caregiving: prendersi cura dei nuovi fragili · 2017. 11. 4. · incapacità di integrazione, oltre...

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1 Caregiving: prendersi cura dei nuovi fragili Malvi Cristina*, Trevisani Fausto, Carla De Lorenzo Paper for the X ESPAnet Italy Conference The Welfare and the losers of globalization: social policies facing old and new q” Forlì, 21-23 September 2017

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    Caregiving: prendersi cura dei nuovi fragili

    Malvi Cristina*, Trevisani Fausto, Carla De Lorenzo

    Paper for the X ESPAnet Italy Conference

    “The Welfare and the losers of globalization: social policies facing old and new

    q ”

    Forlì, 21-23 September 2017

  • 2

    * Azienda USL di Bologna - [email protected]

  • 3

    Secondo “P A ” del 2012-2013, che fornisce informazioni su condizioni di

    salute, abitudini e stili di vita della popolazione con età maggiore o uguale a 65 anni, in Emilia-

    Romagna un sesto della popolazione ultra 65enne (circa 124.000 persone) presenta qualche forma

    di disabilità (limitazioni in almeno un’attività funzionale della vita quotidiana – ADL1). Di questa, il

    91% riceve sostegno dai familiari e il 52% è accudita a domicilio anche da assistenti privati

    (badanti). Tali dati evidenziano un forte bisogno assistenziale e un importante ruolo di cura assolto

    dalla famiglia.

    Caratteristica del welfare italiano è il cosiddetto welfare mix, ovvero la coesistenza di soggetti

    pubblici e privati nell’erogazione dei servizi assistenziali.

    Nell’assistenza domiciliare e nella semi-residenzialità (Centri Diurni) i servizi erogati si integrano

    con la capacità della famiglia di coordinare tutte le attività necessarie al sostegno della persona

    anziana o disabile.

    La cultura diffusa vede nella famiglia il principale ente erogatore/coordinatore di cure per la terza

    età e lascia in modo prioritario ad essa la responsabilità e l’onere della gestione dei soggetti in

    condizione di fragilità. Si verificano, pertanto, fenomeni di assistenza domiciliare mista, a cura di

    parenti che assolvono il ruolo di caregiver, spesso affiancati da lavoratori assunti a tempo pieno,

    assistenti familari/badanti, generalmente donne straniere e operatori socio-sanitari inviati dagli enti

    locali.

    Nello svolgimento delle mansioni di cura le famiglie italiane mantengono una forte divisione dei

    ruoli contraddistinta dal modello del male breadwinner2, secondo il quale l’uomo è il soggetto

    portatore di reddito e titolare dei diritti sociali e la donna colei che, in modo non istituzionalmente

    riconosciuto, si occupa della cura familiare. In Emilia-Romagna si è cercato di bilanciare la

    presenza di servizi con l’erogazione di contributi economici (assegno di cura) nel tentativo di non

    penalizzare il genere femminile nelle scelte lavorative.

    Dall’indagine multiscopo dell’ISTAT sulla conciliazione tra lavoro e famiglia del 20103 emerge che

    nella nostra Regione sono 289 mila (su 3.329.000 in Italia) le persone che, nel contesto familiare,

    prestano regolarmente attività di cura ad adulti anziani, malati, disabili. I caregiver familiari sono

    prevalentemente donne, spesso impegnate ad assistere più di una persona (nella combinazione

    bambini e anziani).

    In Emilia-Romagna i documenti ufficiali riferiti ai caregiver sono:

    1 Activities of Daily Living

    2 Luppi E., Prendersi cura della terza età. Valutare e innovare i servizi per anziani fragili e non autosufficienti, Franco

    Angeli, Milano 2015, p. 15 3 DGR 858/2017 Linee attuative LR 2/2014

  • 4

    • la Legge Regionale n. 2 del 2014 “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver

    familiare (persona che presta volontariamente cura ed assistenza)”;

    • la DGR 858/2017, con cui la Giunta Regionale ha approvato le linee attuative per rendere

    pienamente operativa la suddetta Legge

    • il Piano Regionale della Prevenzione 2015-2018 (PRP) - Obiettivo 4.2 - Azioni situate di

    prevenzione della salute mentale e fisica rivolte a caregiver (badanti straniere e donne precarie).

    La Delibera Regionale individua tra i principali fattori di rischio per il benessere psico-fisico del

    caregiver familiare: stanchezza fisica, stress emotivo, problemi psicologici, isolamento sociale,

    scarsa conoscenza nella gestione della malattia, e limitata capacità di coping (comprensione e

    gestione delle situazioni critiche). L’impatto negativo sulle condizioni fisiche del caregiver emerge,

    inoltre, da numerosi studi, i quali evidenziano come le persone che prestano un’importante attività

    di cura abbiano il doppio di probabilità di incorrere in problemi di salute. A tal proposito, i risultati

    dello studio di Elizabeth Blackburn, premio Nobel per la Medicina nel 2009, mostrano che

    l'aspettativa di vita di caregiver sottoposti allo stress di curare familiari gravi si riduce dai 9 ai 17

    anni, e tale impatto negativo arriva a coinvolgere l’intero nucleo familiare4.

    Un aspetto a volte sottovalutato nella riflessione sul lavoro di cura è il senso di inadeguatezza del

    caregiver quando il suo atteggiamento nel prendersi cura entra in contraddizione con alcuni dei suoi

    valori di base (avere il massimo rispetto del genitore, assisterlo con amore) ponendo così un

    problema di coerenza5.

    Una verità difficile da ammettere in un contesto sociale che privilegia un’immagine stereotipata

    della vecchiaia è che anche gli anziani possono mal-trattare. Il fenomeno del mal-trattamento, o

    comunque di comportamenti conflittuali, da parte dell’anziano è anch’esso, invece, una realtà

    documentata. Di seguito si riportano alcuni modi in cui si può esprimere il mal-trattamento

    psicologico da parte dell’anziano verso il caregiver6:

    Ingratitudine

    Indifferenza verso le esigenze del caregiver

    Ricatti

    Gelosie

    Messaggi di rifiuto

    Negazione del riconoscimento dell’impegno e della fatica

    Svalutazione di ogni intervento proposto

    Atteggiamento ostile o distruttivo

    Lamentosità senza soluzione

    4 PNAS, December 7, 2004, vol. 101 n. 49

    5 Caritas Ambrosiana, Ferite invisibili. Il mal-trattamento psicologico nella relazione tra caregiver e anziano, Franco

    Angeli, Milano, 2011, p. 203. 6Perucci G., Una badante in famiglia: Guida pratica per una buona convivenza, Erickson, Trento, 2015, pp. 178-179.

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    Quando si tratta di anziani non più consapevoli, affetti da demenza, il dolore provato dal caregiver

    per essere trattato male è accompagnato quasi sempre da un’assoluzione, ma diventa più forte il

    senso di perdita del familiare che era un tempo.7

    Un’indagine recente finanziata da ACLI Colf evidenzia che esiste una violenza sia di genere sia

    interpersonale subita dalle assistenti familiari (badanti) che si ipotizza avere profonde ripercussioni

    sul loro benessere. Nella ricerca emerge che il 14,2% delle intervistate afferma di avere subito

    molestie sessuali da parte dell’assistito o dei familiari. È però anche importante considerare che una

    parte delle intervistate dichiara di avere assistito persone violente verbalmente o fisicamente, le

    quali possono causare, benché in modo involontario, danni fisici e favorire l’emersione di disturbi

    psichici tra le lavoratrici come è stato dimostrato da alcune ricerche sul personale ospedaliero.

    Dall’indagine di ACLI Colf emerge che il 10,1% delle intervistate viene insultato frequentemente, il

    2,1% viene picchiato spesso e il 5% è spesso soggetto a lanci di oggetti. In un’analisi sulla salute

    delle lavoratrici di questi dati, seppur limitati, occorre tenere conto8.

    “I p l ” (burden) percepito dal caregiver si traduce in un disagio psicologico

    caratterizzato da ansia, depressione e malessere fisico e in un carico soggettivo che investe gli

    aspetti sociali ed economici dell’assistenza. Si tratta di un concetto multidimensionale che si

    ripercuote in modo globale sulla qualità della vita delle persone che si occupano di un anziano. Il

    caregiving è un’attività difficile e destabilizzante. La tensione del caregiver finisce per manifestarsi

    anche sul piano fisico, già provato dalle incombenze pratiche (movimentazione di carichi, lavori

    domestici), ed è quindi più facile trovare in queste persone problemi gastrici, mal di testa, dolori

    dovuti anche alle manovre pesanti che attuano, e tutta una serie di disfunzioni immunitarie e

    problematiche che spesso derivano dal non avere tempo e risorse per poter curare se stessi.

    Il mondo dell’associazionismo, in particolare le associazioni di patologia, ha avvertito questo carico

    e questo disagio di salute già dagli anni novanta e, cogliendo la richiesta di aiuto dei caregiver e

    degli stessi malati consapevoli della difficoltà della gestione dei conflitti interni alla famiglia, hanno

    organizzato autonomamente corsi di formazione per la gestione della malattia, gruppi di auto mutuo

    aiuto per i caregiver, momenti comuni di socializzazione e svago guidati come ad es. i Caffè

    Alzheimer.

    In Emilia-Romagna la presenza di Alzheimer Caffè è molto diffusa, anche grazie ad Associazioni

    di promozione sociale e di Onlus che si occupano di demenza o di gruppi spontanei di auto mutuo

    7 Perucci G., Una badante in famiglia: Guida pratica per una buona convivenza, Erickson, Trento, 2015, pp. 178-179

    8 Maioni R., Zucca G. (a cura di), Viaggio nel lavoro di cura. Chi sono, cosa fanno e come vivono le badanti che lavorano nelle famiglie italiane, Roma, Ediesse, 2016, pp. 128-130.

  • 6

    aiuto legati a strutture residenziali e/o centri di ritrovo come parrocchie e centri sociali. Si tratta di

    luoghi dove familiari e malati possono recarsi insieme, non sentirsi isolati e comprendere come altri

    nella stessa condizioni fronteggiano la malattia e le sue conseguenze. Coloro che frequentano questi

    luoghi provano un sentimento di appartenenza, riconoscimento e accettazione. Condividono

    numerose difficoltà pratiche ed esprimono emozioni spesso inascoltate. Questa atmosfera tranquilla

    e accogliente in un ambiente “normalizzato” determina una diminuzione del peso assistenziale che

    favorisce la partecipazione anche di quei familiari che ancora lavorano. Il merito

    dell’associazionismo è quello di scegliere sedi e orari che agevolano la partecipazione degli utenti

    in un percorso di progettazione condiviso dal basso.

    Nella Città metropolitana di Bologna anche le Istituzioni, Comuni e Distretti, ASP e case residenze

    per anziani hanno dato supporto e promosso la costituzione di questi interventi nel tentativo di

    sostenere e formare il caregiver familiare.

    Quando la famiglia da sola non riesce ad assolvere questo compito è costretta a ripensare al progetto

    di assistenza tenendo conto dei bisogni di tutti, anziano e caregiver per primi, rinegoziando

    l’impegno di altri familiari e prevedendo l’aiuto di “un’estranea”9. Il ruolo del caregiver familiare si

    trasforma quindi nel ruolo di datore di lavoro e di facilitatore dei rapporti fra anziano e badante.

    I dati INPS mostrano che il mercato dei lavoratori regolari che assistono anziani e disabili a

    domicilio (badanti) si attesta a quasi 400.000 unità, ma altrettanti pare siano i lavoratori privi di

    contratto. La presenza complessiva di badanti nel nostro Paese, pertanto, è almeno di 840-850.000

    persone10

    .

    Già dieci anni fa la Regione Emilia-Romagna intervenne per favorire la regolarizzazione delle

    badanti da parte delle famiglie che ricevevano un assegno di cura per l’assistenza a domicilio

    dell’anziano (DGR 1206/2007). In questi anni le Aziende sanitarie e i Comuni hanno organizzato

    corsi di formazione per queste lavoratrici e sono stati costituiti accordi con le agenzie del lavoro per

    la selezione e il loro affiancamento al domicilio della persona che necessita di assistenza, nel

    tentativo di favorire l’integrazione.

    In questo contesto si inserisce il Piano della prevenzione sopra citato che individua correttamente

    come target di intervento i caregiver intesi come le badanti e donne precarie perché se i caregiver

    familiari vivono una forte situazione di stress psico-fisico, le badanti straniere si trovano anche ad

    affrontare una condizione di isolamento sociale e culturale, spesso percepita dalla comunità come

    incapacità di integrazione, oltre al fatto che per motivi economici sono costrette a svolgere un

    lavoro di cura spesso molto lontano dal loro livello di scolarizzazione e per motivi linguistici e

    9 Gallina M., Loddo P., La cura e la tutela dell'anziano. Sostenere le relazioni tra famiglia e assistente familiare,

    FrancoAngeli, Milano, 2014, p.24 10

    https://welforum.it/le-badanti-non-crescono-piu/

  • 7

    sociali sono in difficoltà nella comprensione dei percorsi regionali di accesso ai servizi. Si aggiunga

    il fatto che nella maggior parte dei casi le badanti straniere sono in regime di co-residenza e questo

    sembra essere una delle cause principali del loro “mal da lavoro” che è già stato valutato nella

    letteratura scientifica in tutte le situazioni in cui c’è sovrapposizione tra spazio di vita e di lavoro,

    come ad esempio i mercantili, le navi da crociera, le fabbriche dormitorio. Nello stato di co-

    residenza queste lavoratrici sono sempre a lavoro anche quando riposano. A ciò si aggiunge il fatto

    che non disponendo di reti sociali utilizzano il loro eventuale tempo libero con ulteriori impegni

    lavorativi. L’ipotesi è dunque che le lavoratrici che non dispongono di ore di riposo per scelta o per

    imposizione del datore di lavoro siano esposte al rischio di sviluppare problemi di salute che

    possono anche sfociare nella sindrome di burnout11

    .

    Dato il contesto sociale descritto nella prima pagina risulta imprescindibile riflettere da un lato sui

    diritti e dall'altro sulle responsabilità di tre figure coinvolte in questa relazione: assistito, caregiver

    familiare e badante nonché sulla formazione specifica e l’adeguata valorizzazione dell’assistenza

    fornita.

    Nella letteratura anglosassone spesso si utilizza il termine Dual Focus of Caring12

    per indicare, in

    senso generale, lo sguardo contestuale sui bisogni di chi cura e su quelli di chi è curato, con

    l’attenzione alle loro peculiarità, per cercare soluzioni che non pongano in aspro conflitto i soggetti

    implicati. In tal senso si specifica che tra le buone pratiche dedicate al sostegno del lavoro di cura

    informale, deve essere costantemente presente l’esplorazione degli effetti di qualunque intervento

    dei servizi sulla vita della diade, caregiver e cared.

    Attualmente ci si trova di fronte ad un tema ancor più complesso di ordine politico, sociale e

    sanitario dove vige un sistema di competenze e collaborazioni ripartite fra più soggetti: gli operatori

    sociali e sanitari, le Istituzioni, il volontariato, i patronati e le agenzie del lavoro devono tutti fornire

    risposte diverse, articolate a bisogni multidimensionali.

    La sensibilità al sostegno della fragilità nell’Azienda USL di Bologna deriva dall’esperienza

    condotta negli ultimi 10 anni (dal 2007) nell’ambito di un progetto di prevenzione della non

    autosufficienza delle persone anziane agito attraverso il servizio e-Care che ha sviluppato diversi

    servizi di contatto con quelle persone anziane che vivono sole a domicilio, ancora in grado di

    gestire la loro autonomia di vita ma fragili dal punto di vista clinico (patologie croniche),

    psicologico e sociale (lutti, problemi economici, difficoltà familiari), funzionale (difficoltà

    nell’alimentazione, nel movimento, con deficit sensoriali).

    11

    Maioni R., Zucca G. (a cura di), Viaggio nel lavoro di cura. Chi sono, cosa fanno e come vivono le badanti che lavorano nelle famiglie italiane, Roma, Ediesse, 2016, pp. 26-27. 12

    Taccani P., Famiglie, anziani, lavoro di cura, i Quid Album 3 Supplemento al n. 4/2014 di Prospettive Sociali e

    Sanitarie da http://prospettivesocialiesanitarie.it/materiali/Quid-Album-3-presentazione.pdf

  • 8

    E-Care si compone di diversi servizi:

    1. un numero verde gratuito per chiedere aiuto, informazioni, assistenza attivo tutto l’anno,

    2. un gruppo di operatori di call center formato nel contatto con le persone anziane che

    monitora ogni 10 giorni circa 1.250 persone anziane segnalate dai servizi sociali e sanitari e

    delle quali conosce le caratteristiche di vita quotidiana e di salute per la presenza di un

    dossier personalizzato

    3. un pacchetto di iniziative si socializzazione e sostegno promosse dal terzo settore e

    selezionate tramite un bando annuale

    4. un portale ricco di informazioni sulle organizzazioni attive in questo campo e aggiornato

    rispetto eventi disponibili

    Soprattutto tramite i racconti raccolti dagli operatori di call center si sono conosciute situazioni di

    difficoltà delle “famiglie caregiver” e delle persone singole a cui vengono affidati gli anziani soli. I

    periodi più difficili dell’anno sono sicuramente l’estate quando le ondate di calore mettono a dura

    prova tutta la comunità e le reti parentali si allentano e in inverno con la neve e il ghiaccio e il

    conseguente rischio di cadute.

    Dal 2012 inoltre La Città Metropolitana, su richiesta dell’associazione ANCeSCAO13

    ha attivato

    laboratori di progettazione e riflessione sui temi caldi che riguardano l’invecchiamento,

    coinvolgendo il terzo settore, i sindacati pensionati e le istituzioni sotto il progetto “Anziani

    Imprenditori di Qualità della Vita”. In particolare di recente si sono affrontati temi come il

    cohousing, la violenza e gli abusi, la valorizzazione del vissuto.

    In questo percorso, la Città Metropolitana di Bologna, all’interno del progetto sopracitato con un

    gruppo di lavoro a cui hanno partecipato AUSER, ANCeSCAO, ARAD, SPI CGIL, ASP Bologna,

    Istituzione Gian Franco Minguzzi e Fondazione Santa Clelia Barbieri, ha presentato nel corso di

    Exposanità 2016 una bozza di Carta dei diritti e dei doveri degli anziani fragili, derivante dallo

    studio e dall’analisi di quattro documenti di livello nazionale ed europeo14

    .

    Nella filosofia di un sistema di welfare sempre più partecipato, si è deciso di condurre focus

    group15

    in 5 ambienti sociali diversi che sono in relazione con gli anziani, al fine di coinvolgere la

    comunità nella valutazione dei concetti contenuti nella Carta e testarne l’accettabilità e applicabilità.

    I luoghi di conduzione dei focus sono stati:

    1) il Centro Sociale Ricreativo Culturale Il Mulino di Bentivoglio (Bologna), 12 partecipanti 13

    Associazione Nazionale Centri Sociali Comitati Anziani e Orti 14

    Carta Europea dei diritti e delle responsabilità delle persone anziane bisognose di cura e assistenza a lungo termine –

    2010; Statuto delle persone anziane fragili (SPI-CGIL) – 2010; Carta dei diritti dell’anziano (EISS) – 1995; Carta dei

    diritti della persona fragile e non autosufficiente (FERPA) - 2006 15

    Il focus group è una tecnica di rilevazione per la ricerca sociale basata sulla discussione tra un piccolo gruppo di

    persone, invitate da uno o più moderatori a parlare tra loro, in profondità, dell'argomento oggetto di indagine da Corrao

    S. Il focus Group, FrancoAngeli, Milano, 2013

  • 9

    2) il Sindacato pensionati SPI-CGIL della Città Metropolitana di Bologna, 8 partecipanti

    3) la Casa della Salute di Terre d’Acqua nel Distretto di Pianura Ovest con i volontari AUSER, 8

    partecipanti

    4) l’ASP di Bologna che ha coinvolto un gruppo di operatori della domiciliarità e gli assistenti

    sociali, 8 partecipanti

    5) la Fondazione Santa Clelia Barbieri che ha coinvolto gli operatori delle strutture residenziali per

    anziani e disabili che essa gestisce nel Distretto Appennino, previsti 10 partecipanti. Al momento

    della redazione del presente contributo quest’ultimo focus non è ancora stato condotto.

    I risultati dei focus sono attualmente solo parziali, non essendo concluso il percorso, ma sono

    emerse alcune sensibilità che si evidenziano di seguito.

    1) Per gli utenti del Centro sociale il problema prioritario per gli anziani è la solitudine quindi

    hanno priorità di assistenza quegli anziani senza figli per cui è necessario semplificare la

    possibilità di accesso alle cure e ai servizi. Tali persone non disponendo di una supervisione

    familiare vanno monitorate dalle istituzioni come evidenziano i caregiver familiari presenti al

    focus che hanno consapevolezza che una badante non basta per garantire una buona assistenza

    ma è necessario un buon sistema di garanzie oltre alla loro costante presenza di mediatori e

    facilitatori. La seconda parola chiave emersa è la parola “rispetto”, inteso anche come necessità

    di formazione del personale che agisce internamente alle famiglie perché è molto sottile il

    confine fra sostegno e imposizione. Il punto di contatto più proficuo fra stranieri e anziani è

    risultata la scuola d’italiano organizzata dal centro perché si trova al di fuori dal contesto di

    lavoro e cura del singolo e offre un servizio di cui le badanti sentono la necessità. Il contesto

    rurale degli anziani residenti non vive di per sé una situazione di parità di genere, le necessità e i

    comportamenti della badanti straniere sono giudicati come incapacità e mancanza di volontà di

    integrarsi (chiamate frequenti al cellulare, gruppetti di incontro interni a una etnia, ecc.), in

    quanto le persone presenti al focus ritengono che l’unica motivazione che hanno gli stranieri per

    svolgere questo tipo di lavoro sia quella economica.

    2) Il Sindacato dei Pensionati riconosce che molte badanti non sono in regola e svolgono un orario

    lavorativo anche sulle 24 ore. Riconosce inoltre che molti anziani, con il forte desiderio di

    rimanere a casa e per motivi economici, sono completamente affidati alla badante che risulta

    quindi l’unica persona che si relaziona con loro. La famiglia si trova spesso a svolgere un lavoro

    di tutoraggio nel confronti di un tale nucleo, con ruoli di responsabilità senza poter contare sulle

    Istituzioni e dovendo imparare sul campo vincoli e tutele. Emerge il riconoscimento che i

    soggetti coinvolti attualmente sul tema dell’assistenza alle persone fragili sono: badanti,

    volontari, famiglie, comunità e istituzioni, dove si auspica una riprogettazione dei servizi e

  • 10

    un’azione culturale a tutto tondo per la garanzia dei diritti sia della persona fragile sia della sua

    assistente.

    3) Per i volontari che affiancano le attività della Casa della Salute Terre d’Acqua emergono altre

    due parole chiave la sicurezza e il benessere che devono essere garantite a tutti i soggetti in

    campo: famigliari, anziani e badanti perché come dice una volontaria “da soli non ce la si fa né

    come famigliari né come assistenti”. Emerge che spesso parlando di abusi si pensano cose di

    grandi dimensioni come violenza fisica o psicologica, sedazione forzata, contenzione, botte ma

    spesso, per entrambe le figure sia persone fragili sia badanti, si tratta di piccole umiliazioni

    quotidiane, un pranzo mal preparato, un modo di appellarsi rabbioso, uno scherzo pesante o

    soprannomi mortificanti (negretta). L’atteggiamento del gruppo è molto incentrato

    sull’empowerment dell’anziano ad invecchiare bene, sulla responsabilità personale di prepararsi

    ad affrontare la quarta età anche curando le relazioni famigliari e personali che garantiranno il

    benessere futuro. Fra le parole emerge il valore dell’adozione di un ulteriore stile di vita: la scelta

    di come invecchiare e di come impostare la relazione con quelli che saranno i nostri assistenti.

    4) Per gli operatori dell’assistenza domiciliare c’è bisogno di far emergere i concetti di dignità e

    individualità. Molti anziani sono difficili e spesso per questo si decide senza di loro, si indaga la

    loro malattia e la loro fragilità ma non la loro storia mentre spesso hanno solo bisogno di essere

    ascoltati. A volte il conflitto con le badanti avviene su problemi banali come il consumo di acqua

    o sulle spese per il cibo. L’assistenza domiciliare dovrebbe essere in grado di dare risposte veloci

    perché le situazioni si modificano in fretta, ma anche di osservare il nucleo assistito-assistente

    secondo una sfera più psicologica. Il problema molto grave è che i servizi agiscono per pezzetti

    senza mai cercare un’integrazione gli uni con gli altri. L’organizzazione delle cure e

    dell’integrazione viene lasciata al caregiver che spesso non ha gli elementi per venirne a capo

    soprattutto se è di origine straniera. Tutto risulta frammentato ed erogato secondo le esigenze

    dell’organizzazione erogante non della persona assistita.

    La seconda iniziativa importante rivolta allo studio delle caratteristiche dei caregiver si è svolta il

    25 Maggio 2017 nel Comune di Crevalcore che ha organizzato la Giornata aziendale del Caregiver

    prevista dalla LR 2/2014 con l’organizzazione di un World Cafè aperto alla comunità 16

    . Il World

    Café è un metodo semplice ed efficace nel dar vita a conversazioni informali, vivaci e costruttive,

    su questioni e temi che riguardano la vita di un'organizzazione o di una comunità. È particolarmente

    utile per stimolare la creatività e la partecipazione, per promuovere sensibilità ed empowerment

    16

    http://www.dors.it/page.php?idarticolo=1161

  • 11

    sociale. In questo caso si è trattato di un confronto tra caregiver, operatori e cittadini volto a

    individuare i bisogni percepiti in termini di lavoro di assistenza.

    Tra i risultati degni di nota è emersa la consapevolezza della forte correlazione tra il benessere del

    caregiver e quello dell’assistito. Il lavoratore straniero, quasi sempre donna, ha bisogno di

    accoglienza e risposte alla necessità di esprimere i propri vissuti, di confronto, di rielaborazione di

    una sofferenza legata ad anni di emigrazione e lavoro a distanza dalla propria famiglia e dai propri

    contesti di vita. I servizi possono sostenere la persona aiutandola ad uscire dall’isolamento della

    cura a domicilio, dal quotidiano incontro silenzioso con la malattia, la sofferenza, la solitudine, la

    cultura altra, la morte.

    Dagli operatori della psichiatria è emerso il tema della fragilità della famiglia della lavoratrice

    straniera che rimane nel paese d’origine e che deve essere in grado di riorganizzarsi per fornire

    l’assistenza a figli ed anziani (leftbehind, orfani bianchi) che rimangono privi delle figure femminili

    cardine: madri, figlie.

    Diverse sono state le ipotesi avanzate in merito agli interventi da attivare, caratterizzati da una

    maggiore responsabilizzazione della comunità nei confronti delle figure coinvolte nella relazione di

    cura. In particolare sono stati evidenziati ambiti di lavoro diversi:

    individuare sul territorio e agganciare caregiver per “far sapere”, pubblicizzare occasioni e

    luoghi, per rendere visibile la “vicinanza” e l’importanza dei servizi sul territorio;

    organizzare un‘educazione di strada, ovvero un servizio di informazione di base e di aggancio;

    individuare le reti informali capaci di collegare, informare, coinvolgere pezzi diversi della

    comunità;

    sviluppare azioni che implementino la rete sociale di supporto, ascolto, sostegno ai caregiver e

    famigliari affinché essi siano accompagnati e non debbano “mai dire ce la faccio da solo”;

    identificare una sede, “un luogo facile, agile, per ricevere informazioni”, “che si connoti come

    struttura che accoglie comunque”, aperta e ad accesso semplice, aumentando la percezione che

    “il bisogno è risolvibile in modo appropriato”.

    Conclusioni

    Emerge con forza la necessità di creare una cultura del caregiving come una iniezione di realtà,

    di senso, utile a tutta la comunità. La formula vincente sempre più si riconosce nella capacità di

    creare una cultura che affronti il pregiudizio e gli stereotipi attraverso occasioni di scambio per

    superare distanze e paura di “affidare”, lavorando costantemente per migliorare la rete delle

    informazioni sui tre livelli: operatori, caregiver e famigliari.

  • 12

    Un sistema capace ed accogliente costituito da attori di tutte le istituzioni deputate a fornire

    assistenza sanitaria e socio sanitaria, tra cui certamente l’Azienda sanitaria, che voglia prendersi

    cura dei caregiver stranieri e precari deve assumere una “visione binoculare”: uscire dagli edifici di

    erogazione delle prestazioni e ricercare il contatto con i caregiver nei luoghi informali in cui si

    aggregano, indurre negli operatori un cambio di prospettiva in cui il soggetto assistito è

    indirettamente il beneficiario delle cure che sono offerte a caregiver e badanti. Pertanto, in ogni atto

    di assistenza erogato al soggetto “cared” va tenuto conto di colui che è fornitore di cura - caregiver -

    la cui fragilità non è così evidente all’operatore ma può portare a conseguenze gravi di salute per

    entrambi se viene trascurata.

    Si pensi al ruolo dei medici di medicina generale in questo senso, la qualità dell’assistenza erogata

    può essere agevolata da un caregiver formato in modo appropriato, al contrario l’effetto delle loro

    prescrizioni può essere pericolosamente minato dall’incapacità del caregiver di mettere in atto le

    cure prescritte o di rispondere ai bisogni dell’anziano.

    Si può rilevare che l’organizzazione dei servizi delle Aziende sanitarie e delle Istituzioni preposte

    agiscono direttamente in relazione al proprio obiettivo di cura ed assistenza (es. aumentare

    l’adesione agli screening) e faticano ad allargare lo sguardo ad una fascia di popolazione straniera

    che direttamente agisce in stretto contatto con la persona non autosufficiente. A ciò si può associare

    una carenza nelle strategie di coordinamento degli interventi rivolti agli stranieri: un servizio mette

    in atto un’azione specifica per il coinvolgimento di una determinata etnia non condividendola a

    sufficienza con gli altri servizi. In altri casi la relazione fra operatore e assistito avviene comunque

    attraverso la mediazione di un famigliare che si dà per scontato essere in grado di relazionarsi con

    il lavoratore straniero, unico soggetto effettivamente presente nella quotidianità dell’assistito.

    Si ritiene indispensabile promuovere un processo di cambiamento innovativo con l’adozione di

    metodi partecipativi che creino occasioni di confronto con la comunità professionale, quali focus

    group e world cafè.

    Nella progettazione di interventi futuri a favore dei caregiver va tenuto conto del know how delle

    associazioni e delle organizzazioni che finora si sono adoperare per disseminare queste

    problematiche e sostenere questo lavoro di cura domestico che si configura come una “presa in

    carico” neanche tanto leggera, rivolta ad entrambi i soggetti, assistiti e assistenti, come ad esempio i

    gruppi di auto mutuo aiuto, i Caffè Alzheimer, gli sportelli psicologici, i vari tipi di corsi volti a

    favorire l’integrazione, la formazione e la ricreazione delle badanti..

    In definitiva si ritiene che Aziende sanitarie e Comuni possano impegnarsi per promuovere con il

    Terzo settore e con le Agenzie del lavoro e i patronati, iniziative di carattere culturale, informativo

    e formativo nei confronti di tutti i caregiver. Lo scopo è dare valore ad un lavoro di cura

  • 13

    irrinunciabile, continuamente sottoposto a rinegoziazione all’interno dei nuclei familiari, ripartito

    fra più soggetti fragili che necessitano del grande sostegno professionale degli operatori sanitari e

    sociali.

    Si sottolinea che la Legge 2 del 2014 e le sue linee attuative recentemente emanate (luglio 2017) si

    rivolgono esplicitamente solo al sostegno dei caregiver famigliari mentre è evidente il ruolo svolto

    dalle assistenti assunte dalle famiglie pertanto ci si auspica il riconoscimento del lavoro di

    assistenza svolto a domicilio anche da queste lavoratrici secondo una interpretazione di intervento

    più ampia delle norme regionali dal momento che l’assistenza che forniscono è diretta, costante e

    quotidiana a domicilio degli anziani e dei disabili.

    L’obiettivo 4.2 del PRP ha avuto il merito di porre l’accento sulle badanti intese come lavoratrici e

    sul rischio di salute in cui esse possono incorrere. Nell’affrontare questo obiettivo gli operatori

    dell’Azienda USL hanno verificato la distanza, solo in parte comprensibile, fra la consapevolezza

    che la comunità dei malati e dei loro familiari ha sul bisogno di sostegno e la sottovalutazione dello

    stesso bisogno quando riferito ai lavoratori dipendenti. Tanto che nel primo caso sono sorti

    spontaneamente da molti anni strumenti di contrasto all’isolamento e promozione del benessere

    mentre nel secondo caso essi sono ancora in forma embrionale, come se il fenomeno del badantato

    fosse un problema “nuovo” e marginale nelle famiglie italiane.

    L’esplorazione delle iniziative promosse dalla comunità in favore delle badanti ha fatto emergere

    progetti strutturati e continuativi, come sportelli di ascolto psicologico ad accesso bisettimanale

    (ACLI), corsi di formazione al lavoro (Federcasalinghe), disponibilità gratuita di sale a gruppi etnici

    che svolgono questa mansione (Filippine, Ucraine) da parte di centri sociali e parrocchie,

    dimostrando che anche in questo caso la sensibilità sociale anticipa, e quasi sempre promuove, gli

    interventi di carattere istituzionale.

  • 14

    Bibliografia

    - Caritas Ambrosiana, Ferite invisibili. Il mal-trattamento psicologico nella relazione tra

    caregiver e anziano, Franco Angeli, Milano 2011

    - Cavazza G., Malvi C. (a cura di), La fragilità degli anziani. Strategie, progetti, strumenti

    per invecchiare bene, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna (RN), 2014

    - Corrao S. Il focus Group, FrancoAngeli, Milano, 2013

    - Espanoli L. con la collaborazione di Manzoni M., DE-MENTE? NO! SENTE-MENTE.

    Esercizi, intuizioni e nuove idee per vivere la relazione con le persone affette da demenza,

    Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna (RN), 2014

    - Gallina M., Loddo P., La cura e la tutela dell'anziano. Sostenere le relazioni tra famiglia e

    assistente familiare, FrancoAngeli, Milano, 2014

    - Luppi E., Prendersi cura della terza età. Valutare e innovare i servizi per anziani fragili e

    non autosufficienti, Franco Angeli, Milano 2015

    - Maioni R., Zucca G. (a cura di), Viaggio nel lavoro di cura. Chi sono, cosa fanno e come

    vivono le badanti che lavorano nelle famiglie italiane, Roma, Ediesse, 2016

    - Maluccelli L., Lavori di Cura, Il Mulino, Bologna, 2008

    - Martinetto S., Senza la memoria, Pazzini Editore, Verucchio (RN), 2012

    - Perucci G., Una badante in famiglia: Guida pratica per una buona convivenza, Erickson,

    Trento, 2015

    - Saraceno C., Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Il Mulino, Bologna, 2003

    - Taccani P., Famiglie, anziani, lavoro di cura, i Quid Album 3 Supplemento al n. 4/2014 di

    Prospettive Sociali e Sanitarie

    Sitografia

    - www.welforum.it

    - www.vita.it

    - http://www.ingenere.it/en/node/228

    - http://www.huffingtonpost.it/2014/05/09/romania-sindrome-italia_n_5295426.html

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    i_di_origine

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    - http://www.dors.it

    Filmografia

    - Amour, Haneke M., 2012

    - Julieta, Almodovar P., 2016

    - Memofilm, Cineteca di Bologna, ASP Bologna, 2013

    - Nebraska, Payne A., 2013

    - Pranzo di ferragosto, Di Gregorio G., 2008

    - Una sconfinata giovinezza, Avati P., 2010

    - Up, Docter P., Peterson B., 2012

    - Vi presento Toni Erdmann, Maren Ade, 2016

    Ringraziamenti

    Si ringraziano:

    Daniela Farini, Agenzia Sanitaria e Sociale della Regione Emilia-Romagna, per la conduzione e

    l’analisi del World Cafè,

    Lorenza Maluccelli, ASP Bologna, per l’organizzazione e la conduzione dei Focus Group,

    Danila Guidi e Livia Franchini, Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell’AUSL

    di Bologna, per le riflessioni, l’entusiasmo e il grande lavoro in corso di svolgimento nell’ambito

    dell’obiettivo 4.2 del PRP.