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  • da La scultura raccontata da Rudolf Wittkower

    di Rudolf Wittkower

    Storia dellarte Einaudi 1

  • Edizione di riferimento:La scultura raccontata da Rudolf Wittkower. Dallan-tichit al Novecento, trad. it. di Renato Pedio, Ei-naudi, Torino 1985 e 1993Titolo originale Sculpture. Processes and principles,Penguin Books Ltd, London 1977 Margot Wittkower

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  • Indice

    V. Michelangelo 4

    VI. Michelangelo, Cellini, Vasari 22

    VII. Giambologna, Cellini 38

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  • Capitolo quinto

    Michelangelo

    Leonardo da Vinci chiariva i suoi pensieri sulla carta.Dobbiamo a questa mania quella che probabilmente lapi voluminosa e pi preziosa collezione di annotazioniche un grande genio abbia mai trasmesso alla posterit.Leonardo ritornava spesso su un problema che lo avevacolpito, e faceva sempre nuovi tentativi di affidare allascrittura il significato preciso di ci con cui era alleprese. Anche se molte fra le sue note vennero stesespontaneamente, di getto, in fondo alla sua mente eglimirava sempre ad una forma pubblicabile. Egli proget-tava di scrivere trattati su qualsiasi cosa fosse sotto laluce del sole; di fatto, intendeva coprire lintera enci-clopedia della conoscenza che lui stesso stava immensa-mente dilatando senza posa. Alcuni fra i suoi trattatiraggiunsero una forma finale, o vennero pi tardi orga-nizzati in modo da raggiungerla, come i trattati sulla pit-tura, sullarchitettura, sullanatomia, sul volo degli uccel-li e sulla natura dellacqua; sappiamo che progettavalibri sulla scienza meccanica e le sue applicazioni prati-che, sui pesi, sullanatomia del cavallo e cos via.

    Quanto oggi generalmente noto come Trattato dellaPittura, di fatto una compilazione di estratti, risalen-te al 1550 circa (vale a dire, a trentanni dopo la mortedi Leonardo) ripresi da vari manoscritti leonardeschi.Tale compilazione contenuta nel Vaticanus CodexUrbinas Latinus 1270, manoscritto dal quale dipendono

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  • tutte le successive edizioni a stampa del Trattato dellaPittura.

    La prima parte di questo manoscritto contiene il Para-gone che confronta la pittura con la poesia, la musica ela scultura. Molte tra le note di Leonardo sulla scultu-ra, giunte fino a noi, sono contenute in questo capito-lo, ma questo materiale piuttosto inadeguato. Pensoche ci si debba, giustificatamente, domandare se egli maiprogettasse un trattato speciale sulla scultura. Per quan-to mi dato di vedere, gli studiosi di Leonardo nonhanno affrontato questo punto. A me sembra intrinse-camente improbabile che egli abbia progettato trattatisulla pittura e sullarchitettura e non, come lAlberti,anche un trattato sulla scultura. Inoltre, alcune fra le suenote presentano con certezza il sapore di un trattato infieri. Per di pi, il Cellini riferisce che intorno al 1540(vale a dire circa ventanni dopo la morte di Leonardo)egli comper un libro copiato da Scultura, Pittura e Archi-tettura di Leonardo, e che pi tardi egli prest il libro aSebastiano Serlio, il quale se ne serv per il proprio trat-tato di architettura. Il manoscritto posseduto dal Celli-ni non stato ancora rintracciato, e nulla ci viene dettocirca la quantit di materiale riguardante la scultura cheesso potrebbe aver contenuto.

    Gi precedentemente ho citato il passo in cui Leo-nardo proponeva la teoria secondo la quale lo scultoredeve prendere in considerazione soltanto la veduta fron-tale e quella opposta; se esse sono correttamente pro-porzionate, sintegreranno luna con laltra e forniran-no una figura soddisfacente a tutto tondo. Era questala risposta di Leonardo allopinione dello scultore, secon-do la quale una figura aveva un infinito numero di vedu-te, e lo scultore avrebbe dovuto disegnarle tutte. C unaltro passo fra le note di Leonardo in cui egli esprimequestidea in notevole dettaglio: lo scultore egli dice completando la sua opera deve disegnare molti scorci

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  • per ciascuna figura da ogni lato, cos che la figura si pre-senti bene da ogni punto di vista. Questidea vieneampliata, e durante la trattazione di essa Leonardo spie-ga che lo scultore deve guardare da sopra e da sotto, pie-gandosi in basso e salendo in alto, allo scopo di stimarese tutte le forme siano esatte, e conclude asserendo cheil modo consueto ed opportuno di portare a compimen-to le sue opere, per lo scultore, di procedere ad unostudio accurato di tutti i contorni delle forme del corpo,da tutti i lati. Il punto di vista dello scultore, qui tantochiaramente espresso da Leonardo, non pu essere statoaltro che il pensiero penetrante di Leonardo stesso, suproblemi che nessun altro in quellepoca aveva preso inseria considerazione. Lesigenza di girare attorno allafigura, di guardarla da ogni lato ed angolo, da sopra eda sotto, ecc. in modo da fissare contorni soddisfacen-ti, questesigenza era logicamente incontestabile, ma iltempo per il suo adempimento non era ancora venuto:esso venne due generazioni pi tardi, in condizioni con-siderevolmente mutate, come avremo occasione di sco-prire.

    Una volta di pi Leonardo fissa il suo capovolgi-mento logico con grande determinazione: per fare unafigura a tutto tondo, egli dice, basta che lo scultore neesegua due vedute, una di fronte ed una da dietro. Nonvi alcun bisogno di riprendere tante vedute quanti nesono gli aspetti, che poi sono, di fatto, in numero infi-nito. Che fosse questa, in realt, lopinione da lui nutri-ta quando si volse dalla teoria alla pratica, siamo ingrado di confermarlo con levidenza dei suoi studi dimonumenti equestri, che egli sempre rappresentava diprofilo (le due vedute di profilo di un monumento eque-stre possono considerarsi come gli aspetti frontale eposteriore).

    Prima di abbandonare Leonardo, vorrei sottolineareche le sue note contengono altre osservazioni rivoluzio-

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  • narie, specialmente circa linflusso della luce sulleffet-to delle opere di scultura. Egli osservava, ad esempio,che se la luce le colpisce dal basso esse assumono unaspetto assolutamente distorto. Per noi, nellet dellafotografia, questa non una rivelazione. Fotografie dipezzi di scultura mal illuminati possono distorcerli inmisura tale da renderli spesso quasi irriconoscibili. Fusoltanto durante il xvii secolo che le osservazioni diLeonardo recarono frutto. Fu allora che gli scultori, eparticolarmente il Bernini, riconobbero pienamentelimportanza della luce guidata sulle opere, e cercaronodi assicurarsi che i loro lavori sarebbero stati visti nellecondizioni di luce per le quali erano stati creati.

    Vi sono altre osservazioni di Leonardo che non ven-nero riprese fino al xvii secolo. Alludo, ad esempio, alprofondo riconoscimento del fatto che, senza il contri-buto dombre pi o meno profonde e di luci pi o menobrillanti da parte della natura, lopera apparirebbe tuttadi un tono, come una superficie piana. Egli si rese pureconto del fatto che la scultura esposta ad una luce inter-na concentrata dallalto fa un effetto infinitamente mag-giore di quando venga esposta alla luce diffusa allaper-to, o ad una luce della medesima intensit su tutti i lati.

    Mentre Leonardo meditava cos sui princip chegovernano lattivit dello scultore, Michelangelo diventitre anni pi giovane creava i suoi capolavori gio-vanili. I due uomini si conoscevano, probabilmente piut-tosto bene, poich nel 1503 avevano operato fianco afianco nella camera del Gran Consiglio del Palazzo dellaSignoria (Palazzo Vecchio) a Firenze: Leonardo sul car-tone per la Battaglia di Anghiari e Michelangelo su quel-lo per la Battaglia di Cascina. Erano geni di caratteretanto diverso che nessuno ha mai dubitato che si dete-stassero a vicenda. Pu esserci qualche verit circa il lorocelebre incontro presso la chiesa di Santa Trinit aFirenze, riferito da uno scrittore attendibile dellinizio

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  • del xvi secolo. Alcuni amici discutevano un passo diDante, ed invitarono Leonardo, che passava, ad espri-mere unopinione. In quel momento sopravvenivaMichelangelo, e Leonardo consigli di rivolgersi a lui perlinterpretazione cercata (Michelangelo aveva la reputa-zione di essere un conoscitore di Dante). Michelangelosi sarebbe sentito irriso e, respingendo linvito, avreb-be gridato a Leonardo che era un modellatore di caval-li, incapace di gettare una statua in bronzo, e che erastato costretto con vergogna ad abbandonare limpresa.

    Sia vera o meno questa storta, il contrasto profondofra di loro appare ovvio a chiunque abbia familiarit conle rispettive figure, i loro pensieri e le loro opere. Leo-nardo, scettico distaccato, cortese ma distante, rifuggi-va da ogni tipo di attaccamento; Michelangelo era sem-pre profondamente impegnato, ma di modi aspri e iper-sensibili, irritabile e senza compromessi: come disseGiulio II a Sebastiano del Piombo: terribile, comepuoi vedere, e non si pu avere a che fare con lui.Michelangelo era immerso nel pensiero neoplatonico: ilche si scorge nei suoi rapporti con la gente, nella sua poe-sia e nella sua opera. Lumile neoplatonismo di Miche-langelo sembra innestarsi ad una consapevolezza costan-te dellabisso che separa spirito e materia. Ecco comeegli ha espresso, in uno dei suoi sonetti pi noti, la rela-zione tra limmagine il concetto, come egli dice e ilblocco di marmo, nella mente dellartista:

    Non ha lottimo artista alcun concettocun marmo solo in s non circoscriva col suo superchio, e solo a quello arriva la man che ubbidisce allintelletto.

    Allidea del contenimento potenziale della figuraentro il blocco di marmo, della quale avevano parlatolAlberti e Leonardo, qui fornita una nuova e pi pun-

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  • gente dimensione. Leonardo non aveva che disprezzoper le oziose speculazioni dei membri della neoplatoni-ca Accademia fiorentina. Egli concepiva luniversoimmerso in un processo costante di distruzione e di rin-novamento. I problemi dellanima individuale hannosecondo lui interesse soltanto nella misura in cui lindi-viduo partecipa della sequenza cosmica di morte e resur-rezione.

    Chiaramente, lapproccio alla propria opera da partedi Michelangelo non pu venire scisso dalle sue convin-zioni filosofiche, e dovremo tenerlo presente quando citroveremo, come ci capiter, coinvolti in sottigliezzetecniche. Michelangelo fu estremamente precoce. Entrocirca otto anni (da quando ne aveva sedici o diciassettefino a venticinque) esegu una dozzina circa di opere edi incarichi di scultura, alcuni dei quali di dimensioneconsiderevole, come il Bacco a grandezza naturale alBargello, e la Piet in San Pietro (che firmata, e chevenne iniziata nel 1498: aveva allora ventitr anni).Poco dopo la svolta del secolo (tra il 1501 e il 150 scolpil Gigante, la statua colossale del David, alta circa cin-que metri, partendo dal blocco malamente abbozzatoche era giaciuto presso lOpera del Duomo per quasiquarantanni. Esiste al Louvre a Parigi un foglio di dise-gni di Michelangelo, con un grande schizzo a penna einchiostro del braccio destro del gigantesco David mar-moreo, e un piccolo schizzo di unaltra figura di Davidche doveva essere realizzata in bronzo nel 1502. Con lasua inconfondibile mano, Michelangelo annotava qual-che idea sul foglio, una delle quali suona Davicte chol-la fromba | e io chollarcho | Michelagniolo vale a direDavide con la sua frombola | ed io con il mio arco |Michelangelo. La prima parte della scritta chiara, mala seconda (io chollarcho) ha determinato una mezzadozzina di interpretazioni, una pi improbabile dellal-tra. Si ritenuto, ad esempio, che larco sia unarma

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  • figurativamente diretta contro Leonardo. Ritengo che ilvecchio indovinello sia stato recentemente risolto unavolta per tutte da Charles Seymour della Yale Univer-sity. Egli suggerisce che larco possa riferirsi al trapanoa mano dello scultore. Si ricorder il trapano con mani-co ad archetto (detto poi in Italia anche violino) cheveniva impiegato dai Greci e che non era stato maidimenticato; era certamente in uso nella Firenze del xvsecolo. Secondo il Seymour, il significato delliscrizionesarebbe qualcosa del genere: Davide, nella sua lottacontro Golia, ha per arma una frombola. Io, Michelan-gelo, ho il mio trapano da scultore nella mia lotta con-tro un altro gigante. Da qui, il Seymour si spinge adinterpretazioni pi intricate e sottili, nelle quali nonoccorre seguirlo. La prova circa lesattezza del signifi-cato primario del Seymour (io, Michelangelo, ho un tra-pano di scultore nella mia lotta contro un altro gigante)non stata fornita dallo stesso Seymour. Michelangelous un trapano nello scolpire il suo colossale David? Larisposta un energico s. I fori del trapano sono facil-mente riconoscibili, particolarmente nei capelli. Anchele pupille circolari degli occhi sono fori di trapano. Dipi non pu dirsi a causa della superficie rifinita delcorpo, sul quale pochi sono i segni visibili di strumenti,e non vorrei indulgere in speculazioni. Ma lio con ilmio arco e la scoperta di molta opera di trapano nellacapigliatura del David ci portano al problema delloperadi trapano nelle sculture michelangiolesche. La ricercaviene subito premiata. Michelangelo lasci fori di tra-pano in vista, senza la minima vergogna, nel Bacco, fini-to, al Bargello, che va datato prima del David, intornoal 1498. Tali fori compaiono soprattutto nella figura delsatiro che morde i grappoli e nella pelle di pantera alsuolo.

    Per un certo tempo Michelangelo deve aver operatoinsieme sul Bacco e sulla Piet di San Pietro, che non

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  • venne peraltro terminata fino alla fine del 1500. lo-pera di Michelangelo pi accuratamente rifinita. Deveaver speso un tempo sterminato a passarvi sopra abra-sivi, finch la figura del Cristo non assunse un aspettodi politura quasi lucente, smaltato. Non si troverannofori di trapano sulla superficie di questo gruppo, ma stu-diando un dettaglio della testa di Cristo non potr sfug-gire che i capelli sono stati lavorati ampiamente a tra-pano. Pi tardi, Michelangelo non esegu pi capellicome questi. Fa eccezione la barba del Mos che nonpu essere stata realizzata senza un considerevole impie-go del trapano. (Il Mos data fra il 1513 e il 1516. Si con-siderino, per contrasto, due dettagli di figure non fini-te: la testa di uno dei Prigioni per la tomba di GiulioII che data fra il 1519 e il 1525, e una parte della Ver-gine col Bambino nella Cappella Medicea, che data adopo il 1525. In questi casi i capelli sono grezzi, e sal-damente attaccati al cranio. Non vi sarebbe stato spa-zio per lopera di trapano.

    Osservando attentamente, mi sono persuaso chedopo il completamento del David Michelangelo non haquasi pi usato il trapano; vale a dire, durante lampiointervallo di sessantanni, tra il 1504 e il 1564, annodella sua morte. Impieg il trapano nelle sue primeopere, fino allet di trentanni. Lo accett in un primotempo perch era uno strumento a quanto sembra assaidiffuso nella Firenze del xv secolo.

    Una prova di questaffermazione contenuta in unpezzo dovuto al fiorentino Mino da Fiesole, maestroclassicheggiante assai attivo ed interessante, che operpure a Napoli ed a Roma. Il suo Giudizio Universale face-va parte del monumento, smembrato, di papa Paolo II,risalente al 1475 circa, anno della nascita di Michelan-gelo. I resti di questo monumento si trovano oggi nelleGrotte Vaticane. Nel dettaglio non finito vediamoanime di dannati che soffrono allinferno. Un demonio

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  • che trascina con s una nuova vittima rappresentatomentre attizza le fiamme. La maggior parte delle formeentro la bocca dellinferno fiamme, teste e braccia sono sottolineate da lunghi canali di fori di trapano,luno accanto allaltro. Il disegno era stato probabil-mente tracciato sulla superficie del marmo, e poi unaiuto di studio aveva trapanato lungo i contorni, che erail modo pi sicuro per garantire la fedelt al disegno nel-lesecuzione. Per inciso, alcuni archeologi sostengonoche tale metodo era stato gi impiegato in Grecia. Ilpasso successivo sarebbe consistito nel tagliare e rimuo-vere il marmo che separava un foro da quello vicino. Gliabrasivi avrebbero rifinito il lavoro, come lo vediamoinfatti rifinito sul bordo inferiore del rilievo. Se linte-ra bocca dellinferno fosse stata rifinita come le fiammeche lambiscono il bordo inferiore, sarebbe stato deltutto impossibile riconoscere come tale rilievo fossestato eseguito. Sulla scorta della conoscenza del rilievonon finito di Mino, che di inestimabile valore nel con-testo di tali studi, andrebbe affrontato lesame di altresculture del Quattrocento. Si far necessariamente unadoppia scoperta. Una ricerca accurata conduce allinat-teso ritrovamento di fori di trapano tuttora visibili inmolte opere finite, come lo splendido Monumento Mar-suppini di Desiderio da Settignano in Santa Croce aFirenze, che data alla seconda met degli anni cinquan-ta del Quattrocento. Inoltre, si spesso colpiti dal pro-filo disegnato delle figure contro lo sfondo nei rilievi e,sia ci esatto o meno, non si pu evitar di associare que-sto tipo dimpressione visiva al procedimento che abbia-mo or ora studiato in atto.

    In molti casi consimili il trapano veniva impiegatocome scorciatoia per risultati garantiti e attendibili.Ovviamente, Michelangelo deve aver disapprovato talimetodi fin dallinizio della sua carriera, e nel corso deltempo sembra abbia scartato quasi interamente limpie-

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  • go di tale strumento corruttore. un fatto curioso chela maggior parte delle prime opere michelangiolesche,finch egli impieg il trapano, siano finite; essendoneeccezione memorabile lassai precoce Battaglia dei Cen-tauri, del 1491-92, che venne fatta senza luso del tra-pano e anticipa la tecnica successiva di Michelangelo: diconseguenza egli ritenne pi tardi che fosse la miglioretra le sue prime opere. Gran parte dei lavori successivi,eseguiti senza trapano, restarono non finiti. Non inten-do rendere il trapano, o piuttosto lomissione del trapa-no, responsabile della cosa. Ma la rinuncia al trapano unindicazione delle esigenze crescenti che Michelange-lo si poneva per quanto riguarda la capacit tecnica, lasolidit e la perfezione: egli aveva bisogno duna tecni-ca che fosse la pi appropriata a dar vita al repertoriodi immagini che divisava. ovvio che una tecnica pisemplice avrebbe comportato un minore spreco di tempoed avrebbe consentito il completamento di un numeromaggiore di opere.

    Ho citato il fatto che Michelangelo fu lartista chefece un uso pi elaborato dello scalpello dentato, o gra-dina, di qualsiasi altro prima o dopo di lui. Dal 1505 inpoi si ha gran copia di materiale che ci consente di segui-re assai da vicino il suo modo di procedere. Comincercol cosiddetto Tondo Pitti della Vergine col Bambino esan Giovanni sullo sfondo, al Bargello a Firenze. Gli stu-diosi di Michelangelo datano questopera tra il 1504 eil 1508, e si possono portare buone ragioni per preferi-re sia la prima che la seconda data. Sullo sfondo del rilie-vo troviamo striature pi o meno parallele (ma irregola-ri) fatte di punta, che stata qui maneggiata obliqua-mente (vale a dire, come si ricorder, col cosiddettocolpo dello scalpellino). Le figure stesse sono state lascia-te in fasi diverse di completamento. Ma, da una certadistanza, il rilievo pu apparire in gran parte, o intera-mente, finito. Ci corrisponde allimpressione che si ha

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  • di fronte al marmo, e sono certo che moltissimi visita-tori non hanno mai notato che esso stato lasciato senzarifinitura. Esaminandolo pi da vicino, tuttavia, si notache sono stati impiegati tre tipi diversi di gradina. Le picomuni tracce di scalpello dentato compaiono sul brac-cio della Vergine, su diverse zone della sua veste e sulblocco sul quale ella siede. Il Bambino Ges e il picco-lo san Giovanni mostrano le tracce di uno scalpello den-tato pi fine. Qui pu vedersi, per cos dire, lo stru-mento in azione. Lintero volto percorso da leggerestriature parallele prodotte dai denti. Caratteristica-mente, Michelangelo cesellava le forme, le definiva, lemodellava con una rete straordinaria di linee scolpite.

    Egli operava con la gradina come se lavorasse a pennae inchiostro sulla carta. Anche nei suoi disegni rivelavala vita pulsante del corpo umano, la vita nei tendini enella pelle, andando attorno alle forme con le linee paral-lele ravvicinate del suo tratteggio, o con un tratteggioincrociato. Ed impiegava il medesimo metodo col pen-nello nella pittura, come dimostrerebbe uno studio deidettagli della volta della Cappella Sistina. Questo prin-cipio dinterpretare le forme per mezzo di un modella-to sempre nuovo di linee chiarificatrici metodo che faappello ad unintelligenza razionale piuttosto che colmetodo pittorico ma irrazionale di lavorare con la lucee lombra (ad esclusione di linee chiaramente definibili) eminentemente toscano. E Michelangelo era del tuttoposseduto dalla mentalit ricercatrice, dedita al ragio-namento stringente, che siamo giunti ad associare allospirito fiorentino sin dai tempi di Dante. Quanto stocercando qui di fare pu costituire un tentativo, maga-ri senza speranza, di costruire specifiche radici toscaneper la tecnica scultorea di Michelangelo.

    Per ritornare al volto di san Giovanni: in una fasesuccessiva Michelangelo avrebbe ripetuto il medesimoprocesso di modellato che ci vediamo dinanzi, ma avreb-

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  • be impiegato una gradina ancora pi sottile, finch nonfosse stato convinto di aver raggiunto la pelle vera e pro-pria. Di fatto, la fase successiva rappresentata dallatesta della Vergine realizzata con una gradina assai fine.Le striature prodotte da questo strumento sono tropposottili per esser viste a distanza. In ogni caso, il voltodella Vergine era pronto ad essere trattato con abrasivi,che avrebbero fatto scomparire ogni traccia dello scal-pello.

    A prima vista, pu sembrare che il procedimento diMichelangelo abbia molto in comune con quello delloscultore greco arcaico di cui abbiamo studiato la statuanon finita. In ambedue i casi lopera viene liberata dalblocco di marmo pazientemente, strato dopo strato.Mentre per lopera raggiunge un intenso processo diininterrotta creazione in ambedue i casi, le differenzehanno vitale importanza. La punta era lo strumentolegittimo della stilizzazione arcaica. Michelangelo, dal-tra parte, non avrebbe mai potuto realizzare le sue con-cezioni, espressive della vita, nemmeno con la pi fineopera di punta. Invece la gradina gli consentiva di defi-nire e ridefinire la forma naturale, di realizzare le modu-lazioni pi sottili dei corpi, dei muscoli, della pelle e deitratti del volto. Ma c di pi. In un certo senso, il pro-cedimento di Michelangelo era diametralmente oppostoa quello dello scultore arcaico.

    Lo si pu dimostrare studiando la sua figura non fini-ta di San Matteo, allAccademia a Firenze. Questa figu-ra, alta circa due metri e dieci, appartiene al periodo delTondo Pitti. Venne iniziata nel 1506, unica tra le dodi-ci statue degli Apostoli che avrebbero dovuto decorarele guglie del Duomo di Firenze. Chi non conosca ilmetodo di lavoro di Michelangelo potr facilmente rite-nere che questa figura dovesse essere un altorilievo. Difatto, come ho gi notato, avrebbe dovuto invece costi-tuire una statua libera e pienamente tridimensionale.

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  • immediatamente ovvio che Michelangelo non lavorintorno alla figura. Attacc il blocco da un solo lato.Cominciando da quello che considerava il fronte delblocco di marmo, sbucci per cos dire la figura dalla pri-gione della pietra. In basso, il fronte originale del bloc-co stato lasciato comera, e il braccio destro postolungo la superficie pi esterna della faccia laterale delblocco stesso.

    Lelemento davvero straordinario di questa figuranon finita sicuramente il fatto che le parti pi avan-zate del corpo il ginocchio e la coscia della gamba sini-stra sono quasi finite, mentre pi le forme si allonta-nano dal fronte del blocco, pi sommario lo stato del-lesecuzione. Si pu vedere ovunque come Michelange-lo in un primo tempo battesse con la mazza da sbozzola superficie del blocco. In qualche zona si trovano isegni di una punta alquanto pesante che sembra egliabbia usato per giungere rapidamente in profondit. Mapoco dubbio pu esservi sul fatto che in altre zone eglidiede di piglio alle sue gradine, lasciando da parte il mar-tello. facile scoprire lopera di scalpello dentato, siaforte che fine, che va sopra ed intorno alle forme in tuttele direzioni. In nessun punto si hanno fori di trapano.

    Per comprendere il procedimento di Michelangelo,dovr richiamare la ben nota analogia del Vasari. Sim-magini che una figura giaccia tranquillamente, in posi-zione orizzontale, entro una vasca piena dacqua. Se sisolleva pian piano la figura dallacqua, emergeranno len-tamente prima le parti pi sporgenti, poi si vedr la figu-ra quasi fosse un rilievo, ed infine essa comparir intutta la sua tridimensionalit a tutto tondo. Ci offreunidea assai chiara di quanto vorrei definire il metododi lavoro tipo rilievo di Michelangelo. Il suo proce-dimento implica che lopera avr una veduta principa-le: ed la veduta (per impiegare di nuovo lanalogiavasariana) che si scorger emergere dallacqua.

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  • Come lo scultore greco di duemila anni prima, Miche-langelo disegnava la sua figura sulla faccia del blocco, mapoi (in contrasto con lo scultore arcaico) controllava ilsuo disegno spingendolo, passo passo, nella profonditdella pietra, sempre dalla posizione frontale ideale. IlVasari, alla cui idea ritorner, rispecchia in misura con-siderevole le opinioni del suo adorato maestro Miche-langelo, che era di trentasei anni pi anziano di lui.Sicuramente egli rispecchia i pensieri di Michelangeloquando scrive:

    Poich quelli che hanno fretta a lavorare, e che bucanoil sasso da principio e levano la pietra dinanzi e di dietrorisolutamente, non hanno poi luogo dove ritirarsi, biso-gnandoli; e di qui nascono molti errori che sono nelle sta-tue: che per la voglia cha lartefice del vedere le figuretonde fuori del sasso a un tratto, spesso se gli scopre unerrore che non pu rimediarvi se non vi si mettono pezzicommessi... il quale rattoppamento da ciabattini e non dauomini eccellenti o maestri rari, ed cosa vilissima e brut-ta e di grandissimo biasimo.

    Ma, nelle sue opere successive, occasionalmenteapplic talvolta anche il suo metodo del rilievo ad unao ad ambedue le facce laterali del blocco. Due deicosiddetti Prigioni non finiti per la tomba di Giulio II(secondo alcuni datano al 1513 e al 1516, e secondoaltri tra il 1519 e il 1520, o ancor pi tardi) potrannoservire da esempi. In ambedue i casi, due pareti ester-ne del blocco sono ancora visibili, e resta da fare granparte del lavoro. Alcuni studiosi suppongono che losbozzamento di tali figure venisse fatto dagli aiuti.Ci pu ben darsi, ma essi operavano sotto una super-visione strettissima, ed avevano imparato la tecnica diMichelangelo.

    La gamba sinistra del Prigione di solito chiamato

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  • Atlante stata scolpita dal fronte del blocco, e la gambadestra compare sulla superficie della faccia laterale delblocco. Tale faccia presenta una veduta perfettamentecoordinata. Si noter che la testa appena sbozzata ed ilbraccio sinistro sono quasi allo stesso livello della super-ficie del blocco. Osservatori ignari del metodo di lavo-ro di Michelangelo ritennero che egli immaginasse cheil Prigione si mordesse il braccio; il che, ovviamente, pura assurdit. La veduta laterale mostrerebbe assaichiaramente lampio brano di marmo non lavorato nellazona del capo.

    evidente che lintera profondit del blocco erarimasta intatta perch Michelangelo intendeva spingerela testa assai pi in fondo. Non si pu dire quanto spes-so egli lavrebbe rimodellata, penetrando ogni voltaentro uno strato pi profondo, col suo lavoro modella-tore a gradina. Questo metodo di operare in profondit,e di modellare costantemente, garantiva una coordina-zione completa fra tutte le parti del corpo: non dovre-mo mai dimenticare quanto siano complesse le pose dellefigure di Michelangelo, e quanto sarebbe stato facile perun artista meno attento e meticoloso rovinare tutto conun singolo colpo sbagliato.

    Il cosiddetto Prigione che si ridesta mostra il corpoesteso in chiara veduta frontale, con la gamba destra cheincrocia la sinistra, questultima ancora in parte sepoltanella massa del blocco. La testa ritratta allindietro evolta di lato, e non pu venir vista dallo spettatore checonsideri la veduta principale. Il capo si rivela in vedu-ta laterale, il che avrebbe offerto una bella inquadratu-ra ausiliaria.

    Vorrei ora illustrare il medesimo problema con ungruppo che si avvicinava al completamento, il cosid-detto Genio della Vittoria oggi esposto in Palazzo Vec-chio a Firenze, ma anchesso originariamente progetta-to per la tomba di Giulio II, bench in una fase pi

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  • tarda rispetto ai Prigioni. Il gruppo venne probabil-mente scolpito allinizio degli anni trenta del Cinque-cento. Presenta due vedute parimenti valide. Possiamonotare di passaggio che il movimento ed il contro-movi-mento del giovane corpo del Genio della Vittoria pro-ducono torsioni contrapposte di una specie che ha pro-curato a questo tipo di figura, fra i suoi contemporanei,il nome di figura serpentinata: gli autori del tempola paragonavano a fiamme guizzanti. Penso che il Geniodella Vittoria di Michelangelo abbia avuto un influssoincalcolabile sulla scultura della met dello scorcio delxvi secolo.

    Lo studio dei dettagli rivela lapplicazione dellamazza o della punta nella barba del vinto, e le striatu-re di uno scalpello dentato alquanto grosso sul volto. Ilvolto ed i capelli del vincitore sono piuttosto avanzati.Qui si pu scorgere facilmente lopera di una gradinafine. Sulle guance lincrocio dello strumento ha pro-dotto un numero infinito di piccoli rilievi, sconcertan-te per chi non conosca il procedimento tecnico diMichelangelo.

    Desidero concludere questa descrizione del metododi lavoro di Michelangelo trattando brevemente del suoultimo tour de force, la Piet Rondanini, cos detta dalpalazzo romano nel quale il gruppo fu ospitato per quasiquattrocento anni; esso ora nel Castello Sforzesco diMilano. Verso la met degli anni cinquanta del Cin-quecento Michelangelo aveva lavorato ad una Piet mag-giore del vero, che rimase nel suo studio in stato assaiavanzato, ma non del tutto finita. Poi, poco prima dellasua morte, non fu soddisfatto di questo gruppo e deci-se di trasformarlo in misura considerevole. Il risultatodel mutamento e lattuale Piet Rondanini. ben remo-ta la bellezza classica della Piet di San Pietro, ben remo-ta la potenza titanica dei Prigioni e la sicurezza espres-

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  • sa nel Genio della Vittoria. Qui sembrano fondersi duecorpi, eterei, privi di sostanza. Quando concep questogruppo, la fine di Michelangelo si avvicinava, ed egli losapeva. Pure, una settimana prima della sua morte, nelsuo ottantanovesimo anno, lo si vide ancora lavorare algruppo.

    Gli studiosi hanno tentato, con successo, di rico-struire la Piet precedente, prima della trasformazione.Alcuni disegni ad Oxford, e soprattutto lo stato dellaPiet attuale, consentono conclusioni precise. Le gambefinite del Cristo appartengono alla versione precedente;la stessa cosa vale per il braccio destro distaccato, cheapparteneva ad un dorso pi sostanziale e palpabile. Perdi pi, un dettaglio della parte superiore del gruppomostra che lattuale volto della Vergine stato scavatonella parte inferiore di una testa pi grande, che guar-dava verso lalto anzich verso il basso. Sono tuttorariconoscibili, della versione precedente, il coronamentodella testa, locchio sinistro e la sella del naso. Il detta-glio mostra pure come Michelangelo abbia ridotto lin-gombro fisico della versione precedente con potenticolpi lunghi dati con una punta pesante; mostra pure lo-pera dello scalpello dentato nei volti sia del Cristo chedella prima e della seconda Vergine. Michelangelo hatrasformato quella precedente Piet senza laiuto di nes-suno. Gli amici che lo vedevano al lavoro nei suoi ulti-mi anni si meravigliavano della sua forza fisica. Inoltre,egli certamente ponder questa trasformazione, e la con-dusse a termine, senza alcun materiale di supporto. Tra-sfer una visione intima direttamente nella pietra. cosa miracolosa che egli portasse in s unimmagine pre-cisa, che valutasse correttamente le potenzialit del-lantica Piet e che attaccasse direttamente a lavorarecon punta e scalpello dentato. Nessun altro ha mai rag-giunto una simile padronanza del lavoro in pietra. Nonvi da meravigliarsi che molto tempo prima della sua

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  • morte Michelangelo si fosse guadagnato lepiteto didivino e che egli abbia esercitato sugli altri scultori,sullintera professione degli artisti e persino sullinterasua epoca, linflusso pi profondo.

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  • Capitolo sesto

    Michelangelo, Cellini, Vasari

    Quando nel 1547 Benedetto Varchi, distinto storicoe letterato fiorentino che conosceva tutti ed aveva lemani in pasta in tutto ci che andava di moda, cerc diriproporre lantico Paragone (il problema, cio, dei meri-ti relativi della pittura e della scultura), invitando i pieminenti artisti fiorentini ad inviargli dichiarazioni scrit-te, trov vittime volonterose nel Cellini, nel Bronzino,in Francesco da Sangallo ed altri. La risposta di Miche-langelo fu cortese quantunque breve; egli non nascosedel tutto il suo fastidio per questo tipo di gioco intel-lettuale da salotto, che faceva perdere tempo. Tali dispu-te, egli scriveva, prendono pi tempo che eseguire lefigure. Tuttavia, avanz unaffermazione che ha un inte-resse particolare, sebbene io dubiti che venga conside-rata una grande rivelazione. Michelangelo intendeva perscultura quanto fatto per forza di levare: quantoinvece fatto aggiungendo (per via di porre, e cio ilmodellato) rassomiglia alla pittura. Abbiamo familiaritcon questo concetto. Si potr rammentare che lAlber-ti aveva compiuto una consimile differenziazione trascolpire e modellare, e c anche un detto di Leonardo,secondo il quale lo scultore sempre leva di una mate-ria medesima, ma nessuno aveva espresso la differen-za tra scultura e modellato con lintenzionalit tersa diMichelangelo. Se un uomo del suo prestigio conia unasimile sentenza epigrammatica su una materia dimpor-

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  • tanza vitale per gli scultori, essa non viene facilmentedimenticata. Invero, la frase di Michelangelo ha colora-to il modo di pensare la scultura fino al nostro secolo.

    Si potrebbe essere inclini a pensare che Michelange-lo scartasse loccupazione, pittorica, del modellatore, inquanto indegna di uno scultore serio. Ma nulla potreb-be essere pi lontano dalla verit. Il fatto che, senzaintenzione e quasi paradossalmente, egli fece progredi-re il modellato ed apr la strada a una rivoluzione che siverific addirittura prima della sua morte.

    Sarebbe del tutto errato ritenere che egli cadessepreda di una frenetica, irriflessiva furia creativa. Quan-tunque fosse lartista pi dedito, pi ossessionato chepotesse immaginarsi, nel suo lavoro non vi fu mai unasola mossa non premeditata. Di norma preparava le suesculture con cura meticolosa. Chiariva il suo pensierocon schizzi a penna e a inchiostro e disegni a gessettineri e rossi, e da qui procedeva con piccoli modelli incera o argilla. Tali modelli erano un supporto di con-trollo. Avevano, di norma, una duplice funzione: inprimo luogo, contribuivano a chiarire o fermare le sueidee; in secondo luogo, potevano essere usati per con-sultazione mentre era in corso il lavoro sul marmo.

    Non fu Michelangelo a inventare questo metodo. Sipotr rammentare che esso ebbe origine nel xv secolo,e che esistono alcuni modelli preparatori dello scorcio ditale secolo, come quello del Verrocchio al Victoria andAlbert Museum per il monumento Forteguerri a Pistoia,risalente al 1475. Due punti sono degni di attenzione:in primo luogo, in confronto con il piccolo numero dimodelli quattrocenteschi giunti fino a noi, il numero deimodelli originali di Michelangelo, quantunque non alto, notevole. Inoltre, i modelli di Michelangelo appaionodiversi da quelli, pi rifiniti, del Quattrocento. Sonoveri e propri schizzi in cera o argilla. Introdussero nellastoria della scultura moderna una nuova categoria, quel-

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  • la dellannotazione rapida, intuitiva di unidea in formatridimensionale. Tuttavia, gli studiosi non sono dac-cordo circa lautenticit di molti modelli di Michelan-gelo.

    Il Vasari riferisce (e non vi motivo di non creder-gli) che Michelangelo fece un modello in cera in prepa-razione del suo gigantesco David. La maggior parte deglistudiosi ha voluto riconoscere tale modello in una sta-tuetta nella Casa Buonarroti a Firenze, modellata inargilla seccata al sole e coperta da un leggero strato dicera scura. Ma questa figura, eseguita in modo piutto-sto meticoloso, ha relativamente poco in comune colDavid, ed io sono daccordo con opinioni recenti chesuggeriscono sia opera del seguace di Michelangelo Vin-cenzo Danti. Pi problematico il torso di un modelloin cera, pur esso nella Casa Buonarroti, probabilmenteda mettere in relazione con uno dei Prigioni per la tombadi Giulio II. Vi sono studiosi che dubitano anche del-lautenticit di questo ispirato modello. Non posso esse-re daccordo con loro. Alcuni hanno pure messo in que-stione lautenticit del piccolo modello in cera rossa alVictoria and Albert Museum. Si tratta certamente diuno studio preparatorio originale per il cosiddetto Pri-gione giovane. La corrispondenza tra il modello ed ilmarmo estremamente stretta, e sembra probabile siaquesto il modello impiegato da un assistente di studio,per aiutare Michelangelo a sbozzare la figura.

    Un modello in argilla alla Casa Buonarroti, due voltepi grande di quello al Victoria and Albert Museum, un altro pezzo universalmente accettato. Di solito stato considerato un modello per un gigantesco Ercole eCaco, da collocare di fronte a Palazzo Vecchio, ed infi-ne eseguito da Baccio Bandinelli. Ma il professor Johan-nes Wilde ha proposto (con la soddisfazione, ritengo,della maggior parte degli studiosi) che questi due uomi-ni, allacciati in lotta mortale, fossero intesi come con-

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  • troparte del gruppo del Genio della Vittoria, da porre innicchie corrispondenti sulla tomba di Giulio II. Unaricostruzione recente del terzo inferiore del progettoriveduto di Michelangelo per la tomba, del 1532, dunidea di quanto Michelangelo avesse progettato.

    Lultimo modello originale in argilla che desideromostrare rappresenta un esile corpo femminile in unaposa non dissimile da quella del Genio della Vittoria. Lostile, la tecnica e persino la dimensione corrispondonoperfettamente al vicino modello dei due uomini in lottanella Casa Buonarroti. Con la testa, questo splendidopezzo avrebbe misurato circa centimetri, come il model-lo dei due combattenti. Ambedue sono schizzi in argillacotta al sole, e ancora rivelano le impronte digitali diMichelangelo. Ma il modello femminile non pu essereappartenuto al progetto per la tomba di Giulio II. Esso stato associato credo con ragione ad una lettera cheMichelangelo scrisse il ottobre 1533, nella quale dicevache, la notte seguente, avrebbe completato due piccolimodelli che stava facendo per il Tribolo. Tali modellidovevano servire per le statue del Cielo e della Terra, cheil Tribolo doveva eseguire per le nicchie su ambedue i latidi Giuliano de Medici nella Cappella Medicea.

    Nella Cappella Medicea possiamo sostare, per los-servazione successiva. Tra il 1524 e il 1526 Michelan-gelo fece dei modelli in argilla, grandi come le statue daeseguire, per otto figure della cappella, tra le quali quat-tro di fluviali che dovevano posare sul pavimento e suciascun lato dei sarcofaghi. Uno dei modelli degli di flu-viali sopravvissuto come frammento (la sua attualelunghezza di circa un metro e ottanta) e lo si pu oggivedere allAccademia a Firenze. Costituisce piuttostouna sorpresa. Non abbiamo alcuna notizia di modelligrandi fatti per altre opere di Michelangelo: e ci si devechiedere perch Michelangelo ne avesse bisogno in que-sto caso. Da tutto ci che abbiamo appreso circa la sua

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  • tecnica, possiamo asserire in modo estremamente deci-so che qualsiasi trasferimento meccanico dal modello almarmo era fuori questione. Quantunque si possiedaunampia messe di notizie sulla Cappella Medicea, nonesiste alcun documento che ci possa illuminare sul moti-vo che indusse Michelangelo a discostarsi dalla sua con-sueta tecnica di preparazione. Cos, non ci resta cheindovinare. probabile che Michelangelo impiegassequesto metodo per dare un aiuto ai suoi assistenti, impe-gnati nello sbozzamento delle figure. Inoltre, pu darsiche egli volesse manifestare, una volta per tutte, i suoiintenti definitivi. Il progetto per la decorazione dellacappella matur lentamente dal 1520 in poi, e quantun-que raggiungesse un certo stadio definitivo tra il 1524 eil 1526, ancora nel 1531 molte delle figure non eranostate eseguite. Infine, la cappella rimase incompiuta.

    Ma il problema dei modelli grandi non pu arrestar-si qui. Devo presentare due amici di Michelangelo, ilVasari ed il Cellini, a lui ambedue immensamente attac-cati, ed ambedue parimenti avidi di apprendere tutto ciche potessero sulle sue opere e sul suo procedimento dilavoro.

    Il primo, il Vasari, ben noto per le sue Vite degli arti-sti, celebrato e venerato come vero e proprio padre dellastoria dellarte, pittore capace, grande impresario euomo di brillante intelligenza; laltro, il Cellini, proba-bilmente il pi dotato scultore, fonditore in bronzo edorefice tra la generazione di Michelangelo e quella delGiambologna, grande furfante e uomo tuttofare, cono-sciuto per la sua autobiografia colorita e controversa. IlVasari premise alle sue Vite ampi capitoli che espone-vano considerazioni generali sullarchitettura, la scultu-ra e la pittura; la sua introduzione venne pubblicata perla prima volta nelledizione del 1550 delle Vite, e venneampliata nella seconda edizione del 1568. Nello stessoanno 1568, il Cellini pubblic due trattati tecnici di

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  • estrema competenza, uno sul lavoro di oreficeria ed unosulla scultura (i Trattati delloreficeria e della scultura).Ambedue le opere, del Vasari e del Cellini, sono oggiuna sorta di spartiacque tra metodi antichi e metodinuovi. Ambedue gli autori hanno udito Michelangelopronunciare affermazioni perentorie, e ne hanno racco-mandato i procedimenti. Vediamo che cosa ci dicono.

    Secondo il Vasari, sogliono gli scultori, quandovogliono lavorare una figura di marmo, fare per quellaun modello, che cos si chiama, cio uno esempio: che una figura di grandezza di mezzo braccio o meno o pi,secondo che gli torna comodo, o di terra o di cera o distucco. Egli poi spiega che la cera pu applicarsi suunarmatura di legno o di filo di ferro. Larmatura ancor oggi pratica comune (in ogni caso, tra gli scultoritradizionalisti); ma il Vasari spiega che un modello incera pu anche costruirsi poco a poco, senza armatura.Per dare la massima finitura al modello, si impiegano ledita. Fase successiva: Finiti questi piccioli modelli ofigure di cera o di terra, si ordina di fare un altro model-lo che abbia ad essere grande quanto quella stessa figu-ra che si cerca di fare in marmo. Il Vasari integra tuttele sue notizie con numerosissimi consigli puramente tec-nici. Ad esempio, ci dice che: perch il modello diterra grande si abbia a reggere in s, e la terra non abbiaa fendersi, bisogna pigliare della cimatura o borra che sichiami, o pelo, e nella terra mescolare quella; la quale larende in se tegnente e non la lascia fendere. In tutti icasi giunti fino a noi (che sono pochi), troviamo questimateriali o altri simili aggiunti allargilla.

    Il Vasari fornisce poi consigli dettagliati su comeandrebbe compiuto il trasferimento al blocco di marmodel modello scala al vero. Il suo metodo non troppodiverso da quello descritto dallAlberti oltre cento anniprima, ma egli insiste sul fatto che lartista, trasferendole misure dal modello al marmo, deve iniziare dalle parti

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  • pi sporgenti e, passo passo, entrare nel vivo del bloc-co, esattamente come faceva Michelangelo.

    Infine, trattando degli strumenti dello scultore, sot-tolinea limportanza della gradina, o scalpello dentato:ferro col quale, egli dice, [gli scultori] vanno pertutto con gentilezza gradinando la figura... e la tratteg-giano di maniera per la virt delle tacche o denti pre-detti che la pietra mostra grazia mirabile. , questa,una bella descrizione del procedimento di Michelange-lo con lo scalpello dentato.

    Il testo di Cellini contiene una conferma dellesposi-zione del Vasari, ma essendo egli stesso scultore, descri-ve con maggiore competenza ed pure pi esplicito neiriguardi di Michelangelo. Un buon maestro, egli ci dice,se intende eseguir bene una figura di marmo, deve fareun modellino alto almeno due palmi, il che appunto,allincirca, la misura dei modelli in argilla di Michelan-gelo. Ci parla poi del modello scala al vero e raccoman-da un metodo di trasferimento piuttosto semplice, fon-dato su punti, e ancora fondamentalmente in debitocon lAlberti. Poi, abbiamo un elemento dinformazio-ne estremamente interessante. Cellini scrive che moltivalentuomini [artisti] resoluti corrono al marmo con fie-rezza di ferri, prevalendosi del modellino piccolo. Inol-tre, egli ci dice, tra i migliori scultori moderni questosi visto per il nostro Donatello, che fu grandissimo.

    Ci equivale ad avere la conferma di quanto ci ave-vano suggerito losservazione e lanalisi: i modelli scalaal vero erano tuttora sconosciuti nel Quattrocento. IlCellini prosegue: Michelagnolo... fatto di tutti e duae modi [cio, ha intagliato le statue sia in base al model-lo piccolo che a quello grande]... sempre da poi si messo con grandissima ubbidienzia a fare i modelli gran-di quanto gli danno a uscire del marmo a punto: e que-sto labbiamo visto con gli occhi nostri nella sagrestia diSan Lorenzo: cio, Michelangelo ha adottato il meto-

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  • do del modello scala al vero. Quanto il Cellini chiamala sacrestia di San Lorenzo , ovviamente, quanto noioggi chiamiamo Cappella Medicea. Cos, egli aveva vistolimpressionante schieramento di grandi modelli nellaCappella e ne aveva tratto la conclusione ovvia, ma fal-lace, che Michelangelo si fosse definitivamente conver-tito a questo metodo. Come abbiamo veduto, la situa-zione della Cappella Medicea era eccezionale, e non siha alcun indizio che Michelangelo ripetesse mai il mede-simo procedimento. Ma, a causa di voci come quella delCellini, ad esso venne conferita la sanzione del nomesupremo, del maraviglioso Michelagnolo, come il Cel-lini lo chiamava.

    Unaltra notizia del Cellini ha per noi un immensovalore. Da poi egli dice che uno si sia satisfatto nelsopradetto modello, si debbe pigliare il carbone e dise-gnare la veduta principale della sua statua di sorte chela sia ben disegnata; perch chi non si risolvessi bene aldisegno, talvolta si potria trovare ingannato da ferri.E prosegue: Il miglior modo che si sia mai visto quel-lo che usato il gran Michelagnolo: il qual modo si ,di poi che uno a disegnato la veduta principale, si debbeper quella banda cominciare a scoprire con la virt deferri come se uno volessi fare una figura di mezzo rilie-vo, e cos a poco a poco si viene scoprendo.

    Infine, il Cellini ci spiega come Michelangelo impie-gasse i suoi scalpelli, e fa notare (se interpreto esatta-mente un passo linguisticamente difficile) che egli pro-duceva una sorta di tratteggio incrociato, quasi stessefacendo un disegno. Gli scultori privi della disciplina edella pazienza di Michelangelo, che cercano di operarerapidamente, e attaccano il blocco di marmo da varipunti, finiscono col compiere spropositi irreparabili.

    La scena ormai pronta per scoprire come lereditdi Michelangelo venisse amministrata. Ma prima diallontanarci dal grande maestro, sento il bisogno di toc-

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  • care tre problemi. Primo problema: esiste qualcosa comeuna tecnica michelangiolesca avant la lettre? Esistonopezzi pre-michelangioleschi che rivelano la stessa tecni-ca? Sono persuaso che la risposta negativa. Ma esistealmeno un grande marmo del Quattrocento che sem-brerebbe costituire uneccezione, il cosiddetto DavideMartelli, a grandezza naturale, nella National Gallery ofArt a Washington. La statua ha un pedigree venerabile(che la riconduce alla Casa Martelli di Firenze, nel xvsecolo), e una parimenti venerabile attribuzione a Dona-tello (che risale al Vasari). Recentemente alcuni storicidellarte hanno supposto che il Vasari, scrivendo oltrecento anni dopo i fatti, abbia commesso un errore. Per-tanto la figura stata ora attribuita ad Antonio Rossel-lino ed infine a Bernardo Rossellino. Non posso dilun-garmi adesso in questa disputa dotta. Ci che mi indu-ce a mostrare questopera la sua condizione di non-fini-to. Nelle teste di Davide e di Golia, nelle mani e nellegambe di Davide e altrove, sono chiaramente visibili isegni dello strumento, ed essi presentano la caratteristicaopera a gradina che associamo a Michelangelo. Qual la spiegazione? Io concordo con alcuni critici, secondoi quali la statua era stata originariamente rifinita, ma,per motivi che non conosciamo, si ritennero necessariritocchi. A mio avviso, ci palesato dal fatto che i segnidella gradina sono sempre su strati pi profondi dellasuperficie delle parti finite. Ci, ovviamente, dimostra(almeno per me) che una revisione generale successiva stata intrapresa e interrotta. Esistono zone, ad esempiosul braccio, ove evidentissimo che lo scalpello denta-to ha attaccato alcune zone che erano gi state rifinite.Vorrei pertanto asserire che questa statua, dellinizio delQuattrocento, stata rielaborata da un maestro succes-sivo a Michelangelo, poniamo verso la met del Cin-quecento. A me sembra che qui stia il vero problema distoria dellarte posto da questimportante lavoro.

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  • Consentitemi di aggiungere che, malgrado un atten-to studio dei pezzi non finiti del Quattrocento e delli-nizio del Cinquecento, per quellepoca non ho maiincontrato nulla di simile. Accostiamo al Davide Martel-li altri pezzi, tutti nella National Gallery of Art diWashington: il busto non finito di Desiderio da Setti-gnano, la cosiddetta Marietta Strozzi che data alliniziodegli anni sessanta del Quattrocento, rivela nelle partinon finite le braccia ed i capelli tracce del martelloda sbozzo e della punta, ma non della gradina. Oppure,si prenda la Madonna col Bambino, santi e donatori, rilie-vo del 1520 circa delleccellente scultore veneziano Pir-gotele. Il lato sinistro del rilievo non del tutto finito.Le larghe e lunghe tracce sul volto del donatore sonofacilmente riconoscibili, e cos pure i colpi dello scalpellopiano.

    Persino il piccolo rilievo, un tempo famoso, rappre-sentante Apollo e Marsia, derivante da un antico cam-meo, famoso perch, fino a poco tempo fa, veniva una-nimemente accettato come opera giovanile di Miche-langelo, di Michelangelo non presenta n la tecnica nlo spirito. I dettagli dellApollo, non finito, indicano chelo scultore fece uso, ampio e abbastanza stolido, del tra-pano. Ci tornano alla mente i segni dei contorni, a lavo-ro di trapano, nel Giudizio Universale di Mino da Fie-sole, gi studiato. Questo rilievo mi conduce al proble-ma successivo: e precisamente, il contributo dato daassistenti o allievi allopera autentica di Michelangelo.

    Mio primo esempio il busto di Bruto, ora al Bar-gello. Nel gennaio del 1537 Lorenzino de Medici avevaucciso il suo odiato cugino, il duca Alessandro de Medi-ci. Limpresa venne condotta come reiterazione delibe-rata dellantico prototipo del tirannicidio: Lorenzino siconsiderava come un nuovo Bruto e gli esuli repubbli-cani ritennero che latto di Lorenzino, di liberare Firen-ze dal dispotismo, potesse ricondursi allassassinio di

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  • Giulio Cesare. Fu lamico di Michelangelo, DonatoGiannotti, esule fiorentino, che convinse Michelangeloa scolpire un busto di Bruto per il cardinal Ridolfi, unodei capi dellopposizione contro i Medici.

    Il busto non era inteso come ritratto, ma si pu forsedire che in esso sia riconoscibile un simbolo splendidodelle virt repubblicane, malgrado il fatto che non venis-se mai terminato. I capelli rimasero ad una fase preco-ce di preparazione; erano stati lavorati con una puntapesante, maneggiata apparentemente ad angolo retto, eduna piccola zona non lavorata sopra la tempia mostraancora la superficie originaria del blocco. Il volto mira-bilmente modellato dal tratteggio incrociato effettuatocon una gradina sottile. Si pu riconoscere uno scalpel-lo dentato un po pi greve nelle zone del mento, del-lorecchio e della nuca. Ancor pi sotto la nuca, questoscolpire chiaro, determinato, che solca il marmo, cedechiaramente il posto ad una superficie piatta prodottadai colpi caratteristici dello scalpello piano. La gola sottoil mento sembra un poco confusa. Qui sincontrano duetipi di lavoro, e i colpi di scalpello piano in parte sisovrappongono ai segni della gradina. Tutta la parteinferiore del busto, vale a dire il corpo col drappeggio, stata lavorata con lo scalpello piano.

    Sappiamo che Tiberio Calcagni, assistente di Miche-langelo, pose mano a questo busto. E separare le duemani non difficile. Tutto il lavoro a scalpello piano, dalcollo in gi, costituisce il contributo del Calcagni. Eglinon os maneggiare lo scalpello dentato e mettersi incompetizione col maestro. Probabilmente resistette allatentazione, temendo di rovinare il marmo. Per fortunaaveva sufficiente rispetto ed ammirazione per il mera-viglioso trattamento di superficie di Michelangelo, dalasciarlo veramente intatto. In nessun altro luogo abbia-mo la possibilit di confrontare tanto da vicino la tec-nica magistrale di Michelangelo, che garantiva la vita

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  • interiore pi intensa e una superficie calda e vigorosa,con lo sforzo piatto e maldestro di un seguace.

    Forse il mio secondo esempio, la Piet nel Duomo diFirenze, altrettanto rivelatore del Bruto. Michelange-lo inizi questo ampio gruppo, che alto quasi duemetri e novanta, allet di circa settantacinque anni.Labbandon non finito qualche anno dopo, verso il1555, quando si scopr che il marmo era di cattiva qua-lit. In un impeto di rabbia anzi lo mutil, e sembra chein questoccasione la figura del Cristo perdesse la gambaed il braccio sinistri; il braccio venne salvato e rimessoa posto. Fu ancora il fedele Calcagni a restaurare il grup-po e a dargli una finitura superficiale. Se ne pu scoprirela mano in varie zone dellopera: nella mano di Nicco-demo, nel collo e nei capelli del Cristo ed altrove, ma lagoffa rielaborazione di Maria Maddalena costituisce ilsuo contributo principale, e piuttosto infelice. Il voltoprivo di vita e la qualit dellabito, quasi di cuoio, con-trastano nel modo pi energico con la partecipazionecommovente che si esprime nei volti della Vergine e,soprattutto, di Niccodemo, nonch con la calda super-ficie, che sembra quasi respirare.

    Originariamente, Michelangelo aveva inteso che que-sta Piet decorasse la sua propria tomba. Secondo ilVasari (ed egli era in grado di saperlo) la testa di Nic-codemo costituiva un autoritratto: va da s, idealizza-to. I contributi dei collaboratori di Michelangelo sem-brano costituire le cartine di tornasole con le quali spe-rimentare la qualit consumata dellopera del genio.

    Ultimo problema che vorrei brevemente sfiorare quanto gli Italiani chiamano il non finito di Miche-langelo, il carattere di incompiutezza delle sue opere. Laletteratura sulle motivazioni del suo non finito cre-sciuta enormemente negli ultimi trentanni, e contienenumerose idee contrastanti, che passano dal verosimileal probabile allinsensato. Lautore dellultima opera in

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  • due volumi su Michelangelo scultore, Martin Weinberger,nega del tutto lesistenza del problema. Asserisce cheMichelangelo avrebbe amato finire le sue opere, se icommittenti (per solito i pontefici) non lavesserocostretto a passare da un immenso incarico allaltro, eche in alcuni casi, come la Piet fiorentina, circostanzetecniche impedirono il completamento. Le lettere diMichelangelo sono piene di lamentele su interferenzedisturbatrici. Tra i molti altri passi, mi sia consentitocitarne uno da una lettera da lui scritta il 24 ottobre1525. Di umore alquanto amaro, scrive: ... chon que-sto, che e no mi sia facti e dispecti che io veggo farmi,perch possan moltto in me e no mnno lasciato farchosa che io voglia gi pi messi [mesi] sono: che no sipu lavorare cho le mani una chosa e chor cieverllo [cer-vello] una altra, e masimo di marmo. Leggendo questopasso, si pu supporre che la posizione del Weinbergersia giusta, ma a mio parere forse un tantino troppo dibuon senso.

    Mentre vero che opere come il San Matteo del 1506o i Prigioni per la Tomba di Giulio II rimasero non fini-te a causa della revoca o dellalterazione dei progetti sot-toposti al controllo di Michelangelo, ne esiste un certonumero di altre per esempio il Tondo Pitti al Bargel-lo, il Bruto, la Piet che precedette la Piet Rondanini che non ricadono nella medesima categoria. Dobbiamoaffrontare il fatto che prima con Leonardo (che non finmai nulla) e poi con Michelangelo, il non finito entrain una fase inedita. Possiamo essere assolutamente certiche le opere medievali, se non sono terminate, cos rima-sero per motivazioni esterne. Ma quando giungiamo aLeonardo ed a Michelangelo, il completamento pu esse-re stato impedito sia da cause interne che esterne.

    Per quanto ci dato di vedere, mai era esistita ten-sione tra concezione ed esecuzione di unopera. Maormai il dubbio circa la validit di unarte terrena, lau-

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  • tocritica, linsoddisfazione per la realizzazione imper-fetta dellimmagine interiore, labisso tra mente e mate-ria e nel caso di Michelangelo tra la purezza delli-dea platonica e la vilt del suo concretarsi materiale,impedivano a questi maestri di completare le loro opere.Circa il tipo di pensiero che spesso turbava Michelan-gelo e lo portava quasi alla disperazione, desidero darviun esempio. In una lettera dellottobre 1542, indirizza-ta allamico Luigi del Riccio, scriveva: la pictura e lascultura, la fatica e la fede man rovinato e va tuttaviadi male in peggio. Meglio mera ne primi anni che io mifussi messo a fare zolfanegli, chi non sarei in tanta pas-sione! Il non finito, nato dalla nuova autocoscienzaed autoanalisi di uomo rinascimentale, non va mescola-to col non finito impressionistico qual praticato nel-lOttocento da Rodin e da altri. Cercher pi tardi didefinire la mentalit profondamente diversa che sta die-tro il non finito da un lato di Michelangelo, dallal-tro di Rodin.

    Possiamo ora tornare al problema di come venisseamministrata leredit di Michelangelo. Cerano alcuniallievi e seguaci, tra i quali anzitutto Vincenzo Danti, ilTribolo e Pierino da Vinci, che in alcune loro opereripresero la tecnica a gradina di Michelangelo. Ma que-sto fu un episodio subordinato nella storia della scultu-ra, e non necessario soffermarvisi. Per scorgere inchiara prospettiva gli eventi nella seconda met del Cin-quecento, mi sembra meglio tornare anzitutto allin-chiesta di Benedetto Varchi del 1547, cui ho fatto rife-rimento precedentemente. Dopo Michelangelo, il piimportante fra i corrispondenti del Varchi era il Celli-ni. Secondo quanto egli scriveva, ventanni prima delsuo Trattato, la massima arte, tra quelle fondate sul dise-gno, la scultura. sette volte pi grande della pittu-ra, perch una statua deve avere otto vedute, chedovrebbero essere tutte di pari qualit. Il che, egli spie-

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  • ga proseguendo, tanto difficile, che uno scultore chenon si dedichi a sufficienza alla sua arte si accontenterdi una o di due vedute. A questo tipo di scultore mancala pazienza per procedere accuratamente partendo dallaveduta principale; egli affronter subito anche le seivedute meno importanti, e in questo modo guaster lar-monia della statua. Invece, leccellente Michelangelo(continua il Cellini) osservava accuratamente ci che lapietra esigeva (applicando, egli intende, il suo metodosimile a quello del rilievo), e in questo modo dava uncontributo alla grandezza dellarte della scultura.

    Limplicazione di questo passo di grande interesse:il Cellini ovviamente d per scontato che il procedi-mento di Michelangelo conduceva non soltanto ad unaveduta principale, ma, inoltre, a numerose altre vedutepi coordinate, otto in tutto, secondo la sua teoria. Unaltro corrispondente del Varchi, il pittore Bronzino,manteneva ancora lantica posizione, che potremo ram-mentare da Leonardo, che maggiori sono gli sforzi fisi-ci che una certa arte comporta, pi essa meccanica.Sotto questo aspetto la scultura inferiore alla pittura.Daltro lato, la scultura d maggior piacere della pittu-ra, perch una figura pu vedersi da tutti i lati. Pertan-to, la pluri-faccialit (per impiegare un termine che hointrodotto nella mia prima conferenza) anchessa, peril Bronzino, della massima importanza.

    Nel suo trattato, lo scultore Francesco da Sangallo haesaminato ampiamente i medesimi problemi. Egli spie-ga che il pittore che abbia dipinto un nudo ne rappre-senta ununica veduta soltanto, e non dovr mai pensa-re alle vedute laterali e posteriori. Tutti sanno che unnudo quasi mai presenta buone vedute da ogni punto divista. Il pittore, semplicemente, sceglie la veduta miglio-re e pi piacevole, e non deve preoccuparsi degli aspet-ti laterali e posteriore. Invece, lo scultore deve prende-re in considerazione numerosi punti di vista. Ne segue

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  • logicamente che la scultura unarte pi difficile dellapittura. Inoltre, il materiale dello scultore presenta unproblema: egli deve fornire il marmo, e gli strumenti concui lavorare. Tale asserzione seguita da una frase estre-mamente rivelatrice: se si parla di scultura, dice il San-gallo, si deve parlare del marmo, e non del bronzo o diqualsiasi altro materiale, poich tutti i materiali sonoinferiori al marmo. Ma senza posa, nella sua lunga espo-sizione, egli ritorna al tema che, mentre il pittore devepreoccuparsi di ununica veduta, lo scultore deve appre-starne molte.

    Questinsistenza, costantemente ripetuta, su molte,o addirittura infinite vedute, qualcosa di interamentenuovo nella storia della scultura. Fino a questo momen-to, il numero delle vedute (fossero una, due o quattro)era in gran parte determinato dal modo in cui lo scul-tore maneggiava e lavorava il blocco di marmo, fosse loscultore greco arcaico, fosse il maestro di Chartres ofosse Michelangelo. Ora, per, si pone un problemaintellettuale, si avanza unesigenza teorica, si richiedo-no soluzioni. La storia della scultura giunta ad uno deisuoi bivi.

    Dovremo ora domandarci come venisse affrontatoquesto problema intellettuale, che cosa gli scultori neabbiano fatto. facile predire che al modello, allo schiz-zo plastico introdotto da Michelangelo verr confe-rita sempre maggiore importanza, e che pertanto lo scul-tore dovr cedere il passo al modellatore, che operaaggiungendo per via di porre, come suona la frasedi Michelangelo.

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  • Capitolo settimo

    Giambologna, Cellini

    Il Cellini, il Bronzino e Francesco da Sangallo insi-stevano tutti sulla pluri-faccialit (per valersi di questotermine brutto ma espressivo) di unopera di scultura.Il Cellini proferiva lasserzione apparentemente astrusa,secondo cui la scultura sette volte pi grande della pit-tura, perch una figura dipinta non pu presentare cheuna sola veduta, mentre una statua deve averne otto.Egli non si d la pena di spiegare perch una statuadovrebbe avere otto vedute. Ma, se la si considera davicino, la sua asserzione consente ununica spiegazione:secondo lui una statua deve presentare quattro vedutevalide sugli assi principali, ed altre quattro sugli assi dia-gonali.

    Ventun anni dopo che il Cellini aveva scritto la sualettera, nel momento in cui, nel 1568, pubblicava ilTrattato di Scultura, era ancora intensamente impegnatosul medesimo problema. I passi pi interessanti non sitrovano nel Trattato stesso, ma in una sorta di epilogointitolato Sopra lArte del Disegno. Qui egli argomentache Michelangelo era stato il massimo tra i molti gran-di pittori, perch era sempre stato il massimo grandescultore. A sostegno di questo non sequitur egli spiegache il rilievo il vero genitore della scultura e che la pit-tura una delle figlie della scultura stessa. Infatti, eglicontinua, la pittura non pu presentare che una delleotto vedute principali di cui la scultura ha bisogno.

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  • Procede poi cos (riassumo leggermente il testo, senzaalterarne il significato):

    ... volendo fare un ignudo di scultura... e piglia un valen-tuomo terra o cera, e comincia a imporre una sua graziatafigura; dico graziata perch, cominciando alle vedute dinan-zi, prima che ei si risolva, molte volte alza, abbassa, tirainnanzi e indietro, svolge e dirizza tutti e membri della suadetta figura. E da poi che quella prima veduta dinanzi ei sen satisfatto, quando ei volge poi la sua figura per canto(che una delle quattro vedute principali) il pi delle voltesi vede tornar lopera con molto minor grazia, di modo chegli sforzato a guastar di quella bella veduta che ei si eraresoluto, per accordarla con questa nuova veduta: e costutte e quattro, ogni volta che ei le volge, gli danno questedette difficult. Le quali non tanto otto vedute, le sono pidi quaranta, perch un dito solo che un volge la sua figura,un muscolo si mostra troppo o poco, talch si vede le mag-gior variet che immaginar si possa al mondo; di modo chegli di necessit di levar di quella bella grazia di quellaprima veduta per accordarsi con laltre prestandole allointorno: la qual cosa tanta e tale che mai si vidde figuranissuna che facessi bene per tutti e versi.

    Il Cellini corrobora la sua argomentazione dicendo diaver spesso veduto Michelangelo dipingere una figura agrandezza naturale nel corso di una giornata (il che signi-ficava esagerare un tantino la verit, poich il Cellininon pu aver veduto Michelangelo nellatto di operareagli affreschi nella Cappella Sistina). Quando si tratti diuna figura in marmo egli prosegue le difficolt pre-sentate sia dalle molteplici vedute che dal materiale ren-dono impossibile eseguire una figura consimile in menodi sei mesi. Il Cellini espresse le sue opinioni anche inunaltra occasione. Dopo la morte di Michelangelo, lap-pena fondata Accademia darte fiorentina ritenne di

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  • dovere al suo grande membro fondatore unappropriatacerimonia commemorativa. Fu deciso di erigere un enor-me catafalco nella chiesa di San Lorenzo da decorare congran numero di figure allegoriche. La preparazione eraaffidata alle mani di un comitato con pieni poteri, cui ilCellini apparteneva. Il lavoro di questo comitato pro-cedeva tra battibecchi costanti, ma fu soltanto quandosi propose di porre lallegoria della Pittura, anzich lal-legoria della Scultura, sul lato destro (cio quello prefe-ribile) del catafalco, che si ebbe una seria rottura. Il Cel-lini, per tale motivo, si dimise. Si sent spinto ad espor-re il proprio punto di vista in un memorandum chevenne stampato nel 1564. Una volta di pi, egli si posea dimostrare la superiorit della scultura sulla pittura.

    Qui fornisce un preciso riassunto della teoria che hocitato. La pittura offre ununica veduta; anche lo scul-tore inizia con una sola veduta; poi, fa ruotare mano amano il pezzo. Questa rotazione mette a nudo i proble-mi, poich la prima veduta pu apparire tanto diversarispetto ad una nuova, quanto il bello diverso dal brut-to. Perci lo scultore deve sottoporsi allenorme faticadi approntare un centinaio o pi di vedute per sforzar-si di determinare vedute unificate da ogni lato.

    Tutto considerato, sono affermazioni straordinarie,e nulla di simile era stato mai udito in precedenza nellastoria della scultura. vero che Leonardo aveva chia-ramente riconosciuto il problema della pluri-faccialit,ma era giunto a conclusioni interamente diverse da quel-le del Cellini. Si rammenter il suo verdetto: non veroche lo scultore non pu fare una figura, che non ne fac-cia infinite per glinfiniti termini che hanno le quantitcontinue... glinfiniti termini di tal figura si riducono indue mezze figure, ecc.

    Invece, per il Cellini la pluri-faccialit divenuta unproblema assolutamente centrale. Nondimeno, se lo siapprofondisce si scoprono alcune incoerenze nelle pre-

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  • tese rivali della prima veduta la veduta frontale rispetto alle quattro, otto, quaranta e cento vedute.Quando egli tratta dellesecuzione in marmo la suaincertezza ancor pi evidente. Poich si potr ram-mentare come egli insista a raccomandare il procedi-mento, tipo rilievo, di Michelangelo, come il metodomigliore. Ho suggerito pi sopra che egli deve aver datoper scontato che tale procedimento conducesse a nume-rose vedute di eguale valore. Storicamente parlando,lincoerenza del Cellini rispecchia le opinioni di dueepoche diverse. Egli era ancora legato al passato, prin-cipalmente attraverso il suo idolo adorato, Michelange-lo, e nello stesso tempo era divenuto un vigoroso por-tavoce dei problemi che impegnavano la generazionesuccessiva.

    Nel corso della seconda met del xvi secolo (duran-te il periodo che oggi chiamiamo Manierismo) venne dimoda la scultura con numerose vedute di pari impor-tanza. Ci soprattutto visibile nellopera di Giovan-ni Bologna, o Giambologna: il fiammingo Jean de Bou-logne. Nato nel 1529, era di una generazione pi gio-vane del Cellini; dopo un paio danni a Roma si stabila Firenze poco prima dei suoi trentanni e vi rimase permezzo secolo, fino alla sua morte nel 1608. Il suo pre-stigio era enorme, particolarmente dopo il suo massimotour de force, il Ratto delle Sabine sotto la Loggia deLanzi a Firenze, realizzato tra il 1579 e il 1583. Que-sto gruppo di tre figure, costruito con movimento a vor-tice, illustra nel modo pi pieno e convincente il nuovoideale della scultura a vedute multiple. Le torsioni deicorpi intorno ai propri assi, la ricchezza del movimen-to e del contro-movimento, lincrociarsi e il sovrappor-si dei corpi e delle membra: tutto ci cos ben fatto ecos accuratamente calcolato che losservatore, a primavista, non ne consapevole. Al contrario: si trova difronte a problemi sempre nuovi, ha sempre nuove rive-

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  • lazioni, e si sente magicamente attratto a girare attor-no al gruppo.

    Fino a questo punto, la scultura del Rinascimento,persino quella di Michelangelo, esigeva un osservatorestatico: un osservatore che assumesse una posizione sta-zionaria, dalla quale potesse esplorare la veduta princi-pale. Per escludere ogni equivoco: la posizione stazio-naria costituisce, ovviamente, un postulato ideale. Difatto, di fronte a una statua uno spettatore avverte soli-tamente il desiderio di muoversi, ma volente o nolente,e spesso inconsciamente, sente poi lurgenza di ritorna-re alla posizione dalla quale pu godere la veduta pigenerale e pi soddisfacente, posizione che gli consentadi vedere corpi e membra chiaramente ed armoniosa-mente disegnati su un piano ideale frontale.

    Invece, un numero infinito di vedute trasforma los-servatore stazionario in uno cinetico. Quando parliamodella scultura cinetica moderna, del xx secolo, inten-diamo che la scultura in movimento e viene conside-rata da un osservatore stazionario. Nondimeno, il prin-cipio del movimento perpetuo il medesimo sia che lospettatore sperimenti la sensazione di un pezzo ruotan-te girandovi intorno, oppure che sia invece la sculturastessa, di fatto, a muoversi.

    Il mutamento dalle prime figure di Michelangelo conuna sola veduta principale, come il San Matteo, fino aigruppi e figure a vedute multiple del Giambologna (sepa-rati da oltre settantanni) derivava da un ri-orienta-mento profondo. Lo scultore dello scorcio del xvi seco-lo, che socialmente si era elevato progresso dovutosoprattutto al prestigio incredibile di Michelangelo rifiutava di assumere il rango di un mero artigiano e sisforzava di creare senza limpedimento delle restrizionimateriali del blocco di marmo. La fatica fisica che scol-pire comporta era stata sempre considerata degradante.Ho citato pi di unosservazione in questo senso, e fra

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  • esse unasserzione inequivocabile di Leonardo. Non erafacile rimuovere questo stigma dalla professione, quan-tunque massimi scultori, Michelangelo ed il Bernini,considerassero prerogativa dello scultore la fatica fisica.Il Bernini si picc persino di ricevere la regina Cristinadi Svezia, che lo visit nella sua casa, nel proprio abitoda lavoro e si racconta che la sensibile regina afferrimmediatamente il messaggio di questa esibizione.

    Gli scultori della seconda met del xvi secolo siavvezzarono sempre pi a pensare nei termini del pic-colo modello in cera o in argilla. Gli scultori avanzatidellepoca afferrarono il filo fornito da Michelangelo, edespressero i propri pensieri nella forma di rapidi model-li-schizzo, o, per impiegare il termine italiano, di boz-zetti. In nessun altro modo potevano evolversi statue avedute multiple. Lo scultore doveva fare, e faceva, esat-tamente quanto il Cellini aveva descritto: teneva inmano il piccolo modello, lo girava in ogni direzione, loconsiderava da sopra e da sotto, e introduceva tutte lemodifiche necessarie senza alcun riguardo per il monitodi Michelangelo:

    Non ha lottimo artista alcun concettocun marmo solo in s non circoscriva...

    Cos, alla fine del xvi secolo, sinstaur un processo nelcorso del quale il modellatore (lartista che maneggiava lacera e largilla) diveniva scultore, e lo scultore originario(colui che lavorava la pietra) si trasformava infine in unpuro artigiano o tecnico. Si apr una nuova frattura trainvenzione ed esecuzione. Mi si consenta di sottolineareper che il processo, quantunque inesorabile, fu assailento e non privo di numerosi pentimenti; nel xvii e xviiisecolo si ebbe, ovviamente, un gran numero di scultoriche erano brillanti esperti nel lavorare il marmo, e capa-ci, con questo materiale, di imprese tecniche inaudite.

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  • Prima di proseguire, devo far notare che lantico pro-blema dellimpegno fisico comportato dallopera assun-se un aspetto in qualche modo diverso durante il xvisecolo. Man mano che il secolo avanzava, tutto ci cheodorasse di aspra e tenace fatica e di esecuzione labo-riosa divenne anatema, in qualsiasi campo si operasse.Per comprendere tale atteggiamento, dobbiamo volger-ci al Cortegiano di Baldassarre Castiglione, libro cheapparve nel 1518 ed ebbe un successo immenso in lungoed in largo per tutta Europa. Il Castiglione dipingeva,come una delle virt principali del cortigiano o del gen-tiluomo, quanto egli chiamava sprezzatura: un com-portamento disinvolto, una facilit, felicit e savoir fairein ogni cosa, un disprezzo di sporcarsi le mani con unlavoro qualunque si fosse. Come vedete, il Castiglioneconfigur la nozione, che si impose, del gentiluomocome persona ben educata, agiata e padrona del suotempo, il quale, bench fosse un dilettante, era piena-mente capace di realizzare senza sforzo qualsiasi cosaintraprendesse. Non vi da meravigliarsi che tale con-cezione penetrasse presto nella storia dellarte. Il Vasa-ri, che lui stesso era gentiluomo-artista esemplare delnuovo tipo, cre limmagine di Raffaello come prototi-po di felice affabilit, come meraviglia di grazia, sape-re, bellezza, modestia e comportamento eccellente. Agliocchi di questo nuovo tipo di gentiluomo, un laboriosoprocesso esecutivo mutilava la freschezza e la vitalit delprimo concetto. Nella sua edizione del 1550 il Vasariaveva avanzato la memorabile osservazione secondo laquale molti pittori, al primo schizzo di unopera, quasiguidati da una specie di fuoco dellispirazione, raggiun-gono una certa misura di arditezza; ma in seguito, por-tandola a termine, larditezza scompare.

    La stessa cosa si applica, evidentemente, alla scultu-ra. Qui troviamo una consapevolezza della spontaneitcreativa ed unintenzionalit intellettuale a penetrare

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  • nelle profondit sconosciute delloriginalit artistica. Ilpittore portoghese Francisco de Hollanda, autore nel1548 di un Trattato della Pittura che, secondo lui, con-siste in larga misura in una specie di trascrizione di col-loqui avuti con Michelangelo a Roma tra il 1538 e il1550, mette in bocca a Michelangelo le osservazioniseguenti: Io do grandissimo valore allopera fatta da ungrande maestro anche se egli non vi abbia speso che pocotempo. Le opere non vanno giudicate in base alla quan-tit di inutile fatica su di esse spesa, ma in base allabi-lit e maestria del loro autore.

    Siamo ora disposti, ritengo, ad aspettarci bozzetti perlopera superstite del Giambologna, e di fatto ne tro-viamo. Il loro numero abbastanza grande, ma nongrande forse quanto potrebbe essere, poich si ha lat-tendibile notizia secondo la quale il primo patrono fio-rentino del Giambologna, Bernardo Vecchietti, posse-deva unintera stanza di suoi modellini. Alcuni, assaibelli, si trovano al Victoria and Albert Museum e duedi essi, ambedue allo stato di frammento, sono modellipiuttosto avanzati del Ratto di Proserpina. Il pi picco-lo, non pi alto di dodici centimetri, rappresenta unafase di transizione tra un gruppo in bronzo a due figu-re, eseguito per Ottavio Farnese duca di Parma nel1579, ed ora al Museo di Capodimonte a Napoli, ed ilmarmo a tre figure della Loggia de Lanzi. Laltro, incera rossa, alto pi di trenta centimetri, un modelloalquanto rifinito, concordante quasi in tutto col marmo,e per tale ragione alcuni studiosi lo considerano unariduzione tardiva del gruppo.

    In contrasto con questi modelli, si ha, anchesso pres-so il Victoria and Albert Museum, un vero bozzetto delGiambologna. Di nuovo, alto e largo pi di trenta cen-timetri, ma si tratta questa volta di un bozzetto in argil-la che presenta tutte le caratteristiche della rapida crea-zione, e il trattamento ad abbozzo va nettamente al di

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  • l di quanto ritroviamo nei modelli di Michelangelo. un modello per un dio fluviale, come indicano lurnadacqua ed anche la positura tradizionale. E si ammet-te oggi generalmente che rappresenti unidea inizialeper una colossale figura del Nilo per il giardino della villamedicea (oggi Villa Demidoff) a Pratolino presso Firen-ze. Il progetto del Nilo venne sostituito dallidea di rap-presentare una figura gigantesca dellAppennino, che difatto venne realizzata, ed il mutamento di programma evidenziato per la prima volta in un altro bozzettodargilla (oggi al Bargello a Firenze), che presenta lastessa libera tessitura della superficie del modello al Vic-toria and Albert Museum. LAppennino data al 1580circa, cio allepoca del Ratto delle Sabine.

    Il debito del Giambologna verso Michelangelo puriscontrarsi in numerose sue opere. I primi suoi due anniin Italia verso la met degli anni cinquanta li avevapassati a Roma, studiando soprattutto lopera di Miche-langelo. Il Baldinucci, suo biografo seicentesco, riferisceun episodio risalente a quellepoca, che pu benissimoessersi verificato. Da vecchio (ci dice il Baldinucci) ilGiambologna godeva nel raccontare ai suoi amici comeun giorno, a Roma, avesse fatto un modello di propriainvenzione e lo avesse rifinito, come si diceva, collali-to (vale a dire in modo squisito, quasi respirasse).Mostr questopera, cos ben rifinita, al grande Miche-langelo, che la prese in mano e la spiaccic interamente;poi, ne modell con abilit incredibile unaltra, ma deltutto diversa da quella che il giovane Giambologna gliaveva mostrato, e gli disse: Ora, impara prima adabbozzare [come si deve] e poi a finire. Se c qualco-sa di vero in questo racconto, il giovane Giambologna,allora poco pi che ventenne, pu aver dovuto il suo inte-resse verso i bozzetti proprio a questincontro.

    Qualche anno dopo questo avvenimento, il Giambo-logna ebbe unoccasione per dimostrare la propria tem-

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  • pra. Nel 1565, un anno dopo la morte di Michelangelo,in occasione delle feste per le nozze del granduca Fran-cesco de Medici, il Genio della Vittoria di Michelange-lo venne collocato nella grande Sala dei Cinquecento diPalazzo Vecchio ed al Giambologna venne conferitolincarico di produrre un pezzo che gli facesse da con-troparte, rappresentante Firenze trionfante su Pisa. Eglicre una splendida immagine rispecchiata del gruppo diMichelangelo (quantunque le diversit stilistiche sianoevidenti e molto significative).

    Il piccolo modello in cera al Victoria and AlbertMuseum (alto circa ventidue centimetri) mostra gi laforte evoluzione compiuta dal pensiero del Giambolo-gna, per quanto riguarda, almeno, il movimento ed ilrapporto fra le due figure. Ma si ha un allungamentoconsiderevole delle proporzioni, quantunque minoredelle proporzioni snellissime del Genio della Vittoria diMichelangelo.

    Si ritiene che un secondo modello preparatorio in ter-racotta di questo gruppo si trovi in una raccolta priva-ta fiorentina, ma esso non mai stato pubblicato. I restidi un altro modello in terracotta, le due teste, assai bellee piuttosto rifinite, dei due personaggi, si trovano alBargello. In occasione di quel matrimonio il Giambolo-gna esegu una figura in gesso, scala 1 : 1, alta circa tremetri, che ci rimasta e si trova ora allAccademia aFirenze: per tale scala monumentale il Giambolognaadatt le proporzioni manieristiche del precedentemodello in cera, armonizzandolo con le proporzioni delGenio della Vittoria.

    Qualche anno dopo, Francesco de Medici richieseche il gruppo in gesso venisse realizzato in marmo. Laversione in marmo, terminata nel 1570 ed ora al Bar-gello, corrisponde in tutto e per tutto al grande model-lo in gesso; ha una qualit superficiale alquanto freddae secca, ed eseguita da aiuti di studio. Cos, abbiamo

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  • qui la prova visuale dellintero ciclo: bozzetti, pi duno,ad indicare lintensit della preparazione, da parte delGiambologna in persona, durante la fase iniziale; poi, ilmodello scala 1 : 1; e infine lesecuzione in marmo; malinteresse attivo del Giambologna a stento and oltrela fase di bozzetto. un peccato che nella ricca docu-mentazione esistente non si parli affatto di come ilmarmo venisse eseguito. Ci si attenderebbe che sim-piegasse qualche tipo di trasferimento meccanico.

    Quasi immediatamente dopo il gruppo di Firenze ePisa, il Giambologna ebbe unaltra occasione per com-petere con Michelangelo. Nel 1566 Francesco de Medi-ci lo incaric di realizzare un gruppo in marmo di San-sone e un Filisteo, a coronamento di una fontana. Anchequestopera, alta circa due metri e dieci, si trova oggi alVictoria and Albert Museum. Una parola circa la storiadocumentata del gruppo: nel 1601 esso lasci Firenzediretto in Spagna, come dono del granduca Ferdinandode Medici al duca di Lerma. La fontana trov sede per-manente nei giardini reali di Aranjuez, ma il gruppo inmarmo venne donato al principe di Galles nel 1623, eda lui dato al duca di Buckingham, e imbarcato perLondra; infine, il gruppo venne in possesso di ThomasWorsley, che lo pose nella sua casa di campagna nelloYorkshire, Hovingham Hall. Da qui raggiunse, dopo laguerra, il Victoria and Albert Museum, in condizioninotevolmente buone, malgrado lievi guasti dovuti agliagenti atmosferici.

    Il Giambologna modell la sua opera su due compo-sizioni di Michelangelo, il Sansone con due Filistei, oggiconosciuto soltanto da alcuni calchi in bronzo, ed ilgruppo di due uomini in lotta (di solito denominato, mascorrettamente, Ercole e Caco), noto specialmente dallosplendido bozzetto nella Casa Buonarroti. Secondo me,quanto il Giambologna cercava di fare era di trasmuta-re tali composizioni di Michelangelo in modo tale che il

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  • gruppo presentasse, su ogni lato, vedute parimenti sod-disfacenti. Questopera probabilmente il primo grup-po cinetico in marmo del Giambologna. Si tratta diunopera matura, ma non ancora dotata della comples-sit del Ratto delle Sabine, che ha tre personaggi ed dioltre un decennio dopo.

    Unaltra questione importante va trattata entro ilcontesto di cui mi vado soprattutto occupando. Stiamoosservando un allontanamento rispetto alla costante con-sapevolezza, tipica di Michelangelo, della pietra, e nelladirezione della manipolazione, e della preminenza, delbozzetto, cos che non a caso gran numero di bozzettici sono pervenuti da quellepoca in poi. Il movimentodelle figure in marmo di Michelangelo ritorna sempre suse stesso: la composizione, per quanto intricata e con-trapposta sia, non attraversa mai il confine ideale delblocco.

    Per il Giambologna, il blocco in marmo non impo-neva pi alcun tab importante: ci si pu scorgere nelRatto delle Sabine, nonch in altre sue opere. Contornizigzaganti ed estremit protese dimostrano come eglidesiderasse, e sapesse, liberarsi dai vincoli imposti dallapietra. Per implicazione, ci significa che era aperta lastrada ad impiegare pi di un blocco di marmo per unafigura. Si potr rammentare come il Vasari (influenzatosoprattutto dalle idee di Michelangelo) mettesse indiscredito la commessura tra vari pezzi, e la chiamasseun rattoppamento da ciabattini, e cosa vilissima ebrutta. Daltro lato vedremo che il massimo scultoredel secolo successivo, Gian Lorenzo Bernini, si avvalsedella libert inaugurata dal Giambologna, e non esitminimamente ad impiegare un certo numero di blocchidi pietra per una sola figura, con rattoppamento da cia-battini.

    Ci si sar forse domandati perch, dopo avere citatotanto a lungo il Cellini, io non abbia immediatamente

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