABCD lungo un cerchio di diametro OX, il conoAEZ lungo un cerchio di diametro RP .

4Nel diagramma abbiamo aggiunto per chiarezza i segmenti O′X′, R′P ′, e abbiamo contras-segnato i punti con lettere maiuscole latine invece delle minuscole greche originali (che però neltesto Archimede riprende come maiuscole). In questo passaggio, per chiarezza abbiamo scritto(arbitrariamente) Q per ψ, T per θ, G per ω, F per φ, Y per χ

22 EMANUELE DELUCCHI

SAT C

RO

N

M

X

P

R'

P'

O'

X'

K

D

B

Z

E

H

L

Q

F Y

G

Siccome il rettangolo con lati CA,AS è uguale al rettangolo di lati MS, SPin virtù dell’uguaglianza AC = SM e AS = PS, siccome inoltre il rettangolo dilati CA e SA è equivalente5 al quadrato su AX e, di conseguenza, alla somma deiquadrati su XS e su SP 6, allora il rettangolo di lati MS, SP è equivalente allasomma dei quadrati su XS e su SP . Siccome, d’altra parte, CA sta a AS comeMS sta a SP 7, e siccome CA è uguale a AT , allora il rapporto tra TA e AS èuguale al rapporto tra MS e SP e, quindi, al rapporto tra il quadrato su MS e ilrettangolo di lati MS, SP ;

TA

AS=MS

SP=

(MS)2

MS · SPma abbiamo mostrato che il rettangolo di lati MS, SP è equivalente alla sommadei quadrati su XS e SP ; il rapporto tra AT e AS è dunque uguale al rapporto delquadrato su MS con la somma dei quadrati su XS e SP . Ma il quadrato su MSsta alla somma dei quadrati su XS e SP come il quadrato su MN sta alla sommadei quadrati su XO e PR,

TA

AS=

(MS)2

(XS)2 + (SP )2=

(MN)2

(XO)2 + (PR)2

e quest’ultimo rapporto è uguale al rapporto del cerchio di diametro MN , chesi trova nel cilindro, alla somma dei due cerchi di cui uno, che si trova nel cono,ha diametro PR, e l’altro, situato nella sfera, ha per diametro XO; ne segue cheTA sta a AS come il cerchio nel cilindro sta alla somma del cerchio nel cono e delcerchio nella sfera. In queste condizioni, siccome TA sta a AS come il cerchio nel

5Applicazione al triangolo AXC della dimostrazione euclidea del ‘teorema di Pitagora’ cheabbiamo dato sopra.

6SP = SA perchè la generatrice del cono forma mezzo angolo retto con AC.7Perchè CA = SM e SA = SP .

(GEO)METRIA 23

cilindro, restando al suo posto, sta alla somma dei due cerchi di diametro XO ePR, spostati in T in modo che T sia il centro di gravità di ciascuno di essi8, questicerchi staranno in equilibrio rispetto al punto A. Alla stessa maniera si dimostreràche, se nel rettangolo LZ si traccia un’altra parallela a EZ e si eleva su questaretta il piano perpendicolare a AC, il cerchio così determinato nel cilindro starà inequilibrio, restando al suo posto e in rapporto al punto A alla somma dei due cerchideterminati nella sfera e nel cono e posti sulla leva al punto T in modo che T sa ilcentro di gravità di ciascuno dei due. Il cilindro, la sfera e il cono essendo riempitidai cerchi presi in questo modo, il cilindro, restando al suo posto, starà in equilibriorispetto al punto A alla somma della sfera e del cono, spostati sulla leva al punto Tdi modo che T sia il centro di gravità di ognuna delle due figure. Di conseguenza,siccome i solidi indicati stanno in equilibrio attorno al punto A, il cilindro restandofermo sul centro di gravità K, la sfera e il cono essendo spostati, come abbiamoappena detto, sul centro di gravità T , il cilindro sarà alla somma della sfera e delcono come TA sta a AK; ne segue che il cilindro è pari al doppio della somma dellasfera e del cono; ma del cono stesso il cilindro è triplo; la somma dei tre coni èdunque equivalente alla somma di due di questi coni e di due sfere. Tagliamo dueconi da ambo le parti; ne segue che il cono con l’asse contenuto nel triangolo AEZ,è equivalente alla somma delle due sfere indicate. Ora il cono (con l’asse contenutonel triangolo AEZ) è equivalente alla somma di otto coni che ammettano ABDcome triangolo passante dall’asse, siccome EZ è il doppio di BD. La somma degliotto coni indicati è dunque equivalente alla somma di due sfere. La sfera con cerchiomassimo ABCD è quindi equivalente al quadruplo del cono che abbia sommità inA e per base il cerchio di diametro BD perpendicolare a AC.

Nel rettangolo LZ tracciamo ora, per i punti B e D, le rette FBY e QDG pa-rallele a AC. e immaginiamo un cilindro che abbia come basi i cerchi di diametroQF e GY e per asse il segmento AC. Siccome, in queste condizioni, il cilindro ilcui rettangolo passante dall’asse è FG è doppio rispetto al cilindro il cui rettangolopassante dall’asse è FD, e siccome quest’ultimo cilindro è triplo del cono il cuitriangolo passante per l’asse è ABD, come è stato dimostrato negli Elementi, ilcilindro il cui rettangolo passante per l’asse è FG è sei volte il cono il cui triangolopassante per ’asse è ABD. Ma abbiamo dimostrato che di questo stesso cono lasfera con cerchio massimo ABCD è il quadruplo; il cilindro è dunque equivalenteai tre mezzi della sfera, ciò che dovevamo dimostrare.

Fu considerando quest’ultima proprietà, ovvero che ogni sfera è quadruplo delcono con base un grande cerchio e altezza il raggio della sfera, che ho avuto l’idea chela superficie di ogni sfera è quadrupla di un cerchio massimo della sfera; supponevoinfatti che, dal momento che ogni cerchio è equivalente a un triangolo avente perbase la circonferenza del cerchio e per altezza il raggio del cerchio, ogni sfera èequivalente a un cono avente per base la superficie e per altezza il raggio dellasfera.

[fine del testo di Archimede]

8Ovvero i cerchi che nel nostro disegno sono rappresentati da X′O′ e P ′R′ - e che sono assentidal diagramma originale.

24 EMANUELE DELUCCHI

Analogia e congettura.Terminata la “analisi meccanica” della proposizione, Archimede ci illustra

come, per analogia con il cerchio, abbia congetturato l’estensione dellasuperficie della sfera. Come è stato ben detto, seguire ciecamente analogie

ingenue può condurre all’errore. È innegabile però che una delle forzetrainanti (e uno degli elementi più gustosi del fare matematica) sta nelriconoscere, seguire e scoprire analogie. Come i cani da tartufo devono

sottostare ad un intensa formazione, anche il “fiuto” per le buone analogieè una capacità che va educata - uno dei modi possibili per farlo sta nellostimolare l’aspetto dialettico e congetturale della materia anche in classe.

Parte 4. Something blue

7. Dissezione - dissennata?

Tra i metodi di misura visti finora, quello per dissezione in un numero finito diparti (e che dichiara uguali figure congruenti) sembra il più intuitivo e ‘sicuro’ (dicerto, come abbiamo visto, è il più antico). David Hilbert, nei suoi fondamenti dellageometria usa proprio questa idea per fondare il concetto di area (cfr. [11, §18])

In questa sezione vogliamo rendere preciso questa idea di misura, ed esaminarnei limiti. Presentiamo essenzialmente una sintesi dell’eccellente capitolo 9 di [1], alquale rinviamo il lettore interessato ad una esposzione più dettagliata.

Definizione. Due poligoni (o poliedri) P e Q sono detti uguali per dissezione9 seesistono decomposizioni

P = P1 ∪ . . . Pn e Q = Q1 ∪ . . . Qn

con Pi congruente a Qi per tutti gli i.P e Q sono uguali per completamento10 se è possibile renderli congruenti (o

uguali per dissezione) aggiungendo figure congruenti.Di nuovo a livello intuitivo: sembra plausibile che per misurare figure curvilinee

questo procedimento non basterà - ma non si vede perchè non dovrebbe bastareper misurare figure delimitate da rette e piani. Per poligoni nel piano euclideo laquestione è risolta con il seguente teorema.

Teorema (Bolyai, Gerwien) Due poligoni P e Q nel piano sono equiestesi se esolo se sono uguali per dissezione o, equivalentemente, per completamento.

Questo è un risultato incoraggiante, e ci spinge a cercarne un analogo per poliedritridimensionali. Resta però un aspetto da chiarire: come mai né Euclide né LiuHui erano riusciti a trovare una misura della piramide per dissezione?

La domanda emerge anche tra gli arcifamosi 23 problemi ‘per il nuovo secolo’che Hilbert enunciò al congresso internazionale dei matematici a Parigi nel 1900. Ilterzo problema infatti chiedeva di trovare due piramidi a base triangolare con ugualebase e uguale altezza, che non siano uguali per dissezione né per completamento.

9Per Hilbert: “di ugual area”10Hilbert: “di ugual contenuto”

(GEO)METRIA 25

La soluzione viene da uno studente dello stesso Hilbert, Max Dehn, in due lavoripubblicati nel 1903 e nel 1906.

Teorema (Dehn, 1903/1906) Le due piramidi

D

E

A

B

u

uu

D

A

B

C

u

u

u

hanno la stessa area di base e la stessa altezza ma non sono uguali né per dissezionené per completamento.

Come fa Dehn a dimostrare una cosa simile? L’idea è di trovare una caratte-ristica invariante per dissezione e completamento, che distingua le due piramidi.L’invariante di Dehn, e in generale il suo ragionamento, sono piuttosto complessie non si prestano ad essere presentati qui. Diamo quindi qui una dimostrazionealternativa, partendo dalla ‘condizione di Bricard’, che enunciamo nel prossimoteorema.

Teorema (Bricard/Kagan) Siano α1, . . . , αl e β1, . . . , βh gli angoli diedri didue poliedri tridimensionali uguali per dissezione o completamento. Allora esistonointeri mi, ni ∈ Z>0 e k ∈ Z tali che

m1α1 + . . .+mlαl = n1β1 + . . .+ nhβh + kπ

Per una bella dimostrazione di questo fatto rinviamo a [1, p. 65]. Qui vogliamosolo controllare che, usando questo teorema, possiamo raggiungere il risultato diDehn.

Consideriamo dapprima la piramide di destra. Liu Hui avrebbe detto che èmetà di un yangma - e quindi sappiamo che sei copie congruenti di questa piramidepossono essere combinate per formare un cubo. Nella combinazione risultante, tuttii sei lati ‘lunghi’ (corrispondenti a BD) coincidono, e quindi l’angolo diedro delanostra piramide lungo il lato BD è 2π/6, ovvero π/3. Gli angoli diedri lungo BAe DC sono uguali e valgono π/4, mentre gli angoli diedri in BC, AD e AC sonochiaramente retti. Quindi

Gli angoli diedri della piramide a destra sonoπ

2,π

2,π

2,π

3,π

4,π

4

Per quanto riguarda la piramide di destra, vediamo che gli angoli diedri lungo ilati contenenti A sono retti. Gli altri tre angoli diedri sono uguali tra loro, e per

26 EMANUELE DELUCCHI

calcolarne l’ampiezza ci concentriamo sull’angolo chiamato ϕ in figura. Abbiamo

cosϕ =|AE||DE|

=12

√2u√

2u2 − 14u

2=

1√3.

Possiamo quindi concludere cheGli angoli diedri della piramide a sinistra sonoπ

2,π

2,π

2, arccos

1√3, arccos

1√3, arccos

1√3

Ora, se ogni somma di multipli interi degli angoli diedri della piramide a sinistrasarà sempre un multiplo razionale di π,

1

πarccos

1√n

è un numero irrazionale per ogni n dispari, e quindi 3 arccos 1√3non è una frazione

razionale di π - dunque la condizione di Bricard non potrà essere soddisfatta!

7.1. Ritorno al futuro. Ecco dunque svelato il motivo per cui sia Euclide che LiuHui dovettero ricorrere a suddivisioni ricorsive: in effetti non si può fare altrimenti.

Questo solleva però una domanda: come avevano fatto già gli egizi e gli antichicinesi ad arrivare alla formula esatta per il tronco di piramide? Forse Euclide avevavisitato l’antico egitto su una Delorian ‘d’epoca’ per rivelare allo scriba del papirodi Mosca la formula esatta?

La soluzione di questo quesito è molto meno hollywoodiana - e mlto più interes-sante anche da un punto di vista didattico. Gli egiziani arrivarono probabilmentealla formula corretta tramite una serie di euristiche. Abbiamo detto come, in epocheanteriori, in Egitto si usasse la ‘formula’ babilonese

V =a2 + b2

2h

per il volume di un tronco di piramide a base quadrata, calcolando quindi unamedia aritmetica tra l’area delle due basi.

È probabile [16] che, accortisi dell’inesattezza del procedimento, gli egizi abbianoinserito un altro termine ‘medio’, arrivando così a formare una media aritmeticatra tre valori

V =a2 + ab+ b2

3h,

ottenendo ‘euristicamente’ quella che si sarebbe poi rivelata la formula corretta.

8. Misura

Abbiamo fin qui visto diversi metodi usati nell’antichità per stabilire rapportimetrici tra figure diverse. Sia il metodo per dissezione e completamento, sia ilmetodo di esaustione, sia il metodo ‘meccanico’ sono stati impiegati per poterstabilire, date due figure, se esse siano uguali, o quale di esse sia maggiore.

Un modo molto generale di esprimere queste relazioni è di assegnare ad ognifigura A un numero (reale) µ(A), in modo tale che due figure staranno tra lorocome i numeri loro assegnati. Questo è il concetto generale di misura matematica,

(GEO)METRIA 27

che viene precisato elencando tre condizioni fondamentali (assiomi) che µ devesoddisfare per essere chiamata “misura”.

(1) µ(A) ≥ 0 per ogni figura A(2) µ(∅) = 0, ovvero la figura vuota ha misura zero.(3) µ(A∪B) = µ(A)+µ(B) se le figure A e B sono disgiunte (ovvero A∩B = ∅)Da (1) e (3) segue subito una delle proprietà principali che una buona misura

dovrebbe avere: se A ⊆ B, allora µ(A) ≤ µ(B).

Muovendoci nell’ambito specifico di misure di oggetti geometrici, ovvero in unospazio in cui il concetto di distanza è definito, noi assumiamo anche una proprie-tà ulteriore di µ, ovvero che una figura A e la sua immagine f(A) rispetto adun’isometria11 f abbiano la stessa misura.

Teorema (Banach e Tarski, 1924) Ogni paio di solidi A,B nello spazio euclideotridimensionale può essere suddiviso in un numero finito di insiemi disgiunti A =⋃Ai, B =

⋃Bi in modo che Ai sia congruente a Bi per ogni i.

In particolare (come mostrato da Robinson) una sfera tridimensionale S puòessere suddivisa in 5 pezzi che, ricombinati a meno di un’isometria, formano duecopie (isometriche) di S.

Questo sorprendente risultato utilizza pesantemente l’Assioma di Scelta, ed èpossibile perchè i “pezzi” in cui si suddividono le figure qui non sono per forza “fi-gure” - ovvero: per loro una misura non può essere definita. Questo è un fenomenogenerale: ogni misura µ è definita solo su una classe più o meno piccola di “figu-re”. E restrizioni tipo quella di invarianza rispetto ad isometria impongono uterioricondizioni sulla famiglia di insiemi per cui si può definire una misura.

Una spiegazione più dettagliata di questo strabiliante risultato esula dallo scopodi questa lezione. Oltre all’articolo originale [7], segnaliamo al lettore interessatodue concisi, leggibili - e completi - articoli divulgativi: [10] e [17].

Riferimenti bibliografici

[1] M. Aigner, G. M. Ziegler; Das BUCH der Beweise. Springer-Verlag, Berlin Heidelberg 1998.[2] M. Anderson, V. Katz, R. Wilson (editori); Sherlock Holmes in Babylon. The Mathematical

Association of America. Washington, DC, 2004.[3] Archimede di Siracusa; Oeuvres d’Archimède ....[4] Archimede di Siracusa; The works of Archimedes. Traduzione e commento di Thomas Heath.

Ristampa: Dover editions.[5] G. T. Bagni; Storia della matematica, vol. I e II. Pitagora, Bologna 1996.[6] G. T. Bagni; Interpretare la matematica - introduzione all’ermeneutica dell’apprendimento.

Archetipolibri, 2009.[7] S. Banach, A. Tarski; Sur la décomposition des ensembles de points en parties respectivement

congruentes. Fundamenta Mathematica, 6, 1924, p. 244–277.

11Ovvero un’applicazione dello spazio in se stesso che mantiene le distanze tra coppie di punti.

28 EMANUELE DELUCCHI

[8] C. B. Boyer; Storia della matematica. Mondadori.[9] Euclide di Alessandria; The thirteen books of the Elements. Traduzione e commento di

Thomas Heath. Ristampa: Dover editions.[10] R. M. French; The Banach-Tarski theorem. Mathematical Inteligencer 10 n. 4 (1988), pp.

21-28.[11] D. Hilbert; Grundlagen der Geometrie. Teubner, Leipzig 1903.[12] F. Lindemann; Über die Zahl Pi. Math. Annalen 20 (1882), p. 213 – 225.[13] V. Katz, K. Michalowicz (editori); Historical modules for the teaching and learning of mathe-

matics. Classroom resource materials (CD ROM), The Mathematical Association of America.Washington, DC, 2005.

[14] V. Katz (editore); Using history to teach mathematics. An international perspective. MAANotes # 51, The Mathematical Association of America. Washington, DC, 2000.

[15] R. Netz; The Shaping of Deduction in Greek Mathematics – A Study in Cognitive History.Ideas in Contezt, n. 51. Cambridge University Press, Cambridge, 1999.

[16] C. J. Scriba, P. Schreiber; 5000 Jahre Geometrie. Springer-Verlag Berlin Heidelberg 2003.[17] K. Stromberg; The Banach-Tarski Paradox. The American Mathematical Monthly, 86 n. 3

(1979), pp. 151-161.