rudolf wittkower - idea e immagine, studi sul rinascimento italiano

198
da Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano di Rudolf Wittkower Storia dell’arte Einaudi 1

Upload: davide-matteazzi

Post on 26-Oct-2015

120 views

Category:

Documents


3 download

DESCRIPTION

[ARCHITETTURA EBOOK] Storia dell'arte Einaudi

TRANSCRIPT

da Idea e immagine.Studi sul Rinascimento italiano

di Rudolf Wittkower

Storia dell’arte Einaudi 1

Edizione di riferimento:da Rudolf Wittkower, Idea e immagine. Studi sul Rina-scimento italiano, trad. it. di Augusto Roca de Ami-cis e Caterina Volpi, Einaudi, Torino 1992Titolo originale:Idea and Image. Studies in the Italian Renaissance© 1978 Margot Wittkower

Storia dell’arte Einaudi 2

Indice

I. La Biblioteca Laurenziana di Michelangelo 4

La sopraelevazione del vestibolo 4L’iter progettuale della biblioteca e del vestibolo 23Lo scalone 33Progetti per una sala di lettura aggiuntiva 61Le porte, il soffitto, i banchi, il pavimento 67Aggiunte moderne e modifiche 79Il vestibolo e il problema del Manierismo 83

appendice i Problemi costruttivi 98appendice ii L’elaborazione del foglio

Casa Buonarroti 48 101appendice iii Le discussioni sul sito

e l’inizio dei lavori 104

II. Michelangelo e la cupola di San Pietro 126

VII. Il giovane Raffaello 149

VIII. Giorgione e l’Arcadia 170

IX. I Sacri Monti delle Alpi italiane 186

Storia dell’arte Einaudi 3

Capitolo primo

La Biblioteca Laurenziana di Michelangelo

La Biblioteca Laurenziana dev’essere senz’altro con-siderata come l’edificio profano piú importante e riccodi ripercussioni dell’intero xvi secolo: tanto piú sor-prendente, quindi, è il fatto che non esista un’analisi sto-rica esauriente della sua architettura. Questo studio è untentativo di colmare tale lacuna, sulle basi sia dei dise-gni e dei documenti rimasti, sia di un attento esame delmonumento stesso. Ma anziché procedere in modo rigo-rosamente cronologico, è sembrato piú opportuno ini-ziare con la descrizione e la spiegazione del piú impor-tante cambiamento occorso durante la costruzione dellabiblioteca: un cambiamento che serve a fare chiarezzasu una grande quantità di premesse e di sviluppi suc-cessivi.

La sopraelevazione del vestibolo.

Il visitatore che oggi osserva il lato ovest del chiostrodi San Lorenzo noterà, sopra il loggiato del primo piano,il lungo corpo di fabbrica della Biblioteca Laurenziana.L’unica fila di finestre termina a destra con un bloccopiú alto a due livelli, che contiene l’anticamera d’in-gresso alla biblioteca, il celebre vestibolo. L’attuale fac-ciata del vestibolo è d’epoca recente: Michelangelo com-pletò solo le finestre e le fasciature del piano inferiore,

Storia dell’arte Einaudi 4

lasciando l’intero livello superiore allo stato del rustico.Il completamento moderno, assieme ad alcune lievimodifiche all’interno, venne intrapreso all’inizio di que-sto secolo e terminato nel 19041.

L’aspetto della facciata del vestibolo prima del com-pletamento moderno è un’eloquente testimonianza delleoriginarie intenzioni di Michelangelo, e rappresentaquindi un eccellente punto di partenza per il nostro stu-dio. Coloro che attesero al restauro, tuttavia, non hannolasciato alcuna documentazione su quanto venne com-piuto, e cosí dobbiamo fare affidamento solo su duefonti attendibili: una descrizione di Geymüller pubbli-cata nel 19042 e due foto d’epoca di Brogi3. Su tali basipotremo esaminare in dettaglio alcuni elementi dellafacciata, cosí come si presentavano prima del rifaci-mento (vedi Appendice i).

Iniziamo osservando due elementi di difficile inter-pretazione. In primo luogo, a metà della fasciatura suddella facciata del vestibolo, all’altezza del cornicionedella biblioteca, si trova una tozza pietra che aggetta for-temente dal piano della fasciatura. L’altezza alla qualela pietra è collocata, la sua larghezza (che corrispondeesattamente a quella delle mensole della biblioteca) einfine la sua distanza dall’ultima mensola del cornicio-ne della biblioteca (identica alla distanza tra le mensoledel cornicione) non lasciano dubbi sul fatto che si trat-ta della parte superiore a voluta di una mensola. Insecondo luogo, sul lato opposto, lo spigolo nord delvestibolo è articolato da venti conci che si innalzano apartire dal tetto del chiostro. Questi conci però non rag-giungono il tetto del vestibolo, ma si fermano a circa dueterzi dell’altezza: al di sopra lo spigolo viene realizzatoin mattoni. Non può essere un puro caso il fatto che iconci siano stati impiegati solo fino all’esatta altezza delcornicione della biblioteca. Mettendo insieme questidue dati possiamo senz’altro concludere che il cornicio-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 5

ne della biblioteca doveva in origine continuare lungo ilfronte del vestibolo, e che in una fase in cui la costru-zione era già a buon punto, il muro del vestibolo nondoveva risultare piú alto di quello della biblioteca.Biblioteca e vestibolo dovevano apparire come un unicoblocco, sotto lo stesso cornicione e lo stesso tetto4.

Ma allora perché i conci angolari non vennero conti-nuati sopra il livello del cornicione quando il vestibolovenne sopraelevato? Evidentemente perché i conci ave-vano senso per Michelangelo solo se l’intenzione eraquella di trattare biblioteca e vestibolo come un corpounico. In quella fase Michelangelo aveva progettato diunificare la lunga facciata per mezzo di conci angolariad ogni lato. Se tale interpretazione è giusta, dovrem-mo aspettarci di trovare tracce di conci anche all’ango-lo sud della biblioteca, come di fatto avviene5. Il muta-mento nel progetto, che portò alla sopraelevazione delvestibolo conferendogli l’aspetto di un blocco a parte,privava di senso la scelta dei conci angolari. L’altezza inpiú dell’angolo nord venne completata con dei semplicimattoni, mentre i conci, avanzo della prima idea, eranodestinati a sparire sotto uno strato d’intonaco.

Nessuno sembra avere notato che, cosí come si pre-senta oggi la costruzione, non ci sono spiegazioni ragio-nevoli per la scelta di continuare le finestre della biblio-teca lungo il prospetto del vestibolo, con una serie difinestre identiche a quelle, ma cieche. All’epoca dellacostruzione, l’interno del vestibolo non consentiva l’a-pertura di finestre piú di quanto lo possa consentire il suostato attuale (fig. 1): l’articolazione dell’esterno è total-mente indipendente rispetto a quella dell’interno. Lasola spiegazione per questa rinuncia di «verità» dev’es-sere stata la volontà di unificare le facciate della biblio-teca e del vestibolo6. Ma nel nuovo schema la «scatola»del vestibolo era nettamente differenziata rispetto alcorpo prolungato e basso della biblioteca, e il contrasto

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 6

tra i due elementi divenne subito cospicuo. Due blocchidi altezze tanto differenti non erano certo stati realiz-zati per apparire nella forma di un singolo corpo di fab-brica: se Michelangelo avesse concepito tale differenzasin dall’inizio l’avrebbe in qualche modo espressa infacciata. L’avere accolto nella versione finale le tre fine-stre cieche è un fatto che può essere inteso solo comeun compromesso, una sopravvivenza della prima solu-zione basata su criteri differenti.

Anche osservazioni di altra natura ci portano allestesse conclusioni. La biblioteca doveva essere costrui-ta sopra gli antichi alloggi dei monaci e i nuovi muri, perragioni di economia, dovevano collocarsi sopra i vecchi.Furono necessari prolungati esami e scambi di pareri peressere certi della stabilità dei nuovi muri (vedi Appen-dice i e fig. 2). L’ingresso al vestibolo è al livello delprimo piano, mentre la biblioteca è situata ad un livel-lo piú alto, estendendosi sopra gli alloggi ai quali si acce-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 7

1. Sezione longitudinale della biblioteca e del vestibolo (da Geymüller)

de dal primo piano. Anche nel caso in cui biblioteca evestibolo avessero avuto una sola copertura, l’altezzatotale del vestibolo sarebbe stata maggiore di tre metririspetto a quella della biblioteca. Da un punto di vistapuramente tecnico, quindi, Michelangelo non dovevaessere favorevole ad innalzare le mura del vestibolo piúdi quanto non fosse strettamente necessario, ossia aduna quota piú alta della copertura della biblioteca: solodei motivi di grande peso potevano indurlo a prendereuna tale decisione.

La configurazione attuale dell’interno del vestibolo,inoltre, non può essere valutata come l’approdo natura-le di un progetto. Il rapporto tra la pianta e l’alzato ècosí inconsueto che risulta difficile accettarlo senza pro-blemi, o intenderlo come il risultato di una libera scel-ta artistica. È concepibile che Michelangelo avesse deli-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 8

2. La Biblioteca Laurenziana inserita nell’ambiente urbano (da Lim-burger)

beratamente scelto di costruire un ambiente alto 14,6ometri su una pianta di 9,51 x 10,31 metri? Certamen-te l’intenzione piú logica dev’essere stata quella origi-naria; ossia che il vestibolo e il salone della bibliotecadovessero avere in comune una copertura alla stessaaltezza.

Ancora: motivazioni d’ordine estetico avrebberonecessariamente comportato, per la visuale dall’esterno,un assetto unitario dei due blocchi. La serie di costru-zioni circostanti, infatti, segue una disposizione rego-larmente orizzontale: era chiaramente auspicabile che ilprofilo della navata centrale della chiesa, a nord, aves-se come controparte un profilo consimile ad ovest, inaccordo con le regolari arcate del chiostro. La tranquil-la armonia dell’intero chiostro si sarebbe inevitabil-mente infranta con l’inserzione di corpi di fabbrica dif-ferenti per altezza ed articolazione.

Tutte queste considerazioni sembrano comprovarela conclusione che in origine il vestibolo non dovevaessere piú alto della biblioteca, e che il cambiamentovenne attuato solo ad una fase avanzata della costru-zione, nelle sue linee generali. Perché allora Michelan-gelo abbandonò all’ultimo momento un progetto cheappariva il piú ragionevole dal punto di vista statico,spaziale e topografico?

Forse questo problema non si potrebbe risolvere unavolta per tutte in mancanza di prove documentarie, mafortunatamente una tale prova esiste. Ci è infatti per-venuto un disegno che raffigura con esattezza l’alzatodella parete interna del vestibolo, secondo la versioneoriginaria che ho cercato di ricostruire. Il disegno (fig.3) mostra la parete del vestibolo posta di fronte all’in-gresso, che non è suddivisa in tre livelli, come è oggi, main quattro. Sopra l’alto basamento con le sue due portesi trova il livello principale; sopra questo c’è l’attico einfine la volta7. Nonostante sia stato correttamente iden-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 9

tificato con il vestibolo, questo disegno non è stato fino-ra interpretato appropriatamente: iniziamo dunque conl’esaminare l’articolazione del piano principale. Le par-tizioni con i tabernacoli sono inquadrate da paraste8 eda una trabeazione continua, e sono inframmezzate dacoppie di colonne collocate entro dei rincassi, come nel-l’edificio effettivamente realizzato. Nel vestibolocostruito mancano tuttavia le paraste, e le partizionicon i tabernacoli divengono semplicemente ristrette por-zioni di muro. Nel disegno quindi compaiono tre cop-pie di paraste che non vennero realizzate, e ognuna diqueste paraste ha una larghezza equivalente al diametrodi una colonna. Sono possibili due spiegazioni: o il dise-gno presuppone una pianta di dimensioni maggiori del-l’edificio attuale, complessivamente 6 x 54 centimetri (il

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 10

3. Il disegno tradotto in scala, con la sezione del muro est (a destra).

diametro delle colonne) in piú; oppure, assumendo lapianta del vestibolo come un dato fisso, tutte le mem-brature mostrate nel disegno sono piú piccole di quelleeffettivamente eseguite.

La prima alternativa è chiaramente insostenibile. Lalarghezza del vano da est a ovest era fissata sin dall’ini-zio in 10,31 metri, dato che i muri est e ovest doveva-no essere eretti sopra la serie di ambienti destinati aimonaci. Se prendiamo in considerazione le dimensionimaggiori per le pareti est e ovest (12,75 metri invece di9,51), si ottiene un vano di proporzioni totalmente dif-ferenti, dove le pareti nord e sud sono piú corte di 2,44metri di quelle est e ovest, invece di essere più lunghe di1,20 metri. Ovviamente non si poteva in tal caso impie-gare per le due coppie di pareti uno stesso tipo di arti-colazione. Inoltre alcune piante sicuramente preceden-ti all’epoca di questo disegno mostrano un’area appros-simativamente quadrata. Non c’è bisogno di intratte-nerci oltre su quest’argomento: le dimensioni dei singo-li elementi del disegno debbono essere calcolate in basealle dimensioni attuali della parete, 9,51 metri.

Naturalmente schizzi a mano libera come quello esa-minato non sono disegnati secondo una scala precisa: sipuò anzi dimostrare che in questo caso si verificò unimprevisto cambio di scala proprio durante l’elabora-zione del disegno (vedi Appendice ii). Michelangelo inun primo tempo deve aver tracciato una linea di peri-metrazione a sinistra e una a destra. Le due porte, chevennero inserite prima di definire meglio i livelli delpiano principale e dell’attico, sono equidistanti rispettoa quelle linee. Ma agli altri livelli il perimetro vieneoltrepassato a destra. Senza questo ampliamento dellascala, la nicchia di destra sarebbe stata in asse con laporta, come avviene con la nicchia di sinistra. Miche-langelo non si preoccupò di apportare correzioni, sicco-me era evidente che la porta doveva essere collocata in

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 11

asse9: questo cambiamento di scala pertanto non influi-sce in modo sostanziale sulle conclusioni che esporremo.

La larghezza, una volta fissata, può essere usata perstabilire una scala in base alla quale dedurre approssi-mativamente l’altezza complessiva e le singole misure,anche se tale scala è soggetta a leggere variazioni a secon-da del punto in cui si prende la misura. Partendo dallelinee perimetrali originarie (vedi Appendice ii), l’altez-za totale arriva a 12,25 metri; assumendo la linea ester-na aggiunta dopo, l’altezza è di 11,oo metri. L’altezzadel vestibolo effettivamente realizzato, compresa la cor-nice (moderna), è di 14,63 metri: misura che non trovaaffatto riscontro in questo disegno.

Il piano della biblioteca si trova, come è giusto, a 3metri circa (3,039, per la precisione) sopra quello delvestibolo. L’altezza totale della biblioteca è di 8,43metri. Se il tetto del vestibolo procedesse in continuitàcon quello della biblioteca, il vestibolo dovrebbe avereun’altezza di 11,47 metri (3,04 + 8,43): non c’è dub-bio che questa sia la misura verticale ipotizzata per ilnostro disegno, dato che costituisce la dimensione quasiesatta deducibile in base alla linea perimetrale esterna.

Sembra inoltre molto probabile che il disegno nonrappresenti una semplice fase intermedia del primo pro-getto, ma la sua formulazione definitiva. Tra questotipo di articolazione e quello realmente eseguito si puòriscontrare una linea di sviluppo chiara e inequivocabi-le. Quando Michelangelo, per ragioni che dobbiamoancora esaminare, decise di sopraelevare il vestibolo,divenne necessario trovare un’articolazione per le pare-ti che fosse confacente alle nuove proporzioni. Ma l’ag-giunta di un secondo livello in alto non bastava: biso-gnava aumentare anche l’altezza del livello principale edi quello sottostante. Aumentare l’altezza dei singoli ele-menti comportava anche un aumento in larghezza che,di conseguenza, doveva essere compensato da una cor-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 12

rispondente riduzione da qualche altra parte. Accresce-re l’altezza delle colonne di circa 1,35 metri (da 4,1o a5,46 metri) significava aumentare i loro diametri, dimodo che lo spazio occupato dalle nicchie doveva neces-sariamente ridursi. Così, le paraste che inquadravano lenicchie vennero soppresse. O meglio, non del tutto sop-presse, ma traslate ad occupare la profondità dei rincassimurari grazie ad una rotazione di 90 gradi che le ren-deva ortogonali alla superficie esterna dei tabernacoli, ele poneva in posizione frontale ai lati delle coppie dicolonne annicchiate. Il risultato è quello di una traspo-sizione del primitivo progetto in una nuova dimensione.

Il fatto che il vestibolo realizzato segua le linee gene-rali del disegno con cosí grande aderenza non è il soloelemento che porta ad identificare in tale progetto laversione definitiva della prima soluzione: anche la raf-figurazione dei singoli elementi è molto vicina a quan-to realizzato. Le porte in basso, ad esempio, sono sor-montate da un coronamento identico a quello impiega-to per le finestre esterne della biblioteca, sotto il fron-tespizio. Queste finestre erano in parte già costruiteall’epoca del disegno, e Michelangelo si limitò ad adat-tare all’interno un motivo impiegato all’esterno. Anchenel caso dei tabernacoli, l’indicazione schizzata nel dise-gno rispecchia essenzialmente la soluzione poi realizza-ta. Le parti che li costituiscono si possono ritrovare inspecial modo nel tabernacolo disegnato a sinistra: lamostra interna rettangolare, le paraste laterali a formadi erma, dai capitelli fortemente retrocessi, il ripianosporgente della soglia, il frontespizio arcato di corona-mento in alternanza col frontespizio triangolare, tuttoè qui già definito. E ancora, il livello dell’attico, nel dise-gno, torna nella versione finale, con una trasposizionerilevante ma logica. I riquadri originari dell’attico ven-gono infatti incorporati nel nuovo livello principale, enella realizzazione mantengono pressoché invariata la

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 13

primitiva collocazione, dato che, grazie alla crescita inaltezza del livello basamentale e di quello principale, lesezioni con i tabernacoli raggiungono la quota dei riqua-dri. I pannelli circolari che si alternavano con i riquadridel vecchio attico su un piano arretrato, vengono poispostati sopra le finestre dell’attuale secondo livello,anche se solo al termine di vari tentativi. Nessuno deglielementi che compaiono nel disegno è sacrificato, mavengono tutti riproposti, secondo una nuova logica, nel-l’edificio effettivamente realizzato.

Bisogna però anche ammettere che questo disegnodifferisce per molti aspetti dalla soluzione definitiva.Nel disegno, il livello principale, riccamente articolato,è posto su un basamento piano ed uniforme, mentre ilmovimento di piani arretrati e aggettanti che lo carat-terizza non trova una continuità verticale con l’attico:infatti le parti dell’attico poste sopra le paraste cheinquadrano i tabernacoli sono spinte su un piano arre-trato10. Nell’edificio realizzato, invece, la stessa artico-lazione verticale corre ininterrotta per tutti e tre i livel-li. Nel disegno prevalgono le linee orizzontali: dal pavi-mento alla volta, i piani aggettanti e quelli arretratioccupano le stesse posizioni verticali. Questo muta-mento, tuttavia, è il logico risultato dell’introduzione diun secondo livello, e questo a sua volta è conseguenzadell’accresciuta altezza. Se i due livelli superiori dove-vano essere integrati visivamente, la conclusione logicaera quella di includere anche il livello inferiore nellanuova sistemazione.

L’innalzamento del livello basamentale e di quelloprincipale, assieme all’aggiunta del secondo livello supe-riore, non solo comportò la totale ristrutturazione del-l’articolazione parietale ma ebbe rilevanti conseguenzeanche per il progetto dello scalone, come vedremo piùavanti. Nella prima versione, come risulta dal disegno,la distanza dal pavimento del vestibolo alla base dei

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 14

tabernacoli è di tre metri. In altri termini, la nicchiadoveva iniziare esattamente all’altezza della porta dellabiblioteca: un’idea decisiva per l’articolazione della pare-te in questa fase. Ma con l’accresciuta altezza di tutti etre i livelli, l’idea di un allineamento tra porta e taber-nacoli doveva essere accantonata. A causa della nuovaaltezza dei tabernacoli la porta non è piú in relazione conquesti: cercherò poi di analizzare le ripercussioni di que-sto mutamento sugli aspetti stilistici del progetto.

Tutti i cambiamenti di vasta portata ora esaminati ciriportano alla scelta di sopraelevare il vestibolo, ed èquindi giunto il momento di ricercare i motivi che por-tarono a tale cambiamento. Nella nostra analisi delprimo progetto non è stato finora affrontato un proble-ma di fondamentale importanza: da dove riceveva luceil vestibolo11? Una finestra rettangolare, di circa unmetro per sessantacinque centimetri, è indicata nellavolta. Una finestra di questo tipo poteva essere colloca-ta solo in due delle quattro pareti: quella ovest, mostra-ta nel disegno, e quella nord, contigua alla chiesa. Laparete sud confinava con la biblioteca, mentre il muroest non doveva essere interrotto da bucature, per unifor-marsi a quello della biblioteca. Due finestre di talidimensioni non sarebbero però bastate a dare luce alvestibolo. Possiamo ricavare informazioni sulle idee diMichelangelo per l’illuminazione in questa fase da alcu-ne lettere che è necessario intendere correttamente sevogliamo scoprire la ragione di questa sopraelevazione.

Michelangelo aveva intenzione di dare luce al vesti-bolo dall’alto. Ciò risulta con chiarezza nelle lettere cheMichelangelo ricevette da Fattucci, il 29 novembre del1525, e da P. P. Marzi, il 23 dicembre dello stessoanno12. Un dettagliato passo del Marzi indica senza pos-sibilità di dubbio che qui non ci si riferisce né alla «pic-cola libreria» né alla biblioteca, ma al vestibolo13. Primadi interpretare questo difficile passo occorre riportarlo

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 15

per esteso: «La presente è per farvi intendere come N.S. re alli giorni passati hebbe la vostra de 714 col dise-gno a piedi della libreria, gli mandasti... Et dice, che gliochi disegnati per dare li lumi si pensa habbino ad esse-re una cosa bella; ma che non sa, se la polvere, (che) rice-veranno, sarà maggiore che ’l lume rendere poteranno?Et che alzando il muro duo braccia per fare le finestre,come advisate, et essendo parte del tecto posta su, ethaverlo hora ad diffarlo et tramutare legnami, se ’l reg-gera el peso et15 fara danno alla fabrica?»

I lucernari, in altri termini, erano concepiti per unaparte dell’edificio il cui tetto era già in costruzione:abbandonare tale soluzione per delle consuete finestreparietali avrebbe comportato la demolizione di quantoera stato già realizzato e l’innalzamento del perimetromurario16. Questo passo non può riferirsi alla bibliote-ca, le cui finestre erano state già iniziate nell’aprile del152517, né alla «piccola libreria», che non sarebbe maistata realizzata: deve quindi riferirsi al vestibolo, e il suosignificato diviene chiaro solo alla luce del mutamentodi progetto ora analizzato. Ne consegue che questa let-tera dovrebbe costituire la piú chiara testimonianza ditale cambiamento.

Per comprendere a fondo la lettera del Marzi dob-biamo cercare di ricostruire il senso complessivo delladiscussione tra il papa e Michelangelo. Il passo nella let-tera di Fattucci del 29 novembre suona così: «N. S. apreso piacere, quando lesse, che voi vi eri risoluto a fareil ricetto, siche sollecitatelo. Ora circa alle finestre sopratetto con queli ochi di vetro nel palco dice N. S., chegli pare cosa bella et nuova; niente di manco non ci risol-ve a fare, ma disse, che e’ bisognerebbe saldare dua fratidelli Jesuati, che non attendessino ad altro che a netta-re la polvere». Da ciò risulta con chiarezza che, pocotempo prima, Michelangelo era pronto a realizzare ilvestibolo: bisogna poi ritenere che a quell’epoca i muri

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 16

fossero per buona parte già eretti, e che con l’espressione«fare il ricetto» ci si riferisse alla realizzazione delladecorazione18. Ora, all’ultimo momento, Fattucci scriveper riferire che il papa si opponeva alla costruzione deilucernari. Nella risposta a questa lettera, Michelangelodeve aver spiegato che delle normali finestre avrebberoreso necessaria la sopraelevazione dei muri, sulla cuistabilità non si sentiva di dare garanzie, oltre alla demo-lizione della copertura del vestibolo, che era già in sito.Tale lettera è andata smarrita, ma la missiva del Marzidel 23 dicembre ne deve costituire la risposta. Qui ven-gono discusse entrambe le soluzioni, anche se la deci-sione ultima appare affidata a Michelangelo. Ma, aquanto sembra, la faccenda non era stata ancora risol-ta. Evidentemente solo con grande riluttanza e dopo unulteriore e dettagliato scambio di lettere col papa Miche-langelo venne persuaso ad abbandonare l’idea dei lucer-nari. E solo il 23 febbraio 1526 apprendiamo che ilvestibolo doveva essere costruito secondo quanto pro-posto («in modo avisata»)19. Passarono quindi due buonimesi dalla lettera del Marzi prima che la forma defini-tiva della sopraelevazione fosse concordata in dettaglio.

La datazione del disegno esaminato deve collocarsidopo il 12 aprile 1525, poiché la rampa di scale vi appa-re staccata dal muro, e prima del 29 novembre, data chesegna l’inizio della proposta di innalzare il vestibolo. Ildisegno è poi congruente con l’idea di una coperturapiana con i lucernari («occhi»). Appare quindi con chia-rezza dai documenti riportati e dagli indizi al riguardopresenti nel monumento stesso, che Michelangelo presecontrovoglia la decisione di modificare il progetto. Larichiesta di papa Clemente di adottare delle normalifinestre al posto dei lucernari era evidentemente detta-ta da considerazioni di ordine pratico piú che estetico:egli non era in grado di seguire le audaci ed eterodosseidee michelangiolesche. Per quanto ne so, questi lucer-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 17

nari sarebbero stati i primi concepiti per un edificioprofano.

Sulle prime Michelangelo oppose resistenza allerichieste del papa, per salvaguardare la logica internadella propria idea. In seguito, invero, tale idea avrebbefornito lo spunto iniziale per una concezione del tuttonuova, ma c’era bisogno di una «pausa creativa» di varimesi perché delle intuizioni ancora sotterranee e indi-stinte prendessero definitivamente corpo. Prima chequesto processo interno di mutamento avesse luogo,Michelangelo cercò di formulare una proposta di com-promesso, presto abbandonata.

Tale proposta di compromesso la si può desumere inbase alla lettera del Marzi. Cercando di salvaguardarequanto possibile dello schema originario, Michelangeloaveva proposto di sopraelevare il vestibolo di due brac-cia (1,15 metri). Non è difficile indovinare le sue inten-zioni: il livello principale nel progetto originario era alto5,10 metri, mentre la parete soprastante era di 3,75metri. Aggiungendo a quest’ultima porzione altri 1,15metri Michelangelo sarebbe arrivato ad un totale di 4,90metri. Questo spazio doveva essere occupato dalle nuovefinestre e quindi doveva essere articolato come un sin-golo livello, ma la sua altezza sarebbe rimasta di pocoinferiore a quella del livello principale.

Questa fase intermedia, con il mantenimento del livel-lo principale raffigurato nel disegno da una parte, e l’in-troduzione di un secondo livello della stessa altezza dal-l’altra, può avere rappresentato una necessaria fase di svi-luppo per il progetto finale del vestibolo, ma non pote-va certo costituire una soluzione definitiva al problema.Prendendo in considerazione i piú importanti dati, l’al-tezza delle finestre non poteva superare 1,50 metri, misu-ra non certo sufficiente a fornire un’adeguata illumina-zione. Inoltre la finestra avrebbe occupato una posizio-ne spiacevolmente alta all’interno del secondo livello, a

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 18

2,25 metri dalla sua base. Una posizione cosí distanzia-ta sarebbe stata difficile da sistemare in modo artistico,e la forma schiacciata della finestra, allo stesso modo, sisarebbe inserita con difficoltà entro un’incorniciaturarettangolare, né avrebbe armonizzato con i tabernacolidel livello principale. Solo con un’ulteriore sopraeleva-zione del vestibolo, che avrebbe comportato una cresci-ta in altezza anche del livello basamentale e di quelloprincipale, si sarebbero potuti aggirare questi problemi.

Un altro fattore, tuttavia, avrebbe esercitato unadecisiva influenza a sfavore di questo progetto inter-medio. Abbiamo già visto che Michelangelo era preoc-cupato della stabilità dei muri, se questi fossero statiinnalzati oltre i limiti definiti nel primo progetto. Inrealtà tale apprensione era giustificata solo per il muroest (di facciata): quello nord si appoggiava alla chiesa,quello sud confinava con la biblioteca e quello ovest(retrostante) si poteva consolidare agevolmente. Ora,quasi sicuramente Michelangelo pensava che l’aperturadelle finestre pregiudicasse la stabilità dei muri: unaconvinzione che oggi può sembrare assurda ma che èconfermata dall’autorità dell’architetto settecentesco G.I. Rossi20, che era stato educato nella tradizione fioren-tina. Il principale inconveniente di questa soluzioneintermedia era costituito dalle finestre che si dovevanonecessariamente realizzare tanto nella parete est quan-to in quella ovest. Infatti non potevano essere utilizza-ti a tal fine né il muro sud, confinante con la bibliote-ca, né quello nord, adiacente ad una cappella del lato suddel transetto di San Lorenzo. Se invece Michelangeloavesse innalzato ancor più i muri, cosí da rendere pos-sibile l’inserimento di finestre a nord, si potevano evi-tare le finestre ad est. Che questa potesse essere unapreoccupazione di Michelangelo è confermato in mododecisivo dal fatto che, prima del rifacimento moderno,la facciata est era priva di finestre.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 19

Credo che si possano ravvisare tracce del progettointermedio in alcuni schizzi di finestre oggi conservatiin Casa Buonarroti. Uno di questi raffigura una mostradi finestra affiancata a destra da paraste binate: ancheipotizzando per questo progetto la scala definitiva, laposizione della finestra è ancora troppo alta. Altri dise-gni21 mostrano la forma definitiva delle finestre, masenza l’intelaiatura architettonica circostante22. Può sem-brare azzardato basare una ricostruzione cosí elaboratadel progetto intermedio solo in base al rapido accennosulla sopraelevazione di due braccia dei muri. TuttaviaMichelangelo non avrebbe fatto questa proposta senzamotivazioni molto concrete: ci dev’essere un’idea dietrotale accenno, e quest’idea non sembra dare adito adinterpretazioni diverse da quella ora avanzata.

Dopo aver delineato, per quanto possibile, la storiacostruttiva del vestibolo, dovremmo porci una doman-da: la facciata incompiuta è stata poi completata cor-rettamente? La facciata relativa al primo progetto puòessere concepita senza alcun dubbio come la prosecu-zione del prospetto della biblioteca così come oggi si pre-senta: invece le idee di Michelangelo per la facciata delprogetto definitivo sono di problematica ricostruzione.Nondimeno è possibile osservare che il restauro effet-tuato attorno al 1900 mostra evidenti manchevolezze.Tali manchevolezze derivano in sostanza dal fatto che irestauratori interpretarono erroneamente la facciataincompiuta come un progetto unitario, invece che comeuna fase intermedia tra una soluzione e un’altra. Ilprimo problema era rappresentato dal muro sud delvestibolo, posto sopra il tetto della biblioteca: era pro-prio in questo punto che la rottura dell’unità tra biblio-teca e vestibolo aveva causato la difficoltà maggiore. Nelprogetto originario il muro che separava la biblioteca dalvestibolo non veniva segnalato all’esterno, mentre nellanuova versione era chiaramente visibile, e quindi richie-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 20

deva d’essere condotto fino a terra, con tutta l’impor-tanza che gli spettava e non alla stregua di una sempli-ce fasciatura della biblioteca. Michelangelo non halasciato indicazioni su come volesse superare tale diffi-coltà. Un secondo problema era rappresentato dallo spi-golo nord della facciata del vestibolo, con i suoi conciangolari, e qui il maestro non ha lasciato dubbi circa leproprie intenzioni: i conci dovevano sparire sotto unostrato d’intonaco. In altri termini lo spigolo dovevaessere tenuto in sottordine, senza la sottolineatura dellaprima soluzione. Nella ricostruzione moderna, insensa-tamente, la fila di conci è stata prolungata sino al tetto,mentre il problema del muro sud del vestibolo sopra labiblioteca è rimasto totalmente irrisolto. Sembra che irestauratori abbiano semplicemente mirato a distoglie-re l’attenzione da tale problema, e di conseguenza nonhanno proseguito in questa zona il cornicione che com-pare sul fronte est. Anche il muro nord ricevette lo stes-so trattamento, per ottenere un insieme coerente, ma intal modo, limitando il cornicione alla sola facciata, l’u-nico risultato fu quello di conferire al monumento uneffetto di piatto fondale scenico, con l’enfatica sottoli-neatura dei conci angolari a nord che risalta come un’ag-giunta non organica. L’idea di escludere i lati nord e suddall’impianto della facciata era ovviamente intesa a con-ferire omogeneità a quest’ultima, ma tutto ciò ha solol’effetto di far apparire il tetto come un elemento privodi connessioni.

L’operazione successiva dei restauratori (del tuttoingiustificata, se si pensa a come si presentava allora laparete) fu quella di aprire tre finestre sul prospetto est,creando delle mostre che sono un pastiche ottenuto com-binando elementi delle finestre interne ed esterne dellabiblioteca. Queste finestre almeno sono coerenti con leintenzioni di Michelangelo, ma il modo in cui vennerorealizzate contraddice alcuni dei principî fondamentali

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 21

della costruzione. All’esterno le dimensioni delle buca-ture vennero aumentate di 30 centimetri in altezzarispetto all’interno. La costruzione poi è piú alta di 1,6ometri rispetto a quanto venne realizzato da Michelan-gelo, e proprio questo conferisce al piano superiore unapreponderanza cosí marcata su quello inferiore. Lasopraelevazione moderna aveva lo scopo di aumentarela distanza tra i frontespizi delle mostre e il cornicione,accentuando cosí la distinzione tra la scatola del vesti-bolo e la biblioteca. Stesso effetto sortisce la conforma-zione del tetto: Michelangelo aveva lasciato un sempli-ce tetto a due falde sopra i muri rustici del vestibolo, lacui inclinazione seguiva gli stessi angoli del tetto dellabiblioteca: un chiaro segno che denunzia la comunanzadei due corpi di fabbrica. Il nuovo tetto è invece a pira-mide (ossia con una configurazione centrica) e rende piúpronunciata la separazione: un tetto di tale forma siadatta male ad un impianto asimmetrico e per questasola ragione non avrebbe mai dovuto essere impiegatoqui. Nondimeno bisogna ammettere che il completa-mento moderno della facciata ha avuto miglior riuscitadi quanto non accada solitamente per restauri di questotipo: infatti molti dotti studiosi hanno creduto che lanuova facciata fosse quella originale23.

Riassumendo: prima del restauro d’epoca moderna lafacciata era il risultato di due (o tre, se contiamo anchela fase intermedia) differenti progetti. La costruzionenon offre alcun indizio di come si sarebbe presentata lafacciata nella sua versione definitiva. Certamente, primache il progetto definitivo potesse realizzarsi, si sarebberodovute apportare alcune modifiche alla costruzione. Ilmantenimento della fila uniforme di finestre cieche, aprosecuzione di quelle della biblioteca, rappresenta unasoluzione di compromesso. Ma in fondo Michelangeloaveva veramente intenzione di portare a termine la fac-ciata? Sia le fonti scritte che i disegni tacciono su que-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 22

sto punto. Il 18 febbraio 1559 Ammannati scrisse aCosimo I, riferendo che sperava di ricevere da Miche-langelo un modello per la facciata24: non sapremo maicosa avesse in mente l’anziano maestro.

L’iter progettuale della biblioteca e del vestibolo.

Le discussioni iniziali tra il papa e Michelangelo perla scelta del sito e per dare avvio alla costruzione sonoben documentate (vedi Appendice iii). Inoltre, ciò cheè piú importante, i pochi disegni rimastici possono esse-re utilizzati, come già nel paragrafo precedente, per get-tare nuova luce sullo sviluppo delle concezioni artistichedi Michelangelo.

Il primo progetto della biblioteca è un disegno in alza-to conservato in Casa Buonarroti (Firenze, Casa Buo-narroti, 42). Frey e Thode25 credevano si trattasse di unprogetto per il vestibolo; Tolnay26 invece pensava ad unoschizzo per l’interno della biblioteca. Tolnay è di sicuronel giusto: difatti il disegno è uno dei primi progetti perla biblioteca, databile ad una fase che precede qualsiasidecisione presa riguardo al vestibolo27. Ma l’interpreta-zione di questo schizzo è resa piú complessa da un parti-colare che non dev’essere trascurato. Il disegno era statotracciato in un primo tempo con un gessetto rosso e poiMichelangelo lo aveva ripassato a penna, ma non intera-mente, evitando di continuarlo a destra (la successivafinestra cieca è visibile solo in rosso) e ignorando un terzolivello indicato all’estrema sinistra. In senso orizzontaleuna prosecuzione del ripasso a penna era superflua, datoche lí il disegno era una semplice ripetizione. Poiché sol-tanto due livelli sono stati ridisegnati a penna, siamoautorizzati a credere che il debole contorno rosso delterzo livello sia semplicemente un’idea transitoria, abban-donata durante l’elaborazione del disegno28. Quindi, solo

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 23

prescindendo da questo terzo livello possiamo mettere inrelazione con sicurezza il disegno con la biblioteca: nonè infatti concepibile che Michelangelo potesse aver seria-mente pensato a un alzato dell’interno a tre livelli. A parteogni considerazione d’ordine estetico, bastavano solo iproblemi di statica per obbligare Michelangelo a tenerel’altezza della biblioteca entro limiti prefissati.

Dobbiamo quindi iniziare la nostra analisi del dise-gno avanzando un’ipotesi: bisogna supporre che l’altez-za della parte di disegno tracciata a penna debba corri-spondere all’attuale altezza della biblioteca: verifiche-remo poi se l’alzato sia rispondente a tale assunto. Illivello principale corrisponde con buona precisione aldisegno per a vestibolo precedentemente esaminato. Lefinestre in basso sono cieche (la tamponatura è indicatacon un tratteggio a penna), mentre delle vere finestresono previste solo per il livello superiore. Tenendo contodel basamento e del parapetto, le finestre cieche sonoposte ad un’altezza di circa 1,50 metri. In effetti l’ubi-cazione del tetto del chiostro impediva l’apertura difinestra ad un’altezza inferiore a 2,50 metri dal pavi-mento della biblioteca: questo può spiegare perché lefinestre del disegno siano cieche, e può dare maggiorpeso all’ipotesi che il disegno si riferisca alla biblioteca.

È inoltre possibile dimostrare che le prime idee diMichelangelo per l’articolazione della biblioteca si sianomosse in questa direzione. Nel progetto in esame l’al-tezza del basamento è di circa 75 centimetri. Questo ele-mento cosí basso, unitamente al movimento di pianiarretrati e aggettanti dell’articolazione parietale, avreb-be reso impossibile la sistemazione dei banchi a ridossodel muro, come sarebbe poi avvenuto. Michelangelo,quindi, deve aver concepito gli spazi attigui ai muricome corridoi aperti per il passaggio, assieme ad unaltro corridoio ricavato al centro. In una lettera del 3aprile 1526 Fattucci riferisce che il papa desiderava che

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 24

il soffitto venisse scompartito in modo da riprendere lasuddivisione del pavimento, ossia in modo «che come intera sono tre vie, che mettono in mezo due ordini dibanchi, cosí vorebe fussi nel palco»29. All’epoca di que-sta lettera, tuttavia, la forma definitiva della bibliotecaera stata già decisa da tempo, da circa due anni, e la sop-pressione dei percorsi accanto alle finestre è un ele-mento decisivo del programma definitivo.

Bisogna ancora dire qualcosa circa l’articolazione del-l’interno. Nell’edificio realizzato Michelangelo trattòcome un episodio a parte un piano basamentale neutroalto 1,49 metri che corre per tutta la biblioteca, eccezionfatta per le mostre delle porte alle due estremità. Sopraquesta zona neutra si imposta l’ordine. Tale basamentopuò essere stato concepito solo in funzione della colloca-zione dei banchi a ridosso della parete. Ma come funzio-na il progetto d’insieme? Entrando nella biblioteca ilvisitatore può osservare ancor oggi dal corridoio centra-le l’ambiente nella sua intera altezza, dal pavimento al sof-fitto. Ma il visitatore percepisce anche la superficie supe-riore dei banchi, che in una visuale fortemente scorciataassume il valore di un secondo livello su cui s’imposta l’or-dine. In tal modo diviene possibile collocare le finestre a2,50 metri da terra (ossia la quota minima consentitadalla posizione del tetto del chiostro) senza che si avver-ta alcuno scompenso visivo. Inoltre in questo modo si èpotuto impiegare un ordine gigante, per conferire all’am-biente il carattere uniforme e severo confacente alla quie-te di una biblioteca, senza però farlo apparire esagerata-mente alto, dato che, dal corridoio centrale, si è sempreconsapevoli dell’altezza effettiva dell’ordine. Eliminando,infine, i passaggi laterali Michelangelo acquistò spazio perla collocazione dei libri, elemento sempre di primariaimportanza in ogni discussione.

Questa geniale risoluzione, che assolveva sia a requi-siti pratici che estetici, era certamente il frutto di un’am-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 25

pia riflessione da parte di Michelangelo: di sicuro eglidovette tener conto della sistemazione dei banchi nelcorso della progettazione, ma la lettera del papa datata3 aprile 1526 rivela che i suoi propositi non erano com-presi appieno a Roma. Quando il papa parla di due filedi banchi intervallati da tre passaggi, si riferisce ad unoschema che Michelangelo aveva abbandonato già nel-l’aprile del 1524.

Il disegno (Casa Buonarroti 42) mostra gli elementideterminanti che compongono il progetto della biblio-teca nella sua prima versione. Ulteriori approfondimen-ti ci permetteranno di collocare meglio tale disegnoall’interno dell’iter progettuale, ma da questo punto inpoi dovremo basarci piú su ipotesi che su deduzioni,dato che non ci sono pervenuti altri alzati dell’internodella biblioteca.

Il disegno cronologicamente successivo, conservatoad Haarlem, raffigura l’articolazione parietale del vesti-bolo. La sua autenticità è stata messa in dubbio da Tol-nay30, ma penso che tale problema si chiarirà da sé quan-do avremo identificato ciò che il disegno rappre senta;operazione che finora non è stata seriamente tentata.

A tal fine si rivela importante solo la parte sinistra delfoglio e non le piante a destra, che devono essere statedisegnate piú tardi. Il lato sinistro si compone di dueparti. In quella inferiore compaiono tre elementi: inbasso un basamento con una scala; sopra, un episodiointermedio, che ha la funzione di un ulteriore e piúcorto basamento; infine il livello superiore, intervallatoda un’ordinanza. Questo livello è ripreso nella partesuperiore ad una scala di poco maggiore, di modo che ilquarto interasse a destra (una ripetizione di quello all’e-stremità sinistra) non viene replicato nel disegno. Sesupponiamo che la larghezza dell’alzato inferiore corri-sponde alla misura effettiva di 9,51 metri, ne risultaun’altezza di 2,50 metri per il basamento, che corri-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 26

sponde approssimativamente alla corrispettiva quota deldisegno di Casa Buonarroti prima esaminato. Tale altez-za è anche quella della scala, che ha tredici gradini alti19 centimetri e profondi 29. Malgrado il carattere dischizzo di questo disegno, la scala di misure adottata èimpiegata coerentemente in ogni parte: evidentementeil disegnatore doveva proprio avere il «sesto nell’oc-chio». L’altezza dell’elemento intermedio si aggira intor-no a 1,8o-2 metri, mentre l’altezza del livello principa-le, dalla base alla soglia delle finestre (desunta dal piúdettagliato disegno in alto) è di circa un metro. Ladistanza totale dal pavimento alla soglia delle finestre siaggira quindi sui 5,30 - 5,50 metri.

Ora, quella di 5,50 metri è esattamente l’altezzaminima alla quale le finestre della biblioteca potevanoessere sistemate. Questa non può essere una coinciden-za, ma deve costituire la prova che la prima intenzionedi Michelangelo era di aprire delle finestre nel vestibo-lo alla stessa altezza di quelle della biblioteca: l’idea diarticolare l’interno e l’esterno del vestibolo in sintoniacon le corrispettive parti della biblioteca rappresentainfatti una logica premessa da cui partire.

Se questo è il nostro caso, dovremmo essere in gradodi desumere questa fase del progetto di Michelangeloper la biblioteca in base all’articolazione mostrata nelloschizzo di Haarlem per il vestibolo. La ragione per tene-re alte in modo cosí poco pratico le finestre del vestibolopuò essere solo stata quella di allinearle alle finestredella biblioteca. A quest’epoca, quindi, le finestre dellabiblioteca dovevano essere già state progettate nella loroposizione definitiva, a 2,50 metri dal pavimento di quel-l’ambiente: dovremmo supporre, alla luce delle conclu-sioni ora esposte, che l’alzato dovesse essere già suddi-viso in una zona neutra inferiore e in un ordine gigan-te superiore.

Ciò che invece non dovremmo supporre è che la siste-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 27

mazione uniforme della biblioteca effettivamente rea-lizzata fosse stata già decisa allora. Al contrario, lo schiz-zo di Haarlem indica uno stadio intermedio tra la primasoluzione e quella definitiva. Il primo progetto, va ram-mentato, presentava nel livello superiore un ritmoa-b-a-b di mostre di finestre (una piú alta a terminazio-ne semicircolare e una piú bassa e coronata da un fron-tespizio). Nella fase testimoniata dal disegno di Haarlem(nell’ipotesi che si possa applicare lo stesso schema allabiblioteca e al vestibolo), il ritmo è invece mutato in unasequenza a-bb-a-bb. Gli interassi ai due lati sono piúavanzati rispetto alle parti centrali: queste ultime sonoinframmezzate da colonne e risultano separate dalleparti laterali, che sono invece inquadrate da paraste31. Lefinestre ai lati, inoltre, sono a terminazione piana, conun frontespizio spezzato e una mostra simile a quella rea-lizzata all’esterno della biblioteca. Le finestre centralihanno dei frontespizi semicircolari e mostre con deirisalti verticali ai lati32. In altri termini, gli stessi due tipidi finestre con cui era articolato il primo progetto sonostati in pratica riproposti, e disposti secondo un ritmodifferente.

Se Michelangelo tentava di articolare il vestibolo inquesto modo al fine di disporre le finestre alla stessaquota e con lo stesso ritmo delle finestre della bibliote-ca, la costruzione dei due livelli inferiori raffigurati nelloschizzo di Haarlem diviene automaticamente necessaria.Unire entrambi i livelli in un singolo piano alto circa4,50 metri era impossibile, visti i requisiti necessari perle porte, la scala e le proporzioni delle pareti. Ma que-sta soluzione, per quanto potesse sembrare logica, nonera destinata a venire realizzata. Forse rappresenta untentativo che convinse il maestro che i problemi dellabiblioteca e quelli del vestibolo erano talmente differentida rendere impraticabile un trattamento unitario dientrambi. Michelangelo, su tali basi, dovette rendersi

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 28

conto che le finestre del vestibolo non potevano essererealizzate allo stesso livello di quelle della biblioteca, eche se si doveva conservare un assetto unitario all’e-sterno egli doveva inevitabilmente rassegnarsi ad ope-rare una totale separazione tra il prospetto esterno e l’al-zato interno del vestibolo.

È importante appurare l’epoca in cui Michelangeloera arrivato alla temporanea soluzione del problemadella biblioteca, raffigurata nello schizzo di Haarlem. Il29 aprile 1524 Fattucci scrive da Roma: «et circa allescale gli (al papa) piace assaj la salita di dua scale». Ciòfornisce un termine ante quem per il disegno di Haarlem.Il primo progetto di Michelangelo per la biblioteca giun-se a Roma il 21 gennaio 1524 (vedi Appendice iii), e lericevute per altri progetti vennero accusate da Roma il10 marzo e il 13 aprile del 1524. Lo schizzo del primoprogetto per la biblioteca, se venne realizzato per ilpapa, dev’essere stato tra questi, e di lí a poco sarebbestato seguito dal disegno di Haarlem.

Sulla base dello schizzo di Haarlem, un altro disegnodi Casa Buonarroti può essere individuato e messo inrelazione all’articolazione del vestibolo (e questo, diconverso, comprova l’autenticità dello schizzo di Haar-lem): disegno che testimonia di un decisivo passo avan-ti verso la separazione tra prospetto interno ed esterno,anche se vi si possono ravvisare con chiarezza elementidesunti dal progetto di Haarlem.

In entrambi i casi la parete è suddivisa in quattrointerassi: la partizione a sinistra non è disegnata, madev’essere presupposta per simmetria con quella didestra. Il risultato è che al centro non compare piú unafinestra (o, per la precisione, una nicchia) ma una colon-na. Questa caratteristica inconsueta fece credere aGeymüller che lo schizzo di Casa Buonarroti fosse unprogetto di Michelangelo per la facciata di Santo Spiri-to, ma non appena si comprende il legame con il pro-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 29

getto di Haarlem33 tale ipotesi appare manifestamenteerrata. Il secondo disegno è infatti, con buona eviden-za, uno sviluppo del primo. Il livello intermedio delloschizzo di Haarlem, tra la sommità della scala e le colon-ne, è ora logicamente incorporato nel livello principale34,cosicché l’ordine ora si impianta direttamente sul basa-mento al quale lo scalone è addossato. Delle parastegiganti unificano in verticale il nuovo livello principale,ma la sua grande altezza (piú di 7 metri) richiedevaanche una scansione in senso orizzontale. Le colonneoccupano circa quattro settimi dell’intera altezza,lasciando lo spazio superiore libero per sistemarvi dellenicchie: spazio che acquista quasi il carattere di unsecondo livello35.

Come nel progetto di Haarlem, i due interassi media-ni sono intervallati da paraste, ma se in quella soluzio-ne gli interassi esterni risultavano aggettanti, ora appaio-no in posizione arretrata rispetto al centro che avanza.Solo in questo modo si può spiegare perché tutte lelinee orizzontali degli interassi esterni (o, per la preci-sione, di quello di destra, l’unico effettivamente dise-gnato) sono piú basse di pochi millimetri rispetto agliinterassi centrali. Un basamento rettangolare sotto i dueinterassi centrali indica che le due paraste giganti appar-tengono alla sezione aggettante». Ogni interasse haeguale ampiezza, come nel progetto di Haarlem, dimodo che il centro aggettante è largo esattamente ildoppio di un interasse laterale.

Tutti questi caratteri mettono in stretta relazionereciproca i due progetti. Ma la versione di Casa Buo-narroti presenta anche elementi totalmente nuovi. Adesempio non ci sono finestre: le aperture indicate neidue interassi centrali, sotto le nicchie arcate a tuttosesto37, sono porte. Nei suoi schizzi per il vestiboloMichelangelo raffigura solitamente la parete ovest, main questo caso è mostrata la parete sud, che divide il

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 30

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 31

vestibolo dalla biblioteca. In un impianto a quattro inte-rassi la biblioteca sarebbe risultata in asse con una sezio-ne di muro e non con una apertura: in tal modo biso-gnava aprire dal vestibolo un doppi0 fornice d’ingressoalla biblioteca. Questo duplice ingresso è nuovamentedisegnato a scala ridotta a sinistra, dove compaionoaccenni di ulteriori idee per conferire alle porte unamaggiore individualità, inserendo nei pannelli superio-ri dei motivi circolari o apponendo archi superiori atutto sesto. Il rettangolo in cima doveva probabilmenteessere occupato da un’iscrizione. La mancanza di fine-stre rende possibile un’articolazione parietale che non sisarebbe potuta realizzare nella fase del progetto di Haar-lem, dove la quota sia delle porte che delle finestre eraprefissata, e non era possibile trattare questi due ele-menti in un’armoniosa relazione reciproca. Ora invecel’apertura delle porte non solo determina l’altezza delpiano basamentale, ma la loro altezza di 3 metri deter-mina quella delle nicchie laterali, che riprendono laforma delle porte38. L’idea di far corrispondere le nicchiealle porte quanto a livello e ad altezza era un passo deci-sivo verso la soluzione definitiva39.

Non ci sono indicazioni di finestre nello schema diCasa Buonarroti, né era possibile realizzarle: dobbiamoquindi concludere che era già prevista l’illuminazionedall’alto. Tra l’alzato di Haarlem e questo sono quindistate adottate due innovazioni radicali e strettamentecomplementari: l’indipendenza dell’articolazione internadel vestibolo dalla facciata e la sua illuminazione permezzo di lucernari. Siamo cosí arrivati alla versione defi-nitiva del primo progetto con la quale ho aperto questostudio. Partendo dal progetto di Haarlem, Michelange-lo ha sviluppato la versione poc’anzi esaminata, e con ilgrado di libertà cosí ottenuto ha potuto svolgere il pro-getto illustrato in fig. 10, adattando un impianto che erastato originariamente progettato per la biblioteca, conalcune sintomatiche modifiche40. Questo, dunque, era il

progetto definitivo fin quando Michelangelo non fucostretto a sopraelevare il vestibolo per volere del papa.

Un’approssimativa datazione per il disegno di CasaBuonarroti si può desumere in base ai seguenti dati. Iltermine post quem dev’essere il 29 aprile 1524. Da allo-ra fino all’aprile del 1525 i problemi del vestibolo per-dettero d’importanza, per poi tornare preminenti solo inrelazione allo scalone. Dato che lo schizzo di Haarlemnon costituisce una soluzione pratica, il disegno di CasaBuonarroti dev’essere datato alla primavera o all’estatedel 1525: con questo progetto si prepara il terreno perla separazione tra gli impianti della biblioteca e del vesti-bolo, anche se tale separazione non vi viene esplicitata.Ciò che la sequenza qui proposta rivela è una progres-siva chiarificazione di temi che portano alla versionedefinitiva del primo progetto.

Il passaggio da questo punto d’arrivo della prima solu-zione al progetto realmente eseguito si può tracciare nonsolo considerando gli studi per i particolari di finestre dellivello superiore, già menzionati, ma anche un foglio oraconservato nel British Museum, che mostra un’impor-tante fase della progettazione del livello basamentale. Ilfoglio presenta disegni su entrambi i lati: tra questi il piúimportante non è uno schizzo di una prima idea, ma èun’accurata elaborazione di una proposta che aveva giàpreso forma definitiva. Sul verso del foglio ci sono altredue serie di disegni, una realizzata prima del disegno sulrecto e l’altra dopo. La prima è una serie di sette varian-ti di modanature inferiori per il basamento (in alto al cen-tro e a destra); la seconda consiste in cinque studi per lemodanature alla base delle colonne del livello principale(in alto a destra e a sinistra; al margine sinistro; in bassoal centro)41. Tra il disegno sul recto e quanto realizzatol’unica differenza è la sistemazione di nicchie nel basa-mento, sotto i tabernacoli: idea piú tardi abbandonata.Gli schizzi di questo foglio di Londra si possono datare

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 32

con esattezza all’epoca del mutamento del progetto, ossiala fine di febbraio del 1526. A quest’epoca appartengo-no anche i profili di basamento a grande scala di CasaBuonarroti, che vennero aggiunti su dei fogli già impie-gati da Michelangelo per la stesura del progetto per loscalone, nell’aprile del 152542. E con questo siamo giun-ti al termine dei disegni che illustrano lo sviluppo dellabiblioteca e del vestibolo43.

Lo scalone.

Negli studi sulla Biblioteca Laurenziana l’interessemaggiore si è sempre incentrato sullo scalone. Il lavorodi Panofsky44 ha risolto importanti problemi concer-nenti la sua storia piú tarda; ma il numero dei problemiaperti è ancora tale che sarà bene esporre nuovamentel’intera successione dei fatti.

Fase 1. Nel progetto spedito a Roma e ricevuto daFattucci il 10 marzo 152445, Michelangelo ha esplicita-mente lasciato in sospeso il problema di come intendes-se trattare il dislivello tra il vestibolo e la biblioteca, edevidentemente deve aver promesso di spedire un dise-gno raffigurante la scala in un secondo momento.

Fase 2. Questo disegno venne richiesto il 3 aprile1524 e la relativa ricevuta venne accusata il 29 aprile46.Lo scalone qui raffigurato ha due rampe («la salita di duascale») e possiamo, d’accordo con Tolnay47, ravvisaretale progetto in uno schizzo dell’Archivio Buonarroti.Credo si possa inoltre dimostrare che lo schizzo di Haar-lem rappresenti lo stesso scalone, dato che i due progettisono quasi esattamente coincidenti nelle misure del pia-nerottolo, nella lunghezza del gradino e nello spaziolibero ai piedi della scala48.

La forma qui adottata da Michelangelo è quella soli-tamente impiegata nella terminazione orientale di una

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 33

chiesa: una rampa a destra e una a sinistra, addossate allepareti, che portano ad un coro sopraelevato e che inqua-drano al centro l’ingresso ad una cripta49. Questa somi-glianza con una soluzione tipica di una chiesa appare conmaggiore evidenza in disegni posteriori, dove è inseritoun ingresso tra le due rampe. Lo scalone di Buontalen-ti per Santa Trinita (ora in Santo Stefano a Firenze)deriva dai progetti di Michelangelo per la Laurenzianae dimostra che tali soluzioni potevano adattarsi egre-giamente in un impianto di chiesa.

Fase 3. Per un anno circa (dal 29 aprile 1524 ai primidi aprile del 1525) i problemi connessi allo scalone resta-no sullo sfondo, mentre viene stipulato il contratto, get-tate le fondamenta, costruita la struttura muraria e si ini-zia la realizzazione dei particolari della biblioteca. Suc-cessivamente, il 12 aprile 1525, Fattucci scrive a Miche-langelo: il papa desidera che egli abbandoni l’idea di unoscalone doppio, in favore di una singola rampa di scaleche occupi l’intera larghezza del vestibolo50. Questo rin-novato interesse per lo scalone da parte del papa è pro-babilmente dovuto al fatto che Michelangelo aveva spe-dito poco prima alcune nuove proposte, con idee auto-nomamente elaborate e che erano maturate nel corso delprecedente anno. Esistono difatti due disegni di scale chesi possono datare, molto plausibilmente, ad un’epoca dipoco precedente alla lettera di Fattucci: la pianta delvestibolo (Casa Buonarroti 89) ed il relativo alzato (CasaBuonarroti 92). Questa ipotesi di datazione viene raffor-zata dalla stretta affinità tra questi due disegni e altrischizzi per lo scalone che possono essere stati realizzatisolo poco dopo il 12 aprile51. Inoltre è possibile dimo-strare che un altro disegno sullo stesso foglio di CasaBuonarroti 89, che raffigura un prolungato vano conpilastri angolari, sia stato eseguito poco prima di allora.

In questi due disegni non sono state apportate modi-fiche sostanziali allo scalone previsto nella primavera del

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 34

1524. La doppia scala addossata alle pareti viene man-tenuta, ma diviene piú monumentale52. La lunghezzadelle singole rampe si aggira tra i 2,5o e i 3 metri, rispet-to ai due metri di prima, e la pedata di ogni gradinoaumenta di conseguenza in profondità. L’ampio ripiano,maggiore di quello progettato nella primavera del 1524,è ora suddiviso in tre pianerottoli: quello al centro,davanti all’ingresso alla biblioteca, risulta innalzato tra-mite tre o quattro scalini rispetto ai ripiani posti al ter-mine delle due rampe. Fino a questo punto il numerototale di gradini è di dodici o tredici. Non c’è dubbioche in tal modo si può raggiungere il livello della cima-sa che corona il livello basamentale del vestibolo. Nellapianta sono inoltre raffigurati tre gradini piú piccoliche, partendo dal ripiano centrale, raggiungono la portadella biblioteca. Questo ripiano maggiore deve quindiessere posto ad una quota di poco inferiore a tre metrida terra, poiché tale è la differenza tra la quota delvestibolo e quella della biblioteca.

Il disegno (Casa Buonarroti 89) è sull’altro lato dellostesso foglio: Tolnay credeva che pianta e alzato si rife-rissero ad uno stesso progetto, ma non può essere così.La pianta mostra solo un ingresso alla biblioteca, men-tre l’alzato, come abbiamo visto, ne mostra due. Né sipuò far concordare la lunghezza dello scalone rappre-sentato in pianta con l’articolazione dell’alzato53. Abbia-mo anche dimostrato che tale disegno deve risalire all’e-state del 1524. L’alzato che corrisponde molto meglio aquesta pianta è il Casa Buonarroti 48: questo disegnopresenta la stessa partizione della parete in cinque set-tori che la pianta presuppone, e un livello basamentalela cui altezza corrisponde molto bene alla quota delripiano collocato in pianta.

Fase 4. Sul verso del disegno Casa Buonarroti 92 (alcentro a sinistra) compare una pianta che soddisfa larichiesta del papa per una scala che occupasse l’intera

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 35

larghezza del vestibolo54. Tale disegno mostra un evi-dente legame con la pianta che abbiamo prima esami-nato. L’unica differenza è che qui lo spazio tra le duerampe è occupato da una scalea concava. L’alzato cor-rispettivo va rinvenuto sul recto dello stesso foglio55,dove sono indicati non solo i gradini concavi ma ven-gono anche aggiunti, in via sperimentale, dei gradiniconvessi. I gradini concavi avrebbero però dato luogo adifficoltà insormontabili se si voleva raggiungere conquesti il ripiano56.

Fase 5. Si tratta di tentativi sperimentali in cuiMichelangelo inizia ad affrontare il problema in modonuovo. Abbandonando l’idea delle due rampe addos-sate alle pareti, Michelangelo passa ad elaborare l’ideadi due scale gemelle che si protendono, completa-mente libere, entro il vano. Lo sviluppo di quest’ideasi può dapprima vedere nel disegno Casa Buonarroti92 recto, vicino al centro del foglio. Le due rampe cheprima erano addossate alle pareti ora vengono ruota-te verso l’interno e portate in posizione convergente.Se in tal modo gli scalini inferiori vengono a toccare,o quasi, il perimetro murario, quelli in cima ora dista-no tra loro solo 2 metri invece di 457. Questo è evi-dentemente un tentativo nuovo per secondare i desi-deri del papa e per far occupare alla scala l’interaampiezza del vano.

Ma neppure questa soluzione si rivela piú praticadella precedente. Non solo si viene a creare uno sgra-ziato spazio di risulta negli angoli tra scala e parete, mala connessione tra i ripiani laterali ribassati e quello cen-trale rilevato avrebbe costituito un problema di diffici-le risoluzione58. Tutto questo gruppo di disegni è instretta relazione reciproca, e la prima formulazione delloscalone libero deriva direttamente dai primi progettiper le due rampe gemelle addossate alle pareti, con il tri-plice ripiano.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 36

Fase 6. Solo nel progetto in fondo al disegno CasaBuonarroti 92 verso, Michelangelo si affranca comple-tamente dall’idea di collocare la scala a ridosso dellepareti. Questo schizzo mostra che il triplice scalone libe-ramente aggettante era considerato come una possibilitàpraticabile. Il problema dell’impianto tripartito è tuttonel rapporto tra rampe laterali e rampa centrale: in unmodo o nell’altro questi tre elementi devono formareun’unità, e Michelangelo consegue questo risultatofacendo iniziare le rampe laterali piú avanti di due gra-dini rispetto a quella centrale. In ogni punto, quindi, lescale laterali saranno piú alte di due gradini rispetto alpunto corrispettivo della rampa centrale. Le giunzionitra elementi centrali e laterali sono contrassegnate dablocchi rettangolari delle stesse dimensioni di un gradi-no. Tale disposizione determina la soluzione alla som-mità dello scalone. L’ultimo gradino della rampa centralesi salda con i blocchi rettangolari posti ai lati del gradi-no sottostante, formando con quei risalti laterali, chegiacciono sullo stesso piano, una pianta ad U. Gli ulti-mi gradini delle due rampe laterali vengono invece tri-plicati in profondità e si congiungono in cima alla scala,divenendo parte del pianerottolo59. Sopra questa sogliaci sono poi due gradini che formano una singola rampa,raggiungendo la porta della biblioteca.

Una tale soluzione è ancora strettamente imparenta-ta ai progetti delle fasi iniziali. Come in precedenza lerampe laterali, che serrano come in una morsa la rampacentrale, sono l’elemento determinante. La rampa cen-trale arretrata è una variante della sperimentazione dellascala concava. Questo disegno è stato oggetto di note-voli fraintendimenti. Thode60 riteneva che Michelange-lo avesse presentato due alternative, dato che la rampasinistra è raffigurata con sei gradini e quella destra solocon cinque. In realtà il disegno della rampa di sinistra ècompleto mentre a destra non lo è: il primo gradino in

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 37

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 38

4. Ricostruzione delle idee di Michelangelo per lo scalone, fasi 6-8.

basso non è disegnato affatto e quello in cima è soloaccennato. Anche Tolnay sbaglia nell’affermare che «larampa centrale è piú bassa di un gradino rispetto a quel-le contigue»: infatti il dislivello è di due gradini. Osser-vazioni di questa natura portano ad interpretazionialtrettanto erronee. Secondo Tolnay la scala centraleribassata doveva ascendere in modo piú lento e mae-stoso, mentre quelle laterali salivano piú rapidamente econ minore imponenza. Ma in realtà, come abbiamovisto, era stato dapprima conferito maggior rilievo allerampe laterali, e solo piú tardi a quella centrale.

Fase 7. Per tale fase disponiamo solo di un piccoloschizzo in pianta sullo stesso foglio di Casa Buonarroti(92 verso, in alto a destra). Per quanto possa apparireenigmatico, questo schizzo può essere messo in relazio-ne con alcune copie di Antonio da Sangallo il Giovaneda Michelangelo: possiamo cosí fare luce anche su que-sta fase dello scalone.

Questa serie di copie è composta da tre fogli, ora con-servati agli Uffizi (disegni 816A, 817A e 1464A): sottouno di questi Sangallo ha scritto «schala della libreria giàordinata Michelagniolo»61. Tali copie, considerate insie-me, illustrano due varianti della stessa fase di sviluppo:(a) uno dei due progetti presenta una rampa centraleconvessa, che converge approssimandosi alla porta dellabiblioteca; (b) l’altro mostra una rampa centrale rettan-golare che prosegue oltrepassando quelle laterali. Leaffinità tra le due versioni sono maggiori delle diffe-renze, che riguardano solo la forma della rampa centra-le: in entrambe si tenta di trattare la giunzione tra le duerampe laterali e quella centrale in modo analogo ma piúcomplesso di quello impiegato nella fase 6. Un’annota-zione scritta sul foglio 816 si riferisce allo scalone con igradini convessi al centro, e dà una descrizione estre-mamente precisa della nuova soluzione: «chi sale inmezo» – ma questo vale anche per le rampe laterali –

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 39

«sale uno tertio alla volta e chi sale nelli angoli sale 1/6e tutti li schaloni sono simili alti uno tertio di bracioecceto lo primo di mezo qual e 1/6 di braci»62. Questoinnesto a coda di rondine tra la rampa centrale e le late-rali, dove ogni gradino è sempre sormontato dalla metàdi un altro gradino, è raffigurato, in modo perfetta-mente congruente a questa descrizione e con estremachiarezza, in un altro schizzo del foglio 1464 (in alto).

La soluzione con la rampa centrale aggettante a pian-ta rettangolare (b) è piú complessa. Come si può osser-vare nel foglio 817, in alto le scale laterali dovevanoessere piú alte di metà gradino di quella centrale, condue innesti a coda di rondine analoghi a quelli della ver-sione (a). Il disegno mostra come ciò si verifica, sia nelcaso dello spigolo anteriore che dell’angolo retrostante,e la scritta è un’ulteriore con ferma di tale intenzio-ne: «modo d’un angolo fuoro come dentro».

Il foglio 816 ci mostra le piante delle due versioni:(a) in alto a destra e (b) in alto a sinistra63. Parte dellapianta (a) compare anche nel foglio 1464, a sinistra. Maa questo punto dobbiamo tornare a quel frammentoabbastanza oscuro (Casa Buonarroti 92, in alto a destra)che è la sola testimonianza originale di Michelangelorimastaci per questa fase. Il tipo di innesto a coda di ron-dine è chiaramente lo stesso, e questo conferma l’accu-ratezza delle copie di Sangallo. Ma se si cerca di rende-re in prospettiva tale pianta si comprenderà che questaè una versione piú complessa (c) del rettangolo agget-tante al centro che appare schizzato in una versione piùsemplice (b) nel foglio 817.

In (c) l’attenzione si sposta dalla semplice forma ret-tangolare alla complessa configurazione degli spigoli.L’intenzione sembra quella di creare degli angoli rien-tranti non solo in fondo ma anche sul versante anterio-re: questo si può realizzare solo prolungando i lati finoad oltrepassare la rampa centrale aggettante e confe-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 40

rendo loro il carattere voluto. Questa complessa solu-zione presuppone necessariamente l’esistenza di un sem-plice rettangolo centrale.

Gli innesti a coda di rondine in tutte e tre le varianti,(a), (b) e (c), seguono gli stessi principî, e il passaggio dallarampa mediana convessa (a) al corpo centrale rettangola-re (b), agli angoli acuti aggettanti (e), può essere inter-pretato in termini di continua evoluzione: (a) ha un soloinnesto a coda di rondine; in (b) l’innesto separa i lati eil fronte anteriore del rettangolo; in (c) si arriva a dueinnesti a coda di rondine. Tutte e tre le varianti, se com-parate ai progetti iniziali, mostrano una significativacaratteristica comune: il minor valore conferito alle rampelaterali per dare maggiore rilievo al centro.

Fase 8. Da questi tre progetti, caratterizzati dagliingegnosi innesti a coda di rondine, ne deriva ancora unaltro, che mantiene lo stesso sistema ma con l’introdu-zione di due nuovi elementi. Anche questo impianto èconservato solo in copia, nel taccuino di schizzi di Ore-ste Vannocci della Biblioteca Comunale di Siena64.Michelangelo qui ritorna alla rampa centrale convessadel foglio 1464, ma al posto delle rampe laterali diritte(ultima reminiscenza delle originarie rampe addossatealle pareti) ora viene ripetuta la configurazione conves-sa centrale. In tutte le varianti della fase 7 i lati esternidelle rampe laterali formano un angolo retto con la pare-te di fondo, mentre qui i gradini confluiscono diretta-mente in essa. Con questa innovazione viene eliminatal’ultima traccia delle originarie rampe adiacenti alle pare-ti, e si viene a formare un nuovo tipo di scalone, chenasce dalla parete di fondo ed è in diretta relazione conla porta.

C’è poi un altro elemento significativo: viene a man-care la separazione tra la rampa centrale e quelle latera-li, e l’intera struttura risulta unificata. I gradini pari cor-rono ininterrotti per l’intero scalone, e invece di tre

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 41

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 42

rampe si percepisce un solo schema geometrico, com-posto sostanzialmente da un quadrato con i lati interse-cati da archi di cerchio.

È molto istruttivo ripercorrere l’intero processo cheha portato a tale risultato. Nella prima concreta propo-sta di una scala libera (fase 6) la rampa centrale, nono-stante i cubi inseriti tra questa e le rampe laterali, restaessenzialmente un episodio a sé: possiamo immaginare ditoglierla e rimetterla a posto senza causare alterazioni ailati. Questo carattere separato è eliminato nella fase suc-cessiva, 7 (a), dove le rampe laterali e quella centrale siintrecciano: un effetto ottenuto disponendo i gradini aquote differenti. Nella fase 7 (b), Michelangelo conser-va tale intreccio, ma fa in modo che le rampe laterali equella centrale salgano con gradini disposti alla stessaquota: solo i lati perpendicolari del rettangolo centraleora assolvono a quella funzione di collegamento cheprima era affidata all’elemento convesso centrale.

Nella fase 7 (c), continuando la sequenza, la scon-nessione tra i lati e il fronte anteriore del rettangolo cen-trale è ricomposta trasformando i lati in una sorta dimorsa che connette le due componenti dello scalone.Ora il. problema è sostanzialmente risolto. La singolareforma dello scalone è il conseguente risultato di un pro-cesso logico: si può anche immaginare che i gradini dellerampe laterali e di quella centrale si incontrino prose-guendo al di sotto di tale morsa. Nella fase 8, l’ultima,questo carattere diviene esplicito, e nello stesso tempola «morsa», che sortiva l’effetto di un elemento estra-neo, diviene parte integrante dello scalone. In questasoluzione l’innesto a coda di rondine viene mantenuto,ma i lati e il centro ascendono con dei gradini posti allastessa quota, e dove sono gli innesti a coda di rondinenon c’è bisogno di introdurre un ritmo a parte.

Fase 9. In tal modo, tuttavia, non siamo ancora giun-ti al termine della vicenda. L’unione tra rampe laterali

e rampa centrale, come abbiamo visto, è un processo altermine del quale è l’effetto d’insieme, non piú le sin-gole rampe, a divenire determinante. Ma le rampe resta-no ancora delle entità distinte: se le tre componentidello scalone fossero completate, formerebbero tra lorodegli angoli retti. A questo punto ci si può figurare unultimo passaggio, dove la suddivisione delle rampe risul-ta soppressa. Ed è proprio quello che fece Michelange-lo, come viene riportato, ancora una volta, solo da alcu-ne copie: una pagina del taccuino di Battista da Sangal-lo, conservato a Lille, e un particolare del taccuino diOreste Vannocci, concordante col primo disegno65. Quilo scalone è divenuto un organismo unitario a piantaovale, anche se l’idea di un’interruzione tra centro e lati,come è evidente, non è ancora del tutto abbandonata66.È questa la soluzione piú matura al problema di fardivenire la porta il punto focale della scala, ed è il logi-co approdo di un processo che mirava a fondere in un’in-scindibile unità organica scalone, ripiano superiore eporta67.

Dopo aver seguito questo aspetto del problema finoal suo naturale compimento, possiamo passare ad esa-minarne un altro. Nelle fasi 8 e 9 dobbiamo presuppor-re l’esistenza di un pianerottolo intermedio, dopo circa7 gradini68: la scala poi prosegue con una singola rampa.Questa sistemazione è chiaramente visibile nello schiz-zo di Lille. La scala delle fasi 8 e 9 può avere solo unimpianto di questo tipo, per un preciso motivo: sicco-me i lati dello scalone, e non solo il fronte centrale, sonocomposti da gradini, tanto maggiore è il numero deigradini tanto piú la base dello scalone deve risultarelarga ai lati, espandendosi all’interno del vano. In que-sto modo uno scalone con due rampe laterali, ciascunaformata da quattordici gradini profondi 30 centimetri,richiederebbe una base larga due volte 14 x 30 cm: aquesta grandezza bisogna poi aggiungere i due metri

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 43

dell’ampiezza della porta per ottenere un totale di 10,40metri, che è una misura maggiore della larghezza del-l’intero vestibolo! D’altro canto, se ipotizziamo un pia-nerottolo a metà della scala (dopo il settimo gradino) esopra di questo una rampa singola larga quanto la portaotterremo alla base una larghezza minima di due volte7 x 30 cm, piú due metri: 6,20 metri in tutto. Se aggiun-giamo qualcos’altro per dare al pianerottolo una lar-ghezza maggiore della porta arriviamo ad un ordine digrandezza abbastanza vicino a quanto realizzato: 6,55metri.

L’idea del pianerottolo intermedio ha una storia a sé.Anche se Michelangelo poteva non essersi curato, comesovente gli accadeva, di indicare il numero esatto deigradini nei suoi schizzi, ci deve pur essere una spiega-zione per il fatto che questi siano invariabilmente cosípochi. Non appena Michelangelo prese in considerazio-ne l’idea di uno scalone libero, dovette sicuramente pre-vedere un’interruzione dopo il sesto o il settimo gradi-no e la prosecuzione della scala con un’unica rampasopra il ripiano. Tale ripiano, inoltre, nella sezione CasaBuonarroti 48 è segnato esattamente a mezza altezza: einfine anche il ripiano della successiva fase 10, che esa-mineremo tra breve, può essere ricostruito in una posi-zione a mezza altezza.

È pur vero che nelle prime fasi Michelangelo si erariproposto di trattare in modo unitario le tre rampe el’ingresso alla biblioteca: si veda ad esempio la fase 7 (a),in basso a sinistra nel disegno Uffizi 816A, dove larampa centrale convessa sale, unitamente a quelle late-rali, fino ad uno spazioso ripiano adiacente alla paretedella biblioteca. Un altro esempio è il profilo dello sca-lone di Casa Buonarroti 4869. E vedremo che, ancora allostadio avanzato della fase 12, Michelangelo poteva pren-dere in considerazione l’idea di tre rampe che ascende-vano senza essere interrotte da un pianerottolo.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 44

Ho già dimostrato che l’evoluzione delle idee per loscalone si può suddividere in due fasi, separate tra loroall’incirca da un anno. La fase 2 appartiene ad un’epo-ca che precede di poco il 29 aprile 1524. Le fasi 3-9 deb-bono considerarsi relativamente ravvicinate nel tempo,poco prima o poco dopo il 14 aprile 1525. Lo si può pro-vare osservando che le ultime due fasi (8 e 9) presup-pongono una parete il cui livello inferiore si presentacome una superficie omogenea e ininterrotta: tali ver-sioni non sarebbero state praticabili se quel livello aves-se presentato una qualche articolazione. E, come abbia-mo già visto, tale superficie ininterrotta venne mante-nuta fino alla versione definitiva del primo progetto(Casa Buonarroti 48), che dev’essere datata prima del 29novembre 1525. A tali argomentazioni si potrebbe peròmuovere un’obiezione in apparenza grave. L’ultimapianta con la scala ovale 6 (taccuino di Lille) mostra ilvestibolo nella sua forma definitiva e non nella suaprima fase. Ma questo disegno può essere consideratouna fedele copia di un originale di Michelangelo? Hey-denreich pensava di sì, e spiegava la totale concordan-za tra i disegni di Battista da Sangallo e di Vannocci sup-ponendo la loro derivazione da uno stesso originale. Maio penso di no. È molto strano che Michelangelo indi-casse lo scalone in modo cosí sommario all’interno di unapianta talmente dettagliata. Qui si possono contare solonove invece dei quattordici o quindici gradini necessa-ri, mentre il formato dello scalone, in relazione alledimensioni del vano, è completamente errato: la scala ètroppo piccola. Misurato in base alla scala della piantadel vestibolo, lo scalone è complessivamente molto infe-riore ai tre metri, pianerottolo escluso. La profondità diun gradino dovrebbe quindi essere di 20 centimetri almassimo, dimensione quasi inconcepibile. Uno scaloneapprossimativamente abbozzato come questo in unapianta accuratamente quotata può rappresentare al mas-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 45

simo un tentativo per evidenziare il rapporto tra scalo-ne e vano: rapporto in cui, però, si può subito notare ladiscrepanza delle dimensioni. Alla luce di queste osser-vazioni risulta sicuramente impossibile che lo schizzo eil disegno quotato possano derivare da un solo origina-le di Michelangelo. È molto piú probabile che un sem-plice schizzo di Michelangelo per lo scalone sia statoinserito in un progetto quotato per il vestibolo, senzaconsiderare che lo schizzo era stato concepito per unvano articolato in modo differente. Solo questa ipotesipuò spiegare una tale combinazione di elementi diversitra loro quanto a dimensioni ed intenti: ne consegue cheVannocci deve in qualche modo aver preso visione deltaccuino di Sangallo, facendone uso70.

Fase 10. L’adozione della soluzione definitiva per ilvestibolo, con il suo basamento articolato, richiedevanecessariamente una completa revisione del progettoper lo scalone. Una scala addossata alla parete verso labiblioteca era incompatibile con tale basamento. Miche-langelo era quindi obbligato a tornare nuovamente all’i-dea di una scala libera.

Questa decisione, unitamente al mutamento genera-le del progetto, dev’essere stata presa all’inizio del 1526,ma nella seconda metà di quell’anno i lavori subironouna battuta d’arresto per mancanza di fondi che lasciòirrisolto il problema dello scalone. Per sette anni non sifece nulla e la costruzione venne ripresa non prima del1533. Il 20 agosto di quell’anno venne steso un con-tratto tra Michelangelo e cinque scalpellini, Antonio eSimone di Jacopo di Berto, Francesco d’Andrea Luche-sini e i nipoti di quest’ultimo, Michele e Leonardo diGiovanni Luchesini, per la lavorazione di due porte edello scalone della biblioteca. I lavori dovevano essereterminati alla fine di marzo del 1534. La scala dovevaessere eseguita «nel modo, forma e misura, siccome èdisegnato tutto non tanto in sul chiostro, ma per il

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 46

modino fatto di terra dal nostro Michelagnolo, come cia-scuno de’ sopra detti maestri veduto apresso anno. Inche però si dichiara expresso che li scaglioni della scalaanno a essere 14, tutti d’un pezzo l’uno e massime liprimi 7 colle rivolte, senza che si dimostri alcun con-vento»71. L’ultima frase sembra contraddittoria, e per lasua comprensione bisogna indubbiamente sottintende-re una premessa chiarificatrice: ogni gradino dovevaessere composto da un solo pezzo, ma se questo non erapossibile, almeno i primi sette gradini in ogni caso dove-vano essere di un solo pezzo, mentre negli altri le con-nessure non dovevano essere visibili.

Nel testo i sette scalini piú bassi sono contraddistintida quelli superiori per mezzo del termine «rivolte»72: ter-mine che può essere interpretato solo nell’accezione ori-ginaria di «rigiro» o «voluta»73, e che si deve porre in rife-rimento alle curvature che si vedono ai lati dei gradinidella rampa centrale74. Senza una qualche interruzionequesti scalini dalle terminazioni ricurve non potevanocontinuare con scalini che ne erano privi: quindi bisognaipotizzare l’esistenza di un pianerottolo intermedio.

Questa soluzione è diversa sia dalle prime proposte, siadai progetti di venticinque anni prima, ma presenta anchelegami con entrambi. I ripiani intermedi ricorrono neiprimi schemi ma non in quelli piú tardi. I gradini con le«rivolte» non si ritrovano affatto in precedenza ma solonella versione realizzata, dove, come si può vedere occu-pano l’intera lunghezza della rampa mediana eccezionfatta per i gradini prima del pianerottolo: piú avanti dimo-strerò che il progetto del 1533 venne evidentemente rive-duto quello stesso anno, in modo da fornire di «rivolte»tutti i gradini centrali. La forma dei gradini tra le «rivol-te» era probabilmente convessa. Non credo di sbagliaresupponendo che i sette gradini centrali con le «rivolte»erano affiancati da rampe diritte che accompagnavano larampa centrale nella sua ascesa al pianerottolo: dopo, la

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 47

rampa mediana doveva proseguire da sola con gradinidalla semplice forma convessa. In tal modo si può rico-struire con un ottimo grado di approssimazione un pro-getto che si rifà alla fase 7 (a). Questa versione del 1533è inoltre d’importanza decisiva, poiché alcuni gradinidello scalone poi realizzato vennero effettivamente com-piuti durante questa fase dei lavori.

I gradini convessi con le «rivolte» denunziano unacombinazione di spunti derivati da precedenti progetti.Nella fase 6 l’ultimo gradino della rampa centrale si col-lega ai blocchi angolari in modo sostanzialmente analogo.Ma ora due elementi originariamente introdotti per ragio-ni funzionali vengono fusi insieme, e viene loro conferi-to un compito puramente estetico, entro una sistemazio-ne che si basa sulle curve convesse della fase 7 (a)75.

Fase 11. Tra il 1533, l’anno del contratto, e il 1559,data della fine dei lavori, figura un tentativo fallito diportare a termine lo scalone76 ad opera dello scultoreNicolò Tribolo: tentativo per molti aspetti rivelatore.Vasari ne riferisce ampiamente, in due versioni che peròcontrastano tra loro: una nella vita di Michelangelo eun’altra in quella del Tribolo. Nella prima77 Vasari rife-risce che Tribolo venne mandato a Roma da Cosimo Idurante il pontificato di Paolo III (1534-1550), con ilcompito di persuadere Michelangelo a tornare a Firen-ze. Avendo fallito in tale missione, Tribolo cercò alme-no di apprendere quali fossero le intenzioni finali diMichelangelo per lo scalone, dato che i disegni e i model-li in terracotta allora disponibili non chiarivano «la pro-pria ed ultima risoluzione». Michelangelo rispose chenon ricordava niente al proposito. Nella vita del Tribo-lo la storia è alquanto differente78. Tribolo aveva rice-vuto dal duca Cosimo l’incarico di completare lo scalo-ne, ma, dopo aver messo in opera i primi quattro gra-dini, non sapeva come andare avanti: cosí venne man-dato a Roma per ricevere delucidazioni da Michelange-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 48

lo e persuaderlo a tornare a Firenze. Michelangelorifiutò di intraprendere il viaggio, «e quanto alle scale,mostrò non ricordarsi piú né di misure né d’altro».

Questa seconda versione sembra piú verosimile:Vasari non avrebbe riportato la significativa notiziadella messa in opera di quattro gradini se ciò non fosserealmente accaduto. In ogni caso Vasari era la personapiú qualificata a raccontare tale episodio, dato che nonsolo egli viveva a Firenze a quell’epoca, ma pochi annidopo avrebbe lavorato proprio per la realizzazione delloscalone. Vasari non riporta una datazione precisa per iltentativo fallito del Tribolo: tale episodio si può peròdatare con precisione in base a due documenti. Il 20 gen-naio 155o Lelio Torelli scrive al maggiordomo di Cosi-mo, Pier Francesco Ricci. Dato che la scala «che horasi disegnava non riusciva», Torelli spedisce, per cono-scenza, una lettera scritta da Michelangelo a Fattucciriguardante lo scalone: documento già in possesso dellostesso Fattucci79. Questa lettera, andata smarrita, nondoveva essere di data recente, e poteva addirittura risa-lire agli anni venti del Cinquecento, quando Fattuccicurava a Roma gli interessi di Michelangelo e i dueintrattenevano una fitta corrispondenza sulle vicendedella biblioteca. Il secondo documento è dell’estate del1550. Dopo il tentativo fallito del Tribolo a Roma, nevennero probabilmente effettuati degli altri per ottene-re informazioni da Michelangelo riguardo allo scalone,e uno dei suoi amici piú stretti, Donato Giannotti, scri-ve per chiedergli un disegno della scala80. Anche se ilnome del Tribolo non è menzionato nella lettera diGiannotti né in quella di Torelli, i tentativi di costorodevono essere messi in relazione a questa fase dellacostruzione dello scalone. Su tali basi si può pensare cheil 1549 sia l’anno dei lavori del Tribolo, e che il suo viag-gio a Roma avesse luogo probabilmente alla fine di quel-l’anno, o all’inizio del 155081.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 49

Il tentativo di portare a termine lo scalone effettua-to dal Tribolo sarebbe di scarso interesse se non fossela chiave che ci permette di fare luce su un capitolo dellastoria dello scalone rimasto finora inspiegato. Sul murodi fondo, ai lati dell’attuale scalone, appaiono chiaretracce di una scala che era stata lí costruita. La grigia pie-tra di «macigno», impiegata per le parti decorative delvestibolo, è stata rimossa in tre luoghi: nel basamentoorizzontale, a partire da 1,20 metri dall’angolo, e indue tratti verticali di cornice ai lati dei mensoloni; unoad un’altezza di poco superiore al metro, l’altro ad un’al-tezza di 1,77 metri82. Anche alcune parti delle mensolesono poi state segate via. L’aspetto del muro mostra cheun tempo il rivestimento era completo e che poi era statorimosso a forza. La superficie della parete cosí liberatareca le impronte di alcuni gradini: il piú basso era alto20,5 cm e il secondo 22, con una profondità di 32 cm.Sopra appaiono impressi i segni di altri due gradini83. Daciò risulta con chiarezza che erano in costruzione duerampe addossate a questa parete, che salivano conver-gendo al centro.

Come abbiamo già spiegato, una volta presa la deci-sione di articolare il livello inferiore del vestibolo, sipoteva sistemare nel vano soltanto una scala libera ailati. Eppure le tracce che abbiamo esaminato sonoun’irrefutabile prova di un progetto che prevedeva deigradini addossati alla parete. La decisione di combina-re le modanature definitive per il basamento con unascala siffatta non poteva essere stata presa sotto lasupervisione di Michelangelo. Questo errore può esser-si verificato solo perché Michelangelo era assente e nes-suno aveva compreso le sue intenzioni. E dato che taleerrore non poteva essere insorto durante la fase finaledi costruzione, solo il Tribolo ne dev’essere reputatoresponsabile. Ne consegue necessariamente che le trac-ce dei gradini sul muro sono da mettere in relazione alla

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 50

descrizione fatta da Vasari dei quattro gradini realizzatidal Tribolo: con ciò si spiega non solo l’aspetto dellaparete, ma anche il comportamento del Tribolo. Le cor-nici e i mensoloni della parete rendevano impossibile larealizzazione del suo scalone: per questo egli andò aRoma, spiegò la situazione al maestro e per tutto com-penso... non ebbe neppure una parola d’aiuto. Miche-langelo non si era completamente dimenticato dello sca-lone: anni dopo era ancora in grado di ricordare per-fettamente le sue idee originarie. Il suo ostinato silen-zio era dovuto all’irritazione causata dallo sconsidera-to modo di procedere del Tribolo: quest’ultimo nonpoté andare avanti e morì pochi mesi dopo, ai primi disettembre del 1550.

L’erronea interpretazione del Tribolo si può spiega-re agevolmente alla luce dell’analisi finora condotta.Egli aveva pensato che lo stadio finale del primo pro-getto, con i gradini addossati alla parete di fondo, fossel’ultima parola di Michelangelo al riguardo, e probabil-mente arrivò a tale conclusione basandosi su precisi pro-getti di Michelangelo allora esistenti. Non è impossibi-le che tali progetti fossero i disegni fatti «in sul chio-stro» menzionati nel contratto del 1533 e che non ven-nero utilizzati, mentre al posto loro doveva essere usatoun modello. Se questo è vero, i disegni appartenevanoad una fase d’elaborazione precedente84.

Le copie di Battista da Sangallo e Vannocci del pro-getto a pianta ovale di Michelangelo (fasi 8 e 9) e il pro-getto che Tribolo iniziò a realizzare sono prove che sisostengono reciprocamente. Il progetto rafforza lanostra convinzione che le copie riproducano effettiva-mente degli originali michelangioleschi, mentre le copieconfermano il fatto che Tribolo poteva basarsi su pro-getti di quel tipo (anche se, naturalmente, non gli stes-si). In ogni caso sia i copisti che il Tribolo non si eranoaccorti che Michelangelo aveva preparato varie piante

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 51

per lo scalone, che si adattavano a vari alzati. Solo cosísi spiega perché Tribolo si imbarcò in questa impresa allacieca, partendo da un progetto che aveva senso solo nelcaso di un’articolazione totalmente diversa della paretedel vestibolo.

Quando, dieci anni piú tardi, vennero ripresi i lavo-ri per lo scalone, i gradini costruiti dal Tribolo dovet-tero essere rimossi. A quell’epoca non venne fatto alcuntentativo per riparare ai danni arrecati alla parete, e igradini, che non servivano più a nulla, vennero sempli-cemente lasciati a terra nel vestibolo. Le vicende suc-cessive dei gradini si possono seguire con buona preci-sione per circa tre secoli. Bottari ne parla (nel 1759circa) nella sua edizione del Vasari85. Egli, avendo tro-vato alcuni gradini completamente rifiniti nel vestibo-lo, afferma esplicitamente che questi stavano origina-riamente là dove erano le impronte nella parete: non èqui il caso di esaminare o confutare le arbitrarie con-clusioni che Bottari trasse da tali dati. Anche Domeni-co Moreni86, che scrive nel 1816, era a conoscenza deigradini e, come Bottari, credeva che avessero avutoquella sistemazione sotto la direzione di Michelangelo:egli riporta che i gradini vennero rimossi dal vestiboloil 21 marzo 1811, fatti a pezzi e impiegati per le fon-damenta di un edificio a Poggio Imperiale. Tale fu lafine ingloriosa del contributo del Tribolo.

Fase 12. Dieci anni dopo l’episodio del Tribolo venneeffettuato un nuovo tentativo per sapere da Michelange-lo quale fosse la sua intenzione finale, e questa volta consuccesso. Il duca Cosimo affidò a Vasari il compito di per-suadere Michelangelo a parlare. E Vasari ebbe da Miche-langelo quella famosa lettera del 28 settembre 555 chevenne per tanto tempo erroneamente interpretata87. L’e-nigma venne infine risolto da Panofsky88. Per ricostruireil progetto del 1555 Panofsky fece ricorso alla minutadella lettera, conservata nel codice vaticano, e prestò

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 52

attenzione a due trascurabili schizzi a margine, di ridot-te dimensioni. Dando per scontate le conclusioni diPanofsky, basterà qui descrivere l’aspetto di questo sche-ma. Tre rampe (quella centrale con gradini ovati e le late-rali con gradini diritti) convergono in un pianerottolocomune ai piedi della porta: l’ultimo gradino della rampacentrale è largo quanto la porta, ma la rampa si allargascendendo. Il pianerottolo fa da ponte tra il muro e ilcorpo scala: in altri termini, c’è un passaggio libero infe-riore grazie al quale l’intero basamento della parete rima-ne inalterato. L’esplicita indicazione di Michelangelo dilasciare intatto il basamento della parete89 porta ovvia-mente a scartare la soluzione del Tribolo.

Michelangelo afferma di non fare una descrizionedel suo vecchio progetto: «ma non credo che sia apun-to quello che pensai allora». Ma qual è il vecchio pro-getto cui fa riferimento? Senza dubbio quello del 1533:la versione del 1555 concorda largamente con quella del1533, ma differisce in due soli punti. Invece di intro-durre la spaziatura di un pianerottolo intermedio, loscalone sale senza interruzioni; e invece dell’ulteriorerampa singola che sale a partire dal pianerottolo, lerampe laterali ricoprono l’intero tragitto.

Nella notazione prima menzionata, Michelangelosembra confondere il suo progetto del 1533 con alcuneidee precedenti. Come abbiamo visto, nei progetti del1525 Michelangelo aveva preso in considerazione sia lapossibilità di uno scalone interrotto da un pianerottolosia quella di una rampa ininterrotta per tutta la salita.La sezione indicata nel disegno Casa Buonarroti 48poteva riferirsi ad entrambe le soluzioni. La scala inin-terrotta era tuttavia realizzabile solo nel caso di unaparete non articolata nella zona inferiore, altrimentisarebbe entrata in conflitto con i mensoloni90. Questodilemma può rendere ragione del lungo ritardo nellarealizzazione dello scalone.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 53

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 54

Fase 13. Passarono altri tre anni, e nel dicembre del1558 il dibattito sullo scalone riprese nuovamente91: inca-ricato dei lavori era stavolta Ammannati. Nel gennaio del1559 Michelangelo mandò un piccolo modello in terra-cotta in una scatola, con una lettera di spiegazione. Comenella lettera del 1555, il maestro si esprime negativa-mente riguardo ai tentativi del Tribolo e cerca di spie-gare cosa avesse in mente a quell’epoca. Egli dice diricordarsi che nel suo progetto originario (e indubbia-

5. Ricostruzione del progetto per lo scalone del 1555, fase 12 (daPanofsky).

mente si riferisce ancora alla versione del 1533)92 una solarampa giungeva all’altezza della porta: con questo Miche-langelo si riferisce ad una singola rampa che parte da unampio pianerottolo. Questo fatto, di fondamentaleimportanza, e l’ulteriore osservazione che solo la rampacentrale necessita di una balaustrata mentre quelle late-rali devono essere fornite di un posto dove sedersi («unsedere») ogni due scalini, mostrano con evidenza il rife-rimento allo scalone cosí come oggi si presenta. Il mae-stro affida poi l’esecuzione di tutti i particolari al giudi-zio dell’architetto supervisore dei lavori.

Panofsky ha risolto le difficoltà d’interpretazione cheil testo presentava, spiegando le connessioni tra il pro-getto del 1558-59 e quello del 1555 e la congruenza, nelsuo complesso, tra lo scalone realizzato e le intenzioniultime di Michelangelo. Resta qui da aggiungere, a com-plemento dello studio di Panofsky, una descrizione pre-cisa e analitica dello scalone: le seguenti osservazioninon erano state in precedenza riportate, né corretta-mente valutate.

1. Tutti i gradini centrali sono alti 18,5 cm, e quelli late-rali 17 cm (fig. 6).

2. La profondità dei gradini centrali oscilla tra 41,8 e 43cm (la maggior parte è di 42 cm); quella dei gradinilaterali è di 43-44 cm.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 55

6. Sezione di confronto tra i gradini della rampa centrale (a tratto epunto) e quelli delle rampe laterali (linea continua).

3. I gradini al centro hanno alla base una modanaturaalta 2 cm e profonda 0,3 cm, che manca ai gradinilaterali.

4. Le estremità dei gradini centrali hanno una forma cheimpedisce di fatto un’organica connessione con lamodanatura basamentale della balaustrata, o conquella dei plinti posti all’inizio e al termine dellabalaustrata.

5. I gradini centrali devono quindi adattarsi a forza a talimodanature, secondo le seguenti modalità:a) Nei punti di giunzione con i plinti sono stateasportate piccole parti dei tre gradini piú bassi (ilprimo di questi presenta una curvatura meno accen-tuata).b) All’altezza dell’ottavo gradino è stato asporta-to un frammento di 5,5 cm per fare spazio al basa-mento aggettante del plinto superiore.c) Anche il nono gradino è interrotto per i cm suentrambi i lati.d) L’undicesimo gradino, il primo della rampasuperiore, è coperto per 4,4 cm dal plinto posto soprail pianerottolo.e) Il gradino ovato in cima alla scala risulta accor-ciato ai due lati per 4,5 cm per far posto ai plinti som-mitali: il gradino viene resecato sul lato sinistro, men-tre a destra è ricoperto sul versante anteriore e taglia-to in fondo.

6. Il decimo gradino delle rampe laterali, che rigira adangolo retto per collegare i ripiani laterali con quel-lo centrale, mostra le seguenti peculiarità:

a) La sua altezza è di 18,5 cm, ossia è uguale aquella dei gradini centrali e non a quella dei gradinilaterali.

b) Ha una modanatura inferiore uguale a quella deigradini al centro (vedi sopra, 3).

c) Il suo lato anteriore aggetta di poco rispetto al

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 56

filo dei plinti: la sua superficie abbozzata e non rifi-nita su questo punto mostra che è stato ricavato daun gradino piú lungo, poi adattato all’attuale collo-cazione.

7. Il terzo gradino forma un ovale quasi completo, peri-metrato da una scanalatura profonda 2,5 mm, adistanza di 6,5 cm dal bordo, che si interrompe sulversante posteriore, lasciando priva di scanalaturauna distanza di 1,325 m. Il fatto che questo gradinoforma un ovale quasi completo, che fa le veci di unasorta di pianerottolo supplementare, determina diconseguenza due piccoli triangoli di risulta compresitra i lati del perimetro posteriore dell’ovale, l’attac-co del gradino successivo e la base della balaustrata:questi triangoli sono stati riempiti con pezzi dimarmo bianco che contrastano con il grigio-verde delmacigno di cui è fatto il gradino.

8. Il quarto e il quinto gradino al centro (il primo e ilsecondo con le «rivolte») presentano degli intagli aforma di chiocciola entro le «rivolte», che non com-paiono altrove.

9. Tra il gradino ovato in cima alla scala e la portaappaiono dei rappezzi di marmo bianco, simili a quel-li del terzo gradino (vedi sopra, n. 7).Considerate complessivamente, queste osservazioni

portano alle seguenti conclusioni:

i. I gradini al centro sono stati eseguiti prima di quellidelle rampe laterali. Ciò si può dedurre dal fatto chei gradini laterali sono meno alti e piú profondi diquelli centrali (vedi sopra, n. 1), che rappresentanouna fase precedente dell’elaborazione progettuale.Inoltre i gradini laterali, assieme alla balaustra e aiplinti, si adattano solo con difficoltà ai lati dei gra-dini centrali.

ii. I gradini al centro, più antichi, appaiono collocati in

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 57

una sistemazione che si adatta bene alla loro forma(nn. 4, 7, 9).

iii.Tali gradini appaiono manifestamente in una vestenon del tutto rifinita. Probabilmente solo il quarto eil quinto gradino, con i loro intagli a forma di chioc-ciola, si possono considerare completati. È anche pro-babile che la scanalatura del terzo gradino (n. 7)dovesse essere intagliata negli altri tre gradini ovati.

iv.I gradini delle rampe laterali erano stati predispostiper lo scalone effettivamente realizzato, ma per il col-legamento con la rampa centrale venne impiegato suogni lato un gradino proveniente dal vecchio materialee ridotto per adeguarsi alla nuova collocazione (n. 6).

v. Tale considerazione concorda pienamente con unanotizia riportata da Vasari ed altri, e finora trascu-rata: che, all’epoca della costruzione della scala, nelvestibolo si trovava una grande quantità di gradini giàsbozzati93.

vi.È chiaro che i gradini oggi in sito appartengono a duefasi distinte. Tutti i gradini centrali debbono esseredatati al 1533-1534, e quindi bisogna considerarlirealizzati secondo le dettagliate istruzioni di Miche-langelo94, anche se questi sono proprio gli elementi lacui autenticità è stata messa in dubbio. Se il proget-to di quell’epoca fosse stato eseguito, lo scalonesarebbe risultato nel suo insieme meno sporgenterispetto alla soluzione realizzata e si sarebbe presen-tato piú ripido e compatto. Non possiamo dire concertezza se l’idea di trasformare il terzo gradino in unpianerottolo risalga o no a Michelangelo. È com-prensibile che dopo venticinque anni Michelangelopotesse non aver presente ogni dettaglio dell’opera:infatti sembra essersi dimenticato che alcuni gradinierano già stati realizzati, e comunque non aveva pre-visto di utilizzarli, dato che aveva anche proposto direalizzare in legno lo scalone. Ammannati tuttaviafece uso di questi elementi, affrontando in tal modo

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 58

un compito non molto semplice. Egli doveva adatta-re i gradini già realizzati entro una sistemazione affat-to nuova: questo spiega il completamento in marmodegli angoli dei gradini ovati, come pure tutte le altredifficoltà già esposte in dettaglio. A questo puntopossiamo valutare con esattezza l’entità del contri-buto di Ammannati: suoi sono i balaustri e suoi i plin-ti95, come pure le volute decorative in cima alle rampelaterali, che convogliano lo sguardo verso il centro.

Chi ha seguito questa esposizione dello sviluppo delleidee di Michelangelo per lo scalone noterà, nella costru-zione portata a termine, elementi appartenenti ad ognu-na delle fasi esaminate. L’idea del triplo scalone liberovenne elaborata nell’aprile del 1525 (fase 6) e mantenutanel corso di tutti i successivi sviluppi. Il triplice piane-rottolo che dapprima doveva essere addossato alla pare-te di fondo, occupandola interamente (fase 3), portòall’irrealistica proposta della fase 5 per poi arrivare alpianerottolo esistente. L’idea dei gradini ovali al centro,che si protendono nel vano oltrepassando le rampe late-rali, appare in un primo momento in forma di un vagoaccenno nella fase 4, mentre, dopo la fase 7, l’idea di faravanzare il centro rispetto ai lati resta costante. La pro-secuzione della scala sopra il pianerottolo, con una solarampa, appare già in nuce nella fase 3. Dopo la fase 6 ilpianerottolo occupa una posizione approssimativamen-te intermedia, ma l’idea di una scala che arriva alla portacon tutte e tre le rampe resta ancora un’alternativa pra-ticabile (fase 12). L’origine delle «rivolte» nella fase 6è stata già analizzata. Tutti questi elementi, dalle origi-ni lontane nel tempo, e che derivano da differenti con-cezioni dello scalone, appaiono alfine fusi in un magni-fico insieme.

Si potrebbe scrivere un capitolo d’estremo interessesull’influenza esercitata dallo scalone: possiamo qui limi-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 59

tarci ad affermare che le varie fasi preparatorie alla solu-zione definitiva ebbero un’eco piú vasta della stessaversione realizzata. In particolar modo le prime fasi delvestibolo ricorrono continuamente come un punto dipartenza nei progetti di Buontalenti. Ancor piú rivela-tori sono i casi in cui lo stesso Michelangelo torna incon-sapevolmente ad alcune idee che avevano preso formadurante l’elaborazione dello scalone. Gli sviluppi piúnotevoli ed imprevedibili di quella ricerca sono le fasi 7e 8, dove le istanze d’ordine pratico vengono mano amano assoggettate all’urgente affermarsi di idee astrat-te, perseguite nel loro autonomo valore. La stessa pas-sione per configurazioni geometriche complesse e astru-si giochi di forme viene affermata in altri progetti rea-lizzati da Michelangelo quello stesso anno, anche se confinalità totalmente differenti: le fortificazioni. Nel 1529Michelangelo infatti ebbe l’incarico di sovraintenderealle opere difensive di Firenze: il criterio che lo guida-va nella progettazione dei bastioni era quello di fornireun reciproco riparo per le varie linee di fuoco. Alcuni diquesti progetti michelangioleschi possono essere con-frontati solo con quelli per lo scalone: in entrambi i casicompaiono le stesse forme come gli angoli acuti dellafase 7 (c) e le varianti delle «rivolte» dei gradini centrali.A volte la somiglianza è tale che, in mancanza di altreprove, non si saprebbe dire di quale progetto si tratti.Non è un caso che le stesse forme si trovino impiegatein ambiti architettonici tanto diversi come le scale e lefortificazioni: è infatti impossibile riscontrare altrove ungrado cosí elevato di astrazione senza negare totalmen-te le ragioni funzionali di una costruzione. Ma inentrambi i casi Michelangelo seppe impiegare questeforme astratte come un punto di partenza per elabora-re nuove forme, adatte a specifiche finalità pratiche.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 60

Progetti per una sala di lettura aggiuntiva.

L’idea di creare dei piccoli ambienti, separati dallabiblioteca vera e propria, per custodirvi i più preziositesori della raccolta ed offrire un tranquillo luogo di stu-dio, era presente sin dalle prime battute dell’impresa.Tra il 1524 e il 1526 tale idea andò incontro ad una seriedi vicissitudini che possono essere qui ricostruite, anchese nulla di quanto previsto venne mai realizzato.

Il 10 marzo 1524 risulta che doveva già esistere unprogetto. In una lettera a Michelangelo, Fattucci siesprime infatti in questi termini: «Rimandovi la piantadella Libreria che s’à a fare, ed in capo della Libreria v’èsegniato dua studietti, che mettono in mezzo la finestra,che si riscontra coll’entrata della Libreria; ed in queglistudietti (il papa) vole mettere certi libri piú secreti; eancora vole adoperare quelli che mettono in mezo laporta»96. Gli «studietti» quindi dovevano inquadrare«in mezzo» da una parte la finestra in fondo alla sala edall’altra il portale d’ingresso. Ciò può solo significareche si dovevano ricavare, in ognuna delle due termina-zioni del prolungato rettangolo, due piccoli ambienti(per un totale di quattro, uno per ogni angolo). Questiavrebbero conferito al vano la forma di una croce greca,anche se le braccia della croce sarebbero state molto piúampie dell’asse longitudinale, di modo che tale formanon sarebbe risultata evidente. La lunghezza della sala,sempre secondo la lettera del 10 marzo, è di 96 braccia(55,68 metri), mentre da un’altra lettera del 3 aprile1524 risulta che gli «studietti» dovevano avere una lun-ghezza di sole 6 braccia (3,45 metri)97.

Questo progetto venne senza dubbio abbandonatogià ai primi di aprile del 1524, in favore dell’idea di una«crociera», ossia di un impianto cruciforme: idea chedoveva apparire in un disegno di Michelangelo menzio-nato in una lettera di Fattucci spedita il 13 aprile da

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 61

Roma98. Per quattro mesi la pianta cruciforme rimaseparte integrante del progetto. Ma, il 2 agosto 1524,Fattucci scrisse una lettera riportando i voleri del papa:«Perrora non vole, che voi faciate la crociera, ma lasia-te in modo che quando (si) lavora, fare si possa»99. Que-sto decretò di fatto la fine dell’impianto a croce.

La documentazione rimastaci non è sufficiente per unaricostruzione del progetto a croce, che viene menzionatosolo in un promemoria di Michelangelo antecedente al 3aprile 1525 (forse dell’estate del 1524) nel seguente pas-saggio: «La croce facendo diciotto braccia (10,44 metri) perogni verso e ’l vano d’ogni lato vi va di muro della mede-sima altezza e grossezza». Questa «croce» probabilmentenon dev’essere immaginata, come riteneva Carl Frey100, alcentro della sala, ma collegata al lato opposto all’ingresso.Si potrà valutare correttamente tale questione se si osser-va l’edificio circolare progettato nel 1821 da Poccianti, cheinterrompe la Biblioteca nel senso della lunghezza comefosse il braccio di una croce, e che ne altera la continuitàin modo cosí infelice. Tale tesi è convalidata dal fatto cheall’idea della «crociera» seguí poi quella della «piccolalibreria» che, senza alcun dubbio, doveva essere collegataal lato della biblioteca opposto all’ingresso.

La terza fase è annunciata in una lettera di Fattuccidel 12 aprile 1525, nella quale egli scrive: «circa la capel-la in capo la libreria (il papa) dice, non vi vole cappelle,ma vole, sia una libreria secreta per tenere certi libri piúpretiosi che gli altri»101. Cosí, prima del 12 aprile 1525a Roma doveva esserci un progetto di Michelangelodove la stretta parete sud della biblioteca si apriva in unvano denominato «capella», al posto del quale il papavoleva una «libreria secreta».

Una traccia del progetto per la cappella è conservatain uno schizzo di Michelangelo. Nell’angolo in alto asinistra del disegno Casa Buonarroti 89 compare la pian-ta di un ambiente rettangolare articolato da paraste e

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 62

pilastri angolari, molto simile a ciò che potremmo defi-nire una cappella. In precedenza, altri studiosi non eranoriusciti ad accordarsi sul significato di questo progetto102,ma le linee che vengono prolungate in basso richiama-no con forza alla mente i muri della biblioteca, e taleimpressione è confermata dal fatto che nelle altre duepiante vengono ripresi gli stessi muri: la pianta di destramostra il vestibolo con la parte nord della biblioteca, equella di sinistra presenta la stessa zona, ma senza divi-sioni tra vestibolo e biblioteca103.

Dato che la pianta rettangolare in alto non può esse-re riferita al vestibolo, deve trattarsi dell’altra termina-zione della biblioteca. Il foglio mostra quindi l’interocomplesso progettato ai primi dell’aprile del 1525: le trepiante ovviamente debbono considerarsi contempora-nee, dato che mostrano gli stessi muri perimetrali ripe-tuti tre volte piú o meno alla stessa scala. (Questo argo-mento, tra l’altro, ci permette di datare l’intero foglio,che è un documento fondamentale per la storia dello sca-lone, prima del 12 aprile 1525, poiché dopo quella dataMichelangelo fu obbligato a rivedere il progetto per lacappella rettangolare).

La versione definitiva della «piccola libreria» devesituarsi dopo il 12 aprile e prima del 10 novembre 1525,poiché in quella data Fattucci informava Michelangelo,scrivendo: «Io ebbi una (lettera) di Giovanni di Spinacon certi disegni della pichola libreria, la quale mostraia N. S., et dice, che vole, che la si facia, come avete dise-gniato»104. Tale versione dev’essere identificata in duefogli di Casa Buonarroti nei quali è raffigurato un vanoin forma di triangolo isoscele: Non ci sono dubbi sulfatto che tale vano dovesse essere costruito oltre la stret-ta terminazione sud del salone, in quanto: 1) la «capel-la» prima descritta doveva porsi «in capo della libreria»;2) una delle piante mostra un ingresso che mette incomunicazione la «piccola libreria» con la sala princi-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 63

pale, e presenta l’inizio dei muri est e ovest, dove com-pare la scritta di Michelangelo «e ’l vano della libreria»;3) la scala in braccia in alto a sinistra nella stessa pian-ta c’informa che la larghezza dell’ambiente è di circa 17braccia (9,86 metri), che è la larghezza pressoché esat-ta della biblioteca105.

Il problema della priorità tra queste due versioni sipuò risolvere sia in base al grado di compiutezza deidisegni che alla natura della sistemazione dell’interno.La pianta allo stato di abbozzo è la prima, per le seguen-ti ragioni. I lati del triangolo sono suddivisi per mezzodi due paraste in tre rincassi poco profondi, dove il rin-casso centrale è di poco piú largo di quelli ai lati, crean-do un tenue ritmo a-b-a. La semplicità dell’articolazio-ne si accorda bene con quella del salone della bibliote-ca. Anche l’idea di includere i banchi con i libri nel pro-getto d’insieme è ripreso dal salone: questi sono dispo-sti in modo da formare un passaggio che converge sullanicchia centrale, in asse con la biblioteca. La «piccolalibreria», in tal modo, è concepita come una naturaleestensione del salone principale, il cui lungo asse media-no trova il suo logico culmine nel vertice del triangolo.

Ma, proprio come avevamo visto per il vestibolo,un’idea che parte affermando un principio di unità orga-nica si sviluppa poi in modo da produrre una differen-ziazione e separazione fra le parti. Questo stadio suc-cessivo, e probabilmente definitivo, è mostrato nel dise-gno piú rifinito106. Qui si possono notare, nel confrontocon lo schizzo precedente, tre elementi trasformati. Laricca, plastica articolazione della parete ora crea un note-vole contrasto con la sistemazione delle pareti nella salamaggiore; l’arredo, anche se continua ad essere allinea-to con i muri, non tiene conto della loro articolazione;e infine l’idea di una continuità assiale è abbandonatain favore di un ambiente indipendente, centralizzante ein sé concluso. Se, dalla biblioteca, si entrasse in tale

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 64

ambiente non ci si sentirebbe piú condotti in avanti,lungo un asse ininterrotto: si arriverebbe subito controil «banco tondo» in mezzo, che invece afferma un’ideadi centralità, e dove l’asse si arresta bruscamente. Nelprogetto precedente ogni lato del triangolo viene con-cepito come un’entità separata, mentre le nicchie semi-circolari che arrotondano gli angoli sono chiaramentedissociate dai lati, e la nicchia di fronte all’ingresso eser-cita una sorta di attrazione magnetica sull’asse princi-pale. Nella versione piú tarda i lati presentano nicchiesimili a quelle agli angoli, rendendo impossibile una let-tura separata di queste ultime.

Dell’alzato proposto per le pareti abbiamo scarsenozioni. Solo nella prima versione esiste un piccolo schiz-zo di un interasse angolare, in alto a destra nel foglio.Tale progetto è un’evidente riproposizione del primoprogetto del vestibolo nella sua versione finale, che puòessere verosimilmente datato dopo il 12 aprile 1525.Sopra la nicchia del livello principale, inquadrata daun’ordinanza aggettante, si trova, come nel progetto delvestibolo, un alto attico con un’apertura circolare. Anchequi, come nel vestibolo, è prevista un’illuminazione indi-retta: i piccoli triangoli di risulta, ricavati dai vertici deltriangolo maggiore, dovevano servire da fonti di luce. Lescritte negli angoli della pianta successiva, «lume per disopra», mostrano che le coperture di questi minuscolispazi dovevano essere delle vetrate. La luce sarebbe pas-sata per le aperture circolari sopra le nicchie per giunge-re nell’ambiente. Ma, come indica un’altra scritta sullostesso foglio, doveva anche esserci un grande «occhio»vetrato nel mezzo della copertura del vano.

Sia dal punto di vista artistico che da quello pratico,la «piccola libreria» avrebbe costituito il culmine del-l’intero complesso. Il vestibolo con il suo scalone con-duceva alla parte pubblica della biblioteca, e da quellasi sarebbe potuto proseguire fino a entrare nello studiolo

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 65

privato. La sequenza di forme (quadrato, rettangolo,triangolo) avrebbe dato luogo ad una progressione digeometrie. Due piccoli ambienti dall’articolazione for-temente rilevata avrebbero contenuto il vasto ambien-te intermedio, scandito senza forti accentazioni. L’arti-colazione del vestibolo, dalla pianta approssimativa-mente quadrata, è basata sulla concentrazione di ogniparete sul proprio intervallo intermedio (a-b-a, a-ba,a-b-a). La vasta sala rettangolare presenta, in antitesi,una semplice alternanza che si potrebbe replicare all’in-finito. Infine, nell’impianto centralizzante della «piccolalibreria» tutte e tre le pareti sarebbero state collegateinsieme, in una continua alternanza senza principio néfine (a-b-a-c-a-b-a-c-a-b).

La «piccola libreria» non venne mai realizzata. Nellaprimavera del 1526, nel corso della costruzione del vesti-bolo, Michelangelo ebbe ancora una volta il placet delpapa per il nuovo episodio, già concordato con Cle-mente VII il 10 novembre 1525. Ma il 3 aprile 1526 Fat-tucci riferí a Michelangelo che il papa desiderava che ilavori alla «piccola libreria» venissero intrapresi solodopo il completamento del vestibolo. Tale dilazione pre-sto si tramutò in un completo abbandono dell’idea. Giàin quell’estate i fondi per la biblioteca vennero consi-derevolmente ridotti, e alla fine dell’anno iniziò unalunga fase di totale cessazione dei lavori108. Quando siriprese a lavorare, vennero presi in considerazione peril completamento solo gli episodi già iniziati, e dell’in-tenzione del papa di realizzare uno studiolo non vennepiú fatta menzione. La necessità di un tale ambiente,nondimeno, continuò a sussistere, fin quando l’edificiocircolare costruito da Poccianti all’inizio del xix secolonon offrí una soluzione al problema. A quell’epoca si erapersa ogni traccia della tradizione connessa all’origina-rio progetto, e Poccianti non aveva idea delle intenzio-ni di Michelangelo.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 66

Si può infine affermare che una muta testimonianzadella «piccola libreria» esista tuttora. Alcune scritte nellaseconda delle due piante in esame riportano che la pare-te ovest avrebbe sfruttato il muro della casa di IlarioneMartelli109. Era proprio questa casa ad aver determinatola forma triangolare dello studiolo, dato che traversavaa sito in senso diagonale. Quel muro è tuttora esistente,ad eloquente testimonianza degli inevitabili condiziona-menti e delle casuali necessità tramutate in logica archi-tettonica da una fenomenale agilità mentale.

Le porte, il soffitto, i banchi, il pavimento.

A partire dal 23 febbraio 1525 i lavori per il vesti-bolo procedettero secondo i progetti definitivi di Miche-langelo. Questo vuol dire che tutti i restanti particolariarchitettonici vennero elaborati e messi a punto in quelmentre.

Porte. Ci sono due portali principali: uno è l’ingres-so al vestibolo dal chiostro e l’altro è posto tra il vesti-bolo e la biblioteca. Per conferire a quest’ultimo laforma definitiva, sul lato della biblioteca, Michelange-lo doveva sapere che tipo di ambiente avrebbe fronteg-giato il portale all’altra estremità della sala. Dopo il 3aprile 1526, quando ricevette precise assicurazioni circala realizzazione della «piccola libreria»110, Michelangelopoté iniziare a progettare il portale d’ingresso. Da unalettera di Fattucci apprendiamo che un disegno diMichelangelo per la porta pervenne a Roma il 17 apri-le. Tale disegno probabilmente rappresentava solo illato sul vestibolo, quello che doveva mostrare l’iscrizio-ne. Il papa si professò ammirato del disegno, ma dovet-te esserci un ulteriore scambio di lettere per la targacommemorativa. Il 6 giugno Michelangelo ricevetteindietro il disegno, anche se l’iscrizione non era ancora

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 67

stata messa a punto111. Nell’autunno del 1526 i lavori sifermarono, senza che la porta fosse stata iniziata, e lasituazione restò invariata fino al 1533. Nel contratto giàmenzionato, stipulato il 2o agosto di quell’anno traMichelangelo e Simone di Jacopo di Berto assieme aivari Lucchesini, vengono menzionate due porte da ese-guire entro il marzo del 1534112. Si tratta senza dubbiodelle due porte in esame, anche se solo una, quella d’in-gresso alla biblioteca, venne realmente eseguita in quel-l’epoca.

Per questo portale esistono vari schizzi di Michelan-gelo dalle ridotte dimensioni, oltre a dei progetti esecu-tivi completi per entrambi i prospetti. Tali disegni nonsono stati realizzati l’anno del contratto, il 1533, maall’epoca dell’originario progetto del 1526, come si puòdimostrare esaminando alcuni profili del disegno CasaBuonarroti 53. I seguenti profili disegnati su questofoglio trovano riscontro nel prospetto del portale sullabiblioteca: 1) a sinistra del recto e in fondo al verso delfoglio appaiono dei profili, pressoché identici, per gliangoli esterni del frontespizio triangolare che toccano lacornice; 2) a sinistra sul recto c’è una sezione praticatalungo la mostra del portale, nella versione poi realizza-ta; 3) in cima al verso c’è una sezione praticata lungo ilfrontespizio arcato. Tanto i profili del frontespizio trian-golare che quelli della mostra concordano con quantorealizzato113. Solo il profilo del frontespizio arcato è dif-ferente. Il disegno è molto simile al corrispettivo profi-lo delle finestre subito sotto la volta della CappellaMedici, che serví come spunto per la ricca modanaturaprogettata in un primo tempo per il frontespizio inesame, anche se questo venne poi considerevolmentesemplificato. Un appunto autografo di Michelangelo sulrecto di Casa Buonarroti 53 rivela che questi disegni diprofili dovevano essere dati al Ceccone come modelli.Francesco di Corbignano, detto il Ceccone, era alle

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 68

dipendenze di Michelangelo in qualità di scalpellinodurante gli anni venti del Cinquecento, specie nellaCappella Medici, anche se non figura tra le maestranzeassunte nel 1533 per le porte.

Il portale realizzato nel 1533, quindi, era stato dise-gnato nel 1526. Quali sono le sue peculiarità? Su unfoglio di schizzi ora a Londra Michelangelo raffiguròentrambi i prospetti del portale. Sul recto figurano quat-tro studi per il lato sul vestibolo114 e sul verso un dise-gno in fase avanzata per il lato sulla biblioteca. Sin dal-l’inizio era evidente la volontà di creare un contrasto trai due prospetti e i rispettivi ambienti su cui il portale siaffacciava: il prospetto sul vestibolo doveva presentareun’incorniciatura piana e simile ad una fascia che face-va contrasto con le colonne del vano, mentre nel pro-spetto sulla biblioteca l’incorniciatura dava l’impressio-ne di due colonne, in contrasto con le paraste. Miche-langelo poi fa sporgere in alto la mostra su entrambi ilati, inserendola tra l’architrave e il frontespizio e for-mando un motivo che si potrebbe definire a «orecchiealzate». Tale motivo resta dominante nel prospetto sulvestibolo, mentre nel prospetto sulla biblioteca ricorresolo nel disegno in scala, ma scompare quando la portaviene realizzata.

Lo schizzo preliminare del prospetto sul vestibolopreannunzia già in larga misura il disegno in scala CasaBuonarroti 98, e questo è a sua volta molto vicino aquanto realizzato115. Le differenze, anche se ovvie,sono comunque da segnalare. L’incorniciatura esternapresenta un profilo molto piú ampio nel disegno chenella realizzazione. La superficie compresa tra l’incor-niciatura esterna e la mostra interna è quindi maggio-re e piú marcata in realtà che nel disegno, e ciò acqui-sta un particolare significato. La mostra del portale hauna propria cornice modanata, il cui effetto comples-sivo è di separare la mostra interna da quella esterna.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 69

Nel portale realizzato tale effetto di separazione èaccresciuto rendendo l’incorniciatura esterna moltosottile e non piú uguale a quella interna. La funzionedella superficie delimitata da queste modanature divie-ne chiara solo nella costruzione. Come abbiamo vistole «orecchie alzate» conferiscono uno slancio vertica-le alla mostra: sopra queste, sempre bordate dall’in-corniciatura, si imposta il frontespizio, ma le pianesuperfici delle orecchie ostacolano con efficacia l’u-nione tra due elementi (mostra e frontespizio) che inve-ce dovrebbero essere connessi.

La relazione tra lo schizzo di Londra per il prospet-to sulla biblioteca e il disegno in scala di Casa Buonar-roti116 per lo stesso elemento non è stata finora ricono-sciuta. Nel disegno, come nello schizzo, la mostra delportale, dalle grandi mensole e dalle «orecchie alzate»,è addossata ad una retrostante edicola con colonne.Nello schizzo è già accennato il duplice frontespizio,dove l’elemento arcato è inserito in quello triangolare.Il disegno in scala mostra solo il frontespizio arcato,mentre nel portale realizzato è il frontespizio triangola-re ad essere inserito in quello arcato, con un rovescia-mento dell’«armoniosa» combinazione dello schizzo chesuggerisce un’idea di conflitto.

La mostra realizzata nel prospetto sulla bibliotecaconcorda sostanzialmente con il disegno in scala, marisulta ulteriormente elaborata per molti riguardi. L’at-tuale mostra è formata dalla seguente scansione di quat-tro piani in successivo aggetto: (a) un’edicola con colon-ne e un frontespizio arcato; (b) a ridosso dell’edicola,coprendo in parte le colonne, si trova un blocco mas-siccio che, possiamo immaginare, occupa idealmentel’intero spazio tra il frontespizio e il pavimento; (c) sullaparte superiore di tale elemento è posto un tratto di tra-beazione che non ricopre l’intera larghezza del blocco equindi non risulta organicamente connesso a questo. Il

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 70

sovrastante frontespizio triangolare non sembra insiste-re sulla trabeazione, ma è piuttosto quest’ultima chesembra pendere dal frontespizio; (d) la bucatura, con lasua stretta cornice, sembra perforare il blocco. I primitre strati, (a), (b) e (c), sono collegati fra loro tramite unamodanatura che corre lungo il piano inferiore del fron-tespizio e rigira agli angoli di ciascuno strato. Gli strati(b) e (d), il blocco e la bucatura, vengono riuniti in que-sto modo: un rincasso verticale simile a un pannello, chearriva all’altezza dell’architrave, si fonde con la mostrainterna, formando una piú ampia modanatura e rive-lando la sua «vera» natura solo all’altezza dell’architra-ve, dove invece di proseguire in senso orizzontale siinterrompe bruscamente.

La separazione tra incorniciatura interna ed esterna,affermata in entrambi i disegni in scala e portata alleestreme conseguenze nel prospetto sul vestibolo, vienerealizzata anche nel prospetto sulla biblioteca, ma conuna differente finalità: la stretta cornice esterna dellaporta ricorre anche sopra l’architrave, come facesseparte del blocco in cui è inserita la porta. L’idea di unaseparazione tra le incorniciature compare ancora nellepiccole nicchie di forma approssimativamente quadrataposte sopra i tabernacoli, nel livello principale del vesti-bolo, stabilendo in tal modo un vitale nesso tra la portae le partizioni con i tabernacoli117.

Si era pensato che il portale d’ingresso al vestibolo dalchiostro fosse stato realizzato conformemente al contrat-to del 2o agosto 1533, ma non è cosí. La mostra sul ver-sante interno era stata completata unitamente al livelloinferiore del vestibolo (vedi oltre), mentre la mostra col-locata fuori ha una storia sorprendente, che può esserericostruita in dettaglio. Queste le fonti, in ordine crono-logico: (a) Un disegno in scala di Michelangelo, Casa Buo-narroti 95, databile tra la primavera e l’estate del 1526118.(b) Un disegno in scala agli Uffizi, 1925A, da attribuire

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 71

con sicurezza a G. A. Dosio in base alla tecnica, e data-bile al 1550 circa119. (c) Un disegno accompagnato da unoscritto dell’architetto G. B. Nelli in una raccolta in varivolumi di disegni quotati del vestibolo conservata agliUffizi, 3696A-3739A, con il seguente titolo: Opere d’Ar-chitettura di Michelangelo Buonarroti fatte per S. Lorenzo diFirenze misurate e desegnate da Giovan Batista Nelli al Sere-nissimo Ferdinando Principe di Toscana, con una dedica afolio 5 in data 10 aprile 1687120. (d) Il libro di GiuseppeIgnazio Rossi, La Libreria Mediceo Laurenziana, architet-tura di Michelagnolo Buonarruoti, Firenze 1739, a pagina31 e alle tavole xx-xxii121.

In base a tali fonti le trasformazioni della mostraposta all’esterno possono essere accuratamente rico-struite. Gli elementi che compongono la mostra venne-ro quasi tutti realizzati in conformità al contratto del1533, ma non vennero messi in opera e rimasero a terranel vestibolo. La concordanza del disegno di Dosio edella tavola xxii di Rossi con il disegno in scala di CasaBuonarroti indica che quest’ultimo riproduceva esatta-mente quanto stabilito da Michelangelo. Nel 1687 nonera ancora stato fatto nulla, ma dopo poco tempo l’ar-chitetto Pier Maria Baldi venne incaricato dal DucaCosimo III (1670-1723) di dare compimento allaporta122. Per qualche ragione a noi ignota Baldi non siserví del materiale già lavorato né del disegno in pro-prietà alla famiglia Buonarroti, ma si limitò, nel modopiú banale, a copiare la mostra presente all’interno coro-nandola con un frontespizio arcato. Dopo questo com-pletamento del Baldi le parti lavorate del 1533, secon-do Ricci si trovavano ancora nel vestibolo: poi, forse,condivisero la sorte degli scalini del Tribolo e venneroportate nel 1811 a Poggio Imperiale.

Nelli e Rossi, che erano bene a conoscenza dello stiledi Michelangelo, criticarono con ragione tale copia, cheè in stridente contrasto con la propensione a differen-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 72

ziare gli elementi tipica di Michelangelo, e quindi sem-bra un affronto alla sua inesauribile immaginazione. Laforma della porta nel disegno di Casa Buonarroti è instretta relazione a quella delle finestre della facciata: inentrambi i casi predomina il motivo di una consistentefascia a forma di U rovesciata che recinge la parte supe-riore della mostra: un modo particolarmente efficace diseparare la mostra vera e propria dal frontespizio. Talesoluzione è in contrasto con i due prospetti della portadella biblioteca dove l’unità tra mostra e frontespizioveniva spezzata da una poderosa spinta verticale nel latodel vestibolo, e da una zona neutra nel lato della biblio-teca. Nel portale d’ingresso, invece, il fattore decisivo èrappresentato dal frontespizio, il cui peso schiaccianteviene assorbito e deviato dal coronamento a morsa cheisola la mostra. E, nonostante la sua sostanziale somi-glianza con la conformazione delle finestre, questo por-tale presenta non solo dei nuovi elementi che esprimonola sua particolare funzione (paraste, gradini, targa con l’i-scrizione) ma anche dei caratteri che mostrano un ulte-riore sviluppo di idee rispetto alla fase delle finestre.Nelle finestre, già completate nella primavera del 1525,almeno un anno prima del disegno del portale, le mostre,le fasce a U e i frontespizi figurano come entità total-mente separate: risultato di una tendenza alla scansionein distinti piani orizzontali. Nel portale, invece, l’agget-to della fascia a U sopra i piedritti dà luogo ad una fusio-ne verticale e ad un nuovo tipo di contrasto.

Come abbiamo già visto, Michelangelo aveva presoin considerazione a un certo punto l’idea di impiegarela fascia a U rovesciata delle finestre della bibliotecaanche per le porte all’interno, nel livello inferiore delvestibolo: lo si può riscontrare nella versione definitivadel primo progetto, completata tra la primavera e l’au-tunno del 1525. In un secondo tempo Michelangelo svi-luppò una differente concezione. Le porte sono organi-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 73

camente correlate all’articolazione del livello basamen-tale e a quella dei tabernacoli (i capitelli, ad esempio,sono gli stessi), ma viene affermata l’idea di una sepa-razione tra incorniciature interne ed esterne (già nota-ta per quanto riguarda il portale della biblioteca e i pan-nelli sopra i tabernacoli) in modo affatto nuovo. Nel por-tale della biblioteca Michelangelo aveva introdotto unastretta cornice modanata tra le due mostre, per sottoli-nearne la separazione. Nel portale in esame un analogoeffetto di separazione è ottenuto per mezzo dei piedrit-ti ai due lati della porta: tali elementi irrompono a vivaforza entro la mostra costringendo l’incorniciatura inter-na e quella esterna a disgiungersi. La cornice della portadella biblioteca e questi piedritti giocano lo stesso ruolo.Se si immagina di eliminare tali elementi il contrastosparisce; se li si mantiene, le due porte divengono for-temente apparentate.

Quando Baldi si limitò a replicare la mostra del por-tale all’interno sul fronte esterno, capovolse il processodel pensiero creativo di Michelangelo. La nostra anali-si ha mostrato con quanta cura il portale all’internofosse stato elaborato in relazione al resto del vestibolo:trasferire tale elemento all’esterno, con l’arbitrariaaggiunta di un frontespizio arcato, comportò una tota-le perdita di significato.

Il soffitto. Lo splendore che promana dall’ampia saladella biblioteca è in gran parte dovuto ai magnifici inta-gli del soffitto ligneo: un elemento che è dotato di un’au-tonoma vicenda storica. Sin dall’inizio, prima che i pro-getti fossero decisi in dettaglio, il papa richiese un sof-fitto speciale, di nuova concezione: il papa non voleva unnormale cassettonato, ma «qualche fantasia nuova»123.Tale desiderio, espresso il 10 marzo 1524 e ribadito il 3aprile, dev’essere stato immediatamente esaudito, poichéil 13 aprile Fattucci riporta che un disegno per il soffit-to era piaciuto al papa124. Esattamente un anno piú tardi,

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 74

quando i lavori per la biblioteca erano già in fase avan-zata, il problema del soffitto si propose nuovamente.Come in precedenza, papa Clemente richiese un soffit-to intagliato in bassorilievo di grande bellezza. Se non erastato preparato un qualche nuovo progetto, la primasoluzione dovette essere riproposta125. Dopo un altrointervallo di un anno, il 3 aprile 1526 il papa rese noti,ancora una volta, i propri desideri126. In giugno appren-diamo che si stava per iniziare il soffitto anche se illegname di tiglio non era ancora stagionato127, ma a metàluglio i finanziamenti vennero drasticamente tagliati e,con l’interruzione generale dei lavori nell’autunno del1526, si smise di pensare alla costruzione del soffittoancor prima che venisse iniziato128. Non si ebbero novitàal riguardo prima del 23 agosto 1533, quando Sebastia-no del Piombo scrisse da Roma che il papa voleva che siriprendessero in esame il soffitto e i banchi129: cosí il 1533può essere fissato come il termine post quem, ma il sof-fitto realizzato mostra dei caratteri che fanno pensare aduna data ancora piú tarda.

Ognuno dei lacunari maggiori al centro del soffittoha una cornice ovale all’interno, con quattro crani distambecco raccordati l’un l’altro da festoni. Agli ango-li, gli spazi di risulta esterni tra l’ovale e a rettangolomaggiore sono occupati da coppie di delfini decorativi.I crani di stambecco e i delfini sono gli elementi chedominano la decorazione del soffitto e hanno, com’èprevedibile, un significato simbolico: sono infatti le inse-gne del duca Cosimo I, che iniziò a regnare nel 1537.Pertanto il termine post quem dev’essere spostato inavanti di quattro anni130. L’idea di conferire un sensosimbolico al soffitto risaliva a Clemente VII («qualchesua fantasia overo Livrea»)131, ma dopo la sua morte l’i-dea continuò evidentemente a sussistere, e non deve sor-prendere che le insegne di Cosimo I prendessero il postodi quelle del papa.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 75

Se i fatti stanno cosí, quanta parte del progetto spet-ta a Michelangelo? Nel 1534 Michelangelo partí perRoma e non fece piú ritorno a Firenze. Secondo Vasa-ri132 il soffitto venne realizzato dagli intagliatori fio-rentini Carota e Del Tasso133 sulla base degli elaboratidi Michelangelo, e in effetti un disegno autografo diquesto genere, in gessetto rosso ripassato in parte amatita, è conservato in Casa Buonarroti. Tale disegnomostra una fase preliminare del progetto ma fornisceuna prova decisiva del fatto che la forma dell’attualesoffitto è, in grande misura, quella messa a punto daMichelangelo. Il disegno tuttavia differisce da quantorealizzato per alcuni dettagli. Invece dei delfini, agliangoli compaiono dei pannelli rettangolari incorniciati,che riprendono nuovamente il motivo delle nicchieposte tra le finestre. Ma il fatto di maggior rilievo è che,nel disegno, le proporzioni del soffitto sono totalmen-te differenti. Entro un’intelaiatura tracciata con la rigaappaiono due modelli di lacunari, di modo che il dise-gno mostra il lacunare laterale e quello centrale infram-mezzati dalle fasciature, mentre è sottinteso che l’altrolacunare laterale debba trovarsi sotto134. Ma in questoschema il lacunare centrale, invece di essere un rettan-golo con il lato maggiore disposto in senso orizzontalecome nel soffitto realizzato, è di forma quasi quadratae di fatto è piú lungo in senso longitudinale. I bordi,poi, sono piú larghi e i lacunari ai lati presentano tremotivi decorativi, al posto dei due consimili poi realiz-zati. È impossibile cercare di accordare tale sistema-zione all’articolazione delle pareti laterali della biblio-teca. Se ipotizziamo, come sicuramente si deve, chel’ampiezza dei lacunari laterali e di quello centraledebba corrispondere alla triplice articolazione dellecorte pareti terminali135, allora la loro profondità è lametà circa degli interassi dei lati lunghi della bibliote-ca. Secondo la logica del disegno, quindi, il ritmo dei

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 76

lacunari del soffitto corrisponderebbe a quello dell’ar-chitettura solo alle due estremità della sala. Questo fuun fattore decisivo per cambiare tali proporzioni, e percoordinare la scansione del soffitto con quella dellepareti maggiori. Il soffitto realizzato costituisce untutto unico con l’architettura, come raramente era avve-nuto in precedenza. I consueti soffitti a lacunari dinorma offrivano una copertura all’ambiente senza tenerconto della sua articolazione, e lo schizzo michelangio-lesco, con la sua intelaiatura fortemente accentuata, isuoi lacunari centrali pressoché quadrati e la sua disso-ciazione dalle pareti lunghe, appartiene ad un mondomolto piú vicino a quella tradizione se confrontato conil soffitto effettivamente realizzato136.

Resta ora da determinare quanto tempo dopo il 1537il soffitto venne costruito. Nell’analisi dello scalone ave-vamo notato che dopo un periodo di stasi iniziato nel1537, i lavori ripresero solo nel 1549-1550. E sappiamoanche (vedi oltre) che il pavimento della bibliotecavenne sistemato solo tra il 1547 e il 1554. Alla fine deglianni quaranta del Cinquecento si ebbe quindi una ripre-sa dell’attività costruttiva, e pertanto questa sembraun’epoca verosimile anche per la realizzazione del sof-fitto137. Tale lavoro deve situarsi poco prima della siste-mazione del pavimento, non solo per motivi d’ordinepratico, ma soprattutto perché gli intarsi del pavimen-to in terracotta ripetono esattamente il disegno dei lacu-nari centrali del soffitto.

Banchi. Sempre a quest’epoca, ossia intorno al 1550,potremmo datare i banchi, realizzati dagli altrimentipoco noti Battista del Cinque e Ciapino138. Già il 2 set-tembre 1524139 il papa chiedeva quanti banchi potevanoessere sistemati nella biblioteca e quanti libri potevanoessere collocati in ognuno di essi, ed aveva indicatonella Biblioteca Marciana l’esempio da seguire per ladistanza tra un banco e l’altro. Nella primavera del

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 77

1526140, quando si stava discutendo la realizzazione delsoffitto, il papa aveva chiesto che i banchi fossero rea-lizzati in noce, e il 6 giugno di quell’anno141 il legnameera già messo a stagionare, anche se si trattava di tiglioe pino, e non di noce. Di nuovo, il 17 luglio 1533142,dopo un intervallo di sette anni, Sebastiano del Piom-bo rendeva noto il desiderio del papa di impiegare legnodi noce di prima qualità, mentre il 23 agosto giunse, tra-mite Sebastiano, l’ordine di iniziare i lavori per i ban-chi143. Ma anche se il contratto fosse stato stipulato aquella data, difficilmente i lavori potevano essere iniziatiprima della fine del 1534.

Ho già detto che la stretta connessione tra i banchie l’architettura della biblioteca è una delle piú felici ideedell’intero complesso. Questa intuizione era già piena-mente figurata all’inizio del 1524, anche se non è statoconservato nessun disegno appartenente alle fasi ini-ziali. Tuttavia un disegno originale per l’alzato latera-le di un banco esiste, e mostra l’impianto generale poieffettivamente eseguito144. Nella realizzazione venneroapportati solo dei cambiamenti di poco conto: gli inta-gli del fronte dei sedili non sono di grande qualità, e laloro concezione è mediocre145. Evidentemente la rea-lizzazione dei banchi, a differenza di quella del soffit-to, non venne affidata alle migliori maestranze dispo-nibili.

Pavimento. Senza dubbio l’area da decorare vennedeterminata dopo che era stata fissata la posizione deibanchi: grazie alle ricerche di A. Marquand146 si è potu-to datare con sicurezza il pavimento intarsiato in unperiodo compreso tra il 1547 e il 1554. L’opera venneinteramente affidata a Santi di Buglione che, secondoVasari147, si basava su disegni del Tribolo. Lo schema delpavimento rispecchia quello della volta, con alcuni moti-vi ornamentali in piú. Al centro, racchiusi in serti d’al-loro, figurano gli anelli medicei intrecciati; dalle teste di

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 78

stambecco pendono dei nastri, mentre altri emblemi diCosimo sono sistemati lungo i bordi148.

Vetrate. Per il completamento della biblioteca eraprevista anche la decorazione delle finestre, che pre-sentano vari emblemi di Cosimo I e Clemente VII rea-lizzati con delle vetrate dai colori delicati e chiari, edistribuiti con mano leggera. Queste vetrate recano ladata del 1568. La paternità del disegno viene general-mente ascritta a Giovanni da Udine, ma le vetrate,anche se di tipo molto simile alle opere di quell’artista,di certo appaiono troppo modeste per essere sue149.

Dato che la biblioteca era stata completata in tuttele sue parti per iniziativa di Cosimo I, concordemente,per quanto possibile, con le intenzioni del maestro lon-tano, il duca poteva legittimamente lasciare memoriadella sua impresa alla posterità per mezzo di un’iscri-zione sopra il portale d’ingresso. E cosí fece, anche seadoperò per questo un cartiglio tipico del gusto «moder-no» del 1570, che è l’unico elemento nell’ambiente adisturbare l’assoluto dominio delle concezioni formali diMichelangelo:

BIBLIOTECAM HANC

COS: MED: TUSCORUM

MAGNUS DUX I

PERFICIENDAM CURAVIT

AN: DNI MDLXXI III ID: IUN

Aggiunte moderne e modifiche.

Nel 1571 la biblioteca venne inaugurata e aperta alpubblico in una solenne cerimonia: in quello stesso gior-no venne coniata una medaglia con l’immagine del ducaCosimo I su un verso e una porta (il portale d’ingressoalla biblioteca) sull’altro, con il motto PUBLICAE UTILI-TATI.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 79

Come abbiamo visto all’inizio di questo studio, la fac-ciata del vestibolo rimase allo stato del rustico fino allafine del xix secolo, mentre all’interno del vestibolo solol’alzato del lato sud venne terminato fino alla sommità.All’epoca dell’inaugurazione, inoltre, il vestibolo vennecompletato con una gran quantità di pietre sbozzate,rimosse solo nel 1811.

All’inizio del xix secolo, il granduca Ferdinando IIIera seriamente intenzionato a completare le parti nonfinite del vestibolo. Vennero innalzati i ponteggi e radu-nata la pietra necessaria, ma si dovette abbandonarel’impresa, a causa del non favorevole momento storico150.Passò quasi un secolo prima che i lavori potessero esse-re effettuati, e abbiamo già esaminato il loro esito nontroppo felice per quanto riguarda la facciata.

Due aspetti dei lavori realizzati nel 1904 meritanod’essere menzionati. La parete sud all’interno del vesti-bolo, l’unica portata a termine da Michelangelo, erapriva di un cornicione. Rossi151 spiega nel suo testo chenon esisteva alcun progetto per tale coronamento, masuppone che dovesse essere simile a quello della biblio-teca. Geymüller152 pensava che il cornicione mancantefosse stato completato «in base a dei frammenti con-servati nel vestibolo, che non erano stati rimossi», maera in errore. L’attuale cornicione è moderno, anche seè riuscito abbastanza bene: si tratta di una libera com-binazione tra il cornicione della biblioteca e quello soprail primo livello del vestibolo, che assume al suo internointegralmente le soluzioni di Michelangelo, con le stes-se profilature principali raccordate dalle stesse ridottemodanature. La nuova cornice venne dapprima provatain legno e fotografata dalla Soprintendenza per docu-mentare l’opera, e solo successivamente venne realizza-ta in base al modello. Restava poi da completare lacopertura, per la quale non era rimasta alcuna indica-zione di Michelangelo, né all’epoca della costruzione si

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 80

avevano notizie più precise. Nel 1559 Ammannati spe-rava di avere da Michelangelo dei disegni sia per lacopertura del vestibolo che per la facciata153, e non sap-piamo se ebbe successo o no. Oggi, invece di un soffit-to vero e proprio, c’è una copia su tela del soffitto dellabiblioteca: un vacuo sotterfugio che affievolisce in modosostanziale l’energico impatto dell’architettura.

Bisogna poi prendere in esame le costruzioni aggiun-tive sorte accanto a quelle di Michelangelo. L’idea diampliare la biblioteca doveva esistere già ad una dataprecoce. Nell’angolo nord-est del chiostro, quasi di fron-te all’ingresso del vestibolo, si trova un portale in pie-tra di macigno sopra tre gradini, il cui stile mostra un’e-vidente affinità con il vestibolo. Nel libro di Ruggiero154

compare un’illustrazione del portale, con la didascalia«Architectura di Michelangelo Buonarroti».

A chiunque abbia familiarità con lo stile di Miche-langelo apparirà subito evidente che tale porta non espri-me le idee del maestro. Qualcuno ha semplicementeripreso il disegno del tabernacolo dell’interno semplifi-candolo: le membrature nettamente scandite dell’origi-nale sono tradotte in uno stile morbido e privo di aspe-rità. Tutto sembra indicare un architetto da individuarsitra i seguaci di Michelangelo.

Agli Uffizi è conservato un disegno di questa porta155,che si può assegnare con sicurezza al Dosio in base allostile e alla grafia. Dosio fece molti disegni di parti delvestibolo: qui però non si tratta di una semplice ripro-duzione, ma di un progetto alternativo. Le scanalaturedella parasta di sinistra arrivano ad oltre metà altezza,come nei tabernacoli del vestibolo, mentre l’altezza dellescanalature a destra è molto minore. L’inevitabile con-clusione è che la porta è stata progettata ed eseguita daDosio, e non è azzardato attribuire a questi anche l’in-tero progetto, del quale il portale è solo una componen-te. La porta infatti dà adito ad una sala con uno scalone

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 81

dagli ampi gradini nitidamente lavorati in macino: que-sto ambiente evidentemente non venne completato, e ilavori vennero presto abbandonati. Ma per quale scopoera stata concepita questa fastosa sala? Uno sguardod’insieme all’intero complesso può fornirci la risposta.Sopra questo angolo del chiostro si trova una strutturache può essere interpretata solo come l’inizio di un pianoaggiuntivo, che avrebbe interamente occupato a lato est.Senza dubbio, nella seconda metà del xvi secolo Dosioera in procinto di costruire un’altra biblioteca, parallelaa quella di Michelangelo, sull’altro lato del chiostro.

Un ampliamento della biblioteca divenne indispensa-bile nel 1792, quando il conte Angioli d’Elci fece omag-gio a Ferdinando III della sua raccolta di ottomila volu-mi. Bisogna però aspettare trent’anni prima che Pasqua-le Poccianti venisse incaricato della costruzione dell’at-tuale Rotonda, che si apre a metà della lunga parete dellabiblioteca, sul lato ovest. Questo episodio rappresenta inrealtà solo una piccola parte del progetto, ed è lo spaziominimo per ospitare la collezione d’Elci. Il ben piú gran-dioso progetto di Poccianti prevedeva un’altra bibliotecaparallela (proprio dove doveva sorgere quella di Dosio),anch’essa con una rotonda che si apriva sul suo lato lungo,e un corpo di fabbrica che connetteva le due rotonde tra-versando il chiostro a metà156.

La costruzione di Poccianti, per quanto eccellente insé, è priva di relazione con l’originario progetto miche-langiolesco. La teoria di paraste lungo la parete dellabiblioteca non tollera alcuna sorta d’interruzione. Oggi,invece, non solo è stato introdotto un ingiustificabileasse trasversale con l’ingresso alla Rotonda, ma sonostate tamponate cinque finestre, con una forte diminu-zione dell’originaria luminosità dell’ambiente, requisitoprimario per l’intero progetto. Infine l’interruzione nellascansione degli scrittoi altera la pianta, che era stata con-cepita con tanta accuratezza.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 82

Dopo il 188o le vecchie idee d’ampliamento di Poc-cianti vennero nuovamente prese in considerazione. Ilnuovo corpo di fabbrica non fu però costruito sopra ilcorridoio est del chiostro, ma all’estremità sud, occu-pando il sito che Michelangelo aveva destinato alla «pic-cola libreria», ed utilizzando come ingresso la stessaporta della terminazione in fondo alla biblioteca. Que-sti nuovi ambienti, il cui innesto con la biblioteca tagliavia senza alcun riguardo il suo angolo sud-est, non hannofortunatamente alcuna conseguenza sull’interno, ma rap-presentano un assemblaggio mediocre ed inorganico, esono un duro colpo alle aspettative di chi proviene dallabiblioteca. Le conseguenze di tali ambienti modernisulla costruzione di Michelangelo sono l’esatto oppostodella Rotonda di Poccianti: brutti se considerati in sé,non alterano però l’aspetto della biblioteca.

Il vestibolo e il problema del Manierismo.

All’inizio di questo studio ho mostrato come il cam-biamento del progetto, che aveva comportato la soprae-levazione del vestibolo, doveva essere stato accettatocontrovoglia da Michelangelo. Ma, ad un livello piúprofondo, credo che le osservazioni del papa avesserosospinto Michelangelo verso orizzonti che aveva già ini-ziato ad esplorare: una pressione esterna aveva dato vialibera a idee che, nella fase del primo progetto, erano giànella mente del maestro.

Il vano ha una pianta dall’approssimativa forma qua-drata, e tale quadrato è quasi interamente occupatodallo scalone. Attorno a questo sono lasciati solo stret-ti passaggi. Al livello del piano inferiore è la massa delloscalone a dominare l’ambiente: il vano si presenta comeun semplice involucro che racchiude la scala, la cuiforma scultorea è inserita come un oggetto prezioso in

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 83

una scatola, o una reliquia in una teca. Di solito le stan-ze sono create in funzione degli uomini: qui è stata crea-ta una stanza in funzione di uno scalone.

La concezione di uno scalone entro una scatola esclu-de la possibilità di un’unità organica tra scala e parete.La scala è semplicemente disposta a ridosso della parete:a quel livello tutte le modanature proseguono dietro loscalone senza interrompersi, e tra i plinti superiori dellabalaustrata e la mostra del portale c’è un’interruzionetanto larga che vi si può far passare una mano. Se l’uo-mo e il vano fossero i veri protagonisti di questa scena,lo scalone sarebbe organicamente connesso alla parete.

Se però guardiamo piú in alto, passando dal livelloinferiore ai due superiori, non troviamo piú alcuna indi-cazione della funzione propria del vano di contenere unoscalone. Uno spazio di 11,50 metri s’innalza sopra dinoi, senza che si possa cogliere la sua connessione conil nucleo scultoreo della scala. In altri termini, al livelloinferiore le pareti sembrano avere la funzione di rac-chiudere la scala; sopra, l’ambiente sembra sussistere inmodo autonomo. Sotto, la configurazione della scaladetermina quella del vano; sopra, l’ambiente segue leggiproprie157. C’è una dicotomia, ma l’architettura non faniente per risolverla. L’articolazione parietale del vesti-bolo forma un’unità, cosí che i due differenti caratteridell’ambiente non possono essere concepiti separata-mente. L’osservatore avverte un incessante conflitto trai due principî (le pareti intese come involucro di unnucleo scultoreo oppure come limite di uno spaziovuoto), dove non è possibile alcuna risoluzione. Il signi-ficato di quest’opera, quindi, risiede nel fatto che nes-suna risoluzione è possibile: l’architettura è in perpetuodisaccordo con se stessa.

Nella prima versione del progetto il sistema orizzon-tale dell’articolazione parietale consentiva ancora di con-cepire i singoli livelli dell’ambiente come entità separa-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 84

te. Le due opposte concezioni dell’ambiente sono qui giàpresenti, ma la scansione separata dei livelli, uno sopral’altro, impediva ancora che questi entrassero in apertoconflitto.

Prima dello scalone del vestibolo, tutte le sale consi-mili del Rinascimento italiano formavano un’assolutaunità spaziale. Le scale erano sempre a ridosso dellepareti, e l’idea di uno scalone libero non si era ancorapresentata: tali soluzioni non dànno luogo a problemi disorta. Il vestibolo della Laurenziana, affrontando unasituazione del tutto nuova, si apre invece su nuovedimensioni. Questa è la prima vera sala con scalone, edè all’origine di tutti gli analoghi ambienti del Barocco.Se in questo modo possiamo collocare tale episodio inuna sequenza storica, non arriviamo però a definire ilsignificato proprio di questa architettura. Michelangelocreò un tipo che venne ripreso dal Barocco, e per moltiaspetti fu decisivo per il suo sviluppo: ma tale tipo si puòdefinire di per sé Barocco?

Abbiamo visto che un conflitto inconciliabile, un’in-cessante oscillazione tra estremi opposti è il principioguida dell’intera costruzione, e ciò che è vero per iltutto è anche vero per le singole parti. Ad esempio, èstato spesso notato158 che l’aggetto delle porzioni dimuro è in contraddizione con le funzioni che sono pro-prie alle colonne e alle paraste. L’autentico compitodegli ordini è infatti quello di sostenere il carico e arti-colare le superfici murarie: gli ordini, quindi, stannosolitamente davanti ad una parete. Ma qui è il muro chesi pone davanti all’ordine. Questo fatto ha portato aduna lettura in termini di espansione del muro entro ilvano: quelli che hanno dato una tale interpretazionehanno avvertito uno schiacciante senso di massa159. Amio giudizio, una piú autentica interpretazione di talearchitettura deve partire dal fatto che l’abituale rap-porto tra parete e ordine è qui semplicemente inverti-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 85

to. L’osservatore viene gettato, senza esserne consape-vole, in uno stato di dubbio ed incertezza: egli avverteche pareti e ordini si sono scambiati le parti, e la suaimmediata reazione istintiva è di ritenere ciò impossi-bile. L’intera articolazione parietale quindi mostra unconflitto che l’architettura non fa niente per risolvere.Questo non avviene nel primo progetto, dove il con-flitto è ancora evitato. Le partizioni con i tabernacolisono inquadrate da paraste, di modo che i rincassi conle colonne sembrano interrompere un piano parietaleaggettante.

Un’analisi della scala porta alle stesse conclusioni. Lerampe laterali sembrano inerpicarsi verso l’alto, mentrela rampa centrale presenta un moto inverso: i gradiniscendono dalla porta della biblioteca, come in una casca-ta160. Nei punti di connessione tra le tre rampe le duedirezioni cozzano. Salendo per una delle rampe lateralie giungendo al ripiano dove queste si riuniscono a quel-la centrale, si ha la sensazione di essere nuovamentesospinti in giú. Scendendo dalla rampa centrale sembrainvece di sfidare la corrente contraria, verso l’alto, dellerampe laterali. Non c’è risoluzione: si è continuamentedilaniati tra il moto ascendente e quello discendente.Questo elemento di ambiguità viene introdotto solodopo il mutamento del progetto: anche se la strada cheporta in tale direzione è già preparata, Michelangeloevita di suggerire un contrasto tra la rampa centrale equelle laterali.

Dopo tale disamina è facile riscontrare lo stesso insa-nabile conflitto in ogni dettaglio161. La distinzione trale mostre interne e quelle esterne può essere interpre-tata solo in questi termini. Alla fine siamo consapevo-li che ad ogni elemento sono stati conferiti due diffe-renti e inconciliabili significati. Nell’articolazione gene-rale la sommatoria di livelli giustapposti uno sull’altroè rimpiazzata da una sistemazione verticale piú inten-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 86

sa e unitaria, e proprio lo stesso tipo di sviluppo con-duce dalle prime finestre della biblioteca ai piú tardiportali.

Resta ancora da dire qualcosa sui tabernacoli. Anchequi la funzione di ogni elemento architettonico è rove-sciata. Le nicchie sono inquadrate da paraste rastrema-te verso il basso e sormontate da frontespizi triangolario arcati. I relativi capitelli però non sembrano avereniente a che fare con tali paraste: infatti sono di granlunga piú piccoli del dovuto e giacciono su un piano arre-trato. Un capitello, di norma, si trova nel punto in cuila spinta verticale dell’elemento portante e la pressioneverso il basso del peso sovrastante si incontrano: il cari-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 87

7. Pianta del vestibolo che mostra la relazione tra scalone e pareti (da Geymüller).

co schiaccia e sospinge ai lati la sommità del sostegno.In questo caso, tuttavia, invece di sorreggere la trabea-zione del frontespizio, i capitelli pendono da quest’ulti-ma. Dato che i capitelli sono in quella posizione, si pro-pende a priori a conferire ad essi il ruolo consueto: mapoi ci si rende conto che quella che si sta osservando èsolo una forma svuotata del suo contenuto. E ancora: itriglifi, componenti della trabeazione dorica, pendonocome gocce di rugiada sotto le paraste. Parte della nic-chia vera e propria è cinta da una sottile modanatura,che viene proiettata sul piano di fondo della nicchia,poco sotto la sua sommità. In basso la nicchia proseguesotto la modanatura, cosí da dare l’impressione di unascatola più piccola inserita m una più grande. Si ha lasensazione di poter tirare fuori dalla nicchia la scatolaincorniciata lasciando al suo posto la nicchia piana. Mase si osserva con piú attenzione ci si accorge che lasuperficie di fondo della nicchia in alto è complanare allanicchia incorniciata: ovvero, l’impressione che vi sianodue scatole l’una dentro l’altra è errata. Cosí, anchestavolta, un elemento ne smentisce un altro162.

Se volessimo stabilire con piú precisione la posizio-ne della Biblioteca Laurenziana nella storia dell’archi-tettura dovremmo allargare il discorso, al di là dellostesso Michelangelo. Quell’ambivalenza che abbiamoindicato come carattere decisivo del vestibolo è un’in-dividuale espressione del solo Michelangelo o può esse-re rinvenuta altrove? Siamo in grado di distinguere talearchitettura in interno conflitto e contraddizione daun’architettura priva di tale carattere163?

Esaminiamo pochi, semplici esempi164. In primoluogo l’altare a parete della cappella Gondi in SantaMaria Novella a Firenze, opera di Giuliano da Sangal-lo del 15o6. Il suo impianto è modellato su quello di unarco trionfale. Ogni parasta sorregge una propria por-zione di trabeazione in aggetto. Le paraste interne sono

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 88

chiaramente collegate a quelle esterne per mezzo dimodanature continue all’altezza della base, dei capitel-li e dell’architrave. Ma tali paraste, in modo altrettan-to chiaro, sono anche collegate tra loro: inquadrandol’altare al centro e coronate da un frontespizio trian-golare, queste formano un’edicola in sé compiuta.Un’intenzione evidenziata anche dall’echino decoratoad ovoli che corre lungo la cornice che aggetta al cen-tro. In tal modo le paraste interne sono investite di unruolo ambiguo. La scansione degli interassi ne risultaconfusa, e l’osservatore non sa a quale di essi le para-ste interne appartengano. Ogni tentativo di leggerequesta architettura in base ad uno dei due sistemi con-duce immediatamente all’altro. L’ambivalenza che quinotiamo è quindi sostanzialmente la stessa della Lau-renziana: si viene a creare la stessa tensione, l’osserva-tore è lasciato con gli stessi dubbi.

Questo tipo di architettura stimola l’occhio a muo-versi, a vagare qua e là senza posa165: per esprimere que-sto fenomeno in una parola ho usato il termine «ambi-guità». È importante comprendere che l’impressione diambiguità suggerita dalla cappella Gondi e il dupliceruolo degli ordini che la compongono si distinguono siadalla concezione rinascimentale che da quella baroccadell’architettura.

Esaminiamo un tipico esempio rinascimentale, ladisposizione degli ordini nella facciata di palazzo Rucel-lai, iniziata nel 1446166. Qui ogni interasse di ciascunpiano e equivalente agli altri quanto ad altezza, lar-ghezza e delimitazione. La completa identità di tutti gliinterassi è una caratteristica fondamentale del progetto.Eccezion fatta per quelle agli angoli, ogni parasta puòessere correlata ugualmente e indifferentemente ad unodei due interassi che la affiancano. La ripetizione di taliaccenti è essenzialmente autosufficiente, stabile. Nonc’è ambiguità né movimento, e l’impianto si palesa a

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 89

prima vista, mentre invece nella cappella Gondi richie-de un’osservazione prolungata.

Prendiamo ora in esame, come tipico modello baroc-co, la facciata di Santa Susanna a Roma, del 1597-1603.È questo forse il migliore esempio di facciata compostadi piani parietali in successivo aggetto, con gli ordini chesottolineano tale movimento. Ogni interasse coincidecon un piano della facciata. Laddove un piano (ossia uninterasse) entra in contatto con il successivo, questopunto viene articolato con due ordini posti fianco afianco. Invece della meccanica iterazione di palazzoRucellai, la facciata di Santa Susanna si basa su un dina-mico, vitale procedere verso il centro. Gli interassi chedivengono piú ampi mano a mano che si approssimanoalla sezione centrale, il trapasso dalla parasta alla colon-na, la parete che presenta una quantità sempre maggio-re di episodi, tutto segnala un crescendo, un accumulodi energie verso il centro. L’indubbio senso di moto ècoadiuvato dalla chiara suddivisione in sezioni distinte.Un’indifferenza per questo aspetto, che a palazzo Rucel-lai non contava, è qui impensabile: ogni interasse dev’es-sere esattamente definito. In entrambi i casi (palazzoRucellai e la facciata di Santa Susanna) interasse e ordi-ne sono comunque chiaramente distinti: nel primo casograzie alla completa identità tra unità indefinitamenteripetute, nel secondo per l’assoluta differenziazione diunità concluse e isolate. Gli ordini statici di palazzoRucellai godono di un identico rango; quelli della dina-mica facciata di Santa Susanna seguono un inequivoca-bile assetto gerarchico.

La particolare ambiguità della cappella Gondi, con ilsuo dualismo di funzioni, è quindi ben distinguibile tantodall’autosufficienza del Rinascimento quanto dal movi-mento del Barocco. Tale dualismo di funzioni, qui illu-strato con un esempio piuttosto semplice, è una delleleggi fondamentali dell’architettura manierista. Da ciò

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 90

dipende in grande misura l’effetto conseguito da Miche-langelo nella Laurenziana. Tale principio può essereimpiegato, in relazione agli ordini, secondo molteplicimodalità, molte delle quali ben piú complesse che nellacappella Gondi: si può menzionare al riguardo la voltadella loggia del casino di Pio IV nei giardini Vaticani,realizzata nel 1561 secondo i progetti di Pirro Ligo-rio167. Oppure lo stesso principio può essere impiegatoin altri elementi architettonici, ordini a parte. Le mostredi porte e le nicchie del vestibolo sono esempi di pri-maria importanza al riguardo. Un esempio estremo dellepossibilità cui può pervenire questa idea è l’articolazio-ne parietale della Sala Regia del Vaticano, il cui progettorisale all’allievo di Michelangelo Daniele da Volterra,dopo il 1547168. In tutti questi casi i singoli elementisembrano rivestire una duplice funzione, spezzandounità apparentemente coerenti e intrigando mente eocchi dell’osservatore con ambiguità e movimento.

Come punto di partenza per chiarire un’altra leggefondamentale dell’architettura manierista possiamoprendere in esame la facciata di San Giorgio de’ Grecia Venezia, costruita dopo il 1536 secondo un modellodi Sante Lombardi. Il piano inferiore segue l’impiantodi un arco trionfale: in altri termini, le paraste lateralisono coronate da un proprio risalto, mentre una tra-beazione aggettante e continua collega tra loro le dueparaste al centro. Nel piano superiore le due parasteinterne sono collegate a quelle esterne in modo da for-mare due edicole, mentre la zona centrale appare comeuna porzione muraria (con un rosone all’interno) privadell’inquadramento degli ordini: una zona che potrem-mo definire «aperta». Nel terzo livello, che consistedella sola sezione centrale, le paraste sono, ancora unavolta, collegate in alto. In tal modo, delle paraste postel’una sull’altra risultano accoppiate secondo direzionicontrastanti, di modo che sopra le sezioni chiuse (ossia

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 91

inquadrate dall’ordine) si trovano le sezioni aperte (deli-mitate solo dagli ordini delle sezioni adiacenti) e vice-versa. Sezioni dello stesso tipo non si trovano mai l’unasull’altra. Ogni tentativo di trovare un asse verticale dipartizioni equivalenti viene frustrato, dato che le para-ste cambiano di senso ad ogni livello. Credo che questosi possa definire principio di inversione.

L’inversione impedisce un’univoca lettura in verticaledella facciata: l’occhio è condotto a vagare in alto e inbasso, a destra e sinistra, e anche questo moto indottopuò essere definito ambiguo. Il dualismo di funzioni pro-duce un effetto di movimento ambiguo in un edificio diun solo livello, e un fenomeno di inversione in edifici dipiú livelli. Spesso entrambi i principî ricorrono nellastessa costruzione.

I due esempi di architettura rinascimentale e baroc-ca mostrano con chiarezza che il principio d’inversioneè estraneo ad entrambi i periodi. Sia a palazzo Rucellaiche nella facciata di Santa Susanna gli ordini dispostil’uno sull’altro sono di eguale valore, cosí che la letturadelle facciate in senso verticale è priva di ambiguità.

Nei due esempi manieristi, la cappella Gondi e SanGiorgio de’ Greci, l’ambiguo movimento espresso negliordini è relativamente indipendente dalla parete. Dua-lismo di funzioni e inversione hanno luogo su una super-ficie muraria continua: se si rimuovono gli ordini restauna parete integra e priva di articolazione. Questo perònon significa che la parete non possa di per sé esprime-re un movimento ambiguo. La facciata della biblioteca(una parte della costruzione che non è stata ancoraapprofondita) può servire da esempio in tal senso. Laserie di finestre giace su un piano di poco arretratorispetto all’uniforme superficie muraria sovrastante.Osservando il livello delle finestre si è portati a ritene-re che il loro piano sia la parete vera e propria. Le «para-ste» tra le finestre si presentano come una semplice arti-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 92

colazione di membrature che possono essere rimosse dalmuro, come un telaio. Ma queste stesse «paraste» inrealtà formano una superficie unica con il muro supe-riore, e questo ci porta a valutare le «paraste» come ilresiduo di un piano parietale avanzato, entro il qualesono stati ritagliati dei rettangoli per le finestre chelasciano solo lo spazio per queste sottili strisce. Il pre-valere di una delle due interpretazioni dipende da comeviene letta la facciata: se dal basso verso l’alto o vice-versa. Si può quindi affermare che è la stessa parete asuggerire un’impressione di movimento ambiguo169: quel-lo che sembrava il muro acquista l’effetto di un pianoarretrato, e quella che sembrava una fila di paraste dàl’impressione di una parete. Come i principî di dualismodi funzioni e d’inversione rendono impossibile una chia-ra idea degli interassi se questi sono letti in senso oriz-zontale o verticale, allo stesso modo si resta incerti sul-l’autentica natura della parete in aggetto. Il dualismo difunzioni che è proprio della parete può essere definitopermutazione170.

Torniamo ad esaminare palazzo Rucellai e SantaSusanna. La parete di palazzo Rucellai è formata da unpiano unitario, mentre quella di Santa Susanna è scan-dita da piani successivi, ma ogni piano è chiaramentedefinito e si estende ininterrotto per l’intera altezzadell’edificio.

Quando si riscontra negli ordini o nella parete un taleconflitto interno, l’impressione è quella di un ambiguomovimento: dualismo di funzioni, inversione e permu-tazione costringono l’occhio a muoversi incessantemen-te avanti e indietro. La tensione connaturata a tale archi-tettura è irriducibile: non c’è possibilità di equilibrio, diuno stato di quiete finale. Gli architetti italiani del xvisecolo trovarono infiniti modi di elaborare, variare ecombinare tali principî. Un esempio particolarmenteingegnoso di tutti e tre i principî si trova nel modello di

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 93

Bernardo Buontalenti del 1587 per la facciata delDuomo di Firenze.

In nessun altro esempio, tuttavia, l’idea di conflittoè stata portata a compimento con altrettanta capacitàinventiva, individualità e inesorabile coerenza che nelvestibolo della Laurenziana: idea che pervade tutta lacostruzione, tanto nel suo insieme quanto nei dettagli.Nondimeno, se il vestibolo è un caso a sé, entra anchea far parte di una corrente artistica: è l’immagine supre-ma di uno stile che in quegli anni aveva fatto ovunquela sua comparsa; uno stile distinto tanto dal Baroccoquanto dal Rinascimento.

Questa corrente è il Manierismo, la cui origine, sto-ria e significato non è qui il caso di approfondire171. Nel-l’accezione comune, il termine è impiegato per definirelo stile del periodo compreso tra il 1520 e il 1600. Nellaletteratura piú antica sull’argomento, il termine è statoapplicato esclusivamente alla pittura172. Ma in realtà glistessi concetti sono egualmente validi sia per la pitturache per l’architettura. La «figura serpentinata» e l’o-scillazione tra superficie e profondità si possono age-volmente assimilare ai principî di ambiguità, inversionee permutazione: l’identità dell’idea è evidente.

Dopo aver insistito sulla distinzione tra architetturarinascimentale, manierista e barocca, bisogna però fareattenzione a non sottolineare troppo questo aspetto.Malgrado tali differenze, l’intero periodo che va dall’i-nizio del xv secolo alla metà del xix può con ragioneessere concepito in termini unitari, e distinto tanto dalGotico, che lo precedette, quanto dall’architetturamoderna. Ciò che contraddistingue e unifica questi cin-que secoli è uno specifico modo di concepire la struttu-ra. Le strutture del Gotico si basano sull’intelaiatura deisostegni verticali; i muri sono un semplice riempitivodegli intervalli tra i sostegni, e se si rimuovessero lastruttura rimarrebbe in piedi per conto proprio. Nella

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 94

seconda metà del xix secolo, il ferro, l’acciaio e il cemen-to cominciarono a cambiare la nostra concezione degliedifici. Ancora una volta, come nell’architettura gotica,troviamo qui essenzialmente una gabbia strutturale privadi muri. Ma durante il periodo in esame, compreso trail sistema gotico e quello moderno, i muri costituisconol’elemento principale: se li si rimuove l’edificio crolla. Aloro è affidata la solidità della struttura: possono esseresuddivisi e articolati dagli ordini (ossia dal sistema dicolonne, semicolonne e paraste ripreso dall’antico), mase tali elementi fossero rimossi il muro non rimarrebbeindebolito nel suo ruolo strutturale.

Sia i muri che gli ordini possono naturalmente esse-re trattati nei modi piú diversi, ma sostanzialmente rien-trano in due categorie: la prima rigida, inflessibile, con-clusa in sé e statica; la seconda flessibile, tesa e dinami-ca. Nessuno ha mai scritto un’esauriente storia dell’ar-chitettura in questi termini, ma siamo abituati a imma-ginare tali categorie secondo una sequenza cronologica,con le opere d’architettura statiche del Rinascimentoche portano a quelle dinamiche del Barocco. Certo, gliedifici statici si presentano agli inizi di quel periodo equelli dinamici non prima della fine del xvi secolo, mala concezione statica continua a convivere a fianco diquesti ultimi, e alla fine del periodo torna nuovamentea prendere il sopravvento.

L’architettura statica (palazzo Rucellai) non conoscealcun conflitto. Quella dinamica (Santa Susanna), conle sue masse che si compenetrano, l’inesausto moto, ilcozzare di energie vitali, presenta incertezza e conflit-to, ma reca anche in sé la risoluzione di quel conflit-to. Entrambi i tipi di costruzione possono essere dota-ti di ambiguità, se muri e ordini sono configurati inmodo da recare in sé due possibilità in contrasto, cosic-ché l’intelletto si trova di fronte a problemi cui nonpuò dare risposta.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 95

Il concetto di ambiguità manierista può essere appli-cato sia a opere d’architettura statiche che dinamiche.Può essere limitato agli ordini senza investire la paretee viceversa (interno della biblioteca); può comparire inmostre di porte o finestre senza rapporto con la pareteo gli ordini e in particolari decorativi. Oppure, come nelcaso del vestibolo, può informare l’intera struttura. Nerisulta che esistono costruzioni che recano l’impronta delManierismo in minore o maggiore misura, passando daiprimi segni di dualismo di funzioni, appena percepibili,in Santa Maria di Loreto a Roma, per arrivare al model-lo di Buontalenti per il Duomo di Firenze. Per ognicostruzione manierista si pone un interrogativo: si trat-ta, in sostanza, di architettura statica o dinamica? Perquanto riguarda la Laurenziana, la risposta al quesito èche si tratta di un’opera fondamentalmente statica: nelvestibolo troviamo infatti un sistema di quattro pareti,e ognuna di queste è articolata in modo strettamenteautonomo.

A causa del rilievo, molto marcato in profondità, deipiani della parete, si è preteso di riconoscere nella Lau-renziana un edificio barocco. È vero che a partire dal xvisecolo si verifica una tendenza generale ad emanciparela massa scultorea: una linea di sviluppo che raggiungeil suo punto piú alto nel Barocco romano, attorno al1650, per poi dare luogo ad una tendenza inversa. Giànegli anni venti del Cinquecento si registra uno sforzoper una disposizione di masse liberamente plastica (comenel palazzo Caffarelli di Raffaello, del 1515). Il vestibolonon è, quindi, un caso isolato, ma l’anello di una cate-na, anche se nessuno in precedenza aveva osato river-sare una tale quantità di movimento in uno spazio cosíristretto.

Gli elementi fortemente plastici nell’architetturadegli anni venti e trenta del Cinquecento sono in pienasintonia con quanto allora si verificava in pittura e scul-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 96

tura. Un tempo per descrivere tali fenomeni si era usatoil termine di «protobarocco», cosa che ha portato all’er-rore di valutare il primo Barocco, affermatosi intorno al16oo, come uno sviluppo diretto del protobarocco. Inrealtà tra questi due fenomeni c’è un solco profondo,anche se non è possibile in questa sede esaminare la que-stione in dettaglio. In architettura il problema è di ope-rare una distinzione tra la struttura essenzialmente sta-tica del protobarocco e quella fondamentalmente dina-mica del Barocco vero e proprio.

Abbiamo cosí stabilito le peculiarità, la posizione sti-listica e l’importanza della Laurenziana. Riassumendo:1) Il tipo del vestibolo è una creazione nuova, e in essoviene elaborata per la prima volta l’idea di uno scalonebarocco. 2) L’inesausta tensione insita nell’edificio,tanto nell’insieme quanto nei dettagli, ci obbliga adistinguerlo sia dall’architettura del Rinascimento (privadi tensione, statica) che da quella Barocca (dinamica, mache ha in sé la possibilità di offrire una risoluzione allatensione). La Laurenziana appartiene ad un vasto insie-me di edifici dotati di simili principî comuni tra il 152oe il 16oo, che possono essere definiti propriamentemanieristi. 3) Gli elementi di conflitto nella Laurenzia-na, fondamentalmente, sono sviluppati partendo da unsistema rigido e statico. Non sembrano esserci, prima del1550, opere d’architettura dalla struttura dinamica,dove pareti e ordini esprimano principî di movimento.Le concezioni che caratterizzano la Laurenziana sonoapplicate ad un’intelaiatura di base sostanzialmente rina-scimentale, anche se 4) il gioco delle masse e il forte rilie-vo di tutte le componenti avvicina l’edificio al primoBarocco173. Ma sarebbe sbagliato trarre la conclusioneche la Laurenziana presenta caratteri barocchi, mentreè chiaramente in linea con le costruzioni del primo Rina-scimento. 5) Il carattere peculiare del vestibolo derivadal fatto che un cosí forte rilievo e pareti articolate in

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 97

modo talmente differenziato vengono impiegate in unambiente cosí ridotto. È questo che produce l’effetto dischiacciante oppressione e la predominante impressionedi energie in ambiguo conflitto.

La Laurenziana si pone all’inizio di un modo total-mente nuovo di intendere l’architettura. Le idee qui for-mulate ed elaborate oltrepassarono di gran lunga quan-to gli altri architetti avevano mai osato immaginare. Equi si trova la chiave per comprendere un vasto settoredella storia dell’architettura inesplorato o male inter-pretato, e la spiegazione di molte cose che sarebberoavvenute nei due secoli seguenti e oltre.

appendice i

Problemi costruttivi.

La scelta del sito per la biblioteca non dipendevasolo dal numero di abitazioni dei monaci che dovevaessere sacrificato (vedi Appendice iii), ma anche daicosti di costruzione. Il 13 aprile 1524 (Frey, Briefe..., p.224) apprendiamo che il papa si sarebbe dichiarato sod-disfatto solo «quando voi non abbiate arrifondare; per-che non vole fare una libreria per avere arrifondarequasi tutto un convento». Il 29 aprile 1524 (ibid., p.226) il papa non volle approvare il progetto presentatoda Michelangelo di rafforzare i muri accrescendo il lorospessore di oltre un braccio, dato che quei muri dove-vano sorreggere solo il tetto. Dopo tale episodio, ladiscussione sul consolidamento proseguí e Baccio Bigiovenne chiamato per un parere.

Il 13 maggio (ibid., p. 227) Michelangelo propose diaggiungere delle paraste sia fuori che dentro, per l’inte-ra altezza della costruzione. Baccio Bigio, d’altra parte,propose di consolidare i muri della nuova costruzione

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 98

aumentandoli della quarta parte verso l’interno, senzatoccare affatto i vecchi muri e facendo gravare il quar-to eccedente sulle volte. Fattucci suggerí che Michelan-gelo dovesse consultare degli specialisti sull’argomento.

In seguito, Michelangelo elaborò un modo non trop-po costoso per fornire di nuove fondazioni il retro del-l’intero edificio (il lato est, fig. 2): Michelangelo addos-sò lungo tutto il muro alcune arcate sostenute da pila-stri, che in tal modo assumevano il carico della costru-zione soprastante. Il «disegno de’ pilastri» per cui Fat-tucci accusò ricevuta il 7 luglio 1524 (ibid., p. 232) vaindubbiamente riferito a tali pilastri sul retro dell’edifi-cio. Il papa approvò questa soluzione, e Michelangelodette inizio ai lavori di fondazione.

Il 17 settembre apprendiamo che l’esecuzione è affi-data a Baccio Bigio (ibid., p. 236), lasciando Michelan-gelo libero di dedicarsi alle sculture della Cappella Medi-cea. Il 6 novembre (ibid., p. 240) alcuni pilastri risulta-no già realizzati.

Come nella facciata, anche nella biblioteca le finestregiacciono su un piano arretrato, che è evidentemente ilpiano dei muri antichi. In riferimento a questo proget-to il malevolo priore di San Lorenzo, Gigiovanni, irri-tato dalla sporcizia e dagli incomodi causati dai lavori,disse al papa che Michelangelo stava riducendo «la libre-ria in colombaia» 1° ottobre 1524, ibid., p. 237).

In facciata (lato est), i chiostri facevano da con-trafforte ai muri antichi e a quelli nuovi. Tanto nel latoovest che in quello est la relazione tra interno ed ester-no è chiaramente espressa. La gabbia strutturale dellanuova costruzione è formata da pilastri collegati fra loroda muri piú sottili, e quindi piú leggeri. All’esterno que-sti sostegni appaiono in forma di piloni e all’interno diparaste. Con tale soluzione del problema costruttivo, ilcarico dei nuovi muri risulta considerevolmente dimi-nuito.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 99

Sia fuori che dentro, le finestre sono poste su unpiano arretrato. All’esterno, il muro continuo sopra lefinestre fa blocco unico con i pilastri che separano que-ste ultime, mentre all’interno quella stessa porzionemuraria risulta scavata, e quindi alleggerita, dai rincas-si dei tabernacoli di forma quasi quadrata.

Il 12 aprile 1525 Fattucci scrisse a Michelangelo(ibid., p. 250), riferendo che il papa aveva apprezzato lemostre interne ed esterne delle finestre, e anche i taber-nacoli superiori all’interno: evidentemente Michelange-lo aveva mandato a Roma un resoconto finale sui parti-colari dell’articolazione della biblioteca. Le finestre sulfronte esterno a quel tempo erano già in corso di costru-zione (Ricordo del 3 aprile 1525. Vedi Milanesi, Lette-re..., p. 597). In base alla lettera del Fattucci si puòanche dedurre che la facciata, cosí come oggi si presen-ta, era considerata compiuta da Michelangelo, e che laporzione piana di muro sopra le finestre non dovevaessere in alcun modo ornata.

Sin dall’inizio si erano presentate delle particolaridifficoltà per la stabilità dei muri del vestibolo. Sottoquest’ultimo infatti si trova la cappella del monastero,e dato che il vestibolo doveva essere piú largo della cap-pella, era senza dubbio necessario erigere un muro nellastanza adiacente alla cappella: muro sul quale attual-mente poggia il lato sud del vestibolo.

Sul retro del vestibolo (lato ovest) il rinforzo delmuro aggetta di 34 centimetri oltre il filo esterno dellabiblioteca. Tale rinforzo poggia sopra le volte di una log-gia quattrocentesca: su questa, all’epoca della costru-zione di Michelangelo, si trovava una terrazza aperta,dalla quale si accedeva al tetto del vestibolo per mezzodi una scala a chiocciola (visibile sul disegno di Battistada Sangallo, e nel rilievo quotato del vestibolo di G. B.Nelli, Uffizi 3712A). Attualmente la terrazza è chiusada una vetrata e da un tetto.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 100

Michelangelo consolidò anche il muro est, dandogliuno spessore maggiore rispetto al contiguo lato dellabiblioteca. Questo muro, tuttavia, aggetta solo di 11centimetri rispetto al filo della biblioteca. QuandoMichelangelo iniziò ad affrontare il problema del con-solidamento del vestibolo, fu costretto a raddoppiare ipilastri nel punto in cui il filo del vestibolo sporge rispet-to alla biblioteca. Questo raddoppio era anche necessa-rio (come si può notare osservando la pianta) alla confor-mazione dell’interno. Tanto il lieve aggetto della facciatadel vestibolo quanto la giustapposizione dei due pilastri,che interrompe la regolare scansione delle finestre in fac-ciata, devono essere stati ben accetti a Michelangelo:questi elementi, infatti, rafforzavano l’effetto generaledella facciata nella sua prima versione. Grazie a tale con-cezione della biblioteca e del vestibolo si è pienamenteconsapevoli della distinzione tra i due edifici, ma non alpunto da compromettere l’unità del tutto. In questomodo veniva evitata la brusca sorpresa di scoprire die-tro una sola facciata un interno suddiviso in due ambien-ti differenziati.

L’omogeneità tra interno ed esterno raggiunta nellabiblioteca risultava sin dall’inizio impossibile nel vesti-bolo, come si può osservare nella sezione di fig. 1. L’i-nevitabile discrepanza tra interno ed esterno comportauna relativa sottigliezza dei muri in alcuni punti. Fu evi-dentemente in considerazione di questo fatto cheMichelangelo evitò di creare una massiccia strutturasuperiore. La maggiore sezione dei pilastri, nella partesuperiore della costruzione, era concepita per sorregge-re le pesanti travi del tetto.

La piccola finestra al centro della facciata, visibileprima del rifacimento del xix secolo, necessita di unaspiegazione. Si tratta di un’apertura piú tarda, pratica-ta evidentemente in un’epoca in cui, per ragioni ancoraoscure, le finestre dei muri nord e ovest vennero par-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 101

zialmente tamponate con mattoni. Questa finestra èposta troppo in alto per essere messa in relazione al pro-getto intermedio, ma d’altra parte è troppo in basso peril progetto definitivo.

Per quanto riguarda il secondo livello dell’interno,solo la parete sud venne completata sotto la direzione diMichelangelo. Le altre tre pareti rimasero al rustico, evennero terminate solo all’epoca del rinnovo del 1904.Solo cosí si può comprendere perché la finestra fossestata aperta senza tenere conto dell’articolazione di quellivello: tale finestra, quindi, non può affatto essere asso-ciata alla costruzione originaria.

appendice ii

L’elaborazione del foglio Casa Buonarroti 48.

Le varie fasi dell’elaborazione di questo foglio sipossono seguire passo passo. Michelangelo inizialmen-te tracciò il contorno formato dai lati e dalla sommitàdella parete. Quindi iniziò ad aggiungere in cima lelinee della volta: tuttavia non continuò con l’attico madefiní il livello basamentale, entro il quale sistemòsubito le due porte a distanza eguale dai lati della pare-te. Contemporaneamente alla porta di sinistra, venneaggiunta la sezione della scala. Solo a questo puntoMichelangelo iniziò ad occuparsi dello spazio compre-so tra la volta e il basamento, a partire dall’attico. Egliiniziò a tracciare l’articolazione dell’attico con ecces-siva ampiezza di proporzioni, cosicché la partizione chedoveva risultare in asse con la piccola finestra rettan-golare nella volta venne a trovarsi un po’ troppo adestra. Il primo tentativo di segnare la partizione cen-trale è indicato da quella linea verticale che intersecail pannello circolare di sinistra. Il seguente interasse di

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 102

destra, col suo pannello circolare, è molto piú largo, dimodo che l’ultima partizione aggettante rettangolaredoveva risultare in compenso piú ridotta per poteressere compresa entro il perimetro originario. Sebbe-ne Michelangelo abbia efficacemente compresso taleelemento per farlo entrare in quel contorno, vienecomunque a mancare metà della partizione arretratacon cui l’attico termina nel corrispondente lato di sini-stra. Questa parte mancante viene poi aggiunta oltreil perimetro originario, e, per evitare difficoltà nelloscandire il livello principale, Michelangelo prolungafino in fondo la nuova linea di contorno. Si dovette poiaggiungere un simile prolungamento anche sul lato disinistra, ma qui, logicamente, Michelangelo non dise-gnò la nuova linea perimetrale parallela alla vecchia,come aveva fatto a destra, ma secondo un angoloacuto. Da quel punto fino in fondo si acquistò uno spa-zio tale da rendere ancora una volta le mostre delleporte equidistanti dai nuovi contorni. Nel livello prin-cipale, disegnato da ultimo, si verificò ancora un cam-biamento di scala in relazione all’attico. L’asse deltabernacolo centrale è slittato a destra rispetto allacorrispondente parte dell’attico, e la coppia di colon-ne che segue è spostata in modo ancor piú marcatorispetto alla partizione con il pannello circolare, chedovrebbe trovarsi esattamente al di sopra. Un nettorestringimento dell’ultimo interasse con il tabernaco-lo poté ristabilire almeno in parte l’assialità con la cor-rispettiva sezione dell’attico, ma una parasta di quel-l’interasse e la colonna estrema dovettero essere dise-gnate oltre la linea perimetrale.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 103

appendice iii

Le discussioni sul sito e l’inizio dei lavori.

La discussione sul sito si pone all’inizio della proget-tazione della biblioteca. In questa appendice è stato rac-colto tutto quello che, allo stato attuale, si può ricavareal riguardo dalle fonti documentarie.

1. Prima del 3o dicembre 1523 giunse a Roma unprogetto per la biblioteca eseguito dall’aiuto di Miche-langelo, il miniaturista Stefano di Tomaso (Frey, Brie-fe…, p. 201). Questa proposta prevedeva una suddivi-sione in due biblioteche, una per i libri in greco e unaper quelli in latino (lettera di Fattucci del 2 gennaio1524. Ibid., p. 204): il papa però richiese un disegno dimano di Michelangelo. Che questo primo progetto nonfosse di Michelangelo e venisse spedito a sua insaputa èprovato da una lettera autografa del maestro al Fattuc-ci, del gennaio 1524 (Milanesi, Lettere..., p. 431, che èchiaramente in risposta alla lettera di Fattucci del 2gennaio). In questa lettera Michelangelo afferma di nonsapere niente della costruzione della biblioteca, ma cheavrebbe cercato di saperne qualcosa al ritorno di Stefa-no da Carrara. Ciò porta alla conclusione che il primodisegno sia da ascrivere a Stefano di Tomaso, che poiavrebbe preso parte alle vicende della biblioteca.

2a. Il primo progetto di Michelangelo pervenne aRoma il 21 gennaio 1524 (lettera di Fattucci a Miche-langelo del 30 gennaio, vedi Frey, Briefe..., p. 209).Dalla lettera di Fattucci si può arguire che Michelange-lo aveva scelto per la biblioteca l’attuale ubicazione.Ciò è provato dall’espressione «... volta a mezodi», ossiaorientata in senso nord-sud, come è ora la biblioteca. Ilpapa richiese, per evitare pericoli d’incendio, di crearedelle volte nei due piani inferiori, e anche questo si puòmettere in relazione solo con il sito attuale. Nella lette-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 104

ra di Fattucci del 9 febbraio (ibid., p. 211) viene espli-citamente affermato che il progetto doveva essere siste-mato sopra il monastero. Dietro richiesta del papa,Michelangelo spedí a Roma delle piante accurate dientrambi i piani del monastero. Ne risulta che tale solu-zione comportava la distruzione di sette ambienti alpiano terreno e sette al primo piano.

b. Clemente VII, sebbene avesse apprezzato il pro-getto, secondo la lettera di Fattucci del 9 febbraio, chie-se egualmente che fossero elaborati dei progetti per unaltro sito, dato che l’adozione di quella proposta avreb-be comportato la distruzione di troppe stanze del mona-stero. Apprendiamo dalla lettera alcune notizie circa ilnuovo progetto: il papa «vorrebbe, che voi facessi inten-dere da Stefano o a chi vi paressi di quella libreria cheva in sula piaza e inverso il borgo Santo Lorenzo, etvedessi per l’apunto quello che c’avano e preti o altri dipigione di quelle bottege et chase». Bisognava inoltrestabilire il prezzo che l’acquisto avrebbe comportato.

Al fine di conservare integro il monastero il papa quiprevede di sistemare la biblioteca fuori dalle proprietàdella chiesa, in quella strada che collega il Duomo apiazza San Lorenzo e che ancor oggi si chiama BorgoSan Lorenzo. Il disegno Casa Buonarroti 81 (Frey 235;Thode, ii, p. 12, iii, n. 43) venne probabilmente conce-pito in relazione a tale progetto. Il disegno fornisce unapianta del sito con i nomi dei proprietari. Questa è lalista dei nomi dall’alto in basso: «l’osteria – di sanLorenzo – meser andrea martelli – una chapella in santostefano – del bechuto – di san lorenzo – del bechuto –san Lorenzo». Vengono qui segnate, come era statorichiesto nella lettera del papa, le proprietà che appar-tenevano agli ecclesiastici e quelle dei privati. Di unachiesa di Santo Stefano in quei paraggi non si è trova-ta traccia. «Del Bechuto» è il nome di un’antica fami-glia fiorentina (Orlandini del Beccuto), che possedeva

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 105

già prima del 1432 un palazzo in quel quartiere (oggiPalazzo Vai: vedi Limburger, Gebäude von Florenz,1910, n. 706; su Andrea Martelli vedi Frey, Briefe...,).I nomi sul foglio non forniscono indicazioni utili all’i-dentificazione del sito. Thode vede in questo foglio lapianta delle case adiacenti al lato ovest della bibliotecae ritiene che la lista dall’alto in basso indichi un orien-tamento da sud a nord, ma entrambe le idee sono privedi fondamento. E altrettanto inverosimile è il tentativodi Frey di mettere in relazione il disegno con un passodi una lettera del 10 marzo 1524: «Circa le case che sonoverso via della Stufa (il papa) dice che le vole gittare interra...» Via della Stufa va in direzione nord, in lineacon la facciata di San Lorenzo (tav. 2). La frase va quin-di riferita alle abitazioni, ancor oggi esistenti, situate aridosso del muro nord della chiesa, e che non hannoniente a che vedere con la costruzione della biblioteca.Questo chiarimento non sarebbe tanto importante senon si trattasse di una pianta del sito autografa diMichelangelo. Il 18 febbraio non era ancora giunto aRoma quanto aveva inviato Michelangelo. In una lette-ra di quel giorno Fattucci chiede a Michelangelo diinviare una missiva con i costi delle «bottege, case,camere che s’abino a guastare sotto et sopra» (Frey,Briefe..., p. 212). È lecito interpretare questo accennocome un confronto tra i costi dei rispettivi progetti?

c. Alla fine di febbraio Fattucci accusa ricevuta diuna lettera di Michelangelo (ibid., p. 213), ma dichiaradi non volerla mostrare al papa, dato che non vi è ripor-tato il numero delle stanze da distruggere: Michelange-lo deve scrivere al riguardo ed eventualmente inviaredegli schizzi. Dato che poche settimane prima si era par-lato della distruzione di sette stanze sopra e di altret-tante sotto, un nuovo progetto di Michelangelo dovevaessere preso in esame a quel tempo: un progetto checomportava la distruzione di un minor numero di stan-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 106

ze. Michelangelo in tal modo tentava di venire incontroal papa per quanto riguarda la distruzione di parte delmonastero, poiché era riluttante ad abbandonare il sitoche gli pareva il piú opportuno per la biblioteca.

Se la biblioteca fosse stata ubicata tra la piazza eBorgo San Lorenzo, a giudizio di Michelangelo la fac-ciata della chiesa sarebbe stata sopraffatta dall’eccessi-va altezza della biblioteca. Questo parere di Michelan-gelo può forse spiegare le parole di Fattucci: «piacegli(al papa) assai la vostra consideratione rispetto alla fac-ciata di S. Lorenzo». Fattucci aveva prima affermatoche Michelangelo poteva costruire la biblioteca dovedesiderava.

d. Michelangelo spedí due progetti a Roma, ricevutiil 10 marzo 1524 (Gotti, Vita di Michelangiolo Buonar-roti, I, Firenze 1875, p. 165; vedi anche l’inizio della let-tera in Frey, Briefe..., p. 216). Venne approvata unasoluzione che prevedeva una biblioteca lunga 96 brac-cia (55,68 metri: l’attuale lunghezza è 58,40), cui si con-trapponeva un dislivello di 6 braccia (3,48 metri: misu-ra attuale, 3,04) per l’ingresso, e dove, infine, gli appar-tamenti dei monaci, che il papa voleva coprire con dellevolte per renderli sicuri dagli incendi, si trovassero sottola biblioteca. Tutti questi elementi portano a conclude-re che venne scelto un progetto concepito per l’attualesito: un progetto che nella sua basilare suddivisione traingresso con scalone e biblioteca e, con buona approssi-mazione, nelle sue misure generali già concorda conquanto effettivamente realizzato.

1 Sono grato al comm. Giovanni Poggi per avermi accordato il per-messo di accedere ai documenti. Un resoconto dei lavori allora in atto,in poche frasi generiche, è in «Arte e Storia», xxi (1902), p. 87.

2 H. von Gemüller, Michelagnolo Buonarroti als Architekt, München1904, p. 26. All’epoca della publicazione il completamento era quasi

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 107

terminato. Nondimeno, Geymüller evita ogni riferimento in meri o,malgrado il fatto che Castellucci, l’architetto che aveva eseguito per suoconto il rilievo della Laurenziana, dirigesse i lavori di completamentoin quello stesso periodo. La descrizione fatta da Geymüller della fac-ciata incompiuta è passata finora inosservata.

3 N. 9411: veduta della facciata del vestibolo. La lastra non esistepiú e il numero di catalogo è passato alla fotografia della nuova faccia-ta. N. 8434: veduta dell’intera ala est del chiostro.

4 È degno di nota il fatto che Geymüller, senza sapere nulla delledue fasi costruttive, avesse osservato una divisione orizzontale nelmuro, poiché scrive (Michelagnolo cit., p. 26): «An der unvollendetenoberen Mauer des Vestibüls, welche auf eine älteren Mauer aufgesetzist...» Infatti si possono notare, osservando la fotografia, due diversitipi di laterizio impiegati, con un tipo di minor spessore nella zona infe-riore, fino all’altezza del cornicione della biblioteca.

5 Questo spigolo è stato ricoperto dal moderno blocco costruito allafine del secolo scorso, all’altezza della terminazione sud della bibliote-ca. Sopra il tetto della nuova costruzione si possono osservare due concisommitali: tra questi e il cornicione si trovano sette ricorsi di mattoni.Forse anche su questo lato la costruzione dei conci angolari venne inter-rotta quando venne presa la decisione di sopraelevare il vestibolo.

6 L’effetto che Michelangelo intendeva conseguire è mostrato nellatav. 7.

7 B. Berenson, The Drawings of the Florentine Painters, London1903, n. 1423, mette erroneamente in relazione questo foglio con lacappella Medici. Un’attribuzione corretta in Geymüller, Michelagnolocit., p. 26, foglio 4, n. 5. Successivamente vedi H. Thode, Michelan-gelo: Kritische Untersuchungen über seine Werke, Berlin 1908-1913, 3voll., II, p. 124; C. Frey, Die Handzeichnungen des Michelangelo Buo-narroti, Berlin 1908-1913, 3 voll., n. 234; Ch. De Tolnay, Die Hand-zeichnungen Michelangelos im Archivio Buonarroti, in «Münchner Jahr-buch der bildenden Kunst», v (1928), p. 402, fig. 20.

8 Si tratta di paraste, e non colonne come Thode afferma sempre.Lo si può riscontrare nelle piante dello stesso foglio; in modo partico-larmente chiaro in quella in alto a sinistra. La forma dell’angolo raffi-gurata nella pianta in alto al centro è invece fuorviante, poiché, se ildisegno fosse completo, le paraste sarebbero segnate accanto alle colon-ne sui due lati. La questione di fondo che pone il disegno è questa: lecolonne binate che articolano la parete proseguono fin dentro l’ango-lo (e l’ultima colonna completa l’articolazione di ciascuna parete) o que-sta colonna terminale è sostituita da un pilastro? Questo disegnomostra con chiarezza che Michelangelo aveva già deciso in favore dellaseconda alternativa. In tal modo ogni parete forma un’entità separatae non una porzione di una sequenza ritmica continua.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 108

9 Tolnay, Die Handzeichnungen cit., p. 402, suppone che in questafase Michelangelo stesse prendendo in considerazione l’ipotesi di dueporte disposte asimmetricamente al livello basamentale. Non c’è nien-te nella costruzione che giustifichi una tale ubicazione della porta didestra: dietro tutto il muro est si trova un terrazzo posto sopra una log-gia quattrocentesca, che lasciava Michelangelo perfettamente libero dicollocare le sue porte dove voleva.

10 Ibid., pensa che l’articolazione del livello principale prosegua nel-l’attico, ma non è cosí: infatti la diversa ampiezza delle sezioni agget-tanti e arretrate che si alternano può solo generare un effetto di oriz-zontalità.

11 Geymüller, Michelagnolo cit., p. 26, l’unico autore che ha presoin considerazione il problema, scambia erroneamente i rincassi circo-lari dell’attico per finestre. Questo è impossibile, poiché dietro i rin-cassi circolari del muro est si trovano dei pilastri sul fronte esterno,mentre per i muri sud e nord delle aperture a quell’altezza sarebberoirrrealizzabili.

12 C. Frey, Briefe an Michelangiolo, Berlin 1899, pp. 268 e 270 sg.13 Id., Die Handzeichnungen cit., p. 82, pensa alla «piccola libreria»,

che infatti doveva essere illuminata dall’alto (cfr. p. 45). Thode, Miche-langelo: Kritische Untersuchungen cit., II, pp. 116 e 119, non prende unaposizione chiara al riguardo.

14 Ci si riferisce chiaramente alla lettera di Michelangelo del 2dicembre. Vedi Frey, Briefe cit.

15 Nell’edizione del testo a cura di Frey qui compare «et»: il sensorichiede che la congiunzione debba essere «o».

16 Thode, Michelangelo: Kritische Untersuchungen cit., II, p. 116,riportando che il lucernario rappresenta la causa della sopraelevazione,offre una traduzione totalmente erronea di questo passo.

17 Vedi G. Milanesi, Lettere di Michelangelo, Firenze 1875, p. 597.18 Dai resoconti, sommari al confronto, pubblicati da G. Gronau,

Dokumente zur Entstehungsgeschichte der neuen Sakristei und derBibliothek von S. Lorenzo in Florenz, in «Jahrbuch der PreussischenKunstsammlungen», xxxii (1911), Behieft, pp. 68 sgg., non si può rica-vare molto circa il procedere dei lavori. Cfr. Appendice i.

19 Frey, Briefe cit., p. 274.20 G. I. Rossi, La Libreria Mediceo Laurenziana, Firenze 1739, p. vii:

«sarebbe la muraglia restata molto interrotta de’ vani, e conseguente-mente priva del suo bastevol sostegno».

21 Frey, Die Handzeichnungen cit., tav. 21o; e Tolnay, Die Hand-zeichnungen cit., fig. 40.

22 Non è impossibile che i ricorsi in pietra grezza che si notano sullafacciata incompiuta costituiscano una testimonianza del progetto inter-medio, ma questa interpretazione può essere proposta solo come un’i-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 109

potesi di lavoro. Si dovrebbe supporre che Michelangelo, per allegge-rire il carico della parte superiore della facciata del vestibolo nel primoprogetto, avesse riempito gli spazi liberi tra i pilastri con pietra grez-za invece di continuare a murare in mattoni. Questo riempimento inpietra grezza doveva arrivare fino all’altezza della cornice, per piú didue metri. Il fatto che il pietrame nella facciata incompiuta arrivi soloa metri 0,55 potrebbe sempre dipendere dal progetto intermedio. Lefinestre sarebbero state aperte proprio dove finisce il pietrame negliscomparti centrale e di destra: si dovette pertanto iniziare a rimuove-re il pietrame che riempiva gli scomparti fino all’altezza della biblio-teca. Quando questi lavori si stavano attuando, intervennero i muta-menti dovuti all’ultima versione del progetto, cosicché nello scompar-to sud è rimasto piú pietrame che negli altri due.

23 H. Wölfflin, Renaissance und Barock, nuova edizione a cura diHans Rose, München 1926, p. 127, fig. 69. Nell’edizione del 19o8 que-sta facciata non era menzionata. Tolnay analizzò la facciata come fosseopera di Michelangelo in «Repertorium für Kunstwissenschaft» (1927),pp. 192 sgg., fig. 23, ma poi si corresse in Die Handzeichnungen cit.,p. 433. Il completamento moderno della facciata non è stato notato néda Tolnay in U. Thieme, F. Becker, Allgemeines Lexicon der BildendenKunst, Leipzig 1907 sgg., xxiv, p. 25o, né da M. Marangoni, La Basi-lica di S. Lorenzo in Firenze, Firenze 1922, p. 79.

24 G. Gaye, Carteggio inedito d’Artisti nei secoli xiv, xv, xvi, Firen-ze 1839-40, 3 voll., III, p. 12.

25 Thode, Michelangelo: Kritische Untersuchungen cit., II, p. 124; III,n. 173.

25 Tolnay, Die Handzeichnungen cit., p. 402.27 Il disegno venne eseguito tra il gennaio e l’aprile del 1524. Tol-

nay conclude, basandosi su questo progetto, che Michelangelo in unprimo tempo aveva pensato di creare una libreria simile al vestibolo:in tal modo, però, inverte la successione dei progetti, che pure è docu-mentata.

28 Su questa indicazione di un terzo livello la letteratura al riguar-do non fornisce commenti.

29 Frey, Briefe cit., p. 279.30 Tolnay, Die Handzeichnungen cit., p. 402. L’autografia del dise-

gno non è mai stata messa in dubbio nella letteratura precedente. VediMarquard, Die Zeichnungen Michelangelos im Teyler-Museum zu Haar-lem, tav. 12; e H. Wölfflin in «Repertorium für Kunstwissenschaft»(1927), p. 37. L’altro lato del foglio, con studi di gambe, non è diMichelangelo. La metà sinistra del foglio è quella che ci interessa mag-giormente. Sul verso c’è una piccola pianta e l’alzato di una singola par-tizione della parete: disegni correlati tra loro e, sembra, collegati inqualche modo col disegno di sinistra.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 110

31 La pianta in alto a destra non appartiene all’alzato aggiunto:venne disegnata piú tardi e mostra il progetto realmente costruito. Ilfatto che nell’alzato le paraste siano sul versante esterno e le colonnesu quello interno risulta evidente in base all’intera genesi progettualedella biblioteca e del vestibolo: le paraste sono sempre in posizioneavanzata rispetto alle colonne. Vedi anche la nota 65.

32 Nel progetto molto piú tardo per le finestre del livello superiore,realizzato dopo la fase intermedia, Michelangelo riprese il motivo dimostra di questa fase. Va poi sollevato il problema se nel disegno diHaarlem siano previste finestre solo negli interassi esterni e nicchie inquelli al centro. Questa possibilità sembrerebbe convalidata dalle cor-nici diritte che tagliano la terminazione semicircolare sovrastante. Ètuttavia piú verosimile che queste linee rappresentino dei pentimentiche riducono le finestre centrali ad un formato corrispondente a quel-lo delle due esterne. Tale modifica non solo è congruente con gli svi-luppi successivi, ma solo in questa fase la biblioteca può essere rico-struita supponendo una ravvicinata scansione di finestre. Lo stesso papaaveva richiesto il maggior numero possibile di finestre: vedi la letteradi Fattucci del 30 gennaio 1524 (Frey, Briefe cit., p. 209).

33 Sebbene vi siano alcune notevoli coincidenze tra le misure diSanto Spirito e quelle di questo alzato (che Geymüller però non men-ziona), il basamento rettangolare sotto la doppia partizione rende inrealtà improponibile ogni riferimento a Santo Spirito. Se misuratosecondo la scala di Santo Spirito, tale basamento sarebbe alto otto metricirca!

34 L’altezza della base secondaria, aggiunta a quella del livello prin-cipale del foglio di Haarlem, corrisponde approssimativamente a quel-la del livello gigante di Casa Buonarroti 89.

35 Thode e Frey parlano sempre di colonne giganti, e non di para-ste giganti, ma si deve trattare di un errore. Vedi l’impiego piú tardodegli stessi motivi nei palazzi Capitolini.

36 Frey credeva, erroneamente, che sul foglio di Casa Buonarroti laparete giacesse tutta su un solo piano. L’analisi di Tolnay si può com-prendere solo supponendo che anch’egli abbia commesso lo stesso erro-re (Die Handzeichnungen cit., p. 402, fig. 19). Vedi oltre la nota 53.

37 Non finestre, come credeva Thode, che qui sarebbero irrealiz-zabili.

38 Il basamento è qui lievemente piú alto in confronto con quello delfoglio di Haarlem. Il tabernacolo della partizione esterna è chiara-mente contrassegnato come tale dalle linee che lo completano in basso,e che non vengono replicate per le porte.

39 Una lieve diminuzione dell’altezza del basamento venne piú tarditracciata sulle porte a sinistra e sul tabernacolo liberamente aggettan-te sulla superficie muraria.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 111

40 Invece dell’ampio spazio assegnato a ogni colonna nella prolun-gata sala, le colonne qui vengono fortemente ravvicinate. Invece dellaserie di singole paraste aggettanti, l’effetto di concentrazione è qui con-seguito riunendo le paraste in coppie, mediante la cornice aggettanteposta sopra ogni tabernacolo.

41 Si confrontino questi studi con le basi delle colonne nel disegnoCasa Buonarroti 48, con una sola ridotta modanatura concava.

42 Per il soggetto di questo disegno vedi p. 36. Il disegno casa Buo-narroti 92 (tav. 2o), con schizzi per la scala, venne rovesciato e vi furo-no aggiunti non solo i due grandi disegni di modanature a sinistra, maanche una porzione di basamento con una nicchia simile a quella deldisegno British Museum 1895-9-15-5o8 (tav. 16).

43 Il foglio British Museum 1895-9-15-507, che un tempo si crede-va riferito al vestibolo, è stato giustamente respinto da A. E. Popp,Unbeachtete Projekte Michelangelos, in «Münchner Jahrbuch der bil-denden Kunst», iv (1927), p. 405, nota 9.

44 E. Panofsky, Die Treppe der Libreria di S. Lorenzo. Bemerkungenzu einer unveröffentlichen Skizze Michelangelos, in «Monatshefte fürKunstwissenschaft» (1922), pp. 262-274.

45 Per la lettera del 10 marzo cfr. Appendice iii, 2d. La letterariporta che il papa restava con «un poco di dubbio, e questo si è la scalaper salire le sei braccia». Il dislivello tra vestibolo e biblioteca è infat-ti solo di poco superiore a cinque braccia.

46 Vedi Frey, Briefe cit., p. 226.47 Tolnay, Die Handzeichnungen cit., p. 400, fig. 17.48 Tolnay, siccome esclude l’autografia del disegno di Haarlem, tra-

scura di conseguenza la connessione tra pianta e alzato.49 Tolnay rammenta al riguardo la singola rampa di ripide scale che

ricorre nelle corti d’epoca medievale (come nel palazzo del Bargello),e coglie la novità dell’idea di Michelangelo nel raddoppiamento di taleschema. Ma non è possibile considerare tale esempio come originegenetica della soluzione di Michelangelo.

50 Frey, Briefe cit. p. 250.51 Frey, Die Handzeichnungen p. 71, considera incerto il riferimen-

to della pianta al vestibolo. Thode, Michelangelo: Kritische Untersu-chungen cit., II, pp. 121-22; III, n. 135, data correttamente la piantaall’aprile del 1525. Tolnay, Die Handzeichnungen cit., p. 407, nota 28,fig. 18, situa questa pianta, come anche quella dell’Archivio Buonar-roti (ii), prima del 29 aprile 1524. Tolnay è stato il primo a cogliere laconnessione tra la pianta Casa Buonarroti 89 e l’alzato Casa Buonar-roti 92 (tavv. 18 e 29, in alto), ma data in blocco i disegni del secon-do foglio «12 aprile 1525 circa», e in tal modo frappone un intervallodi circa un anno tra pianta e alzato, D’altra parte, nel suo articolo inThieme-Becker, Allgemeines Lexicon cit., Tolnay afferma che l’alzato

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 112

di Casa Buonarroti 92 (tav. 19) sia stato eseguito, contemporaneamentealla pianta, prima del 29 aprile 1524, distinguendo cosí questo alzatodagli altri schizzi del foglio che vengono datati all’aprile del 1525.

52 Cfr. Tolnay, Die Handzeichnungen cit.53 Il problema di come si presentasse la scala da associare all’al-

zato di tav. 15 è destinato a rimanere aperto. Mettendo erroneamentein relazione la pianta di tav. 18 e l’alzato di tav. 15, Tolnay, ibid.,giunge a conclusioni di rilevante entità per quanto riguarda le con-cezioni architettoniche di Michelangelo. Secondo Tolnay l’effettodelle due partizioni centrali è quello di un raddoppiamento delle par-tizioni laterali, anche se (sempre secondo lui) il duplice interasse cen-trale è largo solo la terza parte di quelli ai lati (in effetti l’alzato ditav. 15 è articolato secondo un ritmo a. b (a + a). a, mentre nellapianta di tav. 18 il rapporto tra scalone e parete è a. b (a + 1/3a). a).Tolnay procede nelle sue conclusioni affermando che lo scalone postoa ridosso dell’interasse centrale sarebbe apparso piú largo del reale.Modificare una forma oggettiva con un tale accorgimento d’illusio-nismo ottico appare (a prescindere da questo caso, che può essere con-futato su altre basi) in totale contrasto con le concezioni architetto-niche di Michelangelo.

Anche un’altra conclusione, a pagina 398 dello stesso articolo,giunge a conseguenze di portata altrettanto ampia basate su un’erro-nea analisi dei fatti.

54 Questa indicazione è già in Tolnay, Die Handzeichnungen cit., p.405, fig. 22. In Frey, Die Handzeichnungen cit., figg. 164 e 165, eThode, Michelangelo: Kritische Untersuchungen cit., II, p. 129, e III, n.138, i disegni sono descritti in modo alquanto impreciso e disposti inun ordine errato.

55 Tolnay, Die Handzeichnungen cit., p. 4oo, interpreta l’alzato, giàcorrettamente messo in relazione alla pianta da Panofsky, Die Treppecit., pp. 262 sgg., come un triplice scalone libero che supera la conce-zione dello scalone doppio della fase 5. Contro questa interpretazionesta il fatto che l’ampiezza delle rampe laterali ha quasi lo stesso rap-porto con lo spazio centrale che appare in pianta, mentre, dopo il pro-getto dello scalone libero, la distanza tra le rampe laterali diminuisceconsiderevolmente.

56 La soluzione dev’essere simile a quella usata da Buontalenti aSanto Stefano.

57 Tali misure sono ricavate, con una certa approssimazione, in baseai circa 3o cm di profondità dei gradini.

58 I ripiani esterni avrebbero avuto la forma di un trapezio, dal qualela scala che porta al ripiano centrale avrebbe tagliato via un triangoloscaleno su ogni lato.

59 Due gradini servono a pareggiare la profondità degli ultimi gra-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 113

dini della rampa centrale, e uno serve a collegare tra loro gli ultimi gra-dini delle rampe laterali.

60 Thode, Michelangelo: Kritische Untersuchungen cit., III, n. 138.Vedi, al contrario, le corrette conclusioni di Frey in Die Handzeich-nungen cit., p. 8o del testo. Per la comprensione dello schizzo di Miche-langelo è necessario rilevare che, durante la stesura del disegno, si veri-ficò un aumento di scala verso il centro. In conseguenza di tale cam-biamento la rampa di destra non venne completata, per non far appa-rire l’intero scalone sbilanciato da una parte. Inoltre non dobbiamo tra-scurare il fatto che solo nell’atto di disegnare le idee dell’architetto giun-sero ad una chiara formulazione: idee che si possono considerare nuovenella storia dello scalone. Il particolare del collegamento tra rampe late-rali e rampa centrale raffigurato in alto a sinistra testimonia a sufficienzadegli sforzi di Michelangelo per giungere a tale concezione.

61 Solo questo foglio, il n. 816, è pubblicato da Geymüller, Miche-lagnolo cit., p. 48, fig. 38; ibid., foglio 1464. Vedi Thode, Michelan-gelo: Kritische Untersuchungen cit., II, pp. 129-30; III, n. 244a. Frey,Die Handzeichnungen cit., nota a p. 8o, avrebbe poi fatto uso di que-sti fogli per ricostruire i progetti di Michelangelo, ma avanzando fortiriserve nei loro confronti pur senza motivare tale opinione.

62 Vedi Geymüller, Michelagnolo cit., ivi; Thode, Michelangelo: Kri-tische Untersuchungen cit., ivi; Panofsky, Die Treppe cit., p. 265.

63 Sotto questo particolare appare la scritta «pianta». Queste duepiante, come anche le altre, sono sempre disegnate come fossero vistedalla porta. Cosí anche la pianta originale di Michelangelo a tav. 21.

64 Folio 65r. Pubblicato da L. H. Heydenreich in «Mitteilungen desKunsthistorisches Instituts in Florenz», iii (1931), p. 440, fig. 5. Van-nocci annota «Scala di Michel Ango Buonarroti per la Libraria di SanLorenzo».

65 Il disegno di Lille venne pubblicato per primo da Geymüller,Michelagnolo cit., p. 47, fig. 37, che fa menzione anche del foglio diVannocci. Vedi anche Thode, Michelangelo: Kritische Untersuchungencit., II, p. 122; III, n.281. Il disegno di Vannocci a folio 3ov del tac-cuino è pubblicato da Heydenreich, in «Mitteilungen des Kunsthisto-risches Instituts in Florenz», fig. 4. Questa fase della progettazione èillustrata con chiarezza nella pianta sul foglio di Haarlem, al centro adestra (tav. 15). Qui la scala ovale è situata contro il muro della biblio-teca, mentre la parete del vestibolo è articolata secondo cinque inte-rassi, con dei cerchi concentrici che probabilmente rappresentano l’o-culo del lucernario. Tuttavia non insistiamo sull’autografia di questapianta, né dell’altra pianta presente nel foglio.

66 Come nella pianta precedente, il rapporto tra la rampa medianae le due laterali è di 2 a 1. È estremamente probabile che la giunzionetra rampa mediana e rampe laterali dovesse essere qui realizzata impie-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 114

gando lo stesso principio dei giunti angolari della fase 8. È degno dinota il fatto che la rampa centrale reca scritto il rapporto di 1/3 men-tre nella rampa destra è segnato 1/4, ma non è necessario concludereche la rampa mediana e le laterali ascendessero con ritmi differenti.

67 La soluzione ovale in realtà non è cosí praticabile come apparenella copia. Si è qui evitato di formulare una ricostruzione (anche senon sarebbe impossibile farlo), dato che le esatte intenzioni di Miche-langelo non sono note.

68 Siccome doveva esistere un collegamento tra le due ali della scala(com’è stato segnalato anche per le fasi 3 e 5), le parti esterne del ripia-no dovevano trovarsi all’altezza di circa due metri. Possiamo arrivarea proporre questa altezza anche partendo dal fatto che il ripiano cen-trale è posto al livello della cimasa del basamento, ossia a 2,6o metri,meno tre gradini di circa 20 cm l’uno: quindi a due metri. Il numerodi gradini disegnato in queste piante mostra che Michelangelo non erasolito precisare il numero esatto degli scalini, ma si contentava di indi-carli sommariamente.

69 Michelangelo tralasciò di raffigurare nella sezione della scala lanecessaria continuazione della pendenza sopra il ripiano. Questo con-ferma il fatto che Michelangelo, in certo qual modo, teneva distintinella sua mente il triplice, complesso impianto inferiore e la singolarampa soprastante.

70 Quando Vannocci nacque, Battista da Sangallo era già morto daotto anni (1552).

71 G. Milanesi, Le lettere di Michelangelo Buonarroti, Firenze 1875,p. 707. Curiosamente, questo importante contratto è stato trascuratodagli studiosi di Michelangelo: lo troviamo citato (e non interpretato)solo in un’oscura opera di Gaetano Guasti, Bibl. Medicea Laurenziana,in Raccolta delle migliori Fabbriche antiche e moderne di Firenze disegnatee descritte da R. ed E. Mazzanti e T. del Lungo, Firenze 1876, pp. 22-23.Il termine «convento» è definito «Spazio tra due cose commesse comepietre, mattoni, legni»: vedi N. Tommaseo, Dizionario della lingua ita-liana, 1929, II, p. 619.

72 Nel testo del contratto non viene fatta esplicita menzione di trerampe: una tale menzione sarebbe stata superflua. È evidente che lerichieste specificate nel contratto riguardano la rampa centrale.

73 L’interpretazione del termine data da Panofsky, «tavole inta-gliate» corretta per altri contesti, sarebbe qui priva di senso. Die Trep-pe cit., 262 sgg.

74 «Rivolta» è un termine che ricorre spesso in senso simile nel xvisecolo. Vedi Tommaseo, Dizionario cit., V, p. 429.

75 Panofsky, Die Treppe cit., come anche altri, crede che questaforma di gradino risalga ad Ammannati. Tolnay, d’altra parte, ravvisagiustamente il legame tra la configurazione definitiva del gradino e la

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 115

fase 6 e avalla quindi la sua autenticità, anche se ritiene tale formaun’invenzione dell’ultima fase progettuale del 1559.

76 La fase 9 è stata analizzata in un manoscritto inedito in Festsch-rift für Adolph Goldschmidt, 1933.

77 G. Vasari, Le Vite de’ piú eccellenti architetti pittori, et scultori ita-liani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, ed. a cura di G. Milanesi, 9 voll.,Firenze 1878-1895, VII, p. 236.

78 bid., VI, p. 92.79 Milanesi, Le lettere cit., p. 550, nota 2. Vedi Thode, Michelange-

lo: Kritiscke Untersuchungen cit., II, p. 117, e C. Frey, Der literarischeNachlass des Giorgio Vasari, München 1923-1940,3 voll., I, p. 416.

80 Lettera di D. Giannotti a Lorenzo Ridolfi in data 8 agosto: «...sono addosso a Michelangelo, e ... spero fargli fare un disegno per quel-la scala...» Vedi E. Steinmann, Michelangelo im Spiegel seiner Zeit,Leipzig 1930, p. 4, n. 81.

81 La datazione di questa parte dell’edificio è rimasta finora incer-ta. Solo Thode propone una datazione corretta (Michelangelo: KritischeUntersuchun en cit., II, p. 117): il 1549. Frey, Der literarische Nachlasscit., I, p. 402, nota, data il viaggio del Tribolo a Roma al 1545 circa,mentre A. E. Popp, Die Medici-Kapelle Michelangelos, München 1922,p. 118, crede che sia avvenuto molto prima, tra il marzo e il dicembredel 1538.

82 Nella recente letteratura si può trovare un riferimento alle con-dizioni della parete solo in Panofsky, Die Treppe cit., p. 272, senza chevenga offerta una spiegazione al riguardo.

83 Tuttavia, nella fotografia di tav. v dell’opera di Geymüller si puòvedere in questo punto un’ampia cavità (almeno sul lato sinistro dellascala che è nell’illustrazione). Alcune persone anziane affermano che,da entrambi i lati, le due impronte superiori dei gradini sul muro ven-nero create quando furono riempiti dei grandi buchi. Forma e dimen-sioni dei buchi indicano che dovevano esserci stati proprio due gradi-ni su ogni lato.

84 Torelli, nella sua lettera del 1550 prima menzionata, era in gradodi affermare che il modello di Michelangelo per i gradini era nella stan-za dove sarebbe morto Andrea Sansovino. Dato che Sansovino morínel 1529, bisogna fare riferimento a un modello del 1525-26 e non alpiú tardo modello del 1533.

85 Vita di Michelagnolo Bonarroti, stampata in parti separate nel1759-6o, p. 53, nota.

86 D. Moreni, Continuazione delle memorie istoriche... di S. Loren-zo, Firenze 1816, I, p. 252.

87 La lettera di Michelangelo è in Vasari, Le Vite cit., VII, p. 237,e poi Milanesi, Le lettere cit., pp. 548-49, con l’inesatta data del 1558.Il frammento della minuta di questa lettera è in Cod. Vat. 3211, folio

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 116

87v, pubblicato per primo da C. Frey, in «Jahrbuch der PreussischenKunstsammlungen», iv (1883), p. 40. Lo scritto era allegato ad una let-tera a Lionardo Buonarroti, che doveva leggerlo e poi trasmetterlo asua volta. Pubblicato in Milanesi, Le lettere cit., p. 312 (con la corret-ta data del 1555) e in Frey, Der literarische Nachlass cit., I, pp. 415-17,con esaurienti annotazioni filologiche.

88 Panofsky, Die Treppe cit., p. 262, per il confronto tra il frammentoe la lettera. Anche in Frey, Der literarische Nachlass cit., I, pp. 419 sgg.

89 «... che l’imbasamento del Ricetto non sia occupato in luogo nes-suno et resti libera...»

90 Vedi anche Panofksy, Die Treppe cit., p. 271.91 Del carteggio su tale argomento si sono conservate le seguenti let-

tere: 16 dicembre 1558, Michelangelo a Lionardo Buonarroti a Firen-ze (Milanesi, Le lettere cit., p. 344). Riguarda la preparazione e la spe-dizione del piccolo modello in terracotta dello scalone: si fa anche rife-rimento ad una lettera perduta di Ammannati. 23 dicembre 1558,Ammannati a Michelangelo (Frey, Briefe cit., pp. 358-9). Ammannatiringrazia Michelangelo per il modello che sta per spedire tramite suosuocero, G. A. Battiferro. 7 gennaio 1559, Michelangelo a LionardoBuonarroti (Milanesi, Le lettere cit., p. 348, con data inesatta). Ladomenica successiva Michelangelo spedirà da Roma il modello. 13(?)gennaio 1559, Michelangelo ad Ammannati (ibid., p. 550, senza data).Importante lettera di spiegazione allegata al modello. 14 gennaio 1559,Michelangelo a Lionardo B. (ibid., p. 349, con data inesatta). Il model-lo è partito da Roma a giorno prima. 29 gennaio 1559, Ammannati aMichelangelo (Frey, Briefe cit., p. 359). Ammannati ha ricevuto ilmodello. 18 novembre 1559, Ammannati da Firenze al duca Cosimo(Gaye, Carteggio cit., III, pp. 11-12; Panofsky, Die Treppe cit., p. 268).Ammannati manda il modello a Pisa richiedendo l’approvazione diCosimo. 19 novembre 1559, Francesco di Ser Jacopo da Firenze a Cosi-mo (Gaye, Carteggio cit., pp. 12-13). Spiega la lettera di Ammannatidel giorno prima. 22 novembre 1559, Cosimo manda una risposta, daPisa, ad Ammannati (ibid., p. 13). La scala va costruita seguendo ilmodello. Un’eguale informazione perviene lo stesso giorno a France-sco di Ser Jacopo (ibid., pp. 13-14). La proposta di Michelangelo, avan-zata in una lettera del 13 gennaio, di costruire lo scalone in legno dinoce è respinta da Cosimo. Vedi anche Frey, Der literarische Nachlasscit., I, p. 418.

92 La spiegazione di Panofksy, Die Treppe cit., p. 270, è inesatta inquanto l’autore non era a conoscenza della fase del 1533.

93 Vasari, Le Vite cit., VII, p. 236: «... scala, della quale Michela-gnolo aveva fatto fare molte pietre». Si legge poi nella lettera di Torel-li del 1550: «... et intendo ch’erano lavorate tutte le pietre, excetto ilprimo scaglione».

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 117

94 Ci devono essere stati alcuni cambiamenti nel progetto del 1533prima esaminato, poiché solo sette gradini con le rivolte vennero effet-tivamente realizzati a quell’epoca.

95 Per questa sola ragione l’identificazione dello schizzo Casa Buo-narroti 37Av (Tolnay Die Handzeichnungen cit., p. 433, fig. 39) con unplinto non è sostenibile.

96 A. Gotti, Vita di Michelangiolo Buonarroti, Firenze 1875, I, p.165.

97 Fattucci a Michelangelo: «... et fate, che in testa della libreriavenga una finestra in mezo di due studioli di circa sei braccia l’uno,come è disegniato nell’altra, et dua altri che mettino in mezzo a porta»(Frey, Briefe cit., p. 221).

98 Vedi la lettera di Fattucci a Michelangelo del 13 aprile 1524 (ibid.,p. 224).

99 Ibid., p. 234.100 Frey, Die Handzeichnungen cit., p. 81 del testo.101 Id., Briefe cit., p. 250.102 Thode crede che questa pianta sia uno schizzo per una parte del

soffitto della biblioteca, mentre Frey la ritiene una pianta per la cap-pella Medicea. Tali identificazioni sono inesatte, come anche quella diA. E. Popp (Die Medici-Kapelle cit., p. 168), che pensa trattarsi di unambiente laterale della cappella Medicea, dove Michelangelo per uncerto periodo aveva intenzione di collocare la tomba del papa. L’opi-nione di Popp si basa sulla lettera di Fattucci del 7 giugno 1524 (Frey,Briefe cit., p. 230), ma basta a smentire tale ipotesi il fatto che la pian-ta dell’«ambiente laterale» è perimetrata a sinistra da un muro checosteggia contemporaneamente anche la presunta cappella Medicea.Vedi anche Popp, Unbeachtete Projekte cit., p. 391, nota 3.

103 Prima del corto muro nord sono indicati nel disegno pochi gra-dini: si tratta del collegamento che sale al livello superiore del chiostroe che ancor oggi costituisce l’accesso alla Laurenziana. Il chiostro èaltresí indicato da alcune linee a destra. Gradini e chiostro compaionoanche, sommariamente accennati, nella pianta con il vestibolo.

104 Frey, Briefe cit., p. 250. Id., Handzeichnungen cit., testo, forni-sce già la datazione corretta per questo progetto definitivo.

105 La biblioteca è in realtà piú larga di oltre un braccio. Tale erro-re non è importante, dato che non si tratta di un disegno in scala madi uno schizzo a mano libera.

106 Frey riconosce correttamente nel disegno Casa Buonarroti 79 lafase piú avanzata, mentre Thode (Michelangelo: Kritische Untersuchun-gen cit., II, pp. 120 sg.; III, nn. 141 sg.) non presta attenzione alla suc-cessione dei progetti. Una vera analisi del significato dei due fogli nonè stata finora tentata. Il foglio Casa Buonarroti 79 è copiato, in inci-sione, in Rossi, La Libreria Mediceo Laurenziana cit.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 118

107 Frey, Briefe cit., p. 279. Fattucci a Michelangelo, 3 aprile 1526:«Et perche dice (il papa), che voi volevi la resolutione della piccolalibreria per potere fare il tramezo fra il ricetto et la libreria, dice, chevoi lo facciate come se la picola fussi fatta, la quale vole si facia, comesara finito il ricetto». Frey, nel testo per il suo Die Handzeichnungencit., suppone giustamente che, per costruire il muro che separa labiblioteca dal vestibolo, Michelangelo dovesse avere presente la formadel muro che si trovava dirimpetto (ossia quello che divideva la biblio-teca dalla «piccola libreria») e quindi la conformazione stessa della «pic-cola libreria».

108 Vedi Frey, Briefe cit., pp. 287, 289, 290.109 Inserita tra le linee del muro contiguo, in Casa Buonarroti 79

(tav. 39), figura la scritta «e l muro dilarion martelli», e sotto, «lachasa dilarion martelli». In riferimento all’illuminazione della «pic-cola libreria» figura poi la scritta «riducesi in tondo disopra e tuctie lumi si piglion dalla volta perche non si possono aver daltrove».Presso il muro est, ancora da costruire, è scritto: «di qua si puo farequello che piace perche e de preti». Per l’acquisto della casa di Ila-rione Martelli vedi le lettere del 10 e del 29 novembre 1525: il papaha deciso «di comperare detta casa et di adoperare quello che sen’ara di bisognio et il resto apigionare». E 3o dicembre 1525, Ila-rione Martelli ricevette un primo pagamento di L. 42 per a «murosi è comperato da lui per conto della libreria». Vedi Gronau, Doku-mente cit., p. 73.

110 Vedi sopra la nota 107.111 Lettere di Fattucci a Michelangelo del 18 aprile e del 6 giugno.

Vedi Frey, Briefe cit., pp. 28°-284; Thode, Michelangelo: KritischeUntersuchungen cit., II, p. 116.

112 Vedi Milanesi, Le lettere cit., p. 707.113 Oltre a queste modanature per le porte, il foglio contiene una

sezione di un gradino con la scritta «e modani degli scaglioni dati a cec-chone». Tale sezione è molto piú articolata di quella dei gradini rea-lizzati, e risulta congruente in larga misura con i due gradini fuori dellaporta del vestibolo.

114 Thode identifica parte di questi disegni con studi di finestre, spe-cie il disegno Casa Buonarroti 98, in base all’esame delle modanaturedisegnate sotto. Ma tali modanature sono state effettivamente realiz-zate in modo congruente al disegno.

115 La concordanza tra il disegno in scala e la porta realizzata è statarilevata per primo da Geymüller.

116 Vedi Thode, Michelangelo: Kritische Untersuchungen cit., III, n.161. Thode qui fa riferimento alle tribune di San Pietro: a parte que-sto accenno il foglio non è stato finora preso in considerazione.

117 La prima raffigurazione che presenta questo tipo di suddivisio-ne di una mostra si può riscontrare nello schizzo di una finestra, Casa

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 119

Buonarroti 3 (tav. 12, febbraio 1525). Tale schizzo, a sua volta, è pre-ceduto dal foglio di Haarlem.

118 La datazione al 1526 proposta per il foglio 95 può essere com-provata dal fatto che il disegno con cornici di porta del 1526 presentaanche una sezione dei gradini esterni del portale d’ingresso al vestibo-lo, che devono essere stati elaborati unitamente al portale stesso. Soloi gradini oggi in sito risalgono a Michelangelo. Il foglio Casa Buonar-roti 95 serví come riferimento di base per il contratto del 1533. Il dise-gno venne in un primo tempo riprodotto in incisione da Rossi, La Libre-ria Mediceo Laurenziana cit., tav. xxi; quindi venne pubblicato daGeymüller, Michelagnolo cit., p. 33, tav. 4, fig. 1, e da Thode, Miche-langelo: Kritische Untersuchungen cit., III, n. 15o, e interpretato cor-rettamente. Popp, Die Medici-Kapelle cit., pp. 45 e 126, vede in que-sto foglio uno stadio iniziale dei tabernacoli sopra le porte della cap-pella Medicea. La relazione tra questo disegno e il portale d’ingressoal vestibolo è tuttavia evidente.

119 Questo foglio (penna, 38,5 x 28,4 cm) è contenuto in una car-tella di disegni del vestibolo fatti da Dosio. La pianta rende certa l’i-dentificazione del disegno. Dosio ha qui ricostruito la mostra del por-tale in base ad alcuni elementi realizzati trovati nel vestibolo. Tale rico-struzione concorda con precisione con il disegno Casa Buonarroti 95.Mancano solo l’intera cornice tra mostra e frontespizio e la targa inse-rita nel frontespizio. Evidentemente queste parti non erano ancorastate realizzate.

120 Il foglio 2o di Nelli è una riproduzione del disegno Casa Buo-narroti 95. Nella scritta si afferma che le parti lavorate della porta eranonel vestibolo: «Porta cavata da alcuni pezzi di pietre, che sono in terradentro il Ricetto, e da un disegno di Michelagnolo, che si trova appres-so i Buonarroti suoi Eredi, al quale si giudica esser quella, che fù dalui destinata per l’esterno di esso Ricetto, perché, oltre al corrispon-dere coll’apertura della porta interna, conviene ancora colla Modana-tura dell’esterno delle finestre variata dalla Modanatura dell’altre porteconforme allo stile di Michelagnolo di non replicare gli stessi disegni,mostrando egli in ciò la ricchezza de’ suoi concetti».

121 Le tavole per quest’opera vennero disegnate nel 1727. Eccoquanto riporta il libro riguardo alla storia del portale: «Questa porta,non ha gran tempo, fu messa sú per comandamento del SerenissimoGran Duca Cosimo III, coll’assistenza di Pier Maria Baldi Architet-to, e servitore in Corte di S.A.R. il quale non senza qualche graveragione si sarà indotto a replicare una cosa già posta in opera, anzi-ché secondare il pensiero di Ma., perfezionandone un’altra da luilasciata imperfetta; se pure vogliamo credere, che gli osservassela. Edal non essere stata fatta quella stima, che far si dovea giustamented’alcune cose, e quali mancato il Buonarroti abbozzate rimasero in

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 120

alcuni preziosi frammenti di pietre, le quali si conservano nel Ric-cetto... Nella tav. xx quella Porta si mostra, la quale si vede posta inopera nello stato presente, nella xxi poi quel Disegno, che da noi siè citato; e finalmente nella xxii uno degli Stipiti, e l’Architrave...»Nell’ultima di queste tavole manca il frontespizio arcato riprodottoda Dosio e che molto probabilmente era scomparso nel frattempo.L’autentico svolgimento dei fatti venne presto dimenticato dopo ilcompletamento della porta. In F. Ruggieri, Studio d’Architettura Civi-le, Firenze 1722-28, I, tav. 1, è raffigurata questa porta in alzato,sezione e pianta, e presentata come «Architettura di Michel AngeloB.». Il libro di Ruggieri è il piú diffuso repertorio di incisioni per l’ar-chitettura di Firenze.

122 Baldi, la cui attività d’architetto non è ancora stata esplorata inmodo dettagliato, operò a Firenze alla fine del xvii secolo. Vedi Thie-me-Becker, Allgemeines Lexicon cit., II, p. 393.

123 Lettera di Fattucci a Michelangelo del 10 marzo 1524 (Gotti,Vita cit., I, p. 165): «A caro il palco e vorrebbelo bello e non riqua-drato, ma con qualche fantasia nuova, e che e’ non vi fussi di sfonda-to piú che dua o tre dita come voi saprete fare».

124 Frey, Briefe cit., p. 224: «Ancora vide il disegnio del palcho, ilquale gli piacque. Pargli, ché quegli andari si riscontrano con que disotto, che l’a carissimo; solo gli pare, che quello andare dal lato vengaa essere piú largo che quello di sotto, che è tre quarti, secondo che v’èscritto. Et se per aventura non fussi in questo modo, come N. S. la’ntende, fate, a ogni modo, come N. S. la ’ntende lui; et se voi vi potes-si acomodare qualche sua fantasia overo livrea, come a fatto in quellacamera che fe M.o Giovanni da Udine, credo, l’arebbe caro».

125 Fattucci a Michelangelo, il 12 aprile 1525 (ibid., p. 250): «Anco-ra vole, faciate uno bellissimo palco alla libreria, come già vi scrissi altravolta, con poco isfondato. Et mandatemi il disegnio, facesti l’autravolta; et se n’avete fatto nessuno altro o avessi altra fantasia manda-tegli, perche N. S. gli vole vedere».

126 Ibid., p. 279. Questo importante passo è stato già analizzato esau-stivamente a pp. 24-25.

127 Sulla minuta della lettera di Michelangelo a Fattucci del 17 giu-gno vedi sopra. Il passo che fa riferimento al soffitto è stato fraintesoda Thode, Michelangelo: Kritische Untersuchungen cit., II, p. 117.

128 Fattucci a Michelangelo, il 16 ottobre 1526 (Frey, Briefe cit., p.289): «Del palco della libreria per ora nonne vole fare niente».

129 Lettera a Michelangelo (Gotti, Vita cit., I, p. 255): «...et dice(Sua Santità) che alogate li banchi e palchi e figure e scale e quello parea vui, che possino fare senza vui questa invernata, purché si lavori, eche non si abandoni l’opera, e che si faci tutto quello si pol fare senzavui...» Per quanto riguarda lo scalone e le porte, Michelangelo aveva

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 121

già concluso tre giorni prima (il 2o agosto 1533) il contratto che abbia-mo esaminato.

130 Questa idea venne formulata per primo da P. Franceschini, in«Nuovo osservatore fiorentino» (1885-86), p. 412. Vedi ad esempio P.Frankl, Die Entwicklungsphasen der neuren Baukunst, Leipzig 1914, p.115. Per le «Imprese» di Cosimo vedi G. Ferro, Teatro d’Imprese,Venezia 1623, ii, p. 176: «Capricorno: Questo segno ascendente delDuca Cosimo, pose a Giovio per l’istesso Duca e gli diede motto:Fidem fati virtute sequemur». Ibid., p. 272: «Delfino: Motto: Festinalente (Euripides)».

131 Vedi sopra, nota 123.132 Vasari, Le Vite cit., VII, p. 203; III, p. 351.133 Assieme al Caroto e al celebre Battista del Tasso (1500-55) lavo-

rava al soffitto (come asserisce F. Baldinucci, Notizie de Professori deldisegno, Milano 1811, vii, p. 605) anche il genero di quest’ultimo,Antonio Crocini (morto nel 1577-78). Thode, Michelangelo: KritischeUntersuchungen cit., II, p. 118, ritiene a torto che parte del lavoro fossestata assegnata anche al genero di Crocini, il pittore Francesco Pagani(1531-61 circa): un’errata interpretazione del testo di Baldinucci.

134 Thode, ibid., p. 135, credeva erroneamente che questi schizzirappresentassero un lacunare centrale e due adiacenti lacunari late-rali, mostrando la sistemazione poi realizzata. Il disegno Casa Buo-narroti 126 in questo senso è fuorviante, dato che il lacunare centralee quello laterale sono raffigurati separatamente e a scale differenti.Frey, nel suo testo, perviene all’inesatta conclusione che, stando aquesto disegno, i lacunari laterali dovessero susseguirsi senza inter-ruzione.

135 Il rapporto tra i lacunari laterali del disegno e il centro corri-sponde con buona precisione al rapporto tra gli interassi laterali e quel-lo centrale nei lati corti della biblioteca.

136 F. Schottmüller, Michelangelo und das Ornament, in «Jahrbuchder Kunsthistorischen Sammlungen in Wien», ii (1928), pp. 226 sgg.,fa delle importanti osservazioni riguardo al soffitto della biblioteca,senza cogliere tuttavia l’autentica idea alla base del progetto per il sof-fitto che venne effettivamente realizzato.

137 Dal 1534 fino al 1549 circa non venne fatto alcun lavoro per ilvestibolo o la biblioteca: dopo, i lavori iniziarono contemporanea-mente in tutte le parti dell’edificio. La proposta di una tarda datazio-ne del soffitto venne avanzata dal solo Franceschini in «Nuovo osser-vatore fiorentino» (1885-86), p. 412, senza echi successivi.

138 Vasari, Le Vite cit., VI, p. 203.139 Fattucci a Michelangelo (Frey, Briefe cit., p. 234): «quanti ban-

chi vi va, colla distantia l’uno dallo altro, come quelli di S.o Marcoapunto. Et ancora m’avisate, quanti libri andra per banco».

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 122

140 Fattucci a Michelangelo, 3 aprile 1526 (ibid., p. 279): «...et diceche troviate o faciate trovare asse d’albero e di noce per e banchi».

141 Fattucci a Michelangelo (ibid., p. 284).142 Gotti, Vita cit., I, p. 171 «Nostro Signore vuole che siano tutti

di noce scielto (in Milanesi e Gotti, “sculto”. Corretto dall’originale nel-l’Archivio Buonarroti da Frey, Die Handzeichnungen cit., testo, p. 126);non si cura di spendere 3 fiorini più, che non li importano, pure che sianoalla cosimesca, cio è si assimigliano le opere del magnifico Cosimo».

143 Gotti, Vita cit., p. 225.144 Casa Buonarroti 94; Frey, Die Handzeichnungen cit., n. 269. Vedi

anche Tolnay, Die Handzeichnungen cit., p. 426, n. 13.145 Come nota giustamente Schottmüller, Michelangelo und das Orna-

ment cit., p. 228.146 A. Marquand, Benedetto and Santi Buglioni, Princeton 1921, pp.

196 e 201 sgg.147 Vasari, Le Vite cit., VI, p. 88, nota 1 e p. 92.148 Non è però corretto concludere su tali basi che fosse stata previ-

sta una decorazione pittorica per il piú severo e disadorno soffitto, comecrede Schottmüller, Michelangelo und das Ornament cit., pp. 226 sgg.

149 Le vetrate vennero restaurate da De Matteis. Vedi P. France-schini in «Nuovo osservatore fiorentino» (1885-86), p. 415.

150 L. Biadi, Notizie sulle antiche fabriche di Firenze non terminate,Firenze 1824, pp. 134-36.

151 Rossi, La Libreria Mediceo Laurenziana cit., p. vii: «Tralle cose,le quali Michelagniolo in questo Edifizio non solamente lasciò imper-fetto, ma incognite ancora, e prive d’ogni memoria, una senza fallo, siè il Cornicione, il quale doveva servire di finimento, e quasi di coronaa tutta la stanza». Vedi anche p. xxiii.

152 Michelagnolo cit., p. 26. Geymüller rimanda a Ruggieri, Studiod’architettura civile cit., IV, p. 31, che, tuttavia, si riferisce alle partidel portale esterno ancora da rifinire. Thode credeva (Michelangelo: Kri-tische Untersuchungen, II; p. 127) che sul foglio 62 di Casa Buonarroti(pubblicato da Tolnay, Die Handzeichnungen cit., fig. 82), dei cinqueschizzi per la cornice della biblioteca due andassero riferiti al moder-no cornicione del vestibolo, che era stato preso per antico.

153 Lettera di Ammannati a Cosimo I da Firenze, del 18 febbraio1559 (Gaye, Carteggio cit., III, pp. 11 sgg.): «... se V.E.I. vorrà cheper ordine suo io dimandi, quando le parrerà tempo, a lui (Michelan-gelo) del palco (nella trascrizione di Gaye, dopo questa parola compare unavirgola che deve ritenersi uno sbaglio) del ricetto e del modello della fac-ciata, lo farò». Cosimo quindi risponde il 22 febbraio (ibid., p. 13):«Circa il palco del ricetto e del modello della facciata, che non sariafuor di proposito di cavare dal Bon. quel che si può».

154 Ruggieri Studio d’architettura civile cit., IV, tav. 14.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 123

155 Uffizi, disegno 1946A, penna, 36,6 x 25,6 cm.156 Vedi Biadi, Notizie cit., pp. 134-36. Un ampio resoconto di P.

Franceschini in «Nuovo osservatore fiorentino» (1885-86), pp. 421sgg., e in Id., Per l’arte fiorentina: Dialoghi critici, Firenze 1895, pp. 295sgg. Qui compare anche il materiale documentario per l’ampliamentomoderno. Per il resto, nella letteratura su Michelangelo non vienefatto alcun riferimento al significato della costruzione di Poccianti e aisuoi riflessi sulla biblioteca. Oggi la realizzazione di Poccianti serve dasala di lettura (contrariamente al suo scopo originario): dopo il 188ol’ambiente venne attato a tal fine aggiungendo finestre e banchi. L’ef-fetto dell’architettura venne in tal modo alterato.

157 A tale riguardo cfr. Geymüller, Michelagnolo cit., pp. 26 sgg.«Der Treppe gegenüber steben die Wände öde und leer und wie überdie eigne Form verlegen da».

158 A. Riegl, Die Entstehung der Barockkunst in Rom, Wien 19o8, p.44. Vedi anche Geymüller, Michelagnolo cit., p. 26: «Mauerpfeiler tre-ten vor, nicht wie üblich die Säulen».

159 Il problema di un effetto di massa è solo quantitativo. Deciderein che misura un’opera si debba giudicare ancora rinascimentale o giàbarocca su tali basi non potrà mai essere convincente, dato che gli argo-menti addotti dipendono da impressioni individuali e soggettive.

160 Vedi anche Tolnay, Die Handzeichnungen cit., p. 4o8.161 L’idea di conflitto venne riconosciuta come parte integrante del-

l’architettura di Michelangelo da Wölfflin per primo, in Renaissanceund Barock cit., p. 50 («Komposition nach Kontrasten»), e considera-ta in dettaglio da Geymüller, Michelagnolo cit., pp. 49 sgg. («Der Pleo-nasmus als Prinzip und Quelle von Gegensätzen», «Die Vermehrungkünstlerischer Gegensätze»). Per le interpretazioni successive vediprincipalmente Riegl, Die Entstehung cit., pp. 39, 97, 148 sg., ecc.

162 L’opinione di Popp, Unbeachtete Projekte cit., p. 401 (e anche diautori precedenti), secondo cui questi tabernacoli dovevano ospitaredelle statue, non trova alcuna conferma documentaria.

163 Anche se questo effetto di contrasto è stato notato nell’archi-tettura di Michelangelo, la sua figura è stata generalmente collocataall’inizio della serie degli architetti barocchi.

164 Parte di questo capitolo era stata dapprima trattata in un mano-scritto inedito, in Festschrift für Walter Friedlädnder, 1933.

165 Wölfflin, Renaissance und Barock cit., p. 50, scoprí che nel vesti-bolo «unaufhörliche Bewegung entsteht...» Wölfflin non si accorse chetale effetto di movimento è diverso in modo essenziale da quello delBarocco.

166 Ai fini di quanto vogliamo dimostrare è perfettamente appro-priato istituire un confronto tra l’articolazione di una cappella, quelladi una facciata di palazzo e quella di una facciata di chiesa, anche se

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 124

non sarebbe difficile un confronto tra elementi analoghi. La cappellaGondi è stata scelta perché offre il primo esempio noto di duplice fun-zione, mentre gli esempi rinascimentale e barocco sono stati scelti perla loro particolare pregnanza.

167 W. Friedländer, Das Casino Pius IV, Leipzig 1912, p. 127.168 Vasari, Le Vite cit., VII, p. 57.169 Lo stesso tipo di complessità si può osservare all’interno della

biblioteca, se si paragonano le pareti tra le paraste alla «classica» sem-plicità di una fila di colonne.

170 «Permutazione» va intesa nel senso matematico del termine,come inversione di elementi dati. In linguistica il termine è usato quan-do parti di una frase hanno una funzione differente da quella che è loropropria. Abbiamo fatto nostra questa espressione poiché quel tipo diinterrelazione di piani parietali consiste essenzialmente in un rove-sciamento di funzioni.

171 Vedi Wiesbach, in «Zeitschrift für bildenden, Kunst», 1919, pp.61 sgg.; W. Friedländer, in «Repertorium für Kunstwissenschaft»,1925, pp. 49 sgg.

172 Solo negli anni venti sono stati fatti dei tentativi per dare unadefinizione dell’architettura manierista. H. Voss (Die Malerei der Spä-trenaissance in Rom und Florenz, Berlin 1920, pp. 10 sgg.) rimarca l’u-nità stilistica tra pittura e architettura manieriste. Elementi che con-notano l’architettura manierista vengono elencati da Dagobert Frey in«Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte», iii (1924), p. 98, e da Wal-ter Friedländer in «Repertorium für Kunstwissenschaft» (1925), pp.56 sgg. Il problema viene ora affrontato da varie angolazioni. Gli studidi L. Hagelberg, in «Münchner Jahrbuch der bildenderi Kunst» (1931),pp. 264-8o, e di L. Michalski in «Zeitschrift für Kunstgeschichte»(1933), pp. 88-109 non vanno molto oltre Riegl, che considerò l’ideadi conflitto solo in termini di energia e tensione. Due autori, E. Panof-sky in «Staedel-Jahrbuch» (1930), pp. 65-72 e H. Sedlmayr, Die Archi-tektur Borrominis, Berlin 1930, pp. 152 sgg., ravvisano, come noi, lacaratteristica essenziale dell’architettura manierista in un dualismo distruttura (vedi E. Panofsky, Idea. Ein Beitrag zur Begriffsgeschichte deralteren Kunsttheorie, Leipzig 1924, p. 43).

173 Vedi Frankl, Die Entwicklungsphasen cit., p. 178: «Die Lauren-ziana ist in den Körperformen barock, nicht aber in ihrer optischenErscheinung, noch ist alles flächenhaft ausgebreitet, noch ist alles flä-chenhaft ausgebreitet, frontal gesehen...»

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 125

Capitolo secondo

Michelangelo e la cupola di San Pietro

Da sempre la cupola di San Pietro è considerata ilsimbolo supremo dell’architettura cristiana. Il magnifi-co, svettante profilo della struttura domina ancor oggila città da molti punti. Sedici possenti costoloni sorgo-no dai poderosi contrafforti del tamburo, quasi comevettori di un’intensa energia: energia che si scarica pas-sando per l’elevata lanterna.

Non ci sono diretti antecedenti per questa straordi-naria invenzione, ma, una volta eretta, la cupola diven-ne per tre secoli un riferimento obbligato per tutte lestrutture consimili. Nessuna delle imitazioni, varianti etrasformazioni piú tarde (neppure le cupole progettateda architetti del calibro di Hardouin Mansart, Fischervon Erlach, Juvarra, Wren e Soufflot) raggiunsero lagrandiosità, la coerenza e la tensione che il prototipoaveva in sé.

Certo, noi dobbiamo l’esistenza della cupola ad unacombinazione di eventi rara nella storia dell’arte: quan-do si presentò l’occasione c’era un sommo genio a dispo-sizione, e questi poté avere mano libera.

Ma questa cupola, oggetto d’universale ammirazione,è interamente opera di Michelangelo? la struttura chenoi osserviamo corrisponde alle sue intenzioni definiti-ve? Durante gli anni venti di questo secolo e all’iniziodegli anni trenta il problema venne studiato approfon-ditamente, e io stesso presi parte al dibattito: nel 1934

Storia dell’arte Einaudi 126

pubblicai un lungo saggio sull’argomento1, tradottotrent’anni dopo in italiano2. Accettando in larga misurale conclusioni di questo mio studio, James Ackerman3

sintetizzò in modo brillante una posizione che sembra-va l’unica sostenibile: ossia che l’attuale cupola non cor-risponde al progetto definitivo di Michelangelo per alcu-ni aspetti di fondamentale importanza.

Ma la verità storica non si afferma tanto facilmente.Da qualche tempo la cupola di San Pietro ha dato luogoa una certa inflazione di studi, e ancora una volta il pro-blema, nel suo complesso, sembra soggetto a oscillantivalutazioni. Non posso qui menzionare tutti gli studi alriguardo, ma devo fare riferimento almeno a due con-tributi, e in particolare ad uno di Cesare Brandi, unostudioso che gode di grande autorità in Italia e all’este-ro. L’interpretazione di Brandi delle testimonianze scrit-te e di quelle basate su un’osservazione diretta porta lostudioso a sostenere che l’attuale cupola corrisponda inlarga parte alle intenzioni ultime di Michelangelo. Mal-grado alcune finezze critiche, in tal modo torniamo alleposizioni della scorsa generazione, prima che si affer-masse l’attuale metodo di ricerca, dove il cospicuo mate-riale storico viene meticolosamente vagliato.

Cosí dobbiamo ricominciare da capo, tenendo pre-senti le osservazioni di Brandi e anche quelle del secon-do autore cui farò riferimento, ossia Charles de Tolnay,che ha assunto una posizione vicina a quella di Brandi.Sin dal 1930-31 Tolnay ha sostenuto che l’ultimo pro-getto di Michelangelo per la cupola doveva presentareuna curvatura a sesto acuto, e Tolnay è probabilmentel’unico studioso che non abbia cambiato la sua opinio-ne di una virgola per tutto questo tempo. Tolnay è tor-nato sul tema con nuovi argomenti nel Convegno inter-nazionale di Storia dell’arte tenutosi a Bonn nel 19645.

Vorrei iniziare ricordando alcuni fondamentali daticronologici. Antonio da Sangallo il Giovane, che aveva

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 127

ricoperto per piú di venticinque anni l’incarico di archi-tetto della nuova basilica di San Pietro, iniziata da Bra-mante, morí il 29 settembre 1546. Michelangelo vennenominato suo successore il primo novembre 1546, el’incarico venne ratificato il primo gennaio 1547. Peroltre diciassette anni, fino alla sua morte avvenuta il 18febbraio 1564, la fabbrica di San Pietro costituí l’occu-pazione piú importante, e spesso frustrante, di Miche-langelo. Dopo la morte del maestro la carica di architettodi San Pietro andò in un primo tempo a Pirro Ligorio,che venne però immediatamente allontanato (il 31 otto-bre 1565) quando risultò evidente che aveva cercato dialterare il progetto di Michelangelo. A Ligorio subentròVignola, che conservò l’incarico fino alla morte, il 7luglio 1573. Quindi fu il turno di Giacomo Della Porta,che voltò la cupola tra il 1586 e il 159o e finí la lanter-na nel 1593.

Possiamo apprendere molte cose sui principali pro-blemi all’epoca in cui Michelangelo era in carica inter-rogandoci sull’entità dei lavori portati avanti in quelperiodo, e su quanta parte della cupola era stata realiz-zata alla morte di Michelangelo. I documenti conserva-ti nell’Archivio di San Pietro ci forniscono una rispostaesauriente: tali documenti vennero pubblicati da KarlFrey piú di cento anni fa. L’autorità di cui godeva Freyquale esperto archivista era tale che nessuno osava sol-levare dubbi sui metodi di lavoro di questo eminenteprofessore tedesco. Frey, in sostanza, si limitò a pub-blicare i contratti e i pagamenti nell’ordine in cui eranostati disposti nei libri mastri. È superfluo rilevare chetale procedimento è del tutto privo di senso. Di fattotale metodo portò lo stesso Frey, come altri studiosi, agravi fraintendimenti, dato che sulla base delle migliaiadi minuti e frammentari particolari documentari pro-dotti da Frey non era affatto possibile seguire la costru-zione della cupola in modo logicamente coordinato.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 128

Come altri studiosi prima e dopo di me, anch’io tren-tacinque anni fa ho combattuto con questi documenti,cercando invano di trovarvi risposte attendibili. Quan-do, nel 1963, tornai ad esaminarli, giunsi alla conclu-sione che per dare un senso a tali documenti bisognavasistemarli in modo totalmente diverso. Feci quindi unindice di tutti i pagamenti raggruppandoli secondo inomi delle singole maestranze e aggiungendo la defini-zione del lavoro per il quale il pagamento era stato cor-risposto. Risultò alla fine che il tempo speso per questaoccupazione, non certo esaltante, era stato ben com-pensato. Vennero cosí alla luce i seguenti dati inoppu-gnabili:

1. Il 24 febbraio 1552, dato storico da sempre noto, lagrande cornice sopra gli arconi della crociera era ter-minata. Una fase di poco successiva è raffigurata inun disegno di anonimo conservato agli Uffizi.

2. All’inizio del 1556 risultano terminati dodici capitellie mezzo dell’ordine interno del tamburo, dopo diche si ebbe una completa interruzione dei lavori. Siriprese a lavorare nel settembre del 1561, dopo unintervallo di oltre cinque anni, e nel febbraio 1564 irestanti diciannove capitelli e mezzo vennero termi-nati (ci sono sedici coppie di paraste, per un totale ditrentadue capitelli). In altre parole, nel 1556 solo seicoppie di paraste con i loro capitelli erano poste inopera, mentre all’epoca della morte di Michelangelo,nel 1564, l’intero ordine era stato realizzato, ma senzala trabeazione.

L’aspetto del tamburo nel 1562, ossia dopo la ripre-sa dei lavori, è riportato in due disegni: uno dell’archi-tetto Dosio conservato agli Uffizi; l’altro, forse opera diAmmannati, ad Amburgo. Il disegno degli Uffizi offreuna veduta in direzione nord dell’interno della crocie-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 129

ra. Dei cinque interassi del tamburo qui raffigurati, soloquello sopra il pilone nord-ovest risulta terminato. Ildisegno di Amburgo mostra la crociera guardando versoovest (ossia verso il coro): cinque interassi del tamburocon le loro finestre coronate da frontespizi alternata-mente arcati e triangolari (particolare importante) risul-tano terminati. La finestra dell’ultimo interasse a sini-stra è ancora priva della sua mostra. L’interasse di sini-stra nel disegno degli Uffizi corrisponde a quello didestra nel disegno di Amburgo. Cosí, a quest’epoca(probabilmente quindici mesi prima della morte diMichelangelo), solo cinque interassi erano sicuramentecompiuti.

3. Le colonne dell’ordine esterno erano state lavoratetra l’inizio del 1554 e il maggio del 1556. Ma ancheall’esterno i lavori si interruppero per cinque anni.Tra il maggio del 1561 e l’agosto del 1564 l’ordinecon i capitelli, anche qui senza trabeazione, venneposto in opera. Nell’ottobre del 1562 venne acqui-stata una robusta fune per sollevare i rocchi dellecolonne: vediamo il marchingegno in funzione neldisegno di Dosio.

4. La trabeazione sopra le coppie di colonne venne paga-ta tra il 4 gennaio 1565 e il 12 novembre 1568: valea dire che venne iniziata sotto Ligorio e portata atermine sotto Vignola. Varie immagini ci permetto-no di seguire il procedere di quest’opera: l’esempioqui riportato, un’incisione del 1565, mostra la tra-beazione in statu nascendi nel tamburo in direzione este nord-est.

5. L’attico sopra la trabeazione venne pagato nel 1588-89, all’epoca della soprintendenza di Della Porta:dall’attico in su, quanto è stato realizzato appartieneall’ultima fase. All’interno, almeno parte dell’archi-trave e della cornice vennero pagate nel 1588, men-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 130

tre i pagamenti specifici per la decorazione architet-tonica all’interno della cupola datano a partire dal1589.

Questa analisi dei documenti ha messo in luce il fattostraordinario e incontestabile che i lavori alla cupola siinterruppero completamente tra la primavera del 1556e la primavera del 1561. Alla luce di tale scoperta acqui-stano grande rilievo le informazioni fornite da GiorgioVasari, amico e biografo di Michelangelo. Vasari narraal lettore che, quando la costruzione di San Pietro anda-va avanti seppure con lentezza, alcuni intimi di Miche-langelo spinsero il maestro a costruire un grande model-lo della cupola, che avrebbe avuto lo scopo di stroncaresul nascere ogni tentativo di alterare il progetto. Allafine gli amici ebbero la meglio: nel luglio 1557 Miche-langelo fece un piccolo modello preliminare in terracot-ta, in base al quale venne realizzato un grande modelloligneo. Questo grande modello fortunatamente esisteancora, almeno in alcune sue parti, e misura circa tremetri fino al vertice della calotta interna, che appartie-ne al modello originario. Stando ai documenti, il model-lo venne realizzato tra il novembre 1558 e il novembre1561 (in realtà, se escludiamo la lanterna, venne finitonel 156o).

Ovviamente, il modello venne considerato necessariodopo che i lavori si erano interrotti nella primavera del1556 e le speranze di porre rimedio alla situazione appa-rivano scarse. Lo stesso Michelangelo si rifiutava diammettere il mancato successo dell’impresa («circa l’es-ser serrata la fabbrica, questo non è vero»), e tre anni emezzo più tardi cercava di smentire le voci che doveva-no correre a Roma, cioè «che la fabbrica di San Pietronon poteva andare peggio di quello che andava». Unmodello attendibile si rivelava cosí quanto mai necessa-rio, poiché, come abbiamo appreso dai documenti, nep-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 131

pure i lavori per il tamburo erano ad uno stadio moltoavanzato quando l’attività costruttiva era cessata.

Vasari, che era molto vicino a Michelangelo e si rite-neva l’esecutore spirituale del suo eroe, voleva assicu-rarsi che il progetto della cupola non venisse manomes-so, e pertanto incluse nell’edizione del 1568 delle Vite(quattro anni dopo la morte di Michelangelo) una descri-zione estremamente dettagliata del modello ligneo dellacupola. Vasari introduce la sua descrizione affermandoche all’epoca del modello preliminare in terracotta (ossianel 1557) gran parte delle finestre all’interno del tam-buro e dell’ordine esterno era stata completata.

Gli storici dell’arte non hanno mai posto in dubbiotale informazione, e naturalmente non hanno mai potu-to spiegare perché nel modello ligneo tutte le finestreall’interno recano un frontespizio arcato e tutte le fine-stre esterne ne hanno uno triangolare, dal momentoche, stando a Vasari, Michelangelo aveva già realizza-to dei frontespizi alternati prima di iniziare il modello.In realtà i documenti indicano che Michelangelo iniziòad eseguire le finestre solo dopo la ripresa dei lavori del1561, e fu solo allora che decise di cambiare i fronte-spizi.

La conoscenza del reale svolgimento dei fatti schiu-de un’interessante prospettiva sul metodo di lavoro diMichelangelo: in una fase in cui si stava realizzando iltamburo, i particolari del progetto erano ancora nelvago. Non c’è quindi da meravigliarsi se il progetto eraammantato da un velo di mistero: un mistero che vennesvelato solo quando il grande modello costrinse Miche-langelo ad una precisa formulazione. Fino ad allora gliamici di Michelangelo dovevano essere fortementepreoccupati della sua scarsa voglia di impegnarsi in talsenso. I cambiamenti apportati all’ultimo momento peri frontespizi delle finestre del tamburo ci fanno com-prendere che anche la cupola e la lanterna sarebbero

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 132

state soggette ad alcuni ritocchi se a Michelangelo fossestato concesso il tempo di realizzarle. In ogni caso cisono indicazioni a testimonianza di scelte a lungo pon-derate per la lanterna, e sembra anche che Michelange-lo abbia inserito nel modello delle indicazioni alternati-ve per certi particolari della lanterna.

Ferme restando queste riserve, il modello tramandail progetto definitivo di Michelangelo per l’interno dellacupola. Michelangelo progettò una cupola con una dop-pia calotta, seguendo in questo una lunga tradizioneculminata nella cupola del Duomo di Firenze di Bru-nelleschi: un modello al quale Michelangelo si era rivol-to, come sappiamo di certo, per trarne ammaestramen-to e ispirazione.

Dopo lunghe discussioni tra gli studiosi sembrava una-nimemente accettato il fatto che Della Porta avesserimosso l’originale guscio esterno del modello, postosopra l’attico, e lo avesse rimpiazzato con la propriacupola e lanterna. Ma Decio Gioseffi6 formulò un’altraspiegazione: che Della Porta avesse utilizzato l’origina-rio guscio esterno di Michelangelo, limitandosi a porlopiú in alto. Questa idea ebbe un certo seguito in Italia:Di Stefano7 accettò sostanzialmente tali conclusioni, eora Brandi le ha nuovamente riprese. Ma io credo chequesti signori siano in errore, e le ragioni di questa miaconvinzione sono implicite nelle seguenti considerazioni.

Per una ricostruzione dell’originario guscio esternodel modello disponiamo di un’abbondante documenta-zione. Oltre alla dettagliata e attendibile descrizione diVasari, siamo a conoscenza di otto studi di Dosio, oraagli Uffizi, tratti dal modello michelangiolesco e proba-bilmente eseguiti intorno al 1566. Inoltre abbiamo lenote incisioni del progetto di Michelangelo per San Pie-tro dell’architetto francese Dupérac, databili al 1568-69.I disegni originali di Michelangelo per la cupola non cor-rispondono invece alla versione del modello.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 133

Questo materiale, noto da tempo e valutato critica-mente da piú di una generazione, si è arricchito graziead un recente e fortunato rinvenimento compiuto dalprofessor De Tolnay e da lui succintamente esposto nelgià menzionato convegno di Bonn di storia dell’arte.Circa vent’anni fa il collezionista di New York JanosScholz trovò a Parigi un volume di vari disegni del Cin-quecento, e Tolnay riconobbe che dodici di essi si rife-rivano al progetto di Michelangelo per San Pietro. Gra-zie alla generosità di Janos Scholz l’intero volume oggisi trova nella Print Room del Metropolitan Museum.

Di tutto questo repertorio di testimonianze possoqui menzionare solo pochi punti fondamentali. Secon-do la descrizione di Vasari, Michelangelo stabilí lacostruzione geometrica della sua cupola a doppia calot-ta partendo da tre centri: il centro C determina la calot-ta interna semisferica, e i centri A e B la calotta esterna (ilcui spessore diminuisce gradatamente verso l’apice).Come mostra il diagramma (fig. 1), la curvatura esternasarebbe stata di poco inferiore ad una semisfera. In taledescrizione, per quanto corretta, Vasari passa sottosilenzio l’ubicazione del centro C sull’asse verticale (anchese la posizione di A e B è data in relazione a C).

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 134

1. Diagramma che mostra la costruzione della cupola con tre centri.

Dosio, che, copiando il modello, andava per tentati-vi, era fortemente interessato ai principî di costruzionegeometrica della doppia calotta, compresa la posizionedei centri in rapporto alla configurazione del tamburo.Dosio naturalmente sapeva che l’altezza della cupola el’andamento della sua curvatura cambiavano a secondadella posizione piú alta o piú bassa dei centri: il mio dia-gramma, che mostra calotte uguali di raggio ma differentiper la posizione dei centri, chiarisce ampiamente il pro-blema.

In uno dei disegni di Dosio le calotte sono costruitea partire da tre centri che corrispondono alla descrizio-ne di Vasari: i fori praticati con il compasso sono visi-bili nell’originale, ed è anche degna di nota l’indicazio-ne schizzata della lanterna.

In un altro disegno la costruzione della cupola èattuata da Dosio per mezzo di quattro centri. Il guscioesterno forma un semicerchio preciso: Dosio ha quisituato troppo in basso i centri. Della lanterna vienesegnata solo la struttura interna, assieme ad una singo-lare copertura a ventaglio. Lungo il margine sinistro delfoglio è tracciato il profilo esterno dell’attico a scalamaggiore. Le modanature inferiori corrispondono tantoal modello quanto all’esecuzione, mentre la cimasa cor-risponde al modello ma non all’esecuzione.

La sezione della cupola del disegno Uffizi 2013A èinfine costruita da Dosio per mezzo di sette centri, cheperò sono qui posti troppo in alto. Ancora una volta ildisegno mostra la struttura interna della lanterna con lacopertura a ventaglio e anche un rapido accenno alla suastruttura esterna. In basso troviamo uno schizzo rove-sciato della scala incrociata nella parte inferiore dellavolta, descritta da Vasari e di cui ancor oggi esiste trac-cia nel modello: in fondo al foglio compare inoltre unprofilo dei costoloni progettati da Michelangelo, assie-me a un piccolo schizzo di un abbaino.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 135

I vari tentativi di ricostruzione del Dosio indicanoche il modello di Michelangelo presentava una calottaesterna semisferica: per quanto riguarda tale aspetto ladescrizione di Vasari e i disegni di Dosio si confermanoa vicenda.

Pochi anni or sono, facendo delle prove sul modello,ero riuscito a determinare con sufficiente precisione laposizione del centro della semisfera interna: il punto èsituato a un’altezza di 6,5 cm sopra la cornice del tam-buro, ossia a circa metà dell’attico. Ora, l’unica testi-monianza grafica corretta sotto questo aspetto è l’inci-sione di Dupérac, del 1568-69. Questa sezione ha comependant un alzato: le due stampe mostrano il progetto diMichelangelo per l’intera basilica e, sebbene contenga-no alcuni elementi problematici, sono straordinaria-mente accurate per quanto riguarda la cupola. I parti-colari rivelano che Dupérac aveva riportato i frontespi-zi alternati delle finestre del tamburo concordemente aquanto eseguito, mentre per il resto (cupola e lanterna)si era basato su un accurato studio del modello.

Lo scopo delle incisioni di Dupérac mi sembra evi-dente. Non credo che si tratti di un lavoro intrapresoautonomamente e concepito per fini commerciali, anchese le stampe vennero messe in vendita. È invece piú pro-babile che tali incisioni fossero state commissionate daun gruppo che aveva interesse a dare ampia diffusionead un’autorevole affermazione delle idee definitive diMichelangelo per San Pietro. Piú avanti cercherò diargomentare meglio questa tesi.

La sezione di Dupérac mostra una bassa lanternaall’interno, che corrisponde a quanto indicato in alcunidisegni di Dosio. Un’ampia documentazione sui pro-getti di Michelangelo per questo singolare elemento erastata raccolta dal professor Koerte, ora scomparso, quasiquarant’anni fa, anche se non tutti hanno accettato lesue conclusioni. Ma ora alcuni schizzi di un foglio con-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 136

servato al Metropolitan Museum of Art di New Yorkrendono piena giustizia a Dupérac.

Il foglio presenta due paraste e due finestre della lan-terna all’interno assieme a due travi della copertura,con le misure annotate riprese dal modello, per poterdisporre di tutte le dimensioni. La scritta in francese,«La tribune entre le deux volte», conferma tale identi-ficazione. Lo schizzo, nei suoi tratti essenziali, corri-sponde alla lanterna raffigurata da Dupérac. Accanto aquesto schizzo, al centro del foglio, compare una pian-ta della copertura, con una «x» di richiamo che mettein relazione i due disegni.

Quasi tutti gli altri schizzi del foglio si riferisconoall’esterno. C’è un particolare del frontespizio triango-lare delle finestre del tamburo, con la scritta «Les fene-stres par dehors», mentre altri dettagli riguardano gliabbaini e l’attico. Infine compare la pianta di un costo-lone con i suoi scalini al centro, proprio come nelladescrizione di Vasari e nella raffigurazione di Dupérac.

Per quanto si può verificare, le misure riportate ven-nero riprese dal modello con accuratezza (porzione difinestra e attico). Ma, come ogni architetto sa, in que-sti schizzi a mano libera le proporzioni del disegno noncorrispondono quasi mai alle misure scritte. Cionono-stante, considerando unitamente gli schizzi e le misure,diviene ora possibile un’esatta ricostruzione di moltiparticolari del modello di Michelangelo, per il qualedisponevamo solo di avare indicazioni.

Ora, è notevole la stretta corrispondenza tra le inci-sioni di Dupérac e questi schizzi per quanto riguarda laresa dell’attico, dei costoloni, degli abbaini e, comeabbiamo visto, della lanterna interna; e questo valeanche per le misure, per quello che la scala delle incisioniconsente di verificare. A mio avviso, pertanto, non sus-sistono dubbi sul fatto che le incisioni siano fedeli ripro-duzioni del modello.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 137

Un altro disegno del Metropolitan Museum rappre-senta un’ulteriore conferma in tal senso. Nonostante ilsuo carattere dilettantistico questo disegno è estrema-mente importante, dato che mostra la forma e i parti-colari della lanterna esterna del modello.

Il disegno presenta aspetti stranamente incoerenti, etutta la parte inferiore può essere spiegata solo come unsemplice schema che serve a mettere in risalto la lan-terna. Nell’attico (e non solo qui) le misure segnate rap-presentano un rompicapo, e cosí pure le proporzioni: lalanterna è troppo alta in rapporto alla cupola, e dellegrossolane incongruenze si ritrovano anche nelle pro-porzioni della lanterna. Secondo le misure segnate, lecolonne binate sono alte 19 palmi (ossia 4,25 metri) e levolute di coronamento 12 palmi (2,68 metri), ma il dise-gnatore ha raffigurato le volute come se fossero piú altedelle colonne, mentre nell’incisione di Dupérac le pro-porzioni sono corrette. Devo subito anticipare che Gia-como della Porta, nella lanterna che ha realizzato, haseguito queste misure con grande fedeltà, anche se haalterato alcuni particolari del progetto.

Tolnay ritiene che questo disegno, assieme ad unaltro proveniente sempre dalla raccolta Scholz e chemostra il modello in sezione, comprovi il suo assunto,che nel modello (queste le sue parole) «il livello dellacalotta esterna venne innalzato sopra la calotta internasemisferica». In realtà il disegnatore si era semplice-mente confuso, come mostrano i fori praticati suentrambi i fogli. Come Dosio, il disegnatore aveva fattodei tentativi per stabilire i metodi di costruzione dellacupola. Credo che la valutazione di Tolnay di questidisegni non trovi prove a sua conferma: la sua opinioneè che la veduta dell’esterno sia stata ripresa dal model-lo, e che la sezione sia stata fatta per il modello. Per Tol-nay l’autore di questi disegni dev’essere un tal Giovan-ni Francese: un falegname d’origine francese, come fa

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 138

intendere il nome, che, secondo Vasari, collaborò all’e-secuzione del modello (nel disegno della sezione e in altridisegni appaiono scritte in francese).

Ho seri dubbi sul fatto che l’altrimenti sconosciutoGiovanni Francese sia l’autore dei disegni, né possoaccettare l’interpretazione offerta da Tolnay. Verso il196o ho studiato a fondo questi disegni del Metropoli-tan Museum, che mi davano molto da pensare. Comerisultato di una loro lunga frequentazione, mi apparveevidente che dei dodici disegni relativi alla cupola, quat-tro sono di mano di un aiuto, e che tre di questi sonorepliche di altri disegni del gruppo: l’originale del quar-to, l’esterno della cupola, non ci è pervenuto. Ho ilsospetto che in questo caso l’aiuto abbia eseguito unacopia leggibile in base ad abbozzi sommari, simili a quel-li sull’altro foglio: schizzi, bisogna supporre, eseguitidal disegnatore principale in base al modello. Solo inquesto modo si possono spiegare le stranezze e il dilet-tantismo del disegno. La sezione, invece, è di mano deldisegnatore principale e venne eseguita in studio, men-tre vari particolari vennero poi annotati direttamentedal modello.

La mia ripartizione tra diverse mani dei disegni delMetropolitan Museum trovò un’inaspettata conferma inuna serie di disegni da me rinvenuti nel Museo Nazio-nale di Stoccolma: questi disegni finora non sono entra-ti a far parte della discussione e sono ancora inediti.Anche stavolta l’autore è francese, ma la sua mano sem-bra differente dalle due che ho distinto nella serie didisegni del Metropolitan, anche se, sorprendentemente,alcuni dei disegni di Stoccolma sono in stretta correla-zione con questi. Le filigrane della carta di alcuni dise-gni di Stoccolma ci consentono di datarli agli anni set-tanta del xvi secolo.

Posso qui riportare solo pochi interessanti esempi aconfronto: per primo un rilievo quotato, eseguito con

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 139

accuratezza, di due finestre e mezzo all’interno del tam-buro, con le misure segnate che non sono tratte dalmodello, ma dalla struttura realizzata. Il disegno èincompiuto e non riporta la trabeazione sopra le finestredel tamburo.

Un disegno di Stoccolma mostra precisamente lastessa porzione di tamburo. Qui i capitelli non sonofiniti, ma, contrariamente al disegno del MetropolitanMuseum, vengono riprodotti l’attico, la trabeazione ei costoloni: queste parti non corrispondono a quantoeseguito, ma al modello. Qualunque sia con precisioneil rapporto che intercorre tra questi due disegni,entrambi vanno ricondotti ad un disegnatore che halavorato direttamente sui ponteggi della costruzione eha integrato i suoi rilievi con delle misure riportate dalmodello.

Altri due disegni che mostrano l’esterno del tambu-ro sono nello stesso rapporto. Il disegno incompiuto ènel Metropolitan Museum, mentre il disegno quotato deltamburo realizzato, con la trabeazione e l’attico, è aStoccolma (il disegno reca in basso la scritta «S. Pietrole dehors de la tribune»).

Questi disegni vengono integrati da altri, che mostra-no alla stessa scala la sezione del tamburo. In questo casoabbiamo un disegno al Metropolitan di mano dell’aiu-to, con le misure segnate che sono tratte anche stavol-ta dalla costruzione realizzata. La trabeazione esternaalla base del tamburo (contrassegnata dalla lettera F)compare a scala piú grande a sinistra.

Un disegno incompiuto, sempre al Metropolitan, èopera, a mio avviso, del primo disegnatore, mentre unterzo disegno, a Stoccolma, corrisponde esattamente aquello quotato del Metropolitan, ma ho motivo di cre-dere in base a dati certi che la mano non è la stessa.

Mettiamo ora a confronto, per un momento, questesezioni con una sezione simile, accuratamente disegna-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 140

ta e quotata da Dosio, conservata agli Uffizi. Senzaspingere troppo a fondo il confronto, basta un’occhiataper accertare che il disegnatore francese e Dosio hannolavorato indipendentemente l’uno dall’altro: troppi sonoi particolari che differiscono. La sezione di Dosio nonfa che mettere in rilievo, per contrasto, la qualità dellasezione nell’incisione di Dupérac, mentre la somiglian-za tra l’incisione di Dupérac e il disegno del Metropoli-tan è tale da non potersi ritenere casuale. Di fatto, a mioavviso, l’autore principale dei disegni del Metropolitannon può essere che lo stesso Dupérac. A parte la stret-ta affinità tra i disegni e l’incisione, lo stesso modo diprocedere del disegnatore (vale a dire, studiare insiemela costruzione e il modello per acquisire una documen-tazione completa) corrisponde a quanto si usa fare perle incisioni. Inoltre tutte le scritte sono in francese e idisegni, come mostrano le loro repliche, venivano all’e-poca considerati come testimonianze autorevoli. Sembraquindi quasi inevitabile concludere che alcuni disegni delMetropolitan vanno considerati degli studi preparatorioriginali di Dupérac per la sua incisione.

Se le mie conclusioni sono, come credo, corrette, ilvalore documentario delle incisioni, quali attendibili testi-monianze della definitiva concezione di Michelangeloper la cupola, aumenta immensamente: sembra anchelogico considerare tali incisioni molto piú veritiere deidue disegni del Metropolitan con la cupola in alzato.

Appare a questo punto probabile che la stessa cerchiadi amici che aveva spinto Michelangelo a realizzare ilgrande modello, abbia commissionato a Dupérac questeincisioni, subito dopo la morte del maestro. Questa èovviamente una semplice congettura, ma sembra un’i-potesi ragionevole se consideriamo l’esistenza di unvasto e influente partito avverso a Michelangelo. Lascelta di Ligorio dopo oltre cinque mesi di dispute eraun compromesso che rivelava il potere della fazione

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 141

antimichelangiolesca, dato che Ligorio era da tempo cri-tico nei confronti di Michelangelo.

Tutti i cambiamenti apportati al progetto di Miche-langelo vennero effettuati da Giacomo Della Porta. Idocumenti, considerati unitamente alle parti originalidel modello e ai disegni di Dosio e Dupérac, ci permet-tono di stabilire con esattezza dove iniziano le modifi-che di Della Porta. Come ho prima ricordato, le moda-nature inferiori dell’attico all’esterno sono ancoraconformi al progetto di Michelangelo, ma la larghezzadei risalti verticali viene ridotta e di conseguenzaaumenta l’ampiezza dei pannelli intermedi con i festo-ni. L’altezza effettiva dell’attico non risulta alterata,ma viene apposto un ricco e complesso cornicione som-mitale in sostituzione della semplice ed energica cimasadi Michelangelo. L’attico, inoltre, sembra piú alto per-ché Della Porta inserí alla base della cupola una profi-latura dalla morbida spanciatura, alta un metro circa: intal modo i costoloni non si innestano piú direttamentesui risalti verticali dell’attico. Inoltre Della Portamascherò l’attacco dei costoloni aggiungendo le insegnedi Sisto V e ridusse la larghezza dei costoloni, confe-rendo loro un profilo meno rilevato ed eliminando lescale intermedie.

Della Porta modificò anche le mostre degli abbaini,conferendo una propria individualità ad ogni fila di fine-stre. C’è un crescendo passando dal primo livello,memore del progetto michelangiolesco, alle ridondantiforme tipicamente tardocinquecentesche della secondafila, mentre il sobrio motivo circolare della fila piú altaha un effetto di anticlimax. Michelangelo, replicandocostantemente abbaini della stessa forma, voleva evita-re che l’interesse si incentrasse sui campi neutri deglispicchi compresi tra i costoloni: la drammatizzazione diquesti motivi subordinati operata da Della Porta attraeinvece l’attenzione proprio su quei settori.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 142

Inoltre Della Porta sostituí i due anelli gradonati allasommità della cupola con un singolo anello, modesto alconfronto, il cui profilo si connette a quello dei costo-loni. In tal modo costoloni e anello delimitano unita-mente la superficie di uno spicchio. Michelangelo, alcontrario, aveva trattato le superfici neutre degli spic-chi, i dinamici costoloni e le delimitazioni orizzontalicome elementi inconciliabili fra loro: il suo è un progettodi un rigore senza attenuanti. I costoloni si interrom-pono contro l’anello che chiude la cupola senza alcunamediazione, e inoltre risultano nettamente separati dallesuperfici neutre degli spicchi: le scale che salgono lungoi costoloni avrebbero esaltato il contrasto tra questiricorsi verticali increspati e i lisci settori sferici. Un’an-titesi che Della Porta eliminò conferendo la stessa qua-lità di superficie tanto ai costoloni quanto agli spicchi.

Anche la lanterna presenta analoghe modifiche: levolute ai piedi della lanterna attenuano il trapasso dallacupola al giro di colonne binate. Le volute a esse di DellaPorta, con l’arricciatura minore in alto e quella piúampia in basso che rigira verso l’interno, in senso oppo-sto, hanno, per loro stessa natura, un carattere dimessoe opaco. Della Porta aveva impiegato volute simili nellazona dell’attico, laddove Michelangelo aveva previstodelle energiche volute concave che si inflettono verso l’e-sterno alle due estremità: una forma che conferisce all’attico un carattere di netta separazione, e si presentanel contempo come un’energica risposta (com’è nellasua natura) alla spinta del cono sommitale. Gli orna-menti a forma di vaso posti sopra l’attico, la profilatu-ra alla base del cono, la sua configurazione a esse e l’ar-ticolazione delle nervature verticali, tutte queste aggiun-te di Della Porta ammorbidiscono i trapassi, creano lega-mi mediante ricchi motivi decorativi, laddove Miche-langelo aveva previsto di trattare ogni singolo elemento(base, ordine, attico e cono) in modo nettamente distin-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 143

to dagli altri. Con questa radicale economia di mezziarchitettonici sarebbe stata evitata qualsiasi attenuazio-ne di contrasti tra tali elementi.

L’interno venne riplasmato da Della Porta in modonon meno drastico. Le modifiche iniziano sopra il cor-nicione del tamburo. Della Porta innalzò l’attico di unmetro, aggiungendo anche degli alti basamenti per lecostolature. Queste ultime, di conseguenza, partono dauna quota piú alta di 1,8o metri di quella pensata daMichelangelo. Inoltre dai basamenti si impostano dellearcate in rilievo, che sortiscono l’effetto di assottigliarel’ampiezza delle costolature. I risalti ai bordi di questecostolature si connettono alle arcate e sembrano in talmodo far parte degli spicchi neutri, la cui spinta dire-zionale entra in competizione con quella delle costola-ture. Infine vi sono delle teste di leone, emblema diSisto V, che sormontano le basi delle costolature: è evi-dente che il modo di operare di Della Porta all’internoè strettamente analogo a quanto realizzato all’esterno.

Secondo i progetti di Michelangelo, le costolaturedovevano impostarsi saldamente sopra la cornice del-l’attico, mentre gli spicchi neutri erano nettamente sepa-rati dalle costolature. Michelangelo aveva previsto deisemplici pannelli geometrici per gli spicchi: i pannellirettangolari, caratteristicamente, erano contenuti da dueelementi circolari posti in alto e in basso, come a con-trastare un’indicazione direzionale. Infine la realizza-zione del programma decorativo cristologico a mosaico,sicuramente deciso all’epoca di Sisto V ma iniziato pocopiú tardi, rappresentò un colpo di grazia per il gioco diforme puramente architettoniche che Michelangeloaveva previsto.

Ancor piú importante di tutti questi cambiamenti fula soppressione, decisa da Della Porta, della lanternainterna. Questo elemento, che ha una sua lunga vita sto-rica e non è cosí raro e singolare come alcuni studiosi

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 144

credono, era necessario a Michelangelo per evitare unaliberazione della tensione dinamica: proprio quello cheDella Porta voleva conseguire, sia all’interno che all’e-sterno. Michelangelo veicolava l’energia insita nellastruttura lungo i costoloni, facendola poi passare perl’ordine della lanterna e infine per le sedici travi dellacalotta interna, in un continuo convergere al centro,senza possibilità di liberazione. All’esterno Michelan-gelo aveva ottenuto un analogo risultato per mezzo delnitido volume del cono, che grava sulla lanterna comeun pesante carico.

In pieno accordo con la sua concezione fortementeproblematica, Michelangelo aveva progettato una cupo-la dalla configurazione emisferica conchiusa e compres-sa, mentre Della Porta, in pieno accordo con i suoi inten-ti, miranti a offrire una risoluzione ai dati problematici,conferí alla cupola un’elegante curvatura, piú alta e slan-ciata. Per conseguire questo risultato, egli dovette innal-zare i centri della calotta interna e di quella esterna: ilprimo centro venne innalzato di circa tre metri e mezzoe il secondo di circa 4,57 metri, e ciò conferí alla cupo-la un profilo verticale piú ripido nella sua parte inferio-re. In secondo luogo dovette collocare i due centri adistanza di circa quattro metri dall’asse verticale, cosí daottenere il sesto acuto tanto fuori che dentro.

Possiamo ora quantificare la sopraelevazione effet-tuata da Della Porta del progetto michelangiolesco.Secondo i calcoli da me compiuti in base al modello, lacupola di Michelangelo, dal cornicione del tamburo all’a-nello interno al vertice, doveva essere alta 21,8o metri.Della Porta aumentò l’altezza quasi esattamente di unterzo, e la calotta esterna della sua cupola arriva ad oltreotto metri in piú rispetto a quella di Michelangelo. Nes-suno può negare che questa sia una considerevole diffe-renza.

La cupola rialzata da Della Porta riflette un mutato

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 145

orientamento artistico, che diviene ancora piú chiaronon appena prendiamo in esame il rapporto tra cupolae lanterna. Della Porta diminuí di oltre 1,8o metri l’al-tezza della lanterna progettata da Michelangelo. La ridu-zione d’altezza apportata alla lanterna e l’aumento dellacupola sono chiaramente complementari: la cupola rea-lizzata (a partire dal cornicione del tamburo) è in rap-porto di 3:2 con la lanterna, mentre la proporzione nelprogetto di Michelangelo era di 5:4 Questo nuovo rap-porto evidenzia l’essenza del cambiamento: l’oppri-mente pesantezza viene mutata in aerea levità.

Si è voluto sostenere che Della Porta ha portato acompimento una tendenza già insita nel progetto diMichelangelo: abbiamo però visto che una tale conclu-sione non trova conferme. Sappiamo che Michelangeloaveva a lungo esitato tra una cupola semisferica e una asesto acuto. Infatti, sotto l’influsso della cupola fioren-tina di Brunelleschi, aveva dapprima progettato unacupola rialzata nel famoso disegno di Haarlem, che sipuò datare con sicurezza al 1547, all’inizio della sua atti-vità per San Pietro. E anche dopo piú di dieci anni, pro-babilmente poco prima di iniziare il modello, Miche-langelo esitava ancora tra le due alternative, comemostra uno schizzo conservato a Oxford, incentratosulla lanterna: un’eloquente testimonianza della suaindecisione fino all’ultimo momento.

Ma una volta presa la decisione, il risultato divenneirrevocabile e irreversibile. Un senso di ferrea necessitàsembra animare il progetto definitivo: la forza dinamicache sale dalle paraste binate giganti del corpo della chie-sa e si trasmette alle coppie di colonne del tamburo finoa raggiungere le colonne della lanterna viene contrasta-ta dalla cupola stessa, che insiste come un pesante cari-co sulla struttura inferiore, e dall’enorme, schiacciantelanterna, che compendia il senso dell’intero progetto.

Della Porta offrí quindi una risoluzione a questi con-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 146

trasti, dall’immagine d’insieme fino ai più minuti det-tagli, ma tali modifiche erano dettate da altre necessitàche non fossero di carattere strettamente estetico?Della Porta doveva rispondere del suo operato a unacongregazione di ecclesiastici, un organo conservatoreper tradizione. Saremo in grado di comprendere perchéquesti abbiano consentito a Della Porta di allontanarsidal progetto di Michelangelo solo quando le minutedelle riunioni di consulta saranno state trovate. Manon c’è dubbio che la commissione abbia dato il suovoto ad un progetto infinitamente piú conciliante diquello di Michelangelo, e in questo la congregazione erasicuramente dalla parte dell’opinione corrente, comesempre accade.

Ma dopo tutte queste considerazioni, noi riusciamoancora a percepire la grande forza dell’idea di Miche-langelo. Il tamburo, con i suoi poderosi contrafforti, hastabilito le regole del gioco una volta per tutte, e DellaPorta non poté avere del tutto mano libera per quantoriguardava la cupola. Le sue modifiche, per quantosostanziali, hanno alterato ma non cancellato il proget-to di Michelangelo, e noi possiamo ancora scandagliarela profondità della mente del maestro, anche se, forse,come in uno specchio oscuro.

1 R. Wittkower, Zur Peterskuppel Michelangelos, in «Zeitschrift fürKunstgeschichte», ii (1933), pp. 348-78.

2 Id., La cupola di San Pietro di Michelangelo, Firenze 1964.3 J. S. Ackerman, The Architecture of Michelangelo, London 1961

[trad. it., L’architettura di Michelangelo, Torino 1968].4 C. Brandi, La curva della cupola di San Pietro (conferenza tenuta

nella seduta del 21 aprile 1968 presso l’Accademia Nazionale dei Lin-cei), in Id., Struttura e architettura, Torino 19722.

5 Ch. De Tolnay, Newly discovered Drawings related to Michelange-lo: The Scholz Scrapbook in The Metropolitan Museum of Art, in Stil undÜberlieferung in der Kunst des Abendlandes (Akter des international

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 147

Kongress für Kunstgeschichte, Bonn 1964), Berlin 1967, II, pp. 64-68.6 D. Gioseffi, La cupola vaticana, Trieste 196o.7 R. Di Stefano, La cupola di San Pietro, Napoli 1963.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 148

Capitolo settimo

Il giovane Raffaello

Come Mozart, Raffaello fu tolto a questo mondo nelpieno della sua giovinezza. Egli era nato ad Urbino il 6aprile 1483 e morí esattamente trentasette anni dopo,il 6 aprile 1520; visse dunque due anni piú di Mozart.Entrambi condensarono nella loro breve vita l’immen-so lavoro di diverse vite di lunga durata; entrambi pro-dussero con estrema facilità; entrambi deliziarono inte-re generazioni successive con la grazia e l’armonia delleloro creazioni; ed entrambi esercitarono un’incom-mensurabile influenza sulla loro arte. Ma mentreMozart all’età di diciotto anni veniva acclamato comeil «maggior compositore mai esistito», altrettanto nonsi può dire alla stessa età di Raffaello, come pittore. Èil mistero del primo Raffaello che vorrei ora cercare dichiarire.

Quando il giovane Raffaello aveva otto anni la madremorì, il 7 ottobre 14911. Suo padre, il pittore Giovan-ni Santi, si risposò pochi mesi dopo la morte della primamoglie. Ma la sua nuova felicità non durò a lungo: eglimorí infatti il primo agosto 1494. Lo zio di Raffaello, ilprete Bartolomeo Santi, fu nominato suo tutore. Que-sti si rifiutò però di cedere l’eredità della matrigna; laquestione fu sottoposta alla corte e il 7 giugno 1495 fupronunciata una sentenza contro il tutore. Tuttavia lalite continuò a trascinarsi per almeno cinque anni. Altempo il giovane Raffaello aveva 17 anni. Non sapremo

Storia dell’arte Einaudi 149

mai quanto egli dovette soffrire per la triste situazionefamiliare, né se passò tutti questi anni ad Urbino. Sem-bra probabile che egli fosse nella sua città natale nel giu-gno 1499. Il successivo documento della corte, del 13maggio 15oo, riferisce del «pro dicto Raphaele absente»– il che può significare sia che non apparve in tribuna-le, sia che aveva già lasciato Urbino2.

Nel xv secolo, e persino in seguito, i bambini veni-vano ancora introdotti all’apprendistato in giovanissimaetà: quando suo padre morí Raffaello aveva undici annie quasi quattro mesi. Malgrado la giovane età egli dove-va essere nella bottega del padre già da qualche tempo,studiando, secondo l’uso di allora, procedimenti tecni-ci come il preparare a mescolare i colori e dare la mesti-ca alle tele, e insieme acquistando i primi rudimentidella sua arte.

Nella prima edizione delle Vite, pubblicata nel 1550,Vasari dice che Raffaello, ancora bambino, aiutò il padregià nel pieno delle sue capacità3. Nella seconda edizio-ne revisionata, del 1568, Vasari è ancora piú assertivo:Raffaello da giovane assistette ampiamente suo padre inmolte delle sue opere4. Questo cambiamento venne det-tato naturalmente dall’immagine ben nota del bambinoprodigio il cui genio incomincia a manifestarsi all’età incui gli altri bambini sono ancora ai loro primi passi. Ma,Vasari continua, l’amorevole padre si rese conto ben pre-sto che il ragazzo non poteva piú trarre profitto dallabottega paterna. Cosí decise di mandare il figlio a fareapprendistato presso il Perugino, si recò a Perugia eprese gli accordi necessari, e quando il giovane lasciòUrbino, la madre affezionata versò molte lacrime. Sem-pre che si possa credere a Vasari, questo evento ebbeluogo prima che il giovane avesse compiuto otto anni, ea questa età il ragazzo non solo avrebbe avuto al suo atti-vo un certo numero di opere come assistente del padre,ma avrebbe addirittura superato l’arte del padre. Sotto

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 150

la guida di Perugino – assicura Vasari – il giovane Raf-faello acquisí ben presto una tale abilità che era impos-sibile distinguere le opere del maestro da quelle dell’al-lievo.

Sebbene questo racconto sugli esordi di Raffaello sianotoriamente leggendario, non dobbiamo dimenticareche Vasari era eccellentemente informato circa il gran-de maestro dagli allievi ed assistenti dei suoi anni roma-ni, e che anche per il periodo fiorentino precedenteVasari aveva due testimoni di rilievo nei suoi amici Ari-stotele da Sangallo e Ridolfo Ghirlandaio, associati aRaffaello in questi primi tempi, a partire dal 1504.Sarebbe ingiusto attribuire al Vasari l’invenzione diquesto culto dell’eroe in quanto la favola delle prodi-giose gesta di Raffaello bambino già circolava, proba-bilmente, nelle botteghe romane. In ogni caso, una sto-ria essenzialmente corrispondente a quella raccontata daVasari venne pubblicata già nel 1549 (ovvero 29 annidopo la morte di Raffaello) nel commentario di SimoneFerrari all’Orlando Furioso5.

Da dove abbia avuto origine questa leggenda, non losapremo mai. Bisogna comunque tenere presente che avolte furono gli stessi artisti precoci ad aiutare la crea-zione del mito della loro giovinezza. Bernini per esem-pio sostenne che egli aveva fatto un ritratto in rilievo delpadre all’età di 6 anni e che un anno dopo aveva stupe-fatto papa Paolo V per la compiutezza di un suo boz-zetto6.

Che cosa sappiamo di certo a proposito dell’attività diRaffaello tra la sua prima infanzia e i diciassette anni,ovvero prima del 1500? La risposta è niente, assoluta-mente niente. La nebbia si dirada a partire da un docu-mento del 10 dicembre 1500, il primo contratto per unasua opera di cui siamo a conoscenza. Si tratta del con-tratto per L’Incoronazione di San Nicola da Tolentino inSant’Agostino a Città di Castello7.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 151

Sfortunatamente di quest’opera chiave ci rimangonosolo pochi frammenti, e precisamente Dio padre e partedella Vergine, oggi nel Museo di Napoli, e il busto di unangelo nel Museo di Brescia8. Ma una copia parziale aCittà di Castello e un numero ristretto di disegni origi-nali – uno schema per l’intera composizione nel MuséeWicar a Lille – ci permettono di ricostruire l’aspetto ori-ginale dell’opera. Genericamente, lo stile di questi fram-menti è peruginesco ed è significativo che, prima chevenisse scoperto il legame con la pala d’altare di Cittàdi Castello, l’angelo di Brescia fosse attribuito a Timo-teo Viti, un artista minore umbro fortemente influen-zato da Perugino. Anche se i frammenti di questo dipin-to, insieme ai suoi disegni preparatori, sono di inesti-mabile valore per la nostra conoscenza del giovane arti-sta, a prima vista il mistero dei primi anni di Raffaellosembra diventare ancora piú oscuro. Come è possibileche ad un artista di soli diciassette anni senza una famagià affermata venisse commissionata un’importante palad’altare, alta piú di dieci piedi?

Prima di tentare di rispondere a questa domanda biso-gna ricordare che il contratto nomina, accanto a Raf-faello, un secondo artista: Evangelista di Pian di Mele-to. Ricerche meticolose hanno riportato alla luce alcunifatti legati alla sua personalità9. Al tempo della morte diGiovanni Santi egli lavorava come assistente nella bot-tega da piú di dieci anni. Nel 1500 circa egli si trovavain buone condizioni finanziarie e possedeva, tra le altrecose, alcuni beni immobili. In seguito, certamente nonprima del 1515 e forse non dopo il 1502, egli possedet-te una bottega in comune con Timoteo Viti, che morí nel1523. Evangelista morí nel 1549 in tarda età. Sebbenenon abbiamo nessuna idea di lui come artista10, la suabuona posizione economica e la sua associazione conTimoteo Viti stanno ad indicare che al suo tempo eglidoveva godere di una considerevole reputazione.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 152

Piú di sessant’anni fa, un rinomato studioso, Geor-ge Gronau, suggerí che Evangelista avesse impiantato labottega con Viti immediatamente dopo la morte di Gio-vanni Santi e che il giovane Raffaello si fosse unito allabottega come apprendista11. Alcuni critici accettaronoquesta ipotesi sebbene non vi fossero prove12. Altri, e traessi un grande studioso di Raffaello come Oskar Fischel,rifiutò decisamente l’ipotesi Evangelista-Viti. Fischel simostrò in effetti piuttosto esitante nelle sue convinzio-ni. Egli sostenne, praticamente nella stessa sentenza, che«Raffaello raggiunse la maturità artistica sotto l’in-fluenza di suo padre» (ovvero, come si ricorderà, primadegli undici anni), che il padre lo affidò alle cure delPerugino, e che dopotutto è un problema di scarsaimportanza se tutto ciò avvenne oppure no13. Alcunistudiosi piú anziani, tra cui Passavant (autore della gran-de, fondamentale monografia di Raffaello) e il grandeCavalcaselle, giunsero ad un compromesso facendo muo-vere Raffaello verso Perugia dopo la morte del padre, nel1495. Questa ipotesi fu respinta da Roberto Longhi inun saggio su «Paragone» nel 195514, mentre, come altriprima di lui, Sidney Freedberg, nel suo studio detta-gliato sul Rinascimento pubblicato nel 1961, datò l’ap-prendistato di Raffaello presso la bottega di Perugino trail 15oo e il 150415.

La ragione di tale divergenza di opinioni suppongovada ricercata nello stesso Raffaello, piuttosto che inerrori nelle ricerche da parte degli studiosi (in verità glistudiosi non lasciarono nulla d’intentato nel cercare difare luce sul primo periodo di Raffaello). Di fronte atanta incertezza la monumentale commissione di Cittàdi Castello sembra costituire un vero e proprio rebus.Abbastanza stranamente, tuttavia, nessuno di questistudiosi ha espresso stupore a questo riguardo, e que-sto perché proiettando all’indietro la nostra conoscen-za del tardo Raffaello, tendiamo solitamente a dare per

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 153

scontato che al giovane fossero date opportunità illi-mitate.

Per una spiegazione della commissione vorrei sugge-rire la seguente ipotesi. Il fatto che Raffaello ed Evan-gelista appaiano nel contratto come collaboratori indicache erano considerati come compagni di lavoro. Possia-mo supporre che anche dopo la morte di Giovanni Santi,Evangelista rimanesse nel suo precedente impiego pres-so la bottega, già ben avviata e degna di essere mante-nuta per riguardo del figlio. Questa conclusione è avva-lorata da una prova eloquente: nel contratto il nome diRaffaello appare per primo e, malgrado la sua giovaneetà, è lui e non il piú anziano Evangelista a venire chia-mato «magister». Magister, o maestro, era l’appellativodato al capo bottega. Ora Raffaello era l’erede legale del-l’impresa paterna, e deve essere per questa ragione chelui, anziché Evangelista, venisse nominato «maestro».

Se questa semplice logica vi sembra accettabilepotremmo esserci avvicinati alla verità: la commissionevenne data ad un’impresa avviata e rinomata nel terri-torio di Urbino, anziché ad uno sconosciuto giovanottodi diciassette anni. Ma era il giovanotto davvero cosísconosciuto? Possiamo forse risolvere questo quesitodopo aver analizzato gli eventi che seguirono alla com-missione di San Nicola.

L’Incoronazione di San Nicola di Tolentino venne por-tata a termine entro il 13 settembre 1501, data del paga-mento finale16. La successiva data certa si riferisce al Cri-sto crocifisso e santi, oggi alla National Gallery di Lon-dra, dipinto per l’altare Gavari in San Domenico a cittàdi Castello. Raffaello pose la sua firma ai piedi dellacroce e l’iscrizione ancora esistente sopra l’altare ripor-ta la data 1503 in riferimento al completamento dell’o-pera17. Ancora una volta si tratta di una grande pala d’al-tare alta almeno dieci piedi, e Raffaello, senza l’aiuto dicollaboratori, fu il solo responsabile della commissione.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 154

Certamente l’altare di San Nicola doveva aver sancitola sua fama a Città di Castello. Forse la firma orgoglio-sa, la prima firma di sua mano che noi conosciamo, staa sottolineare la cessazione di quella tradizione dell’a-nonimato, ancora in uso all’interno della bottega pater-na18. Un anno dopo egli finí il famoso Sposalizio per SanFrancesco a Città di Castello, oggi al Museo di Brera diMilano, un dipinto di almeno sei piedi di altezza, connumerose figure. Egli lo firmò e datò: «Raphael Urbi-nas 1504».

Sembra allora possibile rintracciare un filo logico. Leprime tre opere documentate di Raffaello vennero ese-guite per chiese di Città di Castello: la prima, in colla-borazione con il piú anziano collega, lo rese noto cosí chealtri committenti della stessa città richiesero i suoi ser-vigi. Se consideriamo le misure di questi tre dipinti,saremmo indotti a concludere che Raffaello non ebbe ache fare con altre commissioni importanti durante que-sto stesso periodo; che, in altre parole, egli passò lamaggior parte del suo tempo, tra il 15oo e il 1504, aCittà di Castello, poiché quando il San Nicola venne ter-minato, nel settembre 1501, egli subito iniziò il Cristocrocifisso e santi per San Domenico, e quando quest’ul-timo fu finito, nel 1503, egli incominciò lo Sposalizio perSan Francesco.

Credo che non sia un caso che Vasari elenchi questetre opere nel loro corretto ordine cronologico19; per dipiú egli evidenzia giustamente come sia il San Nicola chela Crocifissione siano dipinte alla maniera di Perugino eaggiunge che chiunque avrebbe attribuito la Crocifissio-ne a Perugino se non vi fosse stata la firma di Raffael-lo. Infine egli dichiara che nello Sposalizio Raffaellosupera la maniera di Perugino. Un confronto con lo Spo-salizio del Perugino, dipinto per la Cattedrale di Peru-gia quasi contemporaneamente a quello di Raffaello,dimostra che Vasari conosceva ciò di cui stava parlan-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 155

do; malgrado la somiglianza dei due dipinti, infatti,quello di Raffaello si distingue per una maggiore varia-zione psicologica e compositiva e per un nuovo sensodelle qualità anatomiche e ritmiche dei corpi. Questo cidimostra fino a che punto fosse informato e che acutoosservatore fosse il Vasari.

Possiamo allora accettare la guida di Vasari nel data-re L’Incoronazione della Vergine, oggi nella PinacotecaVaticana prima del San Nicola?20. Questo grande quadro(alto nove piedi), con molte figure, venne commissionatoda Alessandra di Simone degli Oddi per San Francescoa Perugia. Ancora una volta Vasari ci dice che, sebbenea dipinto sia certamente di mano di Raffaello, coloro iquali non hanno esperienza di conoscitori, l’avrebberofermamente creduto di mano di Perugino.

Solitamente si sostiene che, poiché gli Oddi, unadelle principali famiglie di Perugia, vennero esiliati dopola caduta di Cesare Borgia, nell’agosto 1503, il dipintovada datato a questo anno21. La logica non è del tuttoconvincente. Se Vasari ha ragione, il quadro fu dipintoprima del 10 dicembre 1500, data del contratto per ilSan Nicola. A costo di venire aspramente criticato daimiei colleghi voglio affermare che la cronologia di Vasa-ri è corretta. L’Incoronazione è strettamente legata alleopere di Perugino dopo il 149o e cosí i pannelli della pre-della, solitamente considerati come particolarmenteinnovativi22.

Tutte le opere di Raffaello finora considerate mostra-no un unico stile. Esse vennero create all’interno di unaprecisa tradizione del paesaggio umbro e, soprattutto,sono cosí vicine a Perugino, mostrano una tale familia-rità con le idiosincrasie stilistiche di Perugino, che cer-tamente Raffaello deve aver avuto un periodo di appren-distato nell’orbita del maestro. Su questo punto Vasarifu sicuramente corretto. Considerando gli spostamentidi Perugino – egli fu a Perugia solo parte degli anni 1495

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 156

e 1496 e quasi completamente assente nel 1497 e 1498– non si capisce come Raffaello possa averlo incontratoprima del 149923. Una volta che Raffaello appare inCittà di Castello, alla fine del 1500, come magister, sor-prenderebbe credere che egli avesse il tempo e la vogliadi tornare periodicamente, negli anni seguenti, da Peru-gino come aiuto bottega. Ciò appare improbabile anchein considerazione del fatto che a partire dal 1503 Raf-faello aveva una reputazione come maestro non solo aCittà di Castello, ma anche a Perugia. Quando, duran-te questi stessi anni, la badessa del convento di Monte-luce fuori Perugia cercava il miglior artista per dipinge-re L’Incoronazione della Vergine per la sua chiesa, alcu-ni cittadini, insieme ai padri reverendi, che avevanovisto le opere di Raffaello, commissionarono a lui l’o-pera24. Due anni dopo, il 12 dicembre 1505, venne sti-pulato il contratto, ma Raffaello allora non aveva piútempo per eseguire il lavoro.

Queste considerazioni mi inducono a credere cheRaffaello si uní al Perugino nel 1499. Essendo statoeducato nella tradizione peruginesca, ovvero all’autore-vole stile umbro, egli assimilò rapidamente la manieradel maestro. Già nel 15oo, quando Raffaello era appe-na diciassettenne, Perugino probabilmente lo racco-mandò per L’Incoronazione della Vergine per San Fran-cesco, dipinta sotto la supervisione del maestro. Questaimportante commissione dovette avere ripercussioni econtribuí alla prima committenza in Città di Castello.

Comunque si voglia datare L’Incoronazione, rimanecerto che nel breve periodo tra il 15oo e il 1504 Raf-faello dipinse quattro grandi pale d’altare, tre delle qualidocumentate e la quarta attribuitagli da un’indiscussatradizione. Un artista capace di compiere una simileimpresa tra i diciassette e i ventuno anni deve averdipinto altre opere e probabilmente altre ancora, duran-te gli stessi anni – questo è l’assunto generalmente dato

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 157

per scontato – ed egli deve anche aver dipinto certa-mente prima del 1500 (in quanto non è possibile che eglisia improvvisamente sorto dal nulla). Cosí gli storicidell’arte hanno arricchito i suoi primi anni con attribu-zioni spesso di dubbia validità. Abbiamo visto come lamaggior parte di essi ritenga che Raffaello abbia lavo-rato nella bottega del Perugino tra il 1495 e il 1500 otra il 1500 e il 1504. Sebbene la prima ipotesi sia impro-babile e la seconda impossibile, essi hanno esaminatoattentamente, e con moderni metodi critici, l’opera diPerugino nel decennio 1495-1504, per trovarvi le trac-ce del giovane genio.

Intorno alla metà degli anni ’90 del Quattrocento lostile del Perugino si sviluppa nel senso di un maggiorclassicismo e, allo stesso tempo, diviene piú tenero; percirca dieci anni egli rimane al massimo del suo prestigio.Quindi incomincia un rapido declino e come un inari-dimento. Non c’è da stupirsi che alcuni critici guardinoa Raffaello come al responsabile del periodo miglioredell’arte del Perugino. Altri scoprirono la mano di Raf-faello in un certo numero di opere del maestro. Nessu-no superò Adolfo Venturi che, nel suo libro su Raffael-lo e, successivamente, nella Storia dell’arte italiana,affermò con sicurezza che l’intera parete con Profeti eSibille nel Cambio – il vecchio Cambio di Perugia deco-rato con il piú ambizioso ciclo di affreschi del Perugino– fosse dipinto da Raffaello alla fine del 150425.

Sebbene Raffaello debba aver assistito Perugino(secondo me soprattutto nel 1499), il problema fonda-mentale risiede nella difficoltà, se non impossibilità, digiungere ad un accordo circa l’estensione della collabo-razione di Raffaello nei dipinti del Perugino26. E ciò peril semplice motivo che lo stile del primo Raffaello, primae dopo il suo ingresso nella bottega del Perugino, è perlo piú conforme a quello dell’ambiente nel quale lavorò.Raffaello crebbe in un’atmosfera provinciale dove,

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 158

secondo una pratica ancora medioevale del lavoro dibottega, veniva lasciato ben poco spazio all’affermazio-ne della propria individualità artistica27.

A conferma di questa ipotesi possono venire addot-te come prove anche i primi disegni di Raffaello. Riman-gono i disegni preparatori delle tre pale d’altare docu-mentate, dipinte per Città di Castello, cosí come perL’Incoronazione della Vergine28. Al contrario non esisto-no disegni di Raffaello correlati con altre opere del Peru-gino, né disegni per altre opere prima del 150029. Que-sto fatto potrebbe essere del tutto accidentale; d’altraparte bisogna tenere presente che l’arte di Raffaello nonemerge dall’anonimato prima della fine del secolo.Anche il disegno con il ritratto di Oxford, di solito con-siderato un autoritratto del giovane all’età di quattordicio quindici anni, è stato datato recentemente intorno al1504 circa30. Ultimamente è stato sostenuto che un dise-gno del British Museum sia un autoritratto del 1500circa31.

Prima di esporre le mie conclusioni vorrei considera-re brevemente l’attività di Raffaello tra il 1504 e il1507; ovvero, tra i ventuno e i ventiquattro anni. Secon-do Vasari, Raffaello, dopo aver terminato lo Sposalizio,si uní al suo amico Pinturicchio a Siena per aiutarlo algrande ciclo di affreschi della nuova biblioteca dellaCattedrale32. Non potendo approfondire questo episo-dio, vorrei solo accennare che molti critici contempora-nei tendono a rifiutare la storia di Vasari, secondo meingiustamente.

Vasari ci informa che, dopo l’intermezzo senese, Raf-faello si recò a Firenze. Abbiamo prove incerte (una let-tera di dubbia autenticità33) che egli giunse a Firenze allafine del 1504. Nei quattro anni seguenti, prima del suotrasferimento definitivo a Roma, egli soggiornò per qual-che tempo a Perugia e tornò anche a Urbino, ma tra-scorse la maggior parte del tempo, sebbene meno di

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 159

quanto generalmente si creda, a Firenze. In ogni caso,le sue grandi opere di questi anni vennero, quasi senzaeccezioni, create fuori Firenze: nel 1505 egli iniziò l’af-fresco della Trinità in San Severo a Perugia, ma proba-bilmente la portò a compimento un paio di anni piútardi. Nello stesso anno, nel 1505 piuttosto che nel15o6, dipinse una pala con Vergine e santi per la cap-pella Ansidei in Santa Fiorenza a Perugia, oggi allaNational Gallery di Londra. L’opera è firmata e datata,ma la lettura della data è equivoca. Poco dopo gli vennecommissionata la grande pala per Sant’Antonio a Peru-gia, oggi al Metropolitan Museum. Infine, nel 1507 egliportò a termine, firmò e datò la Pala Baglioni per SanFrancesco a Perugia, oggi alla Galleria Borghese.

Tutte queste opere dànno ulteriore prova di un cam-biamento di stile, cambiamento ancor meglio rilevabilenella lunga serie di Vergini e Sacre Famiglie che costi-tuiscono la massima gloria del cosiddetto periodo fio-rentino. Poiché la dimostrazione di questo cambiamen-to è divenuta oramai un utile esercizio accademico, nonc’è piú bisogno che io la riproponga in questa sede. Saràsufficiente dire che Raffaello (che al suo arrivo a Firen-ze aveva 21 anni) vide aprirsi di fronte un nuovo mondo.

Egli giunse nel momento piú emozionante della sto-ria artistica di Firenze: quando Leonardo e Michelangelocompetevano con i loro cartoni di battaglie in PalazzoVecchio, quando il cartone con la Sant’Anna e la MonnaLisa di Leonardo, il David e il Tondo Doni di Miche-langelo e il Giudizio Finale di Fra’ Bartolomeo a SanMarco stabilivano i canoni del grande stile classico chenoi chiamiamo Rinascimento. Raffaello fu profonda-mente scosso dal fascino irresistibile di questa espe-rienza. Egli si liberò di quanto aveva appreso e accettòsenza riserve il nuovo linguaggio espressivo.

Se dell’opera completa di Raffaello fossero soprav-vissute solo la Madonna Solly di Berlino (tradizional-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 160

mente attribuita a Raffaello e mai messa in dubbio) e laMadonna del cardellino degli Uffizi, e non fosse rimastané una tradizione letteraria né un nome, nessuno stori-co dell’arte avrebbe osato attribuire queste due opereallo stesso maestro, e uno studente tanto audace dasostenere che esse furono dipinte da una stessa mano,in un intervallo minore di quattro anni (quale probabil-mente fu), non potrebbe mai passare il suo esame. Altempo della Madonna del cardellino Raffaello aveva ven-titre anni34. Due anni piú tardi, dopo essersi stabilito aRoma, il suo stile attraversò una seconda, profondametamorfosi. Esso acquistò allora intensità drammaticae monumentalità. L’artista della Madonna della tenda,oggi a Monaco, sembra avere poco a che fare con l’au-tore della Madonna del cardellino; e se si guarda allaMadonna Solly e alla Madonna della tenda fianco a fian-co, i dodici o tredici anni che le separano sembranosecoli.

Queste osservazioni ci conducono ad uno dei feno-meni piú interessanti dell’intera storia dell’arte: il desi-derio e la capacità di un artista di cambiare il suo stileradicalmente. Questo fenomeno oggi non ci appare piústrano; noi siamo infatti abituati a considerare gli arti-sti liberi di scegliere il proprio stile; cosí, per esempio,non troviamo strano che i dipinti di Picasso del 1904 equelli del 19o8 siano cosí diversi tra loro, a tal punto chesolo una conoscenza dei fatti, precedente o posteriore,ci permette di considerarle di una stessa mano. Allostesso modo non siamo stupiti dalla sorprendente rapi-dità dei cambiamenti stilistici. Ma non dobbiamodimenticare che la possibilità di scegliere liberamente tradiverse soluzioni stilistiche e la capacità di un rapidocambiamento non sono sempre esistiti35. Infatti io credoche Raffaello sia il primo caso illustre.

Per gli artisti medioevali la strada al successo risie-deva nella stretta imitazione di un maestro. Ciò faceva

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 161

parte della pratica della bottega medioevale e veniva tra-mandato come il solo corso di studi corretto. Cennini,nel suo manuale tardo medioevale scritto a Firenze dopoil 1400, mette in guardia gli apprendisti dall’imitazionedi molti maestri e raccomanda loro di seguire un solomaestro in modo da acquisire un buono stile. Alla finedel secolo Leonardo rovescia questa posizione. Un pit-tore, secondo il suo punto di vista, non deve tentare diimitare la maniera di un altro pittore. Questo è certa-mente un chiaro segnale di un nuovo orientamento nellaprofessione dell’artista. Giustamente noi parliamo diemancipazione dell’artista rinascimentale: egli cambiò larestrittiva imitazione, propria del regolato lavoromanuale di corporazione, in favore della libertà di unaprofessione intellettuale autocontrollata. Quando Raf-faello respirò l’aria di Firenze, egli abbandonò quelle cheerano le convenzioni ancora essenzialmente tardome-dioevali di provincia e rispose prontamente al nuovomodello cittadino.

La miracolosa trasformazione accadde quando egliaveva ventuno anni. Ne emerse un uomo che scoprí inse stesso infinite possibilità e che seppe sviluppare conun’illimitata sicurezza di sé. Pochi storici dell’arte furo-no e sono preparati a riconoscere la profondità di questatrasformazione. Per quello che ho potuto vedere soloHeinrich Wölfflin sottolineò questo fatto senza paraoc-chi. «È probabile –, egli scrisse in Classical art –, che maiun giovane di talento assimilò la maniera del suo maestrocosí come Raffaello fece con Perugino... All’inizio eglinon poté essere distinto da Perugino... Egli arrivò aFirenze... egli abbandonò la tradizione umbra e si arre-se completamente alla nuova situazione fiorentina»37.

Affrontando l’opera e lo sviluppo di un artista (e nonmi riferisco solo a Raffaello) si è soliti usare punti di rife-rimento che hanno una propria vita e una propria sto-ria. Scrittori del xvi secolo come Funari, Vasari e Bor-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 162

ghini38 consideravano lodevole il fatto che Raffaellofosse capace, in breve tempo, di imitare alla perfezionela maniera di Perugino. Oggi risulta evidente che que-sta valutazione trae origine dalla tradizione medievaledelle botteghe. Al contrario gli storici dell’arte moder-na, ossessionati dal concetto di originalità, andarono incerca, negli juvenilia di Raffaello, delle peculiarità delsuo genio; secondo a loro punto di vista l’imitazione, ela sola perfetta imitazione, non può essere che un segnodi mediocrità, mai di eccellenza. Questa idea iniziò afarsi largo nel xviii secolo, quando nacque la modernaconcezione di genio, e venne energicamente espressanegli scritti critici dell’età romantica.

Vasari, naturalmente, spiegò il cambiamento nellostile di Raffaello come la conseguenza della grandezza edell’universalità. Egli argomentò che Raffaello studiò leopere degli antichi e dei moderni e che prese da essi ilmeglio. In questo modo egli li superò tutti39. Il concet-to di selezione da diversi maestri al fine di acquisire laperfezione deriva originariamente dalla ben nota leg-genda, conosciuta attraverso Plinio, del pittore grecoZeusi che selezionò le parti migliori di cinque verginicrotonesi e le combinò nella bellezza ideale di Elena.

Con la raccomandazione di selezionare il meglio daaltri artisti, anziché dalla natura, venne introdotto alcentro della discussione la questione dello stile, poichéil problema era ora incentrato sull’unione di diversemaniere di diversi artisti. Questa teoria, applicata per laprima volta da Vasari a Raffaello, fu in voga durante iltardo xvi e il xvii secolo40; non prima del 18oo circa essavenne attribuita ai Caracci insieme all’etichetta dispre-giativa di «eclettismo»41. Lo stesso metodo che Vasariconsiderava come formativo per lo stile e accrescitivo diqualità appariva ora condurre a risultati completamen-te opposti.

Lo stigma di eclettismo, travisato a partire dal con-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 163

cetto vasariano di selezione, impedí ai moderni storicidell’arte di prendere sul serio Vasari. Fermi ai loro puntidi riferimento essi guardarono a Raffaello con la pre-messa che doveva essere possibile rintracciare una coe-renza strutturale all’interno dell’intera opera di un gran-de maestro, dai suoi primi lavori fino agli ultimi. Fu datotacitamente per scontato che questa Gestalt si dovessemanifestare quando l’artista matura e che essa riveli isuoi segreti se solo noi proviamo abbastanza intensa-mente ad interrogarla42.

Queste premesse metafisiche erano sconosciute aicritici antichi. Eppure esse prepararono il terreno a quel-lo che seguì. Fu durante il Rinascimento che per laprima volta venne afferrata la nozione di stile indivi-duale ed esso venne apprezzato nell’osservare un’opera(Aretino parla della serenità che proviamo quando ciponiamo di fronte alle qualità del divino Raffaello), cheil talento artistico venne per la prima volta guardatocome un dono di Dio e considerato un’elezione come laprimogenitura, e fu allora, in questo nuovo contesto, cheil mitico concetto del «grande artista nell’infanzia»diventò un requisito biografico.

Vasari non era né logico né affetto dal moderno psi-cologismo, egli era anche troppo pratico per lasciare chela mitica struttura offuscasse i fatti privati. Cosí egli cidescrive la strada del giovane Raffaello attraversare trestadi: primo, il superamento del padre da parte del bam-bino come una specie di preludio mitico alla sua straor-dinaria carriera; secondo, la fedele imitazione di Peru-gino; terzo, la critica selezione di elementi stilistici dal-l’arte dei grandi artisti suoi contemporanei. Il secondoe il terzo stadio di Vasari corrispondono a fatti concre-tamente visibili.

Per quanto possiamo verificare, il talento prodigiosodi Raffaello gli serví semplicemente per conformare alresto il suo primo periodo, fino all’età di ventuno anni.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 164

Se egli fosse nato nel 1503 il suo nome non sarebbesopravvissuto. Quando il destino lo portò a contatto coni giganti Leonardo e Michelangelo, egli rivelò un’abilitàfuori dal comune nell’assimilare le loro maniere in unbrevissimo arco di tempo. Michelangelo – che aveva unvero intuito – scrisse nel 1542: «Tutto ciò che Raffael-lo conobbe nella sua arte, lo ricevette da me»43 e, secon-do Condivi, Michelangelo ripeté piú di una volta cheRaffaello acquistò la sua arte non come dono naturale,ma come risultato di studi assidui44. Le implicazioni diquesto commento mi sembrano ovvie: Michelangelopensava che, quando il provinciale peruginesco Raffael-lo arrivò per la prima volta a Firenze, egli non possede-va quello che noi oggi chiameremmo uno stile persona-le. Solo allora, studi assidui fecero di lui quello che poidiventò.

Di certo, malgrado l’incredibile facilità con la qualeRaffaello dovette produrre le sue opere già fin da bam-bino, egli non fu un bambino prodigio come Mozart.Furono solo gli ultimi affollati dodici anni della brevevita di Raffaello che produssero un inaspettato com-pletamento, in un grado mai piú sperimentato da unartista.

1 Tutti i documenti sono pubblicati in Vincenzo Golzio, Raffaello,Città del Vaticano 1936, pp. 1 sgg. (d’ora in avanti riportati come inGolzio).

2 Completa pubblicazione dei documenti giudiziari in H. Grimm,«Jahrbuch der Preussischen Kunstammlungen», in (1882), pp. 161sgg. È stato piú volte ipotizzato, e a volte decisamente affermato (cfr.Golzio, p. 6) che «pro dicto Raphaele absente» significasse che Raf-faello avesse lasciato Urbino. Grimm replicò che una simile ipotesi erainammissibile.

3 Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori etc.,Firenze 1550, p. 636: «... Et facevasi aiutare da Raffaello, il quale,ancorché fanciuletto, lo faceva il piú et il meglio che e’ sapeva».

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 165

4 Vasari, ed. G. Milanesi, IV, p. 317: «Raffaello ancor fanciullo glifu di grande aiuto in molte opere che Giovanni fece nello stato d’Ur-bino».

5 La spositione di M. Simone Fornari da Rheggio sopra l’OrlandoFurioso di M. Ludovico Ariosto, Firenze 1549, pp. 513 sgg. (cfr. Gol-zio, p. 159). Fornari tralasciò tutti gli ornamenti aggiunti in seguito daVasari. Egli scrive: «Fu posto dal padre suo sotto la disciplina di Pie-tro Perugino: il quale in poco spatio di tempo Raphaello andò si beneimitando, che quasi nulla, o poca differenza era delle sue alle pitturedel suo maestro».

6 M. de Chantelou, Journal du vojage du Cav. Bernin en France (ed.Lalanne), Parigi 1885, al 6 ottobre 1665.

7 Golzio, p. 7.8 Per l’identificazione di questi frammenti e la ricostruzione della

pala vedi O. Fischel, in «Jahrb. d. Preuss. Kunstlg.», xxxiii (1912), pp.105 sgg., e xxxiv (1913), pp. 89 sgg; W. Schoene, in Festschrift für CarlGeorg Heise, Berlino 1950, pp. 113 sgg., e Raphael, Berlino e Darm-stadt 1958, p. 45, con una ricostruzione leggermente differente da quel-la data da Fischel.

9 A. Alipi, «Nuova Rivista Misena», aprile 1891, pp. 51-53; Lisade Schlegel in «Rivista d’Arte», xi (1911), pp. 72 sgg. Per ulteriorebibliografia, A. Venturi, Storia dell’arte italiana, VII, 2, pp. 188 sgg.

10 La ricostruzione della sua opera completa fatta da Venturi («L’Ar-te», xiv (1911), pp. 139 sgg. e Storia, loc. cit.) è stata generalmenterespinta.

11 «Kunstchronik», xx (19o8-9o9), pp. 45-50.12 Per esempio W. Bombe, in Repertorium für Kunstwissenschaft, iv

(1911), pp. 296 sg.13 O. Fischel, Raphael, Londra 1948, p. 20.14 1955, n. 65, pp. II sgg..15 Painting of the high Renaissance in Rome and Florence, Cambrid-

ge, (Mass.), 1961, p. 62.16 Golzio, p. 8.17 Cecil Gould, National Gallery Catalogues. The Sixteenth Century

Italian Schools, Londra 1962, pp. 158 sgg., con una bibliografia com-pleta.

18 F. Canuti, Il Perugino, Siena 1931, 1, pp. 148 sgg., 153 sgg.,sostiene che Evangelista di Pian di Meleto e Timoteo Viti aprirono unabottega in comune nel 1502. Se è vero, come potrebbe facilmente esse-re, ciò significa che dopo l’altare di San Nicola l’associazione tra Raf-faello ed Evangelista giunse al termine e, di conseguenza, che la vec-chia bottega di Giovanni Santi si sciolse.

19 Vasari-Milanesi, IV, pp. 318 sgg.20 Ibid., pp. 317 sgg.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 166

21 Questa datazione è stata universalmente accettata.22 L’Incoronazione mostra legami particolarmente stretti con l’A-

scensione di Cristo del Perugino (fig. 199) dipinta tra il 1496 e il 1498per San Pietro a Perugia (oggi al museo di Lione). La predella con laPresentazione al tempio di Raffaello non può essere dissociata da quel-la di Perugino per la pala di Santa Maria Nuova a Fano (1497). VediVenturi, Storia dell’Arte italiana, VII, 2, p. 784. È tuttavia possibile cheRaffaello abbia eseguito le tre scene della predella qualche tempo dopola pala.

23 Per l’itinerario di Perugino in questi anni vedi Canuti, II, pp. 21sgg. Bisogna anche tenere presente che a partire dall’ottobre 1502 efino ad almeno il 1503 Perugino fu a Firenze. Tra il 1504 e il 1505 eglifu nuovamente assente da Perugia per lunghi periodi. Canuti (i, pp. 153sgg.) sostiene, a mio avviso in modo inconcludente, che Perugino nonaprí una scuola prima del 1501. W. Bombe (Perugino, Klassiker derKunst, 1914, p. xxiv), seguendo il nostro stesso metodo, crede che Raf-faello si uní allo studio del Perugino poco prima del 1500, ma egli pensapoi che Raffaello vi rimase fino al 1504.

24 Golzio, pp. 8, ii. U. Gnoli, «Bollettino d’Arte» (1917), pp. 133 sgg.25 Venturi, Storia, ix, 2, p. 8. Cenuti, i, p. 136, è certo che il Cam-

bio fosse finito nel 1550. I documenti rimastici sono invece piuttostoambigui, essi menzionano, tra gli assistenti del Perugino, due garzoni,ma tacciono a proposito di Raffaello. U. Gnoli, Pietro Perugino, Spo-leto 1923, p. 35, sostiene assurda l’ipotesi di Venturi. Canuti (i, p. 140)prende una posizione analoga nei confronti di una possibile collabora-zione di Raffaello. Bombe, in Repertorium für Kunstwissenschaft, iv(1911), pp. 300 sgg., Fischel, Raphael, i, p. 21, e altri forniscono unalista personale delle collaborazioni di Raffaello alle opere di Perugino.

26 Devo comunque ammettere che la questione richiede un attentoriesame.

27 I grandi artisti particolarmente progressisti che Federigo da Mon-tefeltro chiamò alla sua corte – Giusto di Gand, Piero della Francesca,Mantegna e Melozzo da Forlí – vissero e lavorarono nell’atmosferararefatta del palazzo ducale. Per quanto ne sappiamo il piú modestoGiovanni Santi non beneficiò mai della committenza ducale. E cosíanche Guidobaldo, che successe al padre Federico nel 1489 all’età diquattordici anni e presto radunò presso la sua corte la migliore societàrinascimentale, non mostrò un particolare interesse per il giovane pro-digio urbinate prima che egli avesse raggiunto la fama.

28 O. Fischel, Raphaels Zeichnungen, Berlino 1913, nn. 5-10, 15-32,35, 36. La relazione tra i tre disegni e la Crocifissione della NationalGallery resta problematica (Vienna, Albertina, Fischel, iv, n. 185;Oxford, Ashmolean 509, Parker, Catalogue, 1956, ii, p. 259; Ottawa,National Gallery, A. E. Popham, Old Master Drawings, xiv, 1939-40,

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 167

pp. 50 sgg. Cfr. Cecil Gould, Catalogue, p. 158). La maggioranza deidisegni giovanili sono legati all’Incoronazione. Mentre i disegni a puntasecca mi sembrano sostenere la mia datazione precoce del dipinto, tregrandi disegni a carboncino (Fischel, Zeichnungen, nn. 23, 24, e A. E.Popham, Old Master Drawings, xii, 1937-38, p. 45) sembrerebbero diuno stile piú evoluto. Ma bisogna tenere presente che questi disegnifacevano parte di grandi cartoni e richiedevano una tecnica differenterispetto ai piccoli studi preparatori.

29 Lo stendardo per processione, malamente conservato, con la Tri-nità e la creazione di Eva a Città di Castello è solitamente datato al 1499,Fischel (Zeichnungen, n. 2, cfr. anche n. 11) ha messo in relazione adesso un disegno. Roberto Longhi («Paragone», vi [1955[, n. 65, p. 17)sostiene che lo stendardo non poté essere dipinto prima del 1503.

30 K. T. Parker, Catalogue of the Collection of Drawings in the Ash-molean Museum, Oxford 1956, ii, n. 515.

31 Philip Pouncey e J. A. Gere, Italian Drawings in the Departmentof Prints and Drawings. Raphael and his circle, Londra 1962, n. 1 recto.

32 Per i documenti cfr. Milanesi in Vasari, III, pp. 519 sgg. Doveviene fatto un confronto tra le affermazioni contraddittorie di Vasarinella prima e nella seconda edizione. Il contratto di Pinturicchio dataal 29 giugno del 1502. L’esecuzione degli affreschi cominciò all’incir-ca un anno dopo, ma fu presto interrotta. I lavori furono ripresi pro-babilmente alla fine del 1504. È possibile che Raffaello giungesse aSiena in questo secondo momento ed eseguisse «alcuni disegni e car-toni» come specifica Vasari nella sua seconda edizione.

33 Oggi generalmente accettata, cfr. Golzio, pp. 9 sgg. Ma si veda-no anche i dubbi espressi da Vilhelm. Wanscher nel suo strano libroRaffaello Santi, Londra 1926, p. 146.

34 Datato da autori piú recenti al 15o6 piuttosto che 1505, cosa chemi sembra priva di obiezioni.

35 Ho trattato questo problema in «Journal of the History of Ideas»,xxii (1961), p. 300.

36 Cennino Cennini, Trattato della Pittura, ed. Daniel V. Thompsonjr, Yale University Press 1933, pp. 2 sgg., 15.

37 Die klassische Kunst, Monaco 1912, pp. 74 sgg. (prima ed. 1898).38 Raffaello Borghini, Il Riposo, Firenze 1584, p. 385. Cfr. Golzio,

p. 265.39 Vasari, nella Vita di Raffaello: Raffaello «fece di molte maniere

una sola che fu poi sempre tenuta sua propria»; e nel proemio alla terzaparte della sua opera: Raffaello «studiando le fatiche de’ maestri vec-chi e quelle de’ moderni, prese da tutti il meglio». Cfr. Golzio, pp. 227,235.

40 Per quanto ho potuto constatare esso appare per la prima voltain Paolo Pino, Dialogo della Pittura, Venezia 1548 (ed. Barocchi, Trat-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 168

tati d’arte del cinquecento, Bari 196o, I, p. 127). Pino dice che se il talen-to di Tiziano e quello di Michelangelo fossero apparsi in una sola per-sona, questa sarebbe stata «il dio della pittura». Cfr. anche Schlosser,Die Kunstliteratur, Vienna 1924, pp. 210 sgg.; Antony Blunt, ArtisticTheory in Italy, Oxford 1940, p. 85; Denis Mahon, Studies in SeicentoArt and Theory, London 1947, p. 137.

41 Cfr. Mahon, pp. 212 sgg.42 Cfr. soprattutto Theodor Hetzer, Gedanken um Raffaels Form,

Frankfurt 1932, particolarmente pp. 18 sgg.43 Lettera dell’ottobre 1542 (Golzio, p. 289). In questa lettera

Michelangelo sosteneva che sia Raffaello che Bramante lo invidiavanoa tal punto che avevano tentato di condurlo alla rovina. Ad ogni modoMichelangelo non era un uomo da lasciare che il proprio giudizio venis-se influenzato da rivendicazioni personali.

44 Ascanio Condivi, Vita di Michelangelo Buonarroti, Roma 1553;cfr. Golzio, p. 294: «gli [Michelangelo] ho sentito dire che Raffaellonon hebbe quest’arte da natura ma per lungo studio».

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 169

Capitolo ottavo

Giorgione e l’Arcadia

Quando ci si rivolge alla letteratura su Giorgione siincontra la parola «mistero» con una monotonia per lomeno annoiante. Non voglio costituire un’eccezione allaregola e vorrei cominciare invece con un mistero delmisterioso Giorgione, un mistero che è, comunque, cosíovvio da essere stato discusso raramente.

Credo che sia generalmente stabilito che il grossodell’opera dei grandi maestri è ormai ben definita, inquanto il loro modo di percezione è assolutamenteunico.

Dubbi di attribuzione riguardano soltanto le lorocreazioni marginali, mai quelle principali. Questo rima-ne un fatto tacitamente e generalmente accettato comesintomatico di una vera grandezza. Raffaello, Miche-langelo, Tiziano, Poussin, Rembrandt, Watteau e moltialtri provano questo argomento. I problemi di attribu-zione aumentano in proporzione alla limitazione deltalento. Per quello che ho potuto notare, Giorgione èl’unica eccezione.

Gli specialisti di Giorgione si dividono in due cate-gorie tra di loro ostili: quelli che io chiamerei i «pan-giorgionisti» attribuiscono un grande numero di dipintial maestro, mentre i loro oppositori, i «contrazionisti»,limitano la sua opera ad un ristretto numero di quadri.

Comunque, ad eccezione di due opere – la Vergine esanti, ancora nella cattedrale della città natale di Gior-

Storia dell’arte Einaudi 170

gione (Castelfranco) e la Tempesta, all’Accademia diVenezia, non c’è concordia neanche tra i «contrazioni-sti». Dubbi sono stati sollevati anche a proposito dei Trefilosofi di Vienna, e la paternità di dipinti cosí eccezio-nalmente belli come l’Adorazione Allendale (oggi allaNational Gallery di Washington), la Giuditta di Lenin-grado, l’Autoritratto di Brunswich, la Venere di Dresda eil Concerto campestre del Louvre è stata trasferita da unartista all’altro secondo le preferenze dei vari critici.

Di solito, una simile discordia tra gli esperti indi-cherebbe che abbiamo a che fare con una debole perso-nalità artistica. Invece (e questo è il mistero al quale allu-devo) si tratta del caso contrario. Malgrado i problemidovuti alla maggior parte di queste opere, Giorgione fusempre unanimemente acclamato come uno dei piú gran-di maestri italiani di tutti i tempi, e tutti i critici sonosempre stati concordi nel legare al suo nome una certaqualità distintiva e inconfondibile.

Fu proprio l’originalità dell’arte di Giorgione a cat-turare l’immaginazione di tanti artisti che lavorarononella sua orbita, a tal punto che i loro dipinti appaionospesso come meri prolungamenti dei suoi. Essi sacrifi-carono la loro individualità al fascino del suo pennello.È per questa ragione che le opere autentiche di Gior-gione rimarranno sempre problematiche e non occorreche io prenda in questa occasione una posizione critica.Se il problema mi è chiaro, tutti i dipinti giorgioneschi– originali, attribuzioni, copie da opere perdute, imita-zioni e dipinti di seguaci e allievi – hanno, ai fini dellamia indagine particolare, quasi lo stesso valore.

Il primo punto deve essere chiaramente quello di cer-care e definire il carattere peculiare dell’arte di Gior-gione.

L’aspetto tecnico della questione non offre difficoltà.In questo caso infatti la concordia è unanime, malgradola diversa terminologia usata dai critici antichi e recen-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 171

ti. Se Vasari, nel xvi secolo, parla di morbidezza ottenutadipingendo direttamente con il pennello, senza disegnipreparatori, e dello sfumato delle sue ombreggiature, seRidolfi, biografo seicentesco dell’artista veneziano, lodala grazia e la tenerezza dei suoi colori, e Boschini, criti-co veneziano del xvii secolo, «l’impasto del suo morbi-do pennello» e «l’ombreggiatura dei contorni – cosí chegradualmente gli oggetti naturali diventano splendente-mente veri» – essi descrivono un fenomeno che unmoderno storico dell’arte, Giuseppe Fiocco, ha cosíespresso: «il nome di Giorgione significa assoluta padro-nanza del colore come mezzo autonomo di espressione;il che significa pittura pura».

In altre parole, tutti concordano nell’asserire cheGiorgione scoprí una nuova dimensione attraverso ilsuo uso del colore (e, implicitamente, della luce) e cheegli fu, in un certo senso, il primo artista moderno. Piúdi sessanta anni fa Lionello Venturi sottolineò intelli-gentemente che dopo Giorgione la subordinazione delcolore ai valori tonali divenne patrimonio della pitturaeuropea.

Meno unanimi sono le opinioni riguardo agli effetti,il risultato artistico prodotto, o – se volete – lo spiritorivelato dal nuovo trattamento pittorico di Giorgione.È utile considerare per un momento come il xvi e il xviisecolo interpretarono questa rivoluzione. Secondo Vasa-ri, lo scopo dell’innovazione di Giorgione era «di pro-gredire nella resa degli oggetti naturali e viventi e diritrarli al meglio con a colore». Poiché Vasari avevafatto dell’antica nozione secondo cui l’arte concerne l’i-mitazione della natura il punto centrale della propriateoria dell’arte, egli considerò l’opera di Giorgione comeun momento brillante sulla strada della realizzazione diquesto concetto.

Seguendo Vasari, i critici seicenteschi dichiararono lamimesis, l’imitazione fedele della natura, quale il prin-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 172

cipale scopo dell’arte e di conseguenza anch’essi affron-tarono l’arte di Giorgione da questo punto di vista.

Cosí Ridolfi scriveva nel 1648: «Certamente Gior-gione fu il primo a mostrare il giusto corso della pittu-ra, perché la sua pittura giunge con facilità a rappre-sentare gli oggetti naturali». Boschini espresse la stessaidea due volte, assertivamente, la prima volta nellafamosa Carta del navigar pittoresco del 166o, dove eglidice che quando Giorgione cominciò la sua opera:

Egli colmò di ammirazione tutti i cuoria tal punto sembrava viva la Natura nella sua arte.

Quattro anni dopo egli elaborò la stessa teoria nelleRicche miniere della pittura veneziana, ove dichiara chela maniera facile e pastosa di Giorgione deve essere con-siderata come vera natura piuttosto che finzione pitto-rica. Egli conclude con un tipico gioco di parole seicen-tesco: Giorgione, egli dice, «diede vita ad una armoniacosí piena di grazia e realistica, che non si riesce a rico-noscere se la natura sia pittura o la pittura natura».

La considerazione della maestria di Giorgione neiconfronti della natura, per mezzo dei suoi trionfi cro-matici, persistette fino al xviii secolo. Tutti questi scrit-tori guardarono al colorismo di Giorgione come ad unespediente con il quale ottenere la verosimiglianza in pit-tura.

Oggi il concetto di mimesis come il vero fine dell’ar-te trova sostenitori solo tra le persone di bassa o mediacultura. Nessun critico moderno vorrebbe o avrebbe ilcoraggio di erigersi a difesa della mimesis e di conse-guenza l’arte di Gorgione non è mai stata considerata,ai nostri giorni, sotto questa luce. Ancora una volta,comunque, i moderni critici e storici sembrano esserecompletamente d’accordo tra loro. Il vocabolario da essiusato per caratterizzare l’arte di Giorgione è pieno di

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 173

parole simili quali «lirico», «idillico», «unione tra l’uo-mo e la natura», «musica», «Virgilio», «l’Arcadia» ecosí via. Nessuno di questi epiteti compare negli scrittidi autori contemporanei a Giorgione. I due diversi puntidi vista non possono essere egualmente del tutto esatti.Sia il concetto di mimesis dei critici antichi che quellodi poesia pastorale degli scrittori moderni non afferra-no le intenzioni del maestro.

Sfortunatamente non ci rimane nessuna osservazio-ne diretta di Giorgione stesso, o di uno dei suoi con-temporanei, in grado di offrirci un indizio sicuro. Si puòcomunque tentare di indagare quali fossero i suoi inten-ti e quali le aspettative dei suoi committenti.

A tal fine dobbiamo dare un’occhiata piú attenta allagenealogia della moderna interpretazione di Giorgione.Credo che fu il veneziano Antonio Maria Zanetti cheper primo, nella sua opera accurata sulla pittura vene-ziana del 1771 (Della pittura veneziana), disse che unadelle caratteristiche di Giorgione era di avere «aggiun-to ad una solida competenza il libero gioco della fanta-sia e dell’immaginazione». Il concetto di autonomia del-l’immaginazione è tipico della seconda metà del xviiisecolo. In seguito esso divenne parte integrante del voca-bolario romantico e da qui passò alla moderna criticad’arte. Cosí Lionello Venturi, nel suo libro fondamen-tale su Giorgione, pubblicato nel 1913, e altri dopo dilui, parlarono delle briglie sciolte che l’artista diede allasua immaginazione.

L’art pour l’art, movimento del xix secolo, modificòin modo indicativo l’immagine romantica di Giorgione.Una delle principali guide del movimento, Walter Pater,in un suo famoso articolo su Giorgione pubblicato nel1873, formulò il principio: «l’arte aspira costantemen-te verso la condizione della musica» e spiegò che il casodi Giorgione «è tipico di questa aspirazione di tutte learti verso la musica – verso la perfetta identificazione

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 174

di materia e forma». Cosí Pater fu il responsabile del-l’alleanza tra Giorgione e la musica, e questa «alleanza»rimase da allora in poi un assioma indiscutibile per glistudiosi dell’artista. Inoltre, la metafora musicale neidipinti di Giorgione venne illogicamente legata all’os-servazione di Vasari che il pittore era estremamenteappassionato di musica.

Pater considerava l’arte come pura forma senza ulte-riori propositi e i dipinti di Giorgione gli apparivano«brani di realtà, conversazione, o musica, o gioco, maperfezionati e idealizzati, fino a sembrare quasi unosguardo da lontano sulla vita». Con queste sentenzePater rievoca l’idea romantica dell’arte senza significa-ti, arcadica o paradisiaca. In questi stessi anni Crowe eCavalcaselle parlarono del carattere calmante dei pae-saggi di Giorgione e Morelli Lermolieff notava che «ilsuo genio originale e immensamente poetico emana unaluce cosí pura... ci parla con tale forza e convinzione, chenessuno che l’abbia afferrato una volta potrà mai dimen-ticarlo».

A questo punto dobbiamo domandarci se il modomoderno di guardare ai dipinti di Giorgione e la nostrareazione spontanea ad essi (che poi non è cosí sponta-nea in quanto deriva, come abbiamo visto, dalla ideeromantiche e della fine del xix secolo) giungano finoall’essenza dell’arte del maestro. Per rispondere a que-sta domanda voglio per prima cosa chiamare, come diret-to testimone, il nobile veneziano umanista MarcantonioMichiel, che, poco dopo la morte di Giorgione, scrisseun commentario sulle collezioni d’arte a Venezia e nellaterra ferma. Queste rinomate annotazioni sono di gran-de interesse e fondamentali per la nostra conoscenza del-l’artista. Le descrizioni di Michiel, sebbene concise,indicano sufficientemente che cosa doveva apparirenuovo e attraente al tempo, nelle opere del maestro. Eglidescrive I tre filosofi come: «la tela ad olio, rappresen-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 175

tante tre filosofi in un paesaggio, due di essi in piedi,mentre l’altro seduto che guarda in alto verso la luce,con una roccia splendidamente imitata». La Venere diDresda, allora in casa di messer Jeronimo Marcello, èdescritta come «la tela rappresentante Venere, nuda,dormiente in un paesaggio», e La tempesta come «il pic-colo paesaggio su tela, rappresentante un tempo tempe-stoso e una zingara con un soldato». Malgrado la lorobrevità queste note indicano che l’abilità di Giorgionenel rappresentare la natura e le figure in esse immerseconquistò l’attenzione dei suoi contemporanei. Ciò èconfermato dal fatto che molti pittori piú o meno famo-si, adottarono presto – come avevo accennato – non solola tecnica artistica del maestro, ma anche il suo modo diimpregnare il paesaggio e le figure di uno spirito di tran-quillità.

Quest’ultima osservazione mi spinge a una conside-razione generale. Tutti gli osservatori moderni hannoavuto una simile reazione di fronte al linguaggio di Gior-gione (e ora possiamo dire che fu cosí, fino ad un certopunto, anche per i suoi contemporanei) perché essi sitrovavano di fronte ad un fenomeno che ha, io credo,una base psicologica di universale validità. Le formeondeggianti delle opere di Giorgione, i soffici e caldivalori tonali, il ritmo dolce e delicatamente cadenzato,quell’umore malinconico che pervade le figure e il pae-saggio concorrono a produrre l’impressione di un mondoideale e poetico, sereno e completamente riappacificato.

A mio avviso non ci sono dubbi che gli scrittori delxvi e xvii secolo fossero incapaci di esprimere questonuovo fenomeno senza il ricorso alle tradizionali cate-gorie della teoria dell’arte. Solo dopo l’esaurimento diquesti concetti, alla fine del xviii secolo, il fenomenoGiorgione potrà essere affrontato con una mente aper-ta e nuova. D’altra parte ci sono buone ragioni per cre-dere che il pubblico veneziano fosse piú libero da pre-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 176

giudizi e capace di comprendere rispetto ai critici, chiu-si nella loro teoria.

Possiamo concludere che furono gli scrittori delperiodo romantico e del xix secolo che aprirono la viaad un’interpretazione dell’arte di Giorgione compatibi-le con la concreta evidenza visiva. Allo stesso tempo essiintrodussero il concetto problematico della libertà del-l’immaginazione artistica, o piuttosto dell’immagina-zione che libera se stessa dalle catene della tradizione edalla schiavitú alla forma artistica narrativa ed allegori-ca. Ad essi sembrò paradossale che sogni, fantasie emusica dipinta potessero collegarsi a temi tradizionali,ad un’attitudine intellettuale o a un programma presta-bilito. Cosí il xix secolo diede vita a un’immagine diGiorgione che rifletteva l’ideale dell’art pour l’art.

Fu questa la posizione da cui partirono i moderni sto-rici dell’arte, e da qui essi svilupparono tre diverse ten-denze critiche. Alcuni accettarono senza riserve l’im-magine dell’artista propria del xix secolo. Per provarequesto fatto riporterò un brano da un recente saggio suGiorgione pubblicato da Piero Fossi nel 1957. «Gior-gione», dice l’autore, «si allontanò dalla storia e dallasocietà, la sua arte nasce dalla contemplazione... dal-l’armonia dell’universo dove il mondo degli uomini èallontanato e reso libero dalla schiavitú dei rapportisociali, dalle vicissitudini delle passioni e degli interes-si... per ritirarsi in una pacifica solitudine e vivere inarmonia con l’armonia dell’universo. È come un nuovoEden... dove tutti vivono l’amore e l’amore è libero dalpeccato».

Un altro gruppo di studiosi si ribellò a questo approc-cio astorico e giunse all’estremo opposto. Essi conside-rarono Giorgione come un artista intellettuale mosso dapensieri complicati. Il nome del tedesco Gustav Har-tlaub merita una menzione particolare in questo conte-sto. Egli suggerí che Giorgione appartenesse ad un grup-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 177

po di umanisti (un’ipotesi non provata) e fosse interes-sato soprattutto a rappresentare soggetti esoterici dinatura ermetico-alchemica. Rifiutando la teoria di Har-tlaub, lo storico italiano Ferriguto tentò di provare chel’artista, tipico rappresentante delle tendenze filosofichee letterarie del suo tempo, si impegnò ad illustrare le teo-rie intellettuali correnti. Ma, aggiunge un altro italiano,Stefanoni, che per altro concorda ampiamente con Fer-riguto, Giorgione non rilevò né esplorò questi concettinel loro senso astratto, scientifico-dottrinario, egli piut-tosto li investí di un carattere illustrativo-didattico.

Questi studiosi videro l’essenza di Giorgione nel segre-to messaggio intellettuale che, secondo loro, egli cercò ditrasmettere. Siamo agli antipodi dell’interpretazione datadall’art pour l’art. Qualunque sia il merito di questi studi,Ferriguto in particolare ricostruí con grande acutezza ilcircolo dei committenti dell’artista, tra i quali erano uma-nisti, filosofi, scrittori e nobili come Domenico Grimani,Geronimo Marcello, Gabriele Vendramin e probabil-mente anche Marcantonio Michiel, Aldo Manuzio e,soprattutto, il poeta Pietro Bembo.

Un terzo gruppo di storici dell’arte, pur essendo ingran parte debitori a questi studi, presero una posizio-ne, per cosí dire, intermedia tra le due precedenti. Essisottolinearono l’autonomia dell’arte di Giorgione senzadissociarla dall’ambiente intellettuale veneziano. Moras-si, per esempio, dopo aver discusso lo sviluppo dellanuova musica melodica a Venezia, sintetizzò in modoacuto che «l’insieme di questi risultati veneziani, sia nelcampo delle arti visive che musicali, erano fili delicatiche costituivano la trama del bagaglio culturale dal qualel’artista poté sviluppare la magia del suo colore». E inseguito: «la compagnia di uomini quali Almoro Barba-ro, Gerolamo Donato e Giovanni Badoer, tutti eruditinella filosofia e negli studi classici, dovevano infiammarel’immaginazione di un artista come Giorgione».

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 178

È piú che probabile che i committenti di Giorgio-ne, essendo istruiti umanisti, si aspettassero da lui qua-dri che essi potessero comprendere e in sintonia con iloro stessi interessi. È piú che una semplice ipotesi ilfatto che Giorgione frequentasse la corte dell’affasci-nante Caterina Cornaro, regina di Cipro, che risiede-va ad Asolo, vicino a Venezia. Qui, in questo centrodel moderno movimento letterario, Pietro Bembo com-pose gli Asolani, un libro sul potere dell’amore, attra-verso cui

... con l’originaria bellezza si rinnovil’età dell’oro, l’antica beatitudine.

Si tratta di un sentimento caratteristico della nuovapoesia pastorale. E da qui nacque la convinzione espres-sa dai moderni studiosi, che io sto cercando di analiz-zare, secondo cui i dipinti arcadici di Giorgione nonsono – come volevano gli scrittori dell’Ottocento – vei-coli di vaghe, indistinte e generiche idee sull’armoniadell’universo, ma concrete espressioni del movimentopastorale della letteratura italiana.

Cosí, piú di quattrocento anni dopo la morte dell’ar-tista, è stata aperta la via alla comprensione del veroGiorgione, mettendo da parte errori e pregiudizi. Que-sto rimane, io credo, un fatto innegabile, tuttavia restaancora da definire la specifica posizione di Giorgioneall’interno del movimento arcadico.

Il medioevo ereditò un’antica teoria della storia, chevenne riconciliata con le storie bibliche del Paradiso edella caduta dell’uomo. Questa idea della storia, conce-pita per la prima volta dai babilonesi e splendidamenteformulata in età greca da Esiodo, nelle Opere e i giorni,vedeva lo sviluppo del genere umano come una pro-gressiva degenerazione attraverso quattro età. Ma ilmedioevo e persino il Rinascimento accolsero come

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 179

sacrosanta verità soprattutto la classica esposizione diquesto tema compiuta da Ovidio.

Cosí, nel commento alle Metamorfosi dell’edizioneveneziana del 1552 si legge che l’età dell’oro durò daAdamo a Noè, l’età dell’argento da Noè ad Abramo,l’età del bronzo da Abramo alla nascita di Cristo, e l’ul-tima, l’età del ferro, dalla nascita di Cristo ai tempi pre-senti.

Questo tema ovidiano pervase l’intera iconografiapittorica del Rinascimento e continuò anche in seguito.Sebbene essenzialmente pessimistico, il concetto dellequattro età conteneva la promessa messianica di unnuovo stato di innocenza, di felicità universale e retti-tudine, poiché la nuova era veniva profetizzata nel Librodi Daniele, nell’apocrifo quarto Libro di Esdra e in altripassi della Bibbia, come nella Quarta Egloga di Virgilio,opera che esercitò un’immensa influenza durante ilmedioevo e il Rinascimento.

La maggior parte dei dipinti rimastici, rappresentan-ti le quattro età, vanno considerati come illustrazioni deltesto di Ovidio, anche se delle intere serie di quattrosolo l’età dell’oro è stata scelta per essere raffigurata.Ciò non è insolito, infatti l’età dell’oro denota solita-mente allo stesso tempo l’alba del genere umano e la spe-ranza della beatitudine futura.

In contrasto con questa tendenza, che contiene sem-pre un elemento didattico, ne esiste un’altra che con-duce a Giorgione. Il concetto rinascimentale di unanuova età dell’oro può essere separata dalle sue originireligiose e messianiche e legata invece all’utopia pasto-rale dell’antichità. Non dobbiamo dimenticare che ilgenere bucolico fiorí nel iii secolo a. C. con la poesia diTeocrito, che Teocrito fu molto ammirato nel Rinasci-mento e che una delle prime edizioni delle sue operevenne pubblicata a Venezia nel 1495 da Aldo Manuzio,il quale (come ho già accennato) fu probabilmente uno

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 180

dei protettori di Giorgione. Oltre a ciò le Egloghe di Vir-gilio, basate su Teocrito, erano da sempre conosciute evenerate, persino durante il medioevo, quando eserci-tarono una grande influenza sulla poesia allegorica pasto-rale. Virgilio fu il primo a collocare il regno della feli-cità pastorale in Arcadia, un’aspra e montagnosa pro-vincia della Grecia, mentre Ovidio, nei Fasti, identificòla vita in Arcadia con l’età dell’oro.

Questo insieme di idee poetiche affascinò studiosi escrittori del Rinascimento e preparò la strada per larinascita della letteratura bucolica. L’Arcadia del San-nazzaro, scritta intorno al 148o ma pubblicata solo agliinizi del Cinquecento, provocò una vera e propria inon-dazione di poesia bucolica, e poeti famosi, dal Boiardoal Tasso al Molza contribuirono al nuovo genere. Lamoda si propagò dall’Italia agli altri paesi europei dovefu accettata con grande entusiasmo.

Già Sannazzaro fece uso di tutti i motivi caratteristicidella poesia bucolica: sincero amore per la semplicità eper la schietta vita rurale, ritiro dall’intellettualismosuperficiale della città, una vaga nostalgia, una profon-da ed inesplicabile brama, un’atmosfera malinconica –pene di amore e morte presenti anche in Arcadia.

Il primo a tradurre in realtà il sogno bucolico fuLorenzo il Magnifico nella sua villa di Careggi vicino aFirenze. Poliziano nelle sue canzoni collegò la villaall’Arcadia e il gruppo di amici che vi si riunivano aipastori arcadici. Questo era l’ambiente per cui Signo-relli eseguí il famoso dipinto (distrutto durante l’ulti-ma guerra) con Pan in trono come sovrano dell’Arcadiae dio degli armenti, delle ninfe, dei fauni dei satiri e deipastori. Non intendo unirmi ai già numerosi tentativifatti per interpretare questo emblematico capolavoro;vorrei solo dirigere l’attenzione sulla pacifica atmosfe-ra di sogni malinconici – consoni allo stato d’animoarcadico – che pervadono quest’opera. Sembra quasi di

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 181

sentire il suono avvolgente dei flauti riempire l’aria diuna musica elegiaca.

È importante realizzare che lo spirito bucolico è inquesto caso comunicato essenzialmente per mezzo difigure umane. Il paesaggio arcadico, descritto nella poe-sia bucolica, è assente. Provvedere a questo fu il massi-mo contributo di Giorgione. E non si trattava di uncompito facile. La letteratura rinascimentale potevaricorrere a modelli della poesia classica, ma non rima-nevano rappresentazioni pittoriche atte a mostrare comegli antichi immaginavano il regno di Pan.

Secondo una prospettiva storica appare inevitabileche questo passo straordinario verso la traduzione del-l’atmosfera rurale della poesia bucolica all’interno diforme visive fosse compiuto a Venezia. Venezia – luogodi origine di strane visioni come il Sogno di Polifilo e dipaesaggi cosí intensi come quelli dipinti nella cerchia diGiovanni Bellini, luogo di nascita di uno spirito artisti-co piú libero, piú spontaneo e meno intellettuale di quel-lo di Firenze (e che intorno alla metà del Cinquecentoprodusse la critica sensuale ed intuitiva di un indivi-dualista quale Aretino) – era l’unico luogo in cui potes-se originarsi l’arte arcadica di Giorgione.

L’atmosfera bucolica, suggerita da uno stile universal-mente comprensibile, doveva essere espressa attraversotemi arcadici graditi ai clienti ed ai committenti. Bisognanotare che la maggior parte dei dipinti giorgioneschi pre-sentano poche difficoltà di lettura. Giorgione ed i suoiseguaci scelsero soggetti facilmente comprensibili, fattoche si tende a trascurare in favore di poche opere emble-matiche. Si dà il caso che tre o quattro dei dipinti piúimportanti (La tempesta, I tre filosofi, il Concerto campe-stre del Louvre e la Venere di Dresda) presentano ancorainnumerevoli problemi di interpretazione.

Un accenno al modo con cui Giorgione trattò i temireligiosi potrà forse aiutarci a comprendere anche il suo

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 182

approccio ai soggetti profani. Dipinti come la Madonnadi Castelfranco, la Giuditta di Leningrado e L’Adora-zione dei pastori di Washinghton sono, da un punto divista iconografico, perfettamente comprensibili, anchese sono dipinti con uno stile nuovo e personale e sebbenemostrino un nuovo tipo di paesaggio idillico. Solo uno,tra i suoi dipinti religiosi, ha creato perplessità negliosservatori: il dipinto degli Uffizi rappresentante Mosèbambino a cui vengono offerti un piatto con dei gioiel-li ed un braciere, e la sua scelta di quest’ultimo. Questostrano soggetto illustra un passaggio del Talmud, maappare anche nella Historia Scholastica di Piero Come-store, la piú famosa storia ecclesiastica del tempo, digrandissima diffusione e con nuove edizioni annuali trail 1473 ed il 1526. Cosí quello che oggi ci colpisce comestrano, era del tutto familiare all’istruita società rina-scimentale.

Analogamente i dipinti bucolici di Giorgione illu-strano soggetti scelti da Ovidio, Virgilio, Plutarco e daaltri scrittori classici, tutti ben conosciuti ad un vastopubblico e fonte d’ispirazione per gli artisti lungo tuttol’arco del Rinascimento. Troviamo soggetti familiaricome Leda e il cigno (Padova), Venere e Cupido (Washin-ghton), Apollo e Dafne (certamente un lavoro di botte-ga, Venezia, Seminario arcivescovile), il Ritrovamento diRomolo e Remo (Francoforte), il Ratto di Europa (per-duto ma conosciuto attraverso un’incisione di Teniers),ed il Giudizio di Paride (conosciuto attraverso copie). Aquesti vorrei aggiungere la piccola tela di Princeton rap-presentante Paride abbandonato sul Monte Ida (oggi con-siderata comunemente un originale) e il Ritrovamento diParide (conosciuto solo attraverso copie). Questi ultimidue rappresentano soggetti meno comuni, ma la lorofonte sono le Favole di Igino, ampiamente lette duran-te il medioevo e il Rinascimento.

In tutti questi casi il tema mitologico ci riporta ad un

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 183

mondo in cantato, quando gli dei e gli eroi di un remo-to passato erano abitanti di questa terra, e abbiamomotivo di credere che i conoscitori veneziani non ricer-cavano in queste pitture nessun significato nascosto mane godevano il chiaro e diretto messaggio. Siamo moltolontani (come disse una volta Giuseppe Fiocco) dal-l’ambito della tradizionale allegoria rinascimentale.

A supporto della mia interpretazione vorrei sottoli-neare il fatto che contemporaneamente la poesia pasto-rale veniva illustrata anche nel circolo di Giorgione, eciò accadeva probabilmente con piú frequenza di quan-to sappiamo oggi. Come esempio riporto i quattro pic-coli pannelli della National Gallery di Londra, un tempopubblicati come di Giorgione, ma ora attribuiti piú con-vincentemente a Previtale. Il significato del tema diquesti dipinti sembrò stranamente insolubile, prima cheGombrich scoprisse che essi erano fedeli illustrazionidella seconda Egloga del poeta ferrarese Tebaldeo, pub-blicata a Venezia nel 1502 (come parte dei suoi Poemivolgari). Il poema bucolico di Tebaldeo era immensa-mente popolare e veniva cantato ovunque e da chiun-que; questi quadretti, ben lontani dal rappresentare unenigma, erano capiti ed apprezzati da molte persone aduna prima occhiata.

Esiste anche un certo numero di mezze figure, dipin-te da Giorgione e dai suoi imitatori che, per cosí dire,raffigurano gli abitanti del mondo arcadico, come ilPastore con flauto di Hampton Court e Napoli e il Can-tante e il musicista della Borghese.

Sulla base di tutto questo materiale possiamo con-cludere che Giorgione, da vero artista quale era, tentòdi resuscitare, con mezzi puramente visivi, i vari aspet-ti del mondo arcadico, quel mondo di suprema felicitàtinta di tristezza, sognato da poeti e filosofi, dal nobilee dall’uomo comune del Rinascimento. Era il sognomalinconico dell’utopia moderna, che ha sempre osses-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 184

sionato gli uomini affollati nelle grandi città; un sognomalinconico perché ruota attorno all’ideale irraggiungi-bile di una primitiva felicità; un’utopia mondana perchépromette la pace dell’anima in questo mondo piuttostoche nella vita futura.

In ciò risiede l’immediato trionfo di Giorgione: ilnuovo Eden, che egli dipinse con il suo pennello, era incompleto accordo con lo spirito del suo tempo, ma eglifu capace di dare espressione visiva alla vaga bramosiadei suoi concittadini. E fu proprio il carattere monda-no dei suoi dipinti che gli assicurò un successo duratu-ro. Il vero successore di Giorgione fu Claude Lorraineche, con i suoi paesaggi bucolici popolati dagli dei e daglieroi dell’antichità, lusinga lo spettatore con la comple-ta pace dell’età dell’oro di Virgilio. Lo spirito di Clau-de e, attraverso di lui, di Giorgione, trovò un’inaspet-tata realizzazione nel giardino inglese del xviii secolo.

Nel 1712 all’inizio di questo movimento Addisonscrisse: «Dovete sapere che considero il piacere che cideriva da un giardino come uno dei piú innocenti pia-ceri della vita umana... È naturalmente atto a riempi-re la mente di calma e tranquillità... e suggerisce innu-merevoli soggetti di meditazione». Questo stato d’a-nimo, io credo, è lo stesso che Giorgione e i suoi segua-ci cercarono di esprimere nei loro dipinti, e che gliumanisti committenti chiedevano a Giorgione di ren-dere tangibile.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 185

Capitolo nono

I Sacri Monti delle Alpi italiane

Nella seconda metà del Quattrocento due giovanimilanesi di nobile famiglia entrarono nell’ordine fran-cescano dei frati minori: Bartolomeo Caimi, autore di uncerto numero di libri teologici eruditi, un uomo dottoche non lasciò mai il suo paese nativo, e un suo paren-te, o forse fratello, Bernardino, grande viaggiatore, unuomo d’azione e predicatore. I vecchi dizionari di soli-to dedicano più spazio alle imprese di Bartolomeo che aquelle del suo parente. Tuttavia la vita di Bernardino fuestremamente piú vivace, e mentre i libri di Bartolomeogiacciono non letti negli scaffali delle antiche bibliote-che, il risultato tangibile dell’energia, dell’entusiasmo edella capacità di persuasione di Bernardino incanta anco-ra un gran numero di fedeli. Fu lui che inaugurò unadelle imprese piú straordinarie nella storia della devo-zione cattolica e dell’arte religiosa, un’impresa rara-mente eguagliata nel suo efficace appellarsi all’immagi-nazione popolare e, ancora fino ad oggi, nel suo respin-gere i viaggiatori piú sofisticati o eruditi.

Fra’ Bernardino nacque intorno alla metà del Quat-trocento e morí nel 1509, secondo l’iscrizione conser-vata sulla sua tomba. Nel 1477 venne nominato guar-diano del Santo Sepolcro a Gerusalemme, un compitotradizionalmente svolto dai francescani. Al suo ritornoin Italia, nel 1478, egli cominciò ad elaborare un gran-dioso progetto. Durante il suo soggiorno in Palestina

Storia dell’arte Einaudi 186

aveva assistito all’incremento del potere dei Turchi. Ilcommercio dell’Occidente verso est stava rapidamenteesaurendosi e il pellegrinaggio in Terra Santa stavadiventando sempre piú rischioso. In Europa il fervorereligioso popolare era aumentato, incoraggiato sia daifrancescani che dalle piú recenti fondazioni come i fra-telli Windesheim della Vita Comune. Contemporanea-mente, il crescente sommovimento causato da vari movi-menti eretici evocava presagi dell’arrivo di piú graviproblemi. Fu in questo momento di ardore e di cre-scente pericolo che l’idea di Bernardino trovò una rispo-sta immediata: egli suggerí niente di meno che di por-tare il Monte Sion direttamente alla gente in Europa edi mettere la Terra Santa alla portata di tutti i fedeli, elí adorarla in pace e sicurezza.

In poco piú di due anni i progetti di Bernardino inco-minciarono a prendere forma. Egli trovò il luogo adat-to, ottenne i necessari aiuti finanziari, e finalmente, nel1481, fu concessa l’autorizzazione papale per portare acompimento la sua impresa grandiosa. La sua nuovaGerusalemme sarebbe sorta vicino a Varallo in Lom-bardia, ai piedi delle Alpi, non lontano da Milano, suacittà natale, un paese che egli certamente conoscevabene dalla giovinezza; un paese, inoltre, che sembravain quel periodo esposto alle minacce riformatrici prove-nienti dal nord come dal confinante Piemonte, l’unicazona d’Italia in cui le sette eretiche avessero ottenutouna posizione stabile. La scelta di questo particolareluogo venne determinata da alcune caratteristiche geo-grafiche, in particolare da una certa somiglianza, anchese approssimativa, tra il promontorio sopra Varallo, e lacollina della città santa. In ogni caso, ci si avvide subi-to che questo paesaggio possedeva le qualità di un poten-te stimolo, qualità che non persero mai a loro potere.Duecento anni dopo il canonico Torrotti scrisse: «Laregione di questa nostra Gerusalemme è l’esatta con-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 187

troparte di quella che si trova in Terra Santa; infatti essaha da un lato il Mastallone, al posto del torrenteKedron, la Sesia per il Giordano e il lago di Orta perquello di Cesarea».

La fondazione di fra’ Bernardino si lega al menoambizioso tentativo medioevale di far conoscere in occi-dente i luoghi santi di Gerusalemme, in modo partico-lare il Santo Sepolcro, «copie» del quale vennero eret-te in tutta Europa a partire dal v secolo in poi; il grup-po di costruzioni collegate a Santo Stefano a Bologna,per esempio, fu molto presto chiamato Gerusalemme.L’idea di fra’ Bernardino deriva da questa tradizione masi ricollega anche ad iniziative contemporanee: fu inquesto periodo che, a beneficio dei pellegrini, i monacifrancescani in Palestina iniziarono ad organizzare luoghidi sosta, in seguito chiamati «stazioni», lungo la viasacra, intesi a segnare gli episodi drammatici del cam-mino di Cristo al Calvario. Dall’inizio del Cinquecentoin poi copie di queste «stazioni della Croce» si molti-plicarono in differenti luoghi del mondo occidentale, aCordoba, Messina, Goerlitz, Norimberga, Lovanio, ealtri ancora. Le cappelle che vi si erigevano variavano dinumero; di solito erano dodici, o anche meno, e solo inseguito il loro numero venne fissato a quattordici. Fra’Bernardino estese enormemente gli scopi di questo sche-ma primitivo considerando l’intera montagna come se,con le parole di Samuel Butler, «fosse stata un libro ouna parete» ricoperta di illustrazioni.

Quarantatre cappelle, ciascuna raffigurante una scenacon molti personaggi tratta dalla vita degli antenati diCristo o dalla sua esistenza terrena, dovevano susse-guirsi tra gli alberi di castagno, invitando il pellegrino aseguire il sentiero tortuoso dalla chiesa della Madonnadelle Grazie, attraverso il cancello d’ingresso ai terrenie più avanti alle cappelle dedicate ad Adamo ed Eva,l’Annunciazione, la Visitazione e il Sogno di Giuseppe, la

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 188

Natività, l’Adorazione dei Magi e quella dei pastori, piúavanti la Presentazione al Tempio e la Fuga in Egitto, ilMassacro degli Innocenti e il Battesimo, senza posa, avan-ti e indietro, fino a che il pellegrinaggio non raggiungel’ultima cappella. Questa pretendeva di essere una repli-ca fedele del sepolcro di Cristo, mentre una seconda cap-pella era, secondo la tradizione, la copia della tombadella Vergine.

Oggi poche, o forse nessuna, delle scene piú antichesono conservate nel loro stato e sistemazione originale.Ma dalla prima cappella, eretta sotto la diretta supervi-sione di fra’ Bernardino all’ultima, eseguita nel xviiisecolo, lo schema rimase lo stesso: le scene sono rap-presentate per mezzo di figure realistiche di grandezzanaturale, fatte prima di legno e in seguito di terracottao di gesso. Lo sfondo e le figure policrome sono realiz-zate nel modo piú realistico possibile al fine di evocarenell’osservatore la sensazione di partecipare ad un even-to attuale: capelli e barbe sono di solito fatte di crini dicavallo; le stoffe a volte sono fatte di vero tessuto; il por-cospino della Tentazione di Cristo ha veri aculei; le funipenzolanti dal soffitto sotto cui Cristo risana il paraliti-co, sono vere funi; la terra, la sabbia, spesso anche lamuratura e i cespugli sono veri. Le prime cappelle eranosemplici stanze rettangolari, recentemente è stataaggiunta una suddivisione in vetro tra gli spettatori e lascena rappresentata. In seguito l’intera costruzione fucompletamente riservata alla scena sacra, scena che ilvisitatore, protetto da un portico, può solo vedere attra-verso uno spioncino ricavato da una grata in ferro bat-tuto, assicurando in tal modo il corretto punto di vistaper il pieno impatto illusionistico.

È evidente che un abisso separa le «copie» dei luo-ghi santi di fra’ Bernardino da quelle precedenti. Mira-re ad una copia realistica era cosa del tutto aliena all’at-titudine essenzialmente simbolica del medioevo. Al con-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 189

trario, coloro che eressero le stazioni della Croce nel xvsecolo, vollero riprodurre visivamente in modo esatto glieventi che si credeva fossero avvenuti lungo la via dolo-rosa, e la loro indagine analitica arrivò al punto di misu-rare gli intervalli precisi tra i luoghi consacrati per resta-re fedeli alla realtà degli eventi. Tutto ciò è caratteristicodel vivo realismo della nuova epoca, ma fra’ Bernardi-no andò piú oltre di chiunque altro. Egli volle essere«corretto» nelle misure dello scenario fin nei minimidettagli. Per noi il promontorio ai piedi delle Alpi conil Monte Rosa sullo sfondo può restare completamenteirreale e immaginario. Per fra’ Bernardino e per i pelle-grini che andavano a visitare il proprio Monte Sion ciòche contava era l’evocazione della realtà, non la letteralesomiglianza.

Malgrado la differenza tra l’approccio al linguaggiodelle immagini religiose proprio del medioevo e quellodi fra’ Bernardino, risulta immediatamente chiaro chele scene realistiche hanno le loro radici nella sacra rap-presentazione tardo-gotica. Ciascuna cappella può essereparagonata ad una scena delle sacre rappresentazionibloccata per sempre, e ciò fu certamente una forte levaatta a stimolare l’immaginazione popolare, ma l’illusio-nismo attentamente studiato e preordinato di ciascunascena, trascende di gran lunga i legami con il passato;essendo ormai assimilate le conquiste del Rinascimentoitaliano, esso dà a questa arte popolare una qualità piut-tosto sofisticata. Uno sguardo ai nomi dei pittori, scul-tori e architetti impiegati ce ne spiega il motivo.

Fra’ Bernardino fu abile nella sua scelta e fortunatonella disponibilità dei suoi artisti. Le valli alpine eranorinomate per i loro bravi artigiani; per secoli i piú abiliintagliatori e scultori in Italia provenivano dalla Valse-sia e dalle regioni circostanti. Ora essi trovarono unvasto campo di attività in questo e nei successivi san-tuari. Meglio ancora, fra’ Bernardino fu capace di otte-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 190

nere i servigi di Gaudenzio Ferrari, pittore eccellente-mente dotato, capace di realizzare le idee del frate. Gau-denzio Ferrari «non solo un pittore abile... ma anchematematico e filosofo estremamente profondo» secon-do le parole del Lomazzo, era nativo della Valsesia.Nato intorno al 1475, dovette fare il suo ingresso alSacro Monte ancora giovane, pieno di intraprendenza edi audacia, entrambe certo necessarie per il nuovo com-pito di forgiare natura e tradizioni religiose, architettu-ra, pittura e scultura in un tutto omogeneo. Fu proba-bilmente lui a suggerire per primo la sistemazione delprimitivo, in un certo senso casuale, assetto delle cap-pelle. Chiunque voglia studiare Gaudenzio dai suoi esor-di milanesi quattrocenteschi alla sua piú compiuta operamanierista, deve fare il pellegrinaggio a Varallo.

Gaudenzio visse a Varallo a partire dal 1526 e inseguito vi lavorò a piú riprese fino al 1539. Con la suamorte, nel 1546, la prima generazione di artisti cheancora avevano conosciuto il fondatore del santuario, siestinse. Tuttavia, nelle generazioni successive, Varanorimase un punto di attrazione per artisti eminenti. Nomifamosi come quelli degli architetti Galeazzo Alessi(1512-72) e Pellegrino Tibaldi (1527?-1596) sono colle-gati al Sacro Monte. Tra la fine del Cinquecento e gliinizi del Seicento l’impresa fu portata avanti con nuovaintensità. Era il periodo in cui la Lombardia, profonda-mente scossa dalla Controriforma, vide un periodo diineguagliabile attività artistica, sotto il suo grande vesco-vo Carlo Borromeo (m. 1584) e suo nipote Federico (m.1631). I principali pittori che lavorarono allora alle cap-pelle di Varallo furono: il Morazzone (1571-1626) eAntonio d’Enrico, detto Tanzio da Varallo (1575-1635),che solo oggi cominciano a ricevere l’attenzione che èloro dovuta. Questi erano grandi maestri dell’affresconella tradizione di Gaudenzio Ferrari che tuttavia svi-lupparono secondo uno stile tipicamente controriformi-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 191

stico, teso ed intenso. Nello stesso periodo un’interasquadra di scultori eseguí la maggior parte delle figure.I loro nomi, come quello del fratello di Tanzio, Gio-vanni d’Enrico, Giacomo Bargnola, Bartolomeo Ravel-li, Giacomo Parracca, Michele Rossetto o Michele Pre-stinari, ancora dicono poco ai non specialisti. Solo ilfiammingo Jean Wespin, chiamato in Italia GiovanniTabachetti, fu una volta scelto e bizzarramente lodatoda Samuel Butler come «uno degli uomini migliori, tratutti quelli che lo circondavano, di Michelangelo». Ilsolido realismo di Tabachetti, studiato meglio nel suocapolavoro, il Calvario con quaranta figure e nove caval-li (1599-1602), regge favorevolmente il confronto con lostile piú formale dei suoi contemporanei italiani.

Fra’ Bernardino morí nel 1509, ma i lavori del sacromonte continuarono per secoli in piena conformità conle sue idee. Nel xviii secolo vennero progettate ancoranuove costruzioni, e l’ultima cappella non fu termina-ta prima del 1818. Il carattere popolare di questa arteprodusse un notevole livellamento delle differenze sti-listiche, con il risultato che l’intera montagna con le suenumerose costruzioni, le sue migliaia di metri quadratidi affreschi e centinaia di figure, presenta un caratterequasi uniforme. Per tre secoli il Sacro Monte di Varal-lo fu la meraviglia e il diletto dei pellegrini. Carlo Bor-romeo fu lí nel 1578 e ancora nel 1584, pochi giorniprima della sua morte. Nel xvii secolo Varallo divennecosí popolare che, ancora secondo il canonico Torrotti,«fiumi di uomini e donne di tutte le nazioni delmondo» giunsero per pregare e contemplare o solo pergodere quegli zefiri frequenti, gli inverni miti o le pia-cevoli estati, o solo per osservare i «pellegrini e i reli-giosi di tutti i generi; processioni, prelati e spesso prin-cipi e principesse, carrozze, lettighe, calessi, equipaggi,compagnie di persone a cavallo... che mi riportano allamente le parole del Salmista: – “Vieni e osserva le

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 192

opere del Signore, perché egli ha creato le meravigliedella terra”».

La fama del Sacro Monte di Bernardino incitò all’i-mitazione, e circa un centinaio di anni dopo la fonda-zione di Varallo santuari simili cominciarono a sorgerenelle vicinanze. Il primo fu Orta, nel piccolo lago omo-nimo, un tempo a mezza giornata di cammino dalla Val-sesia. Quindi seguí Varese e, in ultimo, Oropa. ComeVarallo, questi tre santuari godevano di una splendidaposizione: Orta in una piccola penisola sporgente den-tro il lago, in una calma atmosfera di pace e mitezza;Varese, vicino a Como, in alto su di una collina con unavista magnifica sui laghi circostanti; e Oropa, il piú altodi tutti, circondato su tre lati da cime coperte di nevee, sul lato aperto, con un’ampia vista sulla pianura.

Orta, antica fondazione francescana, è il piú piccoloe il piú armoniosamente sistemato dei tre santuari.Come a Varallo, la disposizione originale fu probabil-mente disegnata non da un architetto ma da un mem-bro dell’ordine. Chiunque fosse il responsabile egli feceattenzione al particolare fascino del paesaggio e fu moltoabile nell’usarlo per il suo fine. Sentieri leggermentesinuosi incrociano a pendio del colle, scendendo e salen-do dolcemente cosí che la zona appare piú grande diquanto non sia effettivamente. Le venti cappelle,costruite tra il 1591 e il 1770, sono completamente inte-grate con l’atmosfera di calma rurale. Esse contengonogruppi scolpiti realistici come quelli di Varallo, ma inquesto caso essi illustrano la vita di san Francesco, men-tre gli affreschi raffigurano storie tratte dal VecchioTestamento e dalla vita di Cristo.

La maggior parte degli artisti impiegati veniva dalleimmediate vicinanze; ma, sebbene alcuni di essi fosse-ro maestri di prim’ordine – come i pittori Procaccini eNuvolone e lo scultore Rusnati – e sebbene altri comeBussola, Prestinari e i fratelli Grandi avessero acqui-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 193

sito esperienza a Varallo, le storie scolpite e dipinte diOrta sembrano mancare di immediatezza e sponta-neità. Soprattutto la relazione tra i gruppi scultorei egli affreschi non è facilmente comprensibile, in con-trasto con il programma chiaro e unitario delle cappelledi Varallo. Ad eccezione del programma complessivo,la gloria principale di Orta risiede nel progetto dellemaestose cappelle. Almeno quattordici di esse venne-ro erette nell’ultimo decennio del Cinquecento e nelprimo quarto del Seicento in modo raffinato ed estre-mamente affascinante. Si tratta in questo caso di unfantasioso architetto che sapeva come dare allo sche-ma centralizzato la maggior varietà possibile. La suaidentità rimane uno dei tanti quesiti interessanti chele ricerche insufficienti sulla storia di Orta lascianoirrisolti.

Il tema delle cappelle di Varese si lega ad un anticoculto della Vergine. L’attuale basilica, Santa Maria delMonte, sorse sul luogo in cui sant’Ambrogio dedicò allaVergine una piccola cappella, nella seconda metà del ivsecolo. È per questo motivo che le cappelle che condu-cono fino al santuario furono concepite come una sim-bolica rappresentazione del rosario: tre arcate dividonole quindici cappelle in tre gruppi simboleggianti le gioie,i dolori e la gloria della Vergine. L’idea fu ancora unavolta di un ecclesiastico ispirato, ma in questo caso ilprogetto venne affidato fin dall’inizio ad un famosoarchitetto di professione: Giuseppe Bernasconi da Vare-se. Egli disegnò l’intero complesso e supervisionò luistesso la maggior parte dei lavori. Quello che rimaseincompiuto alla sua morte fu fedelmente portato a com-pimento secondo i suoi progetti. Stilisticamente Berna-sconi dipendeva dal severo classicismo in voga a Mila-no agli inizi del Seicento. Gran parte delle quindici cap-pelle erette tra il 1604 e il 168o sono variazioni del temadel tempio con il portico, e questo è l’unico elemento

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 194

che contraddice l’aspetto omogeneo dell’intero schema.Va a onore di questo architetto provinciale l’essere statocapace non solo di inserire una grande varietà all’inter-no di limiti cosí restrittivi, ma anche di aver saputorendere un effetto monumentale malgrado le piccoledimensioni degli edifici.

Al confronto di Varallo il numero di artisti impiegatinell’opera plastica e pittorica è ridotto, ma i nomi dialmeno dodici pittori sono conosciuti, e tra di essi appa-re ancora una volta quello dell’infaticabile Morazzone.Dei cinque scultori il piú importante è Francesco Silva(1580-1641) la cui bottega produsse le figure di dodicidelle quindici cappelle. Silva passò l’intera sua vitaimpegnato in questo compito smisurato e la sua operarappresenta lo sforzo piú consistente mai compiuto dicreare un genere di figure in terracotta realistico epopolare. La tradizione da lui inaugurata fu interrottada Dionigi Bussola (1612-87), un milanese che avevastudiato a Roma e di conseguenza sapeva come infon-dere alle sue figure, nella cappella della Croce, un verosenso di dramma barocco.

Un mondo completamente diverso si schiude adOropa; dove non si percepisce piú niente del fascinosognante di Orta o della calma dignità di Varese. Lafama dell’antica e venerabilissima effige della Vergine diOropa, all’inizio collocata in una piccola cappella cre-duta risalire al iv secolo e sostituita nel xvii secolo dallachiesa attuale, ha sempre richiamato grandi folle di pel-legrini e visitatori, cosa che accade ancor di piú ai nostrigiorni. Con il suo scenario alpino, selvaggio e grandio-so, i suoi tre piazzali terrazzati fiancheggiati da galleriee file di negozi, ristoranti, ostelli ed edifici amministra-tivi, tutti mantenuti in ottime condizioni, Oropa offrequalcosa che nessun altro santuario può offrire. Essaprovvede sia ai bisogni spirituali che materiali. Unagestione efficiente assicura pasti e letti gratuiti per i piú

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 195

poveri, sistemazioni ben scelte e costose per i piúabbienti, grandiosi parcheggi e schiere senza fine di sou-venirs adatti a tutti i portafogli.

Mentre negli altri Sacri Monti l’attrazione principa-le per i fedeli è il pellegrinaggio di cappella in cappella,ad Oropa il centro principale di culto è la chiesa. Ledodici semplici cappelle bianche, costruite tra la fine delSeicento e i primi del Settecento, sembrano essere stateaggiunte in seguito ad un ripensamento. Esse sono rag-gruppate su di un pendio gradevole ma non appariscen-te e anch’esse sfoggiano le loro scene realistiche fatte difigure scolpite e sfondi dipinti, questi ultimi opera perla maggior parte di Giovanni Galliari.

Stranamente la storia dettagliata di Oropa non èancora stata scritta, e l’influenza dei progetti e deglischizzi presentati da architetti internazionalmente rino-mati quali Guarino Guarini e Filippo Juvarra per la for-mazione dell’intero complesso, o di alcuni edifici, nonè ancora stata chiarita.

In questa breve rassegna sui Sacri Monti ne ho tra-lasciati due meno importanti, quello di Crea, a nord diAsti, e quello di Graglia, nei pressi di Biella, non lon-tano da Oropa. Il primo, di ventitre cappelle, venne ini-ziato nel 1590; il secondo venne progettato di circacento cappelle agli inizi del Seicento, ma venne esegui-to solo in minima parte.

Tutti questi santuari erano considerati come puntifocali per la devozione popolare, ma esiste un’impor-tante differenza tra Varallo e gli altri. Mentre la fonda-zione di Varallo fu dovuta, come abbiamo visto, allamania tipicamente tardo-medioevale o del primo Rina-scimento, di possedere, nelle Alpi italiane, una replicaaccurata di Gerusalemme, nessuna idea di questo gene-re ispirò gli altri santuari. Essi sono fondazioni dellaControriforma e non presuppongono di essere accurateriproduzioni dei luoghi sacri, ma vanno piuttosto con-

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 196

siderati come variazioni di uno schema stabilito e comemezzo per alimentare il rinnovato fervore religioso: sonofiaccole della fede accese lungo le Alpi, poste a difesacontro le minacce del nord.

Non sorprende che questi luoghi fossero destinati atenere viva una tradizione artistica che aveva le sueradici nel medioevo. Fu solo nel corso del Quattrocen-to che, in seguito all’emancipazione dell’artista soste-nuta da una teoria artistica classicista e idealizzante,«arte alta» e «arte popolare» vennero separate. Nellapratica, la frattura impiegò qualche tempo prima didiventare pienamente effettiva, come ci dimostrano, tragli altri, i realistici tableaux vivants policromi in terra-cotta di Niccolò dell’Arca e Guido Mazzoni. Oltretut-to, rimase consuetudine degli artisti, soprattutto nelleprovince, lavorare ad entrambi i livelli. Cosí, scultorinapoletani di «arte elevata» come Celebrano, Vaccaro,Sammartino e Matteo Battiglieri non esitarono a crea-re presepi di natale accuratamente realistici e colorati,familiari a tutti.

Il progressivo irrigidimento della posizione teoricapuò essere seguito a partire da Leon Battista Alberti nelxv secolo fino a Bellori nel xvii e Winckelmann nelxviii secolo quando «grande arte» e «arte bassa» ven-gono definitivamente divise. E come Canova non avreb-be provato altro che disprezzo nei confronti del realismo«naïf» che era di casa nei Sacri Monti, cosí gli storicid’arte dell’Ottocento, interessati solo alla storia della«grande arte», esclusero qualsiasi riferimento ad essi.Persino agli inizi del xx secolo le guide, sebbene inseri-scano occasionalmente un asterisco in corrispondenzadel loro sito, dedicano poi solo poche righe al fascino diquesti centri di vera arte popolare. Solo l’irascibileSamuel Butler impugnò la sua penna in favore della suadiletta Varallo, ammettendo malvolentieri che anche glialtri luoghi non erano completamente privi di merito.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 197

Invece di note dettagliate riporto qui di seguito una lista dellefonti piú importanti:

Samuel Butler, Ex Voto: An Account of the Sacro Monte or New Jeru-salem at Varallo Sesia, London 1888.

C. del Frate, Santa Maria del Monte sopra Varese, Varese 1933.F. Galloni, Il sacro monte di Varallo, Varallo 1909.P. Goldhart, Die heiligen Berge Varallo, Orta und Varese, in «Beitrage

zur Bauwissenshaft», 19o8.A. Salsa, Biografia del b. Bernardino Caimi fondatore del S. Monte Varal-

lo Sesia, Varallo 1928.M. Trompetto, Il santuario d’Oropa, Milano 1949.

Rudolf Wittkower - Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano

Storia dell’arte Einaudi 198