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NOVEMBRE-DICEMBRE 2004

EDITORIALE

A R I M I N V M5

SOMMARIO

Hanno collaboratoAdriano Cecchini, Michela Cesarini,

Federico Compatangelo (foto),Lara Fabbri, Pier Luigi Foschi,

Ivo Gigli, Alessandro Giovanardi,Silvana Giugli, Giuma,

Aldo Magnani, Arturo Menghi Sartorio,Arnaldo Pedrazzi, Enzo Pirroni,

Sandro Piscaglia, Romano Ricciotti,Maria Antonietta Ricotti Sorrentino,

Gaetano Rossi, Emiliana Stella,Guido Zangheri

Direzione e SegreteriaVia Destra del Porto, 61/B - 47900 Rimini

Tel. 0541 52374 - E-mail: [email protected](Redazione: Park Hotel)

EditoreTipolitografia Garattoni

AmministratoreGiampiero Garattoni

RegistrazioneTribunale di Rimini n. 12 del 16/6/1994

CollaborazioneLa collaborazione ad Ariminum è a titolo gratuito

Bimestrale di storia, arte e cultura della provincia di RiminiFondato dal Rotary Club Rimini

Anno XI - N. 6 (63) Novembre-Dicembre 2004DIRETTORE

Manlio MasiniDiffusione

Questo numero di Ariminumè stato stampato in 7.000 copie

e distribuito gratuitamente ai soci del Rotary,della Round Table, del Rotaract, dell’Inner Wheel,del Soroptimist, del Ladies Circle della Romagna

e di San Marino e ad un ampio ventaglio di categorie di professionisti

della provincia di RiminiPer il pubblico

Ariminum è reperibile gratuitamente presso il Museo Comunale di Rimini (Via Tonini)

e la Libreria Luisè (Corso d’Augusto, 76,Antico palazzo Ferrari, ora Carli, Rimini)

PubblicitàPromozione & Comunicazione

Tel. 0541.28234 - Fax 0541.28555Stampa

Tipolitografia Garattoni, Via A. Grandi, 25,Viserba di RiminiTel. 0541.732112 - Fax 0541.732259

FotocomposizioneMagiComp - Tel. 0541.678872 Villa Verucchio

E-mail: [email protected] copertina: Fabio Rispoli

DALL’ALTO PER VEDERE MEGLIOUn amico, che vuole mantenere l’anonimato, dopo aver letto l’ultimo numero di

Ariminum (Settembre / Ottobre 2004) mi fa notare, con un certo disappunto, che la rivi-sta, nelle sue pagine storiche (ma non solo in quelle), ha imboccato una strada irta diostacoli e per di più procede con un’andatura troppo sbilanciata da una parte (non dicoquale, perché non ne vale la pena e non gli fa onore); inoltre, sempre a parer suo, l’a-ver posto sotto i riflettori le gesta di alcuni personaggi non limpidi nel loro trascorsopolitico, mette in discussione la credibilità stessa delle altre rubriche.

Rispondo con molta serenità, all’amico che vuole mantenere l’anonimato e aquanti al pari di lui hanno storto il naso su certe “contaminazioni”, che non ho mai pen-sato di dar vita ad un periodico che osserva il passato (ma anche l’arte e la cultura ingenere) con le categorie politiche del presente. Sono del parere che la Storia non vada“vista” né da Destra, né da Sinistra, ma, tutt’al più -passatemi il riferimento spaziale-dall’Alto. Da questa postazione il panorama, oltre ad essere più ampio e meno spezzet-tato, accomuna anziché dividere, perchè espressione di un’unica “memoria” che scatu-risce da un unico contesto geografico, sociale e culturale.

Nel rievocare il passato, quando non sono i protagonisti a parlarne e ad assu-mersi la responsabilità di quanto affermano, vengono di volta in volta citate le fonti(libri, giornali e documenti d’archivio); una prassi, questa, da me pretesa e pienamenterispettata dai miei collaboratori, tutti animati da un onesto spirito di ricerca e di verità.Se qualcuno è a conoscenza di vicende inedite, che riguardano gli argomenti trattati eche possono modificare, se non addirittura capovolgere quanto è stato scritto, si acco-modi: Ariminum è disponibile a qualsiasi “intromissione”, purché si esibiscano prove,testimonianze, fatti. Ma per l’amor di Dio basta con i soliti dibattiti sterili, incasellatigià in partenza nelle solite, inossidabili opinioni.

All’amico che vuole mantenere l’anonimato, per quel poco che vale e serve il miopensiero, dico che sarebbe ora di alzare lo sguardo oltre il ristretto orizzonte che ci for-nisce la nostra finestra di casa. E’ tempo di sapere ciò che è avvenuto dall’altra partedella strada e di capire e comprendere anche “le ragioni degli altri”, senza per questodoverle condividere. Certe scelte di fedeltà ad ogni costo ad un’idea (anche se sbaglia-ta) meritano attenzione e rispetto sia per i “camerati”, che per i “compagni”. E’ ilmomento, insomma, di caricarci sulle spalle tutto il nostro passato, senza omissioni evergogne, non per esaltarlo o rinnegarlo, bensì per conoscerlo e accettarlo così come èstato.

M. M.

IN COPERTINA“Porta Montanara”

di Federico CompatangeloPIO MANZÙ

Un arcipelago di pace, mercato, lavoro6-7

ARTEEdoardo Pazzini

La pala di Giuliano da RiminiL’arte di Armido Della Bartola

L’arte di Luciano FilippiLe favole di Cecilia Coppola

I personaggi di GiumaMeditazioni di Ivo Gigli

8-17PRIMO PIANO

Alberto Marvelli18-21

PAGINE DI STORIALa rabbia e l’orgoglio di Cleto Cucci

22-25TRA CRONACA E STORIA

Riminesi contro / Guglielmo MarconiRiminesi nella bufera / La strage di

S. BernardinoNoterelle riminesi dell’Ottocento

26-35OSSERVATORIO

“Amarcord Piazza Ferrari”36-37

PERSONAGGIEzio Gabotti

38-39LIBRI

“La ferita sanata”“Coriano e il suo Castello”

40-41POLVERE DI STELLE

“Un incontro”42-45

STORIA E STORIEI frati “farfalloni” di Covignano

46ATTUALITA

L’organo idraulico di Leonardo47

MUSICALorenzo Rinaldi, editore musicale

48-49TEATRO DIALETTALE

Amos Piccini50

NUMISMATICALa medaglia di Sigismondo e Pio II

51ROTARY NEWS

Di tutto un po52

A R I M I N V M

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bambini di Beslan sonogià scomparsi non solo

dagli schermi, ma anche dallanostra memoria”. Il filosofofrancese Andrè Glucksmannera tra i più attesi della XXXedizione delle Giornate inter-nazionali di studio, l’eventoriminese organizzato dalCentro Pio Manzù. Il suointervento è stato all’altezzadelle aspettative ed ha rappre-sentato il momento emotiva-mente più alto di una manife-stazione che ha saputo coniu-gare cronaca e storia, attualitàed analisi retrospettiva, in unmix d’interesse che costituisce–da trent’anni– la peculiaritàdelle iniziative del centroriminese.“Isole senza arcipelago”, que-sto il titolo del convegno, hariscosso come sempre ungrande successo di pubblico edi stampa. Il cocktail inventatoda Gerardo Filiberto Dasi,creatore e segretario dell’isti-tuto che ha sede a Verucchio,non ha mai tradito i palati finiche cercano nelle iniziativeculturali non già la vetrina dei“sapientoni”, ma la dialetticavera tra esperti di varie disci-pline.“Abbiamo aggiustato il tirorispetto alle ultime edizioni–dice Dasi-, nel senso chesiamo, se si vuole, ritornati dipiù alle origini e all’identitàdel Centro Pio Manzù, chefonda la sua missione sullainterdisciplinarietà della ricer-ca culturale”. Tradotto in ter-mini più semplici e concreti,vuol dire che alle Giornate diRimini hanno parlato di eco-nomia non solo gli economi-sti, di pace non solo i pacifisti,di idee non solo gli intellettua-li. E’ successo cheGlucksmann ha riportato l’at-tenzione sul dramma ceceno,ma che altri, come l’economi-

sta americano liberista,Michael Novak, hanno difesola necessità dell’intervento inIraq. E’ successo che sei (ben6!) economisti di valore mon-diale stessero a discutere quale

sia la migliore via d’uscita daun sistema competitivo globa-le che, se ha il merito di ren-dere possibile l’acquisto di unidentico telefonino dal poloSud a polo Nord, non ha affat-

to risolto il problema dellaridistribuzione del reddito trapaesi ricchi e paesi poveri.Si è discusso, per esempio,della competitività dei paesiemergenti, della Cina in primoluogo, che da terra di conqui-sta delle più ardite aziendeoccidentali diventerà (c’è chigiura in venti anni) la piùimportante potenza economicadel pianeta dopo gli StatiUniti, ponendosi in alternativaalla stessa Unione Europea.Quell’Europa che un altroinsigne economista francese,Christian Saint-Etienne, invitaa uno scatto “di orgoglio e dirigore”, perché dal suo allar-gamento (a quando l’ingressodella Turchia?) non deriveran-no solo benefici, ma nuovi ele-menti di concorrenza per glistati fondatori dell’Unione.Si è parlato anche di lavoro.Tema niente affatto scontato,se si considera che il 50% deigiovani italiani che entranoper la prima volta nel mondodel lavoro ha un contratto atempo determinato o flessibi-le, o comunque non di lungoperiodo. “Lavoro, non lavoro,quasi lavoro…”, declinavauno dei seminari nel quale sisono confrontati esperti diquesto ramo, a partire dal pre-sidente dell’IG Metal, JurgenPeters, il potente sindacato deimetalmeccanici tedeschi cheha deciso di fare marcia indie-tro sulle 35 ore settimanali(tornando a 40) per salvare –perché di questo si tratta –centinaia di migliaia di postidi lavoro destinati ad esseresoppressi a causa della minac-ciata delocalizzazione dellegrandi aziende tedesche all’e-stero.Le giornate riminesi hannoportato come sempre una ven-tata di internazionalità sulle

NOVEMBRE-DICEMBRE 2004

PIO MANZÙ

A R I M I N V M

LA XXX EDIZIONE DELLE GIORNATE INTERNAZIONALI DI STUDIO

UN ARCIPELAGO DI PACE, MERCATO E LAVOROUNA MANIFESTAZIONE CHE CONIUGA CRONACA E STORIA, ATTUALITÀ ED ANALISI

Mixer

6

“Il cocktail inventato da Gerardo Filiberto Dasi,

creatore e segretario dell’istituto

che ha sede a Verucchio,

non ha mai tradito i palati fini che cercano

nelle iniziative culturali non già la vetrina

dei ‘sapientoni’, ma la dialettica vera tra esperti

di varie discipline”

I“

“Le giornate riminesi

hanno portato come sempre

una ventata di internazionalità

sulle sponde dell’Adriatico”

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sponde dell’Adriatico. Il pre-sidente croato Stepjan Mesic eil primo ministro di LibiaShukri Mohammed Ghanem,hanno raccontato l’esperienza,opposta e speculare, di duepaesi che solo di recente, perdiverse vicende storiche, siriaffacciano alla ribalta delmondo: il primo, la Croazia,proponendosi con la Sloveniaa leader economico della rina-scita dell’area balcanica dopola guerra jugoslava; il secon-do, riconquistandosi il ruolosecolare di ponte versol’Africa, paese d’immensacultura e altrettante ricchezzeche ha saputo sempre stupire,nel bene e nel male, attraversola figura del suo leader cari-smatico, Gheddafi.

Le giornate di Rimini 2004,infine, hanno riconquistatol’interesse dei massimi verticidel Governo italiano. A porta-re il saluto dell’esecutivo èvenuto il ministro ClaudioScajola.“Abbiamo girato la boa deitrent’anni – riprende Dasi – enavighiamo in mare aperto. Ilprossimo anno riprenderemoancora alcune della grandisfide dell’umanità: il tempopassa, ma l’uomo ha ancorabisogno di pace, coesistenza,sviluppo economico equilibra-to. Sempre più, paesi e popolisono accomunati e al contem-po dispersi e isolati nell’ocea-no della storia”. Come isolesenza arcipelago, appunto.

NOVEMBRE-DICEMBRE 2004

PIO MANZÙ

A R I M I N V M7

‘Abbiamo aggiustato

il tiro

rispetto alle ultime

edizioni –dice Dasi-,

nel senso che siamo,

se si vuole,

ritornati di più...

...alle origini

e all’identità

del Centro Pio Manzù,

che fonda

la sua missione

sulla interdisciplinarietà

della ricerca culturale’

Sopra e nella pagina precedente: alcune

panoramiche del tavolo dei relatori della XXX edizione

delle Giornate Internazionali di Studio.A destra:

Gerardo Filiberto Dasi con il presidente croato

Stepjan Mesic.Sotto: il ministro

Claudio Scajola mentre consegna la Medaglia d’Oro

della Camera dei deputati a Mario Guaraldi

per la sua lunga e qualificataattività di editore.

“Il prossimo anno

riprenderemo ancora

alcune

della grandi sfide

dell’umanità:

il tempo passa...

...ma l’uomo

ha ancora bisogno

di pace,

coesistenza,

sviluppo economico

equilibrato”

MARIO GUARALDIMedaglia d’Oro della Camera dei Deputati a Mario Guaraldi. Profeta di una nuova economia del libro nell’era di Internet – dal-l’editoria on-line all’e-book e al “Print on demand” di cui è unanimemente riconosciuto come il massimo teorico, Mario Guaraldi,

piccolo editore riminese per scelta, guida dal 1971 il suo “laboratorio editoriale” (come ama definire lasua Casa editrice). Editore di riferimento della contestazione studentesca del ‘68, nato e risorto almeno treo quattro volte nella sua carriera, editorialista su vari giornali, organizzatore di eventi librari, teatrali ecinematografici in varie parti del mondo, Mario Guaraldi si è sempre caratterizzato per la sua forte pas-sione culturale –dalla psicoanalisi all’educazione– e per la marcata predilezione per lo scouting di nuovitalenti. Nel suo catalogo storico si trovano autori e tematiche spesso profeticamente anticipatrici della real-tà attuale. Polemista di natura e carattere, spesso in rotta di collisione con la burocrazia istituzionale e conla macchina editoriale italiana, il Centro Pio Manzù intende riconoscerne pubblicamente il coraggio, l’im-pegno civile, la lungimiranza e la tempra di autentico uomo di cultura del nostro tempo.

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iù volte la critica mi hadefinito “il poeta del colo-

re” e tale definizione non mi èdispiaciuta. Forse questa poe-sia mi viene ispirata dal miopaese natio, Verucchio, riccocon i suoi dintorni, di naturalibellezze, da cui ho tratto ingran parte motivi per i mieidipinti. Con queste parole, scritte nel1949, il noto pittore EdoardoPazzini (1897-1967) ricono-sceva esplicitamente il tonolirico della sua arte e l’inscin-dibile legame tra questa e ilproprio paese natio, che domi-na con il suo inconfondibileprofilo fortificato la valle delMarecchia. Essa è stata da luiritratta innumerevoli volte nelcorso della lunga attività, nellaluce del meriggio estivo o inquella plumbea dell’inverno,sotto il candido manto dellaneve o nel verde rigoglio dellaprimavera. Temi ricorrentidella sua pittura e conosciutiai più sono i suoi declivi pun-teggiati dalle sagome filiformidei pioppi e dalle massiccefronde delle querce, i campicoltivati ed animati dalle colo-niche, con le aie popolate digalline e vegliate dalle roton-deggianti sagome dei pagliai,gli uomini intenti ai lavoriagresti o a percorrerne le stra-de su carri trainati da buoi, ledonne a lavare i panni nelleargentee acque del fiume. All ’aprirsi del nuovo anno, dal15 gennaio al 6 febbraio 2005,sarà possibile ammirare talisoggetti nella mostra antologi-ca dedicata all’artista veruc-chiese ma riminese d’azione.Tranne la giovanile permanen-za per frequentare l’Istituto diBelle Arti a Roma, dove rise-dette presso il celebre zioNorberto e il ritorno al paesenatale durante la secondaguerra mondiale e negli anniimmediatamente successivi

(quando ricoperse anche lacarica di sindaco), Pazzini tra-scorse in Rimini buona partedella sua vita. Qui dal 1929insegnò disegno alla Scuola di

avviamento industriale e neldopoguerra al Liceo Serpieri.Le novanta opere che trove-ranno posto nelle quattro saleal primo piano del Palazzo delPodestà, per la maggior parteinedite, sono state scelte inseguito ad un paziente lavorodi ricerca presso privati colle-zionisti. In molti casi conritrosia, essi hanno acconsen-tito a privarsi delle amateopere per il tempo dell’esposi-zione, testimoniando anchecosì la predilezione dei rimi-nesi per i pittori vissuti nellaloro città e che hanno immor-talato con la loro arte sia gliangoli suggestivi del centrostorico che le colline circo-stanti. Il molo, PortaMontanara, il Ponte sull’Ausa,

il Colle di Covignano sonoalcuni dei soggetti delle vedu-te riminesi del Pazzini presen-ti in mostra e poco noti.All ’interno dell’esposizione,ordinata per sezioni tematiche,ampio spazio troverà il generedella natura morta, praticatofin dalla fine degli anni Venti eche annovera fra le sue provemigliori alcuni dipinti apastello, solidi nella costruzio-ne dei volumi ma delicati nellaresa tattile dei frutti. Nel corsodella lunga attività artistica,svoltasi dagli anni Venti allafine degli anni Sessanta consuccesso, come testimonia lapartecipazioni a numerosemostre collettive e l’organiz-zazione di mostre personali invarie città italiane, egli si èabilmente espresso con diversimezzi pittorici, dall’olio alpastello, all’acquerello, dallachina alle matite colorate finoal lampostyl. Oltre ai dipintieseguiti con tali tecniche, inmostra sarà possibile vedere,grazie all’amabile collabora-zione e disponibilità del figlioGiorgio, anche la cassetta dicolori dell’artista, con i suoiadorati pastelli Léfranc ed itubetti ad olio Watteau.Come lo scorso anno l’esposi-zione dedicata a LuigiPasquini – coetaneo e vicinodi casa di Pazzini a Rimini,come lui professore di disegnoe presente più volte alle mede-sime rassegne di pittura – lamostra è promossadall’Assessorato alle PoliticheAmbientali del Comune diRimini. E’ infatti collegata allagara di pittura estemporanea Icolori della città che il 18aprile 2004, nell’ambito delledomeniche ecologiche, ha ani-mato le vie e le piazze del cen-tro storico di Rimini di artistiintenti a dipingere. Ecco per-ché tra le antiche mura delPalazzo del Podestà, in unospazio separato da quello del-l’antologica del Pazzini, trove-ranno posto anche le opere deivincitori dell’estemporanea.

*curatrice della mostra

NOVEMBRE-DICEMBRE 2004

ARTE

A R I M I N V M

EDOARDO PAZZINI / LA MOSTRA

POETA DEL COLOREMichela Cesarini*

8

P

Natura morta con limoni, 1929,pastello su carta, cm. 20,5x32,5(Rimini, collezione privata) Molo di Rimini, 1939,

olio su tela, cm. 23x37,5(Rimini, collezione privata)

Dal 15 gennaio

al 6 febbraio 2005,

al primo piano

del Palazzo del Podestà,

in piazza Cavour,

mostra antologica

dedicata

all’artista verucchiese.

Novanta

le opere esposte

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ra il solo che non parlassemale di me; il solo che

usasse nei miei riguardi espres-sioni civili. Tutti gli altri inse-gnanti, durante i periodiciincontri che avevano con miopadre, come mettevano a fuocoil nome partivano in trombacon una sfilza di giudizi negati-vi da far rizzare i capelli. ConEdoardo Pazzini, invece, pro-fessore di disegno e storia del-l’arte del Liceo scientifico“Alessandro Serpieri”, la musi-ca cambiava ed io tornavo adessere uno studente quasi nor-male; solo «un po’ vivace».Quel colloquio a più voci erauna sofferenza per mio padre,ma l’affrontava con cristianarassegnazione sentendosiresponsabile in parte della miairrequietezza per avermi sem-pre lasciato fare ciò che volevo:era convinto che prima o poi misarei dato una calmata, avreimesso la testa a posto.Sul finire degli anni Cinquantanon ero uno stinco di santo e sec’erano da fare scherzi a com-pagni e insegnanti non ero ioquello che si tirava indietro. Inqueste “furbizie” da ragazzitrovavo l’ossigeno per soprav-vivere alla noia della mattinata,per non arrugginire inchiodatotra i banchi: la scuola non miinteressava più di tanto, anziavevo sentore che mi intorpi-disse la fantasia, ero in pienodisordine mentale, confuso datante distrazioni; le amicizie ele letture preferite erano tuttefuori da quelle lugubri e incolo-ri aule di via Cairoli. ConPazzini, “il buon Edoardo”come lo chiamavamo, il miocomportamento era diverso:durante le sue lezioni frenavo ilmio istinto ribelle e vuoi perchéero bravino nel disegno e vuoianche perché sapevo di un rap-porto di antica amicizia conmio padre (entrambi del 1897avevano fatto insieme un breve

percorso scolastico), ero piùdocile, meno sfrontato, insom-ma cercavo di controllarmi.Pazzini, del resto, sapeva farsivoler bene dagli studenti:innanzi tutto li rispettava e lacosa, in quel periodo, eraun’eccezione, data l’intolleran-za talebana –diremmo oggi-dei docenti, e poi era generosonelle valutazioni. Inoltre nonperdeva mai la calma neanchequando si accorgeva che qual-cuno, anziché disegnare, se nestava in tutt’altre faccendeaffaccendato. Il più delle volte,fingeva di non vedere. Aveva ilvolto serio dietro al quale, tutta-via, celava una fondamentalebonomia e il sorriso, seppureindurito da tratti di mestizia, eramolto rassicurante. Si può direche le sue due ore settimanali,dopo i patimenti della matema-tica e del latino, erano una ven-tata di aria fresca e distensiva.Impostata la lezione, di tanto intanto “il buon Edoardo” se nestava seduto dietro la cattedra arimirare i propri dipinti, chesistemava con cura sul cavallet-to alla sua destra. Con un pizzi-co di civetteria li posizionavaleggermente di sbieco in modoche ricevessero la luce del fine-strone, ma soprattutto che fos-sero visti anche da noi, sparpa-gliati in quella grande aula didisegno. Se li guardava com-piaciuto reclinando leggermen-te il capo ora da una parte oradall’altra a cercare l’effettomigliore per gustarseli, come fala mamma con il bambinoquando dorme nella culla.Questo accarezzare con gliocchi la propria creatura, pensoche gli servisse anche comestudio preparatorio per succes-sivi lavori. Durante questimomenti di meditazione,Pazzini desiderava che qualcu-no di noi intervenisse sulla suaopera, non per ricevere un giu-dizio (eravamo ancora troppo

acerbi per esprimerlo), ma perfare “salotto” sulle impressioniche maturava dentro, per infila-re la solita “chiacchierata” fuoriprogramma sulla prospettiva,che «andava religiosamenterispettata», e sugli impasti cro-matici necessari per imprimere«profondità di campo». In que-sti casi girovagava intorno alquadro con eloquio pacato eassorto evidenziando la lucen-tezza dei primi piani, l’efficaciadi alcune pennellate “di mestie-re” e l’inquadratura che dovevasempre tenere conto della«poetica dei sentimenti».Avevo simpatia per lui e mi pia-cevano i suoi oli. Ricordo ledelicate vedute della “sua”Verucchio, i suggestivi scorcidella Valmarecchia, i silentisentieri delle nostre colline, icasolari e le aie con le gallinel-le, i pagliai, l’erba appena fal-ciata, i contadini aggrappati aibuoi e le lavandaie sul greto delfiume intente nell’antico ritualedel bucato. Ma oltre alla pittura,apprezzavo la semplicità e lacompostezza delle sue rifles-sioni, così misurate e persuasi-ve.Un giorno, in terza liceo -nonso chi mi avesse pompato adovere o che cosa mi frullassein testa-, mentre il professoredisquisiva su un “Paesaggioromagnolo”, appena dipinto eancora pregno dell’odore acredei colori, solo per la smania diessere irriverente e di far ridac-chiare i compagni, gli dissi abruciapelo: «Ma professore,questa roba ormai è sorpassata,andava bene nell’Ottocento,oggi ci si esprime diversamen-te, va di moda l’astrattismo. Hapresente il prof. Dasi… ». Nonl’avessi mai detto. Mi interrup-pe bruscamente e furibondo,storcendo più del solito labocca, iniziò a farfugliare paro-le increspate di stizza su quelgenere moderno di espressività:

«robaccia che non ha niente ache fare con l’arte», «rifugio dichi non sa dipingere», «campodi battaglia per mercanti senzascrupoli» … e chi più ne ha nemetta.Con il “conterraneo” GerardoFiliberto Dasi, che in quelmomento era interprete di unlinguaggio pittorico astrattoportato agli eccessi, oltre checritico e promotore di incontrisul superamento del figurativo,aveva in corso una polemicache lo amareggiava fortementee che dall’arte, di lì a poco,avrebbe addirittura debordatoin politica. Sapevo di questaquerelle per averla letta suigiornali, ma non immaginavofino a che punto lo disturbasse egli fosse indigesta. Dalla scom-posta reazione capii che avevomesso il dito nella piaga; senzavolerlo l’avevo buttata sul per-sonale e così facendo avevoesagerato, anzi, avevo sorpassa-to i limiti e tradito la sua fidu-cia. Una tale cattiveria da menon se la sarebbe mai aspettata.Ingoiò amaro. Tolse il dipintodal cavalletto e si mise a cam-minare nervosamente tra i ban-chi con il volto ingrugnito e losguardo perso nel vuoto sino alsuono della campanella.Fu la prima e l’unica volta cheil mio insegnante di disegno,“ilbuon Edoardo”, perse le staffe.Nonostante la pugnalata nellostomaco continuò a dir bene dime con mio padre.

NOVEMBRE-DICEMBRE 2004

ARTE

A R I M I N V M

EDOARDO PAZZINI / UN RICORDO

IL MIO PROF DI DISEGNOManlio Masini

9

E

Edoardo Pazzini ripreso da Enzo Maneglia nel 1963.

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l Rinascimento ha radicimolto più antiche di quel

che comunemente s’insegnanelle scuole. Tuttavia qui nons’intende far ovvio riferimentoall’imitazione della classicitàgreco-romana, bensì ricordareche le vere fonti della sorpren-dente esplosione di talenti arti-stici nella nostra penisola fraQuattrocento e Cinquecento,non sono italiane bensì bizan-tine, figlie di quella luminosaCostantinopoli dove la civiltàlatina ed ellenica non è maitramontata. Il rinnovamento,difatti, risale ad un’altra esplendida Rinascenza, quelladella dinastia Paleologa che, frail XIII e il XIV, secolo fecondòl’alba dell’Umanesimo, ovverol’età di Dante e Cimabue, diDuccio e Giotto, di Petrarca eSimone Martini e, attraverso lasplendida provincia balcanica,ispirò l’arte pittorica adriaticae in modo particolare laScuola Riminese del Trecento.Tuttavia l’ispirazione orienta-le della nostra arte ha fonti benpiù antiche, che la alimentanoalmeno dal V e VI secolo. Ineffetti, chi ripercorrere ilcammino verso le sor-genti della pittura sacrae devozionale in Italia,risalendo fino ai pri-missimi e commoventiesempi di retabli, dos-sali e pale d’altare, siaccorge immediata-mente che le più anti-che tavole medioevalidella nostra penisoladevono la loro esisten-za e la loro strutturastilistica e concettualeall’incontro con leicone della Chiesaorientale. Tanto è veroche ancora oggi si dis-cute se alcuni dipintidell’Età di Mezzo pre-senti nel nostro paese

originale (Gen. III, 1-24);albero che, alludendo allalignea Croce del Redentore,ora cresce, splendidamenterivestito d’oro e colori su quel-l’ara sacramentale che per gliantichi Padri è l’emblema delCuore eucaristico delSalvatore.In questo senso anche lapala trecentesca della“Incoronazione dellaVergine”, lo sfolgorantetrittico di Giuliano daRimini, appartenuto alDuca di Norfolk ed acqui-stato nel 1996 dallaFondazione Cassa diRisparmio di Rimini è unesempio superbo di comel ’arte pittorica rimineseabbia saputo ricercare unapropria complessa identitàestetica e spirituale. Nel suolinguaggio pittorico sono stateaccolte e reinterpretateinfluenze assai diverse, masempre modulate su quegliantichi significati rituali delCristianesimo antico e bizanti-no, la cui bellezza si respiravaancora nella Rimini adriatica

del XIV secolo, così vicinaal mondo greco e balca-nico. L’opera, deposita-ta nelle sale dei MuseiComunali,è forse unodei doni più belli chela Fondazione hafatto alla propria città,

riportando in patriauna testimonianza cosìnobile delle sue radiciculturali e religiose.

Tanto più che il polit-tico dopo un recente edaccuratissimo restauroè tornato ad esprimersiin tutta la pienezza delproprio complesso lin-guaggio formale e teo-logico. Il lento e meti-coloso lavoro, infatti,

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ARTE

A R I M I N V M

SCUOLA RIMINESE DEL TRECENTO / INCORONAZIONE DELLA VERGINE DI GIULIANO DA RIMINI

UNA PALA “GIOTTESCA”MA CON UNA PROPRIA IDENTITÀ ESTETICA E SPIRITUALE

Alessandro Giovanardi

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I

“La Fondazione Cassa di Risparmio

darà alle stampe per il periodo natalizio

un importante volume dedicato

al polittico di Giuliano

ed ai nuovi orizzonti filologici, critici

ed interpretativi che il restauro ha dischiuso

per la conoscenza della pittura

a Rimini nel XIV secolo”

siano d’importazione bizanti-na o testimonianze di maestriorientali operanti in Italia oancora repliche italiane di ori-ginali greci. D’altra parte nonè un caso se fin da quei tempile tavole a fondo oro, sonostate chiamate “ancone”, stor-piando proprio il terminegreco “icone”. Eppure, rispet-to all’inebriante cosmo dellaliturgia orientale che trova lasua massima espressionemistica nelle immagini sacredel “templon” o dell’icono-stasi, la pittura su tavola, inOccidente, riveste unruolo spirituale

altrettanto importante madiversamente interpretato. Lepale, ad esempio, vengonoposte sull’altare dove il pre-sbitero celebra l’Eucarestiaripetendo in modo reale edallo stesso tempo incruento ilSacrificio di Cristo. In uncerto qual modo la pittura sutavola rende visibili i Misteriineffabili della fede cristiana,attraverso immagini preziose eluminosamente ascetiche;inoltre la sua struttura lignea

simboleggia anche l’Alberodella Vita, perduto dai

nostri Progenitori inseguito al peccato

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ha ridato alla pala d’altare, perquanto è stato possibile, il suostatuto estetico e spirituale ori-ginario. La restituzione di undipinto di tali dimensioni e ditale qualità artistica alla suaautentica costituzione pittori-ca è stata l’occasione per unaapprofondita e necessariariflessione estetica, storica escientifica, intorno alla strut-tura materiale e alla sostanzaculturale di questo capolavorodella scuola riminese delTrecento. In effetti laFondazione Cassa diRisparmio darà alle stampeper il periodo natalizio unimportante volume dedicato alpolittico di Giuliano ed ainuovi orizzonti filologici, cri-tici ed interpretativi che ilrestauro ha dischiuso per laconoscenza della pittura aRimini nel XIV secolo. Illibro, oltre alla doverosa ecapillare ricognizione tecnicadi Adele Pompili che è stata lasapiente artefice del pienorecupero dell’opera, accoglie-rà un saggio di VincenzoGheroldi dedicato al supportomateriale del dipinto ed allesingolarissime tecniche pitto-riche e decorative di Giuliano.Spetterà a Fabio Massaccesimettere in luce i risultati di unfaticoso scavo di ricerca suidocumenti riguardanti la pro-venienza originaria della pala,identificabile probabilmentecon il polittico della scompar-sa chiesa di San Giorgio inForo, che doveva essere ubica-ta, più o meno, all’altezza del-l’orologio dell’attuale PiazzaTre Martiri. Infine, adAlessandro Volpe sono statiaffidati sia la presentazionegenerale del libro sia un nutri-to saggio intorno all’opera diGiuliano che completa il suorecente lavoro Giotto e iRiminesi (2002). Nell’attentae difficilissima ricostruzionefilologica e culturale dellascuola pittorica riminese, sem-bra che si possa avanzare unapiù antica datazione dellagrande pala, non successiva alsecondo decennio del XIV

Secolo, proprio quando sorgee si diffonde l’uso di dipingerepolittici complessi e moltoelaborati: se confermata, que-sta nuova acquisizione dellacritica renderebbe il raffinatolavoro del pittore rimineseancora più pregiato ed entusia-smante. Tuttavia, volendo guardarecon maggiore finezza spiritua-le all’opera, è chiaro che ilsimbolismo, inteso quale voltovisibile ed intelligibile delsacro, resta una delle dimen-sioni più affascinanti di questa“ancona” di Giuliano. La pala,in effetti, si organizza su unastruttura concettualmente anti-nomica, pittoricamente con-traddittoria, perché intendemanifestare la Gloria delSalvatore e della Vergine econtemporaneamente la dolo-rosa umiliazione del Verboincarnato e crocifisso. Così ilregistro inferiore dei pannellicelebra con solennitàl’Incoronazione della Madredi Dio da parte del Redentore,che è quasi il centro di unasilenziosa processione diSanti, fra cui spicca un sanGiovanni Battista meraviglio-samente penitenziale avvoltoin un grande drappo viola qua-resimale. L’incoronazione sirivela come un atto di squisitagestualità cortese, ricalcato suimodi raffinati del gotico, chemette in luce la perfetta bel-lezza intellettuale di un gestoinsieme regale e liturgico:incarnandosi nella Madre diDio, il Verbo incircoscrivibile

del Padre si è misteriosamentecircoscritto e, come cantaDante, Maria ha nobilitato lanatura umana in modo tale«che ’l suo fattore / non disde-gnò di farsi sua fattura» (Pd.XXXIII, 5-6). Qui il Cristo,splendido Re ed eleganteministro dell’incoronazione,è, per usare le espressioni disan Paolo Apostolo, la visibile«immagine dell’invisibileDio» (Col. I, 15), il «riflessodella Gloria di Dio e l’impron-ta della sua sostanza» (Eb. I,3): in Lui veramente «abitacorporalmente tutta la pienez-za della Divinità» (Col. II, 9).Al contrario, le cuspidi delpolittico si concentrano piut-tosto sul racconto dellaPassione di Gesù, narrandoce-ne la derisione, la crocifissio-ne ed il doloroso seppellimen-to a cui segue il compiantofunebre. Qui la vivacità giotte-sca s’incontra con quei trattideformi ed espressionisti chedistingueranno il genio fiam-mingo di Bosch e di Brueghel.Queste scene sovrastano laluminosa intronizzazionedella Vergine Maria per manodel Cristo Re, allo stessomodo in cui la tragica fine delFiglio ne precede il gloriosorisorgere e la definitiva risalitadagli Inferi. Attraverso il feli-ce pennello del rimineseGiuliano, la Tradizione dellaChiesa ha officiato, in tutto ilsuo significato iniziatico, ilmistero culminante dell’annoliturgico, ovvero la Pasqua,narrandoci la morte e la sepol-

tura del Cristo e suggerendocila regale Resurrezione.Soprattutto nella scena delcompianto del Cristo morto,dipinta con gusto schiettamen-te bizantino nella cuspide delterzo pannello, sembra rivelar-si una rappresentazione effica-cemente sintetica del drammastorico, rituale e mistagogico,in cui il fedele è invitato a imi-tare Cristo, a morire e a dive-nire egli stesso, per usare l’e-spressione insuperabilmenteaudace degli antichi Padri, undio. Si tratta dello scenario ini-ziatico battesimale ed eucari-stico annunciato dal “De pro-fundis” del profeta Giona,disceso nell’abisso fino alle«radici dei monti» (Gio. II, 2-11). La densità di senso e lamolteplicità di stili che s’in-tessono in quest’opera dimo-strano che l’importanteinfluenza di Giotto, giusta-mente posta all’origine deicapolavori della scuola a cuiappartiene Giuliano, non devefarci dimenticare la forte pre-senza di elementi arcaizzanti,che risalgono all’arte delDuecento e ai canoni asceticied alle atmosfere ieratichedell’Oriente paleologo. La stu-pefacente duttilità dimostratanell’indirizzarsi verso l’equili-brio classico dello stile giotte-sco o le eleganti variazioni delgotico cortese, di rinnovarsisenza dimenticare l’immemo-rabile eredità pittorica bizanti-na,è dovuta al fatto che l’anti-co patrimonio dei cosiddetti“primitivi” medioevali, per-mane nella scuola riminese,non come un tratto di scarsocoraggio o d’insensibile con-servatorismo, bensì come unaspetto consapevolmentevoluto, come un elementocolto e ben pensato, per cuiogni “rinascenza”, come chia-ramente dimostra il trittico diGiuliano, deve essere illumi-nata da radici antiche e tra-sformata in una mirabile sinte-si di forma e contenuto, in unfitto tessuto d’incomparabileraffinatezza artistica e spiri-tuale.

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ARTE

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“L’opera, depositata nelle sale dei Musei Comunali,

è forse uno dei doni più belli

che la Fondazione Cassa di Risparmio

ha fatto alla propria città, riportando in patria

una testimonianza così nobile

delle sue radici culturali e religiose.

Tanto più che il polittico dopo un recente

ed accuratissimo restauro è tornato ad esprimersi

in tutta la pienezza del proprio complesso

linguaggio formale e teologico”

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on è perché Armido DellaBartola ha saputo affronta-

re con sguardo schietto edaustero alcune immagini tradi-zionali dell’arte cristiana che misento chiamato a parlare delsignificato spirituale delle sueopere. Si tratta di una pretesa,forse invadente, ma che mi èrisultata del tutto spontaneaentrando in contatto col suolavoro. Dai tanti elementi dellasua attività prolifica e sempreoriginale, mi sembra che emer-ga anzi traspaia, un senso nonconfessionale ma vigorosamen-te religioso di tutto il suo opera-re. Nella sua personalità gioio-sa, nella sua ironia dirompente,nel suo amore diretto e divertitoper tutti gli aspetti della vita, tra-luce l’estrema riservatezza di unpittore eremita, il cui trattoessenziale è la fedeltà a se stes-so. Della Bartola, infatti, nondice, né scrive molto intornoalla sua pittura: bisogna costrin-gerlo. Preferisce raccontareaneddoti che richiamano emo-zioni ed intuizioni, solo inseguito cristallizzate nei singolidipinti. È un gioco di rimandi, acui occorre far attenzione permeglio comprendere e megliovedere le sue opere. Il suo desti-no d’artista si è nascosto, persopravvivere, per maturare eforse per proteggersi, sotto lementite spoglie del calzolaio,dello studente appassionato esaltimbanco, del maestro, del-l’ufficiale esperto in geografia edel disegnatore meccanico. Vi èdella «vera religione», comedirebbe Williams CarlosWilliams, nel suo gusto per laschiettezza rude e schiva e inquel senso della necessaria soli-tudine che contraddistingue gliartigiani più solidi (solo fra iquali è lecito ricercare gli artistiveri). Nella sua pittura si puòcogliere, inoltre, un tratto den-samente “romantico”, non sen-timentale, ma visionario, per cuila sua attenzione si concentra

ripetutamente su soggetti similie “aureolati”, particolarmenteeloquenti, al fine di suggerire lapropria concezione del mondo.Visioni sì, ma scaturite dallarealtà concreta, dalla fedeltàalla vita, alla terra, alla carne.

Questo linguaggio così intensoe partecipato motiva le tinteabbaglianti o a volte cupissime,mai moderate, del suo pennello.Gli oggetti e i personaggi diDella Bartola, come l’erba neigiorni di pioggia o come lacampagna sotto un cielo scuro,in attesa di un violento tempo-rale estivo, tanto più s’accendo-no quanto più si fa profondal’ansia plumbea dell’atmosferain cui sono immersi. Qui si

gode l’amore tutto romantico,tutto religioso dei contrasti chemeglio dicono il mondo e il suosenso. Ed è qui che un alberosolitario, dipinto bello edinquietante come non mai,meglio ricorda, con devozioneasciutta, il corpo del Cristo sullacroce ritratto su un’altra tela. Viè poi il fascino sempre incom-bente del mare con la sua vio-lenza fisica e mitologica, caricodi destino e di rivelazioni, di cuivengono investite le realtà chegli appartengono: gli umili cer-catori di vongole, gli scogli, lebarche abbandonate nel miste-rioso silenzio della neve o quel-le ridotte a relitti rosicati dallasabbia. È la storia umana che ilpittore racconta, o meglio la suadolorosa saggezza, narrata consguardo lucido e consapevole: iresti di una misera barca nonsono meno commoventi o signi-ficativi della Rimini devastatadai bombardamenti dell’ultimoconflitto mondiale, per la cuirappresentazione l’Autoreaccentua i registri cromatici piùangoscianti e così rinnova lamemoria dell’orrore e sollecitala risposta delle coscienze.La vitalità vulcanica di questopatriarca della pittura riminesecontemporanea, non poteva checomunicarsi nella struttura geo-metrica, piuttosto rigorosa, deisuoi lavori. In effetti le opere

qui esposte (si guardino, adesempio, i paesaggi) sono comepietre laviche in cui si è coagu-lato il magma e si è fatto cristal-lo. Si tratta di veri e propri vetrida cattedrale, scelti con cura efinemente piombati. Attraversodi essi si diffonde, con esattezza

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L’ARTE DI ARMIDO DELLA BARTOLA

FEDELE A SE STESSOAlessandro Giovanardi

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Armido Della Bartola, Il Marecchia a Ponte Santa MariaMaddalena,2000, olio 70X50

Armido Della Bartola, Cristo, 1980,

olio 45X70

Armido Della Bartola, Mare negli scogli, 2002, olio 40X50

matematica, quella luce neces-saria a mostrare, non la realtàesterna alla tela, che poco gliinteressa, ma ciò che è moltopiù vero della dimensione quoti-diana e sensibile: le cose e lepersone dipinte in uno spazioorganizzato come una sobria maintensa meditazione. Si trattanon di fuggire il mondo ma diaffrontarlo e di spogliarlo, diattraversarlo fino all’essenziale.Così si offre a noi una vivida eforse inconsapevole metafisicadelle cose umili, delle realtà cherestano quelle vitali e per questostrazianti.

Da 2 ottobre al 2 novembre2004, il Comune di San Leoha dedicato ad ArmidoDella Bartola una grandemostra antologica dal titolo“Una vita a colori”. Lamostra, esposta nei salonidel Palazzo Mediceo e cura-ta da Gianni Valentini, èstata presentata e valorizza-ta nei suoi aspetti critici daGerardo Filiberto Dasi e daAlessandro Giovanardi.

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V I A M E N T A N A 1 7 / A - R I M I N IT E L . - F A X : 0 5 4 1 . 5 5 1 0 8

M o n t b l a n c Sta r Wa l k e rM e t a l Ru b b e r

M o n t b l a n c Ti m e Wa l k e rM o v i m e n t o m e c c a n i co a c a r i c a a u t o m a t i c a

Ca s s a i n a c c i a i o 4 2 m m

Ve t ro z a ff i ro b o m b a t o a n t i g ra ff i o e a n t i r i f l e s s o

Sw i s s ma d e by M o n t b l a n c

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dalla vita, briciole di luce; èpermeata dal tempo muto,dalla concentrazione. Si dis-tendono qua e là delle mac-chie, anche grandi, viluppi otessiture di materia. Soltantomacchie, ma dicono tutto:

ittore classico eppure unapittura mai esistita prima,

del tutto nuova. Ha avuto vali-di maestri per la tecnica, ma poiha proseguito da solo, ha cer-cato se stesso col lavoro assi-duo, nella latitudine del silen-zio, che è in ogni quadro. Siconiugano, nei dipinti diLuciano Filippi, motivi chesono sempre stati distanti traloro, se non opposti. Il figura-tivo e l’astratto, la sapienzacompositiva e la casualità, chenon è arbitrio, risponde all’ur-genza dell’istinto. Il raccontofigurale risulta subito leggibileda chiunque e assume rilevan-za di interesse quanto più illettore ha consuetudine conl’arte contemporanea. Ancheper quanto attiene al procedi-mento esecutivo l’autoreesprime originalità. Ha inven-tato il proprio medium, l’alfa-beto di un linguaggio che tra-duce fedelmente le emozioniin segni, immagini e colori.Certe opere sono definibili coltermine di “materiche”. Se sipassa con le dita sulle superfi-ci delle tele si avverte unarugosità più o meno spessa,che a giusta distanza, non èrilevabile. Più che alla tavo-lozza viene da pensare adimpasti alchemici variamentecomposti da gesso, tempere,calce, polvere di marmo, resi-ne, collanti oltre ai consuetipigmenti ad olio. La grafiaspesso scava i colori, scandi-sce ora con tracciati filiformi,mobili, ora con graffiaturedecise i confini delle immagi-ni e i vari piani ad esempioverticali e obliqui delle case,che si sviluppano e portano lavista a perdersi nell’orizzonte.Colori forti, tenaci eppure dol-cissimi. In qualche campiturasembra che si sgretolino; cisono lacerazioni continuedalle quali traspaiono altrecromie; la materia è trascorsa

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LUCA GIOVAGNOLIGiardino d’acqua, 2000

La fiaba serale, quella chesi racconta ai bambiniquando vanno a dormire,che esigono per addor-mentarsi con le immaginidi un Re, di un giardino edi un grande azzurromare.

MEDITAZIONI di Ivo Gigli

L’ARTE DI LUCIANO FILIPPI

INTONAZIONI DELL’INTERIORITÀFranco Ruinetti

P forre, vegetazione, calanchi.La verità, sulle tele, non derivacerto da descrizioni precise,bensì dalla giustezza dei tonidi colore. Le vedute di paesialti sui colli della Romagna,gli scorci marini e forse l’inte-ra produzione sono il cantoaccorato della solitudine. Leluci, così articolate, hanno fre-miti sospesi di giovinezza, rac-contano il presente, che peròha la levità della poesia ed ècome se derivasse, fosse filtra-to dalla memoria. Atmosfere eborgate, barche e girasolivanno incontro e sono piace-voli a chi guarda.Ripropongono il reale, ma

soprattutto sono intonazionidell’interiorità. Quei colorisono indefinibili, si sentonodentro, sostano e vibrano,hanno il suono delle campane,d’argento e bronzo, comediceva Emil Nolde, annuncia-no la felicità, ma si frantuma-no pure in lacerazioni, preci-pitano nelle ombre, indugianonella mestizia. Si afferma unalternarsi di costruzione e discomposizione delle immagi-ni, le quali derivano daraschiature, abrasioni, chedanno luogo a lembi di incer-tezze, ad echi del soggettostesso, come se il suo signifi-cato o la bellezza dei valoricromatici persistessero negliocchi, nella mente e conta-giassero l’andare del tempo.Si tratta di colori talvoltaimprobabili, un cielo bianco-cinerino-giallo, ma in armoniacon le case, con il monte e conuna strappata di rossoBordeaux in un equilibrio cheil dipinto è paragonabile aduno spartito elaborato col pen-nello.Quelle barche ricorrono. Scafidi vecchia concezione e velemoderne. Si, ma non importa.Il mare è amore e sogno.Barche pesanti dal fasciamespesso, gravano come pensierifermi, che però sanno liberar-si perché l’attenzione volge suquelle grandi ali della fanta-sia, che salgono verso il cielo,trasparenti come il vento, orabianche, ora gialle, ora rosse,voglia di andare e di libertà.

Luciano Filippi, Marina, 2004,tecnica mista su tela,cm. 80x70

Luciano Filippi, Vele rosse, 2004, tecnica mista su tela,

cm. 120x150

Nell’Intrigo… lo stupore

Mostra antologica

di Luciano Filippi

alla Sala delle Colonne

dal 30 ottobre

al 13 novembre

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ARTE

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a favola è un genere dinarrazione con personaggi

immaginari (persone, animali,piante) che da tempo imme-morabile ha affascinato ilcuore e la mente dei bambini;tutto un mondo immaginato esentito emotivamente che li haarricchiti e che pure nella etàadulta non si estingue, non sismemora completamente, chepur rimane qualcosa, lacerti diimmagini, suoni lontani madolci, inconfessati echi. Sonole delicate ceramiche e i fanta-siosi acquerelli per i qualiCecilia Coppola, giovane arti-sta riminese, ha scelto cometema la favola, i racconti fan-tastici di Peter Pan,Cappuccetto Rosso, il Magodi Oz, e tante altre storie chesconfinano col mito.Materiali fragili come i sogni.

“Nella mia vita ho sperimenta-to vari materiali – dice Cecilia– come il marmo, il bronzo, lapietra e il legno, poi ho sceltola ceramica perché mi sottopo-ne ad una sperimentazionecontinua”. E’ una sua vecchiapassione, forse perché nellefiabe appaiono oggetti d’usoceramici come le tazze deisette nani, i piattini dei seicorvi, le cuccume, ad esempio.Sono oggetti colorati di 30/40centimetri dove la ceramicasubisce una metamorfosi pre-ziosa ed evanescente; la cuc-cuma animalizzata o vaporosadi fanciulle danzanti, o comevolto arabescato da svolazzi,una ceramica che diviene leg-gera come coriandoli, un roco-cò paradossale delicatissimonei colori; oggetti d’uso quoti-diano, che vengono sublimati

e inseriti in un contesto fiabe-sco come la capanna dei nani,la cucina dell’orco o la tavolaimbandita in mezzo a unbosco; la favola mito, espres-sione universale, che ha trova-to da sempre nella letteraturainfantile il suo compimento, lasua vocazione. L’universo delmisterioso infine, figure oarchetipi ancestrali che incuto-no fascino e paura e che gliadulti chiamano “il sacro”.Cecilia ha conosciuto la scul-tura presso lo studio dell’archi-tetto Stefano Campana; ma latecnica della lavorazione cera-mica l’apprende dal maestroGiovanni Urbinati:“Si tratta diun’alchimia, di uno studioassiduo dagli smalti alle moda-lità di cottura”. Con questeparole l’artista mi accompagnaa visitare la mostra al Castello

degli Agolanti di Riccione chesi tiene dal 16 al 26 ottobre,ispirata al mito e all’iconogra-fia religiosa popolare.Cecilia Coppola ha conseguitoil diploma di maturità artisti-ca; in collaborazione con l’ar-chitetto Stefano Campana inRimini ha collaborato alla rea-lizzazione di alcuni lavori discultura in pietra e in bronzo.Ha realizzato illustrazioni perconcorsi e pubblicazioni. Dal1998 al 2001 ha frequentato eha ottenuto il diploma pressola scuola di restauro di policro-mie lignee presso la scuolad’arte di Botticino (BS).

AL CASTELLO DEGLI AGOLANTI DI RICCIONE

LE FAVOLE DI CECILIA COPPOLAIvo Gigli

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Liliano Faenza, Storico Piero Meldini, Scrittore

Unico requisito perentrare a far partedella combriccola dei“Personaggi diGiuma” è quello dinon passare inosser-vati dall’Arco al Ponte.A certificare questoatto di notorietà, spettaesclusivamente ai letto-ri di Ariminum; sonoloro, i responsabilidella scelta delle vitti-me destinate al marti-rio della caricatura,comunicandole divolta in volta alla reda-zione della rivista.

Dopo il sindacoAlberto Ravaioli e ilvescovo Mariano DeNicolò, emblematicirappresentanti dei duepoteri della città,

I PERSONAGGI DI GIUMA

Ariminum inserisce tra i “Personaggi di Giuma”Liliano Faenza e Piero Meldini; una coppia di intel-lettuali doc, il primo autore di numerosi saggi diargomento storico e filosofico; il secondo, scrittore

di grido, con un prestigioso curriculum letterarioarricchito ultimamente dai premi “Bigiaretti” e“Guidarello” per il romanzo “La falce dell’ultimoquarto”.

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l 21 settembre 1944 glialleati occupano Rimini. La

città è completamente distrut-ta. Dappertutto devastazione erovina. Il centro storico è uncumulo di macerie; la ferroviaun insieme di rottami; il portoha gli argini rotti ed è ostruitoda carcasse di barche; la mari-na irriconoscibile. Più tardiquando si farà il bilancio dellaguerra, le statistiche degli uffi-ci tecnici comunali daranno idati terrificanti della violenzasubita: 396 tra bombardamen-ti aerei, navali e terrestri;l’82% degli edifici colpiti, dicui la metà in modo irrecupe-rabile. Un triste primato: tra lecittà italiane con popolazionesuperiore a 50.000 abitanti,Rimini è la più danneggiatadalla guerra.Con l’arrivo sempre più mas-siccio degli alleati cominciaun via vai continuo di truppedi ogni nazionalità e colore. Aivincitori tutto è lecito. Vae vic-tis! E come era accaduto con itedeschi qualche mese prima,la città subisce, per opera deinuovi arroganti padroni,soprusi di ogni genere e requi-sizioni. Il tutto, naturalmente,a scopo strategico. A comple-tare il quadro di questa avvi-lente situazione, si aggiungo-no i vandalismi e i sacchegginelle abitazioni attuati da mili-tari sbandati e da civili senzascrupoli.Nonostante il divieto impostodagli alleati, comincia il rien-tro confusionario degli sfolla-ti. Tra le macerie e il fango sicercano i morti per seppellirli.Il compito è penoso; difficile èanche reperire le bare.Lo scenario di estrema emer-genza sollecita scelte diresponsabilità. Alberto, comesempre, non si sottrae ai dove-ri di cittadino e di cristiano eper affermare la dottrina

sociale della Chiesa si gettanella politica: seguendo larotta di quei cattolici chehanno deciso di mettere la lorofede al servizio della colletti-vità organizzata entranell’”esecutivo” della demo-

crazia cristiana riminese.Il 4 ottobre per far fronte agliimmediati bisogni della popo-lazione, il Comando militarealleato sollecita la costituzio-ne di una Giunta comunalerappresentativa dei partiti e del

C.L.N.. A presiedere questoorganismo, che si riunisce perla prima volta il 7 ottobre èchiamato Arturo Clari, ultimosindaco della città prima del-l’avvento del fascismo.Comincia l’ardua opera diriorganizzazione amministra-tiva, politica e burocratica delterritorio.Alimentazione, alloggi e assi-stenza sono le prime urgentinecessità. Ad Alberto Marvelliviene affidata la direzionedell’Ufficio alloggi e ricostru-zione. Sistemare i senzatetto èimpresa ardua; lui stesso ha lacasa occupata dagli inglesi:con la mamma e i fratelli si èdovuto collocare nello scanti-nato. Per molti il materasso èun privilegio e poi ci sonoquelli che, senza casa, hannooccupato abusivamente le abi-tazioni vuote creando scompi-glio e irritazione al rientro deilegittimi proprietari. E’ impos-sibile provvedere a tutti, maAlberto si prodiga in millemodi. Infaticabile. La sua one-stà e il suo senso di giustiziagli consentono di disbrigare lamansione che gli è stata asse-gnata con grande autorevolez-za; la sua intraprendenza e ilsuo prestigio lo portano a trat-tare con il Comando alleato ead ottenere il dissequestro didiverse abitazioni.Il suo ufficio è un porto dimare. I bisognosi, però, hannola precedenza e sono i piùascoltati. A vent’anni si eraimposto una ragione di vita:“Aiutare i poveri e i derelitti ilpiù possibile, materialmente espiritualmente” (Diario, set-tembre 1938); il suo mottocontinua ad essere “Carità egiustizia sociale” e spesso peradempiere fino in fondo ai variimpegni umanitari e di volon-tariato si attarda tutta la notte:scrive lettere, compila prati-che, redige progetti. Di giorno,

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ALBERTO MARVELLI / UNA VITA DI CORSA AL SERVIZIO DEGLI ALTRI (5)

PENDOLARE DELLA CARITÀManlio Masini

18

I

“Il suo motto è

‘Carità e giustizia sociale’

e spesso per adempiere fino in fondo

ai vari impegni umanitari e di volontariato

si attarda tutta la notte: scrive lettere,

compila pratiche, redige progetti.

Di giorno, stando ai racconti di chi lo ha conosciuto,

va a ispezionare di persona i disagi della gente

e spesso, davanti alla sofferenza silenziosa,

è lui stesso che provvede offrendo di suo coperte,

scarpe, indumenti, danaro, persino la bicicletta”

Alberto Marvelli.

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stando ai racconti di chi lo haconosciuto, va a ispezionare dipersona i disagi della gente espesso, davanti alla sofferenzasilenziosa, è lui stesso cheprovvede offrendo di suocoperte, scarpe, indumenti,danaro, persino la bicicletta.Le testimonianze di quelperiodo, tutte attendibili,hanno del favoloso.Il preside dell’ITI lo sollecitaa riprendere l’insegnamento.In novembre è nominato inge-gnere del Genio civile e com-missario prefettizio delConsorzio per la sistemazionedel Marecchia. Per avviarel’opera di riedificazione dellacittà e nello stesso tempoincrementare l’impiego dellamanodopera, fonda laCooperativa edile riminese.Con il riaffacciarsi della poli-tica e dei partiti torna il climadelle fazioni. Lo sconforto, ladisperazione e la rabbia ali-mentano antichi rancori.Avanza l’odio di parte. C’è chiprotesta, chi tenta di calmaregli animi e chi approfitta dellasituazione. “Oggi il nostropaese è un cumulo di rovinemorali e materiali e per solle-varlo non basta essere comu-nista, democristiano o sociali-sta, ma occorre lavorare,lavorare solidamente”. Cosìnel suo primo numero datato15 luglio 1945 tuona IlGaribaldino, quindicinalei n d i p e n d e n t edell’Associazione nazionalepartigiani d’Italia per la zonadi Rimini, diretto da NinoPolverelli.

L’incitamento al lavoro non èsolo un invito a far risorgere lacittà dalle macerie, ma ancheuna violenta polemica controquanti, al riparo di una tesseradi partito, agiscono solo per ilproprio esclusivo tornaconto.Alberto avverte questo andaz-zo che ha contaminato e divisole coscienze e ne soffre e pro-

prio per spronare tutti al benecomune si prodiga senzarisparmio. E come ai tempidell’oratorio offre agli altri ilsuo esempio di rettitudine e dionestà. Flavio Beltrami dirà dilui: “era il portatore di unareale fiaccola di bontà e diamore, che sembrava invitarea reprimere gli odi”.

Amorevole in tutto. Anchenelle piccole ma significativecose come, per esempio,all’arrivo in città delLuogotenente Umberto diSavoia: nessuno dell’ammini-strazione civica aveva volutoaccoglierlo; qualcuno alloraera ricorso ad Alberto e lui,con dignità, il 5 novembre1944 aveva ricevuto l’”ospiteindesiderato” accompagnan-dolo a visitare le rovine.Nel giugno del 1945 mons.Santa, vescovo missionario diRimini, lo costringe a prende-re la presidenza del gruppo deiLaureati cattolici. Alberto èsommerso da incarichi, oltre aquelli civili e professionali,èaffaccendato nell’ associazio-nismo cattolico: tiene confe-renze, organizza incontri, sol-lecita dibattiti; è membro atti-vo della Società operaia delGetsemani (in città ha fondatoil Reparto operaio diocesano);promuove la tavola serena peri più bisognosi (verrà chiama-ta la “Santa Messa del pove-ro”), dove è lui stesso che sionora di servire i pasti.Gli impegni di responsabilitàperò sono tanti. Troppi. Colpassare dei mesi comincia asentirne il peso. Nella prima-vera del ‘46 lascia l’ufficio diassessore comunale.Le elezioni politiche incalzanoe il giovane ingegnere ritieneimportante parteciparvi. Lacampagna elettorale per ilReferendum istituzionale e perl’Assemblea costituente del 2giugno è abbastanza vivace,

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La Stazione ferroviaria distruttadai bombardamenti.Sotto: 1946, la Casa dellesuore salesiane di viale Tripolidistrutta dalle bombe.

Il feretro di Alberto Marvelliaccompagnato da una

interminabile fila di riminesiall’angolo di viale Tripoli

con via XX Settembre.

“Riflessivo, esigente,

rigoroso, perfezionista,

anche in quella

sua ultima operosa

stagione Alberto

si duole

perché non riesce

a fare di più...

...per se stesso

e per gli altri:

‘Più volontà ci vuole,

più serietà,

più costanza,

più studio,

più raccoglimento,

più meditazione…’.”

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ma non assume aspetti irruen-ti come in altre città. Anche ledonne sono chiamate alleurne: è la prima volta chevotano. Per la Repubblica siesprimono oltre 30.000 rimi-nesi; poco più di 6.000 votanoper il re.Dopo l’estate la competizionetra i partiti riprende più acca-nita che mai: questa volta sonoin ballo le elezioni ammini-strative. Gli animi si accendo-no nuovamente. Tra le fazionisi verificano casi di intempe-ranza, qualche scontro.Alberto, sempre per spirito diservizio, si butta a capofittonella propaganda. Qualcunogli fa delle osservazioni, lovorrebbe più distaccato, menopassionale. Lui - riferirà ilsalesiano don Dante Cocchi -ribatte: “Sono tempi in cui icattolici devono impegnarsiuniti in tutti i campi. Statecerti però che quando la miaazione politica non sarà piùnecessaria, non tarderò unmomento a lasciarla”. Il 5ottobre la morte.Nel 1939 aveva scritto sul dia-rio: “La vita è azione, è movi-mento, ed anche la mia vitadeve essere azione, movimentocontinuo, senza soste, movi-mento e azione, tendenti all’u-nico fine dell’uomo: salvarsi esalvare”. Lo stesso concetto loaveva ribadito nel settembredell’anno precedente:“Agiresempre, sempre, non stare maiun attimo in ozio”. Il suoobiettivo era “non perdere maitempo”, correre sempre versol’Ideale. “Il tempo è tuo, oSignore, - rifletteva nel 1941 -fa che non lo sprechiamo inu-tilmente, ma che di ognimomento possiamo giustifica-re l’utile impiego”.“L’utile impiego” del tempoper Alberto era trasformarel’agire in azione di apostolato.“Fare dell’apostolato conti-nuamente e ovunque” era lasua massima. E questo lui fecesempre e con coerenza tra icompagni dell’oratorio e dellostudio, in caserma, nel lavoro,nella professione, negli uffici

pubblici, nell’attività politica,nel tempo libero.Appena un mese prima del-l’incidente che avrebbe postotermine alla sua corsa terrena,Alberto, dopo cinque anni disilenzio, aveva sentito il biso-gno di riprendere in mano il

diario. “Quante cose maturatein questo tempo - aveva scrittoil 23 agosto 1946 -; la guerra,l’armistizio, la sconfitta, lafine tragica di Lello, lo sfolla-mento, il fronte, il ritornonella città semidistrutta, l’atti-vità politica, l’attività profes-

sionale, il ritorno di Carlo, edaltre ancora ...”. Ci si aspettadi incontrare un Alberto indu-rito dagli eventi, più arido, piùpragmatico per le tante feriteche gli hanno lacerato l’animacolpendolo negli affetti; inve-ce ritroviamo l’Alberto disempre, preoccupato “perchél’attività intensa di questi ulti-mi anni è andata a discapitodella vita interiore”, e perché itanti impegni che gli si paranodavanti rischiano di affievolir-gli quell’antico slancio che hasempre avuto e che continuaad avere verso il suo progettodi santità: “Come sono passatiper me questi anni? quali pro-gressi ho fatto nella vita spiri-tuale; gli avvenimenti, i dolo-ri, le sofferenze, i sacrifici, legioie hanno saputo insegnar-mi qualche cosa, hanno accre-sciuto la mia fede, la mia spe-ranza, la carità? Sono progre-dito, insomma, o sono rimastostaticamente fermo o, peggio,ho peggiorato? (...) mi accor-go che penso poco, che meditopoco, che tiro avanti così allabuona, per tradizione, per abi-tudine, per inerzia, per spinteestranee, sia nell’attività pro-fessionale e apostolica e poli-tica e caritativa”. Riflessivo,esigente, rigoroso, perfezioni-sta, anche in quella sua ultimaoperosa stagione Alberto siduole perché non riesce a faredi più, per se stesso e per glialtri: “Più volontà ci vuole, piùserietà, più costanza, più stu-dio, più raccoglimento, piùmeditazione”. “E’inutile - dice- pretendere di voler farsisanti, di essere apostoli, diapparire attivi lavoratori senon si medita, se si corre die-tro ad ogni pensiero, anchefrivolo, se non si è capaci diimporsi un più vivo raccogli-mento, un senso critico(buono) di osservazione, unaautonomia di riflessione neiproblemi, una sensibilità vivaper tutti quei fenomeni spiri-tuali, politici sociali, religiosiche si verificano intorno a noi(...). Il Signore mi ha dato una

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“La sua fede dinamica, dirà Giovanni Bersani,

‘aveva bisogno di essere testimoniata

e di divenire forza che incide, oltre che nelle coscienze,

anche sulle strutture del mondo’.

Proprio così. Perché santificarsi, per Alberto

- quel ‘voglio farmi santo!’ che continuava a ripetersi

tutti i giorni-, significava fare della propria vita

lo strumento della volontà di Dio,

e questa lui la identificava soprattutto nell’alleviare

i bisogni degli altri”

TROVAVA LE PAROLE GIUSTEPER APRIRMI LA MENTE

Mi chiamo Leda Polidori e sono di Mondaino. Nel 1946ero a Rimini dai miei zii, Jole e Umberto: la guerra miaveva resa orfana del padre e la mia famiglia, mamma esette figli, viveva un periodo di forti ristrettezze economi-che. Prima del conflitto, completati i tre anni di scuolamedia inferiore, avevo iniziato, senza troppa convinzione,un ciclo di studi superiori –era mia intenzione diventaremaestra di scuola elementare-, studi che dovetti interrom-pere per causa di forza maggiore. Alla fine dell’estate del1946, a 19 anni, stimolata e aiutata da mio zio Umberto,insegnante di scuola, avevo ripreso a studiare privata-mente; ma, da sola, facevo molta fatica: avevo bisogno diuna guida, di una persona che mi spronasse. Lo zio, allo-ra, mi affidò ad Alberto Marvelli, un giovane laureato iningegneria, che si prestava a darmi delle ripetizioni gra-tuitamente. Ricordo di essere andata a casa sua tre o quat-tro volte, non di più. Sufficienti, tuttavia, per apprezzare lasua competenza e la sua bontà. Era paziente, gentile esempre sorridente. Con lui, vicino, mi era tornata la vogliadi studiare, apprendevo senza difficoltà: sapeva trovare leparole giuste per aprirmi la mente. Non avevamo stabilitodegli orari, era molto impegnato, ma mi disse che potevoandare da lui quando volevo: la sua porta di casa erasempre aperta. Un pomeriggio varcai il suo portone d’in-gresso: la casa era vuota e non essendoci nessuno misedetti in un cantuccio ad aspettare. Stetti lì, ferma, per piùdi un’ora, poi me ne ritornai a casa. Il giorno dopo seppiche Alberto Marvelli era morto. Con quel tragico inciden-te stradale ebbe termine anche la mia carriera di studen-tessa. Leda Polidori.

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“ ‘E’ inutile

- dice Alberto-

pretendere

di voler farsi santi,

di essere apostoli,

di apparire

attivi lavoratori

se non si medita,

se si corre dietro

ad ogni pensiero, anche

frivolo,

se non si è capaci

di imporsi

un più vivo...

Giovanni Bersani, “avevabisogno di essere testimoniatae di divenire forza che incide,oltre che nelle coscienze,anche sulle strutture delmondo”. Proprio così. Perchésantificarsi, per Alberto - quel“voglio farmi santo!” che con-tinuava a ripetersi tutti i gior-ni-, significava fare della pro-pria vita lo strumento dellavolontà di Dio, e questa lui laidentificava soprattutto nel-l’alleviare i bisogni degli altri.

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AA.VV. “Alberto Marvelli nel ventennale della morte”,Garattoni, Rimini, 1966.“Cronaca della Casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice diRimini”, dal 1923 al 1947. Istituto delle Figlie di MariaAusiliatrice, Rimini.“Cronaca della Casa dei Salesiani di Rimini”, dal 1945 al1947. Istituto salesiano, Rimini.Adolfo L’Arco, “Alberto Marvelli costruttore della città diDio”. Elle Di Ci, Torino 1978.

“Lavoro e Preghiera”, dal 1920 al 1942 (numeri sparsi)Raccolta privata.Alberto Marvelli, “Diario” (a cura di Maria Massani),Rimini, Ed. G.S. “A Marvelli”.Maria Massani, Alberto Marvelli - Operaio di Cristo,Vicenza, 1968.Ugo Ughi, “Memorie dal settembre 1943 all’aprile 1945”(Presentazione a cura di Piero Meldini) in “Storia e Storie”n. 4, ottobre 1980, Tip. Cosmi, 1981.

BIBLIOGRAFIA

intelligenza, una volontà. unaragione: ebbene, queste devoadoperarle, tenerle in eserci-zio, farle funzionare. Se non siadoperano si arrugginiscono esi finisce per essere delle nulli-tà, dei terra terra, dei buonilombrichi che strisciano,senza un’idea buona, geniale,ardita; degli ignavi, a Diospiacenti e alli inimici suoi”. In questo accurato e profondosfogo, quasi un testamento spi-rituale, c’è il solito Alberto,quello che corre contro iltempo, che ha fretta di conclu-dere, che vuole esserci e arri-vare. Sempre e dappertutto.Cristianamente ispirato.La sua fede dinamica, dirà

Le macerie del Tempio Malatestiano.Sotto: Alberto Marvelli durante la campagna elettoraledel 1946.

...raccoglimento,

un senso critico

(buono)

di osservazione,

una autonomia

di riflessione

nei problemi,

una sensibilità viva

per tutti quei fenomeni

spirituali,

politici sociali,

religiosi

che si verificano

intorno a noi...’ ”

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a galleria di concittadiniprotagonisti di vicende

che tanto hanno segnato la sto-ria d’Italia nel corso delsecondo conflitto non sarebbecompleta –né intellettualmen-te onesta- se si limitasse allesole storie di chi combattéprima di quelle due fatidichedate: 25 luglio ed 8 settembredel 1943. Argomento chealcuno ritiene ancora delicatoma che secondo me, che lovedo dal punto di vista pura-mente storico oltre cheumano, va invece letto e cono-sciuto nell’ottica di allora,impregiudicata la libertà digiudizio che ciascuno è liberodi dare sui regimi che hannocaratterizzato la storia del XXsecolo e su tutto quanto nelbene e nel male ha fatto segui-to alle sconfitte militari edideologiche di quelle contrap-poste dittature. E così è per memolto importante cercare dicapire perché, pur dopo treanni di guerra e di esiti infau-sti per le sorti della Nazione,più di settecentomila giovaniaccorsero volontari, nell’au-tunno successivo, a costituirele forze del ricostituendo eser-cito del Nord: quello dellaRepubblica Sociale Italiana.«La mattina del 26 luglio1943, durante la consuetalezione di cultura fascista cheteneva a noi ragazzi ognisabato –inizia quindi a rac-contarmi l’amico e collegaCleto Cucci, classe 1926,all’epoca studente al CollegioRaffaello della GIL adUrbino- il Preside, che erastato fino al giorno prima l’in-transigente istruttore, entrò inaula e senza dire altro scrissein greco col gesso alla lava-gna: “siamo finalmente libe-ri”; già dalla radio avevamosaputo dell’avvenuta destitu-zione del Duce e ne eravamo

rimasti profondamente scossie disorientati. Come era statopossibile destituire colui cheritenevamo il padre dellanuova Italia? Colui che lostesso Pontefice aveva definito“L’Uomo dellaProvvidenza”? Come era pos-sibile che proprio il nostroinsegnante scrivesse quellafrase? Stava forse crollandonello spazio di un mattinotutto il mondo nel quale erocresciuto e del quale ero imbe-vuto? Non ne capivo né ilsenso né i perché; sino al gior-no prima tutti quanti, trannequalche ardimentoso contro-corrente, avevano osannatoMussolini, come d’altrondeavveniva normalmente daalmeno vent’anni e non riusci-vo ad accettare che un talcambiamento fosse avvenuto

in una sola nottata! Ma nonminore amarezza e stuporeprovai quando il successivo 9settembre, mentre con la fami-glia villeggiavamo inCarpegna, vidi i soldati delReggimento di artiglieria diPesaro, in esercitazione sulSasso Simone, fuggire in ognidove chiedendo vestiti civili,abbandonando le armi; e vidialcuni uomini e donne entrareindisturbati nell’accampa-mento per impossessarsi diviveri e di tutto ciò che si pote-va portar via. Cosa potevopensare? Un mondo che mipareva perfetto, un’Italia cheavevamo visto primeggiare inogni campo, finalmente rispet-tata, un’Italia giovane, nuova,esuberante ed entusiasta nellaquale sembravano scomparsetutte le diversità e le discordiee tutto sembrava facile sotto laguida di chi sentivamo comeun onnipresente, protettivocondottiero improvvisamentedimostrava un volto inimma-ginabile! E si aggiunsero abreve le notizie sull’ “armisti-zio” che ci parve subito nien-t’altro che una squallida resaed un indecoroso tradimento.Penso che molti di quelli cheoggi con sufficiente disprezzoci chiamano ancora “i ragazzidi Salò”, senza “distinguo”,

non comprendono che vivendoin prima persona quei momen-ti e quelle sensazioni avrebbe-ro forse anch’essi reagito ten-tando di difendere in ognimodo ciò che noi, con sgo-mento, vedevamo sgretolarsicome se ci fosse improvvisa-mente mancata la terra dasotto ai piedi. Era troppo! Larabbia e l’orgoglio mi feceroreagire; da giovane, quale ero.Il 19 ottobre, il giorno succes-sivo quello della costituzionedell’esercito della RSI, appro-fittando di un mio viaggio aPesaro per ritirare le tessereannonarie per il Comune diSassocorvaro dove risiedeva-mo perché mio padre eraSegretario del Comune, mirecai in Federazione per iscri-vermi al FascioRepubblicano; quindi allaCaserma della III Legionedella Milizia Volontaria per laSicurezza Nazionale (MVSN)per arruolarmi.. Vi trovai unozio addetto alla Fureria, chela sera stessa mi fece partireper la Scuola Allievi ufficialidella Guardia NazionaleRepubblicana di Ravenna. Dalì, nel gennaio successivofummo trasferiti aFontanellato, ma vi restammopoco tempo perché il 21 gen-naio erano sbarcati ad Anziogli angloamericani e noi, il 29successivo, fummo spediti sulfronte di Roma. Durante il tra-sferimento conobbi MarioCastellacci, autore della

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PAGINE DI STORIA

A R I M I N V M

PER NON DIMENTICARE / LA “SCELTA” DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA

CON RABBIA E CON ORGOGLIOCLETO CUCCI RACCONTA LA SUA AVVENTURA TRA “I RAGAZZI DI SALÒ”

Gaetano Rossi

22

L

“Non ho commesso

mai nulla di cui

dovermi vergognare.

Ho sempre combattuto

per un ideale

e per un’Italia

nella quale credevo”Cleto Cucci

in un’immagine giovanile

Giovani volontari della R.S.I.

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famosissima “Canzone stra-fottente” (Le donne non civogliono più bene... perchéportiamo la camicia nera…)che dopo la guerra fondò conaltri il gruppo teatrale “IlBagaglino”. A Roma,”cittàaperta”, il nostro reparto fuoggetto di due attentati: unoin via Tomacelli, il 5 febbraio1944, quando da un apparta-mento gettarono dei proiettilida mortaio mentre stavamopassando; l’altro, il 19 marzo,allorché due Allievi Ufficialidiciannovenni di Ravennafurono uccisi in via Cola diRienzo mentre, disarmati, sirecavano a visitare il giardinozoologico. Questo impatto conla guerra civile, per noi chevenivamo preparati alla guer-ra contro un esercito nemico,ci sconvolse e ci indignò; lasera stessa del 19 chiedemmodi uscire dalla caserma pervendicare i nostri giovanicamerati. Ma il Comandante,pistola in pugno, piantato inmezzo alla porta della caser-ma, ce lo impedì gridando cheil primo che si fosse azzardatoad uscire avrebbe dovutovedersela con lui e se voleva-mo passare tutti insiemeavremmo dovuto prima ucci-derlo. Così nessuno osò piùprotestare e pur mugugnandorientrammo nei nostri allog-giamenti. Il 23 marzo partim-mo da Roma alla volta diSiena ove restammo fino algiugno del 1944 e poi via Futa–che traversammo a piedimarciando per tre giornisenza trovar nulla da mangia-re- scendemmo verso Bolognae infine Pavia, nella cui zonail nostro Battaglione (Btg.AUF: “Siena”) ebbe i primiscontri a fuoco con i partigia-ni. Il 10 agosto 1944 fummomobilitati per una vasta azio-ne di contenimento in Val diStaffora, al confine fraPiemonte e Liguria, insieme amolti altri reparti italiani etedeschi. In quella occasione–io facevo parte di un piccoloplotone di una quindicina diuomini- durante un pattuglia-

mento nelle campagne intornoa Montalto Pavese entrammoin una casa colonica appa-rentemente abbandonata chescoprimmo invece piena diarmi e di viveri: era una basepartigiana. Ci ritrovammoperò immediatamente circon-dati da preponderanti forzeavversarie che iniziarono amitragliarci. Trovai riparodalle raffiche in una piccolabuca che mi copriva solo par-zialmente ; ero il solo nellaposizione più favorevole perandare a chiedere rinforzi e,rotolando fra rovi e dirupi escampando alle raffiche anchegrazie al fuoco di coperturadei miei camerati riuscii, purmalconcio, a raggiungere for-tunosamente il vicino paesedal quale il nostroComandante poté organizzareuna colonna di soccorso cheintervenne accerchiando a suavolta i partigiani (si trattavadella Brigata Matteotti del

Comandante “Fusco” ,alsecolo Cesare Pozzi) e risol-vendo a nostro favore quellasituazione per noi assai criti-ca. La sera festeggiammo loscampato pericolo in un risto-rante del luogo. In seguitosapemmo che i partigiani,dopo la nostra partenza, loavevano incendiato e distrut-to. Successivamente, passatoal grado di sottotenente (michiamavano il Tenente cuccio-lo per la mia giovane età) fuidestinato alla Legione “M”d’assalto “Tagliamento” edimpegnato in operazioni diinfiltrazione; infine su miarichiesta, fui inviato al B.ne“M” “Venezia Giulia” cheaveva necessità di rimpiazzarediciassette ufficiali che eranostati uccisi. Eravamo di stanzaa Baveno, in Val d’Ossola, inpiena zona partigiana; lorooccupavano il territorio circo-stante e noi i capisaldi.Arrivai di notte al Comando,

che era fuori paese. Non c’eraposto dove farmi dormire e mimisero nella camera ardentedove c’erano tre cadaveri deinostri. Io credo che si debbapensare allo stato d’animo dichi si vede coinvolto in unaguerra nella quale il nemico èchi hai sempre considerato tuofratello (e perciò l’astio èancora maggiore) e nellaquale non sai neppure da chidifenderti perché un proiettilepoteva colpirti, magari allespalle, in ogni momento.Anche se è difficile crederlo,gli stessi soldati tedeschierano traumatizzati da questotipo di guerra cui neppure loroerano abituati. Tutti noi, suentrambi i fronti, intendo,dovemmo però adeguarci reci-procamente. E vedere i tuoiamici uccisi non da un nemicoin divisa (come noi militarieravamo preparati ad accetta-re potesse avvenire) ma daombre che potevano nascon-dersi dietro qualunque volto,anche se apparentementeamico, è la più angosciosa eterribile delle situazioni allequali non tutti reagirono allostesso modo, specie quando amorire –e purtroppo più diuna volta dopo inutili sevi-zie— erano tuoi amici. Ci fuchi, come tanti nostri coman-danti, si rifiutò di eseguirerappresaglie, e ci fu chi leordinò. Atrocità su atrocitàquindi. Con ciò non vogliogiustificare nessuno ma alloranessuno dovrebbe esser giusti-ficato; non si può non capireche ogni rappresaglia, proprioper esser tale, presupponevacome elemento scatenanteazioni che noi consideravamoterroristiche, a volte compiutecon modalità che preferisconon ricordare perché nonfarebbero onore a nessuno.Non ho risentimenti nei con-fronti di chi combatté in abiticivili, ma lealmente ed a visoaperto per un proprio ideale;credo però si debba cercare dicomprendere anche lo stato

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PAGINE DI STORIA

A R I M I N V M23

“Ho avuto il privilegio di vivere la mia giovinezza

nel generale rispetto di valori

che ritengo ancora importanti:

Dio, Patria, Famiglia, onestà, coerenza, lealtà.

Tanti morirono per difenderli

ed io non mi sono affatto pentito,

anzi sono orgoglioso di esser sempre stato

dalla loro stessa parte,

anche se c’è chi la definisce sbagliata.

La realtà è che ho avuto il solo torto

di rappresentare la parte che ha perduto”

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d’animo di chi dovette difen-dersi! Si avvicinava, intanto,la fine di tutto. Il 15 aprile fuicomandato insieme ad un talTenente Carrara, di Varese,per una missione a Milanopresso il Comando Generale.Passando per Piazza delDuomo vidi Ufficiali della XaMAS che facevano propagan-da per andare a difendere ilfronte iugoslavo e mentre miintrattenevo con loro fui avvi-cinato da una ragazza che miconosceva per esser la figliadi una mia professoressa deitempi della GIL. Non lo sape-vo ancora, ma quel contatto fupoi la mia salvezza. Qualchegiorno dopo ci recammo aVarese per salutare i genitoridel Tenente; per le stradeintorno alla stazione c’eragrande trambusto. UnCapitano della GuardiaRepubblicana questionavaanimatamente con gruppo dicivili finendo poi per offrireloro sigarette; fra la gente cheaffollava le strade c’era chipareva smarrito chi in preda agrande euforia; tram e treninon partivano più. Io eCarrara , armi in pugno, ordi-nammo ai macchinisti diriprendere immediato servizioe così fu; ma poi ci avvertiro-no che i partigiani stavanocercando proprio quei due cheavevano fatto ripartire i mezzipubblici. L’aria cominciava adiventare pesante così, vestiticon abiti civili ed utilizzandoun passaggio sull’auto di unCapitano del nostroBattaglione, incontrato perstrada, uscimmo dalla città.Passando per i paesi si inizia-vano a vedere gruppi di arma-ti in un indescrivibile caos. Ungiovane con un vistoso fazzo-letto rosso al collo scambian-doci per un gruppo di parti-giani ci chiese un passaggioconsentendoci inconsapevol-mente di superare diversi postidi blocco. Giungendo in vistadi quegli sbarramenti grida-vamo: “Compagni, compagni,Varese è liberata!” Tutti ciabbracciavano festanti e noi

ne approfittavamo per chiede-re un po’ di benzina. Ad unposto di blocco, però, aSaronno Pertusella, ci requisi-rono la nostra FIAT 500 “percausa di libertà”, come scris-sero sulla… “ricevuta” che cirilasciarono. Una volta appie-dati, fummo trattenuti peraccertamenti. Attraversandoun paese addobbato con festo-ni e coccarde ci portarono inuna fabbrica dismessa metten-doci a sentinella un vecchiooperaio armato di mitraglia-tore. Con uno stratagemmariuscimmo a farci rilasciareriuscendo poi a raggiungereMilano dopo aver superato unposto di blocco tenuto da unaventina di donne. Milano era

in subbuglio: camion congruppi di partigiani, gente checorreva per le strade, bandie-re rosse in ogni dove, carri chepassavano portando mucchi dicadaveri. Per noi era unoschianto del cuore e non sape-vamo che fare. Poi mi venne inmente di quella mia conoscen-te e riuscii a rintracciarla,potendoci così rifugiare tutti acasa sua. Vidi l’arrivo degliamericani, il 27 aprile, e vididei polacchi strappare dimano ad un gruppo di personeche l’avevano duramente mal-menata, la allora famosa sou-brette Vera Roll. Il 28 , rinta-nato in casa mentre a PiazzaleLoreto venivano selvaggia-mente esposti ed oltraggiati icadaveri del Duce e deglialtri, sentii un messaggioradio: “Compagni portinai,

segnalate ai compagni parti-giani i fascisti che abitano neivostri palazzi”… Mi parve lavoce di Pertini; lo scopo erachiaro e ancora provo la stes-sa sensazione di gelo mortale.Fu l’inizio di quello che molticonsiderarono una giusta ven-detta. Per noi, che la stavamosubendo, rappresentò invecel’inizio di un incubo terribile,di una tragedia che colpì indi-scriminatamente -e per mesi emesi anche dopo la fine delleostilità- colpevoli ed innocen-ti. Il primo maggio, confusofra la folla, vidi arrivare i piùimportanti capi partigiani, daLongo ad Ingrao, a Pertini, aParri, ed il generaleAlexander che, finalmente,ordinò il disarmo. Si chiudevaun’epoca, il mio mondo eradefinitivamente crollato ma ipericoli non erano certo finiti.Riuscii rocambolescamente arientrare a Santarcangelodove i miei avevano trovatorifugio; ma fui arrestato e sot-toposto al Tribunale AlleatoMilitare di Macerata e poialla Corte d’Assise straordi-naria di Brescia, che mi con-dannò al carcere dal qualeuscii il 4 dicembre del 1945per iniziare una nuova vita.Questa è quindi la mia vicen-da personale. Non ho com-messo mai nulla di cui dover-mi vergognare o della qualeaver rimorso. Ho sempre com-battuto per un ideale e per unItalia nella quale credevo. Hoavuto il privilegio di vivere lamia giovinezza nel rispetto divalori che ritengo ancoraimportanti: Dio, Patria,Famiglia, onestà, coerenza,lealtà. Tanti morirono perdifenderli ed io ti assicuro chenon mi sono affatto pentito esono anzi orgoglioso di essersempre stato dalla loro stessaparte, anche se c’è chi colsenno di poi la definisce sba-gliata. La realtà è che hoavuto il solo torto di rappre-sentare la parte che ha perdu-to».

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PAGINE DI STORIA

A R I M I N V M25

Manifesti di propaganda della R.S.I.Sotto: Termina la guerra, inizia la caccia al fascista.

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alla Spagna all’appenni-no tosco-romagnolo, da

Parigi a Berlino, agitati sono iviaggi perigliosi in tempo diguerra di Guglielmo Marconi,uno dei più noti protagonistidell’antifascismo riminese cheha vissuto con animo forte,come era il suo carattere, que-gli anni che vanno dal 1922 al1944 in un susseguirsi divicende poliziesche e militari.Recuperando le sue memoriescritte fra gli anni ’50 e 60, ecommentate da Paolo Zaghinisu Vita e ricordi sull’8.aBrigata romagnola – Maggiolieditore, 1984, si è volutoinnanzitutto far conoscere tuttigli elementi per valutare criti-camente il personaggioMarconi, la sua singolareesperienza umana e politica.Comunque, non vengono sot-taciuti gli elementi più con-traddittori di Paolo (il nome dibattaglia): il suo settarismo, ladifficoltà a rientrare nel dopo-guerra in una situazione politi-ca normale. Eppure, pur coisuoi limiti, egli fu un protago-nista, una bandiera dell’antifa-scismo locale, pagando deiprezzi come sacrifici persona-li, non indifferenti.Guglielmo Marconi nasce aPedaso, in provincia di AscoliPiceno, nel 1903. Entrambi igenitori sono riminesi e dopopochi mesi ritornerà a Riminitutta la famiglia. Frequenta lescuole tecniche e svolge servi-zio militare nel Genio, cometelegrafista. Nel 1920 conoscenumerosi socialisti e anarchi-ci. Nel 1921 si iscrive al PCdIe si getta a capofitto nell’atti-vità politica di quegli anniconvulsi. Emergono in queltempo alcuni tratti peculiaridel suo carattere: l’impulsivi-

tà, la temerarietà, il coraggio,l’irruenza e comincerà adessere sempre armato; il 1922lo vede, tra i protagonisti nelloscontro con squadre fasciste,tra gli Arditi del Popolo. Conla marcia su Roma e la con-quista dello Stato da parte diMussolini per i comunisti sipone il problema del passag-gio alla clandestinità, maMarconi viene arrestato assie-me a una quarantina di perso-ne a Rimini; ne uscirà un anno

dopo per mancanza di prove,nell’accusa di cospirazione.Nel 1924, in occasione delladeposizione di una corona difiori rossi al cimitero per l’as-sassinio di Matteotti, vieneaggredito dai fascisti e pestatoselvaggiamente, e ne ha perdiverse settimane.Si reca a Roma e qui la poliziaapre il fascicolo del Casellariopolitico centrale a lui intestatoove viene descritto “estrema-mente pericoloso, continua a

mantenere un atteggiamentoostilissimo al Regime, e sidimostra sempre un accanitocomunista”. Nell’estate del1925 parte per la Francia conun contratto di lavoro in unaacciaieria; rientrerà in Italiasolo 17 anni dopo scortatodalla Gestapo tedesca.L’emigrazione politica neglianni dell’avvento del fascismosi mischia con la realtà stretta-mente economica: la necessitàdi trovare lavoro assieme aquella di sfuggire alle violenzedelle squadre fasciste. Nelperiodo 1921-1926 esconodall’Italia quasi due milioni dipersone. Centomila sono emi-liano-romagnoli. Tra il 1925 eil 1936 Marconi è al centro,assieme ad altri compagni, difughe e di scontri con gruppifascisti sia in Francia che inBelgio, finché nell’ottobre del1936 parte per la Spagna per-ché ricercato dalla poliziafrancese. Fa parte delleBrigate Internazionali adAlbacete.Inserito nella batteria Gramscicome Commissario politicopartecipa nel 1937 all’assaltodi Teruel nell’Aragona. ScriveLongo: “Sono quasi a millemetri di altitudine, in pienoinverno e con un tempo orribi-le”. E’ nella primavera del1937, quando, dopo gli scontricoi fascisti del generale Roattache videro oltre un migliaio disoldati del Regio Esercito edelle Camice nere fatti prigio-nieri, a Marconi viene affidatauna missione politica a Parigi.Qui rimane in attesa per unsemestre; doveva ritornare inSpagna, ma si ammala, cosic-ché rimane in semiclandestini-tà nella capitale francese perlungo tempo. In merito a que-sta vicenda, in cui corserocerte voci sul suo conto circa ilmancato rientro in Spagna,

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TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M

RIMINESI CONTRO / GUGLIELMO MARCONI

“VALOROSO MILITANTE COMUNISTA”. PAROLA DI LUIGI LONGOIvo Gigli

26

D

“Combattente tenace e coraggioso,

capace di sopportare i più forti disagi,

Guglielmo Marconi,

rappresenta una figura rilevante

nell’ambito delle lotte antifasciste

e della Resistenza”

Settembre 1944.Gli Alleati

in piazza Giulio Cesare.

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Luigi Longo in una lettera alui indirizzata scrive:“Comprendo il tuo dispiacere,ma dall’archivio non risultanessun accenno a tuo sfavore edai compagni che ti furonovicini in Spagna ho avuto soloconferma del tuo buon com-portamento… Perciò, caroMarconi devi stare tranquillo,il tuo è un passato di buono evaloroso militante comuni-sta”.Allo scoppio della guerra traFrancia e Germania nel 1940 èinvitato dalle autorità francesiad arruolarsi, ma rifiuta. Vienerinchiuso in campo di concen-tramento e all’arrivo dei tede-schi viene liberato. Dopo averlavorato per un po’ di tempo inFrancia, si licenzia e si reca alavorare in Germania presso laditta AGO, nella zona diBerlino. Tornato in Franciaviene arrestato dalla Gestaponell’aprile del 1942 su richie-sta della polizia italiana che locondanna al confino per ladurata di cinque anni aVentotene, mentre sua moglieIsola Fabbrini e le figlie rien-trano da Parigi. E’ l’8 settem-bre del 1943: in Italia c’è unasituazione politica e sociale digrande fermento dopo la cadu-ta del regime il 25 luglio; ledivisioni germaniche stannoinvadendo il paese. Marconiriallaccia subito i rapporti coivecchi compagni, il partito siva riorganizzando e nel gen-naio del ’44 arriva all’8aBrigata Garibaldi sugli appen-nini tosco-romagnoli. La vitaè difficile, anche per la scarsapreparazione militare dei par-tigiani e con poche armi. Sivivono momenti drammaticitra gli scontri con i nazi-fasci-sti e la tensione e gli attriti fragli stessi componenti dellaBrigata sul modo di condurrela lotta, ma questa continuaanche per gli aiuti che glialleati paracadutano nottetem-po sui monti.Marconi è nominato vice com-missario politico; siamo nel-l’aprile del 1944 e la BrigataGaribaldi è formata di oltre

mille uomini, ma la metà èpriva di armamento. E’ in que-sto mese che in 15.000, fratruppe tedesche e militi repub-blichini, iniziano una grandeazione di rastrellamento nellazona appenninica tra S. Pieroin Bagno, S. Sofia, Meldola,Mandrioli e Campigna peraccerchiare i combattenti par-tigiani, e dopo durissimi scon-

tri a fuoco Marconi riesce adaprire una breccia nelle forzenemiche e uscire dalla trappo-la. Ma non sarà così per lealtre formazioni; alla fine delrastrellamento rimangono soloalcune centinaia di uomini sumille, gli altri sono dispersi,morti o fucilati. Il rastrella-

mento costò la vita a 300 nazi-fascisti. A Forlì si riuscì acostituire il CLN unitario cheselezionerà gli uomini per ilbuon funzionamento operativodei reparti. Marconi assumeràallora il comando di una vastazona appenninica. Nel corsodell’estate i partigiani svilup-pano un’intensa attività di dis-turbo delle retrovie tedesche

con distruzione di linee elettri-che, telefoniche, assalti a tra-sporti e a caserme della mili-zia e dei carabinieri. I tedeschireagiscono con un altrorastrellamento, ma per laprima volta la Brigata costrin-gerà i tedeschi a battere in riti-rata causando loro notevoli

perdite.A settembre gli Alleati sfonda-no la Linea Gotica e il 21 set-tembre Rimini viene liberata.Marconi li incontra con le for-mazioni partigiane a S. Pieroin Bagno e per tutto l’ottobrerimane a disposizione degliinglesi per la formazione dinuovi organismi civili e facen-do da tramite fra gli Alleati ele forze partigiane. Ma per laliberazione di Forlì passano 40giorni di bombardamenti,massacri e privazioni da partedella popolazione. Il 25novembre 1944 il Comandoinglese dispone la smobilita-zione e il disarmo dellaBrigata Garibaldi. Marconiviene insignito della medagliad’argento al valor militare.Sin da quando rientra a RiminiMarconi è al centro di discus-sioni e scontri con il nuovogruppo dirigente comunista,un confronto difficile con per-sonaggi come WalterCeccaroni, Nicola Paglierani,Gianni Quondamatteo e DecioMercanti; la sua personalità eil carattere impetuoso, dopovent’anni di “avventure”,forse non lo rendono preparatoad affrontare la normalità.Marconi non apprezzò mail’elaborazione togliattianasulla via italiana al socialismoe con Togliatti aveva avuto,nel periodo dell’emigrazionein Francia, scontri politici.Torna a lavorare come cartel-lonista verniciatore e fa partedegli organismi dell’ANPI,l’associazione dei Partigiani.Nel 1967 si ammala e nel giu-gno 1968 muore. I funeralivengono svolti in modo solen-ne con la partecipazione ditutti i Comuni del circondario.Sicuramente Marconi, tenacecombattente, coraggioso,capace di sopportare i più fortidisagi, rappresenta, nell’ambi-to delle lotte antifasciste edella Resistenza, una figurarilevante e “grande nella suaumiltà”, come ebbe a ricorda-re il sindaco di allora, WalterCeccaroni.

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TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M31

“Nell’aprile del 1944 Marconi

è nominato vice commissario politico

della Brigata Garibaldi

e ha il comando di una vasta zona appenninica.

Nel corso dell’estate i partigiani

sviluppano un’intensa attività di disturbo

delle retrovie tedesche

con distruzione di linee elettriche, telefoniche, assal-

ti a trasporti e a caserme della milizia

e dei carabinieri”

“Nel dopoguerra, sin dal suo rientro a Rimini,

Marconi è al centro di discussioni

e scontri con il nuovo gruppo dirigente comunista

(Walter Ceccaroni, Nicola Paglierani,

Gianni Quondamatteo e Decio Mercanti);

la sua personalità e il suo carattere impetuoso,

dopo vent’anni di ‘avventure’,

forse non lo rendono preparato

ad affrontare la normalità”

“Il 25 novembre 1944

il Comando inglese

dispone la smobilitazione e il disarmo

della Brigata Garibaldi.

Marconi

viene insignito della medaglia d’argento

al valor militare”

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rari passanti che da ViaBertola attraversano la

piazzetta di San Bernardinoper incamminarsi lungo ilvicolo che, come la piazza,prende il nome dal Santo,dopo pochi passi, sulla pareteesterna del Convento delleClarisse, scorgono una lapidecon queste parole:

QUI CADDERO / IL 28DICEMBRE 1943 / PER

L’ORRENDA INCURSIONEAEREA / PATITA DALLACITTÀ STRAZIATA / CIN-

QUANTASEI INERMIDONNE, VECCHI, BAMBI-NI / INNOCENTI VITTIMESEPOLTE VIVE / CHE SI

RICORDANO ALLA PIETÀDEI BUONI / AL PERENNE

RICORDO DEI POSTERI

I CONGIUNTI POSERONEL QUARTO ANNIVER-

SARIO

Il mattino del 28 dicembre1943, una bella giornata inver-nale con tanto sole e tempera-tura mite, l’Ofelia Della Bella,che allora aveva 13 anni, alsuono della sirena d’allarme,voleva correre al rifugio diSan Bernardino. Le piacevaquel rifugio perché era unposto allegro. C’era stata unpaio di volte e aveva atteso ilcessato allarme con ragazziche cantavano, al suono di unachitarra. Il padre invece laobbligò a seguirlo, fuggendoper i campi, verso la collina.L’Ofelia fu salva.Elio Valmaggi era al suo postodi lavoro, al CreditoRomagnolo allora in piazzaFerrari. Udito l’allarme, sirecò al rifugio di SanBernardino, dove trovò l’inte-ra famiglia Cretella, i genitorie cinque figli, la più grandedei quali, “filava” con lui. Ipiù piccoli avevano 10, 6 e 3anni. Morirono tutti.

***Aronne Valmaggi seppe quasisubito che il rifugio era statocolpito e accorse, trovandoalcuni soldati tedeschi, fra iquali uno che conosceva, dinome Martino, il quale glichiese di dare una mano perrimuovere le macerie e salvarele persone ancora vive. Glitoccò di recuperare, fra lealtre, la salma del fratello.

***Quello del 28 dicembre fu ilbombardamento più devastan-te. La giornata di sole aveva

tradito i riminesi. Secondo l’“Ordine di operazioni” delQuartier generale del Gruppodi bombardamento americano,le formazioni avevano unobbiettivo principale e unosecondario, per il caso dieventuale impossibilità (percondizioni atmosferiche oaltro) di colpire il primo.“Alcune delle maggiori incur-sioni su Rimini furono appun-to eseguite non essendo statopossibile alle formazioni degliaerei in volo di raggiungerel’obiettivo prefissato. Tale fu ilcaso dell’incursione avvenutail 28 dicembre 1943. Gli appa-recchi… appartenenti a bencinque Gruppi di bombarda-mento pesante, partiti… perraggiungere e distruggere unodei maggiori nodi ferroviaridel nord Italia, ivi trovandocondizioni atmosferiche proi-bitive, ripiegarono su Rimini,il cui scalo ferroviario e pontierano stati indicati comeobiettivo secondario di quellamissione” (1).Gli aeroplani impiegati furono120, e fecero cadere le lorobombe “a grappolo” alle 11,30e alle 12,30. “…tutta la città ela periferia è stata investitadalla raffica che definiscoinfernale… Rimini è oggidiventata una città morta”

(2).Il Commissario prefettizio,nella sua Relazione, indica ledistruzioni, un lungo elenco,nel quale compaiono ilTempio Malatestiano, la chie-sa di S. Agostino, ilMunicipio, il Teatro comuna-le, lo stabilimento dellaNettezza urbana, il Casinocivico, il Liceo classico, altrescuole e asili, il PalazzoLettimi.Fra gli edifici e gli impiantidistrutti o danneggiati ci sonoanche due rifugi antiaerei, manon la stazione ferroviaria,non il ponte della ferrovia, noni ponti sul Marecchia, che nonfurono colpiti (e neppure presidi mira).Nel rifugio di San Bernardinomorirono cinquantasei perso-ne, di morte atroce, per soffo-camento. Nella città i mortifurono dai cento ai duecento(secondo la relazione del com-missario straordinario Ughi).Nei bombardamenti successiviperirono altri riminesi, tanti daformare il numero complessi-vo di 602 o 607, secondo talu-ni, 738 secondol’Associazione delle Vittimecivili di guerra.

***In tutta Italia i morti per bom-bardamenti furono 152.588 frala popolazione civile (3). Peravere un’idea delle proporzio-ni, le stragi di civili addebitatealle forze armate tedesche pro-vocarono 14.150 morti, cuivanno aggiunti, secondo fonteANPI, 28.870 partigiani arma-ti (4).

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TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M

RIMINESI NELLA BUFERA / LE 56 VITTIME DEL 28 DICEMBRE 1943

LA STRAGE DI SAN BERNARDINORomano Ricciotti

32

I

“Le salme

di quel devastante

bombardamento furono

trasportate al cimitero

a opera degli addetti

comunali.

Li portavano via,

dice Valmaggi, ‘così, coi

carri, come si portavano

i morti per la peste

di Milano…’ ”

La Piazzetta San Bernardinodopo il bombardamento del 28 dicembre 1943. Nella pagina accanto: squadre di operai che scavanotra le macerie nell’area di San Bernardino.

“Le salme,

prima furono allineate

nella piazzetta

di San Bernardino

e poi ordinate

pietosamente in file,

ai piedi

dell’altare maggiore

della chiesa”

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Aronne Valmaggi collaboròalla sistemazione delle salme,prima allineate nella piazzettadi San Bernardino e poi ordi-nate pietosamente in file, aipiedi dell’altare maggioredella chiesa. Nei giorni suc-cessivi le salme furono tra-sportate al cimitero a operadegli addetti comunali. Li por-tavano via, dice Valmaggi,“così, coi carri, come si porta-vano i morti per la peste diMilano. Li portavano in quellamaniera lì…”. Erano trascorsitre giorni dal Santo Natale.

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TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M33

1 PIER MARIA ALBINI2 MILIA BALDINI3 IOLANDA MARIA BENEDETTINI4 TONINO BEZZI5 BRUNO BIANCHI6 COLOMBA BIANCHI7 ALDO BIFFI8 GIOVANNI BOFFONI9 ENRICO CATALANI10 ALBERTO CAVALIERI11GABRIELLA CAVALIERI12 GIANFRANCO CAVALIERI13 GIOVANNI CAVALIERI14 ATTILIO CECCARELLI15 FERDINANDO CECCHI16 GELTRUDE CECCHI17 GIUSEPPE CECCHI18 LEONILDE CECCHI19 MARIA TERESA CECCHI20 MARIA O MARINA CECCHI21 RAIMONDO CECCHI22 PRIMO CENCI23 ENZO CHELLINI24 CESIRA CONTI25 EGLE CORADESCHI26 ADELE CORBELLI27 EMILIO CRETELLA28 GIORGIO CRETELLA29 ANGELA MARIA CRETELLA30 MARISA CRETELLA31 RENATO CRETELLA32 MARIA CRETELLA33 MARIA DEL VECCHIO34 MARIA DIANORI35 SECONDO ERMETI36 GIUSEPPE FABBRI

37 GIUSEPPE FABBRI38 MARIA FABBRI39 FORTUNATO FANCIARESI40 AGOSTINO FERRI41 ADELE FRISONI42 INES ISOLINA GIULIANELLI43 TERESA GIULIETTI44 INES GULMINELLI45 GUIDO MERCATELLI46 MADERA MARIANI47 MARIA MARIANI48 MIRZE MARIANI59 MANLIO MELDINI50 GRAZIELLA MELETTI51 GIUSEPPINA MELUZZI52 MODESTA MICHELUCCI53 DOMIZIA MONTEBELLI54 GIUSEPPE MORONI55 ANITA MORRI56 MARIA PASETTI57 RINA PINI58 TARCISIO PINI59 ANTONIA RAFFAELLI60 PIETRO ROSSI61 ANNA SABATTINI62 GAETANO SABATTINI63 DANTE SANDRI64 BIANCA SAVIOLI65 BRUNO SAVIOLI66 SILVIO SAVIOLI67 CARLA SOANINI68 ADAMO TONI69 ELIO VALMAGGI70 ELSA VENTURINI72 GASTONE ZAMAGNI73 WALTER ZAMAGNI

I morti di quel tragico bombardamento non furono soltanto icinquantasei di San Bernardino. L’Associazione Vittime civilidi guerra fornisce il seguente elenco, che diversamente daquanto si legge nella relazione Ughi enumera 73 persone.

I MORTI DEL 28 DICEMBRE 1943

LE FIRME DI ARIMINUM NELL’ANNO 2004Norberto Bonini, Giuliano Bonizzato, Alessandro Brambilla, Franca Brunelli, Alessandro Caprio, AdrianoCecchini, Luca Cesari, Michela Cesarini, Federico Compatangelo (foto), Italo Cucci, Gerardo Filiberto Dasi, LaraFabbri, Liliano Faenza, Angela Fontemaggi, Pier Luigi Foschi, Pier Giorgio Franchini, Giuliana Gardelli, MarcoGennari, Ivo Gigli, Alessandro Giovanardi, Silvana Giugli, Giuma, Aldo Magnani, Giancarlo Mantellato, ManlioMasini, Arturo Menghi Sartorio, Amedeo Montemaggi, Arnaldo Pedrazzi, Valentino Pesaresi, Orietta Piolanti,Enzo Pirroni, Sandro Piscaglia, Luigi Prioli (foto), Romano Ricciotti, Maria Antonietta Ricotti Sorrentino, RinaldoRipa, Gaetano Rossi, Franco Ruinetti, Italo Sala, Stefano Servadei, Emiliana Stella, Giancarlo Ugolini, EmiliaMaria Urbinati, Giulia Vannoni, Guido Zangheri

Mancavano tre giorni alCapodanno.

NOTE1) La guerra a Rimini e sullaLinea Gotica, a cura di BrunoGhigi, Rimini, 1980, pag. 173.2) Relazione del Commissarioprefettizio Ugo Ughi al Capodella Provincia di Forlì, inGhigi, pp. 141 e ss.3) Giulio Bedeschi, a cura di,Fronte italiano, c’ero anch’io,Mursia, 1987, p. 9.4) www.romacivica.net/anpi-roma/resistenza/cifre.htlm

“Aronne Valmaggi seppe quasi subito

che il rifugio era stato colpito e accorse,

trovando alcuni soldati tedeschi,

fra i quali uno che conosceva, di nome Martino,

il quale gli chiese di dare una mano

per rimuovere le macerie e salvare le persone

ancora vive.

Gli toccò di recuperare, fra le altre,

la salma del fratello”

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onte Scudolo, dicembre1832. Don Giacomo

Damiani, parroco di quelpaese, verso le dieci del matti-no se ne torna camminandosvelto, per vincere il freddo,alla sua abitazione, dopo esse-re stato a trovare un parroc-chiano ammalato. Trovò la viadi casa sbarrata da soldati dilinea. Alcuni carabinieri tra-sportavano delle armi dallasua casa ad un biroccio insosta sulla pubblica via.Fermo davanti al carro c’eraLuigi D’Altri, suo nipote econvivente. “Che armi sonoquelle che caricano?” chiedeDon Giacomo al nipote.“Sono quelle che tenevo incamera mia per conto delComune” risponde il giovane.Il sacerdote si rivolse alloraall’ufficiale in comando, sot-totenente Magrini, chiedendo-gli per ordine di chi seque-strasse le armi. “Per ordine delGoverno” fu la risposta. DonDamiani, tranquillizzato, nonpensò più a quelle armi che ilnipote aveva custodito perordine del Comune e con suapiena intelligenza.A distanza di più di un mese ilPrete fu invitato a presentarsialla Cancelleria Criminale delsuo distretto in compagnia diun altro Sacerdote, in confor-mità alle norme del dirittocanonico. Don Damianiaccompagnato dal proprioCappellano, Don AntonioGiorgetti, si presentò allaCancelleria Criminale posta inCoriano e si sentì accusare dalprocuratore fiscale, MatteoFabbri, di aver contravvenutoall’Editto del CardinaleAlbani sulla consegna dellearmi. Il povero prete si sentìcadere il mondo addosso. Learmi, alcuni fucili con baio-netta, gli erano state conse-gnate nel 1816 quando ilGoverno aveva istituito la

Guardia Provinciale e DonDamiani “venne arruolatonella medesima in qualità diCappellano del 2° Battaglionedel 3° Reggimento diRomagna” insieme a suo nipo-te Luigi D’Altri, arruolato conlui come vice caporale. IlComune aveva distribuito adetto Corpo tutte le armi chepossedeva, affidandole allacustodia di tal Giovanni Selva,sotto la responsabilità delConte Garampi di Rimini.Poiché nel 1823 il Selva avevainiziato a fare commerciodelle armi che custodiva, DonDamiani aveva avvertito ilConte Garampi che aveva sol-levato il custode dal suo com-pito, consegnando le armi alParroco, che da allora le avevatenute in casa. A sostegnodella verità di quanto asserivail Prete consegnò alProcuratore tre lettere delGarampi, che lo autorizzavanoa prelevare le armi al Selva,

anche con la forza se occorre-va. Con altra lettera del 15marzo 1823 il Garampi avevaordinato a Don Damiani dipassare le armi in custodia alnipote Luigi. I fucili rimaseronella canonica, in pieno con-certo col Comune, fino allasollevazione del febbraio1831, quando vennero prele-vate dagli insorti.Finito quell’episodio rivolu-zionario, venne creata unaGuardia Urbana e il più voltenominato nipote “venne dallocale Sig. Priore Comunalenominato Comandante didetta Guardia, e destinata lapropria abitazione per deposi-to d’armi”. Anche questaasserzione era suffragata dauna lettera del Comune.Alla pubblicazione dell’Edittodel Cardinal Albani che impo-neva la consegna delle armi, ilD’Altri si recò in Comune e ilPriore Felice Gaspari, nonsapendo dove e come custodi-re tali armi, pregò il giovane ditenerle presso di sé “a disposi-zione del Governo cui leavrebbe indilatamente spedite,qualora le avesse richieste”,perché non riteneva che learmi di proprietà comunalefossero “comprese nella cen-sura del succitato EdittoAlbani”.Insomma si trattava di ungrosso equivoco. Ma il

Procuratore Fabbri nonostantele lettere non era pienamenteconvinto e convocò il PrioreFelice Gaspari. Per fortuna delParroco il Priore confermò che“considerando le buone quali-tà del ridetto D’Altri, e perl’attaccamento che aveva alnostro Governo pontificio,credetti di nominarlo inCapitano della GuardiaUrbana … e lo si autorizzavaancora a formare il Quartierein sua casa e a ritenere le armisuddette”.Ma il Fabbri da bravo inquisi-tore non voleva darsi per vintoe una volta azzannato l’ossonon intendeva mollarlo. Tentòuna nuova subdola strada.“Della qualità, e fama dell’an-zidetto Luigi D’Altri in fattodi morale che mi dice?” chiesemellifluo. “Posso dire che è unbuon cristiano e ripeto chesempre è stato attaccato alGoverno Pontificio, comeanche il di lui zio Signor donGiacomo ridetto, e ritrovatosiantico cappellano della pro-vinciale, per cui a loro dispet-to, e nell’opera rivoltosa pati-rono qualche inquietezza daquelli che garantivano tal par-tito”.Il Fiscale Matteo Fabbri a que-sto punto si arrese e DonGiacomo Damiani fu scagio-nato da ogni accusa.

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TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M

NOTERELLE RIMINESI DELL ’OTTOCENTO

LE ARMI DIMENTICATEArturo Menghi Sartorio

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“I fucili rimasero

nella canonica,

in pieno concerto

col Comune,

fino alla sollevazione

del febbraio 1831,

quando vennero

prelevate dagli insorti”

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Torre civica di MontescudoSotto: panorama del Paese

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ettere piede in PiazzaFerrari è come tornare a

casa. Vi ho piantata la tendaventisei anni tondi che ritengofra i più attivi e creativi dellamia esistenza. Oltre un quarto disecolo durante il quale ho vistocambiare pelle la parrocchia e lacittà. Facendomi vedere c’èsempre chi saluta, ricorda e,perché no?, si meraviglia di tro-varmi fra i morituri. E’un modocome un altro per dirti che cisiamo conosciuti, abbiamo dia-logato, costruito dei rapporticivili, religiosi e familiari.Certuni tengono conversazioneai tavoli esterni di Bar Ferrarifacendo la ronda dei pensionati.Altri siedono sulle panchine aoziare o a coccolare i nipotini.L’antifona è sempre identica siapure con parole diverse:“Vedeche schifo?! Scriva qualcosa delnostro immondezzaio”. E’ unalamentazione corale, anzi unageremiade biblica per i tempimoderni. Ma capperi, gli stannoscippando e stravolgendo ilvolto originario della “loro”Piazza: il giardino alberato incui sono cresciuti, hanno gioca-to, socializzato; vi hanno porta-to la morosa, la moglie, i figli ei nipoti.Negli anni Ottanta apriva i bat-tenti per un’attività meritevole efortunata “La Romana”, gelate-ria artigianale per definizione.Tanto geniale e accogliente chePiazza Ferrari diveniva unpunto di riferimento e una sostad’obbligo per il gelato da sorbi-re all’aria aperta o sedutiall’ombra delle piante. Ricordoche entrava persino in chiesa esaliva in canonica il parlottio ole risate dei capannelli e dellefamiglie che concedevano unpiccolo spazio alla golosità abeneficio del corpo e dello spiri-to.Piazza Ferrari sta perdendo loscettro di parco-giardino che

onorava il Centro Storico?Sembra di sì. E’ una stretta alcuore intercettare volti contra-riati e spiriti depressi nel cele-brare la gloria del tempo che fu.Sulla palizzata che circoscrivela Domus Romana leggo i graf-fiti intesi esternare gli stati d’a-nimo di chi si vede restringere illoro polmone di verde urbano.Ascolto frasi, sentenze, giacula-torie che conviene sorvolare.Per cui ho deciso di scriverequalche pensiero su Ariminumconseguente alla convivenzapluriennale e alla familiarità conl’habitat sociale che si rinnovanel tempo. Lasciando la Casadel Chirurgo debbo infilare il

Ponte Tiberio se voglio raggiun-gere la zona residenziale delParco Parecchia. L’ultima arca-ta del ponte mi dà il benvenutocon la sicumera scanzonata deipadri-padroni del Borgo:“Vieniavanti, cretino”. Tira su dimorale quella bravata da“Passatore cortese”. Dà la tona-lità giusta per scrivere e ricorda-re.

Il ritrovamento della DomusRomana è stato prettamentecasuale. Una circostanza fortui-ta correlata ai lavori di riqualifi-cazione delle aiuole di PiazzaFerrari a cavallo degli anniOttanta-Novanta. Ricordo le

prime voci, i sussurri e i mugu-gni per la sospensione dei lavo-ri di pavimentazione. Dapprimail mosaico; di seguito, scavandoe scavando, prende corpo laCasa del Chirurgo. Nel numeroprecedente di AriminumAlessandro Giovanardi ha situa-to il ritrovamento nel contestoclassico della cultura greco-romana, mentre RomanoBedetti scandisce le fasi alternedegli scavi, come anche il pro-getto di copertura nel calendariodi assensi e dissensi per la dura-ta di un decennio.Personalmente prediligo l’a-spetto che mi è maggiormenteconsono: il lamento elegiaco perla Piazza lacerata o perduta. Dicerto lo scavo archeologico hacontraffatto la fisionomia e lafunzione ambientale e decorati-va dei Giardini. Lo scontro fron-tale è scoppiato al momento diattuare il progetto di coperturadell’architetto AlessandroColombi per conto dello studioCerri di Milano. Gli abitanti delCentro Storico – ferrarini e non– conglobati nel comitato diPiazza Ferrari, raccoglievano unfastello di sei mila firme propo-nendo al sindaco Ravaioli unapausa di riflessione. Il qualerispondeva picche alla prospet-tiva di un lutto cittadino se sifosse proceduto a colpi autorita-ri non rispettosi del dialogodemocratico. “La vera giornatadi lutto cittadino è quella in cuiuna città assiste indifferente allaperdita irreparabile di un patri-monio di storia e di identità”.Parole sentenziose che serviva-no più a dividere che unire epersuadere. Asserire che Riminisenza la Domus Romana can-cellasse la propria identità, eraun teorema di ardua soluzione.Per lo meno un paradosso esor-bitante il caso specifico.Dalle reprimende si passò ai

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A R I M I N V M

ERA IL PARCO-GIARDINO DEL CENTRO STORICO

AMARCORD PIAZZA FERRARI“MA PI Ù CHE GEMERE O GIOIRE, MI ATTARDO A RICORDARE …”

Aldo Magnani

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“Lo scavo archeologico

ha contraffatto la fisionomia

e la funzione ambientale e decorativa dei giardini”

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fatti. Il D. day del lutto cittadinoscattò l’alba dell’otto agostocon il bliz per la decapitazione elo sradicamento di sei piante dialto fusto oltre le cinque prece-dentemente calate nella fossacomune. Si assisteva a uno psi-codramma collettivo all’aperto.In un settore della piazza i citta-dini che guardavano inermi esdegnati alla liturgia funebre deifusti arborei, ma nei puntinevralgici carabinieri, poliziottie vigili urbani deputati a garan-tire lo svolgimento dell’esecu-zione capitale.Con i lavori per la Domus appe-na iniziati il comitato di PiazzaFerrari pare deciso a nondemordere dalle proprie moti-vazioni. Dato per scontato ilprocedimento all’esecuzionedel progetto di copertura,immagino che dubbi, interroga-tivi e contrapposizioni avrannovita lunga presso l’opinionepubblica del Centro Storico. Laquerelle si concentra nel dilem-ma se, al posto di enfatizzarel’abitazione dell’enigmaticoChirurgo, non fosse stato piùcongruo e ragionevole trasferirei reperti pregevoli nell’attiguoMuseo civico e salvaguardarel’oasi di verde che il parco-giar-dino offre alla città. Comunque,resta da vedere e comprovare lapercentuale dei riminesi, turistie villeggianti, che frequenteran-no gli scavi per deliziare gliocchi e la mente con la Casa delChirurgo, la quale,“se interro-gata, può narrare ancora moltevicende… non menodell’Anfiteatro, dell’Arcod’Augusto e del Ponte diTiberio”. A mio avviso, quelloche sta emergendo è un ottimi-smo preventivo e prematuro. Arispondere oggettivamente par-lerà la generazione che viene.

Il revival nella parrocchia delSuffragio mi conduce al salmo136 dove viene liricamente evo-cata la nostalgia degli Ebrei perla patria bella e perduta. “Suifiumi di Babilonia sedevamopiangendo / al ricordo di Sion /Ai salici di quella terra appen-demmo le nostre cetre”. C’è chi

fa della scoperta archeologica diPiazza Ferrari un trofeo di arte edi storia. Altri prepongono leurgenze ecologiche e urbanisti-che all’edilizia romana. Altriancora usano il sarcasmo versogli aficionandos della DomusRomana ricordando agli sme-morati che, a voler esserecoerenti, bisognerebbe abbatte-re la città attuale per esumarequella sotterranea. Con il rispet-to necessario e dovuto alle tesicontrapposte, immaginatemiseduto sotto il tiglio secolare per

appendervi la mia cetra silen-ziosa. Più che gemere o gioire,mi attardo ricordare. Apro ilvolume Poesie che contiene lasilloge di un tragitto cinquante-nario nell’esercizio dei versi; apagina 42 ho inserito la compo-sizione “Concerto all’alba”. E’la prima lirica scritta a Rimini eviene datata 1966. Merito degliuccelli di Piazza Ferrari a ecci-tare la fantasia. Vi ero giunto laprimavera del ’65. Dormivo conla finestra a cento metri dallechiome frondose. All’alba l’en-

semble dei pennuti concertavaall’unisono la Nona Sinfonia.Direttore d’orchestra era il solenascente che si faceva precederedal chiarore albale. Aprivo gliocchi vibrando in simbiosi conl’Inno alla gioia. Come succedea chi abita i piani nobili dellerime, d’acchito e di prepotenzati senti investito dalle immaginie dalle righe metriche che sma-niano di respirare nella carne enello spirito dell’uomo e delladonna. “Mi svegliate, corrieridel mattino / assiduamenteall’alba / e suonate i violini diaprile / nelle ugole d’argento /sui tigli della piazza cittadina”.Sloggiare gli artefici dell’ombrae dell’ossigeno, oltre che stri-minzire l’area benefica delristoro, significa sfrattare leugole celestiali, smontare i pal-chi sui quali sostano sonoriz-zando le note alla magnificenzadel creato. Resteranno a gor-gheggiare gli amici del mattino?Prosegue la poesia:“Dopo èsilenzio. Dai pini sbrancate / apascolare al fiume e gli agrume-ti”. Mi ostino immaginare chePiazza Ferrari non si riducaostaggio e feudo dei piccioni,dei quali memorizzo l’invaden-za non certo benevola:“Ottusiamori tubano i piccioni / sullegronde della chiesa in attesa / dibeccare le croste sfarinate / damani francescane”. A sfarinarecroste e molliche indurite era lasignora Caterina. Curva comel’archetto, malmessa peggio delgobbo di Notre Dame de Paris,spingeva avanti la carcassarachitica con la bisaccia per lacolazione ai colombi. Costorosbattevano le ali schierati sullosporto dell’edificio sacro e, nonappena compariva col suo tron-co ondeggiante, rompevano lerighe tuffandosi a capofitto nellastrada e sul marciapiede.Beccavano affamati e agguerritigli uni contro gli altri. Saziatisvolazzavano a dissetarsi allafontana, dopo di che si ritirava-no a poltrire e inguanare ilsagrato, i tetti, le strade e glispiazzi. Da ciò il mio anatemaclericale:“Io detesto i pennuti

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I GIARDINI DI PIAZZA FERRARI ALL ’INIZIO DEL NOVECENTO.

Segue a pag. 52

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Italia era uscita prostratadalla guerra. La seconda

metà degli anni quaranta, fucaratterizzata dal faticoso econfuso processo di ricostru-zione: si trattava di ridisegnareil tessuto urbano sfigurato daanni di bombardamenti,riadattare le strade, costruireponti, ripristinare la rete ferro-viaria, riconvertire la produ-zione agricola ed industriale.Furono anni caotici di sacrificie di miseria ma, il nostro paesestraccione, segnato da cicatriciprofonde, dimostrò di posse-dere risorse impensate. Ilpopolo italiano si affidò allasua innata capacità di iniziati-va, alla genialità ed al lavoro.Mentre i comizi di piazzaaccendevano un vero e proprio“tifo” ed il gesuita, padreRiccardo Lombardi lanciava isuoi anatemi bandendo crocia-te contro il comunismo, aStresa, sul lago Maggiore, unabellezza toscana di vent’anni:Rossana Martini, vinceva ilprimo concorso di “missItalia”, superando SilvanaPampanini, la quale sarebbe,di lì a poco, diventata un mitodel sex-appeal nostrano. Nelfrattempo, l’ingegnereCorradino D’Ascanio, proget-tava per l’industriale EnricoPiaggio, una motoleggerarivoluzionaria: la Vespa.Questo scooter, che costava97.000 lire (pagabili a rate), siavvaleva di un motore a duetempi e, con un litro di carbu-rante, era in grado di percorre-re cinquanta chilometri.L’Italia con i fortunati e rivo-luzionari scooters, Vespa eLambretta (prodottadall’Innocenti), si mise inmoto. A Rimini, intanto eraapprodato, in cerca di pace(gli ultimi ardori genesici liaveva esauriti nel cercare disopravvivere), Ezio Gabotti.

Questo uomo geniale, versa-tissimo nelle scienze meccani-che, era nato a Busto Arsizionel settembre del 1919.Giovanissimo si era scapicol-lato alla brava, correndo inmotocicletta ed armeggiandotra motori di tutti i tipi. Quindila triste parentesi della guerra.Il mutamento di rotta fu diffi-cile. Per alcuni lo fu più cheper altri. La generazione, allaquale apparteneva EzioGabotti, scontava le conse-guenze di un fallimento, paga-va, purtroppo, il retaggio ditante illusioni e di tanti miti.Lo sport fu un modo perdimenticare e forse per rico-minciare. Il mondo dellemotociclette, dopo aver vissu-to negli anni 20 - 30, momentientusiasmanti con le sfideVarzi - Nuvolari ed i successidi Omobono Tenni, sentì lanecessità di darsi delle regola-mentazioni a livello interna-

zionale. Nacque, in questomodo, nel 1949, il primo cam-pionato del mondo. L’Italiacentrò due titoli iridati conNello Pagani su Mondial,nella classe 125cc e con BrunoRuffo su Guzzi (il famosoGambalunghino), nella classe250cc. Il meccanico di BustoArsizio, che aveva aperto unapiccola officina nel palazzoGarattoni, sul Corsod’Augusto, aveva già, allespalle alcune invenzioni.Aveva progettato e realizzatoun bruciatore a gas: ilTermovulcan, ma a questobrevetto fece seguito una

lunga controversia legale conl’ENI e poi con laLamborghini. Gabotti fu con-dannato per plagio e gli vennesospesa la licenza. Nella botte-ga riminese, attese a tutti ilavori: modificò forcelle tradi-zionali che trasformava in for-celle a ruota tirata con braccioscillanti inferiori. Era questauna soluzione che si ispiravaalle forcelle, che in quel perio-do venivano fabbricate dalladitta Moroni di Rho. Ebbe undiscreto successo anche se, inverità, si trattava di un masto-dontico errore dal punto divista geometrico. Costruì side-cars, riassemblò motori, siadattò addirittura ad attaccarpezze a camere d’aria bucate.Era un sognatore. Un vulcanodi idee. Un uomo senza cultu-ra. Ma il greco ed il latinosono sempre stati cibi perpochi e raramente hanno con-tribuito a plasmare cervelliveramente moderni. Se ciòfosse sufficiente, la nostraimpaludata, aristocratica, clas-sicissima scuola avrebbe, dasempre, a getto continuo, sfor-nato geni. Invece, il megliodella nostra intellettualità èsempre stato espresso da per-sone completamente estraneealla cultura ufficiale. Il 13ottobre 1952, brevettò unamotocicletta di 125cc, a duetempi. Questa moto, restaura-ta, perfettamente funzionante,è stata riportata nel suo origi-nario splendore da quel veroappassionato ed esperto difama mondiale che è il prof.Augusto Farneti di Rimini.“Fu un geniaccio, EzioGabotti. - Mi dice il prof.Farneti - Mettendo a frutto lesue esperienze nel campo deimotori, aveva costruito unamotoleggera per certi aspettiinnovativa. Ad esempio, la

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PERSONAGGI

A R I M I N V M

EZIO GABOTTI / IL MAGO DELLE SCIENZE MECCANICHE

ARTIGIANO AVVENTURIERO E … SOGNATOREAVEVA L ’OFFICINA IN VIA CIRCONVALLAZIONE OCCIDENTALE

Enzo Pirroni

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L

“Il suo luogo privilegiato era l’officina,

l’abito col quale si trovava maggiormente

a suo agio era una tuta sporca di grasso.

Abituato a pensare in grande, dovette purtroppo

misurarsi con le miserie quotidiane,

cercando di risolvere problemi

di assoluta prosaicità, ma pressanti,

concreti e reali”

Rimini 1952. Al centro, in canottiera,

Ezio Gabotti con una delle sue “Moto Gabotti”

in bella mostrasul corso d’Augusto davanti

al Palazzo Garattoni. Nella pagina accanto altre moto “ritoccate”

dal nostro geniale artigiano.

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scatola del cambio, era separa-ta dalla camera dei volani, percui ognuna di queste compo-nenti si poteva smontare senzache l’altra venisse toccata. Erauna moto elegante, con doppitubi di scarico, sella lunga,carter lucidato a specchio. Percomporre questa piccola dueruote, Ezio Gabotti si era ser-vito di componenti meccanicigià presenti sul mercato: lesospensioni erano quelle dellaGuzzi, la biella era quelladella Lambretta, il pistonedella MV Agusta, i freni eranodi Amadori di Bologna. Perarrivare a codesti risultati,veramente eccellenti, Gabottisi avvalse della collaborazionedi noti artigiani riminesi odella zona: Italo Benedettifece le fusioni, Bibi Bernardi(suo grande amico e uomogeniale), realizzò i disegni,Peppino Bartolucci di Forlì eMario Moretti attesero allaverniciatura. Oltre a questa125, Gabotti costruì anchealcune 150. Di queste moto,ne vennero realizzate, in tuttosettantotto esemplari. Il pro-blema più grave che incontròil costruttore di casa nostra -continua il prof. Farneti - fuquello di piazzarle, privocom’era di una valida rete divendita. Era uno gnomo chelottava contro giganti quali:Guzzi, Gilera, Mondial,Benelli, Bianchi. Ma erano lecorse che accendevano la fan-tasia del nostro uomo. Nel1953, Gabotti presentò una250cc, bialbero, distribuzionecon alberello a coppie coniche(scuola Norton). La moto,molto curata nelle elaborazio-ni, era stata ideata da AdrianoAmadori. Non si sa bene perquali vie, Gabotti giunse aquesta motocicletta, ma suquella puntò per contrastare laBenelli ed il suo alfiere: DarioAmbrosini. La moto, in veritàassai bella, venne presentata aMilano al “Salone del ciclo edel motociclo”. Riscosse con-sensi tra gli intenditori. I testvennero effettuati da MassimoPasolini, da Raffaele Alberti,

che era stato pilota ufficialedella Benelli, e dai fratelliLuigi e Jader Ruggeri diBologna. Ma non se ne feceniente. Questa fu, forse, la piùcocente delusione della suavita”. Nel 1957, Gabotti si tra-sferì a Milano dove, in societàcon un amico di Legnano aprìuna fabbrica di motori. Nelcapoluogo lombardo vi rimasefino al 1961. Gli andò male.Fece ritorno a Rimini. Qui ci

furono ancora motori, altritentativi, ulteriori progetti.L’officina l’aveva in viaCirconvallazione Occidentalee lì brevettò una frizione auto-matica senza leve e senzapedali (Frizione Vanguar), damontare su motori bicilindrici(500 - 126 FIAT). Sempre lìideò e realizzò una macchinaper la lavorazione del legnocon avanzamento automatico.Insieme ad un tale Marconi di

Rimini brevettò pure unadraga per pulire i fondali deiporti. Avrebbe dovuto trasfor-mare la melma in acqua.Questa, come tante altre, fuun’idea che non si concretiz-zò. Una relativa tranquillitàeconomica la raggiunse allor-ché comprò un capannone aVergiano dove poté costruirequelle sue amate macchineche andava via via realizzandoapportando ad esse continuemigliorie. Non si fece ricco.Non sapeva percorrere certestrade. Era rimasto un artigia-no ingegnoso, avventuriero esognatore. Il suo luogo privile-giato era l’officina, l’abito colquale si trovava maggiormentea suo agio era una tuta sporcadi grasso. Abituato a pensarein grande, dovette purtroppomisurarsi con le miserie quoti-diane, cercando di risolvereproblemi di assoluta prosaici-tà, ma pressanti, concreti ereali. Morì nel dicembre del1977. Aveva da poco compiuto58 anni. A Rimini sono inmolti a ricordarlo.

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PERSONAGGI

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LIBRI

“LA BUSSOLA PERDITEMPO”CURIOSA GUIDA PER RAGAZZI

Emiliana Stella

“La bussola perditempo”, stampata dall’Associazione Culturale Sinforosa, è una simpati-ca guida turistica per bambini che giocosamente indica itinerari da effettuare in Rimini edintorni. Visite ai castelli, alle fattorie, ai parchi, ai musei e ai paesetti dell’entroterra. Unlibretto dalla stampa chiara, diviso in capitoli ognuno dei quali si chiude con un vocabo-larietto che spiega il significato delle parole “curio-se”, cioè non sempre conosciute dai ragazzini.Tutte le pagine sono illustrate da spiritosi disegni;ci sono anche tre o quattro tavole che si aprono adoppio e mostrano graziose scenette. Una cartina,in fondo, riassume e localizza i posti più impor-tanti e un CD completa il tutto, in modo che, il pic-colo viaggiatore può leggere o ascoltare il testo. Laminuscola guida riporta indirizzi e numeri telefo-nici dell’Assessorato al Turismo, degli Ufficid’Informazione e Accoglienza Turistica e dei pub-bliphono della spiaggia; insomma, potrebbe esse-re un regalino originale per nipoti o figli di amici.

“Brevettò una frizione automatica

senza leve e senza pedali (Frizione Vanguar),

da montare su motori bicilindrici (500 - 126 FIAT)”

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a sera del 10 febbraio1929 fa la sua apparizione

a Rimini la prima neve di sta-gione; questa, con intervalli difreddo polare, continuerà ascendere copiosamente finoalla fine del mese raggiungen-do addirittura il metro e mezzodi altezza. Una nevicatainconsueta, tanto che il 1929entrerà nella memoria colletti-va dei riminesi come «l’annodel nevone». Ma quell’anno equel mese saranno ricordati intutta Italia per un altro fatto diben altra portata storica: lafirma dei Patti Lateranensi. Eproprio a Rimini, l’ecceziona-lità di quel “trattato” traspare,documentata in data 12 feb-braio, sulla Cronaca dellaCasa delle Figlie di MariaAusiliatrice (un diario di pic-cole riflessioni “interne”, mache quando affronta i grandiaspetti della quotidianità“esterna” assume il valoredella testimonianza di unepoca):«Con gioia e commo-zione apprendiamo il grandeevento della Conciliazione trala Chiesa e lo Stato. Sia rin-graziato il Signore!». Pocheparole, ma eloquenti per dareil senso della straordinarietàdella notizia appena letta suigiornali del mattino, ma attesae auspicata da tempo dai catto-lici. Per valutare l’importanzadi quella sintetica frase, sipensi che in quel periodo lesuore salesiane di PiazzaTripoli, con il laboratorio, lascuola e l’oratorio festivo,“raggruppano” oltre duecentogiovani e altrettanti ne raccol-gono i Figli di don Bosco, lìnei pressi: una folla di ragazziche pone al centro della pro-pria condotta di vita la fedecattolica.I “Patti Lateranensi” firmati aRoma l’11 febbraio 1929

posero fine a uno dei grandiproblemi lasciati irrisolti dalnostro Risorgimento, l’ostilitàtra la Chiesa cattolica e ilRegno d’Italia. Non a caso lemotivazioni laicistiche e anti-clericali di coloro che contri-buirono a unificare l’Italiaavevano impresso alla“Questione Romana” unalinea di inimicizia verso laSanta Sede e indirettamenteverso il cattolicesimo. Un dis-sidio «doloroso e lancinante»per molte coscienze di creden-ti, che determinò tra le parti unlungo e difficile contenzioso eche impedì, una volta “fatta”l’Italia, che fossero “fatti”anche gli Italiani.Gli accordi del 1929, chedeterminarono «il ritorno

dell’Italia a Dio e di Dioall’Italia», prevedevano: untrattato, che garantiva il pienoriconoscimento della sovranitàdei due governi sui rispettiviterritori (Regno d’Italia e Cittàdel Vaticano); un concordato,che regolava le diverse materiedi contenzioso religioso e civi-le (e tra queste il matrimoniocanonico, che acquistavaeffetti civili, e l’insegnamentodella religione, che venivareso obbligatorio nelle scuo-le); una convenzione finanzia-ria che assicurava alla SantaSede il risarcimento dei dannisubiti fino al 1871 (circa duemiliardi di lire).Questa complessa, ma affasci-nante pagina di storia italianaviene portata alla luce e rigo-rosamente analizzata nei suoiaspetti etici, politici e giuridicida Romano Ricciotti nel bellibro “La ferita sanata ” (ilCerchio). «Romano Ricciotti–scrive Franco Gardini nellaintroduzione al volume- ha ilraro coraggio e la non menorara lucidità di presentare intermini chiari ed espliciti que-st’ampia problematica che locoinvolge profondamentecome cattolico e come uomodi studio e di diritto».

Ricciotti, con stile essenziale eincisivo, parte dalla considera-zione di come la storia delnostro Paese fosse profonda-mente intrecciata con la storiadella Chiesa Romana e dicome le politiche liberal-mas-soniche e progressiste operatedal Regno d’Italia fossero«una vera e propria persecu-zione» verso la Chiesa e ilclero. Un’azione di “scristia-nizzazione” che lacerò il cuoredella maggioranza degli italia-ni impedendo ai cattolici diconiugare il sentimento reli-gioso con l’amor di Patria eche la legge del 13 maggio1871, detta “delle guarenti-gie”, mai accettata dalla SantaSede, tamponò solo in parte.Per Ricciotti, il regime libera-le non era in grado di scioglie-re questo nodo: per farloavrebbe dovuto contraddire sestesso; i liberali, infatti, consi-derano la Chiesa cattolicaun’associazione privata sog-getta alla sovranità dello Stato.Solo una nuova classe politica,immune da pregiudizi liberalie sensibile alle radici cristianedel popolo italiano, avrebbepotuto condurre a soluzione la“Questione romana”.A ricucire lo strappo ci pensòil regime fascista. Fin dal suoesordio Mussolini adottò unapolitica di avvicinamento alVaticano e il primo passo fu lariforma Gentile dell’istruzionepubblica (1923), che ripristinòl’insegnamento della religionecattolica nelle scuole elemen-

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“LA FERITA SANATA ” I PATTI LATERANENSI E L ’ACCORDO DI VILLA MADAMA FRA STORIA, POLITICA E DIRITTODI ROMANO RICCIOTTI

UNA STORIA ITALIANAManlio Masini

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ROMANO RICCIOTTIRomano Ricciotti è nato nel 1930 e ha servito per quaran-t’anni in Magistratura. Ha avuto il privilegio di esercitare permolti anni la funzione di procuratore della Repubblica pres-so il Tribunale per i minorenni e poi quella di commissarioagli Usi civili, due organi giudiziari di cui Governo e mag-gioranza parlamentare hanno intrapreso l’opera di sop-pressione.E’ autore di saggi tecnico-giuridici, ma anche politico-giudi-ziari, come La Giustizia in castigo (Volpe, 1969) e I Liberalcontro la Giustizia (Minchella, 1998), nei quali ha messo inluce la concezione politica della giurisdizione, propria di“Magistratura democratica” e del pensiero unico liberale.

“Un’opera che affronta

‘questioni profonde’

e che fa riflettere,

soprattutto oggi,

che sta affacciandosi

un atteggiamento di

‘cultura del disprezzo’

nei confronti

del cattolicesimo”

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tari. Fu questa linea di dialogoe di pacificazione che consen-tì di arrivare ai PattiLateranensi e permise alDuce, in nome del re, e al car-dinale Pietro Gasparri, perconto del papa Pio XI, diappianare ogni attrito esistentetra Stato e Santa Sede.Dopo avere minuziosamenteradiografato l’evento del1929, Ricciotti, sempre conamabile penna, sviscera ilConcordato fra Stato e Chiesadel 1984; il sottotitolo dellibro, infatti, specifica:“I PattiLateranensi e l’accordo diVilla Madama, fra storia, poli-tica e diritto”. A differenza delprimo Concordato, carico dipassione e di spinte ideali, ilsecondo fu un arido negoziogiuridico di regolamentazionedelle materie di comune inte-resse. Un “aggiornamento”necessario e di normale routi-ne amministrativa, che non haminimamente vanificato oscalfito il grande significatostorico e politico del primo.Tanto più che senza i PattiLateranensi, l’accordo di VillaMadama (e così gli altri accor-di che potrebbero arrivare inseguito) non sarebbe statoneppure concepibile. La tesi-chiave del libro di RomanoRicciotti è che laConciliazione del 1929 (con ilsuo “trattato”) e la nuova ver-sione del Concordato del 1984«conservano il loro valore e laloro utilità politica e giuridi-ca» sia per lo Stato che per laChiesa; e ciò a dispetto dicoloro che sostengono il con-trario.“La ferita sanata”, sottolineaFranco Gardini,«affronta que-stioni profonde: lo Stato, lasua continuità, la sua eclisse;la laicizzazione della societàitaliana; il conflitto fra identitànazionale e identità ecclesiale,doveri civili e doveri religio-si». Un’opera, insomma, chefa riflettere, soprattutto oggi,che sta affacciandosi un atteg-giamento di “cultura del dis-prezzo” nei confronti del cat-tolicesimo.

La Biblioteca “Battarra” diCoriano, nel gennaio delloscorso anno, ha voluto cele-brare la ricorrenza del santopatrono San Sebastiano (20Gennaio) con la pubblicazionedi un nuovo volume della serieI Quaderni, serie volta a stu-diare, analizzare, ricostruire levicende storico/geografiche,economico/urbanistiche esociali di Coriano.Il volume: “Coriano e il suoCastello: Fonti e Storiadall’Alto Medioevo alla finedel Settecento”, stampatopresso La Pieve Editoriale diVilla Verucchio, porta la firmadi tre autori eccellenti ognunodei quali dà il suo contributofinalizzato a ricostruire uncerto periodo storico coriane-se. Ogni parte è caratterizzatada una trattazione articolataspecifica e da una appendicedove vengono riportate lefonti esaminate.La prima parte:Il territoriocorianese in età alto medieva-le: Insediamento, strutture epaesaggio è di Marco Sassi,direttore della collana d’arte,storia e archeologia“Penelope” il quale, come daltitolo del suo contributo, va adanalizzare un periodo quantomai complesso e lungo (dal IVsec. al XI sec.) dove non sem-pre è facile trovare documenti(questo però non è il caso diCoriano). L’autore si avvaledel materiale conservato pres-so l’archivio della Chiesa diRavenna, dei regesti pubblica-ti nella Storia di Ravenna non-ché del cosiddetto CodiceBavaro, e quant’altro, per rico-struire l’organizzazione delterritorio, l’insediamentoumano, il paesaggio e le risor-se nell’altomedioevo. La trat-tazione di Massi è una esau-riente e dettagliata indagine di

geografia storica dove l’autorespiega in modo chiaro, quasididattico, le differenze trafondi, masse, casali, castrum,villae plebis accompagnandoil lettore attraverso i tipi dicoltivazioni, l’allevamento, losfruttamento delle acque e delbosco nonché la toponomasti-ca del luogo. Interessante, adesempio,è vedere come dasempre nella zona di Corianoha avuto particolare importan-za la coltura dell’olivo (giàpresente in epoca romana) chepermetteva una considerevoleproduzione olearia la quale, alcontrario di quello che avvie-ne oggi, era per tre quarti uti-lizzata a scopo liturgico, diilluminazione e per riti con ilcrisma.La seconda parte:Il Castellodi Coriano in età malatestianasi deve alla penna di OresteDelucca: affermato ricercatoree studioso di fonti d’archivio acui si devono circa una decina,tra volumi e saggi riguardantiRimini e il suo territorio.Delucca parla del Castello diCoriano nato in prossimitàdella strata Regis, detta anchestrata Romea, e non lontanodalla più antica “villa”, giànella primavera del 1175come difesa passiva, ovverogarantita solo da fossato-

mura-torri, e luogo di raccoltae conservazione dei prodottiagricoli della zona.Roberto Malatesta fece di que-sto piccolo castello una resi-denza privilegiata per sé e lasua famiglia modificandoneradicalmente l’aspetto internoe trasformando la difesa dellacinta muraria da passiva inattiva con la presenza di can-noniere. L’autore, esaminandodocumenti quattrocenteschi,ricostruisce l’iter di tutti i 60fabbricati ubicati all’internodel castello con tutte le lorocaratteristiche e sistemazioni.Veniamo così a conoscerecome i palazzi si differenzia-vano dalle comuni abitazioni.E quando venne fatta la cister-na e dov’erano la casa delcomune e le fosse del grano.Ma soprattutto viene ricostrui-to dall’autore lo sviluppo cheportò l’antica “VillaCoriolani” a trasformarsi inborgo con i suoi abitanti e leloro attività professionali. E’quest’ultima parte della tratta-zione di Delucca particolar-mente interessante, quella checi sembra un po’ la “guida”dell’opera, perché l’autore,attraverso la sua attenta letturadelle carte dell’archivio, di persé aride, ci fa scoprire come il“piccolo mondo” di Corianoalla fine del medioevo fossevivo, attivo, plurietnico, inte-grato, in un certo senso proie-zione della grande città diRimini con la quale avevastrettissimi contatti. Corianofu così un crogiolo di espe-rienze e di confronti, semprepositivi, tra tradizioni diverse:Una vera piccola isola feliceoperosa senza contese razziali.La terza ed ultima parte:Per lastoria di Coriano dal

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“CORIANO E IL SUO CASTELLO ” FONTI E STORIA DALL ’ALTO MEDIOEVO ALLA FINE DEL SETTECENTODI ORESTE DELUCCA, PAOLO RIGHINI, MARCO SASSI

QUELL ’ISOLA FELICE DI CORIANOSilvana Giugli

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Segue a pag. 52

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n un primo momento non lariconobbi. Mi fissava con

insistenza, ferma tra la follache passeggiava nel Corso inquel sabato pomeriggio, poimi salutò con tono cordiale efu la sua voce a riscuotermi,risvegliando echi sopiti diun’età trascorsa ma maidimenticata. Non sono fisio-nomista: ricordo l’identitàdelle persone ma dimenticofacilmente il loro aspetto. Perla voce, invece, ho una sensi-bilità particolare: la guardaiattentamente e ritrovai il suosguardo. Gli occhi luccicava-no come allora, penetranti epensosi, ma percorsi da unavaga espressione ironica che lirendeva pronti allo scherzo eall’allegria. L’abbracciai congioia, quasi incredula di rive-derla dopo tanti anni di lonta-nanza in cui ciascuna di noiaveva seguito la sua strada.Eravamo giovani, allora, conl’animo colmo di aspettative,con tutte le incertezze dellagioventù ma con tutta la fidu-cia e le curiosità di chi deveancora affrontare la vita.Frequentavamo l’Università aBologna e alloggiavamo nellostesso pensionato studentesco.Lei era inquieta, ansiosa diribellarsi alle regole di vitache la famiglia le aveva inse-gnato ed imposto. Aveva unavivacità interiore che nonriusciva sempre a manifestareo a tradurre in azione, perchémille scrupoli la trattenevano,mille condizionamenti para-lizzavano i suoi comporta-menti. Facevamo lunghe con-versazioni, in quelle nottid’inverno, quando ci riuniva-mo in gruppo nella mia came-ra a mangiare biscotti o cioc-colatini e a fumare sigarette.Erano confidenze, risate, pet-tegolezzi. C’erano le discus-sioni ideologiche e il confron-to delle idee, ma soprattutto

emergevano le nostre speran-ze, i nostri progetti. Invidiavala mia situazione tranquilla, diragazza già orientata versouna scelta di vita ben precisa.Lei aveva aspirazioni vaghe,desiderio di libertà, era asseta-ta di esperienze, di emozioni.Voleva tutto dalla vita, ma nonsapeva esattamente che cosa.A volte si tuffava con audaciain situazioni imbarazzanti,come per mettersi alla prova escoprire cosa poteva attender-la percorrendo sentieri diversi.Poi si faceva afferrare dagliscrupoli e da paure che leimpedivano di perseverare, etornava ad essere l’amica disempre, smaniosa di vivere maancorata alla sua educazione eai principi che le erano statiinculcati.A volte, con alcune compagnedi università, veniva a trovar-mi a Rimini nei giorni divacanza. Io le mostravo orgo-gliosa il centro storico, lamarina, i monumenti antichi.Lei apprezzava tutto quelloche le mostravo, ma non neera molto impressionata: veni-va da una città meno anticadella nostra ma più ricca ditestimonianze storiche e arti-stiche. Anche il mare non lepiaceva in modo particolare.Ricordo che l’assolato inter-minabile lungomare, dove eraappena iniziata la politica“verde” di riportare alberi eombra con modeste piante di

tamerici, le appariva spoglio ebruciato dal sole: così restavosempre un po’ contrariata dalsuo scarso entusiasmo.Quando ci salutammo, dopo lalaurea, ci scambiammo le soli-te promesse di rivederci e dimantenere i contatti. Non fucosì. Ci perdemmo completa-mente di vista. Ogni tanto, adistanza di anni e per incontrioccasionali con altre amiche,venivo a sapere di alcune suevicende: storie d’amore maiconcluse, viaggi avventurosicon amici altrettanto assetatidi esperienze, qualche proble-ma di salute e una professioneintrapresa fra varie incertezzee con frequenti mutamenti delramo di lavoro.Ora la rivedevo dopo tantotempo, capitata per caso nellamia città. Era felice di vedermiquanto lo ero io: era comeritrovare profumi dimenticati,le emozioni fresche e intensedi quando ci si interroga sulfuturo, ci si nutre di speranze esi è ancora ricchi di illusioni,dell’eccitazione gioiosa concui a quell’età si attende ognievento.Al suo sguardo mancava qual-cosa, non c’era più quel guiz-zo di curiosità che sembravaessere un’eterna domanda.Però, accanto a un leggerovelo di malinconia, c’era qual-cosa che allora non aveva: unaprofondità di espressione cherendeva il suo viso più dolce. Icapelli biondi, tagliati corti,lasciavano appena intravederele radici grigie, che luccicava-no impietosamente alla luceartificiale delle vetrine deinegozi. Intorno alla bocca, unasottile rete di rughe increspavala pelle rendendo il suo voltopiù movimentato.“Allora non disdegni più lamia città?” le dissi scherzosa-mente. Mi confessò che civeniva spessissimo. -“E posso

anche dirti di averla riscoper-ta”- mi disse, sorridendo conaria misteriosa.Ci scambiammo notizie, poiimprovvisamente decise diparlarmi di sé, come facevauna volta. E fu come riprende-re un dialogo che non si eramai interrotto. Ci accomo-dammo all’interno di un bar elei si mise a parlare, prima len-tamente, con qualche esitazio-ne, poi con sempre maggiorefoga e intensità. Volle spiegar-mi il motivo delle sue frequen-ti presenze nella mia città. Miraccontò di uno strano amorefatto di niente, eppure piùintenso, più vissuto di unamore reale. Un amore tardi-vo, che riportava la luce nelsuo autunno solitario, offren-dole di nuovo la voglia divivere, il prezioso regalodell’attesa. Una vicenda sca-turita forse dal suo stesso biso-gno d’amore ma che si erarivelata una scoperta abba-gliante: la bellezza di unamore segreto e non ricambia-to, fatto solamente di deside-rio, di speranze senza speran-za, che donava l’illusione diun ideale, appagante sia purenella sofferenza, un ideale cheesisteva e a cui poteva pensare.La sua vita, ora, era una rin-corsa lungo una strada priva dimeta, ma pur sempre una stra-da che la invitava a guardareavanti. Come in un quadro diSisley, il sentiero le si aprivadinnanzi verso un orizzonteindefinito, tra terra e cielo,conducendola lontano e per-dendosi in un paesaggio che lalasciava sognare.Il bar era affollato ma non sen-tivamo il chiasso che c’eraintorno. Di fuori, nella piazza,le facciate medievali delpalazzo del Podestà edell’Arengo si mostravano condiscrezione nella penombra,mentre la Fontana della Pignarisaltava bianca in piena luce.Nell’attiguo porticato dell’an-tica Pescheria settecentesca,gruppi di ragazzi chiacchiera-vano, ridendo forte e sorseg-

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VOCI E VOLTI

UN INCONTROMaria Antonietta Ricotti Sorrentino

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“Gli occhi luccicavano

come allora,

penetranti e pensosi,

ma percorsi

da una vaga espressione

ironica che li rendeva

pronti allo scherzo

e all’allegria”

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giando aperitivi, e davano vitaa un originale salotto all’aper-to, popolato di giovani univer-sitari e di frequentatori un po’snob. L’imponente statua dibronzo del papa Paolo V, dal-l’alto del suo piedistallo inpietra d’Istria, continuava abenedire i cittadini come face-va da quattro secoli e la fac-ciata neoclassica del Teatrovegliava silenziosa in unasorta di attesa…Osservavo il suo volto cosìespressivo e ripensavo ai suoiamori giovanili, quelle “cotte”così frequenti che la lasciava-no inquieta per le costantidelusioni e perché nessuno,mai, corrispondeva a un suoideale.Lei sorrideva: avevo obiettatoche questa storia le procuravasolo sofferenza, ma lei scossela testa. -“Anche la sofferenzaè un modo per sentirmi viva”.Pensai che le motivazioni avivere potevano essere tante,ma mi trattenni dal dirlo:

dopotutto lei aveva trovato lasua, e poi chissà, forse l’amo-re di qualunque tipo e di qua-lunque età poteva arricchirel’animo e aprire il cuore.Certamente aveva l’umanitàcalda di una persona che vivepienamente i propri sentimen-ti e, forse proprio per questo,sa comprendere meglio anchequelli altrui.Mi confidò che vedeva in lui

un uomo solido, con unavisione positiva della vita, chesapeva comunicarle una pro-fonda serenità. Sì, forse eraproprio questo che lei avevasempre cercato.Capivo che dopo un’esistenzamovimentata, aveva bisognodi fermarsi e di trovare unaprotezione, una persona che lepermettesse di affidarsi consollievo alla sua fermezza. Ma

non aveva avuto fortuna: nonera una persona destinata a lei.O era proprio questa la suafortuna?Mi trovai a riflettere sulle infi-nite risorse del cuore e dellamente, sulla inesauribile capa-cità di sognare che spessoregala più forza e più emozio-ni delle esperienze vissute.“I sogni che non si realizzanonon tramontano mai -aggiunsecon dolcezza- perché non tideludono mai”.Non mi raccontò nulla, quelgiorno, delle altre vicendedella sua vita. Parlammo inve-ce del nostro passato e dellecomuni conoscenze di untempo, ma dall’intensità del-l’espressione, dalla stranamorbidezza e mobilità deimuscoli del viso trapelavanotante cose. E’ stato il suovolto, più delle sue parole, afarmi intuire il dramma di unavita che ha inseguito sempre lafelicità per trovarla solamentein un sogno.

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“Lei aveva aspirazioni vaghe,

desiderio di libertà,

era assetata di esperienze, di emozioni.

Voleva tutto dalla vita,

ma non sapeva esattamente che cosa”

“E’ stato il suo volto,

più delle sue parole, a farmi intuire il dramma

di una vita

che ha inseguito sempre la felicità

per trovarla solamente in un sogno”

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a leggenda di cui voglia-mo parlare è collegata con

la storia del Convento degliOlivetani di Scolca, meglionoto come San Fortunato, sulcolle di Covignano a due passidal centro di Rimini. Sempredi questo luogo e soprattuttodei suoi frati si parla: le zoneprese in considerazione daquest’antica leggenda popola-re sono appunto Covignano eRimini... legate tra loro da unmisterioso destino, più chealtro da misteriosi quantointriganti cunicoli: le famose“gallerie dei frati diCovignano”.Come sia nata questa dicerianon c’è dato saperlo, possia-mo solo supporlo, ma unacosa è certa in fondo ad ognicredenza vi è sempre del vero;difatti esistono realmente unaserie di gallerie sotterraneescavate nel terreno sabbiosodel colle più bello di Rimini,nonché probabile centro deisuoi primi abitanti. Numerosiritrovamenti d’epoca preistori-ca, poi etrusca e romana, e lenumerose gallerie, possibililuoghi di culto o sepolcreti,fanno supporre questo collenon solo abitato sin dai tempipiù antichi, ma adibito dasempre a luogo di culto.Ancora oggi difatti, chiese,santuari e conventi abitati untempo da vari ordini di fratipopolano le varie zone delcolle.Oggi gli unici rimasti sono ifrati delle Grazie, luogo di cuiabbiamo parlato riguardo adun’altra leggenda. Girolominie Olivetani non ci sono più,ma storie e leggende legatesoprattutto a questi ultimihanno persistito nel tempo.I “Frati Bianchi” di SanFortunato, cosiddetti per ilcolore del loro saio, eranomalvisti dalla gente a causadella loro ricchezza e super-

bia; questo uno dei motivi chepotrebbe aver scatenato, assie-me ad altri di cui parleremo inseguito, la nascita di quest’in-solita e sconvolgente diceria.Posso ricordare che fin dabambina ho sempre sentitoparlare da amici e parenti dellastoria dei frati che nelMedioevo, dal Colle diCovignano, scendevano dinotte fino in città attraversogallerie segrete e sbucavano inpiazza nientemeno che... perrapire le fanciulle! Come ogni buona storia pienadi mistero, intrigo e colpo discena che si rispetti, la nostrapoteva svolgersi solo nelMedioevo (e nei primi secolisuccessivi), tempo oscuro incui tutto si poteva se coperti dauna tonaca o da una riccaveste.

Qualcuno della zona mi hadetto che vicino all’ex conven-to dei frati ci sono delle grotte,da bambino le andava adesplorare ma non è mai riusci-to a scoprire dove portano per-ché sono state murate. Chidice sbuchino in piazza dallaFontana della Pigna, chi dallastatua del papa; queste miste-riose e forse, antichissimegrotte sotterranee lunghe chi-lometri, fanno ormai parte del-l’immaginario riminese.Probabilmente furono usatedai signori della città per scap-pare e rifugiarsi al sicuro incaso di pericolo, oppure...Una cosa è certa, nella piazzamedievale di Rimini esiste

veramente un camminamentosotterraneo che parte dallafontana e si dirige verso ilCovignano, deviando verso lafontanina di piazza Malatesta,fermandosi però in quelleadiacenze, mentre in originedoveva sicuramente raggiun-gere l’antica sorgente situata apoche centinaia di metri più inlà, in Via Dario Campana: poi-ché si tratterebbe delPraticabile Sotterraneo del-l’acquedotto Ottocentesco.Luogo misterioso e affasci-nante che molti giovani incerca d’avventura devono avercercato d’esplorare, soprattut-to nei tempi addietro. Quindi la reale esistenza dicunicoli nei due luoghi impu-tati, che oltretutto paiono por-tare l’uno in direzione dell’al-tro, unita alla pessima reputa-zione di cui godevano queifrati e alla presenza di luoghimalfamati nelle adiacenzedella piazza, dove non era raroveder scomparire le persone,devono aver innescato nellamente dei riminesi di ieri – chepersiste ancora in quelli dioggi – la credenza di strani eproibiti atti perpetrati da que-sti irriverenti frati a dannodelle pulzelle locali. La fanta-sia popolare deve aver fatto ilresto. In ogni caso, che sianostate teatro di ratti o misfatti,quasi tutti sono convinti chequelle grotte-gallerie che par-tono dal Covignano arrivinosino in Piazza Cavour e vice-versa. Proprio alcune settimane fa,visitando la galleria-cantina diun’antica villa nobiliare postasotto il declivio di SanFortunato, mi sono sentita diredal custode che mi seguivalungo i tre-quattro metri dipercorso sotterraneo corredatodi grosse nicchie laterali e bru-scamente interrotto da un crol-lo: “Una volta questa arrivavafino in piazza!”.Peccato che, come tutte lealtre, interrotte da crolli natu-rali o causati dalle bombedella guerra, non si possa peril momento provare!

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STORIA E STORIE

A R I M I N V M

ALLA SCOPERTA DI …

I FRATI “FARFALLONI ” DEL COVIGNANOLara Fabbri

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Un sotterraneo di Piazza Malatesta

(da “Le fontane di Rimini” di P.G. Pasini e A. Bernucci)

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el 1502 Leonardo giungea Rimini in qualità di

ingegnere e consigliere milita-re di Cesare Borgia, il famosoduca Valentino, e rimane col-pito dal gioioso suono dellecannelle d’acqua della fontanaprincipale della Città (l’attualefontana della “Pigna”), tantoche egli stesso scrive:“Fassiun’armonia colle diversecadute d’acqua, come vedestialla fonte di Rimini, comevedesti addì 8 d’agosto 1502”.E’ proprio davanti alla fontanadella Pigna che alla fantasiacreatrice di Leonardo si affac-cia la possibilità di progettareun organo idraulico del tuttooriginale. E’ noto che il geniopoliedrico dell’artista avevauna particolare passione perl’idraulica e per la musica, e“quell’armonia” continuavaad emozionarlo.Negli organi tradizionali(conosciuti anche in antico edescritti dallo stesso Vitruvionel “De Architectura”), l’ac-qua aveva la funzione dipompa per comprimere l’aria,ora invece Leonardo ha inmente un suono prodotto dal-l’acqua stessa che cade entro“vasi di terra e il suono saràdiverso a seconda della formadei vasi stessi.Non si ha notizia se Leonardofosse veramente riuscito a rea-lizzare tale strumento musica-le; di certo, non ci sono perve-nuti disegni, e neppure deglischizzi, tali da farci capirecome egli intendesse realizza-re tale macchina.Arriviamo dunque ai giorninostri, e precisamente all’or-ganizzazione della mostra“Leonardo, Machiavelli eCesare Borgia”, per rievocarequel viaggio di Leonardo aRimini, si leggevano e rileg-gevano quelle annotazioni finoa che mi parve di trovarne unnesso. Tracciai uno schizzo

per fermare la suggestiva ideaa la sottoposi al prof. CarloPedretti, docente pressol’Università della California,uno dei massimi studiosi diLeonardo, e che tra l’altro erail coordinatore scientificodella mostra stessa. E’ inutiledire con quanto entusiasmoaccolse la mia “folle” propostadi provare a dar vita all’idea diLeonardo.Il progetto fu pronto qualchegiorno più tardi, ora si trattava

di calibrare i “vasi”. Nel labo-ratorio di fisica tecnica dellaFacoltà di ingegneria diBologna il prof. AlessandroCocchi, con la collaborazionedell’ing. Paolo Guidorzi, indi-viduò le dimensioni ottimali,ovvero le colonne d’arianecessarie per ottenere le sin-gole note musicali. In seguito, con la collabora-zione dell’ing. LanfrancoRicci e di Marcello Iriti, veni-vano realizzati gli ingranaggiin legno, i quali, innescati dauna turbina mossa dalla cadu-ta dell’acqua, azionavano uncilindro che a sua volta muo-veva le leve del comando diapertura delle cannelle. Lostrumento realizzato è compo-sto da otto canne corrispon-denti alle note fondamentali diun’ottava.Il sistema sopra descritto è in grado di suonare, in maniera

autonoma secondo una pro-grammazione, brani musicalicon una o più note in contem-poranea, come aveva annotatolo stesso Leonardo:“D’unacaduta d’un’acqua di fonte chene facci un’armonia, che com-ponga una piva co’ molte con-sonanze e boci”.L’organo, funzionante,è statoesposto al Castel Sismondo inoccasione della mostra“Leonardo, Machiavelli eCesare Borgia” e prestatoanche ad altre città.Di recente è stato richiestodall’Università di Bologna perapprofondire le ricerche sul-l’acustica di questa stranamacchina che sarà oggetto diuna relazione ad un convegnointernazionale di esperti difisica acustica.Indipendentemente dalle con-clusioni che trarranno gliesperti, è bello pensare cheRimini abbia fornito aLeonardo lo spunto per que-st’idea bizzarra ma, appunto,“geniale”.

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ATTUALITÀ

A R I M I N V M

ALL ’UNIVERSIT À DI BOLOGNA PER UN APPROFONDIMENTO SULL ’ACUSTICA

L’ORGANO IDRAULICO DI LEONARDOPier Luigi Foschi

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N

POESIA Ivo GigliLA LINEA

L’abbiamo incontratae subito seguita perdutamentefuggente all’infinito la linea

che veniva dall’infinito; qualcunoaveva detto che però finiva

in un tempo in un luogoe così di buon mattino

ci siamo incamminati costeggiandolarasentandola qualche volta toccandola

l’esile lunga leggera lineache viene da un paese ignoto

diretta in un punto lontanissimoperché certi di trovare

la sua fine la sua morte

E sono passati millennie ancora camminiamo per fedesenza mai scorgere il terminema ci sta rodendo il dubbio

che la linea non ha né nascitané morte

perché è un immenso serpenteche si mangia la coda

“L’organo,

funzionante,

è stato esposto

al Castel Sismondo

e prestato

a diverse città”

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primi esempi di notazionemusicale a stampa appaio-

no contemporaneamente inItalia e in Germania verso il1475, con un ritardo di diversianni rispetto alle edizioni ditesti letterari. Il ritardo, dovu-to soprattutto a ragioni dicarattere tecnico, si spiegaanche con la maggiore varietàdei segni musicali rispetto aquelli alfabetici, e soprattuttocol fatto che la notazione men-surale in quel periodo è anco-ra in piena fase evolutiva e nonè uniforme in tutti i paesi. Ilmerito di aver inventato lastampa musicale viene attri-buito tradizionalmente adOttaviano Petrucci daFossombrone. Benché si siaservito di caratteri mobili, giàusati in precedenza da altri,Petrucci stampò infatti laprima opera interamente musi-cale, “Harmonice MusicesOdhecaton” (Venezia 1501) ecreò inoltre un sistema com-pleto per la notazione mensu-rale.E’ del tutto evidente che lafunzione della stampa è stataessenziale per la diffusionedella cultura musicale e l’edi-toria rimane tuttora alla basenon solo della più ampia diffu-sione della musica, ma spessoanche della creazione stessa,grazie all’influenza che i piùilluminati editori possonoavere sui musicisti, indirizzan-done la produzione.Alla luce di queste considera-zioni, anche se il fenomenonon si dimostra poi così fre-quente, alcuni musicisti attrat-ti da coraggiose aspirazioniimprenditoriali, riversano illoro bagaglio di competenzeprofessionali nel panoramadell’editoria musicale. ARimini da un paio d’anniopera un giovane editoremusicale che sta rapidamente

affermandosi in campo nazio-nale: Lorenzo Rinaldi musici-sta di talento, diplomato inpianoforte, composizione,musica corale e direzione dicoro. Iniziati gli studi pressol’Istituto musicale “ G.Lettimi , nella classe di violi-no del compianto prof. ItaloRoberti, di cui conserva unbellissimo ricordo, Rinaldi si èmesso in luce giovanissimocome solista di un inedito con-certo in re maggiore di CarloTessarini -musicista riminese

del ‘700-, riproposto con l’ac-compagnamento dell’orche-stra nel 1978 in “prima moder-na”. Da notare che Rinaldistudiava contemporaneamentepianoforte con il prof. IdalgoArcangeli e dopo la maturitàliceale si era iscritto alConservatorio “G.B. Martini”di Bologna nella classe del m°Cesare Franchini Tassini, altraimportante figura di riferimen-to per lui, per gli studi di com-posizione. Una formazionemusicale quindi completa che

ha consentito a LorenzoRinaldi di emergere in ambitidiversi: vincitore di importanticoncorsi, ha svolto un’intensaattività concertistica in Italia eall’estero, e per anni ha rico-perto il ruolo di Maestro colla-boratore in rilevanti produzio-ni liriche dei teatridell’Emilia-Romagna. Quantoai concerti da sottolineare lacollaborazione organistica aformazioni corali e cameristi-che, nella Cattedrale di Notre-Dame di Parigi e nellaAbbazia di Westminster aLondra . Come Maestro colla-boratore ha operato con artistidal calibro di LucianoPavarotti, Leo Nucci, DanielaDessy, Luciana Serra e concelebri direttori d’orchestraquali Gustav Kuhn e MassimoDe Bernard. Impegnato paral-lelamente nel ramo didattico,Rinaldi è titolare di cattedraall’Istituto musicale pareggia-to “Tonelli“ di Carpi e tieneseminari di composizione al“Lettimi”.Attivo con successo anche nelsettore della composizione,Lorenzo Rinaldi è autoreapprezzato di musiche discena di numerosi spettacoliteatrali. Pertanto la scelta dientrare nel settore imprendito-riale, in qualche modo favoritadal fratello Roberto -musicistaanch’egli e da anni editore dimusica leggera-, a cui era stataavanzata in prima battuta laproposta di rilevare le attivitàdel Gruppo Eridania è stataper Lorenzo, cosa del tuttoovvia, quasi scontata. Di tem-peramento misurato e riflessi-vo ma al tempo stesso forte-mente motivato verso unamolteplicità di interessi, ilNostro talora si rivela incline aslanci apparentementeimprovvisi, che in realtà sono

NOVEMBRE-DICEMBRE 2004

MUSICA

A R I M I N V M

LORENZO RINALDI / EDITORE MUSICALE (OLTRE CHE CONCERTISTA E COMPOSITORE)

AL TIMONE DI UN PICCOLO UNIVERSO MUSICALECHE SPAZIA DAL REPERTORIO CLASSICO ALLA DIDATTICA

Guido Zangheri

48

I

“Guida il Gruppo Editoriale Eridania,

una casa editrice sorta nel lontano 1947

per iniziativa del Maestro Luigi Lombardi,

compositore ed arrangiatore mantovano di vaglia,

scomparso qualche anno fa”

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frutto di un laborioso procedi-mento logico preliminare.Considerando la possibilità digestire un piccolo universomusicale, come una minierainesauribile di stimoli per chi,sin dall’adolescenza avevanotato quali straordinarie gra-tificazioni potevano giungeredal mondo dei suoni, LorenzoRinaldi si è dunque affiancatoal fratello maggiore. Ed ecco-lo al timone del GruppoEditoriale Eridania, una casaeditrice sorta nel lontano 1947per iniziativa del MaestroLuigi Lombardi, compositoreed arrangiatore mantovano divaglia, scomparso qualcheanno fa. Attivo per una qua-rantina d’anni nella stampa dimusiche per banda e di musicaleggera con distribuzione ditesti e partiture, con produzio-ni discografiche, con realizza-zione di commenti sonori perfilm e jingle pubblicitari, sol-tanto dalla fine degli anni ’80il Gruppo Editoriale Eridaniaha incominciato ad interessar-si del repertorio classico edella didattica musicale.Lorenzo Rinaldi si è dunqueproprio ritrovato sul suo terre-no preferito e fin dal suoingresso in Eridania ha orien-tato il Gruppo ad un maggioreattenzione alla musica classi-ca, con iniziative mirate,

aprendosi a collaborazioni e asinergie con altri operatori delsettore, con altre Case editrici,con l’obiettivo di realizzarenuovi strumenti per la didatti-

ca attraverso tutta una serie diprodotti multimediali. Cosìaccanto alle utilizzazioni del

repertorio Eridania per con-certi di musica classica, con-certi bandistici, serate danzan-ti in Italia e all’estero, registra-zioni da parte di varie forma-zioni musicali, programmiRAI, MEDIASET e del circui-to cinematografico italiano estraniero, Rinaldi punta avalorizzare le opere di mag-gior prestigio presenti in cata-logo, si prefigge di stimolaregiovani artisti alla produzione,cerca il dialogo con le diverseassociazioni di settore perrimarcare e sostenere nellesedi deputate la validità di unprogetto culturale di grandespessore educativo. Di recenteal Festival di musica antica diUrbino è stata presentata unapubblicazione del GruppoEridania:“L’arte opportuna alsonar di flauto” di DanieleSalvatore, un testo prestigioso,fondamentale per chi si occu-pa della prassi esecutiva rina-scimentale, accolto con grandefavore. L’indirizzo impressoda Lorenzo Rinaldi sta dunqueraccogliendo i primi significa-tivi riconoscimenti.

NOVEMBRE-DICEMBRE 2004

MUSICA

A R I M I N V M49

BLOC-NOTES di Sandro Piscaglia

DAL REALE AL VIRTUALEUn consiglio agli “artisti”. Tutti coloro che dipingono, scol-piscono, prima di abbandonarsi al loro “genio”, alla pro-pria ispirazione, dovrebbero fare quella prova che untempo si chiamava “capolavoro” ed oggi, per chi studia,prova di maturità. Chi batteva il ferro per solito faceva unachiave, bella per solito, meravigliosa talora, ma sempre,funzionale e da usare. Ai pittori e agli scultori suggerirei dipassare un periodo di tempo, non brevissimo, ad espri-mersi in modo iperrealista. Questa dimostrazione di capa-cità di rappresentare gli esseri reali dovrebbe essere l’esa-me che li autorizza a presentarci il loro virtuale, il prodot-to della loro fantasia, dei loro incubi, delle loro visioni (per-sino quelle farmacologicamente indotte).La libertà non è più quella primigenia donataci dalCreatore oppure quella piena di limiti che offre la Natura,libertà che era gratuita. Oggi la libertà va conquistata ocomprata e non più dalla Natura o dal Buon Dio, ma dallaComunità. La Comunità c’è chi la chiama Nazione echiStato, non dovrebbe consentire a chi non conosca perfetta-mente la lingua ufficiale di contaminarla con suoni incom-prensibili, con parole usate in modo non primigenio néconvenzionale, con suoni sgradevoli o incongrui.Capisco che sarebbe una violenza, ma la nostra società,che celebra in ogni dove e circostanza il mito della Libertà,in ogni situazione è violenta. Credo però, che non sarebbeprepotente e difficile chiedere un apprendistato di realismoe pretendere per ogni prodotto, che aspiri ad esibirsi nelcampo dell’arte, un titolo ed una didascalia, comprensibiliai non addetti, che spieghino il significato dell’opera ed ilmessaggio che propongono.

Lorenzo Rinaldi,editore musicale.

“L’indirizzo impresso

da Lorenzo Rinaldi

al Gruppo Eridania

sta raccogliendo

i primi

significativi

riconoscimenti.

Di recente,

al Festival

di musica antica

di Urbino...

...la pubblicazione

‘L’arte opportuna

al sonar di flauto’,

di Daniele Salvatore

(un testo prestigioso,

fondamentale

per chi si occupa

della prassi esecutiva

rinascimentale),

è stato accolto

con grande favore”

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mos Piccini è commedio-grafo, scrittore e poeta in

lingua dialettale ed italiana. E’stato regista della storica com-pagnia teatrale “Sipario aper-to”, nata nel 1948, sciolta daalcuni anni, ma in procinto ditornare alla ribalta. Nel 1967,a Saint Vincent, durante l’as-segnazione di un premio per lapoesia, incontra lo scrittore eregista Mario Soldati. Questi,dopo avergli formalizzato unapiacevole recensione sul testopoetico “Sensazioni”, gli for-nisce ottimi suggerimentisulle modalità della scritturache ancor oggi ricorda e cercadi mettere in pratica.Piccini dimostra una grandepassione per lo studio ed ilrecupero del dialetto di cui èsostenitore e difensore. Le suericerche risalgono all’età roma-na e giungono ai nostri giorni.Afferma che le nostre espres-sioni derivano dallo stesso eremoto ceppo linguistico e sco-pre nell’etimologia delle parolela radice dei termini ancor oggiin uso Per esmpio: caligh (cali-gine) da caligo caliginis; còr(cuore) da cor cordis; mermor(marmo) da marmor marmoris;pericul (pericolo) da periculumpericuli; pitor (pittore) da pic-tor pictoris… . Amos è autoredi: “Altalena”, Ed. TipolitoGarattoni (1984); “Secondoatto”, Ed. Il Ponte (1987);“Come dune”, Ed. Il Ponte(1992); “Io… e sipario aperto”,Ed Giusti (1994); “A vuria scarin dialet”, Ed Giusti (1996); “Vein sa mè ch’a zarchèm è dia-let”, Ed Guaraldi (1999);“Impronte sulla sabbia”, EdTuttostampa (2000); “Il salva-gente”, Ed. Tuttostamapa(2001); “Fa’ da per te”, Ed.Giusti (2002); “ConosciRimini”, Alatel (AssociazioneLavoratori Anziani Telecom)Bologna (1996).La capacità di osservazione di

Amos Piccini lo ha portato ascrivere, prima scenette umo-ristiche, poi a rappresentare, inversi, caratteristici personaggie a comporre canovacci difamose commedie. Fra questesi ricordano: L’InfernaleCommedia (1965), La fioladla Delina (1975), Bistechi ePuletica (1978), St’amor(1980), Affittasi estivo (1981),E’ tesor de’ mi zi (1982), Perpiaser nu zcurema ad tasi(1983), Zvan, Peul eFrancesca:tota la verità(1984), Chi burdlaz ad zdot’an(1985), E’ mer l’è mort(1986), La sentenza (non rap-presentata) (1986), Una dmen-ga ad Carnevel (1987), La ma’l’è seimpre la ma’(1988), Lalocanda della Posta (1990),Bambo 60326 (1991), Un gn’epèsa gnenca t è camsent(1992), Stavolta è matrimogneus fa (1993), Pareint per modad di’(1994) Un Nadél si fiòc(2002).Nel 1992 conduce, con l’ami-co Renato Piccioni,“Zigzagando”, un programmatelevisivo di dieci puntate suTelerimini; ragioniere com-mercialista ora in pensione,oggi tiene corsi di dialettoall’Università della terza età.Da bambino Amos Picciniparlava la lingua italiana, poi-ché il padre era toscano.

Durante l’adolescenza si avvi-cina al dialetto per necessità,per non essere considerato un“signorino” dai suoi coetaneiche si esprimono in gergo.Essendo poi riminese nonvuole essere indifferente allalenta estinzione di questa “lin-gua” che, a Rimini, prima conil turismo poi con la “globaliz-zazione”, sta perdendo la suaoriginalità. Per Piccini i detti ei proverbi romagnoli sono unafusione di saggezza, di orgo-glio e di ironia. Molti testiportati nelle scuole, possonocreare atmosfere e sentimentitali da essere equiparati aquelli in lingua.A mantenere vivo il vernacolosono nati diversi scrittori opoeti che con le loro opere,testi teatrali, poesie, canzonipopolari propongono la neces-sità, l’efficacia estetica, i pregidei vocaboli e delle frasi dia-lettali. Oggi si sta dialettizzan-do dall’italiano e non si cura ladizione e la sintassi; per i regi-sti delle varie compagnie tea-trali non solo è difficile trova-re giovani attori, ma anchepromuovere la giusta pronun-cia.Non è facile essere severi conquesto idioma, ma è auspica-bile che chi scrive consulti itesti dei nostri autori quali:Ferdinando Pelliciardi, DuilioFarneti, Giuseppe Bellosi,Aldo Spallicci. AurelioTassinari, GianniQuondamatteo, AdelmoMasotti, Libero Ercolani,Alfredo Sancisi… , perché,come dice Amos, scrittori dia-lettali non si nasce, si diventastudiando.E’ opportuno continuare ascrivere in dialetto per testi-moniare la cultura del passato,per soddisfare il piacere anchedi coloro che non lo parlano.Purtroppo chi si interessa dilingua dialettale può essere

considerato come appartenen-te ad un mondo antico, supera-to. Questo genere, spesso,èridanciano ed allegro,è risa-puto che il pubblico del teatrodialettale vuole ridere, ma nonè detto che testi seri non pos-sano essere veicoli di comuni-cazioni più riflessive. Spetteràai vari registi o autori dare unamoderna interpretazioneanche a canovacci tradizionali.La Provincia di Rimini stapromovendo iniziative atte adivulgare il dialetto; la leggeregionale n°45 del 7/11/1994,recentemente rifinanziata, nesottolinea la salvaguardia. Pertenerne alto il valore, oltre alteatro, è opportuno entrarenelle scuole, organizzare con-ferenze, sensibilizzare e sti-molare i giovani a questa cul-tura, nei modi più convenienti.

NOVEMBRE-DICEMBRE 2004

TEATRO DIALETTALE

A R I M I N V M

COMPAGNIE E PERSONAGGI DELLA RIBALTA RIMINESE

AMOS PICCINIAdriano Cecchini

50

A “Da bambino

parlava in italiano,

poiché il padre

era toscano,

ma durante l’adolescenza,

per non essere considerato

un ‘signorino’

dai suoi coetanei

iniziò ad avvicinarsi

al dialetto”

Amos Piccini

ARIMINUMDA LUISE' E PRESSO IL MUSEO

DELLA CITT À DI RIMINI

Page 51: Consumi da 4,3 a 5,8 l/100 km. Emissioni CO 2...Consumi da 4,3 a 5,8 l/100 km. Emissioni CO 2 126 g/km. Nuovo motore diesel 1.4 Common Rail da 90 CV interamente in alluminio. Cambio

el numero scorso di Ariminum (n.5 - 2004), scrivendo sulleimitazioni delle medaglie di Sigismondo, ho solo accennato,

per mancanza di spazio, alla presenza di un raro medaglione inpiombo; tale medaglione è ora l’oggetto di questo articolo.La medaglia, custodita presso le Civiche Raccolte Numismatichedel Comune di Milano,è stata illustrata per la prima volta daAdolfo Modesti nel suo articolo “Una medaglia inedita di Pio II”pubblicato nel 1993 su “Annotazioni numismatiche”. Lo scritto,che mi è stato segnalato e gentilmente inviato da questo studiosodi numismatica ed esperto di medaglie papali e che in questa sededesidero ringraziare, mi servirà per riproporre la medaglia dovesono raffigurati sul dritto Pio II e sul rovescio il nostro TempioMalatestiano.Nel quadro della trattazione di argomenti che riguardano lanostra città ritengo opportuno aggiungere anche qualche ricordodei rapporti tempestosi intercorsi fra il papa Pio II e Sigismondo,un personaggio che fu sempre preso da incontenibili passioni eda uno smisurato desiderio di conquista.Il Conclave del 10 agosto 1458 eleggeva il nuovo papa nella per-sona del cardinale Enea Silvio Piccolomini che prese il nome diPio II, il quale, fervido sostenitore della crociata contro i Turchi,iniziò subito opera di pace per l’unione dei Principi cristiani inquesta missione e quindi l’anno dopo fece indire un congresso aMantova a cui dovevano partecipare i Signori finalmente pacifi-cati. Sigismondo disattese la sentenza arbitrale del pontefice perconcludere le lunghe liti e anzi assalì Montemarciano, scaccian-done il castellano pontificio, per nulla intimorito dagli anatemidel papa che gli intimava di restituire il luogo sotto pena di ban-dirlo come nemico della Chiesa. Pio II fece di Sigismondo unavversario ostinato da perseguitare con cieco e totale rancore, acui aggiunse, con pretesti vari, la scomunica e il noto terribileatto d’accusa davanti al Concistoro del 16 gennaio 1461. In quel-la occasione si diede lettura dei suoi innumerevoli delitti controDio e contro gli uomini definendolo lussurioso, incestuoso, cra-pulone, efferato assassino, uxoricida, ladro, bugiardo, spergiuro,avaro, ingordo, bestemmiatore, eretico, infedele, disprezzatoredell’autorità ecclesiastica, impudente beffeggiatore dei religiosie tiranno dei popoli; venne inoltre denunciato come infetto d’o-gni più spregevole vizio del corpo e dell’anima, d’atti di violen-za su donne e fanciulle, di spogliazione di luoghi e di personeanche a mezzo di torture e di delitti, un insieme di fatti insomma

nati alcuni da false voci, altriesagerati, ma parecchi purtrop-po veri. Si disse che all’accusapapale, Sigismondo ridendorispondesse chela scomunicanon alterava il sapore del vinoe dei cibi e non aderendo all’in-vito di recarsi a Roma per dis-colparsi, riprese la guerra edagli scontri accaniti le truppepapali uscirono sconfitte.Essendo risultato nel processodel Concistoro che le accuseerano reali, Pio II emanò la sen-tenza per la quale Sigismondocome eretico doveva essere dan-nato al rogo e, come feudatarioribelle della Chiesa e reo degliatroci delitti, doveva esseredestituito di ogni autorità sulsuo Stato. Letta la sentenza, ilpontefice ordinò di fare esegui-re il supplizio del Malatesti ineffige ed emanò la bolla“Discipula Veritatis” che termi-na con queste parole:…rinno-viamo la sua scomunica e l’in-terdetto affinché i fedeli fatticerti che egli come putridomembro è stato reciso dalcorpo della Chiesa militante…ne affidiamo l’anima allepotenze infernali affinché lotormentino …incorrerannonella scomunica quanti comu-nicheranno con lui… InSigismondo, sull’inevitabileturbamento prevalse l’ira e ricominciò la lotta da cui questa voltauscì sconfitto. L’impresa contro il Malatesti stava dunque per con-cludersi; dopo questi avvenimenti infatti fu fatta pressione al Papaaffinché concedesse a Sigismondo pace e perdono purché abiu-rasse le eresie di cui era accusato, e finalmente:Nel 1463 adì ottodi Novembre Papa Pio fece accordo e rendè pace al Signor misSigismondo nella sottoscritta forma …risalvata la Cittàd’Arimino con territorio di tre miglia in torno; al magnificoSignore di Rimini era rimasto ben poco! Pio II, dopo il tentativodi convertire Maometto II, ritenne di potere proclamare la guerrasanta sperando di trascinare col suo esempio i principi cristiani,

NOVEMBRE-DICEMBRE 2004

NUMISMATICA

A R I M I N V M

SIGISMONDO E PIO II IN UNA MEDAGLIA DEL XV SECOLO

Arnaldo Pedrazzi

51

N

Pio II ad Ancona per affrettarela crociata contro i Turchi:1502 Pinturicchio - Siena,

Libreria Piccolomini.Sopra: Ritratto di Sigismondo

Pandolfo Malatesta. 1451,Piero della Francesca – Parigi,

Musèe du Louvre.

D/ PIVS II CHRISTANAE RELIGIONIS CONSERVATOR

Busto a s. con triregno e piviale.

R/ PRAECL ARIMINI TEMPLVM AN GRATIAE V F

Complesso architettonico di fantasia utilizzando tre volte

il modello della medaglia di Matteo de Pasti raffigurante la facciata del Tempio Malatestiano.Pb, fusione; mm 80,5. Castello Sforzesco, Civiche Raccolte Numismatichedel Comune di Milano.

Segue a pag. 52

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NOVEMBRE-DICEMBRE 2004A R I M I N V M

AGENDAOTTOBRE

07/10 Caminetto.Grand Hotel, h. 21,15, n. 2521.Silvana Federici:“Il Bangladesh ti cambia la vita”.

21/10 Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15, n. 2522.Mons. Fausto Lanfranchi:“Ricordo di Alberto Marvelli”.

28/10 Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15, n. 2523.Visita del governatore Alviero Rampioni

NEWS ROTARY NEWS

NOVEMBRE

04/11 Caminetto.Grand Hotel, h. 21,15, n. 2524.Pre elezioni del club.

12/11 Conviviale con signore.Ver-Land, h. 19,45, n. 2525.Bruno Vernocchi:“Il fenomeno delle auto 4X4 in Italia”.

18/11 Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15, n. 2526.Festa delle Forze Armate

25/11 Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15, n. 2527.Interclub Rotary Rimini -Rimini Riviera.Insediamento Comitato d’Onore Centenario Rotary International.

52

da pag. 51SIGISMONDO E PIO II IN UNA MEDAGLIA DEL XV SECOLOma nel 1464 la morte lo sorprese ad Ancona dove attendeva le navi e le truppe per lacrociata di cui non fece in tempo a vedere il fallimento.Ritorniamo ora alla nostra medaglia nella quale, anche se la parte più interessante è ildritto col busto di Pio II eseguito subito dopo la morte del papa “in memoriam” da unartista rimasto sconosciuto, curioso è l’assai mediocre rovescio dove la raffigurazionedel Tempio Malatestiano è rappresentata da un’architettura di fantasia ottenuta, comefa notare il Modesti, mettendo opportunamente insieme per tre volte la stessa immagi-ne della facciata della chiesa tratta dalla nota medaglia di Matteo de Pasti perSigismondo. La fusione del nostro esemplare realizzato in piombo, per le caratteristi-che tecniche, lo stile dell’esecuzione e il modulo adottato sarebbe da collocare entro lafine del sec. XV. Sappiamo che usualmente il rovescio serve a commemorare un avve-nimento che si ricollega al personaggio presente sul dritto; in questo caso però non èprobabile che ad un lato di così buona fattura possa corrisponderne un altro artistica-mente piuttosto rozzo e tale differenza porta quindi ad escluderne ogni rapporto diret-to, anche se conosciamo la presa di posizione del Papa contro quel monumento fune-bre per Isotta, di cui auspicava la distruzione, da lui definito pagano quando scrisse…ineo templo concubinae suae tumulum erexit. Adolfo Modesti conclude il suo studio ipo-tizzando che si tratti di un manufatto ibrido nato dall’accoppiamento di due placchetterealizzate da persone diverse in epoche diverse; forse fu effettuato da qualcuno che, giàin possesso del dritto, volle riproporre certi fatti della storia del pontefice in modo deltutto personale, riproducendo con impronte successive l’immagine della famosa meda-glia malatestiana.

da pag. 41QUELL ’ISOLA FELICE DI CORIANOCinquecento al Settecento è di Paolo Righini, collaboratore dell’A.R.S.A. e attivo par-tecipante delle due ultime campagna archeologiche presso il Castello di Coriano.Righini prende in esame tutti gli atti reperibili delle delibere comunali dal Cinquecentoal Settecento riguardanti la vita a Coriano. Poi, in una seconda parte della sua tratta-zione, viene esaminata la genealogia della famiglia dei Sassanelli, Conti di Coriano. ISassanelli sono una famiglia che trova onori e nobiltà cacciando i ghibellini dalla lorocittà d’origine, Imola, servendo il re di Francia e soprattutto il Papa, ricoprendo il ruolodi governatore in alcune città italiane ma principalmente tramandandosi il mestieredelle armi. L’autore ripercorre tutta la storia della famiglia seguendo le nascite, morti,testamenti, matrimoni. Giovanni Sassanelli fu l’artefice, nel 1528, della cacciata diSigismondo Pandolfo Malatesta da Rimini e per questo fu premiato da papa ClementeVII con il castello di Coriano che gli eredi tennero sino al 1579, anno in cui la CameraApostolica si riprese il castello perché la famiglia non aveva pagato regolarmente i dirit-ti giurisdizionali sulla proprietà e poi perché l’investitura era a termine. Ciò nonostan-te la famiglia Sassanelli rimane presente a Coriano e in zona sino al 1627 dove i suoicomponenti ricoprirono cariche istituzionali importanti.

da pag. 37AMARCORD PIAZZA FERRARIparassiti / dell’uomo, poi rimango figurarmi / i passeri sul greto nel vigneto / e li attendosugli alberi la sera”.Nonna Caterina pasceva i piccioni alle 7,45 in cammino verso il tempio dei padri Gesuiti.Con il rancio incartato nella borsa di plastica, anzitutto dava da mangiare agli affamati, subi-to dopo nutriva lo spirito con la preghiera e l’Eucaristia. Le amministrai l’olio degl’inferminel tugurio di Via Cavalieri, uno stambugio ricavato da un fondo per il legname. Patriotticadoc e di carattere roccioso, aveva partecipato alla lotta partigiana nella Bassa Padana, ma lefaceva da contrappeso l’animo francescano praticando uno stile di povertà stupefacente invita e nella morte. Scesa nella tomba donna Caterina, dovremo assistere anche all’agonia oal tramonto di Piazza Ferrari? Ragionando non riesco connettere e persuadermi. So di aver-le amate ambedue, la prima nella privazione evangelica, l’altra nella sontuosità della vestedecorativa.Indubbiamente si chiude una stagione per Piazza Ferrari. Il Suffragio faceva parrocchia e daoltre un decennio non è più. Quel giardino era il fiore all’occhiello del Centro Storico, mail fiore pare passito. C’eravamo noi, generazione del secondo Novecento: i più sono partitie quelli viventi sembrano dei sopravissuti. Così gira il mondo. Queste sono le regole dellastoria.

Rotary Club Rimini(Fondato il 29 gennaio 1953)Anno Rotariano 2004/2005

Consiglio Direttivo

Presidente:Enzo PruccoliVicepresidente:Paolo Salvetti

Past President:Bruno VernocchiSegretario: Renzo TicchiTesoriere: Duccio Morri

Consiglieri: Nevio Monaco,Gilberto Sarti e Gianluca Spigolon

Ufficio di Segreteria:Paolo Salvetti:Via Tripoli, 194

47900 RIMINI - Tel. 0541.389168

Ariminum: Via Destra del Porto, 61/B - 47900 RiminiTel. 0541.52374

ROTARY INTERNATIONALDistretto 2070

TOSCANA - EMILIA ROMAGNA - R.S.M.Governatore: Alviero Rampioni

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BENZINA 1.8 125CV (92KW), 2.4 140CV (103KW), 2.4 170CV (125KW), T5 220CV (162KW), T5 AWD 220CV (162KW).

TURBODIESEL COMMON RAIL 2.0D 136CV (100KW).

A PARTIRE DA EURO 24.200,00

Consumi ciclo combinato: da 5.7 a 10.2 litri/100 km. Emissioni CO2: da 153 a 243 g/Km.

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