dispense integrative testi...sincretismi scapigliati. dispense integrative: testi tranquillo...

259
SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Upload: others

Post on 06-Aug-2020

12 views

Category:

Documents


1 download

TRANSCRIPT

Page 1: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

SINCRETISMI SCAPIGLIATI.

DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI

Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877)

A.A. 2015-2016

Page 2: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Cletto Arrighi

LA SCAPIGLIATURA MILANESE– FRAMMENTI –

(da “Almanacco del Pungolo”, Milano, 1858)

PRESENTAZIONE

Quando una parola nuova o sconosciuta risponde perfettamente ad un'idea,ad una condizione, ad un caso qualunque della vita sociale, che non si potrebbeesprimere altrimenti che con una perifrasi, la fortuna di questa parola dovrebbeessere certa.

In Francia succede infatti così. Ogni mese, si può dire, fa capolino unneologismo, e quantunque l'Accademia, gli faccia il viso dell'arme, esso vieneaccettato a braccia aperte dal buon senso popolare, ed entra di balzo nellalingua viva appena sia riconosciuto necessario o di buona lega.

Demi-monde? per dirne uno. Trovatemi, di grazia, demi-monde sulvocabolario.

Ma qui da noi gli è un altro pajo di maniche. Da noi, senza ripetere le solitefastidiose canzoni, ognun sa quanto sia pericoloso e difficile l'osare, e tanto piùper uno scrittoruccio di primo pelo, come sono io.

Avvenne che, un bel giorno, dovendo pur trovare un titolo - oh! lettori, iltitolo d'un libro! Dio vi tenga ben lontani dal cercare un titolo... finchè duranoqueste condizioni!! - mi trovai nella necessità, o di coniare un neologismo o diandar a pescare nel codice della lingua qualche parola vecchia che rendessepressapoco il concetto del mio qualsiasi romanzo.

Prima dunque di osare, consultai sua maestà il Vocabolario, se mai nella suainfinita sapienza avesse saputo additarmi un mezzo di salvezza. Cerca ericerca, finalmente trovai una parola acconcia al caso mio; perchè, s'ha un beldire, ma la nostra lingua, per chi la vuol frugare un po' a fondo, non mancaproprio di nulla, e sa dar a un bisogno parole vecchie anche per idee nuove,nello stesso modo che i Francesi sanno fabbricar parole nuove per idee chehanno tanto di barba.

Però, in quella maniera che potrei star garante che scapigliatura non è unaparola nuova, sarei in un bell'imbarazzo se volessi persuadervi che la è moltousata e conosciuta.

Infatti fra le tante persone a cui domandai che cosa intendessero perscapigliatura, parte inarcò le ciglia, come a dire: non l'ho mai sentita amenzionare, e parte mi rispose così a tentoni, chi: l'atto dello scapigliarsi, chi:una chioma arruffata, e chi, finalmente - e costui fu un letterato - una vita dadebauchè; definizioni tutte o false o inesatte e, in ogni modo, lontane le millemiglia da quel significato in cui m'ero proposto di adoperarla io.

Quell'io che credevo di aver rubato il lardo alla gatta, da quelle risposten'ebbi una delusione che mi afflisse moltissimo - ben inteso, per quanto può

Page 3: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

affliggere una delusione filologica - e avrei messo il cuore in pace, e lasciatonel dimenticatojo la povera incompresa, se una certa rincalzante smania dispuntar le cose un po' difficili - confesso un uno debole - non mi ci avesseincaponito sopra.

Ed ecco lettori, se il permettete, ch'io la prendo per mano e ve la presento.

In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantitàdi individui d'ambo i sessi v'è chi direbbe: una certa razza di gente - fra i ventie i trentacinque anni non più; pieni d'ingegno quasi sempre; più avanzati delloro secolo; indipendenti come l'aquila delle Alpi; pronti al bene quanto almale; inquieti, travagliati, turbolenti - i quali - e per certe contraddizioniterribili fra la loro condizione e il loro stato, vale a dire fra ciò che hanno intesta, e ciò che hanno in tasca, e per una loro particolare maniera eccentrica edisordinata di vivere, e per... mille e mille altre cause e mille altri effetti il cuistudio formerà appunto lo scopo e la morale del mio romanzo - meritano diessere classificati in una nuova e particolare suddivisione della grande famigliacivile, come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tuttequante le altre.

Questa casta o classe - che sarà meglio detto - vero pandemonio del secolo,personificazione della storditaggine e della follia, serbatojo del disordine, dellospirito d'indipendenza e di opposizione agli ordini stabiliti, questa classe,ripeto, che a Milano ha più che altrove una ragione e una scusa di esistere, io,con una bella e pretta parola italiana, l'ho battezzata appunto: la ScapigliaturaMilanese.

Se tale parola non andasse a genio de' miei lettori me ne dorrebbemoltissimo, perchè io la trovo assolutamente bella. E posso ripeterlo confranchezza perché appunto non l'ho inventata io. Ed è per me tanto più bella, inquanto che essa mi rende, quasi a capello, il concetto di questa parte dellapopolazione Milanese tanto diversa dall'altra per i suoi misteri, le sue miserie, isuoi dolori, le sue speranze, i suoi traviamenti, sconosciuti ai giovanimorigerati e dabbene, ed agli adulti gravi e posati, che della vita hanno preso lastrada maestra, comoda, ombreggiata, senza emozioni, come senza pericoli.

La Scapigliatura Milanese è composta da individui di ogni ceto, di ognicondizione, di ogni grado possibile della scala sociale. Plebe, medio ceto earistocrazia; foro, letteratura e commercio; celibato e matrimonio, ciascuno viporta il suo tributo, ciascuno vi conta qualche membro d'ambo i sessi; ed essali accoglie tutti in un amplesso amoroso, e li lega in una specie di misticaconsorteria, forse per quella forza simpatica che nell'ordine dell'universo attraefra di loro le sostanze consimili.

La speranza nell'avvenire è la sua religione; la povertà il suo carattereessenziale. Non la povertà del mendico che stende per Dio la manoall'elemosina, ma la povertà di un Duca a cui tocca di licenziare una dozzina diservitori, vendere molte coppie di cavalli, e ridurre a quattro le portate dellasua tavola, perchè, fatti i conti coll'intendente, ha trovato di non aver più checinquantamila lire di rendita.

Essa è figlia soprattutto di un'epoca non lontana e fatale; figlia generosa,giacché, chi ha traveduto il cielo, è un imbecille od un santo se si rassegna avivere di nuovo contento e felice sulla terra.

Nè voglio dire con ciò che prima di quell'epoca non ci fossero scapigliati aMilano....... Dio me ne guardi!

Page 4: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Strano paese sarebbe stato questo in cui la gioventù avesse avuto nelle venetanta pacatezza, e tanto senno in cervello per soffrire con calma e senzariluttanza l'ozio forzoso e la vita monotona e indecorosa che vi si conduceva.....

Come il Mefistofele del Nipote essa ha dunque due aspetti, la Scapigliatura:il buono ed il cattivo.

Da un lato un profilo più Italiano che Meneghino pieno di brio, di speranzae di amore, e rappresenta il lato simpatico e forte di questa numerosa classe,inconscia delle proprie forze, anzi della propria esistenza, propagatrice dellebrillanti utopie, focolare delle idee generose, anima di tutti gli elementi geniali,artistici e politici del proprio paese, che ogni causa o grande o folle fa balzard'entusiasmo, che conosce della gioja la sfumatura arguta del sorriso, e loscroscio franco e prolungato, ed ha le lagrime del fanciullo sul ciglio e lememorie feconde nel cuore.

Dall'altro invece un volto smunto, solcato, cadaverico, su cui stanno leimpronte delle notti passate nello stravizzo e nel giuoco, su cui si adombra ilsegreto del dolore infinito, e i sogni tentatori d'una felicità inarrivabile, e lelagrime di sangue, e le tremende sfiducie e la finale disperazione.

Presa in complesso dunque, la Scapigliatura è tutt'altro che disonesta.Se non che, come accade di tutti i partiti estremi, che accolgono nel loro

seno i rifiuti di tutti gli altri, anch'essa conta un buon numero di personetutt'altro che oneste, le quali finiscono collo screditare la classe intera. Macotesti signori sono come nel ferro le scorie, nel demolito il marame; e c'è peressi un nome abbastanza conosciuto senza ricorrere alla scapigliatura; e anch'iosarei tentato di chiamarli cavalieri d'industria e birbanti, se l'educazione dimoda non mi vietasse di chiamar chicchessia col suo vero nome. Ma, appuntocome tali, essi non hanno una fisionomia particolare e si perdono in quellaputrida vegetazione comune a tutti i paesi del mondo come i ladri, e le spie...gente nata per lo più dal fango, e vivente nel fango del proprio mestiere, senzaperdono e senza poesia possibile.

Però la Scapigliatura li fugge per la prima e li rinnegherebbe ad alta voce, seella avesse la coscienza della propria esistenza.

Giacchè la vera... la mia Scapigliatura potrà pentirsi qualche volta de' fattiproprii, arrossirne giammai.

Page 5: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Iginio Ugo Tarchetti

da RICCARDO WAITZEN(in: Amori nell’arte: racconti musicali, Milano, Treves, 1869)

LORENZO: E voi lo credete?IL MAGISTRATO: No, io non ho fede alcunanegli spiriti – intesi però a dire che essiesercitano delle strane influenze sugliuomini, e questa fede antica quantol’umanità non può essere avversataciecamente, né distrutta ad un tratto.

(A Ghost in Comedy)

Che cosa è l’immaginazione? Chi ne definisce le facoltà? Doverintraccieremo noi quella linea che separa l’immaginario dal vero? E nelmondo dello spirito, nelle sue vaste concezioni, esiste qualche cosa che noipossiamo chiamare assolutamente reale, od assolutamente fantastico? Opiuttosto non è egli tutto fantastico nello spirito? Come nulla vi ha diindividuato, di isolato, nell’immensità delle masse che compongonol’universo, ma tutto si riunisce e si sfuma per mezzo delle piccole masseintermedie, non potrebbe essere che l’ideale ed il realismo si congiungesserotra di loro per certe leggi che a noi non è dato di conoscere, per certo misteroche a noi non è concesso di afferrare; e che gli uomini non facessero chedefinire con queste due parole i due punti estremi di questa-linea, quali sono ilmondo sensibile ed il mondo immaginario? Qualunque sia quel vero che a noinon è dato di percepire, egli è però ben certo che dei grandi legami esistono tradi loro. La loro conciliazione, secondo la natura umana, ha formato la lotta ditutti i tempi, come forma la lotta dell’oggi: l’umanità tende ad equilibrarsi traqueste due grandi attrazioni, come quella che si sente dominata da entrambe, enon ignora costituirsi dalla loro azione il segreto delle sue lotte e della suavita.

La letteratura moderna, conscia di questa verità, si è rivolta alla soluzione diun grande quesito: «idealizzare il reale»; fondere assieme queste due potenze,costringere l’immaginazione, l’idea a soffermarsi sulla realtà, adanatomizzarla, a rivestirla de’ suoi colori, delle sue forme, delle sue seduzionidivine. Quella grande letteratura, che è la recente letteratura francese: Karr,Vittor Hugo, Girardin, e più di tutti Michelet1 co’ suoi libri divini dell’amore e

1 Jean-Baptiste-Alphonse-Karr (1808-1890) romanziere e giornalista francese,divenuto celebre ancora molto giovane col romanzo a sfondo autobiografico Sous lestilleuls ( 1832), collaboratore del « Figaro » continuò a pubblicare romanzi cui arrisegrande successo fra cui Une heure trop tard (1833), Vendredi soir (1835). Si volse dal

Page 6: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

della donna, hanno dimostrata possibile questa conciliazione, indirizzandolaallo scopo dell’umana felicità. Forse la letteratura avvenire non mirerà più adaltro fine che a questo: essa arresterà lo spirito degli uomini sempre rivoltoall’ideale e al fantastico per trattenerlo sui campi della realtà, ove noidobbiamo combattere, qui e non altrove, vogliosi o non volenti, la lottasecolare della vita.

Ma la scienza ha pure rialzato in questi ultimi tempi un lembo della cortinamisteriosa. Mesmer, colla scoperta del magnetismo, sembrò aver fatto unpasso gigantesco su questa via2. I primi fenomeni di quella scienza, arcani,oscuri, confusi, perciò accolti con quella superstiziosa credulità che affascinatutti gli uomini all’idea dell’incomprensibile e dello ignoto, sembrarono averafferrato le prime fila per districare tutto quanto il segreto, fino allorainviolato, della natura umana: la fusione delle anime, la trasmissione delpensiero, la chiaroveggenza, l’intuizione, l’unificazione di due, di piùindividualità, furono altrettante scoperte che parvero assicurarci la conquista diverità prodigiose e infinite.

Tuttavia non si tardò a riconoscere che tutto era fittizio in questa scienza, eche le prime basi gettate con tanta apparente solidità, non bastavano asostenere quell’edifìcio colossale e gigantesco che si voleva innalzare sopra diesse: toltine i fenomeni materiali, tutto si è arrestato, tutto è ricadutonell’ignoto; l’ipnotismo ci ha dimostrato che gli stessi effetti si ottenevanocolla semplice fissazione di un oggetto luminoso; lo spiritualismo rimanevadunque escluso, e i fenomeni del Mesmer ricadevano nel dominio dellamateria. Perocché chi ha mai potuto definire le proprietà degli spiriti, e irapporti che essi hanno tra di loro? Che cosa è il sogno, il sonnambulismo, ilpresagio, l’astrazione, il pensiero, e più di tutto l’incubo? I sensi – ecco i limitiestremi delle nostre facoltà; nulla di positivo, nulla di assoluto fuori di essi –

lirismo romantico al genere politico-satirico con i « pamphlets », Les guêpes, editi fra il1839 ed il 1849 che suscitarono grande scalpore al punto che si attentò alla sua vita. Nel’48 fondò con l’aiuto del Cavaignac il « Journal », ma dopo il colpo di stato si ritiròdefinitivamente dalla vita politica. Dell’interesse del Tarchetti per il Karr testimoniaanche il Farina: « In quel tempo [dopo il 1867) Iginio Ugo Tarchetti, avendo letto alcunilibri di Alfonso Karr (ricordo in ispecie la Penelope Normande), e traducendo unromanzo di Dickens per la casa Sonzogno [L’amico comune], aveva pensato di cambiarela forma del suo novellare. E da queste riflessioni usci quell’opera originale,originalissima a quel tempo, che s’intitola Fosca » (La mia giornata. Gare ombre, cit., p.26).

2 Franz Friedrich Anton Mesmer (1734-1815), medico tedesco propugnatore di unmetodo di cura, che da lui si disse mesmerismo, basato sul magnetismo animale della cuiesistenza egli fu tenace assertore, precorrendo le ricerche successive sull’ipnosi e ilmedianismo. Basandosi su teorie preesistenti, come quella di Van Helmont, Mesmerriteneva che il corpo umano e ogni altra creatura vivente emettessero raggi corporeicontrollati dall’anima. Il fluido vitale emanato si sarebbe potuto imprigionare in un“ricevitore” donde farlo rifluire negli infermi per rinvigorire lo spirito e il corpo agendosul sistema nervoso. Nonostante l’ostilità della classe-dedica parigina, Mesmer ebbetuttavia un enorme successo nella capitale francese e godè della protezione di Luigi XVI.

Come è noto al mesmerismo sono dedicati due racconti di E. A. Poe: MesmericRevelation e The Facts in the Case of M. Valdemar. Il Tarchetti stesso fino dal 1867,secondo la testimonianza dell’amico Farina, aveva compiuto esperimenti sul magnetismoanimale e sul medianismo.

Page 7: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

ogni altra cosa è immaginaria e fantastica; essa appartiene a un’altra sfera diesseri, sulla cui natura, sul cui fine, sulle cui facoltà, nulla ci è dato dicomprendere e di asserire con sicurezza.

Ciò non di meno, una vaga, una poetica illusione è venuta oggi a mettere inrapporto il mondo fisico col mondo spirituale, il mondo finito col vivente:intendo parlare dello spiritismo, questa applicazione singolare della scienza,per la quale uno spirito compiacente discende a parlare con voi un linguaggiodi convenzione immedesimandosi in un tavolo, in una sedia, in un arnesequalunque della vostra camera: ed ecco che il magnetismo si è collocato comeinterprete, come intermedio tra voi e il mondo spirituale – perocché comeavrebbe potuto uno spirito rivolarsi senza il concorso di un oggetto sensibile?

Io vorrei conoscere se coloro - i quali, mercé questo mezzo, continuano aconvivere in ispirito coi loro cari, hanno la fede assoluta nella realtà di questaconvivenza. Se essi credono, il fenomeno esiste. Noi non possiamo sorrideredi questa credenza: proviamone l’assurdo, proviamone del paro la verità se ciè possibile. Bensì ciascuno di noi ha sentito in sé stesso, in molte circostanzedella vita, qualche cosa che gli parlava di altri esseri, o sofferenti o lontani, ogià morti alla nostra esistenza di un giorno. Ditemi, non avete voi perdutoqualcuno dei vostri diletti? e non ne avete spesso udito ancora la voce e iconsigli? non li avete più riveduti nei vostri sogni, nelle vostre veglie affaticatee affannose? non li avete sentiti come discendere, pesare sopra di voi,immedesimarsi in voi stessi, congiungere alla vostra la loro vita! Chi vi diceche mentre vi si affaccia un’immagine nel sogno, quell’immagine stessa nonsia li viva, palpitante, curvata sopra di voi o assisa presso il vostro guanciale?E chi vi dice ancora che voi sognate? Che cosa è il sogno se non cheun’esistenza piena, colma, smisurata, al cui confronto l’esistenza della veglianon è che la vita monca e impotente della pietra?... Veglia, sonno... parole! Ionon vi domanderò quali fatti appartengano al mondo reale e quali a quellodella immaginazione, non vi domanderò ancora quale sia quella linea chesepara questi due mondi – negatemi che i fenomeni esistano.

È assai tempo che io conobbi nell’esercito due giovani ufficiali, duegemelli: là natura li aveva fatti ad uno stampo; nessuna distinzione fra di loro– le stesse fattezze, lo stesso colorito, lo stesso suono di voce – essi siamavano di tutta la tenerezza fraterna, e forse alla loro nascita la natura, ignaradel concepimento di due esseri, trovatasi cosi alle strette, poiché la cosa nonammetteva indugio, aveva diviso fra di loro quel soffio della vita, che avevapredestinato inconsciamente ad un solo. Non ho conservato memoria diavvenimenti più singolari di quelli a cui dava luogo la loro prodigiosasomiglianza.

Uno di essi, Giulio, era un abile giuocatore di bigliardo: l’altro, Luciano,non era che un giuocatore assai mediocre. Spesso i loro compagni, prima diaccingersi al giuoco con uno di essi (era impossibile farlo con entrambi senzache ne derivasse una strana confusione), gli domandavano:

– Sei tu Giulio o Luciano? noi confidiamo sulla tua parola.– Luciano, sul mio onore.Ed ecco che la partita s’impegnava colla certezza di uscirne vincitori, ma ad

Page 8: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

un dato momento, Luciano scivolava dalla sala, subentrava non visto ilfratello, e la partita era perduta.

Spesso ancora nelle riviste del reggimento, uno di essi si assentava perturno, sicuro che l’altro poteva supplirlo senza pericolo di essere scoperti. Edeccone uno sfilare grave e impettito d’innanzi al colonnello nella primacompagnia cui appartiene, e appena uscitogli di vista, portarsi alla coda delreggimento e ripassare di nuovo alla testa della compagnia dell’assente. Ma ungiorno il colonnello, insospettito, lo fa uscire dalle file, lo trattiene presso disé, ed ecco che lo strattagemma è scoperto e punito.

Come è costume di soldato, essere chiuso agli affetti duraturi e gentili, eaperto solamente alle piccole passioni di un giorno, essi avevano delle amantidelle quali si dividevano i favori senza che le tradite potessero avvedersidell’inganno. La loro vita rimaneva così come moltiplicata, e la loro naturaporgeva ad essi il privilegio di sensazioni sempre rinnovate e sempre recenti.

Spesso avveniva che una di loro gli dicesse:– Amor mio io non ti riconosco più questa sera, tu mi sei tutto mutato: è

forse ciò che tu mi promettevi ieri l’altro? un contegno più delicato, piùrispettoso, più calmo?... ecco le tue promesse, ecco i tuoi giuramenti svaniti...

– Non mi badare, o fanciulla, le mie preoccupazioni del giorno sono si graviche io ho tutto dimenticato, e poi il mio amore è si veemente, si imperioso, sicieco... ma tu che lo disconosci, oh! tu mi ami sì poco...

Certo quella mente immaginosa di Shakespeare, nell’ideare la suacommedia degli equivoci, non avrebbe potuto creare delle combinazioni piùsingolari e più ardite3. Ma la vita dei due giovani era predestinata ad un fineprematuro e inatteso. Luciano cadde colpito da ima palla austriaca nellagiornata di San Martino: Giulio, che gli sopravvisse, divenne malinconico epensieroso, senti che gli era venuta a mancare come una metà di sé stesso,abbandonò la carriera militare, ed essendosi ritirato a vivere in una piccolacasa di campagna sul Canavese, vi mori di patema un anno dopo.

Alcuni mesi prima della sua morte io mi recai a visitarlo, e mi trattennialcuni giorni presso di lui. Lo trovai infermo e prostrato, affetto da quell’etisiadel cuore che precede nelle nature soffrenti e sensibili l’etisia fisica; ma la suaanima aveva acquistata tuttavia una potente affettività, una forza di astrazionestraordinaria. Egli mi assicurava che era felice, che aveva ogni giorno deilunghi ed affettuosi colloqui con suo fratello, che egli era presente ad ogniistante, che in quelle sei ore che egli trascorreva ogni giorno rinchiuso nellasua camera ne evocava lo spirito col suo atto della volizione, e si abbandonavacon lui alle dolci confidenze, alle piene espansioni del loro affetto, allecostanti e profonde investigazioni del loro destino.

Spesso io sorrideva della sua fede ed egli mostrava di compiangere la miaincredulità, e diceva con tutto lo slancio d’un desiderio a stento represso: – Ohpotessi io presto morire, andarmene, libero, là, dov’egli dimora! oh potessipresto raggiungerlo!

E lo raggiunse di fatto.Ora potremo noi dileguare un trasporto di fede si vivo? E siamo noi ben

sicuri che tutto ciò non fosse che fede, che allucinazione, che sogno? Hosentito uomini colti e severi dire coll’espressione d’un convincimentoincrollabile: – Ciò è falso, ciò è vero, ciò solamente sussiste, fin là e non più

3 Si riferisce a The Comedy of Errors composta dallo Shakespeare probabilmente frail 1591 ed il 1592 e derivata dai Menecmi di Plauto.

Page 9: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

oltre voi dovete innalzare l’edifizio della vostra fede –. Presuntosi ! E fino aqual punto hanno essi scrutato nelle viscere della natura? Fino a qual paginaessa ha loro aperto il libro meraviglioso de’ suoi segreti? Che vi hanno essiletto? La fede è finita: dalle sue basi incrollabili noi possiamo trarre delleconseguenze finite, perciò spesso limitate, monche, imperfette: ma il dubbiosolo è grande, sconfinato come l’immenso universo, incommensurabile comel’oceano, profondo e tenebroso come gli abissi dell’anima umana: il dubbio èla rivelazione della scienza, – essa lo cerca immolandogli ogni fede – poichéuna sola fede esiste, quella del dubbio.

Ma veniamo al nostro racconto. [...]

Page 10: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Iginio Ugo Tarchetti

I FATALI(da: Racconti fantastici, Milano, Treves, 1869)

Esistono realmente esseri destinati ad esercitare un’influenza sinistra sugliuomini e sulle cose che li circondano? È una verità di cui siamo testimoniiogni giorno, ma che alla nostra ragione freddamente positiva, avvezza a nonaccettare che i fatti i quali cadono sotto il dominio dei nostri sensi, ripugnasempre di ammettere.

Se noi esaminiamo attentamente tutte le opere nostre, anche le più comuni ele più inconcludenti, vedremo nondimeno non esservene una da cui questacredenza ci abbia distolti, o a compiere la quale non ci abbia in qualchemaniera eccitati. Questa superstizione entra in tutti i fatti della nostra vita.

Molti credono schermirsene asserendo per l’appunto non esser ella che unasuperstizione, e non s’avvedono che fanno così una semplice questione diparole. Ciò non toglierebbe valore a questa credenza, poichè anche lasuperstizione è una fede.

Noi non possiamo non riconoscere che, tanto nel mondo spirituale quantonel mondo fisico, ogni cosa che avviene, avvenga e si modifichi per certe leggid’influenze di cui non abbiamo ancora potuto indovinare intieramente ilsegreto. Osserviamo gli effetti, e restiamo attoniti e inscienti dinanzi allecause. Vediamo influenze di cose su cose, di intelligenze su intelligenze, e diqueste su quelle ad un tempo; vediamo tutte queste influenze incrociarsi,scambiarsi, agire l’una sull’altra, riunire in un solo centro di azione questi duemondi disparatissimi, il mondo dello spirito e il mondo della materia.

Fin dove la penetrazione umana è arrivata noi abbiamo portato la nostrafede; il segreto dei fenomeni fisici è in parte violato; la scienza ha analizzato lanatura; i suoi sistemi, le sue leggi, le sue influenze ci sono quasi tutte note: maessa si è arrestata dinanzi ai fenomeni psicologici, e dinanzi ai rapporti checongiungono questi a quelli. Essa non ha potuto avanzarsi di più, e hatrattenuto le nostre credenze sulla soglia di questo regno inesplorato. Poichènell’ordine dei fatti noi possiamo ammettere delle tesi generali, delle veritàcomplesse; non nell’ordine delle idee.

Dove i fatti sono incerti, le idee sono confuse. Avvengono fatti che nonpresentano un carattere deciso, sensibile, ben definito, e che la nostra ragionecalcolatrice non sa se negare od ammettere. Vi sono perciò idee incomplete,oscure, fluttuanti, che non possono presentarsi mai sotto un aspetto chiaro, eche non sappiamo se accettare o respingere. Questa incertezza di fatti, questaincompletazione di idee, questo stato di mezzo tra una fede ferma e una fedetitubante, costituiscono forse ciò che noi chiamiamo superstizione – il punto dipartenza di tutte le grandi verità. Perchè la superstizione è l’embrione, è ilprimo concetto di tutte le grandi credenze.

Qualora io vedo una superstizione impadronirsi dell’anima delle masse, iodico che in fondo ad essa vi è una verità, poichè noi non abbiamo idee senzafatti, e questa superstizione non può essere partita che da un fatto. Se esso non

Page 11: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

si è ancora rinnovato e generalizzato per confermarla, egli è che la viadell’umanità è lunga – più lunga quelle delle cose – e nessuno può determinareil tempo e le circostanze in cui potrà ripetersi. Gli uomini hanno adottato unsistema facile e logico in fatto di convenzioni; ammettono ciò che vedono,negano ciò che non vedono; ma questo sistema non ha impedito finora che essiabbiano dovuto ammettere più tardi non poche verità che avevano primanegate. La scienza e il progresso ne fanno fede. Del resto, comunque sia, perciò che è fede nelle influenze buone e sinistre che uomini e cose possonoesercitare sopra di noi, non v’è uomo che non ne abbia una più o meno salda,più o meno illuminata, più o meno confermata dall’esperienza della vita. Tuttoal più si tratterebbe di riconoscere se essa abbia o no ragione di essere, e fino aqual punto debba venire accettata, non di negarla – poichè l’esistenza di questafede è indiscutibile.

Io ne trovo dovunque delle prove. Per me l’antipatia non è che una tacitacoscienza dell’influenza fatale che una persona può esercitare sopra di noi.Nelle masse ignoranti questa coscienza ha creato la jettatura, nelle masse coltela prevenzione, le diffidenza, il sospetto.

Non v’è cosa più comune che udire esclamare: «quell’uomo non mi piace –non vorrei incontrarmi per via con quella persona – mi fa paura – d’innanzi alui io non sono più nulla – ogni qualvolta mi sono imbattuto in quell’uomo miè accaduta una sventura.» Nè questa fede che si presenta sotto tanti aspetti, chequasi non avvertiamo, che è pressochè innata con noi come tutti gli istinti didifesa che ci ha dato la natura, è sentita esclusivamente da pochi uomini – essaè, in maggiori o minori proporzioni, un retaggio naturale di tutti.

Questa superstizione accompagna l’umanità fino dalla sua infanzia, èdiffusa da tutti i popoli. Gli uomini di genio, quelli che hanno molto sofferto,vi hanno posto maggior fede degli altri. Il numero di coloro che credetteroessere perseguitati da un essere fatale è infinito: lo è del paro il numero diquelli che credettero essere fatali essi stessi, Hoffman, buono ed affettuoso, futorturato tutta la vita da questo pensiero.

Non giova dilungarsi su ciò, perchè la storia è piena di questi esempi, eciascuno di noi può trovare nella sua vita intima le prove di questa credenzaquasi istintiva.

Io non voglio dimostrarne nè l’assurdo nè la verità. Credo che nessuno lopossa fare con argomenti autorevoli. Mi limito a raccontare fatti che hannorapporto con questa superstizione.

***

Nel carnevale del 1866 io mi trovava a Milano. Era la sera del giovedìgrasso, e il corso delle maschere era animatissimo. Devo però fare unadistinzione – animatissimo di spettatori, non di maschere. Chè se la taccia difama usurpata, così frequente, e spesso così giusta in arte, potesse applicarsianche alle feste popolari, il carnevale di Milano ne avrebbe indubbiamente lasua parte. Queste feste non sono più che una mistificazione, ed hanno ragionedi esserlo, giacchè le migliaja di forastieri che vengono annualmente adassistervi non sono però meno convinti di divertirsi. Tutto stava nell’istillar

Page 12: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

loro la persuazione che il carnevale di Milano fosse la cosa più comica, piùspiritosa, più divertente di questo mondo. Una volta infuso questoconvincimento, non erano più necessari i fatti per confermarlo – lo scopo didivertire era ottenuto.

Comunque fosse, il Carnevale del 1866 non era meno animato degli altri, enelle prime ore della sera del giovedì grasso, la popolazione si era versata sullestrade a torrenti. La folla aveva talmente stipate le vie che in alcuni punti eraimpossibile muoversi e presso la crociera della via di S. Paolo, ove mi trovavaio, si era letteralmente pigiati.

Gli onesti milanesi si frammischiavano fraternamente ai forestieri, e siinebbriavano del piacere di guardarsi l’un l’altro nel bianco degli occhi – ciòche costituisce l’unico, ma ineffabile divertimento di questo celebre Carnevale.

Non so da quanto tempo io mi trovassi colà, in piedi, in mezzo a quella granressa, in una posizione incomodissima, allorchè voltandomi per vedere se v’eramezzo di uscirne, osservai intorno a me uno spettacolo assai curioso.

La folla non si era diradata, ma si era ristretta in modo da lasciare in mezzoa sè uno spazio circolare abbastanza vasto. Nel centro di questo circolomiracoloso v’era un giovinetto che non mostrava aver più di diciotto anni, macui, a guardarlo bene, se ne sarebbero dati venticinque, tanto il suo voltoappariva patito, e tante erano le traccie che v’erano impresse d’una esistenzatravagliata e più lunga. Era biondo e bellissimo, eccessivamente magro, manon tanto che la bellezza dei lineamenti ne fosse alterata; aveva gli occhigrandi ed azzurri, il labbro inferiore un po’ sporgente, ma con espressione ditristezza più che di rancore; tutta la sua persona aveva qualche cosa difemminile, di delicato, di ineffabilmente grazioso, qualche cosa di ciò che ifrancesi dicono souple, e che io non saprei esprimere meglio con altra paroladella nostra lingua. La purezza e l’armonia delle sue linee erano meravigliose;egli vestiva con estrema eleganza; e guardava quà e là, un poco alla folla e unpoco alle maschere, con aria malinconica e divagata come se si trovasse inquel luogo a suo dispetto, e fosse più occupato di sè che dello spettacolo pocoallettante che aveva d’innanzi allo sguardo.

Ma ciò che mi era parso rimarchevole era che egli sembrava non essersiavveduto di quel circolo che s’era formato d’intorno a lui, nè alcuni di quellistessi che lo avevano formato mostravano di averci posto mente. Non era nullain ciò di veramente straordinario; pure l’esistenza di uno spazio così vasto inmezzo ad una folla così fitta, in mezzo ad una moltitudine che si moveva,fremeva, ondeggiava come un corpo solo, senza riempire mai il vuoto ches’era formato in quel punto, mi pareva cosa meritevole di attenzione. Sisarebbe detto che da quel giovine emanasse un fluido ripulsivo, una virtùmisteriosa atta ad allontanare da lui tutto ciò che lo circondava.

In quell’istante che io lo stava guardando, essendogli stati gettati alcuniconfetti, di cui parecchi si fermarono tra le pieghe del suo mantello che tenevaavviluppato sul braccio, un fanciulletto si spiccò dal circolo e gli venned’appresso quasi per domandarglieli, giacchè egli nè li aveva presi, nè avevascosso il mantello per farli cadere.

Il giovine lo guardò con affetto, raccolse le confetture, gliele diede; e primache si allontanasse gli passò una mano tra i capelli con una specie di tenerezzapiena di soavità e di malinconia.

Egli aveva posto tanto affetto in quell’atto che, ove anche la natura non loavesse dotato di un volto così dolce e così simpatico, lo si sarebbe subito

Page 13: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

giudicato buono e cortese.È un fatto che il volto è lo specchio dell’anima: non si può indovinare se la

natura abbia dato ella stessa un’espressione buona ai buoni, e cattiva ai cattivi;o se la bontà e la malvagità umana possano talmente agire sulle nostre fattezzeda modificarle e da imprimervi il loro suggello; ma egli è ben certo che ilcuore trasparisce dal viso, anche da quelli la cui bellezza vorrebbe nascondereun animo turpe, o la cui laidezza uno onesto.

Io non mi sarei stancato mai di guardarlo. Non so se le affezioni degli altriuomini sieno governate da questa legge di simpatie e di antipatie improvvise,energiche, inesorabili cui vanno soggette le mie, – per me l’innamorarmi di unuomo o di una donna, il concepire un’inclinazione od un’avversioneirresistibile per una creatura qualunque non fu mai opera che di pochi minuti –ma mi ricordo che l’avrei abbracciato lì sulla via, tanto l’espressione del suovolto era affettuosa, tanto quel linguaggio andava dritto al cuore, senza darcampo alla ragione di discuterci sopra.

Non mi mossi di là finchè non se ne mosse egli pure. La festa incominciavaa languire, la folla incominciava a diradarsi, e il crepuscolo ad avvolgere tuttaquella scena in un penombra grigia e pesante. Eravamo a due passi da un caffè,ed egli vi entrò con aria d’uomo che non sa come passare il suo tempo, chesente il peso delle sue braccia, delle sue gambe, di tutta la sua persona, e chevorrebbe sbarazzarsene e buttarlo là sopra un divano come un fardello noiosoed inutile. Io era nello stesso caso, non aveva che fare, e gli tenni dietro.

Ci sedemmo di faccia, io a guardarlo, egli a leggere. Se non che egli parevasì poco occupato della sua lettura, che se anche avesse afferrato il giornale pelrovescio credo che non se ne sarebbe avveduto. I suoi occhi erano fissi sullecolonne di quel diario, ma sembravano guardare di dentro piuttostochè difuori, parevano aver concentrata tutta la loro virtù visiva in sè medesimi, e nonoccuparsi che di ciò che avveniva nell’animo del giovine.

Io non aveva però avuto che il tempo di fare questa riflessione, allorchèdietro la vetrina della finestra scorsi un nuovo affollarsi di gente e sentii comedelle grida femminili; stavo per alzarmi allorchè si aperse la porta del caffè, ene fu recato dentro un fanciullo svenuto, il quale era stato travolto dalle ruotedi una vettura, e ne aveva avuto un braccio spezzato. Rimasi dolorosamentecolpito dal riconoscere in quel fanciullo quello stesso che l’incognito avevaaccarezzato in mezzo a quel circolo, e a cui aveva regalato i confetti caduti sulsuo mantello.

Per un moto istintivo diressi lo sguardo dalla sua parte, e lo scorsinell’istante che usciva frettolosamente dalla sala. Il suo volto riflesso in quelmomento da uno specchio che era di fronte a me, mi parve pallidissimo.

Io abbandonai poco dopo quel caffè in preda a tristi pensieri.In quella sera stessa doveva aver luogo alla Scala una rappresentazione

straordinaria.L’opera annunciata era la Sonnambula, e il pubblico vi era accorso

numeroso ad ascoltare quella musica divina, così piena, così complessa nellasua semplicità, così affettuosa. Si era rappresentata poco prima l’Africana – daMayerbeer a Bellini la differenza almeno, se non la distanza, era ben grande. Ilteatro era illuminato a giorno, la platea era stipata di uditori; e non v’erano altripalchi vuoti da cinque o sei all’infuori, posti tutti nello stesso punto; e in unodei quali riconobbi con mia grande sorpresa il giovine che aveva veduto pocoprima assistendo al corso delle maschere.

Page 14: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Egli era solo e non mi sembrava più nè sì triste, nè sì pensieroso. Vestiva unabito nero molto elegante, ma nulla dimostrava che fosse avvezzo a prenderegran cura della sua persona. Non so se fosse inganno mio, o allucinazione, eche altro, ma egli mi pareva straordinariamente bello, assai più di quanto mifosse sembrato poche ore prima.

Vi era sul suo volto qualche cosa di luminoso, qualche cosa di quellatrasparenza profonda, benchè torbida, benchè appannata, che ha l’alabastro.Egli aveva difatto la stessa pallidezza: a non guardarne gli occhi, a nonesaminare la mobilità prodigiosa dei lineamenti, lo si sarebbe detto morto oimpietrito. I suoi capelli conservavano ancora quella finezza, quellaarrendevolezza, quella lucidità, quell’arricciamento semplice e naturale chehanno i fanciulli; erano di un biondo meraviglioso, e lucevano come fili d’oroal riflesso delle fiamme dei candelabri. Teneva appoggiato il gomito alparapetto, e la guancia sulla mano: la sua testa così inclinata pareva ancora piùbella. Egli aveva quella specie di bellezza che hanno le donne, e che ritraedalla luce un prestigio misterioso e affascinante. A contemplare dalla platea –d’onde non si vedeva il resto della persona – quella sua testa così diafana ecosì bianca, la si sarebbe creduta appartenere ad un fanciullo, ad una creaturafragile e delicata, forse ad un essere sopranaturale.

Io solo aveva rimarcato cosa che mi pareva avere una strana relazione conciò che aveva osservato prima al corso delle maschere, voglio dire queltrovarsi egli così isolato in un palco intorno al quale ve n’erano cinque o seialtri vuoti, mentre non era possibile vederne da tutte le altre parti del teatro unsolo che non fosse occupato – bisognava aver osservato prima l’accidente delcircolo, per trovar causa di meraviglia in questo fatto, – ma gli spettatori eranostati unanimi nell’avvertire la sua bellezza e nell’ammirarla, nè tardai adaccorgermi che le signore sopratutto ne erano state colpite, e gareggiavano neldirigere i loro cannocchiali verso il suo palco.

Tra quelle di esse che erano riuscite ad attirarsi più facilmente la suaattenzione, vi era una fanciulla che era pure assai bella, ed occupava un palconon molto lontano da quello del giovine. Come avviene a tutte le ragazzeveramente ingenue, non di quella ingenuità convenzionale che esse devonoostentare spesso come una parte di commedia, fino a che il marito non leautorizza a rappresentare una parte diversa, ma di quella ingenuità vera che hala sua radice nella verginità della mente e del cuore, essa ne era rimastafortemente e subitamente impressionata. Era troppo giovine per sapersi giàinfingere, e credo di non essere stato io solo ad avvedermi del suo turbamentoe della sua agitazione.

Assistetti per un po’ di tempo a quella specie di rapporto misterioso ches’era stabilito tra di loro, mi cacciai come un intruso in quella specie dicorrente magnetica che avevano formato i loro sguardi; poi quasivergognandomi di quello spiare, di quell’ammiccare alla loro felicità, come unpitocco che assista ad un banchetto dalla soglia della stanza, e non possa fruireche del profumo delle salse e delle vivande, mi raccolsi in me stesso, eprocurai di rivolgere tutta la mia attenzione allo spettacolo dell’opera.

Dico che me n’era vergognato, ma per me solo. Che se v’è qualche cosa almondo, d’innanzi alla quale io non sappia nè sogghignare per sprezzo nèpiangere per pietà, è la vista di due persone che si amano. Mi sono cacciatospesso di notte sotto i viali pubblici, sotto i boschetti di tigli, appositamente perincontrarvi qualche coppia d’innamorati; e non mi venne mai di passar vicino

Page 15: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

ad una di esse senza sentirmi compreso da un sentimento di rispetto profondo.Lo confesso, furono quelli i soli istanti della mia vita, in cui i miei simili misieno sembrati meno tristi del solito.

Era così riuscito a poco a poco ad occuparmi interamente dellarappresentazione, e non aveva più alzato gli occhi verso il palco di quellosconosciuto, allorchè avvedendomi d’un movimento improvviso che simanifestava negli spettatori, e scorgendo la folla addensarsi verso la porta, mimossi io pure e entrato a stento nel vestibolo, vidi passarvi due signori chereggevano sulle loro braccia una fanciulla svenuta, e la trasportavano in unadelle sale del teatro.

Non dirò quale fosse la mia meraviglia nel ravvisare in lei quella stessafanciulla che aveva guardato con tanto affetto e con tanta insistenza il mioincognito. Tutto ciò che era accaduto non poteva essere stato che un capricciodel caso: pure era la seconda volta nel termine di poche ore, che io vedeva unapersona alla quale egli aveva dato segno di predilezione, venir colpitaimprovvisamente da una sventura.

Rientrai nella platea.Egli occupava ancora il suo posto, era rimasto nella posizione di prima colla

guancia appoggiata alla mano; ma il suo volto coloritosi improvvisamente diun rossore vivace, era tornato in un istante di una pallidezza cadaverica. Nonera difficile accorgersi che egli soffriva, che s’era avveduto degli sguardicuriosi e quasi reprensivi di cui era fatto oggetto, e che non era rimastoimmobile al suo posto che per dissimulare la sua commozione, e per nonaccusare in certo modo quella specie di complicità che aveva avuto inquell’avvenimento.

Allorchè parve che il pubblico avesse cessato di occuparsi di lui, egli uscìdal teatro, e ne uscii io pure.

Nessuno conosceva forse il caso assai più deplorevole che aveva avutoluogo poche ore prima: nessuno aveva forse rimarcata la circostanza singolaree incomprensibile di quella specie di vuoto che egli pareva formare intorno asè, nè aveva posto mente ai rapporti che sembravano congiungere tutti questifatti, ma io ne era tutto in pensiero. Era evidente esservi in lui qualche cosa diinesplicabile e di fatale.

Io lo aveva veduto solo nel seno di uno spazio formato quasimiracolosamente in mezzo ad un folla fittissima, aveva veduto rinnovarsi lostesso caso in un teatro ripieno di spettatori; aveva veduto un fanciullo cheaveva ricevuto le sue carezze venir travolto dalle ruote di una carrozza, e unafanciulla osservata da lui, essere colta da un malessere improvviso. Non mipareva possibile che una pura combinazione avesse dato luogo a questa serie diavvenimenti. E se così non era, chi era dunque egli? Quale era l’influenza chepoteva esercitare quell’uomo?

***

Otto giorni dopo io mi trovava al caffè Martini – quel convegno di artistiche non lavorano, di cantanti che non cantano, di letterati che non scrivono, edi eleganti che non hanno uno spicciolo – e si parlava, raccolti in buon numero

Page 16: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

attorno ad un tavolo, d’una specie di pasticcio di nuova invenzione, qualchecosa di consimile al pudding, che era stato aggiunto quel giorno alla nota dellevivande del ristorante.

Da questo soggetto la conversazione era caduta, filtrando per l’idea delpudding e dell’oca di cui le classi ricche a Londra usano regalare le classipovere nel giorno di Natale, sul discorso che la regina d’Inghilterra aveva fattoallora al parlamento.

Una frase di questo discorso aveva dato un gran colpo alla discussione el’aveva gettata di balzo sulle eventualità d’una guerra in Italia. Da ciò, giù perla china delle opinioni e delle antiveggenze personali si era arrivati aipronostici; e dai pronostici ai presagi; e da questi, entrando nel campo dellavita intima, alle fatalità, alle stregature, alle malie; per modo che cinque minutidopo aver difeso a spada tratta l’eccellenza di questo pasticcio di nuovainvenzione, io raccontava a quel circolo di sfaccendati gli avvenimentiincomprensibili di cui era stato testimonio pochi giorni prima a proposito diquel giovine incognito.

Inutile dire che si rise di me e che non mi si volle prestar fede; il fatto dellafanciulla svenuta poche sere innanzi era bensì noto, ma le cause, dicevano essi,dovevano essere diverse. Nondimeno il soggetto di questa nuova deviazionedel nostro discorso era stato trovato interessante, e la conservazione dopo averfluttato su tanti argomenti, si era arrestata saldamente su questo. Ciascunoesponeva le proprie idee, ciascuno aveva qualche cosa a raccontare a questoriguardo. E come avviene ogni qualvolta ci affacciamo a questo mondopauroso dell’incomprensibile e del soprannaturale, che se ne ride da principioper ostentazione di coraggio e si finisce coll’atterrirsi di ciò che si ascolta, espesso di ciò che abbiamo raccontato noi stessi, ciascuno di noi si sentivacompreso da un sentimento misto di paura e di meraviglia, e si affannava ariannodare e a rinfocare la conversazione ogni qualvolta questa mostrava dilanguire, con quell’insaziabilità che hanno i fanciulli di ascoltare i raccontispaventevoli dei maghi e delle fate.

Avevamo pressochè esaurito tutto il repertorio delle nostre cognizioni suquesta tesi, allorchè un vecchio artista da teatro che tutti noi conosciamo datempo – una dalle cariatidi più celebri di quel caffè – si alzò da un tavolovicino da cui era stato ascoltando, e venne a prender posto nel nostro circolo.

– Il signore ha ragione, diss’egli, accennandomi col dito. Io non conosco ilgiovine di cui egli ha parlato poco fa, e non posso far fede dell’influenza chegli attribuisce, ma che esistano uomini siffattamente fatali, anzi assai più fatalidi quel giovine, non è cosa da potersi mettere in dubbio. Chi di voi ha sentitonominare il conte Corrado di Sagrezwitcth?

– Nessuno. – È strano, giacchè egli si è formato in quasi tutti gli Stati d’Europa e in

molte delle provincie degli Stati Uniti una terribile reputazione. Egli èconsiderato come l’uomo più fatale di cui si abbia memoria, la sua presenzasegnala dovunque una sventura immancabile, egli si è trovato sempre sul teatrodelle calamità più terribili, ha assistito ai disastri più spaventosi. Egli si trovavanell’America del Sud allorchè bruciò la chiesa di S. Jago in cui perirono più dimille persone; egli viaggiava or fanno due anni sulla ferrovia del Pacificoallorchè avvenne quello scontro in cui perdettero la vita più di trecentoviaggiatori; egli era a Pietroburgo allorchè rovinò il palazzo del principe diJakorliff in cui tante nobili dame e tanti dignitari dello Stato trovarono la

Page 17: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

morte. Nelle miniere irlandesi e in quelle di Alstau Moor in Scozia – luoghiche egli ha spesso visitati – il suo nome non viene ascoltato mai senzaspavento; ogni sua visita ha segnalato qualcuna di quelle catastrofi che sonotanto frequenti e tanto temute nelle miniere. Il conte di Sagrezwitcth è stato giàparecchie volte in Italia; vuolsi che egli si trovasse a Torino all’epoca dellaconvenzione allorchè avvennero i fatti luttuosi di settembre, ma nessuno, perquanto io sappia, ve lo ha veduto.

– E voi lo conoscete? – L’ho incontrato quattro volte ne’ miei viaggi. Voi sapete che io ho

percorso come artista e come impresario teatrale, quasi tutta l’Europa e unabuona metà del Nuovo Mondo. È forse perciò che ho potuto essere edottodell’esistenza di quest’uomo straordinario, e conoscerlo personalmente. Laprima volta che lo vidi fu a Berlino dove esordii nel capolavoro di Mozartcolla parte di D. Giovanni. Lo incontrai poscia in una sala di caffè a NuovaYork, allorchè ferveva ancora in America la guerra di secessione, eprecisamente alla vigilia dell’ultima disfatta dei separatisti, e la terza volta chemi imbattei con esso fu di nuovo a Berlino....

– E di che paese è egli? – Alcuni vogliono americano, alcuni polacco. Nessuno ne conosce con

certezza la patria, forse nemmeno il nome. In America si faceva chiamarecoll’appellativo di Duca di Nevers, in Europa conservò sempre il nome diconte di Sagrezwitcth; i minatori scozzesi lo chiamano l’uomo fatale. Egliparla correttamente molte lingue, ha le abitudini e i costumi di tutti i paesi cheha visitato; in Italia è italiano, in Inghilterra è inglese, e in America èamericano modello...

– E che età può avere? – Mostra cinquant’anni, ma i suoi capelli e la sua barba nerissima non

hanno ancora alcun segno di canizie. È un uomo di statura mezzana, di aspettoantipatico, benchè le sue fattezze sieno regolari e in qualche modo leggiadre.Porta quasi sempre nell’inverno un berretto di pelo a foggia di turbante, e suolvestire volontieri i costumi dei paesi in cui si trova. A giudicarne dallosperpero che egli fa ordinariamente del suo danaro, lo si direbbe assai ricco;nondimeno fu visto parecchie volte alloggiarsi in osterie di second’ordine, etenere un regime di vita molto economico. A Nuova York, per esempio, erabensì alloggiato all’albergo del Fifth-Avenue, quel colosso di marmo che hamille e duecento stanze, ma vi occupava un letto della sala di riposo concessaai viaggiatori che dispongono di mezzi assai limitati. È fama che egli abbiacoscienza della sua fatalità, e che si compiaccia di esercitarla. Quel suo recarsicontinuo da un capo all’altro del mondo non può essere senza uno scopo. Delresto si sa che egli non ebbe mai affetti, non amicizie, forse nemmenoconoscenze, toltene alcune poche e superficialissime. Coloro che ne conosconola potenza lo sfuggono per progetto, quelli che la ignorano, per istinto. – Chevi sieno persone che gli negano questo potere, questa specie di missione arcanae terribile, riprese egli vedendo che alcuni di noi sorridevano con aria diincredulità, è cosa naturalissima. Nessuno può provare che le sciagureavvenute nei luoghi ove egli si è trovato, e negli istanti in cui vi si è trovato,abbiano avuto una causa nella sua volontà, o in ciò che noi chiamiamo la suainfluenza. Egli è d’altronde un uomo come tutti gli altri; parla, veste, operacome tutti gli altri; volendo è affabile e gentiluomo, vi è nulla a che opporre;ma parmi cecità il negare cosa che la maggior parte degli uomini ha ammesso,

Page 18: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

il negare perchè non si comprende. – Noi non neghiamo, gli diss’io, dubitiamo. Ma, a proposito, avete

dimenticato di dirci dove l’avete incontrato la quarta volta. – Ah! riprese egli un poco rassicurato dalle mie parole. Quest’ultimo

incontro ha una data molto recente. Io lo vidi due mesi or sono a Londra,allorchè vi bruciò il teatro della regina. Seppi anzi che egli aveva intenzione dipassare presto in Italia, e se egli ha scelto questa stagione per venirvi, vi ènulla di più probabile che le feste del carnovale lo abbiano condotto a Milano.

– A Milano! – Sì, e desidererei che lo vedeste. Non so dirvi il motivo di questo

desiderio, pure mi sembra che al solo vederlo potreste comprendere il perchèdi tante cose che io non posso spiegarvi; mi pare che non potreste più dubitaredella verità della mia asserzione. – Osservereste, riprese egli dopo qualcheistante, una cosa assai rimarchevole nel suo abbigliamento, voglio dire lafreschezza e la finezza de’ suoi guanti che egli suole mutare più volte in un solgiorno, per modo che nessuno l’ha mai veduto a mani scoperte; e un’altrasingolarità non meno notevole nella sua persona, cioè la potenza del suosguardo, un non so che di magnetico e di inesplicabile che vi è in lui, e che visforza quasi a guardarlo e a salutarlo vostro malgrado.

– A salutarlo! esclamammo noi sorridendo. – Sì, a salutarlo. – Oh! vorrei vederlo! – Davvero! – Vorremmo vederlo!In quell’istante – potevano essere le due dopo mezzanotte – si aperse

l’uscio del caffè, e un uomo pingue e tarchiato entrò nella sala. Al ritratto checi era stato delineato poco prima, al berretto di pelo, alle mani calzate daguanti freschissimi, all’espressione singolare del suo volto, noi non tardammoa riconoscere in lui l’uomo di cui si era parlato. Allora, o fosse meraviglia, ofosse confusione di idee prodotta da quella sorpresa, ci alzammounanimemente a salutarlo. Egli portò la mano al berretto con atto di cortesiaschietto ma moderato, e si sedette all’altra estremità della stanza.

Io non posso esprimere la confusione, la meraviglia, il dispetto ches’impadronì di noi in quell’istante. Comprendevamo di esserci mostrati deboliverso di lui, verso di noi stessi, di esserci mostrati fors’anche ridicoli.Ciascuno era rimasto assorto in questo pensiero, nè aveva osato riprendere laparola. Il silenzio aumentava la nostra confusione.

L’incognito chiese una tazza di punch che bevve avidamente. Gettò sullaguantiera uno scudo d’argento, e respinse al cameriere il residuo del prezzodella sua bibita. Il cameriere nell’allontanarsi inciampò del piede nell’estremitàdella sua sedia e cadde; la guantiera essendogli scivolata di mano, percosse delvolto sui cocci della tazza che si era spezzata, e si ferì in modo che il viso gli sicoperse in un istante di sangue.

A quella vista ci alzammo tutti come mossi da una sola volontà, e uscimmoa precipizio dalla sala.

***

Page 19: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Nei primi giorni della mia residenza a Milano aveva dovuto quasi miomalgrado, stringere conoscenza con una famiglia, la quale per mediazione diamici, mi aveva reso anni prima alcuni servigii assai utili. Abitava essa una diquelle casupole grigie e isolate che fiancheggiano il naviglio dalla parteoccidentale della città – una vecchia casupola a due piani che il tetto sembravacomprimere e schiacciare l’uno sull’altro come una cappa pesante di piombo,tanto erano bassi ed angusti. Correvanle tutto all’intorno alcuni assiti neri etarlati su cui si arrampicavano delle zucche nane e dei convolvoli malati diclorosi.

Un setificio vicino l’avvolgeva notte e giorno in un’atmosfera di fumo,l’umido del naviglio aveva prodotto qua e là alcune rifioriture nell’intonacoesterno delle pareti, e le aveva rivestite di muffa e di piccole pianticelle diacetosa; nubi di moscherini entravano per la bocca e pel naso al primoaffacciarsi alla finestra; e il cicaleccio, e lo sbattere, e il canticchiare dellelavandaie che risciacquavano, e sciorinavano su quegli assiti e su quellezucche produceva da mattina a sera un baccano continuato e assordante.

Non vi sono forse a Milano cento persone le quali abitino nel centro dellacittà, e conoscano con esattezza quella parte de’ suoi dintorni. Milano è laminiatura esatta di una gran città; ha in piccole proporzioni tutto ciò che èproprio delle grandi capitali. Quel lembo estremo di case che costeggia ilnaviglio da Porta Nuova a Porta Ticinese è ciò che è la Marinella a Napoli, ciòche è il Temple a Parigi, ciò che è Seven-dials a Londra.

Avverso, mezzo per istinto, mezzo per progetto, a conoscere nuove cose enuove persone, io ho sempre considerato una conoscenza nuova come un pesonuovo aggiunto alla mia vita – non aveva avuto però a dolermi di quella. Erauna famiglia di onesti negozianti arrichitasi mediocremente nel commercio, evenuta ad alloggiare in quella casa solitaria per godervi in pace la piccolafortuna che aveva raggranellato.

Silvia l’unica erede di quella fortuna, era una delle più splendide bellezzeche io avessi mai veduto, e non aveva che diciasette anni allorchè io laconobbi. Non era una di quelle beltà fine e delicate che preferiamo spesso allebeltà robuste – l’amore ha fatto da alcuni anni un gran passo verso lospiritualismo – ma la sua bellezza, benchè ineffabilmente serena benchèfiorente di tutti i vezzi della gioventù e della salute era temperata da qualchecosa di gentile e di pensieroso che non hanno ordinariamente le bellezze diquesto genere. Nè io potrei dirne di più; ciascuno di noi porta in sè un idealediverso di bellezza, e quando si è detto d’una donna: è leggiadra, si è dettotutto ciò che si può dirne. Un pittore, uno scultore potrebbero darne nella loroarte un immagine meno incompleta, la letteratura non lo può – le altre artiparlano ai sensi, la letteratura alle idee. Ho veduto due incisioni di Jubert, dueangeli simboleggiati da due giovinette nude, paffute, rosate, per ciò che ècolorito e pienezza di forme, due vere popolane; eppure l’artista aveva saputodare a quei volti tanta spiritualità che incantavano e non si potevano guardaresenza restarne rapiti. Nelle madonne del Carraccio ho osservato lo stessocontrasto. La bellezza di Silvia era di questo genere, risolveva in certo modo lostesso problema – la spiritualità della materia.

Essa era una di quelle anime semplici, pie, modeste che non sanno aver maialcun rancore colla vita, ricche di quella cara fatuità che la natura hadispensato con tanta larghezza alla donna, felici nell’ordine e nella quiete che

Page 20: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

la loro semplicità medesima ha creato intorno ad esse, e che l’assenza delleloro passioni non può mai turbare.

Durante le mie prime visite, aveva conosciuto in quella famiglia un cuginodi Silvia, certo Davide, giovine maturo e positivo che era giunto da poco aMilano, e che era stato un tempo interessato negli affari commerciali di quellacasa. Pericoloso come tutti i cugini – non so se parimenti fortunato – nonm’era stato difficile accorgermi che egli amoreggiava la fanciulla. Come tuttigli altri uomini non era nè bello, nè brutto – la bellezza dell’uomo è una cifradi cui non si è ancora trovato il valore, anche per la maggior parte delle donnenon è che una cosa insignificante; noi cerchiamo nell’uomo un carattere, ledonne vi cercano semplicemente un uomo – sono esse che hanno creato quelnoto aforismo: un uomo è sempre bello.

Io confesserò che quella scoperta era stata uno dei motivi essenziali chem’avevano indotto a trascurare la conoscenza di quella famiglia. Io non avevaposto occhio nè sulla dote, nè sulla bellezza di Silvia, ma aveva compreso chel’amore di Davide che io credeva corrisposto mi poneva d’innanzi a lui in unacerta quale inferiorità di cui mi sentiva umiliato. In ogni uomo che avvicinauna donna si suppone il desiderio di corteggiarla; in due uomini chel’avvicinano a un tempo si suppone quasi il dovere di lottare per ottenerne lapreferenza. Almeno la società ed il cuore umano hanno ancora di talipregiudizii: abbiamo mutato vocaboli, ma non abbiamo mutato cose epassioni: presso ogni circolo di donne vi è ancora una piccola corte d’amoreintima dove si combatte ad armi cortesi per l’affetto di una dama preferita. Epoi io mi sono sempre sentito sì meschino dinnanzi ad un uomo positivo, chenon mi bastò mai l’animo di impegnarmi in una lotta qualunque con un nemicosiffatto. Che cosa è egli un dotto, un letterato, un sapiente al confronto di ciòche noi chiamiamo un uomo di mondo? È pur poca cosa l’ingegno! Come gliuomini ignoranti, col loro buon senso borghese, grossolano, triviale ciavanzano nella scienza e nella pratica delle cose! Noi non facciamo cheinciampare come fanciulli a tutti i più piccoli scogli della vita!

Questa coscienza della mia inferiorità aveva dunque reso meno frequenti lemie visite – io ho ora nella stessa città in cui abito conoscenza di famiglie chemi reco a visitare ogni tre o quattro anni, come tornassi da un viaggio dicirconvoluzione attorno al globo – e più tardi, morto il padre di Silvia, che eradelle persone della famiglia quella cui era più specialmente obbligato, neaveva preso pretesto per troncarle completamente.

Era trascorso così pressochè un anno allorchè, pochi giorni dopo quellasingolare comparsa del conte di Sagrezwitcth al caffè Martini, m’imbattei inDavide che non aveva più veduto da quel tempo e che mi parve molto mutato.

Egli mi strinse le mani e mi guardò con espressione triste e turbata –quell’espressione mista di ritegno e di confidenza che hanno coloro i qualivogliono farvi comprendere di avere un segreto doloroso, e di non volerveloconfidare.

– Non vi si è più veduto in casa di mia cugina, mi diss’egli, la vostraassenza improvvisa ha prodotto una sorpresa un poco penosa in quellafamiglia. Perchè voi sapete che mia zia aveva molta confidenza in voi, e poi...si era presa l’abitudine di vedervi. Se sapeste! sono avvenute nuove sciagure inquella casa; Silvia sta per morire....

– Per morire! – Sì, la poveretta è travagliata da una malattia di consunzione, una malattia

Page 21: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

misteriosa che i medici non sanno nè conoscere nè definire più esattamente,ma che hanno dichiarata inguaribile. Essa doveva prender marito....

– Voi forse? – Non io, diss’egli tristamente, un ricco forestiero a cui mi ha posposto, e

pel quale ha concepito una passione di cui non l’avrei mai creduta capace. Essadoveva sposarlo allorchè cadde malata, e queste nozze, ancorchè le si faccianoora come credo che abbiano risolto, non potranno aver più alcuna influenzasulla sua salute. Dubito che la felicità abbia potere di farla vivere piùlungamente, ma ad ogni modo sarà almeno felice per quei pochi istanti di vitache le rimangono. Sarà felice anche senza di me, aggiunse egli con amarezza.È facile avvedersi che ella deperisce ogni giorno, e che è impossibile arrestareil processo di questo deperimento così rapido e così misterioso.

– Come! io dissi, ella sposerà dunque quel giovane ancorchè tanto infermacome mi dite? Davide scosse la testa con aria di disapprovazione, e rispose:

– Che volete! Hanno deciso così, anzi è lei stessa che ha deciso. Del restola sua malattia non è una di quelle che costringono al letto, piuttosto una diquelle di cui diciamo: si muore in piedi. Ma perchè non venite a vederci? Soncerto che mia zia ne avrebbe gran piacere, e anche Silvia.

– Ci andate ora? – Ora.Mi accompagnai con esso. Potevano essere le dieci di sera quando

ponemmo piede in quella casa. La zia di Davide, una buona vecchia – lavecchiaia e l’infanzia si toccano, i vecchi sono sempre buoni come i fanciulli –mi accolse con gioia schietta e cordiale, ma temperata da un poco dirimprovero e di mestizia.

– Ci troverete molto mutati, mi diss’ella. Voi non venite più nella casa diun tempo... La povera Silvia.... – E s’interruppe un istante come persoffermarsi sul pensiero di quella sventura – ma passate in questa stanza, larivedrete voi stesso, ciò le farà piacere; e vi presenterò anche a mio genero.

Entrammo nella camera vicina.Silvia era seduta sopra una sedia a bracciuoli, una gran seggiola a rotelle,

tutta imbottita e tapezzata di velluto turchino; e presso a lei, sopra una seggiolapiù bassa il giovane sconosciuto che io aveva veduto al corso e al teatro. Egliaveva avvicinata la sua sedia a quella della fanciulla in modo da poter posare ilcapo sullo stesso bracciuolo su cui ella posava il braccio; e Silvia avevainclinata la sua testa su quella del giovane con atto di tenerezza commovente.

Dio! quanto mutata! Appena era possibile riconoscerla. Quella fanciulla cheio aveva veduto sì robusta, sì serena, sì vivace non era più che un’ombra delpassato, non aveva più che un riflesso pallido e incerto della sua bellezza di untempo. Non che la sua antica avvenenza fosse del tutto svanita, ma si eraalterata; era ora un’avvenenza diversa, era la bellezza di un fiore sbocciatoall’ombra, di un frutto maturato precocemente perchè roso dal tarlo. Il voltodel giovine era pallido, ma quello di Silvia era bianco, più bianco dell’abitolungo e vaporoso che avvolgeva la sua persona, se non che gli zigomi delleguancie un po’ asciutte erano leggermente rosati, ma senza sfumatura come sevi fossero state sovrapposte due foglie di rosa già scolorite. I suoi capelliavevano quel lucido morto che hanno ordinariamente i capelli degli infermi, ependevano, non sciolti ma scomposti, sulla testa del giovine che la stavaguardando con espressione di pietà inesprimibile.

Il pallore di lui, benchè estremo, non era di quel genere che danno le

Page 22: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

malattie, ma di quello che dà l’abitudine del pensiero e del dolore. Egli eraancora più bello di quanto mi fosse sembrato al teatro – e questa volta avevapotuto giudicarne davvicino – bello di una beltà più femminile che maschia,ma ad ogni modo assai bello. I suoi capelli biondi e quasi dorati facevano unostrano contrasto così confusi colle treccie nerissime della fanciulla. Io nonaveva veduto mai un gruppo così stupendo, un quadro d’amore più spirituale epiù puro.

I due amanti si riscossero allo stridere che fece l’uscio nell’aprirsi – essierano soli nella sala.

– Guarda, Silvia, disse dolcemente la vecchia tenendomi per mano, guardachi ci ha ricondotto tuo cugino.

E rivolgendosi allo sconosciuto ed a me, pronunciò prima il mio nome, poiquello del giovine che disse essere il barone di Saternez nativo di Pilsen inBoemia.

Ci inchinammo scambievolmente. Egli mi guardò con uno sguardo sì dolceche io gli porsi la mia mano quasi senza avvertirlo.

Scambiate alcune parole, la vecchia, forse per lasciar soli i due giovani, mitrasse presso di sè in un angolo opposto della stanza.

– Che ve ne pare di mio genero? mi chiese ella. E continuò senza aspettarela mia risposta: – un giovine a dovere, sapete, un giovine ricco come il mare;se vedeste i regali che ha fatto alla Silvia!... E poi, di che famiglia! Baroni, edei più illustri di Boemia. Egli ha dovuto emigrare per affari di politica, credoche volesse far annettere la Boemia al granducato di Sassonia, figuratevi!, Matanto era lo stesso, oramai egli non aveva più interesse a restare nel suo paese,giacchè era rimasto solo di tutta la sua famiglia. E guardate che bel giovine;non vi offendete – e mi guardò come per interrogarmi, io sorrisi – non vioffendete, ma non credo che ve ne sia al mondo un altro come quello. Epensare... La vecchia s’interruppe come colpita improvvisamente da un tristepensiero.

– Povera Silvia! riprese ella dopo qualche istante. Voi l’avete veduta primad’oggi, vi ricordate come era! E adesso! Guardatela. Non sono più di quattromesi che essa ha incominciato a deperire così; fu dal giorno in cui mio generoè entrato la prima volta nella nostra casa. Ora che avrebbe potuto essere cosìfelice; essa che lo ama tanto, che ne è tanto amata! Ditemi, vi pare che potràguarire?

– Non vi è pur luogo a dubitarne, io risposi tanto per riconfortarla. Silviaera vissuta finora sì ritirata; sì quieta, sì calma che questo disordine insolito ne’suoi affetti ha gettato un po’ di turbamento anche nella sua salute. Ma tuttosarà finito quando ogni cosa sarà rientrata in uno stato normale, quando essisaranno marito e moglie. A proposito, ho sentito da vostro nipote che ciò deveavvenire assai presto.

– Fra otto giorni, disse la vecchia, e spero che in quella circostanza saretedei nostri. Son essi che hanno voluto così, e i medici non l’hanno disapprovato.Silvia è ancora abbastanza forte per sopportare il moto della carrozza fino allaChiesa; d’altronde ne siamo a due passi. – Sarà una festa un po’ triste,aggiunse ella stringendomi la mano, ma voi non rifiuterete di prendervi parte.

La ringraziai, e l’assicurai che vi sarei venuto. Passai tutto il rimanente diquella sera agitato da pensieri strani e tumultuosi, diviso tra la simpatiairresistibile che mi inspirava il fidanzato di Silvia, e la ripugnanza che facevanascere in me l’idea di quella missione fatale che pareva esercitare. Giacchè

Page 23: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

non v’era più dubbio; quel giovine sì bello, sì dolce, sì attraente spargevad’intorno a sè la desolazione e la sventura, lasciava delle traccie spaventosesulla sua via. Tutti gli esseri che egli prediligeva soccombevano a questainfluenza; il fanciullo delle maschere, la signora del teatro, Silvia, quella stessaSilvia già così bella, così spensierita, così fiorente facevano fede di questo suopotere terribile. E ne fosse egli o no consapevole, questo potere non era menoreale e meno funesto; era dovere e pietà il prevenirne le vittime, il sottrarleall’influenza incomprensibile di quell’uomo.

Uscii da quella casa verso mezzanotte. Davide mi accompagnava. Il miocuore era pieno. Ci avviammo senza profferir parola verso i bastioni.

La notte era fredda ma asciutta; gli ippocastani colle loro corteccie nere, coiloro fusti alti e slanciati parevano spettri di alberi; il cielo, come avviene nellenotti serene d’inverno, scintillava di miriadi di stelle. Non tardai ad avvedermiche anche l’animo del mio compagno era profondamente turbato.

– Sediamoci, gli dissi accennandogli un sedile di pietra, devo rivelarvialcune cose che riguardano vostra cugina.

E gli narrai distesamente tuttociò che aveva osservato a proposito delbarone di Saternez, non gli nascosi i miei sospetti, gli parlai del conte diSagrezwitcth e dell’incontro che ne avevamo fatto al caffè Martini, e conchiusiconsigliandolo ad adoperarsi per scongiurare la sventura che minacciava quellacasa.

– Vi ringrazio, mi rispose egli dopo avermi ascoltato con molta attenzione;quelle nozze non si faranno, ve ne do la mia parola. Ho potuto esitare fin ora,ma adesso...

– E come intendete di opporvivi? – Non so, vedrete. E aggiunse con voce terribile: no, quelle nozze non si

faranno. Io, io stesso le renderò impossibili... perchè... esse non devono farsi.Perchè son io che dovea godere di quella felicità, perchè io lo detestoquell’uomo, perchè è lui che mi ha rapito l’amore di Silvia... perchè io l’odio!

***

Al domani mattina Davide venne per tempo a trovarmi in mia casa. Egli eracalmo, ma di quella calma fredda e convulsa che si distende come un velo sullefattezze quando la riflessione ha già concentrato tutta la lotta nel cuore. E delletempeste del cuore umano come di quelle dell’Oceano: le meno apparenti sonole più profonde.

– Vengo, egli mi disse, a chiedervi alcune notizie riguardo alle rivelazioniche mi avete fatto ier sera. Ci ho pensato tutta notte e non ho chiuso occhio;avrei d’uopo sapere ove abita il conte di Sagrezwitcth, e s’egli è tuttora aMilano. Voi forse potete dirmelo.

– Non lo so, io risposi meravigliato. Ma che! intendereste forse di andarlo avisitare? E a che scopo?

– Voi mi avete parlato, riprese egli, dell’influenza funesta che esercitanoquesti due uomini, egli ed il barone di Saternez, e del potere che hanno dicompiere il male per altre vie che non sia dato di farlo a noi, ne sieno essi o noconsapevoli. Il conte, mi avete detto possiederebbe in maggior grado questopotere. Ora qualunque sieno le cause di questa influenza, qualunque ne sia la

Page 24: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

natura, se essa esiste, se essa non è pari in ciascuno di loro, avete pensato alleconseguenze che risulterebbero dall’urto di queste due forze, dall’incontro diquesti due uomini fatali? Ponetemeli l’uno di fronte all’altro, e se l’esistenza diquesto potere è verace, l’uno dovrà distruggere l’altro, la disparità delle forzecagionerà lo squilibrio; la sconfitta del più debole è inevitabile.

– È un trovato abbastanza specioso, io dissi, voi avreste dunque pensato.... – Di fare in modo che il conte di Sagrezwitcth venga a trovarsi alla

presenza del mio rivale. – E avreste in animo di parlare a quel conte? – Solo che potessi rinvenirlo. Mi era recato perciò da voi, e sono afflitto

che non possiate darmi le indicazioni che mi abbisognano. – Ma lo troverò, lotroverò continuò egli con risolutezza. Non vi sono a Milano che pochi alberghieleganti, nei quali egli possa aver preso alloggio, li girerò tutti, domanderò dilui a tutte le porte, e se egli o qui ancora, o se è partito da poco, non dispero dimettermi sulle sue tracce.

Ciò detto Davide uscì con precipitazione dalla stanza, prima che la miamaraviglia e la mia titubanza tra lo incorraggiarlo o il distoglierlo da quelprogetto mi avessero permesso di articolar una parola.

Passai tutto quel giorno in un’inquietudine mortale.Alla notte, e ad ora assai tarda, ricevetti da Davide una lettera così

concepita:«Io parto in questo momento per Genova, d’onde raggiungerò la mia

famiglia in un piccolo villaggio del litorale. È da lungo tempo che meditavaquesto progetto senza mai sapermi risolvere. Gli avvenimenti già compiuti equelli che stanno per compiersi m’hanno fatto prendere finalmente questadecisione. Non ho voluto rimanere qui perchè nè la pietà mi distogliesse dallamia vendetta – se pure io ho il potere di arrestarla – nè la vista del suocompimento, qualunque ella sia per essere, mi opprimesse di rimorsi che nondebbo avere; sento il bisogno di dirvi tutto ciò che ho fatto per la salvezza diSilvia. In questo tentativo non vi era egoismo; il suo cuore non mi appartenevapiù, nè io voleva pretendervi ancora; io non voleva che la sua felicità. Ildisinteresse mio apparirà più sincero dalla rinuncia che farò alla mano di miacugina, anche allorquando il suo cuore sarà libero e la sua gioventù rifiorita.

Non posso dirvi di più. Ho trovato il conte di Sagrezwitcth e gli ho parlato.Quei due uomini si conoscono. Io non ho alcuna parte in ciò che sta persuccedere; ricordatelo bene. Io non poteva nè prevedere, nè arrestare gliavvenimenti che dovranno compiersi; è la mano della fatalità, che li avevapreparati. Io non ne sono stato che uno strumento: ho avvicinato due uominiche dovevano rimanere lontani, ecco tutta la mia responsabilità; ed è l’amoredi Silvia che mi ha indotto ad assumerne il peso. Che questa miagiustificazione non sfugga dalla vostra memoria! Mi è impossibile spiegarmimaggiormente. Distruggete subito questa lettera.»

Non mai nella mia vita mi era trovato avvolto in una trama più triste e piùcomplicata. Quali erano i bisogni di Davide? che cosa gli aveva detto il contedi Sagrezwitcth? come poteva egli parlarmi con tanta sicurezza di una vendettache doveva compiersi senza di lui? e perchè era egli partito? Anche la salvezzadi Silvia, se tal cosa era ancora possibile, non mi confortava della miadispiacenza di aver confidato a Davide il segreto del barone di Saternez, e diaverlo messo nella possibilità di vendicarsene. Io era in dovere di rimediare, selo poteva, al male che aveva fatto. Non mancavano più che sette giorni

Page 25: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

all’epoca fissata per le nozze, e questa vendetta, il cui scopo era d’impedirle,avrebbe dovuto compiersi in quell’intervallo di tempo.

Risolsi di recarmi a visitare il giovane barone, e secondo ciò che egliavrebbe risposto alle mie insinuazioni, confidargli interamente, o lasciarglisospettare il pericolo che lo minacciava. Distrussi la lettera di Davide: evalendomi dell’indirizzo che egli mi aveva dato del suo rivale, mi recai tostoalla sua casa.

Il barone di Saternez non si mostrò punto meravigliato di vedermi; mi porsela mano con atto di affetto più che di semplice cortesia, e disse: vi aspettava.

– Come! esclamai io sorpreso, voi conoscete dunque lo scopo della miavisita?

– Sì, diss’egli. E dopo un istante di silenzio rispose sorridendo d’un sorrisoviolento: – io non sono soltanto un uomo pericoloso, sono anche un abilefisionomista. Quando vi ho veduto ieri l’altro per la prima volta, ho indovinatoche il vostro cuore era buono, e che se aveste potuto fallire per debolezza o perfine di bene, non avreste indugiato a dolervi delle conseguenze dei vostrierrori, e a tentare di ripararvi. In seguito alla visita del vostro amico, il conte diSagrezwitcth è stato qui due ore or sono. Era dunque naturale che io viaspettassi.

Io chinai il capo e tacqui:Egli riprese dopo un nuovo istante di silenzio: – Non vi affliggete di ciò che avete fatto, non rimproverate a Davide i mali

che ha preparato. Ciò che avverrà doveva avvenire. Voi non siete stati che unmezzo nelle mani della fatalità. I sentimenti che vi hanno mossi a prevenire lemie opere sono lodevoli, benchè forse infruttuosi: non ho l’ingiustizia didisconoscerlo. Quell’uomo ed io ci conoscevamo da tempo, fors’anche cicercavamo. – Egli pronunciò in modo più inarcato queste parole – Tra me e luicorrono dei rapporti che la natura od il caso hanno posto quasi per dileggio, deirapporti terribili che un segreto mi vieta di rivelarvi. Il nostro incontro erainevitabile perchè era predestinato. Era necessario che uno di noi due dovessesparire, perchè due elementi contrarii non possono incontrarsi senza lottare;non possono percorrere la stessa via, camminare l’uno a fianco dell’altro, comenon avessero che una virtù comune ad esercitare, una missione comune acompiere. Che cosa avreste potuto voi soli sulla mia vita? Voi avete avutoragione di fare ciò che avete fatto. È la fortuna che vi ha diretti. Era tempo!

S’interruppe, e riprese dopo un altro momento di silenzio in cui io nonaveva osato parlare:

– Guardatemi! voi vedete in me un uomo come tutti gli altri, forseapparentemente migliore degli altri; la mia persona non inspira alcunaripugnanza, il mio viso, i miei modi quella parte dell’anima che la natura haposto sulle nostre fattezze come per rivelarne le virtù celate nel cuore, nonhanno nulla di odioso, nulla che non sia umano, che non sia dolce, che non siaforse anche attraente. Ebbene, questo giovine che avreste giudicato innocuo, dicui avreste forse ambita l’amicizia non conoscendolo, ha sparso la rovina e ladesolazione d’intorno a sè, ha ucciso le persone che lo amavano, haattraversato la vita e la felicità di tutti coloro che lo conobbero e che lo ebberocaro. Perchè.... sì, voi avete indovinato, voi avete afferrato il suo segreto.Costui, questo miserabile, proseguì egli con crescente esaltazione, non haavuto finora la virtù di rinunciare ad una esistenza che ne aveva già reso tanteinfelici; ed ecco la sua colpa. Egli era nato per il bene. La natura gliene aveva

Page 26: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

posta l’immagine d’innanzi agli occhi come un’ideale brillante, come una metasoave e luminosa. Egli avrebbe voluto amare, beneficare, gioire della felicitàche avrebbe sparso d’intorno a sè, gettare delle corone sulle teste di tutti gliuomini.... e un destino crudele, tremendo, ineluttabile lo condannava acompiere il male, a schiacciare sotto il peso della sua fatalità tutti quegli esseribuoni ed affettuosi che lo circondavano.

Tacque, e si coperse il volto colle mani. – Calmatevi, io dissi, se voi avete questo potere, ne esagerate per certo il

valore.Egli sorrise come per mostrare di compatire al mio dubbio, e riprese: – No, non ho esagerato. Converrebbe che voi poteste risalire alle sorgenti

della mia vita per rinvenire le traccie che essa ha lasciato dietro di sè, egiudicare della loro profondità e della loro estensione. La mia stessafanciullezza – l’età in cui tutti sono felici – non fu per me che un periodo ditristezza e di dolore. Gli esseri che più mi amavano avevano incominciato asoccombere; i miei fratelli, le mie sorelle, mia madre erano morti; io avevaincominciato ad avvedermi del vuoto che si faceva intorno a me, e acomprendere che vi era qualche cosa di fatale nel mio destino. Rimasi solo almondo assai presto. Quanto più vedeva dilatarsi il cerchio delle mie relazioni,dei miei affetti, delle mie simpatie, altrettanto vedeva dilatarsi quel vuoto;quanto più entrava nella vita, tanto più entrava nell’isolamento. Ho provato ilbisogno dell’amicizia, ho provato la febbre dell’amore.... amici ed amantisparivano nell’abisso che io scavava loro ai miei piedi. Incominciai ad essereassalito da un dubbio spaventoso: era io fatale a tutto ciò che io amava, a tuttociò che mi amava? Ritornai sul mio passato, rifeci orma per orma il camminodella mia esistenza, interrogai tutte le rovine che aveva lasciato dietro di me....Era vero – bisognava crederlo – era terribilmente vero! Allora mi allontanaidalla mia patria, errai pel mondo fuggendo e fuggendomi. La sventura cheaveva colpito i miei più cari mi aveva colmato di ricchezze a prezzo della lorovita; benchè di tali ricchezze io non abbia potuto giovarmi che per me solo,benchè nessuno abbia mai potuto essere beneficato da me impunemente. Fucosì che vagando di paese in paese io venni a Milano, che fuggendo la folla ela società per rendermi meno fatale, frequentando i quartieri più modesti e piùremoti, conobbi Silvia, e ne fui preso irresistibilmente, prima che la coscienzadel male che le avrei cagionato, avesse avuto il potere di distogliermi daquell’affetto. Essa mi corrispose. Io era giovine, io era sventurato, io aveva ildiritto di dare dell’amore e di chiederne; io che non aveva provato mai lafelicità, che non aveva fatto che toglierla altrui senza poterla dare a me stesso,che aveva dovuto sempre gettarla lontano da me come un frutto amaro evietato. Voi sapete il resto. Voi sapete che sono ora minacciato da un pericolo,e venite per avvertirmene. Ebbene, è troppo tardi – lo scopo della mia vita èraggiunto. La morte – se essa deve colpirmi non ha per me più nulla di amaro edi increscevole: io ho realizzata l’estrema delle mie aspirazioni, e sorridodell’impotenza di coloro che avrebbero voluto impedirlo.

Egli pronunciò queste parole con una specie di alterezza che diede alla suafisionomia già tanto soave un’espressione singolarmente severa.

– Sì, è troppo tardi, continuò egli con entusiasmo; voi avete volutoimpedire le mie nozze; ebbene, sappiatelo, queste nozze non sono più che unpretesto dinnanzi alla società, che una giustificazione di ciò che l’amore ha giàdato spontaneamente. Silvia fu mia! Che monta che essa abbia a morire? E che

Page 27: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

cosa è egli il morire? Ebbe mai l’amore altra aspirazione? Ebbe egli mai altraricompensa che questa? O preceduto, o seguito, io invoco ora questa morte chevoi avete voluto prepararmi.

– Oh, non io! esclamai, il cielo mi è testimonio se io ho desiderato epreparato la vostra morte. Voi dimenticate che io sono qui in questo momentoper avvertirvi di un pericolo, non certo per minacciarvene.

– È vero, rispose egli con dolcezza, perdonate. E mi porse la mano cheritrasse subito, come avesse temuta di offendermi o di nuocermi con quelcontatto.

Io lo guardai in volto come per interrogarlo. Egli era sì bello, sì sereno, eratornato sì nobilmente calmo; e v’era qualche cosa di così virile su quel suoviso di fanciulla, e v’era tanta forza in quella sua stessa debolezza, che iocompresi come una donna avesse potuto accettare il suo amore anche a prezzodella vita. Ignorava se Silvia avesse conosciuto il segreto di quel giovine, masentiva come anche conoscendolo, il sacrificio della sua esistenza avessedovuto apparirle assai misera cosa in confronto della dolcezza di quell’amore.

Egli conosceva forse il potere della sua bellezza, o mi lesse nell’animo,poichè fece atto di offrirmi una seconda volta la mano, e mi disse:

– Andate, andate, ve ne scongiuro. Voi siete buono, voi potreste sentireforse un poco di simpatia per me, e io potrei pagare d’ingratitudine il servigioche avete voluto rendermi colla vostra visita. È il mio destino!...

– E sia pur tale, interruppi, io non lo temo. – E afferrai la sua mano che mistrinsi al cuore. – Io vi aveva giudicato diverso, io aveva voluto impedire unasventura; fu tutta mia la colpa.

– Non vi torturate con questo pensiero, disse egli. Non sono io colui chepotrà credere alla libertà delle azioni umane – l’arbitrio è una menzogna – lavolontà non è che la prescienza di un atto già preordinato; essa non ha alcunpeso sulla bilancia su cui si librano tutte le cose della vita – sulla bilancia deldestino.

Io crollai il capo con espressione di dubbio. Egli osservò quell’atto eriprese:

– No, io non tenterò alcuna via per allontanare da me quel pericolo;sarebbe inutile. Ad ogni modo vi ringrazio.

– Vi rivedrò ancora? io chiesi, quasi dubitoso di lasciarlo così fermo in quelproposito.

Egli sorrise con espressione di gratitudine, e disse: – quando vorrete, adomani?

– A domani.Ometto il racconto delle mie relazioni col barone di Saternez durante quei

sette giorni che precedettero le sue nozze. Fu per esse che io potei formarmiun’idea meno inesatta del suo carattere, quantunque non mi fosse mai dato dipenetrare nel segreto della sua vita, più di quanto non mi fosse stato possibilenel nostro primo incontro. Aveva nondimeno conosciuto tanto di lui da potermiformare una convinzione a suo riguardo. Egli era indubbiamente onesto,indubbiamente buono. Ho conosciuto pochi uomini che presentassero nellaloro indole una mistura di debolezza e di forza più singolare – intendo quelladebolezza che sta nella sensibilità, nell’attitudine a ricevere potentemente leimpressioni, non nella fiacchezza del carattere. Era scettico di mente e credentedi cuore: la sventura non lo aveva prostrato, ma lo aveva reso vecchio anzitempo, per modo che compariva giovine o vecchio a intervalli, secondo

Page 28: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

l’impulso interno che riceveva dalle sue passioni. E benchè sembrassenaturalmente espansivo, come tutti i buoni, non lo era; che forse quel tristopotere di cui si credeva dotato l’aveva ammaestrato a nascondere e adissimulare; nè mai da quei giorno, per quanto mostrasse di avermi caro, rialzòquel velo che si distendeva sul suo passato, e di cui mi aveva sollevato unlembo in quel primo momento di espansione.

Mi era sembrato in quei giorni che la sua indole non fosse così malinconica,come lo aveva giudicato dapprincipio, ma mi era poi avveduto facilmente chevi era qualche cosa di violento, di forzato, di convulso nella sua gioia, e cheegli viveva sotto l’apprensione di un pensiero che lo riempiva di terrore.Passava dagli eccessi dell’ilarità, agli eccessi della tristezza; spesso parevacalmo, e affettava una serenità d’animo che non sentiva. Ma ciò era per Silvia.Essa lo amava con quella specie di cecità che non vede nulla.

Aveva fatto in quei giorni con me lunghe passeggiate, e mi aveva fattoosservare nella campagna alcune prospettive e alcuni effetti di luce e di neveche sarebbero sfuggiti ad una mente nè poetica, nè osservatrice. Non mostravadi temere il pericolo di cui gli aveva parlato, e non ne fece meco alcun cenno,ma impallidiva visibilmente nel sentir pronunciare il nome del conte. Unanotte – mancavano due soli giorni agli sponsali – fui sorpreso nell’incontrarloin compagnia del conte di Sagrezwitcth lungo un viottolo oscuro e remoto.Tenni lor dietro, ma non giunsi a comprendere una sola parola del loro dialogovivace ed animato. Essi parlavano una lingua che io non conosceva; e mi parvedal gesto e dall’imperiosità della voce del conte, che questi insistesse in unadomanda, cui l’altro si ostinava a rifiutarsi di accondiscendere.

Da quella notte apparve evidente che egli tentava stordirsi, con ogni mezzopossibile, da qualche grande affanno. Egli aveva incominciato a chiedere alvino la dimenticanza di questo dolore segreto, e nel giorno seguente lo avevaricondotto a casa io stesso in uno stato di ebbrezza assai grave.

Ma abbrevierò la mia narrazione.Il giorno delle nozze era giunto, e le nozze stesse si erano compiute senza

che fosse sorto alcun ostacolo ad impedirle. Una festicciuola di famiglia avevaluogo in quella sera; i congiunti e le amiche della sposa erano intervenuti ingran numero.

Silvia era raggiante; il barone di Saternez era così giovanilmente felice, cheio mi rallegrava con me stesso della vanità delle minaccie di Davide, efors’anche di quella della pretesa influenza del giovine, a cui era tentato dicessare di credere. Parevami che la prospettiva d’una felicità così grandeavrebbe dovuto restituire la salute alla fanciulla, e distruggere in lui quel potereterribile e misterioso di cui si credeva dotato.

Era trascorsa già la mezzanotte, e io pensava, seduto in un angolo della sala,alla possibilità di questo avvenire dei due giovani, allorchè sentii pronunciarepresso di me il nome del duca di Nevers; e mi ricordai tosto essere questo ilnome che il conte di Sagrezwitcth aveva portato spesso in America. Trasalii emi rivolsi. Un servo era entrato nella stanza, e aveva presentato allo sposo unbiglietto di visita su cui era impresso quel nome sormontato da una corona diduca. Quello strano visitatore doveva parlar subito al barone di Saternez, e loattendeva sotto l’atrio della casa.

– È cosa d’un istante, disse il giovine senza manifestare la benchè menomaemozione. Infatti.... io aveva bisogno di parlare a quell’uomo. Sarò di ritornotra pochi minuti.

Page 29: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Strinse la mano a Silvia, e discese. Nell’aprirsi dell’uscio mi parved’intravvedere nel fondo dell’atrio il conte di Sagrezwitcth, ma non potreiasserirlo. La persona che si era fatta annunciare col nome di duca di Neversportava però, come disse in seguito il servo che lo vide, un berretto di peloassai grande, e guanti di capretto d’una bianchezza irreprensibile.

Lo si attese tutta la notte – una notte fredda e piovviginosa di marzo – maindarno. Io rinuncio a descrivere la desolazione di quella famiglia; sarebbecompito superiore alla parola. Al domani si leggeva nelle cronache deigiornali: «Un giovine straniero domiciliato da qualche tempo nella nostra città,ove era giunto con passaporto falso sotto il nome di barone Saternez, boemo;ma il cui vero nome è Gustavo dei conti di Sagrezwitcth, polacco, fu trovatostamane morto dietro i bastioni di Porta Tanaglia, con un coltello immerso nelcuore. Non si conoscono finora nè le circostanze, nè gli autori di questoassassinio.»

Ora quali erano i legami che congiungevano quelle due persone e quei duenomi? Quale era il vero nome di ciascuno di quei due uomini? Lo aveva uno diessi usurpato all’altro, o lo portavano entrambi? E il duca di Nevers! Eraquesto veramente il casato di Sagrezwitcth che aveva asserito di conoscere ilgiovine, e col quale costui aveva detto di avere alcuni rapporti che non potevarivelare? È un’enimma che nè io, nè alcuno di coloro a cui ho raccontatoquesta storia ha potuto mai decifrare.

Del resto Silvia guarì – fosse caso, fosse natura del male, guarì; benchè lepiaghe del suo cuore non si sieno mai rimarginate. La sua famiglia ha vendutoquella casa grigia e ammuffita che abitava qui, e si è domiciliata in un piccolovillaggio della Brianza. L’uomo conosciuto sotto il nome di conte diSagrezwitcth non fu mai più visto a Milano. Di Davide non seppi più nulla.

Sono scorsi due anni dalla data di questo avvenimento, e nessuna luce fufatta su questo delitto.

Page 30: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Iginio Ugo Tarchetti

LA LETTERA U(Manoscritto d’un pazzo)

(da: Racconti fantastici, Milano, Treves, 1869)

U! U!Ho io scritto questa lettera terribile, questa vocale spaventosa? L’ho io

delineata esattamente? L’ho io tracciata in tutta la sua esattezza tremenda, co’suoi profili fatali, colle sue due punte detestate, colla sua curva abborrita? Hoio ben vergata questa lettera, il cui suono mi fa rabbrividire, la cui vista miriempie di terrore?

Sì, io l’ho scritta.Ed eccovela ancora:

U

Eccola un’altra volta

U

Guardatela, affissatela bene – non tremate, non impallidite – abbiate ilcoraggio di sostenerne la vista, di osservarne tutte le parti, di esaminarne tutti idettagli, di vincere tutto l’orrore che v’ispira.... Questo U!... questo segnofatale, questa lettera abborrita, questa vocale tremenda!

E l’avete ora veduta?... Ma che dico?... Chi di voi non l’ha veduta, non l’hascritta, non l’ha pronunciata le mille volte? – Lo so; ma io vi domanderò bensì:chi di voi l’ha esaminata? chi l’ha analizzata, chi ne ha studiato la forma,l’espressione, l’influenza? Chi ne ha fatto l’oggetto delle sue indagini, dellesue occupazioni, delle sue veglie? Chi vi ha posato sopra il suo pensiero pertutti gli anni della sua vita?

Perché.... voi non vedete in questo segno che una lettera mite, innocua comele altre; perchè l’abitudine vi ci ha resi indifferenti; perchè la vostra apatia viha distolto dallo studiarne più accuratamente i caratteri.... ma io.... Se voisapeste ciò che io ho veduto!… se voi sapeste ciò che io vedo in questa vocale!

U

E consideratela ora meco.Guardatela bene, guardatela attentamente, spassionatamente, fissi!E così, che ne dite?Quella linea che si curva e s’inforca – quelle delle due punte che vi

Page 31: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

guardano immobili, che si guardano immobili – quelle delle due lineette che netroncano inesorabilmente, terribilmente le cime – quell’arco inferiore, sulquale la lettera oscilla e si dondola sogghignando – e nell’interno quel nero,quel vuoto, quell’orribile vuoto che si affaccia dall’apertura delle due aste, e siricongiunge e si perde nell’infinità dello spazio....

Ma ciò è ancor nulla, Coraggio!Raddoppiate la vostra potenza d’intuizione; gettatevi uno sguardo più

indagatore.Partite da una delle due punte, seguite la curva esterna, discendete,

avvicinatevi all’arco, passatevi sotto, risalite, raggiungete la punta opposta....Che cosa avete veduto?Attendete!Compite adesso un viaggio a rovescio. Discendete lungo le linea interna –

discendetevi con coraggio, con energia – raggiungete il fondo, arrestatevi,fermatevi un istante, esaminatelo attentamente; poi risalite fino alla puntad’onde eravate partito dapprima...

Tremate? Impallidite?Non basta ancora!Posatevi un istante sulle due linee che ne tagliano le punte; andate dall’una

all’altra; poi guardate l’assieme della lettera, guardatela d’un sol colpod’occhio, esaminatene tutti i profili, afferratene tutta l’espressione.... e ditemise non siete paralizzati, se non siete vinti, se non siete annichiliti da quellavista?!?!

Ecco.Io vi scrivo qui tutte le vocali:

a e i o u

Le vedete? Sono queste?

a e i o uEbbene?!Ma non basta il vederle.Sentiamone ora il suono.A. – L’espressione della sincerità, della schiettezza, d’una sorpresa lieve ma

dolce.E – La gentilezza, la tenerezza espressa tutta in un suono.I – Che gioia! Che gioia viva e profonda!O – Che sorpresa! che meraviglia! ma che sorpresa grata! Che schiettezza

rozza, ma maschia in quella lettera!Sentite ora l’U. Pronunciatelo. Traetelo fuori dai precordii più profondi, ma

pronunciatelo bene: U! uh!! uhh!!! uhhh!!!!Non rabbrividite? non tremate a questo suono? Non vi sentite il ruggito

della fiera, il lamento che emette il dolore, tutte le voci della natura soffrente eagitata? Non comprendete che vi è qualche cosa d’infernale, di profondo, ditenebroso in quel suono?

Dio! che lettera terribile! che vocale spaventosa!!

Vi voglio raccontare la mia vita.Voglio che sappiate in che modo questa lettera mi ha trascinato ad una

colpa, e ad una pena ignominiosa e immeritata.

Page 32: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Io nacqui predestinato. Una terribile condanna pesava sopra di me fino dalprimo giorno della mia esistenza: il mio nome conteneva un U. Da ciò tutte lesventure della mia vita.

A sette anni fui avviato alle scuole.Un istinto, di cui ignorava ancora le cause, mi impediva di apprendere

quella lettera, di scriverla: ogni volta che mi si facevano leggere le vocali miarrestava, mio malgrado, d’innanzi all’U; mi veniva meno la voce, un panicoindescrivibile s’impossessava di me – io non poteva pronunciare quella vocale!

Scriverla? era peggio! La mia mano sicura nel vergare le altre, diventavaconvulsa e tremante allorchè mi accingeva a scrivere questa. Ora le aste eranotroppo convergenti, ora troppo divergenti; ora formavano un V diritto, ora un Vcapovolto; non poteva tracciare in nessun modo la curva, e spesso non riuscivache a formare una linea serpeggiante e confusa.

Il maestro mi dava del quadrello sulle dita – io m’inacerbiva e piangeva.Aveva dodici anni, allorchè un giorno vidi scritto sulla lavagna un U

colossale, così:U

Io stava seduto di fronte alla lavagna. Quella vocale era lì, e parevaguardarmi, pareva affissarmi e sfidarmi. Non so qual coraggio mi nascesseimprovvisamente nel cuore: certo il tempo della rivelazione era giunto! Quellalettera ed io eravamo nemici; accettai la sfida, mi posi il capo tra le mani eincominciai a guardarla.... Passai alcune ore in quella contemplazione. Fuallora che io compresi tutto, che io vidi tutto ciò che vi ho ora detto, o tentatoalmeno di dirvi, giacchè il dirvelo esattamente è impossibile. Io indovinai leragioni della mia ripugnanza, del mio odio; e progettai una guerra mortale aquella lettera.

Incominciai col togliere quanti libri poteva a’ miei compagni, e cancellarvitutti gli U che mi venivano sott’occhio. Non era che il principio della miavendetta. Fui cacciato dalle scuole.

Vi ritornai tuttavia più tardi. Il mio maestro si chiamava Aurelio Tubuni.Tre U!! Io lo abborriva per questo, Un giorno scrissi sulla lavagna: Morte

all’U! Egli attribuì a sè medesimo quella minaccia. Fui ricacciato.Ottenni ancora di tornarvi una terza volta. Presentai allora, come lavoro di

esame, un progetto relativo all’abolizione di questa vocale, alla sua espulsionedalle lettere dell’alfabeto.

Non fui compreso. Fui tacciato di follia. I miei compagni, conosciuta così lamia avversione a quella vocale, incominciarono contro di me una guerraterribile. Io vedeva, io trovava degli U da tutte le parti: essi ne scrivevanodappertutto: sui miei libri, sulle pareti, sui banchi, sulla lavagna – i mieiquaderni, le mie carte ne erano ripieni; nè io poteva difendermi da questapersecuzione sanguinosa ed atroce.

Un giorno trovai nella mia saccoccia una cartolina, su cui ne era scritta unalunga fila in questo modo infernale, così:

U U U U U U U U

Divenni furente! La vista di tutti quegli U disposti in questa guisa, collocaticon questa gradazione tremenda, mi trasse di senno. Sentii salirmi il sanguealle tempia, sconvolgersi la mia ragione.... Corsi alla scuola; ed afferrato alla

Page 33: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

gola uno de’ miei compagni, l’avrei per fermo soffocato, se non mi fosse statotolto di mano.

Era la prima colpa a cui mi trascinava quella vocale!Mi fu impedito di continuare i miei studii.Allora incominciai a vivere da solo, a pensare, a meditare, ad operare da

solo. Entrai in una nuova sfera di osservazioni, in una sfera più elevata, piùattiva: studiai i rapporti che legavano ai destini dell’umanità questa letterafatale; ne trovai tutte le fila, ne scopersi tutte le cause, ne indovinai tutte leleggi; e scrissi ed elaborai, in cinque lunghi anni di fatica, un lavorovoluminoso, nel quale mi proponeva di dimostrare come tutte le umanecalamità non procedessero da altre cause che dall’esistenza dell’U, e dall’usoche ne facciamo nella scritturazione e nel linguaggio; e come fosse possibile ilsopprimerlo, e rimediare, e prevenire i mali che ci minaccia.

Lo credereste? non trovai mezzo di dare alla luce la mia opera. La societàricusava da me quel rimedio che solo potava ancora guarirla.

A venti anni mi accesi d’amore per una fanciulla, e ne fui riamato. Essa eradivinamente buona, divinamente bella: ci amammo al solo vederci; e quandopotei parlarle, le chiesi:

– Come vi chiamate? – Ulrica! – Ulrica! U. Un U! Era una cosa orribile. Come sottomettermi alla violenza

atroce, continua di quella vocale? Il mio amore era tutto per me, manondimeno trovai la forza di rinunziarvi. Abbandonai Ulrica.

Tentai di guarirmi con un altro affetto. Diedi il mio cuore ad un altrafanciulla. Lo credereste? Seppi più tardi che si chiamava Giulia. Mi divisianche da quella.

Ebbi un terzo amore. L’esperienza mi aveva reso cauto: m’informai del suonome prima di darle il mio cuore.

Si chiamava Annetta. Finalmente! Apparecchiammo per le nozze, tutto eracombinato, stabilito, allorchè, nell’esaminare il suo certificato di nascita,scopersi con orrore che il suo nome di Annetta, non era che un vezzeggiativo,un abbreviativo di Susanna, Susannetta, e oltre ciò – inorridite! aveva cinquealtri nomi di battesimo: Postumia, Uria, Umberta, Giuditta e Lucia.

Immaginate se io mi sentissi rabbrividire nel leggere quei nomi! – laceraisull’istante il contratto nuziale, rinfacciai a quel mostro di perfidia il suotradimento feroce, e mi allontanai per sempre da quella casa. Il cielo mi avevaancora salvato.

Ma ohimè! io non poteva più amare, la mia affettività era esaurita, prostratada tanti esperimenti terribili. Il caso mi condusse ad Ulrica; le memorie delmio primo amore si ridestarono, la mia passione si raccese più viva.... Vollirinunciare ancora al suo affetto, alla felicità che mi riprometteva da questoaffetto.... ma non ne ebbi la forza – ci sposammo.

Da quell’istante incominciò la mia lotta.Io non poteva tollerare che essa portasse un U nel suo nome, non poteva

chiamarla con quella parola. Mia moglie!... la mia compagna, la donna amatada me.... portare un U nel suo nome!... Essa che aveva già fatto un acquistocosì tremendo nel mio, perchè io pure ne aveva uno nel mio casato!

Era impossibile!Un giorno le dissi: – Mia buona amica, vedi quanto quest’U è terribile! rinunciavi, abbrevia o

Page 34: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

muta il tuo nome!... te ne scongiuro!Essa non rispose, e sorrise.Un’altra volta le dissi: – Ulrica, il tuo nome mi è insopportabile.... esso mi fa male.... esso mi

uccide! Rinunciavi.Mia moglie sorrideva ancora, l’ingrata! sorrideva!,..Una notte mi sentii invaso da non so qual furore: aveva avuto un sogno

affannoso.... Un U gigantesco postosi sul mio petto mi abbracciava colle sueaste immense, flessuose.... mi stringeva.... mi opprimeva, mi opprimeva.... Iobalzai furioso dal letto: afferrai la grossa canna di giunco, corsi da un notajo, egli dissi:

– Venite, venite meco sull’istante a redigere un atto formale di rinuncia....Quel miserabile si opponeva. Lo trascinai meco, lo trascinai al letto di mia

moglie.Essa dormiva; io la svegliai aspramente e le dissi: – Ulrica, rinuncia al tuo nome, all’U detestabile del tuo nome!Mia moglie mi guardava fissamente, e taceva. – Rinuncia, io le replicai con voce terribile, rinuncia a quell’U... rinuncia al

tuo nome abborrito!!....Essa mi guardava ancora, e taceva!Il suo silenzio, il suo rifiuto mi trassero di senno: mi avventai sopra di lei, e

la percossi col mio bastone.Fui arrestato, e chiamato a render conto di questa violenza.I giudici assolvendomi, mi condannarono ad una pena più atroce, alla

detenzione in questo Ospizio di pazzi.Io pazzo! Sciagurati! Pazzo! perchè ho scoperto il segreto dei loro destini!

dell’avversità dei loro destini! perchè ho tentato di migliorarli?.... Ingrati!Sì, io sento che questa ingratitudine mi ucciderà: lasciato qui solo, inerme!

faccia a faccia col mio nemico, con questo U detestato che io vedo ogni ora,ogni istante, nel sonno, nella veglia, in tutti gli oggetti che mi circondano,sento che dovrò finalmente soccombere.

Sia.Non temo la morte: l’affretto come il termine unico de’ miei mali.Sarei stato felice se avessi potuto beneficare l’umanità persuadendola a

sopprimere quella vocale; se essa non avesse esistito mai, o se io non ne avessiconosciuto i misteri.

Era stabilito altrimenti! Forse la mia sventura sarà un utile ammaestramentoagli uomini; forse il mio esempio li spronerà ad imitarmi....

Che io lo speri!Che la mia morte preceda di pochi giorni l’epoca della loro grande

emancipazione, dell’emancipazione dall’U, dell’emancipazione da questaterribile vocale!!!

***

L’infelice che vergò queste linee, morì nel manicomio di Milano l’11settembre 1865.

Page 35: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

B O U V A R D

A m ... w ith a ll d e fo rm ity ’e d u ll, dead ly D iaco n rag in g w e ig h t upcm m e, lik e a

[m o u n ta in ,I n fe e lin g , on m y h e a r t as on m y

[sh o u ld e rsA h a te fu l a n d u n s lg h tly m o le -h ill to T h e e y e s of h a p p ie r m e n ...

B y r o n , The Deformed Transformed.

Bouvard ! Chi era Bouvard?Forse taluno de’ miei lettori tenterà ancora, non in­

darno, di far rivivere nel suo cuore le memorie vaghe e lontane che vanno annesse a quel nome; forse ricor­derà tuttavia ima storia misteriosa che ha per lungo tratto agitato le giovani fantasie di quei tempi, e rice­vuto da tutte le anime sensibili un omaggio di pietà e di afietto.

Io stesso mi arrovello di richiamarmi alla mente le circostanze di questo racconto pietoso, come le memorie lontane dell’infanzia, come le visioni fantastiche di un sogno -— bello e fuggevole ,com’esso, severo e malin­conico come tutto ciò che ha creato il sentimento e l ’amore.

Yi furono alcune vite che la natura aveva destinate alla pubblicità, alcune intelligenze che il cielo voleva collocate nella luce per dirigervi le masse come ad un faro luminoso, e tuttavia quelle vite si spensero igno­rate nel mistero, quelle intelligenze si consumarono sde­gnose nelle tenebre. — Esistono due forze nella natura? — la forza positiva che crea e predestina, e la forza negativa che reagisce e distrugge? Domandatelo all’uo­mo, domandatelo al segreto della sua vita intima, do­mandatelo al genio sventurato !

Bouvard fu un genio sventurato. Il suo nome tra­montò cosi rapido come l’astro precoce della sera; la sua vita fu il passaggio di una meteora abbagliante che

630 Igino Ugo Tarchetti

Iginio Ugo TarchettiBOUVARD(da: Amori nell'arte: racconti musicali, Milano, Treves, 1869)

Page 36: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

si spegne a metà della sua curva, e s’invola .̂gli occhi meravigliati che la mirarono.

Io non tesserò qui un racconto immaginato: scriverò la storia di un uomo che ha sofferto, la storia di una vita la cui azione si concentrò tutta nel dolore, la cui catastrofe ha colmato di orrore e di pietà tutti gli animi generosi che la conobbero. —“Scrivo per me stesso, scrivo per dare alle memorie della mia gioventù la du­rata della mia esistenza, per riserbarmi negli anni del­l’aridità il conforto ineffabile delle lagrime.

Chi non ha visitato il paese della Savoia, il suo suolo a sbalzi, le sue valli ripiene di nebbie e le sue monta­gne di pini e di granito, non conosce quel punto della terra dove la natura ha riposto il segreto della sua ma­linconia. Sulle montagne di Crest-Voland gli uccelli hanno una voce più dolce, il rigogolo canta nelle siepi con delle note tristissime, e v i ha in tutto il territorio del Ciablese ima specie di reattino i1), il cui grido appena sensibile si assomiglia al lamento di un moribondo. Lungo i ciglioni delle montagne, le rive tappezzate di viole bianche che la superstizione ha collocato tra i fiori di cimitero, spiccano, come nastri candidi ondeg­gianti, su quel verde cupo delle eriche, ove delle folate di farfalle grigie aleggiano intorno a quei cespugli a migliaia.

Bouvard nacque in quel luogo, nacque in una ca­panna: suo padre suonava la gironda e faceva bal­lare una marmotta nera della valle di Champagneux. — Fu un triste acquisto quello che la famiglia di Bou­vard aveya fatto colla nascita di questo fanciullo: in fattoVegliJera rachitico e infermiccio; la deformità lo ave­va segHSto colle sue tracce ributtanti, e non gli aveva la­sciato nulla di regolare, nulla di attraente nel viso, nulla di vago nell’occhio e nella voce: parea che la natura lo avesse per metà ripudiato non consentendogli che la pura fruizione della vita?

A sette anni, Bouvard cominciò ad avvedersi della de-

0) Scricciolo.

Tutte le opere 631

Page 37: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

risione chp gli fruttava la sua deformità, e si senti tra­fitto nel cuore, immaginando e indovinando forse il destino di tutta la sua esistenza^ Le) prime avversità dell’infanzia lo fecero inclinare alla ineditazione e all’iso­lamento; e forse dovette a questa sventura precoce lo sviluppo straordinario della sua sensibilità, fors’anche il suo genio medesimo; — che, se il dolore crea o modi­fica i grandi ingegni (e la sventura nei sommi è causa e non accidente od effetto) la sua azione debb’essere più efficace nei primi anni della vita, quando la società non ci ha ancora armato il cuore di punte per schermircene, e lo spirito vergine e puro ritiene le impronte incan­cellabili della natura.

Egli era costretto a separarsi da’ suoi compagni, e si assideva la sera lungo le rive dell’Isère a veder scor­rere le acque e tramontare il sole dietro la foresta di Gresy.

« Com’è bello il sole ! — aveva detto una volta a sé stesso Bouvard — come sono belle queste farfalle e questi uccelli che fanno qui il loro nido! Ecco un magnifico fiore di giglio; quale precisione in tutte le sue parti, quale esattezza nella disposizione delle sue foglie, quale flessibilità meravigliosa nel suo stelo !» — E nel chinarsi a raccoglierlo, aveva intraveduto la sua im­magine nella superficie trasparente del fiume — la sua immagine brutta, laida, ributtante... Bouvard sedette sopra la riva e pianse lungamente con abbandono. Egli avrebbe almeno desiderato un cuore, cui confidare il segreto delle sue prime sofferenze; e forse la tenerezza melanconica di sua madre aveva compreso quanto te­soro di affetti si rinchiudesse nell’animo delicato di quel fanciullo, forse nella madre avrebbe trovato un’amica, ma quell’amica doveva essergli presto rapita; — a dieci anni Bouvard era rimasto solo nel mondo.

Un giorno suo padre gli aveva detto: —- Mio caro fi­gliuolo, tu hai dieci anni compiuti, e quantunque tu sia alquanto malaticcio e la tua figura non sia per verità delle migliori, le tue forze sono ora abbastanza svilup­pate, e puoi bastare, d’ora in avanti, a te stesso: io

632 Igino TJgo Tarchetti

Page 38: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

conto di andare nella Francia, ed è tempo che noi ci separiamo; prenditi la mia marmotta e la mia gironda, è assai più di quello che io potrei darti, ma il cielo com­penserà almeno colla tua fortuna il sacrificio generoso di tuo padre. v

Bouvard prese la via di Bonneville, e dormi la prima notte in un canneto lungo la riva del torrente. Era una bella notte di agosto, egli non aveva veduto mai tante stelle, né inteso cosi bene quel rumorio che fanno le locuste nelle stoppie, e quei mille suoni soavi e ineffa­bili che producono le foglie in una notte serena di estate. Parve a Bouvard di sentire in sé stesso qualche cosa di inusitato: egli non aveva sonno, egli non aveva paura, non stanchezza, non disagio, si sentiva calmo e tranquillo — un sentimento infinito di benessere gl’in- fondeva per tutte le fibre una dolcezza non mai provata fino allora: era pensieroso ad un tempo e sereno.

— Sentiamo —- diss’egli— è ben questo un grillo che canta; perché canta egli questo grillo?... e che cosa fanno lassù tutti quei luminari che il buon Dio accende tutte le sere?... e queste piante?... e questo usignuolo che sento gorgheggiare da lontano? In verità, io non avevo mai osservato che ci fossero tante belle cose nel cielo, e che i grilli cantassero di notte cosi dolcemente. Oh ! egli deve essere pur buono il Signore se ha creato tante cose meravigliose.

Bouvard cadde in una profonda meditazione; egli pensò a sua madre e alla sua capanna, e a quel mondo sconosciuto nel quale stava per entrare cosi fanciullo: — a poco a poco i suoi sensi si assopirono —- egli porse attenzione a tutta quell’armonia malinconica che blan­diva il suo orecchio come la nenia d’un bambino, a quel fremito degli steli, a quel susurro degli insetti, a quel lamento delle acque, alla voce del vento e delle foglie: la sua anima acquistava una strana sensibilità, il suo udito una potenza di sensazione ineffabile: —• egli distinse le note più delicate, i tuoni più melo­diosi, le cadenze più dolci; e gli parve d’aver indovi­nato il segreto della grande musica della natura. Egli

Tutte le opere 633

Page 39: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

prese la sua gironda e suonò una vecchia aria lamen­tevole che aveva ascoltata un tempo da suo padre: — non vi era nulla di più semplice di quella musica, nulla di più monotono di quel suono; ma pure egli vi trovò tanta dolcezza che i suoi occhi si riempirono di lacrime, e quando ebbe finito, si avvide che stava inginocchiato pregando.

Fu una grande rivelazione quella che la natura aveva fatto in quel momento a Bouvard: egli aveva compreso di essere artista; per una potenza straordinaria di intui­zione, egli aveva presvelato il mistero di tutta ima vita. Una fiducia illimitata di sé stesso, un’avidità irresi­stibile dell’avvenire agitarono da quell’istante il suo cuore: — egli si sentiva superbo di sé, superbo della sua arte divina, egli comprendeva bene che non aveva ancor nulla conseguito, ma che avrebbe tutto conseguito col tempo.

Bouvard si addormentò che era assai tardi, e sognò degli angeli e dei fiori, la sua capanna e le sue mon­tagne, le rondini bianche dell’Isère, e le sue rive fiorite di ranuncoli... egli sognava ancora, quando si senti bat­tere sulle spalle, e nello svegliarsi vide due uomini se­duti presso di lui, e di cui uno era intento a guardarlo.

— Piccino mio — gli disse costui che pareva il più anziano — tu stai, a quanto mi pare, guadagnando male il tuo pane con questa brutta marmotta e con questo cattivo strumento, e sei pur molto giovane per andar­tene cosi solo nel mondo: io ti darò bene un compagno, eccoti qui il mio amico Jeanin, dal quale devo separarmi oggi stesso: egli è una persona di distinzione e non ha che un piccolo difetto, una menda di nessuna impor­tanza per l ’arte sua: è cieco da tutti e due gli occhi, ma ci vede bene colla mente, e ci sente meglio colle orecchie, ché non è già uno stordito il mio amico Jea­nin, e ti farà toccare delle buone monete col suo vio­lino. Veramente il tuo viso non mi fa troppo l’elogio di tua madre, ma tu hai l’aria di un buon fanciullo, e il cielo ti sarà grato se farai una buona compagnia al mio amico. Suvvia, sciogli subito il laccio a questa tua mar­

634 Igino Ugo Tarchetti

Page 40: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

motta scodata, ché non va bene tentare la tua fortuna con questa patente di povertà, porgi la mano al tuo compagno, e vattene alla buon’ora, ché io devo trovarmi per ¿nezzogiorno sulla via di Villa?., lungo il canale.

(Bouvard considerò questo avvenimento come un fa- vor<5“straordinario della fortuna, e gli parve pure che vi fosse qualche cosa di dolce nella missione di carità e di amore che il cielo pareva affidargli coll’alleanza inaspet­tata di quel cieco.

Egli non si era ingannato.Sette anni dopo, si leggeva sui giornali di Ginevra:« Bouvard, il celebre suonatore di violino, darà que­

sta sera un’accademia musicale nel nostro teatro. L’in­gegno straordinario di questo giovane artista, e la fama universale che lo precede, ci esimono dall’aggiungere per lui alcuna parola di elogio e di raccomandazione ».

* * *

Rivediamo ora Bouvard nella seconda fase della sua vita — Bouvard, non più il piccolo savoiardo, ma l’uomo di mondo, il giovane elegante, l’artista straordi­nario.

Quali saranno ora le sue passioni, il suo cuore?Il lago di Lemano giace calmo e tranquillo, il cielo è

sereno e stellato, e la luna si riflette nelle sue onde. È una di quelle notti di silenzio e di amore, in cui tutto ciò che vi ha nel creato si agita e vive di questo sen­timento. Che dice il susurro del vento che increspa leg­germente le acque? che dicono le acque al vento? — Perché le migliaia di foglie di quell’albero tremolano mormorando tra di loro? La goccia di rugiada che di­scende dal cielo a collocarsi nel calice vagheggiato del fiore, per quale attrazione ha saputo percorrere la sua via verso di lui, nel vasto universo che l’ha creata? Porgiamo attenzione a questo linguaggio degli enti sco­nosciuto agli umani. iToi v ’intendiamo il bisbiglio del­l’insetto che compie le sue nozze fra i petali profumati

Tutte le opere 635

Page 41: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

della rosa; il ronzio della farfalla notturna che aleggia intorno alla sua compagna nel suo nido di foglie e di seta; la voce dello zeffiro che prepara la fecondazione misteriosa de’ fiori; il fremito delle alghe che si curva­no ad accarezzare le onde fuggevoli del torrente; il linguaggio segreto delle stelle, il mormorio degli steli e delle gemme, i baci delle fronde, i numeri infiniti che svelano nella natura il sentimento universale e pre­potente della vita, l ’amore.

Ma quanti sono tra gli uomini che intendano questo linguaggio? E non è l’uomo tra tutte le creature la sola che abbia spesso prostituito l’amore e sagrifìcato sull’al­tare dell’egoismo questo celeste sentimento? Non chie­dete all’uomo dell’amore, non gliene domandate che un’ombra — un’ardita apparenza che finge, che asse­risce, che giura... Vi fu un tempo in cui gli uomini si amavano, prima che la famiglia, fanciulla vergine e pura, toltasi dalle foreste e dalle capanne per venirne a nozze colla società, non s’incontrasse per via coll’oro, garzone petulante e avventuriere che le fece violenza; e da quello sconcio nacque l’egoismo, mostro scellerato e insaziabile, che divora gli affetti nati da lui stesso, come Saturno divorava un tempo i suoi figliuoli.

Pure, a quella guisa che védiamo, tra le cento brac­cia inaridite d’un albero fulminato, sopravvivere talora un ramo solo e rivestirsi di fiori cosi leggiadri, che mai quell’albero ne aveva dato di tali nella pienezza della sua gioventù, e della sua primavera; non altrimenti l ’amore sbandito dal seno dell’umanità, si è rifuggito nel petto di pochi uomini che lo custodirono nel se­greto del loro cuore. Domandate a costoro come si ami, cosa si speri dall’amore, domandate loro se si può amare impunemente. — Oh! la gioventù è se­vera, e la società non lo è meno nelle sue leggi... evi­tate dunque la lotta, insozzate la vostra anima, e get­tatele ai piedi la vostra corona di rose, prima che essa ve la strappi dal capo per collocarvi il suo serto di spine e di cipresso.

Sulla superfìcie tranquilla del lago si culla legger­

6 36 Igino Ugo Tarchetti

Page 42: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

mente una barca abbandonata — i due remi che le pendono dai fianchi imprimono nelle onde due solchi paralleli d’argento che si riempiono, e si rinnovano senza sparire e senza lasciare alcuna traccia di sé —- emblema della vita — . Perocché, chi crede che l’avve­nire esista? chi crede che esista il passato? Il presente soltanto esiste, ed è quel punto impercettibile che li riunisce: il tempo è una catena che si snoda dall’abisso del futuro, e si riaccoglie nella voragine del passato. Ma forse la parte che sparve tornerà a ricomparire? — il serpente che si morde la coda —. Chi sa se il tempo tra­scorso non ritorni colle sue circostanze di luoghi e di avvenimenti? Le leggi che governano le evoluzioni degli astri e dei mondi, perché non governeranno altresì le evoluzioni del tempo? Tutto parte da un solo principio di vita: piccoli mondi in un gran mondo, piccole esistenze in una grande esistenza... oh! si, — il tempo ritorna, o l’eternità non sarebbe che un vaneggiamento dei mortali.— E puossi concepire l’idea dell’eternità ove vi ha qual­che cosa che muore?

Forse sono tali i pensieri che agitano la mente di Bouvard seduto con abbandono nella sua barca. Bou­vard, cosi giovane, incomincia a provar quella malattia- di cuore che nasce dalle speranze deluse, e che si ali­menta nella solitudine degli affetti.

Le prime pagine del libro della vita contengono rac­conti deliziosi, profezie e presagi di felicità senza fine, ma le pagine di mezzo ne preparano al disinganno, le ultime alla rassegnazione; e spesso si butta il libro, e non si vive che delle memorie di ciò che si lesse. Bou­vard ha fatto ciò che tutti gli infelici hanno fatto:— ha divorato le prime pagine con isdegno, ed ora si riposa sconsolato a mezzo del libro. Ma egli non le lesse, no, quelle pagine, le ha indovinate: — egli non ha ac­celerato il suo disinganno, ma lo ha prevenuto, egli non ha trovato nei piaceri dell’esistenza che una pro­stituzione indegna della nostra natura, un mondo fitti- zio che ci sfugge, e pure ci accarezza, una menzogna che ci degrada e pure ci alimenta... Quale è infatti

Tutte le opere 637

Page 43: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

l’epoca della vita che si rimpiange? Quali i giorni in cui osammo chiamarci felici? La gioventù... E pure l’età che l’ha seguita che ne ha fatto conoscere gli errori, ci ha snudato quel mondo apparente e menzognero de’ suoi colori fatui e abbaglianti, ci ha mostrato la vanità di quelle passioni, la piccolezza di quelle gioie, la nullità di quei piaceri, il ridicolo di quelle aspirazioni, la sor­gente crudele di quei sogni, che ci promettevano godi­menti infiniti nella vita virile. Ma se noi abbiamo cono­sciuto quell’inganno a profitto della verità, perché oseremo rammaricarne?

Certo una condanna crudele pesa tuttavia sui nostri capi: ovunque l ’albero della scienza dilata i suoi rami, e alletta gli uomini a raccoglierne i frutti proibiti, sembra rinnovarsi la sentenza terribile che il cielo fulminò sui nostri padri: ogni passo che l’umanità ha fatto finora sulla via della verità e del progresso, ha segnato un punto di allontanamento dalla via della sua felicità e del suo perfezionamento morale. Avviene del­l’individuo ciò che avviene delle nazioni, avviene delle vite parziali ciò che avviene dell’esistenza delle masse. La gioventù sfugge colle sue gioie a quegli uomini, cui uno sviluppo precoce dell’intelligenza e l’abitudine fa­tale della meditazione hanno svelato troppo presto la grande nullità della vita, e insegnato che la verità è un fantasma nudo, che la nostra sola avidità di raggiun­gerlo lo riveste di colori abbaglianti e di forme celesti, e che non le rimane che un solo conforto disperato — quello che ritrae da sé stessa.

Bouvard non ha che diciannove anni, e già ha trasvo­lato collo sguardo su tutto l’oceano tempestoso del­l ’esistenza: egli vi scorge la gloria, la fama, l’agia­tezza, la vita elegante e fragorosa, tutte onde clementi che sembrano assicurargli un posto tranquillo e sicuro; ma non è là ch’egli desidera di riposarsi, egli vaneggia un altro lido lontano e insperato... oserà egli nominarlo? oserà dirlo a sé stesso? Bouvard desidera un affetto, un affetto ardente come la sua anima, com’esso infinito, un amore di cui saziarsi o morire.

638 Igino Ugo Tarchetti

Page 44: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Egli era nato per amare. —- Vi sono delle vite che non furono mai che una rivelazione continua, incessante di questo sentimento. — Bouvard aveva amato prima sua madre, e con essa la sua capanna, i fiori e gli uc­celli delle sue montagne, poi la sua marmotta da cui si era diviso con delle lacrime, poi il suo cieco com­pagno e i poveri villaggi della Savoia che aveva per­corso con esso.

Egli è a lui sopratutto che aveva rivolto per molti anni le sue cure pietose e il suo affetto. Quel vecchio gli aveva tenuto luogo di un mondo: vi aveva tro­vato la severa tenerezza del padre, e la confidente espan­sione dell’amico. Il povero Jeanin era stato un tempo un artista conosciuto, poi amareggiato dal livore dei cattivi, poi ingratamente obliato, e aveva voluto fare di Bou­vard un allievo destinato a rivendicare il suo genio. Egli è altresì a quell’esempio che il giovinetto aveva piegato il suo cuore ad una tenerezza infinita, ad una sensibilità senza conforto, ad una generosità d’animo troppo grande e troppo spesso vilipesa dagli uomini. Nelle loro peregrinazioni per quelle campagne essi ama­vano talora di dormire nelle notti d’estate a cielo sco­perto, e d’inspirarsi alla musica della natura; — e se entravano qualche volta nei villaggi, non era che per farvi intendere quell’armonia che ne avevano attinta, come un’emanazione improvvisa del loro genio, come un tributo dovuto a quegli uomini che li soccorrevano nei bisogni della loro vita materiale. Compiuta la loro missione, essi ritornavano ai loro campi, e spesso Bouvard conduceva il suo compagno ad assidersi lungo le rive dei torrenti, o in quei seni remoti delle valli dove il vento agita continuamente le grandi foglie di cerri, e dove erano molti usignuoli che cantavano nelle notti serene fino al mattino.

— Vedi tu il sole? — gli domandava il vecchio qual­che volta — è egli ancora cosi luminoso; come quando io lo vedeva nella mia fanciullezza? Dammi la tua mano lascia ch’io tocchi il tuo viso e i tuoi capelli; che io senta se le tue fattezze sono quali erano pure le mie in quel tempo.

Tulle le opere 639

Page 45: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Fanciullo com’era, Bouvard dormiva la notte pro­fondamente, e spesso nel suo sonno l’udiva discorrere con sé stesso, o pregare. Una notte l’intese suonare cosi dolcemente, che mai il giovane aveva udita una mu­sica cosi sublime: — egli pensò che uno di quegli angeli, di cui gli aveva parlato una volta sua madre, fosse di­sceso ad apprendergli quell’armonia che si doveva sen­tire soltanto nel cielo: — poi l’udì gemere e mormo­rare alcune preghiere, poi non udì più nulla. Si destò al mattino ch’egli dormiva ancora, attese che si destasse, indugiando egli, lo scosse!... era morto! Bouvard pianse alcuni giorni, poi lo seppellì assieme col suo violino, sotto tre grandi alberi che crescevano li presso, lungo un torrente che metteva nel Rodano perché, avendogli egli detto che era del paese di Monté- limar, pensò che le acque ne avrebbero col tempo re­stituito il cadavere alla patria.

Fu un nuovo avvenire quello che si aperse allora al suo sguardo; quantunque modesto, Bouvard aveva la coscienza del suo genio, egli sentiva di essere artista, sentiva di poter dare saggio di sé in ben altri luoghi che non fossero quei poveri villaggi della Savoia. La speranza di rinvenire suo padre bagattelliere girovago nella Francia, lo trasse quasi suo malgrado a quel paese. Entrò nel territorio delia Saona, suonò la prima volta a Bourg, poi a Màcon, a Moulins, a Eevers; ri­scosse ovunque degli applausi, ovunque destò l ’ammira­zione la più insperata, a Melun gli furono gettate delle corone, e poiché egli si trovava cosi vicino a Parigi, entrò in quella città, allettato da quella vita fragorosa e felice nella quale anelava di lanciarsi.

Vi passò quattro anni; —\ il piccolo savoiardo, il po­vero suonatore di gironda, Wa divenuto un giovane elegante, un artista ricercato, l ’elemento morale di quelle grandi riunioni: l’eletta società si contendeva Bouvard come il genio vivente dell’arte, come una di quelle grandi individualità della scienza, di cui si ambisce la predile­zione e la stima.

Fu in quei grandi centri che egli aveva studiato gli

640 Igino Ugo Tarchetti

Page 46: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

uomini e più di loro sé stesso. Egli avea bene veduto dovunque delle mani sporte a stringere le sue, dovun­que aveva ascoltato delle parole di omaggio, egli s’era accostato alle labbra il veleno melato dell’adulazione; ma di quell’esistenza fittizia pareva sdegnarsi la sua anima, e quando volle un cuore., un cuore soltanto, conobbe cbe vi era un deserto intorno a lui, che l’ami­cizia rifuggiva da quella vita apparente e simulata, e che la sua deformità lo condannava all’isolamento del­l’amore.

Yi furono in tutti i tempi delle donne che sacrifica­rono la loro fama alla bellezza disgiunta dal genio — nes­suna che la sacrificasse al genio disgiunto dalla bellezza. La donna, questa quintessenza di polvere la più per­fetta tra le opere della creazione, non nasconde spesso sotto la maschera irritabile del pudore che le traccie più delicate della sensualità. Nelle passioni di amore, l’uo­mo è quasi sempre guidato nella sua scelta dalla virtù, la donna non lo è mai che dall’avvenenza. Nessuna di loro ha confortato del suo affetto di amante la vita di qualche grande sventurato: una tomba recente — la tomba dell’infelice Leopardi — accusa in faccia all’uma­nità l’egoismo sensuale della donna.

Bouvard si avvide troppo presto che egli non poteva sperare dell’amore, e conobbe ad un tempo che questo bisogno si era talmente inviscerato nella sua natura, che non avrebbe potuto attutirlo che colla morte. Sdegnato di quella vita apata e clamorosa ove tutto si tributava all’apparenza, pensò che la solitudine lo avrebbe collo­cato in maggiore armonia con sé stesso, pensò che aveva ancora qualche cosa ad amare, le sue memorie. Egli era quasi ricco; diede un addio alla vita pubblica, parti inavvertito e venne pellegrinando alle sue montagne. Ma quivi pure gli erano riserbate delle disillusioni inat­tese: tutto era mutato nel campestre teatro della sua infanzia; le nevi disciolte avevano fatto scoscendere qua e là gran parte di quelle rupi; i montanari ave­vano recisa una foresta prediletta di pini dove veniva a riposarsi nei giorni canicolari dell’agosto, poche pie­

Tutte le opere 641

Page 47: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

tre rimanevano della sua capanna ove le lucertole verdi guizzavano ai raggi del sole, — e come venne alla tomba del suo amico, trovò che il terreno smosso e inumidito dalle acque era tutto fiorito di quei ciclamini vermigli che crescono sulle montagne, e ne raccolse alcuni che portò seco per tutta la vita, come l’unica reliquia so­pravvissuta al naufragio della sua felicità e della sua giovinezza.

( Fu) su quella tomba che egli compose le più belle melodie che mai il genio della musica avesse saputo inspirare, come un tributo alla santa memoria dovuta a quell’uomo che gli aveva appresi i primi erudimenti dell’arte, svelati i misteri più sublimi dell’armonia.

Ma come nessun uomo è capace di rimanere lunga­mente infelice, Bouvard pensò che il soggiorno d’una grande città lo avrebbe distolto dalle sue meditazioni sconfortanti, e quasi stordito e calmato nel suo dolore. La fama della Nuova Eloisa — il più bel libro d’amore che mai sia stato scritto — era ancora diffusa e fiorente tra la gioventù appassionata di quei tempi; egli aveva divorato quelle pagine con una specie di febbre e di delirio; la vita del grande socialista si approssimava allora al suo tramonto, splendido e maestoso come uno di quegli astri che si circondano di maggior luce prima d’involarsi alla vista degli uomini. — Bouvard volle baciare quelle zolle che avevano data la vita a Gian Giacomo, e venne a Ginevra.

Ecco come noi lo rivediamo in quella città, nel si­lenzio di ima notte stellata, solo, abbandonato sopra una barca in mezzo alle onde tranquille del Lemano. Che fa? Che medita il giovane in quell’istante?

Vi sono dei periodi di effervescenza nello sviluppo dello spirito umano, in cui l ’anima si sublima e si ele­va ad una grandezza smisurata non concepibile che a sé sola. Che è la parola perché si attenti a manifestare quegli slanci? Non sono che le piccole passioni, le sensa­zioni inerenti alla materia quelle che la parola può espri­mere: ma ciascun uomo ha in sé qualche cosa che non rivela, che non può rivelare; ciascun uomo è più grande

642 Igino Ugo Tarchetti

Page 48: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

di quanto lo appaia, di quanto forse lo creda egli stesso. E che è ciò che noi chiamiamo genio, se non la facoltà di concepire e di estrinsecare, con quanta maggior verità è possibile, questa vita profondamente intima e spirituale dell’uomo?

Bouvard guarda le stelle, il cielo, la superficie immo­bile del lago, i salici che si curvano sulle rive, i pesci che guizzano inseguendosi, gli acari fosforescenti che scin­tillano nelle onde commosse dai remi; e da questo spet­tacolo svariato attinge delle idee che egli sente, che egli comprende, ma che non saprebbe pure manifestare a sé stesso. È il linguaggio arcano che vi ha tra noi e la natura, e che Iddio non ha concesso all’uomo di esprimere.

Ma gli occhi del giovine si rivolgono con insistenza a quei lumi lontani che appaiono sulle rive come tanto scolte immobili nella notte, a quelle ville disseminate lungo la spiaggia, a quelle finestre socchiuse e illuminate che nascondono mille misteri di felicità e di amore. Sotto ciascuno di quei tetti vi ha una famiglia, vi hanno dei cuori che si amano, che sperano, che gioiscono, la cui esistenza non è tutta tessuta di dolore... Oh! sen­tirsi nati ad amare, possedere un cuore capace di amaro un universo, e cercare indarno in questo deserto della vita qualche cosa che risponda a questo appello inces­sante dell’anima ! sempre indarno ! eternamente indarno ! Bellezza, crudele bellezza! perché fu concesso a te sola l ’impero assoluto dell’amore? perché sei tu l’unica rive­lazione, l’unica forma sensibile di questo sentimento? — Perché, —■ esclama Bouvard — perché rinchiudere la mia anima in questa creazione abortita dalla natura? Perché darmi questo profilo di Etiope, questo naso da Ottentotto e questa bocca di Lappone? Poteva la defor­mità rivestirmi di spoglie più ributtanti? Oh la terri­bile condanna che associa al bello morale il brutto sen­sibile, e lo destina a rivelarlo !

Dopo quella notte Bouvard si ammalò, risanò a stento, parti improvvisamente da Ginevra e venne pel­legrinando in Italia.

Tutte le opere 643

Page 49: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Vi passò tre anni: fu a Venezia, a Roma, a Firenze, e finalmente sostò a Napoli, dove, ricco di fama e di danaro, aveva determinato compiere la sua carriera di artista nel mistero e nell’isolamento.

La più grande disillusione e la più inattesa lo aveva colpito in quegli ultimi anni del suo trionfo: egli si era sdegnato della sua arte; A che crearsi con essa un mondo ideale e fantastico ché la società gli contendeva di raggiungere? a che accarezzate i suoi inganni, pal­liare la sua sventura, eccitare la sua sensibilità, se gli era nota la vanità di questi rimedi, e se l ’orgo­glio suo gl’imponeva con insistenza di rifuggirne? A che profondere quei tesori di armonie, quelle esube­ranze dell’arte, ad una folla spensierata che lo copriva di oro, che lo acclamava artista divino, ma a cui avrebbe chiesto indarno un solo di quegli affetti che egli aveva eccitato con tanta potenza nei loro cuori? Essi avevano ammirato in lui l ’artista, non l ’uomo, — il genio, non il delicato sentire che l’accompagna, non l ’ineffabile mar­tirio che lo sconta. — Il giovine si senti prostrato, si senti invaso da uno scoraggiamento che indarno avrebbe tentato di superare: vivere per sé stesso e a sé stesso; — obliare — odiare anche — fors’anche odiare; giac­ché l ’odio può ben contendere la sua voluttà a quella dell’amore: ecco l ’estrema risoluzione di Bouvard, ecco il conforto disperato che si riprometteva da questo disegno.

Si ritrasse allora in una villa remota presso Posillipo, e visse lungo tempo ignorato. Forse l’oblio avrebbe can­cellato per sempre il suo nome dalle pagine della fama, se un avvenimento misterioso non ve lo avesse segnato con caratteri indelebili, se ima catastrofe di terrore non avesse rischiarato d’una luce fosca e spaventevole il tramonto precoce della sua vita.

Bouvard aveva venticinque anni e non aveva amato: aveva bensì desiderato di amare — aveva vagheggiato un affetto di donna come si vagheggia l’affetto ideale di un angelo — lo aveva chiesto al cielo come un forsen­nato, avrebbe accettato una intera e lunga esistenza di

644 Igino Ugo Tarchetti

Page 50: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

spasimo per un breve e fuggevole momento di amore. Oh! a venticinque anni, l’amore non è più una vaga aspirazione, non è più quel sentimento variabile, inde­ciso, estesissimo che si sviluppa nella prima giovinezza, ma è ima nuova sensazione che si comunica a tutto il nostro essere, che riassume tutte le fila spirituali e fisiche della nostra esistenza. La vita, quale fu concessa agli uomini, sta nel giusto equilibrio dello spirito e della materia, e l’amore vero e potente si libra con essi senza propendere: ogni affetto che sfugge a queste leggi si oppone alle leggi della natura. — Egli è a venticinque anni che si ama la donna, a quindici non si è amato che l’amore.

Ma se l’anima di Bouvard era delicata e sensibile, era pure ad un tempo severa. Se egli non poteva discono­scere la propria deformità, non disconosceva però l ’ele­vatezza del suo spirito e della sua mente: un affetto comune era un affetto indegno di lui; egli si sarebbe consumato nella tremenda solitudine delle sue passioni, anziché accettare l’amore di una donna che non avesse saputo comprendere quanti tesori di poesia e di affetti si celassero nel suo cuore lacerato.

Allo sguardo di chi ama, la virtù non si rivela che nella bellezza. Il bello ed il buono sembrano partecipare della stessa natura, accoppiarsi e manifestarsi a vicenda — si direbbe che il buono è il bello morale, che il bello è il buono sensibile. Bouvard stesso si era ingannato come tutti gli uomini fanno: egli non aveva cono­sciuto come una forza inesplicabile li tenga spesso disgiunti, e come questa fatale contraddizione si ri­veli distinta e frequente più che mai nella vacua natura della donna. Per quanto poco si abbia vissuto nella so­cietà, o attinto leggieri erudimenti dall’esperienza, si avrà osservato che le favolose bellezze di ogni tempo si segnalarono per difetto di merito morale, spesso ancora per malvagità di cuore o per vizio sfrenato: sono le bellezze mediocri quelle che annoverano i migliori caratteri di donna e i più dolci, e forse perché il loro numero è più diffuso; ma la deformità sfugge da questi

Tutte le opere 645

Page 51: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

limiti, e accenna quasi sempre a bontà estrema o a mal­vagità estrema. Bouvard, volendo cercare una virtù, cercava una bellezza, e la rinvenne.

In una sera d’autunno egli sedeva lungo la riva del mare, in uno di quei piccoli seni deliziosi che formano qua e là le acque incavando le rupi che le cingono, e contemplava il tramonto del sole dietro le scogliere ad­dentellate di Lacco, quando una barca venne a passare all’improvviso rasente la spiaggia. Una donna attem­pata sedeva a prora leggendo, e poco lungi da lei' una giovane bellissima stava silenziosa meditando, cogli occhi rivolti al cielo in atto di abbandono e di rapi­mento, mentre una mano che cadevale giù come morta pel fianco della barca, sfiorava colle dita bianchissime le onde che la cingevano come d’un mobile smaniglio (a) di perle e di argento. Una vela candidissima gonfia dal vento, quella luce di paradiso che si riflette dal sole nelle onde nell’ora del tramonto, e che le onde riversano a torrenti sulle rive, componevano il fondo di quel quadro maraviglioso, che passò e sparve dinanzi agli occhi del giovine, come una creazione istantanea della sua fan­tasia, come la celeste visione di un sogno. — Quella don­na non aveva veduto Bouvard, ma lo aveva guardato — lo aveva lungamente guardato —; i suoi occhi fissi ed immobili parevano versare in lui quei sentimenti che forse nasceano dal pensiero di un essere lontano ed amato, parevano dirigergli quelle aspirazioni che erano tutte pel cielo, e che la fanciulla avrebbe indarno tentato di rivelare alla terra.

Bouvard sapeva di non poter essere amato, ma trop­po grande era ancora in lui la fede del sacrificio nella donna, perché non credesse di poterlo essere per com­passione. Una seduzione credeva egli esistere in lui, quella della sventura, ed egli vi attribuiva l’onnipotenza della bellezza. No, egli non è vero che l’amore inspirato dalla compassione possa generare l’avvilimento in chi lo riceve: ella è la più orgogliosa, la più nobile e la più

(8) Braccialetto.

646 Igino TJgo Tarchetti

Page 52: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

durevole delle passioni, forse l’unica che il cielo bene­dice, e che non si spegne che colla vita, perché soltanto colla vita si spegne la sventura che l’ha generata.

Bouvard attribuì a sé quello sguardo. — Ella mi ama — egli disse — ella ha indovinato che io soffro. E po­trebbe egli, quel viso di angelo, mentire un sentimento che non fosse di pietà e di tenerezza? Potrebbe ella amare un felice?... la felicità petulante, scherzevole, menzo­gnera!... — ,!E poi egli aveva veduto altre volte quella donna, l ’aveva veduta ne’ suoi sogni, ogni notte, da diciasette anni: era il genio fantastico della sua arte, la creazione severa della sua musica, l’ente concretizzato, vivo, sensibile, palpitante, che egli si era composto nell’estasi delle sue melodie e delle sue meditazioni.

E invero ciascuno di noi si crea fino dai primi anni della vita l ’ideale della dorma che vorrebbe amare, ciascuno di noi crede che esista un’anima sorella, le cui sembianze, le cui aspirazioni ci sono note, e verso la quale ci sentiamo attratti, nostro malgrado, per tutta la vita. Quell’amore che si strugge da sé senza posarsi, non è che l’incognita attrazione di un essere che la lon­tananza, che la società e la fortuna ci contendono; e spesso si vaga di amore in amore senza raggiungerlo, sempre ansiosi e sempre insoddisfatti, amanti sempre, e senza mai amare, portando seco fino alla tomba quel vuoto tremendo che i mille affetti passeggieri dell’esi­stenza non hanno avuto potere di riempiere.

Quando Bouvard si avvide della sua passione, provò come imo sbigottimento, come una voluttà che sentiva del dolore, come una nuova intuizione della vita, a cui si accoppiava il presagio lontano di quelle sventure che il cielo gli aveva destinate con quell’affetto. Quella donna era sparita: l’avrebbe egli riveduta? E dove? E quando? E rivedendola, si sarebbe ella risovvenuta di lui? l’a­vrebbe amato? Quell’intervallo di tempo non avrebbe modificato il sentimento di pietà e di amore che il gio­vine aveva creduto di leggere nei di lei occhi?

Oh ! quell’istante in cui l’amore si rivela per la prima volta ad un’anima, è il momento più solenne della vita.

Tutte le opere 647

Page 53: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

E qual’è quell’uomo che può averlo dimenticato? Per quanto numerose sieno state le nostre passioni, per quanto indegne di noi, nessuno potrà mai obliare quel­l’istante in cui conobbe per la prima volta di amare. È lo svelarsi di questo sentimento che segna il principio della vita morale di ciascun uomo.

Non accenneremo ai cambiamenti avvenuti nelle abitudini e nel carattere di Bouvard dopo quel giorno. Egli passò tre mesi senza rivederla: aveva corse e ricor­se tutte le vie di Napoli come un demente, era stato a tutti i teatri, aveva frequentati tutti i centri di riunioni senza avere indizio alcuno di lei e senza quasi sperare di rinvenirla, quando un mattino la rivide in una car­rozza elegante che attraversava la via di Chiaja, verso la Villa. Bouvard non ebbe il tempo di meditare al par­tito più conveniente cui poteva appigliarsi per raggiun­gerla: trascinato da una forza irresistibile, l ’insegue alla corsa... si affatica... resiste... le sta al paro per lungo tempo: ma già il suo ardore si scema, le sue forze lo abbandonano, ed egli si arresta sfinito sulla via. Passò un altro mese: la rivide una seconda volta e collo stesso esito, la rivide una terza e, ahimè ! pure indarno; ma i suoi sforzi furono finalmente coronati: egli giunge un giorno a seguirla fino alla sua dimora. Egli conosce finalmente il suo soggiorno, il suo nido, quel punto in­vidiato della terra su cui vive ima donna adorata..., oh! gioia! — osa chiedere di lei: — si chiama Giulia, — non ha che diciasette anni, è fanciulla, è ricca, è felice, e il suo cuore è puro come la sua anima, è libero come la luce che lo circonda.

Da quel giorno Bouvard divenne audace: ardi spe­rare di essere amato, ardi meditare di palesarle la sua passione, e di affrettarne l’opportunità col prestigio della sua arte e della sua fama. Non andò a lungo che per esse furono superati quegli ostacoli che gli conten­devano di avvicinarla, e giunse finalmente quell’istante si ardentemente anelato, in cui avrebbe potuto inebriar­si della sua vista e leggere con sicurezza nelle pagine ignorate del suo destino.

648 Igino Ugo Tarchetti

Page 54: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Giulia apparteneva ad una famiglia patrizia, presso la quale convenivano il fiore dell’aristocrazia e le cele­brità più elette nel campo dell’arte e della scienza. Fu ad una di quelle serate artistiche che Bouvard venne invitato: egli vi fu accolto con gioia, udito con trasporto, applaudito con frenetici entusiasmi... ma, oh Dio! era essa ancora quella Giulia che egli aveva veduto la prima volta dalla riva del mare nell’ora melanconica del tramonto?... quella fanciulla si bella, si dolce, si compas­sionevole, quell’essere gentile e pensieroso che gli era apparso come una visione di cielo nelle ore tremende del suo sconforto? Colei, quell’angelo, quella fanciulla ado­rata, non era più che una donna comune, lieta, incure- vole, folleggiante, sorridente a tutti quegli esseri fatui e leggiadri che se ne contendevano l ’affetto; — una crea­tura della società e del piacere, ricca di gioventù e di bellezza, baldanzosa perché felice, e felice perché troppo insensibile, troppo esente da quella infermità di mente e di cuore, che ci rende pietosi a tutti i mali della so­cietà, ovunque sieno sentiti, e ci costringe a dividerli.

Forse Bouvard non si era ingannato credendo che la fanciulla lo avesse riconosciuto, e avesse riso del suo af­fetto e della sua deformità. Il contegno di Giulia sentiva troppo della derisione e della noncuranza, perché egli potesse almeno lusingarsi di non aver tradito il suo se­greto... quel segreto si dolce, si caro, si lungamente va­gheggiato, e la cui rivelazione lo opprimeva ora di ros­sore e di avvilimento. E infatti, quel giovine che aveva inseguito come un insensato la sua carrozza, che le ave­va prostituita la sua dignità e il suo orgoglio, che ave­va preteso in si strana guisa e con si strana insistenza al suo cuore, era li muto, umiliato, tacitamente deriso... E che era egli per Giulia?... lui... quell’arpista quasi igno­rato, perché sdegnoso di ammirazione, quel povero fan­ciullo della Savoia, quel giovane timido, sofferente, de- forpae^

(Bouvard comprese troppo tardi come un acceca­mento fatale lo avesse lusingato di un affetto che la sua deformità gli rendeva impossibile d’inspirare. La sua

Tutte le opere 649

Page 55: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

deformità... essa sola, sempre esBa... quella inesora­bile condanna, quella terribile distinzione, quel marchio indelebile della natura, che né l ’arte, né il cuore, né l’in­gegno avevano avuto potere di distruggere. IJn orri­bile desiderio balenò allora attraverso alla sua mente— il desiderio di una deformità più mostruosa, di ima bruttezza si spaventevole, che, spingendo gli uomini a rifuggirne, avesse potuto saziare in lui l’avidità ineffa­bile dell’odio, quella nascente avidità che aveva già surrogato nel suo animo la prima e nobile aspirazione dell’amore.

Tale è la vicenda degli affetti, e quelli soltanto che furono miti e volgari si spengono soventi nell’apatia: ma niuna via di mezzo è concessa alle grandi passioni, e l ’odio e l’amore, che ne segnano i due punti culminan­ti, si alternano nella pienezza del loro vigore senza mescersi e senza arrestarsi. Egli è tuttora mal deciso quale sia veramente la più nobile e la più giusta di que­ste due passioni, poiché l’una ci viene dal cielo e l’al­tra dalla terra, e l’una predomina nella società e l’al­tra nella vita privata, ma egli è ben certo che nella maggior parte degli uomini è l’odio soltanto che finisce per riempiere quel vuoto, che non ha potuto riempiere l ’amore. >

Noi non diremo che Bouvard odiasse: la sua vita avvenire non offri circostanze si palesi da poterlo asse­rire con sicurezza; forse lo aveva solamente desiderato, e ciò è desolante nella nostra natura, che i buoni desi­derino semprt indarno di diventare malvagi, e i malvagi buoni. Si muore egli dunque quali si è nati? E che è questa fatale predestinazione che la nostra volontà non ha potere di distruggere? Bouvard amava ancora Giulia— per una strana contraddizione dell’anima umana, per la potenza irresistibile che il bello esercitava sopra di lui, egli amava ancora quella fanciulla — ma non era più la Giulia ideale, la creatura celeste, pensante, amo­revole de’ suoi sogni; egli amava una donna, una donna viva, folleggiante, voluttuosa, l’immagine palpi­tante della gioia e del godimento. E perché avrebbe

650 Igino Ugo Tarchetti

Page 56: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

egli dovuto odiarla? Per quale diritto aveva egli osato pretendere al sacrificio della sua beltà e del suo cuore? Se l’idea di tale sacrificio, se il sentimento dell’amore nobile e disinteressato, dell’affetto isolato dalla materia, possono essere concepiti sulla terra, essi non sono punto della terra, e spesso lo svelarsi di questa verità rigetta per sempre nel fango quelle anime delicate e sensibili che vi avevano una volta creduto.

La vita di Bouvard si ravvolse da quel giorno in un mistero cosi imperscrutabile, che noi non potremmo ac­cennare, neppure per supposizione, ai mutamenti av­venuti nel suo spirito e nel suo cuore. Non fu che l’ul­timo istante della sua esistenza, che gettò una luce in­certa e tetra sul suo passato, e rannodò in qualche guisa le fila spezzate e disperse del suo destino. Ove egli ab­bia vissuto e in qual modo, ove esulato, si ignora. Sparve nella pienezza della sua gioventù e della sua gloria; il suo soggiorno fu rinvenuto deserto, i suoi specchi infranti, distrutto ogni oggetto che aveva po­tuto riflettere a’ suoi occhi la sua immagine: ogni traccia che egli aveva lasciata di sé, accusava l’esalta­zione della sua mente, e qualche proposito irremovi­bile e disperato.

Noi non lo rivedremo più che nell’ultimo giorno della sua vita.

Quattro anni dopo quest’ultimo avvenimento — in un mattino profumato di maggio, nella stagione che in­vita la natura all’amore — si ornavano di gramaglie le porte di un sontuoso palazzo... Giulia, la ricca, la nobile, la leggiadra patrizia era morta — morta alla vigilia delle sue nozze; involata alla terra da una malattia im­provvisa e crudele, in tutta la pienezza de’ suoi inganni e della sua fede, in tutto il vigore della sua gioventù e della sua bellezza.

Allora da una piccola finestra di una soffitta in una casa di fronte, si affacciò una figura d’uomo, i cui linea­menti alterati dal dolore si contrassero in un sorriso amaro o terribile. ■— Quell’uomo era Bouvard —. Il pal­lore sepolcrale del suo volto, l’incolta abbondanza dei

Tutte le opere 651

Page 57: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

■capelli e della barba, lo sguardo immobile e lucido, quel­l ’espressione tetra e indefinibile di cui la sventura aveva velate le sue fattezze come d’un velo funerario, rivela­vano il segreto di quei patimenti intimi e soprannatu­rali che intessono quaggiù molte vite, e che rifuggono sempre dalla confidenza e dalla pubblicità, fieri e sde­gnosi d’ogni umiliante compassione e d’ogni conforto impossibile. E infatti checché egli avesse sofferto ri­mase pur sempre un mistero. Amava egli ancora Giulia? Non aveala obliata in quei quattro anni di separazione? Era egli sempre vissuto presso di lei? Certo è ch’egli non abitava quella soffitta che da due mesi, e che la povertà più desolante era venuta spesso in quei giorni a visitare la sua modesta dimora d’artista.

Bouvard guardò, vide, lesse la funebre iscrizione, os­servò il drappo nero che ornava le porte della fanciulla defunta, lo osservò con una muta indifferenza, senza af­fliggersi, senza stupirsi: si sarebbe detto che quella sciagura non gli si palesava inattesa, che egli l’aveva preveduta, invocata, affrettata forse col desiderio. Certo il cattivo genio di cui favoleggiano gli uomini non avreb­be sorriso più tristamente, non avrebbe dimostrata una compiacenza più malvagia e crudele. Il giovine rinchiuse la finestra preoccupato da ùn pensiero insistente, da un’idea fissa, confortevole, lungamente blandita. — Af­frettiamo — egli disse — affrettiamo il momento ane­lato... apparecchiamo per le mie nozze — e un istante dopo, gli ultimi arredi della sua soffitta, i suoi libri, la sua musica, le ultime reliquie della sua fortuna erano scomparse. Bouvard aveale mutate in oro e con esso aveva acquistato dei fiori.

La stagione erane feconda. La famiglia infinita dei giacinti, fiori di gioventù e di primavera, le prime rose simbolo dell’amore nascente, le gemme dell’arancio che intessono le corone delle fidanzate, le stelle mobili del gelsomino che simboleggiano l’amore pudico, le lavande che significano amore ardimentoso, le azalee e le car­denie fiori di passione e di sentimento, ornarono in si grande quantità e con tanta profusione di olezzi quel­

6 5 2 Igino Ugo Tarchetti

Page 58: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

l’umile soffitta del giovino, che la si sarebbe creduta una di quelle dimore favolose, dove le fate attiravano alle loro nozze la gioventù incauta e ardimentosa, de­stinata a perirvi in un’ebbrezza di voluttà e di profumi.

Bouvard attese con una gioia sfrenata a questa stra­na trasformazione della sua soffitta: egli volle cono­scere il linguaggio di ciascun fiore, volle collocarli egli stesso, alternarli con dei veli azzurri e rosati; e vi aggiun­se, sorridendo tristamente, alcuni steli di ramerino fio­rito che esprimono l’amore corrisposto. — Centinaia di lumi erano apparecchiati a versare torrenti di luce su quei veli e su quegli strati enormi di fiori —- e come il giovane ebbe compiuto i suoi apparecchi col più diligente mistero, si compiacque di quella vista deliziosa e allet­tante, e disse con trasporto a sé stesso: « Ecco appa­recchiata la mia camera nuziale e la mia tomba ad un tempo... la vita e la morte... il gelo del sepolcro, e il fuoco dell’amore si lungamente represso... certo non fu mai stretto sulla terra un connubio più degno degli uomi­ni, e la stessa divinità potrà forse invidiarmi le mie nozze ».

Noi domandiamo esitando: era Bouvard colpevole? Il dolore non aveva già alterato la sua ragione? quell’ani­ma che fu un tempo si pura, si candida, si generosa, po­teva essersi cosi miseramente trasformata? poteva ella concepire nella piena lucidità della sua potenza un cosi orrendo progetto? Noi non lo affermiamo. La sua na­tura dovea certamente aver subita una dolorosa modi­ficazione: la povertà, i disinganni, lo scetticismo so­ciale, l ’isolamento dovevano, senza alcun dubbio, aver provocato in lui quella rivolta che ci trae a reagire con­tro la divinità e contro noi stessi, ma la sua colpa non fu certamente che la conseguenza d’uno sconvolgimento istantaneo della sua ragione. Il suo delitto fu espiato dalla sua vita, e l’espiazione lo precedette; vi fu in esso dell’amore, direi quasi del genio — le fasi dell’esistenza umana hanno poche pagine più sublimi, e le nostre pas­sioni si elevarono di rado ad una potenza più smisurata — si può dire che l’ultimo giorno di Bouvard fu il rias­sunto di tutta la sua vita.

Tutte le opere 653

Page 59: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Le notti nel mezzogiorno dell’Italia hanno in sé qual­che cosa di voluttuoso e di molle — il cielo è più ele­vato, l’azzurro più trasparente, le stelle più numerose e più lucide — i fiori delle magnolie caduche e dell’aran­cio che si schiudono due volte all’anno, impregnano l ’aria dei loro profumi delicati, e vi ha in essi qualche cosa che gli altri fiori non hanno, vi si sente l’amore, vi si respira la gioventù e l’abbandono. Ho domandato più volte a me stesso, perché il cielo abbia destinate quelle ore al riposo: ma forse la notte è la scena più cal­ma e più meravigliosa della natura per ciò solo che è in essa che gli uomini amano. Oh la sublime epopea della notte ! Io vorrei conoscere se i morti conservano ancora sopra il loro giaciglio di pietra una parte della loro vita morale; se quella polvere -— poich’ella esiste — ha la coscienza dell’esistere. Nella grande oscurità che avvolge tutti i segreti della natura, io credo che nessuno possa sorridere di questo pensiero: la superstizione ha pure i suoi diritti, giacché è dalle sue tenebre che usci­rono in ogni tempo i primi barlumi della verità e della luce. Ma avete voi mai passato una notte in un cimite­ro? — Il silenzio vi è più tetro che in qualunque altro punto della terra, e non per ciò vi sembrerà meno di sen­tire qualche cosa che vive, che pensa, che si agita sotto di voi —. Certo se i morti vivono, la debb’essere una vita di solenni meditazioni... E come passano essi quelle lunghe notti d’inverno?... quegli anni infiniti della loro muta esistenza?... Alla pioggia, al sole, alla neve... Povere anime! No, egli non è vero che la morte ugua­gli tutti i destini; la ricchezza ha preparate le sale sepol­crali, e vi mantiene ancora un raggio di quella luce, di cui essi erano cosi avidi nella vita.

In ima di quelle più splendide dimore fu collocata la salma di Giulia, e la giovine riposa sopra il suo lenzuolo di gramaglia come in mezzo ai veli del suo letto vergi­nale. La sua bellezza ha nulla smarrito delle sue sedu­zioni; un abito bianco, leggiero, quasi vaporoso, ricopre le modeste sue forme; i suoi capelli neri e disciolti sono trattenuti sulla fronte da una corona di tuberose ancora

654 Igino Ugo Tarchetti

Page 60: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

fresche, le sue mani bianchissime le cadono dai fianchi coll’abbandono soave del sonno, e solamente i suoi piedi diritti e riuniti fanno fede dell’orrida rigidità della morte.

Bouvard penetra in quel luogo colla gioia scolpita sul volto, con quella trepidazione affannosa ma dolce che ci accompagna al primo convegno colpevole della donna desiderata. Il ribrezzo non lo trattiene, non frena la sua impazienza, non ammorza l ’avidità irresistibile della sua passione: ma ogni indugio può essere fatale al suo disegno — è d’uopo affrettarne l’esecuzione — il suo oro gli ha procurato dei complici... egli invola il cada­vere della fanciulla, e pochi istanti dopo è lasciato solo con lei nella sua dimora solitaria e segreta.

Allora il giovine la adagia con dolcezza sopra uno strato di fiori, poi s’inginocchia e la guarda... quel­l’abito candidissimo, quelle lunghe trecce disciolte, quel corpo che si abbandona e quasi si affonda coll’immobi­lità della morte in un letto profumato di verzura, quella luce abbagliante che vi tinge ogni oggetto del colore dell’oro e del topazio, formano uno strano spetta­colo che esalta e rapisce la mente immaginosa di Bou­vard. — Ma egli non ha ancora osato sollevare il velo che nasconde il suo volto: egli trema di quelle sem­bianze, teme che la morte ne abbia già alterata la bel­lezza, paventa quello sguardo fisso e severo che deve rinfacciargli colla sua terribile immobilità il suo delitto. Mille pensieri si agitano allora nella sua anima contur­bata, il pensiero della sua vita sofferente, dell’inutile suo amore, del suo genio infelice, di quell’abbandono di sé stesso che lo trasse di giorno in giorno, sempre esitante, e sempre sfiduciato fino a spegnere la sua vita in una colpa — giacché egli sente la prossimità del suo fine, giacché egli ha deciso irrevocabilmente di morire... morire presso di lei — presso di quella donna al cui fianco non ha potuto trascorrere quell’esistenza avven­turata e innocente che era stata il suo sogno d’un istante.

A questo richiamo gli si affacciano tutte le memorie della prima giovinezza, di quegli arm i confidenti e felici,

Tutte le opere 655

Page 61: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

quando l ’avidità dell’ignoto gli dipingeva di mille colori vaghissimi le scene future della sua vita: quelle illu­sioni, quei sogni, quella fede balda e sicura, quel sorridere cortese della fortuna, quell’amore univer­sale che avrebbe voluto spargere delle rose sulle teste di tutti gli uomini, quel vagheggiare un nido e una famiglia e perpetuare la nostra esistenza in altri esseri nati da noi, quell’ideare il bene e compierlo, e prefig­gerselo all’unico scopo della vita... aspirazioni menzo­gnere e crudeli ! Nulla gli è rimasto di ciò: egli ha sof­ferto, egli soffre, ecco tutto, ecco la sintesi delle sue speranze — egli ha dinanzi un cadavere, e l’ultimo de’ suoi giorni sta per compiersi con un delitto —. Bouvard si commuove e piange. —- Vi ha in quel periodo di cal­ma morale che precede la morte un istante di lucidità straordinaria nel nostro intelletto, durante la quale si va svolgendo dinanzi ai nostri occhi tutta la tela tene­brosa del nostro passato. Gioie, dolori, predilezioni, me­morie, affetti, colpe, tutto ripassa dinanzi a noi, tutto vi è evocato dalla inesorabile coscienza; e felici coloro le cui rimembranze soavi e confortevoli non lasciano nulla a rammaricare della vita !

Bouvard ha rivolto lo sguardo sul suo passato, e non vi ha scorto che un deserto senza limiti, una landa sen­za oasi, senza acqua, senza verzura, senza sorriso di cielo — ventinove anni sono trascorsi, ed egli non ha raccolto un solo di quei fiori di cui la natura fu si pro­diga a tutti gli uomini — egli non ha spiccato dall’al­bero dell’esistenza che un solo frutto, un frutto amaro e velenoso, il più crudele fra quanti ne maturino sui suoi rami, il frutto della derisione.

A questo pensiero la mente del giovine, smarrita nell’abisso delle sue rimembranze, ritorna d’improv­viso a sé stesso, alla sua deformità, a Giulia: egli os­serva quel corpo inanimato e leggiadro che gli sta di­nanzi — quella creatura si lungamente desiderata — quella fanciulla che fu un tempo si bella, si lieta, si incurevole, il cui amore lo avrebbe consumato nell’esu­beranza della sua felicità, il cui odio lo ha tratto invece

656 Igino Ugo Tarchetti

Page 62: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

per una ostinata potenza di volontà a sopravviverle.E d’onde procede quello sgomento incomprensibile

che ci arresta dinanzi a un cadavere? Che è egli questo rispetto ipocrita e vano che ci trae silenziosi e dimessi dinanzi a un mucchio di polvere che si dissolve? Oh! la sfacciata impudenza che curva le ginocchia degli uo­mini all’aspetto delle reliquie di un essere, di cui si è talora manomessa la felicità, e avvelenata a mille ripre­se la vita !

Ma non è tale la posizione di Bouvard: egli solo ha sofferto, egli è la vittima; egli vorrebbe elevarsi a giudi­ce sopra di lei, ma un interno convincimento gli dice che non gli anni misurano l’esistenza, ma la felicità, la sola, la irrevocabile felicità ch’egli ha perduto — quella fanciulla è morta, ma fu felice; egli vive, ma soffre —- egli non le sopravvisse che per rimembrarlo.

L’anima del giovine si agita crudelmente a questo pensiero che lo ripiomba ne’ suoi propositi di vendetta: quel cadavere sembra ora stargli dinanzi minaccioso... forse egli vede, egli sente, egli sorride, egli si agita sotto il suo lenzuolo funerario... Bouvard si rialza impetuoso, e strappa il velo che copre il viso della fanciulla. — Dio ! quale bellezza irresistibile ! — E può il volto d’una de­funta essere ancora cosi bello? Un’espressione di calma celeste si diffonde sulle sue sembianze, le guancie sono tuttora leggermente rosate; la fronte candida e pura, le labbra e gli occhi socchiusi, l’epidermide trasparente e bianchissima: non vi ha nulla di spaventevole in lei, nulla che possa essere più vago, più dolce, più allettante nella vita... essa riposa — essa dorme — come dormo­no i fanciulli a sette anni, quando non si sognano che delle nubi, delle farfalle e degli angeli... tutte cosq che volano, volano, e vanno verso il cielo.

Vi sono due soli e grandi avvenimenti nell’esistenza che possano dare ai nostri volti un raggio di quella bel­lezza celeste che sfugge a qualunque manifestazione, e sono l ’amore e la morte — due cose sorelle — l ’estasi dell’imo, e la calma che succede all’altra. Coloro che hanno amato e che furono amati lo sanno: quella bel­

Tutte le opere 657

Page 63: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

lezza non. è della terra e non dura, è qualche cosa di aereo che si posa un istante sulle nostre sembianze e svanisce — essa si vede, ma è inesplicabile — è for­se una luce di lassù che discende a benedire i due atti più solenni della vita, l ’amore che ci rende degni del cie­lo, e la morte che ci concede di raggiungerlo.

10 ho pensato più volte che se tutti gli uomini si in­namorassero ad un tempo, la società sarebbe in un at­timo trasformata: l ’età dell’oro non sarebbe più quella favola allettante di cui si ride come dei sogni dei fan­ciulli. — Ogni uomo che ama è buono e grande — . I poeti sono uomini che amano.

A quella vista Bouvard si arresta colpito dall’entu­siasmo: l’incanto di quella bellezza lo rapisce ed eccita la mente fervida ed immaginosa del giovine. Nel suo atto violento, egli ha scoperto una parte del seno della fanciulla: essa gli appare come una statua rovesciata di Fidia, come una di quelle immagini di vergine greca che il turbine ha divelte dalla loro base, e che s’incon­trano talora mezzo sepolte tra i corimbi e le foglie oscure delle ellere, nelle isole solitarie dell’Egeo. Divina bel­lezza ! — E perché non gli è dato di rianimarla? di spi­rarle il soffio della vita che Dio ha riserbato a sé solo? Ma Giulia lo odierebbe vivando —■ e non lo ha ella deriso?

11 giovane rimane lungo tempo silenzioso, poi il suo volto assume un’espressione tetra e risoluta, egli si curva sopra di lei, egli vuole abbracciarla... — Nessuna don­na — egli dice — si è data mai con maggiore abban­dono ad un uomo... — Bouvard sorride seco stesso di questo orribile pensiero, china il capo sopra di lei e ne bacia le labbra irrigidite dalla morte. Quale con­tatto ! Egli si scuote, egli trasalisce inorridito, egli rac­capriccia di quel gelo; e ricade prostrato dinanzi alla fanciulla. Allora egli piange, egli invoca, egli prega, vorrebbe amarla, adorarla come una santa, e lo trat­tiene la memoria del suo passato; vorrebbe odiarla, e lo arresta quell’immagine soave di angelo. Alcuni istanti dopo egli vaneggia e delira, egli ripete ad

658 Igino Ugo Tarchetti

Page 64: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

alta voce il nome di Giulia, il nome della fanciulla ado­rata, e si abbandona al suo dolore disperato e selvag­gio. Poi l’asfissia dei fiori assopisce a poco a poco i suoi sensi, inebria e confonde la sua ragione: egli prova come delle vertigini, vede come degli oggetti che si muovono, ode un bisbiglio di voci incompren­sibili, ripassano dinanzi a’ suoi occhi delle strane figure che lo guardano e sogghignano... egli si agita, vorrebbe avventarsi contro di esse, tenta di rialzarsi brancolando nel vuoto, e ricade spossato presso il cadavere della fanciulla..........................................................

Certo, Bouvard non incontrò una morte cosi subita, né cosi violenta, poiché i vicini raccontarono al mattino di aver inteso nelle ultime ore di quella notte dei gemiti e delle grida soffocate; ma ciò che aveva colpito mag­giormente la loro immaginazione, era stato un suono di violino, da cui erano rimasti affascinati e sedotti come da un’armonia soprannaturale; né mai s’indussero a credere, per quante prove ne venissero lor date, che quella musica fosse stata l’opera di un uomo.

Tale fu l’ultima creazione di Bouvard, l ’ultimo la­mento della sua anima, l ’agonia sublime del suo genio. Vi erano in essa tutte le voci della natura, vi era il bi­sbiglio del vento e l ’aleggiare dell’uccello, il susurro dei piccoli steli e il fremere dei grandi fusti dei cerri, lo scor­rere del filo d’acqua e il frangersi delle onde dell’oceano— vi era tutto ciò che il suono ha di aspro e di dolce, di soave e di orribile —. Sfortunati coloro che udirono quella musica ! La voce degli esseri più diletti, la parola di padre pronunciata la prima volta dal labbro del fanciullo, la prima rivelazione d’amore della douna ado­rata, non hanno avuto più nulla di soave, nulla di allet­tante per essi.

Il domani la fama di un sepolcro violato si diffonde per la città; si cerca il cadavere di Giulia — gli in­dizi de’ suoi complici guidano alla soffitta di Bouvard;— si chiama, nessuno risponde — si batte, nessuno apre: allora si atterrano le porte... orrendo spettacolo!

Tutte le opere 659

Page 65: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Tutti quei fiori erano calpestati e dispersi, molti oggetti infranti, i veli della fanciulla lacerati, dovunque le traccie di una lotta disperata e inuguale.

Non era Giulia morta? o le preghiere del giovine avevano avuto potere di rianimarla un istante?...........

Scheggio e frantumi di violino giacevano sparsi sul pavimento, ed un corpo deforme, inanimato stringeva convulsivamente il cadavere della bella Giulia... Bou­vard era morto!

660 Igino JJgo Tarchetti

Page 66: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

R e O r s o

FIABA

Hermione'. ... Pray you, sit by us,And tell’s a tale.

Mamitliur. Merry, or sad, shall’t be?Her. As merry as you will.Mam. A sad tale’s best for winter

I have one of sprites and goblins.S h a k e sp e a re . A Winters tale

87

Arrigo Boito

*

* Testo* Testo dell'ultima redazione licenziata dall'Autore (1902); il testo della primaedizione (1864) è consultabile al seguente link: www.emt.it/uroboro/bcu/aboito01.html

Page 67: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

E so r d io

Pulzelle, pinzocchere — fantesche e comari Che andate per vespero — sgranando rosari, Se avete dell’anima — cristiano pensiero,Se il prete vi predica — «l’eterno Avversiero»,

5 Temete di leggere — la pagina orrendaDi questa leggenda.

O cherci, o canonaci — o frati godenti, Attoniti al libero — volar degli eventi,Se il desco v’inebria — se il chilo vi piace,

10 Se odiate le chiacchiere — che turban la pace,Temete di leggere — la pagina orrenda

Di questa leggenda!

89

Page 68: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

L e g g e n d a p r im a O r s o v iv o

Page 69: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

A n t ic h e st o r ie

Prima che al mondo si dicesse 1000 Viveva in Creta un Re. La maledetta Per l’amor di Pasìfe isola infame,Terra di mostri e di delitti, aveva Re pari ad essa, ed Orso era il suo nome. Cento cittadi gli rendean tributo D ’oro, di gloria e di paura, il mare Di perle e di tempeste, il montuoso Suol del suo regno di smeraldi e d’oro, D ’algenti catadùpe e di tremuoti.Sul regai scudo si leggeva, in cifre Scritte col sangue, questo truce motto: Terroris terror ed un orso d’oro In campo ner lo stemma era del Duca.Un serraglio di belve ed un di donne Nudrìa nella sua reggia ed ei nell’uno Passava i giorni, nell’altro le notti.Alle jene venia col crin spruzzato D ’olio di nardo e co’ lascivi odori Del suo letto d’avorio ed alle donne Redìa col leppo delle sozze jene E lordo il volto pe’ sanguigni baci Della pantera. Un avoltor di Libia Chercuto e fier, solea spesso sul pugno Posarsi del monarca; egli era destro In rapine d’agnelli e di palombe Per bieca natura e dagli schiavi Educato a furar ori ed argenti Con sollazzo del Duca. A sir Drogonte Conte di Puglia, egli spiccava un giorno Col rostro adunco, la più bella gemma Di sua corona, onde ne fu conflitto Fra i due Signori. Ma più pauroso Alla vista e maligno era un serpente, Immane e gonfio e nero, simigliante Nel viscoso strisciar a incatramata Gómena, impresso sull’acuto grifo Portava un marchio qual di teschio umano.

Page 70: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Alla voce del Duca egli tendeva Erte le anella ed ubbidiva come Debil fanciullo. Misteri di sangue E di ferocia infami eran fra il Duca Ed il serpente; guardiano al varco Del gineceo vegliava il mostro attorto Co’ groppi orrendi, né donzella mai Tentò passo di fuga in quelle stanze.

Dodici Conti aveva il Duca elettiA suoi ministri. Un dì bevendo a cena, Ebro il Duca, ebri i Conti (avea ciascuno La sua donna da lato), il Duca afferra, Mosso da noia o da delirio, il crine Di Mirra sua, soave amor, fanciulla Giovanissima e bella, e col pugnale Orribilmente le schianta la testa.Pur al dimane sentì cruccio il Duca Del tetro caso e la sua bruna Mirra Pensò, e l'azzurra delle sue pupille Luce serena e la gentil scienza Delle sue carni or non più calde; e scrisse Per Vitale Candiam, Doge a Venezia E suo congiunto, un famigliar messaggio Ove chiedea la più formosa donna Delle lagune e la più casta. Il Doge Trovò la Dea da un usurier sul lido Della Giudecca, che vendea per oro Le figlie sue; poi su galèa dogale La mandò regalmente a quel di Creta.

Page 71: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

In c u b o

Ogni notte — allo stagno — dell’orto, Cupe e rotte — qual lagno — di morto S’odon queste parol sonar:

Re Orso5 Ti schermi

D al morso De vermi.

Ed ora è notte. Vigila Il Re sul regio letto.

10 D ’oro, di bisso e porporaÈ il morbido guancial;Pur atterrito e livido Ha il Re del cataletto La posa funeral.

15 Né mostro, né fantasimaAppare in quella stanza;Splende una luce glàuca Come fondo di mar;E i fumi dell’olibano

20 In odorosa danzaSi vedono vagar.

Ma le ghiacciate coltrici Rigetta il Re tremante,Ei balza, ei corre ed ulula

25 All’aperto balcon...Traggono i servi ed odesi Allor fra i venti errante Questo funereo suon:

Re Orso30 Ti schermi

D al morso De* vermi.

Tutti tremar, ma un nano Gobbo, rossiccio e strano,

35 Parve surger dal suol.

95

Page 72: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Era il buffon di corte Dalle gambette storte,Il giullare Papiol.Questi rizzato in piè Fa un beirinchino al Re.

Poi dice: «Principe!Paura ammanta Di bujo il fulgido Raggio del sol.Muta il delirio Un’oca in drago,In drago un’oca;Questa è la foca Laggiù del lago Che a notte canta».

Un grido sol Scoppiò per l’aere:«Viva Papiol!».

Allora il Re, composto in un sorriso Il terror del suo viso,

Si volse e disse ad un lurco gigante Che gli stava davante:

«Farai diman per quel gobbo rossiccio Un immenso pasticcio.

Il miglior succo d’ogni ghiottornìa Voglio ch’entro vi sia.

Papiol in premio del sottil pensiero Dee mangiarselo intiero».

Risero i servi e tombolò Papiolo Dieci volte sul suolo.

Poscia soggiunse il Re: «Trol, quella foca Ha voce troppo roca.

La scanna tosto; va.»— «Buon Duca e Donno, Nessun ti turbi il sonno.» -—

Page 73: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

C o n s t r ic t o r

È scorsa un’ora; sulla terra bruna Vaga la luna — tutto è sonno, pace.Il mondo tace. — Nei caldi orizzonti S’ergono i monti — come gruppi vari

5 Di dromedari...

SCENA

«Oliba! sirena dell’adrie lagune,Oliba! vezzosa conchiglia di mar! Disciogli le chiome foltissime e brune, Medusa fatale dal fosco raggiar.

10 L’oscuro zendado ti togli da testa,Discopri la luce freddissima e mestaDi quella tua fronte ch’io voglio mirar. Disfama le ardenti pupille digiune, Oliba! sirena dell’adrie lagune,

15 Oliba! vezzosa conchiglia di mar.»(Ma Oliba non move né voce né passo,

Par fatta di sasso;E il Re maledetto S’attorce sul letto.)

20 «Oliba! per l’aure del lido natale,Oliba! pei canti del tuo gondolieri T ’appressa alla coltre del letto regale, Mia vergine muta dai bianchi pensier. L’amore dell’uomo, fanciulla, è più bello

25 Che quel del l’ione, che quel del torello,Che quel dell’ardente puledro leggier. T ’accosta e ti posa sul molle guanciale, Oliba! per l’aure del lido natale,Oliba! pei canti del tuo gondolier!»

30 (Ma Oliba non muove né voce né passo,Par fatta di sasso;E il Re maledetto S’attorce sul letto.)

«Oliba! per l’atra mannaia del boia!35 Oliba! pel sacro furore del Re!

97

Page 74: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Per l’acre geènna! per l’Orco e la foja! x Pei mille assassinj che pesan su me!

T ’accosta, o fanciulla dal sen di cammèo, Dal crin di basalte, dall’occhio giudèo,

40 Non far ch’io demente ti schiacci col piè!L’ansante tuo petto m’innondi di gioia! Oliba! per l’atra mannaja del boja!Oliba! pel sacro furore del Re!»(Ma Oliba non muove né voce né passo,

45 Par fatta di sasso;E il Re maledetto S’attorce sul letto.)

«A me Lìgula!» repenteUrla il Duca, ed un serpente

50 Già dall’ombra ecco sbucò;Sul terren le ondose anella Negre, viscide, lucenti,Già distese e si drizzò;Già sui piè d’Oliba bella

55 Pone il grifo e già co’ dentiL’ampio velo ne strappò...Già la cinghia e già la serra,Già l’avvince e già l’atterra Strascinandola sul suol!

60 Roteante — striscianteGià depon la smorta amante Sovra il tepido lenzuol!Oh spavento! in stretto morso Su d’Oliba e su Re Orso

65 Si ringroppa il mostro ancor,Già i due corpi in un serrati, Trucemente soffocati Urlan rantoli d’amor!

98

Page 75: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

In c u b o

Il cielo è di cenere, — il suol di carboneE par che ogni platano — annidi un dimòne. Le stelle s estinguono, — la luna s’asconde,I tumuli, i culmini, — le rupi, le fronde,Le curve fantastiche — dell’erto sentiero Son torvi profili — che spiccano in nero.Chi ùlula? un’ùpupa — del lito montano.Chi vola? una nuvola — che va all’uragano. Chi passa? una foglia — dell’irta mandragola, Un grillo che cigola, — il vento che miagola. Lassù fra le nebbie — la stella diana Par l’occhio verdognolo — di qualche befana.

Ed un lamentoChe suona e muor,Viene col vento,Ad or, ad or,Par della foca La voce fioca:

Re Orso Ti schermi D al morso De’ vermi.

*

Pieno di schiavi e popolo È il regio penetrale.Dorme una donna pallida Sul morbido guanciale.E il Re, dall’arsa gola,Com’uom che inorridì,Geme questa parola:«Trol, se la foca hai spenta Qual voce si lamenta Prima che sorga il dì?»Papiol sui storti piè Fa un bell’inchino al Re;

Page 76: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Poi dice: «Principe!Paura ammanta Di nero il fulgido Raggio del sol,T ’han le vertigini D ’un ora pazza Lo spirto assorto.Questa è la gazza Laggiù nell’orto Che a notte canta.»

D ’un grido solTuonò la reggia:«Viva Papiol!»

Allor soggiunse il Re: «Trol, quella gazza Ciarla troppo e schiamazza,

La scanna tosto; va».— «Buon Duca e Donno, Nessun ti turbi il sonno.» —

Page 77: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

P a p io l

Per le bimbe, per i pargoli Dalla fiaba impauriti,Per i nonni fra le tenebre Desti, pallidi, romiti,Cangerò la tetra nenia In un verso allegro e matto,Colla storia ed il ritratto Del giullare Papiol.

Fu il Buffon da una mandragora Messo al mondo, e appena nato Era al par d’un dito mignolo Picciol, magro, affusolato;Poi restò sempre rachitico Fin eh’ei visse ed infermiccio.E la crosta d’un pasticcio Fu la culla di Papiol.

Per cimiero ei porta un guscio Di castagna o di lumaca,Una pelle di lucertola È sua calza ed è sua braca;Gli filava una taràntola Cinque corde al suo liuto;E non v’ha giullar più astuto Del gobbetto Papiol.

Tien la vespa il fine aculeo Dentro il corpo alidorato,Tal Papiolo entro la cintola Tiene un ago avvelenato.Con quell’ago ei fe’ cadavere Più d’un Duca e più d’un Conte, Per quell’ago sir Drogonte Venne spento da Papiol.

Perché un dì presente il Principe Arse vivo uno scorpione,Fu Papiolo eletto al titolo D ’uom di Corte e Centurione.

Page 78: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Sulla terra ancor non videsi Un più gracile arfasatto. Ecco i fasti ed il ritratto Del giullare Papi'ol.

Page 79: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

In c u b o

Cessato è il nembo; va volando intorno L’angiol del giorno — a spegnere le stelle E le fiammelle — che brillan sui fari Dei marinari. — L’esule chiesetta

5 Dell’alta vetta — già si fa men bruna

E ancor la luna Splende sull’ermo Bianca ed immota,Come una nota

10 Di canto fermo.Pure un lamento Che suona e muor Viene col vento Ad or, ad or:

15 «Re OrsoTi schermi D al morso Dei vermi.»

Un fìer gigante e un lepido 20 Nano stan presso al Duce;

Ma sulla fronte livida Del Re, nell’occhio truce V ’è il marchio del terror.Ei sciama in suon terribile:

25 «Troll se la gazza hai spenta,Qual voce si lamenta Sì spaventosa ancor?»Papiol sui storti piè Fa un bell’inchino al Re;

30 Poi dice: «Principe!Paura ammanta Di buio il fulgido Raggio del sol.L’alma inquieta

35 È un pittor foscoD ’ombre e fantasimi.

103

Page 80: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Questo è un poeta Laggiù nel bosco Che a notte canta».

40 E il cuoco TrolMormora ràuco «Bravo Papiol!»

Rispose il Re: «Papiol, quel poeta Ha canzon poco lieta.

45 Coll’ago tu lo pungi.»— «O Duca e Donno, Nessun ti turbi il sonno.» —

104

Page 81: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

A g o e arpa

«Io di Provenza tenero troviero Vorrei cantarti nella mia loquela,Che più soave mi parrebbe e mero L’inno amoroso che il mio spirto inciela.Per te sui voli delPidea cavalco,Cacciando le colombe del pensier;Tu fai di me, siccome fa col falco Il falconier.Tale m’alletta amoroso martòroChe giorno e notte vo cantando e ploro.Tan mabelhis lamorospensaman Quejorn &nuitjeu plore & vai chantan.»

(E il nano Papiol Nascosto fra l’umide — gramigne del suol, Coll’ago gli lancia Rabbiosa puntura,Ma il bel trovatore Non sente dolore,Ha maglia di Francia, - ha forte armatura,

Continua a cantar:)

«Ier notte oravo, il mio dolor blandìa Quasi un soffiar di celestiale avena,E mi si ruppe in cuor XAve-Maria Perché quando fui giunto al gratia piena.Tu m’apparisti, angelicata donna,Tutta piena di grazia e di virtù.Certo salì la prece alla Madonna Ed a Gesù.Tale m’alletta amoroso martòroChe giorno e notte vo cantando e ploro.Tan mabelhis TamorospensamanQue jorn & nuitjeu plore & vai chantan.»

(E il rosso buffon S’incoccia nel pungere - l’armato gheron.E tanto si slancia Nel pazzo furore,

Page 82: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Che torce, che spunta Dell’ago la punta.Ma il bel trovatoreHa maglia di Francia - non sente dolore,

Continua a cantar:)

«Ten vieni, o Donna, nel gentil paese Dove vibran le cetre e le mandòle,Là dove nasce il vago sirventese,Dove si parla in rimate parole.Ten vieni ed io ti salverò, mio nume,Dai mali, dalle lotte e dai viventi,Qual si ripara colla palma un lume In mezzo ai venti.Tale m’alletta amoroso martòroChe giorno e notte vo cantando e ploro.Tan mabelhis Vamorospensaman Quejorn & nuitjeuplore e& vai chantan.»

Page 83: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

T r o l

Pei putti Brutti;

E per le citte Che non stan zitte Intorno al fuoco, Dirò la favola

Del cuoco Trol.

Trol è un colosso Negro, alto, grosso, Ha una figura Che fa paura;Tocca il soffitto Quando sta ritto, Sulla ventraia Tien la mannaia...

Bimbi copritevi Sotto il lenzuol, Che viene Trol!

Trol, cuoco e boja, Strangola e scuoja; Strozza i puttelli, Cuoce i tortelli, Dà vita e morte, Ma le sue torte, Pei santi dei!Non mangierei...

Bimbi, copritevi Sotto il lenzuol, Che viene Trol!

Page 84: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

«Trol!» grida il Duca, ed ecco il fìer gigante Tutto chino e tremante

35 Riman senza far motto. «Il mio gobbetto(Segue il Re) fé’ difetto,

Ruppe Pago e non punse il menestrello.Ora sotto il castello

Io Tho udito trovare una romanza 40 Per non so quale amanza.

Papiol fallò tre volte. Io non perdóno;Quel gobbetto ti dono.»

108

Page 85: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

L a c e n a

Sta notte l’upupa Trovò sul sentiero Che mena al maniero La jena e la lupa;E disse: «Mie care,Tornate da cena?»Rispose la jena:«Ci andiamo, comare.»

La notte nereggia Tristissima e cupa,La jena e la lupa,Son sotto la reggia.

La reggia è un gaio incendio - par che vi nasca il sole, Lumiere e faci irradiano - l’aria che fulge ed ole,I frutti, i fior s’insertono - nei vividi corimbi,Gli ardenti ceri esalano — come un vapor di nimbi,II fulgor delle fiaccole - fa sfolgorar le antiche Muraglie e le panoplie - alle pareti amiche,E spesso la fantastica - nube dell’incensiere Filtra pe’ cavi cranii - dell’ampie cervelliere.Cetre, viole, flàuti - spiran suoni soavi.La sala è zeppa, corrono - chironomonti e schiavi,E Trol fra quelle turbe - nell’orgia vagabonde S’estolle ed erge il petto - come un Triton sull’onde. Siedono a mensa i dodici — ministri, Oliba, il Re;Due curve ancelle tergono - col nardo i regi piè. Tutto è tripudio; in alto - fra le eccelse volute Danzan falène e nottole. - Papiol con celie astute Move a riso quell’orride - facce da jettatura.Il Re: Conti, se jeri - fu notte di pauraPei vivi, io giuro a voi - miei ministri e consorti,Che questa notte i vivi - faran paura ai morti.Guai a voi se vien meno - la baldoria fastosa!I Conti: Viva Orso! — Viva Oliba la sposa!II Re: S’apra il banchetto.

Page 86: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

(- Squilla repente un coro Di trombe, entrano i paggi — portan le mappe d’oro E le uova, ed i favi - del miei d’Imeto, i ciati Murrini, i nappi, l’anfore, — i pani inargentati.)Il Re: Papiol! su moviti! - narra un piacevol motto,Fa saltar lo scojattolo, - fa ballar lo scimiotto,Piangi, cuculia, imagina - qualche nuovo capriccio. Papiol: Dirò le gobbole - quando verrà il pasticcio Che m’hai promesso.

Il Re: - Papiol, non esser fiero Così, sai che il pasticcio — dèi mangiartelo intero. Papiol: E mangierollo - intiero per mia fé.Il Re: Bada, Papiolo, — è più grande di te.Papiol: L’atomo è al desco — del mondo un Tricliniarca; Il tarlo rode il trono, - l’ostrica rode l’arca, fJinsetto succhia il pampino - gigante e picciol gnomo Rosica il monte altissimo, — l’invidia strugge l’uomo — jE divorar io posso, — Messeri, in simil guisa il mio pasticcio.

(I Conti - squittiron dalle risa.Ma già tutti ammutirono. — Suona repente un coro Di trombe; quattro scalchi — portano un pavon d’oro. Trol s’avvicina ed arma - la destra sanguinaria,Poi, volanti cultello, — trincia il paon nell’aria.Tuona di plausi il desco; - ballonzola Papiol.)Il Re: Bel colpo!

I Conti: — Bel colpo! Bravo Trol!

(E intanto i paggi biondi - colman d’eletto vino Le asciutte coppe e l’anfore. — Si rallegra il festino.Il Re canta ad Oliba — e sulle curve forme Dell’aurea tazza ei specchiasi - più orribile e deforme.)

È vin di verdèa,Mia bella Giudea!E vin che c’infonde Le colpe nel core.Ha gocciole, ha onde Di rabbia e d’amore!E vin di verdèa,Mia bella Giudea!

Page 87: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

(Ma la Giudea non beve. - Plaudon le turbe pazze;Re Orso empie e tracanna — tre tazze e poi tre tazze. Squillano ancor le trombe - per più eletto ristoro; Ecco, apparisce un cervo - colle ramora d’oro.)

Papiol: Il Minotauro - dal regai capo storni Que’ superbi ornamenti! - son d’oro, ma son corni. (Nessun rise, alle genti - di quell’evo remoto Parve il bisticcio troppo — scipito e troppo noto.)Ma Trol già il cervo inforca, - l’erge e lo trincia a voi. Il Re: Bel colpo!

I Conti: — Bel colpo! Bravo Trol!

(E intanto i paggi biondi — colman di nuovo vino Le vuote coppe e l’anfore - si riscalda il festino.Il Re canta ad Oliba - e sulle curve forme Dell’aurea tazza specchiasi - più orribile e deforme.)

Questo vino è vin di Cale!Tien lontano il funerale!Bella Oliba, - chi lo liba Questa notte non morrà.Su lo liba, - bella Oliba!Questo vino è vin di Cale,Tien lontano il funerale!

(Ma la Giudea non beve. - Plaudon le turbe pazze,Re Orso empie e tracanna - tre tazze e poi tre tazze. Stridono le mascelle. - La cervogia Sicamb/a Torbidamente spuma - nelle lagène d’ambra.È un traboccar di calici, - un rotear di lame.Ciarlano i Conti e rodono; - sì rozza è in lor la fame Ch’essi alternano il morso - del dente a quel dell’ugna. Trema il desco repente - sotto le salde pugna E all’urlo trionfale - delle celie impudiche Le immonde labbra stillano — il miei sulle loriche. Squillano ancor le trombe - per più eletto ristoro;Son murene che in bocca — chiudon anelli d’oro.Ma il Re fa cenno al boja, - gli favella un istante A bassa voce; ognuno - è livido e tremante.È. scomparso Papiolo.)

Page 88: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Il Re: Dunque messeri,Cessar le risa? or tutti - vi siete fatti seri?Ridi tu, bella sposa!

115 (Ed alla sposa bellaDona un monil d’epìstide. - Tranquillamente quella Sorride e da un corimbo - una mela solleva E la porge a Re Orso, - muta e col gesto d’EvaJ Il Re: T ’arrida il cielo!

120 (E colla destra inermeSpacca quel frutto... orrore!... — orrore! orrore! un verme!! Un verme irsuto e gonfio — gli cadde sulla mano!Ha sovra il capo un marchio - quasi di teschio umano.Il Re fa cenno al boja - e allibito ed ansante

125 Gli favella all’orecchio; - ognun guata tremante.E intanto i paggi biondi - colman di nuovo vino Le vuote coppe e l’anfore, — s’inferisce il festino.Il Re canta ad Oliba - e sulle curve forme Dell’aurea tazza specchiasi - più fulvo e più deforme.)

130 Vin di Scio! vin di Scio! vin di Scio!Questo è un vin che dà morte ed obblio!Questo è un vin che fa simili a Dio!

(Così dicendo in voce — terribilmente gaja Piglia un coltel, sta dietro - Trol colla sua mannaja

135 Sopra Oliba; ma tutti — guatan la tetra ruca;Oliba ha fermo l’occhio - sovra il coltel del Duca.)

« O verme Ti scherme D al morso

140 Dell’Orso!!»

Il Re sghignazzando Esclama e tremando.Poi lordo di bava Si volge alla schiava:

145 | «Tu l’occhio tien fermoI Sul capo del vermo.»

Nessun più favella, - né ride, né liba,L’Ebrea taciturna - sta immota a guatar,

112

Page 89: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Il bruco tramanda — viscose sozzure,...150 Già cade il coltello... - già piomba la scure...

La testa del verme — la testa d’Oliba si vedon cascar E rotolar per terra - insanguinando il suol!!Il Re: Bel colpo!

I Conti: - Bel colpo! Bravo Trol!155 (Ma dal giardin risuona — una mesta cadenza.

Tutti ascoltano; è il canto - del trovier di Provenza:)

O la luna, la luna era una mesta t-M anguida Dea!»-H jivai* per essa ardèa

160 Cd eìiàl dimon dall’ebre voglie impure,> ntico mostro che l’Inferno appesta.

O la luna, la luna era una mesta r anguida Dea!

1 dimon, cui rodea 165 dd esitai ferocia, prese un dì la scure

bbominata, e le tagliò la testa.>

Ei cantava con voce — per vivo amore intensa.Il Re: Trol, quella testa - eh’è là sotto la mensa,Gitta fuor dal verone; — a quel che si lamenta

170 Laggiù par preziosa — giacché par che si sentaMolto in sue note: Oliba.

- Trol si chinò; l’afferra,Schiude il balcon, la scaglia... - S’alza un urlo da terra!!

(La luna biancheggia 175 Mestissima e cupa,

La jena e la lupa Stan sotto la reggia.)

«Josè, Ibraìm, Dom Sancio, - Motaz, Fergùs, Gaudioco, Kranào, Ràchi, Xalenguy, - Han-Kuan, Massud, Urroco!!!

180 Conti e ministri al diavolo! - voglio canzoni e grida!Voglio bestemmie ed orgie! - vo’ che si cionchi e rida!» Così schiamazza il Duca - né alcun osa parlare.Il Re: Su, olà! famigli! - torni tosto il giullare.(Ei disse appena, ed ecco - squillar le trombe in coro

113

Page 90: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

E apparire un pasticcio — tutto rabeschi ed oro.Dovè Papiol, il matto - che dee mangiarlo intero?Tutti cercan d’attorno - il gobbetto ciarliero.)Il Re: Cornè suo modo — dee sbucar dalla crosta.Un Conte: Strano odore! - la mi par troppa tosta.(E intanto i paggi biondi - colman di nuovo vino Le vuote coppe e Panfore, - si ravviva il festino.Il Re canta alle turbe - e sulle curve formeDelPaurea tazza ei specchiasi - più fulvo e più deforme.)

«È vin di Falerno. - È vin delPlnferno.Lo pigia Satana — nelPèreba tana,Com’onda, corn angue Mi guizza nel sangue.NelPèreba tana - lo pigia Satàna,

È vin di Falerno!»

Pur vien da quella crosta — odor di bruciaticcio.Che fa Papiol, che tarda - ad escir dal pasticcio?Il Re piglia un coltello — e con un colpo solo Fa saltare il coperchio!... - o Papiol!!! o Papiolo!!!È là morto, arrostito! - la gobba s’incarbona!Par fagiano o cutrettola — piuttosto che persona!È il suo naso un comignolo - fumante! sono gli occhi Inceneriti! ahi misero! - fé’ la fin de’ ranocchi!!Rise Re Orso, risero — i Conti, e rise Trol.La reggia è un gajo incendio, - par che vi nasca il sol.

Sta mane PupùpaTrovò sul sentiero Che vien dal maniero La jena e la lupa.E disse: «Mie care, Tornate da cena?» Rispose la jena: «Torniamo, comare.»

Page 91: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

In t e r m e z z o s t o r ic o

Page 92: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Quel tempo era il preludio D ’unepopea divina;Correa sul mondo un alito Di vita agitator.Come le vaste cupole DeirEra Bizantina Parean costrutti i cranii Degli uomini d’allor.

S’udian tuoni e tempeste Di catapulte, urtavansi Scudi, mazze, cimier:Per le forate teste Irradiava nell’ anime La santa alba del Ver.

La vecchia età de’ secoli Parea tornare bionda; Crescea nelfuomo il giglio Della serena fé’;Era concilio ed agape La Tavola Rotonda, Religiosa triade:Iddio, la Dama, il Re.

O Titàni! o Baroni!O Guerrini! o Palàmidi! Magna stirpe d’Artù! Prodigi! visioni!Miracoli! miracoli Che non vedremo più!

Di quelTetà fantastica O poesia stupenda!O canto, o Verbo, o rapsode Genio fascinatori Simile al Dio degli esseri Un Dio della leggenda Creava forme e spiriti Di tènebra e d’amor.

Page 93: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Genti balde e beatePonean mente alle favole DeirOrco e del Dimon,E piene il cuor di fate,Di sirene e di lèmuri, Facevano orazion.

Tale in un cerchio magico Puro da immonda labe, L’uomo crescea fortissimo Colla fede nel cor.L’opra del primo scettico Fu di negar le fiabe,Poscia negò il Demonio, Poscia negò il Signor.

Sì! coll’antica folaSorgea quel giusto popolo Chiamato da Gesù:Il canto e la parola,L’amore e la giustizia, L’onore e la virtù.

Sorgeva il Sid purpureo Come una calda aurora, Simigliarne ad aquila,Nel furioso voi;E l’inspirato monaco Che sul collo dell’ora Carcava i pesi plumbei Del suo primo oriuol.

Tutto era gloria! il lezzo Forbìa dei negri secoli La guerriera età;

|E un fraticel d’Arezzo Strillava in cima agli organi: Ut, re, mi, fa, sol, la.

Page 94: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

L e g g e n d a s e c o n d a O r s o m o r t o

Page 95: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

D u e sa g h e

Poscia che al mondo s’era detto 1000,Sotto un rimoto ciel, di là dai mari,Di là dai monti, lontano, lontano, Moriva un Re. Tanto i solchi del tempo Frugato avean su quell’antico vivo,Che le gene parean due palimsesti Carchi d’orrende istorie; la sua chioma Bruna un giorno, poi bianca, era di zolfo E d’ossido macchiata, al par di lino Infracidito. Ancor d’atri baleni Lampeggiava lo sguardo.

E’ vi ricorda D ’un banchetto regai? d’un gaio incendio,

Tutto d’or, tutto sole? era da quello Un secolo trascorso e ancor viveva Lo sposo di que’ giorni; agonizzando,Ma viveva, ed avea centocinquanta Anni varcati. A quel regai banchetto (Narra un’antica saga) ebbero i vini Così gaje burrasche e infuriate,Che verso l’alba si vedean briache Le capocchie cascar dei convitati, Distaccate del torso, a quattro a quattro, Come noci abbacchiate.

*

Un’altra saga Più antica e più veggente ne tramanda

Che in quella notte mugolasser voci Tetre nell’aria, e si vedesse appesa La salma d’un gentil romanzatore A un salice del bosco.

La morente Udìam voce del Duca; ei giace, muto

Ed atterrito, come immota scolta A un varco orrendo; già le molli piume Diventar cataletto; e già le coltri Sudario. Ardon funerei ceri. Un frate

Page 96: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Gli sta d’accanto, un frate bruno e chiuso In lungo sajo. Il labbro di Re Orso Sgorga parole e rantoli; chinato

40 II confessore ascolta. (È la favellaUn torbido liquor che vuol l’orecchio Per allambico.) A lunga confessione Dèi prepararti, o frate, a tenebrosa Litanìa di delitti; in te l’Eterna

45 Misericordia sia consiglio e guida.

122

Page 97: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

C o n f e s s io n e

Son tre giorni, son tre notti Che Re Orso si confessa,Né ancor muore, né ancor cessa. Sia che aggiorni, sia che annotti, Segue un frate in ginocchion, Queireterna confession.

S c en a

RE ORSO: Santo frate beato, io farò dono alla Romana Apostolica Chiesa di 300 talenti e di 40,000 oncie d’oro, e di 200 botti di vino Surrentino, se tu perdoni a questi miei peccati.

FRATE: Ego te absolvo.RE ORSO: In quella stessa notte del banchetto nuziale, verso l’alba (udi­

vo sempre quel misterioso grido) io dissi a Trol: «Se il menestrello s’è impeso di suo genio al salice del bosco, ei più non canta, perché il lac­cio gli stringe il gorgozzule; però t’assenno e giuocherei la testa, che fra i dodici Conti imbriacati v’ha un ventriloquo certo, un di quei ch’hanno una bocca ne’ visceri e son detti spiriti di Pitone. Acuto vibra su lui sguardo e mannaia, lo indovina e lo uccidi»... in quel ch’io di­co... s’udì la voce... e il primo Conte cadde.

FRATE: Requiem.RE ORSO: S’udì ancora la voce... ed il secondo Conte fu morto.FRATE: Requiem.RE ORSO: Caddero tutti.FRATE: Ego te absolvo.RE ORSO: Tuonò la sala come un coro d’idre... e tramortii. Più che

crescea l’incubo di quella voce e più crescea di morti la reggia, e co­me s’aumentavan morti, aumentava l’incubo. In fin che un giorno farnetico d’orrore io riconobbi d’aver recise, ad una ad una, le teste delle mie vaghe consorti, poi d’aver crocefìssi, ad uno ad uno, i miei poveri schiavi, e poi d’aver spente le belve del mio bel serraglio.

Trol in quel giorno s’asciugò più volte la fronte dal sudore. Egli era stanco, e verso notte si coricò queto sul suo giaciglio da ciclòpe. Or­rore!... venne ancora la voce a spaventarmi... ero solo... diserto... nel­la reggia non viveva che Trol... trassi al giaciglio del placido dor­miente, lo destai, e gli dissi: «demonio!...»

Page 98: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

35 (Qui il frate veloceFa un segno di croce...O santo Gesù!Un segno rovescio Tagliato a sghimbescio

40 Col capo all’ingiù!!)

RE ORSO: ... e gli dissi: «demonio! or tu fingevi di dormire, vigliacco, ed ululavi per mio spavento... Il vivo, il solo vivo, l’ultimo vivo della morta reggia tu sei, tu sei lo spirto di Pitone, tu canti! tu gridi! tu ur­li! tu muggi, o maledetto! io ti condanno, e dopo d’aver scannato

45 tutto il popolo mio, scanna te stesso».Trol si scannò. Morì tranquillamente come un beato, colla pace sul vol­

to, e parve a un tratto che da quel possente masso di carne volitasse ad alto un’animella gaia e piccioletta che andava in Paradiso. O san­to frate! santo frate beato! io farò dono alla Romana Apostolica

50 Chiesa di venti conopèi di seta e d’oro, e di ben cento talami d’avo­rio che lasciai laggiù in Creta, se mi assolvi l’uccisione di Trol.

FRATE: Ego te absolvo.RE ORSO: Morto Trol restai solo... solo... solo come un’isola bieca, so­

lo come un Dio decaduto, e non avevo nemanco chi m’uccidesse! La 55 voce tremenda continuava a mugghiare e rendea suono come cfun

pianto di donne, d’una bestemmia di giganti, d’un ululato di belve. Allor raccolsi le mille gemme della mia corona e fuggii... lontan, lon­tano, lontanissimo, e tutto rammingai il quadrato del mondo e ai quattro angoli m’assisi della terra, e vidi il nido della Fenice, e vidi la

60 regione dei fieri antropofàgi, e poi quella dei savi Siasenesi. Più in làd’Egitto e d’Arabia e di Siria e di Giudea corsi, vidi il paese delle gen­ti nere, e sul lago d’Asfalte e sopra il monte Nibes viaggiai, ma sem­pre l’urlo mi seguia della voce. Un secolo viaggiai. Trovai nell’India un giardino che avea le siepi d’oro e i ruscelli d’ambrosia, era l’Eden,

65 v’entrai, ma il mio tumulto sentivo ancora più, fuggii... trovainell’Africa la placida isoletta di Menne ove ha sorgente Lete. Io mi gettai tutto in quell’acqua che annebbia il senso della memoria... ah! come foca che all’onde si ravviva crescea la voce, ed or la sento ancora strepitar nel cerèbro. Oh! santo frate! liberami tu!

70 FRATE: maìit maidrociresìm mangàm mudnùcesy sued iem ereresim.

(In basse preghiere Sta il frate raccolto...O santo Gesù!

124

Page 99: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Il suo miserere 75 Le cifre ha sconvolto

Coi piedi all’insù!)

RE ORSO: Frate, è finita la confessione — sto per morire — m’insegna a dire... un’orazione. Frate! ti dono tutta la mia reggia di Creta e la co­rona mia... tu vigila, tu spìa... il mio funerale... voglio essere imbal-

80 samato da un mago d’Oriente, voglio molti aromi nella bara... e un sudario di porpora, e una cassa d’oro, e un sarcofago di cristallo... e il lamento delle prefiche e voglio... (poni mente)... voglio una mo­neta d’oro nella mano destra per pagare San Pietro. Frate, è finita la confessione... sto per morire... dammi la santa benedizione.

85 (Il frate veloceFa un segno di croce...O santo Gesù!Un segno rovescio Tagliato a sghimbescio

90 Col capo all’ingiù!)

Già d’Orso è l’occhio Nebbioso e torto.Che fu? Fra un rantolo Strozzato e corto

95 Par che nell’animaGli sia risorto Come un peccato Non confessato.Che fu? gorgogliano

100 Le labbra inferme:«Fio ucciso un...»

Re Orso è morto.

125

Page 100: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

L ita n ia

5

Orcus tibi ducit pedes Urla in barbaro latino Il bieco cappuccino.Sotto il letto un rospo gracida, Come un prete al Giubileo,E par che all’orrenda antifona Ei risponda: Ora prò eo.

FRATE. Pape Satan.ROSPO. Ora prò eo.

10 F. Pape Pluton.R. Ora prò eo.F. Pape Ariman. R. Ora prò eo.

15F. Pape Caron. R. Ora prò eo.

20

F. Ch ir on. Geryon. Typhon. Ophion. Gorgon.Demogorgon.Yemonl Yemonl Yemonl

R. Orate prò eo.

25F. Baal-Zebub.

Baal-Fegor.Baal-Tsefon.

R. Orate prò eo.

30

F. Tartareae tenebrae. Tartareum antrum. Tartarei volucres.Tartarea vox.

R. Orate prò eo.

35

F. Bombo! Mormo! Gorgo!

R. Orate prò eo.F. Zxibur.

126

Page 101: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

m mpo

rn ̂

rnpd

m ja

rn ja

rn pa

rn pa

rn ja

m ja

Gadur.Zabulon.

Caîn.Cam.Juda.

Lilith succubo. Haza incubo.

Lilith ephialtes. Haza hyphialtes.

Mar.Nightmare.Cauchemar.

Manto maga.Saba saga.Sarnia lamia.

Sancte Tiberi. Sancte Nero.Sancte Caligula.

Sodoma.Gomorra.Babilonia.

Nitrum.Carbo.Sulphur.

Infirmitas nefanda. Sacra lues. Delirium tremens,

Gula.Luxuria.Ira.

Orate pro eo.

Orate pro eo.

Orate pro eo.

Orate pro eo.

Orate pro eo.

Orate pro eo.

Orate pro eo.

Orate pro eo.

Orate pro eo.

Orate pro eo.

Orate pro eo.

Page 102: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

R.F. Antichriste.R.F. Legio diabolorum.R.F. Strix.

Sphinx.Styx.

Nefaria prex.

Orcus tibi ducit pedes.

Rafel mai amech zabi àlmi.

Finiti i salmiOscillò un moto Di terremoto Com’onda in mar, E rospo e monaco Si dileguar.

Quando al mattino Comparve il sol,Si vide l’abito D ’un cappuccino Disteso al suol.

E come fu?

Nessun si graffa La cuticàgna; Rimase il guscio Della castagna,E Belzebù Mangiò il marron, Ch’era un dimon.

Ora prò eo.

Ora prò eo.

Orate prò eo.

Orate prò eo.

Ora prò eo.

Amen.

Page 103: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

S u d a r io , bara e la p id e

C’è un bel cavalier Che viene da Creta,La folla inquieta,Accorre e s agglomera Per vario sentier.

Del bel cavaliero L’aspetto fatale Emana ribrezzo.Gorgiera, cimiero,Corazza, cosciale,Tutto è d’un sol pezzo.La strana armadura Incute paura.

Vedendolo scorrere Legger come il vento Le donne ed i bamboli Si danno a pensar:«Nell’erta panoplia Di fulgido argento,Per quale incantesimo Potè penetrar?»La strana armadura Incute paura.

** *

«Sono un Re d’un grande impero,Fu Re Orso mio bisavolo,Son venuto a cavalcion Di Libeccio e d’Aquilon,Per assistere all’esequie Di quel nobile guerriero.»Così parla il cavaliero;Sta la folla in ginocchion.

** *

Nel giorno primo della regia esequie, Orso (sia requie)

Page 104: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Fu da uno strolago 35 Del moro Alambra

Unto di balsami D ’aromi e d’ambra,Poi nel sudario Messo a dormir.

40 Era di porporaUn amplio strato,Dove tre vergini Meste cucir Il bel cadavere

45 ImbalsamatoDel morto Sir.

(Pur v’è sul sudario Un picciolo buco Di tarlo o di bruco.)

50 Nel dì secondo della regia esequie,Orso (sia requie)Fu dentro un fulgido Feretro d’oro Calato giù.

55 Cantar i monaciUn santo coro Al Re che fu.

(Pur v’è su quel feretro Un picciolo buco

60 Di tarlo o di bruco.)

Nel giorno terzo della regia esequie, Orso (sia requie)Fu in un sarcofago D ’albo cristallo

65 Messo a posar,Sul vetro un’iride D ’ocra e corallo Venne a brillar.

(Pur v’è sul sarcofago 70 Un picciolo buco,

Di tarlo o di bruco.)

130

Page 105: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Il bel cavalier Venuto da Creta Con posa quieta Sta ritto a veder.

«È finito il funeraleDi Re Orso mio bisavolo;Or io parto a cavalcion Di Libeccio e d’Aquilon.»Così parla quel fatale.Sta la folla in ginocchion.

Ma non parte; muto, ritto,Più non move piè, né tèndine, Né cimiero, né gheron.Forse ei pensa un’orazion.Par sul suol piantato e fìtto.Sta la folla in ginocchion.

Erta sta come cariatide La metallica figura,Eppur, mentre il ciel s oscura, Par che un poco oscilli al vento. Che sarà? Terrori Spavento!!O miracolo! miracolo!...Restò vuota l’armatura!!!

E come fu?

Nessun si graffii La cuticagna;Rimase il guscio Della castagna,E Belzebù Mangiò il marron.

Sta la folla in ginocchion.

Page 106: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

V ia g g io d ’u n v e r m e

Passar tre giorni; sotto il monumentoDorme Re Orso come un buon cristiano;Non sode a notte voce né lamento,

Né verso strano.* * *

5 E* vi ricorda ancora, e’ vi ricordaD ’un banchetto regai, d’un gaio incendio Tutto d’or, tutto sole? e’ vi ricorda Come in mezzo a quell’orgia scatenata Orso uccidesse un verme? — È da quel giorno

10 Un secolo trascorso ed ancor viveQuel verme ucciso: Vermis nonmorietur,Il verme non morrà; morrà il leone,Morrà l’uom, morrà l’aquila, ma il verme Vivrà in eterno. Dal reciso capo

15 Vegeterà più gonfio il circolareLombrico freddo; ei raffigura il tempo,Si logora e rinascerli verme d’Órso Si trascinò colla sua tronca testa Fino al suo covo, e là visse cent’anni

20 Sotto la terra; ma ne l’ora ¡stessaChe Orso fu morto, cominciò un viaggio.

* * *

Il refolo buffa — in rabida zuffa — col mare lontan,E l’irta tempesta — inzacchera e pesta — lo squallido pian.Sull’umide biche — le brune formiche - errando sen van

25 E in trepida foga — più d’una s’affoga - nel giallo pantan.E sera e mattina Un verme cammina.

Sul grifo ha tre branche - e al ventre tre zanche - col viscido umor Del corpo velluto — ei sparge uno sputo - di rabbia e livor.

30 Si gonfia e rappiglia - s’allunga e assottiglia - quel vii vfator,Si snoda e s’annoda - dal capo alla coda - con lento vigor.

Per monti e piaggia Un verme viaggia.

132

Page 107: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

* * *

Passar tre anni. Sotto il monumento 35 Dorme Re Orso come un buon cristiano;

Non s’ode a notte voce né lamento,Né verso strano.

E il verme segue il suo cammin. Tre anni Stette a percorrer l’isola di Creta

40 Senza riposo; all’angolo postremoDi quella terra è giunto, a quel ch’è detto Capo Sidèro. Sta davanti il mare; Immensità. Pel figlìuol del loto È morte il mar; pur convien ch’ei viaggi.

45 Ci son due canonaci — sul basso del lido.Traversa un naviglio — e gridan: «Nocchieri Nocchieri se la barca Non è troppo carca Portateci in mare».

50 E il buon navichier — risponde a quel grido:«Potete abbordare,La barca vi pòrta,Il vento è fedele,Montate pur su.

55 Ho gonfie le veleE poco m’importa D ’un peso di più».Poi chiede: «In qual isola - convien che s’approdi?»

— «A Rodi» rispondono - e in rapido voi 60 La barca viaggia.

Appare una spiaggia Schiarata dal sol.

- «Siam giunti, o canonaci, — nel porto di Rodi,Lo schifo è amarrato.

65 Saltate pur giù».Saltar; ma il prelato - dall’ampia epiderme Frugò nella tunica - per dare al nocchier.

133

Page 108: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Terrori dalla tasca Un verme gli casca Orribile e neri!«È il diavolo! è il diavolo - (ei gridan) quel E fuggono e invocano i Santi e Gesù.

* * *

il verme striscia. Avea ripreso lena Nella scarsella di quel buon prelato,Che sapea di salsiccia, e al tiepidore Di que’ beati fianchi un dolce sonno Gli sopravenne. Appisolò per tutto Il traghetto di Rodi, e al salto brusco Si risvegliò del prete. Or sulla duna Sta esplorando il destin. Iddio protegge I vermi della terra. Ecco, sul lido In groppa al verde carolar de’ fiotti Approda un gatto morto; è la carogna Un paradiso al verme. Il verme corre,E l’ansia cupa delle floscie anella Raddoppia, e l’onda del suo dorso, e sale Sulla carogna. Un soffio di levante Spinge il gatto nel mezzo alla marina Come nave in abbrivio, e il bruco rode Su quel carcame ch’è merenda e barca.

** *

Spira Volturno Nel cid diurno,Di Patmò l’isola Ecco che appar.

E sotto il buon vento Un bel bastimento Galleggia sul mar.— A bordo chi c’è?- A bordo c’è un re.

Spira Garbino (Soffio marino):Di Samo l’isola

Page 109: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

E sotto il buon vento 105 Un bel bastimento

Galleggia sul mar.- A bordo chi c'è?- A bordo c'è un re.

Spira Scirocco,110 Là da Marocco,

E il lido d'Asia Ecco che appar.

E sotto il buon vento Un bel bastimento

115 Si vede approdar.- A bordo chi c'è?- A bordo c'è un re.

Ma il bel palischermo È un micio affogato,

120 É il re ch’è sbarcatoÈ un povero vermo.

***

Passar trent'anni. Sotto il monumento Dorme Re Orso come un buon cristiano; Non s'ode a notte voce né lamento,

Né verso strano.***

♦E quel verme cammina. - E passa Smirne,

E passa Alèp. Fatata è la sua via;Ha lentezze da polipo e rattezze Da rondinella. - Per tre giorni ei solca Le pareti d'un ponte e va coll’aria In grembo d’una foglia, attraversando Monti, golfi, lagune in un baleno.L'anno di grazia 1120,Nel di che Re Luigi avea segnata La pace col Normanno, il viaggiante Lombrico era a Parigi, e le calcagna Stavan sovr’esso d’un'intera plebe Congàudente. Ma un Nume protegge

125

130

135

135

Page 110: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Il verme della terra, e dal suo capo Storna il tallon dell*uomo; il tetro bruco Così fu salvo e continuò il viaggio.

Page 111: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

L a p id e , bara e su d a r io

A mezzanotte - lo scarafaggioIncontra un vermine - sul suo sentier. «Hai Tossa rotte - fratei, coraggio!»Grida beffandolo - Tinsetto ner.

5 E il verme: «Ho corso — la terra e il mare,«Solcai la faccia - del mondo intier. «Cerco Re Orso.» —

— «Se il vuoi trovare «È là da un secolo - nel cimiter».

10 Risponde il vermine:«O scarafaggio,Ti dia la luna Buona fortuna.»- «Tu arrivi al termine

15 Del tuo viaggio.»

A giorno ed a vespero — a notte, a mattina Un verme cammina;

Coi lividi muscoli - si gonfia e rappiglia,S’allunga e assottiglia.

20 Già verso un sarcofago — più e più si strascina,Più e più s’avvicina.

Già tocca il sarcofago. - E sotto la lapideV ’è un picciolo buco,E Torrido bruco

25 Già in quel penetrò.

Passata è la lapide. - Sull’orlo del feretroV ’è un picciolo buco,E Torrido bruco Già in quel si cacciò.

30 Passato è già il feretro. - E in mezzo al sudarioV ’è un picciolo buco,E Torrido bruco Già in quel si gittò.

137

Page 112: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Passato è il sudario. - V’è dentro un cadavere!Già il verme lo tocca! Gli sputa sul teschio! Gli morde la bocca!Già il morto terribile L’avello spezzò.

Re Orso Ti schermi D al morso De* vermi!

Lontan fra le tenebre Un urlo tuonò.

Page 113: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

LO SPETTRO

Son sette secoli, — che a mezzanotte, Appena scoccano - dodici botte

SulToriuol,

Passa un fantasima — che fa del mondo 5 II giro tondo

Opposto al sol.

Terror dei talami - e delle cune,Quando risplendono - le torve lune

Nel fosco ciel,

10 Allora appaiono — a chi non dormeLe morte forme Fuor dell’avel.

Gli rode un vermine - palato e lingua;Pur sul suo scheletro — par non s’estingua

15 La carne ancor.

Quel suo cadavere — imbalsamatoSpande un beato D ’aromi odor.

Come da fetido - mortai miasma 20 Fugga dai balsami — di quel fantasma

Ogni cristian.

Se a notte un mistico - profumo è sorto * Certo quel morto Non è lontan,

25 E allor bagnatevi — coll’acqua santa,E la reliquia - che i spettri incanta

Prendete in man.

Poi dite all’orrido - fantasma impuro Questo scongiuro:

30 Re OrsoTi schermi D al morso De* vermi.

139

Page 114: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

M o r a l e d e l l a fia b a

Page 115: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Né savio motto — né aforismo dotto,Né sermo o perno — di morale eterno

Nessun ricerchi in me.

Sol lo strambo — quaderno - un ambo — o un terno Può dar di botto - per chi giuoca al lotto.

Dunque ascoltate - l’ambo o il terno c’è:Un boja e un frate — Un gobboy un verme e un re.

Page 116: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

R e O r so . F iaba

Introduzione

1. Vivente l’autore, Re Orso conobbe quattro redazioni. La prima [RI] uscì sullo scorcio del 1864 nella “Strenna Italiana” per il 1865 ed in estratto venne riedita dall’editore Brigola nel 1865. La seconda, corredata di sobrie annotazioni di Giammartino Arconati Visconti redatte sotto l’attenta super- visione boitiana, fu pubblicata in volume nel 1873 presso l’editore Bona di Torino [R2], ma la sua gestazione risaliva almeno al 1871, come risulta dalle lettere boitiane al curatore (AB, Lettere inedite e poesie giovanili a c. di Frank Walker, “Quaderni dell’Accademia Chigiana”, XL, Siena, 1959, p. 29 ss). Infine la terza [R3] e la quarta redazione [R4] videro rispettivamente la luce nel 1877 e nel 1902, edite entrambe dall’editore torinese Casanova unita­mente al Libro dei versi. Da RI a R4 Boito intervenne pesantemente sul testo realizzando cospicue varianti, tali da modificare significativamente la struttu­ra originaria.

2. Realizzato in un anno eroico della Scapigliatura boitiana, Re Orso è un prodotto emblematico dello sperimentalismo letterario scapigliato del suo autore - inteso ad aprire le porte all’“arte dell’avvenire” con soluzioni non convenzionali — applicato all’ambito drammatico. Dell’apparato teatrale esso conserva l’alternanza di parti didascaliche (indicazione e descrizione della scena, ragguagli sul movimento e sull’atteggiamento del personaggio) e di parti destinate alla recitazione. Un’opera drammatica, dunque, come già aveva intuito Arturo Pompead (Arrigo Boito poeta e musicista [1919], Vene­zia, La Nuova Italia, 1928, p. 69 e passim)', un’opera teatrale, tuttavia, identi­ficabile piuttosto che in un libretto, in una commedia di tipo sperimentale. È possibile ravvisare in Re Orso una commedia strutturata sul modello aristo­fanesco e più precisamente impostata sulla parabasi, dilatata questa fino a comprendere, oltre il canonico interludio centrale tra le scene comiche, la prima e la seconda parte. La volontà di realizzare un simile progetto speri­mentale Boito l’aveva lasciata intravedere nei suoi articoli di critica teatrale. In particolare nell’anno che precedette l’uscita di Re Orso egli aveva auspicato

(Introduzione e note di Angela Ida Villa, da A.Boito, Opere letterarie, Milano,edizioni Otto/Novecento, 2001, a c. della medesima)

Page 117: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

la necessità «di rifare l’antica parabase della greca commedia» al fine di pro­muovere il rinnovamento del teatro italiano (AB, Cronaca drammatica,, “Per­severanza”, 13 ottobre). Dal canto suo (tanto più che era recente l’insuccesso teatrale delle M adri galanti e altrettanto sentita la volontà di un riscatto) qualcosa di simile tentò di realizzare attraverso Re Orso. E in particolare RI, coevo a tali dichiarazioni (e qui riprodotto in appendice), che meglio per­mette di verificare l’adesione di Boito al progetto da lui suggerito sulla “Per­severanza”. La traccia seguita per la sua realizzazione sembra essere (tanto più che nello stralcio sopra riportato Boito scrive il termine parabasi in francese) lo schema fornito da Artaud nella Note sur la parabase dans la comédie greque posta in appendice alle Comédies d ’Aristophane edite a Parigi da Charpentier nel 1845. Nella biblioteca boitiana è tuttora conservata l’edizione del 1855 con sottolineature apposte alla stessa Note (I-PAcon n. 187). Boito aveva esternato in più d’un’occasione la propria spiccata devozione per Aristofane, da lui considerato un rivoluzionario nel genere artistico di sua pertinenza, tanto da farne, oltre che uno dei padrini dell’arte «realistica» scapigliata, uno scapigliato ante litteram, nelle Cronache dei teatri del “Figaro” del 31 marzo 1864 aveva infatti dichiarato: «Aristofane [...] immaginerebbe una meravi­gliosa commedia senza unità di luogo né di tempo (com’egli scapestrato usava)». Dall’entusiasmo aristofanesco di Boito rimase contagiato il coevo Re Orso. Qui (redazione del 1864) figurano i tre punti fìssi della commedia ari­stofanesca: prologo {Esordio), komos o corteo finale dei personaggi {Morale) e parabasi in posizione centrale {Intermezzo storico). Quest’ultima viene poi riproposta, articolata in sei punti, nelle due parti fondamentali di Re Orso, Leggenda prima e Leggenda seconda, nelle sezioni assegnate cioè da Aristofane alla parte prima e alla parte seconda della commedia.

Guardando alla realizzazione finale si deve senz’altro escludere che l’opera sia stata concepita in previsione di una sua rappresentazione sulle scene. Per Re Orso, nella prospettiva di opera teatrale, si dovrebbe più propriamente par­lare di «teatro della memoria». Ovvero è pensabile che il principio, fissato nell’ambito della retorica classica (dal De oratore di Cicerone, dall’Institutio oratoria di Quintiliano, AzWAd Caium Herennium libri IV) che prescrive l’ordine dei luoghi di memoria (un ordine di tipo architettonico) che conser­vano la materia da memorizzare quale garanzia dell’ordine della sua memoriz­zazione, fonderebbe la partizione in sezioni di argomenti e di personaggi che struttura Re Orso. Si può ricordare che proprio la forma architettonica del teatro quale locus memoriae, già sperimentata da Giulio Camillo (l480ca- 1544), venne prescelta dal filosofo rosacrociano Robert Fludd (1574-1637) per il suo sistema di memoria connotato magicamente ed espresso come due teatri (orientale ed occidentale), illustrati come palcoscenici. Un espediente affine è riscontrabile in Re Orso (la pianta di Re Orso, 1864, in questa pro­

Page 118: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

spettiva è stata da noi riprodotta in “Otto/Novecento”, n. 3-4, 1992 a p. 50 s; sull’arte e sul teatro della memoria si rinvia a Frances A. Yates, L'arte della memoria, tr. it. Torino, Einaudi, 1972, p. 120 ss e 297 ss). Invece il numero dei versi del poemetto boitiano parrebbe discendere, al pari della sua incredi­bile polimetria, da calcoli cabalistici, come venne appurato negli anni Venti: «Si è potuto distinguere un preconcetto numerico [...] in quella inesauribile curiosità di complicazioni e combinazioni a gruppi ternari, quinari, settenari, novenari, non tanto di accenti quanto di cifre; presso a poco una cabala figu­rativa con prevalenza cubica o cubistica a base triangolare» (Giovanni Borrel- li, Linee dello spirito e del volto di Arrigo Boito. “Nerone”, Milano, Bottega di Poesia, 1924, p. 56). Volendo provare ad esemplificare a campione si può osservare che nAX Esordio (redazione 1864), in cui si parla àAX eterno avversie- rot le tre sestine di senari sembrerebbero in linea con l’argomento trattato visto che riproducono il triplice sei della luciferina bestia apocalittica.

3. Nel Re Orso trionfa il «realismo barocco» boitiano imperniato sul grotte­sco, come preconizzato dalle coeve direttive del prologo a Ballatella sull’arte degli «scapigliati romantici in ira». Per la paradossalità delle vicende descrit­te; per l’esasperazione degli esiti caricaturali raggiunti tanto con l’abbassare e il compromettere il decoro delle situazioni con l’indulgere al mostruoso e al deforme (nelle figure di re Orso, di Trol e di Papiol), quanto Col sublimarle a sproposito caricando le tinte dell’ideale (dell’ideale cortese, ad esempio, del trovatore in Ago e Arpa), così da conseguire l’effetto della parodia; per il pre­valere del materiale sullo spirituale (culminante nelle immagini del banchet­to della Cena)', insomma per tutto questo sforzo intenzionale di ridicolizzare con sistematicità le situazioni “serie” ed “alte”, così da indurre al riso che «abbassa e materializza», Re Orso si pone al vertice del grottesco dell’opera letteraria boitiana. Per l’appunto «il tratto caratteristico del realismo grotte­sco è Xabbassamento [...] cioè il trasferimento di tutto ciò che è alto, spiritua­le, ideale e astratto, sul piano materiale e corporeo, sul piano della terra e del corpo nella loro indissolubile unità» (Michail Bachtin, L'opera di Rabelais e la cultura popolare, tr. it. Torino, Einaudi, 1979, p. 26 e 25). Boito convoglia il grottesco, «germe de la comédie» secondo l’Hugo della prefazione al Cromwell, nella pseudoparabasi aristofanesca di Re Orso, vale a dire entro una struttura tradizionalmente di per sé predisposta a sostenere un discorso d’impronta polemica. Come è noto, l’intermezzo centrale tra le scene comi­che nella commedia attica antica era costituito dalla sfilata (in greco paràbasis) davanti al pubblico del coro che, sospesa la finzione scenica per rivolgersi direttamente agli spettatori, trattava argomenti politici, letterari, di costume, indipendenti dal soggetto della commedia. Re Orso, nella prospetti­va di pseudoparabasi, indirizza il grottesco insito nella vicenda tragicomica

Page 119: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

del re ai fini di una diminutio parodica delle convenzioni romantiche nel momento stesso in cui convoca «tutta la compagnia drammatica e l’attrezza­tura teatrale del romanticismo» (Benedetto Croce, Arrigo Boito [1904], in La letteratura della nuova Italia. Saggi critici voi. I, Bari, Laterza, 1956, p. 262).

Obiettivo polemico prioritario (condiviso oltretutto dalle poesie coeve e dalle novelle) è il mito del medioevo riscoperto dai romantici, tant’è vero che l’ambientazione cronologica, posta a cavallo dell’anno 1000 (esattamente tra il 978-79 e il 1120), sul finale è trascinata fino al 1820, all’epoca della pole­mica romantica in Italia. Più precisamente il medioevo qui preso di mira è, come si comprende dall 'Intermezzo storico, quello risultante dalla rilettura in prospettiva cattolica della storia e delle leggende: di quelle arturiane e del Graal nella fattispecie. Lì si accenna alla Tavola Rotonda, che era concilio ed Agape, e alla magna stirpe dArtù. Ed il poemetto è tutto giocato sull’identità etimologica di re Orso con King Arthur. Nella parodia boitiana, re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda vengono ricoperti di ogni rozzezza e negati­vità. Sottintesa è anche la polemica con gli studi filologici e accademici sull’argomento (proprio tra il 1864 e il 1866 il Polidori pubblicò La Tavola Ritonda). Per contro si assiste alla rivalutazione boitiana della linea del «mistero», esoterica ed iniziatica, tornata alla ribalta anch’essa nel primo Ottocento in concomitanza con il revival dell’interesse (e delle polemiche) verso il templarismo, secondo un discorso meglio esplicitato da Boito nella Cornice dei ritratti della Musica in piazza: una linea, pertanto, di cui in sede interpretativa non si potrà non tener conto.

Altri, più smaccati, elementi di trasgressione letteraria balzavano all’occhio del lettore tardoromantico di Re Orso. Primo fra tutti l’inosservanza del prin­cipio secondo cui «la letteratura è espressione della società» e dei suoi corolla­ri. Sintomatiche sono le reazioni di Antonio Ghislanzoni che, «intontito di stupore» dalla lettura dell’opera, sulla “Lombardia” del 27 dicembre 1864 dava segni di non gradire affatto il linguaggio di Re Orso, ostico al lettore comune ed ottenuto, con velleità novatrici, «accozzando le nordiche astruse­rie agli italianismi più disusati della vecchia Crusca, cantando insoliti ritmi con rancide e viete parole». Sicché si chiedeva esterrefatto: «Perché tanto spreco di vocabolario per tradire le proprie intenzioni, la propria coscienza? - Perché inventare e disseppellire X avversiero, il leppo, il preghiero, il piccinacolo, il bambarattolo, il troviero, la donna angelicata, il menestriero, i nimbi, le cer­velli ere, gli sparveratori, le gobbole, il cuculiare, la ruca, la saga, il romanzatore, X impeso, il t'assenno, la cuticagna, il refolo che buffa, Yappisolare, le rattezze, ed altre stranezze? Non si poteva risparmiare questo bel mosaico di voci rispet­tabilissime pur di riuscire più chiaro all’intelligenza comune?». La chiarezza era per l’appunto il requisito poetico fondamentale secondo Ghislanzoni per­ché, rammentava a Boito, «il poeta canta alle masse, e se è vero poeta, sa ren-

Page 120: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

dersi accessibile a tutti»; e «per rendere accettabili e comprensibili le sue idee, dovrebbe preferire la dicitura che più si accosta al linguaggio parlato» (ree. a AB, Re Orso. Fiaba, “La Lombardia”, 27 dicembre 1864, in La pubblicistica nel periodo della Scapigliatura, a c. di Giuseppe Farinelli, Milano, Istituto di Propaganda Libraria, 1994, p. 646 s).

4. La polemica prioritaria affidata alla pseudoparabasi Re Orso non è tuttavia esplicitamente esternata nel testo. Anzi nella Morale della fiaba l’autore arriva a sostenere la tesi del nonsense di Re Orso. Per cui invita i lettori a non volervi cercare alcun sermo o perno - di morale eterno, come in genere viene fatto nelle fiabe. Per un verso ciò corrisponde alla riaffermazione del principio dell’esclu­sione della morale dall’arte sostenuto nel 1864 nella Polemica letteraria in opposizione al cattolicesimo. Realizzato in un anno appunto eroico della Sca­pigliatura boitiana - quello dei proclami iconoclasti in materia di poetica e di religione della Polemica letteraria, concretati nei componimenti d’intonazione gnostica di Dualismo e di Contemplazione —, Re Orso non fa che proseguire un discorso già impostato. Sicché la tesi qui avallata dell’inconsistenza semantica risulta essere nient’altro che un’indicazione per così dire ad usum vulgi. In Re Orso il significato non è latitante: è solo altamente dissacrante.

Apertosi a febbraio con Dualismo, il 1864 boitiano si chiude a dicembre con un’altra prova dualistica consegnata a Re Orso: dualismo morale come coincidenza oppositorum il primo, dualismo radicale, ispirato alle antiche reli­gioni e alle antiche eresie, il secondo. Quest’ultimo tematizza la messa in scena della lotta tra i principi ontologici del Bene e del Male: una lotta vinta dal secondo nel finale, così come avviene nell'Alfìer nero e nel Barbapedàna della Musica in piazza. Anche in Re Orso il discorso non è immediatamente perspicuo, così come non è affatto scontata l’identificazione dei principi del Bene e del Male, dato il ricorso ad una simbologia costruita su riferimenti eruditi, tratti sovente dalle antiche eresie, e peraltro in parte già utilizzati per il Nerone. Il tutto è poi amalgamato dalla tematica templare e giovannita.

Per l’appunto Re Orso è tramato da spunti tratti dal Nerone, allora già in gestazione. Così re Orso, campione di atrocità e di nefandezze, è modellato sulla traccia di Nerone. Ma, malgrado le apparenze, nessuno dei due è l’incar­nazione dell’anticristo. Entrambi sono perseguitati da una voce misteriosa: un’emanazione della Dea Madre Iside, configurata ecletticamente con conta­minazioni gnostiche. Le quali ricorrono sia in Oliba sia in Asteria, della quale la prima è il corrispettivo. Comune a Re Orso e al Nerone è il tema portante: l’avvento dell’anticristo. In Re Orso è incarnato dal verme, dantescamente con­notato come il «vermo reo che ’1 mondo fora» di Inferno, XXXIV 108, con l’aggiunta di attributi prelevati dall 'Apocalisse, dalla gnosi giovannita (quali la decollazione e il simbolico numero trenta poi riutilizzati nell'Alfier nero) e dalla

Page 121: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

gnosi ofita (il verme-serpente, qui e in Iberia descritto come Uroboros, simbo­lo della conoscenza che india). Nel Nerone è celato nel personaggio di Fanuel, pseudomessia modellato sulla traccia del san Paolo delle Pseudoclementine, nel quale si scorge il vero Simon Mago, eresiarca gnostico secondo gli antichi. Sia re Orso — “re cattivo” nella Leggenda prima e “dio cattivo” e decaduto nella Leg­genda seconda,, ove è oltretutto fregiato del monogramma cristologico - sia il Nerone sono immagini del Dio dell’Antico Testamento, interpretato come “dio cattivo” da parte degli gnostici e pertanto perseguitato. L’idea gnostica è l’alternativa religiosa da entrambe le opere proposta. Nel Nerone è il culto isia- co della Dea Madre, rivista in chiave gnostica, ad essere riaffermato, in un’epoca storica in cui il cattolicesimo stava affermandosi, facendo cosi eclissa­re il suo culto che aveva conquistato il bacino del Mediterraneo. In Re Orso, opera d’intonazione templare, è la gnosi giovannita - quella discendente da Giovanni Battista in versione eretica di cui parlano le Pseudoclementine, fon­datore di una setta nella quale si proclamava il vero Cristo e a capo della quale si succedettero prima Dositeo quindi Simon Mago (personaggi questi ultimi del Nerone) —, dottrina nel medioevo riportata in auge dai templari, ad imporsi in concomitanza con riferimenti templari relativi all’epoca storica e all’ambien- tazione prescelte. Sottintesa, infine, è anche la polemica contro le interpreta­zioni in chiave cattolica delle leggende di Artù e del Graal, qui riportate nell’ambito del culto pagano e gnostico della Dea Madre.

N o t e

Epigrafe

È tratta dall’a. II, se. I di The winter’s tale di Shakespeare. Mentre ribadisce il genere fiabesco del componimento preannunciato dal sottotitolo Fiaba, implicitamente ne segnala la caratterizzazione esoterica. The winters tale è un’opera dalle componenti magiche, sovente ricorrenti negli ultimi drammi shakespeariani, ove si attua l’«evoluzione della tradizione ermetico-cabbalisti- ca rinascimentale verso il rosacrocianesimo» (Frances A. Yates, Gli ultimi drammi di Shakespeare, tr. it. Torino, Einaudi, 1979, p. 9; cfr. p. 83 ss.).

Esordio

Metro: sestine di senari doppi e semplici.1-6 Pulzelle... leggenda:, l’autore si rivolge ad una variegata umanità fem­

minile che, in una significativa diminutio ironica, contempla caste giovani (pulzelle), bigotte (pinzochere), domestiche (fantesche) e pettegole (comari).

442

Page 122: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Tutte assai religiose e ben redarguite dal prete intorno alle insidie dell 'eterno Avversiero (il nemico per eccellenza: il demonio), vengono qui messe in guar­dia dall’autore dal leggere la pagina orrenda / di questa leggenda. In seguito a tale monito si insinua nel lettore il sospetto che sia proprio X eterno Avversiero il soggetto trattato in Re Orso.

7-12 O cherci... leggenda: si rinnova la diminutio parodica finalizzata alla satira anticlericale in questa convocazione del mondo ecclesiastico fatto rap­presentare da una squallida categoria di cherci (chierici), di canonaci (ecclesia­stici appartenenti al capitolo cattedrale o collegiale, ma anche persone che conducono vita placida con riferimento alle prebende) e di frati godenti (erano i Cavalieri della Milizia della Beata Vergine Maria Gloriosa, un ordine religioso cavalleresco del XIII sec.; degenerando la loro vita nell’ozio e nel lusso furono spregiativamente chiamati frati gaudenti o del buon tempo), che ha cari unicamente il personale benessere e la quotidiana tranquillità. Anche a costoro va la raccomandazione dell’autore di guardarsi dal leggere l’inquietante leggenda di Re Orso.

Leggenda prima. Orso vivo

[ 1 ,1] A n t ic h e st o r ie

Metro: endecasillabi sciolti. ,1 Prima.. ̂ 1000: la Leggenda prima è ambientata sullo scorcio dell’anno

Mille, anno fatidico e legato a paurose aspettative apocalittiche, prima fra tutte quella dell’avvento dell' eterno Avversiero, l’anticristo.

2-5 Viveva... Re: presentazione del personaggio che intitola la Fiaba (re Orso) e del luogo ove la storia è ambientata (l’isola di Creta). Re Orso tradu­ce King Arthur: «Il nome di Arthur è suscettibile di varie interpretazioni», tra le quali vi è «quella che lo riferisce alle parole celtiche arthos=orso e virosi uomo» (Julius Evola, Il Mistero del Graaly a c. di Franco Cardini, Roma, Edizioni Mediterranee, 1994, p. 56). Non è in contraddizione con tali riferimenti arturiani l’ambientazione a Creta. Infatti nel regno di Arthur «si fu portati a vedere una specie di imagine della funzione regale centrale strettamente connessa con la tradizione iperborea, tanto da valere, alla fine, come questa funzione presa in se stessa, con caratteri simbolici e superstorici. La relazione del regno di Arthur con l’Inghilterra diviene perciò accidentale» e «finisce col confondersi con quello del Graal» {ibidem., p. 56 s). E appunto a Creta la tradizione riconosceva il carattere di centro del Mediterraneo (Aeneis III, 104; Inferno X.IV, 94-5). Il misterioso «centro» di cui parlano le leggende del Graal rientra nella simbologia del «re del mondo», l’erede della tradizione primordiale posseduta dalla razza delle origini «divina» o «simile agli dei» e detentrice di un potere superiore, regale e sacerdotale insieme, vis­

443

Page 123: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

suta nella mitica età dell’oro (Evola cit., p. 41 s). E Creta, secondo il mito classico, fu sede del regno di Saturno e dell’età dell’oro. Pasìfr. moglie di Minosse, figlia d’Elio e di Perseide, sorella di Perse, di Eete, re di Colchide, e della maga Circe; la sua leggenda più celebre ha per teatro Creta e si riferisce ai suoi amori mostruosi con un toro.

6-54 Cento... testa: re Orso è un personaggio terribile ( Terrosis terrore il suo motto). Analogamente re Arthur era ursus horribilisr. «Nennio già aveva spiegato: Arthur latine sonat ursum horribilerm (Evola cit., p. 56). Il carico di nefandezze qui attribuite a re Orso comincia a farlo altresì apparire come un Nerone cretese. Non è però lui ad interpretare la parte dell’anticristo nel poemetto. La sua terribilità infatti non è demoniaca: le continue iniezioni di grottesco ne fanno piuttosto un personaggio tragicomico. Attinenze con il mondo infernale poteva vantare Creta, «paese guasto / [...] sotto ’1 cui rege fu già ’1 mondo casto» (Inferno XIV, 94-6), perché dalle lacrime del Veglio posto sul monte Ida si originano i fiumi dell'Inferno (ibidem, 94-120). Algen­ti catadupe-. fredde cascate, tremuoti: terremoti, leppo', puzzo, chercuto: con la tonsura, groppi: spire.

55-67 Pur... Creta', spiegato l’antefatto prende ora avvio la storia. Per mare giunge a re Orso un’altra concubina, proveniente dalla veneziana Giudecca. Il termine designa tanto un’isola della laguna di Venezia, quanto la IV zona del IX cerchio dell 'Inferno. Vitale Candiany Doge a Venezia'. Vitale Candiano fu doge per un anno, dal 978 al 979 (fu poi costretto a ritirarsi nel monastero di S. Ilario). Con l’inserimento di questo dettaglio storico viene indiretta­mente indicato l’anno d’avvio della vicenda di Re Orso.

[I, 2] In c u b o

Metro: decasillabi (w. 1-3, di cui i primi due tripartiti e con rime interne), trisillabi (w. 4-7, 29-32), settenari (w. 8-28, 33-40), quinari (w. 41-53), endecasillabi e settenari (w. 54-70).

1-32 Ogni... vermi', una misteriosa voce perseguita, come un incubo, re Orso recandogli un pauroso ammonimento: egli deve guardarsi (ti schermi) dal morso di un verme. Il plurale vermi rimante con schermi, riprende la rima dantesca vermi / schermi (Purgatorio X, 124 e 126; l’altra rima boitiana Orso / morso richiama ancora quella dantesca «segnorso» / «morso» di Inferno XXIX, 77 e 79). Il verme, il cui avvento è ora preconizzato dalla misteriosa voce, è lo stesso «vermo» menzionato in Dualismo (1864), ovvero il «vermo reo» (Inferno XXXIV, 108): lucifero, l’eterno Avversiero atteso allo scadere dell’anno mille. A questo sin da ora rimandano altri elementi presenti nella scenografìa in cui avviene l’apparizione della voce. Innanzitutto la luce ten­dente al verde (glauca / come fondo di mar), ritornante in quasi tutti i raccon­ti, nonché nella poesia La selva dorme e spande, che rinvia alla tradizione del

444

Page 124: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Graal come smeraldo luciferino. In RI compariva anche la luna la cui con­notazione infernale come Ecate-Persefone emerge anche qui, in R4, nell’epi­sodio I, 9. Il Nerone boitiano è anch’egli perseguitato da misteriose voci: «Una voce lugubre si sparge nella notte; cessano gli altri canti, s’odono que­ste parole: “Voce dall’Oriente! Voce dall’Occidente!” e tosto un grido ferale la segue: “Nerone-Oreste! Il Matricida» (Milano, Treves, 1901, p. 5). Re Orso è l’uccisore di Oliba e del verme, Nerone della madre. Quale sia il nesso esistente tra i due omicidi si appurerà più avanti, olibano: incenso.

33-8 un nano... Papiol: quello di Papiol «era un nome usato dai giullari. Beltramo dal Bormio aveva un giullare che si chiamava Papiol» (R2, p. 15, n.l).

56 lurco\ ingordo.60 ghiottornìa: golosità.

[I, 3] CONSTRICTORMetro: endecasillabi composti da quinari e senari con rimalmezzo (vv. 1-5), strofe di dodecasillabi con senari finali (vv. 6-47), ottonari (w. 48-68).

6-15 Oliba!... di mar. numerose sono le coincidenze con l’a. II {Il tempio di Simon Mago) del Nerone. Qui Nerone adora Asteria nel tempio gnostico di Simon Mago credendola la dea Iside, la Gran Madre degli dei. A lei si rivolge con gli appellativi di «Selène!, Ecate!, Asteria! / vago Eòne lunar! Magica Iddia / dai mille nomi» (cit., p. 98 s). Dea Madre e dea dai mille nomi è Iside (Apuleio, Metamorfosi XI, 5: «rerum naturae parens, elemento- rum omnium domina, saeculorum progenies initialis, summa numinum, regina manium, prima caelitum, deorum dearumque facies uniformis, quae caeli luminosa culmina, maris salubria flamina, inferum deplorata silentia nutibus meis dispenso: cuius numen unicum multiformi specie, ritu vario, nomine multiiugo totus veneratur orbis»). Tra questi nomi vi è appunto quello di Ecate {ibidem): è questa la Luna («Selene»), considerata però quale divinità che presiede alla apparizione dei fantasmi e ai sortilegi e quale mae­stra di stregoneria, come è accennato ancora nel Nerone («scendono demoni / dalla region lunare. Ecate langue», p. 17). Nel passo citato di Apuleio la Gran Madre Iside si identifica anche con Persefone, dea dei morti e degli inferi: analogamente Asteria è detta «avernalmente» bella (p. 21) ed anche «pallida Dea, tremenda7 protettrice dei morti!» (p. 96). Fogazzaro in una lettera a Boito del 21 maggio 1900 faceva cenno alle «virtù demoniache» della primitiva Asteria del Neroneì quando ancora si chiamava Selene od Elena ed era la compagna di Simon Mago (Piero Nardi, Vita di Arrigo Boito, Milano, Mondadori, 1942, p. 633). Una indubbia caratterizzazione gnostica della Gran Madre Iside del Nerone è insita nell’appellativo attribui­tole di «Eòne lunar»: nella catena di emanazioni del Pleroma (di «genealogia

445

Page 125: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

degli eoni» si parla appunto nel Nerone) la Sophia e il suo consorte sono gli ultimi di trenta Eoni, numero lunare nelle Pseudoclementine; e «nella spiri­tualizzazione gnostica, “Luna” è semplicemente il nome essoterico della figura: il suo vero nome è Epinoia, Ennoia, Sofia e Spirito Santo» (Hans Jonas, Lo gnosticismo, tr. it. Torino, SEI, 1973, p. 127). LOliba di Re Orso rispecchia tale serie di attributi della Dea Madre Iside riferiti nel Nerone ad Asteria. Definita Dea in Antiche storie, Oliba raggiunge regalmente Creta su una galèa: veniva così presentata al suo primo apparire come Iside Pelagia, signora dei mari e protettrice dei naviganti, alla quale in epoca greco-roma­na il 5 marzo era dedicata la festa del Navigium Isidis (tradizione recuperata anche nella boitiana Gioconda, in cui compare una nave denominata Ecate). L oscuro zendado che Oliba indossa è la «palla nigerrima» di Iside di cui si parla nelle Metamorfosi di Apuleio (XI, 3). Il fatto che re Orso le dica: disco­pri... quella tua fronte ch’io voglio mirar rinvia invece al De Iside et Osiride (9) di Plutarco: «A Sais la statua di Atena, che essi identificano con Iside, reca incisa questa epigrafe: “Io sono tutto ciò che è stato, che è e che sarà, e nessun mortale mai sollevò il mio peplo”». Un’esplicita identificazione di Oliba con la dea Luna si ha, con l’artifìcio dell’acrostico, nel canto del tro­vatore ([I, 9] La cena), ove più precisamente è posta la sua identità con Per- sefone, regina degli Inferi. E ciò era già implicito nel fatto che provenisse dalla Giudecca: nome che designa la IV zona del IX cerchio dell ’Inferno dan­tesco ove risiede lucifero, il «vermo reo che ‘1 mondo fora» (Inferno, XXXIV 108). Il fatto che Oliba dalla Giudecca raggiunga Creta via mare richiama l’immagine della «bestia che saliva dal mare» di Apocalisse 13, 1, strumento dell’azione di satana. Come Elena di Troia e come «pecorella smarrita» (in un bordello del Libano), per la cui salvezza discende Simon Mago (entram­bi sono attributi dell’Elena simoniana), Oliba è adombrata nel canto del trovatore (I, 7) rispettivamente ai w. 45 e 46-47. All’aspetto di «pecorella smarrita» rinvia più esplicitamente il nome Oliba: in Ezechiele (23) Ooliba (da cui, per aferesi, Oliba) è una prostituta che si è coperta di ogni abomi­nio ed è pertanto maledetta. Nella connotazione dell’Òliba boitiana si rav­visano, dunque, anche gli attributi dell’Elena di Simon Mago, nel quale gli antichi eresiologi videro un’incarnazione dell’anticristo in quanto considera­to fautore dello gnosticismo.

16-47 Ma Oliba... sul letto: si ripropone il parallelismo con il Nerone (cfr. cit., p. 98 s) in questa Scena di Constrictor in cui re Orso imploraj’immobile e statuaria Oliba di concederglisi così come Nerone fa nell’a. II con Asteria che crede essere la dea Iside.

48-68 A me... d ’amor. nel grottesco gruppo plastico così formato si può ravvisare un’allegoria dell’immagine del dragone alchemico a tre teste simbo­leggiami i tre agenti dell’opus — mercurio (elemento femminile, principio

446

Page 126: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

lunare), zolfo (elemento maschile, principio solare) e sale (costituiva la “tangi­bilità”) - , ed in definitiva della coniunctio oppositorum in chiave alchemica (cfr. Hans Biedermann, Enciclopedia dei simboli, tr. it. Milano, Garzanti, 1991, s.v. Sulphur et mercurius e relativa illustrazione). La scena qui descritta si rinnova nelle parole di Asteria nel Nerone (cit., p. 24: «E già l’angue m’allac­cia e il sen mi cinge / e il petto mi rinserra / E lambe... e stringe / Ed erra / E nell’amplesso della viva spira / sento ancora quel Dio che mi martira!»).

[I, 4] In c u b o

Metro: doppi senari (w. 1-12), quinari (w. 13-8, 35-47), trisillabi (w. 19- 22), settenari (w. 23-34), endecasillabi e settenari (48-50), quinario e sette­nario (w. 51-2).

11-2 la stella diana / par l'occhio verdognolo — di qualche befana: una cele­bre stella diana (Venere, in quanto stella del mattino) è quella del sonetto di Guido Guinizelli; la dissacrazione boitiana rientra nella linea antistilnovistica della coeva Ballatella (1865).

51-2 Buon... sonno: la rima sonno I Donno è già in Inferno XXXIII, 26 e 28. Donno: signore, latinismo.

[I, 5] PAPIOLMetro: cinque ottave di ottonari.

Come un personaggio demoniaco è descritto il giullare Papiol: e ciò è in linea con l’antico giudizio della Chiesa sui giullari (il discorso si ripropone nel Barbapedàna della Musica in piazza). Il suo ago avvelenato, arma mortale nelle sue mani omicide, che è qui paragonato all’aculeo della vespa, richiama il drago del Purgatorio (XXXII, 133-34): «e come vespa che ritragge l’ago, / a sé traendo la coda maligna». Il demonio Gerione ha una coda aguzza e vele­nosa (InfernoYNM, 1 e 25-27), paragonata all’aculeo avvelenato dello scor­pione. E in RI si legge che Papiol mangiò vivo uno scorpione (v. 34). Con tutto ciò si accorda il fatto che sia nato da una mandragola: il termine, oltre a designare una pianta magica dalla radice di forma umana, denomina altresì i «demoni familiari di buona pasta, che appariscono sotto la forma d ’omi­ciattoli sbarbati coi capelli sparsi», nonché «certi piccoli fantocci in cui il dia­volo si rinchiude e che i maliardi consultano nelle critiche circostanze» (Dizionario infernale, Torino, Cassone-Magnaghi, s.d., s.v.). A Papiol sono altresì attribuiti i colori del rosso (rosso buffon) e del verde (per calza e braca ha una pelle di lucertola), entrambi luciferini. Le corde del suo liuto, poi, sono state tessute da una tarantola, dunque da un ragno, il quale è anch’esso un simbolo luciferino (riutilizzato nel Barbapedàna). Quanto alla satira con­tro Mistrali, accentuata in particolare in RI, si rimanda al commento a Bal­latella delle poesie sparse, arfasatto: persona goffa e ridicola.

447

Page 127: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

[I, 6] In c u b o

Metro: endecasillabi divisi in un quinario e in un senario (w. 1-5), quinari (w. 6-14, 30-42), trisillabi (w. 15-8), settenari (w. 19-29), endecasillabo quinario e settenari (w. 43-7).

6-10 la luna... fermo: l'immagine ricorda quella dell’epigrafe mussettiana apposta a Ballatella del Libro dei versi, canto fermo: cantus firmus è, nel canto polifonico, una melodia affidata al tenor che faceva da base al gioco contrap­puntistico delle altre voci, in un primo tempo con valori di durata lunghi ed eguali per ciascuna nota.

[I, 7] A g o e arpa

Metro: strofe di endecasillabi (w. 1-12, 21-32, 42-53), inframmezzate da un quinario (w. 5, 28, 49) e strofe di senari semplici e doppi (w. 13-20, 33-41).

I w. 11-2 sono la traduzione in provenzale dei due immediatamente prece­denti. Il v. 11 riporta una citazione del trovatore provenzale Folchetto di Mar­siglia (m. Tolosa 1231) già inserita in De Vulgari Eloquentia (II, VI, 6 ): «Tan n abellis l’amoros pensamen»; nel v. 12, la fonte di Que jorn & nuitb «Que nuit òc jorn ne m’y faut...; Re di Navarra, Canzone» (R2, p. 28, n. 3), mentre la fonte di jeuplore & vai chantan è il «leu [...] plor e vau cantan», pronuncia­to dal trovatore provenzale Arnaut Daniel (1150 ca-1200 ca), in Purgatorio XXVI, 142. L’anacronismo insito nella menzione di testi di autori posteriori (la Leggenda prima è ambientata prima dell’anno 1000) e l’imprecisione nella definizione troviero... di Provenza fanno pensare all’intenzionalità parodica dell’autore contro la rivalutazione della poesia provenzale attuata dal romanti­cismo nell’ambito della ripresa degli studi sul medioevo, poi portata avanti nella Cornice dei ritratti della Musica in piazza. Si aggiunga l’accenno di pole­mica antistilnovista insita nel fatto che Xangelicata donna qui cantata è Oliba, la meretrice di Ezechiele. Qui è identificata con l’Elena troiana allorché il tro­vatore l’awerte che nel suo paese si parla in rimate parole*, così come fa Faust con Elena nell’a. IV del Mefistofele (La notte del sabba classico), avena: zampo­gna. gheron: falda della gonnella maschile.

[I, 8] TROLMetro: aprono un trisillabo ed un bisillabo (w. 1-2, ritornanti nei w. 7-8); seguono quinari (w. 3-6, 9-32) e chiudono endecasillabi e settenari alternati (w. 33-42).

Come Papiol anche Trol, al quale re Orso affida l’esecuzione degli omicidi, è, come detto più avanti (II, 2, 52), una figura demoniaca. Delle quattro bestie della visione di Daniele (7,1-12), parafrasata infra (II, 5), Trol nei w. 9- 16 e 21-23 sembra interpretare la quarta (7,7). ventraiar. cfr. Lnferno XXX, 54.

448

Page 128: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

[I, 9] L a c en a

Metro: versi senari (1-12, 67-74, 141-46, 174-77, 210-17), martelliani con prevalenza però del primo settenario sdrucciolo (13-66, 75-89, 97-129, 133- 36, 155-56, 167-73, 178-93, 200-9), ottonari (90-96), decasillabi (130-32), trisillabi (137-40), senari doppi (147-50), polimetri (151-54), endecasillabi, quinari, settenari con acrostico (157-66), senari doppi e semplici (194-99).

La scena grottesca di re Orso a mensa con i suoi dodici ministri è una parodia di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, ai quali si accenna nel successivo Intermezzo storico. Non manca nemmeno il Graal (introdotto nella materia arturiana nel XII sec. da Chretien de Troys nel Perceval le Gal- lois ou le Conte du Graal). Questo è in Re Orso fatto comparire nel corso della cena, così come avveniva nel Perceval le Gallois. La scena risultava più perspicua in RI: «Allor la mesta Oliba — sovra argenteo bacile / Pone una mela, al Duca - presentandola umile. / Il Re: Grazie, fanciulla. / (E colla mano inerme / spacca quel frutto... orrore! - orrore! un verme!!». Il Graal è qui (come nel Perslevaus) identificato con un oggetto che può assumere diverse forme. Innanzitutto quella del piatto d’argento (allusivo a quello che avrebbe sorretto la testa del Battista); quindi quella dello stesso verme (che “fora” la mela): il «verme reo che ’1 mondo fora» di Inferno XXXIV, 108, lucifero. Con questo veniva di nuovo implicitamente identificato in R4 attraverso la pecisazione: [Oliba] una mela solleva I e la porge a Re Orso, — muta e col gesto d'Èva, ove l’accostamento Eva-mela-verme suggerisce l’assi­milazione del verme al serpente edenico. Mentre il verme-serpente rinvia alla gnosi ofita, il successivo taglio della testa da parte di re Orso e il bacile d’argento rimandano alla gnosi giovannita, la presunta dottrina segreta dei templari, e alla leggenda del Bafometto degli stessi templari, da alcune tra­dizioni identificato con un Graal luciferino, corimbi: decorazioni a grappo­lo. panoplie: armi disposte a trofeo come ornamento, cervelliere'. copricapi protettivi in ferro portati sotto i cappelli, chironomonti: dal latino chirono- mon, pantomimo, mappe: tovaglie. Imeto: Imetto, catena montuosa dell’Attica, ciati Murrini: piccoli recipienti di murra, cuculia: sbeffeggia. gobbolc. cobbole, brevi componimenti della poesia provenzale destinati ad essere musicati. Tricliniarca: dal latino tricliniarcha, direttore del banchetto. scalchi: servitori preposti al taglio e alla distribuzione delle carni. Cale'. Por- tus Cale, antico nome di Vila Nova de Gaia, da cui la moderna denomina­zione Portogallo, cervogia Sicambra: birra tedesca, lagene', recipienti a forma di boccale, loriche*, corazze, epistidc. epistite, minerale usato dagli antichi per fabbricare specchi ustori. Schio: Scio o Chio, isola della Grecia, ruca: bruco. Belial: nome di demone, cionchi: mozzati. Falerno: antico territorio della Campania, ereba tana: dimora dei morti nella mitologia greca, cutrettola: uccello dei Motacillidi.

449

Page 129: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Intermezzo storico

Metro: dieci strofe alternativamente di otto e di sei settenari.La celebrazione del medioevo è qui effettuata in termini encomiastici

quale epoca di rinascita della serena fé , in cui luomo crescea fortissimo / Colla fede nel cor, come protetto in un cerchio magico. Di per sé quest ultima preci­sazione — i cerchi magici trovavano impiego nelle evocazioni demoniache — fa suscitare perplessità nel lettore circa la genuinità delle asserzioni di integra­lismo religioso medioevale così entusiasticamente e risolutamente formulate. Peraltro le argomentazioni boitiane a sostegno dell’assunto dell’ortodossia religiosa del medioevo risultano ambiguamente formulate, tant’è vero che a tratti da esse trapela la realtà di un medioevo religioso percorso da vasti movimenti settari ed ereticali serpeggianti in tutt’Europa. Il dubbio intorno al dogmatismo cattolico è implicitamente indicato quale scaturigine delle eresie medioevali che minarono l’ortodossia cattolica: Tale in un cerchio magico / Puro da immonda labe, / Luomo crescea fortissimo / Colla fede nel cor. / Lopra del primo scettico / Fu di negar le fiabe, / Poscia negò il Dimoniot / Poscia negò il Signor. In particolare viene velatamente richiamato il manichei­smo, in parte inglobato nel medioevo dal catarismo: Simile al Dio degli esseri / Un Dio della leggenda / Creava forme e spiriti / Di ténebra e damor. I riferi­menti alla Tavola Rotonda e alla magna stirpe dArtù implicitamente richia­mano la controversa leggenda del Graal, riletta ora nella chiave di un mistici­smo pseudocristiano, ora di un esoterismo nero.

20 Tavola Rotonda,: la leggendaria assise di cavalieri, tra cui Lancillotto, Tristano, Galvano, che si riunivano con re Artù intorno ad una tavola roton­da, sulle cui imprese fiorì in Francia, tra il XII e il XIII sec., un’imponente letteratura. Il tema arturiano inglobò progressivamente altre leggende, fra cui quella della ricerca del Graal perduto.

24 Guerrini: Guerrin Meschino è il protagonista dell’omonimo romanzo cavalleresco di Andrea da Barberino (1370 ca-1431 ca), ancora molto popo­lare nel XIX sec. Palàmidi: Palamede, personaggio della mitologia greca, è un eroe del ciclo troiano; la sua leggenda si sviluppò indipendentemente dai poemi omerici.

25 Artù: leggendario fautore della resistenza romano-bretone all’invasione dei sassoni. Idealizzato come un sovrano e un eroe nazionale, divenne il pro­tagonista di tradizioni favolose, che costituirono la “materia bretone” della narrativa medioevale, che gli attribuirono l’istituzione della Tavola Rotonda e attribuirono ai cavalieri suoi adepti mirabili imprese cavalleresche.

41 lèmuri: presso i romani erano gli spiriti malvagi e vaganti dei morti.43 Tale... labe, riferimento alla funzione che avrebbero i cerchi magici di

proteggere l’evocatore dagli assalti dei demoni evocati; ritorna in Iberia.

450

Page 130: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

57 II Sid\ sid (cid in spagnolo) è contrazione dell’arabo sayyid, signore; Cid Campeador è il nome leggendario di Rodrigo Diaz de Bivar o de Vivar (1043 ca-1099), nobile spagnolo immortalato nel Poema de mio Cid (XII sec.); celebrato come un eroe purissimo dalla tradizione epica, venne succes­sivamente ridimensionato dagli storici quale cinico avventuriero.

61-4 E l'inspirato... oriuol «Gerberto [di Aurillac] monaco (che fu poi [dal 999 al 1003] papa Silvestro II) inventò gli orologi a pesi, fece della forza cen­tripeta una forza motrice, 650 anni prima che nascesse Newton» (R2, p. 47, n. 1); le generazioni successive considerarono addirittura demoniache le sue vastissime conoscenze.

68-70 E un... la: Guido d’Arezzo (997ca-1050ca), teorico musicale, è qui ricordato quale ideatore della formula mnemonica per ricordare l’esatta intonazione delle note, ottenuta assegnando a ciascuna un nome (ut, re, mi, fa, sol, la) corrispondente alla prima sillaba di ogni emistichio di un inno gregoriano a san Giovanni («Ut queant laxis / Resonare flbris / Mira gesto- rum / Famuli tuorum / Solve polluti / Labi reatum Sancte Johannes»). Boito ne diede, nel 1882, un rifacimento in versione laica nei versi per musica intitolati Per la celebrazione di Frate Guido: « Uà 1 di Guido regola superna, / Àf/suratrice facile de’ suoni, / Solenne or tu laude a te stessa intuoni; / S/llaba eterna!» (AB, Tutti gli scritti, a c. di Piero Nardi, Milano, Mondadori, 1942, p. 1368).

Leggenda seconda. Orso morto

[II, 1] D u e sa g h eMetro: endecasillabi sciolti (i w. 11-2, 24-25, 30-31 sono il primo un sette­nario e il secondo un quaternario).

6 gene, guance, palimsesti: manoscritti pergamenacei in cui la primitiva scrittura, raschiata, è stata sostituita con un’altra.

33 scolta: sentinella.

[II, 2] C o n fe s s io n eMetro: ottonari (w. 1-6), senari (w. 35-40, 71-76, 85-90), quinari (w. 91- 102; il v. 101 è un ternario che sottintende un quinario). Romualdo Giani aveva osservato che le parti in prosa inglobano endecasillabi e quinari.

7-52 Santo frate... absolvo: prossimo alla morte, re Orso confessa ad un frate i suoi innumerevoli peccati. Si viene così a sapere che, oltre Oliba e il verme, ha fatto uccidere o indotto all’omicidio ad uno ad uno tutti i suoi servitori e il trovatore, sospettandoli di essere gli artefici della misteriosa voce che lo perseguita. Re Orso, pretendendo l’assoluzione dietro promessa di donazioni alla Chiesa, è caratterizzato come un simoniaco, spiriti di Pitone. drago mitologico, Pitone, in quanto figlio della Terra, emetteva oracoli, come

451

Page 131: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

un coro d'idre, si riferisce alla credenza che le teste del mostruoso serpente mitologico ricrescessero una volta tagliate.

53-69 Morto...tub. per cent anni re Orso, Dio decaduto, viaggia per il Mondo nel vano tentativo di allontanare la voce misteriosa che lo perseguita come un incubo. L’Arconati Visconti annotava: «Qui l’autore à seguito evidentemente la geografia di Cosmo indicopleusta ove si legge che la terra à la forma di un parallelogrammo. Pare che l’autore abbia tolto parecchie nozioni anche dal Mappamondo di Brunetto Latini, al L. Ili» (R2, p. 54, n.l). Della Topographia cristiana di Cosmas Indicopleustes, del XI secolo, l’autore originale è un mer­cante cristiano del VI secolo; in questa riproduzione medievale la terra è un rettangolo piatto sotto la volta celeste, uno scrigno che richiama il tabernacolo di Mosè. Riferimenti alla Fenice, ai fieri antropofago, al monte Nibes e all 'Eden indiano in effetti si rintracciano nel 1. Ili, cap. II del Trésor di Brunetto Latini. il nido della Fenice, si riteneva che la patria dell’uccello leggendario, che mori­va nel proprio nido (fatto di erbe aromatiche, incenso e amomo) per poi rina­scere, fosse l’Etiopia. Sienensv. gli abitanti dell’antica Siene, città dell’alto Egit­to (l’attuale Assuan), lago d'Asfalte. Asfaltide è l’antico nome del Mar Morto, che è appunto un grande lago. Lete, la Fonte dell’Oblio, situata agli Inferi, alla quale secondo la mitologia classica i morti bevevano per dimenticare la oro vita terrena. Per l’isola di Menne si cfr. Livres dou Tresor par Brunetto Latini, Paris, Imprimerie Impériale, MDCCCLXIII, 1 .1, p. IV, c. CXXV, p. 170s, volume presente nella biblioteca boitiana (I-PAcon n. 882).

71-90 maùt... ingiù: con la recita del Miserere trascritto a rovescio e con il segno di croce egualmente rovesciato (col capo all'ingiu) e obliquamente tagliato (a sghimbescio) il frate rivela la sua natura luciferina, peraltro poco oltre apertamente dichiarata. Difatti, «secondo i cabalisti, il nome del Demo­nio, o del male, si compone delle lettere rovesciate del nome di Dio o Bene» (Eliphas Levi, Il dogma e il rituale dell'alta magia, 1855, tr. it. Todi, Atanòr, 1921, p. 93 s). Quella del frate demoniaco è una figura verosimilmente pre­levata da Boito dalla letteratura faustiana, tant’è che anche nel Mefìstofele l’omonimo demonio è fatto comparire a Faust sotto le spoglie di un frate; l’espediente è riproposto nelle novelle boitiane. Una particolare avversione per i frati è tipica dei giovanniti (Edmondo Lupieri, Giovanni e Gesù: storia di un antagonismo, Milano, Mondadori, 1991, p. 161 s). moneta d'oro nella mano destra per pagare San Pietro. «una consimile superstizione esiste ancora fra i paesani del Morvan ed è nota sotto il nome di danaro di Caronte ̂ v. Beaudieu, Le Morvan» (R2, p. 55 n.l).

91-101 Già... un: il peccato non confessato, ovvero l’uccisione per decol­lazione del verme, determina la condanna finale di re Orso (II, 6). La rima inferme / verme, lasciata sottintesa, riecheggia quella dantesca infermi I vermi (Purgatorio X, 122 e 124).

452

Page 132: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

[II, 3] L itania

Metro: ottonari (w. 1-7) e quinari (w. 94-112).Recitata dal frate mefistofelico coadiuvato da un rospo, anch’esso simbolo

diabolico (Gerd Heinz-Mohr, Lessico di iconografia cristiana,, Milano, Istituto di Propaganda Libraria, 1995, s.v. diavolo, simboli del), è questa una litania infernale. Nell’ambito della letteratura milanese un analogo apparato infer­nale si trova In mort del consejer de stat cav. Stanislao Bovara e in On striozz (On esempi) dei Poemetti di Carlo Porta.

1 Orcus... pedesr. «Svetonio, Nero, c. XXXIX» (R2, p. 57 n.l).10 Plutom Ade, dio degli Inferi.12 Arimam nel mazdeismo è il principio divino del male. Si può ricordare

Ad Arimane dà Giacomo Leopardi.14 Caron: il traghettatore infernale.16 Chiron: uno dei centauri (sorta di demoni della natura viventi nelle

foreste e sui monti impenetrabili).17 Geryom guardiano del cerchio dei fraudolenti nell’ Inferno.18 Typhom demone che provocava tempeste e terremoti.19 Ophiom serpente primordiale e creatore.20 Gorgon, demone dell’eresia in Inferno IX, 52 (Jacopo della Lana).21 Demogorgon: demonio della terra.22 Yemon, Yemon> Yemom «esclamazione sabbatica» (R2, p'. 58, n.8).24-6 Baal... Fegor. Belzebù (signore [Baal\ delle mosche), principe dei

demoni e Belfegor, demone delle scoperte e delle invenzioni.33-5 Bomboli Mormo/ Gorgo!: «formule d’evocazione; v. Origene, Phili-

sophumena» (R2, p. 58, n .ll).39 Zàbulon: «demone il quale possedeva una monaca conversa di Lou-

don» (Dizionario infernalecit., s.v.).45-9 Lilith... hyphialtesr. «Lilith capo dei succubi o ephialtes, demonio fem­

mina» e «Haza capo degli incubi o hyphialtes, demonio maschio» (R2, p. 59, nn. 3 e 4).

51-3 Mar, Nightmare, Cauchemar. «sinonimi tedesco, inglese e francese di incubo» (R2, p. 59, n. 5).

59-61 Sancte... Caligula: imperatori romani nei quali si vide l’incarnazio­ne dell’anticristo.

64-6 Sodoma. Gomorra. Babilonia: le prime due nella Bibbia sono ricorda­te per la depravazione morale dei loro abitanti; la seconda è la «grande pro­stituta» dell’ Apocalisse.

67-9 Nitrum. Carbo. Sulphur. «sono le tres matrices della polvere da sparo» (R2, p. 59, n. 6), dunque strumenti di morte.

72 Sacra luesr. la sifilide. Fu denominata «morbo del basilisco»: «Come il basilisco è il re dei serpenti, così, secondo Sant’Agostino, il demonio è il re

453

Page 133: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

dei diavoli. [...] Tra i peccati capitali, esso simboleggia la lussuria e viene I combattuto da Cristo, assieme al leone e al drago» (Biedermann cit., s.v.).

85 Strix. presso i romani era lo spirito malvagio che strazia i lattanti.8 7 Styx. Stige, nome del fiume infernale e della dea che lo rappresenta.93 Rafel mai amech zabi àlmi: è il «Raphèl mal amècche zabì almi» pro­

nunciato da Nembrot in InfernoXXXI,67. cuticagna: InfernoXXXll 97.

[II, 4] S u d a r io , bara e la pide

Metro: senari (w. 1-23), ottonari (w. 24-31, 76-94, 102), endecasillabi, qui­nari e senari (32-75), quinari (95-101).

35 Alambra: antica popolazione dell’interno dell’isola di Cipro.9 4 Restò vuota l'armatura: cfr. il finale di La mascherata della Morte Rossa

di Poe.

[II, 5] V ia g g io d ’u n v e r m e

Metro: strofe saffica (w. 1-4, 34-37, 122-25), endecasillabi sciolti (w. 5-21, 38-44, 73-90, 126-41), strofe di triplici senari chiuse da senari semplici (w. 21-33), senari doppi e semplici (w. 45-71), dodecasillabo tronco (v. 72), strofe di quinari e di senari alternati.

10-20 ancor... terra: il verme decollato da re Orso in realtà non è morto. Ora la sua identità luciferina è manifestamente asserita. Vermis non morietur è il v. 66, 24 di Isaia: il verme che non muore è quello dei ribelli contro Dio.Il più celebre ribelle, lucifero, è designato «vermo reo che ’1 mondo fóra» {Inferno XXXIV, 108). Boito così parafrasa e reinterpreta la definizione dan­tesca: fuoriuscito da una mela attraverso un foro (I, 9), anche il verme di Re Orso, che ha il suo covo sotto la terra, può dire: solcai la faccia - del mondo inter (II, 6, v. 6). La guarigione del verme decollato e l’affermazione D al reci­so capo / vegeterà più gonfio rispecchiano le sorti della bestia apocalittica, emissaria del dragone satanico: «una delle sue teste sembrava come colpita a morte, ma poi la sua ferita mortale fu guarita» {Apocalisse 13, 3). Un’altra e più palese identificazione del verme di Re Orso col demonio si legge al v. 71:«è il diavolo! è il diavolo — (ei gridan) quel verme». La definizione del verme quale circolare lombrico corrisponde a quella dell’Uroburo, il serpente che si morde la coda (descritto anche in Iberid). Esso «rappresenta in figura di ani­male il cerchio nel suo personificare l’“eterno ritorno”, e indica che ad ogni fine corrisponde un nuovo inizio, in una ripetizione costante. [...] il “circolo vizioso” dell’animale rappresenta la metafora espressiva di una ripetizione ciclica, per esempio del “ciclo dei tempi”» (Biedermann cit., s.v.); il che spie­ga l’aggiunta boitiana: ei raffigura il tempo, / si logora e si rinasce. Data la caratterizzazione luciferina del circolare / lombrico di Re Orso si può aggiunge­re che nel cosiddetto Inno della perla degli Atti apocrifi di Tommaso il ser­pente mangiacoda è qualificato come «reggitore e principio malvagio di que­

454

Page 134: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

sto mondo, nella forma del dragone del caos originario, circondante la terra. La Pistis Sophia [...] dice: “La tenebra esterna è un immenso dragone la cui coda è in bocca”. [...] Il parallelo gnostico più vicino al nostro racconto va ricercato nel testo ebraico apocrifo, gli Atti di Ciriaco e Giuditta», ove com­pare « il dragone, il “re dei vermi della terra, la cui coda è nella sua bocca. Questo è il serpente che ha fuorviato gli angeli per mezzo delle passioni, allontanandoli dall’alto; questo è il serpente che ha condotto fuori strada il primo Adamo e lo ha scacciato dal paradiso”» (Hans Jonas cit., p. 134 s). Il verme non morrà; morrà il leone, / morrà l'uom, morrà l'aquilay ma il verme / Vivrà in eterno: leone, aquila e uomo sono gli attributi della prima bestia luciferina (7,4) della visione di Daniele (7,1-12).

38-132 E il verme... baleno: rimasto cent anni nel rifugio sotterraneo, alla morte di re Orso il verme si mette in viaggio: attraversata Creta, a Capo Side- ro si imbarca per Rodi, tocca le isole di Patmo e di Samo e approda sulle coste mediorientali {lido d'Asia); lasciata la Turchia (Smirne) e la Siria (Alèp) prosegue con un itinerario lasciato evasivo. La direzione intrapresa dal verme per raggiungere la tomba di re Orso pare essere quella della Terrasanta.

64 schifo: imbarcazione al servizio di una nave maggiore, amarrato: dal francese amarrer, ormeggiato.

74-5 scarsella... salsiccia, altra nota polemica contro i frati “godenti”.91-121 Spira... vermo: è qui posta l’identificazione del vermo con un re. Il

vermo di Re Orso, qui “perforatore” della mela ad immagine del «vermo reo che ’1 mondo fora» di Inferno, XXXIV 108, è il «principe di questo mondo», satana. Volturno', grecale, vento di nord-ovest. Garbino: vento di libeccio.

133-6 L'anno...Parigi', lasciato il medio oriente improvvisamente troviamo il verme a Parigi. Re Luigi è Luigi VI, re di Francia, detto il Grosso (1080 ca- 1137); il Normanno è Enrico I (1068-1135), figlio di Guglielmo il Conqui­statore e re d’Inghilterra. I due guerreggiarono a più riprese data la volontà di Enrico I di riunifìcare i domini normanni sotto la corona inglese; questi sconfìsse l’avversario nel 1119. Il viaggio compiuto dal verme per raggiunge­re la sepoltura di re Orso segue un percorso singolare: arrivato nei pressi della Terrasanta, il verme viene improvvisamente catapultato in Francia nel 1120. Il dato suggerito è l’evento compiutosi durante il regno di Luigi VI (1108- 37) all’epoca dell’anno indicato nel testo: un evento riguardante la Terrasan­ta. Proprio nel 1118 o nel 1119 o nel 1120 (queste le differenti datazioni proposte dagli storici), per iniziativa di un cavaliere della Champagne, Ugo di Payns, venne fondato a Gerusalemme l’ordine dei templari; stroncato all’inizio del XIV secolo da papa Clemente V e dal re di Francia Filippo il Bello con l’accusa di eresia e di satanismo, l’ordine sarebbe sopravvissuto nella massoneria. Un altro aspetto concomitante va altresì considerato. «Il Patriarcato della Chiesa Joannita [...] secondo la tradizione templare sarebbe

455

Page 135: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

stato trasmesso in Efeso Tanno 1118 a Ugo di Pagani, fondatore e primo Gran Maestro dell'Ordine del Tempio, per sé e per i suoi successori nel Gran Magistero dell'Ordine» (quanto a Re Orso c’è da osservare che nel contorto viaggio del verme la località di Efeso non viene espressamente menzionata, bensì implicitamente allusa: essa si trova tra la città di Smirne e l’isola di Samo da esso toccate); da ciò deriverebbe il titolo di «Patriarca delle Crocia­te» attribuito al XXIX grado massonico scozzese, avente carattere templare (Vincenzo Soro [a c. di], Il gran libro della natura. Opera curiosa del secolo XVIII, Roma, Atanòr, s.d. [1921], p. 161 n.). «In quell’epoca, esisteva in Oriente una setta di cristiani giovanniti, che pretendevano di essere i soli ini­ziati ai veri misteri della religione del Salvatore. Pretendevano di conoscere la storia reale di Gesù Cristo e adottavano in parte le tradizioni ebraiche e i rac­conti del Talmud. I grandi pontefici di questa setta prendevano il titolo di “Cristo”. Colui che, all’epoca della fondazione dell’ordine del tempio, si attribuiva questi privilegi immaginari si chiamava Teocleto. Costui conobbe Hugues de Payens, lo iniziò ai misteri e alle speranze della sua cosiddetta Chiesa; lo allettò con le idee di sacerdozio sovrano e di monarchia suprema, e lo indicò infine come suo successore. Così l’ordine dei cavalieri del tempio fu intaccato fin dalla sua origine dallo scisma e dalla cospirazione contro i re. Queste tendenze rimasero avvolte in un profondo mistero ed esteriormente l’ordine faceva professione di perfetta ortodossia. Soltanto i capi sapevano dove volevano arrivare; gli altri li seguivano senza alcun sospetto. Acquistare potere e ricchezze, poi combinare intrighi e all’occorrenza combattere per instaurare il dogma giovannita: ecco lo scopo e i mezzi proposti ai frati ini­ziati. Si diceva loro: “Vedete che il papato e le monarchie oggi mercanteggia­no, si comprano a vicenda, si corrompono, e domani forse si distruggeranno l’un l’altro. Tutto ciò sarà l’eredità del tempio. Il mondo ci chiederà ben pre­sto sovrani e pontefici. Noi stabiliremo l’equilibrio dell’universo e saremo gli arbitri dei padroni del mondo” . I templari avevano due dottrine, l’una, nascosta e riservata ai capi, era quella del giovannismo; l’altra, pubblica, era la dottrina cattolico-romana. Ingannavano così gli avversari che essi ambiva­no soppiantare. Il giovannismo degli adepti era la cabala degli gnostici, dege­nerata ben presto in un panteismo mistico spinto fino all’idolatria della natura e all’odio di ogni dogma rivelato. Per raggiungere meglio lo scopo e farsi dei proseliti, fomentavano il rimpianto dei culti decaduti e le speranze di culti nuovi, promettendo a tutti libertà di coscienza e una nuova ortodos­sia che sarebbe la sintesi di tutte le credenze perseguitate. Essi giunsero così a riconoscere persino il simbolismo panteistico dei grandi maestri di magia nera, e, per staccarsi meglio dall’obbedienza alla religione che li condannava già in anticipo, resero onori divini all’idolo mostruoso di Baphomet, come un tempo le tribù dissidenti avevano adorato i vitelli d’oro di Dan e di

456

Page 136: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Bethel. La loro parola d’ordine era diventare ricchi per conquistare il mondo» (Eliphas Lévi, I templari, in Storie di magia e di stregoneria, cit.). Al verme di Re Orso, qualificato come re delle tenebre (cfr. Viaggio d ’un verme, w. 117-21 e 69-71), non mancano, come si è visto, importanti simboli gio- vanniti. Il più eclatante è il taglio della testa che rimanda alla morte per decollazione del Battista. Ma i giovanniti ritenevano che questi non fosse morto e ne attendevano il ritorno (cfr. Lupieri cit., p. 145); così accade per il verme di Re Orso, tornato in vita dopo la decollazione. Il meno appariscente è il numero trenta (v. 122), numero ricorrente nei testi boitiani ed in parti­colare nel Pugno chiuso, il quale individua nelle Pseudoclementine la setta eretica dello stesso Giovanni Battista (composta da trenta individui, di cui una donna) e dei suoi successori, Dositeo e Simon Mago. Mentre nei sinotti­ci Giovanni Battista è ancora un profeta, nel quarto vangelo questo titolo gli è negato e nelle Pseudoclementine è addirittura indicato come l’emerobatti- sta, il falso profeta, il principio malvagio. Sempre secondo le Pseudoclemen­tine, i discepoli della setta che a lui si richiamava lo acclamavano come il Cristo (Recognitiones I, 54), riconoscendogli di essere più grande di Gesù, di venire prima di questi e di essere lui il vero profeta. Insomma i giovanniti consideravano il Battista il loro supremo maestro in opposizione a Gesù Cri­sto (cfr., in Oscar Cullmann, Leprobleme littéraire et historique du roman Pseudo-Clémentin. Etude sur le rapport entre le gnosticisme et le Judéo-Christia- nisme, Paris, Alcan, 1930, il capitolo intitolato Jean-Baptiste le fauxprophètee le pp. 176 ss e 186 ss). È importante ricordare che la letteratura pseudocle­mentina rientra nelle fonti faustiane utili alla stesura del Mefistofele'. in essa Simon Mago, considerato dagli antichi l’eresiarca gnostico, e Faust si identi­ficano. Nel Nerone figurano Simon Mago e Dositeo quali sacerdoti di un tempio gnostico.

[II, 6] L a pid e , bara e su d a r io

Metro: quinari sia doppi sia semplici (w. 1-15), strofe di senari semplici introdotte da un verso di doppi senari (w. 16-39), trisillabi (w. 40-43) e senari (w. 44-45).

35-45 Già... tuonò: si compie alfine la vendetta del verme ai danni di re Orso, suo uccisore, nei termini indicati dalla profetica voce (la scena qui descritta sembra ispirata all’illustrazione del capitolo L dell’Atalanta fugiens del filosofo rosacrociano Michael Maier, 1566-1622, nota opera alchemica corredata di spartiti musicali). Si tratta in definitiva della messa in scena del tema del dualismo radicale: quello della lotta tra due principi opposti inter­pretati dal verme luciferino (anch’esso poco prima ripetutamente definito ré) e da re Orso, la cui identità in quest’ultima parte dell’opera conosce un’ulte­riore rimessa a fuoco. Era stato poco sopra definito un Dio decaduto. Gli era

457

Page 137: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

stata in più assegnata una corona dalle mille perle, e «stando all 'Apocalisse di Giovanni, le porte della “Gerusalemme celeste” sarebbero fatte di perle [...] e le corone di perle sarebbero un modo tipico per esprimere simbolicamente la molteplicità dei poteri di Dio» (Biedermann cit., s.v. perla). Origene identifi­ca Cristo con la perla. E in RI (Leggenda seconda, 2, Confessione) si fa espri­mere a re Orso la volontà di vedere impresso sul proprio sepolcro il mono- gram maS, il quale, composto dalle iniziali sovrapposte del nome greco di Cristo, X (chi) e P (rho), ne è il monogramma. Re Orso viene dunque man mano ad assumere un identità cristologica. È pertanto consequenziale che la tomba di re Orso, verso la quale si dirige il verme nel suo viaggio, non sia a Creta bensì in Terra Santa. Si vede qui l’applicazione dei principi sostenuti all’inizio di quell’anno 1864 da Boito nella Polemica letteraria, secondo i quali «la risurrezione non è, e che vagando ne’ tempi futuri intorno alle pen­dici del Golgota [...] un poeta od un bifolco troveranno forse il cranio santis­simo di Cristo»: la negazione, in altri termini, della divinità di Cristo. Simile metamorfosi dell’identità di re Orso ha una coerenza interna. Nella Leggenda prima, a ben vedere, gli era stata fatta interpretare la parte del demiurgo, il dio cattivo degli gnostici (questo nel 1864 venne adombrato in Dualismo e in Contemplazione, e in Re Orso, I, 3 , v. 40 , quel ti schiacci col piè, pronun­ciato da Orso, è il tratto che individua il demiurgo nei due precedenti com­ponimenti), tanto spaccone quanto ignorante: il quale è però di norma iden­tificato con il Dio veterotestamentario. Qui, nella Leggenda seconda, in aggiunta è fornito di attributi cristologici. Nel Nerone l’imperatore interpreta questa stessa parte impersonata da re Orso. Sia Orso, sia Nerone sono perse­guitati da una voce. «Io sono una Voce»: così si qualifica la Prote-Ennoia gnostica (cit. da Giovanni Filoramo, Vattesa della fine. Storia della gnosi, Bari, Laterza, 1983, p. 100). Stante il sincretismo boitiano evidenziato al punto I, 3, per cui Ennoia è un altro esoterico nome della Luna, dunque di Iside, la misteriosa voce che perseguita re Orso preannunciandogli la venuta del verme non è che un’emanazione della Gran Madre Iside che nel Nerone e in Re Orso, come si è visto, è particolarmente sviluppata nella dimensione luciferina di Persefone, dea degli Inferi. Nel Nerone - opera storico-simbolica rientrante nel genere del teatro idealista fin de siècle — le vicende storiche dell’imperatore uccisore della madre Agrippina vengono rivisitate alla luce del mito gnostico dei contrasti tra il demiurgo, che si crede dio supremo, e la sua madre oltremondana, la Sophia inferiore, che cerca di ostacolare l’attività demiurgica del figlio apostata nato da lei come aborto. Così rivisitate tali vicende, nella prospettiva del simbolismo storico, diventano in definitiva un’allegoria dell’avanzata del culto isiaco della Gran Madre (della quale è portavoce e incarnazione per l’appunto la misteriosa voce) nel mondo roma­no dei primi secoli contro il nascente cattolicesimo. In Re Orso il verme,

458

Page 138: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

appunto aneli esso preconizzato dalla misteriosa voce, è altresì detto figliuol del loto: figlio di Iside dato che il loto le è attribuito (J.M. Ragon, Massoneria occulta e iniziazione ermetica, Roma, Atanòr, 1948, p. 100) e che essa in epoca greco-romana veniva rappresentata anche come un serpe dalla testa umana. Non a caso il verme è portato in scena, con l’espediente della mela, da Oliba, personificazione isiaca in Re Orso. In aggiunta in Re Orso il duali­smo radicale della lotta tra i due principi del Bene e del Male da esso tema­tizzata si avvale, come poi avviene ntWAlfier nero, dei principi dottrinali della gnosi giovannita entro un contorno storico d’ispirazione templare. In definitiva è una sorta di riscossa e di vendetta templare, contro la soppressio­ne dell’ordine voluta dai vertici del cattolicesimo nel XIV sec. (forse un vela­to riecheggiamento, questo, del XXX grado massonico — di origine templare - del cavaliere Kadosch, per il quale si cfr. Umberto Gorel Porciatti, Simbo­logia massonica. Gradi scozzesi, Roma, Atanòr, 1948), quella messa in scena nella pseudoparabasi-teatro della memoria di Re Orso ad opera del “morso” del verme luciferino.

[II, 7] LO SPETTROMetro: si alternano strofe di tre versi, di cui i primi due sono doppi quinari e il terzo è un quinario semplice, e strofe ancora di tre versi, di cui il primo è un quinario doppio mentre i restanti due sono quinari semplici. La chiusa è costituita da un doppio quinario e da un quinario semplice seguiti dal con­sueto ritornelìo di quattro trisillabi.

1 Son sette secoli: essendo sette i secoli trascorsi dal 1120, Re Orso si imma­gina scritto nel 1820, dunque in piena battaglia romantica (un inquadra­mento temporale analogo si ha nel finale di Iberici): un’epoca rivoluzionaria sentita come consentanea dagli «scapigliati romantici in ira».

4 un fantasima: quello di re Orso.

Morale della fiaba

Metro: tre distici di endecasillabi con rime al mezzo e con l’inserimento (v. 3) di un settenario tronco.

5 dar di botto: uscire di colpo.

459

Page 139: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Arrigo Boito

L’ALFIER NERO(tratto da “Il Politecnico”, marzo 1867)

Chi sa giocare a scacchi prenda una scacchiera, la disponga in bell’ordinedavanti a sé ed immagini ciò che sto per descrivere.

Immagini al posto degli scacchi bianchi un uomo dal volto intelligente; dueforti gibbosità appaiono sulla sua fronte, un po’ al di sopra delle ciglia, là doveGall mette la facoltà del calcolo; porta un collare di barba biondissima ed ha imustacchi rasi com’è costume di molti americani. È tutto vestito di bianco e,benché sia notte e giuochi al lume della candela, porta un pince-nez affumicatoe guarda attraverso quei vetri la scacchiera con intensa concentrazione. Alposto degli scacchi neri c’è un negro, un vero etiopico, dalle labbra rigonfie,senza un pelo di barba sul volto e lanuto il crine come una testa d’ariete; questiha pronunziatissime le bosses dell’astuzia, della tenacità; non si scorgono isuoi occhi perché tien china la faccia sulla partita che sta giuocando coll’altro.Tanto sono oscuri i suoi panni che pare vestito a lutto. Quei due uomini dicolore opposto, muti, immobili, che combattono col loro pensiero, il biancocon gli scacchi bianchi, il negro coi neri, sono strani e quasi solenni e quasifatali. Per sapere chi sono bisogna saltare indietro sei ore e stare attenti aidiscorsi che fanno alcuni forestieri nella sala di lettura del principale albergod’uno fra i più conosciuti luoghi d’acque minerali in Isvizzera. L’ora è quellache i francesi chiamano entre chien et loup. I camerieri dell’albergo nonavevano ancora accese le lampade; i mobili della sala egli individui checonversavano, erano come sommersi nella penombra sempre più folta delcrepuscolo; sul tavolo dei giornali bolliva un samovar su d’una gran fiamma dispirito di vino. Quella semi-oscurità facilitava il moto della conversazione; ivolti non si vedevano, si udivano soltanto le voci che facevano questi discorsi:

– Sulla lista degli arrivati ho letto quest’oggi il nome barbaro di un nativodel Morant-Bay.

– Oh! un negro! chi potrà essere?– Io l’ho veduto, milady: pare Satanasso in persona.– Io l’ho preso per un ourang-outang.– Io l’ho creduto, quando m’è passato accanto, un assassino che si fosse

annerita la faccia.– Ed io lo conosco, signori, e posso assicurarvi che quel negro è il miglior

galantuomo di questa terra. Se la sua biografia non vi è nota, possoraccontarvela in poche parole. Quel negro nativo del Morant-Bay venneportato in Europa fanciullo ancora da uno speculatore, il quale, vedendo che latratta degli schiavi in America era incomoda e non gli fruttava abbastanza,pensò di tentare una piccola tratta di grooms in Europa; imbarcò segretamenteuna trentina di piccoli negri, figliuoli dei suoi vecchi schiavi, e li vendé aLondra, a Parigi, a Madrid per duemila dollari l’uno. Il nostro negro è uno diquesti trenta grooms. La fortuna volle ch’egli capitasse in mano d’un vecchio

Page 140: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

lord senza famiglia, il quale dopo averlo tenuto cinque anni dietro la suacarrozza, accortosi che il ragazzo era onesto ed intelligente, lo fece suodomestico, poi suo segretario, poi suo amico e, morendo, lo nominò erede ditutte le sue sostanze. Oggi questo negro (che alla morte del suo lordabbandonò l’Inghilterra e si recò in Isvizzera) è uno dei più ricchi possidentidel cantone di Ginevra, ha delle mirabili coltivazioni di tabacco e per un certosuo segreto nella concia della foglia, fabbrica i migliori zigari del paese; anziguardate: questi vevay che fumiamo ora, vengono dai suoi magazzini, liriconosco pel segno triangolare che v’è impresso verso la metà del loro cono. Iginevrini chiamano questo bravo negro Tom o l’Oncle Tom perché ècaritatevole, magnanimo; i suoi contadini lo venerano, lo benedicono. Delresto egli vive solo, sfugge amici e conoscenti; gli rimane al Morant-Bay ununico fratello, nessun altro congiunto; è ancora giovane, ma una crudele etisialo uccide lentamente; viene qui tutti gli anni per far la cura delle acque.

– Povero Oncle Tom! Quel suo fratello a quest’ora potrebbe già essere statodecapitato dalla ghigliottina di Monklands. Le ultime notizie delle colonienarrano d’una tremenda sollevazione di schiavi furiosamente combattuta dalgovernatore britannico. Ecco intorno a ciò cosa narra l’ultimo numero delTimes: “I soldati della regina inseguono un negro di nome Gall-Ruck che si eramesso a capo della rivolta con una banda di 600 uomini ecc. ecc.”.

– Buon Dio! – esclamò una voce di donna, – e quando finiranno queste lottemortali fra i bianchi ed i negri?!

– Mai! – rispose qualcuno dal buio.Tutti si rivolsero verso la parte di chi aveva profferito la sillaba. Là v’era

sdraiato su d’una poltrona, con quella elegante disinvoltura che distingue ilvero gentleman dal gentleman di contraffazione, un signore che spiccavadall’ombra per le sue vesti candidissime.

– Mai, – riprese quando si sentì osservato, – mai, perché Dio pose odio frala razza di Cam e quella di Iafet, perché Dio separò il colore del giorno dalcolor della notte. Volete udire un esempio di questo antagonismo accanito fra idue colori? Tre anni fa ero in America e combattevo anch’io per la “buonacausa”, volevo anch’io la libertà degli schiavi, l’abolizione della catena e dellafrusta, ben che possedessi nel Sud buon numero di negri. Armai di carabine imiei uomini, dicendo loro: “Siete liberi. Ecco una canna di bronzo, delle palledi piombo; mirate bene, sparate giusto, liberate i vostri fratelli”. Per istruirlinel tiro avevo innalzato un bersaglio in mezzo ai miei possedimenti. Ilbersaglio era formato da un punto nero, grosso una testa, in un circolo bianco.Lo schiavo ha l’occhio acutissimo, il braccio forte e fermo, l’istintodell’agguato come il jaguar, in una parola tutte le qualità del buon tiratore, manessuno di quei negri colpiva nel segno, tutte le palle escivano dal bersaglio.Un giorno, il capo degli schiavi, avvicinandosi a me, mi diede nel suolinguaggio figurato e fantastico questo consiglio: “Padrone, mutate colore;quel bersaglio ha una faccia nera, fategli una faccia bianca e colpiremogiusto”. Mutai la disposizione del circolo e feci bianco il centro; allora sucinquanta negri che tirarono, quaranta colsero così... – e dicendo queste ultimeparole il raccontatore prese una pistoletta da sala ch’era sul tavolo, mirò, perquanto l’oscurità glielo permise, ad un piccolo bersaglio attaccato al muroopposto e sparò. Le signore si spaventarono, gli uomini corsero alla fiammadel samovar, la presero e andarono a constatare da vicino l’esito del colpo. Ilcentro era forato come se si fosse tolta la misura col compasso. Tutti

Page 141: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

guardarono stupefatti quell’uomo, il quale con una squisita cortesia domandòperdono alle dame della repentina esplosione, soggiungendo: – Volli finire conuna immagine un po’ fragorosa, altrimenti non mi avreste creduto.

Nessuno ardì dubitare della verità del racconto.Poi continuò: – Ma combattendo per la libertà dei negri, mi sono convinto

che i negri non sono degni di libertà. Hanno l’intelletto chiuso e gli istintiferoci. Il berretto frigio non dev’esser posto sull’angolo facciale della scimmia.

– Educateli – rispose una signora – e il loro angolo facciale si allargherà.Ma perché ciò avvenga non opprimeteli, schiavi, con la vostra tirannia, liberi,col vostro disprezzo. Aprite loro le vostre case, ammetteteli alle vostre tavole,ai vostri convegni, alle vostre scuole, stendete loro la mano.

– Consumai la mia vita a ciò, signora. Io sono una specie di Diogene delNuovo Mondo: cerco l’uomo negro, ma finora non trovai che la bestia.

In questo momento comparve sull’uscio un cameriere con una granlampada accesa; tutta la sala fu rischiarata in un attimo. Allora si vide in unangolo, seduto, immobile, l’Oncle Tom. Nessuno sapeva ch’egli fosse nellasala, l’oscurità l’aveva nascosto; quando tutti lo scorsero fecesi un lungosilenzio. Gli sguardi degli astanti passavano dal negro all’Americano.L’Americano si alzò, parlò all’orecchio del cameriere e tornò a sedersi. Ilsilenzio continuava. Il cameriere rientrò con una bottiglia di Xeres e duebicchieri. L’Americano riempì fino all’orlo i due bicchieri, ne prese uno inmano: il cameriere passò coll’altro dal negro.

– Signore, alla vostra salute! – disse l’ Americano al negro, alzando ilbicchiere verso di lui come insegna il rito della tavola inglese.

– Grazie, signore; alla vostra! – rispose il negro e bevettero tutti e due.Nell’accento del negro v’era una gentilezza tenera e timida e una grandemestizia. Dopo quelle quattro parole si rituffò nel suo silenzio, s’alzò, presedal tavolo de’ giornali l’ultimo numero del Times e lesse con viva attenzioneper dieci minuti.

L’Americano, che cercava un pretesto per ritentare il dialogo, si diresseverso l’angolo dove leggeva Tom, e gli disse con delicata cortesia:

– Quel giornale non ha nulla di gaio per voi, signore; potrei proporvi unadistrazione qualunque?

Il negro cessò di leggere e s’alzò con dignitoso rispetto davanti al suointerlocutore.

– Intanto permettete ch’io vi stringa la mano, – riprese l’altro; – mi chiamosir Giorgio Anderssen. Posso offrirvi un avana?

– Grazie, no; il fumo mi fa male.Allora l’Americano, gettando lo zigaro che teneva fra le labbra, tornò a

dimandare:– Posso proporvi una partita al bigliardo?– Non conosco quel giuoco; vi ringrazio, signore.– Posso proporvi una partita agli scacchi?Il negro titubò, poi rispose: – Sì, questa l’accetto volentieri – e s’avviarono

a un piccolo tavolo da giuoco che stava all’angolo opposto della sala; preserodue sedie, si sedettero l’uno di fronte all’altro. L’Americano gettò i pezzi e lepedine sul panno verde del tavolino per distribuirli ordinatamente sullascacchiera. La scacchiera era un arnese qualunque a quadrati di legnogrossolanamente intarsiati, ma gli scacchi erano dei veri oggetti d’arte. I pezzibianchi erano d’avorio finissimo, i neri d’ebano, il re e la regina bianchi

Page 142: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

portavano in testa una corona d’oro, il re nero e la regina nera una coronad’argento, le quattro torri erano sostenute da quattro elefanti come nelleprimitive scacchiere persiane. Il lavoro sottile di questi scacchi li riducevafragilissimi. All’urto che presero quando l’Americano li riversò sul tavolo,l’alfiere dei neri si ruppe.

– Peccato! – disse Tom.– È nulla – rispose l’altro – s’aggiusta subito. – E s’alzò, andò allo scrittoio,

accese una candela, pigliò un pezzo di ceralacca rossa, la riscaldò, intonacòalla meglio i due frammenti dell’alfiere, li ricongiunse e riportò al compagnolo scacco aggiustato. Poi disse ridendo: – Eccolo! se si potesse riattaccare cosìla testa agli uomini!

– Oggi a Monklands molti avrebbero bisogno di ciò – rispose il negrosorridendo tetramente. L’accento di questa frase destò nell’Americanoun’impressione di stupore, di compassione, di offesa, di ribrezzo.

Tom continuò: – Con che colore giuocate, signore?– Coll’uno o coll’altro senza predilezione.– Se ciò v’ è indifferente, pigliamo ciascuno il nostro. A me i neri, se

permettete.– E a me i bianchi. Benissimo – e si misero a disporre i pezzi sulle loro

case. S’aiutavano scambievolmente con eguale cavalleria nell’ordinamento de’loro scacchi; il negro, quando gli capitava, metteva a posto una pedina bianca,il bianco ricambiava la cortesia mettendo al loro posto alcuni pezzi neri.Quando furono tutti e due schierati, Anderssen disse: – Vi avverto che sonopiuttosto forte; potrei chiedere di darvi il vantaggio di qualche pezzo, d’unatorre, per esempio?

– No.– D’un cavallo?– Nemmeno. Mi piacciono le armi eguali s’anco è disuguale la forza.

Apprezzo la vostra delicatezza, ma preferisco giuocare senza vantaggi di sorta.– E sia. A voi il primo tratto.– Alla sorte! – e il negro chiuse in un pugno una pedina nera e nell’altro

pugno una pedina bianca; poi diede a indovinare all’Americano.– Questo.– Ai bianchi il primo tratto. Incominciamo.Intanto le persone che stavano nella sala si erano avvicinate una ad una

verso il tavolo da giuoco.Fra quelle persone v’era chi conosceva il nome di Giorgio Anderssen come

quello d’uno fra i più celebri giuocatori a scacchi d’America e costoroprendevano un particolare interessamento alla scena che stava perincominciare. Giorgio Anderssen, originario d’una nobile famiglia ingleseemigrata a Washington, si era fatto quasi milionario sulla scacchiera. Giovaneancora, aveva già vinto Harwitz, Hampe, Szen e tutti i più sapienti giuocatoridell’epoca. Questo era l’uomo che si misurava col povero Tom.

Prima che Anderssen avesse avuto tempo di muovere la prima pedina, ilnegro prese dalla sua destra la candela che era rimasta accesa sul tavolo dagiuoco e la collocò a sinistra. Anderssen notò quel movimento e pensòmeravigliato: “Quest’uomo ha certamente letto la Repeticio de Arte de Axedredi Lucena e segue il precetto che dice: Se giocate la sera al lume d’unacandela, mettetela a sinistra; i vostri occhi saranno meno offesi dalla luce eavrete già un grande vantaggio a fronte dell’ avversario”; e pensando ciò,

Page 143: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

prese i suoi occhiali affumicati e se li piantò sul naso; poi staccò la primamossa. Indi si volse a coloro che s’erano fatti attorno e disse con gaiadisinvoltura: – I primi movimenti del giuoco degli scacchi sono come le primeparole d’una conversazione, s’assomigliano sempre; eccoli: pedina bianca, duepassi; pedina nera, due passi; poi gambitto di re ecc. ecc. ecc. – E così,ciarlando sbadatamente, fece la seconda mossa e mise avanti due passi lapedina dell’alfiere di re, aspettando che l’avversario gliela prendesse colla sua.Il negro non prese la pedina, ma invece con una mossa meno regolare difese lapedina propria sollevando il suo alfiere di re sulla terza casa della regina.Anderssen rimase un po’ sorpreso anche di ciò e pensò: “Quest’uomorisparmia le pedine; segue il sistema di Philidor che le chiamava l’anima delgiuoco”.

Seguirono ancora cinque o sei mosse d’apertura; i due giuocatori siesploravano l’un l’altro come due eserciti che stanno per attaccarsi, come dueboxeurs che si squadrano prima della lotta. L’Americano, abituato alle vittorie,non temeva menomamente il suo antagonista; sapeva inoltre quanto l’intellettod’un negro, per educato che fosse, poteva fievolmente competere con quellod’un bianco e tanto meno con Giorgio Anderssen, col vincitore dei vincitori.Pure non perdeva di vista il minimo segno del nemico; una certa inquietudinelo costringeva a studiarlo e, senza parere, lo andava spiando più sulla facciache sulla scacchiera. Egli aveva capito fin dal principio che le mosse del negroerano illogiche, fiacche, confuse; ma aveva anche veduto che il suo sguardo egli atteggiamenti della sua fronte erano profondi. L’occhio del bianco guardavail volto del negro, l’occhio del negro era immerso nella scacchiera. Nonavevano giuocato in tutto che sette od otto mosse e già apparivano evidentidue sistemi diametralmente opposti di strategia.

La marcia dell’Americano era trionfale e simmetrica, rassomigliava alleprime evoluzioni d’una grande armata che entra in una grande battaglia;l’ordine, quel primo elemento della forza, reggeva tutto il giuoco dei bianchi. Icavalli, che dagli antichi erano chiamati i “piedi degli scacchi”, occupavanouno l’estrema destra, l’altro l’estrema sinistra; due pedoni erano andati aingrossare da una e dall’altra parte l’avamposto segnato dalla pedina del re; laregina minacciava da un lato, l’alfiere di re dall’altro lato, e il secondo alfiereteneva il centro davanti due passi del re e dietro le pedine. La posizione deibianchi era più che simmetrica: era geometrica; l’individuo che disponeva cosìquei pezzi d’avorio, non giuocava a un giuoco, meditava una scienza; la suamano piombava sicura, infallibile sullo scacco, percorreva il diagramma, pois’arrestava al punto voluto colla calma del matematico che stende un problemasulla lavagna. La posizione dei bianchi offendeva tutto e difendeva tutto; eraformidabile in ciò, che circoscriveva l’inimico a un ristrettissimo campod’azione e, per così dire, lo soffocava. Immaginatevi una parete animata che siavanzi e pensate che i neri erano schiacciati fra la sponda della scacchiera equesta parete, poderosa, incrollabile.

A volte pare che anche le cose inanimate prendano gli atteggiamentidell’uomo, il più frivolo oggetto può diventare espressivo a seconda di ciò chelo attornia. Ecco perché i pezzi d’ebano de’ quali componevasi l’armata deineri, parevano, davanti allo spaventoso assalto dei bianchi, colti anch’essi daun tragico sgomento. I cavalli, come adombrati, voltavano la schienaall’attacco, le pedine sgominate avevano perduto l’allineamento, il re che s’eraaffrettato ad arroccarsi, pareva piangere nel suo cantuccio il disonore della sua

Page 144: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

fuga. La mano di Tom, fosca come la notte, errava tremando sulla scacchiera.Questo era l’aspetto della partita veduta dal lato dell’Americano. Mutiamo

campo. Veduto dal lato del negro l’aspetto della partita si rovesciava. Alsistema dell’ordine sviluppato dall’apertura dei bianchi, il negrocontrapponeva il sistema del più completo disordine; mentre quegli sischierava simmetrico, questi si agglomerava confuso, quegli poneva ogni suaforza nell’equilibrio dell’offesa e della difesa, questi aumentava a ogni passo ilproprio squilibrio, il quale, pel crescente ingrossar della sua massa, diventavaesso pure, in faccia allo schieramento dei bianchi, una vera forza, una veraminaccia. Era la minaccia della catapulta contro il muro del forte, della caricacontro il carré: mano mano che la parete mobile del bianco s’avanzava, ilproiettile del negro si faceva più possente. I due eserciti erano completi uno afronte dell’altro; non mancava né un solo pezzo né una sola pedina, e codestariserva d’ambe le parti era feroce. L’Americano non iscorgeva in sul principionella posizione del negro che una inetta confusione prodotta dal timor panicodel povero Tom; ma appunto per la sua inettitudine gli pareva che quellaposizione impedisse un regolare e decisivo assalto. Ma il negro vedeva inquella confusione qualcosa di più: tutta la sua natural tattica di schiavo, tuttal’astuzia dell’etiopico era condensata in quelle mosse. Quel disordine era fattoad arte per nascondere l’agguato, le pedine fingevano la rotta per ingannare ilnemico, i cavalli fingevano lo sgomento, il re fingeva la fuga. Quellosquilibrio aveva un perno, quella ribellione aveva un capo, quelvaneggiamento un concetto. L’alfiere che Tom aveva collocato fin dalprincipio alla terza casa della regina, era quel perno, quel capo, quel concetto.Le torri, le pedine, i cavalli, la regina stessa attorniavano, obbedivano,difendevano quell’alfiere. Era appunto l’alfiere ch’era stato rotto e aggiustatodall’Americano; un filo sanguigno di ceralacca gli rigava la fronte e, calandogiù per la guancia, gli circondava il collo. Quel pezzo di legno nero era eroicoa vedersi; pareva un guerriero ferito che s’ostinasse a combattere fino allamorte; la testa insanguinata gli crollava un po’ verso il petto con tragicoabbattimento; pareva che guardasse anche lui, come il negro che lo giuocava,la fatale scacchiera; pareva che guatasse di sott’occhi l’avversario e aspettassestoicamente l’offesa o la meditasse misteriosamente. Nel cervello di Tomquello era il pezzo segnato della partita; egli vedeva colla sua immaginosa eacuta fantasia diramarsi sotto i piedi dell’alfier nero due fili, i quali,sprofondandosi nel legno del diagramma e passando sotto a tutti gli ostacolinemici, andavano a finire come due raggi di mina ai due angoli opposti delcampo bianco. Egli attendeva con trepidazione una mossa sola,l’arroccamento del re avversario, per dare sviluppo al suo recondito pensiero.Senza quella mossa tutto il suo piano andava fallito; ma era quasi impossibileche Anderssen commettesse quella mossa. Tom solo vedeva e sapeva la suaocculta cospirazione e nessun giuocatore al mondo avrebbe potuto indovinarla.Al vasto e armonico concepimento del bianco, il negro opponeva questa ideafissa: l’alfiere segnato; all’ubiquità ordinata delle forze dei bianchi i neriopponevano la loro farraginosa unità, al giuoco aperto e sano il giuoconascosto e maniaco. Anderssen combatteva colla scienza e col calcolo, Tomcolla ispirazione e col caso; uno faceva la battaglia di Waterloo, l’altro larivoluzione di San Domingo. L’alfier nero era l’Ogè di quella rivoluzione.

La partita durava già da un paio d’ore; erano circa le nove della sera; alcunesignore si allontanarono dalla scacchiera, stanche d’osservare, per darsi quale a

Page 145: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

un lavoro, quale a un ricamo, e quale, caricando e ricaricando la pistoletta dasala, si dilettava al piccolo bersaglio.

I due antagonisti erano sempre fissi al loro posto. L’Americano, che nonvedeva ancora lo scaccomatto e che non capiva la selvaggia tattica del negro,cominciava ad annoiarsi e a pentirsi dell’eccessiva cortesia che l’aveva spintoa quella partita. Avrebbe voluto finirla presto a ogni costo, anche a costo diperdere; ma dall’altra parte il suo orgoglio di razza glielo impediva; un biancoe un gentiluomo non poteva esser vinto da uno schiavo; inoltre la suacoscienza di gran giuocatore e il lungo studio de’ scacchi non gli permetteva difare un passo che non fosse pensato. Giunto alla quindicesima mossa,s’accorse che il suo re non s’era ancora arroccato, alzò le mani, colla sinistrasollevò il re, con la destra la torre, e stava per compiere il movimento quandoscorse nell’occhio del negro un ilare lampo di speranza; non indovinò laragione; stette ancora coi due scacchi per aria studiando la partita, titubò;l’occhio di Tom seguiva affannosamente, fra la gioia e il timore, i più piccolisegni delle due mani, bianche come l’avorio che serravano. Anderssen,turbato, stava per rimettere al loro posto di prima i due pezzi, quando il negroesclamò vivamente:

– Pezzo toccato, pezzo giuocato.– Lo sapevo – rispose in modo urbano ma secco, mentre cercava ancora un

sotterfugio per evitare la mossa, senza darsene precisamente ragione; ma ipezzi toccati erano due, bisognava giuocarli tutti e due: il codice del giuocoparlava chiaro; non era possibile altro passo che l’ arroccamento. Anderssen siarroccò alla calabrista, come dice il gergo della scienza, cioè pose il re nellacasa del cavallo e la torre nella casa dell’alfiere. Poi piantò gli occhi nel voltodel nemico. Il negro, fatta che vide la mossa tanto sperata e tanto attesa, tornòa fissare più intensamente che mai l’alfiere segnato, e acceso dalla emozione edalla sua natura tropicale, non si curava né anche di temperare gli slanci dellasua fisionomia. Correva su e giù coll’occhio dall’alfier nero al re bianco,facendo e rifacendo venti volte la stessa via quasi volesse tirare un solco sullascacchiera. Anderssen vide quelle occhiate, le seguì, notò l’alfiere, indovinòtutto; ma sulla sua faccia non apparve un indizio solo di quella scoperta. Delresto Tom non guardava mai l’Americano; era sempre più invaso dall’ideafissa che lo dominava, Tom in quella stanza non vedeva che una scacchiera, inquella scacchiera non vedeva che uno scacco: fuor di quel piccolo quadratonero e di quella figura d’ebano, nessuno e nulla esisteva per esso. Coi pugniserrati s’aggrappava agli ispidi capelli, sostenendosi così la testa, appoggiatocoi gomiti alla sponda del tavolo; la pelle delle sue tempie, stiracchiata dallapressione che facevangli i polsi delle due braccia, gli rialzava l’epiderme dellafronte; le palpebre, in quel modo stranamente allungate all’insù, mostravanoscoperto in gran parte il globo opaco e bianchissimo de’ suoi occhi. In questoatteggiamento stette maturando il suo colpo per ben quaranta minuti, immoto,avido, trionfante; poscia attaccò; prese una pedina all’avversario e gli offeseun cavallo. L’Americano aveva previsto il colpo. Il fuoco era incominciato. Aquella prima scarica rispose un’altra dell’Americano, il quale prese la pedinanera e offese la torre; cinque, sei mosse si seguirono rapidissime, accanite. Lavera lotta principiava allora. A destra, a sinistra della scacchiera vedevansi giàalcuni pezzi e alcune pedine messe fuori di combattimento, primi trofei deicombattenti; l’assalto lungamente minacciato irruppe in tutta la sua violenza;da una parte e dall’altra si diradavano i ranghi, un pezzo caduto ne trascinava

Page 146: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

un altro, i bianchi facevano la vendetta dei bianchi, i neri facevano la vendettade’ neri, un bianco prendeva ed era preso da un nero, un nero offendeva ed eraoffeso da un bianco; mai la legge del taglione non fu meglio glorificata.Anderssen cominciava anch’esso a eccitarsi. Egli aveva tutto preveduto, tuttocombinato prima; appena scoperta la trama di Tom, durante quei quarantaminuti nei quali Tom immaginava il suo colpo fatale, Anderssen aveva lettonelle sue intenzioni e aveva risposto al primo urto in modo da condurre ilnegro di pezzo in pezzo a una posizione senza dubbio attraentissima efavorevolissima pel negro stesso; ma voleva trarlo a quella posizione a patto disacrificargli l’alfiere. Anderssen sapeva già che, tolto l’alfiere, Tom nonavrebbe più saputo continuare.

V’hanno degli entomati che non sanno due volte tessersi la larva, deipensatori che non sanno rifar da capo un concetto, dei guerrieri che non sannoricominciar la pugna: Anderssen pensava ciò intorno al suo antagonista.

Giunto al varco dove l’Americano l’attendeva, Tom non vacillò unmomento, rinunciò alla posizione, sacrificò invece dell’alfiere un cavallo,costrinse l’avversario a distruggere le due regine e la partita mutò aspettocompletissimamente.

Il pieno della mischia era cessato, i morti ingombravano le due spondenemiche, la scacchiera s’era fatta quasi vuota, all’epica furia degli esercitinumerosi era succeduta l’ira suprema degli ultimi superstiti, la battaglia simutava in disfida. Ai bianchi rimanevano due cavalli, una torre e l’alfiere delre; al negro rimanevano due pedine e l’alfiere segnato.

Erano le undici. Evidentemente i neri avrebbero dovuto abbandonare ilgiuoco. Gli astanti, vedendo la partita condotta a questi termini, salutarono idue giuocatori e, congratulandosi con Anderssen, escirono dalla stanza eandarono a letto.

Rimasero soli, faccia a faccia, i due personaggi nostri.Anderssen chiese al negro: – Basta?Il negro rispose quasi urlando: – No! – e fece un movimento; poi nella sua

agitazione, volle mutarlo...Anderssen lo interruppe, dicendogli con ironica intenzione:– Casa toccata, pezzo lasciato.Tom obbedì. Ripiombarono nel più sepolcrale silenzio. La sicurezza della

vittoria faceva Anderssen nuovamente annoiato, e già la testa cominciava ainfiacchirglisi e il sonno a offuscarlo.

Tom era sempre più desto, sempre più acceso e sempre più cupo.L’alfier nero stava in mezzo alla nuda scacchiera, ritto, deserto,

abbandonato dai suoi; una pedina soltanto gli era rimasta per difenderlo dagliattacchi della torre; le altre due pedine erano avanzatissime nel campo deibianchi: una di queste toccava già la penultima casa. Tom pensava. Le lucernedella sala si oscuravano. Non s’udiva altro rumore fuor che quello d’un grandeorologio che pareva misurare il silenzio. Scoccava la mezzanotte quandol’ultima lampada si spense; quel vasto locale rimase illuminato dalla solacandela che ardeva sul tavolo dei giuocatori. Anderssen cominciava a sentire ilfreddo della notte. Tom sudava.

Il selvaggio odore della razza negra offendeva le nari dell’Americano.Vi fu un momento che in fondo al giardino si udì cantarellare il bananiero

di Gotschalk da un forestiere attardato che ritornava all’albergo; Tom sirammentò quella canzone, una nuvola di lontanissime memorie si affacciò al

Page 147: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

suo pensiero; vide un banano gigante rischiarato dall’aurora dei tropici e fraquei rami un hamac che dondolava al vento, in questo hamac due bambolinegri addormentati e la madre inginocchiata al suolo che pregava e cantavaquella blandissima nenia. Stette così dieci minuti, rapito in questerimembranze, in questa visione; poi quando tornò il silenzio profondo, ripresela contemplazione dell’alfiere.

Vi è una specie di allucinazione magnetica che la nuova ipnologia classificòcol nome di ipnotismo ed è un’estasi catalettica, la quale viene dalla lunga eintensa fissazione d’un oggetto qualunque. Se si potesse affermareevidentemente questo fenomeno, le scienze della psicologia avrebbero untrionfo di più: ci sarebbe il magnetismo, che prova la trasmissione delpensiero, il così detto spiritismo che prova la trasmissione della semplicevolontà sugli oggetti inanimati, l’ipnotismo che proverebbe l’influenzamagnetica delle cose inanimate sull’uomo. Tom pareva colto da questofenomeno. L’alfier nero lo aveva ipnotizzato. Tom era terribile a vedersi: eglisi mordeva convulsivamente le labbra, aveva gli occhi fuori dell’orbita, legocce di sudore gli cadevano dalla fronte sulla scacchiera. Anderssen non loguardava più, perché l’oscurità era troppo fitta e perché anche esso, comeattirato dalla stessa elettricità, fissava l’alfier nero.

Per Tom la partita poteva dirsi perduta; non erano le combinazioni delgiuoco che lo facevano così commosso, era l’allucinazione. Lo scacco nero,per Tom che lo guardava, non era più uno scacco, era un uomo; non era piùnero, era negro. La ceralacca rossa era sangue vivo e la testa ferita una veratesta ferita. Quello scacco egli lo conosceva, egli aveva visto molti anniaddietro il suo volto, quello scacco era un vivente... o forse un morto. No;quello scacco era un moribondo, un essere caro librato fra la vita e la morte.Bisogna salvarlo! salvarlo con tutta la forza possibile del coraggio e dellaispirazione. All’orecchio del negro ronzava assiduamente come un orribilebordone quella frase che l’Americano aveva detto ridendo, primad’incominciare la partita: Se si potesse riattaccare così la testa ad un uomo! equell’incubo aumentava l’allucinazione sua.

La fronte di quella figura di legno diventava sempre più umana, sempre piùeroica, toccava quasi all’ideale e, passando da trasfigurazione intransumanazione, da uomo diventava idea, come da scacco era diventatauomo. L’idea fissa era ancora là, nel centro dell’anima del negro, sempre piùinnalzata, sempre più sublimata. Da mania si era mutata in superstizione, dasuperstizione in fanatismo. Tom era in quella notte, in quel momento la sintesidi tutta la sua razza.

Passarono così altre quattro ore, mute come la tomba: due morti o dueassopiti avrebbero fatto più rumore che non quei due uomini che lottavano cosìfuriosamente. Il pugilato del pensiero non poteva essere più violento: le ideecozzavano l’una contro l’altra; i concetti cadevano strozzati da una parte edall’altra. I volti non si guardavano più, le due bocche tacevano. A una certamossa l’alfier nero perdette terreno, la torre bianca colla sua marcia potente ediritta lo offendeva e a ogni passo minacciava di coglierlo. L’alfiere schivavaobliquamente con degli slanci da pantera la sua formidabile persecutrice;Anderssen seguiva perplesso la corsa furibonda dell’alfiere spingendo semprepiù avanti il suo pezzo e rinserrando il pezzo nemico verso un angolo dellascacchiera. Questa fuga febbrile, ansante, durò un’intera mezz’ora; i due reanch’essi prendevano parte in questa frenetica scherma; e lottando anch’essi

Page 148: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

l’uno contro l’altro, parevano due di quegli antichi re leggendari d’Oriente chesi vedevano errare dopo la battaglia sul campo abbandonato, cercandosi eavventandosi fra loro tragicamente.

Dopo mezz’ora la scacchiera aveva di nuovo mutato faccia; la fugadell’alfiere e lo sconvolgimento dei due re, della torre e delle pedine avevanotrascinato cosifattamente i pezzi fuori dai loro centri, che il re bianco eraandato a finire nel campo nero, sull’estremo quadrato a sinistra; il re nero glistava a due passi sulla casa stessa del proprio alfiere. Anderssen, abbagliatodalle evoluzioni fantastiche dell’alfier nero, continuava ancora a inseguirlo, arinserrarlo, a soffocarlo.

A un tratto lo colse! lo afferrò, lo sbalzò dalla scacchiera assieme agli altripezzi guadagnati e guardò in faccia con piglio trionfante la sconfitta nemica.

Erano le cinque del mattino. Spuntava l’alba. La faccia del negro brillavad’uno splendore di giubilo. Anderssen, nella foga della caccia al pezzo fatale,aveva dimenticato la pedina nera che stava sulla penultima casa dei bianchialla sua destra. Quella pedina era là già da quattro ore ed egli ne aveva sempredifferita la condanna. Quando Anderssen vide quella gran gioia sul volto delnegro, tremò; abbassò con rapida violenza gli occhi sulla scacchiera.

Tom aveva già fatta la mossa. La pedina era passata regina? No. La pedinaera passata alfiere, e già l’alfiere segnato, l’alfier nero, l’alfiere insanguinato,era risorto e aveva dato scacco al re bianco. Il negro guardò alla sua volta conorgoglio la scacchiera. Anderssen stette ancora un minuto secondo attonito: ilsuo re era offeso obliquamente per tutta la diagonale nera del diagramma; daun lato l’altro re gli chiudeva il riparo, dall’altro lato era inceppato da una suastessa pedina. Il colpo era mirabile! Scaccomatto!

Tom contemplava estatico la sua vittoria. Giorgio Anderssen spiccò unsalto, corse al bersaglio, afferrò la pistola, sparò.

Nello stesso momento Tom cadde per terra. La palla l’aveva colpito allatesta, un filo di sangue gli scorreva sul volto nero, e colando giù per laguancia, gli tingeva di rosso la gola e il collo. Anderssen rivide in quest’uomodisteso a terra l’alfier nero che lo aveva vinto.

Tom agonizzando pronunciò queste parole: – Gall-Ruck è salvo... Dioprotegge i negri... – e morì.

Due ore dopo il cameriere che entrò nella sala per dar ordine ai mobili,trovò il cadavere del negro per terra e lo scaccomatto sul tavolo.

Giorgio Anderssen era fuggito.Venti giorni dopo arrivava a New York, e là, incalzato dai rimorsi, si era

costituito prigioniero e denunciato come assassino di Tom.Il Tribunale lo assolse, prima perché l’assassinato non era che un negro e

perché non poteva sussistere l’accusa di omicidio premeditato; poi perché ilcelebre Giorgio Anderssen si era denunciato da sé, infine perché si erascoperto nelle indagini giudiziarie che il negro ucciso era fratello di un certoGall-Ruck che aveva fomentata l’ultima sollevazione di schiavi nelle colonieinglesi, quel Gall-Ruck che fu sempre inseguito e non si poté mai trovare.

Anderssen rientrò nelle sue terre col rimorso nel cuore non alleggerito dallapiù tenue condanna.

Dopo la catastrofe che raccontammo giuocò ancora a scacchi, ma non vinsepiù. Quando si accingeva a giuocare, l’alfier nero si mutava in fantasma. Tomera sulla scacchiera! Anderssen perdé al giuoco degli scacchi tutte le ricchezzeche con quel giuoco aveva guadagnate.

Page 149: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

In questi ultimi anni povero, abbandonato da tutti, deriso, pazzo,camminava per le vie di New York facendo sui marmi del lastricato tutti imovimenti degli scacchi, ora saltando come un cavallo, ora correndo drittocome una torre, ora girando di qua, di là, avanti e indietro come un re efuggendo a ogni negro che incontrava.

Non so s’egli viva ancora.

Page 150: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

236

Un corpo (tratto da Storielle vane. Terza edizione completamente riveduta

dall’Autore coll’aggiunta di due storielle, Milano, Treves, 1895; già pub-blicato nella prima edizione della medesima raccolta nel 1876 e, origina-riamente, con il sottotitolo Storiella di un artista, sulla «Nuova Antolo-gia», a. V, vol. XIV, giugno 1870)

I

La mia compagna non so se fosse ninfa o folletto. Io la chiamavo col ver-so di un vecchio stornello: La bizzarrina del campo dei fiori. Aveva di-ciott’anni. Di quando in quando si svincolava dal mio braccio per fuggire sull’erba verde di que’ bei prati del Prater. Talvolta le correvo dietro, ed ella mi scansava, girando intorno all’enorme tronco di una quercia, e sbalzando da ogni parte con salti da gazzella; talvolta la lasciavo andare, ed ella allora, vedendosi lontana, si fermava, si sdraiava sull’erba, e m’aspettava ansando. Nel giungerle vicino, guardavo tutto intorno se qualcuno ci vedesse. Facendo puntello delle braccia ella rovesciava indie-tro il corpo flessuoso, che s’incurvava come l’ansa di un vaso greco. Mi chinavo e le davo un bacio. Poi le dicevo: – Carlotta, bada che lasci vede-re i legacci delle tue calze. – Ed ella allora, scattando in piedi, scuoteva la sottana del suo abito color di rosa, e con cara ironia mi susurrava nell’orecchio: – Sei geloso della luna che nasce?

Eravamo infatti soli soli in quell’angolo del parco, e i raggi della luna cominciavano a vincere la luce rossastra del crepuscolo. Di lontano s’udiva una grande allegria di suoni e di canti: le mille voci di un popolo in festa. Attraverso le frondi si vedeva accendersi un lume, poi un altro, poi un altro ancora, e via via, finché gli alberi disegnarono la loro forma nera sopra un gaio incendio di luce gialla. – Fermiamoci qui – disse Car-lotta; – mettiamoci a sedere su questa panca. Non senti anche tu nell’anima una dolcezza tutta serena e come una gran voglia di solitudi-ne? – E sospirava soavemente, e mi stringeva la mano, e alzava gli occhi umidi e sorridenti al cielo. Stavo per risponderle, ma mi troncò la parola il romore di un passo vicino. Un signore smilzo e lungo, vestito di nero, ci passava dinanzi. Carlotta, nel vederlo, tremò tutta, soffocò un grido e si avvinghiò al mio corpo.

– Che cos’è, mia cara? – domandai tutto agitato.

Page 151: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

237

– Niente, niente – rispose Carlotta; – ho avuto paura. È una fanciul-laggine. Perdonami. – E mentre io, stringendola alla cintura, volevo farla sedere di nuovo, ella scappò via, dicendo: – Andiamo, ti scongiuro, al Wurstel-Prater. Ho bisogno di distrarmi. – M’afferrò per la mano e, quasi correndo, mi trascinò in mezzo alla folla e alla luce.

Alle mie interrogazioni replicava ch’era una ubbia, e mi giurava di spiegarmi un’altra volta la cosa.

– Ma quell’uomo t’ha egli fatto del male? – insistevo. – No. – T’ha egli voluto corteggiare? – Oh no, no! – Ma dimmi almeno se t’ha mai parlato? – Mai, te lo giuro. – Ebbene? – Insomma è una scempiaggine. Te la dirò domani. Adesso, scusa,

non ci voglio pensare. – E si piantò dritta in faccia a un casotto di burattini. La commedia era delle solite: una ragazza che nasconde gli amanti

nel cassone della farina; il diavolo che porta via dalla tavola il vino e le pietanze, e una vecchia che vi rimette tondi e bottiglie, e l’altro che la ba-stona, e simili cose da fanciulli. Poi veniva in iscena una cassa da morto, e due becchini vi cacciavano dentro la vecchia, e picchiavano coi martelli per inchiodarla, e si mettevano la cassa in ispalla, facendo le viste di an-darsene, quando a un tratto un coniglio, un vero coniglio bianco, gettato via il coperchio, ne usciva fuori, con infinitissime risa de’ bambini, delle bambinaie e dei caporali e sergenti che le stavano adocchiando. Carlotta, la quale s’era un po’ tranquillata e principiava a sorridere, all’ultimo si annebbiò di nuovo, e mi pregò di accompagnarla altrove.

M’ero già accorto, ne’ quattro mesi dacché stavamo insieme, che Carlotta, non ostante il suo umore gaio e la sanità del suo corpo, aveva una grande paura della morte. Tutto ciò che in un modo o nell’altro pote-va ricordargliela, bastava a farla impallidire e tremare. Accanto agli o-spedali non voleva passare mai; e una volta, che andavamo in carrozza all’Augarten, ordinò al cocchiere di svoltare da una via laterale, per non avvicinarsi nella Taborstrasse allo spedale dei Fate-bene-fratelli. Se ve-deva di lontano un funerale, tornava indietro, o si ricoverava in una bot-tega, girando altrove la testa. Non voleva leggere di morti o di malati, o sentirne parlare. Tollerava la compagnia de’ medici, ma quella dei chi-rurghi le era insoffribile; e un giorno che, in una birreria, il Dumreicher

Page 152: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

238

mi raccontò, nel discorso, non so più che strano caso di autopsia, Carlot-ta, la quale era con me, senti venirsi male. Si riebbe tosto; ma per venti-quattr’ore quelle sue belle labbra non vollero comporsi al loro solito riso. Io pigliavo tali stravaganze per la espressione involontaria di una sensibi-lità eccessiva; le perdonavo, le rispettavo, mi piacevano anzi in quell’ani-ma senza malizia.

L’anima era da fanciulla, ma il corpo era da dea. Il paragone con le statue greche può solo dare un concetto di quelle membra snelle, vigoro-se, di acciaio temprato. Somigliava alle Amazzoni, alle Diane cacciatrici di Scopa e di Prassitele; aveva anche le movenze delle Veneri callipigi, delle Veneri accoccolate, delle Ninfe sdraiate, di Psiche quando stringe Amore. Cleomene figlio di Apollodoro certo le insegnò ad atteggiarsi, dopo avere fatto l’ultima carezza alla Venere de’ Medici.

Il suo volto ricordava la testa di quella cara Euterpe, che sta nel museo di Berlino: il naso non si staccava dalla fronte se non per una dol-cissima sinuosità; gli occhi lunghi, rialzati un po’ verso il mezzo della faccia, parevano tracciati con l’arco di un compasso; le labbra ferme scendevano un tantino alle estremità, unendosi per due infossature quasi impercettibili alle narici; il mento disegnava con le guance la curva rove-sciata di una perfetta parabola. L’Euterpe ha i capelli increspati, e s’indovina che sono biondi; quelli di Carlotta erano biondi e increspati, e componevano, per annodarsi dietro, come nella figura antica, due larghe trecce in giro alla fronte e sopra le orecchie. Nel viso di Carlotta non era peraltro niente di quella freddezza un po’ sdegnosa e solenne, ch’è quasi sempre il carattere de’ volti greci; anzi nella perfezione attica della forma portava i segni di una gaiezza facile, aperta, buona: e gli occhi azzurrini compievano il ritratto dell’anima ingenua.

Quanto al colore, lo splendor di Tiziano e la finezza del Van Dyck non sarebbero bastati. In quel candido si notavano de’ passaggi ammira-bili quasi dall’azzurro al cinabro: sotto la pelle liscia, fresca, trasparente scorreva la vita fervida. Quella donna era il simbolo della grazia, della forza, della salute. A Vienna, città delle belle donne, quando andavo in compagnia di Carlotta, la gente si voltava con ammirazione. Una mattina, nel Graben, il bizzarro Raal, che stava dipingendo allora i freschi dell’Arsenale, proruppe in questa esclamazione: – Ah, se potessi avere costei per modello della mia Germania! – e la salutò cavandosi rispetto-samente il cappello.

Page 153: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

239

Il Wurstel-Prater era pieno di teatri da opera, da commedia, da pan-tomima, equestri, fantastici, di panorami, di lanterne magiche, di botteghe da caffè, di sale da concerti, di bersagli, di serragli, di gallerie fotografi-che, di suonatori ambulanti, di cantambanchi, di saltimbanchi, di riven-duglioli d’ogni sorta di roba, di birrerie sopra tutto. Migliaia e migliaia di persone passeggiavano intorno, fermandosi chi qua, chi là, entrando chi nell’uno, chi nell’altro casotto, comperando quale una cosa, quale l’altra, urtandosi, pigiandosi da ogni parte, pestandosi i piedi, sempre con bono-mia tollerante, con garbatezza ruvida, ma espansiva. Il riso usciva da quelle grosse labbra abbondante, come la birra entrava in quei gorgozzuli. Le birrerie, alcune formate di ricche sale, adorne di sete, di velluti, di fe-stoni e di fiori, parecchie altre composte di una piccola baracca di legno e di un immenso steccato tutto sparso di tavole e di scanne, erano piene zeppe. Chi non trovava da sedere, si sdraiava sull’erba pesta. Le fresche e svelte ragazze correvano senza posa, portando a decine le tazze di cristal-lo, colme della birra d’ambra con ispuma d’argento. I fanali, le lanterne, i lampadari, i lampioncini di cento colori e di cento forme rischiaravano in diverso modo quella vasta scena: da una parte tutto nuotava nella luce; poco discosto tutto si nascondeva quasi nel buio. Guardando in alto si ve-devano luccicare le foglie umidette de’ grandi alberi, e scintillare le pro-fondità del cielo. Lo schiamazzo babelico, il frastuono infernale aveva qualcosa di misterioso. In mezzo al parlare confuso ed allo sghignazzare di tante innumerevoli bocche, si udiva a tratti l’armonia di una orchestra, il suono rauco della tromba de’ funamboli, la nota sibilante del piffero d’un educatore di topi, il ruggito di un leone dalla sua gabbia, o il guaire di un cane smarrito.

Il Wurstel-Prater era la delizia di Carlotta. Si divertiva di tutto. Sul-le facezie dei pagliacci faceva le più grasse risate; innanzi alle marionette stava con la bocca aperta; voleva udire sino alla perorazione il sermone dei ciarlatani. Una volta mi fece montare insieme con lei sullo stretto se-dile di un’altalena; poi nella carrozzeria di una delle giostre meccaniche, e, correndo in cerchio rapidissimamente al suono dell’immenso organone, a me, che sentivo quasi venirmi il capogiro, ella mostrava scherzando i due delfini di legno, i quali facevano le viste di tirarci, e paragonava, con infantile compiacenza, sé ad Anfitrite e me a Nettuno. Solo non le piace-vano le figure di cera.

Ma quella sera Carlotta aveva mutato umore, sembrava preoccupa-ta da qualche uggioso pensiero, guardava distrattamente, sorrideva poco.

Page 154: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

240

Dinanzi ad un circo equestre, dove, sapendo che le piacevano molto i ca-valli volevo condurla, ci si udì salutare da parecchie voci. Erano padre, madre, cinque figliuole, la cameriera e la cuoca: tutta la famiglia del gra-ve impiegato all’ufficio di censimento, il quale ci dava a pigione una par-te del suo quartiere, quattro stanze nel Franz Josefs-Quai, verso il largo canale del Danubio. S’avviavano all’omnibus per ritornare a casa, e Car-lotta mi pregò di lasciarla andare con essi, dicendo che si sentiva un po’ stanca, che dopo un’ora l’avrei trovata più allegra che mai, e che (lo mor-morò con un divino sorriso) m’avrebbe voluto anche più bene del solito.

Rimasi solo in mezzo alla calca.

II M’avviai lentamente ad una birreria modesta, fuori del chiasso,

dove aveva costume di sorbirsi otto o dieci tazze di birra a quell’ora ap-punto un mio carissimo e solidissimo amico, il dottore Herzfeld. Era di dieci anni più vecchio, o, per meglio dire, men giovine di me, che n’avevo allora ventiquattro: piccoletto, grassoccio, rosso in viso, con due occhietti cerulei da cui schizzavano scintille. Egli professava medicina, ed io facevo il pittore. I nostri studi si toccavano in un punto l’anatomia; per la quale egli non sentiva nessuna inclinazione, ed io provavo un’avversione quasi invincibile. Questa ripugnanza aveva fatto andare in bestia il mio vecchio maestro, e m’aveva tirato addosso le celie dei miei colleghi; sicché, di quando in quando, per dare a me stesso lo spettacolo della mia forza di volontà e di stomaco, m’ero sforzato di cacciarmi nell’osteologia, nella miologia e nelle altre ricerche del corpo umano. Da quattro mesi Carlotta, alla quale non parlavo mai di tali brutte malinconie, aveva contribuito ad allontanarmi compiutamente dallo studio nauseante.

L’Herzfeld non era solo. Discorreva con un signore. Appena mi scor-se si alzò, e, correndomi incontro: – È un secolo che non ci vediamo – disse.

– Sono motto occupato – risposi – ed è un gran pezzo davvero che desideravo stringerti la mano.

– Sì, sì – replicò l’Herzfeld, con un certo suo ghigno, il quale vole-va parere sardonico ed era pieno di bonarietà – sì, sei affaccendato ad es-sere l’uomo più felice della terra. Ti perdono. Dio voglia che tu non abbia mai più bisogno né degli amici, né della birra – e mi offriva la sua tazza, che una rosea fanciulla aveva in quel momento recata e in cui bolliva an-cora la spuma. Poi, accennando me al signore che gli stava presso, gli

Page 155: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

241

disse il mio nome, e, indicando a me quel signore, proferì con voce piena di rispetto la sola sillaba: – Gulz.

– Carlo Gulz? – Il signore, alzandosi in piedi, fece un leggiero se-gno affermativo col capo.

– Carlo Gulz, l’anatomista? – Fece un altro segno affermativo, e si rimise a sedere, dopo avermi con la mano accennato di fare altrettanto.

Le ragioni del mio stupore erano due. Carlo Gulz aveva un nome già celebre fra gli scienziati e gli artisti tedeschi. La sua magnifica opera sull’Anatomia estetica era già pubblicata da più di tre anni, ed io, in uno de’ brevi periodi del mio faticoso studio anatomico, l’avevo letta da capo a fondo. Ora, dov’io m’aspettavo di trovare un uomo bene innanzi d’età, ecco che vedevo un giovine di aspetto quasi infantile. Era alto di statura, ma smilzo smilzo, come un ragazzo che sia cresciuto prima del tempo; portava gli occhiali, e aveva, a guardar bene, qualche ruga sulla fronte, ma i capelli biondissimi gli scendevano a onde sulla pistagna dell’abito nero, e il mento non era ornato se non di una barbetta gialla, che pareva di primo pelo. La fisonomia indicava una placidezza concentrata e triste. Vidi poi che, nel parlare, il naso, disegnandosi in leggiera curva aquilina, dava a quel volto certa strana espressione di fermezza rigida e quasi sini-stra, espressione accresciuta dal carattere della voce, dolce nel suono, ma uscente a scatti, con concitazione dura.

La seconda causa del mio stupore stava in una vaga somiglianza di Carlo Gulz con quell’uomo, di cui non m’era riescito scorgere le fattezze un’ora prima nell’ombra del crepuscolo, e che aveva fatto tremare e gri-dare Carlotta. Carlotta sapeva ella che quegli fosse un anatomista? Poteva bastare ciò perché, pur essendo tanto schifiltosa, le venisse indosso un sì forte spavento? Ma, sopra tutto, non m’ingannava forse una facile analo-gia di statura, di magrezza, di portamento, di abito?

Tali stupori e tali sospetti mi traversarono il cervello in un lampo, e non feci niuno sforzo nel rivolgere un caldo elogio al Gulz sul suo libro, il quale, dicevo, aveva fatto progredire insieme l’arte e la scienza.

Egli rispose con molta semplicità, ma con profonda convinzione: – Quel libro, signore, è un’opera giovanile, incompiuta e fiacca. La mia nuova teoria aveva bisogno di moltissime prove e di larghissimo svilup-po. Sto adesso occupandomene, e fra sette anni, se la natura mi aiuta, il lavoro sarà fornito.

– Ed ella vive intanto in mezzo ai cadaveri?

Page 156: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

242

– Dieci ore al giorno, regolarmente. In nove anni, dacché ricerco la bellezza del corpo umano, non mi rammento di avere rubato qualche ora al mio caro studio se non una dozzina di volte, e, glielo assicuro, senza mia colpa. Il tempo impiegato di giorno nell’andare in cerca dei modelli vivi e nello studiarli, si riacquista di notte. Ma pur troppo il caso non mi vuole favorire sovente; pur troppo accade assai di rado che i perfetti mo-delli vengano a finire sulla mia tavola di marmo bianco!

– Nove anni dacch’ella studia il corpo dell’uomo, dottore! Ella do-veva essere ben giovinetto quando cominciò le sue indagini anatomiche.

– Quando principiai ad occuparmi dell’uomo avevo più di vent’anni; ma sin da ragazzo mi occupai degli altri animali. Abitavo in campagna, e mio padre era veterinario. Rammento che, appena desinato, correvo a fare il mio compito scolastico in una specie di stalla tutta mia, piena di uccelli, di galline, di conigli. Finito di sbadigliare sulla grammatica o sull’aritmetica mi cacciavo nelle mie investigazioni e nelle mie esperien-ze infantili. Mio padre verso le dieci della sera veniva a pigliarmi per le orecchie, e mi trascinava a letto. Spesso attendevo che tutti dormissero, mi rivestivo, e in punta di piedi tornavo pian piano nella mia stalla, dove talvolta lo strido di qualcuna delle mie bestie mi tradiva, e dovevo, pian-gendo, abbandonare il frutto della operazione. Passai quindi ai cani, ai gatti, ai cavalli…

– E stampò – interruppe l’Herzfeld, che sino allora aveva ascoltato tacendo – nella «Rivista universale di Anatomia» uno studio intitolato: L’indole morale degli animali domestici ricercata anatomicamente.

– Appunto; e avevo sedici anni. – Conosco lo scritto. È l’opera di un vecchio, non l’opera di un

fanciullo. Ma chi volesse dedurre il carattere personale dell’uomo dalle ossa e dai muscoli…

– Farebbe in parte quello che faccio io – notò il Gulz: – e non ho cominciato io; giacché dopo e prima del Gall e del Lavater cento altri hanno tentato le medesime ricerche.

– Ma con qual frutto, dottore? – Con poco, è vero; perché i loro sistemi erano incompiuti. Non le

sole forme esterne del corpo bisogna guardare, né le sole gibbosità del cranio, ma tutta intiera la macchina umana. Tutto si collega, tutto s’immedesima. Ciò che i più dicono anima, forma una cosa sola con ciò che tutti usano chiamare materia.

Page 157: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

243

– Il pensiero è materia! Come lo dimostra, dottore? – chiesi io, ri-pigliando il dialogo.

– E lei come dimostra, scusi, che il pensiero sia spirito? Che cosa è questo spirito, che cosa è quest’anima? La Vanità dell’uomo ha voluto crearsi dentro un certo non so che, diverso dalle molecole e dalle forze della natura. L’idea di un così fatto privilegio ripugna, perché rompe le leggi dell’universo, e deve sembrar puerile, perché in fondo non dice e non ispiega niente. Non pare a lei più naturale il credere che i pensieri e i sentimenti non sieno altra cosa che le infinite e rapidissime combinazioni di atomi infinitamente piccoli, i quali si muovono, s’aggruppano, si sciol-gono, si ricompongono, si riposano, si ridestano nelle cellette del cervel-lo? E così vengono facilmente spiegati il sonno, i sogni, la memoria, il rammentarsi improvviso, le bizzarrie della immaginazione, lo svolgersi ordinato del criterio e via via.

– E la morte? – È la putrefazione della materia del pensiero: la putrefazione dell’anima. – Ma le passioni, ma il genio dell’uomo? – Con soli novanta numeri si formano più di quarantatré milioni di

cinquine. Metta che le molecole del pensiero sieno miliardi e miliardi, e mi dica se nelle loro combinazioni non istieno dentro tutto il genio, tutta la scienza e tutte le passioni umane.

– Già, la madre che piange sul figliuolo malato, la donna che ab-braccia l’amante, Goethe che scrive il Faust, l’Allighieri che detta la Di-vina Commedia…

– Cristallizzazioni, per così dire, singolari e molteplici; fenomeni, de’ quali non si è ancora trovato il modo e il perché. Si troverà.

– E potremo allora, scusi, dottore, rinnovare in un laboratorio di fi-sica, di chimica o di anatomia il processo della mente di Volfango e di Dante, le lagrime della madre e il sorriso della sposa?

– In piccola parte, chi lo sa? Ma sempre, intendiamoci, in piccolis-sima parte…

– Manco male! – …perché i mezzi di cui l’uomo può disporre sono infinitamente

minori di quelli che ha in poter suo la natura, e perché l’abilità della natu-ra è infinitamente superiore a quella delle nostre mani. Noi conosciamo, per esempio, di che sostanze è composta la rosa, come germina, come si nutre, come respira, come cresce, come fiorisce, come prolifica; ma, ben-ché una rosa non pensi, potremo noi, per nostro uso, rifarci una rosa? Av-

Page 158: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

244

verta, non ostante, come oggi gli strumenti si perfezionano e l’occhio dell’uomo s’ammaestra. Ecco che già noi sappiamo riprodurre sulla fac-cia di un cadavere con la semplice corrente elettrica le espressioni della vita; il sorriso, il sogghigno, il segno dello sprezzo, quello dell’orgoglio offeso, il corrugare severo della fronte, la smorfia di uno che senta un cat-tivo odore, o l’irradiarsi sereno di un viso gaudente. La pila voltaica, il microscopio, i reagenti chimici, le operazioni chirurgiche, le osservazioni mediche, quali maravigliosi progressi non hanno fatto compiere allo stu-dio del corpo umano? E non resta egli a giovarsi meglio del magnetismo, e, chi lo sa? di qualche altro fluido sconosciuto finora? Chi può dire alla scienza: questo è il confine? Chi avrebbe mai indovinato che un piccolo prisma di vetro potesse bastare pochi anni addietro ad un uomo per isco-prire che nel sole bruciano alcuni corpi semplici, ignoti a lui e a tutti sulla terra? E il sole ci ha insegnato a trovare il rubidium, il coesium, il thal-lium, l’indium. Noi, ch’è tutto dire! sperimentiamo il sole. Innanzi ad una unica figura dobbiamo inchinarci e adorare: innanzi alla figura della Scienza.

Così dicendo, il volto di Carlo Gulz aveva assunto una espressione solenne e mistica. I suoi occhi scintillavano, e la sua fronte pareva enor-me. Nel pronunciare la parola ‘scienza’ s’era rizzato in piedi, e, cavando-si il cappello, aveva sollevato lo sguardo al cielo. «In quell’uomo» pensa-vo «c’è un sacerdote» e abbassai con rispetto la testa.

Dopo una breve pausa continuò: – Io vivo per la scienza. Non ho mai amato, mai sofferto, mai gioirò per altro che per la scienza. Nelle ore di voluttà la abbraccio; nelle ore di sconforto la invoco; nelle ore di orgo-glio le alzo un altare. Ma l’uomo che studia si sente le mani legate. Non siamo più, è vero, agli anni del Vesalio, che doveva disseppellire di notte tempo i cadaveri mezzo imputriditi nel cimitero degli Innocenti, o stacca-re dalle forche di Montfaucon i corpi già quasi divorati dai corvi e dagli avvoltoi. E senza tale sua audacia sublime gli uomini non avrebbero avuto quel famoso trattato di Notomia, che venne pubblicato a Basilea nel 1543…

– Coi disegni del Kalkar, mi pare? – Appunto. E il Vesalio fu mandato dal Tribunale dell’inquisizione

a Gerusalemme in penitenza, solo perché, a verificare certa sua induzione, credette necessario spezzare il costato di un uomo, cui batteva il cuore.

– È cosa da inorridire. – Da inorridire, perché? Non inorridite, non gridate vituperio e sa-

crilegio, io credo, quando per la caparbietà di un ministro o di un princi-

Page 159: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

245

pe, quando per conquistare un pezzo di terra, che una nazione ruba ad un’altra, spirano fra gli spasimi più tremendi, in mezzo ad un campo sfer-zato dal sole o in una mefitica sala da ospedale, migliaia e migliaia di uomini, dianzi sani, giovani, belli, onesti. Che vantaggio ne cava l’uma-nità? Quale beneficio ne trarranno i nepoti? Quante esperienze perdute! Vi lagnate che i medici non sanno, e non li lasciate studiare. Era più u-mano Napoleone il Grande quando ordinava le sue gloriose e inutili car-neficine, o Tolomeo quando donava al medico Erofilo più di seicento malfattori, già condannati all’ultimo supplizio, perché, sezionandoli vivi, cavasse dai loro corpi quella scienza benefica, la quale è giovata nel corso de’ secoli alla vita di milioni di uomini? Cosimo de’ Medici, un fiorenti-no forbito, faceva col medico Falloppio lo stesso; e il Falloppio, che per l’unico amore della scienza sperimentava sul vivo, era più barbaro forse di lei, dell’Herzfeld, di me, che per una parola sgarbata infilzeremmo senza scrupoli un uomo? Ella sa – continuava con foga rapida, ma rotta, il Gulz, indirizzandosi sempre a me – ella sa che Parrasio, per figurare Prometeo dilaniato dall’avvoltoio, comprò un prigioniero vecchio e vene-rabile, poi, fattoselo condurre in bottega, con un ferro aguzzo gli andò la-cerando il fegato, e, mentre il vecchio agonizzava fra i più atroci tormen-ti, il pittore calmo osservava, studiava, dipingeva.

– Lo so. Ma questa storia, che fa rabbrividire, è incredibile. – La racconta Seneca, al quale, è vero, la morte non faceva paura, e

la racconta come una cosa affatto semplice e affatto naturale. Insomma quegli uomini antichi mettevano sopra ogni altra passione la passione del vero. Per essi la scienza aveva dei tremendi diritti. L’umanità contava più dell’uomo. Vedevano il bene con animo grande, con volontà di ferro, senza sdolcinature da femminuccie, o timori da fanciulli, o scrupoli da rimbambiti. Erano uomini.

Dopo queste parole il giovine si alzò in piedi, cacciò indietro, squassando il capo, i suoi lunghi capelli, stese la mano all’Herzfeld, s’inchinò a me e, volgendoci le spalle, senza dire altro s’allontanò.

Io ero rimasto attonito, mezzo maravigliato e mezzo stomacato; ma l’Herzfeld, afferrandomi pel braccio e scuotendomi forte: – Svegliati – disse – e andiamo via. Non vedi che siamo rimasti soli? – Affrettammo il passo.

Carlotta mi aspettava; ma quella sera si discorse poco, non si rise punto, e s’andò a letto di buon’ora.

Page 160: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

246

III Tre giorni dopo Carlotta era ridiventata più festevole che mai, ed io

pensavo ben di rado e con un sorriso di compassione a Carlo Gulz, del quale non avevo detto niente alla mia sensibile amica.

Davo gli ultimi tocchi ad un gran quadro, già messo nella sua larga cornice. Ogni tantino m’allontanavo dalla tela di alquanti passi per guar-darla con compiacenza; prendevo uno specchietto e, voltandomi, stavo un po’ a contemplare beatamente in esso la immagine del dipinto; poi sbal-zavo presso a Carlotta, e inginocchiandomi davanti a lei e baciandole le mani, le dicevo: – Tu m’hai rivelato a me stesso: o questo capolavoro è tutto tuo, o tu sei uscita dal mio cervello. – E la ricercavo per la millesima volta dal fronte alle unghie rosee dei piedi con uno sguardo profondo e lento lento, ma pieno di rispetto candido e di ammirazione purissima.

I raggi del sole, che entravano senza ostacolo dall’ampia finestra, e, rischiarando di un’allegra luce il quadro, facevano brillare l’oro della cornice, di rimbalzo mandavano sul corpo divino di Carlotta un lume pie-no di riflessi, che permetteva, senza il volgare contrasto di un chiaroscuro eccessivo, lo studio fine di quei contorni flessuosi e di quel colore delica-tissimo. Le membra erano modellate a cesello. Dove le ossa, non ravvolte nel fermo involucro di muscoli e di carne, lasciavano sotto la pelle traspa-rire, come nella rotula e tra il cubito e l’omero ed all’ileo ed alla clavicola e sul frontale, la loro tinta di avorio; dove le vene sottili e leggermente azzurrognole s’intrecciavano sul colore di rose, la mia tavolozza era, do-po un’ardua ma dolcissima fatica, giunta a tal perfezione che mi faceva andare in visibilio. Carlotta m’innamorava anche più nel mio quadro che in sé stessa: la mia vanità m’aveva tanto ubbriacato che in qualche istante quella donna mi sembrava la copia viva della opera delle mie mani. Tra lo scherzoso ed il mistico declamavo a gran voce, alzando al cielo le braccia come le figure oranti delle catacombe, un verso, il quale contene-va, secondo me, la definizione di tanto splendida creatura, un verso di Te-renzio nell’Eunuco:

Color verus, corpus solidum et succi plenum.

Ma Carlotta intanto s’era alzata in piedi, ed era venuta leggiera leggiera dietro a me, gettandomi le braccia sulle spalle e incrocicchiando le mani sulla mia fronte. Mi girai a un tratto, ma era già fuggita nella sua

Page 161: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

247

camera, serrando l’uscio. Un quarto d’ora dopo, rientrò vestita col suo a-bito color di rosa.

L’Aretusa del mio dipinto rappresentava tale e quale Carlotta. A-vevo condotto a fine quella figura grande al vero e il paesaggio in due so-li mesi, lavorando quattro ore al giorno, poiché volevo sempre dipingere col sole in istanza; e il sole in quei due mesi mi aveva, per sua grazia, tut-ti i dì favorito. La tela era più larga che alta. Il boschetto di tamarisci la-sciava vedere tra le frondi e i rami un lembo di cielo azzurro; ma chiude-va nell’ombra diffusa e quasi lucente il dinanzi del terreno, dove tra i verdi trifogli e le tenere mortelle e le vermiglie rose – qual avvi al mondo cosa – bella senza la rosa? – tra le rose e le mortelle e il trifoglio scorre-va, blando ruscello, il corpo della ninfa Diana, per salvarla dalle amorose persecuzioni di Alfeo, la volle trasformare in fonte; ma l’amore, più inge-gnoso della dea, insegnò tosto al cacciatore di trasformarsi in fiume: e le acque della sorgente e del fiume si confusero insieme, e, sotto alle onde salse del mare, così mischiate, ricomparvero dolci e limpidissime sul lido di Sicilia. Questo mito elegante piaceva in quei giorni a me, che col beato Anacreonte andavo ripetendo, fra gli altri, questi versi:

Monile al tuo bel collo vorrei farmi,

O zona al colmo seno;

O in socco pur cangiarmi,

Sì che il tuo piede mi premesse almeno.*

Alfeo aveva fatto meglio; ed io volevo dipingere i due amori, che

diventavano uno. Ma nel pormi all’opera avevo prima messo da parte Diana, poi lasciato fuori Alfeo; e a un po’ per volta la favola si ridusse a un nome. Intorno a quel nome io posi per altro tutto il mio affetto e tutto quanto il mio ingegno. Invocavo Aretusa come Faust aveva invocato Elena.

* Versi desunti dalle Anacreontee pubblicate nel XVI secolo per opera di

Henri Estienne, attribuite erroneamente al poeta greco. Cfr. Anacreontis odae, ab Henrico Stephano luce et latinitate nunc primum donatae, Lutetiae, apud H. Ste-phanum, 1554, p. 96: «Aut sim monile collo, / Strophium aut tuis papillis. / Sim calceus, tua me / Saltem terásque planta». Un’edizione di poco anteriore al rac-conto boitiano è costituita dagli Anacreontis Teii quae vocantur Symposiaka hēmiambia ex Anthologiae Palatinae volumine altero nunc Parisiensi, post Hen-

ricum Stephanum et Josephum Spalletti tertium edita a Valentino Rose, Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri, 1868.

Page 162: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

248

La ninfa dunque, nel suo alveo di erbette, seguiva con le membra la inclinazione del suolo; e il braccio sinistro, disteso lungo il terreno, sor-reggeva il capo, da cui sgorgavano come onde d’oro i capelli; e la mano destra si ripiegava sotto il mento; e il seno schiacciava mollemente i fiori variopinti; e il contorno dalla prominente spalla scendeva giù giù con una curva ineffabile, poi si rialzava nel tondo fianco e tornava a muoversi tra rette brevi ed archi soavissimi sino al piede. Il volto esprimeva l’amore quando comincia, fra il sereno ed il mesto: un sorriso e un sospiro.

– Bravo il mio pittore – diceva Carlotta. – Io sono tanto superba di parer così bella. Ma tu mi dovrai dipingere di nuovo, in cento modi, vesti-ta da odalisca, da monaca, da vestale, vestita da Eva. In campagna, ne’ folti boschetti della vallata di Brühl, non mi atteggerai su questo prosaico divano, coperto da questa sbiadita stoffa di color verde, ma sull’erba alta del color di smeraldo.

– Sì, e se passasse qualcuno? – Lascieremo passare. Non vuoi tu forse esporre questa nostra Are-

tusa alla Mostra permanente? – Sì certo. Ha da essere la prima pietra dell’edificio della mia glo-

ria. Ma, chi sa? gli uomini, e specialmente gli artisti, sono tanto corrivi alle illusioni…

– Cattivo. Mi hai pur detto che te l’avevo fatto io il quadro. Non voglio che si dubiti della mia sapienza, sai. Ora dunque, se tu vuoi espor-re agli occhi di tutti l’Aretusa, e dici che l’Aretusa sono per l’appunto io…

– È cosa diversa – replicai secco. Ma Carlotta, che vide aggrottarsi le mie ciglia, con una sonora risata: – Non capisci che scherzo? – Poi, senza lasciar tempo in mezzo: – Quando si va in campagna?

– Il quadro è finito. Dopo una velatura alle rose, scriverò qui nell’angolo, sopra questo sasso, il mio nome.

– E scrivilo, come ti piace. Domattina per tempo manderò dunque il quadro all’Esposizione, e prima del mezzodì partirò per Mödling.

– Solo? – Solo, se non ti rincresce. Cercherò in fretta un casinetto lì intor-

no. In tre giorni, al più, l’avrò trovato. Tu intanto metterai in ordine i bau-li, provvederai a’ miei colori, alle mie tele, ai miei pennelli. Verrò a pi-gliarti, e partiremo subito. Sei contenta?

– Sono contenta. Ma, ti prego, trovami proprio un casino nella val-le di Brühl, e che abbia daccanto un bel pergolato verde. O Dio! se sì po-

Page 163: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

249

tesse trovare un pergolato di gelsomini! Domani a sera mi scriverai da Mödling, non è vero?

– Ti scriverò, mio angelo. Ma tu pure mi scriverai, e farai gettare la lettera nella buca doman l’altro ben di buon’ora. Così doman l’altro stes-so, nel tornare di sera all’albergo, sentirò la tua voce che mi darà la buona notte.

E si continuò a discorrere a questo modo, mentre io andavo ritoc-cando di qua e di là il dipinto, ed ella ora mi stava dietro le spalle, ora s’andava a sdraiar sul divano, ora guardava i suoi fiori sul balcone, ora sfogliava libri e giornali. La sera si uscì, e la mattina seguente mandai, come avevo detto, il quadro all’Esposizione, e partii per Mödling.

Il pensiero di vivere con Carlotta i mesi dell’estate e dell’autunno in una casetta solitaria, nel mezzo a un delizioso paesaggio di montagne e di boschi, mi colmava di gioia. Quanti bei disegni facevo di pigrizia e di operosità! Come conciliavo nella fantasia la indolenza beata e l’animoso lavoro! Ora sognavo un idillio di Teocrito: sotto ad un olmo le bianche capre, e la zampogna, e un nappo dipinto, colmo di vino, e miele e favi. Ora mulinavo nel cervello cento soggetti di nuovi quadri: i Nibelunghi, la Bibbia, la mitologia, l’allegoria, la storia. Non mi fermavo a niente: la immaginazione correva come il vagone nel quale stavo seduto, e i fanta-smi di essa fuggivano come i pali del telegrafo. Un filo annodava però quei vaganti pensieri insieme: il desiderio della bellezza.

A Mödling, desinando, m’informai delle villine che s’appigiona-vano in quei pressi. Ve n’erano parecchie sfittate verso Laxenburg e Baden; ma fermai l’attenzione ad un casino, che mi dicevano composto di otto stanze elegantemente ammobigliate, con giardino e pergolati, posto fuori del quieto villaggio di Teufelsmühle, appunto in quella valle di Brühl, ch’era il gran desiderio di Carlotta. Ordinai una carrozza per la mattina seguente, e scrissi due pagine gaie alla mia Aretusa.

Nell’uscire dall’albergo per fare una passeggiata, aspettando l’ora di andare a letto, vidi la neve sulla cima del monte Schneeberg scintillare ai raggi del sole cadente. Passo passo, canterellando, fantasticando, fis-sando gli occhi nel cielo, che per una serie di tinte finissime procedeva al misterioso azzurro delta notte, entrai nella stretta gola di un monte, chia-mata col solito nome di Klause. I massi di un calcare rossastro, parte nu-di, parte ricoperti di piante brune, andavano crescendo nel buio sino a di-ventare enormi, e mi stringevano e schiacciavano sempre più. I miei pen-sieri, dianzi tutti giulivi, di mano in mano che aumentava l’oscurità,

Page 164: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

250

illanguidirono, s’offuscarono, finché, non so come, lo spettro lugubre di Carlo Gulz s’impadronì della mia mente. Ritornai con passo rapido all’albergo, tracannai tre o quattro tazze di birra, e m’addormentai presto, perch’ero stanco.

Il dì dopo mi svegliai come un usignuolo, cantando. Non avevo mai sentito l’animo traboccare di più energiche speranze. Il corpo e l’ingegno erano freschi, e vispi e gagliardi. Mi circondava un’atmosfera di felicità ridente. Mentre aspettavo la carrozza, ora passeggiando sulla strada, ora sdraiandomi sull’erba, le tre foglie d’un trifoglio mi parevano sublimi, e un sassolino illuminato nell’ombra di un albero da un raggio di sole mi sembrava un miracolo. Non ebbi mai come in quell’ora l’intelletto del colore. Nel verde di una foglia, nell’oltremare liscio del cielo, nelle macchie de’ muri sentivo un’arte compiuta, la quale mi pro-duceva dentro gli stessi effetti della musica di Beethoven. Le mille grada-zioni delle tinte, ciascuna in sé stessa, mi rivelavano qualche cosa di nuo-vo, mi suggerivano una idea, mi suscitavano un affetto. Il senso della vi-sta, assottigliandosi, aveva trovato una segreta serie di relazioni con l’anima. Il dolore fa il poeta; ma la gioia fa il pittore.

Il villino presso Teufelsmühle era infatti delizioso. La facciata di stile greco aveva un pronao di quattro colonne, il quale finiva all’alto nel timpano, avente al mezzo in bassorilievo un’arpa inghirlandata. Dall’uno e dall’altro lato del portico si distendevano le ali dell’edificio, un po’ me-no alte, con cinque finestre per parte. Sul dinanzi del prospetto s’apriva il cortile, difeso dai bei cancelli di ferro; e dietro alla casetta bianca spazia-va il giardino, nel quale, sotto l’ombra degli alberi, crescevano fiori d’ogni maniera. Io, correndo, ricercavo le macchie più folte e le stradic-ciuole più nascoste; poi mi lasciavo cadere sopra un sedile di pietra o so-pra una panca di greggio legno, e pensavo tra me: «Qui starò con lei a leggere, e tra una pagina e l’altra un bacio»; oppure: «Io prenderò il mio albo ed ella il suo ricamo, e, lavorando, quanti discorsi vecchi, sempre nuovi…!».

Il buon vecchio custode della villa e fattore del proprietario, mi ve-niva dietro come poteva, gridando: – Signorino, un po’ più adagio, di grazia. Veda il tale albero; veda la tale pianta; guardi il magnifico getto di codesta fontana; consideri le stupende stalattiti di questa grotta. – Io lo lasciavo dire, e andavo dritto; ma, non ci fu scampo, dovetti contentarmi di entrare nella grotta per ammirarne le stalattiti, giacché il vecchietto a-veva messo, pare, tutto il suo orgoglio in quella parola.

Page 165: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

251

Al di dentro il casino era pulito e sereno come al di fuori. – Questa sarà la camera di Carlotta – dissi, entrando in una stanza tappezzata di carta celeste ad allegri fiorami. Aveva due finestre verso il giardino ed una gran porta sul fianco: il sole vi doveva nascere e morire. Aveva anche attiguo un gabinetto turco, dove i vetri colorati davano alla luce qualche cosa di voluttuosamente fantastico: e in fondo vi stava, dietro un corti-naggio, la vasca del bagno.

– Non c’è egli – chiesi al vecchio – un pergolato di gelsomini? – Ci è – rispose; – e s’ella m’avesse voluto seguire bel bello e con

attenzione, glielo avrei fatto vedere. – Poi, spalancata la porta esterna di quella stanza che avevo già destinata a Carlotta, mi fece passare in una elegante pergola chiusa e coperta dalle piante gentili de’ gelsomini orec-chiuti. Strappato un de’ fioretti candidi e vellutati, lo chiusi nel portafogli, pensando di offrirlo a Carlotta nell’annunziarle la scoperta del nostro ni-do. In pochi minuti il contratto fu conchiuso e la caparra data.

– A rivederci doman l’altro – gridai al fattore nello sbalzar in carrozza. – Non dubiti, che sarò qui ad aspettarla – rispose con un profondo

inchino. E il cavallo si mise a un bel trotto esultante; e il vetturino, facendo

scoppiettare festevolmente la frusta, canticchiava una matta canzone; ed io riempivo d’aria i polmoni, allargando il petto con gioia.

IV

Nel rientrare all’albergo di Mödling trovai una lettera di Carlotta.

Diceva così: «Amico mio: ritorna, per carità! ritorna subito. Se non hai trovato

la villa pigliami ad ogni modo con te: staremo all’albergo insieme qual-che giorno, e lascieremo intanto il grosso della roba a Vienna. Tu sapessi come mi sento triste e spaventata quando non posso appoggiarmi al tuo braccio! Ho bisogno che tu rida delle mie vane scempiaggini; ho bisogno di sentirmi sgridare da te dolcemente, qualche volta anche un po’ bru-scamente, per questi neri capricci, che mi tormentano di quando in quan-do il cervello; ho bisogno che tu, stringendomi forte al petto, mi dica: bambina! Mi vergogno allora di me stessa, e mi vinco.

«Tu sai tutto di me, salvo la piccolezza della cagione da cui nasco-no le mie paure. Nello scrivere mi farò ardita; ma promettimi di non par-

Page 166: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

252

lare mai e poi mai di ciò che talvolta mi opprime, poiché voglio amarti con cuore sereno e bocca ridente. Già non è necessario ch’io te ne preghi, tanto sei buono e generoso con me. Cinque giorni fa, nel Prater, di sera, io avevo pure promesso di dirti perché, mentre passava di contro alla panca ov’eravamo seduti un signore lungo e magro, m’avvinghiai tre-mante al tuo corpo; ma tu, indovinando che il discorrerne mi sarebbe pe-sato, non ne hai detto più nulla. Ti contentasti di credere che quell’uomo non mi aveva fatto mai nessun male, non aveva mai tentato di corteg-giarmi, non mi aveva anzi mai parlato: ed è il vero.

«Una sera dunque, cinque mesi or sono, prima che venissi a stare con te, andai, in compagnia di due amiche e di due loro amici, alla Diana-Saal. L’immenso locale era al basso tanto pieno di gente, che non ci fu passibile di trovar da sedere. Si ascese al piano superiore, il quale tu sai come sia formato da una ringhiera circondante la sala, e tutt’intorno da certi sfondi assai ampi in forma di stanzetta, aperti sulla ringhiera. Le ta-vole erano tutte occupate. Avevamo già fatto lentamente e invano il giro di quasi intiera la galleria, quando, nel passare dinanzi ad uno degli scompartimenti, vidi molti giovani che si giravano a guardarmi, ed uno fra essi, il quale, per isquadrarmi meglio, s’era rizzato in piedi. Sai che le donne hanno l’abilità di notare ogni cosa in un lampo, senza parere, con la coda dell’occhio. La faccia di quel giovine m’era sembrata sinistra. I vetri degli occhiali nascondevano lo sguardo, i capelli giallicci scendeva-no sulle spalle; ma quel volto giovanile mi fece l’impressione del viso di un morto (rabbrividisco!) di un morto, che dica: t’amo. Rivolse qualche parola agli amici; ma non ne colsi che il suono. Intanto le persone sedute nella stanzetta vicina s’alzarono per uscire, e noi prendemmo il loro po-sto. Uno de’ signori, ch’era con noi, aveva veduto anch’egli nel passare il giovine biondo, e, poiché lo conosceva di vista, ci disse ch’era il profes-sore Gulz, un celebre scienziato, il quale vive (tremo, ma ti voglio dir tut-to) notte e dì coi cadaveri. Io, che sino da bambina fui sempre schizzino-sa, mi sentii gelare. L’orchestra continuava tuttavia a suonare il valzer. In un tratto le trombe e i tamburi lasciarono luogo ad alcune flebili battute; ed allora una voce, quella del Gulz, mi giunse all’orecchio. Proferiva con accento concitato queste parole: “Giuro, amici miei, giuro in virtù del mio presentimento, e in nome della scienza, che la bella Carlotta” come sape-va egli il mio nome? “riposerà sul marmo della mia tavola, per rivelare al mio coltello il segreto della sua bellezza”. Tornò il rumore dell’orchestra; ma in ogni modo non avrei più potuto udir nulla, tanto mi sentivo ango-

Page 167: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

253

sciata. Pregai che si uscisse, e uscimmo infatti dalla parte opposta al luo-go dov’erano il GuIz e gli amici suoi, i quali certo non avevano supposto che noi ci fossimo potuti sedere così d’accosto, solo divisi da una bassa e sottile parete.

«Quel caso mi lasciò, ti confesso, una profonda paura della monte; un immenso ribrezzo de’ cadaveri; una sensibilità di fibra ch’è una vera malattia, in tutto ciò che allude, anche di lontano, a que’ funerei pensieri. Ecco perché ho tremato rivedendo il Gulz. Oh Dio, se il giuramento di quell’uomo terribile s’avverasse! Ritorna, ritorna presto, amico mio. Fa’ che io ridiventi spensierata, sventata, pazzerella: ho tanta necessità di ri-dere e di amare. Lì nella valle, noi due, in una bella casetta, sotto un per-golato di gelsomini, saremo beati. E poi queste mie insulsaggini andranno guarendo, e non ti ruberò più nemmeno un quanto d’ora di gioia, e sarò sempre ‘la bizzarrina del campo dei fiori’.

«Son già quasi le dieci del mattino. Voglio uscire a gettar questa lettera nella buca, e poi voglio andare in su, lungo il Danubio, con questo bel sole, a fare una passeggiata solitaria. Vieni, ti scongiuro, vieni ad ab-bracciare domani la tua

Aretusa»

Non potevo partire la sera stessa, poiché l’ultimo treno per Vienna era passato; ma ordinai al cameriere che mi svegliasse il dì seguente assai di buon’ora. Alle cinque ero in vagone, e guardavo in faccia il sole che, velato da un leggiero vapore, si alzava dietro una macchia di alberi, span-dendo sui prati, sui colti, sulle montagne la mite allegria della sua luce. Poi, mentre il treno correva, fissando gli occhi nel cielo, notavo le rapide trasformazioni de’ suoi colori fini, trasparenti: immenso prisma, dove tut-te le tinte si seguono e s’accordano in isfumature soavissime, che non si trovano sulla tavolozza.

La lettera di Carlotta m’aveva un po’ agitato la notte. M’ero sogna-to non so quali spaventi, in cui Carlo GuIz ricompariva sempre con diver-si aspetti orridamente fantastici. Avevo dormito poco; ma quando mi fui alzato da letto ed ebbi spalancate le finestre, ogni brutto pensiero svanì. Ragionavo tra me a questo modo: «Il Gulz, come tutti gli uomini che pas-sano il più del tempo soli e studiando, massime lui che lo passa coi morti, ha bisogno in un quarto d’ora di espandere le idee e i sentimenti, che, du-rante le lunghe ore di isolamento, gli si accumulano dentro. Di necessità poi que’ sentimenti e quelle idee, maturando nella officina di un anatomi-

Page 168: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

254

sta, devono pigliare forma eccessiva, schifosa, disumana. Dall’altra parte, chi ha costume di esercitare la propria volontà sulle cose inerti, inclina a credere che le altre sue rare volontà sui viventi abbiano in egual modo ad attuarsi. Aggiungiamo che il Gulz poteva avere bevuto qualche tazza di birra più del solito. L’assurdo suo giuramento, assurdo perché, quando pure Carlotta fosse morta a Vienna, egli non avrebbe potuto impossessar-si del suo corpo, non si doveva dunque pigliare sul serio. Ad ogni modo Carlotta e la salute erano la stessa cosa. Ma, d’altra parte, Carlotta aveva ella inteso bene le parole del Gulz, o piuttosto non le aveva involontaria-mente contorte a quelle paure, che già prima stavano nel suo spirito?». Insomma, un po’ per la bontà di questi raziocini, un po’ perch’ero già av-vezzo alle innocenti bizzarrie di Carlotta, non mi sentivo capace di pensa-re ad altro che alla contentezza del nostro prossimo idillio nella bianca casetta e nell’ombroso giardino di Teufelsmühle.

Alla stazione di Perchtoldsdorf il treno, nel quale io ero, incontrò quello che veniva da Vienna, e che portava la corrispondenza e i giornali. Un fattorino si mise a gridare a squarciagola: – «Wiener Zeitung», «Pres-se», «Wanderer», «Ost-deutsche Post», «Morgenpost», «Vaterland», «Glocke», tutte le edizioni del mattino, signori, appena uscite dal torchio – e ricominciava la litania. Chi comperava questo giornale e chi quello: io mi feci dare la «Glocke», perché sapevo che era molto sollecita nel recare le notizie delle opere esposte alla Mostra permanente, ed ero, in fondo, assai curioso di conoscere l’impressione che il mio dipinto produceva da due giorni sul pubblico. Sotto il titolo di Belle Arti trovai infatti una scrit-to, nel quale i più sperticati elogi erano tributati al mio pennello e alla mia intelligenza. Il critico esaminava con sottili argomenti il ‘tocco’ e i ‘toni’, scoprendovi dentro non so che altissime intenzioni estetiche, filosofiche, morali. Dimostrava che il corpo di Aretusa, così perfetto che certissima-mente la natura non avrebbe potuto creare il simile, doveva essere stato composto come le api fanno il miele co’ fiori, o come Zeusi fece l’Elena con le fanciulle di Crotone: e qui una dissertazione sull’ideale. Mi con-frontava un po’ col Correggio, un po’ con Paolo Veronese, un po’ col Rubens, molto con Minerva, che uscì dal cervello di Giove armata di tut-to punto. Terminava così:

«Dobbiamo chiudere questi encomi con la espressione di un ram-

marico. L’eccellente lavoro, dopo essere stato due soli giorni esposto agli avidi occhi del pubblico, degli artisti e de’ critici, fu comperato oggi stes-

Page 169: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

255

so al chiudersi delle sale e portato via. Non sappiamo il nome del fortuna-to acquirente, ma speriamo ch’egli vorrà contentare la onesta curiosità, rimettendo per alcuni giorni ancora l’opera alla Esposizione. La colpa è tutta del regolamento della Società, che non istabilisce il minimo del tempo, nel quale un’opera debba rimanere in mostra. Non è la prima volta che lo diciamo; ma quest’ultimo deplorabile fatto è a sperare che valga finalmente ad aprire gli occhi agli onorevoli faccendieri sociali».

Lo scritto non era un capolavoro di critica e di garbo; ma la vanità

è così docile nel lasciarsi solleticare, ch’io ne fui tutto contento. Mi pare-va che gli alberi fiancheggianti la via scappassero indietro lenti lenti, così ero impaziente di mostrare a Carlotta le nostre lodi, e di dire che subito avremmo ricominciato in campagna un altro quadro, dieci volte più bello dell’Aretusa. Le idee dei dipinti, che avevo già accarezzate, mi tornavano nella fantasia, e intanto le mani voltavano i fogli del giornale, e gli occhi scorrevano distratti sui caratteri. Cosi, senza badarvi quasi punto, leggic-chiai alcune notizie politiche, poi, scendendo alla Cronaca cittadina, qualche racconto di fatterelli curiosi. Questo fra gli altri:

«Infortunio. Oggi, verso le dieci e mezzo del mattino, il funerale

della contessina di Bardach, morta di vent’anni, è stato l’occasione di una di quelle sventure, che dobbiamo purtroppo deplorare quasi ogni giorno. La bara era coperta dal drappo bianco e inghirlandata di freschi fiori; le giovani amiche della contessina seguivano il carro a piedi, e veniva poi la lunga fila di carrozze coi parenti e conoscenti della famiglia. Il convoglio funebre, che per andare al cimitero di Nussdorf aveva pigliato la via lun-go il Danubio, passava appunto dal Rossauer Lände, dove lo spazio si re-stringe ed il fiume non ha parapetto, quando una signora, nel volersi rapi-damente ritrarre, precipitò nelle acque, e venne trascinata un centinaio di metri giù dalla corrente prima che si potesse salvarla. Fu tolta dal fiume asfissiata; e, perché non si trovarono indizi del suo nome o della sua abi-tazione, fu tosto portata lì presso allo Spedale generale. Non ne sappiamo altro. Dicono che sia giovane e bellissima».

Avevo letto la notizia sbadatamente; ma l’ultimo periodo mi ferì

l’attenzione. Rilessi da capo. Ogni parola mi parve di fuoco. Sentii la mia testa bruciare. Cavai dal portafogli la lettera di Carlotta. Confrontai la da-ta della lettera con quella delle Notizie cittadine: era la medesima. Il gior-

Page 170: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

256

nale narrava che il fatto avvenisse «verso le dieci e mezzo del mattino», e la lettera diceva: «Son già quasi le dieci del mattino. Voglio uscire a get-tar questa lettera nella buca, e poi voglio andare in su lungo il Danubio a fare una passeggiata solitaria». E il fatto era accaduto lungo il Danubio, e in su. E poi la paura della morte, il ribrezzo, l’orrore invincibile dei fune-rali. E poi la giovinezza. E poi la bellezza. Ogni cosa mi ribadiva nella mente il dubbio terribile. Cercavo, invocavo invano una ragione, che mi svincolasse da quella orrenda certezza, la quale già m’abbrancava il cuore e mi strozzava alla gola. Pregai le persone, che avevano comperato altri giornali, di lasciarmeli scorrere per un momento. Un signore tardò ad of-frirmi il suo: glielo strappai di mano. Tacque: credo che mi giudicasse per matto. Il «Morgenpost» solamente dava la notizia con le stesse parole della «Glocke»; gli altri non dicevano niente. S’era giunti nel frattempo a Liesing. Balzai a terra, e scongiurai il capostazione di spedire immanti-nente all’indirizzo del dottore Herzfeld un telegramma, nel quale gli di-cevo di correre alla stazione del Sud ad aspettarmi. Nel tornare in vagone lo trovai vuoto: pare che i miei compagni di viaggio, non si credendo troppo sicuri con me, avessero mutata carrozza. Non so che cosa facessi. Mi rammento solo che, aggrappandomi con le mani ai ferri, i quali servo-no presso il soffitto a porre i bagagli, stiravo con gran forza le braccia, fino a sentirle scricchiolare.

S’arrivò finalmente alla stazione del Sud, dove il mio amico mi stava aspettando. Lo presi per il braccio, e lo trascinai, correndo, attraver-so le sale.

– Sai niente di Carlotta? – Niente. – Non l’hai vista oggi, ieri? – No. Non ho occasione di vederla mai. E poi tu stesso mi dicesti

che i medici non le vanno a’ versi. – Non sai niente di una signora caduta ieri mattina nel Danubio e

portata allo Spedal generale? – Niente. La mia irritazione era al colmo. Strinsi tanto forte il polso

dell’amico, che egli, svincolandosi, gridò con dispetto: – Diavolo, mi fai male. Sei diventato pazzo? – Gli domandai scusa, e, perché intanto era-vamo entrati in una carrozza a due cavalli, che ci menava quasi di carriera al mio alloggio sul Franz Josefs-Quai, porsi all’Herzfeld la lettera di Car-

Page 171: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

257

lotta e il giornale, indicandogli la chiusa di quella, la notizia di questo e le date. Lo guardavo fisso. Impallidì; ma rimettendosi tosto, disse:

– Le coincidenze sono strane; ma Carlotta non è la sola donna gio-vane a Vienna, non è la sola donna bella, non è certo la sola che passeg-giasse lungo il Danubio ieri mattina.

– Ma quello spavento dei funerali? – E chi ti dice che la disgraziata signora si ritraesse per ispavento?

Poi, ad ogni modo, l’asfissia e la morte sono due cose diverse; e proba-bilmente quella signora non ha oramai altro male che il ricordo del suo bagno.

Queste parole fecero spuntare in me un germe di speranza; e l’amico, avvedutosene, continuò per distrarmi:

– Del resto, ho una buona novella da darti, e con la novella tremila fiorini. Il tuo quadro…

– Lo so, è stato comprato – interruppi con un gesto d’indifferenza dispettosa.

– È stato comprato, e senza contrattare sul prezzo. Ier sera l’ammi-nistratore della Società consegnò a me, come a tuo rappresentante, il da-naro. Gli rilasciai la ricevuta; ed eccoti i tremila fiorini, che ho portato meco, pensando, nel ricevere il telegramma, che ti fossero necessari.

– Tienli per ora, ti prego. – No, no, pigliali. E li presi infatti, cacciando l’involto nella tasca dell’abito sul petto.

– Chi ha comperato il quadro? – soggiunsi. – Non si sa. – Come non si sa? – Così mi disse l’amministratore. L’acquirente non lasciò il suo

nome, e fece portar via da facchini suoi il dipinto senz’aspettare neanche un minuto.

Nell’avvicinarmi al Franz Josefs-Quai sentivo crescere la febbre dell’impazienza. La carrozza si fermò davanti alla mia casa.

– La signora Carlotta? – chiesi con voce soffocata e con ansia pau-rosa al portinaio. Un lampo di gioia mi traversò l’anima nel vedere la fac-cia di quell’uomo. Rispose pacatamente:

– Non s’è veduta da ier mattina. Ho supposto che la signora fosse andata a raggiungerla in campagna.

– All’Ospedal generale, presto – gridai al cocchiere – presto, di carriera.

Page 172: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

258

L’amico si studiava di confortarmi; ma io, vinto oramai dalla di-sperazione, non lo ascoltavo più. Insistette perché gli giurassi di serbare un contegno ragionevole, di seguirlo passo passo, di non parlare mai con nessuno e di lasciar fare tutto a lui, che era pratico dello spedale e cono-sciuto dai medici e dagli infermieri.

V

Otto o nove serventi, con la loro veste di tela incerata verdognola,

abbottonata sino al mento e lunga sino alle calcagna, stavano discorrendo, seduti nell’atrio. L’ingresso principale, in fondo all’atrio, era chiuso da un cancello di legno: entrammo a sinistra, salendo tre gradini, e nell’aprire il battente dell’uscio il campanello mandò un suono forte e argentino, che mi fece trasalire.

Una calma sinistra, quasi cinica, aveva sostituito nel mio animo le disperate agitazioni di prima; contemplavo me stesso come se guardassi un’altra persona; la mia mente si fermava alle cose più indifferenti con attenzione pacata: mi ricordo che, mentre l’Herzfeld ricercava negli e-normi registri dello spedale, io studiavo can l’occhio una macchia di u-midità sulla nuda muraglia della stanza, e, indovinandovi dentro non so quali forme di uomini combattenti, ripensavo a Leonardo da Vinci. Sentii, non ostante, l’Herzfeld che osservava ad un medico di guardia:

– Qui nel registro degli Entrati non trovo cenno di una giovane donna tratta ieri dal Danubio, e portata, al dire dei giornali, in questo spe-dale intorno alle undici del mattino.

– Può essere che i giornali abbiano stampato una fanfaluca – rispo-se il medico. – Ne stampano tante! Hai guardato nel registro degli Usciti?

– Sì. – C’è? – Non c’è. – Allora vuol dire certamente che se ella è entrata, non è uscita, o

almeno che non è uscita viva. – Ma può darsi ad ogni modo che ci sia. Talvolta ne’ casi urgenti si portano i malati subito nelle sale, e quella be-stia del custode dimentica di registrarli.

– Andiamo dunque nelle sale – mi disse l’Herzfeld. Lo seguii. Entrammo in un immenso cortile rettangolare, contorna-

to da portici. Era tutto piantato di begli alberi, che disegnavano le loro cime sull’intonaco bianco del piano superiore. Lungo uno de’ lati stavano

Page 173: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

259

schierati trenta cataletti almeno, tutti chiusi nel loro sudicio baldacchino azzurrastro, con la candida colombella in cima.

Entrammo in una lunghissima infermeria terrena. Le finestre alte e piccole, corrispondenti al disotto del portico, mandavano scarsa luce, e dovevano giovare poco alla ventilazione, perché sulla porta mi sentii stringere la gola dall’orribile tanfo. L’amico mi disse: – Bisogna guardare bene. Gl’infermieri, le suore di carità ed i medici si danno il cambio: non possiamo fidarci delle loro indicazioni. – Cominciò allora il tristissimo esame. A una a una l’Herzfeld ed io guardavamo in faccia quelle malate. Volti affilati, bianchi; occhi infossati, attoniti; labbra senza colore: non un lamento. Alcune rivelavano con le convulsioni della faccia l’acuta soffe-renza interna; altre s’indovinava che pativano meno per i mali del corpo che per i dolori dell’anima; e c’erano di quelle che, canticchiando tra sé mostravano come sia tenace la speranza. Qualcuna dormiva: andavamo al capezzale e, sollevando un poco pian piano il lenzuolo, scoprivamo il vi-so sparuto.

Così passammo la seconda, la terza, la quarta sala, e non so quante altre, finché, riuscendo ancora nel gran cortile alla estremità di un altro lato del portico, si entrò in un secondo cortile più piccolo, ma pure pianta-to di alberi, poi in un terzo, dove per una larga scala salimmo alle logge del primo piano. L’Herzfeld si fermava spesso a parlare coi guardiani e coi medici.

Non sentivo le loro parole, ma vedevo che alle interrogazioni del mio amico rispondevano con segni negativi o crollando il capo, come di-cessero: «Non ne sappiamo nulla». Il mio cuore batteva regolarmente; ma nel porre la mano sulla fronte me la sentii tutta bagnata.

– Ancora trenta sale da esaminare – notò l’Herzfeld, e aggiunse: – Abbiamo già veduto intorno a cinquecento malate; c’è n’è altre sette-cento almeno.

Le infermerie del primo piano erano più alte, più ariose, più illu-minate; i letti parevano più puliti e le malate men tristi. Nella sala delle etiche si sentiva appena tossire. Erano quasi tutte giovani e quasi tutte belle. Una fra le altre pareva un angelo. Stava seduta in letto, coperta dal-la coltre sino ai fianchi; la camicia nitida, abbottonata al collo ed ai polsi, scendeva in dritte e minute pieghe sullo scarno petto; le braccia cadevano simmetriche, e le mani, con le palme rivolte in su, erano tornite e lattee. I capelli bruni staccavano sul largo guanciale contornando il viso pallidis-simo, che il Beato da Fiesole doveva avere disegnato sospirando: e, su

Page 174: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

260

quel disegno, il Donatello le belle guance smunte e il bel mento e la fron-te pura e le labbra sottili ed il naso appena aquilino aveva modellato certo in terso alabastro. Gli occhi, con uno sguardo dritto, orizzontale, fissava-no qualche cosa al di là del muro della sala, qualche cosa al di là forse della terra. Un raggio di sole, entrando dalla finestra vicina e rimbalzando sulle lenzuola, rischiarava con lucente riflesso la placida figura, che mi sembrò avvolta in un nimbo. Non avevo veduto un uomo, che, sedendo vicino al letto, teneva il volto fra le mani e poggiava il capo sulla coperta. Nell’udire il rumore dei nostri passi s’alzò; era un vecchio macilento, ca-nuto; le lagrime sgorgavano da’ suoi occhi ed i singhiozzi gli rompevano il respiro. Mentre gli passavamo vicino ci susurrò con accento di tetra di-sperazione: – È mia figlia!

Traversammo quella sala, poi un’altra, poi un’altra ancora, e via via. Il mio corpo era affranto, le mie membra tremavano, ma il mio spiri-to, sempre desto, guardava tutto, avvertiva ogni cosa, can quella riflessio-ne nello stesso tempo minuziosa ed astratta, che segue talvolta od accom-pagna i grandi rivolgimenti dell’anima. Tre volte l’Herzfeld si fermò a leggere i cartelli in cui stavano registrate le indicazioni delle malattie, presso a tre letti, sui quali, nascosta dalla coltre bruna, s’indovinava la lunga forma ch’era già un cadavere.

Non ci restava più che a visitare le sale delle malattie chirurgiche, dove le strida acute ferirono per la prima volta il mio orecchio, e quelle della clinica, dove appunto allora i professori facevano innanzi ai letti la loro lezione agli allievi. Il vecchio Grün stava a fianco d’una donna, mo-strando a dodici a quindici giovani non so che notevole caso di scienza. La poveretta nascondeva con le braccia sollevate e incrocicchiate il viso, mentre la voce lenta del professore sciorinava la sua monotona filastroc-ca. La vista confusa e rapida delle braccia, delle spalle, del seno di quella donna di magnifiche forme, destò una subitanea fiamma nella mia testa. Stavo per islanciarmi furibondo verso il letto, quando, scuotendosi al con-tatto della mano del Grün, nel girare il capo la bella malata fece cadere dall’un de’ lati la sua lunga capigliatura, nera come le penne del corvo. Mi calmai un attimo, e: «Meglio morta» pensai.

– Abbiamo finito coi vivi – mi disse l’Herzfeld nell’uscire da quell’ultima infermeria: – Scendiamo.

Percorse di nuovo le logge, poi, scesa la stessa scala per cui erava-mo saliti, traversammo i cortili e i portici, piegando verso un altro angolo della gran corte, e, andando dritti nella parte dell’edificio destinata agli

Page 175: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

261

uomini, giungemmo nella Sala d’osservazione, posta in fondo all’immen-sa area. In un vasto locale bene illuminato stavano un venti letti, cinque soltanto o sei occupati da corpi, che la scienza non aveva ancora del tutto abbandonati alla morte. Ai piedi ed alle mani avevano legate quattro fu-nicelle, corrispondenti ad una stanza vicina, dove i guardiani vegliavano giorno e notte sui campanelli numerati. I corpi erano tutti d’uomo.

Poiché fummo usciti in un ultimo cortile basso e deserto, l’Herz-feld mi disse: – Aspettami qui dieci minuti appena – e scomparve.

Rimasi solo. Camminando lungo il lato dove batteva il sole, vede-vo le lucertole nascondersi fra le ortiche. Mi trovai così di contro ad una porta su cui stava scritto: Stanza mortuaria. Entrai. La imposta si serrò con gran fracasso dietro le mie spalle. il luogo era vuoto e buio. Aveva come la forma di un lungo corridoio, in fondo al quale un gran portone chiuso lasciava posto di sopra all’unica finestra a mezza luna. Le mura-glie di pietra, brune ed umide, luccicavano, riflettendo il cupo lume lon-tano; il pavimento era bagnato. Andai sino al portone, tentando inutil-mente di aprirlo. Nel tornare indietro, in un angolo, presso all’uscio da cui ero entrato, mi parve scorgere sul suolo certe macchie biancastre. Mi avvicinai, e vidi ch’eran cadaveri. A un po’ per volta, avvezzandomi alla oscurità, principiavo a distinguere le forme. Tre bambini dormivano l’uno accanto all’altro, come volessero scaldarsi. Poi una fila di sei uomini tutti ignudi, violacei, scarniti, con gli occhi aperti. Seguivano cinque croci bianche. Guardai bene: quelle croci erano in mezzo a cinque drappi neri, che coprivano qualche cosa. Badando dove mettevo i piedi, m’accostai presso presso con la faccia, trattenendo il respiro, e nell’alzare il lembo superiore della prima coltre scopersi il volto e le spalle di una donna nu-da. Poich’ebbi esaminato così la seconda, la terza, la quanta e l’ultima: – Niente – gridai con gioia febbrile – non c’è – e feci per fuggire; ma, tentando invano di alzare il grosso saliscendi della porta che dava nel cor-tile e vedendone proprio all’angolo un’altra aperta, mi avviai per quella in un corridoio, che, dopo alquanti passi, riusciva ad una grande sala.

La luce m’abbagliò. Parecchie tavole di marmo bianco, strette, ar-rotondate alle estremità e con un labbro rialzato tutto in giro, stavano schierate sotto le ampie finestre. Le più erano vuote; ma in due s’adagia-vano due uomini: uno vecchio, che pareva contento di non essere più vi-vo; l’altro giovine, con i lucidi capelli neri, con le labbra socchiuse, che lasciavano vedere la bianchezza dei denti, con la fronte alta e aperta, che

Page 176: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

262

pareva tuttavia piena di pensieri. Gli strumenti necessari alle autopsie brillavano sulle tavole, a’ fianchi de’ due corpi.

L’Herzfeld, entrato senza ch’io me n’accorgessi, gettandomi le braccia al collo, proruppe:

– Sia lodato il cielo: eccoti finalmente. Non sapevo dove ti fossi cacciato. Ho avuto paura per te.

– Ebbene? – Non c’è, non c’è nel registro dei morti. – Non è dunque entrata, che si sappia, né uscita in nessun modo. E

non si trova! – I giornali hanno certo mentito. Può darsi che il tuo portinaio a-

vesse ragione. Può darsi che, impaziente di rivederti, sia partita sola, e t’aspetti a Mödling.

Il sangue tornava a scorrermi nelle vene, le membra si rianimava-no, e nel cervello mi si accendeva una forza nuova, allegra, prepotente. Un minuto prima sentivo di essere tutto incurvato e nano; mi rizzai, cre-detti di diventare gigante. Le speranze piombavano entro il cavo dell’anima mia, come un torrente che precipiti dall’alto gorgogliando. Era in me una tempesta delle gioie rinascenti, dei desiderii resuscitati. L’amore, la voluttà, la natura, l’arte, la gloria mi cantavano dentro in co-ro, con divino baccano. Un olezzo di gelsomini mi accarezzava le narici, e ripensavo con furiosa dolcezza alla casetta bianca della valle di Brühl. Prendendo vivamente il braccio del buono Herzfeld: – Fuggiamo – gli gridai – da questo luogo d’inferno – e saltellavo come un matto fanciullo, e già quasi mettevo il piede alla soglia della porta d’uscita, quando sulla imposta di un uscio che le stava presso vidi, scritte in grandi lettere nere, queste parole:

LABORATORIUM VON KARL GULZ

L’uscio era aperto. Balzai nell’officina. In mezzo, sopra una tavola

di marmo, stava il corpo di Carlotta. – Carlotta! Carlotta! – urlai, slanciandomele addosso e avvicinando

con impeto il mio viso al suo viso. Due occhi impassibili fissarono i miei: mi sentii tutto rabbrividire. Avrei voluto imprimere un bacio su quella fronte, avrei voluto rapire quel corpo, ma una forza tremenda mi respin-geva lontano. Rinculavo, tremando. Caddi sopra una scranna e: «Niente! Più niente!» mormoravo tra me.

Page 177: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

263

L’Herzfeld mi si accostò spaventato e, cercando di trascinarmi fuo-ri: – Per carità, usciamo – mi diceva.

Un momento dopo, il capo mi si offuscò. Rimasi un pezzo, un’ora forse o due, senza sapere più niente della vita. Sognavo. Tutto il passato mi tornava innanzi come in una fitta nebbia, pigliando aspetto di fanta-sma spaventoso e livido. Era uno svenimento sinistro. Una lunga proces-sione di nuvole minacciose e di memorie bieche passava di contro al mio cervello impaurito. Mi pareva di affogare nel nulla. Sentivo sulla guancia due labbra fredde, che mi mordevano; e due braccia, due braccia scarnate, due ossa, che mi strangolavano in un amplesso mostruoso. Volevo grida-re: la voce mi si fermava nella strozza.

Riaprivo gli occhi allora, e vedevo sempre le pupille del cadavere ferme, impassibili.

Una tenaglia mi sbranava il cuore, e ripiombavo nelle visioni or-rende di vermi e di stinchi. E quegli scheletri si rizzavano in piedi, e quei vermi diventavano giganti, e si mettevano a ballare insieme una danza in-fernale. Ridevo.

– Che cos’hai che ridi? – mi chiedeva il povero Herzfeld, sorreg-gendomi il capo, spruzzandomi di acqua gelata la fronte e dandomi a fiu-tare non so quale acre profumo.

– Non impazzisco – risposi – pur troppo non impazzisco. Lasciami qui. Voglio parlare al dottore.

Il Gulz, che non avevo veduto, s’avanzò allora con passo grave, e, mettendosi a lato del cadavere: – Dove per voi tutto finisce, per noi – dis-se – tutto principia. La morte è la vita.

Poco prima se avessi incontrato quell’uomo l’avrei afferrato al col-lo e strozzato: lo guardavo oramai con disperata rassegnazione.

– Il destino – riprese – m’ha voluto per questa volta aiutare, facen-do che, senza mia opera, si compiesse uno de’ miei più ardenti desiderii. Mi rincresce – soggiunse, dopo una pausa, indirizzandosi a me – mi rin-cresce per lei; ma ne godo per la scienza.

– Giuro a Dio ch’ella non profanerà queste membra – esclamai, al-zandomi in piedi, e richiamando con uno sforzo supremo un po’ di ardore nell’animo e nella voce.

– Senta come son fredde – proseguiva il dottore. – Senta, son più ghiacciate degli strumenti d’acciaio che tengo in mano. La bella tinta di rosa non viene a queste membra dal rosso del sangue, ma da un liquido colorato, spinto ne’ tessuti per iniezione. Ho ritrovato il secreto di Ruysch

Page 178: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

264

di Leida; ed i miei preparati vincono quelli del museo di Amsterdam. Guardi intorno, la prego.

Guardai. La sala era circondata di vasi d’ogni dimensione, ripieni di preparati anatomici, e di vetrine, contenenti dei corpi imbalsamati, che parevano vivi. Sopra gli armadi stavano appesi alle pareti molti quadri senza cornice. Tra gli altri ne notai uno, che conoscevo, dipinto dal Raal. Era il ritratto di un povero vecchio, il quale m’aveva servito da modello ne’ miei primi studi dal naturale, ed al quale avevo voluto bene. Da due anni era morto; ma nella vetrina, posta sotto il ritratto, mi parve ch’ei re-spirasse. La lunga barba argentina scendeva sull’ampio torace, e le rughe della fronte serena tagliavano ad angolo retto un’ampia cicatrice, la quale era stata occasione al buon vecchio per raccontare cento volte le guerre di mezzo secolo addietro. Il Raal avrebbe potuto copiare la viva immagine del suo dipinto da tale mummia, tanto il colore, le fattezze, la espressione stessa erano conformi alla verità, non solo per l’aspetto della persona, ma per l’indole morale dell’individuo.

– Questa – continuava con voce lenta il Gulz – non è che una parte, la parte superficiale del mio studio. Qui ho bisogno che mi soccorra l’artista, richiamandomi alla memoria l’apparenza della vita. Ma l’apparenza è forma soltanto: io ricerco le ragioni nella sostanza. Le ossa, i visceri, i tessuti dell’uomo, come spiegano la vita, così spiegano la bel-lezza. L’arte abbraccia la scienza. Ella sa, signor mio, che l’orecchietta destra del cuore è l’ultima parte del corpo umano a spegnersi. La fisiolo-gia e la psicologia verrà tempo, lo giuro, in cui saranno uno studio solo. Non solamente morirò io prima che tale unione si compia, ma passeranno ancora molte generazioni sulla terra. Si compierà ad ogni modo; e, quanto a me, sarei beato se potessi in qualche parte aiutare codesta grande sco-perta, per cui si svelerà finalmente ciò che gli uomini cercano da migliaia e migliaia di anni, il come del loro essere, la materia e il processo delle loro sensazioni e del loro pensiero.

– Ecco la materia – notai con accento di cupa ironia, mostrando il corpo di Carlotta.

– L’albero ha un’anima forse? E non vive forse, e non muore? Che cos’è che lo fa vivere? Certe attività speciali di certe molecole. Che cos’è che lo fa morire? Certa decomposizione, certa inerzia di certe molecole. La vita di una foglia e la mente di Schiller non differiscono che nei gradi. L’essenza è la stessa. S’è scoperto il mistero della esistenza vegetativa; si scoprirà quello della esistenza bestiale, e finalmente quello della esistenza

Page 179: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Camillo Boito

265

intelligente. Ma quanti anni son corsi dacché sappiamo con certezza come vivono le piante e come muoiono? Per quanti secoli indietro non fu inu-tilmente investigato questo facile problema? Vorremmo noi dire oggi che il libro della natura si chiude? il fatto è anzi che s’apre adesso meglio che mai; e gli uomini lo leggeranno tutto, sino all’ultima pagina.

Mentre il dottore parlava io tenevo gli occhi fissi nella morta. Le braccia diritte lungo i fianchi, le mani poggiate sul marmo col rovescio, le gambe unite, la testa un po’ indietro, la bocca socchiusa, gli occhi spalan-cati, i capelli cadenti giù dalla metà del lato posteriore della tavola: sim-metria lugubre, ghiacciata, vana. Quel corpo non mi diceva più nulla.

– Pensi – ripigliò il Gulz – pensi delle sue passioni, signor mio, che cosa rimane. S’ella avesse amato uno spirito, l’amerebbe tuttavia, non foss’altro nella memoria; ma ella amò una manifestazione fuggevole della materia, ed è naturale che, l’oggetto della passione cangiando figura, la passione svanisca. Io amo invece questo corpo mille volte più adesso che prima, giacché contribuisce ad accostarmi al vero. Insomma, la sola cosa effettiva, la sola cosa reale, è la scienza. Il resto è illusione o fantasmagoria.

Ero rimasto accasciato. Quella parola severa e concitata nello stes-so tempo, sinistra e soave, mi soggiogava. La luce non nasceva nel mio intelletto; ma nel mio cuore entrava una calma pesante e tetra. Girando gli occhi, vidi il mio quadro dell’Aretusa, ancora appoggiato alla parete sul pavimento.

– Vorrei ricomprare questo dipinto, dottore – mormorai, cavando dalla tasca il danaro, che l’Herzfeld mi aveva consegnato la mattina e ch’io non avevo toccato.

– Bene; mi basterà oramai la memoria – rispose il Gulz con un so-spiro, e mi stese la mano. Io, non so come, la strinsi; e, lento lento, dopo avere gettato un ultimo sguardo sul cadavere di Carlotta, appoggiandomi al braccio dell’Herzfeld, uscii.

Nel passare sul ponte del Danubio trassi dal portafogli quel fiore di gelsomino, che avevo, il giorno prima, spiccato dalla pergola nella villetta di Teufelsmühle, e, fermandomi al parapetto, lo lasciai cadere.

Dopo un istante, il punto bianco era scomparso nel fosco verde dell’acqua.

Aprile 1870

Page 180: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Carlo Dossi

95

La Principessa di Pimpirimpara (tratto da L’Altrieri. Nero su bianco, Roma, Stabilimento Tipografico Ita-liano, 18812, pubblicato in prima edizione a Milano, coi tipi di A. Lom-bardi, nel 1868) Ah! bene. L’uscio non avèa cricchiato. Io lo aprìi soavemente e, sulla punta de’ piedi entrài nella càmera ratenendo il respiro e facendo, colla mano, intoppo tra il lume e il viso del mio fratellinuccio, di quel caro bot-tone di rosa che, tranquillo, là, nel suo lettino càndido, dormiva semi-aperte le labbra. Come i mièi stivaletti sbrisciàvano sul lùcido pavimento della sala, il pèndolo avèa scattato e, dopo un breve e sordo ràntolo, con voce argentina sonava. Le tre! Quale straora per uno sbarbatello! Ve l’assicuro, in vita mia non m’era peranco occorso vedere che faccia mai mostrasse il mondo in sìmile freddo punto, in cui, nelle lunghe silenziose vie, le làmpade s’illùminano solo reciprocamente – tant’è vero che, nel rasentare l’ampio specchio della sala, gricciolài scontràndovi una figura e, con inquietùdine, guardài se, proprio io, dovèa èssere quel giovinetto pàllido che con un candeliere veniva verso di mè… in grigio sopràbito… calzoni neri… guantato e cravattato di bianco, il cilindro su’n occhio. Il cilindro! In quella stessa giornata me l’avèvano imposto: fu una delle prime càuse della sua memorabilità.

Il come

Io mi sedeva giusto a tavolino fra le dòdici e un’ora, non so se i-

stroppiando i mièi pensieri entro un sonetto o imbrodolàndoveli di agget-tivi, quando mamma, avanzàtasi cheta cheta nella stanza depose davanti a mè un… chissà-mài… incartato di azzurro.

Io levài la testa. Ella sorrise: Èccolo. – Al papa i versi! Gettài la matita e, d’una mano febrile, tolsi dalla

cappelliera un cilindro incamiciato di carta finissima, svolta la quale, scoprìi un cappello, nero come inchiostro di China, lùcido più di un bic-chiere molato. Calcàndomelo in capo corsi al mio consigliere di vetro, lo interrogài…

Page 181: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Carlo Dossi

96

Uuh! a primo tratto ne fui malcontento; mi smaltì l’entusiasmo. E, certo, la rabbiolina mi trapelava sul viso, perocchè, mamma, premurosa, mi disse:

– Bibì, non istizzirti. Il cappello nuovo, vedi, è un arnese cui ci bi-sogna assuefare. Domàndalo un po’ alle donne! sentirài. E ci vuole anche l’assieme, Bibì… Una cravatta pulita, una giubba elegante, un panciotto… –

Io disarmadiài di furia i chiesti abbigliamenti: mamma andò a chiamare babbo.

E questi venne, poi sopragiunse una vecchia prozia, in sèguito la cuciniera: tutti ad una voce – salvo nondimeno Giorgetto il quale borbot-tava che il mio berrettone da mago gli metteva paura e giurava sfondàr-melo, così acquistando un severo: ciarlino! e rincantucciando poi con greppo e broncio; – tutti, dico, conchiùsero che un più gentile cappello non l’avèvano mai, per lo innanzi, veduto; che noi eravamo creati l’uno apposta per l’altro; dalle dalle, me ne convìnsero tanto, che, dimèntico affatto de’ versi alla Luna e non curando quelli del fratellino, uscìi a pas-seggiare fino a dì basso. Su tale soggetto – giova avvertirlo – ho poi can-giato di idèe: le idèe, a fortuna, sèguono la sorte delle ossa. Allora peral-tro (quattr’anni or fà) quantunque ghignassi imbattèndomi ne’ collegialini dei Barnabiti, i quali in lunga fila scarpinàvano al Duomo schiacciati sot-to de’ cilindroni senza un’ombra di grazia, tenevo ciò nondimeno il fermo convincimento che il salubre cappello – dico salubre rispetto ai colpi di canna – se dotato di una certa curva alla moda, felicissimamente si adat-tava (diàvolo di un periodo a qual confessione mi meni!) si adattava a un giovinotto, come mè – già, capirete che per tracciarmi almanco la dirizza-tura dovevo ricòrrere allo specchio – un giovinotto – làh! modestia a par-te – bello.

E mi fu, tale cilindro, orìgine di un grande avvenimento. Era per mè, proprio nel ritornare a casa con lui, che l’avvocato Fer-

retti, il mio patrino, attraversava la via. – Guido – egli mi disse fermàndomi – stasera mia moglie fà ballare.

Sai… una torta, una bottiglia di vino spumante e quattro salti. Etichetta, ze-ro. Vieni. Vi ha molte e molte belle ragazze che attèndono un cavaliere. –

Io gli opposi che babbo avèa la sera stessa seduta e che, quanto a mamma…

– Corpo delle Pandette! – esclamò l’avvocato ridendo ed appog-giàndomi su’na gota un schiaffetto – E tu? che hai, tu? Non hai gambe, a caso? Poh! Un giovinotto in cilindro! –

Page 182: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Carlo Dossi

97

Io arrossìi fino alla sèttima pelle: stringèndogli la mano, lo ringraziài. Bene – fui al festino… Ma, alt! Prima di proseguire, è d’uopo ch’io

vi presenti la spiegazione – intraveduta forse, pel buco della serratura, da qualcuno di voi – intorno a fatti toccati di già e, per sopramercato, vi uni-sca altre poche parole, affinchè quelli che seguiranno spièghinsi da loro medèsimi a voi senza nuove postille.

Casa e persona del vostro amico scrittore

Circa la prima, sappiate, i mièi carìssimi, che ora gli occhi della

nostra pèntola vedèvano un’altra gola di camino, ben più stretta, ben più lunga dell’antica; vedèvano la cappa di una città. Babbo, con tutta la sua economìa, non pagava più tasse sopra la maggior parte delle possessioni di casa (due anni, pensate, che si tagliava, per così dire, il frumento colle cesoje e lo si stendeva a seccare nei cassettoni! due anni che si vendemia-va coi panieri da calza!) babbo dunque, affittato il poco avanzàtoci, tasta di quà, tasta di là, giungeva alla fine a trovarsi un buon impiego nella vi-cina città qual segretario in una pùbblica amministrazione.

Del rimanente, il trasporto della nostra pignatta, lo avrèbbero ri-chiesto anche i mièi studi. Non era ancor l’anno dalla partenza di Ghioldi, che, scivolato al grosso Proverbio* il piede su que’ pericolosi suòi pavi-menti, rompeva a sè il collo, a noi canarini il graticcio – quindi – non più maestri, non libri! … figuràtevi… già minacciavo una ricaduta nella pol-tronàggine e nella cattiveria. Ma venne la risoluzione di babbo: noto che nel vagone che ci trasportava alla città, noi occupavamo quattro posti; nel quarto si adagiava una paffuta balia con un naccherino tutto polpa alla cioccia, un naccherino che i mièi genitori avèan potuto mèttere insieme nei mesi quieti di mia lontananza.

Quanto a mè, allorchè sollevài la portiera nel raccontuccio presen-te, correvo il mio quindicèsimo: ero a pena sgattolajato dal ginnasio e cominciavo ad arieggiare l’uomo con barba. Ora, oltre a lavarmi e petti-narmi ogni mattina e, qualche volta, la sera, facevo gran consumo di sa-poni, manteche, pòlvere d’ìreos; attaccavo molta importanza al nodo della

* al grosso Proverbio: «il professore cav. Giosuè Proverbio» è direttore e

proprietario del «Collegio-Convitto prìncipe di Gorgonzola» frequentato dal nar-ratore-protagonista di L’Altrieri. Nero su bianco. Il suo ritratto si dispiega nel capitolo precedente dell’opera, Panche di scuola, dove è rievocata anche la figu-ra del maestro Ghioldi.

Page 183: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Carlo Dossi

98

cravatta, alla freschezza dei guanti, all’arroccettatura delle camicie; ora importafogliavo i mièi viglietti da visita, intaschinavo un bell’orologio d’oro, con catena d’oro, dòndolo d’oro – indispensàbile per tener sbotto-nata la giubba – ed ora, come mi era messo tutto alla via, in punto, com-parivo sul corso con una giannetta in mano, fulminando degli occhi le tose.

In confidenza, peraltro, osservo che sùbito li sbassavo e facevo lo gnorri se mai qualcuna mi reggeva allo sguardo… Che rabbia! E in que-sto, volere o no, saliva a galla ch’io era peranco bambino, in questo e in molte altre cose, chè – sebbene ora mi guardassi dallo sostare dinanzi le mostre de’ baloccài – pure, le sbirciavo vogliosamente, impromettèndomi di sfogarmi a casa sotto pretesto di trastullar Giorgio e, tuttochè non mi andasse che mamma dicèssemi: Bibì o Guidino – alla presenza di fore-stieri, a quattro, anzi a sei occhi, accomodàvomi sulle di lei ginocchia e le parlavo con un vocabolario di parolinette graziose, inintelligibili a tutti – fuorchè a noi.

Principiavo dunque, intenderete anche, a ingarbugliarmi in quella matassa di stùpide convenzioni sociali più geroglìfiche dei due bottoni che i sarti cucìscono dietro ai sopràbiti e càusa della maggior parte delle nostre pìccole miserie… Dio! quante pene io soffersi per esse. Tra le altre:

1° un terribile mal au coeur, avendo, come me lo si offriva, accetta-to e stretto fra i denti con disinvoltura un lungo zìgaro di Virginia – acceso;

2° una spellata di gola e due giorni di letto, regalàtimi da un fortìs-simo punch, da mè coraggiosamente ordinato, in cambio dell’abituale a-qua aranciata, trovàndomi in un caffè con mio cugino Tiberio, capitano di cavallerìa e vero imbuto di ghisa;

3° infine; i mille ed uno fastidi pel cangiamento di voce. Vi accen-nerò solo a quel dì in cui, entrato nella sala dove sedeva zia Marta con la signora Baglioni e la figliuola di questa – la quale, i mièi compagni, a-vèano erroneamente per una mia fiamma – avvisando di dare il buon giorno, m’inviài su’n tuono, cupo, profondo, e finìi con uno sì acuto, con una stonatura tale che Dora si portò il fazzoletto alla bocca ed io mi morsi le labbra.

Ma la cosa sulla quale mi preme condurre, più che su ogni altra, la vostra attenzione, come quella che apre la ragionìssima del presente rac-conto, è il completo riversamento nel mio naturale. Certo, molti di coloro che mi conòbbero spensierato fanciullo, vivendo giorno per giorno, alle-gro come uno scrìcciolo, me ne vorranno forse, perchè io mi ripresenti serio, riflessivo, alle volte triste, ma, oltre che i fatti son fatti, avverto

Page 184: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Carlo Dossi

99

come il modificarsi, il mutare de’ gusti sia inerente all’uomo, anzi, se-condo mè, costituisca uno de’ suòi principali caràtteri. Mio padre, da pìc-colo, sentìvasi fuggire l’ànimo alla veduta solo di un pezzettino di zucca: ora, ne mangerebbe entro il tè. Non poteva dunque – su via morale – ripè-tersi un tale caso a mio riguardo? E, invero, la melanconìa che Lisa* coll’ùltima stretta di mano mi gettava nel cuore, si era a poco a poco in-spessata e fatta morbosa; mi avèa condotto ad almanaccare, a – come babbo diceva – perticare la luna, scoprèndomi uno strano regno di spìriti ch’io non sospettava manco esistesse; un regno, se di diffìcile entrata, d’impossìbile uscita.

E ciò avèa fortemente scossi i mièi nervi. Sotto il chiarore del fan-tàstico mondo, le cose del materiale mi si colorìvano al doppio. Lodàva-mi, a mo’ d’esempio, il maestro? trac… io mi trovava balestrato nel salo-none degli esami, dinanzi ad una tàvola col tappeto verde e con sedùtivi tre personaggi (cravatta bianca, marsina, decorazioni, sorriso paterno) de’ quali uno porgèvami un libro in rosso ed oro. – Oh! grazie – e tutto intor-no scoppiavano applàusi. Così; pigliava una febbrolina a Giorgio? Ma-donna! scorgevo sul letto di lui il lenzuolo segnare le forme di un corpici-no instecchito, scorgevo lì a fianco una cassa aperta… della segatura… fiori e chiodi. Da lungi, l’estremo tempello di un’agonìa; dalla stanza vi-cina, singulti.

Perilqualchè, capìto il mio sistema nervoso, torna piano l’imaginare quanto la festa – altro che i quattro salti! – dell’avvocato Fer-retti, mi scombussolasse.

Le feste, per chi non c’è abituato, fanno come il vino; mòntano al cervello. Tutte quelle lumiere con specchi che le raddoppiàvano; quel su e giù di gente che s’impacciava reciprocamente il passo, signori vestiti ad un modo e dallo stesso scipito frasario, domèstici livreati buffonescamen-te quasi come Ministri di Stato, dame mezzo svestite, con gonne di color zabaglione, gàmbero cotto, dorso di scarabèo… di raso, di mussolina, di velluto, con guarnizioni, nastri e fiori di pezza; e quel trimpellamento continuo, monòtono di un pianoforte; que’ colmi càlici di falso-Champagne, il tutto avvolto in un’aria calda, polverosa, che t’incollava la camicia alla pelle e ti essiccava il palato, mi avèano ubbriacato del tutto. Al che, se tu aggiungi un pajo di occhi che mi guardàvano fisi fisi, neri,

* Lisa: amica d’infanzia dell’io narrante Guido Etelredi, è la deuteragoni-sta femminile nel capitolo dell’Altrieri a lei intitolato, che si chiude sulla sua morte precoce.

Page 185: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Carlo Dossi

100

birichini, come quelli della vedovella contessa di Nievo, uno degli astri della città, se… Dio! quando ci penso. Con mè, essa, avèa ballato la mag-gior parte de’ valzi, polche, quadriglie, a mè chiedeva il braccio perchè la scortassi alla cena – e le recài io medèsimo lo sgabellino, poi un’ala di quaglia – per mè, in quella sera, le lusinghiere frasette, le stralucenti zol-fanellate. Pensate dunque quanto se ne dovesse tenere un giovanottino fuggito appena dal materno capèzzolo, sentèndosi il favorito di un ìdolo dei meglio incensati, vedèndosi su la di lui nera mànica il più rotondo so-do avambraccio che mai portasse smaniglie! Sarèbbene, fin un dei sette, impazzito… E proprio ci avèa motivo: nè più nè meno che per certe to-succie dalla corta vestina, le quali, in quella stessìssima veglia, èrano – da un bel luogotenente degli Ussari, dai mostacchi biondi arricciati – tolte, non so perchè, esclusivamente a piroettare.

Da parte mia, m’abbandonavo, a una èstasi tale che sono sicuro di avere commesso a quel ballo, e sùbito dopo, le più majùscole farfallone-rìe. Bàstimi ricordare come dimenticài affatto, partendo, di riverire gli òspiti, e come, accompagnata la contessina, giusta il suo desiderio, fino a’ pie’ della scala e sospirato all’ùltima languidìssima occhiata di lei e vìsta-la scomparire, ravvolta in un bianco scialle, nella carrozza, presi a cam-minar verso casa sotto una folta neve senza nemmeno aprire il paraqua, poi, giùntovi, stetti un buon quarto d’ora, frugando e rifrugando nelle saccoccie, prima di rinvenire la chiave della porta di strada, una chiave, diàvolo! lunga dieci centimetri.

Con tutta la mia agitazione, peraltro, riuscìi, come già sapete, for-tunatamente, a non far cigolare gli usci e ad entrare nella càmera, non in-toppando in spìgolo alcuno, nè interrompendo, un àtimo, a Giorgio il suo tranquillo respiro. Entrato, in vece mia, buttài sul letto (dalla solleticante rimboccatura, con due calzerotti di lana rossa al guanciale) la tuba, i guanti, il sopràbito e, punto badando alle palpebre che tiràvano a chiùder-si, mi lasciài cadere su di una sedia presso alla tàvola, sopra la quale avèo allogato il lume e a capo di cui – basso il tendone – piantàvasi un teatrino portàbile, delizia di Giorgio ed anche spesso mia.

E lì, poggiài sulla tàvola i gòmiti: fra le mani la testa… a scoppiar bolle di aria.

Che tuttavia contenèssero mai, mi duole, mièi cari, di non potèrve-lo dire. Punto primo: egli è impossìbile di imprigionare – salvo che den-tro un rigo da mùsica – certi pensieri che fra di loro si giùngono, non già per nodi gramaticali ma per sensazioni delicatìssime e il cui prestigio stà

Page 186: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Carlo Dossi

101

tutto nella nebulosità dei contorni: un tentativo di abbigliarli a perìodi con il lor verbo, il soggetto, il complemento… so io di molto! li fuga. Punto secondo: avessi io anche la potenza, la quale nessuno ebbe nè avrà mai, di acchiapparli con invisìbili maglie, di presentàrveli come vènnero a me, bisognerebbe che voi, per non trovarli ridìcoli, per non trovarli bambine-rìe, foste, leggendo, nella medèsima disposizione di spìrito del loro scrit-tore. Il che, fra noi, non può èssere. Quando la fantasìa nostra si affolla, quando ci scordiamo di vìvere con pelle ed ossa, un libro – stretto da noi e con amore, prima – ci sfugge inavvertitamente.

Dunque, pazienza. Vi accennerò solo che, alla fin fine, schiacciata entro lo staccio, tutta la biribara de’ mièi pensieroni non la filava altro di questo: che l’ingattimento della contessa di Nievo per mè – quantunque mezza-bottiglia – era fuori del forse e che io riamàvala alla spietata… E allora?

– Dormi – consigliommi la polpa. Bah! avevo trincato troppi romanzi. – Scrivi – mi vellicò, dall’altro orecchio, l’imaginazione. Io sobbalzài. Una lèttera, eh? E come ne intravidi l’idèa, di colpo,

con quella stessa foga che, pochi mesi innanzi, pressàvami a comperare – venti per volta – le scàtole de’ soldatini di stagno, diedi di grappo alla cartelletta, l’aprìi, intinsi nel calamajo la penna… cominciài…

CON… Ma – in questa – il lume impallidisce e, bizzarri suoni di una metàl-

lica mùsica, sìmile a quella di certi tìnnuli organetti germànici, pàjonmi gariglionare dal teatrino che mi stà in faccia: il lume si smorza; voi, fate un sìbilo.

Ed al segnale, un luminoso quadrato si forma nell’oscurità. È il si-pario, il quale, rotolàndosi, scopre alla slavata luce del magnesio un pro-scenio… Noi siamo nella magnìfica reggia di Pimpirimpàra: colonne, ca-pitelli, architravi, tutto sembra coperto da un’aurea, impalpàbile polve, tutto trèmola, scintilla, crèpita, esageratamente càrico di elettricità. Ed ec-co, nel mezzo della scena, su di un lettuccio S.A.R. la principessa Tripil-la, una bellìssima bàmbola, in vesta oro ed argento, con un visetto bianco e rosso come una giuncata colle maggiostre, occhi aerini, treccie di stop-pa stelleggiate di diamanti. Un groppo al fazzoletto, se mai ne usate, filò-sofi! S.A. che mangia lingue di Araba Fenice e inghiotte perle sciolte in

Page 187: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Carlo Dossi

102

Tocài, che dorme su piume di uccelli-mosca e si forbisce con biglietti da mille, ahimè! si annoja pure a morirne. Invano la duchessa di Trich-e-trach – sua dama che le scalda le coltri – si affanna a trillare, a bocca chiusa, le più sdrucciolèvoli poesiuccie; invano la contessa di Piripicchio – la quale, ogni tanto, le soffia il nasino con una pezzuola a merletti – pìzzica, su’n’arpa priva di corde, delle inzuccheranti armonie; Tripilla batte sempre, stizzosa, il plumbeo piedino contro le assi del palco: di più: come la marchesa di Chiacchieretta rispettosamente la prega di inanimir-si, di non compromèttere la sua augusta salute, essa, in risposta, dègnasi appoggiarle uno schiaffo. Se la spalmata, che, poco dopo, dalle quinte si ode, intende imitarlo, che Dio ci salvi anche dalle carezze della regale fanciulla.

Ma – taratàntara! – udite clangor di trombe. Ai lieti suoni di una fanfara (cioè di un pèttine vestito di carta velina, e di migliarola entro una scàtola di latta) due guardie, tutte d’un pezzo, dai larghi scudi, si appòsta-no agli stìpiti di una porta.

E in mezzo a loro, passa il Re di Pimpirimpàra. Esso è un vecchio-ne con barba e zàzzera di bambagia, con una gran corona a gemme di tal-co, scettro e globo – insegne le quali dàvano, ai sovrani di una volta, ma-està, e che ora la danno ai rè de’ tarocchi; di più, con un manto d’amoerre celeste, ch’io giurerèi staccato dal cappellino di mamma.

Il per-la-grazia-di-Dio, viene, secondo il sòlito, ad augurare la buona mattina alla principessa figliuola; si avanza verso di lei – non sen-za distribuire de’ pizzicotti alle belle damine d’onore – l’abbraccia e, pa-ternamente, bàciale il cipollotto… Senonchè, tosto, si accorge del malu-more di S.A.R. – A un padre non sfugge nulla. Se ne accorge, benchè le labbra di lei sìano scolpite ad un eterno sorriso, e ne domanda la càusa:

– ? – Risposta: la principessina si annoia – Si annoja? – Ecco S.M., da babbo esemplare, offrirle un nùvolo di

divertimenti: – Vuòi ch’io faccia tarantellare i mièi generali e ministri? vuòi ch’io converta il reame in un parco di caccia, avendo, per venagione, i nostri conigli di sùdditi? –

Ma no. Tripilla crolla sempre la testa con quell’aria che, così bene, segna nei burattini: sconforto – quantunque ìndichi pure, altra volta: starnuto.

– E allora – sclama salt… restando in bestia la Maestà Sua – và a spasso! … – Poi – scuote, braccia, capo e gambette.

Page 188: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Carlo Dossi

103

– Già, andiàmoci… – fà sùbito, ad annaquare il paterno furore, la principessa. E quì, tutti si òrdinano; ricomincia la mùsica, cui aggiùngesi un picchiamento di unghie sopra la tàvola per imitar lo scarpiccio e…via. La reggia imbianca, cancèllasi a poco a poco: dietro di essa, come ne’ cromatropi, disègnasi una seconda scena.

Gran piazza; – l’attornia una tiritera di pòrtici; in fondo, chiesa: sul dinanzi da un lato, un albergo con insegna sporgente; dall’altro, un edifi-zio di carta grigia la cui soprascritta porta: asilo infantile. Sebbene il cielo stìa pinto a un immacolato sereno, i signori burattinisti avvìsano di rap-presentare: tempo cattivo. Difatti, la luce che piove è glàuca, fredda come in una palude: tu, instintivamente aspetti, dalle quinte – un rospo.

Ma s’ode il crocchiar d’una toppa. Invece del rospo, dall’asilo infantile, esce un collegialinuccio, in

tùnica azzurra, il moccichino appiccato alla cìntola, in mano la cartellet-ta… Erbette in minestra! chi scorgo! Ma sono io, colùi, io stesso. Ecco i mièi capelli ricci, il mio bel naso all’insù, le mie labbra sottili… perfino un certo pìccolo neo, alla dritta, sul ciglio… oh oh, chi osò mai?

Rataplan: in risposta, uno stamburamento. Nasce, da lungi, un rumore sìmile a quello di molte dita a pìzzico,

battute su gonfie gote (cavallerìa in galoppo) poi, il patatà-patatà si mol-tìplica; mèscolavisi tintinno di sonagliuzzi, squilli di casserole e uno scucchiarìo come di mano che frughi, convulsa, in una cesta di posate d’argento.

Appàjono i primi fanti; ciascuna fila somiglia ad una spiedata di quaglie… E pàssane, pàssane, arrìvano i cavalieri, corazzati in stagnolo; certo, de’ cavalieri eccellenti per durarla in sella con i sopranaturali salti, con lo sprangar di calci violento, delle loro gran lepri; infine, su’n elefan-te, spunta, velata, la graziosa Tripilla, fèrmasi a metà piazza e, dopo qual-che infruttuoso tentativo, si scopre.

O sfolgoreggiante beltà! Chi la vede, imminchionisce: agghiàcciasi sotto gli sguardi di lei il pispino di una fontana. Quanto a mè, il che viene a dire… quanto alla mia brutta copia, rimango quasi acciecato, mi si al-larga la bocca, mi si sbàrrano gli occhi (avèo movìbili queste due parti, indizio della importanza mia nella comedia) insomma mostro un tal viso abbagliato che S.A. non può non addàrsene.

Allora, ella pispiglia non-so-che nel braccio della sua dama, baro-nessa Bacheròzzola: un fischio! e, tutto l’esèrcito, l’elefante compreso, dà in un precipitoso movimento; tanto precipitoso che i soldatucci, per me-

Page 189: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Carlo Dossi

104

glio còrrere, non tòccan più suolo e – ingarbugliando fili di seta e di ferro – vanno ad ammontonarsi in mezzo alle quinte.

Gabinetto di S.A.R. – Si arreda con molte sedie e con tàvole intro-dotte dall’alto, si pòpola con le sòlite dame e damigelle d’onore. Entra la principessa: essa va ad accomodarsi, per quanto glielo permèttono le giunture, su’na poltrona. Dopo il silenzio di pochi momenti, in cui spicca il ronzìo addormentatore di una fontana… tac… tac – alla porta.

– Chi è? – È un messaggiero; quel messaggiero in ferrajolo rosso, dagli ster-

minati baffi arricciati, che mi recava una letterona stracotta della graziosa Tripilla. Ei viene per annunciarmi; trincia de’ minuèttici inchini e… Ma qui gli succede cosa imprevista; nel còmpiere una magnìfica riverenza, stramazza sul palco col suo filo di ferro… Allora un manone grassoccio, dai tozzi diti e dalle unghie cimate, discende, prestamente il raccoglie: risetto beffeggiatore dietro le tele e la rappresentazione continua.

Rapito il messo, spazzate via le dame, chi, se non io, dovèa squin-tarsi? E invero, Ego compare nel suo bell’arnese delle domèniche, Ego che, in sulle prime, tremante, incoraggisce poi e comincia a spifferare a Tripilla una pippionata d’amore. Ma quella, con uno sguardo rimuginan-te, lo tira sùbito fuor di rotaja, lo confonde talmente che Ego, persa affat-to affatto la scherma, le si butta alla balza in ginocchio. Poh! e’ s’è fritto. Il lontano rumore, che nel principio dell’amoroso colloquio pareva quello di un orologio polseggiante in mezzo all’ovatta, raggiunge il rombo di cento incannatòi, come in cantina; un bolli bolli, uno sfrigolare, un sus-surrìo, lo accompàgnano. E tutta la stanza si abbuja: con il cric-crac di cattivi fiammìferi, sègnansi, dissòlvonsi sulle pareti, girigògoli strani – fosforescenti, fumosi. Intanto de’ violini, che si èrano inviati sottaqua, s’instràdano in un crescendo. Fuga. Subìscono strappate sprezzanti, rab-biose, che òbbligano certo i lor suonatori a balzar dalle sedie tre dita ogni arcata; – poi – ad un tratto, lampeggio. E nuovamente chiarore. Conti-nuando il frastuono, attorno, nella scena, mi si pertùgiano mille finestre con duemila occhi che guàrdano giù e, da cento porte, una folla di burat-tini s’incalza, si stiva, risucchia come l’onda del mare. A mè trèman le gambe: tento gridare, non posso. La principessa, in questa, le cui pupille gattèggiano più che più, incorònami un cèrcine, imbòccami un dentaruo-lo. Generale sufolamento; la piena ballònzola, il fracasso aumenta, au-menta. E… bo-um… un colpo di tamburone, poi, tutto, teatro, ometti di stoppa, luce – in un battibaleno – come una palla di ferro che tonfi in ne-

Page 190: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Carlo Dossi

105

gra aqua, scompare; scompare non lasciando dietro di sè che un forte o-dore di smoccolatura ed un rintrono da grossa campana suonata.

E io mi sveglio. Ho il corpo indolenzito, la lingua allappata, gli oc-

chi mezzo ingommati. Fò per stirarmi: ahi! – dico, urtando contro la tàvo-la – che c’è? – Io ne rimango soprapensieri, quindi strasècolo allorchè, riuscito tastoni alla finestra e schiusa un’imposta, vedo vestito mè, e il letto, non tôcco: quanto all’orologio, accenna alle nove; quanto al mio Giorgio, si dorme pacificamente la sua dodicèsima ora.

Ed impossìbile racapezzarmi; mi affanno invano a cercare. A chi, dunque, ricòrrere?

Perdio! alla brocca. Difatti, come v’immergo le mani – che unghiella! – e mi bagno la

fronte, ecco nella fantasìa ripasseggiarmi, a braccio, la principessa di Pimpirimpàra e la contessa di Nievo. – Mariuole! – penso io tra lo stizzo-so e il ridente.

E lì, non posso rimanermi di dare una occhiata dietro al sipario del teatruccio; vi si ammontona un garbuglio di fantoccini: ne volgo un altro alla carta da lèttera posta sopra la tàvola, vicino al candeliere senza can-dela e colla gorgieretta di vetro spezzata; c’incontro in majùscole, un:

CON… – Mariuole, mariuole! – ripenso nell’abbeverare la penna. E, per-

chè le due burlone non si gloriàssero almeno di avermi fatto anche sciu-pare un foglietto di carta, utilizzo il già scritto, seguendo:

CONjugazione del verbo difettivo, gutturale e nutriente:

ϕάγω = MANGIARE

Page 191: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Carlo Dossi

MARGINE ALLA «DESINENZA IN A»(seconda edizione, Roma, Sommaruga, 1884)

¿Da qual caminetto di letterato o banco di drogherìa, da qual latrina digazzettiere o biblioteca in saccheggio bonghiano, hai tù, mio temerario editore,saputo salvarmi questa copia rarìssima della prima edizione della «Desinenzain A», che t'intestasti a ristampare?

¡Vedi quanto è làcera e unta! ¡quanto è macchiata e scorbiata!Nelle sue pàgine, come in suola alpinìstica irta di chiodi, scorgi e fiuti la

traccia del lunghìssimo giro che ha fatto per ritornare a mè. Serba essa ilmeretricio profumo del boudoir della dama e il tanfo carcerario della caserma;e cèneri dell'ozio elegante (la sigaretta) e il pelime del dotto. Io vi ritrovo ilbaffo de' polpastrelli della cuoca che se la leggeva a voce alta e tenèndolastretta, per non lasciarsi almeno sfuggire il suono d'idèe che non arrivava acomprèndere, e lo sgraffio furioso della padrona di lei che le avèa fin troppocomprese; io v'incontro la tabaccosa goccia, caduta insieme agli occhiali dalnaso del mio vecchio maestro di belle lèttere che blandamente ci si appisolavacompassionàndomi, e la gualcitura del criticuccio novello che la scagliavalontano da sè al primo dubbio che l'autore fosse men bestia di quanto eisperava.

Nè solamente indovino ma leggo. Segni in matita di tutti i colori, pudichecancellature effetto d'impudicizia, punti esclamativi, e, più ancora,d'interrogazione, postille e paraffi adulatorii e ingiuriosi, stèndono sulle pàginedella rèduce copia una ragnaja d'interpretazioni e di note che più grottesca econtraddicèntesi non èbbero Dante e il Burchiello.

¿Chi siete voi, mièi inèditi crìtici? In questo ripescato esemplare, nè ilfrontespizio nè i màrgini han mantenuto le vostre riveritìssime firme. Ogni suoùltimo possessore — imitando quanto si tenta ora di fare nella genealogìaletteraria, a differenza della gentilizia in cui i nipoti gènerano i nonni —raschiò diligentemente il nome dell'antecessore. Senonchè tutti io ringrazio emiti e spietati, perocchè a mè giova tanto la lìrica di chi mi ama quanto la sàtiradi chi m'odia. Per pensare, per scrìvere, per vìvere intellettualmente mi èindispensabile che le molècole, ora pigre, del mio cervello, riaquìstino laprimitiva rapidità e combustibilità. Venga la spinta dall'applàuso, vengadall'oltraggio, a mè basta che non difetti. Ad un morso di cane, GerolamoCardano, bizzarramente grande, dovette (com'egli narra) il suo ingegno; aquello dei crìtici dèbbono il loro non pochi scrittori. Un vento infatti è lacrìtica, che, se i mòccoli spegne, ingagliarda i falò.

Non se ne offèndano tuttavìa, i mièi postillatori benèvoli; tù Cletto Arrighi,tù Primo Levi, tù Perelli, tù Pàolo Mantegazza, tù Cameroni, tù Capuana, tùMàyor. Oltre la riconoscenza del letterato, vi ha quella pure dell'uomo e questaè tutta per voi. Se la frusta ed il pùngolo instìgano il sangue e più spedito lo

Page 192: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

rèndono a' suòi uffici, lo plutonizza ancor meglio il bacio, senapismo d'affetto.E ciò dico, mentre rammèmoro in special modo coloro che hanno e saputolodarmi senza l'ingiuria dell'adulazione e fatto spiccare il mio disadornopensiero nella cornice del proprio. Vorrèi anzi ammirare le loro felici pensate,colle mie fuse, nella presente edizione; mi ci provài; ma ¡mi perdònino! lasoluzione era sàtura già, nè più c'entrava una sola mica di sale. Prometto loroperò di saccheggiarli alla prima occasione. Di memoria non manco nè diaudacia.

Mi ajùtino intanto a discùter coi loro e mièi avversari, i postillatoriscontenti. Nè a questi risponderèi per le stampe se sapessi dove stan tutti dicasa. Contrariamente al costituzionale principio della pubblicità ne' giudizi, iopreferisco trattare le letterarie mie càuse a porte chiuse. Quì però, del nemico,non si scorge che l'arme. Sono quindi costretto, per farmi udire da alcuni, asuonare, quale campana, per tutti.

Chiamando dunque in soccorso la scienza di Rosellini e di Champollion perdecifrare la scarabocchiatura, a penna, a matita, ad unghia, che copre i lembi diquesta bandiera stracciata, e cercando di sgarbugliare, coll'arcolajo dellariflessione, tanta matassa di segni, sèmbrami che, come lavoro preliminare, lasi potrebbe partire in due grandi gomìtoli — quello cioè che s'avvolge sulgenerale pensiero del libro e quello sulla sua forma, che è quanto dire sullaidèa al minuto.

E, cominciando dall'ùltimo, e facendogli sopportare una seconda chirùrgicaoperazione, io mi arbitrerò anzitutto di collocare l'Opposizione della mianessuna Maestà, come la conquistatrice acies romana, in trè file — una deisaggiatori della purezza delle parole, l'altra degli investigatori della castitàdella frase, la terza de' stimatori della qualità dello stile. Come vedete, perspartizioni e per tagli io non la cedo a un beccajo... nè ad un metafìsico.

I nemici non sono pochi. Ma, ¡su le màniche! e avanti. Non ho coraggiobastante per aver paura.

Si affaccia prima la pigmèa e sparuta (perchè cibata di pura crusca) fanterìade' gramàtici, la penna in resta, la brachetta fuori. Prèndersela con costoro —ultimo avanzo di un'oste già debellata — gli è come azzuffarsi colle ombre delcardinal Bembo e di Benedetto Varchi. Non me ne òccupo quindi che come dipartita pro-memoria in un bilancio. Questa schiera è composta, o, a dir meglio,era or fà qualche anno, di tutti coloro che possedèvano fede accademica dimiserabilità intellettuale, di coloro che, non sapendo far libri, facèvanodizionari e s'inquietàvano per la corrotta italianità e pei dialettismi nontrattenuti da alcuna forca e per le stesse nuove scoperte apportatrici di vocàbolinuovi. Pur di non dire «vagone» avrèbbero sempre viaggiato in vettura. Èrano,in gergo scientìfico, chiamati cultori della istruzione, forse perchèincaricàvansi di strappare le pianticine novelle per vedere se mettèan beneradice. Rondàvano in avvisaglia, con passo di sùghero, e quando accorgèvansiche qualche scrittore cercava introdurre nei gramaticali confini da essi riputatipropri, merce non nominata nelle loro tariffe, lo attorniàvano, assaltàvanlo,arrestàvanlo schiamazzando quali oche.

E: «quella è di legge», «questa è di contrabbando», affannàvansi, que'gabellieri, a sfilare e palpare ogni parola di un libro, a stemperare, entro i lorstacci, i perìodi di un pòvero autore finchè ne colasse una brodacompletamente sciapa, incolora, inodora. Nè, per essi, serviva la scusa della

Page 193: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

analogìa, la raccomandazione del buon senso, l'invito della necessità.Permettendo, ad esempio, l'onomatopèico «cricch» perchè si leggèa a pàginatale, linea tal'altra del lor ricettario, proibìvano irremissibilmente il suo strettoparente «cracch», non trovàndosi esso in nessuna parte del mastro del lorosapere. L'òttimo autore, secondo tali notài spacciàntisi per legislatori, nondovèa aver orecchio che pei rumori e pei suoni protocollati, udir quindieternamente la zampogna e il liuto, non il pianoforte mai. Fuor di Toscana,anzi di Firenze, anzi di Palazzo Riccardi, non era letteraria salute. Poichè Arnonon diede l'aqua con cui fu bollito il proto-risotto ed impastato il capo-stipitedei panettoni, Milano era tenuta di abolir senza più quelle sue anticheghiottonerie non previste dalle edizioni «dal miglior fior ne coglie» per nonmèttersi a rischio di nominarle, salvochè non si fosse adattata a sostituirvi i piùlegìttimi nomi di «riso giallo» e di «pan balestrone.» Così, se c'era scrittore cheancora trovasse in isbaglio, qualche efficace metàfora la quale non fossecatalogata tra «gli impacci del Rosso» e «gli avanzi del grosso Cattani o delCibacca»,

, tra «il regno di Cornovaglia» e i viaggi «a Lodi, a Piacenza, aCarpi, in Picardìa, a Calcinaja, a Volterra»,

, tra il «mangiar spinaci» e«l'arruffar matasse» e tutto il resto della ciurma galeotta del vocabolariotoscano, ¡guài se l'avesse pur tollerata! dovèa immediatamente cacciarla; penala Crusca negli occhi ed il Frullone sul capiro, irati di non potere, per lui,russare di sèguito la governativa prebenda.

Che io molto non fossi nelle grazie di sìmili egrege persone (uòmini menodi lèttere che di parole) è più chiaro della loro «chiarissimità» ora buja. Non viha scrittore, sempre s'intende, al saggio della loro pietra di paragone, che erapoi una mola mugnaja, più di mè impuro. Nè io davvero, mi sono maiincomodato a cercare, per le parole che adopro, maggiori difese di quelle chedanno le stesse parole accoppiate, cioè del pensiero che esprìmono. ¿Cosainfatti avrebbe valso ripètere a que' bacalari per la millèsima volta, che lalingua naque prima della scrittura e l'una e l'altra innanzi la règola? ¿che l'Italiastette benìssimo senza gramàtiche tre sècoli buoni e ci sarebbe potuta starsempre? ¿che quelle clàssiche eleganze da essi additate a modello, capestrerìecome chiamàvanle con vocàbolo affatto degno della loro parlata, non èrano, ilpiù delle volte, che solecismi solenni (nè noi ce ne scandolezziamo) maggioriassài di quelli che possa creare un originale stilista? E, ancora: ¿che avrebbegiovato ricantar loro sul motivo di Orazio (ut sylva fòliis ecc.), che un idioma,come qualsìasi altro mortale frutto, è destinato, se non spègnesi in germe, apercòrrere l'intero suo ciclo fino alla maturanza completa, fino alla conchiusivacaduta dall'àlbero della vita, e che l'ùnico mezzo di evitargli una ràpida morte,è di trasfòndergli continuamente umore, imitando Dante, che colla falce delgiudizio mieteva da ogni sottolingua italiana ed anche non italiana le spighedella nazionale favella? ¿che avrebbe, infine, servito provare lorostatisticamente che non è tanto la qualità della materia impiegata quantol'ingegno di chi la foggia e coòrdina che fà l'eccellenza di un'òpera d'arte,cosicchè alla domanda — qual sia la miglior lingua — si può semprerispòndere: leggete Shakspeare, è l'inglese; leggete Rìchter, è il tedesco; èl'italiano con Foscolo; è il milanese con Porta?

Ripeto: non avrebbe giovato ricordar loro tanto, poichè era vano sperare chegente la quale non s'impensieriva che dei mattoni linguìstici, si accorgesse che,tutti insieme, tendèvano a rappresentar qualche idèa, a formare un letterario

Page 194: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

edificio. Interamente quindi perduto, per essi, sarebbe stato quanto ho già dettoe quanto sto quì per soggiùngere a titolo di buona misura.

E il contentino è questo. Pochi tra i grandi autori, gloria dell'umanità, hannoschivato le ire dei crìtici loro contemporanei tentanti di impor la cavezza algenio, e quasi tutti si vendicàrono, dannando i lor zoiletti all'eterno ridìcolo.Ora, stà il curiosìssimo fatto, che quelli autori sìano appunto i più spessomostrati ad esempio dai successori dei berteggiati, a volta loro da berteggiarsi.E, davvero, quel venosino col quale la falsa crìtica fà tanto chiasso,volteggiandolo minacciosa intorno alla testa dei novellini scrittori, la ha giàbastonata senza misericordia; quel fiero ghibellino cui essa domanda, per ognisuo pasto da orco, e zanne e ventrìcolo, l'ha fatta più volte tremare collamaestosa sua voce, come quando disse «òpera naturale è che uom favella, —ma, così o così, natura lascia — poi fare a voi secondo che v'abbella.» Volendoquindi scoprir la radice di tale stranezza nè potèndosi crèdere che il ricordo de'buffetti e de' calci sia amàbile a' crìtici, com'era a Rousseau quel del castigo dimademoiselle Lambercier, bisognerà ricercarla e la troveremo fra le astuziestratègiche. A guisa infatti degli àrabi che coi cadàveri inquìnan le fonti deiloro nemici, mìrano i crìtici, cogli autori morti, a spègnere i vivi.

Pur non rièscono. La treggia non caccierà più il carro dal mondo nè il carrola diligenza nè la diligenza il ferroviario convoglio. Il progresso che essicombàttono col tardo archibugio a pietra, loro risponde coi cèleri Vètterli,come lor rispondeva mediante quel rudimentale fucile quand'essi ostinàvansi amaneggiar l'arco e la freccia, e coll'arco quando ancora loro arme era il selcio.La umanità procedette sempre a dispetto d'ogni accademia, d'ogni senato,d'ogni governo. ¡Guài se il passato avesse più forza dell'avvenire! Saremmotuttora alla lingua dei lupi e degli orsi e ad uno stadio di civiltà affattocorrispondente.

Ma, seppelliti questi morti di hastati, ecco i prìncipes qui consùrgunt adarma, pùntano il loro schioppetto e fan cecca. Sono essi gli incettatori dellanazionale moralità, una compagnìa in lamentazione perpetua — di cui fannoparte i violacei predicatori che ventilàbran dal pùlpito i vituperi piùconcupiscenti contro la concupiscenza e le ascoltatrici loro ammiranti, lebaldracche, che han messo insieme bastèvoli soldi per comprarsi il rossettodella castità; fanno parte i loschi compilatori di virtù per il pòpolo a diecicentèsimi la dispensa e i gazzettieri che colla sifìlide cristallina alle labbrasermònano di pudicizia e le mamme affannate a difèndere le orecchiepremaritali delle loro figliuole da ogni sussurro impudico, salvo a lasciarviprecipitar dentro un mondezzajo di roba, non appena quelle figliuole sìengiunte al legìttimo stato di comporre adulteri; fanno insomma parte tutti coloro,i quali veri stradini della nettezza pùbblica, pel sudiciume — gìrano,sollevando, per così dire, la casta frasca di vite alle statue per poi urlare «¡alloscàndalo!»

Il realismo in arte è il bersaglio contro il quale scàgliano essi i lorgiavellotti ed è insieme lo scudo con cui sen ripàrano i loro contrari. Perocchè,in questo balordo argomento, una guerra s'è accesa che più fiera nonsuscitàrono le due secchie rapite, la bolognese e la greca, una guerra a cuiparagone sembrò quasi sensata quella di buffa memoria dei clàssici e deiromàntici. Vuolsi che essa scoppiasse al primo apparire in commercio dellefotografìe colorate di Zola. La gàrrula turba de' letterati si partì allora in due

Page 195: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

campi — diciàmoli meglio, stàbuli — e gli uni si buttàrono tosto a ginocchi edaccèsero i lumi dinanzi a quella forma di arte perchè imaginàronsi che fossenuova, gli altri si pòsero a tirar sassate contro di essa e a fischiare,principalmente istizziti da quella riputazione di novità. Il realismo, intanto,stava a guardare dal libro di Omero.

Ma il bello è, che, a confòndere maggiormente le idèe, e fautori e avversari,stroppiando il senso di quel frasone empibocca, incapàronsi di farglisignificare, là a tìtolo d'onore, quà di disdoro, quella parte soltanto diletteratura che studia e descrive le voluttà della carne e le turpitùdini umane. Achi si debba tale spilorcia interpretazione non sappiamo. Sappiamo solo, che,nella realtà, se c'è il male colle sue innumeri fronti, c'è pure il bene in tutti isorrisi suòi. Al realismo o verismo pòssono quindi appartenere con pari dirittotanto le dipinture di una cloaca, di un ubbriaco che rece, di cani ches'accòppiano in piazza, quanto quelle di un fragrante roseto, di un eròe che perla patria s'immola, di un uomo che respinge l'amplesso della donna del suobenefattore. Nella realtà vi ha il bordello in tumulto e la pacìfica casa:Protàgora abderita che tutto vende e difende a seconda del prezzo e Giannoneche muta continuamente paese per non mutare opinione, e, per seguire laverità, è da tutti perseguitato. Della realtà fanno parte integrante e l'illusione edil sogno e la fede e lo stesso idealismo.

Sarebbe quindi eccellente partito, che, a stabilire i tèrmini della questione,s'incominciasse a cambiare il nome alla questione medèsima. E però si riserbi aluogo più acconcio quella parola di «realismo», fatta per imbrogliare, e se neaddotti una di significato più certo. Per conto nostro, nelle trè arti nonsappiamo vedere che una questione sola, quella del brutto e del bello, senzariguardo nè a scuole nè a scopi. Se ci sono però buontemponi che vòglionscaldàrsela per quel letterario atteggiamento, che è, come affèrmano, diretto advìrgam erigèndam, ¡si sèrvano! Àbbiano in ogni modo la compietezza discègliere la giusta parola e non ci pàrlino d'altro che di «carnalismo.»

Senonchè, carnalismo non vuole ancor dire immoralità. Se le leggi divineimpòngono, se le umane favorìscono, le une e le altre improvvidamente, laprocreazione della spece, non vi dovrebbe èssere arte più leggìttima e piùcommendèvole di quella che risveglia ed instiga la foja generatrice, o, comedicèvano i nostri antichi, lùmbum ìntrat. Tuttavia, c'è un inconveniente. Leòpere letterarie, anche le più scollacciate, quando raggiùngono la perfezionenon commuòvono che il cielo dell'ànimo. Si potrèbbero esse paragonare «aifidi incendi per le innocue torri» delle rappresentazioni teatrali. La voluttàintellettuale sòffoca la carnale. Una volgarìssima serva irriterà e sazierà megliola libìdine tua che non una Saffo, testimoni Faone e Nicolò Tommasèo.Misurati col quale termòmetro, gli epigrammi così-detti osceni di Marziale ed isonetti di Porta, che si chiàmano inèditi anche dopo le cento edizioni, sègnanoun alto grado di moralità senza confronto più alto degli sconcìssimi — perchèmalfatti — libèrcoli approvati dagli alti e bassi Consigli scolàstici — Novelleesemplari, Fior di virtù (e di stolidità) ecc. ecc. — fonte di lucro ai maestri e diebetismo ai discèpoli.

Pur non si pensi, con ciò, che chi scrive applàuda a due mani al rubensianodelirio di polpe e di sguardi procaci che ha invaso la scolaresca del giorno fattaubbriaca da mezza bottiglia di stecchettina gazosa. La smania sessuale è innatura,

, ha dunque diritto di avere anch'essa la sua sede nell'arte; l'invito del

Page 196: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

sesso però non forma tutta la vita ,, manchèvole quindi sarebbe quella

letteratura che si occupasse esclusivamente (perdonate la frase) dei propriìnguini non istudiando che di rènderli appariscenti, nè più nè meno dell'altrache si cappona per procurarsi una voce di àngelo. Che, se in questa desinenzain A la nota lubrica ha il sopravvento, a mè preme avvertire gli egregi lettori: I°che l'autore non ha con essa seguito la traccia de' suòi giovinetti colleghi, mahanno questi piuttosto seguita la sua. La desinenza in A venne infatti compostanel 1876, allorchè del rosario del carnalismo non èrano state ancor snocciolate,almeno in Italia, che poche avemarìe e non si era ancor giunti ad alcunpaternostro. 2° che l'autore innanzi concèdere al pùbblico questa suasgualdrinella figliuola, gliene aveva già presentato trè altre morigeratìssime. Lacifra di un uomo, e màssime di uno scrittore, è formata, non da un ùniconùmero, ma da parecchi. Così, com'e, La desinenza in A — libro non certo permonacanda — rappresenta la giovinezza dell'autore, gli errori della poca suacarne, il suo squillo di bicchiere nell'orgia. Ma la giovinezza gli è oggicompletamente sfiorita. La penna che segnò quèi ritratti donneschi è rotta persempre. Bene stà. Ogni stagione il suo frutto. Fanciullo, scrissi d'infanzia e vioffersi L'Altrieri; adolescente, di adolescenza e vi diedi l'Alberto Pisani;giòvine, di gioventù, ed èccovi La desinenza in A. Se la vecchiaja non mi sarà,come sembra, contesa, scriverò cose da vecchio — metafisici soliloqui,archeològiche dissertazioni — ¡chissà mai! anche ascètica. Letterariamentealmeno, il Dossi non si falsificherà mai.

I cavalieri intanto e le dame, la cui virtù è sì fragile da temerne lo scoppio,pur coll'esporla alla temperatura di qualche grosso proverbio da fin di tàvola(sìmili in ciò a coloro che per gli eccessivi riguardi contro le infreddaturetròvansi perpetuamente nello stato più proprio di buscàrsene) e si spavèntanoall'ombra solo di quelli onorèvoli... — più onorèvoli assài di parecchi votantinei Parlamenti — ... membri che hanno, come scrive Aretino a messer BattistaZatti da Brescia, «fatto i maggiori uòmini del mondo, i Michelàngiolo, iTiziano, i Raffaello, e appresso loro, i papi, gli imperatori e i rè» nonchè glistessi che ne pìglian vergogna, — considerino, dico, questi esimii signori (delche caldamento li prego) come non sìavi còdice che li òbblighi a comprar nè ilpresente nè altro libro del gènere suo, e, quel ch'è più, a continuarne lacompitazione quando si accòrgono di che si tratta. Chi ama le comedie prive disesso ha i teatri suòi, ha i burattini, dove può assìstere, senza perìcolo alcuno,da quello all'infuori di addormentarsi, anche al ballo. Per i pòveri d'intelligenzaprovvede la caldaja dei frati; c'è una letteratura estesìssima, nientemeno che ilnovantanove per cento di ogni biblioteca. Ne profìttino dunque. L'aqua noncosta nulla e rinfresca. E se, dopo ciò, si ostìnano a spizzicare le mie frollepernici in salmì, per poi lamentarsi di qualche doloruccio di ventre, ¡colpa loro!Questo libro contiene, certo, veleni, ma anche i veleni sono ùtili, basta saperedosàrseli, cosicchè l'arte della salute — intendi, per burla, la medicina — fondain gran parte su di essi.

E, ora ¡avanti i signori triari! stavo per dire «trepiedi.» Sono la schiuma...¡pardon! la panna dei crìtici. Hanno, pressochè tutti, fatto studi profondi — diche non si sà — fuori d'Italia, là nei paesi in cui le vòcali cèdono alleconsonanti e l'uva al lùppolo; le loro sentenze le spùtan dall'alto delle càttedreo di que' mucchi di residui cibari che hanno nome «riviste o rassegne» mensilio quindicinali,

, non abbassandosi che raramente a ragionare spropòsiti ne' fogli

Page 197: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

quotidiani, diventati, loro mercè, piombo in foglia. Costoro non pèrdonsi nellescaramucce delle parole nè si formalìzzano di qualche frase che mostri il rosatoginocchio più delle altre. Ùnica loro preoccupazione è lo stile, sono gli intentidell'autore.

Ora, il primo capo di accusa contro mè di tali crìtici in mitria, è quello cheio scriva troppo avvolto ed oscuro. «Diàmine» sèmbrano essi dire «la più partedegli altri scombìccheracarta, basta un'occhiata per accertarsi che non vàlgononulla; costùi bisogna lèggerlo due, trè volte, prima di persuadèrsene.»

Ebbene, voglio èssere, come nessuno più, arrendèvole; voglio per un istantedimenticare la pregiudiziale, se la incolpata oscurità dipenda dalle idèedell'autore che non sanno farsi vedere o piuttosto dagli occhi de' leggitori chenon arrìvano a percepirle: completamente mi càrico dell'asserito peccato di unabujezza sì favorèvole ai lumi, ma, insieme, domando: ¿quale ne è la càusa?Una letteraria virtù, mièi signori — la densità delle idèe.

Ho detto una virtù; pur tuttavìa, giacchè sono sul cèdere, accorderò ancheche tràttisi semplicemente di un bel difetto. Posseggo due scuse, però — e unoscusino: l'influenza del tempo nel quale è tuffato il mio corpo, il corpo cheassièpami la volontà e, se ciò non vi par sufficiente, questa medèsima volontàmia.

E, prendendo le mosse dal tempo, tutti vèggono — meno i crìtici dalle acutepupille nella collòttola — come sia oggi impossibile ad un autore, che almanubrio dell'organetto preferisca l'arco del violino, di scrìvere precisamentecome quando il patrimonio delle idèe era di gran lunga più scarso dell'attuale episciàvasi chiaro perchè non si beveva che aqua, compreso il vino. Bastavaallora di esprimere ciò che il cuore individual suggeriva e la lingua maternaimboccava; ciascun paese viveva, per conto suo, dei frutti esclusivi del propriosuolo e del proprio pensiero, nè più nè meno di Ippia sofista — vero sìmbolo diquell'època — che, insomaràtosi nel principio che ciascun uomo costituisceuna completa repùbblica a sè, anzi un intero universo, si facèa colle sue cìnichemani tutto, dalle ciabatte al mantello, dal letto al pranzo, dai mòbili allamoglie. Senonchè, oggi, si mutò stile: siamo figli di esploratori, e viaggiatorinoi stessi, e, in quella maniera che da occidente ad oriente, dal polo antàrticoall'àrtico, s'incròciano e mèscolano tutti i prodotti del globo, tra cui màssimol'uomo, gìran le idèe più ancora liberamente e si spòsano e ne crèano altre,prolìfiche come infusori. È una tendenza generale, questa, che nè le polìtichetariffarie ed i cannoni dei governanti, nè gli ohimè dei grammàtici e gliesorcismi dei preti sanno o potranno frenare. I mercati del mondo (in gergoufficiale «Stati») gràvitano a fòndersi in uno solo. Si và a tutto vapore, e giàpuò dirsi a tutto elèttrico, verso il comunismo più equo e la più ordinataanarchia.

La universale e fatale tendenza tròvasi poi, nel mio infinitesimale pianetadel corpo, preparata la sdrucciolina da càuse particolari, anzi orgàniche. Difatti,le doppie porte per le quali le sensazioni pènetrano nella casa dell'ànima(rètine, timpani, ecc.) e che, nella maggioranza degli uòmini sono pressochèuguali, tantochè le due correnti della percezione èntrano in essisimultaneamente e tòccano con pari scocco nel campanello della coscienza, inmè sono affatto assimètriche, donde un risultato opposto. Nè le sensazionirivali che vèngono a mè dai vari oggetti, giùngono a combaciarsi perfettamentee a dare un sol squillo nello spìrito mio, fermentando in esso un miscuglio di

Page 198: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

ali e zampe e teste d'idèe versàtovi da letture affrettate, copiose, disparatissime.Era forse, originariamente, il mio cuore un ùnico specchio, ma, dalla memoriaonerato, si spezzò in centomila specchietti. Il troppo olio, dirèbbesi, affogò lostoppino. Se nel bujo notturno, nei preludi del sonno, mi si rierge talvolta l'idèa— come la colonna di fuoco che guidava gli ebrèi — luminosa ,

, comparso ilsole, io più non scorgo che fumo. Vero è che nel fumo perdura la fiamma eche, a forza di gòmito e pòmice, la idèa riaquista splendore, o, come di Virgilioe delle orse si scrisse, «fòrmam post ùterum lingua magistra pàrit», ma ciò nonavviene che a prezzo di transazioni, di sottintesi, di ripieghi, cosicchè il miostile potrèbbesi bensì assomigliare ad una donna sapientemente abbigliata, nonmai ad una bellissima vèrgine nuda. In questo mio stesso discorso, in questostesso periodo — da mè lasciati più greggi del sòlito — i lettori hanno prove abiseffe di ciò che affermo. Si aggiunga la preoccupazione affannosa di stiparequanto più senso si possa in ogni frase (perocchè sempre mi parve atto diletteraria disonestà quello di vèndere al pùbblico, per libri scritti, volumi dicarta tinta d'insignificante inchiostro); si aggiunga lo studio, non menomorboso, di cacciar dapertutto malizia, affinchè, se la stoffa od il taglio delpensiero non vale, valga almeno la fòdera, e non farà meraviglia se il mododello scrivere mio debba inevitabilmente mancare di quella tagliente sobrietàche forma la caratterìstica della espressione dei grandissimi ingegni e de'grandissimi stolti.

Ma della complicazione del mio attuale pensiero, c'è un'altra càusa, purfìsica. Se colla continua ed ostinata meditazione, il cervello consegue la forzadi ascèndere e la sicurezza di aggirarsi pei greppi più vertiginosi, smarrisce,spesso, quella di camminare in pianura. Guadagnando le ali, perde, per cosìdire, i piedi. Il proverbiale esempio del matemàtico, che, sciolti i càlcoli piùsublimi, sbaglia la somma del domèstico conto che gli propone la cuoca, è inrègola perfettamente colla verità ed è applicàbile a tutte le arti. È noto comeuno de' màssimi agenti del pensiero sia il sangue, la virgiliana purpurea ànima.Ora, la irritazione che l'ostàcolo tra la volontà nostra e la cercata idèa pròvocaai nervi dell'intelligenza, invita, attira al cervello il flusso sanguigno necessarioad abbàttere lo stesso ostàcolo, e la idèa si svela. Al ragazzo che fà i suòi primiitalianucci è sufficente irritazione nervosa la ricerca delle parole di cui rivestela traccia temàtica dàtagli dal maestro; all'adolescente, la caccia alla rima edall'armonìa del verso colle quali ripete le ripetizioni di moda; al giòvane, cheaspira alla artìstica originalità, lo sforzo, prima di evitare le idèe e le formetroppo stancate,

, poi di scoprirne di nuove, poi ancora di raddoppiare, ditriplicare i sensi delle sue frasi, finchè, vievìa, moltiplicàndosi i dièsis e ibemolle e gli altri accidenti in chiave, arrivi a quella concentrazione, a quellaingegnosa oscurità di stile che fà la delizia degli intelligenti e la disperazionedel pubblicaccio. Ora, il sottoscritto, che ha passato come ogni altro autore noncondannato allo sgabello della mediocrità, tali stadi, tròvasi appunto a quelloche si potrebbe chiamare «la distillerìa della quintessenza.» Le difficoltà che,una ventina, una decina di anni prima, bastàvano a rieccitargli la Vènereintellettuale, oggi, perchè superate, gliela làsciano inerte. Indicàtegli un massodi pòrfido letterario, ei ne saprà far balzare una statua; consegnàtegli, per unaburocràtica scarpa il necessario cuojo asinino già tagliato e il puntarolo e lospago, darà punti svogliati e voi rimarrete a piè nudo.

Confesserò tuttavia (ed ecco la mia scusa aggiuntina) come, allorquando mi

Page 199: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

accorsi che non avrèi potuto per nessun verso fuggire il crescendo dellacomplicazione stilìstica, lo affrettài e mi vi abbandonài tutto, mirando solo diconvertir la cattiva in una buona ventura, come fà, della macchia che gli gocciaimpreveduta sul foglio, l'aquarellista. E veramente, l'originalità in arte ha piùspesso radice in difetti che non in virtù. Stia certo il lettore che, se di un'onciasoltanto della lìmpida mente e dell'amàbile filosofìa di Alessandro Manzoni odel sicuro ànimo e dell'ampio umorismo di Giuseppe Rovani avessi potutodisporre, non mi sarèi contentato di fare il geroglìfico Dossi. Gli è, del resto,una fatalità cronològica alla quale nè io nè i mièi fratelli in letteraturasapremmo sottrarci. Trascorsa la primavera pariniana, la manzoniana state, ilrovaniano autunno, più non ci avanza, del letterario anno che stà per finire, senon l'inverno. Spremuta l'uva di Alfieri, di Monti e degli altri, fatto il vin diManzoni e di Giusti, fatto il torchiàtico di Aleardi, di Prati, di Rèvere ed'altrettali, più non rimane da fabbricarsi, dell'ùltima svinatura, che l'aquavite.Lambicchiàmone dunque in buon'ora. Ci servirà di sole invernale, e, riscaldateda essa, le generazioni novelle prepareranno con impulso gagliardo il terrenoed i tralci per le vendemmie future.

Tornando a noi, o piuttosto a mè, io non mi lagno niente del nùmero, qualesi sia, che estrassi nell'ùltima leva della letteratura paesana, nè dell'èsito deglisforzi coi quali tentài di assecondare e completarmi la sorte. Uno stile che fosseuna rotaja inoliata sarebbe la perdizione de' libri mièi. Uno invece a viluppi, adintoppi, a tranelli, obbligando il lettore a procèder guardingo e a sostare ditempo in tempo — parlo sempre del non dozzinale lettore ossìa dello scaltritoin que' docks di pensiero che si chiàmano e Lamb e Montaigne e Swift e JeanPaul — segnala cose che una lettura veloce nasconderebbe. Per contraccambio,le idèe o sottintese o mezzo accennate (quel pleou emisy pantòs che Esìodo dàcome règola d'arte) fanno sì ch'egli prenda interesse al libro, perocchè,interpretàndolo, gli sembra quasi di scriverlo. Nè per altra ragione le sciaradeed i «rèbus» mantèngono a molti giornali il favore del pùbblico. Aggiungi cheuna sìmile illuminazione a traverso la nebbia, facendo aguzzare al lettore lavista dell'intelletto, non solo lo guida nelle idèe dell'autore assài più addentroche se queste gli si fòssero di bella prima sfacciatamente presentate, mainsensibilmente gli attira il cervello — a modo di que' poppatòi artificiali cheavvìano il latte alla mammella restìa — a meditarne di proprie. In altre parole,dall'addentellato di una fàbbrica letteraria, egli trae invito e possibilità diappoggiàrvene contro un'altra — la sua — e, da lettore mutàtosi incollaboratore, è naturalmente condotto ad amar l'òpera altrùi diventata propria.

Ed è al medèsimo scopo di farmi lèggere con attenta lentezza che dèvesiancora attribuire la mia ripugnanza di usare parecchi spedienti — meglio dirèiruffianesmi — i quali, secondo l'opinione de' crìtici e il gusto della platèa,costituirèbbero i requisiti essenziali della forma romàntica, primo tra tuttil'intreccio che appassiona e rapisce. Quanto ho detto, toccando dello stile chepiù conviene a libri della pasta de' mièi, può appressapoco ridirsi parlàndosidell'intreccio. Non nego che una fàvola concitata, densa di colpi di scena,irritante la curiosità, incalzante la lettura, sia la maggiore fortuna, anzi la dotesine qua non per un romanzo sprovvisto di ogni sapore di stile e d'ogni potenzad'idèa: là è necessario infatti che il leggitore percorra a rotta di collo il volumee precìpiti al fine prima di accòrgersi che l'autore è più di lui soro ,

, inghiotta percosì dire il cibo senza aver tempo di rilevarne la insipidità. Nei libri, invece, in

Page 200: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

cui gli avvenimenti narrati sono un mero pretesto ad esprìmere idèe ed unaoccasione di suggerirne, deve l'intreccio sì esìstere ma non troppo apparire, deecontentarsi di fare, non da ricamo, ma da canovaccio, adducendocarezzosamente il lettore sino alle ùltime pàgine, quale còmodo cocchio daviaggio che permette di osservare il paese, non già traèndovelo turbinosamentequale rozza infuriata. E sìmile intreccio modesto non parmi che manchi inquesta Desinenza in A, poichè le sue trè parti fòrmano gli atti di una solatragicommedia La Donna, e poichè i medèsimi personaggi, che noiconoscemmo bambini nei primi capìtoli, li ritroviamo, salvo quelli cheperdiamo provvidenzialmente per via, giòvani nelle scene di mezzo, vecchinelle estreme. Oltracciò, vi ha un altro legame più ìntimo, che si tentò di celarenel nesso tra la natura ambiente cosìdetta «morta» da chi non ha finol'orecchio, e la storia, il caràttere, il «momento» degli attori che ne soncircondati. Chi conosce il segreto dei pinti romanzi di Hogarth, comprenderà lemie scritte pitture. Il mòbile, la tappezzerìa, la pianta, vi aquìstano un valorepsìchico, vi complètano l'uomo, e, da sèmplici attrezzi teatrali, vèngono a farparte integrante del ruolo dei personaggi. Gli è il coro dell'antica tragediaridotto a forma moderna. D'ogni intreccio, però, quello che credo di non avertrascurato e cui tengo massimamente è l'intreccio fra il mio e l'ànimo de'lettori;... alludo sempre ai non irosi e non disattenti lettori, cioè ai pochi.

Come vedete da questa ultimìssima frase, quì non si tira di prezzo collasignora Crìtica, allorchè nota che io perdo — per ostinata premeditazione — lagran maggioranza del pùbblico quella maggioranza che non sà lèggere se non ilibri scritti a caràtteri di ditta. Osserverò tuttavìa, dal canto mio, che tale pèrditanon è poi così grave, come asserìscono, per chi aspiri ad arricchire meno lecase editrici che la letteratura. Il pùbblico di un letterato non è già quellodell'uomo polìtico e del canterino (celebrità spesso e l'uno e l'altro della gola)pei quali è indispensàbile e folla e contemporaneità di fautori; non neoccòrrono a lui nè migliaja, nè centinaja e neppure ventine in un tratto: glienebàstano pochi, uno anche, purchè sìano degni, a loro volta, di lode e purchè sisuccèdano — sentinelle d'onore del nome suo — fino al più lontano avvenire.La votazione per la durèvole gloria di un artista non si chiude in quelmedèsimo giorno in cui viene proposta, ma le urne rimàngono aperte neisècoli. Se si contàssero gli intellettuali custodi e inaffiatori, insino a oggi, dellafama di Dante, non si arriverebbe certo alla grossa cifra della sine nòmineplebs che si accalcava estasiata intorno a passate o grugnisce ora giojosaintorno a viventi volgarità. Senonchè, l'applàuso della moltitùdine scomparecolle mani che l'hanno prodotto e anche prima, mentre il làuro, piantato daipochi intelligenti sulla tomba del meritèvole e con sollècito amore educato,non cessa di crèscere e si rafforza cogli anni. Ciò che crea la moda, la modapur spazza via, nè oggi alcuno più sosterrebbe la burattinesca trucità dei giàcelebrati romanzi della Radcliffe nè la patètica pappa delle novelle,furiosamente già lette, del Chiari, come domani non si soffrirà più da nessunola grandìssima parte del bozzettismo del giorno. Se è dunque assiomàtico cheun libro trovi tanta maggior grazia presso l'uomo d'ingegno quanta minore neincontra presso il citrullo e viceversa, sarà necessario evidentemente, perconquistare una sùbita popolarità, di piacere ai goffi ossìa di scrìver goffàggini.Stìeno però tranquilli i pubblicisti che hanno missione, dirèbbesi, di alimentareil cretinismo italiano; nè io nè gli altri mièi migliori colleghi saremmo mai rei

Page 201: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

di abigeato di qualche loro lettore. Per conto mio, in arte sonoaristocraticìssimo. Come Frine, io non ambisco all'omaggio che dei sovrani...dell'intelligenza. Nulla più mi spaventa di quell'unànime battimani che mifarebbe domandar con Focione: ¿sy dé pou tì kakon légon émauton léleoa?

¿Parlo molto di mè, non è vero, mièi adoràbili crìtici? ¿Che volete?M'insegnaste voi stessi, che per fare o per dire qualche cosa almeno mediocre,è d'uopo tenersi nell'orticello che si conosce men male: ora, io descrivo mè,cioè la persona che m'è più nota. ¿Perchè non vi descrivete anche voi, buonicrìtici? Si vedrebbe alla prova chi fà men ladra figura. Comunque; questa«subiettività» che vi dà tanto sui nervi e che stà infine di casa, non ne' mièilibri, ma nelle sole lor prefazioni, da considerarsi come lettere ìntime alpùbblico, non ha nulla d'ingiurioso, ch'io sappia, alla individualità altrùi. Aparte che quì si tratta di un subiettivismo che riguarda, non le circostanzeoccasionali di un corpo, indifferentìssime per tutti gli altri, ma l'essenza diun'ànima, proprietà universale; a parte che la letteraria coscienza è sìntomo divirtù, non di vizio, giacchè l'occhio dell'artista che non scorge se non il suoesterno è occhio che poco vede, egli è sempre — parmi — più cortese edamàbile, nello schiùdere la gallerìa delle fantasìe nostre, di non imitare que'padroni di quadri che si ritìrano sultanescamente, abbandonando ai servi ivisitatori, bensì di accompagnar questi noi stessi, facendo loro da cicerone.Ciò, non fosse altro, testìfica che io non sono poi quel trappista, quel Simeonestilita, quell'antropòfago di sè medèsimo, quell'ùrsus spelaeus che piaque acertuni, collo stòmaco grave di anguilla, sognarmi. Voi vi fate, o crìtici, unasbagliatìssima idèa di quello che sia la società umana, ritenèndola tuttacompresa, insieme alla fama ed al resto, nei pochi metri quadrati deigiornalìstici uffici che smèrciano i vostri veleni, sacri asili al di fuori de' qualinon sarebbe che «lido e solitùdine mera.» Ben altro vasta è la umana società, icui giorni si còntano a sècoli, i cui membri s'intìtolano pòpoli, il cuichiacchieratojo è il mondo. Per conseguire, tra essa, notorietà, lascio a voi ditentare i vostri «invescativi o coercitivi» come li dite, impiegàndovi tuttaquella provvisione di màntici e ruote, di olii e di unti, di zùccheri e incensi, dicui disponete. Anch'io miro alla Fama ma a patto solo di giùngerla all'ariaaperta e colla trionfale quadriga de' cavalli bianchi, non sul carrettodell'immondezza di Checco, non sul baroccio giallo-nero ed infangato diCèsare, non sulle penne rubate e sempre vendìbili a chi più paga di Ruggero.

Per finirla, o mièi crìtici astiosi, io vorrèi lusingarmi che niuno di voi, abbialetto questa Desinenza in A nel suo giusto momento. Non succhia il midollo diun libro se non il lettore il quale si trovi in una disposizione di nervi consìmilea quella in cui era, scrivendo, l'autore. Il gran Mìlton è da lèggersi la domènica,quando si accùmula nell'atmosfera il religioso uragano, fatto di nubi d'incenso,di cerei lampi, di armònico tuono di òrgani; Leopardi in una giornata piovosa,colla disgrazia ai calcagni e la dispepsia allo stòmaco; Cattaneo in un'àulaparlamentare, assente lo sfibratore Deprètis; Carducci sotto un arco romanonon medicato dal dottore Baccelli; Correnti fra le stoffe preziose e le raritàantiquarie; Hugo, al mare. Così, è nell'època del malincònico e verginaleerotismo dell'adolescenza che più si comprende la Vita nuova del giovinettoAllighieri ed è nell'ora del disinganno amoroso che il presente volumesembrerà fàcile e piano. Nè a quest'ùltima ora rado pervèngono gli uòmini;anzi tutti vi tòrnano quante volte ha loro sorriso da un fresco aspetto di donna

Page 202: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

l'inganno. Ma una illusione ancora maggiore è la mia che crìtici mestierantirilèggano un libro che han giudicato una volta e indùcansi, per soprassello, acambiar di parere. Quando uno tra essi lanciò la sua sentenzietta spietata, ¡nonc'è più cristi! la ripete stucchevolmente per tutta quanta la vita del condannatoe anche dopo. Imitazione quindi perfetta è, la crìtica, della misericordia divina,privilegiata inventrice, a quanto insègnano i preti, della pena che non ha fine.

Pienamente dunque d'accordo co' mièi avversari in ciò, che niuno di noirestò persuaso dei ragionamenti dell'altro, non io de' loro, non essi de' mièi;ritengo per sempre finita la nostra cartacea battaglia: sparsa è l'arena di penne edi matite spuntate, sparsa è di pozze d'inchiostro, e La desinenza in A entra,non troppo sconnessa, nelle sue seconde nozze col pùbblico. ¿Ma che? ¿che èmai questo sciame di donne che m'assal da ogni lato? Come i cimbri, sconfittida Mario, che si traèvano seco il lor feminile bagaglio, bèllica impedimenta,come i bracati persiani sull'usta dei quali si affollava la bagascerìa di tuttol'impero, i mièi crìtici si rimorchiàrono appresso un nùvolo di gonnelle — dallaseta alla cotonina — ballerine ed avvocatesse (ambo oratrici coi piedi), trecchetoscane e maestre di scuola (ambo appendici de' clàssici), sorelle di carità,mogli a nolo ed altre parenti posticce, sarte, balie, modelle, cantiniere,telegrafiste, filandiere... un cibrèo insomma di fèmmina, che dopo di avereassistito ozioso alla pugna, cerca ora di riappiccarla coi denti e colle unghie.Colùi che, cavalcando soprapensieri nella romana campagna, capitò qualchevolta in mezzo a un'orda di porci e in quella grufolante e minacciosa marèa,stette minuti che gli pàrvero ore, potrebbe ùnico penetrarsi di tutta la gravitàdel mio caso. ¿Come salvarmi? ¿come superar tanta Eva? I lombi pure diPròcolo e di Vittorio impallidirèbbero.

E una matrona, un quintale di ciccia che porta gli occhiali della filosofia e ilbusto della lògica e il guardinfante dell'oratoria, m'investe di una mitragliaaforìstica, sbuffando: «Tutto quanto si guarda da una sol parte si vede male.Chi ingiuria la donna, ingiuria pur l'uomo che ne è il frutto peggiore. Chi nonsà perdonare, è di perdono non meritèvole... ¿Se ti credevi in piena ragione,perchè tanta ira?» — aggiunge iratìssima.

«L'evo dell'assolutismo maschile non è più» — sentenzia una bella sveltinain elegantìssima toeletta forense (comechè appena laureata dai professori edagli studenti dell'Università di...) cercando ingrossare la voce con empirsi leprofilate narici di tabacco rosa. — «Chiusa è l'età in cui facevate a vostroprofitto le leggi, divorziàndoci ignominiosamente (consulta il Talmud) soloche avèssimo lasciato affreddare la zuppa ai cari sposini, presumèndociadùltere (vedi in Seldeno) sol che si fosse rimaste appartate con uomo che nonci era marito, il tempo di cuòcere un ovo. Ma il nostro dito ha già tôcco lavostra tarlata legislazione. Noi riusciremo a tutto. La persuasiva, dea dellaTribuna, è noi che l'abbiamo trovata. Tù lo puòi dire, tù stesso, a cui favore lafemminil parlantina seppe più volte rinspirar la pazienza che il tuo laconismoavèa fatto smarrire a tuòi creditori e lettori...»

«¿E chi ti aperse i cieli d'amore?» domanda rimproverante una èsile epellùcida vèrgine con un sospiro che tèrmina in tosse «¿di quell'amore che nonmuor mai, perchè non si ciba di vivanda mortale? ¿Chi t'insegnò la làgrimainnamorata, seme di perla? ¿chi piovve sul tuo stèrile ingegno quella lucelunare della mestizia che feconda i pensieri? ¿a chi devi i primi vagitipoètici?...»

Page 203: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

«¡Ingratissimo!» esclama con roca voce un composto di cipria, cold-creame pinguèdine floscia che ancor tenta di spacciarsi per donna, «chi smorzò la tuasmania amorosa? ¿chi saziò le tue labbra affamate? ¿Non più dunque ricordi lecento volte che abbracciasti queste mie giarettiere chiamàndomi Dea perchè mislacciassi alla svelta? ¿nè la foga giojosa con cui pagavi il mio lusso? ¿nèl'intima soddisfazione che ti procuravo, scarrozzando con mè per la cittàinvidiante, tù bruttìssimo al fianco di una bella mia pari? ¡Accidenti allamemoria tua!»

«¿E chi,» subentra, ironicamente soave, un pàllido volto tra due càndide alidi tela, strizzàndomi maliziosamente l'occhio per poi tosto velarlo di pudicapalpebra, «vegliò lunghe notti al tuo letto e al tuo gèmito, quando tornastipiagato dalla guerra d'amore e fasciò la tua doppia ferita e ministrò sul tuofronte gèlida aqua e baci scottanti?»

«¿E chi,» continua con uno strillo acutìssimo un'ombra cenciosa, verso mèroteando il suo rosario di bosso, «ha pregato per tè che non accendevi lumi aSan Rocco... dopo di averti servito da fida...?»

«¿Mi riconosci tu?» interrompe una machinosa fantesca coi riflessi deifornelli nel viso, indicàndomi con una mèscola e urtando in terra gli zòccoli.«¡Sù, padrone de' tuòi stivali, ridomàndami ancora, se hai faccia, que' broducciristretti da sei capponi e dòdici ova con cui ti guarivo dalle medicine chet'ingozzàvano, ridomàndami que' pranzettini di molti volumi che timantenèvano, come dicevi, l'ingegno tuo e la stima de' tuòi amici...!»

«¿E il piacere che ti suscitài per gli orecchi? ¿e il gusto che ti diedi per gliocchi?» esclàmano insieme due bàmbole, giojellate e piumate, la prima con untrillo armonioso e un contemporaneo abbajamento cagnesco, l'altra con unràpido lancio di gamba e uno strido di papagallo.

«¿E i bottoni che t'abbiamo cucito?» echeggia ochinescamente un coro dicameriere, il petto pieno di poppe e di spilli, «¿e le camice che ti stirammo? ¿ei caffè che ti abbiamo opportunamente recati sull'alba?»

«¿E i pedalini che t'ammagliammo?» ìtera un coro di vecchiepunzecchiàndomi cogli aghi di calza, «dove li lasci?»

¿Che rispòndere? Dall'alto del Pègaso mio, inutilmente inquieto, cerco dipacificare la rumoreggiante folla, ma ottengo l'effetto opposto. Senza prò,infatti, mi sbraccio a fare a tutte comprèndere che ogni vita di artista è zeppa dicontraddizioni tra lo scrittore e l'uomo e che però io non sono (mi pròvino)quell'odiatore di donne che mi si rèputa; che, in ogni modo, se nella Madonna afresco del muro mio fu occasionalmente aperta una fogna, m'impegno di tostomurarla e di ridipingèrvene due, beninteso Madonne: invano prometto loro,purchè non mi ammàzzino prima, di cantare con entusiasmo le loro lodi ,

, chèse fu inneggiato alla peste, al cancro, alla piva e a tutti quanti i malanni, sipotrà bene, credo, bruciare incenso rimato anche alla fèmmina, che non ne èpoi il peggiore: invano tento di sferrare alle nubi il mio alato destriero —¡pòvero Pegasuccio! — non può mòversi più, stretto dalla calca e spennato. Ele iridiscenti sue penne già battibàgliano ne' cappellini delle mie inimiche.

«¡Rèndici tutto quanto ci hai tolto... fiori… baci... carezze!» è questo ilgrido ùnico, furibondo, che si eleva alle stelle.

Mi ergo in arcione. È un mare di teste in moto, di irati ombrellini econocchie, di tesi pugni. Anche la voce, quest'ùltima delle sei ricchezze che ledonne fanno pèrdere all'uomo (ingènium, mòres, pecunia, vis, lùmina, vox) ho

Page 204: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

smarrita. E, sulla chioma mi passa la fredda ombra di Orfèo.«¡Restituisci i tuòi furti!» urla quel tempestoso ocèano di Mènadi, con un

ondeggiamento in avanti.Un'arma sola mi resta — càrica per fortuna. Con un sùbito moto, la sfòdero.¡Meraviglia! ¡incanto! Un bràmito di voluttuoso terrore, di riverenza e di

cupidigia, distèndesi di bocca in bocca. A mè, torreggiante sulla sella pegasea,quelle innùmeri donne, come da un colpo di vento abbattute, come Titania o latèssala dama dinanzi al scespiriano Bòttom o al lucianesco Lucio inasiniti,càdono a ginocchi. Alla minaccia è sottentrata la sùpplica, e tutte tutteinvòcano la mia benedizione.

Page 205: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Luigi Gualdo

NARCISA(in L.G., Novelle, Torino, Bona, 1868)

Ella era bella più che sia possibile immaginare. Vedendola si aveva alfinedinnanzi agli occhi il compendio di tutti i sogni, di tutte le aspirazioni; l'idealepiù alto e più perfetto. Riuniva tutte le visioni: un poeta nordico, amante dellepallide figure ossianesche, l'avrebbe trovata più completa di ogni suacreazione, e un pagano adoratore della forma l'avrebbe allo stesso tempodichiarata la più magnifica espressione della donna. A un discepolo di Fidiasarebbe apparsa una bellezza greca; avrebbe innamorato Orazio quanto Byron,Rubens e Raffaello insieme, Gautier al pari di Hugo. Incontrandola, eraimpossibile non volgersi stupefatti ad ammirarla.

Sarebbe stato assai difficile il volere spiegare fisiologicamente il mistero ditanta bellezza; il tipo de' suoi genitori era regolare, ma comune, e certo un talfiore non potevasi aspettare dal granello ch'era stato posto in terra. Fin dai suoiprimi giorni aveva qualcosa d'insolito. Quando la madre si era visto davantiquel bianco visino – tutto circondato di trine, con quei due braccini d'alabastroche uscivano dalle fasce – insieme a quel primo scoppio di gioia dell'amorematerno alla vista della propria creatura, si era unito un senso d'ammirazioneper la perfettissima regolarità, per quanto fosse possibile, di quei piccolilineamenti, per la miriade di cose che già quegli occhietti dicevano. –Crescendo in età crebbe costantemente in grazia naturale ed irresistibile. Non sipuò immaginare una bambina più incantevole di quello ch'ella era a cinque osei anni. In quell'età in cui il desiderio di piacere non è ancor sorto, ella portavagià istintivamente ciò che indossava con una fanciullesca eleganza da cui lealtre bambine erano ben lontane. Ella correva e saltava quanto le altre; ma ognisuo movimento, ogni suo gesto era armonico. – Fin d'allora avea qualcosa diconcentrato. Non era nè pensosa nè taciturna, come lo sono spesso i fanciulliquando l'intelligenza si sviluppa innanzi tempo; ma aveva un non so che didiverso dagli altri, difficile a definirsi. È strana la influenza che avevano su dilei gli specchi. Ogni volta che si trovava davanti a uno specchio, vi si fermavae vi stava lungamente, immobile e come estatica della propria bellezza.

Naturalmente tutto ciò aumentò, e la bellezza e il suo modo bizzarro. Passòper tutti gli stadi dell'infanzia, facendosi di giorno in giorno più indifferente aciò che forma la vita a quell'età; e giunse ai sedici anni senza che i suoi parentiavessero potuto scorgere in lei una tendenza, una predilezione per uno studio oper un divertimento qualunque. I suoi occhi erano pieni di espressione e certonon poteva mancare di attitudine per tutto; ma nulla la interessava, tranne lecose aventi relazione con la forma, con la bellezza materiale ed esterna, conl'estetica delle linee e dei colori. Nella storia non si riusciva ad appassionareche per le epoche pagane, o per le favole mitologiche in cui s'esalta il culto delbello. In tutto ella cercava il lato sensibile; preferiva una bella statua a un belquadro, un quadro alla musica la più incantevole. Non aveva alcun desiderio

Page 206: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

d'irreligione, ma capiva poco la divina poesia del cristianesimo, e certopreferiva il Cristo giovane, bello di bellezza dolcissima e celeste, col frontecoronato dell'aureola e circondato da un nimbo di luce, al Cristo smunto,livido, scarno, inchiodato sulla croce della redenzione, bello solamente dellasua fede e del suo sacrificio. Capiva l'arte per istinto; sarebbe rimasta delle oreassorta, in muta contemplazione, dinanzi a una Venere, sogno realizzato nelmarmo. Quando leggeva il racconto di quei tempi impareggiabili in cuifiorivano Fidia e Pigmalione, si sentiva delle irresistibili aspirazioni verso iportici d'Atene, con la loro serena architettura irradiata dal sole purissimo dellaGrecia; avrebbe voluto correre sui gradini dei tempii frammezzo alle bianchecolonne, o errare nei boschi penetrati, malgrado la foltezza delle pianteverdeggianti, da quella luce splendida e illuminati dal riflesso di quel cieloazzurro.

La prima volta che fu condotta in società, la sua apparizione ad un balloimpressionò così vivamente che per un mese non si parlò più che di lei. Ellaera vestita di bianco, senza ornamenti, senza nulla, nulla, tranne il fulgore de'suoi occhi il cui sguardo era una magìa, la pura bellezza de' suoi lineamenti, ilpoema delle sue forme. Era modesta, ma non timida; non mancava di spirito esapeva parlare, ma com'era possibile sostenere con lei una conversazione?L'ammirazione irreprimibile che in voi destava ogni suo gesto, ogni piùfuggevole espressione del suo viso, ogni moto del suo corpo, vi distraeva alpunto di non saper quasi nè ascoltare nè rispondere. Se parlando alzava unamano per rimettere al posto un nastro disubbidiente, la vista di quelle bianchedita, dalla forma allungata e perfetta, vi faceva perdere il filo di ciò che stavatedicendo.

Ella intanto non manifestava alcuna predilezione ma la precocità fisica eintellettuale della sua infanzia non si era smentita, e a quell'età ella era già unadonna. I suoi sedici anni le splendevano in fronte ed ogni volta che parlava, lasua voce arcanamente armoniosa sembrava cantasse l'inno della gioventù. Ellaera dunque, la straordinaria fanciulla, giunta come le altre all'istante quando ilprimo palpito commove il cuore, e, senza far sparire il sorriso del mattino dellavita, la prima lagrima spunta nel ciglio. Ell'era giunta all'istante quando il ventoche passa tra i rami, l'aura che increspa la cima delle acque, il susurro dellasera, il canto degli uccelli, tutto il leggero e potente soffio della natura diventauna sola voce e dice una sola parola; quando l'azzurro del cielo, il lucidocontorno delle nubi, il verde delle foglie, le mille tinte calde ed armoniose dellaterra, sembrano confondersi in un sol colore e si traducono in un solsentimento. – Eppure nulla si moveva, nulla palpitava in lei.

Non si vide mai una più perfetta espressione della vergine; la sua bellezzaincontestabile e quasi insolente era però ancor tutta vaga, le sue formeavvenenti ancora indistinte, sebbene complete; quasi il pensiero divino non sifosse tutto estrinsecato e una parte di lei fosse ancora altrove. Pure sembravaimpossibile ch'ella potesse diventar più bella. – Pensava quasi continuamentealla propria bellezza e quasi di null'altro si occupava, ma lo faceva in modo cheè assai difficile far comprendere. Non era mossa da civetteria femminile nèdall'ambizione; lo faceva con una serietà concentrata e distratta, quasi fossenecessario per lei il farlo; sembrava ubbidire ad una missione. L'ammirazionedi sè stessa ed il sentimento della propria bellezza erano in lei come un divinoistinto: pareva, occupandosene, compiere un ministero.

Page 207: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Passava sempre lunghe ore dinanzi allo specchio e non aveva mai finito dimirarsi e di acconciarsi; ma non se ne nascondeva come le altre, lo facevapublicamente, quasi quel culto della propria persona fosse solamente artistico,e, per così dire, impersonale.

L'amore di sè sembrava escludesse in lei la possibilità di un altro amore. Iparenti osservavano, se in quella età pericolosa in cui si trovava, qualcunoavesse fatto palpitare per la prima volta il suo cuore o colpito la suaimmaginazione; ma non sorpresero nulla, e davvero non c'era nulla dasorprendere. Vedeva i giovani i più seducenti, sia per un motivo, sia per l'altro,ma di nessuno si curava. Se ne accorgevano quasi con piacere, giacchè nonessendovi simpatie preconcette da vincere, credevano che sarebbe stato facilelo scegliere per lei. Essi erano ricchissimi, ricchi tanto da poter aspirare moltoin alto. Una tale occasione non tardò molto a presentarsi; un giovane, ultimodiscendente di una illustre famiglia, che lui morto si sarebbe estinta, s'invaghìpiù di tutti della straordinaria bellezza della fanciulla e ne chiese la mano. Egliera ricco, simpatico a tutti; di un carattere buono e leale e certo non brutto,benchè d'una figura assai comune. Ella rifiutò.

Suo padre non la volle forzare, ma fu dolentissimo di tale rifiuto ch'eglidiceva mosso da un imperdonabile capriccio.

Fu lo stesso di venti altri.Passarono così alcuni anni ed ella faceva veramente soffrire le persone che

le volevano bene con tanta ostinazione. Ma l'idea del matrimonio le ripugnava.Dovette subire una forte lotta interna prima di giungere a comprendere che nonè possibile a questo mondo voler esser tanto stravagante e che non potevaandar così direttamente contro alla volontà di tutti. Ma finalmente capì chebisognava far delle concessioni e disse a suo padre, rendendolo lietissimo, cheaccetterebbe la mano del primo giovane che si sarebbe presentato, purchèaccontentasse quelli che da tanto tempo le consigliavano di cedere e non ledispiacesse troppo.

Il primo che osò chiedere la sua mano fu il conte R.., abbastanza ricco eassai ricercato da tutti e che da molto tempo era stato colpito dalla superbabellezza di lei.

Ella fu fedele alla sua promessa ed accettò. Aveva allora vent'anni.La sua bellezza, che diventava ogni giorno più intensa, era tale che chi non

ebbe la fortuna di vederla non se ne può nemmeno fare un'idea. Avevaacquistata una fama universale; si parlava di lei dal palazzo di corte alla soffittadel miserabile. I poeti d'ogni calibro la cantavano su tutti i metri, e i pittori,vedendola, gittavano pennelli e tavolozza.

Il conte era un bel tipo meridionale, alto e ben fatto; aveva occhi e capellinerissimi, i lineamenti fini. Quanto al morale, era quieto, con intelligenzasufficiente ai suoi bisogni, piuttosto insipido e assai indolente.

Il matrimonio ebbe luogo e fu come tutti i matrimoni, e seguito da un breveviaggio come tutti i viaggi di nozze e da una luna di miele delle più abituali.

Al ritorno la nostra eroina, che ora potremo chiamare contessa, era moltocambiata. Sembrava impossibile, ma erasi ancora abbellita. La sua bellezzanon aveva mutato carattere, ma si era fatta più splendida. Il poeta l'avrebbeforse preferita prima, non lo scultore.

Sebbene nessuno, qualunque fosse il suo gusto, potesse rimanere insensibiledinanzi a lei, essendo ella, come già fu detto, il risultamento di tutti i sogni,

Page 208: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

pure molti – tutti coloro che ricercano le profonde delicatezze dell'anima –avrebbero trovato in lei una mancanza indefinibile, ma vera. Noi amiamo lecose umane; la nostra fragilità, i nostri errori, le nostre debolezze, perfinoqualcuna delle nostre miserie, ci attirano e le vogliamo, le amiamo quasifossero qualità e non difetti; siamo fatti d'una parte sopranaturale e d'una parteterrena, di qualcosa di superbo e di qualcosa di basso, ma la nostra argillal'amiamo qual è. In lei mancava l'imperfezione, mancava la fragilità. Cosadolorosa e disperante, in lei non v'era possibilità d'amore – la fralezza sublime.Ella era troppo perfetta e talvolta quella perfezione opprimeva e quellasuprema serenità ne faceva male. Non si vedeva dove un sentimento veramentenostro avrebbe potuto prender posto tra quella calma desolante, e la suabellezza appariva intangibile, inaccessibile.

Maritata, fu costretta a prendere una parte più attiva nella vita comune, eparve quasi che si distraesse alquanto dalla sua preoccupazione abituale.Viveva presso a poco la vita di tutti, andava in società, riceveva; ma lo studio,l'amore di sè erano sempre il suo pensiero principale. Le donne non erano tantogelose di lei quanto si sarebbe supposto. Prima di tutto era inutile il volercriticare la sua bellezza, in secondo luogo non avevano molto a temere da lei,perchè non scendeva in campo a combattere e le sue armi non si curava diadoperarle.

Ferivano però e di ferite gravissime. Rinunciamo a raccontare tutte lepassioni che suscitò, tutto il male ch'ella fece, davvero con la massimainnocenza, poichè si empirebbero volumi. Quante amanti la maledirono, quantemadri, vedendola, si sentivano gli occhi gonfiarsi di lagrime, quanti le chieseropietà! Come si tentò in ogni modo di far vibrare la corda segreta del suo cuore,di turbare la limpidità serena del suo sguardo! – Ma ella possedeva la calmaimperturbabile del marmo.

A coloro che le rimproveravano la sua insensibilità, e parlando di chi lariputava una donna spietata, ella diceva:

– Guardatemi. Come volete che io sia cattiva? Che colpa ne ho io se nonposso vivere come le altre, se ho la fortuna di non soffrire?...

E tutti rimanevano colpiti dalla pace raggiante del suo viso, mentr'ellapronunciava tali parole piene di una tranquillità sovrumana – abbagliati daquell'avvenenza invincibile.

Accadevano spesso delle scene abbastanza strane. La contessa ricevevaventi lettere al giorno, lettere d'amore, di preghiera, di gelosia, d'ira, didisperazione..... ch'ella gettava sul fuoco senza finirle.

Gli artisti, i poeti, gli osservatori si occupavano di lei come d'un enigmavivente. La maggior parte la vollero conoscere, e siccome aveva intelligenza espirito, le sue sale furono aperte all'aristocrazia dell'ingegno, come lo eranonaturalmente alle altre aristocrazie.

Il suo gusto era squisito nelle cose d'arte. L'appartamento n'era una provavisibile. Tutto, dalle vôlte, dalle cornici, dai mobili fino al più piccolo oggetto,aveva un valore artistico. Vi erano quadri scelti con sottile discernimento tra icapolavori delle migliori scuole, statue che rammentavano le greche, vasi dellaChina e del Giappone, lavori di smalto e d'intaglio, velluti e damaschi cadentiin pieghe maestose, tappeti di Gobelins dai colori vivacissimi e armonizzantisi,e sopratutto specchi d'ogni sorta, dagli enormi dovuti alle fabbriche moderneche coprivano intere pareti fino ai piccoli, elegantissimi specchi di Venezia,

Page 209: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

con le cornici un po' annerite dal tempo, coperte d'ornati baroccamente contortie ingemmate di specchini microscopici. Tutte codeste cose erano disposte conquell'ordine di sobria eleganza che indica il gusto di artista spinto fino alleultime conseguenze; l'armonia dei colori e delle forme, l'unione tanto difficiledegli stili, era ottenuta con la sicurezza infallibile che dà la mano maestra. Edera essa infatti che aveva presieduto a tutto, poichè dopo di aver pensato a sè,che cosa le rimaneva da fare se non pensare a ciò che la circondava? Ellaamava le cose belle per istinto, per cui era giunta ad una conoscenzaesattissima in arte alla quale non si arriva d'ordinario che dopo lungo studio eminute osservazioni; aveva la potenza divinatrice del bello negli oggettiantichi, come si fosse occupata sempre di archeologia, e in una bottegad'antiquario scorgeva a prima vista ciò che valeva d'essere comperato.

Pittori e scultori le chiedevano il suo parere; questi le portava due o treabbozzi perchè decidesse quale fosse meglio imprendere, quello la pregavad'andare al suo studio per dargli un consiglio sul modo di atteggiare una statua.E sempre rispondeva con sorprendente giustezza e spesso il suo occhio vedevapiù in là dell'occhio dell'artista. Molte volte diceva: «Fate così» e l'artista nonera persuaso, ma ubbidiva ciecamente, e terminato il lavoro comprendeva ciòche non aveva compreso prima e si felicitava di aver ubbidito.

Vorremmo poter raccontare le mille impressioni differenti che faceva sututti la bellezza della contessa, a seconda dei diversi modi in cui simanifestava. In casa, capricciosamente vestita, al passeggio, indolentementeposata nella sua carrozza o cavalcando con un'eleganza inimitabile; al teatro,con la mano divina posata sul velluto del parapetto, attenta piuttosto aglisguardi d'ammirazione che da ogni parte convergevano verso il suo palco, chealla musica di Verdi o di Meyerbeer.... Vorremmo, colla facilità concessa ainovellieri di penetrare dovunque muniti dell'anello dell'Ariosto, condurre illettore nelle più intime stanze, farlo assistere alla toletta della contessa, che eraun quadro improntato d'epicureismo antico, e svelare i tesori segreti di quellabellezza sovrumana, tanto avida d'ammirazione.

La camera da letto ed i gabinetti erano divisi dal resto dell'appartamento. Làappariva ancor più che altrove il gusto squisito della bellissima, l'improntasovrana ch'ella non poteva a meno di porre su tutto ciò che le stava vicino.Quelle stanze erano un santuario. Tutto ciò che si può immaginare riunendo lamolle comodità delle nostre abitudini moderne con la maestà delle decorazioniantiche ritrovavasi colà. La camera, nello stile pompeiano, era piena difinissime estravaganti pitture, di fregi largamente e bizzarramente segnati checorrevano intorno alla vôlta, coperta ella stessa d'ornati delicatissimi e di figurechimeriche; i mobili, le tende, le drapperie, tutto era perfettamente d'accordocon lo stile delle pareti. La stanza era divisa in due parti da un grande arco,ricco d'intagli, di decorazioni e di vaghissimi bassorilievi, dal quale pendevanotre lampade d'argento, antiche, del più puro e leggiadro disegno. Un'alcovachiusa da tende di seta molle e ondata conteneva il letto coperto d'uno strato divera porpora a frange d'oro.

Adiacente a quella stanza aprivasi una vasta sala, pure divisa in due parti, laprima delle quali serviva da gabinetto, la seconda da bagno. In questa erascavato un vasto bacino di marmo verde da cui usciva incessantemente lozampillo d'una fontana che spingeva allegramente il suo getto fino alla vôlta; ailati vi erano due vasche di porfido e due grandi tavole preziosamente scolpite,

Page 210: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

sostenenti i mille oggetti necessari ad una signora.Da un'altra porta della stanza da letto si entrava in due piccoli gabinetti

affatto differenti e più piccoli. Il primo era elegantissimo. Da un rosone inmezzo alla volta scendevano delle tende di velluto, di quel rosa delicato epallido che tinge l'interno d'alcune conchiglie, e coprivano tutta la stanza, vôltae pareti, cadenti lunghissime su di un tappeto folto come l'erba d'un prato, purerosa a fiori bianchi. I sofà e gli sgabelli erano pure dello stesso velluto. Ilsecondo gabinetto era più curioso ancora, poichè da qualunque parte vivolgeste non era possibile scorgere altro che specchi. Quattro candelabri eranoposti negli angoli.

Era davvero una scena che sembrava attendere il pennello d'un artistapagano quella che frequentemente aveva luogo in quelle stanze. Talora lacontessa, circondata dalle sue donne, si vestiva ed acconciava lungamente, conuna serietà che rammentava le dame romane, talchè un indiscreto nascostodietro qualche tenda avrebbe potuto credersi trasportato d'improvviso ai tempidi Giovenale – tal altra invece, sola, si compiaceva voluttuosamente nellospettacolo incantevole della propria bellezza. Gettava intorno a sè le stoffe ed iveli che la coprivano ed appariva, abbagliando i suoi proprii occhi con tantaperfezione, bella come la Venere sorgente dai flutti. – -Sembrava quasi allorache un tremito misterioso agitasse le tende, che le figure dipinte sorridessero,che gli specchi sentissero l'immagine che riflettevano, quasi quelle formescultorie dessero involontariamente la vita alle cose inanimate.

Fossimo nati ai tempi d'Aspasia o di Frine! Chè allora ne sarebbe concessodescrivere minutamente quel corpo creato di getto in un momento supremo diceleste ispirazione – mentre invece la nostra qualità di scrittore moderno ciingiunge di rinunziare a dire quelle eleganti curve, quelle linee perfette, quelleforme armoniose come una musica scesa dal cielo; e quasi nemmeno nesarebbe concesso di cantare ad una ad una le strofe del poema del suo corpo.Non possiamo dunque parlare nè della superba linea del torso, nè delle bracciache si sarebbero date alla Venere di Milo, nè del piede simile a quello d'unadea che ha solo toccato la cima delle nubi, nè della gamba d'una rara purezza dicontorno... e ci è forza lasciare che il lettore supplisca a tutto ciò con la suaimmaginazione, e al posto della nostra eroina ponga il suo proprio ideale.

A poco a poco le sue antiche abitudini presero di nuovo il di sopra, e la ideafissa dei primi anni l'afferrò ancora e forse con maggior forza di prima.Maritandosi, ella era stata costretta (come si è visto) a vivere un poco la vita ditutti, e ciò l'aveva un po' distratta. Ora vi ritornava; nè vi è certo da stupirsi diquesto, poichè non era possibile che le occupazioni della società le fosserosufficienti, e di cosa poteva occuparsi se non di sè, ella che non conosceval'amore? – Suo marito che sulle prime aveva fortemente subìto il fascino ch'ellaesercitava su tutti, si era presso a poco guarito della sua passione davanti allapassiva freddezza di lei.

Tutto l'annoiava, e dopo il primo anno di matrimonio restò a lungo prima diricomparire in società. Ben inteso che da ogni parte sorgevano lamenti per talescomparsa, e che tutti se ne stupivano. Ma in lei la idea fissa si era quasi fattamalore. Avvicinandosi ai venticinque anni, la sua bellezza si avvicinava alpunto culminante e prendeva un carattere di completa maturezza. Ella era orala più perfetta espressione della donna in tutto ciò ch'ella ha di più maestoso.La numerosa schiera di quelli che l'ammiravano, o l'adoravano in segreto –

Page 211: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

avendo ben compreso ch'era inutile parlare – soffrivano di esser privati perfinodella gioia di vederla. I pochissimi ammessi in una relativa intimità cercavanoin ogni modo di persuaderla a distrarsi. Gli artisti, che la studiavano, capivanoche ora la sua passione per sè stessa aumentava prodigiosamente.

Suo marito, che non riusciva ad indovinarla, ma che vedeva con uno stuporepauroso la luce stranissima che sfavillava negli occhi suoi ogni giorno piùvivamente, univa le sue preghiere alle loro, ma tutto fu vano per qualchetempo.

Finalmente un giorno, con una decisione che sembrava un misto di volontàsua e di cessione alle ripetute preghiere, consentì ad aprire le sue sale ad unagran festa da ballo. La sera fu fissata e le carte d'invito cadendo in mezzo aimille discorsi che si tenevano a proposito del suo desiderio di solitudine, tuttiaggradevolmente stupirono.

La sera tanto attesa giunse. Le carrozze arrivarono in lunga fila e versavanoil loro contingente di signore e fanciulle, che ascendevano lentamente loscalone coperto di fiori, avvolte nei candidi mantelli nascondenti tante bellezzeche tra un momento dovevano essere accarezzate dalla luce splendente dellesale. Il magnifico appartamento, chiarissimo, tutto adorno di fiori, si riempiva apoco a poco. Il conte, in piedi nella prima sala, riceveva tutti con un sorrisostereotipato.

Si era già ballato, quando apparve la contessa che in nulla seguiva l'usocomune. L'effetto ch'ella produsse fu indescrivibile. Nelle sale vi fu un silenziocome al giungere d'una regina.

Il suo vestito – semplicissimo di fattura – era di velluto rosso e cadeva,fasciando i fianchi e allungandosi di dietro in un interminabile strascico. Sulsuo petto posava una ricchissima collana di smeraldi. I suoi capelli, d'una tintavariante tra il biondo ed il castagno, avevano dei riflessi luminosi e fulvi chechiedevano il pennello del Tiziano e si frangevano in masse ondate e ricciute,si contorcevano in piccole spirali fantastiche, parevano talvolta accendersi difiammelle dorate. La tinta bianchissima della sua pelle era però d'un pallorevivace e rosato. I suoi occhi, d'un taglio purissimo e d'uno splendore calmo,erano micidiali senza volerlo. Nel suo incedere vi era qualcosa di divino; ilritmo della sua voce si confondeva col ritmo dei suoi movimenti.

Non aveva mai prodotto tanta impressione. La sua bellezza aveva aquistatoqualche cosa di luminoso e di fatale. Irradiava e turbava ad un tempo. Tutti siestasiavano dinanzi a lei; alcuni sentirono una fitta al cuore.

Un vecchio scienziato tedesco disse, parlando ad un amico che avevavicino, mentre la contessa passava:

– È strano il pensare che fra poco tutta questa bellezza sparirà e che leforme superbe e l'occhio fulgente non faranno più vittime!...»

Benchè pronunciate sottovoce, queste parole giunsero all'orecchio dellacontessa. – -Si volse e rispose con un sorriso e una espressione inesplicabili:

– No, dottore, vi sbagliate. Finchè sarò, sarò come mi vedete adesso.In quella notte ella sembrava molto distratta. Vi era talvolta qualche

incoerenza nelle sue parole, e di tanto in tanto le passavano sulla bocca deisorrisi pieni d'una poesia misteriosa.

Il ballo era magnifico. Fu una di quelle feste che fanno epoca e cherimangono come pietra di paragone di tutte le altre e spesso per molto tempocome l'apice inaccessibile della ricchezza e della eleganza.

Page 212: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Dal principio della sera la contessa non si era ancora guardata. Parevatemesse. Godeva dell'ammirazione altrui e voleva aspettare ad assicurarsi dellapropria. Assaporava intanto il trionfo, e l'orgoglio che la riempiva era tantodolce che le pareva quasi difficile da sopportare. – Verso le due, al momentodella cena e quando le sale si erano un poco sfollate, prese una improvvisadecisione e si diresse verso una specie di serra ch'era a lato della sala da ballo,in fondo alla quale stava un enorme specchio. Lo avvicinò lentamente, ad occhibassi. Sembrava non osasse; finalmente alzò gli occhi.

Parve che una luce si spargesse sul suo volto e che tutta la sua figuras'irradiasse. Stette immobile per qualche minuto, assorta, incantata, con unsorriso d'estatica compiacenza.

Poi, d'improvviso, si voltò e attraversando con passo deciso i gruppi dipersone che guardavano un poco attoniti, si diresse verso le sue stanze.

Giunse al gabinetto degli specchi.Là, con un movimento rapido, sprigionò la massa dei capelli che si sciolsero

in onde luminose sulle spalle bianchissime, strappò gli uncini della veste checadde a terra, scosse ogni velo e si guardò intorno. Riunì le braccia sopra latesta, stando dritta, coi piedi vicini e il fianco un po' sporgente, rammentandola postura della Frine dinanzi all'areopago, e sorrise, contemplandosi.

D'improvviso un fremito l'agitò – impallidì tanto da sembrare il marmo diPigmalione che appena fatto donna ridivenisse statua, poi lentamenteaccosciandosi come chi si sente mancare le forze a poco a poco, cadde sulleginocchia, frammezzo alle sue vesti, poi piegò adagio all'indietro,incrocicchiando le braccia sul seno e tirandosi addosso tutto quello che potècon un gesto d'estremo pudore.

Quel ballo, da cui la contessa si ritirò prima della fine, fu per molto tempo ilprincipale argomento di discorso nella società elegante. Fu inoltre l'ultimavolta ch'ella si mostrò in publico. – Non molto dopo ella si spense. – Nessunoha certo dimenticato la sua morte, come nessuno ha dimenticato la suabellezza. Morì dopo una breve e violenta malattia che i medici confessarono dinon aver troppo capito. Il suo corpo venne imbalsamato. La sua fine fumisteriosa quanto la sua vita.

Ella rimase un enigma per tutti. Certo la figura di una donna così bella, cosìseducente e insensibile, ma tutta invasa da una passione arcana, passata comeun apparizione – oggetto di stupore e di desiderio – e poi subitamente sparita,resterà lungamente impressa nella memoria di chi la conobbe.

Un giorno, in un crocchio d'amici, si parlava di lei. Chi si estasiava sulla suabellezza, che rimarrà come un tipo inimitabile, chi tentava spiegare il problemadella sua vita. Poi si venne a discutere sulla sua morte quasi più inesplicabileancora.

– Io ne so la causa, disse un poeta. È morta di bellezza.

Page 213: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Giovanni Faldella

IL MALE DELL’ARTE(Torino, L.Beuf, 1874)

Mi dichiaro innamorato cotto non della mia lavandaia, brutta come la notte,ma delle partenze di buon mattino. Per esempio devo recarmi ad una Pretura dicampagna a disputare sopra la zuffa di due galletti e a mettere sulla bilanciadella giustizia la lunghezza e la potenza dei loro becchi e le qualità chimichedel sangue della loro cresta; o debbo soltanto portarmi a mangiare un’ala dicappone da un amico pievano di un villaggio vicino. Ebbene, se allora nascel’alba, mi sembra di partire per lo meno alla conquista del vello d’oro.

Quando veggo l’aurora in cielo, a me vengono delle ragazze bionde nelcuore. Che strano effetto mi cagiona il mattino! I raggi del sole, che non sivede ancora, lasciano appiccicato l’azzurro cupo della notte solamente sopraalcuni greppi della montagna, e poi inondano e riempiono certi vani predilettidi tinte metalliche, le quali non si possono scrivere. I vecchi campaniliconservano magari alla sommità il loro solito grigiastro di muriccia, ma poi,stranezza incomparabile! li ho proprio sorpresi io più di una volta fra ilfogliame degli alberi quei signori campanili, che per una buona parte dellalunghezza del loro fusto si facevano addirittura di una rosa tutta diafana.

Talora pendono e gocciolano dagli scrimoli delle grondaie certe liste dicolori così gialli, così dorati e così cangianti, che non c’è tuorlo d’uovo o pettodi uccello li abbia, colori da prisma di cristallo e da faccetta di diamante,fettucce d’arcobaleno. Ci vuole una brava bestemmia a significare come tuttociò è bello.

Una mattina fra le altre dovevo andare al Tribunale civile di una cittàcapoluogo di circondario, mancomale nel nostro Piemonte, a fare una certacausa per la corda di un pozzo, che aveva avuto balìa di far nascere i guelfi e ighibellini in un villaggio dapprima quieto come un ex-refettorio di frati allaminestra. Alle cinque giunse il vapore al mio paese ed io ebbi la fortunad’infilare lo sportello di una vettura di seconda classe affatto vuota, che quasimi scappava di chiamarla vagone, per necessità di distinguerla dalle vetturedegli omnibus e dalle carrozze dei marchesi. Uh! che il Cielo me ne guardi!

Provai una dolce voluttà nel potermi slungare supino sui sedili di quellacarrozza tutta mia e accoccolarmici come in un letto di rose, con il sigaro inbocca, mentre il sole coniava delle monete d’oro sui vetri appannati deifinestrini ed io sentivo schiacciati sotto il mio peso il Codice civile, quello diprocedura e gli atti della causa.

Smontato alla città di circondario, trottai diviato all’ufficio del procuratoredella mia parte, il signor Ventrelli, un otre o meglio una foca paffuta e baffuta;il quale mi snidiò subito addosso una covata di marmocchi, tutti della suamoglie, come egli mi diceva con una sguaiateria magari stentata.

– Su, biricchini, lesti, domandate un po’ a questo nuovo barba, se ha fatto

Page 214: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

buon viaggio. –Tutta quella ragazzaglia l’uno dopo l’altro mi domandarono invece se aveva

dormito bene e mi insafardarono la bocca, ciascuno con un bacio acquoso.Anzi il più grande di essi per maggiore derrata volle farmi sentire come sapevabene la lezione, e mi recitò in latino tutta la vita di Pausania scritta da CornelioNipote. Di tanto in tanto la sua lingua intaccava e si ravvoltolava in qualcheavverbio di difficile masticatura, e allora il babbo tuonava con voce chioccia:

– Cirillo!– Vengo.– Datemi qua lo scartafaccio. –E Cirillo, che era lo scrivano dell’ufficio, portava al suo principale un

quaderno legato, con il dorso di cartapecora, lungo e stretto come il fucommendatore Rattazzi, dove si registrano dì per dì i salassi dei clienti. Intantola ruota dello scolare riaddentava il suo pezzo di latino.

– Cirillo!– Vengo.– Il registro della Pretura. –E Cirillo eseguiva mentre il mulino del fanciullo rimacinava a rotta di collo

Pausania.– Cirillo!– Vengo.– Corbellini contro Corbelloni. –E Cirillo gli ribaltava sul tavolo una enorme catasta di libelli d’una certa lite

che durava nell’ufficio da ventitré anni fra il marchese Corbellini e la vedovadel banchiere Corbelloni.

Il ragazzo: – tintirintintin (nè voleva venire la parola giusta) ah! interimPausanias.....

Il babbo: – Cirillo! Scopatemi quei due ragnatelli. –Finalmente Pausania era morto murato e a cielo scoperto sub dio nel tempio

di Minerva, e per noi era venuta l’ora di andare alla udienza del Tribunale. Ilprocuratore mi prese a braccetto con la delicatezza di una morsa e permaggiore affettazione ordinò al povero Cirillo che ci accompagnasse e ciportasse gli atti della causa.

Distratto da Pausania io non l’aveva ancora guardato quel giovine scrivano,che là nell’uffizio m’era soltanto sentito passare innanzi come un’ombra enulla più.

Allora che lo potei squadrare... Dio! che bel ragazzo! Una capelliera mora,folta e lunga senza esagerazione e senza pretesa, che discendeva in anella allanazarena e lasciava indovinare una bella riga diritta in mezzo alla testa, sottoun cappello puntuto, ammaccato con grazia e posato un po’ malinconicamentesulle ventiquattro. Due nidi d’occhi ossiano due aperture di palpebre tagliateprecisamente nella nota conformità delle mandorle; gli occhi nerissimi elucentissimi, come quei semi di erba selvatica (amaranto), che i contadinipiemontesi chiamano gioietti. Una bocca disegnata con calligrafia a graffa o apicciolo arco di battaglia e rubinosa come un pomino d’amore. Per incarnatoquella tinta meridionale che arieggia il croceo dell’aurora. Attorno al collomorbido e asciutto girava una cravatta di seta leggiera, gonfia e cilestre, comealbume d’uovo sbattuto. La giacchettina di velluto cotone del colore di un belguscio di castagna. Ma gli occhi... bisognava ritornare per forza a quegli occhi.

Page 215: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Erano indefinibili. Contenevano un quid maximum, un quid divinum.Dovevano capire tutto. Io vedevo là dentro dei laghi, dei mari di bellezza etutto lo scibile. Come lucevano! Quando li abbassava, si scorgeva balenare unchiarore per l’aria, e poi calare a terra, come fa la luce rimandata da specchio oda acqua. Già ne ho conosciuti girando per il mondo dei famosi occhi di uomoe di donna, occhi di fanciulle che spandevano una frescura mistica come unachiesa solitaria, o diffondevano un tepore sereno di famiglia; occhi fiutoni,massime nei tribunali, che braccheggiavano una notizia, una conoscenza,anche un dolore altrui, purché fosse qualcosa; occhi lucenti, come stocchi (allaBorsa) che discendendo addosso mi facevano gridare ahi! quasi un agoinavvertito mi sforacchiasse.

Ma al pari di quelli di Cirillo, non ce n’è un altro paio al mondo.Il mio procuratore aveva un bel soffiarmi nell’orecchio tutte le minchionerie

che può soffiare un procuratore di circondario:– Uhm! Adesso che hanno voluto abolire le piazze, non c’è più quella curia

di una volta. Ogni minchione e ogni tanghero pretende metter su la toga e ilbaverino... Ah! ci vuol altro.....

E poi i clienti non sono più quelli. Il Governo li pela troppo. Si figuri unamia pratica vecchia, anzi già del mio antecessore, un sindaco di campagna cheera solito a pagare come un banchiere e mi ringraziava per giunta, quando mipagava, ora mi scrive mille queste e mille quelle sulla nota dell’ultimosemestre, ed ha il coraggio di trovarla esagerata, una nota di ottocento lire concentoventi d'esposti, e poi finisce con il cantarmi chiaro e tondo che non mipuò assolutamente soddisfare per il momento, e che bisognerà io aspetti fino aquando egli avrà venduto i buoi. Capisce? Scrivere di queste indegnità a me,dei buoi a me che da trentanni disputo alla sbarra, e ne ho fatti restare deipresidenti e dei fischi, ne ho fatti restare delle dozzine là con la bocca larga. –

Si noti che la maggior parte dei procuratori avanti i tribunali non fanno altroche legicchiare imbrogliatamente due o tre righe di conclusione.

– Eppure, seguitava la foca, sempre più attanagliandomi le braccia, eppurec’è stato uno di codesti procuratori nuovi, senza piazza, peggiori di quelli damuraglia, ce n’è stato uno, e gli dirò poi chi è, uno che per la causa di unacappellata ha avuto il fegato di accettare in pagamento un quarto di animale.Capisce, dove discende la curia e la toga d’adesso, nel... –

E finiva la proposizione con un ruggito. Io non ero buono a sdegnarmi percompiacere il procuratore, perché guardavo sempre con ammirazione ed amoreCirillo.

– Vede là, tirava innanzi il signor Ventrelli, che credeva di aver pigliato acottimo l’impresa di divertirmi... Oh addio, addio molto. Tante cose amadama... L’ha visto quel signore alto che mi ha salutato? È il causidicoSgarognini, procuratore capo come me. Quello lì l’ha rispettata bene la toga. Ègeloso più che un gatto, di sua moglie, come capita sempre a questi lasagnoni,che vogliono sposare una figliuola povera. S’immagini, una sartorella! Unamattina l’aveva proibita assolutamente di andare alla messa del Sacro Cuore.Intanto egli aveva dovuto venire all’udienza per quella famosa causa di figliolegittimato che ha fatto chiasso per tutta Italia; e poi Lei avrà vista la sentenzariportata nella Giurisprudenza. Prima però di venire in tribunale Sgarogniniaveva dato ordine alla serva che se mai la sua signora andava a messa, venissead avvisarlo. Si era già nel forte della disputa. C’era mezza la curia presente;

Page 216: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

gli animi persino degli uscieri pendevano dal figlio legittimato della causa,quando, sissignori! compare là in mezzo alle toghe la sua serva. Pazienza fossestato un uomo, il cuoco! Ma la serva, con due gomiti appuntati sui galloni darivendugliola di Piazza d’Erbe, fu una indegnità. Quella ninfa da fornellostrizzò l’occhio e con una ondulatura del capo da destra a sinistra chiamò fuoriil padrone. Questi pianta capra e cavoli, giudici e codici, e si precipita fuoridella sala. L’illustrissimo Tribunale, che non si era addato della serva, credevafosse solamente passato in un’altra classe, e lo aspettava a leggere unaprodotta. Invece la prodotta, se volle avere il piacere di udirla, la dovettesentire da me, che come procuratore contrario ebbi la compiacenza dileggergliela; e glie la lessi in un fiato e in cinque minuti, una roba di trentapagine. Intanto Sgarognini scorazzava da pazzo per le vie della città in cercadella moglie andata a messa. Ed era senza cappello e ancora con la toga delTribunale addosso... in piazza, mi capisce, per le vie. I monelli gli facevano ilbaione dietro credendolo una maschera in dominò nero, di quaresima... Chedisgrazia perla toga! Fosse stato sotto i presidenti di una volta! PoveroSgarognini! Lo sospendevano come una resta di salsiccia. Invece adesso sicontentano di ridere... di ridere sopra codeste cose, che fanno orrore... –

Io avrei desiderato, ma non poteva inorridire alla pappolata di Ventrelli,perché mi specchiavo sempre negli occhi ineffabili di Cirillo.

Fummo al Tribunale, e penetrammo in uno dei soliti vestiboli, dovepasseggiano, fumano, si arrotano, s’aggruppano e ronzano a modo di vespe odondolano le gambe a cavalcioni delle cassapanche, quasi si fosse in unaosteria, i curiali, ossiano i grattacarte, come li chiama il popolo, gentette sottili,con le toghe discinte, con i baveri penzolanti alla carlona, con il cappelloborghese rovesciato sull’occipite, pronte però ad accomodarsi nell’arme allaroca chiamata dell’usciere. Era un fascio di sanguisughe che siaggrovigliolavano in un utello di vetro. Gli impalcati e gli assiti poi sconnessi,rasi di vernice, biancastri e alidi come ossa, mi rendevano una sembianza dicasse da morto.

Venne chiamata la mia causa. Io sostenni che tutti i giureconsulti romani,così sabiniani, come proculeiani, tutta la Cassazione francese, tutta lagiurisprudenza belga, la scuola storica di Savigny e la scuola utilitaria diGermania Bentham erano in concordia per astringere la povera vedovaRabadoglio a fornire la corda del pozzo al signor Nespola mio cliente.

– La dottrina Araba, – io continuava, – del secolo XII, ai tempi di lbn Zafer,la dottrina Araba...

– Lasci stare queste cose di erudizione... Il Tribunale le sa già tutte, – grugnìil presidente; giacché certi presidenti non crederebbero di essere tali, se nongrugnissero qualche volta. E questi, che tanto per fare il suo debito avevaasseverato, anche a nome dei suoi due dormiglioni laterali, di sapere già tuttele cose di erudizione, giocherei l’orologio, che in sua vita non ha letto più didieci libri, compresi i codici e gli Amanti della lana di Paolo Kock, che nonrifina mai dallo incignare periodicamente ogni anno alle ferie in villa, senzaperò mai giungere al termine della lettura.

Tornato al mio paese, ricevetti di lì a quindici giorni l’avviso dalprocuratore Ventrelli, che la questione del pozzo era stata definita dalTribunale in favor mio, ossia del signor Nespola, mio cliente, e non so ancorase ciò fu per l’autorità di Geremia Bentham o degli Arabi. Io me ne

Page 217: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

compiacqui così così; solito a pigliarmene poca della mia avvocatura. Avvisoai clienti che mi vengono a rompere troppo la devozione!

Quello che non mi poteva sconficcare dalla testa si era l’immagine delloscritturale Cirillo. Quando faceva per la campagna le mie passeggiatelunghissime, appena la fantasia cominciava a inebbriarsi della solitudine,vedevo occhieggiare quella immagine nei calici dei fiori selvatici, che si fannoscorgere forzatamente per il colore vivissimo anche frammezzo al folto dellebiade e del fieno, e che io vorrei saper chiamare tutti per nome; tanto lorovoglio bene. Poi essa immagine quasi m’impauriva balenandomi alle spalle oai fianchi come il guizzo di un ladro stradaiuolo.

Infine me la sentiva insinuarsi per un vano di gomito e soavementeappoggiarsi al mio braccio. Allora mi pensai di amarlo Cirillo di quell’amoresaldo e fiero che unisce due uomini, e che si chiama amicizia, e credo nonesista fra le donne. Lo desideravo ardentemente e me lo figuravo un veroamico, di quelli che indovinano l’anima, anche quando tace la bocca, eintendono per la loro dirittura le parole, anche allorché il labbro balbetta ilcontrario di ciò che vorrebbe. Per lunga pezza non ebbi occasione di portarmi aquella città di circondario, e non seppi più novella di Cirillo.

Un giorno, saranno stati tre mesi dopo la disputa della causa, il procacciadella posta mi consegnò un grosso plico suggellato, con una filza di VittoriiEmanueli azzurri e punteggiati di nero sul dorso della busta. Era un letterone diCirillo con tutta la vita di lui. Lo ingollai prima in una sola tirata, e poi locentellai di nuovo, come si usa con le lettere delle donne e dei letterati illustri.Mi commosse e mi fece pensare, forse perché io avevo visto quegli occhi. Poiper quel vizio benedetto di pretendere che gli altri sentano come noi, hogiudicata la lettera di Cirillo, come si dice, interessante anche per voi, ed hoarbitrato di parteciparvela. Ma ora, riflettendoci su, temo non abbia a farvieffetto, perché voi quegli occhi non li avete veduti.

Ad ogni modo, poiché l’esordio è fatto, eccovi qui il pistolone narrativo:

ECCELLENTISSIMO SIGNOR AVVOCATO!

Voi mi avete capito ed io ho capito voi. Siete un artista. Avete fatto bene ilcommediante, quando cicalavate al Tribunale per degnazione; e quando stavatelà compunto, ammusito, anzi tutto muso alle bestialità che cincischiava ilpresidente. Sembravate un cane che aspettasse la stiacciata... o un gatto chefìsasse e magnetizzasse un passero domestico. Almeno voi dimostravate disapere che eravate un ciarlatano; ma gli altri, il presidente, gli uscieri, i giudici,i cancellieri, i procuratori erano più ciarlatani di voi, e non lo sapevano mica;essi non sanno altro che il loro mestiere e la loro paga, non comprendono altroche la carne che mangiano e la cuccia in cui si coricano; sentono il caldo e ilfreddo, ma non intendono la poesia che si scartoccia al mattino e la melodiachiudentesi nella sera. Che asini! Bisognerebbe affogarli tutti. Voi non sietedei loro. Ho osservato che toccavate il Codice con la punta dei guanti, comefosse la mano di una spia. Bravo, così va fatto. Imperocché il Codice è unsoggettaccio, è la moneta, l’imbroglio, la prepotenza del punto e della virgola,e non è una boccata di giustizia o di cuore. Mi siete piaciuto. Per cui hodivisato di scrivervi la mia vita, tanto più che dopodimani brucio il pagliaio e

Page 218: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

vado via dall’Italia. Questa vi parrà una fantasticheria fumata dal cervellone diuno scrittore tedesco saturo dei vapori di birra. No: è pura storia, poco esterna,ma molto interna, come deve essere la storia di un’anima.

Io sono il figliuolo di mio padre, mancomale, il quale era e forse è ancoraadesso il duca di Roccaspana, principe di Lamberlino e di Spinapesce. Egli fuin un tempo passato poco remoto ambasciatore e ministro delle Due Sicilie,quando ce n’erano ancora due. Io sono nato nel 1849 a Gaeta al tempo deibollori sfiatati, e m’ha battezzato un cardinale del seguito di Pio IX scappatoallora da Roma.

Son sicuro che fin dalle fasce mi hanno dato per la testa il titolo diEccellenza grosso come una casa. – «Poppi, Eccellenza – mi avrà detto labalia. – Si cheti... Tuh! tuh! si degni di non vagire, Eccellenza!» – E comedovevo guaire io al bombo di quelle cannonate!

Sospetto di averla conosciuta la mia mamma. Fra le dame che misfarfallavano attorno nei miei primi anni, belle, gialle e seriche, sembra che mene ricordi una la quale amava toccarmi i capegli più delle altre, e quandopoteva mi pigliava in collo a baciucchiarmi, baciucchiarmi in fretta e dinascosto. Forse era mia madre. Seppi poscia che essa morì, quando io avevaappena cinque anni. Mio padre penai a conoscerlo. Mi fu presentatoufficialmente quando toccai i sette anni. Prima non avevo nemmanco l’ideache vi esistesse al mondo l’instituzione dei padri. La persona a cui io volevopiù bene era il signor Nicola, un vecchio maggiordomo molto rinomato fral’aristocrazia napolitana, perché sapeva a mente gli aneddoti della reginaCarolina. Questo Nicola era il solo che mi aveva lasciato vedere il suo biancodell’occhio un po’ da cristiano, e gli voleva bene per ciò. Ma del resto nessunomi fece discendere nel cuore con una sola parola o con un solo sguardo quellegoccie d’amore di famiglia che racconciano l’anima dei bambini e ci rendonobuona e dolce tutta la vita.

A sette anni, come dissi, essendo tornato mio padre da un’ambascieria, iogli fui presentato. C’era una nugola di dame e di signori in una grande sala, manon c’era più quella che mi accarezzava e mi ninnava di nascosto. Micondussero a baciar le mani a uno stupendo personaggio con due basetteincerate e con un colletto inamidato all’ultima potenza. Questi in cambio mipose due labbra asciutte sulla fronte che non scoccarono punto. Fu unacerimonia fredda come una vestizione di monaca.

Mi vien voglia di piangere pensando al bacio misero che mi ha dato alloramio padre. Se egli mi avesse schioccato sulle guancie due bidoni grossi,rotondi, rumorosi, di quelli che fanno ai loro marmocchi i babbi dei contadini edegli artigiani, sapete, di quei bacioni che lasciano un isolotto di bianco sullapelle, oh io forse sarei diventato un altro io.

D’allora in poi mio padre non lo vidi più che a lunghi intervalli, a urli dilupo o meglio a ogni morte di vescovo. Fui dato a governare a un prete, donSereno, una bella smorfietta di reverendo nel cappello, di coloro che escono daqualche famiglia di bifolchi o di tavernieri e che messi a far l’aio in una casaillustre, impiegano tutta la giornata e anzi tutta la vita a contraffarsi con lascusa di ingentilirsi per piacere. Zazzeruto, azzimato, lustro come le suescarpette perpetue di marocchino, timoroso delle zacchere più che un pavone,egli camminava per la via a brevi saltetti, quasi ogni pagliuzza fosse unapozzanghera da evitarsi. In casa strisciava dei passi leziosi con un’altalena da

Page 219: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

pulcinella, pontando prima il calcagno in terra e poi lasciando andar giùsoavemente la punta dei piedi: una mano posata sopra un fianco ora convesso eora concavo a volte ondulatorie, l’altra ripiegata dietro la schiena sfogliava ledita per vezzo. Il suo musettino era dipinto continuamente di ammirazione e dicontentezza e voltato in su, ma in linea diagonale, come la testa dei tordi,quando se ne stanno spensierati e sventati: sulle labbra stereotipato il risoobbligato delle merciaiuole.

Come mi trattava con umiltà e servilità quel prete che faceva a confidenzacon Domeneddio e aveva balìa di sciogliere le coscienze affunate degli uomini,e sapeva il latino del Breviario e di Cicerone, dico, come trattava umilmente eservilmente ’me ragazzo piccoso, ignorante e cattivo! Mi regalava ad ognimomento dell’illustrissimo signor principe e signor duca, anche quando stavoin letto fino a mezzogiorno, e levandomi gli davo una presa di prete balordo, senon trovavo le sue smorfie abbastanza sorridenti.

Un giorno l’abatino mi spiegava nel mio elegante studiolo l’analisi logica egrammaticale, con una pazienza e con un dolciume, che avrebbero inteneritoun artista e stuccato un filosofo. Si leggeva nella sua faccia il rincrescimento dinon potermi far entrare in testa la grammatica con mezzi meccanici, dopoavermi addormentato con l’oppio, senza incomodarmi la volontà. Si sarebbemagari assoggettato egli ad abbacarsi il cervello per imparare il sanscrito,purché io avessi appreso senza difficoltà la costruzione dei verbi irregolariitaliani. Io là inchiodato al tavolino mi indispettivo a quei participii, a quellepreposizioni, a quei complementi oggetti. Avrei desiderato chi sa che cosad'altro... di essere fuori sull’orlo di uno stagno, di tirare la coda ad un’anitra, epoi di sentire la mamma chiamarmi, sgridarmi piangendo e venire il babbo conuna bacchetta dietro la schiena.

Invece di tutto questo mi piovigginavano addosso noiosi come vere gocciedi stillicidio i più che perfetti, i soggiuntivi, gli imperativi, eccetera. Io miimpazientivo... fremevo... punzecchiavo con la punta del pennino metallico lostoppaccio del calamaio, e mi provavo a tirarlo su... Veniva un po’stentatamente, ma bello, lucido, gonfio, inzuppato d’inchiostro.

L’abatino passeggiava di su in giù della camera; a uno svolto mi lasciòcadere sulle spalle un complemento indiretto, il più noioso e il più soffocantedella grammatica, il complemento di specificazione. Io non ressi più,sprigionai lo stoppaccio dalla gola del calamaio e lo scaraventai sulla grinta delmaestro. Schizzò nel mezzo della sua fronte, e fece una chiazza larga, cheraggiava degli sprazzi dattorno. Ai lati ed al basso scaturivano dei rigagnoliche solcavano le guancie, la bocca, il mento, il collaretto candidissimo delmaestro, e si perdevano nel panciotto e insudiciavano finanche i manichini.

A quel mio insulto birbone don Sereno riebbe per un attimo la sua virtùmaschia di campagnuolo; si fece pallido e poi rosso come un pezzo di cielo intemporale. Forse allora gli passò nella mente la tentazione di avventarsi controdi me, di picchiarmi. Oh l’avesse fatto! Mi avrebbe reso del bene; perché ilcastigo meritato, per chi sente, è una fiaccola che illumina e un balsamo cherisana. Invece don Sereno ritornò subito prete e aio, cioè un uomo dimezzato.Si contorse la bocca in quel riso stentato e rassegato che voi altri Piemontesiappropriate alle rivendugliolo, quando loro vanno in malora le acciughe, siterse la faccia con la sua pezzuola e mi disse con uno strascico di parole cherivelavano la sua battaglia interna di aio, di bellimbusto e di bifolco:

Page 220: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

«Eccellenza! Come ha voglia di ridere quest’oggi, Eccellenza!» Quella bruttascena mi ha avvilito, mi ha fatto pensare troppo lontano e mi ha aiutato atenermi in disarmonia con tutto il mondo circostante. Così fanciullo mi trovavocome un coso straniato. I balocchi bambineschi, quei bei cavalli di cartapestacon gli arcioni pitturati in nero sulla schiena e con le ruote rosse, quei misirizzivolanti, che dovunque siano appallottati cascano sempre ritti con le penne in sue che sono la cuccagna dei bambini non mi toccavano punto.

A sette anni ero già un vecchietto; il mio cuore appassiva, avvizziva e poifaceva delle grinze.

Non mi piaceva nemmanco la musica. Sul barbaglio di note checompongono un accordo suonato da una banda il mio orecchio possedeva find’allora una terribile virtù morbosa, dissolvente e corrosiva. Ciò era, chedisgregava misteriosamente le note le une dalle altre, e distrutto l’accordo nericeveva perciò noia e ribrezzo invece di piacere.

D’estate si andava a una tenuta immensa di mio padre nella provincia diSalerno. Mi mostravano delle stese di grano, flave e soriane come giubbe dileone, late e ondeggianti come un oceano.... Mi venivano le vertigini a vederequei campi, che erano miei e che pareva non finissero mai e fasciassero tutta laterra.... e mi guizzavano nelle vene delle correntie di furore. Avrei volutobalzare fra quelle messi come un grosso cane da caccia, abbaruffarle, coricarle,prosternerle. E poi avrei desiderato toccare tutte e ad una ad una quelle spiche,ammannarle, stropicciare ogni resta, masticare ogni chicco.

Nelle steppe c’erano delle mandre di bufali cornuti, maestosi, omerici. «–Eccellenza! sono suoi» – non rifiniva di dirmi don Sereno. Ed io godevo, e miammattivo, e mi venivano delle voglie stenterellesehe... Avrei preteso che tuttequelle mandre si aggrumassero, si fondessero insieme e formassero un solobufalo grosso come una montagna, come un reame.

Poi l’avrei accoppato io in mezzo alle corna e me l’avrei mangiato.Il mio cervellino, non ritenuto da staffe, scorazzava, scapestrava

sforacchiandosi nei gineprai e affondandosi nelle pozzanghere. In effetto ipensieri di un cervello abbandonato s’intralciano da se stessi come piantecresciute alla rinfusa; ché senza guida e senza ordine non si dà né educazionebotanica, né educazione umana.

Nel sessanta per l’affare di Garibaldi fummo scasati dal Napoletano e cirifugiammo a Roma. Mi aspettavo di dovermi maravigliare della città sacra,classica, romantica, del passato, del presente e dell’avvenire. Invece il miocervello nei suoi viaggi bizzarri l’aveva già precorsa. Per cui non fecinemmanco un misero oh né davanti S. Pietro, né davanti il Coliseo.

La mia pelle era divenuta come la pelle incoercibile di zigrino immaginatada Balzac; ché non l’avrebbero fatta arricciare, nemmanco se m’avesseroficcata dentro la bacchetta di ferro rovente, con cui si accasciano e si domanole pantere. A Roma per quattro anni sentii il più atroce dolore che si provi sullaterra, ed è la noia ossia la mancanza di dolori. Noi nasciamo con un viluppo dinervi, di attività e di posse. Farle agire, muovere, soffrire è la vera vita, ildolore e poi la gioia, totale: il lavoro. Invece lasciarle dormire è la morte checammina, è la peggiore delle vite, ossia l’ozio.

Io non esercitavo niuno dei miei affetti e delle mie forze; il cervellofarneticava e bolliva per il lievito dell’inerzia, che è la fattrice del putridume;mentre il corpo cresceva a benefizio di natura.

Page 221: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Passeggiavo sconclusionato per Roma da solo o in compagnia di donSereno; ed ero magari capace di succhiarmi una dozzina fra sorbetti, gramolatee limonate al giorno. Mi sentivo addosso dei pesi gravissimi, che io ere levo dialleviare di giorno dando l’andare al truogolo delle contumelie contro il poveroabatino e di notte buttando in terra le lenzuola dal letto.

L’unica consolazione che io provavo a quando a quando era la stanchezza,allorché facevo delle lunghe scorrazzate. Imperocché allora avevo esercitatouna attività, benché fosse soltanto l’umile attività delle gambe; e mi trovavogià qualche poco felice nel riposarmi.

Don Sereno cercò per distrazione di inocchiarmi pelle pelle una passione,che allora infuriava nel mondo ozioso, la passione di raccogliere i francobolliusati, e il birbone ci riuscì. Durante quattro mesi io andai perso per raccattarequei pezzuoli di carta sgorbiata forestiera, che portavano l’impronta diimperatori, di regine e di donne repubbliche. E più quegli imperatori eranomusoni che somigliavano bestie feroci, più quelle teste di regine o direpubbliche raffiguravano delle capre e più grande era la mia festa. Miabburattavo con appositi sensali e mi arrotavo continuamente in un caffèvicino all'ufficio delle Poste, che era la Borsa dei francobolli. Me nevendettero della Guiana, della Bolivia, della Repubblica dell’Equatore, dellaPolinesia, di tutto questo mondo, e proprio di altri siti ancora, perché certipaesi da francobolli usati non li ho saputi scovare mai nella geografia delMarmocchi. Per stare in giorno e all’altezza della scienza mi associai alFrancobollo illustrato, rivista settimanale con vignette, che versavaunicamente ex-professo sulle collezioni dei francobolli.

Però mi svanì presto anche questa piccola passione, ed un bel giorno feci unfalò di quelle barbe da imperatore e di quelle teste da repubblica; e avreiabbruciata anche la zazzera di don Sereno, se si fosse permesso di stamparesulla sua bocca troppi punti orizzontali di ammirazione dolorosa.

Ricascai nella mia nullaggine, in quella atonia senza piaceri e senza dolori,in quella vita, oserei dire, di foglia morta, che niuno ha saputo esprimere primae meglio di Leopardi nei versi. Avevo oramai quindici anni; ero nel fiore dellaadolescenza, la quale fa persino vaghi e gentili i rospicini e i cagnolini dapagliaio. A quindici anni è quando i giovanotti cominciano a mettersi i collettie i polsini e si adattano la cravatta con qualche significazione, ed è quandocomincia l’amore.

Anch’io desideravo che tutto mi ridesse e mi innamorasse. Invece trovavotutto aspro e arido, persino le brezze taglienti dell’aurora, e il verdolino umidodelle foglie appena spiegate e la bellezza delle fanciulle, che a quindici anni ciammiccano, ci sorridono e ci inchinano tutte.

Ero asciutto, insensibile, un coccio, una spugna, una pomice e forse qualchecosa di peggio. Mi arrabbiavo convulsivamente perché non potevo costringereme stesso ad amare e a godere, e finivo stranamente per odiare la gioia el’amore, di cui ero incapace.

Unico mio sfogo era di nuovo girare, girare, tre volte girare per istancarmi.Un dì mi diedi a frullare solo fra i macereti che dintornano Roma. Andavo,

andavo sempre come una spia. Dopo quattro ore di cammino mi sentii quasibrillo dalla stanchezza. Avevo nelle gambe un dolore strano, pesante, quasichéi piedi fossero divenuti di piombo come quelli dei burattini. Mi pareva divederlo quel dolore con i miei occhi, che fumasse, colorito di azzurro cupo.

Page 222: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Allora tonò il cielo a battute crescenti, come quando rotola giù un paiuoloda una scala di legno. E poi ribaltò una fitta pioggia, grigia, traversa, secca,sfacciata che mi diceva senza barbazzale le sue insolenze. Ci furono dei poeti edei pittori che benedissero la piova, quando coglie l’amante solo con l’animagemella, perché isola, condensa, ingrandisce il loro amore e lo fa padrone delmondo, come fosse l'unico salvo dal diluvio; onde conchiusero il meglio amareessere sotto un parapioggia. Ma io trovo più solenne e più gustoso trattare dasolo con l'acquazzone, goderlo finché ci ammolla l’anima accesa, sfidarlo apie’ fermo con le braccia incrocicchiate, squassando la chioma, insultarlo.

Io potei giostrare poco tempo con l'acquazzone di quel giorno, perché miavviluppò una rotella divento e di polvere rapinandomi cieco e brancolante neisuoi vortici... Mi trovai in una cappelletta di campagna con le finestrespalancate, che avevano dato il passaggio a chi sa quanti baleni, con le imposterotte e penzolanti, con certi buchi nelle pareti, che parevano muraglie divisoried'orizzonti, perché facevano vedere l'Oriente all’Occidente.

Era un rifugio di pastori, di pecore e di viandanti incalzati o spersi daltemporale. Vi si pestava dello strame in terra e si vedevano sulle pareti dellepitture ammuffite.

Mi svegliai dalla mia stanchezza torpida ed ebbra allo stupendo zaffirostrofinato che mette il cielo dopo la tempesta, quasi a compensarci del buio diquella. I miei occhi si posarono sopra un Gesù con la croce in ispalla dipintosulla parete. Non mi stancavo dal guardarlo: ed io che restai di terra cotta,come mi trovavo prima, dinnanzi ai quadri di Raffaello e agli affreschi diMichelangelo, allora mi sentii scrostare e squagliare il fango del cuore aquell’ignoto Gesù infarinato di salnitro.

Parevami di sentire avvicinarsi nella mia anima qualche rumore lieto, e negodevo come deve godere il pellegrino assetato, che sente in un desertosusurrare lo zampillo prossimo di un’acqua. Erano le lagrime che siappressavano e finalmente spicciarono. Piansi dirottamente per un milione diragioni, che allora sentii tutte a un tratto e che ora non saprei ridirvi. Forsepiansi perché quel Gesù aveva sofferto, aveva fatto la vera vita procacciandosila morte per la salvazione degli altri, dove io avevo mangiato a tradimento unpane ed un companatico procacciatomi malamente da qualche trisavolo. Piansiperché quel Gesù era bello, ed aveva un’aria buona, come non ci fu, non c’è enon ci sarà mai nessuno al mondo. Era stata certamente l’opera di qualchepittore morto giovane, ardente, immaginoso, sublime, senza che nessuno losapesse, una rondine annunziatrice di una primavera rimasta poi senza estate.

Quel Gesù avrei voluto fosse stato mio padre, mio fratello o mio maestro.Con i suoi occhi sereni mi avrebbe riempita la testa di luce amorosa, e miavrebbe guarito toccandomi con le sue dita benedette... E rinvangavo nel fondodella coscienza le preghiere insegnatemi pappagallescamente da bambino, e virisuscitavo la speranza religiosa che Gesù potesse essere ancora per me e padree fratello e maestro.

M’inginocchiai: slungai le mani quasi a ghermire il gherone della suatonaca rossa con certe pieghe che svolazzavano davvero... poi ritirai e serrai lemani al petto facendo l’atto di aprirgli il cuore per mostrarglielo come erapieno di miseria, di vuoto, di niente... e scongiurarlo che me lo colmasse dellasua grazia. Erano alcuni semplici spruzzi di colori disuguali impiastricciatisopra una superficie levigata; pure facevano muovere, parlare, soffrire sotto la

Page 223: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

croce una figura di materia e davano un rivoltone al mio spirito.Mi sfavillò l’idea della creazione. Ripensai le mie smanie fanciullesche di

brancicare tutte le spighe delle messi, e di prendere per le corna tutti i bufalide’ miei armenti, e il disgusto che mi rammaricava per il non poterlo fare.Interpretai anche ciò come un accenno sbagliato di creazione – Creazione,impulso cosmico da Dio all’uomo, ufficio ed essenza di Dio e còmpito perimitazione da Lui assegnato nel lavoro agli uomini.

Così mi fabbricai da me stesso una formola, cugina prima di quella diVincenzo Gioberti, che non aveva ancora letto: Dio crea da se e l'uomo creaper mezzo dell'arte; imperocché l’arte suscita all’uomo dal nulla e gli foggia asimilitudine divina idee e tipi che si veggono solo nei fuochi della mente, manon si toccano e non si palpano.

Mi rasciugai gli occhi e saltai fuori dalla cappelletta pieno di speranza e divigoria. C’erano in cielo due arcobaleni che frastagliavano perfino la terra deicolli albani. Io li vidi allora di un colore solo di fiamma viva, come devonoparere i cerchi che avvolgono il pianeta Saturno, immense lune tirate eallungate ad arco.

Su quegli archi io lessi stampate in un verde aurino da libellula e riunite daspranghette diamantine le seguenti parole: CREAZIONE – ARTE – VITA.

La mia fu una visione incastonata di lumiere pari a quelle che Danteespresse nel Paradiso; salvo che io le debbo scrivere con una tinta indegnapersino del Limbo degli sciocchi.

Galoppai verso casa con il brio che mi scappava da tutti i pori; e in due oredi passeggiata lavorai con la mente per due lustri.

Guardando il cielo ed i castagneti capii fin d’allora il paesaggio, che nondeve essere né convenzione né fotografia, ma deve scaturire dal profondodell’animo; perché ad esempio un tramonto di sole non è lo stesso per chi va anozze e per chi va a pagare l’esattore. Capii il rilievo, la scultura e il getto deibronzi; e ne ammisi la importanza pretesa da Benvenuto Cellini; perché ilrilievo ti dà tutte le parti, e si presta a tutte le guardature e imita più da vicinola creazione di Dio, le cui fatture a detta di lui sono tutte scolture colorite.

Il rilievo è però limitato, seguitai ad almanaccare: la scultura rende solo lamaestà altezzosa, l’amore candido, la dignità bianca del marmo: la fusione deibronzi dà solo il valore, la battaglia, la ferocia dei guerrieri e dei cavalli nelcolor di cioccolatte intinto di verderame. Ma né scultura, né fusione di bronzisono civette o cingallegre, come è all’occorrenza la pittura. E viva anche a lei!Capii la musica, senza cui superficie e rilievo sono muti, e entrai trionfalmentenel palazzo di mio padre, non domandando da pranzo, ma maestri d’arted’ogni fatta.

Cara vita quella dello scolare studioso! Uscire il mattino di casa con unvisetto luccicante, puntuto e interrogativo, con un’enorme cartella sotto ilbraccio, dando dei morselli in una pagnotta e facendovi dei buchi asemicerchio chiovati, come ferri da cavallo. Il contento gli saltella nelle vene,perché va a lavorare e a compiere il suo dovere. Trova tutto bello ecarezzevole, dove prima ogni cosa gli faceva afa: i passeri che scivolano dagliembrici, le lavandaie che trascinano le carrette, tutto è innamorativo per lui.

Sebbene principe, ricco ed Eccellenza, volli farla quella vita. Mi gittai acapo chino nello studio e mi messi con l'arco della schiena al lavoro. Voi altriPiemontesi siete più sobrii e misurati; vi fermate ad ogni osso di formica: se in

Page 224: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

un libro trovate una virgola con l’uncino smozzicato, voi fate sosta permezz’ora. Noi altri meridionali diluviamo i libri e il lavoro a isonne: abbiamoun fuoco nella testa che rischiara tutto, comprendiamo ciò che un autore hadetto, avrebbe o non avrebbe voluto dire. Strimpelliamo una canzoncina soprala mandòla, e poi leggiamo magari Vico e lo comprendiamo. Siamo areostaticie palombari, leggieri come i Francesi e sodi come i Tedeschi.

Il vostro Brofferio fu buono ad aleggiare soltanto, parlando alla Camera, neiteatri, alla Corte d’assisie e canterellando sulla chitarra, ma non discese mica acapire Vico, perché egli pizzicava troppo del francese.

Noi, s’ha il bernoccolo di Salvator Rosa: musici, pittori e filosofi, e semprefreschi, senza dare in ciampanelle e senza strozzarci la vita nel fumo.

Cominciai con il disegno d’ornato, quelle foglioline a linee semplici neiprimi numeri, che poi avanzando si allargano e si accartocciano e finiscono nelgrottesco, in cui la testa di cavolo si complica e si appariglia con la cornaturadi un cervo e con la cervice di un cavallo.

Passai alla figura e al paesaggio: proffilai con la pietra nera occhi, nasi,stinchi, costolame, barbe di capra e tettimi di Svizzera. Oh che gusto fare duestranguglioni in fretta con le dita concie di carbonella e di lapis! Dalle matitesaltai ai pastelli di colori, alle tele e alla tavolozza; indi la scultura: subbie,raspe, mazzuoli, marmi che cigolano sotto i trapani.

Ora, avanti la musica così larga, libera e volitante! Ed invece sta tutta in unabreve apertura di compasso, un picciolo vocabolario di dodici semitoni e unatavola pitagorica di pochissimi accordi. Si cava tutto di lì dentro. Meyerbeerche ci atterrisce e ci sprofonda e Bellini che ci consola e ci innamora. Dopoche si conosce la musica, non è più pessevole [=possibile] negare la legge e illegislatore Iddio.

E mi avanzavo sempre nuotando nell’Arte, che da principio è la gocciasudata da nn capello, poi si allarga in imbuto, in rigagnolo, in ruscello, infiumana, in mare, in infinito.

Dopo r arte del pennello, dello scarpello e del cembalo, mi accalappiòquella della penna e del pensiero, la letteratura e la filosofia. Non si è maicontenti. Si chiappa e si lascia cadere, come avviene al procuratore frettoloso,che trotta al tribunale: gli scivola una carta da una tasca ed egli si china araccoglierla, e le altre tasche vomitano nuovi cartabelli.

L’Arte mi diede il capogirlo: mi pareva di essere cascato da una stellanell’etere azzurro: e pure sentendomi scarico e felice ne accagionavo l’Arte,quando dovevo dir grazie al Lavoro. L’Arte mi aveva tutto succiato: senzaaccorgermi scambiavo in essa, che è un mezzo, l’ultimo fine che risiede solonella Bontà e nella Legge.

Finché si rimase nello stadio del lavoro, l’Arte mi appagò; ma, quando sitrattò della ricolta, fu un altro paio di maniche. Nello arruffio dello studio nonavevo quasi potuto accorgermi che io

non provavo bene: infatti non conveniva fermarsi troppo sugli esperimenti,allorché si era tuttavia sul principio del cammino. Ma giunto al termine, allavera prova si scorticò l’asino.

Mi messi a fare una scultura di genere: UN GATTO RINCHIUSO.Voi conoscete come sia difficile, anzi quasi impossibile il trovare dei gatti a

prova di bomba. Per un po’ vi fanno il bellin bellino davanti, mai poi una voltao l’altra vi lasciano scappare una graffiatura c vi arraffano una polpetta dal

Page 225: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

piatto.Ed io volevo scolpire la Fenice dei gatti: Mussolino (l’avrei chiamato così)

che nella sua vita di due anni non sfoderò mai le unghie contro l’umanità.Anzi bastava pigliargli lo zampino ed esso ritraeva e ammutoliva le unghie,

cosicché potevate farlo scorrere meglio di una spazzola sulle gote di unragazzetto. Di buon umore con tutti, ciarlatano poi con i gusci di noce, cheghermiva, saettava lungi da sé, inseguiva, ripigliava, facendo mille mattìe peristrada... Se vedeva il padrone ingobbiva la schiena e poi trascinava la vitaccialunga presso gli stivali di lui; e lì faceva la ruota, le fusa, e vi si sfregacciavacontro finché il padrone lo toglieva in braccio. Allora quel gaglioffo diMussolino raddoppiava il suo rantolo lezioso, torniva una trottola, tesseva unmetro di tela. Anzi (cosa che non sembrerebbe quasi credibile) era giuntofinanche a pedinare il padrone al pari di un cane nelle brevi passeggiate ingiardino.

Ma un giorno Mussolino fu serrato da una fantesca innamorata nellalegnaia. Per un poco aspettò che lo venissero ad aprire così alle buone; intantoper ingannare il tempo si pose a frugare in busca di topi; ma un tantino disospetto e di trepidazione già ce l’aveva, e gli abbuiava la caccia intrapresa.Nessuno veniva. Cominciò a gnaulare: era una preghiera semplice, sommessa,un lamento, nn dire: – Amici! per carità, per amor di Dio, venite ad aprirmi, ascarcerarmi, son io, Mussolino, il vostro micio dimenticato!

La serva badava ai un caporale... Il gatto miagolò più forte... non pregavapiù, pretendeva... Gli crebbe il sospetto... E accadde in esso una reazione, cheVico chiamerebbe un ricorso nella civiltà dei gatti. Esso diventò un suoantenato, una tigre: sotto la pelle vergolata gli si snodavano delle movenzeferoci, scattava balzi inconsulti... arruffava i peli, scrinava i baffi, ingrossava lacoda, incarboniva gli occhi: poi pensando, chi sa a che cosa?... forse alla fineignominiosa di morire bastonato dentro un sacco, e di essere cotto nel fornocome una lepre, fissò disperatamente un filo luminoso, una screpolatura sullavolta della legnaia... si accorciò, si arroncigliò tutto dentro se stesso, poi spiccòun salto indiavolato per infilare quel crepaccio, per uscirne o suicidarsi.

Ed io volevo afferrare Mussolino in quel punto e scolpirlo, ma in modo chesi comprendesse dove si trovava, come prima era mansueto e perché ora fossearrovellato – tutto ciò senza sfondi, senza pareti, senza colori e senza fumi chenon concede la scultura.

Lavorai con l’anima intorno a quel gatto, e lo finii presto. Quando alzai ilvelo per vederlo in complesso, invece di un micio capace di fare il ceremonieree l’Oreste e di provare la trasformazione darwiniana della specie davanti eretrorsus, scopersi un cippo da cimitero, o meglio un torso di paracarrorovesciato.

Ora sentite che cosa mi disse la pittura. Mi diedi a dipingere una Madonna.Voi mi osserverete che ne hanno già fatte troppe. Ma io volevo crearne unadifferente dalle altre, senza il cornicione di aureola, entro cui si è solitiincastonare il suo testolino.

La mia Madonna doveva essere buona, dolce e vergine e madre come lealtre, ma moderna, rinverdita di realtà, una Madonna per questo secolo ditelegrafi e di stradefferrate.

Mi assottigliai per trasfondere questo mio pensiero sulla tela. Finito illavoro, trovai una testa quadra, una donna Araba.

Page 226: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Anche la musica mi fece cilecca. Tentai comporre una polka, e questa riuscìuna di quelle marcie funebri, con cui gli scolaretti accompagnano allasepoltura un grillo sentenziato a morte dalla loro Corte d’Assisie e impiccatodagli stessi giudici.

Qaanto al pianoforte, le mie dita le avevo martoriate cinque ere al giornoper cinque anni di seguito negli esercizi indiavolati di Czerny e di Cramer, eavevo oramai diritto di pretendere fossero agili e sicure come acrobati. Ed esseeseguivano qualche corto scambietto a garbo: e poi giù infollite,sdrucciolavano dai tasti, percotevano i diesis in luogo dei bemolli; cosicché nelmio pianoforte avresti detto che squittiva una nidiata di topolini e ringhiavauna perpetua zuffa di conigli maschi.

Insomma, in punto d’arte, tutto mi mentiva ed io abborracciavo le piùdiavole cose del mondo.

Come è tormentoso il sentimento della impotenza artistica! Sentire dentronoi un formicolio di concetti e di fremiti che forano come aghi e voglionospuntare da tutti i pori; avere la convinzione che soltanto sfregacciando ilnostro naso sulla carta o sulla tela debba uscirne un capolavoro; e poi quelleidee e quelle sensazioni che ci parevano cosi vive e così roventi dentro noi,una volta travasate o ridotte sulla carta o sulla tela, eccole lì floscio e frigidecome cadaveri di bruchi lanciati stramazzoni sulla strada da un temporale.L’angoscia della mia inettezza mi fece ritornare su me e ricalcare la mia brevestrada percorsa di noie, di piaceri e di dolori.

Osservai che l’uomo non è individuo ma è genere, e che da solo non ècompleto. Di qui estrassi la donna come una radice cubica da una lunghissimaoperazione aritmetica e la x da una equazione algebrica.

Essa è il principio e il crogiuolo della umanità: Eva ortodossa o Pandorapagana: senza lei la vita e l’arte non poterono incominciare e non potrannonemmanco continuare ad esistere.

Il genio senza la donna è come il gas illuminante prima che gli si avvicini lafiamma: non si vede, solo se ne sente il fetore: accostategli la donna, ilfiammifero, puff! diventa un becco, un astro di luce.

Alla ragione si adunò la passione. Io sentii e fiutai la donna come Adamo lànel Paradiso terrestre, quando aveva per sé le mele, le pesche, i capretti, lelucertole, le orse che scintillano in cielo e quelle che scodinzolano sulla terra,ma non aveva peranche la donna, l’essere misterioso, a cui egli si sentiva tiratoa confondersi, e la domandava a Dio con il piagnucolio di un accattonesillogizzando con lui, che da babbo lezioso lo teneva in ponte e glie la facevacascare un po’ troppo dall’alto. Io comprendeva come quest’essere dovevadivenire non solo il complemento della mia persona, ma il soffio, lainspirazione, la modella della mia arte.

Delle modelle me ne avevano già messe innanzi nella scuola di disegno,piantate sopra un piedestallo di albera marmoreggiato dall’imbianchino. Eranodelle cortigiane, delle suonatrici di chitarra e delle contadine, a cui la naturaaveva regalato un collo greco o un taglio di vita di ordine etrusco, e che perpoche lire se ne stavano impalate delle ore intiere con le braccia prostese oserrate o circolari, atteggiate a danza, o a preghiera o a collera, raffigurandouna Grazia o una Furia o una Fioraia, senza battere palpebra, mentre noi,chiotti e silenziosi, le studiavamo e le copiavamo da tutte le parti. Chi sa checosa si pensavano allora codeste cattivelle? Forse chetamente si inuzzolivano

Page 227: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

dello scudo che si buscavano mediante la loro poltroneria forzata, dove ilmondo pagava molto meno la loro operosità, e facevano in cuor loro la burlettadi noi che perdevamo il tempo a portar via sulla carta le loro forme. E ciò,mentre noi alla nostra volta sentivamo gorgogliarci nel petto il disprezzo perloro, creature nulle. Ah, il mondo non è proprio altro che un palleggio dicanzonature!

Le modelle della scuola non potevano certamente inspirarmi. Fra le dame ele fanciulle che bazzicavano nel palazzo di mio padre ce n’erano alcune, chepassavano per bellissime.

Ma io, disgraziato, non era buono a trovarle tali. Quella virtù corrosiva, chemi disgiungeva le note di un accordo e mi sconciava un pezzo di musica bensuonato, m’aveva pur guasto il gusto della bellezza. I raggi dei miei occhierano pinze anatomiche che sgretolavano e sfilucchivano i nervi della carnefemminina vivente; e questa mi offendeva quasi come quella morta dei macellie degli spedali. Sovratutto mi uggivano le narici delle donne ricordandomi lefroge penzolanti dal naso dei cavalli bianchi, e mi stomacavano le vene azzurreche intersecavano le tempia delle medesime e vi guazzavano dentro pari asanguisughe.

Eppure io smaniava per una donna lontana e ignota, alla quale lavorando nelmio studiolo mandavo dei baci, e ne scoccavo pure dormendo o svegliandomisul capezzale. La vedevo dentro il cranio questa immagine formosa, a cui nonvi sarebbe stato da porre o da levare nulla, di carne che non paresse tale,morbida e rada come una nuvola rosata e indorata dai sole, e insiemeconsistente quale drappo di velluto, – in cui facessero punta tutte le lineedell’arte, le cifre del calcolo e le note della musica.

Anzi m’accadde andando a diporto, quando il sole di mezzogiornoflagellava da aguzzino la campagna rasa o il fiume o il mare, mi accadde divederla fiammeggiare per l’etere quella bellezza immaginaria, a cui mi a\reidovuto inginocchiare davanti, se l’avessi scorta in realtà, e che mi avrebbeinspirato il verbo dell’arte, dei sensi e della vita. Invece la mia donna rimanevasempre una cervelloticheria; e la mia anima continuava ad essere sorda, mutolae cieca; e in opere d’arte io mi chiariva sempre più uno stivale.

Una domenica mi ciondolava con una brigata di amici artisti allapasseggiata del Pincio.

Scivolò da una carrozza una signorina che scambiai per una stella Alita dalcielo. Aveva una testa che smagliava dell’oro, su cui libravasi una placidezza euna dolcezza di colomba. Mi sentii sfasciare l’anima. Incrocicchiai le bracciaal petto per interire la mia persona, acciocché non cadesse come cade corpomorto. Poi, ritornato scettico in un punto, mi dirizzai fieramente a lei pertrovarle un pizzico di avvenenza da criticare. Ma nulla di nulla! Tutto bello esuperno in Lei! Era la mia modella! Oh che spruzzi, che lampi, che bagni digioia!

Essa risalì nella vettura e scoccò via.Io ritornai a casa, sbattei gli usci furiosamente, ricusai desinare, non volli

vedere e non vidi nessuno.Rinchiusomi nel mio studiolo sarò parso a chi mi avrà osservato, una bestia

feroce che musasse e trainasse la coda nella sua gabbia di ferro. Invece eroun’anima vuota di padre, di madre e di Dio, che si riempiva dell’amorosa.

Ero la monaca con un seno da eroina di Ossian, ridotta fra le stringhe della

Page 228: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

tonaca e dei libri di devozione, che riceveva sul balcone il primo lungo baciodel damo.

Ero la pianta femmina rimasta sola della propria specie nel giardino dellasua nascita, costretta tutte le primavere a sbocciare le sue corolle bramose dinozze e infeconde forzatamente per mancanza di sposo. Finalmente il vento lerecava in groppa l’amplesso telegrafico, il polline fecondatore inviatole da unalbero maschio della sua razza mille miglia di lontano. La pianta femmina siingioiava divinando le bellezze del marito sconosciuto, ringraziava il telegrafodel vento e diventava mamma per la prima volta.

Non vi è urlo di belva, bisbiglio di uccello, parola fine di Manzoni ocannonata di Vittor Hugo accomodati a significare gli effetti d’amore. Esso citappa i vani dell’esistenza, ci accende i ceri dell’anima, la illumina a giorno,trae l’uomo in cima al suo arco; imperocché l’uomo non può essere di più suquesta terra che innamorato.

Il mondo applaudisce, fischia o trascura; e che cosa importa ciò ad uninnamorato? Egli risponde a tutti con un sorriso tranquillo, socratico.

L’amore è una perla che brilla nel fondo del cuore, e irraggia al di fuori e aldi dentro le cose e le persone; cosicché, per esempio, io mi picco di conoscereun paio di stivali, se sono lavorati o finiti da un calzolaio innamorato.

Quella sera e poi quella notte io sarò uscito dal mio studiolo e vi saròrientrato una ventina di volte; e, ogni volta che io eseguiva quell’operazione,mi sentiva ragnare e poi screpolare nella testa un velo; a poco a poco glisdrucii si fecero squarci e il velo finì con lo svanire.

Allora io vidi sfolgorare nuda l’idea della bellezza e dell’arte, la miamodella; e sentii che doveva essere ufficio e impresa della mia vita iltrasfondere quella nei miei lavori. Avessi dovuto foggiare una serva oun’imperatrice, una baccante o una vergine, avrei sempre spillato dentro quelrivo ineffabile di inspirazioni.

L’indomani ripresi i miei studi e i miei lavori con nuova lena e con diversoingegno. Infilai diritti i labirinti delle proporzioni, in cui sta ogni secreto direndere il bello: messi molta carne al fuoco, cioè abboccai parecchi lavoretti dipittura, di scultura e di musica, che cacciavo innanzi come un branco dipecore.

Mi mancava un’idea, uno scorcio o un’ombra; ebbene mi calcavo ilcappello in testa, girandolavo per le vie di Roma, mi figuravo di vederspuntare la mia modella ad una cantonata o discendere dalla sua carrozza alPincio, come una stella filata dal cielo, e ritornavo a casa sicuro della miasfumatura, del mio concetto e della mia pennellata.

Ardevo e pure temevo di rivederla. Avevo paura, che non mi comparissepiù così inappuntabile, e che un’altra volta il mio baco antico riuscisse a tarlarequell’armonia di forme.

E poi già mi sentivo fecondato abbastanza dalla sua bellezza per l’arte mia eper tutta la vita.

Chi sa spiegarmi perché l’amore renda l’arte e la bontà? Forse perché,quando siamo innamorati, ci sferza il desiderio che il nostro nome suoni dolce,celebrato e virtuoso agli orecchi della ganza o forse perché arte e bontà nonsono esse stesse altro che amore.

Fatto sta ed è che feci allora delle cose, le quali gli altri lodavano comebelle ed io tenevo massimamente che fossero buone.

Page 229: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Aggirandomi in un villaggio carpii l’immagine d’una giovinetta, che siincamminava a scuola e la ridussi nel marmo con la forma della mia modella.Ottenni che dal marmo s’indovinasse se quella ragazza era bruna o bionda. Erabionda, serena, trasparente. Aveva la bisaccia dei libri in una mano e uncartolaro dall’altra.

Riandava per istrada la favola che doveva recitare alla maestra. La sapeva ese ne ringalluzziva pensando al bravo della maestra, all’attestato di diligenzache avrebbe portato a casa, alla gioia pazza della mamma e a quella seria eimportante del babbo. Quella scolara aveva allora soltanto un bottone dibellezza; e già si prevedeva che ne sarebbe sbocciato un astro, ma di quellebellezze destinate in questo mondo a essere soltanto sorelle, spose e madri, –amanti per pochissimo tempo. Non avrebbe osato dirle un’impertinenzanemmanco un bersagliere, che è la razza più sboccata con le ragazze,nemmanco uno di quei terribili bighelloni borghesi che professano il mestieredi attaccare dalla mattina alla sera le donne giovani per istrada.

Io ne godevo, perché, quando alcuno è innamorato sulla via del buono, amala bontà degli altri amori, anche di marmo, e sono spine per il suo cuore leseduzioni e gli affetti sviati.

Mandai la mia Scolara ad una piccola mostra di belle arti a Napoli. Fecequello che si chiama furore. Provai una voluttà, che nessuno ebbe ancora lamodestia di confessare, quella di vedere il nostro nome stampato, comechessia.Pare persino più bello in quei caratteri neri, così bene allineati e composti.

Ebbi dedicate a me diverse appendici di giornali. Già d’ordinario i criticinon lodano mai secondo il verso dell’autore; imperocché niuno può capireun’opera d’arte come colui che l’ha fatta e che ne conserva nella mente il tiponon arrivabile. Però si intende acqua e non tempesta.

In Francia, in Germania, in Inghilterra e in America la critica anche su per igiornali la si fa da letterati e da scienziati ammodo. Invece, da noi, leviamonecinque, sei, via tutto al più sette, sono gli stessi scribacchini che narrano lecadute dei gatti dalle gronde nella via maestra sui cappelli a cilindro eregistrano il prezzo dei polli al mercato quelli che trinciano della critica nelpian terreno delle gazzette.

Me lodarono tutti insulsamente, sciattamente; nessuno rigò neppure conl’unghia il mio concetto. Solo uno fra essi, per dare a divedere che ne sapevapiù degli altri, trovò che il naso della mia scolara mancava di intonazione.Pazienza si fosse trattato del naso di un cappuccino! Eppure, quando si halavorato, purché ci si lodi o appena si parli di noi, si piglia tutto per buono,anche gli spropositi da cane barbone.

Di lì a poco finii e mandai a Firenze Un Ballatoio in pittura.Era un semplice balcone villereccio, tutto fogliame e tralci di vite, con razzi

fitti di garofani porporinissimi lanciati da marmitte di terra cotta.A primo aspetto non appariva, ma poi, guardandoci bene, si scorgeva sotto e

frammezzo al verde il fusto spigliato e lindo di una contadinotta montata soprauno sgabello e con le braccia tese a staccare una pannocchia dagli orlicci deltetto.

Osserverete che era un negozio senza sugo. Ebbene io aveva voluto soltantofare una cosa tranquilla, pitturare una mezza battuta dell’armonia universale.

Gli elogi mi grandinarono sulla testa grossi come macine. Fui dichiaratouno Zeusi, un Raffaello.

Page 230: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Tagliai allora la fune alla musica, mandando a girare per il mondo Ilnotturno di un usignuolo, che io ho ritratto dal naturale, studiando una sera perquattro ore di seguito un usignuoletto innamorato e ancora celibe, chesaltabeccava e pasturava nell’erba, e poi a balzi, a scatti, a capresterie, siriduceva nel cespuglio, e si infrascava, si infrascava zufolando. E lì dalli...filari di note tirati lunghissimi, cosicché a me pareva si congiungessero con iraggi delle stelle, e poi ricami, ricciolini, sgarbatezze, un vero carnevale dimusica. Tutto ciò cercai di cacciare in un Capriccio per pianoforte, conaccompagnamento di flauto, che fu suonato in tutte le serate, mattinate e caffèd’Italia.

Mi avevano lodato a macca; eppure non ne avevo abbastanza: non potevopiù capire in Italia: dovevo travasarmi di fuori.

Andai in Francia, non per la via comune, ma per quella dei camosci e deidilettanti delle montagne.

Giunto sulla spianata del Moncenisio, mi voltai indietro, e fra la chiarezzamattinale cristallina mi si affacciò dalla balza il sorriso interminabile dellapianura italiana, come dice Berchet in una sua romanza. E pensai appunto aGiovanni Berchet, a Guidiccioni, a Fantoni, a Chiabrera, a Filicaia, a Carducci,ai poeti patrii, e poi a Federico Barbarossa, a Napoleone il Grande ed agli altrigrossi forestieri che discesero il Cenisio o ne levarono le berze, venuti acacciare e a spoppare l’Italia... e capii due cose, che non avevo mai comprese,la politica e la patria.

È strano come siano le idee negative quelle che danno le positive. Laprigione del collegio fa conoscere ai bambini l’amore della casa, – l’esilio e lasemplice lontananza ci rivelano la nazione; – senza la morte non si avrebbel’idea della vita... Così io, vicino a dilungarmi dall’Italia, la capii allorasoltanto l’Italia...

Capii, come la gente, che viveva in quella nostra pianura, aveva diritto diimpedire, che venissero i Francesi e i Tedeschi a baciare per forza le sueragazze, e a sedere nei seggioloni dei suoi consigli. E capii come perciò sipoteva fare qualche cosa di grosso, una sassaiuola, una biblioteca, unacongiura, fare il Balilla, il Gioberti, o i fratelli Bandiera....

E T arte non doveva conferire nulla per la patria? Oli sì! EsempioMichelangelo il Grande, che scosse le ali nel cielo dell’arte e tagliò i bastionidi Firenze contro Carlo Quinto...

Anch’io mi sentii allora frullare nelle dita certi pizzicori di dipingere e discolpire gli Orazii, i Micca ed i Balilla.... Ma poi le mie vampe patrie tanto siinnalzarono, che svanirono...

E la mia attenzione cadde sopra una squadra di muli schierati davantil’osteria, con i dossi nebulosi, che fumavano. Dietro i muli osservai dei massibianchissimi, tarlati, confìtti in terra.... ed immaginai, fossero i denti deigiganti sommersi dal diluvio o di quelli folgorati da Giove. Poscia girellandoincappai in una casetta, il cui intonaco era un imbroglio di calce, di mota, dipietre e di cocci di maiolica e di vetro. Da una macchia vicina al tettodiscendeva una troscia di umidore, per cui pareva che la muraglia lacrimasseda un occhio solo come Polifemo. Vicino a terra da una crepa saltava fuori unassassino di mattone così rosso, che l’avrei detto una ferita. Per via di quelmattone la muraglia non solo piangeva, ma sanguinava.

Ebbene io artista a poco a poco per la schiena dei muli, per i sassi, per la

Page 231: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

muriccia dimenticai la mia patria, l’Italia.Discesi in Francia e ne visitai a sbalzi e a saltelloni le principali città: Lione,

Marsiglia, Bordeaux, Rouen, Nantes, Tolosa, Strasburgo, Tolone, Parigi.Valicai la Manica e passai in Inghilterra, dando una capata a Londra, a

Manchester, a Birmingham, a Liverpool e a Bristol.Adesso, che vi scrivo, ho nettamente disegnati nel pensiero i monumenti, le

locande, i palazzi di cristallo, le aguglie, gli archi ricamati, i cartocci e imerletti di architettura, che vidi in quelle mie peregrinazioni, tutte cosestraniere alla mia patria e al mio sangue italiano, e che ora mi danno nellamemoria il romanzo e la storia di altre epoche e di altri paesi.

Eppure allora io vedeva soltanto con gli occhi materiali, ma non capivanulla. Tornava alla sera nella mia camera dell’albergo con una confusioneebete nella testa.

Aveva sempre dinanzi agli occhi una nugola dorata e cangiante, comequando si chiudono le palpebre al sole. A quando a quando la nuvola sispaccava, e vi compariva dentro la mia modella.

Come sento che la amavo stranamente quella creatura incognita! Mispassava a scriverle delle lettere amorose, che riteneva nel mio portafogli; e miraffazzonava poi da me stesso le risposte della ganza; mi divertiva perfino afigurarmela morta, e le scombiccherava dei sonetti alla Petrarca e delleiscrizioni funebri. Insomma me la cucinava da me cotta e cruda, lessa edarrosta. Che mattezze!

Ritornato a Parigi, ricevetti una lettera del signor padre, che mi pregava diritornare presto a Roma, e mi annotiziava di avermi preparato un buonmatrimonio. Io risi dalla contentezza.

Ero innamorato di Modella e trottavo volentieri a sposarne un’altra! MaModella era stata per me soltanto una meteora, una apparizione, e non me lapotevo concepire altrimenti. Non avrei saputo figurarmela nelle condizionifisiche delle altre donne, a pranzo, oppure intenta a intonacare di crema biancale labbra screpolate dal vento.

Eppoi io sguittiva dentro la pelle per il solletico della curiosità prossima adessere soddisfatta. Chi sa, come sarà mai, dicevo fra me, la sposa che vuoleappiopparmi il mio signor padre? Già di regola generale le spose, chesuggeriscono i babbi, hanno la gobba o le spalle da attaccapanni o per lo menogli occhi verdi. Mah!

Ad ogni modo che gusto! Avere una nuova bestiolina da domare! Ecco unaltro còmpito di creazione, che mi viene assegnato dalla Provvidenza!

E poi ero già abbastanza stufo e mortificato di trovarmi sempre in faccia acamerieri d’albergo, i quali non sapevano che io era un grand’uomo e cheaveva fatto la Scolara, il Ballatoio e il Notturno dell’usignuolo. Quindiridiscesi le Alpi, gongolante, cattivo, pazzo, artista.

Qui, eccellentissimo signor avvocato, occorrono nella mia vita quattropagine che non sarò mai buono a scrivere. Dante non seppe ridir bene, comeegli entrò nella selva selvaggia ed aspra e forte

Tant'era pien di sonno in su quel punto;

Page 232: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

niuno, per quanto apposti la sua attenzione, può carpire e notare ilmomento, in cui da sveglio si addorme; io non mi ricordo più che diavoloabbia fatto nei primi giorni che mi ammogliai.

Mio padre mi disse che la mia sposa si domandava Alfonsina Gabriella deiMarchesi Mirabene di Stranguglietti. Ne ebbi vivissimo piacere, come sichiamasse Petronilla dei conti Stranguglietti di Miramale, e andai coll’animafolleggiante alla presentazione.

Stelle, continenti, uccelli mosca, ciò che vi ha di più grosso e di più piccinoal mondo, sappiate tutti, che la marchesina di Stranguglietti era dessa, lei....leissima, la mia fantasima, la mia modella! Quasi indietrai spaventato. Divinafantasima era anche femmina divina. Poi non seppi più far distinzione fra ideadi artista e sacramento del matrimonio, e la sposai.

Non mi rammento più che cosa ci siamo detto Alfonsina ed io in queigiorni. Forse non ci siamo detto nulla. Allora la lingua diventa cretina. Parlanole mani, gli occhi, i piedi. Siamo macchine elettriche cariche di fluido, chescatta e frizza e morde ad ogni toccatina su qualsiasi parte.

Allora ci rotano dentro dei cosmi di idee impossibili a significarsi. Guai sesi dubitasse che l’amante non li intendesse senza mestieri di parole!

Passarono tre mesi dal giorno dello sposalizio. E l’arte? Io l’avevadimenticata. Con le labbra sulle labbra di Alfonsina chi osava parlarmi ancoradi arte, di gloria e di mondo? Povero mondo! Quanto piccino vieni in facciaall’amore! Un amante felice appena ti tollera.'

Comici, buffi cantanti, caricaturisti, risancioni da caffè, vi è un uomo cheride sopra voi ed è l’amante felice! Tale era io.

Ma l’arte sopraffatta dall’amore va in volta, e poi ti aspetta alla cantonata. Equando tu rasenti il muro a braccetto con la tua bella e fra le due bracciapassano e ripassano delle poesie e delle orazioni, l’arte ti ghigna dietro comeMefistofele e ti dice: Ah! Ah! Così amano anche i parrucchieri!

Questo pensiero ti umilia. Il tuo amore è cosa di poco tempo, è un filod’erba infiorata, che presto diverrà fieno. Ma l’arte, la grande arte invece èfresca eternamente: è Prassitele, Raffaello, Leonardo da Vinci, i quali nonmuoiono e non invecchiano mai.

È impossibile allora non ritornare all’arte. Aprii frettoloso il magazzinodelle mie inspirazioni. Scasate; non ce n’era più nessuna.

Presi in mano il pennello, lo inzuppai di colori... Quel pennello faceva dellestriscio di su e di giù... era folle, cascatolo...

Mi trovava come lo scolaro che, impancatosi a scrivere la composizione,rabesca, rabesca, non riesce ad altro che a vergare il suo nome e cognome incaratteri gotici o inglesi, oppure il nome del maestro o quello del paese natio.

Inorridito guardai in volto a mia moglie. Oh, se alcuno mi avesse insegnato,come dimandarle una inspirazione! Le avrei persino baciate le piante, purchémi avesse ritornate le inspirazioni! Ma mia moglie non si era mai addata che iofossi artista.

Nel baratro dell’arte io vedeva là ad aspettarmi in fondo inesorabili iparacarri, le donne Arabe e i topolini d’una volta, che formavano, anzisformavano la mia scultura, la mia pittura e il mio pianoforte. Ma peggio chepeggio! Nulla, che è meno di un topolino, voleva sgusciare dal mio cervello.

Uh! che raccapriccio risentirselo asciutto e insugherito... Si pestano i piedi,si morde il fazzoletto, si consuma dalla rabbia... e non si azzecca niente. Tutto

Page 233: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

per cagione di mia moglie!... Non l’avevo conosciuta... E come si fa aconoscere una donna nel parossismo dell’amore?...

Io credeva che dalle sue labbra dovessero spicciare sempre dei rivi diepopea; io sperava di potere a mio capriccio strappare dalle sue trecce un idilioo un’egloga, come il giocoliere tira fuori orologi e tabacchiere dal naso degliastanti.

Ma la mia Alfonsina non conosceva altra poesia che quella della vita gretta,sociale, che sta nella breve apertura di un compasso, le cui aste sono lacolezione e il ballo. Essa non avrebbe saputo preferire il Giudizio universale diMichelangelo a un piccione ricamato sopra un paio di pantofole.

Studiai dei giorni e delle notti per ridurla all’arte; ma non riuscivo a trovareil bandolo. Quando voi vi picchiate di domandare al vostro cane se ha dormitobene, potete pigliarlo per le zampe d’avanti, stropicciargli il ganascino, ed eglivi risponderà guaiolando e dimenando la coda, che sì, e che spera voi abbiatedormito altrettanto. Provatevi invece a fare intendere il linguaggio dell’arte,quel linguaggio che ronza e s’imbuca come le api nei calici dei fiori, e salenelle nubi, il linguaggio che interroga tutto, – provatevi a farlo intendere a chinon è dell’arte e piglia la vita come viene, e afferma sempre, e non interrogamai; – del sicuro non ci riuscirete.

Disperato, io mi sentiva tutti i giorni rimpiccinire e ringrullire di più. La miamacchina elettrica si era scarica di tutto quanto il suo fluido. Un po’ mi davodella molla rotta, un po’ del vuoto pneumatico; tutte le mattine scovavo daldizionario qualche nomea per insultarmi e per inorridirmi. Avevo finito perchiamarmi il Mulo dell'Arte.

Come, quando l’Italia venne a Napoli, noi scappammo a Roma, così,quando l’Italia venne a Roma, noi ritornammo a Napoli. Quivi nell’invernodell’anno scorso fummo invitati ad una soarè del barone Nubilara, che le posela semplice intestazione di tè danzante, molto bene accomodata in questastagione di accozzi strambi, quali sono i Discorsi della Corona, i Caffècantanti e i Risotti mascherati.

Entrai nel palazzo del barone con mia moglie e con le vertigini nella testa.Sedutomi vidi attorno delle dame elegantissime munite di codazzi lunghissimie accoppiata ciascuna con un ufficialetto o con un giubbino nero. Questisdilinquivano sopra i ventagli di quelle, sui quali pareva cascassero le parolettedegli uni e delle altre.

I doppieri di candele steariche mi davano dei guizzi di cero funebre. Lecapigliature a fasci di serpe, le mussole areostatiche, gli spallacci lucenti, lecravatte nevate, ogni cosa sembrava si stemperasse fuori di sé, e siconfondesse fosforeggiando, come capita a un ballerino sbolzo, stracco e pienodi sonno, quando l’aurora s’insinua fra le screpolature delle imposte.

Guai quando talun comincia a dubitare di un suo senso! Quel senso glitremola addosso, gli ciurla nel manico, ed egli più non lo può afferrare eservirsene. Così io temetti di non vedere più giusto e di non saper distingueremia moglie. In effetto quantunque aguzzassi le pupille non mi riusciva diraffigurarla. Quasi mi saltava il ticchio di balzare in piedi e di andare adomandare a qualcheduna di quelle signore, se per caso era mia moglie.

Fortunatamente venne da me la baronessa padrona di casa a pregarmi con

Page 234: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

un bocchino dolce che io facessi sentire il mio famoso Notturnodell’usignuolo. Ai miei scappavia ella rispose con pigliarmi per mano econdurmi essa stessa al pianoforte.

Traversando la sala fra l’agitarsi dei ventagli delle signore, mi sembrò dipassare per mezzo a una cosmogonia di farfalle. In queste stranezze sperai siridestasse in me l’idea dell’artista e mi messi al leggio ricco di fiducia.

Mi avvidi che avevo presso di me la mia Alfonsina con un uffìcialettodaccanto che le susurrava delle fatuità imparate a memoria come ilregolamento di disciplina..... E mia moglie le accoglieva battendo la solfa conil suo ventaglio e facendo scorrere dalla destra alla sinistra della sua bocca unrisolino ancor esso imparato a memoria, corto come una lumaca che non davané dentro né fuori la pelle.

Appena io incominciai a ricamare qualche nota sulla tastiera, mi accorsi chele dame non sfarfallavano quasi più i loro ventagli, e che le galanterie degliufficialetti e dei giubbini neri cascavano sui loro calzari non raccolte danessuna.

Mi inanimii, e, man mano che mi scaldava, parevami che una nuvola disilenzio si accostasse a me e mi ravvolgesse. Tutte quelle anime si eranospente, viveva soltanto io, artista, che piombando la mano sinistra sopraun’ottava bassa o spruzzando con la destra un arpeggio di note acute facevo amia posta imbiancare l’avorio di quelle fronti splendide e aggricciare queibusti benedetti dal sole della bellezza italiana.

Gustai allora tutto il paradiso d’artista. Ma volgendo gli occhi di sbiecocontemplai mia moglie cheta come prima, che batteva sempre la solfa alleminchionerie del suo ufficialetto e diguazzava sulle labbra il suo risolinostomachevole come il paragone della lumaca di sopra.

Mi si ruppe l’anima. Quella a cui Iddio aveva commesso di destare ereggere la mia persona e la mia arte, la quale arte certamente Iddio nonconcede agli uomini per nulla, quella dessa mi cacciava in terra.

Non seppi più raccapezzarmi e persi affatto la bussola, e messi qualche ditoin fallo.

Allora mi ricordai spaventato dei topolini che squittivano una volta nel miopianoforte e dei conigli maschi che vi si azzuffavano dentro rabbiosamente.

Non solo li sentii, ma li vidi... li vidi che sbucavano dalla cassa delpianoforte... i conigli mi raspavano già sul panciotto... i topolini correvano giàumidicci sotto la mia camicia... Ahi!... Piantai il pianoforte con un pugno sullatastiera.

Capita alle volte che in un tafferuglio voi distinguete in mezzo al baccanoche vi assorda, un gemito fiaccato di lontano. Così quella sera, fra il muoversidelle seggiole e il circondarmi delle persone, sentii in fondo alla salal’ufficialetto che diceva a mia moglie: «forse suo marito è diventato pazzo.»

Alfonsina non solo non aveva notate le mie stonature, ma sospetto che nonsi era nemmanco avveduta, io avessi cessato dal suonare; forse l’aveva pigliataper una pausa: ché farle ronzare uno scacciapensieri all’orecchio, acciottolarlele molle e le palette, o farle venire dall’altro mondo Davide o Haydn asuonarle un pezzo era tutt’uno per lei: nulla valeva ad increspare il lago dellasua apatia aristocratica.

Avvertita dal suo moscardino, venne da me a domandarmi se non mi sentivabene; io mi scusai con tutta la società allegando che l’emozione della mia

Page 235: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

musica mi aveva fatto male.La scusa non solo venne accettata, ma fece colpo; risuscitarono nella sala

diversi aneddoti incadaveriti sulla sensività degli artisti: pittori e scultori che sierano abbaruffati con le loro tele e con le loro statue, – comici che si eranoammazzati con il pugnale di cartapesta inargentata nei furore di fare l’Oreste,ecc.

In mezzo a quegli aneddoti io tolsi licenza seguito dalla ammirazione ditutti.

Quando fui in carrozza con la mia Alfonsina volli che il cocchiere cimenasse a Chiaia sulla riva del mare. C’era pochissima luna in cielo, e miamoglie dentro la carrozza pareva un’ombra palpabile.

Al tremito voluttuoso che imprime lo scorrere delle ruote sul lastrico, ioafferrai le mani di Alfonsina e le dissi: «Alfonsina! intendimi, voglimi bene. Ioodio le incisioni dei giornali illustrati; sono quelle che abbiamo scappateadesso, quei bricioli di dame e di ufficiali, macchine senza vita. La vita è quifuori, negli aranci, nel mare, nello zaffiro del cielo.... Qui è l’Arte, Deaimmensa che occupa il tempo e lo spazio, ed è profumo, suono, azzurro edamore di donna. Alfonsina! me l’hai insegnata tu l’arte... Comprendila anchetu.... È tua madre.... Sei sua figlia.... Insegnami di nuovo l’arte.... Adoriamolainsieme con un....» E feci per darle un bacio, ma sentii le sue labbra e le suemani riluttanti.... e vidi i suoi occhi sbarrati dalla paura.

Mi rovesciai sul palco della carrozza per stringerle i piedi, mi cucciai e miaggomitolai a pregarla come un Musulmano...

Ed Alfonsina labbreggiava: Pazzo! Folle! ed altri insulti.... – Poi accennavadi ghermire la maniglia dello sportello e di saltare giù dalla carrozza.

Allora io comandai al cocchiere che ci conducesse al nostro palazzo. Quiviordinai che nessuno della famiglia ci venisse d’attorno, e mi serrai in cameracon mia moglie.

La contemplai al lume delle candele, che era bianca come un panno lavato,con le labbra arsicce e con le palpebre orlate di sanguigno.

La costringerò ad essere artista, divisai meco stesso... La farò inginocchiarein terra... la farò piangere davanti la Madonna... così mi inspirerà un quadrettodi Lucia nel castello dell’Innominato.

E avvinghiatala, le dissi sussultando:«Alfonsina piangi... inginocchiati... prega la Madonna... inspirami...

comprendimi...»Essa invece accresceva il lividume rabbioso sulle sue labbra e si dibatteva

mutola fra le morse delle mie braccia.Mentre io era lì per stramazzarla sul pavimento, mi caddero gli occhi sulla

Scolara, che dicevano il mio capolavoro di scultura. La fronte di quella statuadi marmo mi sembrava che lumeggiasse splendori. Ella sì era artista e micomprendeva!

Lasciai Alfonsina e mi buttai sulla Scolara... La baciai... la abbracciai..... laribaciai follemente... Mi sentii pullulare nella testa delle parole e delle ideestrambe e feroci... Amare è mangiarsi, distruggersi, confondersi... I pretiingoiano Iddio nell’Ostia... Gli amanti dicono alle amorose, che le voglionomangiare nell’amore... Anch’io volli mangiare e distruggere la Scolara pervedere come era fatta e confondermi con lei.

Le sgretolai il naso con un pugno; e poi con un picchio di martello le

Page 236: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

spaccai la testa...Dopo la malefatta tremolai come una cannuccia da pantano... Mi vennero i

brividori... Ma quello, che era fatto, era fatto; né i sassi tirati, né i passatitrascorsi tornano più indietro; anzi traggono con sé l’avvenire.

Mi sentii farsi il sangue caldo: e una ondata salirmi sulla testa e coprirmelacome un berretto, un cappuccio, uno spegnitoio di sangue... Mi pareva a voltaa volta di raddoppiarmi e si sdoppiarmi, di essere tanti ii e poi di ridiventare unio solo.

Quando ero bambino, mi ricordo che, dopo aver rotto le uova di unatortorella, fui spinto ad ammazzare essa, la tortora madre... Così, dopo averdistrutta la Scolara, l’unica che mi comprendeva, perché mi era trasfuso làdentro, e che non avrei più saputo rifare... fui condotto a peggio....

Già la mia vista si era abbuiata... più non vedeva Alfonsina; ma la sentivache mi forbottava dicendomi: «pazzo! screanzato! domani domanderò unaseparazione...»

A quelle parole io mi trovai come sull’orlo del crepaccio di un ghiacciaio...sul culmine di un orribile pendìo, da cui sarei scivolato con facilità enorme...Mi venne il capogiro...

... Di lì a cinque minuti... mi trovai sulla strada, come fossi al fondo delghiacciaio... Forse in quei cinque minuti ho soffocato con un guanciale miamoglie... Alfonsina... forse madre principiante...

– In faccia alla fisica, alla forza, alla materia, ve l’assicuro, ammazzare unvostro simile, un cristiano, una donna, è un’operazione da nulla... è comesalassare un pollo; non ve n’accorgete nemmanco....

Ma c’è ben altro! – ve Io giuro, avvocato, esiste la legge morale, c’è ilpeccato mortale... Dopo, ve lo sentite, che vi rosicchia l’anima come ilvetriolo: non siete più vergini... non siete più voi... Il rimorso vi fa scappare...Quanto paghereste per ritornare indietro e non aver commesso il delitto!...Preferireste andare mendicanti per il mondo, sucidi, lebbrosi, con la ciotola inmano e con le zannate dei cani alle calcagna, pur di essere ancora innocenti...E non lo siete più....

Io fuggii... e mi sentiva scalpitare di dietro dei fantasimi... vedevo ai mieifianchi delle statue equestri... dei nani mi intralciavano le gambe... udiva leNinfe ululare sui monti, come in Virgilio, quando scoppiò l’amore di Didone edi Enea... mi urlavano addosso i tipi, le immagini, le idee... era una cacciad’inferno.

Entrai all’alba nell’osteria di un villaggio. Avendo i panni ammollati, nonso più se dalla pioggia o dalla rugiada, me li feci asciugare a una fiammata dicanapuli. Poi mi diedero una camera che era un granaio; e lì mi buttai sopra unletto che mi parve un Calvario.

Volevo ammazzarmi, ma piansi. Se sapeste che cosa vuol dire piangerequando si hanno i baffi lunghi! Vuol dire ritornare bambino, cristiano,mormorare l’atto di contrizione. Dietro le gocciole di lagrime che appannanogli occhi, come tremola e scintilla la verità!

L’arte, oh l’arte non è mica una cosa che esista da se stessa: è il colore, ilprofumo, è insomma una qualità delle esistenze: è il lecchetto della virtù, nonla virtù.

Checché si dica, la fatica e il dovere sono amari e scabrosi; noi siamo tiratia far male o piuttosto allo sdraio, a far nulla. Ora sono l’arte, l’amore e il bello

Page 237: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

che ci scuotono, ci smussano, c’ingemmano e c’inzuccherano il dovere e lafatica.

Capita sotto le mani a un parrucchiere di città il figliuolo di un villanzonecon una testa scarduffiata, e con certi capelli che paiono lesine. Ebbene ilparrucchiere li striga pazientemente, li inaffia, e tanto vi raspa attorno conspazzole e pettini e pettinelle, che riesce a domarli, e a solcarvi in mezzo unastupenda divisa; di guisa che il giovane villanzone, uscendo dalla barbierìa conuna testa lampante, crepita dentro sé dal contento e non può tenersi dallospecchiarsi in tutte le vetrine dei negozi.

Ovvero entra nella bottega del parrucchiere uno di quei giovani bellimbusti,che hanno una zazzera docile, da cui si può trarre ciò che si vuole, un Oreste,un Gesù o un Amleto. Allora il parrucchiere le si butta addosso con passione;scompiglia quei capelli, poi li ravvia: poi con schiaccie e calamistri vi ricamasu un mondo di cernecchi, di anella e di ricci tirabaci: insomma, come diceegli, la fa parlare quella testa.

Or bene che cosa vi è di più sucido e di più noioso che insafardare le palmecon l’olio di ricino e di girasole o con il grasso d’orso stantìo, e mescolare ledita nei capelli altrui, e poi sentirsenele rigate? Eppure il buon parrucchieretratta le chiome degli avventori con entusiasmo; anzi certe volte accende ilsigaro e con la scusa di pigliare una boccata d’aria va persino sotto i portici edavanti i caffè ad osservare che spicco fanno le teste da lui lavorate!

Ecco l’arte, la vera arte, la quale infiamma l’oratore e fa maravigliare ilcopista dei reggimenti di parole da lui attelate materialmente sulla carta; ecome la luce essa si decompone per dare moto, vita e colore alla infinitavarietà delle cose.

L’arte per le madri è acconciare i riccioli ai bambini, baciarli, ricamare dellepantofole ai mariti. E la mia Alfonsina la sapeva quest’arte; ed io la ho uccisa,perché non sapeva la mia arte falsa e malata.

Sequestrare l’arte dalle cose e farne una cosa per sé è un operare contronatura; è una mattia come quella di insaccare la nebbia o di ingabbiare il sole;ed è una ribalderia, perché se ponete l’arte in cima d’ogni esistenza, voirimpiccinite per essa gli affetti... le virtù... le vite.

I poeti, i musici e i pittori che gridano Avvenire! Arte per arte! e rinneganoil passato, che fu così artistico, che nulla più, per libidine del nuovo e dellostrambo, a che cosa riescono in fine dei conti? A spennare gli angeli e adinargentare i rospi, a preferire ad una cavatina di Rossini la salmodia delleletane, a infatuarsi del soppanno di una contadina o delle macchie dell’ erba,quando c’è la patria in pericolo.

Si è al mondo per operare il bene e per fare il nostro dovere verso tutti. Sel’arte ci dà di spalla a raggiungere questo scopo, bene quidem. Ma non Arteper arte! si dica: Arte per il bene, o meglio il Bene per il bene, o meglioancora: amare e servire Iddio in questa vita per poi andarlo a goderenell’altra, come dice il Catechismo. Già per Iddio io intendo il vero bene senzalega o mistura di interessi.

Su quel letto io vidi la verità, come veggo adesso questo foglio di carta, sucui vi scrivo, Eccellenza.

Sebbene mi sentissi ritornata in me la vigoria musica, pittrice e scultoria,deliberai di rinunziarvi e di non fare più l’artista.

Stetti un po’ in bilico, se dovevo consegnarmi ai carabinieri reali; ma per

Page 238: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

istinto amai meglio impormela da me l’espiazione: fare i più brutti mestieri, illacché, il guarda-portone, il venditore di giornali, il garzone di taverna; finchéqualche patria o repubblica accoltellata sulla via gridasse accor’uomo, ed iopotessi lasciare la pelle per essa.

Già un miccolino del mio programma l’ho compito.Mi sono accontato primieramente come valletto in casa di un marchese di

Lombardia, e mi diedero a lustrare gli stivali. – Non ci riuscivo: lasciavo troppigrummi di lucido sul cuoio: e ciò lo corrodeva, come mi assicurava consussiego il maggiordomo che in gioventù aveva anch’egli fatto il lustrino. Etutta la famiglia dei donzelli mi dava la berta.

Oh che gusto aver fatta la Scolara, il Ballatoio e il Notturno dell'usignuolo,e poi essere messo in canzonella per non saper dare il lustro alle scarpe!...

In questo poco tempo, che vagabondai oscuro di qua è di là, ho giàosservato tanto, che potrei scrivervi un nuovo Gil Blas. Ma non un romanzo, ioho voluto esporvi soltanto un’idea, e un caso, Il male dell'Arte. Cotesto maleche io cerco di medicare con vitaccie d’ogni risma, qualche volta risuscita e miinciprignisce la piaga.

Due soli fatterelli e poi punto e basta.

A Milano mi era accomodato da un venditore di uccelli, che si pubblicavanaturalista sull’insegna del negozio. Un giorno disgraziato, inavvertentemente,spietatamente schiacciai fra l’uscio e il muro un merlo domestico, che buttavaper la vecchiezza due venerandi baffi gialli attorno al becco giallo. Per cuim’assalse un dolore cervellotico insopportabile, Onde nettai il paese e capitaiqui, e mi accontai come scritturale del procuratore Ventrelli, presso cui voi miavete conosciuto.

Qui io godeva della mia nullità e di quella degli altri miei compagni, e mitrovavo di starci come una perla, quando mi colse un’altra volta il mio maledell’arte, e ora mi sforza a partire e a girare sempre come l’Ebreo dellaleggenda. Voi riderete della bagatella...

C’era sul davanzale d’una finestra dell’ufficio un piccolo vaso di fiori, entrocui in mezzo a una manciata di terra avevano infisso un gomitolo vegetale,chiamato kactus o giranio spinoso, una pianta grassa, malinconica e quasicretina, che a mala grazia innalza dal globo delle fette cartilaginoseattraversate dal sole, e mette la piccinineria di stellette pungenti, da cuispuntano di notte degli asparagi e dei pennacchi bianchi.

Era un vasetto destinato soltanto a trasportare le pianticine d’allievo; quindinon andava, assolutamente non poteva andare come abitazione ordinaria diquel giranio. Ne feci parola al signor principale, il quale mi risposerumorosamente: Bene! pensando ad altro e non provvide nulla. Ci dovevaprovvedere io... Ma non c’è peggior riuscita in questo mondo e massime inItalia, che quella delle cose, le quali si possono fare domani... Di domani indomani si finisce che quelle cose non si fanno mai più.

Però un certo giorno io andai finalmente all’ufficio carico di un bello ecapace vaso da fiori per trapiantarvi il giranio ed allogarvelo come il Papa nelVaticano.

Siccome il kactus, dilatandosi, ave\a oramai arrivata tutta la circonferenzadel vasetto antico, dovetti rompere questo per liberarvi il prigioniero... Dio

Page 239: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

mio!Il giranio era marcio di dentro... Le radici parevano bave... in mezzo a un

mollume di pera cotta nuotava un verme, e più sotto in un cespuglio di barbesecche un popolo di formiche.

A quella vista non potei tenere dei sussulti e delle lacrime. Il vecchioscritturale dell’ufficio, che ha il cuore grande quanto la sua asinità, vedendomipiangere, piagnucolò ancoragli...

Quel povero giranio spinoso era proprio morto di rachitide, di marasmo, difame e di sete, senza poter chiamare gente, mentre io era lì daccosto a duepalmi dallo scrittoio e mentre sotto il suo davanzale passavano nella via dellefrotte gioiose, studenti che pedinavano delle modiste, e preti arzilli, perchésicuri, che a casa la perpetua aveva imbandita loro la mensa...

Che spasimi atroci deve aver sofferti nel silenzio quella pianticinasentendosi infracidare ad una ad una lo fibrille e venire a passeggiare i nemicie i ladri in casa, le formiche e i vermi, senza poter gridare aiuto, aiuto! Tuttoper cagione della mia negligenza! Almeno il merlo sfracellato aveva fattoqualche po’ di vita, aveva saltabeccato, goduto, zufolato; anzi prima di basiremi aveva persino squittito delle sue impertinenze...

Ma quel fiore mutolo fece la sua agonia senza che alcuno se ne sia addato...Morì senza buttare una lingua o un fiore all’orizzonte, senza poter cantare lasua cavatina nel melodramma colorito della natura.

Io mi accorgo che non potrò più dimorare in quest’ufficio, in questa città,perché l’ombra o il cabiro, o la memoria di quel fiore mi trafiggerebbero...Andrò via, lontano, lontano; non so ancora io dove andrò a posare queste mieossa dolorose...

Se voi avete il costume di viaggiare, forse vi capiterà un giorno, facendovipulire gli stivali in una capitale straniera, di fissare sotto il cappello del lustrinodue occhi luccicanti stranamente... Quegli occhi saranno i miei.

Intanto ora tirate voi, eccellenza, la chiusa della mia lettera.Il male dell’arte sconvolge la natura delle cose; fa uccidere una moglie e

piangere sul romanzo di un merlo o sulla etisia di un fiore.Vi bacio le mani e sono il

Vostro dev.° umil.° affez.° Cirillo di Roccaspana.

Qui finisce la lettera dello scritturale. – Sarà pazzo? – Io credo fermamentedi sì; certo è che il racconto di un pazzo è sempre una linea parallela, benchélontana, della verità.

Page 240: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Giovanni Faldella

GENTILINA(FANTASIMA DI UN VECCHIO CELIBE)

(pubblicato nel 1874 in “Serate italiane” e in opuscolo, col titolo Unamore in composta; poi incluso in Figurine, Milano, Tipografia EditriceLombarda, 1875)

Per le nozze del mio primo amico, l'avvocato Luigi Muggio,

con la gentile signorina Erminia Adami, celebratesi in Roma il 26 novembre 1874.

.....…….. Senza moglie a lato

Non puote uomo in bontade esser perfetto. Né senza si può star senza peccato.

ARIOSTO

Nella pianura vercellese sta accampato un vecchio castello parallelepipedo,e tanto parallelepipedo che sembra un dado gittato in una giocata di giganti. Hale facciate nere con i numeri vitrei, i quali numeri sono le vetrate delle finestree dei balconi. Esso chiamasi il castello di Moriglia.

Dal balcone di oriente si vedono le casipole basse del villaggio, le quali siappastano ai piedi del castello, e sopra le casipole e dopo esse un pianocontinuo, che si affonda nell'azzurro. Dal balcone di mezzogiorno si vedono lalastra di un fiume e poi le grasse polpe delle colline del Monferrato; dai balconidi ponente e settentrione una piana rigata di solchi e quadrellata di gelsi, che vaa battere contro le radici della montagne.

In questo castello andò a riparare il conte Oscar Azzo di Moriglia.Era vecchio, ma di forme ancora rigide, asciutte ed integre. Il suo vestiario

era rapato con precisione di carta vetrina, come di chi ha la consuetudine divestire elegante. Il sarto piú difficile e lo scultore piú leccato non avrebberosaputo dare una forbiciata o una limatura nella persona del conte.

Niuno sapeva tutta la vita di lui. E sí, che, per quanto taluno abbia condottouna vita oscura, esiste sempre qualche valletto o qualche cameriera, checonosce questa vita! Invece nemmanco il portinajo del palazzo Moriglia aTorino, il quale pure era in voce di essere stato dentro le piú secrete cose delconte Oscar, — nemmeno egli poteva riferire appuntino la storia e il romanzodi quella esistenza.

Il conte Oscar partiva da Torino, senza palesare a nessuno e nemmeno alsuo portinajo, dove si rivolgesse. Onde chi lo diceva partito per Parigi, altri perla Russia ed altri per la caccia della pantera nelle Indie.

Page 241: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Egli ancora giovane era restato erede di un nome illustre e di una fortunamilionaria, il quale e la quale egli sparpagliò durante trent'anni per il variomondo.

Ma ad un certo punto della sua vita egli si trovò ferito e fermato da uncoltello misterioso, e quindi scorticato e scarnificato da una potenza invisibile.Gli sembrò che i panni addosso gli toccassero le carni vive.

La sua vita divenne un dolore e un ribrezzo. Avrebbe voluto frantumare itavoli intarsiati, le campane degli oriuoli a dóndolo, tutte le piú preziosesuppellettili delle sue camere; avrebbe voluto spaccare tutte le teste di donnache gli si presentavano innanzi.

Unica medicina al suo dolore spelacchiato gli parve il ritornare dove egli eranato, dove erano nati i suoi padri, e dove ci dovevano essere il ritratto el'ambrosia della memoria di sua madre; onde da Calcutta nelmilleottocentosettantatré il conte Oscar si ridusse al suo castello di Moriglia inPiemonte.

* * *

Quivi giunse — muto — spettrale — rinserrato nella sua eleganzaeconomica.

I villici gli fecero largo, paurosi di disturbarlo. Solo il medico condotto,dilettante di lotte politiche ed amministrative, appena lo vide rientrato nel suopollajo, ruminò in mente di farne un Consigliere comunale di opposizionecontro il Parroco, e quindi un Consigliere provinciale che mettesse a spesedella Provincia la Chiatta di Moriglia e di seguito anche un Deputato contrarioalle imposte, ai lavori pubblici ed alle fortificazioni.

Ma il conte seppe rimanere cosí chiuso che le viste politiche edamministrative del medico condotto non poterono farsi strada fino a lui.

Il conte Oscar sperò ritrovare pace nel suo vecchio castello; perché lemuraglie di esso, nericce, bavose e lucenti per i passaggi e le dimore dellebisce, delle lucertole e del salnistro, — i soffitti istoriati ed altissimi, loscricchiolare dei palchi e dei tarli, ed il silenzio d'amianto delle sale ampie evuote dovevano lenire quale naturale refrigerio i martirî esasperati della suaanima.

Egli si deliziava dei suoi passi che sonavano in quella calma di polveremorta appiccicata ai mobili ed agli arazzi del suo castello disabitato. Si sedevavolentieri sui seggioloni di cuoio fregiato e figurato a stampi secchi, — daibracciuoli altissimi; vi si rannicchiava come dentro un confessionale o unincunabulo da vecchio. E più spesso che altrove egli si riduceva nella galleriadei ritratti dei suoi antenati.

Ma presto gli spiacque quella tratta di figure disposta in linea orizzontaleche dintornava la sala. E volle tramutarla in una calata che venisse giú verticaledal soffitto come una polla d'acqua plumbea in una grotta d'atmosfera piorna.Però conobbe che l'altezza della parete non bastava per quella cascata diritratti; onde egli fece buttare giú il soffitto della galleria; e di due sale lunghe,sovrapposte l'una all'altra in due piani diversi, fece comporre un salone unico,profondo, che sembrava un androne di mulino o di casa incendiata dal fulmine,ricetto di monetari falsi.

Adunque sulla parete di quella sala fonda egli fece allogare un grosso rigone

Page 242: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

di ritratti, che partendo dal soffitto discendeva in basso fino alla distanza dellastatura di un uomo dal pavimento. La fiumana maggiore di quei ritratti era unacatena che gocciolava giú a due figure per anello: un uomo e una donna, omeglio un conte e una contessa di Moriglia.

I piú antichi conti ossiano quelli piú vicini al cornicione erano ferrei, adusti,e le prime contesse che stavano loro allato erano severe di volto e di vestiario;man mano che si calava in giú comparivano e si aumentavano i pizzi, i merlettie gli altri acconcimi; i volti si facevano piú paffuti, i busti piú panciuti, lemaniche piú larghe, finché si veniva al biancume e al gonfiore boffice e grassodel settecento: alle figure di panna montata, inaffiata di rosolio. Da una parte edall'altra della fiumana maggiore sporgevano a quando a quando ritratti diarcivescovi e di generali, cadetti della famiglia, senza ramificazioni.

Le screpolature della biacca rosata sui seni delle dame scollacciatesomigliavano spruzzi di sangue disseccato.

Sotto quella colonna grondante di figure il conte Oscar si collocava, ognigiorno, ad una data ora, con le braccia incrocicchiate. Egli, uomo dal frac neroe dai brevi solini insaldati del secolo decimonono, dilettavasi cupamente a farda cariatide alle trapassate generazioni arcigne od ampollose, da cui egliderivava.

Egli piacevasi a sorreggere sulle sue spalle rimminchionite tutto il ferropesante e il fardello di mussola affastellata dei suoi avoli e delle sue bisnonne.

Egli allora stimavasi il punto fermo di una grande linea: stimavasi laparatoja di un ruscello di sangue gentile, che terminasse in lui.

E perché non si era egli pure ammogliato?Perché non aveva egli aggiunto a quella catena un nuovo anello: il suo

ritratto dal frac nero e dai piccoli solini del secolo, con il ritratto di una nobiledonna a lui disposata nei vezzi e nella crinolina moderna?

Era ciò forse, perché egli avesse giudicato troppo misero il costume delnostro tempo, indegno di nozze e di ritratto, indegno di star sotto alle diviseferruginose e farraginose dei suoi antenati?

No! Egli non si era ammogliato per un'altra semplicissima ragione.

* * *

Nel mondo presente oltre le professioni di virtú che gli uomini spiattellanonei libri, nei parlamenti e negli altri luoghi rappresentativi, eglino usanosquadernare una professione di vizio nei colloqui amichevoli e specialmentesul finire delle cene. Cosí l'eterna dualità del bene e del male si è scompartito ilmondo: alla finzione del bene le biblioteche e le Camere Nazionali; alla realtàdel male le osterie e i luoghi affini. Per spiegarmi con un esempio, quasi niunscrittore oserebbe dentro un libro dichiararsi immorale e scettico in fatto didonne: e parimenti quasi niun scrittore posto dentro una trattoria fra unabrigata di amici, in cui si sfrottolassero delle avventure amorose, oserebbepassare per un fedele credente e minchione sul conto delle donne, rinunziandoad inventare e a spifferare la sua avventura peccaminosa.

Or bene certe volte basta il sentire una professione del vizio fattaprivatamente ed anche a modo di celia da una persona autorevole, perché siavveleni l'anima di un giovane.

Questo era incontrato al conte Oscar. Egli a diciott'anni dopo un pranzo

Page 243: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

impiallicciato di tartufi e irrigato di vino di Borgogna aveva orecchiato in uncrocchio di pezzi grossi ciò che diceva il conte Amelito, suo zio, uno fra idiplomatici e scrittori e caratteri piú diamantini che vantasse il Piemonte a queitempi.

Lo zio conte Amelito contava delle cose rosse, rosse, cosí rosse da fararrossire il tabarro del Diavolo; il quale, come si sa, in luogo di peli è contestodi tante linguette del fuoco infernale.

«Vero? proprio vero?» domandavano gli astanti al conte Amelito, frizzandodi piacevolezza e di curiosità.

«Diamine!» rispondeva serio il conte Amelito. «Non sono mica cosícordone da mandare ad un altro cacciatore le quaglie che capitano sotto la miapassata...»

La immoralità del dopopranzo dichiarata allora dal conte Amelito reseimmorale e scapolo il conte Oscar suo nipote per tutta la vita.

Venutogli addosso il patrimonio di sua madre, egli si ricordò di ciò cheaveva sentito dal grande uomo suo zio; montò a cavallo dei suoi milioni, ecorse per il mondo a cacciare quante quaglie gli cadevano a tiro. Egli avrebbetolto di ingojare un macigno piuttosto che rendersi schiavo per tutta la vita allafede di una donna.

Finalmente un giorno, dopo la comparsa di molti peli argentini nella suabarba, egli si accorse di essere orribilmente solo; e lo assalse la rabidamalinconia che abbiamo detto sopra, ed egli venne per curarla al suo anticocastello di Moriglia.

* * *

Quivi alla sera egli andava a poggiare i suoi gomiti sulle ringhiere dei suoibalconi.

Una sera dal balcone di ponente guardava i gelsi nella campagna.Essi si vedevano da principio isolati ad uno ad uno spargere i loro ombrelli

sul colore di caffé tostato della terra grassa. Poi si accozzavano in lontananza,quindi si asserragliavano vieppiú fino a che formavano una sola macchia brunaalle radici delle Alpi.

Allora il conte disse a sé stesso: «Quei gelsi non sanno mica di formare unasola famiglia agli occhi di chi li guarda da lungi. Cosí gli uomini individuisenza saperlo sono famiglia per il filosofo che li guarda dall'alto. Cosí altrefamiglie di erbe e di piante differenti si arrampicano sulla montagna; e l'unalascia il posto all'altra, fino a tanto che si arrivano i sassi brulli. Cosí forse agliocchi di Dio sono famiglie i soli e le stelle. E tutte queste famiglie siperpetuano con le nozze e con l'amore. Io solo, povero conte Oscar, poverovecchio, sono rimasto senza famiglia, sono rimasto senza nozze, senza amore!»

Passò un frullo di passere sotto il balcone di ponente. Quel frullo cagionò alconte un freddo sotto le ascelle, ed egli dal balcone di ponente si trasportò suquello di mezzogiorno.

Frammezzo ai fusti delle albere sublimi si scorgevano delle gaggie terragne,e poi la lama del fiume che specchiava le colline rese malinconiche ed ombrosedalla sera, e prima del fiume i campi trincettati a prodaje e a peluzzi divegetazione, e sulle strade i contadini e le giovenche e gli aratri che tornavanoal villaggio, e sembravano, visti dall'alto del balcone, insetti che bulicassero

Page 244: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

nella segatura. Eppure erano una vita! Mentre nel sangue del conte girava latetraggine morta della solitudine e della noja.

Passò un circolo di rondini sotto il balcone di mezzogiorno, le quali, quasi afarlo apposta, cigolarono tutte insieme ad un punto, quasi radendo le bracciadel conte. Quel cigolío lo trafisse come fossero stati vagiti di bambini.

Il conte andò al balcone di oriente. I tettimi delle casipole rusticane eranodel colore dei topi di campagna. Egli aveva gli occhi invetriati di lagrime ed aisuoi occhi acquosi quei tettimi parvero muoversi ai piedi del castello. Parverosorci che ballassero ritti e affannati dalla fame intorno a un sacco o a un burattodi farina.

Scappò sul quarto balcone del nord.Quivi la veduta gli si allungava. Un filare di ontani gli condusse il pensiero

a stancarlo.Poi venne in lontananza la fumèa di una locomotiva a vapore, che pareva

uno strascico lento di lenzuola funebri sopra una distesa geografica.Annottò. Giunsero da ultimo i pipistrelli con il loro brancolío cieco, aereo,

viscido e velocissimo.Il conte Oscar si ritirò dall'ultimo balcone, visitò la pozza, in cui colava la

troscia dei ritratti di famiglia, quindi andò a coricarsi. Ma non poté chiudere gliocchi al sonno in tutta la notte. Sentiva nella sua stanza buja il frullo dellepassere, il cigolío delle rondini ed il brancolío cieco, viscido e velocissimo deipipistrelli, oltre l'agitarsi affamato dei topi. A lui nel letto pareva avere lebraccia posate sulle maniglie dei balconi. Sotto le sue braccia passavano queivolatili e semoventi. Essi avevano teste di donne da lui conosciute in sua vita,— con occhi di pianto, di disperazione e di imprecazione, occhi che l'avevanotrafitto sopra pianerottoli, in stanzucce ed alcove lontane. Ed egli non avevaafferrato perpetuamente, e non poteva piú afferrare niuna di quelle teste didonna. Egli aveva rotto la Legge che la Natura assegna agli uomini ed aicolombi; la fede ad una compagna. Egli era infelice, solo, diserto, perché avevapeccato contro la Natura. Non c'era piú rimessione per lui.

Sentiva fra le braccia delle curve muliebri, lineate dallo stesso dito di Dioonnipossente; e gli sfuggivano per sempre. Vedeva delle donne riverse perterra che non poteva piú rialzare. Sentiva dei vagiti di bambini che non potevapiú chetare. Sentiva nelle mani le lacrime frigide che vi avevano deposto,attaccandole con un bacio, fanciulle e donne bellissime e derelitte in un ultimoaddio. Poi quelle lacrime gli vuotavano le mani; salivano in su, e quindi gligocciolavano addosso dal soffitto, come dalla vôlta di una grotta umida ecalcinata; e gli percotevano le occhiaje, e vi lavoravano un tuorlo rosso, comefanno le visite notturne dei ragni.

* * *

Il giorno dopo il conte Oscar era di nuovo sul balcone di ponente. Il grandedisco del sole, l'ostia santa dei poeti scendeva in Francia lentamente dalcucuzzolo di una montagna. Il sole calò, affondò, sparve: ma correvano ancorai suoi raggi sui profili delle montagne a rifilarli con nuove forbiciate nette efresche, olezzanti del taglio. Mediante il contrasto degli orli lucenti le Alpioccidentali si distaccavano dal cielo: erano cavalloni e marosi che siavanzavano nel piano spumeggiando con il loro dorso infiammato. Le

Page 245: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

montagne del settentrione prive dei profili solari, quasi si mischiavano con ilcielo: erano un debole screzio di azzurri, un duello affiochito fra un azzurro dicolomba livia e un azzurro di amido.

Ad un tratto il conte Oscar vide comparire sul fastigio di montagna, dondeera calato il sole, — vide comparire al posto dell'astro inabissato un miracolodi fanciulla, una vera fanciulla, improvvisata di tutto punto, che si vedevaprecisa a una lontananza miliare, come fosse stata lì a due braccia distanti.

Il conte Oscar si sentí tirato magneticamente a dare un amplesso e un bacioa quella fanciulla per lo spazio chilometrico.

Era una fanciulla composta e pasciuta di rugiada, di rose e di brilli di sole.Ma — strano spettacolo! — la fanciulla si mosse essa stessa dalla sommità

della montagna, e si avanzò verso il balcone del conte. Egli spaurito scappòverso il balcone di mezzogiorno: ma anche lí si trovò dinanzi la sua fanciulla,la sua maraviglia, eretta sulle colline e specchiantesi nella spera del fiume.Trasalí e si precipitò sul balcone di oriente, e ancora lí vide la fanciulla, — lavide come una immensa statua della Vergine porre i suoi piedi sopra unamezza luna di argento fra le casupole del villaggio. Egli fuggí sull'ultimobalcone del nord, e vide la incessante fanciulla camminare alla volta di lui sullariga del fumo della vaporiera, e poi apparire sulla fila di ontani cosí lunga dastraccare un cervello.

Allora il conte volle nascondersi nella galleria dei ritratti. E quivi trovò lasua apparizione quietamente ritta in mezzo alla sala profonda. Ella conversavacon una dama del settecento pomposa, vaporosa e fragrante per fiocchi e nimbidi cipria, come uscisse dal Mattino del Parini. Quest'ultima pareva la mammadefunta del conte Oscar.

La fanciulla era vestita di bianco perlato: aveva un viso di cielo, i capellibiondi da paradiso, una corona cristallina in testa. — Era una bellezzaarmonica, sottile e trasparente. Era una idea che ne dicea mille. Diceva: Io sonodiversa da tutte le altre. Diceva: Oscar, vieni a me, non piangere, non peccare!Sii buono! Sii felice!

La mamma del conte Oscar le pose le labbra sulla fronte e la salutò nelmormorio di un bacio: Mia bella sposina!

Il conte si mosse per avvicinarsi a quelle donne fantastiche, ma essesparvero per la scalinata dei ritratti di famiglia. Un brivido di luce illuminò lalitania dei ritratti. Essi crocchiarono, strepitarono come la molla di un dito diacciaio ne avesse sollevate forzatamente le estremità, per farle ricadere,ripercuotere e risonare sulla parete.

Il conte affisò fulmineo il ritratto di sua madre. Esso era a suo posto, e lafigura non era sgattajolata via come nei romanzi tedeschi.

Il conte Oscar dimorò un pezzo intenebrato e scivolante sulla pallottolaliscia e sdrucciola che s'avvoltola nel dubbio fra il sogno e la realtà. Poivennero quasi una mano e una spada subitanea a strizzargli, a purgarglil'atmosfera e a tagliargli netto di testa il farnetico. Allora a un guizzo di lucestrigliata egli vide gli screpoli delle dorature, i foricini dei tarli nelle cornici deiquadri, le macchie umide ed unte del soffitto, e gli squarci spenzolanti eimpolverati degli arazzi, nella loro arida e sciocca realtà, scevra del fumo edella vita, che dà il vagellamento.

* * *

Page 246: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

La verità si era, che pochi mesi prima di morire la mamma di Oscar gliaveva detto: «Rendi felice te e tua madre con lo sposare tua cuginettaGentilina.» Gentilina era un profilo severo e dolcissimo di marchesina, a cui ilpiú provetto vagheggino si accostava con palpito di soggezione. Pareva unacosa collocata sugli altari, circonfusa di quell'ombreggiamento mistico evaporoso che hanno le nicchie dei santi. Il giovane piú morigerato in faccia alParroco e che fosse uscito allora dal sacramento dell'Eucaristia, pure,nell'accostare la sua sedia a quella di lei sentiva ancora il bisogno di dare unalavanda alla sua anima. Gentilina spauriva tanto i baldanzosi e i leggieri, chepretendono al monopolio dell'innamorare, quanto gli scettici che si vantano e siimpuntano di non credere e di non amare mai. Essa invitava ed attraeva inun'orbita di purezza e di famiglia anche coloro che non avevano mai pensatoalla purezza, ed erano stati fino allora senza famiglia. Oscar sentivasi tirato alei; e quando le si accostava, pareva ricevesse nell'anima una falda di luce chetutto lo rischiarasse. Pensò, sognò, sospirò un bacio di lei, come i bambinipensano, sognano, sospirano il Paradiso. Ma poi l'eco delle vanterie del conteAmelito vinsero l'attraenza della marchesina, ed Oscar, dato uno strattone alsuo spirito, scappò a viaggiare lontano per rompere i vincoli e fuggirestoltamente i pericoli della fede, dell'amore e della famiglia. La madre morísenza godere quella felicità che si era ripromessa. Morí Gentilina ed Oscargirovagò da disutilaccio per il mondo.

* * *

Quando non era piú tempo per lui di averla in realtà il conte Oscar videGentilina in fantasima; e disse focosamente a se stesso:

«Se io potessi riassumere la mia gioventú! Se io potessi ancora far miaGentilina! Nemmanco un esercito, nemmanco una macchina dinamosivarrebbero a dispiccarmi da lei. Perché in questo mondo vi sono donne edonne: e fra donna e donna c'è di mezzo il mare. Vi sono donne sciagurate checi fanno perdere la fede e l'ideale; e ci sono donne tutta purezza, tutta bontà,tutta famiglia, che asciugano, consumano ed annichilano intorno a sé il viziocome la grazia divina strugge il peccato. Non v'è spirito del male cosígagliardo e cosí riflesso, che osi spingere le sue spire fino sulle capigliaturesoavi di questi angeli benedetti. E se io ritornassi giovane, se io possedessirealmente nel mio castello il lampo delle braccia e del bacio di Gentilina, iocrederei nel bene, io lo farei il bene: perché io avrei in Gentilina un premio euna asseveranza di Dio: sarei capace di diventare martire della mia fede io chenon ho mai fatto nulla per il mondo e non mi sono nemmanco scomodato per imiei simili a farmi inscrivere nelle liste degli elettori politici ed amministrativi.E per fare il bene, per dare lavoro, scuole, dignità, ponti, giustizia a questipoveri che formicolano nelle catapecchie da basso, io che finora fui nemicogiurato e spericolato dai fastidi, io sfiderei le brighe, le izze, mostrerei il pettoai coltelli dei libellisti assassini... E farei di piú... Io che ho viaggiato come unciocco strascicando la mia noia immensurabile e spargendo per il mondo la miabile tetra... Sí, io sento pure qui dentro un'immagine di bellezza che ondeggianella brughiera della mia testa fra l'idillio di Teocrito che ho studiato nellescuole e le commedie di Coppée, che ho viste recitare all'Odéon di Parigi...

Page 247: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Ebbene, sento, che se io avessi legato alla mia vita il sorriso di Gentilina, ioquel tipo di beltà non l'avrei sfatato né sciupato, ma l'avrei raffinato nella miamente, e poi avrei tentato di pubblicarlo a sollazzo de' miei simili, e sento cheadesso per una sola carezza di lei, di cui ho sete, forse verrei in sí grande forza,e in tanto ardire da balzare quell'immagine con una botta potente molto innanzinell'avvenire... Per lo contrario, senza nozze, senza Gentilina io non ebbi e nonho voglia né lena di fare il bene e nulla di nulla. Sono disamorato verso questarazza dei miei simili, a cui non mi unisce piú niuna trattina, e in mezzo a cui mitrovo pigiato per forza. Io sento, perché sono vecchio celibe, che se fossiprofessore, godrei diabolicamente nel dare la palla nera agli scolaretti ragazzidegli altri. — Io non provo niun dolo nello attossicare e far marcire le nidiatedi questi campagnuoli a me sottomessi, accerchiandoli, come faccio, fra leesalazioni e le filtrazioni delle mie risaje prossime ai loro usci. Per unafamiglia, in nome di una famiglia sento che avrei serbato ed aumentatoordinatamente le ricchezze della mia schiatta; ed invece senza famiglia, senzaamore, senza Gentilina io lasciai scioccamente e ignominiosamente rosicchiarele sostanze di mio padre e di mia madre dagli strozzini e dalle triste... Eppure,benché decimato nel mio avere, sento già per giunta la pesta e la calca dei mieigiovani cugini, i quali mi rondano intorno, taciti, sulla punta dei piedi, —sperando che io non li avverta, — ad annusare il mio cadavere e le reliquiedella mia eredità.»

* * *

Da quella sera in poi, sul chinare del giorno, sempre apparí dinanzi al conteOscar Gentilina la fantasima, ogni qual volta egli si affacciò ad uno dei quattrobalconi del suo castello; ché ella sempre veniva a lui da tutti e quattro i venticardinali. Poi egli la trovava tutte le sere ritta nello sprofondo della galleria deiritratti, vestita di bianco, mentre essa riceveva sulla fronte il bacio della madredi lui, pavonessa del settecento.

Insieme con la fantasima Gentilina, il conte Oscar visse ancora nel suocastello dì Moriglia mesi quattro, giorni otto.

Però in questo mezzo tempo, oltre la veduta del suo fantasima gentile, eglicontinuò a sentire di notte nella sua stanza la folata delle passere, ilbrancicamento dei pipistrelli, il ciucío dei topi e il pigolío delle rondini pari aguaiti di lattanti.

E per scongiurare quelle malie, egli non trovava modo diverso fuorchémandare per la posta delle somme enormi ed anonime alle donne superstiti fraquelle da lui conosciute. Queste creature erano oramai diventate impasti dibaffi, di rughe e di cartapecora attanagliata dai solimati e dall'acqua forte;dapprima attrici e poscia portinaie dell'orgia.

Nei giorni, in cui il conte aveva accomandato ad un vaglia postale il silenziodi un rimorso, — egli alla sera, appoggiato alla ringhiera di uno dei suoibalconi, riceveva immancabilmente per l'aria diaccia e sardonica la quietanzadelle somme anonime, che egli aveva spedite. Quelle quietanze eranosghignazzi di popolo, che poi per cortesia si faceva serio al suo comparire,erano sarcasmi echeggiati di lontano, erano versi dispettosi di cuculo, che covanel nido altrui.

Né per quante somme di danaro egli inviasse qua e là, il conte Oscar poté

Page 248: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

mai cessare dintorno a sé quelle fattucchiere, che avevano preso ad infestarlodi giorno e di notte, imperocché fino al suo ultimo respiro gli dimoraronosempre nelle orecchie pianti di neonati, — e le parvenze di ossiciniscricchiolanti gli danzarono davanti la fronte.

Il conte Oscar andò via dal suo castello di Moriglia e da questo mondo,lasciando sbrandellato il suo patrimonio fra le vecchie streghe, a cui mandavain vita i gruzzoli anonimi, e lasciando per testamento ai giovani del pubblico ilmotto biblico: Guai al solo!

Page 249: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Paolo Valera

da: GLI SCAMICIATI. Seguito alla Milano sconosciuta(Milano, G. Ambrosoli & C., 1881)

ASCIATAAssez de mensonges! il est temps

des faire de ouvres de verité.Zola.

Ogni qualvolta ci tocca leggere in un giornale o in un libro, che l'autore havissuto ai fianchi della plebe, per provare ch'egli è saputo in materia, un fiottodi rabbia ci scappa dal labbro.

Bisogna averla avvicinata, esser disceso nel sottosuolo, saperne i costumi,le sofferenze, i digiuni, le ingiustizie. Bisogna aver vissuto con lei; averriposato sullo stesso capezzale di granito o di paglia, aver indossato gli stessicenci, essersi riscaldato al gran fuoco comune: il sole. Bisogna aver provato ilpungolo della fame sotto il cielo inondato di luce, tra gli uccelli che si cibanoliberamente innanzi alle risorse della natura; bisogna aver pianto tra unmondo di gente paffuta e allegra e brilla che passa e ripassa sotto agli occhi,quasi, insulto, quasi scherno alle budella che rumoreggiano sordamente....

Bisogna insomma aver attraversato tutte le vicissitudini che rappresentanola lunga catena del martirologio plebeo che di anello in anello va a lambire ipiedi del boia.

Fuori di questa condizione, non si possono dire sulla «canaglia» chemenzogne, buaggini, asinerie; non si possono scrivere che romanzi.

È del resto un pervertimento generale.Un giorno leggi gli orrori che desta un uomo che muore sul letto di una

bagascia, quasi gli accidenti non potessero amoreggiare nei postriboli. Poiraccapricci alla narrazione di un ubbriaco, sul quale l'umano scrittore, conparole sdegnose, invoca la protezione della legge, per fare di un uomo onesto,un padre disonorato e un maritò perduto per sempre.

Un altro giorno è la stupidissima società zoofila, che teneramente versalagrime sulla groppa di un somaro e piange innanzi a un mulicidio o a unbovicidio o a un gatticidio, per poi cibarsi tra le pareti domestiche, di polli, dilepri, di tordi, di pesci, di manzo, di vitello, di maiale....

Un altro giorno ancora è una tirata contro un povero diavolo che spezzò ilfilo della vita per rispettare la roba altrui, citando ad esempio un Quasimodoper soprassello cieco, e un Uomo che Ride senza gambe, i quali perduranocoraggiosamente sul sentiero della miseria nera.

Poi vengono i fulmini contro le innominabili scellerate Perdute, ch'esconodall'antro ad attentare alla castità degli uomini e a confondersi colle oneste.Capperi! Poi una requisitoria contro il selvaggiume dei mastini di pubblicasicurezza. Poi.... una pugnalata nella schiena di coloro che snudano

Page 250: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

crudelmente le turpezze sociali, chiamandoli immorali e peggio, quasi laflagellazione del vizio fosse il vizio stesso!... Ah! ah! Poi...

Una menzogna continua.... L'ipocrisia che si cammuffa e siedetrionfalmente sul trono della verità.

Ma è tempo di spazzare le piazze di codesti farabutti, che sotto il manto delfilantropo, di gente che darebbe il sangue pel benessere dei tribolati, sinasconde la feccia sociale, l'ulcera che infetta tutte le istituzioni.

Sbarazziamoci di codesti bugiardi umanitaristi, ruffiani del popolo, cheeducano l'operaio all'egoismo del mutuo soccorso e suscitano in loro l'acrevoglia di diventare proprietari di case, per ridurli tiranni alla loro volta delleclassi misere.

Riduciamo al silenzio codesti sciocchi predicatori, che bandiscono dall'altodei teatri la pace, la fratellanza, solo per allietare le loro orecchie dei sonoribattimani che ingenuamente prodiga loro una turba credulona.

Abbominiamo tutto quel ciarpame di pennaiuoli, di latrinisti, di mascalzoniin cappello a cilindro che brucia l'incenso sulla bara dell'uomo che ha saputomettere in serbo 100, 200, 800 mila, un milione, dieci milioni di lire, grazie ascandalose operazioni, per poscia scagliarsi contro il poveraccio che harubato venti centesimi di pane.

Sputacchiamo in viso a tutti codesti miserabili — assassini mancati — chesvillaneggiano pubblicamente la venditrice di deliri carnali, per poi andare dalei, di soppiatto, a saziare gli appetiti libidinosi. Ma non sono esse forse chesalvano le vostre figlie e le vostre mogli dalla furia degli uomini?

Smascheriamo quel branco di arfasatti che sbraita al vandalismo peiricami fatti dall'edera sur un marmo vetusto, per poscia rimanere muto comegli edifici che vorrebbe salvaguardati dalla tempesta del tempo e dallemaledizioni degli affamati, innanzi ai paria della società anonima, cui lascelleraggine degli azionisti ingrassati, considera ancora meno deiquadrupedi.

Il pervertimento è del resto generale.Non si cerca già di prevenire il così detto delitto, ma di punirlo. Tutto

l'ingegno degli omenoni sta nel civilizzare i mezzi di tortura, per nonguadagnarsi la fama degli Arbuez. Ma tra questi e quelli quale differenza?Siamo sinceri. I Torquemada strozzavano il corpo con orribili ordigni, lobollavano a fuoco, lo mutilavano anche, ma poi lo abbandonavano alle linguegialle che rapide si innalzavano al cielo colle ceneri della vittima.

Tutto era finito.I contemporanei del XIX secolo invece non ti buttano addirittura sul rogo.

La vittima serve loro di giocattolo come il gomitolo di refe tra le zampe delmicino. Non le lasciano mai vomitare l'ultimo buffo di vita.

Leggete i codici vecchi e nuovi, compulsate la legge sulla PubblicaSicurezza, penetrate negli anditi spaventevoli della questura, passate dalbanco degli accusati della Pretura urbana a quello del Tribunalecorrezionale, per fermarvi nella gabbia della Corte d'assise; alloggiate nellecarceri cellulari e in tutte quell'altre case così dette di correzione; passatequalche anno a domicilio coatto, gustate le dolcezze del silenzio continuo inun ergastolo o del lavoro forzato in un bagno, e vi persuaderete che i primivalgono gli ultimi.

Animati da questi principi, che non ci porteranno sicuramente fortuna, in

Page 251: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

questi tempi in cui la verità è impunemente schiaffeggiata, e senza alcunavelleità letteraria, poichè non desideriamo aggregarci a nessuna di quellechiesuole che si acciuffano per questioni di campanilismo e gridano alparvenu, come i vecchi idealisti, il vade retro satana, pubblichiamo GliScamiciati, lavoro modesto, ma che riuscirà, speriamo, di una veritàstraziantemente vera.

Sono lagrime raccolte, gemiti ascoltati, anatemi scagliati insieme; èl'odissea di una banda di ladruncoli che incomincia a discutere, a smelmarsi,insorgendo contro tutto questo mondo di vigliacchi che percote e vitupera,assassina e distrugge.

È in una parola la detronizzazione della logica borghese. Ovvero sono glistraccioni che sbucano dalla cloaca per prender posto al banchetto della vita.

P. VALERA.Milano, Novembre. 1880.

I.A BORDO.

Dimentichiamo il grosso sobborgo di Porta Ticinese, popolato dallacanaglia che smagrisce lavorando; chiudiamo gli occhi sulle appariscentimiserie svolazzanti dai poveri davanzali e ristiamo sul colonnino miliare dovepur sosta el Barchett di pover, decrepita, unica galea, che nè venti, nè tempeste,nè furie, nè progresso hanno potuto sommergere.

Quante memorie ci ripullulano nella mente alla vista di quel sicuro,sdruscito navilio di Boffalora! Quante rimembranze di compagni di viaggionon riveduti più mai; quante novellette ascoltate nel silenzio lungo le serated'inverno, e quante lagrime sgorgate alla narrazione di pietose storie, ignoratedalla geldra borghese, che crede sanare le sventure dei pitocchi, dandopubblicamente due lire....

E tu, vecchio timoniere dalla faccia sparuta, dalle braccia secche, che, dopodue ore di cammino, venivi in volta, colla basletta, illuminati da un moccolo disego a riscuotere i trenta centesimi; e tu, cicchettaio ambulante che, celiando,ci inaffiavi l'arsa gola di grappa; e tu, sbilenco cantastorie, che intonavi ladolce canzone più in voga, mentre placido scorreva il navilio; e voi mammoseforosette dai fianchi poderosi che ammiccavate dell'occhio, malgrado quel nonso che di pizzicore che colava dalle vostre vesti; e voi tutti girovaghi, servidella gleba, rifiuti delle ferrovie, dove siete, perchè non vi veggiamo, faccieamiche?

Ohimè! più non rimane di voi che questa sciancata carcassa, testimone dellenostre corse, ricordo delle nostre risate, cenacolo delle nostre miserie.

— A vooooooooo! è il lungo prolungato segnale del vecchio navichiere, cheannuncia la partenza.

L'eco di quella voce che andava perdendosi nello spazio, udita nel silenzio,ti suscita una dolce mestizia. Ti pare di essere lì lì per abbandonare una terrache abbomini e adori ad un tempo; un luogo di ricordanze dolorose e care; unpaesello che ti ha veduto piangere e gioire; una capannuccia ove ogni pietra èuna pagina della tua vita.

Page 252: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

Il navilio incominciava a urtare alla sponda, quando una banda di disperatinel vero senso della parola, al trotto, con fuori tanto di lingua, braccia alzate,avvertiva che la si aspettasse.

— Malandrini, vocia il leader del drappello, in riga!— Battelliere, siamo in trentuno, quanto vuoi a caricarci?— Dove scendete?— A Castelletto.Li squadrò dalla testa ai piedi, poi coll'indice sulle labbra disse:— Non ho posto per tutti.— Non badare al posto. Ci sdraieremo sul tetto, sederemo sulle punte, sui

margini, lungo il remo se vuoi. Quanto dunque?— Trenta centesimi a testa.— Totale?— Nove e trenta, risponde uno della comitiva.— Malandrini, vuotate le saccoccie. Dieci, venti, ottanta, cento. Uno, due,

tre, quattro... ahi, ahi. Non abbiamo che cinque lire; bastano?— Hum! non ne avete altre?— Frugaci sotto le ascelle, tra le dita dei piedi, in bocca; battici il ventre

come farebbe un agente di questura, quando vuol accertarsi che non abbiamoingoiato nulla di prezioso. Ciò che rinvieni è tuo.

— Malandrini, al posto!In un baleno la brigata prese d'assalto la barca. Il carico era completo.— A vooooooooo!Trentuna bocche innalzarono quel grido, come una scarica di pelottone che

esplodeva e saliva morente al cielo.Il navilio era in moto.Sulla vaporiera di Watt, tutto passa come un sogno: vedi e case ineguali e

pali altissimi e quercie annose e campi e colline e vigneti e giardini pensili euomini e buoi e vacche e pineti che ballano o si inseguono accidiosi o siprecipitano divorando la via.

Sul Barchett di pover, tutto invece è calmo, solenne; la natura ti si presentacome in uno specchio: e ammiri l'azzurro del firmamento e il verde dei piani ela nuvolaglia che s'accalca quasi cencio sopra cencio e gusti la frescura e ilcanto degli augelli e il fremito carezzato delle foglie e sorseggi a larghipolmoni quel complesso ossigenato che è la vita.

In quella è il ministro, l'affarista, l'epulone, la dama, la biche che volano incerca di nuove speculazioni, di nuovi piaceri, di nuove emozioni, di nuoviamplessi.

In, questa è il mendico, è il masciader (venditore ambulante di scapulari,agnus dei, aghi e bottoni di camicia), è il lôcch, è la servente, è il senzascarpe,è il senzacalzoni, è il paesano; gente tutta istupidita dalle sofferenze che nonaspira più a nulla, perchè ovunque per essa non è che una cosa di sicuro: lafame.

Addio, città della busecca, dove molti muoiono per mancanza d'alimento emolti d'indigestione, nota a chi è cresciuto nel tuo grembo e ti ha cercatoinvano un boccone di pane; case misteriose dove la prostituzione clandestinas'alterna colla pubblica, addio!

Addio carceri criminali, addio S. Vittore, addio S. Antonio, tetri luoghi ovesedendo sul pavimento o sul pagliericcio, con un pensiero occulto, s'imparò a

Page 253: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

distinguere dal rumore dei passi comuni il rumore d'un passo aspettato con unmisterioso timore, quello del secondino. Addio dô Cassineit, carbona (pagliaioo anche casa) dove tante volte venimmo brutalmente svegliati e brutalmenteammanettati da un biss (questurino) sciagurato; addio Roncoroni dalla facciaargillosa, addio liberalonzolone Turri(1) addio Cugnoni, addio Dondina, addioôm de brasciada, addio Pungolista(2), addio tutti grossi e piccoli poliziotti, checi addoloravate colle strenciose (funicella ad uso manette) e colla noiosa(sorvèglianza), addio! E a voi pure, aule dove Temi vende a così caro prezzo laingiustizia, addio!

Tali e non diversi dovevano essere i pensieri di quel drappello, mentre labarca si andava allontanando dalla città delle vergogne sociali.

II.

Chi dei lettori ha avuta la sventura di leggere quel semenzaio di menzogneche è la storia sacra, sa, presso a poco, come è tagliato el Barchett di pover,scimiottaggine di quello che salvò il più grande degli ubbriaconi: Noè.

È un grosso barcone tutto a fessure che si aguzza alle estremitàconvergendosi e fa pancia smisurata nel mezzo, ove sorge una casettina sucidadalle continue carezze dei passeggieri, foggiata come quei bijou svizzeri,bucata alle pareti e agli usci, per lasciarne uscire il fetore condensato dalletrasudazioni di quaranta viaggiatori, ivi pigiati come acciughe su quattropanche gibbose.

Ai 31 di maggio 1879, el Barchett de Bufalora, sembrava tramutato in unadi quelle galere che solcano i mari, cariche di galeotti.

Dentro contadini e contadine di Corsico, Gaggiano, Castelletto,Abbiategrasso, Robecco, Magenta e Boffalora, muti, terrificati; fuori all'ingiro,al disopra, una ciurma indisciplinata, sghignazzante, che metteva sossopra,rumoreggiava, cantarellava, ciaramellava, sacramentava.

I santi e le madonne, dio e l'angelo custode, erano fatti segno ai più sconciepigrammi.

Satana doveva esultare dalla sua fornace.Quanta gioventù distrutta, quante braccia rese inutili dall'insipienza dei

legislatori! quanti giovani fatti malfattori... da chi? Dal caso? dalla società? daicostumi? dalla tendenza al malfare o dalla imperiosità delle circostanze? Tuttequeste domande ci s'affollavano come tanti problemi. Erano eglino esserispregevoli o meritavano la nostra compassione?

Il maggiore di quegli sbracati aveva venticinque anni, il minore tredici.Chi erano, dove, andavano, cosa facevano?— Malandrini, grida dall'alto del tetto il capo: buttee in mar i calcôs

(scarpe).Ciaf, ciaf, ciaf, ciaf, ciaf; in due minuti le ciabatte erano sparite nelle

profondità esplorate del naviglio:— Ovéj, vardée la gerbosa! vardée el marinar!Erano un'oca e un'anitra che se la sguazzavano, tuffandosi e rituffandosi alla

1() Due ispettori di P. S.2() Agenti di P. S. appartenenti alla squadra volante.

Page 254: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

superficie.— Voi, cèrchegh al vasco che ve fiancheggia (colui che si distingue

dall'abito di un miserabile) una cicca.— Ej, el ga minga un mocc?— Volentieri.Chi ce lo chiedeva era un bellissimo giovane, dagli occhi neri, dai baffetti

nascenti e biondi, largo di spalle, in carne, piantato su garretti saldissimi.— È anche lei della comitiva?— Perbacco! Pare loro impossibile di vedermi in questi panni, nevvero?— No, ma...—Via, via, ormai ho buttato l'ultimo rimasuglio di vergogna. Si sa bene che

sono cose che capitano ai vivi. Oggi si pranza coi piedi sottotavola e si fuma esi prende magari il thè; e due mesi dopo, non si è più ricevuti neppure dal bois.È l'altalena continua, eterna di chi non ha nulla di solido al sole. Ehn?

E sorrise.Ho fatto tre anni il giovine di caffè, nel negozio sull'angolo di via Pioppette,

ho cambiato i miei abiti con questi laceri prima di riuscire a trovarmi un altropadrone e sono passato dalla locanda del Berini alla cascina di dô Cassinett.Come vedono la mia storia è semplice, breve. Ora sono un lôcch, come tutti glialtri.

— E siete avviati?— A fà el monda ris in Piemont.— Tutti?— Tutti, compreso il capo che non è meno spiantato degli altri e al quale

abbiamo concesso di farci da guida, perchè è la seconda volta ch'el va inrisera. Vera Nosett?

— Alter che vera! Sont el barlettée (colui che porta l'acqua) de la risera,mi!

Strano! I malviventi che vanno in cerca del lavoro più faticoso che maifornisca la campagna! per cosa? Per una così miserabile mercede? Ma dunquenon è vero che non abbiano punto voglia di lavorare, che rubino per vezzo, perfannullaggine, come pretenderebbero far credere certi dottoroni che parlano ditutto, specie di quello che non sanno?

Ma dunque è una menzogna che gli spiantati siano vagabondi per elezione eche preferiscano il pane rubato a quello guadagnato colla fatica delle braccia?

Ci perdevamo in congetture.— Dica, signor No...— Nosetti, è il mio cognome.— È sicuro di trovar lavoro per tutti?— Nella Lomellina? Ce ne fossero! Tanto non è già un mestiere che

accomodi a molti.... Sul mercato arrivano ogni giorno dei reggimenti di uominie di donne e di fanciulli e di ragazze, come se la tromba del giudizio universaleli chiamasse in quei luoghi. Con loro arrivano pure i sensali incaricati daifittabili e dai proprietari, di negoziarli e di condurli sul sito. Appena accordatisulla giornata, salgono sulle carra, e via cantando allegramente come seandassero a una sagra.

— Siamo un poco curiosi. E si guadagna?— I ragazzi che non abbiano più di tredici o quattordici anni, una lira e

centesimi 10; gli uomini, una e trenta e le donne centesimi 70.

Page 255: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

— Poco.— Pochissimo, dico io. Si figuri che si incomincia ai primi albori, e si

smette a notte fatta. Loro non possono immaginarsi quanto sia faticoso quelterricurvo continuo, senza posa, là sprofondati nelle acque sporche fino alginocchio, talvolta più in su, saettati da un sole che brucia, punti dal ghiaa(pungolo) del villano incaricato di non lasciar tregua ai lavoratori.

— È orribile! Dica: i fittabili hanno poi da alloggiarli tutti?— Ammonticchiati sulla cascina, sull'aia, nelle stalle. E un pèle-méle di

sessi, di età, di carne.— Sa anche il francese?— L'ho imparato al Criminale, mercè le lezioni di un professore di lingua,

condannato per falso documento, a tre anni di quella beatitudine. Del resto soappena leggerlo.

— Fumate, caro Nosetti?— Chi di noi non fuma? Grazie.— Ma in quella confusione.... Scusi, avvengono forse... dei

congiungimenti?— Altro che congiungimenti! Chi resiste, quantunque stanco, alla

prepotenza degli stimoli, quando sente il caldo dei polpacci della rubicondafanciulla dei campi? Chi sa rinunciare a quelle voluttà inaspettate, più care, piùappetitose che non quelle che gustano loro signori nei boudoirs colle cocottes,come diceva sempre il mio povero amico professore? Ciascuno rappresenta lacalamita che attrae. L'uno si trova nelle braccia dell'altra senza saperlo, senzaconoscersi. Domattina le tenebre spariscono portando seco il mistero degliamplessi della notte.

— Dunque, secondo voi?— In risaia si svolgono le scene più scandalose, più stomachevoli. Il

vecchio che si fa delittuosamente palpeggiare dalla ragazzina alla sua voltamanustuprata o contaminata; la giovanotta — la quale non ricevette mai chespintoni dal promesso — che si lascia in un subito sverginare; il giovine ches'insozza colla vecchia sdentata e grinzosa; el lôcch che sfonda nuove portesenza badare a età, a sesso.... È il bacio dell'ignominia coll'ignominia; èl'amplesso vergognoso, infame che si consuma nella nebbia della notte. È ilcontatto carnale che discende all'ultima degradazione, imbragacciandosi egodendo.

— Ma voi ci fate inorridire. Ma dunque è vero quello che ci rivelava undottore del maggiore nosocomio, che la gioventù dai 20 ai 22 anni, èeccessivamente libidinosa, perchè uscita da concepimenti francesi, constatatoda moltissime configurazioni? Ma dunque non è un sogno che la gioventù dellecampagne ha crani somigliantissimi a quelli dei delinquenti?

Oh dio, chi ci spiega questa confusione, questo caos, che mette in dubbiotutto, perfino la santità della nostra povera mamma, che dorme laggiù nelcampo santo, sicura cha i figli non la malediranno?

Chi ci assicura di non essere un impasto di croato, di francese, di galeotto,se tutto è caduco dinanzi alla irresistibilità della natura, unica fonte ditenerezze; se l'onore, il vantato onore dei moralisti, è posto in gioco da millediverse passioni?

Oh dio, chi ci spiega mai questo mistero, chi ci strappa da questo dubbio,chi ci ridà la pace di quei giorni in cui tessevamo i romanzi colle figlie fuggenti

Page 256: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

i baci, per contemplarci estasiati, quando sonnecchiavamo sotto le ombrìemarginate di ruscelletti chiaccheroni?

Gli presentammo un Virginia.— Grazie!— Quanti giorni lavorerete nelle risaie?— Dovrebbero essere quaranta. Tutto dipende dalla questura.— Ma che c'entra la questura?— C'entra benissimo. Vedono quei cinque, là seduti a prua? Un mese fa

vennero arrestati, appena scesi dal Barchett dai giand (carabinieri), perchèprivi della carta di sicurezza per l'interno, e perchè mancanti di mezzi disussistenza. Non avevano fatto nulla; andavano a cercar lavoro. Ma lasorveglianza, questa piovra educata, che non abbandona la vittima chedissanguata, li inseguiva, anche fuori di Milano. Voj, Cirla, ven chi. È vero ono che vi hanno arrestati tutti e cinque, mentre andavate nelle risaie dellaLomellina?

— Cristo, se l'è vera! E che buiosa (prigione) che gh'è in la citaa di stecch(stuzzicadenti). Brrrr! Me ven su an mò la pell de cappon.

— Ma la sboba (minestra) l'era bona, voj! risponde uno degli arrestati.— Anche la buffettosa (rotella di pane dei carcerati) l'era eccellente,

soggiunge un altro.— Accidenti se l'era bona!— Dovevate, prima di andarvene, avvertire il delegato della vostra sezione.— L'abbiamo fatto con tutte le regole volute dal regolamento della

sicurezza pubblica e gli abbiamo detto, giusta l'articolo 71, dove andavamo alavorare.

— Giunti a Milano, non avete protestato?— A chi di grazia? Ai giudici, ai delegati, ai questurini?— Si starebbe freschi! rispose Nosetti. Prima di tutto, volere o volare, siamo

considerati come fuori della legge, ogniqualvolta si tratta di farci giustizia. Poiabbiamo sempre torto marcio. Ci imprigionano, ci percuotono, cisvillaneggiano, ci fanno crudelmente patire la fame. Il miglior partito è tacere.

Cosa ho guadagnato quando dinanzi al presidente, come si chiamava?....Poco importa il nome; quando dinanzi al presidente commisi la pazzia di direche i mardochei mi avevano sputacchiato in faccia e battuto a sangue? L'uomodella legge, con una freddezza da stordire, mi rispose: Tacete temerario; voidite una menzogna!

Io allora rosso dalla collera per l'impudenza di quel Minosse stupido eignorante, gli mostrai il petto, livido ancora dei pugni che mi avevano regalato.Ma egli, col solito cinismo, non si degnò neppure di guardarmi in faccia. S'alzòdal seggio, arrancò il fascicolo delle imposture e la calotta, poi, con vocemagistrale, disse: «la Corte si ritira.» E non comparve che per condannarmi asei mesi di carcere puro e semplice.

Passarono alcuni minuti in silenzio.— Hai finito sì o no di piagnucolare? ricominciò el Cirla. Ah, va bene! Ho

finalmente la parola.— Tre giorni dopo l'arresto, venimmo tolti dalle carceri di corrispondenza

d'Abbiategrasso, e, legati come grassatori della peggior specie, ci si condussetramezzo a quatter stravacca olî (carabinieri) alla stazione.

Un mondo di gente s'era posto sul nostro cammino. I morlacch (contadini)

Page 257: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

volevano vederci ad ogni costo, quasi fossimo mostri o belve sfuggite daqualche serraglio. E noi a gomiti, a pizzicotti, a fiancate a farci strada.

Ma i pivioni duri!Alla stazione di porta Genova eravamo attesi dal solito cocchiere.Insaccati di nuovo negli strozzatoi del carrozzone cellulare, i cavalli presero

il trotto.Pochi momenti dopo discendevamo nel cortile di San Vittore.— Non rammentarmi quella prigione, sorse a dire come indignato un

giovinetto magro, stecchito, brutto, con una zazzera ispida sul bavero; lacero,sporco, con una faccia oblunga e bronzata dalla canicola.

— O perchè mo? Forse che non è come tutte le altre?— Può darsi. Ma laddentro, sai, si commettono cose così orribili, così

nefande, che al solo pensarlo mi si gela il sangue.— Hai torto d'inveire contro quel povero asilo, disse Nosetti. Non è forse

così dappertutto?— Sarà. Ma nelle carceri pretorie, non ebbi a patire quello che ho subìto a

San Vittore!— Che diavolo vi hanno mai fatto? gli domandammo.Si fece rosso come una brace e chinò la testa.— Anzitutto, interuppe Nosetti, è necessaria una descrizione del luogo e

degli inquilini che lo abitano.Il carcere di San Vittore è sucido, tetro, doloroso.Immaginino degli orribili stanzoni, dalle pareti viscide, dal suolo

ammattonato e disuguale. Poi si figurino essere là, al contatto con tutti glielementi, con tutta la spazzatura del sottosuolo, dove il giovine diciottenne dàla mano al prigioniero quarantenne, rotto a tutti i vizi; dove l'uno fa le proprieoccorrenze, mentre l'altro sbocconcella il pane o ingoia la cattiva (zuppa); doveciascuno racconta coi colori più ributtanti le proprie gesta; dove è una gara ildirle più ladre, più sbracate.

Chi non è svergognato dal malleolo al bulbo capillare; chi non si èdiguazzato nel bitumoso mare delle miserie carcerarie; chi serba ancora unsentimento onesto in fondo al cuore, prova un disgusto indicibile. Ma non èche l'affare di ventiquattr'ore. All'indomani, anche il neofito, prende unatteggiamento burlevole e si associa alle turpi abitudini della canaglia.

— Non è di ciò ch'io voleva parlare, ridisse stizzito il giovane.— Vengo all'argomento. Collo scendere della notte, sparisce l'ultimo alito di

pudore, dato che vi sia. Alle otto è un andare e venire di secondini, unosbatacchiare di sicure (usci), un chiavistellare assordante, un battere e ribatterei ferri delle sfiandre (finestre), un picchiare e ripicchiare le muraglie, unrovistare i pagliericci e via fino a che sono sicuri che non c'è stato alcuntentativo di fuga.

È una triste e noiosa operazione la visita notturna! Soffiato sulla lumm a oli,il tenebrore si addensa mano mano che il silenzio diventa generale.

Mezz'ora dopo, quando tutto sembra sprofondato nel sonno, incomincial'infame gioco della coperta.

— CioèNosetti s'asciugò la fronte con un lembo della blouse, indi soggiunse:— Come si fa a spiegarlo?— To', disse il giovine, celiando, che adesso fai della pudicizia!

Page 258: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

— Sta a vedere che quando si parla coi vaschi si andrà fin giù nel pattume.— Non vuoi dirlo?— Cedo volentieri la parola.— Ecco come avviene l'esecrando gioco della coperta. Supponiamo per un

momento d'essere coinvolti nella densa nube distesa sulla camerata che russa.Zitti! Qualcheduno si muove. Guardate, sono cinque individui che s'alzanoadagino dai fetenti canili colla precauzione di chi sta per commettere undelitto. Le loro ombre proiettate, ingigantiscono lungo le pareti e suscitano unapaura indiavolata in chi le vede. Ecco che si avvicinano al paziente in punta depè, il quale è quasi sempre un sbarbaa, chiamato in lingua gergaleboccabracch. Silenzio e attenti. Delle mani a tentoni spiegano una coperta.Attenti ancora. Il colpo è fatto. Quattro della banda gli sono addossocoll'indumento, mentre il quinto lo stupra colla selvaggia violenza del bruto inpreda ai furori carnali.

Lo sdegno ci rigurgitava dalle labbra.— Continua l'operazione. Dopo il primo, il secondo; dopo il secondo, il

terzo, il quarto, il quinto... fino all'ultima definizione: la passada. L'abbominio;l'esplicazione di tutto quanto v'ha di scellerato e di turpe.

Una pioggia di scappellotti e di calci è in seguito la mancia che tocca aldeflorato.

— È spaventevole quello che dite.— Lo credo anch'io, disse Nosetti. Però...— Cosa? chiese l'altro.— Dobbiamo ammettere le attenuanti. Io pure capisco l'insulto fatto alla

natura, l'orrore che suscita il fornicare in tal modo ma poi, signori miei, primadi essere giudice, sono uomo. Quando il fluido scorre riscaldato per le vene,quando i sensi sono surreccitati e incalzati da una furia che rapisce la ragionepel trionfo degli stimoli....

Voi lo sapete, a vent'anni l'onanismo, che è la masturbazione, non è piùpossibile se non in caso di forza maggiore. Poichè esso istupidisce,incretinisce, inebetisce e via. Ora, se è universalmente creduto che nell'uomol'appetito carnale non è vizio, ma imperioso bisogno, perchè ci scaglieremocontro coloro che hanno cercato il soddisfacimento dove hanno potuto?

Non è forse vero che i legulei hanno ammesso la necessità dei lupanari, perevitare che gli uomini violentino le donne altrui nelle loro case? Ora, i carceratiforniti anch'essi del membro virile, non devono godere gli stessi diritti? Chisono per esigere da loro un'astinenza di cui neppure il saggio è talvolta capace?Proibire, senza sopprimere con un taglio reciso gli organi superiori alle leggi eai voleri umani, pare a me la più insensata delle cose.

Nosetti — forse senza saperlo — aveva scovata una di quelle verità cheguillotinano addirittura.

La barca aveva. urtato alla sponda.— Malandrini! vocia Nosetti, vardee che ghè chi j'incugin (carabinieri). Se

ve domanden in dove vemm, rispondi: A lavorà in risera.— E se ne domanden i cart? interpellò uno della brigata.— Sem minga baloss, nun, de avegh i cart in gaioffa! risponde ridendo un

altro.— A bon cunt, replicò il capo, vardée de minga tartì (infinito del verbo

confessare), che semm sta in presun.

Page 259: DISPENSE INTEGRATIVE TESTI...SINCRETISMI SCAPIGLIATI. DISPENSE INTEGRATIVE: TESTI Tranquillo Cremona, Visita al collegio (1877) A.A. 2015-2016

— Te ne credet insci ciölla?— Mi, per no savè nè leng, nè scriv, voo a saran in carbona.— Andemm via, citto, citto.— Corsico!— A vooooooooo!...Il navilio, rimorchiato dai due ronzinanti, riprendeva il lento camminare,

increspando le acque opaline, entro cui si specchiava maestoso l'astro notturno.Quale splendida serata! L'anima contristata da tante sconcezze, si riposava

in quella calma solenne della notte. Era come un assurgere nelle regioni deisogni; contemplando quel cielo iridato e incandescente ai margini, che andavasempre più popolandosi di stelle, intanto che vedevamo i casolari del paesucolorimpicciolirsi, annebbiarsi, perdersi nell'ombra, assieme ai tre angoli di cà-traversa (carabinieri).

— A vooooooooo!E di nuovo la voce si ripercoteva e la eco lontana moriva nella dolcezza di

un bacio sommesso. [...]